“Attorno a noi hanno costruito un recinto di regole morte
“Attorno a noi hanno costruito
un
recinto di regole morte. Liberiamocene !”
Disagio
sociale, per Mario Caligiuri
«Può
esplodere se il Pnrr non sarà efficace»
Calabria.live
- Redazione -FRANCO BARTUCCI - (13
Gennaio 2022)- ci dice :
«Il disagio sociale può esplodere se il Pnrr
non sarà efficace». Lo ha sostenuto il prof. Mario Caligiuri, Presidente della
Società Italiana di Intelligence, nel corso di una sua lezione nell’ambito del
Master su l’Intelligence in corso di svolgimento all’Università della Calabria.
Il
docente ha esordito affermando che «il compito dell’intelligence è di
prevedere quanto può accadere. Pertanto il tema del disagio sociale potrebbe
essere prioritario nelle attività dei Servizi». Ricordando come questo fenomeno sia
presente da tempo e in maniera diffusa nella società, Caligiuri ha analizzato
la questione collegandola non solo alla sicurezza nazionale ma anche allo
scenario digitale, in quanto «viviamo contemporaneamente in tre dimensioni:
fisica, virtuale e aumentata; questa
ultima intesa come integrazione tra uomo e macchina che estende le possibilità
dell’umano».
Citando
il recente rapporto dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale “Il mondo che verrà 2022”, Caligiuri ha evidenziato come il tema della disuguaglianza stia
progressivamente crescendo con la globalizzazione e in Italia più che altrove, tanto
che il divario di reddito tra il 10% più ricco e il 10% più povero ha raggiunto
il rapporto di 11 a 1, superiore alla media internazionale.
Riprendendo
il saggio di Yves Mény “La nuova e vecchia rabbia”, Caligiuri ha illustrato come la
storia sia caratterizzata dall’avvicendarsi di periodi di pace e di momenti
sanguinosi,
in quanto la violenza è insita nello sviluppo umano.
I miglioramenti sociali sono stati il risultato,
secondo Mény, di violenze e disordini oppure sono stati il premio ad eventi
traumatici, come i diritti sociali ottenuti dopo le due guerre mondiali.
Il
docente ha poi esaminato le principali cause che contribuiscono alla formazione
del disagio sociale. Tra queste vi sono l’inarrestabile immigrazione
collegata con il declino demografico, la perdita di potere di acquisto dei
cittadini occidentali, la trasformazione del lavoro con l’affermarsi di quello
precario su quello stabile, l’impatto sconvolgente dell’intelligenza
artificiale e la società della disinformazione, della quale le fake news
rappresentano l’esempio meno pericoloso, poiché la vera disinformazione proviene
dalla propaganda di Stato e dalla comunicazione istituzionale.
Ha
quindi spiegato che la società della
disinformazione si caratterizza per la dismisura delle informazioni da un lato e per
il basso livello di istruzione sostanziale dall’altro, determinando un corto circuito
cognitivo che allontana le persone dalla comprensione della realtà.
«La pandemia – ha precisato – rappresenta la
materializzazione della società della disinformazione, con l’evidenza dei no vax che, senza entrare nel merito, sono
in ogni caso la manifestazione evidente del crescente disagio sociale».
In
merito all’intelligenza
artificiale,
ha evidenziato che sarà destinata a sostituire molte professioni, sia
ripetitive che intellettuali. Caligiuri ha citato uno studio del Dipartimento del Lavoro
statunitense secondo il quale il 64% delle persone che si iscrivono adesso nelle
scuole, una volta terminati gli studi, svolgeranno una professione che ancora
non è stata inventata. Ha quindi proseguito sostenendo che «non abbiamo ancora sviluppato una
coscienza dell’intelligenza artificiale, poiché manca la consapevolezza delle
conseguenze dell’intelligenza artificiale, che è prevalentemente in mano ai
privati».
Successivamente
ha illustrato il disagio esistenziale, che proviene da lontano, sottolineando come si stia assistendo
a una dilatazione del disagio nella società, tanto che aumentano i disturbi
psicologici e psichiatrici.
«Il
disagio sociale reale – ha poi spiegato – si evidenzia e si espande anche a
livello digitale ed ha marcati risvolti
sociali e politici. Gli esempi sono numerosi come le controverse Primavere
arabe, i tentativi di condizionamento elettorale in numerose nazioni, le rivelazioni di Wikileaks che
dimostrano lo scarto tra dichiarazioni ufficiali dei governi e comportamenti
reali, il
terrorismo che viene amplificato dalla Rete come dimostra il caso dell’Isis, il protagonismo della criminalità nel
web con i crescenti crimini informatici».
«Occorre
– ha sottolineato – un sistema che tuteli il diritto dei cittadini alla
sicurezza, concetto ampio che comprende non solo la sicurezza fisica intesa
come controllo dei confini, ma anche quella sociale, alimentare e sanitaria. In tale scenario l’attività di
intelligence orientata alla sicurezza diventa ancora più rilevante».
Caligiuri
ha infine esaminato il contesto italiano, ricordando come un giovane su quattro
tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora, determinando un costo annuo per
la società nazionale di circa 36 miliardi di euro. Il docente ha poi esposto che «prima della pandemia più di un
quinto dei nostri connazionali aveva difficoltà a pagare le spese mediche e più
di cinque milioni e mezzo, negli ultimi tre anni, si sono indebitati per pagare
le spese sanitarie. Tali indicatori rappresentano un malessere economico
strutturale. A questo si deve aggiungere la disoccupazione giovanile, molto elevata
nelle regioni meridionali, che alimenta le mafie».
Soffermandosi
sulla dimensione digitale, ha ribadito la necessità di una cyber education che deve essere intesa come uno
strumento decisivo da insegnare obbligatoriamente nelle scuole, poiché «la
forza maggiore di una nazione è rappresentata da una cittadinanza istruita».
Infine,
Caligiuri ha ribadito che il disagio sociale potrebbe essere utilizzato come
paradigma interpretativo della realtà contemporanea, in quanto costituisce la
manifestazione più evidente della crescente disuguaglianza globale. Pertanto, ha affermato il docente,
«se il disagio sociale diventasse fuori controllo potrebbe rappresentare un
problema fondamentale di sicurezza nazionale, poiché potrebbe avere grave
ripercussioni sulla credibilità e sulla stabilità delle istituzioni,
richiedendo pertanto la necessaria attività preventiva dell’intelligence».
«Molto
dipenderà – ha concluso – dal reale impatto delle misure del PNRR, augurando
che non si risolva in propaganda e distrazione di massa, perché rappresenta l’occasione per
realizzare interventi concreti e strutturali, soprattutto nelle regioni
meridionali».
(Disagio
sociale).
SE
L’AGENZIA DELLE ENTRATE TRATTA
DATI
SANITARI È UN PROBLEMA.
Comedonchisciotte.org-
Redazione CDC- Jacopo Brogi-(08 Gennaio 2022)- ci dice :
(privacychronicles.substack.com/p/se-lagenzia-delle-entrate-tratta).
Dalle
ultime informazioni sembra che sarà l’Agenzia delle Entrate (AdE) ad irrogare
le sanzioni in caso di violazione dell’obbligo vaccinale covid-19 che dovrebbe
entrare in vigore per gli over 50 col prossimo decreto legge.
Questa
è una notizia che passerà in secondo piano e che certamente non farà storcere
il naso a molte persone, ma che invece dovrebbe essere esaminata e valutata come un
grave rischio democratico nel nostro paese.
Prima
di tutto, l’Agenzia delle Entrate è un ente pubblico le cui competenze sono
stabilite per legge (Decreto Legislativo del 30/07/1999 n. 30):
“All’agenzia delle
entrate sono attribuite tutte le funzioni concernenti
le entrate
tributarie erariali che non sono assegnate alla competenze di
altre agenzie,
amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti od
organi, con il
compito di perseguire il massimo livello di adempimento degli
obblighi fiscali sia
attraverso l’assistenza ai contribuenti, sia attraverso
i controlli diretti
a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale.”
In
sostanza, l’Agenzia delle Entrate è competente per tutto ciò che riguarda i
controlli fiscali, gli accertamenti e la gestione dei tributi, e il recupero
dell’evasione fiscale.
Che
questo ente possa comminare sanzioni per la violazione di un obbligo sanitario,
è molto peculiare (per usare un eufemismo), considerando che tale funzione
esula dalle competenze dell’Agenzia delle Entrate.
Le
sanzioni relative alla violazione di altri obblighi vaccinali in Italia sono
infatti irrogate a seguito di contestazione da parte della ASL territorialmente
competente.
Ma,
ma, ma… c’è un motivo se stavolta il governo ha scelto di passare attraverso
l’AdE.
E quel
motivo è che l’AdE è probabilmente l’ente statale che ad oggi ha gli strumenti
migliori per trattare in tempo reale i dati di ogni cittadino italiano e
determinare, attraverso l’incrocio dei dati sanitari, chi si è vaccinato e chi no, e
quindi emettere una sanzione.
L’incredibile
efficienza di questo sistema verticale, invece che orizzontale (ASL
territoriali) è possibile grazie al trattamento di dati sempre più
centralizzato e accentrato da parte dello stato italiano.
Ma
possono farlo?
Sì,
grazie al Decreto Capienze (DL 139/2021), che a ottobre 2021 ha inaspettatamente
riformato il Codice Privacy italiano. Con questa riforma la pubblica
amministrazione adesso è sempre legittimata a trattare, comunicare e diffondere
dati personali anche senza che questo sia previsto da un atto di legge. Sarà sufficiente un atto
amministrativo generale (che non è una fonte di legge).
Questo
aumenta a dismisura il potere informativo della pubblica amministrazione, che
ora non dovrà più perder tempo dietro a noiose e complesse leggi per tutelare
la privacy e i diritti delle persone. E infatti, non ci sarà alcuna legge
che disporrà queste tutele nei confronti dell’ AdE.
Ma c’è
di più. Il
DL Capienze ha anche modificato il DL “rilancio” (34/2020), aprendo la strada a
preoccupanti scenari di profilazione di massa della popolazione italiana, che
riporto come immagine per comodità:
DL
34/2020 modificato dal DL 139/2021.
In
pratica, il Ministero della Salute è oggi autorizzato a incrociare dati, anche
non relativi alla salute per finalità di programmazione tecnico-sanitaria e per
il conseguimento della missione 6 del PNRR. Ma lo stesso può dirsi per le altre
amministrazioni pubbliche, che potranno trattare e incrociare anche dati
relativi alla salute, grazie alla modifica dell’art. 2-sexies del Codice
Privacy. Ciliegina sulla torta: la stessa prerogativa è stata estesa alle forze
armate per finalità di sicurezza pubblica.
Insomma,
il panorama italiano oggi è che lo Stato vede e può tutto, e che non c’è più
alcuna disconnessione funzionale tra enti e istituzioni.
Il DL
Capienze è stato duramente criticato da me e da chi come me si interessa della
materia, con tanto di audizioni in Commissione Affari Costituzionali in Senato,
per evidenziare i gravi problemi che derivano da questa deriva malsana della
normativa privacy italiana. Purtroppo non siamo stati ascoltati. Qui un
approfondimento.
Quali
sono i problemi?
I
problemi di questo libero arbitrio sul trattamento dei dati sono diversi e non
tutti manifesti.
Sicuramente
c’è un problema di trasparenza e di processo democratico: senza legge non c’è
dibattito politico. Senza trasparenza e senza dibattito politico crollano i
principi democratici e l’attività della pubblica amministrazione diventa autoritaria
by default.
Come
può il cittadino difendersi dal potere informativo dell’Agenzia delle Entrate
se non c’è neanche una legge a tutela contro questo libero arbitrio?
Quali
sono le garanzie in caso di errore?
Se il
trattamento è automatizzato, quali sono i rimedi previsti per ottenere
l’intervento umano? Come può la persona mantenere il controllo dei propri dati
che adesso rimbalzeranno da un ente all’altro e saranno incrociati tra loro per
creare nuovi dataset e database senza alcuna trasparenza?
Quali sono le garanzie contro gli effetti
della profilazione di massa?
Come
possiamo semplicemente fidarci di enti come l’Agenzia delle Entrate, capitanati
da persone che negli scorsi mesi si sono fatti espressamente portatori di una
insensata guerra contro la privacy?
Una
dichiarazione di Ruffini, da un mio altro articolo su Agenda Digitale.
Ricordiamo
poi che nel 2020 il Garante Privacy si era espresso molto duramente sui
provvedimenti attuativi della fatturazione elettronica proposti dal Direttore
dell’AdE, paragonandoli
a un regime di sorveglianza di massa della totalità dei cittadini italiani.
Il
rischio, in sostanza, è di creare un sistema di sorveglianza globale passiva, in grado di rivelare i suoi effetti
quando il governo ne ha necessità. Come adesso, nel caso delle sanzioni per violazione
dell’obbligo di vaccinazione contro il covid-19.
Le
possibili interazioni con il Green Pass.
E che
dire allora delle possibili interazioni con il sistema del green pass di questo
nuovo sistema tecno-legale creato con il DL Capienze?
Lo
Stato Italiano ha oggi il potere informativo per trasformare il green pass in
un sistema di punteggio sociale (social scoring) in grado di permeare ogni
singolo aspetto della vita di ognuno di noi.
È
proprio col prossimo decreto infatti che si stabilirà l’obbligo di esibire il green pass per
qualsiasi attività economica e sociale – salvo (per ora) per i servizi
essenziali.
E
allora, cosa vieta al governo italiano di unire la tecnologia del green pass
con la capacità tecnica e giuridica di incrociare ogni tipo di dato per creare
una sovra-struttura in grado di subordinare l’accesso a beni e servizi sulla
base del possesso di determinati requisiti (che possono andare ben oltre lo
stato vaccinale della persona)?
A ben
vedere, il green pass già oggi può essere equiparato a un grezzo sistema di
punteggio sociale.
Come
ho già avuto modo di spiegare qui, i sistemi di social scoring non sono altro che mezzi
per guidare il comportamento della “società” attraverso la manipolazione del
comportamento degli individui. Come arrivare a farlo? Attraverso un sistema di incentivi e
sanzioni, che in Cina danno vita a “redlist” e “blacklist”.
Qualche
“blacklist” cinese.
E lo
scopo del green pass, attraverso incentivi e sanzioni, è esattamente questo: incentivare un certo comportamento individuale per ottenere una
modificazione del comportamento della società verso i fini e gli ideali dello
Stato.
In
Italia abbiamo oggi tutti gli strumenti per mettere in campo un sistema del
genere:
Un’app
di stato (IO) con cui accedere a servizi pubblici, collegata con il green pass.
Un
sistema di gatekeeping (green pass) che ricopre virtualmente ogni attività umana in
modo capillare e pervasivo.
La
capacità di interconnessione di sistemi informativi e dati attraverso tutti gli
enti della pubblica amministrazione, con l’Agenzia delle Entrate all’apice del
sistema sanzionatorio.
Un
sistema già avviato di incentivi e sanzioni subordinato al rispetto di un
requisito di legge (vaccino-tampone), che può essere facilmente esteso a ogni
altro ambito.
La volontà
politica di accentrare tutto il potere informativo e diminuire la
frammentazione tra sistemi.
Cosa
manca per trasformare il green pass in un vero sistema di punteggio sociale con
requisiti ulteriori rispetto a quelli attualmente previsti? A ben vedere,
niente. Se
ci fosse la volontà politica (leggi: consenso da parte della popolazione)
sarebbe possibile anche già da domani.
Quindi?
E
quindi, la notizia dell’Agenzia delle Entrate che sanzionerà in caso di
violazione dell’obbligo vaccinale si porta dietro tutta una serie di
considerazioni che vanno ben oltre il caso specifico.
Non è
un caso che la riforma del Codice Privacy, così inaspettata e “casuale” sia
arrivata in realtà in un momento in cui il governo italiano si dimostra uno dei
più autoritari di sempre.
Il “whatever it takes” di Draghi.
La
privacy è letteralmente l’unica difesa contro l’ingerenza arbitraria da parte
dello Stato, sempre più incentivato a controllare, sorvegliare e manipolare le
persone e le informazioni. E questo è il motivo per cui in Italia e in Europa,
nonostante i bei proclami, la privacy valga sempre meno.
È una
questione di autodeterminazione e di libertà, intesa come possesso del proprio
corpo e della propria identità (fisica e digitale), contro qualsiasi manipolazione e
ingerenza da parte di uno stato (comunista alla cinese ) sempre più grande e senza limiti.
(Jacopo
Brogi per ComeDonChisciotte.org).
L’azitromicina serve per 4 ragioni.
Laverita.info-
Dott.ssa Silvana De Mari -(18-1-2022)-ci
dice :
Chi la
attacca dice che un antibiotico non funziona perché la natura del Covid è
virale. In
realtà , complicanze batteriche ci sono sempre. Come dietro le polmoniti
interstiziali.
Dopo
l’annosa e ridicola guerra
all’idrossiclorochina , ora comincia la guerra all’azitromicina .
Il
medicinale manca nelle farmacie ,dove scarseggia anche la idrossiclorochina, e
a reti unificate ci stanno informando che questo succede per l’infame
cattiveria dei medici che usano un antibiotico ( che serve contro i batteri )
per curare una malattia virale , e per l’isterismo della popolazione che sta
facendo scorta di medicinali. Faccio parte dei cattivi. Quelli buoni , che vi
spiegano che l’azitromicina non serve
nella Covid perché è una malattia
virale e gli antibiotici servono contro le malattie batteriche , sono gli
stessi che vi raccontano che la pessima tachipirina , nome d’arte del
paracetamolo , è il farmaco di prima
scelta per la malattia in questione. Il paracetamolo è un antipiretico
praticamente privo di una solida capacità antinfiammatoria e con la pessima abitudine di abbattere il prezioso glutatione che combatte l’infiammazione.
Il
paracetamolo non la contrasta e la peggiora. Il primo a ipotizzare a ipotizzare
la terapia a base di vitamine D, K , C, zinco , antiinfiammatorio non steroideo (aspirina o ibuprofene )
,idrossiclorochina ,azitromicina , cortisone
e eparina , è stato il virologo Didier Raoult , dell’Istituto ospedaliero
universitario Méditerranée e infection di Marsiglia ,che ha spiegato come il trattamento precoce dei pazienti affetti da Covid-19 con almeno 3 giorni di idrossiclorochina e l’azitromicina
determinano un miglioramento molto più netto
di tutti gli altri trattamenti .
Queste
affermazioni sono state confermate dal professor Cavanna nel marzo 2020 e ulteriormente confermate dalle migliaia di medici che hanno applicato questo
protocollo. Per quale motivo diamo un
antibiotico in una malattia virale ?
Per
quattro motivi ,ognuno dei quali da solo giustificherebbe l’uso di questo
farmaco.
1)- Noi non possiamo essere certi
,nemmeno a fronte di un tampone positivo ,test molto aleatorio, che il nostro
paziente abbia un virus e non un
batterio, o non li abbia entrambi. Se una persona ,soprattutto una persona non
giovane , si presenta sempre con febbre e sintomi respiratori ,nel 70 % dei casi
si tratta di una patologia batterica. Questo paziente può anche avere un tampone positivo , ma quel
numero, 70 % , è troppo alto perché un medico abbia il comportamento
assolutamente irresponsabile di non
prescrivere un antibiotico.
Sono
un medico .Mi assumo la responsabilità
fini all’ultima sillaba di quello che
affermo.
Non
prescrivere immediatamente un antibiotico in una persona anziana che presenta febbre e sintomi respiratori
importanti è irresponsabile, ed è una delle cause del disastro sanitario Covid-19.Molte
polmonite interstiziali durante la cosiddetta
pandemia sono risultate causate da micro-plasmi o altri patogeni.
Non
dare antibiotico in una polmonite interstiziale , perché si è convinti che si tratti di una patologia
virale e puramente virale , è un errore
di una gravità imperdonabile , un errore che molti pazienti possono
pagare molto caro.
2)-Le infezioni virali nell’80% dei
casi si complicano con infezioni batteriche .La Sars 2 Covid 19 si complica con facilità
con una infezione di micoplasmi , microrganismi peri quali
l’azitromicina è un farmaco ottimale .
3)-La Sars 2 Coivid-19 è una malattia
che causa danno attraverso una tempesta
infiammatoria ,una cascata di citochine.
Per combatterla occorrono gli antiinfiammatori
e l’antinfiammatorio più efficace
è il cortisone. Il cortisone però può deprimere il sistema immunitario ,
favorendo la sovra infezione batterica ,dove il paziente non sia protetto da antibiotico.
4)-I macrolidi hanno una certa azione antivirale, e già era
stata sfruttata nella cura dei virus
Ebola e Zika. L’azitromicina migliora la
produzione dell’interferone 1 che ha azione antivirale. In una prima
fase della malattia i macrolidi
intralciano l’ingresso del virus interferendo con il ganglioside GM .Il virus
entra nelle cellule o attraverso i ricettori
per l’enzima di conversione
dell’angiotensina (ACE2), oppure attraverso il ganglioside GHM1.
Per quanto riguarda l’affermazione piena di disprezzo
contro i cittadini che si sono premuniti procurandosi i farmaci corretti nel caso di eventuale
patologia , dichiaro ce questi cittadini
hanno fatto l’operazione corretta. In una situazione folle dove moltissimi
medici negano le cure ai pazienti , dando Tachipirina e vigile attesa ,
procurarsi i farmaci per la terapia domiciliare è l’operazione corretta.
Se si hanno in
casa , ance un medico che non può più prescrivere ricette in quanto sospeso dall’ordine perché ha rifiutato di farsi
inoculare farmaci sperimentali con i
contratti secretati e lo scudo penale per chi lo fabbrica e chi li inietta può
seguire il paziente. In una situazione
folle di isterismo di massa provocata da
una comunicazione folle , avere questi farmaci in casa ha rasserenato molti e questo da solo sarebbe un
ottimo motivo.
Ma il motivo principale è che la grande maggioranza
dei medici continuano a prescrivere la tachipirina e l’ancora più
indecente vigile attesa.
E’ stato appena vinto un ricorso al Tar, per questo. Indipendentemente dal ricorso,
prescrivere paracetamolo che
abbatte il glutatione in una malattia
virale è sbagliato.
Un medico non è giustificato a far una scelta sbagliata per seguire un
protocollo sbagliato. Il fatto che negli
ospedali siano state fatte
fleboclisi somministrando paracetamolo
per endovena è ancora più grave.
Tutti i miei
complimenti ai padri e madri di famiglia che, intelligentemente , si sono
procurati farmaci
giusti.
(Silvana De Mari
).
(Ndr : ma i delinquenti non dovrebbero finire in
galera su condanna della magistratura ?).
L’infettivologo
Bassetti: «Cambiare la
testa
di chi ci governa soprattutto nell’ambito
del Ministero della
Salute».
Fare come propone la
Spagna:
«Trattare il
Covid-19 come un’influenza»
Korazym.org - Vik
van Brantegem- (11 Gennaio 2022)- ci dice :
Lo stiamo dicendo da
tempo e adesso all’Adnkronos Salute [QUI] Matteo Bassetti [foto di copertina],
il Direttore della Clinica di Malattie infettive all’Ospedale San Martino di
Genova, ci arriva, facendo il punto della situazione epidemiologica. «Il Covid-19
in Italia “corre a prescindere da quello che riusciamo a fare. Lo vediamo,
arriveremo a 300mila positivi al giorno, ma il sommerso di casi è almeno 2-3
volte di più. La pandemia si sta trasformando in endemia, dobbiamo cambiare
strategia e credo che sarebbe il caso di chiudere il report serale con i numeri
del Covid in Italia».
Il siero
anti-Covid-19 non impedisce la circolazione del Sars-CoV-2, ma serve solo ad
evitare le conseguenze gravi del Covid-19, per breve tempo, e non sempre, a
quella ristretta fascia di persone particolarmente fragili. Sostenere che se
tutti si vaccinano nessuno più, o quasi, si ammalerà a causa del coronavirus è
una truffa. Sostenere che il siero immunizza è una truffa. Sostenere che con il
Green Pass stiamo al sicuro, non ci si ammala è una truffa.
La Spagna si sta
preparando a gestire la pandemia come un’influenza «e non vedo grosse
differenze tra quel Paese e l’Italia. Dobbiamo cercare di cambiare la testa di
chi ci governa soprattutto nell’ambito del Ministero della Salute con meno
teoria e più pratica. Anche l’Italia è pronta a svoltare da pandemia a endemia
[cioè, per capirci, un’influenza]. Ci sono però troppe leggi, leggine, lacci e
lacciuoli, che ci stanno complicando la vita in maniera impressionate. L’Italia
con un cambio di passo segua il modello spagnolo» [la Spagna, appunto, vuole
trattare il Covid-19 come un’influenza], continua Bassetti.
«Attribuire ogni
comportamento realizzato da singoli o gruppi a tutti i non vaccinati “I NO
VAX”, come fossero categoria omogenea che opera all’unisono, è una delle più
volgari, false, luride e violente operazioni di linciaggio morale di una
minoranza mai viste» (Gavino Sanna).
Draghi-ha-sempre-ragione
(San Giorgio aiutaci contro il drago) in retromarcia in modo ciclico: torna un lockdown
di fatto. «Vorrebbero farci credere che i problemi organizzativi nelle scuole,
i divieti, i danni al turismo, all’economia, la diffusione di Omicron tra
vaccinati, le file per un tampone, la figuraccia a livello internazionale, sia
tutta colpa della minoranza non vaccinata. Del governo mai. Come disse Salvini
lasciandomi impressionata: “Draghi ha sempre ragione”» (Azzurra Barbuto
@AzzurraBarbuto – Twitter, 11 gennaio 2022). Era urgente, nel pensiero del
Governo, rientrare a scuola in presenza per evitare la Dad e di farlo con
regole precise e stringenti: non si può fare merenda, non si può azionare il
riscaldamento e bisogna areare gli ambienti tenendo le finestre aperte per
evitare il contagio. Si muore dal freddo e nel frattempo si seguono conferenze
di esperti esterni con Google Meet. #statodifollia con il #brancodibalordi
«Per i pro vax
oltranzisti muoiono tutti di Covid, per i no vax oltranzisti muoiono tutti di
vaccino. Nell’uno e nell’altro caso siamo davanti a irriducibili coglioni»
(Azzurra Barbuto).
E Pfizer annuncia:
«Entro marzo il vaccino contro Omicron». Molto utile sapere questo nell’inverno
quando il Coronavirus cinese di Wuhan corre con il freddo umido e c’è ancora
che dice che con l’infame Green Pass lo ferma. Dopo marzo la situazione si
migliora di nuovo e il nuovo vaccino di Pfizer farà il “miracolo”, mentre il
calore e i raggi solari penseranno a uccidere il Sars-CoV-2 come la luce fa con
i vampiri. E come i vampiri, Big Pharma succhia nostro sangue come promesse e
bugie.
La Conferenza
Episcopale Italiana, ormai il filiale del Ministero della salute del bullonato
Speranza 1%, suggerisce le mascherine FFP2 per Santa Messa e gli incontri di
catechismo, «vista la recrudescenza dei contagi da Covid-19» e torna a
raccomandare – con la velina di Speranza e la voce del Padrone – «prudenza,
senso di responsabilità e rispetto delle indicazioni utili a contenere
l’epidemia». Nel frattempo il Papa batte sempre lo stesso chiodo nel suo saluto
al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede: vaccinare il più
possibile la popolazione [per salvare il corpo], no ideologie. Ci saremo
aspettato di sentire: battezzare e amministrare il più possibile i sacramenti
alla popolazione (per salvare l’anima), sì al Vangelo. La legge suprema della
Chiesa è la salvezza delle anime (Canone 1752). Salvare il corpo in questa vita
(breve) è il bene. Questo è la missione dei medici. E ognuno è libero di
scegliere medico e cura (secondo la Costituzione). Salvare l’anima in questa
vita e per la vita che ci attende (eterna) è il supremo bene. Questo è la
missione dei sacerdoti. E ognuno è libero di scegliere sacerdote e sacramenti
(secondo il Vangelo). Tutto il resto è ideologia. No ideologie. No ideologia
sanitaria. No Super Green Pass per i sacramenti.
Sarebbe opportuno
che il Santo Padre iniziasse – dopo due anni di esortazioni e raccomandazioni –
a mettersi anche lui la mascherina, non solo quando cammina nei corridoi vuoti
del Palazzo Apostolico (quando il Reggente della Casa Pontificia accanto a lui
se la toglie), ma anche negli incontri (non solo per proteggere le persone che
incontra, ma per proteggere anche se stesso).
Nel saluto al Corpo
diplomatico il Papa continua a promuovere il siero come obbligo morale per
tutelare gli altri. Dice: «I vaccini non sono strumenti magici di guarigione,
ma rappresentano certamente, in aggiunta alle cure che vanno sviluppate, la
soluzione più ragionevole per la prevenzione della malattia» e «proseguire lo
sforzo per immunizzare quanto più possibile la popolazione». Già in campo
teologico non eccella ma in campo scientifico è bocciato. Il mantra
dell’”obbligo morale” fa stancare pure il teologi e la scienza dice che il
siero non tutela gli altri, visto che anche i vaccinati possono essere
contagiati e contagiare gli altri. Poi, il siero non immunizza, non neutralizza
il virus, come un vaccino farebbe, mentre il siero agisce sui sintomi, cose che
un vaccino non fa. Continua a fomentare l’ignoranza di coloro che ripetono a
sinapsi spenti: «Intanto i non vaccinati muoiono, dopo essersi ammalati, aver
occupato e rubato posti in terapia intensiva e in reparto che sarebbero toccati
ad altri malati generici e averli costretti forse alla morte. No: la posizione
dei no-vax non può avere alcuna ragione».
Condivido quanto
segue dal profilo Facebook di due cari amico e lo condivido, da vaccinato con 2
dose e il booster (rispettando le regole di protezione personale + regolarmente
auto-tamponato), contrario all’infame Green Pass.
«Anche i vaccinati,
finiscono in terapia Intensiva, e muoiono tanto quanto i non vaccinati. La
differenza? Avere la copertura dal virus nei due/tre mesi del contagio, perché
al terzo/quarto mese il vaccinato ha le stesse probabilità del non vaccinato di
finire in terapia intensiva. Perché dico questo? Ho esperienza diretta di un
parente che è finito in ospedale in forma lieve nel 2020, quando non c’era il
vaccino, ha effettuato le due dosi e aspettando la terza dose è stato
ricoverato in Terapia Intensiva ed adesso guarito dal virus mi ha detto che
questa volta è stata peggio di quando fu ricoverato senza vaccino. In TV te la
raccontano bene perché si devono parar le terga, ma la realtà non è la
narrazione che ci propinano. Fintanto che il vaccino agisce sui sintomi e non
neutralizza il virus i vaccinati corrono gli stessi rischi dei non vaccinati al
superamento dei due mesi di copertura (anzi spesso i vaccinati muoiono per
problemi legati al vaccino). Questo è tutto, vissuto da me, in quasi prima
linea (tra servizi di Protezione Civile, Servizi Cisom e volontariato diocesano)
che vivo vedendo la realtà delle cose» (C.D.C.).
«L’ultimo Decreto
legge del bancario Draghi Mario del 7 gennaio è costruito con continui richiami
di Decreti legge e leggi tra di loro connesse, precedenti e susseguenti, che
più che un gioco malefico di scatole cinesi, evoca gli “ara fara arimannia”
delle antiche comunità longobarde del nord Italia. È un qualcosa di
impenetrabile anche ad Indiana Jones. Si tratta di un prodotto di incapaci? No,
li si vuole proprio così in modo che la gente comune non capisca e non
capiscano neppure Avvocati e giudici perché poi intervengono i giudici (quelli
compiacenti verso il potere) a dare l’interpretazione e la applicazione più
gradita a chi pur illegittimamente detiene il potere governativo» (Augusto
Sinagra).
Poi, mentre il Sommo
Pontefice argentino si dedica al tango, l’infettivologo genovese Matteo
Bassetti si esercita nella piroetta – che nel dressage di alta scuola, è il
movimento circolare di raggio uguale alla sua lunghezza, imperniato su una sola
delle gambe posteriori – indeciso su quale tipo di musica spagnola muoversi,
tra il flamenco, la copla, il cuplé, il fandango, la isa canaria, la jota, la
muñeira, i paloteos o balls de bastons, il pasodoble, le pardicas, la rebolada,
la sardana, il verdiales o la danza prima.
Bassetti: “Basta col
report giornaliero, mette solo ansia”. “Importante sapere quanti in ospedale
con polmonite da Covid”
Costa: “Proposto a
Speranza una riflessione sul Report quotidiano”.
(ANSA, 11 gennaio
2022).
“Questa modalità di
gestione del Covid deve cambiare. Non dobbiamo continuare a contare come malati
di Covid quelli che vengono ricoverati per un braccio rotto e risultano
positivi al tampone. Bisogna anche finirla col report serale, che non dice
nulla e non serve a nulla se non mettere l’ansia alle persone, siamo rimasti
gli unici a fare il report giornaliero”. A dirlo è Matteo Bassetti, Primario di
Malattie infettive all’Ospedale San Martino di Genova, intervenuto alla
trasmissione L’Italia s’è desta su Radio Cusano Campus. “Che senso ha dire che
abbiamo 250mila persone che hanno tampone positivo? Bisogna specificare se sono
sintomatici, asintomatici, sono ricoverati, stanno a casa – aggiunge – Da una
parte sono numeri che ci fanno fare brutta figura col resto del mondo, perché
sembra che vada tutto male e invece non è così, nella realtà altri Paesi che
hanno molti più contagi di noi cercano di gestirli in maniera diversa. Se
continuiamo così finiremo con l’andare in lockdown di tipo psicologico e
sociale. Continuando a fare tutti questi tamponi immotivati, arriveremo a un
punto che avremo talmente tanti positivi e contatti con positivi che l’Italia
si fermerà”.
Per Bassetti, “la
cosa importante sarebbe sapere quanta gente entra in ospedale con la polmonite
da Covid-19 e quanta gente invece entra in ospedale per altre patologie e ha un
tampone positivo”. “Bisogna capire se la pressione sugli ospedali è da
polmonite da Covid.19 oppure se è dovuto all’enorme numero di tamponi che viene
fatto – sottolinea – Ci vorrebbe una distinzione molto chiara. Bisognerebbe
ascoltare un po’ di più i medici. Oggi questo virus per la maggioranza dei
vaccinati dà una forma influenzale. Gli ospedali sono pieni di non vaccinati,
che devono vaccinarsi. Nella gestione della pandemia ci vuole un cambio di
passo necessario e urgente”.
“Condivido la
posizione di Matteo Bassetti circa l’inutilità di un report giornaliero dei
contagi, perché il numero dei contagi di per sé non dice nulla. Da parte mia ho
proposto anche al ministro della Salute di fare una riflessione sull’attuale
sistema di report e la mia posizione è condivisa dal mio partito Noi con
l’Italia. Mi auguro che possa diventare maggioritaria all’interno della
maggioranza”. Lo ha detto all’ANSA il Sottosegretario alla Salute Andrea Costa,
sottolineando come nella situazione attuale “sia necessario soffermarsi
essenzialmente sui dati delle ospedalizzazioni e occupazione delle terapie
intensive”.
Covid, la piroetta
di Bassetti: seguiamo l’esempio della Spagna, è un’influenza non più una
pandemia.
(di Roberto Frulli).
(Secolo d’Italia, 11
gennaio 2022).
Matteo Bassetti,
icona della gestione della Pandemia Covid-19 firmata Draghi e Speranza volta le
spalle al governo e con una piroetta degna delle sue migliori frequentazioni in
smoking alla Scala getta a mare buona parte delle sue convinzioni che lo hanno
reso famoso nei suoi scontri in tivvù. La Pandemia? Non c’è più. Ora può
chiamarsi, al massimo, endemia. Insomma un’influenzetta.
Manco fosse un no
vax qualsiasi, Bassetti sostiene ora che bisogna seguire il modello Spagna,
cioè la scelta che ha fatto il premier spagnolo Sanchez di “derubricare” la
pandemia da Covid a semplice influenza. E trattarla, come un’influenza. Cioè
non come stanno facendo Draghi e Speranza.
“Il Paese è pronto a
svoltare, ma serve meno teoria e più pratica”, taglia corto Bassetti, parlando
con l’Adnkronos.
“Non vedo grosse
differenze tra quel Paese e l’Italia. Dobbiamo cercare di cambiare la testa di
chi ci governa soprattutto nell’ambito del Ministero della Salute con meno
teoria e più pratica – dice Bassetti lasciando Speranza col cerino acceso in
mano soprattutto dopo che anche il super consulente del ministro, Ricciardi,
gli ha voltato le spalle. – Anche l’Italia è pronta a svoltare da pandemia a
endemia”, aggiunge l’infettivologo genovese abbandonando le posizioni
stoicamente tenute fino ad oggi.
”Ci sono però troppe
leggi, leggine, lacci e lacciuoli, che ci stanno complicando la vita in maniera
impressionate – sostiene Bassetti lasciando quasi immaginare una sua discesa in
campo per tagliare questi nodi gordiani. – L’Italia con un cambio di passo
segua il modello spagnolo“.
“Abbiamo quasi il 90
per cento degli Italiani che sono vaccinati (in realtà 82 per cento, ndr) o
guariti dall’infezione, e in questi giorni con l’aumento imponente dei contagi
più e più persone si stanno proteggendo anche in maniera naturale
dall’infezione – ricorda il Direttore della Clinica di Malattie infettive
all’Ospedale San Martino di Genova. – Siamo quindi vicino all’immunità di gregge”.
”Dobbiamo finire di
fare alcune cose che andavano bene un anno fa ma oggi non vanno bene più –
ragiona Bassetti. – Il report giornaliero dei contagi che francamente non fa
altro che mettere ansia a chi lo legge; non ha più senso tamponare gli
asintomatici, concentriamoci su chi ha i sintomi come si fa con l’influenza;
classifichiamo come casi Covid solo chi ha una polmonite, ascoltando i medici”.
Ma su una cosa
Bassetti, nonostante le evidenze, continua a pensarla come prima, almeno per
ora: “Corriamo con le terze dosi; mettiamo l’obbligo vaccinale – insiste
l’infettivologo – per chi ancora non si è immunizzato perché sono queste le
persone che affollano gli ospedali; ma poi occorre avere una visione diversa,
avvantaggiare i vaccinati rispetto ai non immunizzati intervenendo sulla durata
delle quarantene“.
La svolta della
Spagna: “Tratteremo il Covid come un’influenza.”
La proposta
all’Unione Europea del Primo Ministro Sanchez: cambiare l’approccio al
Coronavirus
di Carlo Toto
(Nicolaporro.it, 11
gennaio 2022).
Mentre in Italia gli
animi continuano ad inasprirsi ed i cittadini vivono divisi in classi tra
vaccinati e non vaccinati, il Primo Ministro spagnolo Pedro Sanchez in
un’intervista alla radio Cadena Ser ha affermato: “Abbiamo le condizioni per
aprire, gradualmente e con cautela, il dibattito a livello tecnico ed europeo,
per iniziare a valutare l’evoluzione di questa malattia con parametri diversi
da quelli che abbiamo fino ad ora”. L’idea della Spagna è quella di gestire la
pandemia da Covid-19 al pari di una classica influenza, senza attivare
protocolli molto restrittivi e cancellando le classiche operazioni di test
preventivi ai primi sintomi. Dunque l’obiettivo sembra essere quello di
monitorare l’evoluzione Covid-19 e le sue varianti come qualsiasi malattia
respiratoria.
Spagna: il Covid-19
come l’influenza.
“Ora, data l’enorme
trasmissibilità del Covid-19, è una sfida molto grande rispettare rigorosamente
i protocolli di sorveglianza universali, sta diventando impossibile”, spiega a
El Pais Amparo Larrauri, capo del gruppo di sorveglianza per l’influenza e
altri virus respiratori al CNE. “Infatti, i protocolli hanno già cominciato ad
allentarsi e non sono più richiesti i test dei contatti diretti dei positivi se
ad esempio non presentano sintomi”, sottolinea. “Di fronte a questa nuova
realtà, stiamo lavorando al passaggio dalla sorveglianza universale a una
sentinella di infezione respiratoria acuta lieve nelle scuole primarie e grave
negli ospedali”.
Evitare la deriva
burocratica.
Una prova non solo di
coraggio e carattere quella della Spagna che oltre a salvaguardare il diritto
alla salute, tutela anche l’economia reale della società e le libertà personali
dei propri cittadini. Purtroppo in Italia la gestione della pandemia punta in
maniera costante sulle restrizioni delle libertà personali che stanno causando
moltissimi disagi alla popolazione. Nei vari lacci e laccetti burocratici è
finito di recente anche Nicola Porro che racconta così la sua disavventura: “Se
hai la sfortuna di essere il ‘contatto stretto’ di un positivo, anche se
asintomatico e con tampone negativo, finisci col doverti fare 5 o 10 giorni di
quarantena oppure sei costretto a girare (e lavorare, come nel mio caso) per
tutto il giorno con la mascherina FFP2. Un ‘lockdown burocratico’ di fatto che
con Omicron e la sua diffusione obbliga me a condurre da casa. Ma soprattutto
rischia di paralizzare il Paese”.
Boom di morti sotto
i 65 anni. Ma il Covid-19 non c’entra
La mortalità nel
2021 è peggiorata in tutta Europa. Soprattutto fra chi lavoro e nei giovani
di Paolo Becchi e
Giovanni Zibordi
Nicolaporro.it, 9
gennaio 2022
Abbiamo indicato in
diversi articoli e nel nostro libro Stop Vax (con Nicola Trevisan) come la
mortalità nel 2021 sia peggiorata in modo drammatico in Europa – secondo i dati
EuroMoMo – tra chi lavora e tra i giovani. È migliorata solo tra gli
ultra-ottantacinquenni, stabile tra 65 e 75 anni. Sotto i 65 anni un vero
disastro. Questo non è un effetto del Covid-19 per due ragioni: i morti Covid
sono al 96% sopra i 65 anni anche adesso e l’aumento dei morti totali è molto
maggiore di quelli classificati Covid-19 sotto i 65 anni. Ieri è apparsa una
conferma clamorosa di questo fenomeno.
Dagli Stati Uniti
arriva infatti la notizia che il Ceo della compagnia assicurativa OneAmerica,
Scott Davidson, ha detto che i tassi di mortalità attuali sono “i più alti mai
visti nella storia di questo settore, e non solo alla OneAmerica”: sono saliti
ora del 40% rispetto ai livelli pre-pandemia fra le persone in età lavorativa.
Visto che OneAmerica gestisce polizze vita, questo dato è cruciale per la sua
attività e gli attuari e gli statistici impiegati dalle assicurazioni sono
molto motivati a stimare in modo corretto la mortalità perché è il loro
business. Davidson ha aggiunto che non sono gli anziani a morire ma
“principalmente le persone in età lavorativa, fra i 18 e i 64 anni”. “Tanto per
darvi un’idea di quanto questo sia grave – ha dichiarato – una catastrofe da
tre sigma, ossia una di quelle che avvengono una volta ogni 200 anni, comporterebbe
un aumento del 10% rispetto al valore pre-pandemia, per cui il 40% è un valore
inaudito”.
In altre parole,
negli Stati Uniti in questo periodo c’è una mortalità eccezionale: qualcosa la
sta causando e il Ceo Davidson non avanza ipotesi. Alle compagnie assicurative
del ramo vita la causa della morte interessa poco: quello che conta è che
l’assicurato sia deceduto e poi le stime della mortalità per aggiustare il
costo dei premi. Davidson ha però dichiarato che nella maggior parte delle
richieste di riscossione di premi per il caso morte, il decesso non viene
classificato come “Covid-19”. “Quello che ci dicono i dati è che le morti che
vengono segnalate come da Covid-19 sottostimano di gran lunga i decessi tra le
persone in età lavorativa durante la pandemia. Sul loro certificato di morte
non è scritto Covid-19 nella maggioranza dei casi, ma i morti sono aumentati in
numero enorme.”
È evidente quindi
che c’è un’altra causa di morte oltre il Covid-19 che produce questo drammatico
e senza precedenti aumento di morti tra chi lavora e tra i giovani. Un +40%
sono numeri da tempo di guerra e infatti Davidson dice che non li ha mai visti
nella sua carriera (si tratta statisticamente di una deviazione di 3 volte
oltre la media). Nel 2021 però c’è un fattore nuovo che potrebbe spiegare
questa alta mortalità, oltre il Covid-19. Ed è la vaccinazione di massa. Anche
questo dato combacerebbe con quelli che abbiamo citato dall’Osservatorio
Europeo sulla Mortalità che indicano un record di mortalità per tutti quelli
sotto i 65 anni nel 2021 e molto in eccesso del 2020.
Bisogna che i
politici e i responsabili della politica sanitaria tolgano la testa dalla
sabbia, smettano la propaganda a senso unico, introducendo persino l’obbligo
vaccinale over 50, e rispondano al pubblico sul perché ci sono questi morti,
che non sono morti dovuti alla malattia virale.
La bufala del Pd
sulla fine della pandemia.
L’esponente Dem
confessa: il Partito democratico voleva il vaccino obbligatorio per tutti
(di Claudio Romiti)
(Nicolaporro.it, 8
gennaio 2022).
Intervistata da Sky
Tg24, la Dem Debora Serracchiani, parlando a nome del suo partito, ha espresso
una certa delusione per un obbligo vaccinale che non riguarda l’intera
popolazione. Col tono eroico di chi ritiene di salvare il Paese da una calamità
senza precedenti, queste le parole dell’attuale capogruppo alla Camera del Pd:
“Siamo sempre stati favorevoli all’obbligo vaccinale (per tutti). Questa è
stata la richiesta che abbiamo portato nell’ultimo Consiglio dei ministri. Poi
siamo in una maggioranza molto larga; siamo in una maggioranza che non la pensa
su alcuni temi allo stesso modo. C’è stata una resistenza, diciamo così, da
parte soprattutto della Lega e, quindi, si è trovato un punto di mediazione.
Questo punto di mediazione oggi ci dice che c’è una platea di circa 2 milioni e
mezzo di non vaccinati (appartenenti agli under 50) che vengono, con l’utilizzo
del super green pass, in qualche modo spinti, noi auspichiamo, alla
vaccinazione. Che è poi quello che serve per superare una volta per tutte
questa pandemia terribile”.
Ora, in primis,
vorrei consigliare all’avvocatessa Serracchiani di usare le parole giuste,
evitando di usare perifrasi eufemistiche onde addolcire l’amara pillola. Con il
brutale metodo di un green pass per ogni cosa, senza il quale ci si trova di
fatto in lockdown a tempo indeterminato, non si spingono le persone a
vaccinarsi, bensì esse si prendono letteralmente per la gola con un vergognoso
ricatto. In tal senso, così come hanno spesso sostenuto Massimo Cacciari e
Giorgio Agamben, tale odioso strumento sul piano costituzionale appare ben
peggiore dello stesso obbligo vaccinale.
Ma è sull’obiettivo
dichiarato dalla Serracchiani, l’uscita dalla pandemia attraverso una
vaccinazione di massa che non escluda nessuno, che casca fragorosamente l’asino
sui cui essa è seduta.
Come si fa, infatti,
a sostenere che senza renitenti al siero il virus sparirebbe dalla circolazione,
dal momento che gli stessi sieri non ne impediscono affatto la circolazione, ma
servono solo ad evitare le conseguenze gravi del Covid-19, e non sempre, a
quella ristretta fascia di persone particolarmente fragili?
Di fatto circa il
90% della popolazione interessata ha già aderito alla campagna vaccinale prima
dell’ulteriore stretta del governo, ma questo è ancora troppo poco per evitare
la catastrofe sanitaria? Quando poi
avremmo superato il 95% di vaccinati, la Serracchiani & company ci diranno
che per colpa di quel 5% di individui antisociali non possiamo ancora uscire da
un incubo che essi stessi hanno contribuito ad ingigantire con una valanga di
norme liberticide che definire confuse e contraddittorie è poco.
In realtà,
ascoltando il breve intervento della Serracchiani, assolutamente in linea con
le balle spaziali che molti suoi colleghi della maggioranza raccontano in ogni
dove sulla pandemia, mi è venuto in mente un celebre episodio di un altrettanto
celebre film di Totò, in cui il protagonista riesce con estrema facilità a
vendere la Fontana di Trevi ad uno sprovveduto acquirente.
Ebbene sostenere che
se tutti si vaccinano nessuno più, o quasi, si ammalerà a causa del coronavirus
è una truffa paragonabile a quella realizzata in Tototruffa 62. L’unico
problema, ahinoi, è che questa non è finzione, ma una allucinante realtà fatta
di obblighi e divieti che di sanitario oramai hanno ben poco.
Postscriptum.
Riassunto a cura di
Vincenzo Dalli Cardillo:
«1. Il siero agisce
sui sintomi del Sars-CoV-2 preservando per alcuni mesi.
2. Il siero non
neutralizza il Sars-CoV-2 e non ne modifica la struttura (senno creerebbe
varianti).
3. Il Sars-CoV-2 che
entra ed esce dal corpo di un vaccinato è lo stesso che entra ed esce dal corpo
di un non vaccinato.
4. Il siero protegge
i vaccinati, per alcuni mesi, dai sintomi causati dal Sars-CoV-2 mentre, nella
storia gli altri vaccini attaccavano l’agente patogeno (per questo serviva una
sola inoculazione per la vita), mentre l’attuale siero ha bisogno di booster
continui.
5. Il siero attuale
è progettato per il Sars-CoV-2 originale ormai non più circolante (clinicamente
morto).
6. Il siero attuale
non è progettato per la variante Delta, nemmeno per la variante Omicron.
7. Il siero non
agendo sul Sars-CoV-2 (non neutralizzato o modificato) rende infettivo il
vaccinato tanto quanto un non vaccinato.
Miliardi spesi,
tecnologie avanzate utilizzate, interessi di Stati, scienziati e ricercatori
coinvolti sono stati capaci di creare solo un siero che copre per qualche mese,
costringendo la gente a farsi inoculare a ciclo continuo fintanto che il
Sars-CoV-2 con le sue varianti si indebolisca autonomamente o muoia in modo
naturale.
Troppo poco direi se
comparato agli sforzi profusi e che negli ultimi due anni di esperienze e
ricerche nulla è cambiato inerentemente al siero (è ancora quello del dicembre
2020), forse perché devono finire le scorte già vendute.
Fortunatamente
esistono anche altri rimedi, anticorpi monoclonali, plasma iperimmune, pillole
anti-Covid-19 e soprattutto CURE DOMICILIARI PRECOCI».
«Già, peccato che
molti medici che hanno curato fin da subito la malattia, siano stati sospesi e
anche radiati… I casi sono due: mi ammalo e mi curo, oppure agisco in
prevenzione e non mi ammalo. Meglio la seconda, ma se uso un presidio che mi fa
ammalare tanto quanto gli altri, meglio aspettare di ammalarsi e curare la
malattia in modo mirato. Io la penso così, ma vediamo che si vuole imporre un
pensiero comune opposto, lascio fare in piena libertà, e pretendo analogo
riguardo… » (F.d.Z.).
Gibuti, il piccolo
stato africano
dove si confrontano le potenze mondiali.
Lindipendente.online
-Michele Manfrin-(17 GENNAIO 2022)- ci
dice :
Sale sempre di più
l’attenzione verso il piccolo Stato di Gibuti, affacciato sulle coste
dell’Africa Orientale nella parte meridionale del Mar Rosso, sul Golfo di Aden.
In posizione strategica rispetto al passaggio
dall’Asia all’Europa via Suez, l’ex colonia francese è diventata terreno di
scontro nella sfida globale tra la superpotenza statunitense e quella cinese.
La presenza militare
straniera a Gibuti risulta essere elevata, vista anche l’estensione
territoriale del piccolo Stato africano; oltre a Stati Uniti e Cina sono
presenti: Francia, Giappone, Arabia Saudita e Italia – presente dal 2013 con
una base anti-pirateria – mentre Germania, Regno Unito e Spagna sono presenti
appoggiandosi alle basi militari degli alleati.
Russia e India hanno
invece avanzato proposte di installazione. L’affitto delle aree ad uso militare
straniero sono la principale fonte economica di Gibuti, uno tra gli stati più
poveri al mondo: gli Stati Uniti pagano 63 milioni ogni 10 anni mentre la Cina
paga 20 milioni di dollari all’anno, tra soldi liquidi e investimenti
commerciali.
Gli Stati Uniti sono
insediati dal 2002 nell’ex base francese Camp Lemmonier, sede della Combined
Joint Task Force – Horn of Africa (CJTF-HOA) del Comando Africa degli Stati
Uniti (USAFRICOM o AFRICOM). Questa base ospita 4.000 unità tra personale
militare e civile e appaltatori del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti
e risulta essere la più grande base permanente USA su suolo africano.
Nel 2017, a poche
decine di chilometri a nord di Camp Lemmonier, la Cina ha costruito la sua
prima base militare all’estero, destando non poche preoccupazioni per la
strategia globale statunitense.
Sebbene due anni prima i cinesi si fossero già insediati nell’area, le
motivazioni apparivano di carattere commerciale, ovvero creare una struttura
logistica di interscambio funzionale all’espansione economica cinese nel
continente africano. La
struttura cinese, oltre a comprendere diversi tipi di forze, è dotata anche di
eliporto per droni e, dall’aprile dello scorso anno, anche di un molo lungo 660
metri per l’attracco di portaerei.
Il generale Stephen
Townsend di AFRICOM, sempre
lo scorso aprile, proprio in merito agli sviluppi della base cinese nel Paese,
ha lanciato moniti parlando al Comitato dei servizi armati della Camera,
definendola una «piattaforma
per proiettare il potere in tutto il continente e le sue acque».
Il generale ha anche aggiunto che i cinesi «cercano risorse e mercati per alimentare la crescita
economica in Cina e sfruttare gli strumenti economici per aumentare la loro
portata e influenza globale».
Ciò risulta essere una spina nel fianco per gli Stati Uniti e per lo Strategic Competition Act, di cui vi abbiamo parlato lo scorso anno, ovvero la strategia globale di contenimento e
offensiva nei confronti dell’ascesa cinese.
Secondo il generale,
senza fornire alcuna reale prova, Pechino vorrebbe costruire anche ulteriori
basi per legare «i loro
investimenti nei porti marittimi commerciali in Africa orientale, occidentale e
meridionale strettamente con il coinvolgimento delle forze militari cinesi al fine
di promuovere i loro interessi geo-strategici». Nel dicembre passato, prima il Wall Street Journal
e poi il New York Post, hanno riferito di funzionari governativi che hanno espresso preoccupazione per la possibilità che
la Cina si installi con una base anche sulla sponda atlantica dell’Africa e,
più precisamente, in Guinea Equatoriale.
Ciò che invece
risulta certo è che la base statunitense di Gibuti è un hub per l’addestramento
di forze etiopi, somale, ugandesi e di altri paesi africani. Inoltre, il Paese ospita emittenti di propaganda
regionali e gruppi privati che operano come agenzie umanitarie. Un cablogramma
pubblicato da Wikileaks, risalente al 2010, inviato dall’ambasciata degli Stati
Uniti a Gibuti alla CIA, riporta che Gibuti è sede di «strutture di trasmissione [del governo degli Stati
Uniti] utilizzate da Radio Sawa in lingua araba e dal Servizio somalo Voice of
America, l’unico magazzino USAID Food for Peace per aiuti alimentari di
emergenza pre-posizionati al di fuori [degli Stati Uniti continentali] e
strutture di rifornimento navale per le navi statunitensi e della coalizione».
Nello stesso anno,
Camp Lemonnier ha ospitato la prima conferenza al vertice di comando,
controllo, comunicazioni, computer, intelligence, sorveglianza e ricognizione
dell’Africa, per la guerra a distanza con i droni.
Due anni più tardi, BT (ex British Telecom) ha
costruito un cavo in fibra ottica da 23 milioni di dollari per la US Defense
Information Systems Network e la National Security Agency. Il cavo andava dalla Royal Air Force Croughton (a nord
di Londra) – gestita dalla US Air Force a Napoli (Italia) – fino a Camp
Lemonnier, utile alla “guerra a distanza”. Continue sono le esercitazioni militari e
l’addestramento di forze alleate e partner militari, tra il soft power della propaganda e la messa in mostra dei muscoli d’acciaio di navi e
velivoli, come accaduto lo scorso novembre.
È innegabile la
strategia economica aggressiva della Cina nel continente africano, tra
investimenti infrastrutturali e finanziamenti a lungo termine in cambio
dell’apertura di nuovi mercati e dell’estrazione di enormi quantità di risorse
minerarie. Al momento però
le forze militari sul continente africano sembrano essere alquanto impari con
gli Stati Uniti che certamente hanno una presa maggiore, sia direttamente che
indirettamente, su buona parte del continente.
Il piccolo Gibuti,
paese ad alto valore geostrategico, commerciale e militare, appare l’emblema di
un mondo multipolare dove le potenze si confrontano camminando spericolatamente
sul filo sottile che separa pace e guerra.
(Michele Manfrin).
LA PANDEMIA HA GIUSTIFICATO
NUOVE FORME DI SORVEGLIANZA DI MASSA.
ANCHE PIÙ DI QUANTE
PENSIAMO.
Thevisio.com-
Redazione- (5 GIUGNO 2020)-ci dice :
La pandemia di
COVID-19 ci ha posti in una condizione simile a quella del gatto di
Schrödinger: ipotizzando di essere possibili portatori del virus dobbiamo
prendere tutte le precauzioni per non contagiare il prossimo; e supponendo di
non averlo ancora contratto dobbiamo invece tutelarci; in entrambi i casi
dobbiamo seguire una serie di attenzioni ben precise.
Al centro di questa
cornice c’è ovviamente il nostro corpo e il significato che ha all’interno del
sistema politico. Proprio per controllare questa sua vulnerabilità, le
politiche anticontagio lo hanno reso oggetto di precise misure che, come alcuni
hanno fatto notare fin dall’inizio, dal mantra “dell’io resto a casa” alla sorveglianza militare, dai principi di
distanziamento sociale ai propositi di “contact tracing”, hanno condotto a un’esasperazione del discorso
biopolitico in nome di un nuovo controllo sociale.
Spogliata dalla
connotazione capitalistica in cui l’aveva calata Foucault, da anni ormai
l’analisi biopolitica ha dovuto fare i conti con gli assetti neoliberisti delle
nostre società, dove il
singolo individuo, alle prese con gli effetti della globalizzazione, di un
mercato oggetto di logiche multinazionali e grandi gruppi finanziari, ha perso
di vista il suo reale contributo alla produttività sociale.
A essere sotto
continua osservazione non è più il corpo biologico in carne e ossa, ma la
produzione incessante di dati, informazioni e comportamenti digitali che questo
corpo genera.
È su queste
produzioni immateriali, costantemente lette, catalogate e analizzate che agisce
il nuovo psico-potere. È
un’egemonia che seduce e allinea. È un sollecito suggerimento di idee, modi di
pensare e abitudini da condividere.
Un fenomeno che il filosofo Byung-Chul Han studia ormai da anni descrivendolo come “psicopolitica”: un modellamento del mentale nella corsa verso
desideri uniformati e nell’oblio più totale dei propri singoli e reali bisogni.
La dialettica bisogno-desiderio, già oggetto di riflessione da parte della
Scuola di Francoforte e delle correnti neo-marxiste del Novecento, torna dunque
visibilmente in auge ed eleva il desiderio a traguardo del controllo psicopolitico.
Il desiderio,
infatti, a differenza del bisogno, uniforma e catalizza le menti verso
orientamenti prestabiliti che rispondono del cos’è bene per tutti. La pandemia
di COVID-19 non solo ha fatto emergere in maniera lampante questo problema, ma
ne ha anche amplificato gli effetti.
Byung-Chul Han.
Nel 1975, con Sorvegliare e punire, tra i testi cardine della biopolitica, il filosofo
francese Michel Foucault offre una ricostruzione storica delle logiche punitive
nelle società moderne.
Un capitolo preciso,
aperto con l’evocazione dell’epidemia di peste del Seicento, è dedicato al panottismo, un sistema di osservazione sociale derivato dal cosiddetto Panopticon, la struttura carceraria ideata a fine Settecento dal
filosofo e giurista inglese Jeremy
Benthan. La costruzione è
di tipo circolare: al centro è presente una torre a più piani dalla quale il
guardiano può tenere sotto controllo i detenuti; tutt’intorno alla torre si
susseguono le celle, provviste di due finestre, una verso l’esterno
dell’edificio e una verso l’interno in comunicazione con la torre centrale;
ogni cella ospita un carcerato, il quale, non potendo sapere quando il custode
stia davvero osservandolo, si abituerà ad assumere una buona condotta continua.
Il timore dell’osservazione genera disciplina: è il principio politico alla
base del panottismo.
Il potere può essere
discontinuo nella sua azione, ma permanente nei suoi effetti. Per questo motivo la struttura architettonica
panottica, oltre al carcere, può trovare applicazione anche in altri contesti
istituzionali, come
l’ospedale psichiatrico o la fabbrica, ovvero in tutti quegli scenari nei quali
è richiesta l’uniformazione totale alle regole e se ne vigila costantemente la
loro osservanza.
Foucault correla il
panottismo con la peste perché,
nelle precauzioni che il potere politico deve prendere al fine di contenere la
malattia, il controllo deve
essere onnipresente:
prevenire la diffusione pestifera significa mettere in atto una sorveglianza
panottica sui corpi attraverso norme e dispositivi.
L’ordine interviene
sul caos, assegnando a ciascuno il suo posto, la sua ristretta dimensione
vitale. La città appestata
è un contenitore che trabocca di provvedimenti eccezionali, un’architettura di
vigilanza affinché nessuno violi la posizione assegnatagli. Non si tratta
tuttavia di un’azione unilaterale, ma di una condizione che il popolo, in preda al timore di contrarre il
morbo, sottoscrive volontariamente.
La paura legittima un potere straordinario e
trova il suo riscatto nella caccia all’untore: il colpevole va individuato e
palesato poiché la sua umiliazione conferisce un senso al dramma e al
sacrificio sociale. Il timore del contagio genera infatti una demarcazione
netta tra obbedienti esecutori delle regole e indisciplinati trasgressori. Ciò che fa la differenza è il diverso modo in cui
gli attori sociali hanno interiorizzato le norme: in questo senso l’obiettivo non è tanto il superamento
della malattia, quanto l’indottrinamento della coscienza collettiva, il suo
adeguamento a una nuova politica normalizzante.
Michel Foucault.
Si è dunque compiuto
un cambiamento di prospettiva e d’interesse nell’esercizio del potere: dal
controllo del corpo a quello della mente.
Ad aver reso
possibile questo passaggio e soprattutto ad averlo legittimato è stata non solo
l’improvvisa pandemia di COVID-19, ma soprattutto la paura sociale legata a questo evento. Una paura
pronta a sacrificare le necessità del singolo in nome della tutela pubblica. È
barattando le piccole o grandi esigenze di ciascuno con la salvaguardia del
bene di tutti che si accetta infatti una nuova conformazione politica, la
s’impara a difendere e scegliere come oggetto dei nostri più immediati
desideri.
Quelli di tutti,
nessuno escluso. La diversificata rete di bisogni di ciascuno, dalla persona
disabile al bambino, dall’anziano all’indigente, diviene niente più che un
margine, l’ultimo pensiero della lista delle preoccupazioni politiche. Le
misure anticontagio, previste e imposte per la salute di tutti, assumono non
solo il carattere della priorità ma anche quello dell’indiscutibilità. Cosa si può mai opporre a regole disposte per la
tutela del sociale?
La cura della salute
pubblica ha rappresentato l’indubbia giustificazione alle trasformazioni più
intime delle nostre vite. È
in questa inopponibilità dei provvedimenti, in questo generalizzato senso di
pace interiore, che il nuovo ordine sociale ha preso a diventare oltre che
necessario anche desiderabile: un condizionamento mentale tanto più efficace quanto più costruito
sull’estrema occorrenza delle decisioni politiche.
I numeri di morti e
contagiati sciorinati ogni giorno a mo’ di bollettino di guerra, le notizie dei
reparti ospedalieri in ginocchio, le immagini dei ricoverati intubati e in
generale tutto il flusso d’informazioni attorno al dramma epidemico ha fatto da
filo conduttore alla mancanza di una coscienza critica da esercitare, di un
contraddittorio da manifestare, o di un pensiero anche solo semplicemente diverso da esplicitare, senza
rischiare il rogo della disinformazione o dell’impertinenza espressiva. Nel
panottico controllo delle coscienze l’assenza di giudizio è diventata la
prerogativa più desiderabile.
Nell’urgenza di
combattere il virus l’allineamento delle menti ha avuto come rovescio della
medaglia la trascuratezza del sé, la vendita del singolo all’epidemia.
Nelle fasi più
restrittive del lockdown, per ogni video social ambientato nelle case-resort
dei vip, con tanto di hashtag
compiaciuto #iorestoacasa,
si è dispiegata una quarantena al limite della sopravvivenza per un numero
indefinito di persone comuni, cittadine e cittadini che l’emergenza ha
tramutato in nuovi indigenti sociali.
La disposizione di
regole contro il contagio, per tutti identiche e uguali, ha in realtà solo
fatto emergere in modo ancora più evidente e chiaro quanto non siamo affatto
tutti uguali.
L’altra faccia del
distanziamento sociale è stata, ed è, la mortificazione del singolo e dei suoi
particolari bisogni, così come l’altra faccia del cos’è bene per tutti è la
negazione della voce del singolo, di una sua qualsiasi espressività di
dissenso.
È nella tutela per
certi aspetti parossistica – soprattutto se confrontati ai vistosi errori di
gestione che hanno contribuito a farla esplodere – dal COVID-19 che si è
lasciata scoperta la società da tutte le restanti necessità economiche,
politiche, educative e psicologiche, i cui danni incommensurabili segneranno un
drammatico punto di non ritorno nella nostra identità culturale.
A fronte di tanti
vuoti legislativi, è curioso notare come si cerchi di difendere ancora oggi un
concetto di bene pubblico che fa ormai acqua da tutte le parti.
Forse dovremmo cercare risposte proprio nella
psicopolitica, se, a fronte di tante criticità sociali, anziché curarsi delle
loro cause, ci si preoccupa di biasimare chi non si allinea.
In quest’ordine
d’idee, l’individuazione del dissidente non è diversa dalla caccia all’untore
durante la peste del Seicento descritta da Foucault. L’unica differenza sta negli effetti: se il
controllo sui corpi richiedeva condotte e comportamenti addomesticati alla
perfezione, il controllo
sulle menti, che l’emergenza sanitaria ha amplificato, ha richiesto un tacito
consenso così generalizzato che il singolo, dopo aver smerciato i suoi bisogni
all’epidemia, ha dovuto venderle a caro prezzo perfino il suo pensiero e la sua
libertà di espressione.
La variante cinese.
Carmillaonline.com -
Nico Maccentelli- ( 4 Gennaio 2022)- ci dice :
“Uno degli elementi
più negativi nel pensiero comunista europeo degli ultimi 30 anni è sicuramente
rappresentato da una concezione astratta del “socialismo”.
Ridotto a una serie
di princìpi totalmente indipendenti dalla realtà storica, validi in modo
identico per qualsiasi formazione sociale (europea, asiatica, africana o
americana), pressoché impossibili da rispettare concretamente. Una sorta di paradiso originario collocato nel lontano
futuro anziché nel passato remoto.”
Inizia così un
articolo di Contropiano a firma di Francesco Piccioni su un pezzo di Guido
Salerno Aletta, dal titolo: Tra
stato e mercato la Cina e l’Occidente neoliberista, attaccando praticamente chi
riguardo la Cina di oggi non ripone fiducia nelle “magnifiche sorti” del suo inesistente socialismo.
In realtà l’articolo
in questione inizia con un falso storico-temporale che occulta e separa dalla
questione cinese odierna un tema fondamentale per tutto il movimento comunista
novecentesco e odierno: la
lotta contro il revisionismo e ciò che differenzia una sinistra rivoluzionaria
da questo. Altrimenti la
storiella della “concezione
astratta del socialismo”
non reggerebbe. E il falso
è nella datazione dei 30 anni.
E in realtà non sono
30, bensì 60 anni che questo dibattito divide il movimento comunista, sin dai
tempi in cui il maoismo ha rappresentato nello scontro politico con il
togliattismo la linea di demarcazione tra una visione rivoluzionaria e una
revisionista. E fu proprio
la politica rivoluzionaria maoista a fare da incipit a gran parte delle lotte
di liberazione antimperialista e alle sinistre rivoluzionarie dalle campagne
alle metropoli.
Dunque è dai primi
anni ’60 che inizia la polemica tra il Partito Comunista Cinese e quello
italiano . Da questa polemica nacque un linea rivoluzionaria che ripudiava il
gradualismo togliattiano, la coesistenza pacifica con il capitalismo, che
criticava una visione politica che metteva al centro il riformismo, le riforme
di struttura versus un riproposizione del leninismo nei suoi principi tutt’ora
validi negli anni ’60 come oggi.
Detto per inciso,
l’approccio revisionista è stato poi sviluppato attraverso il denghismo con la
sconfitta della Rivoluzione Culturale di Mao e l’avvento della borghesia burocratica nel PCC. Per cui se una chiave di lettura marxista va data
della Cina di oggi è da allora che occorre partire, non da 30 anni fa. E non certo da una visione pragmatica e tecnocratica
che evidentemente ha affascinato i compagni di Contropiano.
In Italia, la
critica al togliattismo proveniente dai compagni cinesi agli inizi degli anni
’60 fu il propellente di tutto il movimento comunista alla sinistra del PCI. E
questa datazione postuma è solo un tentativo di mistificare la questione per
non far vedere che ci si sta sbarazzando non dell’acqua sporca, ma del bambino.
Questa impostazione filo cinese è in palese contraddizione con la provenienza
politica di molti compagni della sinistra di classe. È una questione che
pertiene la memoria storica della lotta di classe rivoluzionaria in Italia e
non solo, su questa separazione tra rivoluzione e riformismo hanno combattuto
generazioni di comunisti, scegliendo strade e strategie politiche di rottura
con la compatibilità “tattica” col capitalismo.
Questa “concezione
astratta del socialismo”
non creò solo le organizzazioni di stretta osservanza maoista, ma influenzò
tutta la sinistra extraparlamentare e lo
stesso operaismo. Questa “concezione astratta del socialismo” in Cina diede
vita alla più straordinaria mobilitazione dal basso per un intero decennio
dalla metà degli anni ’60 fino al 1976: la Rivoluziona Culturale con le Guardie Rosse, che
rimettevano in discussione la presenza nel PCC di un’ala borghese che stava
andando esattamente dove la Cina è arrivata oggi.
Per cui si abbia il
coraggio di dire che Mao aveva sbagliato e Deng Xiaping ragione invece di
starci a girare attorno facendo giochetti sulle date. Almeno Giorgio Cremaschi
nel suo intervento al convegno della Rete dei Comunisti dello scorso anno sulla
Cina è stato coerente con la sua storia politica (la sua provenienza è il PCI)
nel sostenere che Togliatti aveva ragione e Mao torto. È più apprezzabile
perché pur se opinione che ritengo sbagliata, quanto meno è lineare col suo
imprinting politico.
Di fatto senza
questa spaccatura nel movimento comunista internazionale, non ci sarebbe stata
politica rivoluzionaria, autonomia di classe, ma neppure quella critica
culturale che partiva dai Sartre, dai Sanguineti fino ad arrivare ai Godard, ai
movimenti operai e studenteschi dalla Francia del maggio agli USA dei campus,
all’Italia con le due ondate del ’68 e del ’77, alle culture dell’antagonismo e
della rottura con le convenzioni borghesi degli anni ’70, nelle quali il PCI
stesso si ritrovava ingessato, incapace di capire i mutamenti della società,
dei cicli di produzione del capitale, della composizione di classe e via
dicendo.
Dunque per Piccioni
e soci un’analisi critica riguardo una Cina governata da un’oligarchia di
mandarini di stato e di partito con forti interessi finanziari e azionari nelle
multinazionali cinesi private e di stato è astratta. Per costoro il fatto che
l’intreccio di interessi e potere tra i 600 miliardari cinesi e questi
mandarini sarà un dettaglio: peccato che sia il risultato di un revisionismo
che ha fatto leva sulle contraddizioni di una rivoluzione in un paese di
centinaia di milioni di persone, bloccandola e facendo tornare indietro gli
orologi della storia, creando una nuova borghesia in un’economia di fatto
capitalista che di socialismo non ha più neppure l’odore.
Forse per costoro
sono astrazioni anche le posizioni politiche delle forze comuniste che oggi
come ieri combattono concretamente l’imperialismo, come il Partito Comunista
delle Filippine: qui le sue annotazioni al fulgido e magnificamente progressivo
discorso di Xi Jinping.
Saranno astrazioni,
ma a queste domande che sorgono spontanee nel vedere la Cina di oggi che
risposta diamo? Che risposta diamo a:
nel potere classista composto da un’oligarchia di
burocrati insieme al manageriato di multinazionali, del capitale privato…
nell’integrazione
tra capitali finanziari e multinazionali…
nella polarizzazione
tra 626 miliardari che concentrano la ricchezza sociale e le classi popolari
cinesi in un miliardo e 400 milioni di persone…
nel divario
salariale abissale tra classi e settori sociali…
nel ammortizzare la
caduta tendenziale del saggio di profitto occidentale consentendo proficue
esternalizzazioni al capitale occidentale…
nell’uso della
forza-lavoro dalle campagne come i nostri caporali usano quella esterna dei
migranti…
… che socialismo
c’è?
È sufficiente uno
stato che pianifica per definire una società come socialista? Dalle mie parti
era la socializzazione dei mezzi di produzione non lo sviluppo di un’economia
privata (pur con tutte le sue diversità dai modelli neoliberale e ordoliberale
occidentali) a definire la transizione al socialismo. Nemmeno Togliatti con le sue riforme di struttura
dava come prospettiva l’uscita dalla povertà e basta… ma che il popolo non
governi, non si socializzino i mezzi della riproduzione sociale, non si abbia
come scopo l’uguaglianza sociale. L’armonia confuciana regni tra sottoposti e
dignitari del sovrano. E tutto resti così com’è nelle differenze sociali, nei
rapporti di classe. Ma la critica a tutto questo è evidentemente un’astrazione
per i nostri amici di Contropiano. Astrazioni che hanno ricadute ben concrete
in una lotta di classe che in Cina è proseguita anche nella repressione
antioperaia da parte delle autorità dello stato e del PCC contro i gruppi
maoisti e i lavoratori che protestano e vogliono sindacati indipendenti (2).
Un’economia
capitalista, che si fonda sul globalismo e l’interconnessione di filiere,
capitali e mercati, che non va verso la socializzazione dei mezzi di
produzione, ma verso uno sviluppo di questo modello capitalistico, per gli
amici di Contropiano è “socialismo
dalle caratteristiche originali”. Sino alla bestialità di definire “lotta di
classe” la contraddizione inter-capitalistica tra Cina e potenze imperialiste
atlantiste , come se da parte cinese vi sia un proletariato al potere con la
sua strategia internazionalista al socialismo, che sia comunismo di guerra o
NEP, o arrivo a dire persino revisionista e kruscioviana “coesistenza
pacifica”. Persino quest’ultima, persino il revisionismo classico non arriva
alle alte vette di spregiudicata tecnocrazia e integrazione inter-capitalistica
degli attuali gruppi dirigenti cinesi, così ben decantate dai suoi esegeti.
Cosa significa
allora oggi riesumare il denghismo (perché di questo si tratta), il suo approdo
non a un socialismo, ma neppure a una sua transizione, bensì a un sistema
capitalistico che utilizza altre leve della politica economica, più stato nel
mercato (un refrain dello “stato piano” degli anni del dopoguerra della seconda
metà del Novecento)? Cosa significa tessere le lodi del confuciano PCC di Xi
Jinping, che ha abbandonato la teoria e la prassi maoiste della contraddizione?
Cosa significa collocare la Cina di oggi in una sorta di “socialismo
originale”, termine usato non solo da Salerno Aletta e Contropiano, ma anche da
Carlo Formenti, e dal gruppo di Marx21?
Significa porsi alla
destra del riformismo togliattiano uscito dall’VIII congresso del PCI nel 1956
(4) e, se si analizza bene, probabilmente anche di quello di Amendola degli
anni ’60: una posizione ancora più moderata delle “riforme di struttura”,
ancora più gradualistica, ancora più compromissoria col mercato capitalistico.
Dobbiamo arrivare
all’Eurocomunismo del periodo berlingueriano per trovare quelle logiche di
commistione con i tempi e i modi della produzione capitalistica, della
riproduzione sociale del rapporto capitale/lavoro che oggi caratterizzano le
stesse logiche cinesi: quando il PCI nel laboratorio emiliano metteva in atto
con il decentramento produttivo la scomposizione di classe funzionalizzando la
“rossa” Emilia ai tempi e ai modi della produzione capitalistica e alle
modalità in cui il capitale procedeva con la ristrutturazione dei cicli di
produzione.
La politica
economica dei “mandarini” cinesi di partito nel rapporto capitale-lavoro non
ricorda forse queste alchimie produttiviste e di irregimentazione della
forza-lavoro in Emilia di un PCI che negli anni ’70 spacciava l’attacco alla
rigidità operaia per modernità? E non sono forse queste le politiche sociali e
di produzione tipiche della peggiore socialdemocrazia?
Concludo con
un’ultima perla, sempre dall’articolo Tra stato e mercato, la Cina e
l’Occidente neoliberista.
Sino ad ora abbiamo
visto il nostro autore criticare la “concezione astratta del socialismo”
rivolta a chi critica il “socialismo originale” cinese. Come se non fosse ovvio che il socialismo
scientifico si basa sull’analisi concreta della situazione concreta. Come se
non fosse evidente che dalla storia della lotta di classe e dalle esperienze di
socialismo del Novecento si è compreso che ogni paese, ogni formazione
economico-sociale deve trovare il suo percorso al socialismo nel processo
rivoluzionario di abbattimento del capitalismo.
Sicuramente sono
tanti i comunisti che hanno un approccio libresco e astratto della rivoluzione
socialista. Vengono in
mente le battaglie di cortile tra i vari “ismi”, rivangando diatribe superate
ed episodi morti e sepolti della storia del movimento comunista mondiale:
queste caricature del marxismo servono alla fine per creare un comodo alibi. La
rampa di lancio dei salti della quaglia.
Ma venendo al sodo:
cosa sta alla base dell’analisi concreta della situazione concreta dell’autore
di questo articolo? Ossia, contro la visione “astratta” del socialismo cosa
contrappone il nostro? Ce lo spiega così:
“Ricordiamo che la
definizione di Marx era molto più laica: da ognuno secondo le sue capacità, ad
ognuno secondo il suo lavoro. Che è certamente una formulazione astratta, ma
che descrive un criterio invece che una serie di “istituti” teoricamente
caratterizzanti una formazione sociale “socialista” (inevitabilmente varianti a
seconda del livello di sviluppo di un certo paese, le tradizioni locali, le
culture, ecc). L’“eguaglianza” – per esempio – in condizioni di povertà o di
relativo benessere generale, in pace o in guerra, ecc., può significare cose molto
diverse.”
Va bene
l’originalità di un dato socialismo in un dato contesto sociale, ma se il
socialismo si distingue per la sola massima timbrata e controfirmata da Marx:
da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro, c’è proprio
da star freschi! Anche perché Marx ha detto tanto altro nella definizione di
socialismo. E non è un caso che proprio un aspetto dirimente manchi dalla
definizione data da Piccioni. Una questione su cui Marx, Engels, Lenin,
praticamente tutti hanno posto al centro dell’ontologia del socialismo. La
socializzazione dei mezzi di produzione, ecco cos’è l’aspetto qualificante il
socialismo. Ed è qui che casca l’asino.
Che una classe
dirigente borghese utilizzi lo Stato e la pianificazione per un’economia di
mercato sarebbe già socialismo, è così? Lo abbiamo già visto prima che non
basta.
Ma proprio per non
scadere in una visione astratta, occorre considerare tutto il processo
economico-sociale, non solo lo sviluppo delle forze produttive (chi le
sviluppa? Anche nel capitalismo c’è una borghesia che le sviluppa…), non tanto
quindi un approccio tecnocratico, ma una progressione a forte partecipazione
popolare, un processo economico-sociale che nella transizione procede alla
socializzazione dei mezzi della riproduzione sociale. In Cina dal 1976 avviene
il contrario. E parlare delle centinaia di milioni che stanno uscendo dalla
fame, di progresso tecnologico, non caratterizza questo paese come socialista,
quando insieme alla crescita di una forte economia privata si forma una vasta
classe media, quando le differenze sociali si acuiscono e, soprattutto, quando
non c’è una reale democrazia socialista di popolo.
Da ognuno secondo le
sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro… grazie, anche nel capitalismo
può essere applicato questo criterio. Allora questo cosa vuol dire: che se io
sono disabile e le mie capacità danno una certa performance nel lavoro, ottengo
in base al mio lavoro? Ma questo è liberalismo! Esattamente come la concezione
cinese. Semmai il criterio è quello di dare a tutti in base ai propri bisogni,
dare a tutti l’opportunità e il diritto a un’esistenza soddisfacente. Questa è
l’uguaglianza, non il pastrocchio darwiniano che emerge da queste poche righe
maldestre! E il liberalismo si pone per l’appunto alla destra del togliattismo,
ossia di una visione gradualistica del cambiamento al socialismo.
Solo se affianchi
questo tipo di uguaglianza sociale alla socializzazione dei mezzi di produzione
(questo voleva dire Marx), ossia alla democrazia economica e sociale, alla
gestione di un’economia
sempre più pubblica e sempre meno privata da parte degli organismi democratici
popolari, si può parlare di transizione al socialismo. Ciò che non sta
avvenendo in Cina. La Cina è un paese liberale la cui progressione non è la
socializzazione.
In definitiva la
“variante cinese” è un virus ideologico che colpisce i comunisti, non è “uno
spettro che si aggira per l’Europa”. È parte di un revisionismo ricorrente che
si ripresenta nei contesti più impensabili e in forme sempre nuove.
Ma allora, l’ultima
domanda che sorge al di là di tutte le belle chiacchiere sulle “magnifiche
sorti del socialismo” cinese, è: quale politica per il proletariato italiano? Un movimento comunista affetto da questa variante
cinese quale strategia politica svilupperà in coerenza con questa nuova visione
così “concreta” che ha assunto?
Chiedo per un amico.
IL GREEN PASS È IL
MEZZO,
IL CONTROLLO È IL FINE : GREAT RESET.
Comedonchisciotte.org-
Massimo Cascone -( 16 Gennaio 2022)-ci dice :
Come attestato in
questo interessantissimo articolo de La Verità, tra i pochi quotidiani a dare
un’ informazione accurata e di più ampie vedute rispetto al clima di
assoggettamento totale dei media nostrani al potere, il Green Pass si conferma
uno strumento molto più subdolo di quanto cerchino di farci credere.
Come più volte da
noi stesso detto o riportato tramite altre fonti, quello che è stato presentato
alla popolazione come un mezzo per tenere sotto controllo i contagi ha in
realtà tutt’altro scopo da raggiungere: il totale assoggettamento dei cittadini al potere
statale-europeo. E ciò è sempre più sotto i nostri occhi.
Se le cose
procederanno come da Loro stabilite, il prossimo passo sarà associare alla “tessera verde infame” – così preferiamo chiamarla – il controllo fiscale,
garantendo così, attraverso il passaggio alla moneta digitale, la possibilità di prelievi forzosi direttamente dal
portafoglio virtuale del domani.
La strada è oramai
tracciata, solo una forte presa di coscienza delle persone sul destino che ci
attende se non invertiamo la rotta, potrà evitare la nascita di una distopia digitale
basata su capitalismo della sorveglianza e sistema del credito sociale.
Poi non dite che non
vi avevamo avvertito.
VACCINI COVID: CADE
UN ALTRO
TASSELLO DELLA
NARRAZIONE.
Comedonchisciotte.org-
Filippo Della Santa-(13 Gennaio 2022 )-ci
dice :
Mentre il governo
Draghi estende le restrizioni a fasce e categorie sempre più ampie di
popolazione, i dati ufficiali a sostegno di queste misure evidenziano sempre
più contraddizioni
Vaccini Covid 19
cade un altro tassello della narrazione.
E’ passato più di un
anno dall’inizio della campagna di vaccinazione contro la Covid-19.
Ricordiamo ai più
smemorati come, grazie ai farmaci autorizzati in via emergenziale dall’Agenzia
Europea del Farmaco (EMA), ci fosse stata promessa l’immunità di gregge: prima
al 70%, poi all’80%, diventato 90%, in un continuo rincorrere una fine
dell’emergenza sempre una dose più in là.
Con l’emergere di
nuove varianti, e con i vaccini sottoposti alla prova nel mondo reale, ben
presto il raggiungimento di questo obiettivo è risultato sempre più difficile
da garantire. Non è certo una novità, ne avevamo parlato la scorsa estate.
I dati dell’Istituto
Superiore di Sanità.
In una prima fase al
sempre crescente numero di casi positivi tra i soggetti vaccinati si opponeva
come argomentazione quella del “paradosso di Simpson“.
Con il “Bollettino
Epidemia COVID-19 Aggiornamento nazionale 5 gennaio 2022” dell’Istituto
Superiore di Sanità (ISS), tale argomentazione ha perso ogni consistenza.
Osserviamo la
tabella 5 di pagina 27:
Popolazione italiana
numero di casi Covid 19 segnalati, ospedalizzati, ricoverati in terapia
intensiva e deceduti per stato vaccinale ed età
Tabella 5 –
Popolazione italiana di età ≥ 12 anni e numero di casi di Covid-19 segnalati,
ospedalizzati, ricoverati in terapia intensiva e deceduti per stato vaccinale e
classe d’età
Come possiamo notare
i casi di positività tra i soggetti che hanno ricevuto almeno una dose di
vaccino anti Covid-19 rappresentano il 77,3% di tutti i casi positivi valutati
nel periodo 03/12/2021 – 02/01/2022.
Essendo la
percentuale di popolazione italiana che ha ricevuto almeno una dose di vaccino
intorno all’81%, secondo i dati forniti dal sito Ourworldindata.org, siamo
prossimi al punto in cui la probabilità di infezione non sarà più influenzata
dallo stato di vaccinazione.
A conferma di ciò il
repentino cambio di narrazione. Nonostante tutta la campagna di vaccinazione
sia stata basata sul raggiungimento dell’immunità di gregge, e quindi sulla
capacità dei vaccini di impedire in modo sostanziale la diffusione del virus
Sars-Cov-2, improvvisamente si parla soltanto di occupazione degli ospedali e
delle terapie intensive.
Sebbene questo abbia
senso da un punto di vista scientifico (l’emergenza deve essere valutata in
base a questi parametri, e non in base ai positivi ad un tampone rapido o
molecolare), è necessario fare alcune osservazioni.
Sempre dalla tabella
riportata nel documento dell’ISS, si osserva come gli individui non vaccinati
occupino il 49,4% dei reparti ordinari e il 65% delle terapie intensive. Questo
sembra confermare la tesi di una buona efficacia nella riduzione della forma
grave della malattia, tuttavia queste percentuali sono in contrasto con gli
stessi dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità relativi ai decessi:
contrariamente a quanto avviene nelle terapie intensive quasi il 60% delle
persone decedute aveva ricevuto almeno una dose di vaccino anti Covid-19.
Se facciamo
riferimento ai dati inglesi relativi al periodo compreso tra le settimane 49 e
52 del 2021 la situazione risulta meno incoerente. Si ha infatti:
Diagnosi di
positività al Sars-Cov-2 tra individui non vaccinati: 23,2% del totale;
Ricoveri per
Covid-19 di individui non vaccinati: 41,19% del totale;
Decessi per Covid-19
di individui non vaccinati: 28,3% del totale;
Possibili
interpretazioni del fenomeno
Una delle possibili
spiegazioni di questo fenomeno potrebbe trovarsi nelle parole pronunciate
recentemente dal direttore dello Spallanzani Vaia, secondo il quale “si può
considerare un paziente vaccinato solo se ha ricevuto anche la terza dose“. A
conferma di ciò sui Social girerebbe (il condizionale è d’obbligo) un referto
ospedaliero di un individuo con doppia dose presentatosi in pronto soccorso in
data 1 gennaio e classificato come non vaccinato.
Sebbene questa
spiegazione possa essere considerata valida da un punto di vista della
narrazione mediatica, estremamente utile per spingere alle terze dosi, nella
tabella 5 l’ISS opera una netta distinzione tra individui con 0, 1, 2 o 3 dosi.
Questa spiegazione
non appare quindi sufficientemente concreta.
Un altro possibile
fattore potrebbe essere il ricorso, specialmente per le categorie fragili, alla
cura precoce con anticorpi monoclonali.
Recentemente il
direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale San Luca di Lucca,
dottor Luchi, ha elogiato la capacità di mantenere vuoto l’ospedale cittadino
intercettando sul territorio gli individui più a rischio di complicanze e
curandoli con i monoclonali. Un altro esempio è quello della RSA di Masone
(GE), i cui ospiti positivi e vaccinati con terza dose sono stati curati da una
equipe guidati dal dottor Bassetti.
Essendo gli
individui fragili molto probabilmente in larga parte vaccinati è lecito
aspettarsi un contributo nella riduzione delle terapie intensive occupate dai
vaccinati.
Sufficiente a spiegare
i dati forniti dall’ISS? Molto difficile dirlo, visto le numerose variabili in
gioco.
Una spiegazione più
semplice la possiamo però trovare osservando i periodi presi in considerazione
nel report ISS.
Sappiamo infatti che
la curva delle ospedalizzazioni segue la curva dei contagi, per cui i
rispettivi picchi sono traslati di circa 2/3 settimane. Ma come possiamo
osservare mentre i dati delle diagnosi di Sars-Cov-2 sono riferite al periodo
03/12/2021 – 02/01/2022, quelli delle terapie intensive sono relativi ad un
periodo antecedente: 19/11/2021 – 19/12/2021.
Conclusioni.
Da queste
considerazioni è possibile supporre un aumento nelle prossime settimane della
percentuale di posti letto in terapia intensiva occupati da individui che hanno
ricevuto almeno una dose di vaccino. A quel punto è possibile il raggiungimento
di una situazione più coerente come quella inglese (che infatti fa riferimento
alla stesso intervallo temporale per la valutazione dei casi positivi, delle
ospedalizzazioni e dei decessi).
Assisteremo tra
poche settimane al crollo anche dell’ultimo tassello di questa narrazione? Oppure questo non avverrà, confermando in apparenza
l’efficacia dei vaccini nel prevenire la malattia grave senza stranamente avere
la stessa capacità di riduzione del rischio di morte?
Trarre conclusioni
dai dati italiani, quando presenti, è impresa sempre più ardua.
Ma è anche tramite
questi che l’esecutivo impone ogni giorno misure sempre più restrittive.
(Filippo Della
Santa, ComeDonChisciotte.org).
OBBLIGO VACCINALE PER LA SALVEZZA
DEL SISTEMA
FINANZIARIO?
GREAT RESET-COVID-19
FINANZCAPITALISMO.
Comedonchisciotte.org-
Redazione CDC-( 15 Gennaio 2022)- ci dice :
(uncutnews.ch).
Obbligo vaccinale
per la salvezza del sistema finanziario?
Conosci sicuramente
anche tu i racconti dei tuoi nonni sul periodo successivo alla seconda guerra
mondiale, quando furono adottate misure di politica monetaria molto dolorose
sullo sfondo dell’inflazione galoppante, dei debiti di guerra e delle persone che
avevano perso tutto? Vorrei dare uno sguardo molto breve agli eventi di quel
tempo e poi tracciare il collegamento con il nostro tempo di oggi.
Prima nel 1948 ci fu
una riforma monetaria , in cui il Reichsmark divenne il D-Mark. Tuttavia, il
nuovo stato ha immediatamente colto l’opportunità di liberarsi di gran parte
delle sue passività attraverso la riforma monetaria, poiché erano disponibili
solo 6,50 marchi tedeschi per 100 Reichsmark. Ciò si applicò a tutto ciò che
era nei conti bancari, nei titoli di stato, nelle obbligazioni, nei risparmi
della società di costruzioni e anche nei beni dell’assicurazione sulla vita e
della pensione. Le passività, cioè i prestiti, e i pagamenti correnti (affitti,
pensioni, ecc.), invece, sono stati convertiti 1:1 e quindi sono rimasti
integralmente. Nel corso della riforma monetaria del 1948, il patrimonio
finanziario fu massicciamente svalutato.
Poiché la riforma
monetaria aveva colpito in particolare i piccoli risparmiatori e aveva invece
risparmiato i proprietari immobiliari, nell’agosto 1952 fu operata la
perequazione degli oneri per i cittadini
con beni materiali, soprattutto beni immobili. Su tutti i beni fu versato allo
Stato un onere del 50% . Questo enorme onere finanziario è stato poi pagato
allo Stato per un periodo di 30 anni in rate trimestrali. Nel 1982 la legge
sulla perequazione degli oneri si è conclusa con le ultime rate. In realtà…
Cosa ha a che fare
questo con Corona e l’obbligo di vaccinazione pianificato?
Il sistema
finanziario vigente con interessi e interessi sugli interessi si tende la
trappola da solo. Il capitale si sposta nel corso degli anni sempre verso un
gruppo estremamente ricco ma ristretto. Il resto della gente deve pagare gli
interessi su questa ricchezza dei super-ricchi attraverso il proprio lavoro, ma
questo sta diventando sempre più difficile perché gli interessi sul capitale
continuano a crescere. Pertanto questo sistema ha bisogno ogni tanto di un
RESET. In passato, le guerre erano molto popolari per questo. In passato, la
morte e la sofferenza venivano accettate per mantenere ed espandere la
ricchezza. Perché dovrebbe essere diverso oggi?
Per fortuna non c’è
ancora stata una Terza Guerra Mondiale (in considerazione dei grandi arsenali
nucleari che sarebbero pericolosi per le stesse “élite”), ma il problema del
sistema finanziario persiste.
A partire dagli anni
’80, la deregolamentazione dei mercati finanziari e l’emergere di mercati dei
derivati altamente speculativi hanno peggiorato le cose, per cui la formazione
di capitale reale ha continuato a perdere terreno.
Ecco che poi è
arrivata la crisi finanziaria nel 2008. Banche e investitori sono stati
“salvati” dagli Stati. Tuttavia, ad un prezzo molto alto. Oltre all’estremo
debito nazionale (per il quale alla fine i contribuenti devono pagare), ampi
strati della popolazione, specialmente in Germania, sono stati parzialmente
espropriati tramite tassi di interesse negativi e estremi aumenti dei prezzi a
causa di un eccesso di denaro delle banche centrali. I prezzi elevati delle
proprietà non significano che queste siano diventate più di valore. Le valute
(soprattutto l’euro e il dollaro USA) valgono semplicemente meno a causa
dell’eccesso di denaro. Prima o poi questo porta inevitabilmente al tracollo .
Più tardi avviene, peggio è.
Nel 2019 sembrava
arrivato il momento. A settembre c’è stata quasi un’altra crisi nei mercati
finanziari, che avrebbe eclissato la crisi finanziaria del 2008. Il cosiddetto
mercato ombra, (quella parte di mercato monetario attraverso la quale banche e
i cosiddetti hedge fund cioè fondi di investimento altamente speculativi e
rischiosi si prestano denaro reciprocamente) con un volume mondiale di circa
15.000 miliardi di euro!, ha dovuto essere salvato dalla banca centrale degli
Stati Uniti, la Fed, con centinaia di miliardi di dollari. Dopo che tutta
l’argenteria era stata sperperata per salvare le banche nel 2008 e il
conseguente indebitamento estremo degli stati, un altro crollo degli effetti
domino in tutto il mondo avrebbe portato al caos. Il pubblico, però, non se ne
è neanche quasi accorto.
Questo, a mio
avviso, ha innescato la “pandemia” di cui si discuteva da tempo tra le “élites”
per rilanciare il sistema finanziario ed economico mondiale e per proteggere e
accrescere ulteriormente la ricchezza dei super-ricchi.
L’OMS è stata a
lungo foraggiata con un sacco di soldi, anche dalla Cina e da investitori
privati , e gli Stati membri sono obbligati dal trattato vincolante a livello
internazionale sul Regolamento sanitario internazionale (RSI) a seguire le
istruzioni dell’OMS , soprattutto in caso di pandemia. Questo contratto è stato
modificato nel 2005 in considerazione della crescente globalizzazione e
diffusione internazionale di malattie infettive come la sindrome respiratoria
acuta grave (SARS) ed è entrato in vigore il 15 giugno 2007 . Nell’aprile 2009
(poco dopo l’inizio della crisi finanziaria) la definizione di pandemia è stata
notevolmente annacquata dall’OMS . In precedenza ci voleva un “numero enorme”
di morti in tutto il mondo per una pandemia, da allora sono stati sufficienti i
risultati positivi dei test. La pandemia di influenza suina è stata dichiarata
l’11 giugno 2009. Fortunatamente, questa pandemia è stata smascherata come
completamente esagerata. Anche allora, il test PCR ha svolto un ruolo
inglorioso. Il 31 ottobre 2020, l’OMS ha cambiato la definizione di immunità di
gregge, che in futuro non potrà più essere raggiunta attraverso l’immunità
naturale, ma solo attraverso la vaccinazione .
A proposito, hai già
notato che il CDC americano non consentirà più il test PCR per il rilevamento
del corona Virus a partire dall’inizio dell’anno nuovo? Questo test infatti non
può distinguere in modo affidabile tra virus influenzali e corona . Forse un
motivo per cui l’influenza sembra essere estinta? Questo, detto marginalmente.
Nel 2010, la
Fondazione Rockefeller ha descritto nel suo rapporto “Scenari per il futuro
della tecnologia e lo sviluppo internazionale”,
lo scenario “lock step” in caso di pandemia influenzale. In questo
contesto si è pensato quali opportunità e sfide politiche e sociali possano
derivare dalla paura indotta da una pandemia. Il risultato ha mostrato che un
lockstep mondiale combinato con misure totalitarie prometterebbe di installare
stati di sorveglianza sulla scia della pandemia.
Anche altri elementi
della nostra vita di oggi sono stati preparati prima del Corona, come un
certificato di vaccinazione digitale nell’UE sin dal 2018 . Anche il Global
Vaccination Summit a Bruxelles il 12 settembre 2019 con il patrocinio della
Commissione Europea e dell’OMS [12] è molto istruttivo.
Il 19 ottobre 2019,
“Event 201” (tradotto: Event January ) si è svolto a New York sotto gli auspici
del Johns Hopkins Center for Health Security (fondato dalla Rockefeller
Foundation) e supportato da Bill e Melinda Gates Foundation e il World Economic
Forum (WEF) . L’esercizio ha affrontato il caso fittizio di una pandemia
globale innescata da un nuovo tipo di coronavirus chiamato nCov-19. Oltre al
blocco e alle restrizioni di viaggio, l’attenzione si è concentrata anche sulla
comunicazione durante la pandemia e come affrontare le fake news.
Nella “pandemia” poi
effettivamente verificatasi dal 20 gennaio, la Johns Hopkins University tramite
il Corona Dash Board fornisce le cifre mondiali grazie alle quali viene
giustificata la cancellazione dei diritti fondamentali in tutto il mondo,
mentre la Fondazione Bill e Melinda Gates tramite i loro investimenti (compresi
quelli investiti in BioNTech dall’autunno 2019) fornisce i vaccini e il World Economic Forum con il suo
fondatore Klaus Schwab e il suo libro “Covid-19 – The Great Reset” il quadro ideologico.
Decisive per questo
mio contributo son state tuttavia due modifiche alla legge del Bundestag
tedesco nell’autunno 2019, ancor prima di Corona,: Modifiche all’articolo 21
della legge sulla regolamentazione della legge sulla compensazione sociale
(legge sulla compensazione degli oneri) del 12 dicembre 2019 con effetto dal 1
gennaio 2024 è riscontrabile al sito (buzer.de/gesetz/13714/a232818.htm) .
In tale modifica, la
finalità di “Welfare for War
Victims” per la quale è
stata creata la “legge sulla perequazione degli oneri“ è sostituita dal termine
“risarcimento sociale“ e si fa riferimento al Libro Quattordicesimo del Codice
Sociale, anch’esso modificato. Modifica al Libro 14 del Codice Sociale (SGB
XIV) del 7 novembre 2019 con effetto dal 1 gennaio 2024 rintracciabile qui:
(bundestag.de/dokumente/textarchiv/2019/kw45-de-entschaedigungsrecht-664940).
“Il nuovo 14° Libro
del Codice Sociale (SGB XIV) disciplina il risarcimento dei bisogni legati al
danno di … a persone che hanno subito danni alla salute attraverso una
vaccinazione o altre misure di profilassi specifica secondo la legge sulla
protezione dalle infezioni”.
Quindi riassumiamo
brevemente: Dal 01/01/2024, lo Stato può effettuare una ripartizione degli
oneri (una bella parola per indicare espropriazione) tra il patrimonio
dell’intera popolazione a scopo risarcimento delle vittime da vaccinazione.
I contratti
trapelati con i produttori di vaccini affermano che essi non hanno alcuna
responsabilità . Questa l’hanno coloro che intendono vaccinarsi, i quali dando
il loro consenso alla “vaccinazione raccomandata”, si assumono il rischio di
partecipare a questo esperimento medico. Perché le vaccinazioni Covid, le
uniche con autorizzazioni condizionate, sono le uniche vaccinazioni dove devi
firmare qualcosa? . Alla fine, prendi parte a uno studio medico per il quale il
produttore non si assume alcuna responsabilità. La vittima del vaccino non può
che rivolgersi allo Stato e sperare in un risarcimento.
Una vaccinazione
obbligatoria generale è importante per lo Stato, poiché questo è l’unico modo
per giustificare una condivisione degli oneri tra tutti i cittadini. Altrimenti
tutti coloro che non sono stati vaccinati potrebbero giustamente chiedersi
perché dovrebbero essere responsabili del danno causato ad altri che si sono
assunti volontariamente il rischio della vaccinazione sperimentale. In
aggiunta, ovviamente, si tratta anche di non avere più un gruppo di controllo
non vaccinato, che in realtà è assolutamente necessario per uno studio medico,
ma dovrebbe sollevare interrogativi sulla responsabilità personale dei singoli
protagonisti.
Per
un’autorizzazione regolare senza obblighi specifici, i produttori dei vaccini
devono raggiungere ulteriori risultati di studi e altri obblighi specifici
entro un certo periodo di tempo . Le approvazioni condizionate vengono
rinnovate su base annuale fino ad allora, nel caso di BioNTech / Pfizer,
Moderna e AstraZeneca è stato fatto recentemente dall’EMA.
Entro la fine del
2023 (sottostando a un ciclo di 6 mesi) ogni persona/cittadino test avrà
ricevuto 7 siringhe con i vaccini sperimentali genici. Questo spiega le
incredibili quantità di dosi di vaccino ordinate dall’UE. All’inizio della
campagna vaccinale sono state ordinate 2,3 miliardi di dosi di vaccino, con
solo circa 450 milioni di abitanti , ovvero 5 vaccinazioni per abitante di
tutte le età. Nel frattempo sono state ordinate ancora più dosi, tra cui altri
1,8 miliardi di fiale da BioNTech a maggio . Chi crede che sia finita con gli
attuali booster crede anche nel paziente asintomatico e nel test PCR.
Se si prendono in
considerazione i gravi effetti collaterali della vaccinazione compresi i
decessi, che oltrepassano di gran scala i vaccini precedenti (vedi grafico
basato sul database americano VAERS), si deve fare i conti con un numero
estremamente elevato di vittime e danneggiati da vaccino nei prossimi anni.
Il 23 settembre 2021
è stata presentata al Parlamento EU anche la domanda per la istituzione di un
fondo per le vittime da vaccini. In questa richiesta, sono rilevanti i dati
dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) sino ad oggi arrivano a quasi 1
milione di effetti collaterali. . Questi numeri sono nel frattempo
significativamente cresciuti ed è probabile che anche il numero di casi non
segnalati sia molto alto .
Pertanto, entro il
2024 dovrebbe essere previsto un numero enorme di vittime e decessi da vaccino,
il che rende molto probabile la richiesta di una condivisione degli oneri.
Sarebbe plausibile,
tuttavia, che l’indennizzo sia solo un pretesto e che attraverso la
ripartizione degli oneri venga raccolto molto più denaro di quanto
effettivamente necessario.
Lo Stato ha bisogno
anche della ricchezza dei suoi cittadini per una nuova moneta, l’euro digitale,
su cui la Bce sta ufficialmente lavorando da quest’anno [23]. Gli stati europei
(come altri stati occidentali, in particolare gli USA) sono fortemente
indebitati e per lo più in bancarotta. La proprietà, invece, appartiene ai
cittadini. Perché l’euro digitale abbia un qualche valore, la Bce e i Paesi
dell’area dell’euro devono azzerare i debiti. In questo contesto, non sorprende
che il presidente della Commissione europea, Ursula von-der-Leyen, chieda ora
un obbligo di vaccinazione a livello europeo . Questo potrebbe quindi essere
usato come pretesto per espropri in tutta Europa.
Inoltre, la Cina
introdurrà nel 2022 una nuova valuta digitale supportata da valore
patrimoniale, che è già in fase di test e sarà lanciata a livello nazionale per
le Olimpiadi invernali del 2022. Tuttavia, la Cina ora ha molte più risorse rispetto
ai paesi industrializzati occidentali, il che renderà la valuta molto forte e
gli altri saranno costretti ad agire. Secondo la volontà della leadership
cinese, l’e-yuan sostituirà il dollaro come valuta di riserva.
Anche i cittadini
dell’UE e di altri paesi occidentali saranno presto pronti per la riforma
monetaria. L’inflazione attualmente alimentata artificialmente (causata tra
l’altro dalle strozzature nelle consegne) continuerà a prendere velocità e spingerà i cittadini gradualmente impoveriti
a chiedere una via d’uscita.
La nuova valuta
dovrebbe essere puramente digitale senza contanti, basata sulla tecnologia
blockchain o qualcosa di simile. Questa dovrebbe quindi essere connessa come un
portafoglio (Wallet) con un’identità digitale nel senso di ID2020 , il cui
componente sarà il passaporto vaccinale o comunque ne rappresenterà la base. In
quanto valuta della banca centrale, non è più collegata a un conto bancario,
come previsto. Ogni cittadino ha quindi il proprio conto in banca centrale presso
la BCE. Per inciso, le pubblicazioni di Norbert Häring su questo sono molto
istruttive.
Finora, ovviamente,
non si è parlato di una riforma monetaria con il progetto della Bce sull’euro
digitale. Inoltre si sottolinea sempre che l’euro digitale non vuole abolire il
contante, ma non si diceva anche fino a poco tempo fa che in Germania non ci
sarà mai una vaccinazione obbligatoria?
Utilizzando gli ID
digitali, i diritti di base possono anche essere collegati all’adempimento dei
requisiti statali, come in Cina con il suo sistema di punteggio sociale. Oggi
bisogna essere vaccinati per poter accedere alla vita pubblica. Cosa succederà
domani? Ulteriori esperimenti medici per Big Pharma, misure mediche contro la
sovrappopolazione, blocco del portafoglio digitale per prodotti e servizi che
consumano troppa CO2, come carne o viaggi? Il cittadino è quindi completamente
ricattabile. Niente soldi e niente diritti fondamentali in caso di
“comportamento cattivo”. E chi dimostrerà poi se il rubinetto del denaro viene
chiuso per punizione?
Da questo non ci si
aspetta niente di buono per la nostra libertà e il nostro benessere . In base
al quadro che traccia il World Economic Forum per l’anno 2030: “Non possiedi
nulla, ma sarai felice”
Qualche parola
finale a cittadini, parlamentari, giornalisti o magistrati che pensano che
questo non sia affar loro perché potrebbero riuscire ad ottenere l’ambito
certificato di vaccinazione senza siringa attraverso relazioni con i medici o
la loro posizione attuale. Questo è ancora possibile perché si vuole portare
più persone possibili nel sistema Covid Pass senza grosse resistenze. Ma
esistono già brevetti per vaccinazioni biometriche a prova di contraffazione,
come il tatuaggio con microaghi del rinomato Massachusetts Institute of Technology
(MIT), che è stato presentato il 18 dicembre 2019 . Il cappio si stringe sempre
di più per tutti. È questo che vuoi per i tuoi figli e le tue famiglie? Tutti
coloro che partecipano sono complici.
Come lezione
all’uscita dal Terzo Reich furono creati i diritti fondamentali inalienabili e
il Codice di Norimberga , secondo il quale nessuno può essere costretto a
partecipare a un esperimento medico contro la sua volontà: “… il consenso
volontario della persona cavia (è) assolutamente necessario. Ciò significa che
l’interessato deve essere legalmente in grado di prestare il proprio consenso;
che deve essere in grado di usare il suo raziocinio, senza essere influenzato
da violenza, frode, astuzia, pressione, finzione o qualsiasi altra forma di
persuasione o coercizione; che deve conoscere e comprendere in dettaglio
l’ambito in questione per poter prendere una decisione ragionata e informata”.
È ovvio che questo è già stato palesemente violato dalla pressione (2G e Co.)
senza la vaccinazione obbligatoria. Cosa ci aspetta ancora?
(uncutnews.ch).
I giochi di cyberspionaggio
dietro le Olimpiadi di Pechino.
Corriere.it- ANDREA
MARINELLI- (14 gennaio 2022)- ci dice :
A Pyongyang, il
Maresciallo Kim spara altri due missili per uscire dal cono d’ombra geopolitico
in cui è finito. A Pechino, dietro le Olimpiadi invernali si nascondono i
giochi di cyberspionaggio. A Kiev, i siti del governo sono stati attaccati
dagli hacker. A Berlino, l’aereo privato del «cuoco di Putin» fa litigare i
governi tedesco e americano. A Washington, due senatori democratici rovinano
ancora una volta i piani del presidente Biden, mentre il ministero di Giustizia
arresta il leader degli Oath Keepers e altri 11 miliziani per un reato
introdotto nell’Ottocento, ai tempi della guerra civile.
Buongiorno,
bentornati su “America-Cina “per il nostro viaggio quotidiano fra i due poli di
questa newsletter. Oggi troverete anche le novità sulla sindrome dell’Avana,
che ha colpito anche nel cuore dell’Europa; la decisione della Corte Suprema
americana sull’obbligo vaccinale di Biden; il bilancio annuale dello Stato
Islamico; il record segnato da Pechino nel surplus commerciale; i barchini
rudimentali dei fuggiaschi cubani; la storia «selvaggia» di una surfista
92enne.
Buona lettura!
La newsletter
America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera.
1. La coppia di
missili di Kim (per uscire dal cono d’ombra).
(GUIDO SANTEVECCHI, CORRISPONDENTE DA PECHINO).
Fuoco missilistico a
volontà dalla Nord Corea: questa mattina «due proiettili non identificati» sono
stati rilevati durante il volo dalla Difesa sudcoreana. La formula «non
identificato» è la routine dei comunicati di Seul subito dopo un test di
Pyongyang: secondo i primi rilevamenti questa volta si tratterebbe di due
missili balistici a corto raggio. È la terza volta a gennaio che i nordcoreani
lanciano missili (primo test il 5; secondo l’11); una ripresa di attività
notevole da parte di Kim Jong-un. E sicuramente il Maresciallo punta proprio ad
essere notato dai principali attori della crisi coreana: Stati Uniti anzitutto,
Sud Corea, Cina.
Il lancio di oggi è
anche la risposta alla richiesta americana all’Onu di appesantire le sanzioni
contro la Nord Corea a causa della sua corsa missilistica; reagendo al test
dell’11 gennaio, quando Kim aveva assistito con la sorella alla prova di un
missile forse ipersonico, Washington ha messo in una lista nera cinque
funzionari nordcoreani attivi in Cina e Russia, sospettati di lavorare come
intermediari per forniture di tecnologia proibita (armi di distruzione di
massa). Il ministero degli Esteri di Pyongyang aveva risposto denunciando
«l’ostilità americana», dichiarando che «è diritto legittimo» della Corea del
Nord sviluppare nuove armi per «modernizzare la capacità di difesa nazionale» e
promettendo «una reazione forte». Subito dopo la nota diplomatica, sono
decollati i due «proiettili non identificati».
In un primo tempo,
Seul aveva riferito di un solo ordigno, poi si è accorta del secondo. Il lancio
in rapida sequenza è ovviamente un’ulteriore minaccia. L’attivismo missilistico
di Kim Jong-un in questi giorni sembra rivolto anche all’alleato cinese e
all’avversario sudcoreano. Tra venti giorni Pechino ospiterà le Olimpiadi
invernali, alle quali Xi Jinping tiene per mostrare al mondo che il Partito
comunista ha protetto la Cina dalle nuove ondate di Covid-19 e l’ha guidata
verso la ripresa economica. Con i suoi missili, Kim può creare un clima di
tensione che potrebbe oscurare i Giochi.
Nel 2018, la Nord
Corea aveva partecipato alle Olimpiadi invernali ospitate dalla Sud Corea. Kim
inviò la sorella a guidare la delegazione, aprendo una fase di dialogo che
portò ai tre vertici con Donald Trump. Dopo il fallimento del negoziato al
summit di Hanoi, nel 2019, gli Stati Uniti hanno ignorato Kim. Il Maresciallo
sta cercando ora di uscire dal cono d’ombra e potrebbe anche cercare di
sfruttare il periodo olimpico per rubare la scena dei Giochi con altre
provocazioni.
2. I giochi olimpici
di cyberspionaggio.
(Guido Santevecchi) Si preparano giochi di spie dietro le quinte delle
Olimpiadi invernali di Pechino (4-20 febbraio)?
Sul banco dei
«soliti sospetti» ci sono i padroni di casa cinesi.
Gran Bretagna, Olanda e Belgio pensano che
l’intelligence mandarina si sia preparata per sorvegliare e registrare le
comunicazioni delle delegazioni straniere. Così, la Boa (British Olympic
Association) ha consigliato agli atleti e dirigenti della nazionale di lasciare
a casa smartphone e computer portatili e di sostituirli con altri «di servizio»
che saranno disattivati dopo l’uso nel Villaggio olimpico. Più drastica la
decisione olandese: agli atleti arancioni è stato ordinato di rinunciare ai
loro gadget e di usare solo i «muletti» forniti dal Comitato olimpico dell’Aja.
Immaginando che saranno infiltrati per la sorveglianza, i telefonini e i pc
saranno mandati al macero dopo la fine dei Giochi. Una linea analoga è
annunciata in Belgio. Si preparano a prendere contromisure le rappresentative
di Stati Uniti e Australia.
In Cina il traffico dei
dati su Internet è strettamente censurato. Come gesto di buona volontà, per i Giochi le
autorità hanno promesso di consentire ai partecipanti al circo olimpico
(atleti, dirigenti, giudici di gara, accompagnatori e giornalisti) libero
accesso al web. In cambio, i cinesi contano di ricevere ampia pubblicità sulle
Olimpiadi grazie ai post sui social network liberati dal Great Firewall, come
Twitter, Facebook, Instagram, di regola bloccati. La liberalizzazione varrà
solo all’interno della bolla olimpica di Pechino, dalla quale la tribù olimpica
non potrà uscire per motivi di sicurezza sanitaria. Per navigare liberamente
con il proprio smartphone o pc, si dovranno usare Sim card fornite dagli
organizzatori cinesi: partono
anche da questo particolare tecnico i sospetti di sorveglianza e spionaggio.
La risposta cinese è
sdegnata. La Cgtn, canale
internazionale della tv statale, ha fatto un servizio sulla vicenda sotto il
titolo «Spy fiction».
Comincia così: «Venite qui a Pechino, vi
schierate sulla pista da sci o sul ghiaccio, vincete una medaglia o due, e nel
frattempo noi stiamo ad origliare ogni vostra conversazione telefonica, per
sapere se parlate del cibo, dei letti nelle vostre camere, di come vanno gli
allenamenti. Roba da romanzo, da 007, un copione di fiction scritto in Gran
Bretagna, Olanda, Stati Uniti. Ma questa corsa paranoica a proteggersi da
minacce immaginarie è il risultato inevitabile della politicizzazione delle
Olimpiadi».
La tv di Pechino
conclude il servizio sostenendo che dipingere la Repubblica popolare cinese
come «il cattivo» della spy story inventata, distorce lo spirito olimpico.
«Certo, ogni Paese
potente ha la sua rete di canali per raccogliere informazioni. Ma il lavoro di
intelligence non mette nel mirino la gente indiscriminatamente o cerca di
sorvegliare tutto, non c’è
alcuna prova che gli atleti olimpici possano essere bersaglio di spionaggio».
Però, la Storia
insegna che le vie dell’intelligence sono infinite. Basti pensare che alle
Olimpiadi di Roma, nel 1960, la Cia contattò atleti americani (come il
centometrista Dave Sime) chiedendo una mano per convincere qualche campione
sovietico a passare in Occidente. Secondo le testimonianze del figlio di Sime e
documenti recentemente de-secretati, tra gli obiettivi dell’operazione ci
sarebbe stato il grande campione sovietico di salto in lungo Igor
Ter-Ovanesyan. Il quale però rifiutò la proposta di defezionare e trasferirsi
in California: «Pensai che se avessi lasciato la Russia, avrei creato un mare
di guai ai miei genitori, a mia sorella, che avrebbero stati sospettati di
complicità e avrebbero perso il lavoro. Ma soprattutto, io ero un vero
sovietico, credevo che il nostro sistema fosse migliore di quello occidentale.
E non avevo voglia di lasciare Mosca per la California».
3. Attacco hacker
contro il governo ucraino
( MARTA SERAFINI).
I venti di guerra
tra Mosca e Kiev soffiano sempre più forti. Soprattutto nel cyber spazio.
Numerosi siti del governo ucraino sono stati oggetto di un attacco informatico
su larga scala, un attacco non immediatamente rivendicato, che avviene nel
contesto delle accresciute tensioni tra la Russia e l’Ucraina. «Il sito
ufficiale del Ministero dell’Istruzione e della Scienza è temporaneamente
chiuso a causa dell’attacco globale avvenuto nella notte tra il 13 e il 14
gennaio», ha annunciato quest’ultimo sulla sua pagina Facebook. Anche i siti di
altri ministeri, compreso quello della Sicurezza, degli Esteri e della
Politiche agrarie sono risultati inaccessibili.
Funzionano
regolarmente i siti web del ministero dell’Interno, del ministero della
Giustizia, del ministero dell’Industria e del Commercio e quello del
presidente. Su alcuni degli indirizzi attaccati sono comparsi messaggi in
russo, polacco e ucraino. «Ucraino! Tutti i tuoi dati personali sono stati
caricati sulla rete pubblica», si legge nel messaggio. E ancora: «Tutti i dati
sul tuo computer vengono cancellati e non saranno recuperabili. Tutte le
informazioni su di te sono diventate pubbliche, temi e aspettati il peggio.
Questo ti viene fatto per il tuo passato, presente e futuro».
4. L’aereo privato
del «cuoco di Putin» fa litigare Usa e Germania
( PAOLO VALENTINO,
CORRISPONDENTE DA BERLINO).
Tra scenari da
Guerra Fredda e prove tecniche di dialogo tra Stati Uniti e Russia, un caso
internazionale si consuma, per il momento dietro le quinte, intorno a un jet
privato che da oltre due anni sta parcheggiato su una pista dell’aeroporto di
Berlino. È una storia che condensa in sé tutti gli elementi, le posizioni e le
contraddizioni, nella nuova stagione di gelo e tensione tra l’Occidente e
Mosca. L’aereo in questione è un lussuoso Hawker 800XP, atterrato il 29 ottobre
2020 nello scalo berlinese di Schönefeld e da allora rimastovi, in apparenza
per la manutenzione. Ma non si tratta del jet del solito miliardario. Secondo
il governo americano, il velivolo è infatti di proprietà di Evgenij Prigozin,
meglio noto come «il cuoco di Putin», uno degli oligarchi più vicini al leader
russo.
Nella galassia
putiniana, il ruolo di Prigozin va in realtà ben oltre la gastronomia: è
infatti fondatore e proprietario della milizia Wagner, l’esercito privato che
combatte le guerre sporche per conto del Cremlino in Siria, Libia e da ultimo
in Mali. Di più, secondo un rapporto segreto dell’intelligence tedesca,
Prigozin sarebbe anche dietro la Internet Research Agency, una fabbrica di
troll che da anni diffonde fake news e fa propaganda filorussa sui network
occidentali. Per aver tentato di interferire nelle elezioni presidenziali
americane del 2016, il miliardario è imputato negli Usa per congiura e
finanziamento di influenze illecite ed è ricercato dall’Fbi.
Ma a riguardarci
nella vicenda, è che Prigozin sia anche uno dei nomi nella lista delle sanzioni
ad personam varate dagli Usa e dall’Unione Europea contro Mosca dopo
l’annessione della Crimea e rafforzate dopo il caso Navalny. Chi è in
quell’elenco, non può entrare in Europa e i suoi beni possono essere
confiscati. È proprio quello che il governo americano ha chiesto qualche mese
fa alla Germania: il sequestro dell’Hawker, valore commerciale 2 milioni di
euro. Ma come rivela il settimanale Die Zeit nel numero in edicola, il governo
federale tergiversa e da settimane discute animatamente sul da farsi.
5. La sindrome
dell’Avana colpisce a Ginevra e Parigi.
( GUIDO OLIMPIO)
Gli Stati Uniti non
conosco ancora le cause della misteriosa sindrome dell’Avana. L’affermazione
candida è del segretario di Stato Antony Blinken. E pesa ancora di più perché
accompagna la segnalazione di nuovi casi. In estate diversi diplomatici statunitensi
basati a Ginevra e Parigi hanno lamentato malesseri, uno ha avuto bisogno di un
ricovero. I sintomi sono sempre i soliti: giramenti di testa, perdita di
equilibrio, nausea, strani ronzii.
C’è questo nelle
testimonianze di oltre 200 funzionari finiti nella lista dei «contagiati» dal
malanno a livello globale. Il fenomeno è iniziato nel 2016 a Cuba — da qui il
nome — per estendersi successivamente al personale americano (ma anche
canadese) in Russia, Cina, Est Europa, Colombia e area di Washington. La progressione
degli eventi, a tratti incalzante, è stata seguita da una serie di ipotesi.
Si tratta di un
attacco con onde elettromagnetiche, dunque azione ostile da parte di un
avversario degli Usa.
Sono le conseguenze
di una sorveglianza di tipo elettronico, sempre da parte di nemici.
Effetti di potenti
pesticidi.
Il fastidioso canto
di insetti (relativo agli incidenti sull’isola castrista).
L’uso di apparati
all’interno delle rappresentanze.
È una forma di
psicosi che ha coinvolto chi è basato all’estero, stress da lavoro.
Insieme agli scenari
— prodotti a ripetizione da inquirenti e scienziati – sono stati indicati i
presunti colpevoli. Se si tratta davvero di un’aggressione allora possono
essere i russi, i cubani, cinesi e chiunque sia rivale dell’America. Ma, allo
stesso tempo, c’è chi ha ricordato gli esperimenti condotti dalla Cia durante
la guerra fredda. La Casa Bianca e il Dipartimento di Stato hanno reagito su
più livelli.
6. Biden, un’altra
sconfitta sul filibuster.
( GIUSEPPE SARCINA, CORRISPONDENTE DA WASHINGTON).
Ancora una volta
sono i due senatori moderati, Joe Manchin e Kyrsten Sinema, a rovinare i piani
del presidente. Ieri entrambi si sono dichiarati contrari all’eliminazione del
filibuster, l’ostruzionismo a oltranza superabile solo con un quorum di 60
senatori su 100 (e i democratici ne hanno 50). Ma se i democratici non forzeranno
i regolamenti del Senato, procedendo a maggioranza semplice, gran parte del
programma di Biden non avrà alcuna speranza di trasformarsi in legislazione.
Negli ultimi mesi si
è discusso molto di crisi della democrazia americana. Ora siamo a un passo da un
nuovo paradosso: il diritto della minoranza di non essere sistematicamente
schiacciata si sta trasformando in un potere di veto assoluto. I democratici
hanno vinto le presidenziali, controllano Camera e Senato, ma non sono in grado
di governare.
Sinema ieri ha
spiegato così la sua posizione, intervenendo in Aula: «Se eliminiamo il
filibuster, la politica diventerà ancora più polarizzata». È un evidente
sofismo. Il filibuster è lo strumento, non la causa, di uno scontro totale tra
i due partiti. Il punto è che i repubblicani, dominati dalla leadership
trumpiana, non hanno alcuna intenzione a negoziare con gli avversari.
Per Biden il momento
è drammatico. Le leggi sulla tutela del voto rischiano seriamente di
naufragare. Ieri sera, notte fonda in Italia, il presidente è tornato
all’attacco, chiudendosi per un’ora in riunione con Manchin e Sinema. I due
parlamentari frondisti a questo punto dovranno decidere non tanto sulla
questione del filibuster, ma se salvare il soldato Biden oppure provocarne il
prematuro fallimento.
7. Arrestato il
leader della milizia degli Oath Keepers.
( MASSIMO GAGGI).
Sale la temperatura
dell’inchiesta sull’assalto al Congresso del 6 gennaio dello scorso anno:
mentre la commissione parlamentare d’indagine invia un mandato di comparizione
a Facebook, Google, Twitter e Reddit, insoddisfatta per le risposte vaghe o
reticenti avute dalle società tecnologiche sul ruolo delle loro piattaforme
nella promozione dei disordini, il ministero della Giustizia ha disposto
l’arresto del capo della milizia degli Oath Keepers, Stewart Rhodes e ha
incriminato lui e altri 10 attivisti che parteciparono a quell’occupazione: gli
11 esponenti di estrema destra sono stati incriminati per atti di cospirazione
sediziosa. È un reato introdotto ai tempi della Guerra civile di metà Ottocento
ed è stato contestato pochissime volte nell’arco di 160 anni: l’ultima volta
nel 2011 in Michigan dove era stata scoperta una trama per tentare di uccidere
un poliziotto.
Dunque stanno
emergendo elementi che fanno pensare a un’organizzazione e una trama eversiva,
anche con sopralluoghi intorno al Congresso alla vigilia della marcia su
Capitol Hill trasformatasi in un’irruzione nel Parlamento. Ma chi ha dato
spazio ai rivoltosi, chi e come ha fatto da megafono? La Commissione
d’inchiesta della Camera dei deputati che indaga sull’assalto al Congresso del
6 gennaio 2021 ha convocato i responsabili d Facebook, Twitter, Reddit e
Alphabet-Google (che controlla YouTube) per chiedere conto del loro operato
prima e durante l’assedio a Capitol Hill. «Le due questioni chiave per la
commissione — ha dichiarato il suo presidente Bennie Thompson — sono accertare
come la disinformazione e l’estremismo si siano diffusi, contribuendo al
violento attacco ala nostra democrazia», e in secondo luogo «capire quali passi
siano stati adottati (o evitati) dalla aziende per impedire che le piattaforme
potessero offrire una base a gruppi radicalizzati».
La Commissione si è
già fatta un quadro della situazione: YouTube ha veicolato messaggi per l’ideazione
e l’esecuzione dell’assedio al Congresso, compresi i filmati dell’attacco
mandati in diretta streaming. Facebook (nuovo nome Meta) è stata usata per
diffondere messaggi che incitavano alla violenza, oltre alle false notizie che
hanno alimentato l’idea di «elezioni rubate» a vantaggio di Biden. Su Reddit la
comunità denominata «r/The_Donald», prosegue Bennie Thompson, ha avuto modo di
crescere, prima di migrare su un sito Internet dedicato dove gli investigatori
sono convinti sia maturato il piano dell’assalto del 6 gennaio. La Commissione
d’inchiesta prende di mira anche Twitter: si è opposta ad azioni violente ma ha
dato fiato alle accuse di frodi elettorali.
8. La Corte Suprema (
Usa) boccia l’obbligo vaccinale.
(MONICA RICCI SARGENTINI)
La Corte Suprema
degli Stati Uniti ha bocciato ieri l’obbligo di vaccino anti-Covid voluto
fortemente da Joe Biden lo scorso settembre per le aziende con oltre 100
dipendenti. Un duro colpo per il presidente americano che è già alle prese con un
calo di popolarità preoccupante, soprattutto in vista delle elezioni di
midterm. Dopo mesi passati invano a tentare di convincere i dubbiosi, Biden
aveva deciso di rendere la vaccinazione obbligatoria per quasi 100 milioni di
dipendenti in modo da prevenire, secondo le stime della Casa Bianca, 250 mila
ricoveri e migliaia di decessi. Una mossa resasi necessaria dall’imperversare
della pandemia che negli Usa ha raggiunto livelli record, con una media
giornaliera nell’ultima settimana di quasi 800 mila casi e oltre 1.800 morti.
Negli Usa solo il 62,7% della popolazione è vaccinato e un terzo ha ricevuto la
dose booster.
Ma, nel Paese delle
libertà individuali, la misura era stata subito denunciata come un abuso di
potere da molti Stati a guida repubblicana e da una parte del mondo economico.
E la Corte Suprema ha dato loro ragione: «Ordinare ai cittadini di vaccinarsi
contro il Covid o di sottoporsi, a proprie spese, a dei test tutte le
settimane, non fa parte dell’esercizio quotidiano del potere federale ma è
un’intrusione nella vita e nella salute di una larga parte dei lavoratori
dipendenti» hanno scritto i giudici nella sentenza. Contrari al pronunciamento
i tre membri progressisti: «Agendo al di fuori della sua competenza e senza
fondamento giuridico, la Corte sostituisce i funzionari del governo incaricati
di rispondere alle emergenze sanitarie sul posto di lavoro», hanno scritto
Stephen Breyer, Elena Kagan e Sonia Sotomayor.
Il massimo organo
giudiziario si è, invece, espresso a favore dell’obbligo per gli operatori
sanitari impiegati in strutture che ricevono fondi federali, una misura che
coinvolge oltre 17 milioni di dipendenti. Biden non ha voluto nascondere il suo
disappunto e si è detto «deluso» per la bocciatura di «norme di buon senso».
Ora la sua strategia anti-Covid si dovrà limitare a rendere disponibili
mascherine e test fai da te gratuiti, oltre all’invio di squadre di medici
militari negli Stati travolti dalla pandemia.
9. Tempo di bilanci
per lo Stato Islamico.
(Guido Olimpio).
Tempo di bilanci per lo Stato Islamico. La
fazione — segnala l’esperto Tore Hamming — ha pubblicato i numeri degli
attacchi durante il 2021: Iraq (1.127); Nigeria (415); Afghanistan (372); Siria
(368); Congo (125). A sua volta il Meir Amit Terrorism and Intelligence
Information Center ha registrato 2.705 operazioni, dato di poco differente
rispetto all’anno precedente (2.781).
Dunque il movimento
è stabile, continua ad avere una presenza marcata nel teatro originario, quello
dove è tutto è nato, ossia l’area siro-irachena. Significativa la spinta in
Afghanistan e soprattutto in Africa, il continente dove è all’offensiva in
numerosi Paesi. In Occidente resta allarme anche se lo Stato Islamico non è più
riuscito a sferrare grandi colpi: merito dei controlli, difficile inviare
uomini, preferenza per gesti individuali di simpatizzanti (a volte senza
rivendicazione).
Le azioni dei
terroristi hanno provocato, a livello globale, 8.147 tra morti e feriti, meno
dei 9.075 del 2021. Da seguire quanto avviene nel campo profughi di al Hol, in
Siria, dove sono ospitate 58 mila persone, in gran parte legate al Califfato.
Tante le donne e i minori, familiari di militanti. Fonti delle Nazioni Unite
hanno registrato nell’anno che si chiude 90 omicidi, tra le vittime anche due
operatori umanitari.
10. Pechino segna il
record nel surplus commerciale.
(Guido Santevecchi) .Il surplus commerciale della Cina nel 2021 ha
raggiunto i 676 miliardi di dollari, con un incremento del 29,9% rispetto al
2020. Per Pechino si tratta del risultato migliore nella storia e ha battuto il
record del 2015. Secondo i dati diffusi dalle Dogane cinesi, il surplus verso
gli Stati Uniti è arrivato a 396 miliardi, in aumento rispetto all’anno scorso
nonostante le tensioni politiche e i problemi causati dalla pandemia. L’export
cinese verso gli Usa è aumentato del 27,5%, a 576 miliardi di dollari, mentre
l’import del 32,7%, a 179 miliardi. Gli Stati Uniti sono il primo partner della
Repubblica popolare cinese come singolo Stato, mentre sono al terzo posto dopo
Asean e Unione Europea se si considerano le macroaree.
Lunedì prossimo
Pechino diffonderà i dati macroeconomici del quarto trimestre del 2021. Gli
analisti prevedono una crescita del Pil vicina allo zero rispetto al terzo
trimestre del 2021, ma un dato di espansione annuale intorno al 6%. Sul
rallentamento ha pesato anche la strategia «Zero Covid» del governo cinese per
bloccare la diffusione dei contagi con lockdown mirati (ne sa qualcosa la
signorina Wang, di cui ci ha parlato Paolo Salom ieri, ndr) che al momento
interessano una mezza dozzina di città, compresi i due grandi porti di Tianjin
e Dalian e costringono a casa 20 milioni di persone.
11. I barchini
rudimentali dei fuggiaschi cubani
(Guido Olimpio) Non passa settimana senza che la Guardia Costiera
Usa intercetti barchini di fuggiaschi cubani. La rotta è sempre la solita,
porta alla punta meridionale della Florida. I mezzi — come abbiamo spesso
mostrato — sono imbarcazioni rustiche alle quali aggiungono dei galleggianti
nel tentativo di renderle più sicure. Durante gli ultimi dodici mesi sono stati
fermate circa 840 persone, nella maggioranza dei casi rimandate indietro.
12. Nonna Nancy,
surfista a 92 anni.
(Carlos Passerini) Ha imparato a surfare a 50 anni. E non alcuna
intenzione di smettere. Nemmeno ora che ne ha 92. È l’incredibile storia di
Nancy Meherne, una signora della Nuova Zelanda — più precisamente di
Scarborough Beach, non lontano da Christchurch — che ogni santa mattina prende
la sua tavola e va a sfidare le onde. «Finché riuscirò a mettermi in piedi
sulla tavola , andrò avanti». Una storia alla Giorni selvaggi, imperdibile
libro valso a William Finnegan il Premio Pulitzer nel 2016.
A raccontare la sua
storia è stato il Guardian. «Cosa dicono i giovani che mi incrociano sulla
spiaggia? Mi rispettano» spiega la signora Nancy, che racconta così la sua
passione: «Mi piace quando si acquista velocità. Ci si muove così velocemente,
è bello… Le onde piccole le lascio perdere, durano troppo poco. Aspetto quelle
grosse. Mi piace la vicinanza con l’acqua, sentire che mi porta in alto,
veloce». Velocità, adrenalina, ricerca costante del limite: questo è il suo
segreto, a 92 anni come a 20.
Da tenere d’occhio.
Il governo
australiano ha revocato il visto di ingresso di Novak Djokovic per la seconda
volta. Il ministro dell’Immigrazione, Alex Hawke, ha cancellato il permesso del
serbo, che ha ammesso di non essere vaccinato contro il Covid, «per motivi di
salute e ordine pubblico». Secondo il ministro, «era nell’interesse della
popolazione farlo». «Comprendo la decisione — ha aggiunto il primo ministro
australiano, Scott Morrison —, il nostro popolo ha sacrificato tanto durante
questa pandemia, e ora si aspetta che questi sacrifici vengano protetti». Il
tennista non verrà immediatamente espulso. (Marco Calabresi e Andrea Sereni sul sito del Corriere).
Corruzione
Pfizer/FDA: Lotti mortali e
Autopsie rivelano il
Genocidio
del Vaccino Covid-19.
Conoscenzealconfine.it-Redazione
-( 18 Gennaio 2022)- ci dice :
Non solo gli studi
della Pfizer erano una frode,
ma la FDA li ha consapevolmente approvati, mettendo milioni di persone ad alto
rischio.
Questo rapporto
rivelerà come le autopsie dimostrano
che i vaccini Covid-19 uccidono effettivamente le persone sane, come sono stati rilasciati lotti intenzionalmente letali, e fornirà uno strumento incredibile per esporre la
frode delle prove Pfizer e la negligenza della FDA in modo che la gente sia
armata con alcuni dei dati più importanti fino ad oggi per combattere contro
questa tirannia.
L’ex direttore
scientifico della Pfizer, il
dottor Mike Yeadon, ha
confermato che il 90% degli effetti collaterali del vaccino proveniva da meno
del 10% dei lotti, il che è stato documentato e calcolato direttamente dal
VAERS del CDC e significa che i lotti non contengono gli stessi ingredienti. Questa è una prova solida di un gioco sporco
deliberato e il più grande corpo di prove fino ad oggi.
Le morti per il
vaccino Covid non vengono tracciate dai coroner. Le morti non sono nemmeno
messe in discussione o documentate come causate dalla Covid. Un coroner
americano si è preso il tempo di rintracciare tre morti tra i 30 e i 50 anni che sono morti a causa della vaccinazione Covid, e le
autopsie lo confermano.
Gli studi di
autopsia dell’alto patologo
tedesco Dr. Arne Burkhardt mostrano chiaramente che tutti i “vaccini genetici”, indipendentemente dal produttore, producono lo
stesso risultato nelle persone vaccinate e decedute.
Negli organi di
queste persone, ha trovato un auto-attacco autoimmune dei linfociti killer sul
90% dei tessuti. I
principali sono il cuore, i polmoni, poi altri tessuti come il fegato, ecc. Il dottor Bhakdi conferma che questi vaccini stanno uccidendo giovani e
vecchi.
In uno stato
centrale degli Stati Uniti, il numero totale di morti non è variato tra il 2015
e il 2019. Nel 2020, il numero di morti è aumentato del 15%, e DOPO che oltre
il 62% degli americani aveva ricevuto il vaccino nel 2021, il numero totale di
morti è aumentato di un enorme 12% oltre il 15% del 2020.
Pfizer ha pagato più
di 10 miliardi di dollari in multe per false dichiarazioni, corruzione di
medici, manipolazione di studi e morti dovute ai suoi farmaci nella storia
della sua esistenza – e i suoi studi sul Covid 19 erano una frode completa (la
Canadian Covid Care Alliance ha messo insieme un brillante video di
presentazione che spiega tutto questo, e fornisce un chiaro PDF come risorsa).
Pfizer ha affermato
che i vaccini erano sicuri e mostravano un’efficacia del 95%, 7 giorni dopo la
seconda dose. Ma questo 95% era in realtà una riduzione del rischio relativo.
La riduzione del rischio assoluto era solo dello 0,84%.
Un giudice federale
ha negato la richiesta della FDA di non rendere pubblici i documenti della
Pfizer. Invece dei 75 anni richiesti dalla FDA per la produzione di tutti i
documenti presentati da Pfizer per l’approvazione del Covid-19, il giudice ha
ordinato il rilascio di 55.000 pagine al mese, da completare entro 9 mesi.
Il direttore del CDC
riconosce che il 75% di tutte le morti legate al Covid hanno almeno quattro comorbidità
e che la vaccinazione non impedisce la trasmissione. Secondo il sistema di
segnalazione VAERS del CDC, in meno di un anno sono morte più persone per il
vaccino Covid che per tutti gli altri vaccini messi insieme, e non l’hanno
ancora eliminato.
(Partecipanti alla
manifestazione No Vax a Torino, 23 marzo 2019.
ANSA-ALESSANDRO DI
MARCO)
Le autopsie rivelano
morti per i vaccini Covid, nonostante i tentativi di sopprimere questi
risultati. Ho parlato con
un medico legale con cui sono stato in contatto per due anni per avere un’idea
di ciò che vedono nelle autopsie, come viene gestito il monitoraggio dei
decessi dovuti alla vaccinazione Covid e come vengono prodotti i certificati di
morte. È stato un discorso
abbastanza informativo, contenente molto di ciò che sospettavo.
C’è una grande falla
nel sistema. Non è progettato per registrare le “lesioni da vaccino” per diverse ragioni:
1.)- in molti casi,
il coroner deve rinunciare alla giurisdizione nel caso di ospizi e case di
cura, il che significa che
il coroner non arriva mai a vedere le cartelle cliniche, ma deve comunque
firmare i certificati di morte.
2.)- ci sono investigatori nell’ufficio del coroner che
contattano le strutture dove è avvenuta la morte e ricevono solo un breve
rapporto delle precedenti diagnosi mediche del defunto dalla persona che prende
la chiamata – e questi investigatori non osano chiedere del “vaccino”. Se un paziente aveva la Covid al momento della
morte, questa viene aggiunto, ma non viene mai menzionato che ci sono state
complicazioni dopo la vaccinazione. Così, quando i documenti sono presentati al coroner
per la firma, il coroner non ha modo di sapere se la persona era stata
vaccinata.
3.)- nei decessi al
di fuori delle case di cura e degli ospizi, come negli ospedali o nelle case di
riposo, molte famiglie non
pensano nemmeno a menzionare che il loro caro è stato recentemente vaccinato
perché credono che sia
sicuro.
Ad essere onesti,
niente di tutto ciò mi sorprende. Recentemente ho parlato con qualcuno che è responsabile della
registrazione dei rapporti sugli eventi avversi in una grande rete ospedaliera.
Tuttavia, tutti i casi di
morte sono stati conservati dai supervisori e solo gli eventi avversi sono
stati trasmessi per la registrazione. Immagino che questo sia il caso della maggior parte
delle reti. Ma tutto questo
si è fermato quando a questa persona è stato detto di smettere di inserire i
dati all’inizio di novembre, e senza spiegazione. Quanti altri ospedali e reti
hanno ricevuto le stesse istruzioni, e le morti sono state segnalate?
Come controllano i
resoconti e fanno propaganda per fomentare la paura? Un esempio perfetto è l’articolo del Times of Israel
pubblicato il 10 gennaio 2022, con il titolo “Primo caso di infezione cardiaca in Israele legato
all’infezione Omicron”.
Si legge che “un
uomo di 43 anni, precedentemente sano, che aveva ricevuto un’iniezione di
richiamo in agosto, è stato ricoverato in terapia intensiva a Tel Hashomer; i
medici lo definiscono uno sviluppo preoccupante”. Ma la “preoccupazione” si
riferisce alla presunta variante Omicron, non al vaccino Covid.
Il dottor Shlomi
Matetzky, capo dell’unità di terapia intensiva al Sheba Medical Center
(ospedale di Tel Hashomer), ha detto a “Channel 12 News” dell’uomo in cura per
la miocardite, spiegando: “È la prima volta che abbiamo
visto questo con
Omicron. Questo è uno sviluppo preoccupante su cui dobbiamo riflettere”.
Questo ignora
completamente il fatto che l’uomo ha ricevuto le vaccinazioni e l’iniezione di
richiamo, ma immediatamente lancia l’allarme che Omicron è la causa. Israele è il primo paese al mondo a introdurre un
quarto booster.
Molti, tra cui
“Corey’s Digs”, hanno a lungo messo in guardia contro la creazione di false
varianti e l’affermazione di quanto siano mortali per coprire la storia di
coloro che effettivamente muoiono a causa del vaccino Covid stesso.
Purtroppo, stiamo
vedendo tutto questo in tempo reale.
Quindi come può
essere diffusa questa propaganda?
Una ricerca di 60
secondi mostra “casualmente” che Bill Gates è collegato allo Sheba Medical Center in Israele attraverso
investimenti congiunti.
Questo è esagerato? Niente affatto. Quando si comprende la portata, la trazione
e il controllo che queste élite di globalisti hanno per coordinare tale
propaganda, questo tipo di connessione diventa molto rilevante, soprattutto
quando il loro travisamento, contrario alla scienza, è quello che esce da
questo ospedale. Il numero di morti è aumentato significativamente ed è chiaro
che la vaccinazione Covid sta influenzando questo.
(Se vuoi leggi il
resto di questo interessantissimo ed esaustivo resoconto qui:
vk.com/doc503313363_621665522).
Conclusione.
Quindi di cosa si
tratta veramente? In parole
povere, la pandemia serve
ad avere il pretesto per iniettare la popolazione con una terapia genica
sperimentale che il CDC e la FDA amano chiamare “vaccino”.
Questo “vaccino” è
progettato per dare a tutti un passaporto di vaccinazione e costringere tutti
nel nuovo “sistema di credito sociale” globale.
Questo sistema è
progettato per costringere la popolazione mondiale all’obbedienza totale,
mentre i globalisti controllano l’accesso e la spesa di tutti per tutto
attraverso l’uso del nuovo sistema CBDC (moneta digitale della banca centrale)
a cui stanno lavorando. E
la ciliegina sulla torta per i globalisti che hanno orchestrato questo è lo
spopolamento.
Il tasso di
sopravvivenza per il Covid-19 è del 99,98%, e si basa sulle morti registrate di
persone “con” Covid, non “di” Covid.
Il direttore del CDC
ha inoltre dichiarato che il 75% di tutte le morti legate al Covid sono
avvenute in persone con almeno 4 comorbidità.
Le reti ospedaliere, i coroner, le case di cura, gli ospizi e il
personale medico sono istruiti e intimiditi a non fare rapporto al VAERS, a non
mettere in dubbio che una persona deceduta abbia recentemente ricevuto il
vaccino, e a non monitorare le morti dovute al vaccino.
La FDA e il CDC hanno fatto tutto il possibile per informare gli
ospedali e i medici di non trattare i pazienti di Covid a meno che “non possano
respirare”.
Hanno rifiutato di
raccomandare o prescrivere zinco, quercetina, vitamina C, vitamina D,
ivermectina o drossiclorochina, che sono noti per funzionare.
Sono arrivati
persino a screditare brillanti scienziati e medici di Harvard, Oxford, Stanford
e altrove, cercando di privare i medici dei loro mezzi di sussistenza e di revocare
le loro licenze.
Tenendo conto di
tutto questo, chi sta
veramente morendo per il presunto “covid”?
Abbiamo così tante
prove che questo è un genocidio – e se la gente non smette di obbedire, interi paesi crolleranno e bruceranno, e non ci sarà più
nulla per cui combattere oltre le ceneri.
A tutti coloro che stanno lottando per smascherare questo genocidio e facendo tutto ciò che è in loro potere per fermarlo,
compreso il trattamento dei pazienti – il mondo ha un grande debito di
gratitudine verso tutti voi e dovreste sapere quanto siete apprezzati.
(vk.com/doc503313363_621665522).
Sorveglianza di
massa in Cina,
il modello che
spaventa l’Occidente.
Agendadigitale.eu
-Barbara Calderini- (04 Mar 2020)- ci dice :
(Legal Specialist -
Data Protection Officer- Barbara Calderini).
Spyware nei
cellulari, telecamere per il riconoscimento facciale, wi-fi sniffer. Si basa su
un mix di tecnologie vecchie e nuove la grande rete voluta dal presidente Xi
Jinping che punta a “spiare” 1,4 mld di abitanti.
Il prezzo pagato alla privacy del nuovo Panopticon che spaventa il mondo.
Un’immensa rete di
sorveglianza copre le città cinesi e conferisce alla polizia poteri quasi
illimitati. Conversazioni via smartphone, espressioni del volto, movimenti
vengono controllati costantemente grazie a un potente sistema di tecnologie
integrate gestite da applicazioni di Intelligenza artificiale. Ecco com’è
realizzato uno dei più grandi apparati di spionaggio del mondo. Che agisce a
scapito della privacy. E che non sarà facile fermare.
Indice degli
argomenti.
Cina, prima al mondo
per telecamere
Sono anche i motivi
per cui a febbraio la
Commissione europea presentando il libro bianco sull’AI ha ribadito la
necessità di evitare che si impongano, nella corsa tecnologica, modelli
contrari ai principi fondanti dell’Europa.
WHITEPAPER.
Gestione dei
contratti e GDPR: guida
all’esternalizzazione di attività dei dati personali
Legal-Privacy-Email
Aziendale.
Consente all’invio
di comunicazioni promozionali inerenti i prodotti e i servizi di soggetti terzi
rispetto ai Titolari con modalità di contatto automatizzate e tradizionali da
parte dei terzi medesimi, a cui vengono comunicati i dati.
No- Si.
Già perché le città
cinesi sono le più monitorate al mondo. La società di sicurezza Comparitech ha steso una classifica basata sul numero di
telecamere a circuito chiuso ogni 1.000 persone: la Cina detiene il primato con otto delle prime 10
città più sorvegliate al mondo e l’apice si tocca a Chongqing, grande
agglomerato urbano situato nel sud-ovest del paese dove confluiscono i fiumi
Azzurro e Jialing. Nella
graduatoria mondiale la Cina è seguita da Malesia e Pakistan, Usa, India,
Indonesia, Filippine e Taiwan. Irlanda e Portogallo a fine elenco, Italia a
metà.
Le uniche due città
non cinesi nella top 10 sono Londra al sesto posto e Atlanta negli Stati Uniti
al n. 10 mentre tra le città cinesi, oltre a Chongqing al primo posto con quasi
2,6 milioni di telecamere, ovvero 168,03 per 1.000 persone; Shenzhen, nella
provincia meridionale del Guangdong, è arrivata al secondo posto con 159,09
telecamere per 1.000 persone. Urumqi, nota capitale della regione autonoma
cinese dello Xinjiang Uygur si è classificata al 14esimo posto, con 12,4
telecamere per 1.000 persone.
Una fitta rete di
scanner e fotocamere ricopre la maggior parte delle città cinesi. La complessa
gamma di tecnologie di sorveglianza implementate in tutta la Cina ha suscitato
un’attenzione diffusa ed una preoccupazione generale in varie parti del mondo.
Il focus dei media
internazionali.
Due giornalisti del
New York Times, Paul Mozur e Aaron Krolik, hanno esaminato il modo in cui i
vari strumenti di sorveglianza vengono combinati all’interno di un sistema
integrato costantemente connesso, fatto di tecnologie miste, alcune
all’avanguardia ed altre piuttosto datate.
L’articolo,
pubblicato a metà dicembre, descrive con ricchezza di particolari e riscontri
video come queste funzionalità siano ormai diventate largamente disponibili per
le Autorità di polizia di ogni livello e come i dati raccolti possano essere
resi accessibili ad una vasta gamma di
terze parti sia pubbliche, per scopi di intelligence e sicurezza pubblica, che
private, per scopi commerciali e di marketing. Il tutto, peraltro, attraverso pratiche
di sicurezza del tutto assenti se non inadeguate.
Scanner del
telefono, tecnologia di riconoscimento facciale ed enormi database di volti e
impronte digitali sono tra gli strumenti utilizzati.
“I dati di ogni
persona formano una traccia – ha riferito alla testata Agnes Ouyang, impiegata
in ambito tecnologico di Shenzhen – che può essere utilizzata dal Governo e dai
dirigenti delle grandi aziende per mettere in atto forme di controllo e
direzione. Le nostre vite valgono come spazzatura”.
Dati personali in
mano alla polizia.
La polizia è stata
autorizzata a divenire una sorta di custode indiscusso delle enormi quantità di
dati personali, compresi i dati biometrici, dei suoi quasi 1,4 miliardi di
persone. I lavoratori migranti, le minoranze, le voci contrarie al regime e i
tossicodipendenti, sono tutti profilati.
E i casi d’uso
emersi indicano procedure inquietanti quanto discutibili sotto molteplici
profili di legittimità:
dalla profilazione di donne ipotizzate come dedite alla prostituzione sulla
base dei soli check-in effettuati in più di un hotel in una notte, alle
verifiche e le perquisizioni nelle abitazioni di coloro che vivono in alloggi
sovvenzionati per assicurarsi che non prestino assistenza ed ospitalità a
persone contrarie al regime o dedite al crimine.
Edward Schwarck, uno studente che sta specializzandosi in sicurezza
pubblica cinese presso l’Università di Oxford, ha approfondito il ruolo del ministero della Pubblica
Sicurezza Cinese descrivendone lo sviluppo nel corso del tempo in chiave di
intelligence. Le sue analisi
hanno evidenziato come il ministero iniziò a riformare ed aggiornare le sue
strutture di intelligence all’inizio degli anni 2000 con l’intento di ristabilire il “dominio
dell’informazione” su una società sempre più fluida e tecnologicamente
sofisticata, e hanno dimostrato come lo stesso si sia adattato allo sviluppo
tecnologico trasformando ed adeguando alle potenzialità offerte dalle nuove
tecnologie le proprie procedure di raccolta, analisi e diffusione delle
informazioni fino a dare forma all’attuale sistema di intelligence di pubblica
sicurezza.
Secondo Schwarck “definire un modello simile come sistema di polizia
basato sull’intelligence o sulle analisi predittive distoglie in realtà
l’attenzione dal fatto che ciò che sta accadendo nello Xinjiang non riguarda
affatto la polizia, ma una forma di vera e propria ingegneria sociale“.
Tecnologie
dell’intelligence cinese.
La sorveglianza in
Cina è chiaramente molto più di una semplice telecamera. Sniffer WiFi (software
utili a localizzare rapidamente un segnale WiFi attivo) e tracker di targhe
sono costantemente puntati su auto e telefoni; il riconoscimento facciale si è
spinto fino ai complessi abitativi e all’interno delle metropolitane.
Paul Mozur, in un tweet descrive il sistema di sorveglianza che
combina una stazione BTS (che acquisisce automaticamente le informazioni del
telefono) con telecamere di riconoscimento facciale. “The idea was to directly link face info to phone info
as people walked by”.
Il video allegato
mostra il processo ineludibile di acquisizione delle immagini.
“The fake base
station is easy to miss. Two cameras capture people coming and going. When we
asked, no one, not residents and not building management, knew what it did. The
police just showed up one day and put it in”.
“I localizzatori
telefonici sono ovunque in Cina. Spesso passano inosservati. Sono solo piccole
scatole con antenne incastonate sotto installazioni di telecamere molto più
intimidatorie”, riferisce Mozur.
Il controllo degli
Uiguri.
Nello Xinjiang, dove
la Cina ha “internato” 1 milione di Uiguri, il reporter del NYT, ha mappato i
localizzatori telefonici presenti in uno dei quartieri della città vecchia di
Kashga e ha trovato almeno 37 dispositivi su un’area di un chilometro quadrato
in grado di registrare ogni arteria cittadina, comprese le pertinenze private
delle abitazioni civili: “A Shaoxing alcuni tecnici incaricati hanno ricevuto
il preciso compito di installare, nei pressi dei cancelli di ingresso,
strumenti video di riconoscimento facciale” riporta Mozur. Il tutto con buona
pace delle proteste e delle preoccupazioni rese palesi, non a caso, dai
residenti coinvolti.
Sempre su Twitter, Simon Rabinovitch dell’Economist ha mostrato alcuni esempi di come i distributori delle tecnologie di sorveglianza
abbiano sviluppato sofisticate tattiche di marketing nel presentare i propri
prodotti non solo al mercato cinese bensì globale.
Ma le preoccupazioni
sono forti. Preoccupazioni
peraltro amplificate da un’analisi
del Financial Times, che mostra come i gruppi cinesi esercitino
un’influenza significativa nel definire gli standard internazionali in materia
di tecnologia.
Il rapporto descrive
in dettaglio come società tra cui ZTE, Dahua e China Telecom stanno proponendo
standard per il riconoscimento facciale all’International Telecommunication
Union (ITU) delle Nazioni Unite, l’organismo responsabile degli standard
tecnici globali nel settore delle telecomunicazioni.
E IPVM, sito che si
autodefinisce “autorità indipendente, leader a livello mondiale nel campo della
videosorveglianza” ha
ammonito.
Yuan Yang con un
articolo sul Financial Times intitolato Il ruolo dell’IA nella repressione
della Cina sugli Uiguri, ha reso noto quanto emerso da una serie di documenti
“riservati” interni al Partito Comunista, i “China cables”. Ne è emerso un quadro dettagliato dei piani del Governo
cinese nella regione di confine dello Xinjiang, dove sono stati arrestati circa
1,8 milioni di membri della minoranza musulmana del paese, gli Uiguri.
Altrettanto ha fatto
un report del Consortium of
Investigative Journalism sui
sistemi di repressione e sorveglianza usate dal governo cinese contro le
minoranze musulmane dello Xinjiang: “La tecnologia è in grado di guidare una violazione
sistematica dei diritti su scala industriale”.
La polizia, secondo
i documenti pubblicati, userebbe una piattaforma chiamata Ijop (Integrated Joint Operation Platform) per raccogliere e classificare dati personali e
informazioni catturate da molteplici sensori come spyware installati nei
telefonini, Wi-Fi sniffers e videocamere TVCC dotate di riconoscimento facciale
e visione notturna, installate in stazioni di servizio, posti di blocco, ma
anche scuole e palestre.
Tutti questi dati
verrebbero quindi elaborati da sistemi di intelligenza artificiale per meglio
identificare e mappare i residenti dello Xinjiang o contribuire in vario modo
alla Dragnet cinese, ovvero il processo utilizzato dagli organi di
polizia per rintracciare i sospetti criminali.
L’uso di questa
piattaforma non è peraltro nuovo. Già nel 2016 alcuni report ne avevano
descritto le caratteristiche: l’Ijop
sarebbe in grado di raccogliere e classificare informazioni molto dettagliate
sulle persone indagate, compreso l’aspetto, l’altezza, il gruppo sanguigno, il
livello di educazione, le abitudini e la professione. Il report offre dunque
una finestra senza precedenti sulla sorveglianza di massa nello Xinjiang.
Il controllo della
comunità musulmana.
Nel report si parla
inoltre di un’applicazione diffusa tra i musulmani chiamata Zapya, nota in
cinese come Kuai Ya. Zapya,
sviluppata da DewMobile Inc., consente agli utenti di smartphone di inviare
video, foto e altri file direttamente da uno smartphone all’altro senza essere
connessi al Web (con ciò rendendola popolare in quelle aree in cui il servizio
Internet è scarso o inesistente) e apparentemente incoraggia gli utenti a
scaricare il Corano e condividerne gli insegnamenti religiosi con i propri cari.
“I cinesi hanno
aderito ad un modello di sorveglianza basato sulla raccolta dei dati in larga
scala, e che grazie all’intelligenza artificiale sarebbe in grado di prevedere
in anticipo dove potrebbero verificarsi possibili reati – ha commentato James
Mulvenon, direttore dell’Integrazione dell’intelligence presso SOS
International, esaminando i documenti del governo cinese -. Quindi, con questo
sistema, gli organi di polizia rintracciano in maniera preventiva tutte le
persone che utilizzano o scambiano dati sospetti, prima ancora che abbiano
avuto la possibilità di commettere effettivamente il crimine”.
L’autodifesa del
governo cinese.
Il governo cinese ha
bollato i report e i resoconti giornalistici come “pura invenzione e fake news”. In una nota, l’ufficio stampa del Governo cinese ha
dichiarato: “Non esistono
‘campi di detenzione’ nello Xinjiang. Sono stati istituiti centri di istruzione
e formazione professionale per la prevenzione del terrorismo”.
Una “missione”
talmente “necessaria” da aver indotto Pechino a chiedere fondi di finanziamento
alla stessa Banca Mondiale, secondo il rapporto pubblicato dal sito americano
Axios. Secondo i documenti
visionati da Axios, i
prestiti chiesti alla Banca Mondiale erano volti all’acquisto della tecnologia
di riconoscimento facciale da utilizzare nella regione nord-occidentale dello
Xinjiang in Cina. Per l’istituto bancario mondiale tali fondi non sono mai
stati erogati.
Lo Xinjiang ha una
popolazione di circa 22 milioni, 10 dei quali di etnia uigura che salgono a 12
considerando le altre minoranze turco-musulmane. Ad oggi, pur non disponendo di numeri ufficiali,
sarebbero oltre un milione
gli Uiguri detenuti nei “campi di rieducazione e addestramento” della regione. Tale misura viene giudicata necessaria dal Consiglio
di Stato, il supremo organismo amministrativo della Repubblica Popolare cinese,
per “rimuovere il tumore
maligno del terrore e dell’estremismo che minaccia le vite e la sicurezza della
gente, custodire il valore e la dignità delle persone, proteggere il diritto
alla vita, alla salute, allo sviluppo, e per assicurare il godimento di un
ambiente sociale pacifico e armonioso”.
Ma sul punto merita
di essere evidenziato come il Parlamento Europeo con una Risoluzione approvata
il 19 dicembre scorso abbia fermamente condannato le pratiche repressive e
discriminatorie messe in atto dal governo di Pechino nei confronti degli uiguri
e delle persone di etnia kazakha. I deputati hanno chiesto alle autorità cinesi
di garantire ai giornalisti e agli osservatori internazionali un accesso libero
alla Regione autonoma uigura dello Xinjiang per valutarne la situazione.
Secondo gli
europarlamentari è essenziale che l’Ue sollevi la questione della violazione
dei diritti umani in Cina in ogni dialogo politico con le autorità cinesi ed
hanno chiesto al Consiglio di adottare sanzioni mirate e di congelare i beni,
se ritenuto opportuno ed efficace, contro i funzionari cinesi responsabili di
una grave repressione dei diritti fondamentali nello Xinjiang.
Il sistema Xue Liang.
«Xue Liang», ovvero
«Occhio di falco» è il nome del programma di videosorveglianza a tappeto del
presidente Xi Jinping e di Pechino. Un network di
sorveglianza onnipresente, totalmente connesso che comprende progetti di
videosorveglianza di massa che incorporano la tecnologia di riconoscimento
facciale compreso quello emozionale; software di riconoscimento vocale in grado
di identificare gli altoparlanti durante le telefonate; e un programma ampio e
invadente di raccolta del DNA. Gli operatori di telefonia in Cina hanno oggi
l’obbligo di registrare le scansioni facciali di chi compra un nuovo numero di
telefono o un nuovo smartphone poiché come dichiarato a settembre dal ministero
cinese dell’Industria e dell’information technology una tale decisione mira “a
tutelare i diritti legittimi e gli interessi dei cittadini online”.
Il Great Firewall cinese blocca decine di migliaia di siti Web oltre a fungere
da strumento di sorveglianza.
Non ultimo il
sistema nazionale di credito sociale (un insieme di «modelli» per verificare
l’«affidabilità» delle persone associandole a un punteggio e a blacklist)
inteso a valutare “e dunque prevenire” la condotta di ogni cittadino cinese in
ogni ambito dall’accesso al credito alla tendenza alla commissione dei crimini.
L’utilizzo dei big
data.
I big data
costituiscono la risorsa inestimabile per fare tali previsioni. I funzionari
possono attingere a questa capacità per gestire crimini, proteste o impennate
dell’opinione pubblica online.
Un network quindi
dove la repressione del crimine va di pari passo con l’analisi di polizia
predittiva e la censura con la propaganda: coloro che esprimono opinioni non
ortodosse online possono diventare soggetti di attacchi personali mirati nei
media statali. La sorveglianza e l’intimidazione sono ulteriormente integrate
da una vera e propria coercizione, tra cui visite di polizia, arresti,
“confinamenti rieducativi”.
Il nuovo Panopticon:
non solo cinese.
L’origine
dell’odierno Panopticon cinese
e la sua inarrestabile
evoluzione non sono altro che il risultato di un’accelerazione resa possibile
dalla grande trasformazione tecnologica del paese (e con essa la nuova
straordinaria capacità di raccogliere dati biometrici da parte di Pechino). Il
«sistema dei crediti sociali» rappresenta solo uno dei tanti aspetti oscuri e
distopici dei piani di ingegnerizzazione sociale in Cina. Se infatti da una
parte i crediti sociali mirano a creare una società basata sulla fiducia dove
però cosa è virtuoso e morale lo decide il partito comunista, un’ulteriore
«griglia sociale» sarà stabilita dalle smart city, a loro volta governate
socialmente attraverso crediti sociali e capacità tecnologiche che consentono
raccolta ed elaborazioni di dati continua.
La diffusione della
sorveglianza, in particolar modo applicata all’AI, continua senza sosta. E se Il suo utilizzo da parte di regimi autoritari
per progettare repressioni contro popolazioni mirate ha già suonato campanelli
d’allarme, tuttavia anche in paesi con forti tradizioni di stato di diritto, l’IA fa sorgere problematiche etiche fastidiose ed
urgenti. Un numero
crescente di stati nel mondo oltre alla Cina sta implementando strumenti avanzati di sorveglianza dell’IA per
monitorare, rintracciare e sorvegliare i cittadini per raggiungere una serie di
obiettivi politici: alcuni legali, altri che violano palesemente i diritti
umani e molti che cadono in una via di mezzo oscura.
Questo è il quadro
descritto da Carnegie
Endowment for International Peace, uno dei più antichi e autorevoli think tank
statunitensi di studi internazionali. “La
tecnologia legata alle società cinesi – in particolare Huawei, Hikvision, Dahua
e ZTE – fornisce la tecnologia di sorveglianza dell’IA in 63 paesi, 36 dei
quali hanno aderito alla Belt and Road Initiative cinese” afferma il Rapporto.
Oltre alle società
cinesi, la giapponese NEC fornisce la tecnologia di sorveglianza dell’IA a 14
paesi e IBM in 11 paesi, secondo il rapporto Carnegie. “Anche altre società con sede in democrazie liberali –
Francia, Germania, Israele, Giappone – svolgono un ruolo importante nel
proliferare di questa tecnologia”. Tutti questi paesi, evidenzia il Rapporto “non stanno però adottando misure adeguate a monitorare
e controllare la diffusione di tecnologie sofisticate collegate a una serie di
importanti violazioni”.
Gli esperti
esprimono preoccupazione in merito ai tassi di errore del riconoscimento
facciale e all’aumento dei falsi positivi per le popolazioni minoritarie. Il pubblico è sempre più consapevole dei pregiudizi
algoritmici nei set di dati di addestramento di AI e del loro impatto
pregiudizievole sugli algoritmi di polizia predittiva e altri strumenti
analitici utilizzati dalle forze dell’ordine. Anche applicazioni IOT benigne – altoparlanti
intelligenti, blocchi di accesso remoti senza chiave, display con trattino
intelligente per autoveicoli – possono aprire percorsi problematici alla
sorveglianza. Le tecnologie pilota che gli Stati stanno testando ai loro
confini – come il sistema di riconoscimento affettivo di iBorderCtrl – si
stanno espandendo nonostante le critiche che si basano su scienza difettosa e
ricerca non comprovata. Inevitabilmente sorgono le domande inquietanti
sull’accuratezza, correttezza, coerenza metodologica e impatto pregiudizievole
delle tecnologie di sorveglianza avanzate.
Tecnologia e
progresso sostenibile.
Una volta apprezzata
la crescente ubiquità degli algoritmi e le loro potenzialità nel bene come nel
male, e una volta compresa l’urgenza del tema, la necessità di pensare in modo
critico e consapevole sui sistemi di sorveglianza e certo sugli algoritmi di AI
in generale diventa evidente. Non servono, però, approcci solo teorici o peggio
solo distopici. Parlando di intelligenza artificiale – ci riferiamo a qualcosa
che in realtà ha zero intelligenza e zero semantica: il significato e il senso
lo danno le persone. Che si
parli di stato totalitario o di sorveglianza di massa piuttosto che di
monopolio digitale e di capitalismo di sorveglianza, il solo discrimine e la
vera ricchezza tra ciò che ci consentirà o meno di guidare consapevolmente ed
efficacemente il percorso verso un progetto umano sostenibile e la necessaria
riconciliazione tra l’umanità e lo sviluppo tecnologico, dipende in primis
dall’uomo stesso.
Se la strategia
cinese mira al controllo totalitario della propria società e al predominio in
campo scientifico entro il 2030, quella russa si concentra sulle applicazioni
in materia di intelligence e d’altra parte, negli Stati Uniti, il modello
liberista ha creato una biforcazione tra settore pubblico e privato, in cui i
colossi tecnologici della Silicon Valley puntano alla mercificazione deregolata
delle opportunità tecnologiche. E, ancora oggi, il ruolo dell’Unione europea nell’ecosistema
digitale globale è in gran parte ancora da decidere.
“E gli uomini
vollero piuttosto le tenebre che la luce” come ha tradotto dal greco
neotestamentario Giacomo Leopardi in epigrafe a La ginestra o il fiore del
deserto.
Riconoscimento
facciale: cos’è,
come funziona,
perché è sempre più usato.
Agendadigitale.eu
-Barbara Calderini-Luigi Mischitelli - (17 Nov. 2021)- ci dice :
Home-Sicurezza
Digitale-Privacy.
Il riconoscimento
facciale è una tecnica a uso crescente e non solo a scopi di sicurezza o nei
regimi dittatoriali, come le cronache recenti potrebbero indurci a credere.
Sempre più diffuso nei luoghi più disparati – dai centri commerciali ai parchi
– ecco come funziona, quali sono i pro e i contro e quali tutele abbiamo.
La tecnica del
riconoscimento facciale è oggi sempre più utilizzata non solo per scopi di
sicurezza (ad esempio al servizio delle
forze dell’ordine e non solo nei regimi dittatoriali), ma anche in molti altri
ambiti della nostra vita quotidiana, principalmente a fini commerciali.
Vediamo allora
cos’è, come funziona, quali sono le tecnologie che ne abilitano l’operatività,
i rischi e le tutele.
Indice degli
argomenti.
Cos’è il
riconoscimento facciale.
Vantaggi e svantaggi
del riconoscimento facciale.
Come funziona il
riconoscimento facciale.
Le tecnologie alla
base del riconoscimento facciale.
Alcuni casi e
relative problematiche.
Australia e
riconoscimento facciale.
Hong Kong, proteste
e riconoscimento facciale.
Stati Uniti
d’America.
Francia.
Regno Unito.
Norme privacy per
limitare il riconoscimento facciale: il Gdpr.
Il consenso
dell’interessato.
Una Valutazione di
Impatto (DPIA) ad hoc per il riconoscimento facciale.
Anonimizzazione o pseudonimizzazione
dei dati.
Garantire la
sicurezza dei dati.
Gli interventi
“contenitivi”: la sanzione del garante privacy svedese.
Violazione dell’Art.
5 GDPR.
Violazione dell’Art.
9 GDPR.
Violazione degli
Artt. 35 e 36 GDPR.
Smartphone e
riconoscimento facciale.
Riconoscimento
facciale tramite fotocamera.
Riconoscimento
facciale a infrarossi: l’opzione più sicura.
Riconoscimento
facciale e indagini di polizia.
Riconoscimento
facciale e SPID.
Riconoscimento
facciale di Google.
Il riconoscimento
facciale di Meta (Facebook).
Cos’è il
riconoscimento facciale.
Il riconoscimento
facciale – uno dei “protagonisti tecnologici” del nostro tempo – è una tecnica biometrica atta ad identificare in
modo univoco una persona confrontando e analizzando modelli basati sui suoi
“contorni facciali”.
Vi sono diverse
tecniche di riconoscimento facciale, come il riconoscimento facciale
“generalizzato” e il riconoscimento facciale “regionale adattativo”. La maggior parte dei sistemi di riconoscimento
facciale funzionano in base ai diversi punti nodali di un volto umano. I valori misurati rispetto alla variabile associata
ai punti del volto di una persona aiutano ad identificare o verificare la
persona in modo univoco. Con questa tecnica, le applicazioni possono utilizzare
i dati acquisiti dai volti e possono identificare accuratamente e rapidamente
gli individui interessati. Le
tecniche di riconoscimento facciale si stanno rapidamente evolvendo con nuovi
approcci (come la tecnologia 3D), aiutando a superare i problemi presenti con
le tecniche esistenti.
Vantaggi e svantaggi
del riconoscimento facciale.
Ci sono molti
vantaggi associati al riconoscimento facciale. Rispetto ad altre tecniche
biometriche, il riconoscimento facciale è di natura “non a contatto”. Le immagini del volto possono essere catturate a
distanza e possono essere analizzate senza mai richiedere alcuna interazione
con la persona interessata.
Il riconoscimento facciale può servire come eccellente misura di sicurezza per
il rilevamento del tempo e la partecipazione dell’individuo ad un dato evento o
luogo. Il riconoscimento
facciale è anche una tecnologia a buon mercato, in quanto l’elaborazione è meno
“costosa” di altre tecniche biometriche.
Ci sono alcuni
svantaggi associati al riconoscimento facciale. Infatti tale tecnica può identificare le persone solo
quando le condizioni di luce sono favorevoli (buona illuminazione o messa a
fuoco del volto): in altre parole, potrebbe essere meno affidabile in caso di
luce insufficiente o in presenza di un viso anche parzialmente oscurato. Un
altro svantaggio è che il riconoscimento facciale è meno efficace al variare
delle diverse espressioni facciali umane.
Come funziona il
riconoscimento facciale
È fondamentale
comprendere come funziona – dal lato eminentemente tecnico – il riconoscimento
facciale.
Di seguito vi sono
tre applicazioni di tale tecnica, elencate dalla più “basic” alla più
complessa.
Riconoscimento
facciale “di base”: prendendo
ad esempio i filtri Instagram o Snapchat, la fotocamera del dispositivo (es.
smartphone) “cerca” le caratteristiche che definiscono un volto, ed in
particolare gli occhi, il naso e la bocca. Una volta compiuta la sua ricerca, la fotocamera – tramite il Social – usa algoritmi per agganciare un volto e determinare
in quale direzione la persona sta guardando, se la sua bocca è aperta, ecc. In questo caso siamo in presenza di un software che
“ricerca volti”, e non si può parlare di riconoscimento facciale vero e proprio.
Sblocco del
dispositivo con il volto: volendo sbloccare il dispositivo con il volto, il
device scatta una foto del viso e misura la distanza tra i tratti del viso.
Poi, ogni volta che si va a sbloccare il telefono, “guarda” attraverso la
fotocamera per misurare e confermare l’identità del soggetto. Nota: qui la differenza tra dispositivi può essere
“abissale”; basti solo pensare al livello tecnologico raggiunto dal “Face ID”
di Apple.
Identificazione di
uno sconosciuto: nell’atto dell’identificazione di un volto per scopi di
sicurezza, per scopi pubblicitari o di polizia, vi è l’utilizzo di algoritmi
che “pescano” in un ampio database di volti, associando di volta in volta
diversi profili con quello in esame.
Le tecnologie alla
base del riconoscimento facciale.
La maggior parte dei
software di riconoscimento facciale si basa interamente su immagini 2D. La
stragrande maggioranza delle fotocamere scatta foto in 2D, e la stragrande
maggioranza delle foto presenti sui Social è in 2D (es. foto profilo di
Facebook).
Tuttavia i volti “in
2D” non sono qualitativamente accurati, poiché si tratta di immagini piatte – o
senza profondità – del viso, in che non ci porta ad avere caratteristiche di
identificazione.
Con un’immagine 2D,
un dispositivo può misurare la distanza pupillare e la larghezza della bocca;
tuttavia, non è in grado di riconoscere la lunghezza del naso o la prominenza
della fronte.
Inoltre, l’immagine facciale 2D si basa sulla
luminosità: ciò significa che tale tecnica non funziona al buio, e può essere
inaffidabile in condizione
di scarsa illuminazione (con alto tasso di falsi positivi, ad esempio).
Il modo per ovviare
ad alcune di queste carenze è quello di utilizzare la tecnologia 3D.
Il riconoscimento
facciale 3D si ottiene attraverso una tecnica chiamata “lidar”, che è simile al
sonar (usato in campo marittimo). In sostanza, i dispositivi di scansione del viso (es. l’iPhone),
proiettano una sorta di impulso laser sul viso; questo impulso si riflette sul
viso e viene ripreso da una fotocamera IR (InfraRed) presente nel dispositivo. La fotocamera IR del telefono misura quanto tempo ci
vuole perché ogni bit di luce IR rimbalzi dal viso e ritorni sul dispositivo. Naturalmente, la luce che si riflette dal naso avrà
un percorso più breve della luce che si riflette dalle orecchie, e la telecamera IR utilizza queste informazioni per
creare una mappa di profondità unica dell’intero viso. Se utilizzata insieme alla tecnologia 2D, la
tecnologia 3D può aumentare significativamente la precisione del software di
riconoscimento facciale, diminuendo al contempo la possibilità di incorrere in
falsi positivi.
Per risolvere il
problema del riconoscimento facciale 2D “al buio” è possibile utilizzare una
termocamera.
Differentemente dalla lidar, le termocamere
non emettono luce IR, ma semplicemente rilevano la luce IR emessa dagli
oggetti.
Gli oggetti caldi emettono moltissima luce IR,
mentre gli oggetti freddi ne emettono una quantità trascurabile.
Le più tecnologiche
termocamere sono in grado di rilevare anche sottili differenze di temperatura
su una superficie, il che è l’ideale per il riconoscimento facciale. Ci sono
diversi modi per identificare un volto mediante termocamera. Tutte queste tecniche sono incredibilmente complicate,
ma condividono alcune somiglianze fondamentali, di seguito accennate.
Sono necessarie foto
multiple: una termocamera scatta foto multiple del volto di un soggetto. Ogni
foto si concentra su un diverso spettro di luce IR (onde lunghe, corte e
medie). Tipicamente, lo spettro ad onde lunghe fornisce i maggiori dettagli.
Determinano la
“mappatura” dei vasi sanguigni: le immagini IR possono anche essere utilizzate
per estrarre la formazione di vasi sanguigni nel volto di una persona.
Le mappe dei vasi sanguigni possono essere utilizzate come impronte
digitali facciali uniche.
Possono anche essere
utilizzate per trovare la distanza tra gli organi facciali (nel caso in cui le
tipiche immagini termiche producessero immagini scadenti) o per identificare
contusioni e cicatrici.
Il soggetto può
essere identificato in maniera efficace: un’immagine composita viene creata
utilizzando immagini IR multiple. Questa immagine composita può quindi essere confrontata con un
database facciale per identificare il soggetto.
Il riconoscimento
facciale termico è di solito usato in campo militare. Inoltre, la termo immagine non funziona bene di
giorno (o in ambienti generalmente ben illuminati, l’esatto opposto della
tecnologia 2D che “rifugge dalla notte”), quindi non ha molte potenziali applicazioni al di
fuori dell’ambito militare.
TopNetwork -
Riconoscimento immagini e oggetti.
Alcuni casi e
relative problematiche.
Australia e
riconoscimento facciale.
In materia di
riconoscimento facciale, l’Australia sta lentamente – ma senza sosta –
procedendo verso un uso massivo di tale tecnologia.
Negli ultimi anni, qualsiasi foto scattata in occasione
dell’ottenimento della patente di guida ovvero in caso di rilascio-rinnovo del
passaporto, è stata automaticamente trasferita verso una nuova – grande – rete
nazionale che il governo di Canberra sta creando.
Gli Stati
australiani di Victoria e Tasmania hanno già iniziato a caricare i dati delle
patenti di guida in propri database locali, i quali saranno collegati al futuro
database nazionale in costituzione. Tale database nazionale è subordinato ad un disegno di
legge federale in discussione in questi mesi.
Nel dettaglio sarà
permesso alle agenzie governative e alle imprese private “autorizzate” di
utilizzare i documenti caricati nel database nazionale (anche fototessere) per
procedere con lo “sfruttamento” di tali documenti ai fini del riconoscimento
facciale degli interessati.
D’altro canto il
Dipartimento degli Affari Interni di Canberra stima che – a fronte di un costo
annuale di 2,2 miliardi di dollari spesi nella lotta contro i furti d’identità
– l’introduzione di un riconoscimento facciale “di stato” contribuirebbe a
prevenire questo genere di reati. Tale tecnologia è già utilizzata da diverse agenzie governative e
aziende, con migliaia di controlli solo nel 2017.
Ma accanto al
servizio di verifica dei documenti, verrebbe introdotto un servizio di
identificazione facciale per le forze dell’ordine australiane. Quasi tutti i governi territoriali australiani hanno
aggiornato le loro normative sulle patenti di guida in previsione del “grande
database nazionale”, mentre le persone che ottengono il passaporto firmano un
modulo in cui si afferma che le loro fotografie (fototessere) saranno
utilizzate a fini di corrispondenza biometrica.
Dal fronte opposto, i “sostenitori della privacy” australiani affermano che la nuova legislazione manca di
proporzionalità, e che i benefici non sono tali da giustificare l’intrusione
nella vita privata delle persone con tale – massivo – trattamento di dati
biometrici. La “Australian
Privacy Foundation” (APF) afferma che la prospettiva è altamente invasiva,
perché il sistema potrebbe essere integrato in una serie di altri sistemi che
raccolgono i dati del viso, compresa la videosorveglianza.
Questa sorta di “sorveglianza massiva” potrebbe sembrare una sorta di futuro lontano, ma
quando nel 2018 nello stato del Queensland si sono disputati i “Commonwealth Games”, la polizia dello stato ha testato un software di
riconoscimento facciale abbinato alla videosorveglianza, preordinato all’identificazione
di alcuni obiettivi di alto profilo tra la grande quantità di spettatori
presenti all’evento.
Tuttavia, la polizia è stata in grado di
trovare solo cinque persone su 268 collegate al sistema. Rimangono – infatti –
i problemi connessi ai falsi positivi, che minano costantemente l’efficacia e
l’affidabilità dei sistemi di riconoscimento facciale. Proprio in merito a
questo problema, la “Australian
Human Rights Commission”
afferma che la tecnologia di riconoscimento facciale rimane inaffidabile.
Se la polizia usasse
informazioni imprecise mediante l’uso di questa tecnologia, potrebbero anche
esserci conseguenze drastiche per la persona interessata, tra cui l’essere
detenuti arbitrariamente e l’assenza di un processo equo.
Come se la questione
dei falsi positivi non fosse abbastanza, il “Human Rights Law Centre” ha osservato che il “NEC
Neoface”, una tecnologia di riconoscimento facciale separata utilizzata da
agenzie federali e da alcune forze di polizia statale e territoriale, non è
stata testata per la precisione su gruppi etnici diversi, il che significa che
i tassi di identificazione errata delle minoranze etniche sono potenzialmente
sproporzionati.
Correndo ai ripari,
il Dipartimento degli Affari Interni australiano afferma di star conducendo
alcuni test per la messa a punto di software per il riconoscimento facciale che
possano evitare tali problemi; inoltre i risultati della corrispondenza
viso-persona saranno rivisti da esperti di riconoscimento facciale “addestrati”
per prevenire i falsi positivi e le difformità su base etnica. Secondo tale
Dipartimento, le decisioni che servono a identificare una persona non saranno
mai prese dalla sola tecnologia, evitando il trattamento “totalmente”
automatizzato. Lo schema proposto dal governo federale sarebbe – quindi – un
processo a carattere “misto”: manuale ed automatizzato. Il sistema in uso
presso le forze dell’ordine richiede che una persona invii manualmente
l’immagine di una persona e controlli le possibili corrispondenze, evitando i falsi
positivi. Tuttavia, guardando ai “contro” della tecnologia, mancherebbero
risorse adeguate per “foraggiare” tale tecnica, nonché per finanziare
l’assunzione ed il mantenimento di personale sufficientemente addestrato di
supporto all’utilizzo del riconoscimento facciale.
Infine, secondo la “Civil Liberties Australia”, è solo una questione di tempo prima che la combinazione di servizi cloud, l’acquisizione video mobile ad alta definizione (compresi gli smartphone) e l’analisi
dei Big Data renda
possibile una tale sorveglianza in tempo reale, economica e allettante sul
territorio australiano.
Hong Kong, proteste
e riconoscimento facciale.
A Hong Kong, lo
scorso agosto, alcuni
manifestanti che protestavano a favore della democrazia sono stati ripresi
nell’atto dell’abbattimento di un lampione “smart” – ossia dotato di
videosorveglianza con riconoscimento facciale – mediante una sega elettrica. Si trattava (e si tratta) di una “lotta” contro la sorveglianza governativa, causata dal timore che tale tecnologia potesse essere utilizzata per
l’identificazione degli attivisti da parte della Cina.
A causa della
presenza di numerosi e super invasivi sistemi di controllo, il problema del
riconoscimento facciale nella provincia autonoma cinese sta diventando via via
più serio. Parte delle proteste, che durano da mesi, sono connesse alle
preoccupazioni che tali lampioni “intelligenti” possano contenere telecamere ad
alta tecnologia e software di riconoscimento facciale utilizzati direttamente
dalle autorità cinesi per la sorveglianza dei cittadini di Hong Kong. Secondo
uno degli organizzatori della protesta le informazioni riservate del popolo di
Hong Kong sono già state estradate in Cina, il tutto affiancato da alcuni
progetti che comporteranno l’installazione di 400 ulteriori lampioni
intelligenti su tutto il territorio dell’ex colonia britannica.
Ironia della sorte
(ma prevedibile), dall’altro “lato della barricata”, le aziende cinesi che
sviluppano soluzioni di riconoscimento facciale sono in rapida crescita.
Secondo la Reuters,
la società Megvii di Pechino “punta
a ricavi di almeno 500 milioni di dollari e potrebbe raccogliere fino a 1
miliardo di dollari” nei prossimi mesi. L’azienda è una delle principali “punte
di diamante” del Dragone Rosso nel campo dell’Intelligenza Artificiale, insieme
a SenseTime, Yitu e CloudWalk. Megvii fornisce la sua tecnologia di
riconoscimento facciale a diversi clienti commerciali, con una tecnologia che
spazia dalla sicurezza urbana a quella dei pagamenti finanziari.
La Cina, con la sua
potenza tecnologica commerciale, ha dato il via ad una sorta di “Guerra Fredda” nel campo dell’Intelligenza
Artificiale. A questo proposito, ci troviamo di fronte a un dilemma, poiché la
Cina ha da un lato una fiorente base tecnologica, dall’altro un’assenza di
vincoli circa il rispetto della vita privata delle persone. Questo significa
che negli Stati Uniti ed in Europa diventerà sempre più difficile per le
aziende di Intelligenza Artificiale competere tecnicamente con l’implacabile macchina
di esportazione cinese. Una situazione ulteriormente esacerbata da ciò che sta
accadendo nella provincia “ribelle” dello Xinjiang, dove la tecnologia cinese è
ampiamente utilizzata per la sorveglianza ed il controllo della popolazione.
New call-to-action.
Stati Uniti
d’America.
Anche nella “patria
delle libertà”, l’uso della tecnologia di riconoscimento facciale è in costante
aumento. Un recente rapporto di “Fight for the Future”
ha esaminato la frequenza con cui le forze dell’ordine americane utilizzano
software per la scansione di milioni di foto di cittadini, spesso a loro
insaputa o senza il loro consenso.
Alcuni esempi: in
diversi stati, tra cui Texas, Florida e Illinois, l’FBI scansiona i database
fotografici delle patenti di guida USA con tecnologia di riconoscimento
facciale senza il consenso dei cittadini, trasformando i database
dipartimentali dei veicoli a motore in una vera e propria infrastruttura di
sorveglianza senza precedenti.. In molti aeroporti statunitensi, la polizia di
frontiera utilizza attualmente il riconoscimento facciale per controllare i
passeggeri dei voli internazionali. E in città come Baltimora, la polizia ha
utilizzato un software di riconoscimento facciale per identificare e arrestare
gli individui durante alcune proteste.
Molti dipartimenti
di polizia statunitensi sono “ansiosi” di utilizzare gli strumenti di
riconoscimento facciale, affermando che possono aiutarli a identificare e
arrestare i criminali in modo più efficiente. Lo scorso anno, la polizia del
Maryland ha utilizzato tale tecnologia per aiutare ad identificare
correttamente il sospetto di una sparatoria. La Homeland Security ha sostenuto
che tale tecnologia può aiutare il governo a controllare più rapidamente i
viaggiatori e ad effettuare controlli nel campo dell’immigrazione. Tuttavia, i
critici della sorveglianza massiva temono che l’uso pervasivo della tecnologia
di riconoscimento facciale potrebbe avere un effetto dannoso sulla libertà di
parola, poiché la gente potrebbe sentirsi costantemente osservata. Ed il rischio di una “deriva cinese” nell’uso di tale
tecnologia è dietro l’angolo.
Infine, è di pochi
giorni fa la notizia dell’implementazione del riconoscimento facciale da parte
della polizia di frontiera statunitense al confine col Messico. In particolare,
il sistema consiste in “body
cam” – ossia telecamere
indossate sulla divisa – con
software di cloud storage e di gestione video che dovrebbero aiutare gli agenti
di frontiera nel contrasto al contrabbando ed all’immigrazione clandestina.
Francia.
La Francia è
destinata a diventare il primo paese europeo ad utilizzare la tecnologia di
riconoscimento facciale “di Stato” con l’obiettivo – a detta del governo – di
fornire ai cittadini un’identità digitale sicura. Anche se la posta in gioco –
in termini di protezione dei dati personali – è alta.
Il governo del
presidente Emmanuel Macron sta per lanciare un programma di identificazione,
chiamato Alicem, dopo una fase sperimentale durata sei mesi. Alicem è un acronimo che potrebbe essere tradotto come
“autenticazione online certificata su dispositivo mobile”, e in soldoni risulta essere una’app che permetterà (a detta del
governo), a chiunque deciderà di usarlo, di provare la propria identità su
internet in modo sicuro.
Il suo funzionamento
è il seguente: l’app legge il chip presente sul passaporto elettronico
dell’interessato, ed incrocia con sistema biometrico la foto con i dati
dell’utente presenti sul suo dispositivo mobile, per convalidare l’identità.
Una volta
confermato, l’utente può accedere a una serie di servizi pubblici senza
ulteriori controlli da parte delle autorità. Il governo francese ha affermato
che i filmati utilizzati per il riconoscimento facciale saranno cancellati
“entro pochi secondi” dalla registrazione dell’utente.
Tuttavia l’autorità
privacy francese CNIL, ha già avvertito che il programma del governo viola
alcune disposizioni del GDPR, poiché il sistema – così concepito – non fornisce
alternative al riconoscimento facciale per accedere a determinati servizi. Avvertimenti che si sommano ai timori circa la
comprovata debolezza delle app di Stato francesi. Proprio nel 2019 un hacker ha impiegato poco più di
un’ora per entrare in un’app di messaggistica governativa dichiarata “sicura”.
La Francia sta
seguendo una tendenza globale verso le “identità digitali” che sbloccano
l’accesso sicuro a una gamma di servizi che vanno dai conti bancari alle
dichiarazioni dei redditi.
Regno Unito.
Discorso diverso è
per il Regno Unito, dove sembra che vi sia in atto un’autentica “epidemia”
circa l’uso del riconoscimento facciale: centri commerciali, musei, centri
congressi, nonché indefiniti spazi privati, tutti interessati dall’uso di
questa tecnologia.
Un’indagine
dell’organizzazione britannica Big Brother Watch (BBW)
ha scoperto che le aziende
private del Regno Unito alimentano il propagarsi dell’uso del riconoscimento
facciale.
Il BBW ha pubblicato i risultati il giorno
dopo che l’autorità privacy britannica ICO ha annunciato l’apertura di
un’indagine sull’uso del riconoscimento facciale in un nuovo importante centro
commerciale nel centro di Londra. Anche il sindaco di Londra Sadiq Khan ha
sollevato alcuni interrogativi sulla liceità del riconoscimento facciale,
principalmente nel sito privato di Granary Square (27 ettari sorvegliati), dopo
che i proprietari hanno ammesso di utilizzare tale tecnologia “nell’interesse
della pubblica sicurezza”. BBW ha dichiarato di aver scoperto che in molte
parti del Regno Unito vi è un uso massivo del riconoscimento facciale senza
l’utilizzo di idonee informazioni che avvertano gli interessati.
Altri casi
riguardano il centro commerciale Meadowhall di Sheffield, che avrebbe esaminato più di 2 milioni di visitatori con un test sul
riconoscimento facciale effettuato in collaborazione con la polizia; i dati sarebbero stati cancellati immediatamente
dopo la fine del test. Al
Trafford Centre di Manchester è stato vietato dall’ICO l’uso di un sistema di
riconoscimento facciale che avrebbe potuto scansionare circa 15 milioni di
visitatori. Al Museo
Mondiale di Liverpool sono stati analizzati i volti dei visitatori durante una
mostra sulla storia cinese (ironico!) nel 2018: il gruppo che riunisce i musei
nazionali di Liverpool sta attualmente testando la fattibilità di utilizzare
una tecnologia simile in futuro in maniera estesa. A Birmingham, il centro
conferenze Millennium Point
ha rivelato nella sua privacy
policy di aver utilizzato il riconoscimento facciale su richiesta delle forze
dell’ordine; l’area intorno al centro è stata teatro di manifestazioni di
sindacalisti e attivisti antirazzisti. Anche in diversi casinò e centri
scommesse britannici vi è l’uso della sorveglianza mediante riconoscimento
facciale.
Tuttavia nel luglio
del 2019, la Camera dei Comuni ha affermato che le autorità dovrebbero cessare
i test connessi all’uso del riconoscimento facciale fino a quando non vi sarà
un quadro giuridico in materia. Infine, in un rapporto sull’approccio del
governo alla biometria, alcuni parlamentari della Camera dei Comuni hanno fatto
riferimento ad un test sul riconoscimento facciale da parte della Metropolitan
Police e della polizia del South Wales, rilevando seri interrogativi
sull’accuratezza e sulla parzialità di tale tecnica.
Norme privacy per
limitare il riconoscimento facciale: il Gdpr.
Il GDPR –
Regolamento UE 2016/679 – risulta essere il più grande ed importante argine
normativo a quel “fiume in piena” rappresentato dall’uso del riconoscimento
facciale (e dall’uso della biometria massiva in generale). Il riconoscimento
facciale permette di raccogliere informazioni sulle caratteristiche facciali di
una persona e sulla sua classificazione sotto forma di dati (particolari)
biometrici.
L’Art. 9.1 GDPR
elenca quelli che sono i dati particolari (“più meritevoli di tutela”, tra i
quali prevalentemente “già sensibili” ai sensi del “vecchio” Codice Privacy):
dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche,
le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché
trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco
una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o
all’orientamento sessuale della persona.
L’Art. 4 n. 14) GDPR
scende nel dettaglio, definendo i dati biometrici come i dati personali
ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche
fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono
o confermano l’identificazione univoca, quali l’immagine facciale o i dati
dattiloscopici;
Infine il
Considerando 51 GDPR specifica che “il trattamento di fotografie non dovrebbe costituire sistematicamente
un trattamento di categorie particolari di dati personali, poiché esse
rientrano nella definizione di dati biometrici soltanto quando saranno trattate
attraverso un dispositivo tecnico specifico che consente l’identificazione
univoca o l’autenticazione di una persona fisica”.
Per trattare
correttamente (e legalmente) i dati biometrici è necessario utilizzare una
delle basi giuridiche previste dall’Art. 9.2 GDPR, tra le quali “spicca” il
consenso esplicito dell’interessato.
Vediamo, di seguito,
i punti fondamentali per la necessaria compliance al GDPR.
Il consenso
dell’interessato.
Nel caso di optasse
per l’utilizzo della base giuridica del consenso, questo deve soddisfare non
solo i requisiti dell’Art. 9 GDPR (esplicito), ma anche dell’Art. 7 GDPR.
Secondo il punto 4
delle Linee Guida WP259, il consenso esplicito è richiesto in talune
circostanze nelle quali emergono gravi rischi per la protezione dei dati e in
cui si ritiene quindi appropriato un livello elevato di controllo individuale
sui dati personali (il riconoscimento facciale è tra queste). In base al GDPR,
prerequisito per l’ottenimento di un consenso “conforme” è una “dichiarazione o
un’azione positiva inequivocabile”. Il termine esplicito si riferisce al modo
in cui il consenso è espresso dall’interessato e significa che l’interessato
deve fornire una dichiarazione esplicita di consenso. Un modo ovvio per
assicurarsi che il consenso sia esplicito consisterebbe nel confermare
espressamente il consenso in una dichiarazione scritta. Se del caso, il
titolare del trattamento potrebbe assicurarsi che la dichiarazione scritta sia
firmata dall’interessato, al fine di dissipare tutti i possibili dubbi e la
potenziale mancanza di prove in futuro. Nel contesto digitale o online, l’interessato
può acconsentire esplicitamente compilando un modulo elettronico, inviando
un’e-mail, caricando un documento scansionato con la propria firma oppure
utilizzando una firma elettronica e così via.
Secondo l’Art. 7
GDPR la richiesta di consenso, se prestata nel contesto di una dichiarazione
scritta che riguarda anche altre questioni, è presentata in modo chiaramente
distinguibile dalle altre materie, in forma comprensibile e facilmente
accessibile, utilizzando un linguaggio semplice e chiaro. L’interessato ha il
diritto di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento. La revoca del
consenso non pregiudica la liceità del trattamento basata sul consenso prima
della revoca. Prima di esprimere il proprio consenso, l’interessato è informato
di ciò (si veda il Capo 3 del GDPR). Il consenso è revocato con la stessa
facilità con cui è accordato.
Una Valutazione di
Impatto (DPIA) ad hoc per il riconoscimento facciale
La Valutazione di
Impatto (DPIA) prevista dagli artt. 35 e 36 GDPR è fondamentale per identificare
e ridurre al minimo il rischio per i dati personali nell’ambito dell’utilizzo
del riconoscimento facciale. La DPIA si configura come un’autonoma valutazione
che il Titolare del trattamento pone in essere per analizzare la necessità, la
proporzionalità e i rischi di un determinato trattamento dati per i diritti e
le libertà delle persone fisiche.
È richiesta
obbligatoriamente in tre casi:
quando si procede ad
una valutazione sistematica e globale di aspetti personali relativi a persone
fisiche, basata su un trattamento automatizzato, compresa la profilazione, e
sulla quale si fondano decisioni che hanno effetti giuridici o incidono in modo
analogo significativamente su dette persone fisiche;
quando si è in
presenza di un trattamento, su larga scala, di categorie particolari di dati
personali di cui all’art. 9.1 GDPR (dati particolari), ovvero di dati relativi
a condanne penali e a reati di cui all’art. 10 GDPR;
la sorveglianza
sistematica su larga scala di una zona accessibile al pubblico (es. videosorveglianza
su larga scala)
Secondo le Linee
Guida WP248 per determinare se un trattamento è svolto su larga scala si deve
far riferimento al numero degli interessati, al volume di dati e/o tipologie di
dati, alla durata dell’attività di trattamento e all’ambito geografico
dell’attività di trattamento.
La DPIA deve
contenere:
una descrizione
sistematica dei trattamenti previsti e delle finalità del trattamento,
compreso, ove applicabile, l’interesse legittimo perseguito dal Titolare del
trattamento;
una valutazione
della necessità e proporzionalità dei trattamenti in relazione alle finalità;
una valutazione dei
rischi per i diritti e le libertà degli interessati:
nonché le misure
previste per affrontare i rischi, includendo le garanzie, le misure di sicurezza
e i meccanismi per garantire la protezione dei dati personali e dimostrare la
conformità al GDPR, tenuto conto dei diritti e degli interessi legittimi degli
interessati e delle altre persone in questione.
Anonimizzazione o
pseudonimizzazione dei dati.
Un metodo per
proteggere i dati trattati con tecnologia a riconoscimento facciale è quello di
renderli del tutto anonimi, rendendo impossibile determinare a quale
interessato si riferiscano. Si può prendere in considerazione la rimozione del
nominativo prima che vengano registrati in un database. Il software di
anonimizzazione dei dati può essere utilizzato per creare un alto livello di
sicurezza. Se l’anonimizzazione non si dimostrasse pratica è possibile
procedere con la pseudonimizzazione – tecnica che consiste nel trattamento dei
dati personali in modo tale che i dati personali non possano più essere
attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni
aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente
e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati
personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o
identificabile (Art. 4 n. 5 GDPR).
Garantire la
sicurezza dei dati.
Il GDPR richiede
“misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza
adeguato al rischio” (Art. 32 GDPR). Tra le misure adottabili vi sono le
seguenti.
Avere una strategia
di Data Loss Prevention (DLP) ben ponderata.
Creare un piano di
Disaster Recovery a prova di errore. Il GDPR richiede alle aziende “la capacità
di ripristinare tempestivamente la disponibilità e l’accesso dei dati personali
in caso di incidente fisico o tecnico”.
Avere una politica
di backup dei dati conforme al GDPR: Il backup non solo è necessario per la
portabilità dei dati (Art. 20 GDPR), ma anche per il diritto alla cancellazione
(Art. 17 GDPR). In altre parole, il backup deve ripristinare rapidamente le
informazioni, ma – se richiesto dall’interessato – sarà necessario rimuovere
tutti i dati dai backup.
Gli interventi
“contenitivi”: la sanzione del garante privacy svedese
L’autorità privacy
svedese, lo scorso agosto è intervenuta sanzionando una scuola con
l’equivalente di quasi 19.000€, la sua prima sanzione ai sensi del GDPR.
Una scuola superiore
aveva implementato un sistema per la rilevazione delle presenze degli studenti
con tecnologia di riconoscimento facciale. La scuola ha utilizzato un software
di riconoscimento facciale tramite telecamere “intelligenti” per catturare e
registrare le presenze degli studenti. Lo scopo era stato quello di
semplificare ulteriormente le operazioni e automatizzare la registrazione
giornaliera delle classi, un compito che generalmente richiedeva 10 minuti per
classe. Tuttavia la scuola ha giustificato l’implementazione del riconoscimento
facciale con un risparmio di circa 18000 euro l’anno (ironicamente, quasi
quanto l’entità della sanzione in euro).
I dati biometrici
sono stati catturati dalle telecamere sotto forma di fotografie dei volti degli
studenti, abbinati ai loro nominativi. Le informazioni sono state memorizzate
in un computer senza connessione internet; computer che è stato conservato in
un armadio chiuso a chiave. Il consenso esplicito è stato raccolto dai legali
rappresentanti degli studenti (poiché minorenni) ed è stato possibile non
partecipare a “l’esperimento”. Tuttavia, non è stata effettuata nessuna DPIA né
una consultazione preventiva presso l’autorità privacy svedese.
Secondo l’autorità
privacy di Stoccolma la scuola ha – quindi – violato gli artt. 5, 9, 35 e 36
del GDPR.
Violazione dell’Art.
5 GDPR.
L’art. 5.1 lett. b)
GDPR stabilisce che i dati personali sono raccolti per finalità determinate,
esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo che non sia
incompatibile con tali finalità (limitazione delle finalità). Inoltre, i dati
personali trattati devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto
necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati (Art. 5.1 lett. c
GDPR – minimizzazione dei dati).
L’autorità privacy
svedese ha rilevato che, anche se pochi studenti erano preoccupati e il periodo
del trattamento limitato nel tempo, l’uso del riconoscimento facciale ha
rappresentato una grande intrusione nella privacy degli studenti. Inoltre, la
registrazione delle presenze in classe poteva essere effettuata in modi meno
invasivi: quindi l’uso del riconoscimento facciale è risultato sproporzionato
rispetto allo scopo.
Violazione dell’Art.
9 GDPR.
L’autorità privacy
svedese ha affermato che il consenso non potesse essere utilizzato come base
giuridica, in quanto lo stesso non poteva essere considerato “volontario”.
Quindi mancherebbero le stesse “colonne portanti” di cui all’Art. 7 GDPR.
Inoltre la scuola aveva avanzato la possibilità di utilizzo della base
giuridica dell’interesse pubblico rilevante: bocciato dall’autorità.
Violazione degli
Artt. 35 e 36 GDPR.
La scuola aveva
effettuato una sorta di “valutazione dei rischi”, in cui sosteneva la non
sussistenza di rischi elevati per le persone interessate. Tuttavia, non è stata
effettuata alcuna DPIA. L’autorità privacy svedese ha rilevato che la
valutazione del rischio non comprendeva una valutazione dei rischi per i
diritti e le libertà degli interessati, nonché un resoconto della
proporzionalità del trattamento in relazione alle sue finalità. Inoltre,
precisa l’autorità, la DPIA era necessaria in quanto la sorveglianza con
telecamere intelligenti è una sorveglianza sistematica che include informazioni
personali “sensibili”, in questo caso su bambini in un ambiente a loro
riservato.
Smartphone e
riconoscimento facciale.
L’utilizzo della
tecnologia “intelligente” del Riconoscimento Facciale su dispositivi di uso
personale come smartphone, tablet e PC è diventato comune per larga parte
dell’utenza (privata o aziendale) interessata. Tale tecnologia, è vero, può apparire ancora come
“futuristica”; tuttavia lo è solo in apparenza.
Basti pensare a come
il riconoscimento facciale utilizzato dalla maggior parte degli smartphone in
commercio nel 2021 abbia mandato “in soffitta” l’utilizzo di PIN e password,
utilizzati (con maggior sicurezza) fino a pochi anni fa. Tuttavia, anche con il
crescente avanzamento dello sviluppo tecnologico, è necessario essere edotti
che non tutte le implementazioni del Riconoscimento Facciale sono uguali.
Alcune tecniche sono intrinsecamente più sicure di altre, mentre alcune offrono
impostazioni “ulteriori” che riducono le possibilità di falsi positivi o falsi
negativi (ad es. non permettendo l’accesso di “intrusi” al proprio
dispositivo).
Riconoscimento
facciale tramite fotocamera.
Come suggerisce il
nome, questa tecnica si basa sulle camere frontali – presenti in prossimità
dello schermo di larga parte dei dispositivi in commercio – per identificare il
volto del proprietario del device. Praticamente tutti gli smartphone Android hanno incluso questa funzione
dal rilascio di Android 4.0 nel 2011.
E ben prima che i
sensori di impronte digitali (fingerprint) fossero così diffusi come lo sono
oggi, rendendolo – di fatto – la prima opzione di sblocco biometrico. Il modo in cui funziona il riconoscimento mediante
fotocamera è piuttosto semplice: quando si attiva la funzione per la prima
volta (es. al momento della prima accensione del device), il dispositivo chiede
all’utente di catturare immagini del suo viso, anche più volte e da diverse
angolazioni; successivamente il dispositivo utilizza un algoritmo software per
estrarre le caratteristiche facciali dell’utente e le memorizza per “riferimenti
futuri”.
Da quel momento in
poi, ogni volta che qualcuno tenterà di sbloccare il dispositivo, il
dispositivo confronterà i tratti somatici “di chi ha di fronte” con i dati di
riferimento archiviati nel device. E il tutto si gioca sul terreno della precisione. Quest’ultima dipende principalmente dagli algoritmi
software utilizzati: più essi sono precisi, più il riconoscimento sarà efficace
e (quasi) esente da pregiudizi (bias). E il tutto diventa ancora più complicato
quando i dispositivi devono tenere conto di variabili come le diverse
condizioni di luce, i cambiamenti di aspetto e l’uso di accessori di bellezza
come cappelli, occhiali, gioielli e persino maschere. Le implementazioni di
riconoscimento facciale basate sull’uso delle fotocamere dei dispositivi devono
trovare un attento equilibrio tra precisione e velocità. Mentre Android stesso
offre API di riconoscimento facciale, i produttori di smartphone hanno
sviluppato soluzioni personalizzate nel corso degli anni. Nel complesso,
l’obiettivo è stato quello di migliorare la velocità di riconoscimento del
dispositivo senza “sacrificare” troppo la precisione. Tuttavia, alcune implementazioni potrebbero essere
ingannati ad accettare anche “sconosciuti”.
Riconoscimento
facciale a infrarossi: l’opzione più sicura.
Mentre la maggior
parte dei dispositivi possiedono una fotocamera frontale, il riconoscimento
facciale a infrarossi richiede la presenza di un hardware aggiuntivo.
Tuttavia, non tutte le soluzioni di
riconoscimento facciale a infrarossi sono uguali. Il primo tipo di
riconoscimento facciale basato sugli infrarossi comporta lo scatto di una foto
bidimensionale del viso dell’utente, simile al metodo precedente, ma nello
“spettro” degli infrarossi.
Il vantaggio principale è che le telecamere a infrarossi non hanno bisogno che
il viso sia ben illuminato e possono funzionare anche in ambienti poco
illuminati. Sono anche molto più resistenti ai tentativi di intrusione da parte
di soggetti non autorizzati, poiché le telecamere a infrarossi utilizzano l’energia
termica o il calore per formare un’immagine.
I sensori a
infrarossi possono rilevare le caratteristiche facciali degli utenti anche in
ambienti poco illuminati. E nonostante il Riconoscimento facciale ad infrarossi
2D (bidimensionale) è già un passo avanti rispetto ai metodi tradizionali
basati sulla fotocamera (visti nel punto precedente), vi sono anche soluzioni
migliori sul mercato. Il
Face ID di Apple, per esempio, utilizza una serie di sensori per catturare una
rappresentazione tridimensionale del viso dell’utente (Riconoscimento 3D); e lo
fa utilizzando un illuminatore e un proiettore di punti per proiettare migliaia
di piccoli punti invisibili sul viso dell’utente. Un sensore a infrarossi misura successivamente come
sono disposti i punti e crea una mappa di profondità del viso dell’utente. Ci
sono due vantaggi nei sistemi 3D: Possono lavorare al buio e sono molto più
difficili da ingannare. Mentre i sistemi a infrarossi 2D cercano solo il
calore, quelli 3D “richiedono” anche informazioni sulla profondità.
Naturalmente, quest’ultima è impossibile da ottenere senza che il potenziale
intruso si procuri una figura protesica molto accurata che sostituisca il viso
dell’utente proprietario del dispositivo.
Il riconoscimento
facciale basato su infrarossi è molto più sicuro. E se l’utente decidesse
comunque di usare il riconoscimento facciale basato sulla fotocamera del
dispositivo, è necessario tener presente che la maggior parte dei produttori di
dispositivi non permette di usarlo per applicazioni più “sensibili” (tipo
quelle bancarie). Su Android, per esempio, il programma di certificazione
Google Mobile Services impone soglie minime di sicurezza per vari metodi di
autenticazione biometrica. Meccanismi di sblocco meno sicuri, come lo sblocco
facciale basato su fotocamera, sono classificati come una “comodità”. In poche
parole, non è possibile utilizzarli per l’autenticazione con APP come Google
Pay o – come anticipato – con APP di istituti di credito. Apple, invece, è così
sicura dell’affidabilità del suo “riconoscimento tridimensionale” da trattare
il suo Face ID alla pari dei sensori di impronte digitali e delle password.
Apple, infatti, permette di utilizzarlo non solo per sbloccare il proprio
dispositivo, ma anche per riempire automaticamente i campi delle password e
autorizzare i pagamenti.
Data la natura
controversa del riconoscimento facciale, ci si potrebbe chiedere se memorizzare
i propri dati biometrici elettronicamente sia o meno una buona idea. La buona
notizia è che non c’è da preoccuparsi, poiché la maggior parte dei sistemi
operativi che supportano i metodi di sblocco biometrico impiegano misure
specifiche per garantire che le informazioni “sensibili”, comprese le proprie
caratteristiche facciali e le impronte digitali, siano memorizzate in modo
sicuro. Negli smartphone i dati biometrici sono tipicamente criptati e isolati
in un pezzo di hardware resistente alla sicurezza all’interno del “sistema su
circuito integrato” (system-on-a-chip, SoC) del dispositivo. Qualcomm, uno dei
maggiori produttori di chip per smartphone Android al mondo, include una Secure
Processing Unit nei suoi SoC. Apple, invece, ha etichettato il sottosistema
sicuro del suo SoC “Secure Enclave”. In altre parole, le applicazioni di terze
parti non possono accedere ai dati biometrici dei dispositivi e nemmeno un
potenziale intruso potrà farlo (nella maggior parte dei casi).
Riconoscimento
facciale e indagini di polizia.
Nell’ultimo decennio
il Riconoscimento facciale ha trovato il suo naturale habitat applicativo nella
prevenzione e nel perseguimento dei reati da parte delle forze di polizia. Un
utilizzo, quello degli inquirenti di mezzo mondo, che ha sollevato e continua a
sollevare numerose polemiche, sul fronte della protezione della privacy e dei dati
personali, nonché dei pregiudizi insiti nella tecnologia dell’Intelligenza
Artificiale (“bias”, come ad es. quelli razziali). Nonostante i diversi “anni
di vita”, il Riconoscimento Facciale è una tecnologia relativamente nuova,
introdotta dalle forze dell’ordine di numerosi paesi per identificare le
persone “di interesse” per la giustizia. Normalmente un sistema di
Riconoscimento Facciale utilizzato dai dipartimenti di polizia contiene
immagini facciali ricevute da più di 179 paesi (ossia la quasi totalità delle
nazioni mondiali), il che lo rende un database criminale globale unico.
Abbinato ad un’applicazione software biometrica automatizzata, questo sistema è
in grado di identificare o verificare una persona confrontando e analizzando i
diversi modelli, le forme e le proporzioni dei suoi tratti e contorni facciali.
Basti pensare che nel caso del software utilizzato dall’Interpol quasi
millecinquecento terroristi, criminali, fuggitivi e persone scomparse sono
state identificate dal lancio del sistema di riconoscimento facciale di
Interpol alla fine del 2016.
A differenza delle
impronte digitali e del DNA, che non cambiano durante la vita di una persona,
il riconoscimento facciale deve prendere in considerazione diversi fattori,
come quello di “lavorare” con immagini di buona qualità (che è fondamentale).
Immagini di bassa o media qualità possono non essere ricercabili nei sistemi e,
se ove lo fossero, la precisione della ricerca e i risultati stessi potrebbero
esserne significativamente influenzati. Una fototessera standard, ad esempio,
sarebbe l’ideale, in quanto si tratta di un’immagine frontale del soggetto, con
un’illuminazione uniforme sul viso e con uno sfondo neutro.
Prendendo in esame
lo strumento utilizzato dall’Interpol, quando un’immagine facciale (immagine
sonda) viene inserita nel sistema dell’organizzazione internazionale di polizia
criminale essa viene automaticamente codificata da un algoritmo e confrontata
con i profili già memorizzati nel sistema. Il risultato è una lista di
“candidati” con le corrispondenze più probabili. L’Interpol dichiara di
eseguire sempre un processo manuale (Face Identification) per verificare i
risultati prodotti dal sistema in automatico. Funzionari qualificati ed esperti
dell’organizzazione esaminano attentamente le immagini per trovare
caratteristiche uniche che possono condurre ai risultati (identificato,
potenziale tale, inconcludente). Queste informazioni vengono poi trasmesse ai
paesi che hanno fornito le immagini e a quelli che sarebbero interessati dal
profilo o da una corrispondenza. Tutte le immagini dei volti contenute negli
avvisi e nelle diffusioni richieste dai paesi membri sono ricercate e
memorizzate nel sistema di riconoscimento facciale di Interpol, a condizione –
tuttavia – che soddisfino i rigorosi criteri di qualità necessari al
riconoscimento. I paesi membri possono anche richiedere una “sola ricerca” nel
sistema, per esempio, per effettuare un controllo su una persona negli
aeroporti o altri passaggi di frontiera. I risultati vengono restituiti rapidamente
per consentire un’azione di follow-up immediata, con conseguente non
registrazione delle immagini nel sistema. Poiché questa tecnologia di confronto
biometrico computerizzato è ancora agli inizi, nella maggior parte dei paesi,
gli standard e le migliori pratiche sono ancora in fase di creazione, e
Interpol sta contribuendo a questo scopo.
Ogni due anni, l’Interpol tiene l’International Fingerprint and
Face Symposium, occasione
che fornisce un’opportunità agli esperti di tutto il mondo di condividere le
best practice e gli ultimi sviluppi nel campo del riconoscimento facciale
(comprese le riunioni biennali di gruppi di lavoro di esperti del settore).
Tale gruppo di esperti ha prodotto documenti sulle best practice in materia di
qualità, formato e trasmissione delle immagini dei volti per promuovere un
riconoscimento accurato ed efficace. E al contempo Interpol incoraggia fortemente i paesi
membri dell’organizzazione a utilizzare il servizio di riconoscimento facciale
di Interpol e a seguire le raccomandazioni della medesima organizzazione. Mentre i sistemi di riconoscimento facciale hanno un
enorme potenziale se utilizzati per la sicurezza nazionale, essi – al contempo –
richiedono una solida struttura di governo per proteggere i diritti umani e i
dati personali degli interessati. Interpol, insieme al World Economic Forum
(WEF), l’Interregional Crime and Justice Research Institute delle Nazioni Unite
(UNICRI) e alla polizia nazionale dei Paesi Bassi, ha progettato un quadro
politico per promuovere l’uso responsabile e trasparente della tecnologia di
riconoscimento facciale nelle indagini di polizia in tutto il mondo.
Riconoscimento
facciale e SPID
Com’è noto, per
attivare lo SPID, che permette ai cittadini di usufruire di numerosi servizi
digitali della Pubblica Amministrazione (si pensi alla verifica del Green Pass o alla
consultazione del proprio Fascicolo Sanitario Elettronico), con alcuni gestori – gratuitamente o a pagamento –
è possibile procedere con il riconoscimento facciale “da remoto”, ossia tramite
la fotocamera del dispositivo in uso da parte dell’utente (es. smartphone).
Tale modalità di
riconoscimento c.d. “via webcam” permette all’utente di attivare il servizio
mediante operatore “che lo intervista” da remoto – previa verifica di un
documento di riconoscimento in corso di validità e/o di tessera sanitaria –,
evitando così il recarsi presso gli uffici preposti (si può evitare, ad
esempio, di recarsi presso gli uffici postali nel caso di attivazione di
“PosteID”). A differenza del riconoscimento con Intelligenza Artificiale (come,
ad esempio, la già citata autenticazione biometrica per l’accesso al
dispositivo), il riconoscimento per l’attivazione dello SPID – come succede
anche per talune APP bancarie – vede la presenza dell’operatore connesso da
remoto, che interagisce con l’utente abbinando il riconoscimento del viso con
il riconoscimento del documento di identità; ed in più, cosa non irrilevante,
vi è un vero e proprio colloquio tra le parti che “abbina” le voci ai volti dei
“partecipanti”.
Riconoscimento
facciale di Google.
Google utilizza il Riconoscimento Facciale (“Face Match”) in talune sue
applicazioni che spaziano dal riconoscimento del volto nelle foto (Google
Photos) all’utilizzo della tecnologia in esame per finalità di sicurezza (anche
per la collettività, si pensi al contrasto al terrorismo). Per esempio, Google
Photos raggruppa “in autonomia” le foto presenti nella galleria del dispositivo
e chiede agli utenti di identificare il proprio volto (stessa cosa che fanno
colossi come Apple e, più recentemente, Huawei). E tutto questo è possibile
grazie a una forma di tecnologia di riconoscimento facciale utilizzata da
questi provider. Ma Face Match può andare oltre. Quando l’utente “lo autorizza”
può identificare il suo volto; successivamente, dopo il primo riconoscimento,
inizia ad offrire contenuti digitali “su misura”, come foto, messaggi,
appuntamenti e anche quanto tempo si può aspettare ad una fermata di autobus
(nel caso di un pendolare). Questa modalità di riconoscimento facciale offre
molto in termini di convenienza.
Ma la questione gira
su come Google (e, in genere, le grandi aziende tecnologiche) raccolgono,
memorizzano ed elaborano i dati del viso di una persona, questione che è
diventata una delle principali preoccupazioni per le associazioni di
consumatori di diverse parti del mondo; soprattutto sulla scia delle
rivelazioni degli ultimi anni circa la società Clearview AI, la quale ha “collezionato” nel corso del tempo un
database di foto del viso di numerosi utenti da tutti gli angoli più nascosti
dei siti web e dei social media, condividendo queste informazioni con i
dipartimenti di polizia di mezzo mondo. Gli utenti vogliono sapere cosa fanno le aziende come
Google con le loro informazioni personali, soprattutto una volta che queste
vengono stoccate sul cloud.
Il Face Match di
Google permette di
scansionare il viso dell’utente per creare un “modello facciale”, che il Nest
Hub Max (smart display di Google) utilizza poi per presentare informazioni
personalizzate sugli appuntamenti in calendario, i messaggi di testo e così
via. Permette, inoltre, di firmare con la propria impronta digitale ovvero
mediante l’APP (tracciamento online mediante impronta digitale, ergo utilizzo
massivo della biometria). Quando la funzione Face Match di Google Nest Hub Max
è attivata, la stessa monitora e analizza costantemente l’input dalla
fotocamera del dispositivo per rilevare i volti (si tratta di un rilevamento
attivo H24).
Un’altra questione
riguarda il luogo di conservazione “dei volti”. Per quanto Google sottolinei
che i profili facciali siano memorizzati ed elaborati sul dispositivo stesso
(Nest Hub Max), il colosso di Moutain View ammette che occasionalmente invia
alcuni dati sul suo cloud per aiutare a migliorare “l’esperienza del prodotto”.
Google, tuttavia, specifica che tutti i dati facciali che finiscono sul suo
cloud vengono cancellati subito dopo il “miglioramento” del prodotto. Google
Photos, invece, ha una tecnologia di riconoscimento facciale da qualche anno.
Con essa, puoi lasciare che Google scansioni la galleria di foto per aiutare a
identificare ed etichettare le persone che appaiono in quelle immagini.
Il riconoscimento
facciale di Meta (Facebook.)
A differenza di
Google, la recentemente nominata multinazionale di Menlo Park “Meta” (proprietaria di Facebook e di altre
piattaforme) sta procedendo verso un abbandono – stando a quanto dichiarato –
dell’uso del riconoscimento facciale sulle sue piattaforme.
Meta ha affermato
alcune settimane fa di voler smettere di utilizzare il suo software di
Intelligenza Artificiale deputato al riconoscimento automatico delle persone
partendo dalle foto e dai video pubblicati sulle sue piattaforme
(principalmente Facebook ed Instagram), segnando un cambiamento enorme sia per
l’industria tecnologica che per una società nota al grande pubblico per la
raccolta di grandi quantità di dati personali di iscritti (e non) alle sue
piattaforme.
Jerome Pesenti, del
dipartimento di Intelligenza Artificiale di Meta, ha affermato che il più
grande social network del mondo chiuderà il suo sistema di riconoscimento
facciale nelle prossime settimane come parte di una mossa a livello aziendale
per limitare l’uso del riconoscimento facciale nei propri prodotti.
Meta, tuttavia,
continuerà a lavorare sulla sua tecnologia di riconoscimento facciale, con lo
scopo di implementarla su nuovi prodotti, come ad esempio i già discussi (e già
sotto la lente del Garante Privacy) occhiali a realtà aumentata implementati
con Ray-Ban (gruppo Luxottica).
Per Pesenti le
preoccupazioni sarebbero dovute principalmente ad una mancanza di
regolamentazione del settore del Riconoscimento Facciale (principalmente negli
Stati Uniti).
Per Woodrow Hartzog,
un professore di diritto e informatica alla Northeastern University di Boston
(USA), la decisione di Meta sul punto in esame è una vera e propria vittoria
che mostra la necessità di una continua difesa della privacy e della protezione
dei dati degli utenti, sottolineando che tali tecnologie non sono – in fin dei
conti – indispensabili per i consumatori.
La mossa inaspettata
di Meta – comprensiva della cancellazione dei dati degli utenti già presenti
sulle sue piattaforme – segna un decisivo cambio di rotto per Meta, che è stata
– quando si chiamava Facebook – tra le prime aziende a sostenere l’utilità di tale
tecnologia. Per anni, il colosso di Menlo Park ha permesso alle persone di
optare per un’impostazione di riconoscimento facciale che li avrebbe
automaticamente etichettati in foto e video – una mossa di cui ha
massicciamente beneficiato Facebook, in quanto ha reso più facile per gli
utenti di interagire con gli altri, portandoli a trascorrere ancora più tempo
sulle piattaforme social della compagnia.
Tuttavia il software
di riconoscimento facciale di Meta è stato irto di controversie, “infestato”
com’era da numerosi pregiudizi circa l’etnia dei suoi utenti (problemi che,
peraltro, affliggono l’Intelligenza Artificiale da anni). Per esempio, la
tecnologia di Meta ha dimostrato di essere meno accurata quando identifica le
persone di colore; sul punto diversi uomini di etnia afroamericana sono stati
ingiustamente arrestati a causa dei pregiudizi del riconoscimento facciale.
Mentre – come dichiarato da Pesenti – non c’è una legislazione nazionale
statunitense che regoli l’uso della tecnologia in esame, un numero crescente di
stati e città USA stanno adottando le loro regole per limitare o vietare l’uso
del riconoscimento facciale.
Tuttavia, per alcuni
la mossa di Meta non è un addio ma un arrivederci. Per Caitlin Seeley George, direttrice della campagna
per il gruppo di diritti digitali “Fight for the Future”, siamo di fronte ad
una trovata pubblicitaria di Meta, poiché il colosso di Zuckerberg non ha
intenzione di smettere di lavorare sulla tecnologia di riconoscimento facciale.
La sta, per il momento, spostando su altri prodotti da implementare. Staremo a
vedere nei prossimi mesi come evolverà la questione.
(Luigi Mischitelli).
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