“Attorno a noi hanno costruito un recinto di regole morte

 Attorno a noi hanno costruito

un recinto di regole morte. Liberiamocene !”

 

 

Disagio sociale, per Mario Caligiuri

«Può esplodere se il Pnrr non sarà efficace»

Calabria.live - Redazione -FRANCO BARTUCCI -  (13 Gennaio 2022)- ci dice :

 

 «Il disagio sociale può esplodere se il Pnrr non sarà efficace». Lo ha sostenuto il prof. Mario Caligiuri, Presidente della Società Italiana di Intelligence, nel corso di una sua lezione nell’ambito del Master su l’Intelligence in corso di svolgimento all’Università della Calabria.

Il docente ha esordito affermando che «il compito dell’intelligence è di prevedere quanto può accadere. Pertanto il tema del disagio sociale potrebbe essere prioritario nelle attività dei Servizi». Ricordando come questo fenomeno sia presente da tempo e in maniera diffusa nella società, Caligiuri ha analizzato la questione collegandola non solo alla sicurezza nazionale ma anche allo scenario digitale, in quanto «viviamo contemporaneamente in tre dimensioni: fisica,  virtuale e aumentata; questa ultima intesa come integrazione tra uomo e macchina che estende le possibilità dell’umano». 

 

Citando il recente rapporto dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale “Il mondo che verrà 2022”, Caligiuri ha evidenziato come il tema della disuguaglianza stia progressivamente crescendo con la globalizzazione e in Italia più che altrove, tanto che il divario di reddito tra il 10% più ricco e il 10% più povero ha raggiunto il rapporto di 11 a 1, superiore alla media internazionale.

Riprendendo il saggio di Yves Mény “La nuova e vecchia rabbia”, Caligiuri ha illustrato come la storia sia caratterizzata dall’avvicendarsi di periodi di pace e di momenti sanguinosi, in quanto la violenza è insita nello sviluppo umano.

 I miglioramenti sociali sono stati il risultato, secondo Mény, di violenze e disordini oppure sono stati il premio ad eventi traumatici, come i diritti sociali ottenuti dopo le due guerre mondiali.

Il docente ha poi esaminato le principali cause che contribuiscono alla formazione del disagio sociale. Tra queste vi sono l’inarrestabile immigrazione collegata con il declino demografico, la perdita di potere di acquisto dei cittadini occidentali, la trasformazione del lavoro con l’affermarsi di quello precario su quello stabile, l’impatto sconvolgente dell’intelligenza artificiale e la società della disinformazione, della quale le fake news rappresentano l’esempio meno pericoloso, poiché la vera disinformazione proviene dalla propaganda di Stato e dalla comunicazione istituzionale.

Ha quindi spiegato che la società della  disinformazione si caratterizza per la dismisura delle informazioni da un lato e per il basso livello di istruzione sostanziale dall’altro, determinando un corto circuito cognitivo che allontana le persone dalla comprensione della realtà.

«La pandemia – ha precisato – rappresenta la materializzazione della società della disinformazione, con l’evidenza dei no vax che, senza entrare nel merito, sono in ogni caso la manifestazione evidente del crescente disagio sociale».

In merito all’intelligenza artificiale, ha evidenziato che sarà destinata a sostituire molte professioni, sia ripetitive che intellettuali. Caligiuri ha citato uno studio del Dipartimento del Lavoro statunitense secondo il quale il 64% delle persone che si iscrivono adesso nelle scuole, una volta terminati gli studi, svolgeranno una professione che ancora non è stata inventata. Ha quindi proseguito sostenendo che «non abbiamo ancora sviluppato una coscienza dell’intelligenza artificiale, poiché manca la consapevolezza delle conseguenze dell’intelligenza artificiale, che è prevalentemente in mano ai privati».

Successivamente ha illustrato il disagio esistenziale, che proviene da lontano, sottolineando come si stia assistendo a una dilatazione del disagio nella società, tanto che aumentano i disturbi psicologici e psichiatrici.

«Il disagio sociale reale – ha poi spiegato – si evidenzia e si espande anche a livello  digitale ed ha marcati risvolti sociali e politici. Gli esempi sono numerosi come le controverse Primavere arabe, i tentativi di condizionamento elettorale in numerose nazioni, le rivelazioni di Wikileaks che dimostrano lo scarto tra dichiarazioni ufficiali dei governi e comportamenti reali, il terrorismo che viene amplificato dalla Rete come dimostra il caso dell’Isis, il protagonismo della criminalità nel web con i crescenti crimini informatici».

«Occorre – ha sottolineato – un sistema che tuteli il diritto dei cittadini alla sicurezza, concetto ampio che comprende non solo la sicurezza fisica intesa come controllo dei confini, ma anche quella sociale, alimentare e sanitaria. In tale scenario l’attività di intelligence orientata alla sicurezza diventa ancora più rilevante».

Caligiuri ha infine esaminato il contesto italiano, ricordando come un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora, determinando un costo annuo per la società nazionale di circa 36 miliardi di euro. Il docente ha poi esposto che «prima della pandemia più di un quinto dei nostri connazionali aveva difficoltà a pagare le spese mediche e più di cinque milioni e mezzo, negli ultimi tre anni, si sono indebitati per pagare le spese sanitarie. Tali indicatori rappresentano un malessere economico strutturale. A questo si deve aggiungere la disoccupazione giovanile, molto elevata nelle regioni meridionali, che alimenta le mafie».

Soffermandosi sulla dimensione digitale, ha ribadito la necessità di una cyber education che deve essere intesa come uno strumento decisivo da insegnare obbligatoriamente nelle scuole, poiché «la forza maggiore di una nazione è rappresentata da una cittadinanza istruita».

Infine, Caligiuri ha ribadito che il disagio sociale potrebbe essere utilizzato come paradigma interpretativo della realtà contemporanea, in quanto costituisce la manifestazione più evidente della crescente disuguaglianza globale. Pertanto, ha affermato il docente, «se il disagio sociale diventasse fuori controllo potrebbe rappresentare un problema fondamentale di sicurezza nazionale, poiché potrebbe avere grave ripercussioni sulla credibilità e sulla stabilità delle istituzioni, richiedendo pertanto la necessaria attività preventiva dell’intelligence».

«Molto dipenderà – ha concluso – dal reale impatto delle misure del PNRR, augurando che non si risolva in propaganda e distrazione di massa, perché rappresenta l’occasione per realizzare interventi concreti e strutturali, soprattutto nelle regioni meridionali».

(Disagio sociale).

 

 

SE L’AGENZIA DELLE ENTRATE TRATTA

DATI SANITARI È UN PROBLEMA.

Comedonchisciotte.org- Redazione CDC- Jacopo Brogi-(08 Gennaio 2022)- ci dice : 

(privacychronicles.substack.com/p/se-lagenzia-delle-entrate-tratta).

 

Dalle ultime informazioni sembra che sarà l’Agenzia delle Entrate (AdE) ad irrogare le sanzioni in caso di violazione dell’obbligo vaccinale covid-19 che dovrebbe entrare in vigore per gli over 50 col prossimo decreto legge.

Questa è una notizia che passerà in secondo piano e che certamente non farà storcere il naso a molte persone, ma che invece dovrebbe essere esaminata e valutata come un grave rischio democratico nel nostro paese.

Prima di tutto, l’Agenzia delle Entrate è un ente pubblico le cui competenze sono stabilite per legge (Decreto Legislativo del 30/07/1999 n. 30):

“All’agenzia delle entrate sono attribuite tutte le funzioni concernenti

le entrate tributarie erariali che non sono assegnate alla competenze di

altre agenzie, amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti od

organi, con il compito di perseguire il massimo livello di adempimento degli

obblighi fiscali sia attraverso l’assistenza ai contribuenti, sia attraverso

i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale.”

 

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate è competente per tutto ciò che riguarda i controlli fiscali, gli accertamenti e la gestione dei tributi, e il recupero dell’evasione fiscale.

Che questo ente possa comminare sanzioni per la violazione di un obbligo sanitario, è molto peculiare (per usare un eufemismo), considerando che tale funzione esula dalle competenze dell’Agenzia delle Entrate.

Le sanzioni relative alla violazione di altri obblighi vaccinali in Italia sono infatti irrogate a seguito di contestazione da parte della ASL territorialmente competente.

Ma, ma, ma… c’è un motivo se stavolta il governo ha scelto di passare attraverso l’AdE.

E quel motivo è che l’AdE è probabilmente l’ente statale che ad oggi ha gli strumenti migliori per trattare in tempo reale i dati di ogni cittadino italiano e determinare, attraverso l’incrocio dei dati sanitari, chi si è vaccinato e chi no, e quindi emettere una sanzione.

L’incredibile efficienza di questo sistema verticale, invece che orizzontale (ASL territoriali) è possibile grazie al trattamento di dati sempre più centralizzato e accentrato da parte dello stato italiano.

Ma possono farlo?

Sì, grazie al Decreto Capienze (DL 139/2021), che a ottobre 2021 ha inaspettatamente riformato il Codice Privacy italiano. Con questa riforma la pubblica amministrazione adesso è sempre legittimata a trattare, comunicare e diffondere dati personali anche senza che questo sia previsto da un atto di legge. Sarà sufficiente un atto amministrativo generale (che non è una fonte di legge).

Questo aumenta a dismisura il potere informativo della pubblica amministrazione, che ora non dovrà più perder tempo dietro a noiose e complesse leggi per tutelare la privacy e i diritti delle persone. E infatti, non ci sarà alcuna legge che disporrà queste tutele nei confronti dell’ AdE.

Ma c’è di più. Il DL Capienze ha anche modificato il DL “rilancio” (34/2020), aprendo la strada a preoccupanti scenari di profilazione di massa della popolazione italiana, che riporto come immagine per comodità:

DL 34/2020 modificato dal DL 139/2021.

In pratica, il Ministero della Salute è oggi autorizzato a incrociare dati, anche non relativi alla salute per finalità di programmazione tecnico-sanitaria e per il conseguimento della missione 6 del PNRR. Ma lo stesso può dirsi per le altre amministrazioni pubbliche, che potranno trattare e incrociare anche dati relativi alla salute, grazie alla modifica dell’art. 2-sexies del Codice Privacy. Ciliegina sulla torta: la stessa prerogativa è stata estesa alle forze armate per finalità di sicurezza pubblica.

Insomma, il panorama italiano oggi è che lo Stato vede e può tutto, e che non c’è più alcuna disconnessione funzionale tra enti e istituzioni.

Il DL Capienze è stato duramente criticato da me e da chi come me si interessa della materia, con tanto di audizioni in Commissione Affari Costituzionali in Senato, per evidenziare i gravi problemi che derivano da questa deriva malsana della normativa privacy italiana. Purtroppo non siamo stati ascoltati. Qui un approfondimento.

Quali sono i problemi?

I problemi di questo libero arbitrio sul trattamento dei dati sono diversi e non tutti manifesti.

Sicuramente c’è un problema di trasparenza e di processo democratico: senza legge non c’è dibattito politico. Senza trasparenza e senza dibattito politico crollano i principi democratici e l’attività della pubblica amministrazione diventa autoritaria by default.

Come può il cittadino difendersi dal potere informativo dell’Agenzia delle Entrate se non c’è neanche una legge a tutela contro questo libero arbitrio?

Quali sono le garanzie in caso di errore?

Se il trattamento è automatizzato, quali sono i rimedi previsti per ottenere l’intervento umano? Come può la persona mantenere il controllo dei propri dati che adesso rimbalzeranno da un ente all’altro e saranno incrociati tra loro per creare nuovi dataset e database senza alcuna trasparenza?

 Quali sono le garanzie contro gli effetti della profilazione di massa?

Come possiamo semplicemente fidarci di enti come l’Agenzia delle Entrate, capitanati da persone che negli scorsi mesi si sono fatti espressamente portatori di una insensata guerra contro la privacy?

Una dichiarazione di Ruffini, da un mio altro articolo su Agenda Digitale.

Ricordiamo poi che nel 2020 il Garante Privacy si era espresso molto duramente sui provvedimenti attuativi della fatturazione elettronica proposti dal Direttore dell’AdE, paragonandoli a un regime di sorveglianza di massa della totalità dei cittadini italiani.

Il rischio, in sostanza, è di creare un sistema di sorveglianza globale passiva, in grado di rivelare i suoi effetti quando il governo ne ha necessità. Come adesso, nel caso delle sanzioni per violazione dell’obbligo di vaccinazione contro il covid-19.

Le possibili interazioni con il Green Pass.

E che dire allora delle possibili interazioni con il sistema del green pass di questo nuovo sistema tecno-legale creato con il DL Capienze?

Lo Stato Italiano ha oggi il potere informativo per trasformare il green pass in un sistema di punteggio sociale (social scoring) in grado di permeare ogni singolo aspetto della vita di ognuno di noi.

È proprio col prossimo decreto infatti che si stabilirà l’obbligo di esibire il green pass per qualsiasi attività economica e sociale – salvo (per ora) per i servizi essenziali.

E allora, cosa vieta al governo italiano di unire la tecnologia del green pass con la capacità tecnica e giuridica di incrociare ogni tipo di dato per creare una sovra-struttura in grado di subordinare l’accesso a beni e servizi sulla base del possesso di determinati requisiti (che possono andare ben oltre lo stato vaccinale della persona)?

 

A ben vedere, il green pass già oggi può essere equiparato a un grezzo sistema di punteggio sociale.

Come ho già avuto modo di spiegare qui, i sistemi di social scoring non sono altro che mezzi per guidare il comportamento della “società” attraverso la manipolazione del comportamento degli individui. Come arrivare a farlo? Attraverso un sistema di incentivi e sanzioni, che in Cina danno vita a “redlist” e “blacklist”.

Qualche “blacklist” cinese.

E lo scopo del green pass, attraverso incentivi e sanzioni, è esattamente questo: incentivare un certo comportamento individuale per ottenere una modificazione del comportamento della società verso i fini e gli ideali dello Stato.

In Italia abbiamo oggi tutti gli strumenti per mettere in campo un sistema del genere:

Un’app di stato (IO) con cui accedere a servizi pubblici, collegata con il green pass.

Un sistema di gatekeeping (green pass) che ricopre virtualmente ogni attività umana in modo capillare e pervasivo.

La capacità di interconnessione di sistemi informativi e dati attraverso tutti gli enti della pubblica amministrazione, con l’Agenzia delle Entrate all’apice del sistema sanzionatorio.

Un sistema già avviato di incentivi e sanzioni subordinato al rispetto di un requisito di legge (vaccino-tampone), che può essere facilmente esteso a ogni altro ambito.

La volontà politica di accentrare tutto il potere informativo e diminuire la frammentazione tra sistemi.

Cosa manca per trasformare il green pass in un vero sistema di punteggio sociale con requisiti ulteriori rispetto a quelli attualmente previsti? A ben vedere, niente. Se ci fosse la volontà politica (leggi: consenso da parte della popolazione) sarebbe possibile anche già da domani.

Quindi?

E quindi, la notizia dell’Agenzia delle Entrate che sanzionerà in caso di violazione dell’obbligo vaccinale si porta dietro tutta una serie di considerazioni che vanno ben oltre il caso specifico.

Non è un caso che la riforma del Codice Privacy, così inaspettata e “casuale” sia arrivata in realtà in un momento in cui il governo italiano si dimostra uno dei più autoritari di sempre.

Il “whatever it takes” di Draghi.

La privacy è letteralmente l’unica difesa contro l’ingerenza arbitraria da parte dello Stato, sempre più incentivato a controllare, sorvegliare e manipolare le persone e le informazioni. E questo è il motivo per cui in Italia e in Europa, nonostante i bei proclami, la privacy valga sempre meno.

È una questione di autodeterminazione e di libertà, intesa come possesso del proprio corpo e della propria identità (fisica e digitale), contro qualsiasi manipolazione e ingerenza da parte di uno stato (comunista alla cinese ) sempre più grande e senza limiti.

(Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org).

 

 

 

L’azitromicina serve per 4 ragioni.

Laverita.info- Dott.ssa Silvana De Mari  -(18-1-2022)-ci dice :

Chi la attacca dice che un antibiotico non funziona perché la natura del Covid è virale. In realtà , complicanze batteriche ci sono sempre. Come dietro le polmoniti interstiziali.

Dopo l’annosa  e ridicola guerra all’idrossiclorochina , ora comincia la guerra all’azitromicina .

Il medicinale manca nelle farmacie ,dove scarseggia anche la idrossiclorochina, e a reti unificate ci stanno informando che questo succede per l’infame cattiveria dei medici che usano un antibiotico ( che serve contro i batteri ) per curare una malattia virale , e per l’isterismo della popolazione che sta facendo scorta di medicinali. Faccio parte dei cattivi. Quelli buoni , che vi spiegano  che l’azitromicina  non serve  nella Covid  perché è una malattia virale e gli antibiotici servono contro le malattie batteriche , sono gli stessi che vi raccontano che la pessima tachipirina , nome d’arte del paracetamolo , è il farmaco  di prima scelta per la malattia in questione. Il paracetamolo è un antipiretico praticamente privo di una solida capacità antinfiammatoria  e con la pessima  abitudine di abbattere il prezioso glutatione che combatte l’infiammazione.

Il paracetamolo non la contrasta e la peggiora. Il primo a ipotizzare a ipotizzare la terapia a base di vitamine D, K , C, zinco , antiinfiammatorio  non steroideo (aspirina o ibuprofene ) ,idrossiclorochina ,azitromicina , cortisone   e eparina ,  è stato  il virologo Didier  Raoult , dell’Istituto ospedaliero universitario Méditerranée e infection di Marsiglia ,che ha spiegato  come il trattamento  precoce dei pazienti affetti da Covid-19  con almeno 3 giorni  di idrossiclorochina e l’azitromicina determinano un miglioramento molto più netto  di tutti gli altri trattamenti .

Queste affermazioni sono state confermate dal professor Cavanna nel marzo 2020  e ulteriormente confermate dalle migliaia  di medici che hanno applicato questo protocollo. Per quale motivo diamo  un antibiotico in una malattia virale ?

Per quattro motivi ,ognuno dei quali da solo giustificherebbe l’uso di questo farmaco.

1)- Noi non possiamo essere certi ,nemmeno a fronte di un tampone positivo ,test molto aleatorio, che il nostro paziente abbia un virus  e non un batterio, o non li abbia entrambi. Se una persona ,soprattutto una persona non giovane , si presenta sempre con febbre e sintomi respiratori ,nel 70 % dei casi si tratta di una patologia batterica. Questo paziente  può anche avere un tampone positivo , ma quel numero, 70 % , è troppo alto perché un medico abbia il comportamento assolutamente irresponsabile di non  prescrivere  un antibiotico.

Sono un medico .Mi assumo  la responsabilità fini all’ultima sillaba  di quello che affermo.

Non prescrivere immediatamente un antibiotico in una persona anziana  che presenta febbre e  sintomi    respiratori importanti è irresponsabile, ed è una delle cause  del disastro sanitario Covid-19.Molte polmonite interstiziali durante la cosiddetta  pandemia sono risultate causate da micro-plasmi o altri patogeni.

Non dare antibiotico in una polmonite interstiziale , perché si  è convinti che si tratti di una patologia virale e puramente virale , è un errore  di una gravità imperdonabile , un errore che molti pazienti possono pagare molto caro.

2)-Le infezioni virali nell’80% dei casi si complicano con infezioni batteriche .La Sars 2  Covid 19 si complica  con facilità  con una infezione di micoplasmi , microrganismi peri quali l’azitromicina è un farmaco ottimale .

3)-La Sars 2 Coivid-19 è una malattia che causa  danno attraverso una tempesta infiammatoria  ,una cascata di citochine. Per combatterla occorrono gli antiinfiammatori   e l’antinfiammatorio più efficace è il cortisone. Il cortisone però può deprimere il sistema immunitario , favorendo la sovra infezione batterica ,dove il paziente non sia protetto  da antibiotico.

4)-I macrolidi hanno una certa azione antivirale, e già era stata  sfruttata nella cura dei virus Ebola e Zika. L’azitromicina  migliora la produzione  dell’interferone 1  che ha azione antivirale. In una prima fase  della malattia i macrolidi intralciano l’ingresso del virus interferendo con il ganglioside GM .Il virus entra nelle cellule o attraverso i ricettori   per l’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE2), oppure attraverso il ganglioside GHM1.

Per quanto riguarda l’affermazione piena di disprezzo contro i cittadini che si sono premuniti procurandosi  i farmaci corretti nel caso di eventuale patologia , dichiaro ce questi  cittadini hanno fatto l’operazione corretta. In una situazione folle dove moltissimi medici negano le cure ai pazienti , dando Tachipirina e vigile attesa , procurarsi i farmaci per la terapia domiciliare è l’operazione corretta.

Se si hanno  in casa , ance un medico che non può più prescrivere ricette in quanto sospeso  dall’ordine perché ha rifiutato di farsi inoculare  farmaci sperimentali con i contratti secretati e lo scudo penale per chi lo fabbrica e chi li inietta può seguire il paziente.  In una situazione folle di isterismo di massa  provocata da una comunicazione folle , avere questi farmaci in casa ha  rasserenato molti e questo da solo sarebbe un ottimo motivo.

Ma il motivo principale è che la grande maggioranza dei medici continuano  a  prescrivere la tachipirina e l’ancora più indecente vigile attesa.

E’ stato appena vinto un ricorso al Tar, per questo. Indipendentemente dal ricorso, prescrivere paracetamolo  che abbatte  il glutatione in una malattia virale è sbagliato.

Un medico non è giustificato  a far una scelta sbagliata per seguire un protocollo sbagliato. Il fatto che negli  ospedali   siano state fatte fleboclisi  somministrando paracetamolo per endovena è ancora più grave.

Tutti i miei complimenti ai padri e madri di famiglia che, intelligentemente , si sono

procurati farmaci giusti.  

(Silvana De Mari ). 

 

(Ndr : ma i delinquenti non dovrebbero finire in galera su condanna della magistratura ?).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’infettivologo Bassetti: «Cambiare la testa

 di chi ci governa soprattutto nell’ambito

del Ministero della Salute».

Fare come propone la Spagna:

«Trattare il Covid-19 come un’influenza»

 

Korazym.org - Vik van Brantegem- (11 Gennaio 2022)- ci dice :  

 

 

Lo stiamo dicendo da tempo e adesso all’Adnkronos Salute [QUI] Matteo Bassetti [foto di copertina], il Direttore della Clinica di Malattie infettive all’Ospedale San Martino di Genova, ci arriva, facendo il punto della situazione epidemiologica. «Il Covid-19 in Italia “corre a prescindere da quello che riusciamo a fare. Lo vediamo, arriveremo a 300mila positivi al giorno, ma il sommerso di casi è almeno 2-3 volte di più. La pandemia si sta trasformando in endemia, dobbiamo cambiare strategia e credo che sarebbe il caso di chiudere il report serale con i numeri del Covid in Italia».

 

Il siero anti-Covid-19 non impedisce la circolazione del Sars-CoV-2, ma serve solo ad evitare le conseguenze gravi del Covid-19, per breve tempo, e non sempre, a quella ristretta fascia di persone particolarmente fragili. Sostenere che se tutti si vaccinano nessuno più, o quasi, si ammalerà a causa del coronavirus è una truffa. Sostenere che il siero immunizza è una truffa. Sostenere che con il Green Pass stiamo al sicuro, non ci si ammala è una truffa.

La Spagna si sta preparando a gestire la pandemia come un’influenza «e non vedo grosse differenze tra quel Paese e l’Italia. Dobbiamo cercare di cambiare la testa di chi ci governa soprattutto nell’ambito del Ministero della Salute con meno teoria e più pratica. Anche l’Italia è pronta a svoltare da pandemia a endemia [cioè, per capirci, un’influenza]. Ci sono però troppe leggi, leggine, lacci e lacciuoli, che ci stanno complicando la vita in maniera impressionate. L’Italia con un cambio di passo segua il modello spagnolo» [la Spagna, appunto, vuole trattare il Covid-19 come un’influenza], continua Bassetti.

 

«Attribuire ogni comportamento realizzato da singoli o gruppi a tutti i non vaccinati “I NO VAX”, come fossero categoria omogenea che opera all’unisono, è una delle più volgari, false, luride e violente operazioni di linciaggio morale di una minoranza mai viste» (Gavino Sanna).

Draghi-ha-sempre-ragione (San Giorgio aiutaci contro il drago) in retromarcia in modo ciclico: torna un lockdown di fatto. «Vorrebbero farci credere che i problemi organizzativi nelle scuole, i divieti, i danni al turismo, all’economia, la diffusione di Omicron tra vaccinati, le file per un tampone, la figuraccia a livello internazionale, sia tutta colpa della minoranza non vaccinata. Del governo mai. Come disse Salvini lasciandomi impressionata: “Draghi ha sempre ragione”» (Azzurra Barbuto @AzzurraBarbuto – Twitter, 11 gennaio 2022). Era urgente, nel pensiero del Governo, rientrare a scuola in presenza per evitare la Dad e di farlo con regole precise e stringenti: non si può fare merenda, non si può azionare il riscaldamento e bisogna areare gli ambienti tenendo le finestre aperte per evitare il contagio. Si muore dal freddo e nel frattempo si seguono conferenze di esperti esterni con Google Meet. #statodifollia con il #brancodibalordi

 

«Per i pro vax oltranzisti muoiono tutti di Covid, per i no vax oltranzisti muoiono tutti di vaccino. Nell’uno e nell’altro caso siamo davanti a irriducibili coglioni» (Azzurra Barbuto).

E Pfizer annuncia: «Entro marzo il vaccino contro Omicron». Molto utile sapere questo nell’inverno quando il Coronavirus cinese di Wuhan corre con il freddo umido e c’è ancora che dice che con l’infame Green Pass lo ferma. Dopo marzo la situazione si migliora di nuovo e il nuovo vaccino di Pfizer farà il “miracolo”, mentre il calore e i raggi solari penseranno a uccidere il Sars-CoV-2 come la luce fa con i vampiri. E come i vampiri, Big Pharma succhia nostro sangue come promesse e bugie.

 

La Conferenza Episcopale Italiana, ormai il filiale del Ministero della salute del bullonato Speranza 1%, suggerisce le mascherine FFP2 per Santa Messa e gli incontri di catechismo, «vista la recrudescenza dei contagi da Covid-19» e torna a raccomandare – con la velina di Speranza e la voce del Padrone – «prudenza, senso di responsabilità e rispetto delle indicazioni utili a contenere l’epidemia». Nel frattempo il Papa batte sempre lo stesso chiodo nel suo saluto al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede: vaccinare il più possibile la popolazione [per salvare il corpo], no ideologie. Ci saremo aspettato di sentire: battezzare e amministrare il più possibile i sacramenti alla popolazione (per salvare l’anima), sì al Vangelo. La legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime (Canone 1752). Salvare il corpo in questa vita (breve) è il bene. Questo è la missione dei medici. E ognuno è libero di scegliere medico e cura (secondo la Costituzione). Salvare l’anima in questa vita e per la vita che ci attende (eterna) è il supremo bene. Questo è la missione dei sacerdoti. E ognuno è libero di scegliere sacerdote e sacramenti (secondo il Vangelo). Tutto il resto è ideologia. No ideologie. No ideologia sanitaria. No Super Green Pass per i sacramenti.

 

Sarebbe opportuno che il Santo Padre iniziasse – dopo due anni di esortazioni e raccomandazioni – a mettersi anche lui la mascherina, non solo quando cammina nei corridoi vuoti del Palazzo Apostolico (quando il Reggente della Casa Pontificia accanto a lui se la toglie), ma anche negli incontri (non solo per proteggere le persone che incontra, ma per proteggere anche se stesso).

 

Nel saluto al Corpo diplomatico il Papa continua a promuovere il siero come obbligo morale per tutelare gli altri. Dice: «I vaccini non sono strumenti magici di guarigione, ma rappresentano certamente, in aggiunta alle cure che vanno sviluppate, la soluzione più ragionevole per la prevenzione della malattia» e «proseguire lo sforzo per immunizzare quanto più possibile la popolazione». Già in campo teologico non eccella ma in campo scientifico è bocciato. Il mantra dell’”obbligo morale” fa stancare pure il teologi e la scienza dice che il siero non tutela gli altri, visto che anche i vaccinati possono essere contagiati e contagiare gli altri. Poi, il siero non immunizza, non neutralizza il virus, come un vaccino farebbe, mentre il siero agisce sui sintomi, cose che un vaccino non fa. Continua a fomentare l’ignoranza di coloro che ripetono a sinapsi spenti: «Intanto i non vaccinati muoiono, dopo essersi ammalati, aver occupato e rubato posti in terapia intensiva e in reparto che sarebbero toccati ad altri malati generici e averli costretti forse alla morte. No: la posizione dei no-vax non può avere alcuna ragione».

 

Condivido quanto segue dal profilo Facebook di due cari amico e lo condivido, da vaccinato con 2 dose e il booster (rispettando le regole di protezione personale + regolarmente auto-tamponato), contrario all’infame Green Pass.

 

«Anche i vaccinati, finiscono in terapia Intensiva, e muoiono tanto quanto i non vaccinati. La differenza? Avere la copertura dal virus nei due/tre mesi del contagio, perché al terzo/quarto mese il vaccinato ha le stesse probabilità del non vaccinato di finire in terapia intensiva. Perché dico questo? Ho esperienza diretta di un parente che è finito in ospedale in forma lieve nel 2020, quando non c’era il vaccino, ha effettuato le due dosi e aspettando la terza dose è stato ricoverato in Terapia Intensiva ed adesso guarito dal virus mi ha detto che questa volta è stata peggio di quando fu ricoverato senza vaccino. In TV te la raccontano bene perché si devono parar le terga, ma la realtà non è la narrazione che ci propinano. Fintanto che il vaccino agisce sui sintomi e non neutralizza il virus i vaccinati corrono gli stessi rischi dei non vaccinati al superamento dei due mesi di copertura (anzi spesso i vaccinati muoiono per problemi legati al vaccino). Questo è tutto, vissuto da me, in quasi prima linea (tra servizi di Protezione Civile, Servizi Cisom e volontariato diocesano) che vivo vedendo la realtà delle cose» (C.D.C.).

 

«L’ultimo Decreto legge del bancario Draghi Mario del 7 gennaio è costruito con continui richiami di Decreti legge e leggi tra di loro connesse, precedenti e susseguenti, che più che un gioco malefico di scatole cinesi, evoca gli “ara fara arimannia” delle antiche comunità longobarde del nord Italia. È un qualcosa di impenetrabile anche ad Indiana Jones. Si tratta di un prodotto di incapaci? No, li si vuole proprio così in modo che la gente comune non capisca e non capiscano neppure Avvocati e giudici perché poi intervengono i giudici (quelli compiacenti verso il potere) a dare l’interpretazione e la applicazione più gradita a chi pur illegittimamente detiene il potere governativo» (Augusto Sinagra).

Poi, mentre il Sommo Pontefice argentino si dedica al tango, l’infettivologo genovese Matteo Bassetti si esercita nella piroetta – che nel dressage di alta scuola, è il movimento circolare di raggio uguale alla sua lunghezza, imperniato su una sola delle gambe posteriori – indeciso su quale tipo di musica spagnola muoversi, tra il flamenco, la copla, il cuplé, il fandango, la isa canaria, la jota, la muñeira, i paloteos o balls de bastons, il pasodoble, le pardicas, la rebolada, la sardana, il verdiales o la danza prima.

 

Bassetti: “Basta col report giornaliero, mette solo ansia”. “Importante sapere quanti in ospedale con polmonite da Covid”

Costa: “Proposto a Speranza una riflessione sul Report quotidiano”.

(ANSA, 11 gennaio 2022).

 

“Questa modalità di gestione del Covid deve cambiare. Non dobbiamo continuare a contare come malati di Covid quelli che vengono ricoverati per un braccio rotto e risultano positivi al tampone. Bisogna anche finirla col report serale, che non dice nulla e non serve a nulla se non mettere l’ansia alle persone, siamo rimasti gli unici a fare il report giornaliero”. A dirlo è Matteo Bassetti, Primario di Malattie infettive all’Ospedale San Martino di Genova, intervenuto alla trasmissione L’Italia s’è desta su Radio Cusano Campus. “Che senso ha dire che abbiamo 250mila persone che hanno tampone positivo? Bisogna specificare se sono sintomatici, asintomatici, sono ricoverati, stanno a casa – aggiunge – Da una parte sono numeri che ci fanno fare brutta figura col resto del mondo, perché sembra che vada tutto male e invece non è così, nella realtà altri Paesi che hanno molti più contagi di noi cercano di gestirli in maniera diversa. Se continuiamo così finiremo con l’andare in lockdown di tipo psicologico e sociale. Continuando a fare tutti questi tamponi immotivati, arriveremo a un punto che avremo talmente tanti positivi e contatti con positivi che l’Italia si fermerà”.

 

Per Bassetti, “la cosa importante sarebbe sapere quanta gente entra in ospedale con la polmonite da Covid-19 e quanta gente invece entra in ospedale per altre patologie e ha un tampone positivo”. “Bisogna capire se la pressione sugli ospedali è da polmonite da Covid.19 oppure se è dovuto all’enorme numero di tamponi che viene fatto – sottolinea – Ci vorrebbe una distinzione molto chiara. Bisognerebbe ascoltare un po’ di più i medici. Oggi questo virus per la maggioranza dei vaccinati dà una forma influenzale. Gli ospedali sono pieni di non vaccinati, che devono vaccinarsi. Nella gestione della pandemia ci vuole un cambio di passo necessario e urgente”.

 

“Condivido la posizione di Matteo Bassetti circa l’inutilità di un report giornaliero dei contagi, perché il numero dei contagi di per sé non dice nulla. Da parte mia ho proposto anche al ministro della Salute di fare una riflessione sull’attuale sistema di report e la mia posizione è condivisa dal mio partito Noi con l’Italia. Mi auguro che possa diventare maggioritaria all’interno della maggioranza”. Lo ha detto all’ANSA il Sottosegretario alla Salute Andrea Costa, sottolineando come nella situazione attuale “sia necessario soffermarsi essenzialmente sui dati delle ospedalizzazioni e occupazione delle terapie intensive”.

 

Covid, la piroetta di Bassetti: seguiamo l’esempio della Spagna, è un’influenza non più una pandemia.

(di Roberto Frulli).

(Secolo d’Italia, 11 gennaio 2022).

 

Matteo Bassetti, icona della gestione della Pandemia Covid-19 firmata Draghi e Speranza volta le spalle al governo e con una piroetta degna delle sue migliori frequentazioni in smoking alla Scala getta a mare buona parte delle sue convinzioni che lo hanno reso famoso nei suoi scontri in tivvù. La Pandemia? Non c’è più. Ora può chiamarsi, al massimo, endemia. Insomma un’influenzetta.

 

Manco fosse un no vax qualsiasi, Bassetti sostiene ora che bisogna seguire il modello Spagna, cioè la scelta che ha fatto il premier spagnolo Sanchez di “derubricare” la pandemia da Covid a semplice influenza. E trattarla, come un’influenza. Cioè non come stanno facendo Draghi e Speranza.

 

“Il Paese è pronto a svoltare, ma serve meno teoria e più pratica”, taglia corto Bassetti, parlando con l’Adnkronos.

 

“Non vedo grosse differenze tra quel Paese e l’Italia. Dobbiamo cercare di cambiare la testa di chi ci governa soprattutto nell’ambito del Ministero della Salute con meno teoria e più pratica – dice Bassetti lasciando Speranza col cerino acceso in mano soprattutto dopo che anche il super consulente del ministro, Ricciardi, gli ha voltato le spalle. – Anche l’Italia è pronta a svoltare da pandemia a endemia”, aggiunge l’infettivologo genovese abbandonando le posizioni stoicamente tenute fino ad oggi.

 

”Ci sono però troppe leggi, leggine, lacci e lacciuoli, che ci stanno complicando la vita in maniera impressionate – sostiene Bassetti lasciando quasi immaginare una sua discesa in campo per tagliare questi nodi gordiani. – L’Italia con un cambio di passo segua il modello spagnolo“.

 

“Abbiamo quasi il 90 per cento degli Italiani che sono vaccinati (in realtà 82 per cento, ndr) o guariti dall’infezione, e in questi giorni con l’aumento imponente dei contagi più e più persone si stanno proteggendo anche in maniera naturale dall’infezione – ricorda il Direttore della Clinica di Malattie infettive all’Ospedale San Martino di Genova. – Siamo quindi vicino all’immunità di gregge”.

 

”Dobbiamo finire di fare alcune cose che andavano bene un anno fa ma oggi non vanno bene più – ragiona Bassetti. – Il report giornaliero dei contagi che francamente non fa altro che mettere ansia a chi lo legge; non ha più senso tamponare gli asintomatici, concentriamoci su chi ha i sintomi come si fa con l’influenza; classifichiamo come casi Covid solo chi ha una polmonite, ascoltando i medici”.

 

Ma su una cosa Bassetti, nonostante le evidenze, continua a pensarla come prima, almeno per ora: “Corriamo con le terze dosi; mettiamo l’obbligo vaccinale – insiste l’infettivologo – per chi ancora non si è immunizzato perché sono queste le persone che affollano gli ospedali; ma poi occorre avere una visione diversa, avvantaggiare i vaccinati rispetto ai non immunizzati intervenendo sulla durata delle quarantene“.

 

La svolta della Spagna: “Tratteremo il Covid come un’influenza.”

La proposta all’Unione Europea del Primo Ministro Sanchez: cambiare l’approccio al Coronavirus

di Carlo Toto

(Nicolaporro.it, 11 gennaio 2022).

 

Mentre in Italia gli animi continuano ad inasprirsi ed i cittadini vivono divisi in classi tra vaccinati e non vaccinati, il Primo Ministro spagnolo Pedro Sanchez in un’intervista alla radio Cadena Ser ha affermato: “Abbiamo le condizioni per aprire, gradualmente e con cautela, il dibattito a livello tecnico ed europeo, per iniziare a valutare l’evoluzione di questa malattia con parametri diversi da quelli che abbiamo fino ad ora”. L’idea della Spagna è quella di gestire la pandemia da Covid-19 al pari di una classica influenza, senza attivare protocolli molto restrittivi e cancellando le classiche operazioni di test preventivi ai primi sintomi. Dunque l’obiettivo sembra essere quello di monitorare l’evoluzione Covid-19 e le sue varianti come qualsiasi malattia respiratoria.

 

Spagna: il Covid-19 come l’influenza.

 

“Ora, data l’enorme trasmissibilità del Covid-19, è una sfida molto grande rispettare rigorosamente i protocolli di sorveglianza universali, sta diventando impossibile”, spiega a El Pais Amparo Larrauri, capo del gruppo di sorveglianza per l’influenza e altri virus respiratori al CNE. “Infatti, i protocolli hanno già cominciato ad allentarsi e non sono più richiesti i test dei contatti diretti dei positivi se ad esempio non presentano sintomi”, sottolinea. “Di fronte a questa nuova realtà, stiamo lavorando al passaggio dalla sorveglianza universale a una sentinella di infezione respiratoria acuta lieve nelle scuole primarie e grave negli ospedali”.

 

Evitare la deriva burocratica.

 

Una prova non solo di coraggio e carattere quella della Spagna che oltre a salvaguardare il diritto alla salute, tutela anche l’economia reale della società e le libertà personali dei propri cittadini. Purtroppo in Italia la gestione della pandemia punta in maniera costante sulle restrizioni delle libertà personali che stanno causando moltissimi disagi alla popolazione. Nei vari lacci e laccetti burocratici è finito di recente anche Nicola Porro che racconta così la sua disavventura: “Se hai la sfortuna di essere il ‘contatto stretto’ di un positivo, anche se asintomatico e con tampone negativo, finisci col doverti fare 5 o 10 giorni di quarantena oppure sei costretto a girare (e lavorare, come nel mio caso) per tutto il giorno con la mascherina FFP2. Un ‘lockdown burocratico’ di fatto che con Omicron e la sua diffusione obbliga me a condurre da casa. Ma soprattutto rischia di paralizzare il Paese”.

 

Boom di morti sotto i 65 anni. Ma il Covid-19 non c’entra

La mortalità nel 2021 è peggiorata in tutta Europa. Soprattutto fra chi lavoro e nei giovani

di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi

Nicolaporro.it, 9 gennaio 2022

 

Abbiamo indicato in diversi articoli e nel nostro libro Stop Vax (con Nicola Trevisan) come la mortalità nel 2021 sia peggiorata in modo drammatico in Europa – secondo i dati EuroMoMo – tra chi lavora e tra i giovani. È migliorata solo tra gli ultra-ottantacinquenni, stabile tra 65 e 75 anni. Sotto i 65 anni un vero disastro. Questo non è un effetto del Covid-19 per due ragioni: i morti Covid sono al 96% sopra i 65 anni anche adesso e l’aumento dei morti totali è molto maggiore di quelli classificati Covid-19 sotto i 65 anni. Ieri è apparsa una conferma clamorosa di questo fenomeno.

 

Dagli Stati Uniti arriva infatti la notizia che il Ceo della compagnia assicurativa OneAmerica, Scott Davidson, ha detto che i tassi di mortalità attuali sono “i più alti mai visti nella storia di questo settore, e non solo alla OneAmerica”: sono saliti ora del 40% rispetto ai livelli pre-pandemia fra le persone in età lavorativa. Visto che OneAmerica gestisce polizze vita, questo dato è cruciale per la sua attività e gli attuari e gli statistici impiegati dalle assicurazioni sono molto motivati a stimare in modo corretto la mortalità perché è il loro business. Davidson ha aggiunto che non sono gli anziani a morire ma “principalmente le persone in età lavorativa, fra i 18 e i 64 anni”. “Tanto per darvi un’idea di quanto questo sia grave – ha dichiarato – una catastrofe da tre sigma, ossia una di quelle che avvengono una volta ogni 200 anni, comporterebbe un aumento del 10% rispetto al valore pre-pandemia, per cui il 40% è un valore inaudito”.

 

In altre parole, negli Stati Uniti in questo periodo c’è una mortalità eccezionale: qualcosa la sta causando e il Ceo Davidson non avanza ipotesi. Alle compagnie assicurative del ramo vita la causa della morte interessa poco: quello che conta è che l’assicurato sia deceduto e poi le stime della mortalità per aggiustare il costo dei premi. Davidson ha però dichiarato che nella maggior parte delle richieste di riscossione di premi per il caso morte, il decesso non viene classificato come “Covid-19”. “Quello che ci dicono i dati è che le morti che vengono segnalate come da Covid-19 sottostimano di gran lunga i decessi tra le persone in età lavorativa durante la pandemia. Sul loro certificato di morte non è scritto Covid-19 nella maggioranza dei casi, ma i morti sono aumentati in numero enorme.”

 

È evidente quindi che c’è un’altra causa di morte oltre il Covid-19 che produce questo drammatico e senza precedenti aumento di morti tra chi lavora e tra i giovani. Un +40% sono numeri da tempo di guerra e infatti Davidson dice che non li ha mai visti nella sua carriera (si tratta statisticamente di una deviazione di 3 volte oltre la media). Nel 2021 però c’è un fattore nuovo che potrebbe spiegare questa alta mortalità, oltre il Covid-19. Ed è la vaccinazione di massa. Anche questo dato combacerebbe con quelli che abbiamo citato dall’Osservatorio Europeo sulla Mortalità che indicano un record di mortalità per tutti quelli sotto i 65 anni nel 2021 e molto in eccesso del 2020.

 

Bisogna che i politici e i responsabili della politica sanitaria tolgano la testa dalla sabbia, smettano la propaganda a senso unico, introducendo persino l’obbligo vaccinale over 50, e rispondano al pubblico sul perché ci sono questi morti, che non sono morti dovuti alla malattia virale.

 

 

La bufala del Pd sulla fine della pandemia.

L’esponente Dem confessa: il Partito democratico voleva il vaccino obbligatorio per tutti

(di Claudio Romiti)

(Nicolaporro.it, 8 gennaio 2022).

 

Intervistata da Sky Tg24, la Dem Debora Serracchiani, parlando a nome del suo partito, ha espresso una certa delusione per un obbligo vaccinale che non riguarda l’intera popolazione. Col tono eroico di chi ritiene di salvare il Paese da una calamità senza precedenti, queste le parole dell’attuale capogruppo alla Camera del Pd: “Siamo sempre stati favorevoli all’obbligo vaccinale (per tutti). Questa è stata la richiesta che abbiamo portato nell’ultimo Consiglio dei ministri. Poi siamo in una maggioranza molto larga; siamo in una maggioranza che non la pensa su alcuni temi allo stesso modo. C’è stata una resistenza, diciamo così, da parte soprattutto della Lega e, quindi, si è trovato un punto di mediazione. Questo punto di mediazione oggi ci dice che c’è una platea di circa 2 milioni e mezzo di non vaccinati (appartenenti agli under 50) che vengono, con l’utilizzo del super green pass, in qualche modo spinti, noi auspichiamo, alla vaccinazione. Che è poi quello che serve per superare una volta per tutte questa pandemia terribile”.

 

Ora, in primis, vorrei consigliare all’avvocatessa Serracchiani di usare le parole giuste, evitando di usare perifrasi eufemistiche onde addolcire l’amara pillola. Con il brutale metodo di un green pass per ogni cosa, senza il quale ci si trova di fatto in lockdown a tempo indeterminato, non si spingono le persone a vaccinarsi, bensì esse si prendono letteralmente per la gola con un vergognoso ricatto. In tal senso, così come hanno spesso sostenuto Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, tale odioso strumento sul piano costituzionale appare ben peggiore dello stesso obbligo vaccinale.

 

Ma è sull’obiettivo dichiarato dalla Serracchiani, l’uscita dalla pandemia attraverso una vaccinazione di massa che non escluda nessuno, che casca fragorosamente l’asino sui cui essa è seduta.

 

Come si fa, infatti, a sostenere che senza renitenti al siero il virus sparirebbe dalla circolazione, dal momento che gli stessi sieri non ne impediscono affatto la circolazione, ma servono solo ad evitare le conseguenze gravi del Covid-19, e non sempre, a quella ristretta fascia di persone particolarmente fragili?

 

Di fatto circa il 90% della popolazione interessata ha già aderito alla campagna vaccinale prima dell’ulteriore stretta del governo, ma questo è ancora troppo poco per evitare la catastrofe sanitaria?  Quando poi avremmo superato il 95% di vaccinati, la Serracchiani & company ci diranno che per colpa di quel 5% di individui antisociali non possiamo ancora uscire da un incubo che essi stessi hanno contribuito ad ingigantire con una valanga di norme liberticide che definire confuse e contraddittorie è poco.

 

In realtà, ascoltando il breve intervento della Serracchiani, assolutamente in linea con le balle spaziali che molti suoi colleghi della maggioranza raccontano in ogni dove sulla pandemia, mi è venuto in mente un celebre episodio di un altrettanto celebre film di Totò, in cui il protagonista riesce con estrema facilità a vendere la Fontana di Trevi ad uno sprovveduto acquirente.

 

Ebbene sostenere che se tutti si vaccinano nessuno più, o quasi, si ammalerà a causa del coronavirus è una truffa paragonabile a quella realizzata in Tototruffa 62. L’unico problema, ahinoi, è che questa non è finzione, ma una allucinante realtà fatta di obblighi e divieti che di sanitario oramai hanno ben poco.

 

 

Postscriptum.

 

Riassunto a cura di Vincenzo Dalli Cardillo:

«1. Il siero agisce sui sintomi del Sars-CoV-2 preservando per alcuni mesi.

2. Il siero non neutralizza il Sars-CoV-2 e non ne modifica la struttura (senno creerebbe varianti).

3. Il Sars-CoV-2 che entra ed esce dal corpo di un vaccinato è lo stesso che entra ed esce dal corpo di un non vaccinato.

4. Il siero protegge i vaccinati, per alcuni mesi, dai sintomi causati dal Sars-CoV-2 mentre, nella storia gli altri vaccini attaccavano l’agente patogeno (per questo serviva una sola inoculazione per la vita), mentre l’attuale siero ha bisogno di booster continui.

5. Il siero attuale è progettato per il Sars-CoV-2 originale ormai non più circolante (clinicamente morto).

6. Il siero attuale non è progettato per la variante Delta, nemmeno per la variante Omicron.

7. Il siero non agendo sul Sars-CoV-2 (non neutralizzato o modificato) rende infettivo il vaccinato tanto quanto un non vaccinato.

Miliardi spesi, tecnologie avanzate utilizzate, interessi di Stati, scienziati e ricercatori coinvolti sono stati capaci di creare solo un siero che copre per qualche mese, costringendo la gente a farsi inoculare a ciclo continuo fintanto che il Sars-CoV-2 con le sue varianti si indebolisca autonomamente o muoia in modo naturale.

Troppo poco direi se comparato agli sforzi profusi e che negli ultimi due anni di esperienze e ricerche nulla è cambiato inerentemente al siero (è ancora quello del dicembre 2020), forse perché devono finire le scorte già vendute.

Fortunatamente esistono anche altri rimedi, anticorpi monoclonali, plasma iperimmune, pillole anti-Covid-19 e soprattutto CURE DOMICILIARI PRECOCI».

 

«Già, peccato che molti medici che hanno curato fin da subito la malattia, siano stati sospesi e anche radiati… I casi sono due: mi ammalo e mi curo, oppure agisco in prevenzione e non mi ammalo. Meglio la seconda, ma se uso un presidio che mi fa ammalare tanto quanto gli altri, meglio aspettare di ammalarsi e curare la malattia in modo mirato. Io la penso così, ma vediamo che si vuole imporre un pensiero comune opposto, lascio fare in piena libertà, e pretendo analogo riguardo… » (F.d.Z.).      

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gibuti, il piccolo stato africano

dove si confrontano le potenze mondiali.

 

Lindipendente.online -Michele  Manfrin-(17 GENNAIO 2022)- ci dice :

 

 

Sale sempre di più l’attenzione verso il piccolo Stato di Gibuti, affacciato sulle coste dell’Africa Orientale nella parte meridionale del Mar Rosso, sul Golfo di Aden.

 In posizione strategica rispetto al passaggio dall’Asia all’Europa via Suez, l’ex colonia francese è diventata terreno di scontro nella sfida globale tra la superpotenza statunitense e quella cinese.

 

La presenza militare straniera a Gibuti risulta essere elevata, vista anche l’estensione territoriale del piccolo Stato africano; oltre a Stati Uniti e Cina sono presenti: Francia, Giappone, Arabia Saudita e Italia – presente dal 2013 con una base anti-pirateria – mentre Germania, Regno Unito e Spagna sono presenti appoggiandosi alle basi militari degli alleati.

 

Russia e India hanno invece avanzato proposte di installazione. L’affitto delle aree ad uso militare straniero sono la principale fonte economica di Gibuti, uno tra gli stati più poveri al mondo: gli Stati Uniti pagano 63 milioni ogni 10 anni mentre la Cina paga 20 milioni di dollari all’anno, tra soldi liquidi e investimenti commerciali.

 

Gli Stati Uniti sono insediati dal 2002 nell’ex base francese Camp Lemmonier, sede della Combined Joint Task Force – Horn of Africa (CJTF-HOA) del Comando Africa degli Stati Uniti (USAFRICOM o AFRICOM). Questa base ospita 4.000 unità tra personale militare e civile e appaltatori del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e risulta essere la più grande base permanente USA su suolo africano.

 

Nel 2017, a poche decine di chilometri a nord di Camp Lemmonier, la Cina ha costruito la sua prima base militare all’estero, destando non poche preoccupazioni per la strategia globale statunitense. Sebbene due anni prima i cinesi si fossero già insediati nell’area, le motivazioni apparivano di carattere commerciale, ovvero creare una struttura logistica di interscambio funzionale all’espansione economica cinese nel continente africano. La struttura cinese, oltre a comprendere diversi tipi di forze, è dotata anche di eliporto per droni e, dall’aprile dello scorso anno, anche di un molo lungo 660 metri per l’attracco di portaerei.

 

Il generale Stephen Townsend di AFRICOM, sempre lo scorso aprile, proprio in merito agli sviluppi della base cinese nel Paese, ha lanciato moniti parlando al Comitato dei servizi armati della Camera, definendola una «piattaforma per proiettare il potere in tutto il continente e le sue acque».

 Il generale ha anche aggiunto che i cinesi «cercano risorse e mercati per alimentare la crescita economica in Cina e sfruttare gli strumenti economici per aumentare la loro portata e influenza globale». Ciò risulta essere una spina nel fianco per gli Stati Uniti e per lo Strategic Competition Act, di cui vi abbiamo parlato lo scorso anno, ovvero la strategia globale di contenimento e offensiva nei confronti dell’ascesa cinese.

 

Secondo il generale, senza fornire alcuna reale prova, Pechino vorrebbe costruire anche ulteriori basi per legare «i loro investimenti nei porti marittimi commerciali in Africa orientale, occidentale e meridionale strettamente con il coinvolgimento delle forze militari cinesi al fine di promuovere i loro interessi geo-strategici». Nel dicembre passato, prima il Wall Street Journal e poi il New York Post, hanno riferito di funzionari governativi che hanno espresso preoccupazione per la possibilità che la Cina si installi con una base anche sulla sponda atlantica dell’Africa e, più precisamente, in Guinea Equatoriale.

 

Ciò che invece risulta certo è che la base statunitense di Gibuti è un hub per l’addestramento di forze etiopi, somale, ugandesi e di altri paesi africani. Inoltre, il Paese ospita emittenti di propaganda regionali e gruppi privati che operano come agenzie umanitarie. Un cablogramma pubblicato da Wikileaks, risalente al 2010, inviato dall’ambasciata degli Stati Uniti a Gibuti alla CIA, riporta che Gibuti è sede di «strutture di trasmissione [del governo degli Stati Uniti] utilizzate da Radio Sawa in lingua araba e dal Servizio somalo Voice of America, l’unico magazzino USAID Food for Peace per aiuti alimentari di emergenza pre-posizionati al di fuori [degli Stati Uniti continentali] e strutture di rifornimento navale per le navi statunitensi e della coalizione».

 

Nello stesso anno, Camp Lemonnier ha ospitato la prima conferenza al vertice di comando, controllo, comunicazioni, computer, intelligence, sorveglianza e ricognizione dell’Africa, per la guerra a distanza con i droni.

 Due anni più tardi, BT (ex British Telecom) ha costruito un cavo in fibra ottica da 23 milioni di dollari per la US Defense Information Systems Network e la National Security Agency. Il cavo andava dalla Royal Air Force Croughton (a nord di Londra) – gestita dalla US Air Force a Napoli (Italia) – fino a Camp Lemonnier, utile alla “guerra a distanza”. Continue sono le esercitazioni militari e l’addestramento di forze alleate e partner militari, tra il soft power della propaganda e la messa in mostra dei muscoli d’acciaio di navi e velivoli, come accaduto lo scorso novembre.

 

È innegabile la strategia economica aggressiva della Cina nel continente africano, tra investimenti infrastrutturali e finanziamenti a lungo termine in cambio dell’apertura di nuovi mercati e dell’estrazione di enormi quantità di risorse minerarie. Al momento però le forze militari sul continente africano sembrano essere alquanto impari con gli Stati Uniti che certamente hanno una presa maggiore, sia direttamente che indirettamente, su buona parte del continente.

 

Il piccolo Gibuti, paese ad alto valore geostrategico, commerciale e militare, appare l’emblema di un mondo multipolare dove le potenze si confrontano camminando spericolatamente sul filo sottile che separa pace e guerra.

(Michele Manfrin).

 

 

 

 

 

 

 

LA PANDEMIA HA GIUSTIFICATO

NUOVE FORME DI SORVEGLIANZA DI MASSA.

ANCHE PIÙ DI QUANTE PENSIAMO.

 

Thevisio.com- Redazione- (5 GIUGNO 2020)-ci dice :

 

La pandemia di COVID-19 ci ha posti in una condizione simile a quella del gatto di Schrödinger: ipotizzando di essere possibili portatori del virus dobbiamo prendere tutte le precauzioni per non contagiare il prossimo; e supponendo di non averlo ancora contratto dobbiamo invece tutelarci; in entrambi i casi dobbiamo seguire una serie di attenzioni ben precise.

Al centro di questa cornice c’è ovviamente il nostro corpo e il significato che ha all’interno del sistema politico. Proprio per controllare questa sua vulnerabilità, le politiche anticontagio lo hanno reso oggetto di precise misure che, come alcuni hanno fatto notare fin dall’inizio, dal mantra “dell’io resto a casa” alla sorveglianza militare, dai principi di distanziamento sociale ai propositi di “contact tracing”, hanno condotto a un’esasperazione del discorso biopolitico in nome di un nuovo controllo sociale.

 

Spogliata dalla connotazione capitalistica in cui l’aveva calata Foucault, da anni ormai l’analisi biopolitica ha dovuto fare i conti con gli assetti neoliberisti delle nostre società, dove il singolo individuo, alle prese con gli effetti della globalizzazione, di un mercato oggetto di logiche multinazionali e grandi gruppi finanziari, ha perso di vista il suo reale contributo alla produttività sociale.

 

A essere sotto continua osservazione non è più il corpo biologico in carne e ossa, ma la produzione incessante di dati, informazioni e comportamenti digitali che questo corpo genera.

 

È su queste produzioni immateriali, costantemente lette, catalogate e analizzate che agisce il nuovo psico-potere. È un’egemonia che seduce e allinea. È un sollecito suggerimento di idee, modi di pensare e abitudini da condividere.

Un fenomeno che  il filosofo Byung-Chul Han studia ormai da anni descrivendolo come “psicopolitica”: un modellamento del mentale nella corsa verso desideri uniformati e nell’oblio più totale dei propri singoli e reali bisogni. La dialettica bisogno-desiderio, già oggetto di riflessione da parte della Scuola di Francoforte e delle correnti neo-marxiste del Novecento, torna dunque visibilmente in auge ed eleva il desiderio a traguardo del controllo psicopolitico.

 

Il desiderio, infatti, a differenza del bisogno, uniforma e catalizza le menti verso orientamenti prestabiliti che rispondono del cos’è bene per tutti. La pandemia di COVID-19 non solo ha fatto emergere in maniera lampante questo problema, ma ne ha anche amplificato gli effetti.

 

 

Byung-Chul Han.

Nel 1975, con Sorvegliare e punire, tra i testi cardine della biopolitica, il filosofo francese Michel Foucault offre una ricostruzione storica delle logiche punitive nelle società moderne.

 

Un capitolo preciso, aperto con l’evocazione dell’epidemia di peste del Seicento, è dedicato al panottismo, un sistema di osservazione sociale derivato dal cosiddetto Panopticon, la struttura carceraria ideata a fine Settecento dal filosofo e giurista inglese Jeremy Benthan. La costruzione è di tipo circolare: al centro è presente una torre a più piani dalla quale il guardiano può tenere sotto controllo i detenuti; tutt’intorno alla torre si susseguono le celle, provviste di due finestre, una verso l’esterno dell’edificio e una verso l’interno in comunicazione con la torre centrale; ogni cella ospita un carcerato, il quale, non potendo sapere quando il custode stia davvero osservandolo, si abituerà ad assumere una buona condotta continua. Il timore dell’osservazione genera disciplina: è il principio politico alla base del panottismo.

 

Il potere può essere discontinuo nella sua azione, ma permanente nei suoi effetti. Per questo motivo la struttura architettonica panottica, oltre al carcere, può trovare applicazione anche in altri contesti istituzionali, come l’ospedale psichiatrico o la fabbrica, ovvero in tutti quegli scenari nei quali è richiesta l’uniformazione totale alle regole e se ne vigila costantemente la loro osservanza.

 

Foucault correla il panottismo con la peste perché, nelle precauzioni che il potere politico deve prendere al fine di contenere la malattia, il controllo deve essere onnipresente: prevenire la diffusione pestifera significa mettere in atto una sorveglianza panottica sui corpi attraverso norme e dispositivi.

 

L’ordine interviene sul caos, assegnando a ciascuno il suo posto, la sua ristretta dimensione vitale. La città appestata è un contenitore che trabocca di provvedimenti eccezionali, un’architettura di vigilanza affinché nessuno violi la posizione assegnatagli. Non si tratta tuttavia di un’azione unilaterale, ma di una condizione che il popolo, in preda al timore di contrarre il morbo, sottoscrive volontariamente.

 La paura legittima un potere straordinario e trova il suo riscatto nella caccia all’untore: il colpevole va individuato e palesato poiché la sua umiliazione conferisce un senso al dramma e al sacrificio sociale. Il timore del contagio genera infatti una demarcazione netta tra obbedienti esecutori delle regole e indisciplinati trasgressori. Ciò che fa la differenza è il diverso modo in cui gli attori sociali hanno interiorizzato le norme: in questo senso l’obiettivo non è tanto il superamento della malattia, quanto l’indottrinamento della coscienza collettiva, il suo adeguamento a una nuova politica normalizzante.

 

Michel Foucault.

Si è dunque compiuto un cambiamento di prospettiva e d’interesse nell’esercizio del potere: dal controllo del corpo a quello della mente.

 

Ad aver reso possibile questo passaggio e soprattutto ad averlo legittimato è stata non solo l’improvvisa pandemia di COVID-19, ma soprattutto la paura sociale legata a questo evento. Una paura pronta a sacrificare le necessità del singolo in nome della tutela pubblica. È barattando le piccole o grandi esigenze di ciascuno con la salvaguardia del bene di tutti che si accetta infatti una nuova conformazione politica, la s’impara a difendere e scegliere come oggetto dei nostri più immediati desideri.

 

Quelli di tutti, nessuno escluso. La diversificata rete di bisogni di ciascuno, dalla persona disabile al bambino, dall’anziano all’indigente, diviene niente più che un margine, l’ultimo pensiero della lista delle preoccupazioni politiche. Le misure anticontagio, previste e imposte per la salute di tutti, assumono non solo il carattere della priorità ma anche quello dell’indiscutibilità. Cosa si può mai opporre a regole disposte per la tutela del sociale?

 

La cura della salute pubblica ha rappresentato l’indubbia giustificazione alle trasformazioni più intime delle nostre vite. È in questa inopponibilità dei provvedimenti, in questo generalizzato senso di pace interiore, che il nuovo ordine sociale ha preso a diventare oltre che necessario anche desiderabile: un condizionamento mentale tanto più efficace quanto più costruito sull’estrema occorrenza delle decisioni politiche.

 

I numeri di morti e contagiati sciorinati ogni giorno a mo’ di bollettino di guerra, le notizie dei reparti ospedalieri in ginocchio, le immagini dei ricoverati intubati e in generale tutto il flusso d’informazioni attorno al dramma epidemico ha fatto da filo conduttore alla mancanza di una coscienza critica da esercitare, di un contraddittorio da manifestare, o di un pensiero anche solo semplicemente diverso da esplicitare, senza rischiare il rogo della disinformazione o dell’impertinenza espressiva. Nel panottico controllo delle coscienze l’assenza di giudizio è diventata la prerogativa più desiderabile.

 

Nell’urgenza di combattere il virus l’allineamento delle menti ha avuto come rovescio della medaglia la trascuratezza del sé, la vendita del singolo all’epidemia.

Nelle fasi più restrittive del lockdown, per ogni video social ambientato nelle case-resort dei vip, con tanto di hashtag compiaciuto #iorestoacasa, si è dispiegata una quarantena al limite della sopravvivenza per un numero indefinito di persone comuni, cittadine e cittadini che l’emergenza ha tramutato in nuovi indigenti sociali.

 

La disposizione di regole contro il contagio, per tutti identiche e uguali, ha in realtà solo fatto emergere in modo ancora più evidente e chiaro quanto non siamo affatto tutti uguali.

L’altra faccia del distanziamento sociale è stata, ed è, la mortificazione del singolo e dei suoi particolari bisogni, così come l’altra faccia del cos’è bene per tutti è la negazione della voce del singolo, di una sua qualsiasi espressività di dissenso.

 

È nella tutela per certi aspetti parossistica – soprattutto se confrontati ai vistosi errori di gestione che hanno contribuito a farla esplodere – dal COVID-19 che si è lasciata scoperta la società da tutte le restanti necessità economiche, politiche, educative e psicologiche, i cui danni incommensurabili segneranno un drammatico punto di non ritorno nella nostra identità culturale.

 

A fronte di tanti vuoti legislativi, è curioso notare come si cerchi di difendere ancora oggi un concetto di bene pubblico che fa ormai acqua da tutte le parti.

 Forse dovremmo cercare risposte proprio nella psicopolitica, se, a fronte di tante criticità sociali, anziché curarsi delle loro cause, ci si preoccupa di biasimare chi non si allinea.

 

In quest’ordine d’idee, l’individuazione del dissidente non è diversa dalla caccia all’untore durante la peste del Seicento descritta da Foucault. L’unica differenza sta negli effetti: se il controllo sui corpi richiedeva condotte e comportamenti addomesticati alla perfezione, il controllo sulle menti, che l’emergenza sanitaria ha amplificato, ha richiesto un tacito consenso così generalizzato che il singolo, dopo aver smerciato i suoi bisogni all’epidemia, ha dovuto venderle a caro prezzo perfino il suo pensiero e la sua libertà di espressione.

 

 

 

 

 

 

 

 

La variante cinese.

Carmillaonline.com - Nico Maccentelli- ( 4 Gennaio 2022)- ci dice :

 

 

 

“Uno degli elementi più negativi nel pensiero comunista europeo degli ultimi 30 anni è sicuramente rappresentato da una concezione astratta del “socialismo”.

Ridotto a una serie di princìpi totalmente indipendenti dalla realtà storica, validi in modo identico per qualsiasi formazione sociale (europea, asiatica, africana o americana), pressoché impossibili da rispettare concretamente. Una sorta di paradiso originario collocato nel lontano futuro anziché nel passato remoto.”

 

Inizia così un articolo di Contropiano a firma di Francesco Piccioni su un pezzo di Guido Salerno Aletta, dal titolo: Tra stato e mercato la Cina e l’Occidente neoliberista, attaccando praticamente chi riguardo la Cina di oggi non ripone fiducia nelle “magnifiche sorti” del suo inesistente socialismo.

 

In realtà l’articolo in questione inizia con un falso storico-temporale che occulta e separa dalla questione cinese odierna un tema fondamentale per tutto il movimento comunista novecentesco e odierno: la lotta contro il revisionismo e ciò che differenzia una sinistra rivoluzionaria da questo. Altrimenti la storiella della “concezione astratta del socialismo” non reggerebbe. E il falso è nella datazione dei 30 anni.

 

E in realtà non sono 30, bensì 60 anni che questo dibattito divide il movimento comunista, sin dai tempi in cui il maoismo ha rappresentato nello scontro politico con il togliattismo la linea di demarcazione tra una visione rivoluzionaria e una revisionista. E fu proprio la politica rivoluzionaria maoista a fare da incipit a gran parte delle lotte di liberazione antimperialista e alle sinistre rivoluzionarie dalle campagne alle metropoli.

 

Dunque è dai primi anni ’60 che inizia la polemica tra il Partito Comunista Cinese e quello italiano . Da questa polemica nacque un linea rivoluzionaria che ripudiava il gradualismo togliattiano, la coesistenza pacifica con il capitalismo, che criticava una visione politica che metteva al centro il riformismo, le riforme di struttura versus un riproposizione del leninismo nei suoi principi tutt’ora validi negli anni ’60 come oggi.

 

Detto per inciso, l’approccio revisionista è stato poi sviluppato attraverso il denghismo con la sconfitta della Rivoluzione Culturale di Mao e l’avvento della borghesia burocratica nel PCC. Per cui se una chiave di lettura marxista va data della Cina di oggi è da allora che occorre partire, non da 30 anni fa. E non certo da una visione pragmatica e tecnocratica che evidentemente ha affascinato i compagni di Contropiano.

 

In Italia, la critica al togliattismo proveniente dai compagni cinesi agli inizi degli anni ’60 fu il propellente di tutto il movimento comunista alla sinistra del PCI. E questa datazione postuma è solo un tentativo di mistificare la questione per non far vedere che ci si sta sbarazzando non dell’acqua sporca, ma del bambino. Questa impostazione filo cinese è in palese contraddizione con la provenienza politica di molti compagni della sinistra di classe. È una questione che pertiene la memoria storica della lotta di classe rivoluzionaria in Italia e non solo, su questa separazione tra rivoluzione e riformismo hanno combattuto generazioni di comunisti, scegliendo strade e strategie politiche di rottura con la compatibilità “tattica” col capitalismo.

 

Questa “concezione astratta del socialismo” non creò solo le organizzazioni di stretta osservanza maoista, ma influenzò tutta la sinistra extraparlamentare  e lo stesso operaismo. Questa “concezione astratta del socialismo” in Cina diede vita alla più straordinaria mobilitazione dal basso per un intero decennio dalla metà degli anni ’60 fino al 1976: la Rivoluziona Culturale con le Guardie Rosse, che rimettevano in discussione la presenza nel PCC di un’ala borghese che stava andando esattamente dove la Cina è arrivata oggi.

 

Per cui si abbia il coraggio di dire che Mao aveva sbagliato e Deng Xiaping ragione invece di starci a girare attorno facendo giochetti sulle date. Almeno Giorgio Cremaschi nel suo intervento al convegno della Rete dei Comunisti dello scorso anno sulla Cina è stato coerente con la sua storia politica (la sua provenienza è il PCI) nel sostenere che Togliatti aveva ragione e Mao torto. È più apprezzabile perché pur se opinione che ritengo sbagliata, quanto meno è lineare col suo imprinting politico.

 

Di fatto senza questa spaccatura nel movimento comunista internazionale, non ci sarebbe stata politica rivoluzionaria, autonomia di classe, ma neppure quella critica culturale che partiva dai Sartre, dai Sanguineti fino ad arrivare ai Godard, ai movimenti operai e studenteschi dalla Francia del maggio agli USA dei campus, all’Italia con le due ondate del ’68 e del ’77, alle culture dell’antagonismo e della rottura con le convenzioni borghesi degli anni ’70, nelle quali il PCI stesso si ritrovava ingessato, incapace di capire i mutamenti della società, dei cicli di produzione del capitale, della composizione di classe e via dicendo.

 

Dunque per Piccioni e soci un’analisi critica riguardo una Cina governata da un’oligarchia di mandarini di stato e di partito con forti interessi finanziari e azionari nelle multinazionali cinesi private e di stato è astratta. Per costoro il fatto che l’intreccio di interessi e potere tra i 600 miliardari cinesi e questi mandarini sarà un dettaglio: peccato che sia il risultato di un revisionismo che ha fatto leva sulle contraddizioni di una rivoluzione in un paese di centinaia di milioni di persone, bloccandola e facendo tornare indietro gli orologi della storia, creando una nuova borghesia in un’economia di fatto capitalista che di socialismo non ha più neppure l’odore.

 

Forse per costoro sono astrazioni anche le posizioni politiche delle forze comuniste che oggi come ieri combattono concretamente l’imperialismo, come il Partito Comunista delle Filippine: qui le sue annotazioni al fulgido e magnificamente progressivo discorso di Xi Jinping.

Saranno astrazioni, ma a queste domande che sorgono spontanee nel vedere la Cina di oggi che risposta diamo? Che risposta diamo a:

nel  potere classista composto da un’oligarchia di burocrati insieme al manageriato di multinazionali, del capitale privato

 

nell’integrazione tra capitali finanziari e multinazionali…

 

nella polarizzazione tra 626 miliardari che concentrano la ricchezza sociale e le classi popolari cinesi in un miliardo e 400 milioni di persone…

 

nel divario salariale abissale tra classi e settori sociali…

 

nel ammortizzare la caduta tendenziale del saggio di profitto occidentale consentendo proficue esternalizzazioni al capitale occidentale…

 

nell’uso della forza-lavoro dalle campagne come i nostri caporali usano quella esterna dei migranti…

 

… che socialismo c’è?

 

È sufficiente uno stato che pianifica per definire una società come socialista? Dalle mie parti era la socializzazione dei mezzi di produzione non lo sviluppo di un’economia privata (pur con tutte le sue diversità dai modelli neoliberale e ordoliberale occidentali) a definire la transizione al socialismo. Nemmeno Togliatti con le sue riforme di struttura dava come prospettiva l’uscita dalla povertà e basta… ma che il popolo non governi, non si socializzino i mezzi della riproduzione sociale, non si abbia come scopo l’uguaglianza sociale. L’armonia confuciana regni tra sottoposti e dignitari del sovrano. E tutto resti così com’è nelle differenze sociali, nei rapporti di classe. Ma la critica a tutto questo è evidentemente un’astrazione per i nostri amici di Contropiano. Astrazioni che hanno ricadute ben concrete in una lotta di classe che in Cina è proseguita anche nella repressione antioperaia da parte delle autorità dello stato e del PCC contro i gruppi maoisti e i lavoratori che protestano e vogliono sindacati indipendenti (2).

 

Un’economia capitalista, che si fonda sul globalismo e l’interconnessione di filiere, capitali e mercati, che non va verso la socializzazione dei mezzi di produzione, ma verso uno sviluppo di questo modello capitalistico, per gli amici di Contropiano è “socialismo dalle caratteristiche originali”. Sino alla bestialità di definire “lotta di classe” la contraddizione inter-capitalistica tra Cina e potenze imperialiste atlantiste , come se da parte cinese vi sia un proletariato al potere con la sua strategia internazionalista al socialismo, che sia comunismo di guerra o NEP, o arrivo a dire persino revisionista e kruscioviana “coesistenza pacifica”. Persino quest’ultima, persino il revisionismo classico non arriva alle alte vette di spregiudicata tecnocrazia e integrazione inter-capitalistica degli attuali gruppi dirigenti cinesi, così ben decantate dai suoi esegeti.

 

Cosa significa allora oggi riesumare il denghismo (perché di questo si tratta), il suo approdo non a un socialismo, ma neppure a una sua transizione, bensì a un sistema capitalistico che utilizza altre leve della politica economica, più stato nel mercato (un refrain dello “stato piano” degli anni del dopoguerra della seconda metà del Novecento)? Cosa significa tessere le lodi del confuciano PCC di Xi Jinping, che ha abbandonato la teoria e la prassi maoiste della contraddizione? Cosa significa collocare la Cina di oggi in una sorta di “socialismo originale”, termine usato non solo da Salerno Aletta e Contropiano, ma anche da Carlo Formenti, e dal gruppo di Marx21?

 

Significa porsi alla destra del riformismo togliattiano uscito dall’VIII congresso del PCI nel 1956 (4) e, se si analizza bene, probabilmente anche di quello di Amendola degli anni ’60: una posizione ancora più moderata delle “riforme di struttura”, ancora più gradualistica, ancora più compromissoria col mercato capitalistico.

 

Dobbiamo arrivare all’Eurocomunismo del periodo berlingueriano per trovare quelle logiche di commistione con i tempi e i modi della produzione capitalistica, della riproduzione sociale del rapporto capitale/lavoro che oggi caratterizzano le stesse logiche cinesi: quando il PCI nel laboratorio emiliano metteva in atto con il decentramento produttivo la scomposizione di classe funzionalizzando la “rossa” Emilia ai tempi e ai modi della produzione capitalistica e alle modalità in cui il capitale procedeva con la ristrutturazione dei cicli di produzione.

 

La politica economica dei “mandarini” cinesi di partito nel rapporto capitale-lavoro non ricorda forse queste alchimie produttiviste e di irregimentazione della forza-lavoro in Emilia di un PCI che negli anni ’70 spacciava l’attacco alla rigidità operaia per modernità? E non sono forse queste le politiche sociali e di produzione tipiche della peggiore socialdemocrazia?

 

Concludo con un’ultima perla, sempre dall’articolo Tra stato e mercato, la Cina e l’Occidente neoliberista.

 

Sino ad ora abbiamo visto il nostro autore criticare la “concezione astratta del socialismo” rivolta a chi critica il “socialismo originale” cinese. Come se non fosse ovvio che il socialismo scientifico si basa sull’analisi concreta della situazione concreta. Come se non fosse evidente che dalla storia della lotta di classe e dalle esperienze di socialismo del Novecento si è compreso che ogni paese, ogni formazione economico-sociale deve trovare il suo percorso al socialismo nel processo rivoluzionario di abbattimento del capitalismo.

 

Sicuramente sono tanti i comunisti che hanno un approccio libresco e astratto della rivoluzione socialista. Vengono in mente le battaglie di cortile tra i vari “ismi”, rivangando diatribe superate ed episodi morti e sepolti della storia del movimento comunista mondiale: queste caricature del marxismo servono alla fine per creare un comodo alibi. La rampa di lancio dei salti della quaglia.

 

Ma venendo al sodo: cosa sta alla base dell’analisi concreta della situazione concreta dell’autore di questo articolo? Ossia, contro la visione “astratta” del socialismo cosa contrappone il nostro? Ce lo spiega così:

 

“Ricordiamo che la definizione di Marx era molto più laica: da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro. Che è certamente una formulazione astratta, ma che descrive un criterio invece che una serie di “istituti” teoricamente caratterizzanti una formazione sociale “socialista” (inevitabilmente varianti a seconda del livello di sviluppo di un certo paese, le tradizioni locali, le culture, ecc). L’“eguaglianza” – per esempio – in condizioni di povertà o di relativo benessere generale, in pace o in guerra, ecc., può significare cose molto diverse.”

 

Va bene l’originalità di un dato socialismo in un dato contesto sociale, ma se il socialismo si distingue per la sola massima timbrata e controfirmata da Marx: da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro, c’è proprio da star freschi! Anche perché Marx ha detto tanto altro nella definizione di socialismo. E non è un caso che proprio un aspetto dirimente manchi dalla definizione data da Piccioni. Una questione su cui Marx, Engels, Lenin, praticamente tutti hanno posto al centro dell’ontologia del socialismo. La socializzazione dei mezzi di produzione, ecco cos’è l’aspetto qualificante il socialismo. Ed è qui che casca l’asino.

 

Che una classe dirigente borghese utilizzi lo Stato e la pianificazione per un’economia di mercato sarebbe già socialismo, è così? Lo abbiamo già visto prima che non basta.

 

Ma proprio per non scadere in una visione astratta, occorre considerare tutto il processo economico-sociale, non solo lo sviluppo delle forze produttive (chi le sviluppa? Anche nel capitalismo c’è una borghesia che le sviluppa…), non tanto quindi un approccio tecnocratico, ma una progressione a forte partecipazione popolare, un processo economico-sociale che nella transizione procede alla socializzazione dei mezzi della riproduzione sociale. In Cina dal 1976 avviene il contrario. E parlare delle centinaia di milioni che stanno uscendo dalla fame, di progresso tecnologico, non caratterizza questo paese come socialista, quando insieme alla crescita di una forte economia privata si forma una vasta classe media, quando le differenze sociali si acuiscono e, soprattutto, quando non c’è una reale democrazia socialista di popolo.

 

Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro… grazie, anche nel capitalismo può essere applicato questo criterio. Allora questo cosa vuol dire: che se io sono disabile e le mie capacità danno una certa performance nel lavoro, ottengo in base al mio lavoro? Ma questo è liberalismo! Esattamente come la concezione cinese. Semmai il criterio è quello di dare a tutti in base ai propri bisogni, dare a tutti l’opportunità e il diritto a un’esistenza soddisfacente. Questa è l’uguaglianza, non il pastrocchio darwiniano che emerge da queste poche righe maldestre! E il liberalismo si pone per l’appunto alla destra del togliattismo, ossia di una visione gradualistica del cambiamento al socialismo.

 

Solo se affianchi questo tipo di uguaglianza sociale alla socializzazione dei mezzi di produzione (questo voleva dire Marx), ossia alla democrazia economica e sociale, alla gestione di un’economia sempre più pubblica e sempre meno privata da parte degli organismi democratici popolari, si può parlare di transizione al socialismo. Ciò che non sta avvenendo in Cina. La Cina è un paese liberale la cui progressione non è la socializzazione.

 

In definitiva la “variante cinese” è un virus ideologico che colpisce i comunisti, non è “uno spettro che si aggira per l’Europa”. È parte di un revisionismo ricorrente che si ripresenta nei contesti più impensabili e in forme sempre nuove.

 

Ma allora, l’ultima domanda che sorge al di là di tutte le belle chiacchiere sulle “magnifiche sorti del socialismo” cinese, è: quale politica per il proletariato italiano? Un movimento comunista affetto da questa variante cinese quale strategia politica svilupperà in coerenza con questa nuova visione così “concreta” che ha assunto?

Chiedo per un amico.

 

 

 

 

 

 

 

IL GREEN PASS È IL MEZZO,

IL CONTROLLO È IL FINE : GREAT RESET.

 

Comedonchisciotte.org- Massimo Cascone -( 16 Gennaio 2022)-ci dice : 

 

Come attestato in questo interessantissimo articolo de La Verità, tra i pochi quotidiani a dare un’ informazione accurata e di più ampie vedute rispetto al clima di assoggettamento totale dei media nostrani al potere, il Green Pass si conferma uno strumento molto più subdolo di quanto cerchino di farci credere.

 

Come più volte da noi stesso detto o riportato tramite altre fonti, quello che è stato presentato alla popolazione come un mezzo per tenere sotto controllo i contagi ha in realtà tutt’altro scopo da raggiungere: il totale assoggettamento dei cittadini al potere statale-europeo. E ciò è sempre più sotto i nostri occhi.

 

Se le cose procederanno come da Loro stabilite, il prossimo passo sarà associare alla “tessera verde infame” – così preferiamo chiamarla – il controllo fiscale, garantendo così, attraverso il passaggio alla moneta digitale, la possibilità di prelievi forzosi direttamente dal portafoglio virtuale del domani.

 

La strada è oramai tracciata, solo una forte presa di coscienza delle persone sul destino che ci attende se non invertiamo la rotta, potrà evitare la nascita di una distopia digitale basata su capitalismo della sorveglianza e sistema del credito sociale.

Poi non dite che non vi avevamo avvertito.

 

 

 

 

 

 

 

VACCINI COVID: CADE UN ALTRO

TASSELLO DELLA NARRAZIONE.

 

Comedonchisciotte.org- Filippo Della Santa-(13 Gennaio 2022 )-ci dice :

 

Mentre il governo Draghi estende le restrizioni a fasce e categorie sempre più ampie di popolazione, i dati ufficiali a sostegno di queste misure evidenziano sempre più contraddizioni

Vaccini Covid 19 cade un altro tassello della narrazione.

 

E’ passato più di un anno dall’inizio della campagna di vaccinazione contro la Covid-19.

Ricordiamo ai più smemorati come, grazie ai farmaci autorizzati in via emergenziale dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), ci fosse stata promessa l’immunità di gregge: prima al 70%, poi all’80%, diventato 90%, in un continuo rincorrere una fine dell’emergenza sempre una dose più in là.

 

Con l’emergere di nuove varianti, e con i vaccini sottoposti alla prova nel mondo reale, ben presto il raggiungimento di questo obiettivo è risultato sempre più difficile da garantire. Non è certo una novità, ne avevamo parlato la scorsa estate.

 

I dati dell’Istituto Superiore di Sanità.

In una prima fase al sempre crescente numero di casi positivi tra i soggetti vaccinati si opponeva come argomentazione quella del “paradosso di Simpson“.

 

Con il “Bollettino Epidemia COVID-19 Aggiornamento nazionale 5 gennaio 2022” dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), tale argomentazione ha perso ogni consistenza.

Osserviamo la tabella 5 di pagina 27:

 

Popolazione italiana numero di casi Covid 19 segnalati, ospedalizzati, ricoverati in terapia intensiva e deceduti per stato vaccinale ed età

Tabella 5 – Popolazione italiana di età ≥ 12 anni e numero di casi di Covid-19 segnalati, ospedalizzati, ricoverati in terapia intensiva e deceduti per stato vaccinale e classe d’età

Come possiamo notare i casi di positività tra i soggetti che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino anti Covid-19 rappresentano il 77,3% di tutti i casi positivi valutati nel periodo 03/12/2021 – 02/01/2022.

Essendo la percentuale di popolazione italiana che ha ricevuto almeno una dose di vaccino intorno all’81%, secondo i dati forniti dal sito Ourworldindata.org, siamo prossimi al punto in cui la probabilità di infezione non sarà più influenzata dallo stato di vaccinazione.

 

A conferma di ciò il repentino cambio di narrazione. Nonostante tutta la campagna di vaccinazione sia stata basata sul raggiungimento dell’immunità di gregge, e quindi sulla capacità dei vaccini di impedire in modo sostanziale la diffusione del virus Sars-Cov-2, improvvisamente si parla soltanto di occupazione degli ospedali e delle terapie intensive.

 

Sebbene questo abbia senso da un punto di vista scientifico (l’emergenza deve essere valutata in base a questi parametri, e non in base ai positivi ad un tampone rapido o molecolare), è necessario fare alcune osservazioni.

 

Sempre dalla tabella riportata nel documento dell’ISS, si osserva come gli individui non vaccinati occupino il 49,4% dei reparti ordinari e il 65% delle terapie intensive. Questo sembra confermare la tesi di una buona efficacia nella riduzione della forma grave della malattia, tuttavia queste percentuali sono in contrasto con gli stessi dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità relativi ai decessi: contrariamente a quanto avviene nelle terapie intensive quasi il 60% delle persone decedute aveva ricevuto almeno una dose di vaccino anti Covid-19.

Se facciamo riferimento ai dati inglesi relativi al periodo compreso tra le settimane 49 e 52 del 2021 la situazione risulta meno incoerente. Si ha infatti:

 

Diagnosi di positività al Sars-Cov-2 tra individui non vaccinati: 23,2% del totale;

Ricoveri per Covid-19 di individui non vaccinati: 41,19% del totale;

Decessi per Covid-19 di individui non vaccinati: 28,3% del totale;

Possibili interpretazioni del fenomeno

Una delle possibili spiegazioni di questo fenomeno potrebbe trovarsi nelle parole pronunciate recentemente dal direttore dello Spallanzani Vaia, secondo il quale “si può considerare un paziente vaccinato solo se ha ricevuto anche la terza dose“. A conferma di ciò sui Social girerebbe (il condizionale è d’obbligo) un referto ospedaliero di un individuo con doppia dose presentatosi in pronto soccorso in data 1 gennaio e classificato come non vaccinato.

 

Sebbene questa spiegazione possa essere considerata valida da un punto di vista della narrazione mediatica, estremamente utile per spingere alle terze dosi, nella tabella 5 l’ISS opera una netta distinzione tra individui con 0, 1, 2 o 3 dosi.

 

Questa spiegazione non appare quindi sufficientemente concreta.

 

Un altro possibile fattore potrebbe essere il ricorso, specialmente per le categorie fragili, alla cura precoce con anticorpi monoclonali.

 

Recentemente il direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale San Luca di Lucca, dottor Luchi, ha elogiato la capacità di mantenere vuoto l’ospedale cittadino intercettando sul territorio gli individui più a rischio di complicanze e curandoli con i monoclonali. Un altro esempio è quello della RSA di Masone (GE), i cui ospiti positivi e vaccinati con terza dose sono stati curati da una equipe guidati dal dottor Bassetti.

 

Essendo gli individui fragili molto probabilmente in larga parte vaccinati è lecito aspettarsi un contributo nella riduzione delle terapie intensive occupate dai vaccinati.

 

Sufficiente a spiegare i dati forniti dall’ISS? Molto difficile dirlo, visto le numerose variabili in gioco.

 

Una spiegazione più semplice la possiamo però trovare osservando i periodi presi in considerazione nel report ISS.

 

Sappiamo infatti che la curva delle ospedalizzazioni segue la curva dei contagi, per cui i rispettivi picchi sono traslati di circa 2/3 settimane. Ma come possiamo osservare mentre i dati delle diagnosi di Sars-Cov-2 sono riferite al periodo 03/12/2021 – 02/01/2022, quelli delle terapie intensive sono relativi ad un periodo antecedente: 19/11/2021 – 19/12/2021.

 

Conclusioni.

Da queste considerazioni è possibile supporre un aumento nelle prossime settimane della percentuale di posti letto in terapia intensiva occupati da individui che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino. A quel punto è possibile il raggiungimento di una situazione più coerente come quella inglese (che infatti fa riferimento alla stesso intervallo temporale per la valutazione dei casi positivi, delle ospedalizzazioni e dei decessi).

 

Assisteremo tra poche settimane al crollo anche dell’ultimo tassello di questa narrazione? Oppure questo non avverrà, confermando in apparenza l’efficacia dei vaccini nel prevenire la malattia grave senza stranamente avere la stessa capacità di riduzione del rischio di morte?

Trarre conclusioni dai dati italiani, quando presenti, è impresa sempre più ardua.

Ma è anche tramite questi che l’esecutivo impone ogni giorno misure sempre più restrittive.

(Filippo Della Santa, ComeDonChisciotte.org).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OBBLIGO VACCINALE PER LA SALVEZZA

DEL SISTEMA FINANZIARIO?

GREAT RESET-COVID-19

FINANZCAPITALISMO.

 

Comedonchisciotte.org- Redazione CDC-( 15 Gennaio 2022)- ci dice : 

(uncutnews.ch).

 

 

Obbligo vaccinale per la salvezza del sistema finanziario?

Conosci sicuramente anche tu i racconti dei tuoi nonni sul periodo successivo alla seconda guerra mondiale, quando furono adottate misure di politica monetaria molto dolorose sullo sfondo dell’inflazione galoppante, dei debiti di guerra e delle persone che avevano perso tutto? Vorrei dare uno sguardo molto breve agli eventi di quel tempo e poi tracciare il collegamento con il nostro tempo di oggi.

 

Prima nel 1948 ci fu una riforma monetaria , in cui il Reichsmark divenne il D-Mark. Tuttavia, il nuovo stato ha immediatamente colto l’opportunità di liberarsi di gran parte delle sue passività attraverso la riforma monetaria, poiché erano disponibili solo 6,50 marchi tedeschi per 100 Reichsmark. Ciò si applicò a tutto ciò che era nei conti bancari, nei titoli di stato, nelle obbligazioni, nei risparmi della società di costruzioni e anche nei beni dell’assicurazione sulla vita e della pensione. Le passività, cioè i prestiti, e i pagamenti correnti (affitti, pensioni, ecc.), invece, sono stati convertiti 1:1 e quindi sono rimasti integralmente. Nel corso della riforma monetaria del 1948, il patrimonio finanziario fu massicciamente svalutato.

 

Poiché la riforma monetaria aveva colpito in particolare i piccoli risparmiatori e aveva invece risparmiato i proprietari immobiliari, nell’agosto 1952 fu operata la perequazione degli oneri  per i cittadini con beni materiali, soprattutto beni immobili. Su tutti i beni fu versato allo Stato un onere del 50% . Questo enorme onere finanziario è stato poi pagato allo Stato per un periodo di 30 anni in rate trimestrali. Nel 1982 la legge sulla perequazione degli oneri si è conclusa con le ultime rate. In realtà…

 

Cosa ha a che fare questo con Corona e l’obbligo di vaccinazione pianificato?

 

Il sistema finanziario vigente con interessi e interessi sugli interessi si tende la trappola da solo. Il capitale si sposta nel corso degli anni sempre verso un gruppo estremamente ricco ma ristretto. Il resto della gente deve pagare gli interessi su questa ricchezza dei super-ricchi attraverso il proprio lavoro, ma questo sta diventando sempre più difficile perché gli interessi sul capitale continuano a crescere. Pertanto questo sistema ha bisogno ogni tanto di un RESET. In passato, le guerre erano molto popolari per questo. In passato, la morte e la sofferenza venivano accettate per mantenere ed espandere la ricchezza. Perché dovrebbe essere diverso oggi?

 

Per fortuna non c’è ancora stata una Terza Guerra Mondiale (in considerazione dei grandi arsenali nucleari che sarebbero pericolosi per le stesse “élite”), ma il problema del sistema finanziario persiste.

 

A partire dagli anni ’80, la deregolamentazione dei mercati finanziari e l’emergere di mercati dei derivati altamente speculativi hanno peggiorato le cose, per cui la formazione di capitale reale ha continuato a perdere terreno.

 

Ecco che poi è arrivata la crisi finanziaria nel 2008. Banche e investitori sono stati “salvati” dagli Stati. Tuttavia, ad un prezzo molto alto. Oltre all’estremo debito nazionale (per il quale alla fine i contribuenti devono pagare), ampi strati della popolazione, specialmente in Germania, sono stati parzialmente espropriati tramite tassi di interesse negativi e estremi aumenti dei prezzi a causa di un eccesso di denaro delle banche centrali. I prezzi elevati delle proprietà non significano che queste siano diventate più di valore. Le valute (soprattutto l’euro e il dollaro USA) valgono semplicemente meno a causa dell’eccesso di denaro. Prima o poi questo porta inevitabilmente al tracollo . Più tardi avviene, peggio è.

 

Nel 2019 sembrava arrivato il momento. A settembre c’è stata quasi un’altra crisi nei mercati finanziari, che avrebbe eclissato la crisi finanziaria del 2008. Il cosiddetto mercato ombra, (quella parte di mercato monetario attraverso la quale banche e i cosiddetti hedge fund cioè fondi di investimento altamente speculativi e rischiosi si prestano denaro reciprocamente) con un volume mondiale di circa 15.000 miliardi di euro!, ha dovuto essere salvato dalla banca centrale degli Stati Uniti, la Fed, con centinaia di miliardi di dollari. Dopo che tutta l’argenteria era stata sperperata per salvare le banche nel 2008 e il conseguente indebitamento estremo degli stati, un altro crollo degli effetti domino in tutto il mondo avrebbe portato al caos. Il pubblico, però, non se ne è neanche quasi accorto.

 

Questo, a mio avviso, ha innescato la “pandemia” di cui si discuteva da tempo tra le “élites” per rilanciare il sistema finanziario ed economico mondiale e per proteggere e accrescere ulteriormente la ricchezza dei super-ricchi.

 

L’OMS è stata a lungo foraggiata con un sacco di soldi, anche dalla Cina e da investitori privati , e gli Stati membri sono obbligati dal trattato vincolante a livello internazionale sul Regolamento sanitario internazionale (RSI) a seguire le istruzioni dell’OMS , soprattutto in caso di pandemia. Questo contratto è stato modificato nel 2005 in considerazione della crescente globalizzazione e diffusione internazionale di malattie infettive come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) ed è entrato in vigore il 15 giugno 2007 . Nell’aprile 2009 (poco dopo l’inizio della crisi finanziaria) la definizione di pandemia è stata notevolmente annacquata dall’OMS . In precedenza ci voleva un “numero enorme” di morti in tutto il mondo per una pandemia, da allora sono stati sufficienti i risultati positivi dei test. La pandemia di influenza suina è stata dichiarata l’11 giugno 2009. Fortunatamente, questa pandemia è stata smascherata come completamente esagerata. Anche allora, il test PCR ha svolto un ruolo inglorioso. Il 31 ottobre 2020, l’OMS ha cambiato la definizione di immunità di gregge, che in futuro non potrà più essere raggiunta attraverso l’immunità naturale, ma solo attraverso la vaccinazione .

 

A proposito, hai già notato che il CDC americano non consentirà più il test PCR per il rilevamento del corona Virus a partire dall’inizio dell’anno nuovo? Questo test infatti non può distinguere in modo affidabile tra virus influenzali e corona . Forse un motivo per cui l’influenza sembra essere estinta? Questo, detto marginalmente.

 

Nel 2010, la Fondazione Rockefeller ha descritto nel suo rapporto “Scenari per il futuro della tecnologia e lo sviluppo internazionale”,  lo scenario “lock step” in caso di pandemia influenzale. In questo contesto si è pensato quali opportunità e sfide politiche e sociali possano derivare dalla paura indotta da una pandemia. Il risultato ha mostrato che un lockstep mondiale combinato con misure totalitarie prometterebbe di installare stati di sorveglianza sulla scia della pandemia.

 

Anche altri elementi della nostra vita di oggi sono stati preparati prima del Corona, come un certificato di vaccinazione digitale nell’UE sin dal 2018 . Anche il Global Vaccination Summit a Bruxelles il 12 settembre 2019 con il patrocinio della Commissione Europea e dell’OMS [12] è molto istruttivo.

 

Il 19 ottobre 2019, “Event 201” (tradotto: Event January ) si è svolto a New York sotto gli auspici del Johns Hopkins Center for Health Security (fondato dalla Rockefeller Foundation) e supportato da Bill e Melinda Gates Foundation e il World Economic Forum (WEF) . L’esercizio ha affrontato il caso fittizio di una pandemia globale innescata da un nuovo tipo di coronavirus chiamato nCov-19. Oltre al blocco e alle restrizioni di viaggio, l’attenzione si è concentrata anche sulla comunicazione durante la pandemia e come affrontare le fake news.

 

Nella “pandemia” poi effettivamente verificatasi dal 20 gennaio, la Johns Hopkins University tramite il Corona Dash Board fornisce le cifre mondiali grazie alle quali viene giustificata la cancellazione dei diritti fondamentali in tutto il mondo, mentre la Fondazione Bill e Melinda Gates tramite i loro investimenti (compresi quelli investiti in BioNTech dall’autunno 2019) fornisce i vaccini  e il World Economic Forum con il suo fondatore Klaus Schwab e il suo libro “Covid-19 – The Great Reset”  il quadro ideologico.

 

Decisive per questo mio contributo son state tuttavia due modifiche alla legge del Bundestag tedesco nell’autunno 2019, ancor prima di Corona,: Modifiche all’articolo 21 della legge sulla regolamentazione della legge sulla compensazione sociale (legge sulla compensazione degli oneri) del 12 dicembre 2019 con effetto dal 1 gennaio 2024 è riscontrabile al sito (buzer.de/gesetz/13714/a232818.htm) .

 

In tale modifica, la finalità di “Welfare for War Victims” per la quale è stata creata la “legge sulla perequazione degli oneri“ è sostituita dal termine “risarcimento sociale“ e si fa riferimento al Libro Quattordicesimo del Codice Sociale, anch’esso modificato. Modifica al Libro 14 del Codice Sociale (SGB XIV) del 7 novembre 2019 con effetto dal 1 gennaio 2024 rintracciabile qui:

(bundestag.de/dokumente/textarchiv/2019/kw45-de-entschaedigungsrecht-664940).

 

“Il nuovo 14° Libro del Codice Sociale (SGB XIV) disciplina il risarcimento dei bisogni legati al danno di … a persone che hanno subito danni alla salute attraverso una vaccinazione o altre misure di profilassi specifica secondo la legge sulla protezione dalle infezioni”.

 

Quindi riassumiamo brevemente: Dal 01/01/2024, lo Stato può effettuare una ripartizione degli oneri (una bella parola per indicare espropriazione) tra il patrimonio dell’intera popolazione a scopo risarcimento delle vittime da vaccinazione.

 

I contratti trapelati con i produttori di vaccini affermano che essi non hanno alcuna responsabilità . Questa l’hanno coloro che intendono vaccinarsi, i quali dando il loro consenso alla “vaccinazione raccomandata”, si assumono il rischio di partecipare a questo esperimento medico. Perché le vaccinazioni Covid, le uniche con autorizzazioni condizionate, sono le uniche vaccinazioni dove devi firmare qualcosa? . Alla fine, prendi parte a uno studio medico per il quale il produttore non si assume alcuna responsabilità. La vittima del vaccino non può che rivolgersi allo Stato e sperare in un risarcimento.

 

Una vaccinazione obbligatoria generale è importante per lo Stato, poiché questo è l’unico modo per giustificare una condivisione degli oneri tra tutti i cittadini. Altrimenti tutti coloro che non sono stati vaccinati potrebbero giustamente chiedersi perché dovrebbero essere responsabili del danno causato ad altri che si sono assunti volontariamente il rischio della vaccinazione sperimentale. In aggiunta, ovviamente, si tratta anche di non avere più un gruppo di controllo non vaccinato, che in realtà è assolutamente necessario per uno studio medico, ma dovrebbe sollevare interrogativi sulla responsabilità personale dei singoli protagonisti.

 

Per un’autorizzazione regolare senza obblighi specifici, i produttori dei vaccini devono raggiungere ulteriori risultati di studi e altri obblighi specifici entro un certo periodo di tempo . Le approvazioni condizionate vengono rinnovate su base annuale fino ad allora, nel caso di BioNTech / Pfizer, Moderna e AstraZeneca è stato fatto recentemente dall’EMA.

 

Entro la fine del 2023 (sottostando a un ciclo di 6 mesi) ogni persona/cittadino test avrà ricevuto 7 siringhe con i vaccini sperimentali genici. Questo spiega le incredibili quantità di dosi di vaccino ordinate dall’UE. All’inizio della campagna vaccinale sono state ordinate 2,3 miliardi di dosi di vaccino, con solo circa 450 milioni di abitanti , ovvero 5 vaccinazioni per abitante di tutte le età. Nel frattempo sono state ordinate ancora più dosi, tra cui altri 1,8 miliardi di fiale da BioNTech a maggio . Chi crede che sia finita con gli attuali booster crede anche nel paziente asintomatico e nel test PCR.

 

Se si prendono in considerazione i gravi effetti collaterali della vaccinazione compresi i decessi, che oltrepassano di gran scala i vaccini precedenti (vedi grafico basato sul database americano VAERS), si deve fare i conti con un numero estremamente elevato di vittime e danneggiati da vaccino nei prossimi anni.

 

Il 23 settembre 2021 è stata presentata al Parlamento EU anche la domanda per la istituzione di un fondo per le vittime da vaccini. In questa richiesta, sono rilevanti i dati dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) sino ad oggi arrivano a quasi 1 milione di effetti collaterali. . Questi numeri sono nel frattempo significativamente cresciuti ed è probabile che anche il numero di casi non segnalati sia molto alto .

 

Pertanto, entro il 2024 dovrebbe essere previsto un numero enorme di vittime e decessi da vaccino, il che rende molto probabile la richiesta di una condivisione degli oneri.

Sarebbe plausibile, tuttavia, che l’indennizzo sia solo un pretesto e che attraverso la ripartizione degli oneri venga raccolto molto più denaro di quanto effettivamente necessario.

 

Lo Stato ha bisogno anche della ricchezza dei suoi cittadini per una nuova moneta, l’euro digitale, su cui la Bce sta ufficialmente lavorando da quest’anno [23]. Gli stati europei (come altri stati occidentali, in particolare gli USA) sono fortemente indebitati e per lo più in bancarotta. La proprietà, invece, appartiene ai cittadini. Perché l’euro digitale abbia un qualche valore, la Bce e i Paesi dell’area dell’euro devono azzerare i debiti. In questo contesto, non sorprende che il presidente della Commissione europea, Ursula von-der-Leyen, chieda ora un obbligo di vaccinazione a livello europeo . Questo potrebbe quindi essere usato come pretesto per espropri in tutta Europa.

 

Inoltre, la Cina introdurrà nel 2022 una nuova valuta digitale supportata da valore patrimoniale, che è già in fase di test e sarà lanciata a livello nazionale per le Olimpiadi invernali del 2022. Tuttavia, la Cina ora ha molte più risorse rispetto ai paesi industrializzati occidentali, il che renderà la valuta molto forte e gli altri saranno costretti ad agire. Secondo la volontà della leadership cinese, l’e-yuan sostituirà il dollaro come valuta di riserva.

 

Anche i cittadini dell’UE e di altri paesi occidentali saranno presto pronti per la riforma monetaria. L’inflazione attualmente alimentata artificialmente (causata tra l’altro dalle strozzature nelle consegne) continuerà a prendere velocità  e spingerà i cittadini gradualmente impoveriti a chiedere una via d’uscita.

 

La nuova valuta dovrebbe essere puramente digitale senza contanti, basata sulla tecnologia blockchain o qualcosa di simile. Questa dovrebbe quindi essere connessa come un portafoglio (Wallet) con un’identità digitale nel senso di ID2020 , il cui componente sarà il passaporto vaccinale o comunque ne rappresenterà la base. In quanto valuta della banca centrale, non è più collegata a un conto bancario, come previsto. Ogni cittadino ha quindi il proprio conto in banca centrale presso la BCE. Per inciso, le pubblicazioni di Norbert Häring su questo sono molto istruttive.

Finora, ovviamente, non si è parlato di una riforma monetaria con il progetto della Bce sull’euro digitale. Inoltre si sottolinea sempre che l’euro digitale non vuole abolire il contante, ma non si diceva anche fino a poco tempo fa che in Germania non ci sarà mai una vaccinazione obbligatoria?

 

Utilizzando gli ID digitali, i diritti di base possono anche essere collegati all’adempimento dei requisiti statali, come in Cina con il suo sistema di punteggio sociale. Oggi bisogna essere vaccinati per poter accedere alla vita pubblica. Cosa succederà domani? Ulteriori esperimenti medici per Big Pharma, misure mediche contro la sovrappopolazione, blocco del portafoglio digitale per prodotti e servizi che consumano troppa CO2, come carne o viaggi? Il cittadino è quindi completamente ricattabile. Niente soldi e niente diritti fondamentali in caso di “comportamento cattivo”. E chi dimostrerà poi se il rubinetto del denaro viene chiuso per punizione?

Da questo non ci si aspetta niente di buono per la nostra libertà e il nostro benessere . In base al quadro che traccia il World Economic Forum per l’anno 2030: “Non possiedi nulla, ma sarai felice”

 

Qualche parola finale a cittadini, parlamentari, giornalisti o magistrati che pensano che questo non sia affar loro perché potrebbero riuscire ad ottenere l’ambito certificato di vaccinazione senza siringa attraverso relazioni con i medici o la loro posizione attuale. Questo è ancora possibile perché si vuole portare più persone possibili nel sistema Covid Pass senza grosse resistenze. Ma esistono già brevetti per vaccinazioni biometriche a prova di contraffazione, come il tatuaggio con microaghi del rinomato Massachusetts Institute of Technology (MIT), che è stato presentato il 18 dicembre 2019 . Il cappio si stringe sempre di più per tutti. È questo che vuoi per i tuoi figli e le tue famiglie? Tutti coloro che partecipano sono complici.

 

Come lezione all’uscita dal Terzo Reich furono creati i diritti fondamentali inalienabili e il Codice di Norimberga , secondo il quale nessuno può essere costretto a partecipare a un esperimento medico contro la sua volontà: “… il consenso volontario della persona cavia (è) assolutamente necessario. Ciò significa che l’interessato deve essere legalmente in grado di prestare il proprio consenso; che deve essere in grado di usare il suo raziocinio, senza essere influenzato da violenza, frode, astuzia, pressione, finzione o qualsiasi altra forma di persuasione o coercizione; che deve conoscere e comprendere in dettaglio l’ambito in questione per poter prendere una decisione ragionata e informata”. È ovvio che questo è già stato palesemente violato dalla pressione (2G e Co.) senza la vaccinazione obbligatoria. Cosa ci aspetta ancora?

(uncutnews.ch).

 

 

 

 

 

 

I giochi di cyberspionaggio

 dietro le Olimpiadi di Pechino.

 

Corriere.it- ANDREA MARINELLI- (14 gennaio 2022)- ci dice :

 

 

A Pyongyang, il Maresciallo Kim spara altri due missili per uscire dal cono d’ombra geopolitico in cui è finito. A Pechino, dietro le Olimpiadi invernali si nascondono i giochi di cyberspionaggio. A Kiev, i siti del governo sono stati attaccati dagli hacker. A Berlino, l’aereo privato del «cuoco di Putin» fa litigare i governi tedesco e americano. A Washington, due senatori democratici rovinano ancora una volta i piani del presidente Biden, mentre il ministero di Giustizia arresta il leader degli Oath Keepers e altri 11 miliziani per un reato introdotto nell’Ottocento, ai tempi della guerra civile.

 

Buongiorno, bentornati su “America-Cina “per il nostro viaggio quotidiano fra i due poli di questa newsletter. Oggi troverete anche le novità sulla sindrome dell’Avana, che ha colpito anche nel cuore dell’Europa; la decisione della Corte Suprema americana sull’obbligo vaccinale di Biden; il bilancio annuale dello Stato Islamico; il record segnato da Pechino nel surplus commerciale; i barchini rudimentali dei fuggiaschi cubani; la storia «selvaggia» di una surfista 92enne.

Buona lettura!

 

La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera.

1. La coppia di missili di Kim (per uscire dal cono d’ombra).

  (GUIDO SANTEVECCHI, CORRISPONDENTE DA PECHINO).

 

Fuoco missilistico a volontà dalla Nord Corea: questa mattina «due proiettili non identificati» sono stati rilevati durante il volo dalla Difesa sudcoreana. La formula «non identificato» è la routine dei comunicati di Seul subito dopo un test di Pyongyang: secondo i primi rilevamenti questa volta si tratterebbe di due missili balistici a corto raggio. È la terza volta a gennaio che i nordcoreani lanciano missili (primo test il 5; secondo l’11); una ripresa di attività notevole da parte di Kim Jong-un. E sicuramente il Maresciallo punta proprio ad essere notato dai principali attori della crisi coreana: Stati Uniti anzitutto, Sud Corea, Cina.

 

Il lancio di oggi è anche la risposta alla richiesta americana all’Onu di appesantire le sanzioni contro la Nord Corea a causa della sua corsa missilistica; reagendo al test dell’11 gennaio, quando Kim aveva assistito con la sorella alla prova di un missile forse ipersonico, Washington ha messo in una lista nera cinque funzionari nordcoreani attivi in Cina e Russia, sospettati di lavorare come intermediari per forniture di tecnologia proibita (armi di distruzione di massa). Il ministero degli Esteri di Pyongyang aveva risposto denunciando «l’ostilità americana», dichiarando che «è diritto legittimo» della Corea del Nord sviluppare nuove armi per «modernizzare la capacità di difesa nazionale» e promettendo «una reazione forte». Subito dopo la nota diplomatica, sono decollati i due «proiettili non identificati».

 

In un primo tempo, Seul aveva riferito di un solo ordigno, poi si è accorta del secondo. Il lancio in rapida sequenza è ovviamente un’ulteriore minaccia. L’attivismo missilistico di Kim Jong-un in questi giorni sembra rivolto anche all’alleato cinese e all’avversario sudcoreano. Tra venti giorni Pechino ospiterà le Olimpiadi invernali, alle quali Xi Jinping tiene per mostrare al mondo che il Partito comunista ha protetto la Cina dalle nuove ondate di Covid-19 e l’ha guidata verso la ripresa economica. Con i suoi missili, Kim può creare un clima di tensione che potrebbe oscurare i Giochi.

 

Nel 2018, la Nord Corea aveva partecipato alle Olimpiadi invernali ospitate dalla Sud Corea. Kim inviò la sorella a guidare la delegazione, aprendo una fase di dialogo che portò ai tre vertici con Donald Trump. Dopo il fallimento del negoziato al summit di Hanoi, nel 2019, gli Stati Uniti hanno ignorato Kim. Il Maresciallo sta cercando ora di uscire dal cono d’ombra e potrebbe anche cercare di sfruttare il periodo olimpico per rubare la scena dei Giochi con altre provocazioni.

 

2. I giochi olimpici di cyberspionaggio.

 

(Guido Santevecchi) Si preparano giochi di spie dietro le quinte delle Olimpiadi invernali di Pechino (4-20 febbraio)?

Sul banco dei «soliti sospetti» ci sono i padroni di casa cinesi.

 Gran Bretagna, Olanda e Belgio pensano che l’intelligence mandarina si sia preparata per sorvegliare e registrare le comunicazioni delle delegazioni straniere. Così, la Boa (British Olympic Association) ha consigliato agli atleti e dirigenti della nazionale di lasciare a casa smartphone e computer portatili e di sostituirli con altri «di servizio» che saranno disattivati dopo l’uso nel Villaggio olimpico. Più drastica la decisione olandese: agli atleti arancioni è stato ordinato di rinunciare ai loro gadget e di usare solo i «muletti» forniti dal Comitato olimpico dell’Aja. Immaginando che saranno infiltrati per la sorveglianza, i telefonini e i pc saranno mandati al macero dopo la fine dei Giochi. Una linea analoga è annunciata in Belgio. Si preparano a prendere contromisure le rappresentative di Stati Uniti e Australia.

 

In Cina il traffico dei dati su Internet è strettamente censurato. Come gesto di buona volontà, per i Giochi le autorità hanno promesso di consentire ai partecipanti al circo olimpico (atleti, dirigenti, giudici di gara, accompagnatori e giornalisti) libero accesso al web. In cambio, i cinesi contano di ricevere ampia pubblicità sulle Olimpiadi grazie ai post sui social network liberati dal Great Firewall, come Twitter, Facebook, Instagram, di regola bloccati. La liberalizzazione varrà solo all’interno della bolla olimpica di Pechino, dalla quale la tribù olimpica non potrà uscire per motivi di sicurezza sanitaria. Per navigare liberamente con il proprio smartphone o pc, si dovranno usare Sim card fornite dagli organizzatori cinesi: partono anche da questo particolare tecnico i sospetti di sorveglianza e spionaggio.

 

La risposta cinese è sdegnata. La Cgtn, canale internazionale della tv statale, ha fatto un servizio sulla vicenda sotto il titolo «Spy fiction».

 

 Comincia così: «Venite qui a Pechino, vi schierate sulla pista da sci o sul ghiaccio, vincete una medaglia o due, e nel frattempo noi stiamo ad origliare ogni vostra conversazione telefonica, per sapere se parlate del cibo, dei letti nelle vostre camere, di come vanno gli allenamenti. Roba da romanzo, da 007, un copione di fiction scritto in Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti. Ma questa corsa paranoica a proteggersi da minacce immaginarie è il risultato inevitabile della politicizzazione delle Olimpiadi».

 

La tv di Pechino conclude il servizio sostenendo che dipingere la Repubblica popolare cinese come «il cattivo» della spy story inventata, distorce lo spirito olimpico.

«Certo, ogni Paese potente ha la sua rete di canali per raccogliere informazioni. Ma il lavoro di intelligence non mette nel mirino la gente indiscriminatamente o cerca di sorvegliare tutto, non c’è alcuna prova che gli atleti olimpici possano essere bersaglio di spionaggio».

 

Però, la Storia insegna che le vie dell’intelligence sono infinite. Basti pensare che alle Olimpiadi di Roma, nel 1960, la Cia contattò atleti americani (come il centometrista Dave Sime) chiedendo una mano per convincere qualche campione sovietico a passare in Occidente. Secondo le testimonianze del figlio di Sime e documenti recentemente de-secretati, tra gli obiettivi dell’operazione ci sarebbe stato il grande campione sovietico di salto in lungo Igor Ter-Ovanesyan. Il quale però rifiutò la proposta di defezionare e trasferirsi in California: «Pensai che se avessi lasciato la Russia, avrei creato un mare di guai ai miei genitori, a mia sorella, che avrebbero stati sospettati di complicità e avrebbero perso il lavoro. Ma soprattutto, io ero un vero sovietico, credevo che il nostro sistema fosse migliore di quello occidentale. E non avevo voglia di lasciare Mosca per la California».

 

3. Attacco hacker contro il governo ucraino

( MARTA SERAFINI).

 

I venti di guerra tra Mosca e Kiev soffiano sempre più forti. Soprattutto nel cyber spazio. Numerosi siti del governo ucraino sono stati oggetto di un attacco informatico su larga scala, un attacco non immediatamente rivendicato, che avviene nel contesto delle accresciute tensioni tra la Russia e l’Ucraina. «Il sito ufficiale del Ministero dell’Istruzione e della Scienza è temporaneamente chiuso a causa dell’attacco globale avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 gennaio», ha annunciato quest’ultimo sulla sua pagina Facebook. Anche i siti di altri ministeri, compreso quello della Sicurezza, degli Esteri e della Politiche agrarie sono risultati inaccessibili.

 

Funzionano regolarmente i siti web del ministero dell’Interno, del ministero della Giustizia, del ministero dell’Industria e del Commercio e quello del presidente. Su alcuni degli indirizzi attaccati sono comparsi messaggi in russo, polacco e ucraino. «Ucraino! Tutti i tuoi dati personali sono stati caricati sulla rete pubblica», si legge nel messaggio. E ancora: «Tutti i dati sul tuo computer vengono cancellati e non saranno recuperabili. Tutte le informazioni su di te sono diventate pubbliche, temi e aspettati il peggio. Questo ti viene fatto per il tuo passato, presente e futuro».

 

 

4. L’aereo privato del «cuoco di Putin» fa litigare Usa e Germania

( PAOLO VALENTINO, CORRISPONDENTE DA BERLINO).

 

Tra scenari da Guerra Fredda e prove tecniche di dialogo tra Stati Uniti e Russia, un caso internazionale si consuma, per il momento dietro le quinte, intorno a un jet privato che da oltre due anni sta parcheggiato su una pista dell’aeroporto di Berlino. È una storia che condensa in sé tutti gli elementi, le posizioni e le contraddizioni, nella nuova stagione di gelo e tensione tra l’Occidente e Mosca. L’aereo in questione è un lussuoso Hawker 800XP, atterrato il 29 ottobre 2020 nello scalo berlinese di Schönefeld e da allora rimastovi, in apparenza per la manutenzione. Ma non si tratta del jet del solito miliardario. Secondo il governo americano, il velivolo è infatti di proprietà di Evgenij Prigozin, meglio noto come «il cuoco di Putin», uno degli oligarchi più vicini al leader russo.

 

Nella galassia putiniana, il ruolo di Prigozin va in realtà ben oltre la gastronomia: è infatti fondatore e proprietario della milizia Wagner, l’esercito privato che combatte le guerre sporche per conto del Cremlino in Siria, Libia e da ultimo in Mali. Di più, secondo un rapporto segreto dell’intelligence tedesca, Prigozin sarebbe anche dietro la Internet Research Agency, una fabbrica di troll che da anni diffonde fake news e fa propaganda filorussa sui network occidentali. Per aver tentato di interferire nelle elezioni presidenziali americane del 2016, il miliardario è imputato negli Usa per congiura e finanziamento di influenze illecite ed è ricercato dall’Fbi.

 

Ma a riguardarci nella vicenda, è che Prigozin sia anche uno dei nomi nella lista delle sanzioni ad personam varate dagli Usa e dall’Unione Europea contro Mosca dopo l’annessione della Crimea e rafforzate dopo il caso Navalny. Chi è in quell’elenco, non può entrare in Europa e i suoi beni possono essere confiscati. È proprio quello che il governo americano ha chiesto qualche mese fa alla Germania: il sequestro dell’Hawker, valore commerciale 2 milioni di euro. Ma come rivela il settimanale Die Zeit nel numero in edicola, il governo federale tergiversa e da settimane discute animatamente sul da farsi.

 

5. La sindrome dell’Avana colpisce a Ginevra e Parigi.

( GUIDO OLIMPIO)

 

Gli Stati Uniti non conosco ancora le cause della misteriosa sindrome dell’Avana. L’affermazione candida è del segretario di Stato Antony Blinken. E pesa ancora di più perché accompagna la segnalazione di nuovi casi. In estate diversi diplomatici statunitensi basati a Ginevra e Parigi hanno lamentato malesseri, uno ha avuto bisogno di un ricovero. I sintomi sono sempre i soliti: giramenti di testa, perdita di equilibrio, nausea, strani ronzii.

 

C’è questo nelle testimonianze di oltre 200 funzionari finiti nella lista dei «contagiati» dal malanno a livello globale. Il fenomeno è iniziato nel 2016 a Cuba — da qui il nome — per estendersi successivamente al personale americano (ma anche canadese) in Russia, Cina, Est Europa, Colombia e area di Washington. La progressione degli eventi, a tratti incalzante, è stata seguita da una serie di ipotesi.

 

Si tratta di un attacco con onde elettromagnetiche, dunque azione ostile da parte di un avversario degli Usa.

Sono le conseguenze di una sorveglianza di tipo elettronico, sempre da parte di nemici.

Effetti di potenti pesticidi.

Il fastidioso canto di insetti (relativo agli incidenti sull’isola castrista).

L’uso di apparati all’interno delle rappresentanze.

È una forma di psicosi che ha coinvolto chi è basato all’estero, stress da lavoro.

Insieme agli scenari — prodotti a ripetizione da inquirenti e scienziati – sono stati indicati i presunti colpevoli. Se si tratta davvero di un’aggressione allora possono essere i russi, i cubani, cinesi e chiunque sia rivale dell’America. Ma, allo stesso tempo, c’è chi ha ricordato gli esperimenti condotti dalla Cia durante la guerra fredda. La Casa Bianca e il Dipartimento di Stato hanno reagito su più livelli.

 

 

6. Biden, un’altra sconfitta sul filibuster.

 

( GIUSEPPE SARCINA, CORRISPONDENTE DA WASHINGTON).

 

Ancora una volta sono i due senatori moderati, Joe Manchin e Kyrsten Sinema, a rovinare i piani del presidente. Ieri entrambi si sono dichiarati contrari all’eliminazione del filibuster, l’ostruzionismo a oltranza superabile solo con un quorum di 60 senatori su 100 (e i democratici ne hanno 50). Ma se i democratici non forzeranno i regolamenti del Senato, procedendo a maggioranza semplice, gran parte del programma di Biden non avrà alcuna speranza di trasformarsi in legislazione.

 

Negli ultimi mesi si è discusso molto di crisi della democrazia americana. Ora siamo a un passo da un nuovo paradosso: il diritto della minoranza di non essere sistematicamente schiacciata si sta trasformando in un potere di veto assoluto. I democratici hanno vinto le presidenziali, controllano Camera e Senato, ma non sono in grado di governare.

 

Sinema ieri ha spiegato così la sua posizione, intervenendo in Aula: «Se eliminiamo il filibuster, la politica diventerà ancora più polarizzata». È un evidente sofismo. Il filibuster è lo strumento, non la causa, di uno scontro totale tra i due partiti. Il punto è che i repubblicani, dominati dalla leadership trumpiana, non hanno alcuna intenzione a negoziare con gli avversari.

 

Per Biden il momento è drammatico. Le leggi sulla tutela del voto rischiano seriamente di naufragare. Ieri sera, notte fonda in Italia, il presidente è tornato all’attacco, chiudendosi per un’ora in riunione con Manchin e Sinema. I due parlamentari frondisti a questo punto dovranno decidere non tanto sulla questione del filibuster, ma se salvare il soldato Biden oppure provocarne il prematuro fallimento.

 

 

7. Arrestato il leader della milizia degli Oath Keepers.

( MASSIMO GAGGI).

 

Sale la temperatura dell’inchiesta sull’assalto al Congresso del 6 gennaio dello scorso anno: mentre la commissione parlamentare d’indagine invia un mandato di comparizione a Facebook, Google, Twitter e Reddit, insoddisfatta per le risposte vaghe o reticenti avute dalle società tecnologiche sul ruolo delle loro piattaforme nella promozione dei disordini, il ministero della Giustizia ha disposto l’arresto del capo della milizia degli Oath Keepers, Stewart Rhodes e ha incriminato lui e altri 10 attivisti che parteciparono a quell’occupazione: gli 11 esponenti di estrema destra sono stati incriminati per atti di cospirazione sediziosa. È un reato introdotto ai tempi della Guerra civile di metà Ottocento ed è stato contestato pochissime volte nell’arco di 160 anni: l’ultima volta nel 2011 in Michigan dove era stata scoperta una trama per tentare di uccidere un poliziotto.

 

Dunque stanno emergendo elementi che fanno pensare a un’organizzazione e una trama eversiva, anche con sopralluoghi intorno al Congresso alla vigilia della marcia su Capitol Hill trasformatasi in un’irruzione nel Parlamento. Ma chi ha dato spazio ai rivoltosi, chi e come ha fatto da megafono? La Commissione d’inchiesta della Camera dei deputati che indaga sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 ha convocato i responsabili d Facebook, Twitter, Reddit e Alphabet-Google (che controlla YouTube) per chiedere conto del loro operato prima e durante l’assedio a Capitol Hill. «Le due questioni chiave per la commissione — ha dichiarato il suo presidente Bennie Thompson — sono accertare come la disinformazione e l’estremismo si siano diffusi, contribuendo al violento attacco ala nostra democrazia», e in secondo luogo «capire quali passi siano stati adottati (o evitati) dalla aziende per impedire che le piattaforme potessero offrire una base a gruppi radicalizzati».

 

La Commissione si è già fatta un quadro della situazione: YouTube ha veicolato messaggi per l’ideazione e l’esecuzione dell’assedio al Congresso, compresi i filmati dell’attacco mandati in diretta streaming. Facebook (nuovo nome Meta) è stata usata per diffondere messaggi che incitavano alla violenza, oltre alle false notizie che hanno alimentato l’idea di «elezioni rubate» a vantaggio di Biden. Su Reddit la comunità denominata «r/The_Donald», prosegue Bennie Thompson, ha avuto modo di crescere, prima di migrare su un sito Internet dedicato dove gli investigatori sono convinti sia maturato il piano dell’assalto del 6 gennaio. La Commissione d’inchiesta prende di mira anche Twitter: si è opposta ad azioni violente ma ha dato fiato alle accuse di frodi elettorali.

 

 

8. La Corte Suprema ( Usa) boccia l’obbligo vaccinale.

 

 (MONICA RICCI SARGENTINI)

 

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha bocciato ieri l’obbligo di vaccino anti-Covid voluto fortemente da Joe Biden lo scorso settembre per le aziende con oltre 100 dipendenti. Un duro colpo per il presidente americano che è già alle prese con un calo di popolarità preoccupante, soprattutto in vista delle elezioni di midterm. Dopo mesi passati invano a tentare di convincere i dubbiosi, Biden aveva deciso di rendere la vaccinazione obbligatoria per quasi 100 milioni di dipendenti in modo da prevenire, secondo le stime della Casa Bianca, 250 mila ricoveri e migliaia di decessi. Una mossa resasi necessaria dall’imperversare della pandemia che negli Usa ha raggiunto livelli record, con una media giornaliera nell’ultima settimana di quasi 800 mila casi e oltre 1.800 morti. Negli Usa solo il 62,7% della popolazione è vaccinato e un terzo ha ricevuto la dose booster.

 

Ma, nel Paese delle libertà individuali, la misura era stata subito denunciata come un abuso di potere da molti Stati a guida repubblicana e da una parte del mondo economico. E la Corte Suprema ha dato loro ragione: «Ordinare ai cittadini di vaccinarsi contro il Covid o di sottoporsi, a proprie spese, a dei test tutte le settimane, non fa parte dell’esercizio quotidiano del potere federale ma è un’intrusione nella vita e nella salute di una larga parte dei lavoratori dipendenti» hanno scritto i giudici nella sentenza. Contrari al pronunciamento i tre membri progressisti: «Agendo al di fuori della sua competenza e senza fondamento giuridico, la Corte sostituisce i funzionari del governo incaricati di rispondere alle emergenze sanitarie sul posto di lavoro», hanno scritto Stephen Breyer, Elena Kagan e Sonia Sotomayor.

 

Il massimo organo giudiziario si è, invece, espresso a favore dell’obbligo per gli operatori sanitari impiegati in strutture che ricevono fondi federali, una misura che coinvolge oltre 17 milioni di dipendenti. Biden non ha voluto nascondere il suo disappunto e si è detto «deluso» per la bocciatura di «norme di buon senso». Ora la sua strategia anti-Covid si dovrà limitare a rendere disponibili mascherine e test fai da te gratuiti, oltre all’invio di squadre di medici militari negli Stati travolti dalla pandemia.

 

 

9. Tempo di bilanci per lo Stato Islamico.

 

(Guido Olimpio).

 Tempo di bilanci per lo Stato Islamico. La fazione — segnala l’esperto Tore Hamming — ha pubblicato i numeri degli attacchi durante il 2021: Iraq (1.127); Nigeria (415); Afghanistan (372); Siria (368); Congo (125). A sua volta il Meir Amit Terrorism and Intelligence Information Center ha registrato 2.705 operazioni, dato di poco differente rispetto all’anno precedente (2.781).

 

Dunque il movimento è stabile, continua ad avere una presenza marcata nel teatro originario, quello dove è tutto è nato, ossia l’area siro-irachena. Significativa la spinta in Afghanistan e soprattutto in Africa, il continente dove è all’offensiva in numerosi Paesi. In Occidente resta allarme anche se lo Stato Islamico non è più riuscito a sferrare grandi colpi: merito dei controlli, difficile inviare uomini, preferenza per gesti individuali di simpatizzanti (a volte senza rivendicazione).

 

Le azioni dei terroristi hanno provocato, a livello globale, 8.147 tra morti e feriti, meno dei 9.075 del 2021. Da seguire quanto avviene nel campo profughi di al Hol, in Siria, dove sono ospitate 58 mila persone, in gran parte legate al Califfato. Tante le donne e i minori, familiari di militanti. Fonti delle Nazioni Unite hanno registrato nell’anno che si chiude 90 omicidi, tra le vittime anche due operatori umanitari.

 

 

10. Pechino segna il record nel surplus commerciale.

 

(Guido Santevecchi) .Il surplus commerciale della Cina nel 2021 ha raggiunto i 676 miliardi di dollari, con un incremento del 29,9% rispetto al 2020. Per Pechino si tratta del risultato migliore nella storia e ha battuto il record del 2015. Secondo i dati diffusi dalle Dogane cinesi, il surplus verso gli Stati Uniti è arrivato a 396 miliardi, in aumento rispetto all’anno scorso nonostante le tensioni politiche e i problemi causati dalla pandemia. L’export cinese verso gli Usa è aumentato del 27,5%, a 576 miliardi di dollari, mentre l’import del 32,7%, a 179 miliardi. Gli Stati Uniti sono il primo partner della Repubblica popolare cinese come singolo Stato, mentre sono al terzo posto dopo Asean e Unione Europea se si considerano le macroaree.

 

Lunedì prossimo Pechino diffonderà i dati macroeconomici del quarto trimestre del 2021. Gli analisti prevedono una crescita del Pil vicina allo zero rispetto al terzo trimestre del 2021, ma un dato di espansione annuale intorno al 6%. Sul rallentamento ha pesato anche la strategia «Zero Covid» del governo cinese per bloccare la diffusione dei contagi con lockdown mirati (ne sa qualcosa la signorina Wang, di cui ci ha parlato Paolo Salom ieri, ndr) che al momento interessano una mezza dozzina di città, compresi i due grandi porti di Tianjin e Dalian e costringono a casa 20 milioni di persone.

 

 

11. I barchini rudimentali dei fuggiaschi cubani

 

(Guido Olimpio) Non passa settimana senza che la Guardia Costiera Usa intercetti barchini di fuggiaschi cubani. La rotta è sempre la solita, porta alla punta meridionale della Florida. I mezzi — come abbiamo spesso mostrato — sono imbarcazioni rustiche alle quali aggiungono dei galleggianti nel tentativo di renderle più sicure. Durante gli ultimi dodici mesi sono stati fermate circa 840 persone, nella maggioranza dei casi rimandate indietro.

 

 

12. Nonna Nancy, surfista a 92 anni.

 

(Carlos Passerini) Ha imparato a surfare a 50 anni. E non alcuna intenzione di smettere. Nemmeno ora che ne ha 92. È l’incredibile storia di Nancy Meherne, una signora della Nuova Zelanda — più precisamente di Scarborough Beach, non lontano da Christchurch — che ogni santa mattina prende la sua tavola e va a sfidare le onde. «Finché riuscirò a mettermi in piedi sulla tavola , andrò avanti». Una storia alla Giorni selvaggi, imperdibile libro valso a William Finnegan il Premio Pulitzer nel 2016.

 

A raccontare la sua storia è stato il Guardian. «Cosa dicono i giovani che mi incrociano sulla spiaggia? Mi rispettano» spiega la signora Nancy, che racconta così la sua passione: «Mi piace quando si acquista velocità. Ci si muove così velocemente, è bello… Le onde piccole le lascio perdere, durano troppo poco. Aspetto quelle grosse. Mi piace la vicinanza con l’acqua, sentire che mi porta in alto, veloce». Velocità, adrenalina, ricerca costante del limite: questo è il suo segreto, a 92 anni come a 20.

 

 

Da tenere d’occhio.

 

Il governo australiano ha revocato il visto di ingresso di Novak Djokovic per la seconda volta. Il ministro dell’Immigrazione, Alex Hawke, ha cancellato il permesso del serbo, che ha ammesso di non essere vaccinato contro il Covid, «per motivi di salute e ordine pubblico». Secondo il ministro, «era nell’interesse della popolazione farlo». «Comprendo la decisione — ha aggiunto il primo ministro australiano, Scott Morrison —, il nostro popolo ha sacrificato tanto durante questa pandemia, e ora si aspetta che questi sacrifici vengano protetti». Il tennista non verrà immediatamente espulso. (Marco Calabresi e Andrea Sereni sul sito del Corriere).

 

 

 

 

 

 

 

Corruzione Pfizer/FDA: Lotti mortali e

Autopsie rivelano il Genocidio

 del Vaccino Covid-19.

 

Conoscenzealconfine.it-Redazione -( 18 Gennaio 2022)- ci dice :

 

Non solo gli studi della Pfizer erano una frode, ma la FDA li ha consapevolmente approvati, mettendo milioni di persone ad alto rischio.

Questo rapporto rivelerà come le autopsie dimostrano che i vaccini Covid-19 uccidono effettivamente le persone sane, come sono stati rilasciati lotti intenzionalmente letali, e fornirà uno strumento incredibile per esporre la frode delle prove Pfizer e la negligenza della FDA in modo che la gente sia armata con alcuni dei dati più importanti fino ad oggi per combattere contro questa tirannia.

 

L’ex direttore scientifico della Pfizer, il dottor Mike Yeadon, ha confermato che il 90% degli effetti collaterali del vaccino proveniva da meno del 10% dei lotti, il che è stato documentato e calcolato direttamente dal VAERS del CDC e significa che i lotti non contengono gli stessi ingredienti. Questa è una prova solida di un gioco sporco deliberato e il più grande corpo di prove fino ad oggi.

 

Le morti per il vaccino Covid non vengono tracciate dai coroner. Le morti non sono nemmeno messe in discussione o documentate come causate dalla Covid. Un coroner americano si è preso il tempo di rintracciare tre morti tra i 30 e i 50 anni che sono morti a causa della vaccinazione Covid, e le autopsie lo confermano.

 

Gli studi di autopsia dell’alto patologo tedesco Dr. Arne Burkhardt mostrano chiaramente che tutti i “vaccini genetici”, indipendentemente dal produttore, producono lo stesso risultato nelle persone vaccinate e decedute.

Negli organi di queste persone, ha trovato un auto-attacco autoimmune dei linfociti killer sul 90% dei tessuti. I principali sono il cuore, i polmoni, poi altri tessuti come il fegato, ecc. Il dottor Bhakdi conferma che questi vaccini stanno uccidendo giovani e vecchi.

 

In uno stato centrale degli Stati Uniti, il numero totale di morti non è variato tra il 2015 e il 2019. Nel 2020, il numero di morti è aumentato del 15%, e DOPO che oltre il 62% degli americani aveva ricevuto il vaccino nel 2021, il numero totale di morti è aumentato di un enorme 12% oltre il 15% del 2020.

 

Pfizer ha pagato più di 10 miliardi di dollari in multe per false dichiarazioni, corruzione di medici, manipolazione di studi e morti dovute ai suoi farmaci nella storia della sua esistenza – e i suoi studi sul Covid 19 erano una frode completa (la Canadian Covid Care Alliance ha messo insieme un brillante video di presentazione che spiega tutto questo, e fornisce un chiaro PDF come risorsa).

 

Pfizer ha affermato che i vaccini erano sicuri e mostravano un’efficacia del 95%, 7 giorni dopo la seconda dose. Ma questo 95% era in realtà una riduzione del rischio relativo. La riduzione del rischio assoluto era solo dello 0,84%.

 

Un giudice federale ha negato la richiesta della FDA di non rendere pubblici i documenti della Pfizer. Invece dei 75 anni richiesti dalla FDA per la produzione di tutti i documenti presentati da Pfizer per l’approvazione del Covid-19, il giudice ha ordinato il rilascio di 55.000 pagine al mese, da completare entro 9 mesi.

 

Il direttore del CDC riconosce che il 75% di tutte le morti legate al Covid hanno almeno quattro comorbidità e che la vaccinazione non impedisce la trasmissione. Secondo il sistema di segnalazione VAERS del CDC, in meno di un anno sono morte più persone per il vaccino Covid che per tutti gli altri vaccini messi insieme, e non l’hanno ancora eliminato.

 

 

(Partecipanti alla manifestazione No Vax a Torino, 23 marzo 2019.

ANSA-ALESSANDRO DI MARCO)

 

Le autopsie rivelano morti per i vaccini Covid, nonostante i tentativi di sopprimere questi risultati. Ho parlato con un medico legale con cui sono stato in contatto per due anni per avere un’idea di ciò che vedono nelle autopsie, come viene gestito il monitoraggio dei decessi dovuti alla vaccinazione Covid e come vengono prodotti i certificati di morte. È stato un discorso abbastanza informativo, contenente molto di ciò che sospettavo.

 

C’è una grande falla nel sistema. Non è progettato per registrare le “lesioni da vaccino” per diverse ragioni:

 

1.)- in molti casi, il coroner deve rinunciare alla giurisdizione nel caso di ospizi e case di cura, il che significa che il coroner non arriva mai a vedere le cartelle cliniche, ma deve comunque firmare i certificati di morte.

 

2.)- ci sono investigatori nell’ufficio del coroner che contattano le strutture dove è avvenuta la morte e ricevono solo un breve rapporto delle precedenti diagnosi mediche del defunto dalla persona che prende la chiamata – e questi investigatori non osano chiedere del “vaccino”. Se un paziente aveva la Covid al momento della morte, questa viene aggiunto, ma non viene mai menzionato che ci sono state complicazioni dopo la vaccinazione. Così, quando i documenti sono presentati al coroner per la firma, il coroner non ha modo di sapere se la persona era stata vaccinata.

 

3.)- nei decessi al di fuori delle case di cura e degli ospizi, come negli ospedali o nelle case di riposo, molte famiglie non pensano nemmeno a menzionare che il loro caro è stato recentemente vaccinato perché credono che sia

sicuro.

 

Ad essere onesti, niente di tutto ciò mi sorprende. Recentemente ho parlato con qualcuno che è responsabile della registrazione dei rapporti sugli eventi avversi in una grande rete ospedaliera. Tuttavia, tutti i casi di morte sono stati conservati dai supervisori e solo gli eventi avversi sono stati trasmessi per la registrazione. Immagino che questo sia il caso della maggior parte delle reti. Ma tutto questo si è fermato quando a questa persona è stato detto di smettere di inserire i dati all’inizio di novembre, e senza spiegazione. Quanti altri ospedali e reti hanno ricevuto le stesse istruzioni, e le morti sono state segnalate?

 

Come controllano i resoconti e fanno propaganda per fomentare la paura? Un esempio perfetto è l’articolo del Times of Israel pubblicato il 10 gennaio 2022, con il titolo “Primo caso di infezione cardiaca in Israele legato all’infezione Omicron”.

Si legge che “un uomo di 43 anni, precedentemente sano, che aveva ricevuto un’iniezione di richiamo in agosto, è stato ricoverato in terapia intensiva a Tel Hashomer; i medici lo definiscono uno sviluppo preoccupante”. Ma la “preoccupazione” si riferisce alla presunta variante Omicron, non al vaccino Covid.

 

Il dottor Shlomi Matetzky, capo dell’unità di terapia intensiva al Sheba Medical Center (ospedale di Tel Hashomer), ha detto a “Channel 12 News” dell’uomo in cura per la miocardite, spiegando: “È la prima volta che abbiamo

visto questo con Omicron. Questo è uno sviluppo preoccupante su cui dobbiamo riflettere”.

Questo ignora completamente il fatto che l’uomo ha ricevuto le vaccinazioni e l’iniezione di richiamo, ma immediatamente lancia l’allarme che Omicron è la causa. Israele è il primo paese al mondo a introdurre un quarto booster.

Molti, tra cui “Corey’s Digs”, hanno a lungo messo in guardia contro la creazione di false varianti e l’affermazione di quanto siano mortali per coprire la storia di coloro che effettivamente muoiono a causa del vaccino Covid stesso.

 

Purtroppo, stiamo vedendo tutto questo in tempo reale.

Quindi come può essere diffusa questa propaganda?

 

Una ricerca di 60 secondi mostra “casualmente” che Bill Gates è collegato allo Sheba Medical Center in Israele attraverso investimenti congiunti. Questo è esagerato? Niente affatto. Quando si comprende la portata, la trazione e il controllo che queste élite di globalisti hanno per coordinare tale propaganda, questo tipo di connessione diventa molto rilevante, soprattutto quando il loro travisamento, contrario alla scienza, è quello che esce da questo ospedale. Il numero di morti è aumentato significativamente ed è chiaro che la vaccinazione Covid sta influenzando questo.

 

(Se vuoi leggi il resto di questo interessantissimo ed esaustivo resoconto qui: vk.com/doc503313363_621665522).

 

Conclusione.

 

Quindi di cosa si tratta veramente? In parole povere, la pandemia serve ad avere il pretesto per iniettare la popolazione con una terapia genica sperimentale che il CDC e la FDA amano chiamare “vaccino”.

Questo “vaccino” è progettato per dare a tutti un passaporto di vaccinazione e costringere tutti nel nuovo “sistema di credito sociale” globale.

Questo sistema è progettato per costringere la popolazione mondiale all’obbedienza totale, mentre i globalisti controllano l’accesso e la spesa di tutti per tutto attraverso l’uso del nuovo sistema CBDC (moneta digitale della banca centrale) a cui stanno lavorando. E la ciliegina sulla torta per i globalisti che hanno orchestrato questo è lo spopolamento.

 

Il tasso di sopravvivenza per il Covid-19 è del 99,98%, e si basa sulle morti registrate di persone “con” Covid, non “di” Covid.

 

Il direttore del CDC ha inoltre dichiarato che il 75% di tutte le morti legate al Covid sono avvenute in persone con almeno 4 comorbidità.

 Le reti ospedaliere, i coroner, le case di cura, gli ospizi e il personale medico sono istruiti e intimiditi a non fare rapporto al VAERS, a non mettere in dubbio che una persona deceduta abbia recentemente ricevuto il vaccino, e a non monitorare le morti dovute al vaccino.

 La FDA e il CDC hanno fatto tutto il possibile per informare gli ospedali e i medici di non trattare i pazienti di Covid a meno che “non possano respirare”.

 

Hanno rifiutato di raccomandare o prescrivere zinco, quercetina, vitamina C, vitamina D, ivermectina o drossiclorochina, che sono noti per funzionare.

Sono arrivati persino a screditare brillanti scienziati e medici di Harvard, Oxford, Stanford e altrove, cercando di privare i medici dei loro mezzi di sussistenza e di revocare le loro licenze.

 

Tenendo conto di tutto questo, chi sta veramente morendo per il presunto “covid”?

Abbiamo così tante prove che questo è un genocidio – e se la gente non smette di obbedire, interi paesi crolleranno e bruceranno, e non ci sarà più nulla per cui combattere oltre le ceneri.

 

A tutti coloro che stanno lottando per smascherare questo genocidio e facendo tutto ciò che è in loro potere per fermarlo, compreso il trattamento dei pazienti – il mondo ha un grande debito di gratitudine verso tutti voi e dovreste sapere quanto siete apprezzati.

(vk.com/doc503313363_621665522).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sorveglianza di massa in Cina,

il modello che spaventa l’Occidente.

 

Agendadigitale.eu -Barbara Calderini- (04 Mar 2020)- ci dice :

 

(Legal Specialist - Data Protection Officer- Barbara Calderini).

 

 

 

Spyware nei cellulari, telecamere per il riconoscimento facciale, wi-fi sniffer. Si basa su un mix di tecnologie vecchie e nuove la grande rete voluta dal presidente Xi Jinping che punta a “spiare” 1,4 mld di abitanti.

 Il prezzo pagato alla privacy del nuovo Panopticon che spaventa il mondo.

 

Un’immensa rete di sorveglianza copre le città cinesi e conferisce alla polizia poteri quasi illimitati. Conversazioni via smartphone, espressioni del volto, movimenti vengono controllati costantemente grazie a un potente sistema di tecnologie integrate gestite da applicazioni di Intelligenza artificiale. Ecco com’è realizzato uno dei più grandi apparati di spionaggio del mondo. Che agisce a scapito della privacy. E che non sarà facile fermare.

 

Indice degli argomenti.

 

Cina, prima al mondo per telecamere

Sono anche i motivi per cui a febbraio la Commissione europea presentando il libro bianco sull’AI ha ribadito la necessità di evitare che si impongano, nella corsa tecnologica, modelli contrari ai principi fondanti dell’Europa.

 

WHITEPAPER.

Gestione dei contratti e GDPR: guida all’esternalizzazione di attività dei dati personali

Legal-Privacy-Email Aziendale.

Consente all’invio di comunicazioni promozionali inerenti i prodotti e i servizi di soggetti terzi rispetto ai Titolari con modalità di contatto automatizzate e tradizionali da parte dei terzi medesimi, a cui vengono comunicati i dati.

No-  Si.

Già perché le città cinesi sono le più monitorate al mondo. La società di sicurezza Comparitech ha steso una classifica basata sul numero di telecamere a circuito chiuso ogni 1.000 persone: la Cina detiene il primato con otto delle prime 10 città più sorvegliate al mondo e l’apice si tocca a Chongqing, grande agglomerato urbano situato nel sud-ovest del paese dove confluiscono i fiumi Azzurro e Jialing. Nella graduatoria mondiale la Cina è seguita da Malesia e Pakistan, Usa, India, Indonesia, Filippine e Taiwan. Irlanda e Portogallo a fine elenco, Italia a metà.

 

Le uniche due città non cinesi nella top 10 sono Londra al sesto posto e Atlanta negli Stati Uniti al n. 10 mentre tra le città cinesi, oltre a Chongqing al primo posto con quasi 2,6 milioni di telecamere, ovvero 168,03 per 1.000 persone; Shenzhen, nella provincia meridionale del Guangdong, è arrivata al secondo posto con 159,09 telecamere per 1.000 persone. Urumqi, nota capitale della regione autonoma cinese dello Xinjiang Uygur si è classificata al 14esimo posto, con 12,4 telecamere per 1.000 persone.

 

Una fitta rete di scanner e fotocamere ricopre la maggior parte delle città cinesi. La complessa gamma di tecnologie di sorveglianza implementate in tutta la Cina ha suscitato un’attenzione diffusa ed una preoccupazione generale in varie parti del mondo.

 

Il focus dei media internazionali.

Due giornalisti del New York Times, Paul Mozur e Aaron Krolik, hanno esaminato il modo in cui i vari strumenti di sorveglianza vengono combinati all’interno di un sistema integrato costantemente connesso, fatto di tecnologie miste, alcune all’avanguardia ed altre piuttosto datate.

 

L’articolo, pubblicato a metà dicembre, descrive con ricchezza di particolari e riscontri video come queste funzionalità siano ormai diventate largamente disponibili per le Autorità di polizia di ogni livello e come i dati raccolti possano essere resi accessibili ad una  vasta gamma di terze parti sia pubbliche, per scopi di intelligence e sicurezza pubblica, che private, per scopi commerciali e di marketing. Il tutto, peraltro, attraverso pratiche di sicurezza del tutto assenti se non inadeguate.

 

Scanner del telefono, tecnologia di riconoscimento facciale ed enormi database di volti e impronte digitali sono tra gli strumenti utilizzati.

 

“I dati di ogni persona formano una traccia – ha riferito alla testata Agnes Ouyang, impiegata in ambito tecnologico di Shenzhen – che può essere utilizzata dal Governo e dai dirigenti delle grandi aziende per mettere in atto forme di controllo e direzione. Le nostre vite valgono come spazzatura”.

 

Dati personali in mano alla polizia.

La polizia è stata autorizzata a divenire una sorta di custode indiscusso delle enormi quantità di dati personali, compresi i dati biometrici, dei suoi quasi 1,4 miliardi di persone. I lavoratori migranti, le minoranze, le voci contrarie al regime e i tossicodipendenti, sono tutti profilati.

 

E i casi d’uso emersi indicano procedure inquietanti quanto discutibili sotto molteplici profili di legittimità: dalla profilazione di donne ipotizzate come dedite alla prostituzione sulla base dei soli check-in effettuati in più di un hotel in una notte, alle verifiche e le perquisizioni nelle abitazioni di coloro che vivono in alloggi sovvenzionati per assicurarsi che non prestino assistenza ed ospitalità a persone contrarie al regime o dedite al crimine.

 

Edward Schwarck, uno studente che sta specializzandosi in sicurezza pubblica cinese presso l’Università di Oxford, ha approfondito il ruolo del ministero della Pubblica Sicurezza Cinese descrivendone lo sviluppo nel corso del tempo in chiave di intelligence. Le sue analisi hanno evidenziato come il ministero iniziò a riformare ed aggiornare le sue strutture di intelligence all’inizio degli anni 2000 con l’intento di ristabilire il “dominio dell’informazione” su una società sempre più fluida e tecnologicamente sofisticata, e hanno dimostrato come lo stesso si sia adattato allo sviluppo tecnologico trasformando ed adeguando alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie le proprie procedure di raccolta, analisi e diffusione delle informazioni fino a dare forma all’attuale sistema di intelligence di pubblica sicurezza.

 

Secondo Schwarck “definire un modello simile come sistema di polizia basato sull’intelligence o sulle analisi predittive distoglie in realtà l’attenzione dal fatto che ciò che sta accadendo nello Xinjiang non riguarda affatto la polizia, ma una forma di vera e propria ingegneria sociale“.

 

Tecnologie dell’intelligence cinese.

La sorveglianza in Cina è chiaramente molto più di una semplice telecamera. Sniffer WiFi (software utili a localizzare rapidamente un segnale WiFi attivo) e tracker di targhe sono costantemente puntati su auto e telefoni; il riconoscimento facciale si è spinto fino ai complessi abitativi e all’interno delle metropolitane.

 

Paul Mozur, in un tweet descrive il sistema di sorveglianza che combina una stazione BTS (che acquisisce automaticamente le informazioni del telefono) con telecamere di riconoscimento facciale. “The idea was to directly link face info to phone info as people walked by”.

 

Il video allegato mostra il processo ineludibile di acquisizione delle immagini.

“The fake base station is easy to miss. Two cameras capture people coming and going. When we asked, no one, not residents and not building management, knew what it did. The police just showed up one day and put it in”.

 

“I localizzatori telefonici sono ovunque in Cina. Spesso passano inosservati. Sono solo piccole scatole con antenne incastonate sotto installazioni di telecamere molto più intimidatorie”, riferisce Mozur.

 

Il controllo degli Uiguri.

Nello Xinjiang, dove la Cina ha “internato” 1 milione di Uiguri, il reporter del NYT, ha mappato i localizzatori telefonici presenti in uno dei quartieri della città vecchia di Kashga e ha trovato almeno 37 dispositivi su un’area di un chilometro quadrato in grado di registrare ogni arteria cittadina, comprese le pertinenze private delle abitazioni civili: “A Shaoxing alcuni tecnici incaricati hanno ricevuto il preciso compito di installare, nei pressi dei cancelli di ingresso, strumenti video di riconoscimento facciale” riporta Mozur. Il tutto con buona pace delle proteste e delle preoccupazioni rese palesi, non a caso, dai residenti coinvolti.

 

Sempre su Twitter, Simon Rabinovitch dell’Economist ha mostrato alcuni esempi di come i distributori delle tecnologie di sorveglianza abbiano sviluppato sofisticate tattiche di marketing nel presentare i propri prodotti non solo al mercato cinese bensì globale.

 

Ma le preoccupazioni sono forti. Preoccupazioni peraltro amplificate da un’analisi del Financial Times, che mostra come i gruppi cinesi esercitino un’influenza significativa nel definire gli standard internazionali in materia di tecnologia.

 

Il rapporto descrive in dettaglio come società tra cui ZTE, Dahua e China Telecom stanno proponendo standard per il riconoscimento facciale all’International Telecommunication Union (ITU) delle Nazioni Unite, l’organismo responsabile degli standard tecnici globali nel settore delle telecomunicazioni.

 

E IPVM, sito che si autodefinisce “autorità indipendente, leader a livello mondiale nel campo della videosorveglianza” ha ammonito.

 

Yuan Yang con un articolo sul Financial Times intitolato Il ruolo dell’IA nella repressione della Cina sugli Uiguri, ha reso noto quanto emerso da una serie di documenti “riservati” interni al Partito Comunista, i “China cables”. Ne è emerso un quadro dettagliato dei piani del Governo cinese nella regione di confine dello Xinjiang, dove sono stati arrestati circa 1,8 milioni di membri della minoranza musulmana del paese, gli Uiguri.

 

Altrettanto ha fatto un report del Consortium of Investigative Journalism sui sistemi di repressione e sorveglianza usate dal governo cinese contro le minoranze musulmane dello Xinjiang: “La tecnologia è in grado di guidare una violazione sistematica dei diritti su scala industriale”.

 

La polizia, secondo i documenti pubblicati, userebbe una piattaforma chiamata Ijop (Integrated Joint Operation Platform) per raccogliere e classificare dati personali e informazioni catturate da molteplici sensori come spyware installati nei telefonini, Wi-Fi sniffers e videocamere TVCC dotate di riconoscimento facciale e visione notturna, installate in stazioni di servizio, posti di blocco, ma anche scuole e palestre.

 

Tutti questi dati verrebbero quindi elaborati da sistemi di intelligenza artificiale per meglio identificare e mappare i residenti dello Xinjiang o contribuire in vario modo alla Dragnet cinese, ovvero il processo utilizzato dagli organi di polizia per rintracciare i sospetti criminali.

 

L’uso di questa piattaforma non è peraltro nuovo. Già nel 2016 alcuni report ne avevano descritto le caratteristiche: l’Ijop sarebbe in grado di raccogliere e classificare informazioni molto dettagliate sulle persone indagate, compreso l’aspetto, l’altezza, il gruppo sanguigno, il livello di educazione, le abitudini e la professione. Il report offre dunque una finestra senza precedenti sulla sorveglianza di massa nello Xinjiang.

 

Il controllo della comunità musulmana.

Nel report si parla inoltre di un’applicazione diffusa tra i musulmani chiamata Zapya, nota in cinese come Kuai Ya. Zapya, sviluppata da DewMobile Inc., consente agli utenti di smartphone di inviare video, foto e altri file direttamente da uno smartphone all’altro senza essere connessi al Web (con ciò rendendola popolare in quelle aree in cui il servizio Internet è scarso o inesistente) e apparentemente incoraggia gli utenti a scaricare il Corano e condividerne gli insegnamenti religiosi con i propri cari.

 

“I cinesi hanno aderito ad un modello di sorveglianza basato sulla raccolta dei dati in larga scala, e che grazie all’intelligenza artificiale sarebbe in grado di prevedere in anticipo dove potrebbero verificarsi possibili reati – ha commentato James Mulvenon, direttore dell’Integrazione dell’intelligence presso SOS International, esaminando i documenti del governo cinese -. Quindi, con questo sistema, gli organi di polizia rintracciano in maniera preventiva tutte le persone che utilizzano o scambiano dati sospetti, prima ancora che abbiano avuto la possibilità di commettere effettivamente il crimine”.

 

L’autodifesa del governo cinese.

Il governo cinese ha bollato i report e i resoconti giornalistici come “pura invenzione e fake news”. In una nota, l’ufficio stampa del Governo cinese ha dichiarato: “Non esistono ‘campi di detenzione’ nello Xinjiang. Sono stati istituiti centri di istruzione e formazione professionale per la prevenzione del terrorismo”.

 

Una “missione” talmente “necessaria” da aver indotto Pechino a chiedere fondi di finanziamento alla stessa Banca Mondiale, secondo il rapporto pubblicato dal sito americano Axios. Secondo i documenti visionati da Axios, i prestiti chiesti alla Banca Mondiale erano volti all’acquisto della tecnologia di riconoscimento facciale da utilizzare nella regione nord-occidentale dello Xinjiang in Cina. Per l’istituto bancario mondiale tali fondi non sono mai stati erogati.

 

Lo Xinjiang ha una popolazione di circa 22 milioni, 10 dei quali di etnia uigura che salgono a 12 considerando le altre minoranze turco-musulmane. Ad oggi, pur non disponendo di numeri ufficiali, sarebbero oltre un milione gli Uiguri detenuti nei “campi di rieducazione e addestramento” della regione. Tale misura viene giudicata necessaria dal Consiglio di Stato, il supremo organismo amministrativo della Repubblica Popolare cinese, per “rimuovere il tumore maligno del terrore e dell’estremismo che minaccia le vite e la sicurezza della gente, custodire il valore e la dignità delle persone, proteggere il diritto alla vita, alla salute, allo sviluppo, e per assicurare il godimento di un ambiente sociale pacifico e armonioso”.

 

Ma sul punto merita di essere evidenziato come il Parlamento Europeo con una Risoluzione approvata il 19 dicembre scorso abbia fermamente condannato le pratiche repressive e discriminatorie messe in atto dal governo di Pechino nei confronti degli uiguri e delle persone di etnia kazakha. I deputati hanno chiesto alle autorità cinesi di garantire ai giornalisti e agli osservatori internazionali un accesso libero alla Regione autonoma uigura dello Xinjiang per valutarne la situazione.

 

Secondo gli europarlamentari è essenziale che l’Ue sollevi la questione della violazione dei diritti umani in Cina in ogni dialogo politico con le autorità cinesi ed hanno chiesto al Consiglio di adottare sanzioni mirate e di congelare i beni, se ritenuto opportuno ed efficace, contro i funzionari cinesi responsabili di una grave repressione dei diritti fondamentali nello Xinjiang.

 

Il sistema Xue Liang.

 

«Xue Liang», ovvero «Occhio di falco» è il nome del programma di videosorveglianza a tappeto del presidente Xi Jinping e di Pechino. Un network di sorveglianza onnipresente, totalmente connesso che comprende progetti di videosorveglianza di massa che incorporano la tecnologia di riconoscimento facciale compreso quello emozionale; software di riconoscimento vocale in grado di identificare gli altoparlanti durante le telefonate; e un programma ampio e invadente di raccolta del DNA. Gli operatori di telefonia in Cina hanno oggi l’obbligo di registrare le scansioni facciali di chi compra un nuovo numero di telefono o un nuovo smartphone poiché come dichiarato a settembre dal ministero cinese dell’Industria e dell’information technology una tale decisione mira “a tutelare i diritti legittimi e gli interessi dei cittadini online”.

 

Il Great Firewall cinese blocca decine di migliaia di siti Web oltre a fungere da strumento di sorveglianza.

 

Non ultimo il sistema nazionale di credito sociale (un insieme di «modelli» per verificare l’«affidabilità» delle persone associandole a un punteggio e a blacklist) inteso a valutare “e dunque prevenire” la condotta di ogni cittadino cinese in ogni ambito dall’accesso al credito alla tendenza alla commissione dei crimini.

 

L’utilizzo dei big data.

I big data costituiscono la risorsa inestimabile per fare tali previsioni. I funzionari possono attingere a questa capacità per gestire crimini, proteste o impennate dell’opinione pubblica online.

 

Un network quindi dove la repressione del crimine va di pari passo con l’analisi di polizia predittiva e la censura con la propaganda: coloro che esprimono opinioni non ortodosse online possono diventare soggetti di attacchi personali mirati nei media statali. La sorveglianza e l’intimidazione sono ulteriormente integrate da una vera e propria coercizione, tra cui visite di polizia, arresti, “confinamenti rieducativi”.

 

Il nuovo Panopticon: non solo cinese.

 

L’origine dell’odierno Panopticon cinese e la sua inarrestabile evoluzione non sono altro che il risultato di un’accelerazione resa possibile dalla grande trasformazione tecnologica del paese (e con essa la nuova straordinaria capacità di raccogliere dati biometrici da parte di Pechino). Il «sistema dei crediti sociali» rappresenta solo uno dei tanti aspetti oscuri e distopici dei piani di ingegnerizzazione sociale in Cina. Se infatti da una parte i crediti sociali mirano a creare una società basata sulla fiducia dove però cosa è virtuoso e morale lo decide il partito comunista, un’ulteriore «griglia sociale» sarà stabilita dalle smart city, a loro volta governate socialmente attraverso crediti sociali e capacità tecnologiche che consentono raccolta ed elaborazioni di dati continua.

 

La diffusione della sorveglianza, in particolar modo applicata all’AI, continua senza sosta. E se Il suo utilizzo da parte di regimi autoritari per progettare repressioni contro popolazioni mirate ha già suonato campanelli d’allarme, tuttavia anche in paesi con forti tradizioni di stato di diritto, l’IA fa sorgere problematiche etiche fastidiose ed urgenti. Un numero crescente di stati nel mondo oltre alla Cina sta implementando strumenti avanzati di sorveglianza dell’IA per monitorare, rintracciare e sorvegliare i cittadini per raggiungere una serie di obiettivi politici: alcuni legali, altri che violano palesemente i diritti umani e molti che cadono in una via di mezzo oscura.

 

Questo è il quadro descritto da Carnegie Endowment for International Peace, uno dei più antichi e autorevoli think tank statunitensi di studi internazionali. “La tecnologia legata alle società cinesi – in particolare Huawei, Hikvision, Dahua e ZTE – fornisce la tecnologia di sorveglianza dell’IA in 63 paesi, 36 dei quali hanno aderito alla Belt and Road Initiative cinese” afferma il Rapporto.

 

Oltre alle società cinesi, la giapponese NEC fornisce la tecnologia di sorveglianza dell’IA a 14 paesi e IBM in 11 paesi, secondo il rapporto Carnegie. “Anche altre società con sede in democrazie liberali – Francia, Germania, Israele, Giappone – svolgono un ruolo importante nel proliferare di questa tecnologia”. Tutti questi paesi, evidenzia il Rapporto “non stanno però adottando misure adeguate a monitorare e controllare la diffusione di tecnologie sofisticate collegate a una serie di importanti violazioni”.

 

Gli esperti esprimono preoccupazione in merito ai tassi di errore del riconoscimento facciale e all’aumento dei falsi positivi per le popolazioni minoritarie. Il pubblico è sempre più consapevole dei pregiudizi algoritmici nei set di dati di addestramento di AI e del loro impatto pregiudizievole sugli algoritmi di polizia predittiva e altri strumenti analitici utilizzati dalle forze dell’ordine. Anche applicazioni IOT benigne – altoparlanti intelligenti, blocchi di accesso remoti senza chiave, display con trattino intelligente per autoveicoli – possono aprire percorsi problematici alla sorveglianza. Le tecnologie pilota che gli Stati stanno testando ai loro confini – come il sistema di riconoscimento affettivo di iBorderCtrl – si stanno espandendo nonostante le critiche che si basano su scienza difettosa e ricerca non comprovata. Inevitabilmente sorgono le domande inquietanti sull’accuratezza, correttezza, coerenza metodologica e impatto pregiudizievole delle tecnologie di sorveglianza avanzate.

 

Tecnologia e progresso sostenibile.

 

Una volta apprezzata la crescente ubiquità degli algoritmi e le loro potenzialità nel bene come nel male, e una volta compresa l’urgenza del tema, la necessità di pensare in modo critico e consapevole sui sistemi di sorveglianza e certo sugli algoritmi di AI in generale diventa evidente. Non servono, però, approcci solo teorici o peggio solo distopici. Parlando di intelligenza artificiale – ci riferiamo a qualcosa che in realtà ha zero intelligenza e zero semantica: il significato e il senso lo danno le persone. Che si parli di stato totalitario o di sorveglianza di massa piuttosto che di monopolio digitale e di capitalismo di sorveglianza, il solo discrimine e la vera ricchezza tra ciò che ci consentirà o meno di guidare consapevolmente ed efficacemente il percorso verso un progetto umano sostenibile e la necessaria riconciliazione tra l’umanità e lo sviluppo tecnologico, dipende in primis dall’uomo stesso.

Se la strategia cinese mira al controllo totalitario della propria società e al predominio in campo scientifico entro il 2030, quella russa si concentra sulle applicazioni in materia di intelligence e d’altra parte, negli Stati Uniti, il modello liberista ha creato una biforcazione tra settore pubblico e privato, in cui i colossi tecnologici della Silicon Valley puntano alla mercificazione deregolata delle opportunità tecnologiche. E, ancora oggi, il ruolo dell’Unione europea nell’ecosistema digitale globale è in gran parte ancora da decidere.

 

“E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce” come ha tradotto dal greco neotestamentario Giacomo Leopardi in epigrafe a La ginestra o il fiore del deserto.

 

 

 

 

 

 

 

Riconoscimento facciale: cos’è,

come funziona, perché è sempre più usato.

 

Agendadigitale.eu -Barbara Calderini-Luigi Mischitelli  -  (17 Nov. 2021)- ci dice :

 

 

Home-Sicurezza Digitale-Privacy.

 

Il riconoscimento facciale è una tecnica a uso crescente e non solo a scopi di sicurezza o nei regimi dittatoriali, come le cronache recenti potrebbero indurci a credere. Sempre più diffuso nei luoghi più disparati – dai centri commerciali ai parchi – ecco come funziona, quali sono i pro e i contro e quali tutele abbiamo.

 

La tecnica del riconoscimento facciale è oggi sempre più utilizzata non solo per scopi di sicurezza  (ad esempio al servizio delle forze dell’ordine e non solo nei regimi dittatoriali), ma anche in molti altri ambiti della nostra vita quotidiana, principalmente a fini commerciali.

 

Vediamo allora cos’è, come funziona, quali sono le tecnologie che ne abilitano l’operatività, i rischi e le tutele.

 

Indice degli argomenti.

 

Cos’è il riconoscimento facciale.

Vantaggi e svantaggi del riconoscimento facciale.

Come funziona il riconoscimento facciale.

Le tecnologie alla base del riconoscimento facciale.

 

Alcuni casi e relative problematiche.

Australia e riconoscimento facciale.

Hong Kong, proteste e riconoscimento facciale.

Stati Uniti d’America.

Francia.

Regno Unito.

Norme privacy per limitare il riconoscimento facciale: il Gdpr.

Il consenso dell’interessato.

Una Valutazione di Impatto (DPIA) ad hoc per il riconoscimento facciale.

Anonimizzazione o pseudonimizzazione dei dati.

Garantire la sicurezza dei dati.

Gli interventi “contenitivi”: la sanzione del garante privacy svedese.

Violazione dell’Art. 5 GDPR.

Violazione dell’Art. 9 GDPR.

Violazione degli Artt. 35 e 36 GDPR.

Smartphone e riconoscimento facciale.

Riconoscimento facciale tramite fotocamera.

Riconoscimento facciale a infrarossi: l’opzione più sicura.

Riconoscimento facciale e indagini di polizia.

Riconoscimento facciale e SPID.

Riconoscimento facciale di Google.

Il riconoscimento facciale di Meta (Facebook).

 

Cos’è il riconoscimento facciale.

Il riconoscimento facciale – uno dei “protagonisti tecnologici” del nostro tempo – è una tecnica biometrica atta ad identificare in modo univoco una persona confrontando e analizzando modelli basati sui suoi “contorni facciali”.

 

Vi sono diverse tecniche di riconoscimento facciale, come il riconoscimento facciale “generalizzato” e il riconoscimento facciale “regionale adattativo”. La maggior parte dei sistemi di riconoscimento facciale funzionano in base ai diversi punti nodali di un volto umano. I valori misurati rispetto alla variabile associata ai punti del volto di una persona aiutano ad identificare o verificare la persona in modo univoco. Con questa tecnica, le applicazioni possono utilizzare i dati acquisiti dai volti e possono identificare accuratamente e rapidamente gli individui interessati. Le tecniche di riconoscimento facciale si stanno rapidamente evolvendo con nuovi approcci (come la tecnologia 3D), aiutando a superare i problemi presenti con le tecniche esistenti.

 

Vantaggi e svantaggi del riconoscimento facciale.

 

Ci sono molti vantaggi associati al riconoscimento facciale. Rispetto ad altre tecniche biometriche, il riconoscimento facciale è di natura “non a contatto”. Le immagini del volto possono essere catturate a distanza e possono essere analizzate senza mai richiedere alcuna interazione con la persona interessata. Il riconoscimento facciale può servire come eccellente misura di sicurezza per il rilevamento del tempo e la partecipazione dell’individuo ad un dato evento o luogo. Il riconoscimento facciale è anche una tecnologia a buon mercato, in quanto l’elaborazione è meno “costosa” di altre tecniche biometriche.

 

Ci sono alcuni svantaggi associati al riconoscimento facciale. Infatti tale tecnica può identificare le persone solo quando le condizioni di luce sono favorevoli (buona illuminazione o messa a fuoco del volto): in altre parole, potrebbe essere meno affidabile in caso di luce insufficiente o in presenza di un viso anche parzialmente oscurato. Un altro svantaggio è che il riconoscimento facciale è meno efficace al variare delle diverse espressioni facciali umane.

 

Come funziona il riconoscimento facciale

È fondamentale comprendere come funziona – dal lato eminentemente tecnico – il riconoscimento facciale.

 

Di seguito vi sono tre applicazioni di tale tecnica, elencate dalla più “basic” alla più complessa.

 

Riconoscimento facciale “di base”: prendendo ad esempio i filtri Instagram o Snapchat, la fotocamera del dispositivo (es. smartphone) “cerca” le caratteristiche che definiscono un volto, ed in particolare gli occhi, il naso e la bocca. Una volta compiuta la sua ricerca, la fotocamera – tramite il Social – usa algoritmi per agganciare un volto e determinare in quale direzione la persona sta guardando, se la sua bocca è aperta, ecc. In questo caso siamo in presenza di un software che “ricerca volti”, e non si può parlare di riconoscimento facciale vero e proprio.

Sblocco del dispositivo con il volto: volendo sbloccare il dispositivo con il volto, il device scatta una foto del viso e misura la distanza tra i tratti del viso. Poi, ogni volta che si va a sbloccare il telefono, “guarda” attraverso la fotocamera per misurare e confermare l’identità del soggetto. Nota: qui la differenza tra dispositivi può essere “abissale”; basti solo pensare al livello tecnologico raggiunto dal “Face ID” di Apple.

 

Identificazione di uno sconosciuto: nell’atto dell’identificazione di un volto per scopi di sicurezza, per scopi pubblicitari o di polizia, vi è l’utilizzo di algoritmi che “pescano” in un ampio database di volti, associando di volta in volta diversi profili con quello in esame.

Le tecnologie alla base del riconoscimento facciale.

 

La maggior parte dei software di riconoscimento facciale si basa interamente su immagini 2D. La stragrande maggioranza delle fotocamere scatta foto in 2D, e la stragrande maggioranza delle foto presenti sui Social è in 2D (es. foto profilo di Facebook).

Tuttavia i volti “in 2D” non sono qualitativamente accurati, poiché si tratta di immagini piatte – o senza profondità – del viso, in che non ci porta ad avere caratteristiche di identificazione.

Con un’immagine 2D, un dispositivo può misurare la distanza pupillare e la larghezza della bocca; tuttavia, non è in grado di riconoscere la lunghezza del naso o la prominenza della fronte.

 Inoltre, l’immagine facciale 2D si basa sulla luminosità: ciò significa che tale tecnica non funziona al buio, e può essere inaffidabile in condizione di scarsa illuminazione (con alto tasso di falsi positivi, ad esempio).

 

Il modo per ovviare ad alcune di queste carenze è quello di utilizzare la tecnologia 3D.

Il riconoscimento facciale 3D si ottiene attraverso una tecnica chiamata “lidar”, che è simile al sonar (usato in campo marittimo). In sostanza, i dispositivi di scansione del viso (es. l’iPhone), proiettano una sorta di impulso laser sul viso; questo impulso si riflette sul viso e viene ripreso da una fotocamera IR (InfraRed) presente nel dispositivo. La fotocamera IR del telefono misura quanto tempo ci vuole perché ogni bit di luce IR rimbalzi dal viso e ritorni sul dispositivo. Naturalmente, la luce che si riflette dal naso avrà un percorso più breve della luce che si riflette dalle orecchie, e la telecamera IR utilizza queste informazioni per creare una mappa di profondità unica dell’intero viso. Se utilizzata insieme alla tecnologia 2D, la tecnologia 3D può aumentare significativamente la precisione del software di riconoscimento facciale, diminuendo al contempo la possibilità di incorrere in falsi positivi.

 

Per risolvere il problema del riconoscimento facciale 2D “al buio” è possibile utilizzare una termocamera.

 Differentemente dalla lidar, le termocamere non emettono luce IR, ma semplicemente rilevano la luce IR emessa dagli oggetti.

 Gli oggetti caldi emettono moltissima luce IR, mentre gli oggetti freddi ne emettono una quantità trascurabile.

Le più tecnologiche termocamere sono in grado di rilevare anche sottili differenze di temperatura su una superficie, il che è l’ideale per il riconoscimento facciale. Ci sono diversi modi per identificare un volto mediante termocamera. Tutte queste tecniche sono incredibilmente complicate, ma condividono alcune somiglianze fondamentali, di seguito accennate.

 

Sono necessarie foto multiple: una termocamera scatta foto multiple del volto di un soggetto. Ogni foto si concentra su un diverso spettro di luce IR (onde lunghe, corte e medie). Tipicamente, lo spettro ad onde lunghe fornisce i maggiori dettagli.

Determinano la “mappatura” dei vasi sanguigni: le immagini IR possono anche essere utilizzate per estrarre la formazione di vasi sanguigni nel volto di una persona.

 Le mappe dei vasi sanguigni possono essere utilizzate come impronte digitali facciali uniche.

Possono anche essere utilizzate per trovare la distanza tra gli organi facciali (nel caso in cui le tipiche immagini termiche producessero immagini scadenti) o per identificare contusioni e cicatrici.

Il soggetto può essere identificato in maniera efficace: un’immagine composita viene creata utilizzando immagini IR multiple. Questa immagine composita può quindi essere confrontata con un database facciale per identificare il soggetto.

Il riconoscimento facciale termico è di solito usato in campo militare. Inoltre, la termo immagine non funziona bene di giorno (o in ambienti generalmente ben illuminati, l’esatto opposto della tecnologia 2D che “rifugge dalla notte”), quindi non ha molte potenziali applicazioni al di fuori dell’ambito militare.

 

TopNetwork - Riconoscimento immagini e oggetti.

Alcuni casi e relative problematiche.

Australia e riconoscimento facciale.

In materia di riconoscimento facciale, l’Australia sta lentamente – ma senza sosta – procedendo verso un uso massivo di tale tecnologia.

 Negli ultimi anni, qualsiasi foto scattata in occasione dell’ottenimento della patente di guida ovvero in caso di rilascio-rinnovo del passaporto, è stata automaticamente trasferita verso una nuova – grande – rete nazionale che il governo di Canberra sta creando.

 

Gli Stati australiani di Victoria e Tasmania hanno già iniziato a caricare i dati delle patenti di guida in propri database locali, i quali saranno collegati al futuro database nazionale in costituzione. Tale database nazionale è subordinato ad un disegno di legge federale in discussione in questi mesi.

Nel dettaglio sarà permesso alle agenzie governative e alle imprese private “autorizzate” di utilizzare i documenti caricati nel database nazionale (anche fototessere) per procedere con lo “sfruttamento” di tali documenti ai fini del riconoscimento facciale degli interessati.

 

D’altro canto il Dipartimento degli Affari Interni di Canberra stima che – a fronte di un costo annuale di 2,2 miliardi di dollari spesi nella lotta contro i furti d’identità – l’introduzione di un riconoscimento facciale “di stato” contribuirebbe a prevenire questo genere di reati. Tale tecnologia è già utilizzata da diverse agenzie governative e aziende, con migliaia di controlli solo nel 2017.

 

Ma accanto al servizio di verifica dei documenti, verrebbe introdotto un servizio di identificazione facciale per le forze dell’ordine australiane. Quasi tutti i governi territoriali australiani hanno aggiornato le loro normative sulle patenti di guida in previsione del “grande database nazionale”, mentre le persone che ottengono il passaporto firmano un modulo in cui si afferma che le loro fotografie (fototessere) saranno utilizzate a fini di corrispondenza biometrica.

 

Dal fronte opposto, i “sostenitori della privacy” australiani affermano che la nuova legislazione manca di proporzionalità, e che i benefici non sono tali da giustificare l’intrusione nella vita privata delle persone con tale – massivo – trattamento di dati biometrici. La “Australian Privacy Foundation” (APF) afferma che la prospettiva è altamente invasiva, perché il sistema potrebbe essere integrato in una serie di altri sistemi che raccolgono i dati del viso, compresa la videosorveglianza.

 

Questa sorta di “sorveglianza massiva” potrebbe sembrare una sorta di futuro lontano, ma quando nel 2018 nello stato del Queensland si sono disputati i “Commonwealth Games”, la polizia dello stato ha testato un software di riconoscimento facciale abbinato alla videosorveglianza, preordinato all’identificazione di alcuni obiettivi di alto profilo tra la grande quantità di spettatori presenti all’evento.

 

 Tuttavia, la polizia è stata in grado di trovare solo cinque persone su 268 collegate al sistema. Rimangono – infatti – i problemi connessi ai falsi positivi, che minano costantemente l’efficacia e l’affidabilità dei sistemi di riconoscimento facciale. Proprio in merito a questo problema, la “Australian Human Rights Commission” afferma che la tecnologia di riconoscimento facciale rimane inaffidabile.

Se la polizia usasse informazioni imprecise mediante l’uso di questa tecnologia, potrebbero anche esserci conseguenze drastiche per la persona interessata, tra cui l’essere detenuti arbitrariamente e l’assenza di un processo equo.

 

Come se la questione dei falsi positivi non fosse abbastanza, il “Human Rights Law Centre” ha osservato che il “NEC Neoface”, una tecnologia di riconoscimento facciale separata utilizzata da agenzie federali e da alcune forze di polizia statale e territoriale, non è stata testata per la precisione su gruppi etnici diversi, il che significa che i tassi di identificazione errata delle minoranze etniche sono potenzialmente sproporzionati.

 

Correndo ai ripari, il Dipartimento degli Affari Interni australiano afferma di star conducendo alcuni test per la messa a punto di software per il riconoscimento facciale che possano evitare tali problemi; inoltre i risultati della corrispondenza viso-persona saranno rivisti da esperti di riconoscimento facciale “addestrati” per prevenire i falsi positivi e le difformità su base etnica. Secondo tale Dipartimento, le decisioni che servono a identificare una persona non saranno mai prese dalla sola tecnologia, evitando il trattamento “totalmente” automatizzato. Lo schema proposto dal governo federale sarebbe – quindi – un processo a carattere “misto”: manuale ed automatizzato. Il sistema in uso presso le forze dell’ordine richiede che una persona invii manualmente l’immagine di una persona e controlli le possibili corrispondenze, evitando i falsi positivi. Tuttavia, guardando ai “contro” della tecnologia, mancherebbero risorse adeguate per “foraggiare” tale tecnica, nonché per finanziare l’assunzione ed il mantenimento di personale sufficientemente addestrato di supporto all’utilizzo del riconoscimento facciale.

 

Infine, secondo la “Civil Liberties Australia”, è solo una questione di tempo prima che la combinazione di servizi cloud, l’acquisizione video mobile ad alta definizione (compresi gli smartphone) e l’analisi dei Big Data renda possibile una tale sorveglianza in tempo reale, economica e allettante sul territorio australiano.

 

Hong Kong, proteste e riconoscimento facciale.

 

A Hong Kong, lo scorso agosto, alcuni manifestanti che protestavano a favore della democrazia sono stati ripresi nell’atto dell’abbattimento di un lampione “smart” – ossia dotato di videosorveglianza con riconoscimento facciale – mediante una sega elettrica. Si trattava (e si tratta) di una “lotta” contro la sorveglianza governativa, causata dal timore che tale tecnologia potesse essere utilizzata per l’identificazione degli attivisti da parte della Cina.

 

A causa della presenza di numerosi e super invasivi sistemi di controllo, il problema del riconoscimento facciale nella provincia autonoma cinese sta diventando via via più serio. Parte delle proteste, che durano da mesi, sono connesse alle preoccupazioni che tali lampioni “intelligenti” possano contenere telecamere ad alta tecnologia e software di riconoscimento facciale utilizzati direttamente dalle autorità cinesi per la sorveglianza dei cittadini di Hong Kong. Secondo uno degli organizzatori della protesta le informazioni riservate del popolo di Hong Kong sono già state estradate in Cina, il tutto affiancato da alcuni progetti che comporteranno l’installazione di 400 ulteriori lampioni intelligenti su tutto il territorio dell’ex colonia britannica.

 

Ironia della sorte (ma prevedibile), dall’altro “lato della barricata”, le aziende cinesi che sviluppano soluzioni di riconoscimento facciale sono in rapida crescita.

 

Secondo la Reuters, la società Megvii di Pechino “punta a ricavi di almeno 500 milioni di dollari e potrebbe raccogliere fino a 1 miliardo di dollari” nei prossimi mesi. L’azienda è una delle principali “punte di diamante” del Dragone Rosso nel campo dell’Intelligenza Artificiale, insieme a SenseTime, Yitu e CloudWalk. Megvii fornisce la sua tecnologia di riconoscimento facciale a diversi clienti commerciali, con una tecnologia che spazia dalla sicurezza urbana a quella dei pagamenti finanziari.

 

La Cina, con la sua potenza tecnologica commerciale, ha dato il via ad una sorta di “Guerra Fredda” nel campo dell’Intelligenza Artificiale. A questo proposito, ci troviamo di fronte a un dilemma, poiché la Cina ha da un lato una fiorente base tecnologica, dall’altro un’assenza di vincoli circa il rispetto della vita privata delle persone. Questo significa che negli Stati Uniti ed in Europa diventerà sempre più difficile per le aziende di Intelligenza Artificiale competere tecnicamente con l’implacabile macchina di esportazione cinese. Una situazione ulteriormente esacerbata da ciò che sta accadendo nella provincia “ribelle” dello Xinjiang, dove la tecnologia cinese è ampiamente utilizzata per la sorveglianza ed il controllo della popolazione.

 

New call-to-action.

Stati Uniti d’America.

Anche nella “patria delle libertà”, l’uso della tecnologia di riconoscimento facciale è in costante aumento. Un recente rapporto di “Fight for the Future” ha esaminato la frequenza con cui le forze dell’ordine americane utilizzano software per la scansione di milioni di foto di cittadini, spesso a loro insaputa o senza il loro consenso.

 

Alcuni esempi: in diversi stati, tra cui Texas, Florida e Illinois, l’FBI scansiona i database fotografici delle patenti di guida USA con tecnologia di riconoscimento facciale senza il consenso dei cittadini, trasformando i database dipartimentali dei veicoli a motore in una vera e propria infrastruttura di sorveglianza senza precedenti.. In molti aeroporti statunitensi, la polizia di frontiera utilizza attualmente il riconoscimento facciale per controllare i passeggeri dei voli internazionali. E in città come Baltimora, la polizia ha utilizzato un software di riconoscimento facciale per identificare e arrestare gli individui durante alcune proteste.

 

Molti dipartimenti di polizia statunitensi sono “ansiosi” di utilizzare gli strumenti di riconoscimento facciale, affermando che possono aiutarli a identificare e arrestare i criminali in modo più efficiente. Lo scorso anno, la polizia del Maryland ha utilizzato tale tecnologia per aiutare ad identificare correttamente il sospetto di una sparatoria. La Homeland Security ha sostenuto che tale tecnologia può aiutare il governo a controllare più rapidamente i viaggiatori e ad effettuare controlli nel campo dell’immigrazione. Tuttavia, i critici della sorveglianza massiva temono che l’uso pervasivo della tecnologia di riconoscimento facciale potrebbe avere un effetto dannoso sulla libertà di parola, poiché la gente potrebbe sentirsi costantemente osservata. Ed il rischio di una “deriva cinese” nell’uso di tale tecnologia è dietro l’angolo.

 

Infine, è di pochi giorni fa la notizia dell’implementazione del riconoscimento facciale da parte della polizia di frontiera statunitense al confine col Messico. In particolare, il sistema consiste in “body cam” – ossia telecamere indossate sulla divisa – con software di cloud storage e di gestione video che dovrebbero aiutare gli agenti di frontiera nel contrasto al contrabbando ed all’immigrazione clandestina.

 

Francia.

La Francia è destinata a diventare il primo paese europeo ad utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale “di Stato” con l’obiettivo – a detta del governo – di fornire ai cittadini un’identità digitale sicura. Anche se la posta in gioco – in termini di protezione dei dati personali – è alta.

 

Il governo del presidente Emmanuel Macron sta per lanciare un programma di identificazione, chiamato Alicem, dopo una fase sperimentale durata sei mesi. Alicem è un acronimo che potrebbe essere tradotto come “autenticazione online certificata su dispositivo mobile”, e in soldoni risulta essere una’app che permetterà (a detta del governo), a chiunque deciderà di usarlo, di provare la propria identità su internet in modo sicuro.

Il suo funzionamento è il seguente: l’app legge il chip presente sul passaporto elettronico dell’interessato, ed incrocia con sistema biometrico la foto con i dati dell’utente presenti sul suo dispositivo mobile, per convalidare l’identità.

Una volta confermato, l’utente può accedere a una serie di servizi pubblici senza ulteriori controlli da parte delle autorità. Il governo francese ha affermato che i filmati utilizzati per il riconoscimento facciale saranno cancellati “entro pochi secondi” dalla registrazione dell’utente.

 

Tuttavia l’autorità privacy francese CNIL, ha già avvertito che il programma del governo viola alcune disposizioni del GDPR, poiché il sistema – così concepito – non fornisce alternative al riconoscimento facciale per accedere a determinati servizi. Avvertimenti che si sommano ai timori circa la comprovata debolezza delle app di Stato francesi. Proprio nel 2019 un hacker ha impiegato poco più di un’ora per entrare in un’app di messaggistica governativa dichiarata “sicura”.

 

La Francia sta seguendo una tendenza globale verso le “identità digitali” che sbloccano l’accesso sicuro a una gamma di servizi che vanno dai conti bancari alle dichiarazioni dei redditi.

 

Regno Unito.

 

Discorso diverso è per il Regno Unito, dove sembra che vi sia in atto un’autentica “epidemia” circa l’uso del riconoscimento facciale: centri commerciali, musei, centri congressi, nonché indefiniti spazi privati, tutti interessati dall’uso di questa tecnologia.

 

Un’indagine dell’organizzazione britannica Big Brother Watch (BBW) ha scoperto che le aziende private del Regno Unito alimentano il propagarsi dell’uso del riconoscimento facciale.

 Il BBW ha pubblicato i risultati il giorno dopo che l’autorità privacy britannica ICO ha annunciato l’apertura di un’indagine sull’uso del riconoscimento facciale in un nuovo importante centro commerciale nel centro di Londra. Anche il sindaco di Londra Sadiq Khan ha sollevato alcuni interrogativi sulla liceità del riconoscimento facciale, principalmente nel sito privato di Granary Square (27 ettari sorvegliati), dopo che i proprietari hanno ammesso di utilizzare tale tecnologia “nell’interesse della pubblica sicurezza”. BBW ha dichiarato di aver scoperto che in molte parti del Regno Unito vi è un uso massivo del riconoscimento facciale senza l’utilizzo di idonee informazioni che avvertano gli interessati.

 

Altri casi riguardano il centro commerciale Meadowhall di Sheffield, che avrebbe esaminato più di 2 milioni di visitatori con un test sul riconoscimento facciale effettuato in collaborazione con la polizia; i dati sarebbero stati cancellati immediatamente dopo la fine del test. Al Trafford Centre di Manchester è stato vietato dall’ICO l’uso di un sistema di riconoscimento facciale che avrebbe potuto scansionare circa 15 milioni di visitatori. Al Museo Mondiale di Liverpool sono stati analizzati i volti dei visitatori durante una mostra sulla storia cinese (ironico!) nel 2018: il gruppo che riunisce i musei nazionali di Liverpool sta attualmente testando la fattibilità di utilizzare una tecnologia simile in futuro in maniera estesa. A Birmingham, il centro conferenze Millennium Point ha rivelato nella sua privacy policy di aver utilizzato il riconoscimento facciale su richiesta delle forze dell’ordine; l’area intorno al centro è stata teatro di manifestazioni di sindacalisti e attivisti antirazzisti. Anche in diversi casinò e centri scommesse britannici vi è l’uso della sorveglianza mediante riconoscimento facciale.

 

Tuttavia nel luglio del 2019, la Camera dei Comuni ha affermato che le autorità dovrebbero cessare i test connessi all’uso del riconoscimento facciale fino a quando non vi sarà un quadro giuridico in materia. Infine, in un rapporto sull’approccio del governo alla biometria, alcuni parlamentari della Camera dei Comuni hanno fatto riferimento ad un test sul riconoscimento facciale da parte della Metropolitan Police e della polizia del South Wales, rilevando seri interrogativi sull’accuratezza e sulla parzialità di tale tecnica.

 

Norme privacy per limitare il riconoscimento facciale: il Gdpr.

 

Il GDPR – Regolamento UE 2016/679 – risulta essere il più grande ed importante argine normativo a quel “fiume in piena” rappresentato dall’uso del riconoscimento facciale (e dall’uso della biometria massiva in generale). Il riconoscimento facciale permette di raccogliere informazioni sulle caratteristiche facciali di una persona e sulla sua classificazione sotto forma di dati (particolari) biometrici.

 

L’Art. 9.1 GDPR elenca quelli che sono i dati particolari (“più meritevoli di tutela”, tra i quali prevalentemente “già sensibili” ai sensi del “vecchio” Codice Privacy): dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.

 

L’Art. 4 n. 14) GDPR scende nel dettaglio, definendo i dati biometrici come i dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quali l’immagine facciale o i dati dattiloscopici;

 

Infine il Considerando 51 GDPR specifica che “il trattamento di fotografie non dovrebbe costituire sistematicamente un trattamento di categorie particolari di dati personali, poiché esse rientrano nella definizione di dati biometrici soltanto quando saranno trattate attraverso un dispositivo tecnico specifico che consente l’identificazione univoca o l’autenticazione di una persona fisica”.

 

Per trattare correttamente (e legalmente) i dati biometrici è necessario utilizzare una delle basi giuridiche previste dall’Art. 9.2 GDPR, tra le quali “spicca” il consenso esplicito dell’interessato.

 

Vediamo, di seguito, i punti fondamentali per la necessaria compliance al GDPR.

 

Il consenso dell’interessato.

Nel caso di optasse per l’utilizzo della base giuridica del consenso, questo deve soddisfare non solo i requisiti dell’Art. 9 GDPR (esplicito), ma anche dell’Art. 7 GDPR.

 

Secondo il punto 4 delle Linee Guida WP259, il consenso esplicito è richiesto in talune circostanze nelle quali emergono gravi rischi per la protezione dei dati e in cui si ritiene quindi appropriato un livello elevato di controllo individuale sui dati personali (il riconoscimento facciale è tra queste). In base al GDPR, prerequisito per l’ottenimento di un consenso “conforme” è una “dichiarazione o un’azione positiva inequivocabile”. Il termine esplicito si riferisce al modo in cui il consenso è espresso dall’interessato e significa che l’interessato deve fornire una dichiarazione esplicita di consenso. Un modo ovvio per assicurarsi che il consenso sia esplicito consisterebbe nel confermare espressamente il consenso in una dichiarazione scritta. Se del caso, il titolare del trattamento potrebbe assicurarsi che la dichiarazione scritta sia firmata dall’interessato, al fine di dissipare tutti i possibili dubbi e la potenziale mancanza di prove in futuro. Nel contesto digitale o online, l’interessato può acconsentire esplicitamente compilando un modulo elettronico, inviando un’e-mail, caricando un documento scansionato con la propria firma oppure utilizzando una firma elettronica e così via.

 

Secondo l’Art. 7 GDPR la richiesta di consenso, se prestata nel contesto di una dichiarazione scritta che riguarda anche altre questioni, è presentata in modo chiaramente distinguibile dalle altre materie, in forma comprensibile e facilmente accessibile, utilizzando un linguaggio semplice e chiaro. L’interessato ha il diritto di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento. La revoca del consenso non pregiudica la liceità del trattamento basata sul consenso prima della revoca. Prima di esprimere il proprio consenso, l’interessato è informato di ciò (si veda il Capo 3 del GDPR). Il consenso è revocato con la stessa facilità con cui è accordato.

 

Una Valutazione di Impatto (DPIA) ad hoc per il riconoscimento facciale

La Valutazione di Impatto (DPIA) prevista dagli artt. 35 e 36 GDPR è fondamentale per identificare e ridurre al minimo il rischio per i dati personali nell’ambito dell’utilizzo del riconoscimento facciale. La DPIA si configura come un’autonoma valutazione che il Titolare del trattamento pone in essere per analizzare la necessità, la proporzionalità e i rischi di un determinato trattamento dati per i diritti e le libertà delle persone fisiche.

 

È richiesta obbligatoriamente in tre casi:

 

quando si procede ad una valutazione sistematica e globale di aspetti personali relativi a persone fisiche, basata su un trattamento automatizzato, compresa la profilazione, e sulla quale si fondano decisioni che hanno effetti giuridici o incidono in modo analogo significativamente su dette persone fisiche;

quando si è in presenza di un trattamento, su larga scala, di categorie particolari di dati personali di cui all’art. 9.1 GDPR (dati particolari), ovvero di dati relativi a condanne penali e a reati di cui all’art. 10 GDPR;

la sorveglianza sistematica su larga scala di una zona accessibile al pubblico (es. videosorveglianza su larga scala)

Secondo le Linee Guida WP248 per determinare se un trattamento è svolto su larga scala si deve far riferimento al numero degli interessati, al volume di dati e/o tipologie di dati, alla durata dell’attività di trattamento e all’ambito geografico dell’attività di trattamento.

 

La DPIA deve contenere:

 

una descrizione sistematica dei trattamenti previsti e delle finalità del trattamento, compreso, ove applicabile, l’interesse legittimo perseguito dal Titolare del trattamento;

una valutazione della necessità e proporzionalità dei trattamenti in relazione alle finalità;

una valutazione dei rischi per i diritti e le libertà degli interessati:

nonché le misure previste per affrontare i rischi, includendo le garanzie, le misure di sicurezza e i meccanismi per garantire la protezione dei dati personali e dimostrare la conformità al GDPR, tenuto conto dei diritti e degli interessi legittimi degli interessati e delle altre persone in questione.

 

Anonimizzazione o pseudonimizzazione dei dati.

 

Un metodo per proteggere i dati trattati con tecnologia a riconoscimento facciale è quello di renderli del tutto anonimi, rendendo impossibile determinare a quale interessato si riferiscano. Si può prendere in considerazione la rimozione del nominativo prima che vengano registrati in un database. Il software di anonimizzazione dei dati può essere utilizzato per creare un alto livello di sicurezza. Se l’anonimizzazione non si dimostrasse pratica è possibile procedere con la pseudonimizzazione – tecnica che consiste nel trattamento dei dati personali in modo tale che i dati personali non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile (Art. 4 n. 5 GDPR).

 

Garantire la sicurezza dei dati.

Il GDPR richiede “misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio” (Art. 32 GDPR). Tra le misure adottabili vi sono le seguenti.

 

Avere una strategia di Data Loss Prevention (DLP) ben ponderata.

Creare un piano di Disaster Recovery a prova di errore. Il GDPR richiede alle aziende “la capacità di ripristinare tempestivamente la disponibilità e l’accesso dei dati personali in caso di incidente fisico o tecnico”.

Avere una politica di backup dei dati conforme al GDPR: Il backup non solo è necessario per la portabilità dei dati (Art. 20 GDPR), ma anche per il diritto alla cancellazione (Art. 17 GDPR). In altre parole, il backup deve ripristinare rapidamente le informazioni, ma – se richiesto dall’interessato – sarà necessario rimuovere tutti i dati dai backup.

Gli interventi “contenitivi”: la sanzione del garante privacy svedese

L’autorità privacy svedese, lo scorso agosto è intervenuta sanzionando una scuola con l’equivalente di quasi 19.000€, la sua prima sanzione ai sensi del GDPR.

 

Una scuola superiore aveva implementato un sistema per la rilevazione delle presenze degli studenti con tecnologia di riconoscimento facciale. La scuola ha utilizzato un software di riconoscimento facciale tramite telecamere “intelligenti” per catturare e registrare le presenze degli studenti. Lo scopo era stato quello di semplificare ulteriormente le operazioni e automatizzare la registrazione giornaliera delle classi, un compito che generalmente richiedeva 10 minuti per classe. Tuttavia la scuola ha giustificato l’implementazione del riconoscimento facciale con un risparmio di circa 18000 euro l’anno (ironicamente, quasi quanto l’entità della sanzione in euro).

 

I dati biometrici sono stati catturati dalle telecamere sotto forma di fotografie dei volti degli studenti, abbinati ai loro nominativi. Le informazioni sono state memorizzate in un computer senza connessione internet; computer che è stato conservato in un armadio chiuso a chiave. Il consenso esplicito è stato raccolto dai legali rappresentanti degli studenti (poiché minorenni) ed è stato possibile non partecipare a “l’esperimento”. Tuttavia, non è stata effettuata nessuna DPIA né una consultazione preventiva presso l’autorità privacy svedese.

 

Secondo l’autorità privacy di Stoccolma la scuola ha – quindi – violato gli artt. 5, 9, 35 e 36 del GDPR.

 

Violazione dell’Art. 5 GDPR.

 

L’art. 5.1 lett. b) GDPR stabilisce che i dati personali sono raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo che non sia incompatibile con tali finalità (limitazione delle finalità). Inoltre, i dati personali trattati devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati (Art. 5.1 lett. c GDPR – minimizzazione dei dati).

 

L’autorità privacy svedese ha rilevato che, anche se pochi studenti erano preoccupati e il periodo del trattamento limitato nel tempo, l’uso del riconoscimento facciale ha rappresentato una grande intrusione nella privacy degli studenti. Inoltre, la registrazione delle presenze in classe poteva essere effettuata in modi meno invasivi: quindi l’uso del riconoscimento facciale è risultato sproporzionato rispetto allo scopo.

 

Violazione dell’Art. 9 GDPR.

L’autorità privacy svedese ha affermato che il consenso non potesse essere utilizzato come base giuridica, in quanto lo stesso non poteva essere considerato “volontario”. Quindi mancherebbero le stesse “colonne portanti” di cui all’Art. 7 GDPR. Inoltre la scuola aveva avanzato la possibilità di utilizzo della base giuridica dell’interesse pubblico rilevante: bocciato dall’autorità.

 

Violazione degli Artt. 35 e 36 GDPR.

 

La scuola aveva effettuato una sorta di “valutazione dei rischi”, in cui sosteneva la non sussistenza di rischi elevati per le persone interessate. Tuttavia, non è stata effettuata alcuna DPIA. L’autorità privacy svedese ha rilevato che la valutazione del rischio non comprendeva una valutazione dei rischi per i diritti e le libertà degli interessati, nonché un resoconto della proporzionalità del trattamento in relazione alle sue finalità. Inoltre, precisa l’autorità, la DPIA era necessaria in quanto la sorveglianza con telecamere intelligenti è una sorveglianza sistematica che include informazioni personali “sensibili”, in questo caso su bambini in un ambiente a loro riservato.

 

Smartphone e riconoscimento facciale.

L’utilizzo della tecnologia “intelligente” del Riconoscimento Facciale su dispositivi di uso personale come smartphone, tablet e PC è diventato comune per larga parte dell’utenza (privata o aziendale) interessata. Tale tecnologia, è vero, può apparire ancora come “futuristica”; tuttavia lo è solo in apparenza.

 

Basti pensare a come il riconoscimento facciale utilizzato dalla maggior parte degli smartphone in commercio nel 2021 abbia mandato “in soffitta” l’utilizzo di PIN e password, utilizzati (con maggior sicurezza) fino a pochi anni fa. Tuttavia, anche con il crescente avanzamento dello sviluppo tecnologico, è necessario essere edotti che non tutte le implementazioni del Riconoscimento Facciale sono uguali. Alcune tecniche sono intrinsecamente più sicure di altre, mentre alcune offrono impostazioni “ulteriori” che riducono le possibilità di falsi positivi o falsi negativi (ad es. non permettendo l’accesso di “intrusi” al proprio dispositivo).

 

Riconoscimento facciale tramite fotocamera.

 

Come suggerisce il nome, questa tecnica si basa sulle camere frontali – presenti in prossimità dello schermo di larga parte dei dispositivi in commercio – per identificare il volto del proprietario del device. Praticamente tutti gli smartphone Android hanno incluso questa funzione dal rilascio di Android 4.0 nel 2011.

E ben prima che i sensori di impronte digitali (fingerprint) fossero così diffusi come lo sono oggi, rendendolo – di fatto – la prima opzione di sblocco biometrico. Il modo in cui funziona il riconoscimento mediante fotocamera è piuttosto semplice: quando si attiva la funzione per la prima volta (es. al momento della prima accensione del device), il dispositivo chiede all’utente di catturare immagini del suo viso, anche più volte e da diverse angolazioni; successivamente il dispositivo utilizza un algoritmo software per estrarre le caratteristiche facciali dell’utente e le memorizza per “riferimenti futuri”.

 

Da quel momento in poi, ogni volta che qualcuno tenterà di sbloccare il dispositivo, il dispositivo confronterà i tratti somatici “di chi ha di fronte” con i dati di riferimento archiviati nel device. E il tutto si gioca sul terreno della precisione. Quest’ultima dipende principalmente dagli algoritmi software utilizzati: più essi sono precisi, più il riconoscimento sarà efficace e (quasi) esente da pregiudizi (bias). E il tutto diventa ancora più complicato quando i dispositivi devono tenere conto di variabili come le diverse condizioni di luce, i cambiamenti di aspetto e l’uso di accessori di bellezza come cappelli, occhiali, gioielli e persino maschere. Le implementazioni di riconoscimento facciale basate sull’uso delle fotocamere dei dispositivi devono trovare un attento equilibrio tra precisione e velocità. Mentre Android stesso offre API di riconoscimento facciale, i produttori di smartphone hanno sviluppato soluzioni personalizzate nel corso degli anni. Nel complesso, l’obiettivo è stato quello di migliorare la velocità di riconoscimento del dispositivo senza “sacrificare” troppo la precisione. Tuttavia, alcune implementazioni potrebbero essere ingannati ad accettare anche “sconosciuti”.

 

Riconoscimento facciale a infrarossi: l’opzione più sicura.

Mentre la maggior parte dei dispositivi possiedono una fotocamera frontale, il riconoscimento facciale a infrarossi richiede la presenza di un hardware aggiuntivo.

 

 Tuttavia, non tutte le soluzioni di riconoscimento facciale a infrarossi sono uguali. Il primo tipo di riconoscimento facciale basato sugli infrarossi comporta lo scatto di una foto bidimensionale del viso dell’utente, simile al metodo precedente, ma nello “spettro” degli infrarossi. Il vantaggio principale è che le telecamere a infrarossi non hanno bisogno che il viso sia ben illuminato e possono funzionare anche in ambienti poco illuminati. Sono anche molto più resistenti ai tentativi di intrusione da parte di soggetti non autorizzati, poiché le telecamere a infrarossi utilizzano l’energia termica o il calore per formare un’immagine.

 

I sensori a infrarossi possono rilevare le caratteristiche facciali degli utenti anche in ambienti poco illuminati. E nonostante il Riconoscimento facciale ad infrarossi 2D (bidimensionale) è già un passo avanti rispetto ai metodi tradizionali basati sulla fotocamera (visti nel punto precedente), vi sono anche soluzioni migliori sul mercato. Il Face ID di Apple, per esempio, utilizza una serie di sensori per catturare una rappresentazione tridimensionale del viso dell’utente (Riconoscimento 3D); e lo fa utilizzando un illuminatore e un proiettore di punti per proiettare migliaia di piccoli punti invisibili sul viso dell’utente. Un sensore a infrarossi misura successivamente come sono disposti i punti e crea una mappa di profondità del viso dell’utente. Ci sono due vantaggi nei sistemi 3D: Possono lavorare al buio e sono molto più difficili da ingannare. Mentre i sistemi a infrarossi 2D cercano solo il calore, quelli 3D “richiedono” anche informazioni sulla profondità. Naturalmente, quest’ultima è impossibile da ottenere senza che il potenziale intruso si procuri una figura protesica molto accurata che sostituisca il viso dell’utente proprietario del dispositivo.

 

Il riconoscimento facciale basato su infrarossi è molto più sicuro. E se l’utente decidesse comunque di usare il riconoscimento facciale basato sulla fotocamera del dispositivo, è necessario tener presente che la maggior parte dei produttori di dispositivi non permette di usarlo per applicazioni più “sensibili” (tipo quelle bancarie). Su Android, per esempio, il programma di certificazione Google Mobile Services impone soglie minime di sicurezza per vari metodi di autenticazione biometrica. Meccanismi di sblocco meno sicuri, come lo sblocco facciale basato su fotocamera, sono classificati come una “comodità”. In poche parole, non è possibile utilizzarli per l’autenticazione con APP come Google Pay o – come anticipato – con APP di istituti di credito. Apple, invece, è così sicura dell’affidabilità del suo “riconoscimento tridimensionale” da trattare il suo Face ID alla pari dei sensori di impronte digitali e delle password. Apple, infatti, permette di utilizzarlo non solo per sbloccare il proprio dispositivo, ma anche per riempire automaticamente i campi delle password e autorizzare i pagamenti.

 

Data la natura controversa del riconoscimento facciale, ci si potrebbe chiedere se memorizzare i propri dati biometrici elettronicamente sia o meno una buona idea. La buona notizia è che non c’è da preoccuparsi, poiché la maggior parte dei sistemi operativi che supportano i metodi di sblocco biometrico impiegano misure specifiche per garantire che le informazioni “sensibili”, comprese le proprie caratteristiche facciali e le impronte digitali, siano memorizzate in modo sicuro. Negli smartphone i dati biometrici sono tipicamente criptati e isolati in un pezzo di hardware resistente alla sicurezza all’interno del “sistema su circuito integrato” (system-on-a-chip, SoC) del dispositivo. Qualcomm, uno dei maggiori produttori di chip per smartphone Android al mondo, include una Secure Processing Unit nei suoi SoC. Apple, invece, ha etichettato il sottosistema sicuro del suo SoC “Secure Enclave”. In altre parole, le applicazioni di terze parti non possono accedere ai dati biometrici dei dispositivi e nemmeno un potenziale intruso potrà farlo (nella maggior parte dei casi).

 

Riconoscimento facciale e indagini di polizia.

 

Nell’ultimo decennio il Riconoscimento facciale ha trovato il suo naturale habitat applicativo nella prevenzione e nel perseguimento dei reati da parte delle forze di polizia. Un utilizzo, quello degli inquirenti di mezzo mondo, che ha sollevato e continua a sollevare numerose polemiche, sul fronte della protezione della privacy e dei dati personali, nonché dei pregiudizi insiti nella tecnologia dell’Intelligenza Artificiale (“bias”, come ad es. quelli razziali). Nonostante i diversi “anni di vita”, il Riconoscimento Facciale è una tecnologia relativamente nuova, introdotta dalle forze dell’ordine di numerosi paesi per identificare le persone “di interesse” per la giustizia. Normalmente un sistema di Riconoscimento Facciale utilizzato dai dipartimenti di polizia contiene immagini facciali ricevute da più di 179 paesi (ossia la quasi totalità delle nazioni mondiali), il che lo rende un database criminale globale unico. Abbinato ad un’applicazione software biometrica automatizzata, questo sistema è in grado di identificare o verificare una persona confrontando e analizzando i diversi modelli, le forme e le proporzioni dei suoi tratti e contorni facciali. Basti pensare che nel caso del software utilizzato dall’Interpol quasi millecinquecento terroristi, criminali, fuggitivi e persone scomparse sono state identificate dal lancio del sistema di riconoscimento facciale di Interpol alla fine del 2016.

 

A differenza delle impronte digitali e del DNA, che non cambiano durante la vita di una persona, il riconoscimento facciale deve prendere in considerazione diversi fattori, come quello di “lavorare” con immagini di buona qualità (che è fondamentale). Immagini di bassa o media qualità possono non essere ricercabili nei sistemi e, se ove lo fossero, la precisione della ricerca e i risultati stessi potrebbero esserne significativamente influenzati. Una fototessera standard, ad esempio, sarebbe l’ideale, in quanto si tratta di un’immagine frontale del soggetto, con un’illuminazione uniforme sul viso e con uno sfondo neutro.

 

Prendendo in esame lo strumento utilizzato dall’Interpol, quando un’immagine facciale (immagine sonda) viene inserita nel sistema dell’organizzazione internazionale di polizia criminale essa viene automaticamente codificata da un algoritmo e confrontata con i profili già memorizzati nel sistema. Il risultato è una lista di “candidati” con le corrispondenze più probabili. L’Interpol dichiara di eseguire sempre un processo manuale (Face Identification) per verificare i risultati prodotti dal sistema in automatico. Funzionari qualificati ed esperti dell’organizzazione esaminano attentamente le immagini per trovare caratteristiche uniche che possono condurre ai risultati (identificato, potenziale tale, inconcludente). Queste informazioni vengono poi trasmesse ai paesi che hanno fornito le immagini e a quelli che sarebbero interessati dal profilo o da una corrispondenza. Tutte le immagini dei volti contenute negli avvisi e nelle diffusioni richieste dai paesi membri sono ricercate e memorizzate nel sistema di riconoscimento facciale di Interpol, a condizione – tuttavia – che soddisfino i rigorosi criteri di qualità necessari al riconoscimento. I paesi membri possono anche richiedere una “sola ricerca” nel sistema, per esempio, per effettuare un controllo su una persona negli aeroporti o altri passaggi di frontiera. I risultati vengono restituiti rapidamente per consentire un’azione di follow-up immediata, con conseguente non registrazione delle immagini nel sistema. Poiché questa tecnologia di confronto biometrico computerizzato è ancora agli inizi, nella maggior parte dei paesi, gli standard e le migliori pratiche sono ancora in fase di creazione, e Interpol sta contribuendo a questo scopo.

 

Ogni due anni, l’Interpol tiene l’International Fingerprint and Face Symposium, occasione che fornisce un’opportunità agli esperti di tutto il mondo di condividere le best practice e gli ultimi sviluppi nel campo del riconoscimento facciale (comprese le riunioni biennali di gruppi di lavoro di esperti del settore). Tale gruppo di esperti ha prodotto documenti sulle best practice in materia di qualità, formato e trasmissione delle immagini dei volti per promuovere un riconoscimento accurato ed efficace. E al contempo Interpol incoraggia fortemente i paesi membri dell’organizzazione a utilizzare il servizio di riconoscimento facciale di Interpol e a seguire le raccomandazioni della medesima organizzazione. Mentre i sistemi di riconoscimento facciale hanno un enorme potenziale se utilizzati per la sicurezza nazionale, essi – al contempo – richiedono una solida struttura di governo per proteggere i diritti umani e i dati personali degli interessati. Interpol, insieme al World Economic Forum (WEF), l’Interregional Crime and Justice Research Institute delle Nazioni Unite (UNICRI) e alla polizia nazionale dei Paesi Bassi, ha progettato un quadro politico per promuovere l’uso responsabile e trasparente della tecnologia di riconoscimento facciale nelle indagini di polizia in tutto il mondo.

 

Riconoscimento facciale e SPID

 

Com’è noto, per attivare lo SPID, che permette ai cittadini di usufruire di numerosi servizi digitali della Pubblica Amministrazione (si pensi alla verifica del Green Pass o alla consultazione del proprio Fascicolo Sanitario Elettronico), con alcuni gestori – gratuitamente o a pagamento – è possibile procedere con il riconoscimento facciale “da remoto”, ossia tramite la fotocamera del dispositivo in uso da parte dell’utente (es. smartphone).

Tale modalità di riconoscimento c.d. “via webcam” permette all’utente di attivare il servizio mediante operatore “che lo intervista” da remoto – previa verifica di un documento di riconoscimento in corso di validità e/o di tessera sanitaria –, evitando così il recarsi presso gli uffici preposti (si può evitare, ad esempio, di recarsi presso gli uffici postali nel caso di attivazione di “PosteID”). A differenza del riconoscimento con Intelligenza Artificiale (come, ad esempio, la già citata autenticazione biometrica per l’accesso al dispositivo), il riconoscimento per l’attivazione dello SPID – come succede anche per talune APP bancarie – vede la presenza dell’operatore connesso da remoto, che interagisce con l’utente abbinando il riconoscimento del viso con il riconoscimento del documento di identità; ed in più, cosa non irrilevante, vi è un vero e proprio colloquio tra le parti che “abbina” le voci ai volti dei “partecipanti”.

 

Riconoscimento facciale di Google.

Google utilizza il Riconoscimento Facciale (“Face Match”) in talune sue applicazioni che spaziano dal riconoscimento del volto nelle foto (Google Photos) all’utilizzo della tecnologia in esame per finalità di sicurezza (anche per la collettività, si pensi al contrasto al terrorismo). Per esempio, Google Photos raggruppa “in autonomia” le foto presenti nella galleria del dispositivo e chiede agli utenti di identificare il proprio volto (stessa cosa che fanno colossi come Apple e, più recentemente, Huawei). E tutto questo è possibile grazie a una forma di tecnologia di riconoscimento facciale utilizzata da questi provider. Ma Face Match può andare oltre. Quando l’utente “lo autorizza” può identificare il suo volto; successivamente, dopo il primo riconoscimento, inizia ad offrire contenuti digitali “su misura”, come foto, messaggi, appuntamenti e anche quanto tempo si può aspettare ad una fermata di autobus (nel caso di un pendolare). Questa modalità di riconoscimento facciale offre molto in termini di convenienza.

 

Ma la questione gira su come Google (e, in genere, le grandi aziende tecnologiche) raccolgono, memorizzano ed elaborano i dati del viso di una persona, questione che è diventata una delle principali preoccupazioni per le associazioni di consumatori di diverse parti del mondo; soprattutto sulla scia delle rivelazioni degli ultimi anni circa la società Clearview AI, la quale ha “collezionato” nel corso del tempo un database di foto del viso di numerosi utenti da tutti gli angoli più nascosti dei siti web e dei social media, condividendo queste informazioni con i dipartimenti di polizia di mezzo mondo. Gli utenti vogliono sapere cosa fanno le aziende come Google con le loro informazioni personali, soprattutto una volta che queste vengono stoccate sul cloud.

 

Il Face Match di Google permette di scansionare il viso dell’utente per creare un “modello facciale”, che il Nest Hub Max (smart display di Google) utilizza poi per presentare informazioni personalizzate sugli appuntamenti in calendario, i messaggi di testo e così via. Permette, inoltre, di firmare con la propria impronta digitale ovvero mediante l’APP (tracciamento online mediante impronta digitale, ergo utilizzo massivo della biometria). Quando la funzione Face Match di Google Nest Hub Max è attivata, la stessa monitora e analizza costantemente l’input dalla fotocamera del dispositivo per rilevare i volti (si tratta di un rilevamento attivo H24).

 

Un’altra questione riguarda il luogo di conservazione “dei volti”. Per quanto Google sottolinei che i profili facciali siano memorizzati ed elaborati sul dispositivo stesso (Nest Hub Max), il colosso di Moutain View ammette che occasionalmente invia alcuni dati sul suo cloud per aiutare a migliorare “l’esperienza del prodotto”. Google, tuttavia, specifica che tutti i dati facciali che finiscono sul suo cloud vengono cancellati subito dopo il “miglioramento” del prodotto. Google Photos, invece, ha una tecnologia di riconoscimento facciale da qualche anno. Con essa, puoi lasciare che Google scansioni la galleria di foto per aiutare a identificare ed etichettare le persone che appaiono in quelle immagini.

 

Il riconoscimento facciale di Meta (Facebook.)

A differenza di Google, la recentemente nominata multinazionale di Menlo Park “Meta” (proprietaria di Facebook e di altre piattaforme) sta procedendo verso un abbandono – stando a quanto dichiarato – dell’uso del riconoscimento facciale sulle sue piattaforme.

 

Meta ha affermato alcune settimane fa di voler smettere di utilizzare il suo software di Intelligenza Artificiale deputato al riconoscimento automatico delle persone partendo dalle foto e dai video pubblicati sulle sue piattaforme (principalmente Facebook ed Instagram), segnando un cambiamento enorme sia per l’industria tecnologica che per una società nota al grande pubblico per la raccolta di grandi quantità di dati personali di iscritti (e non) alle sue piattaforme.

 

Jerome Pesenti, del dipartimento di Intelligenza Artificiale di Meta, ha affermato che il più grande social network del mondo chiuderà il suo sistema di riconoscimento facciale nelle prossime settimane come parte di una mossa a livello aziendale per limitare l’uso del riconoscimento facciale nei propri prodotti.

 

Meta, tuttavia, continuerà a lavorare sulla sua tecnologia di riconoscimento facciale, con lo scopo di implementarla su nuovi prodotti, come ad esempio i già discussi (e già sotto la lente del Garante Privacy) occhiali a realtà aumentata implementati con Ray-Ban (gruppo Luxottica).

 

Per Pesenti le preoccupazioni sarebbero dovute principalmente ad una mancanza di regolamentazione del settore del Riconoscimento Facciale (principalmente negli Stati Uniti).

 

Per Woodrow Hartzog, un professore di diritto e informatica alla Northeastern University di Boston (USA), la decisione di Meta sul punto in esame è una vera e propria vittoria che mostra la necessità di una continua difesa della privacy e della protezione dei dati degli utenti, sottolineando che tali tecnologie non sono – in fin dei conti – indispensabili per i consumatori.

 

La mossa inaspettata di Meta – comprensiva della cancellazione dei dati degli utenti già presenti sulle sue piattaforme – segna un decisivo cambio di rotto per Meta, che è stata – quando si chiamava Facebook – tra le prime aziende a sostenere l’utilità di tale tecnologia. Per anni, il colosso di Menlo Park ha permesso alle persone di optare per un’impostazione di riconoscimento facciale che li avrebbe automaticamente etichettati in foto e video – una mossa di cui ha massicciamente beneficiato Facebook, in quanto ha reso più facile per gli utenti di interagire con gli altri, portandoli a trascorrere ancora più tempo sulle piattaforme social della compagnia.

 

Tuttavia il software di riconoscimento facciale di Meta è stato irto di controversie, “infestato” com’era da numerosi pregiudizi circa l’etnia dei suoi utenti (problemi che, peraltro, affliggono l’Intelligenza Artificiale da anni). Per esempio, la tecnologia di Meta ha dimostrato di essere meno accurata quando identifica le persone di colore; sul punto diversi uomini di etnia afroamericana sono stati ingiustamente arrestati a causa dei pregiudizi del riconoscimento facciale. Mentre – come dichiarato da Pesenti – non c’è una legislazione nazionale statunitense che regoli l’uso della tecnologia in esame, un numero crescente di stati e città USA stanno adottando le loro regole per limitare o vietare l’uso del riconoscimento facciale.

 

Tuttavia, per alcuni la mossa di Meta non è un addio ma un arrivederci. Per Caitlin Seeley George, direttrice della campagna per il gruppo di diritti digitali “Fight for the Future”, siamo di fronte ad una trovata pubblicitaria di Meta, poiché il colosso di Zuckerberg non ha intenzione di smettere di lavorare sulla tecnologia di riconoscimento facciale. La sta, per il momento, spostando su altri prodotti da implementare. Staremo a vedere nei prossimi mesi come evolverà la questione.

(Luigi Mischitelli).

 

 

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Quale futuro per il mondo?

Co2 per produrre alimenti.

Caos e dazi.