LA LIBERTA’ DEI POPOLI EUROPEI NON E’ SOLO UN SENTIMENTO ANTICO , MA E’ SEMPRE PRESENTE .
LA
LIBERTA’ DEI POPOLI EUROPEI NON E’ SOLO
UN
SENTIMENTO ANTICO , MA E’ SEMPRE PRESENTE .
ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ
EUROPEA.
e-medine.org
-Redazione -(18-5-2021)- ci dice :
Al
giorno d’oggi non sempre è facile percepire una vera e propria identità europea
tra i cittadini europei.
La
ragione è semplice: manca quel rapporto di fedeltà e reciprocità indispensabile
per il concetto classico di “popolo”.
Al
concetto di “popolo europeo” non può essere associato lo stesso significato
inteso in ambito nazionale, perché per la percezione di un’identità europea non
si può fare appello ai soli principi e alle sole tradizioni comuni tra gli
Stati membri.
Per comprendere
cosa significhi essere cittadini europei è necessario, quindi, far nascere un
senso di appartenenza e individuare un insieme di valori che siano
identificativi dell’Europa, intesa non come semplice unione di Stati, ma come
organizzazione che ha una propria identità culturale.
Ed è
di questa identità comune che tratteremo a breve.
BREVE
STORIA DELL’EUROPA.
Per
comprendere dove ha origine l’identità europea occorre fare qualche passo
indietro, fino al secondo dopoguerra.
All’indomani
della seconda guerra mondiale sorse infatti la necessità di creare un legame
sempre più stretto tra i Paesi europei e i rispettivi popoli per mettere fine
alle rivalità politiche ed economiche.
In quegli anni Winston Churchill, che
identificava l’Europa come culla della cultura, delle arti, della filosofia e
della scienza, cominciò a ipotizzare la creazione degli “Stati Uniti d’Europa” per poter
vivere in pace, in sicurezza e in libertà.
Sotto
questi principi nel 1949 dieci Paesi, Italia inclusa, si allearono per fondare
la prima organizzazione europea: il Consiglio d’Europa.
Questa
organizzazione, che oggi conta 47 Stati, si propone diversi obiettivi, tra i
quali proprio quello di promuovere la consapevolezza dell’identità europea e di
difendere i diritti dell’uomo, la democrazia parlamentare e il principio di
legalità.
Nel
1952 venne fondata la CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, con lo scopo di riunire in un mercato
comune le industrie del carbone e dell’acciaio, entrambe strategicamente
importanti per l’economia dell’Europa, ponendole sotto il controllo di
un’autorità sovranazionale.
Nel
1957 i Trattati di Roma istituirono la CEE (Comunità Economica Europea) e col
trattato di Maastricht, nel 1992, alle Comunità si è affiancato un ordinamento
più vasto, quello
dell’Unione,
che inglobava tutte le altre organizzazioni e che ha finito poi con il
sostituirle. È da queste evoluzioni che si è sviluppata l’Unione Europea così come la conosciamo e dal quale
sono emersi più chiaramente i diritti e i doveri del cittadino europeo.
L’EUROPA
OGGI: GLI STATI MEMBRI E I PAESI CANDIDATI.
Nel
giugno 2016 il Regno Unito ha un referendum per decidere se uscire o meno
dall’Unione Europea. L’esito del referendum è stato positivo: il 51,9% della
popolazione britannica ha votato per l’uscita dall’UE. Dopo una procedura non priva di
difficoltà, il 31 gennaio 2020 il Regno Unito ha lasciato ufficialmente l’UE.
L’Unione
Europea, dopo la Brexit, rappresenta un’unione politica ed economica di 27
Stati.
COSA
DISTINGUE L'EUROPA DALLE ALTRE ORGANIZZAZIONI.
L’organizzazione
istituzionale dell’Unione Europea rispecchia i valori stessi su cui si fonda.
L’Europa
rappresenta un organismo sui generis, a cavallo tra una federazione di Stati
(come gli Stati Uniti d’America) e un’organizzazione intergovernativa (come le
Nazioni Unite).
A
differenza delle federazioni, in Europa viene dato risalto al concetto di
“membro”:
in quel termine è insita la volontà di voler far parte del “club europeo”.
I
rapporti tra gli Stati membri e l’UE vengono regolati dai trattati che
richiedono la ratifica all’unanimità.
Se è
vero, oltre che per alcuni casi necessario, che gli Stati membri delegano parte
della loro sovranità, è vero anche che a tutti gli Stati membri viene riconosciuto
un peso e che l’unanimità tra gli Stati può bloccare l’Europa.
La cessione della sovranità è quindi a favore
della costruzione di equilibri comuni per i quali ciascuno Stato membro
concorre, insieme agli altri, a determinare le regole. L’attuale assetto è riuscito a
garantire settant’anni di pace incondizionata in un continente che aveva sempre
vissuto in guerra.
I
PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COMUNITÀ EUROPEA.
La
costruzione di un’Europa unita si fonda su ideali e obiettivi riconosciuti e
condivisi anche dagli Stati membri.
Proprio
per i valori su cui è fondata, l’UE ha una visione umanista e un modello sociale che
la stragrande maggioranza dei suoi cittadini sente di condividere.
Tra
questi valori fondamentali vi sono la realizzazione di una pace durevole,
l’unità, l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza e la solidarietà. L’Unione si fonda esplicitamente sui
principi di libertà e democrazia.
L’identità
europea si basa dunque su questo insieme di valori e di principi, condivisi da
tutti coloro che fanno parte dell’UE e difesi da istituzioni come la
Commissione Europea, nata anche con il compito di individuare eventuali
violazioni di questi principi da parte degli Stati membri e di preservare lo
stato di diritto.
La
condivisione di valori, principi, diritti e doveri dovrebbe contribuire ad
accomunare tutti i cittadini europei in un sentimento di fratellanza e a
promuovere la riflessione sul concetto di identità europea.
L’attenzione che l’Unione Europea ha da sempre
mostrato con riferimento alle tematiche dei diritti umani ha reso l’Europa un
continente in cui libertà e democrazia assumono una rilevanza effettiva. In tal senso è ad esempio
importante sottolineare che la pena di morte, ancora prevista i molti Stati, è
stata abolita in tutti i Paesi dell’Unione Europea.
L’UE E
LO STATO DI DIRITTO: RULE OF LAW.
L’articolo
2 del trattato sull’Unione Europea sancisce lo stato di diritto (rule of law)
come uno dei valori fondamentali dell’Unione. È anche la ‘conditio sine qua non’ per la tutela di tutti gli altri
valori fondamentali dell’Unione, a cominciare dai diritti fondamentali e dalla
democrazia.
Il
rispetto dello stato di diritto è fondamentale per il funzionamento dell’Unione
e la Commissione
Europea ha l’incarico di preservarla. Ecco le azioni volte a difendere la rule of law:
efficace
applicazione del diritto UE;
corretto
funzionamento del mercato interno;
mantenimento
di un contesto propizio agli investimenti;
fiducia
reciproca.
Lo
Stato di diritto inoltre prevede una tutela giurisdizionale effettiva il che
presuppone l’autonomia, la qualità e l’efficienza dei sistemi giudiziari
nazionali.
EUROPA
E INTEGRAZIONE SOCIALE.
Il
multiculturalismo è parte della cultura europea fin dall’inizio dei tempi. La coesistenza di più culture,
lingue e tradizioni caratterizza l’Europa arricchendone la storia. Le culture europee non si limitano
solo a coesistere.
Nello
scenario normativo europeo, infatti, si dà molta rilevanza al divieto di discriminazione e al principio di parità di
trattamento. Una delle principali manifestazioni del rispetto per le identità
culturali delle nazioni europee è dato, ad esempio, dal diritto di ogni cittadino UE di
rivolgersi alle istituzioni europee e di ricevere risposta da queste nella
propria lingua.
Il
multiculturalismo è un modello di integrazione basato sul riconoscimento dei
diritti non solo dell’individuo, ma anche di quelli dei gruppi e delle comunità
che abitano in un Paese.
Parità
di trattamento e divieto di discriminazione impongono una strategia di
integrazione sociale che coinvolga tutti gli Stati membri. Una di queste è la strategia dell’UE
per la gioventù, un pacchetto di azioni mirate a rafforzare l’impegno dei
giovani cittadini dell’Unione nella partecipazione attiva alla democrazia e
alla società.
La
strategia dell’UE per la gioventù punta in particolare a:
sfruttare
pienamente le possibilità offerte dall'animazione socioeducativa e dai centri
giovanili come strumento di integrazione;
incoraggiare
un approccio trasversale per affrontare il problema dell'esclusione in ambiti
come l'istruzione, l'occupazione e l'integrazione sociale;
sostenere
la sensibilizzazione interculturale e combattere i pregiudizi;
sostenere
l'informazione e l'educazione dei giovani sui loro diritti;
affrontare
il problema dei senzatetto, degli alloggi in generale e della povertà;
agevolare
l'accesso a servizi di qualità, ad esempio i trasporti, l'integrazione
digitale, la salute e i servizi sociali;
promuovere
strutture d'assistenza specifiche per le giovani famiglie.
e-Medine,
organizzazione
non-profit che promuove la cittadinanza europea, è coinvolta in diversi
progetti europei con l’obiettivo di potenziare l’integrazione sociale in
Europa.
Tra
questi, la non-profit è coinvolta nel progetto “EUROTHON”, con l’obiettivo di
ampliare la conoscenza degli ideali europei e intensificare il coinvolgimento
dei giovani nel processo democratico dell’Unione attraverso un programma di
apprendimento innovativo che adotta un approccio orientato all’integrazione, incentrato sugli studenti e orientato
all’azione.
PERCHÉ
È IMPORTANTE RISCOPRIRE L’IDENTITÀ EUROPEA.
L’Europa
rappresenta per molti la culla della cultura, una terra di opportunità e un
continente civile in cui oggi regnano la democrazia e il rispetto dei diritti
umani, una società in cui prevalgono l’inclusione, la tolleranza, la giustizia,
la solidarietà e la non discriminazione.
La
nostra identità dipende da ciò che siamo stati e da ciò che insieme progettiamo
di diventare.
La
consapevolezza e la convinzione di appartenere ad un unico “popolo europeo”
elimina il rischio di conflitti tra i governi e i cittadini dei diversi Stati
membri.
Come
insegna la storia, le logiche escludenti e conflittuali portano a guerre e
crisi e di questo ne conserviamo una tragica memoria.
Essere
europei e comprendere l’importanza della propria identità è fondamentale per
vivere con più consapevolezza la “cittadinanza europea”, che va ben oltre il
contesto nazionale, in quanto non si riferisce al rapporto tra il cittadino e
l’autorità sovrana (Stato), ma indentifica l’appartenenza ad una comunità,
quella europea, accomunata da principi e valori umani. Valori che, purtroppo,
non sono ancora condivisi in tutte quelle parti del mondo divise da guerre e
conflitti.
Non
dimentichiamoci che del passato si nutrono il presente e il futuro e che la
memoria è la bussola essenziale di un’identità che si forma e che si sviluppa. Dobbiamo essere consapevoli che la
sola memoria però non basta alla formazione di un’identità europea (collettiva
e politica) e che occorre mobilitare le energie per superare i condizionamenti
del passato e trasformare il continente europeo nella grande madrepatria delle
future generazioni di cittadini europei.
L’uguaglianza,
la diversità,
e il
diritto: vive la différence!
Questionegiustizia.it
- Michele Graziadei-(20-1-2022)- ci dice :
Il
principio di uguaglianza non si è affermato in modo pacifico nella storia
perché esso si afferma facilmente solo rispetto a chi è ritenuto simile a sé e
non viene applicato automaticamente a chi è percepito come diverso.
Il
modello di uguaglianza che è stato alla base del discorso costituzionale
condotto in occidente negli ultimi due secoli ha avuto una funzione inclusiva e
di integrazione ma al tempo stesso ha preteso imperiosamente un adattamento ai
modelli culturali dominanti.
Ma
l’immagine di una comunità omogenea è il frutto di una illusione o se si vuole
essere più precisi di una ideologia.
Dietro il velo della nostalgia per una società
omogenea si trova molto spesso il tema dell’equa ripartizione delle risorse e
della povertà e quello del riconoscimento dei diritti. Anche l’argomento dei diritti umani
da difendere nel confronto con i Paesi non appartenenti all’Occidente non è al
di sopra di ogni sospetto.
In
particolare quello di voler con essi perpetuare la missione civilizzatrice
propria del colonialismo. La regola dell’uguaglianza implica il rispetto della
pluralità dei valori che rendono ricca la vita in una società. La Costituzione italiana è esplicita
in proposito perché è la Costituzione di una società che vuole essere
pluralista.
E la prima condizione per procedere in questa direzione è non umiliare l’altro.
Nelle
pieghe della cultura altrui troviamo anche qualcosa di nostro è la nostra
umanità.
1.
Sebbene sia un regime fragile e sempre in pericolo, la democrazia appartiene al
mondo moderno. Il numero delle democrazie nel mondo è in aumento costante nell’ultimo
secolo, ed il principio di uguaglianza che è alla base della costituzione
politica democratica si diffonde. Le sue ramificazioni sono in tutte le direzioni, e la sua avanzata va di pari passo
con proclamazioni solenni, che intendono garantire il rispetto della dignità
umana.
Il
principio di uguaglianza non si è però affermato in modo pacifico nella storia.
Per fare un esempio notissimo, il diritto al voto delle donne è arrivato dopo una lunga
battaglia, durata oltre un secolo.
Anche
nelle democrazie occidentali, la parità salariale tra uomo e donna è tuttora da
conquistare nei fatti. La discriminazione (etnica, di genere, linguistica,
religiosa, etc.) è bandita dalle costituzioni democratiche, ed è ora combattuta
dallo Stato.
L’azione
dello Stato viene però monitorata sul piano internazionale, tramite i regimi
protettivi dei diritti umani, per evitare che al riparo di essa, o addirittura
grazie ad essa, il principio di uguaglianza possa essere violato, a vantaggio di una
parte o di una componente della società.
Sul
piano della vita sociale e in campo morale il principio di uguaglianza si
afferma senza eccessiva difficoltà rispetto a chi è ritenuto simile a sé, mentre non è automaticamente esteso a
chi viene percepito come diverso.
Per
quanto il sentimento di essere parte di una singola umanità possa essere forte
– siamo tutti mortali – dobbiamo riconoscere che il solo sentimento di umanità
rappresenta un vincolo troppo debole per contrastare la forte tendenza ad applicare il
principio di uguaglianza unicamente a chi viene ritenuto simile a sé.
Per
contrastare questa tendenza il diritto contemporaneo ha messo a punto una
propria strategia: è la strategia legata al riconoscimento dei diritto umani. Sul punto, limitiamoci per ora a
questo rilievo essenziale, vedremo meglio oltre quali problemi si aprono nel
momento in cui i diritti umani si affacciano sulla scena contemporanea.
Resta
comunque sotto gli occhi di tutti un fatto. Affermato il principio di
uguaglianza, proclamati i diritti umani, il tema della differenza – in primo
luogo in termini di stili di vita e di atteggiamenti culturali – non è
esaurito.
Il
pluralismo proclamato dalle democrazie costituzionali contemporanee – specialmente di quelle costituite
sulla base dell’idea di nazione – tuttora non incorpora fino in fondo questa
dimensione dell’esperienza umana. Il valore della differenza non è sempre né pienamente
espresso, né pienamente colto, sebbene a livello internazionale venga ormai
frequentemente riconosciuto.
Un
riconoscimento del genere si legge, ad esempio, nella Convenzione delle Nazioni unite sulla
protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali del
2005, che è stata approvata dalla Decisione del Consiglio dell’Unione europea
in data 18 luglio 2006.
La
nostalgia di una (immaginaria) comunità omogenea ha lasciato più di una traccia
nel discorso intorno alla cittadinanza.
Lo
stato costituzionale che è edificato sulla base della Costituzione
repubblicana, è agli antipodi dello stato chiuso, di cui parlava Fichte
all’inizio del 1800. L’Italia al pari di altri Stati europei è pienamente
integrata nella vita della comunità internazionale. L’appartenenza dell’Italia
e degli Stati Membri all’Unione europea ha trasformato lo stesso concetto di
cittadinanza, facendo retrocedere l’idea di Stato nazione. Ma tutto questo non esclude,
evidentemente, la possibilità che la comunità nazionale – o una sua componente
– pensi se stessa secondo modelli che propongono l’idea di comunità omogenea, e
che implicano chiusura verso chi non appartiene ad essa.
L’affermarsi
di stili di vita individualizzati conduce però sempre più a riconoscere maggior
spazio alla differenziazione nello spazio pubblico e nel privato.
La
società contemporanea è infatti segnata da processi di individualizzazione che
tendono sciogliere l’individuo dai vincoli dell’appartenenza sociale e dalle
forme di vita sociale tradizionali; d’altra parte la società è sempre più
tagliata sull’individuo, che affida la propria biografia a scelte rischiose, e
a nuove forme di distinzione. Questi processi, al cuore di una società di
mercato, dovrebbero però essere governati con il conforto di teorie destinate a
rendere conto in modo più adeguato del rapporto tra democrazia, pluralismo dei
valori, molteplicità degli orientamenti culturali, e degli stili di vita.
2.
Quali sono, ovvero quali possono essere queste teorie?
Dobbiamo
partire da un dato di fatto. Tra la fine del diciottesimo secolo e il diciannovesimo
secolo, sulla scia di rivendicazioni ampiamente diffuse, lo Stato ha costruito
la cittadinanza smantellando le norme che segmentavano la società in ceti e
classi distinte.
La
storia europea è stata molto a lungo una storia di ceti e di classi separate da
innumerevoli distinzioni, sancite da norme giuridiche, in gran parte di origine
consuetudinaria.
I
diritti riconosciuti sotto questo regime non derivavano dallo Stato, ma dalla
propria condizione sociale, stabilita molto spesso alla nascita. In questo
contesto, avevano ampio spazio le giurisdizioni particolari, private speciali,
in quando l’idea d giustizia (e di uguaglianza) era relativa alla propria
condizione sociale, era l’uguaglianza del nobile con il nobile, del borghese
con il borghese, e così via.
L’azione
dello Stato negli ultimi due secoli ha mirato ad abbattere queste
disuguaglianze, per far sì che la condizione determinata dalla nascita non
reggesse tutta la vita dell’individuo, si è aperta così la via della
democrazia.
La
tragica vicenda sfociata nell’orrore delle persecuzioni razziali durante il
fascismo e il nazismo ha rappresentato una inversione di tendenza, che svela
quanto sia stato complicato e discontinuo il processo che si avviò nel momento
in cui una nozione generalizzata e universale di uguaglianza si mise in
movimento. Si è trattato infatti di un processo non lineare, che ha incontrato
forti resistenze, anche laddove non si sono affermati regimi totalitari, perché
l’antico regime non è morto in un giorno.
Se
poniamo mente al declinare dell’assetto sociale e giuridico di antico regime
nel ventesimo secolo possiamo dire che, ultima a cadere in Europa, è stata la
differenza legata al genere, che negava alle donne il voto, l’accesso a ampi
settori del mondo del lavoro, o che disconosceva l’apporto femminile al
benessere della famiglia, tramite il lavoro prestato nella famiglia.
Nel
diritto di famiglia differenze profonde tra uomo e donna sono in effetti
rimaste in piedi a lungo, anche dopo l’entrata in vigore delle costituzioni del
secondo dopoguerra. Il tema è centrale, se si vuol comprendere cosa voglia dire
uguaglianza e cosa voglia dire differenza, e come il diritto operi in
proposito, come ha rilevato con R. Rubio-Marin.
Le
costituzioni del secondo dopoguerra – come sappiamo – hanno accolto la donna
pienamente nell’ordine politico, attraverso il riconoscimento dell’elettorato
attivo e passivo, ma non hanno fatto scomparire l’abito sociale tradizionale
che ritagliava per la donna un ruolo separato, confinato in seno alla famiglia.
Nella famiglia, il marito e il padre era colui che sosteneva la vita familiare
con il proprio reddito. Alla donna toccava il ruolo catturato da quel
linguaggio edulcorato che la presentava come «l’angelo del focolare»,
linguaggio che, nella sua ambiguità, pretendeva di mitigare la condizione di
diseguaglianza giuridica e di fatto in cui la donna si trovava, nobilitandola,
tessendone le lodi.
Come
questa disuguaglianza poteva essere mantenuta, anzi, come poteva essere
giustificata, e resa pienamente legittima?
Se
pensiamo alla famiglia, la leva – più esplicitamente – il condizionamento
essenziale utilizzato per stabilire rapporti diseguali era legato a doppio filo
ad un assunto semplice, quanto fortemente ideologico. Il matrimonio trae
origine dal consenso dei nubendi, della cui libertà si faceva garante il
diritto. Pertanto, con il proprio libero consenso al matrimonio, la donna
avrebbe scelto – altrettanto liberamente – di aderire al regime diseguale
consacrato dal matrimonio, che la poneva in posizione di subordinazione
rispetto al marito.
Il
quadro ora ricordato si arricchisce di una nota niente affatto secondaria. In
realtà, sebbene di regola il consenso alle nozze fosse dato liberamente, per la
donna il matrimonio era molto spesso anche l’unica possibilità di «uscire di
casa». Un’alternativa pienamente legittima sul piano sociale raramente esisteva
(salva la possibilità di prendere i voti!).
Il
testo della Costituzione italiana in qualche misura aderisce a questa visione
tradizionale dell’ordine delle cose, quando stabilisce che: «Il matrimonio è
ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti
stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare» (art. 29, 2°co. Cost., enfasi
aggiunta). La Costituzione accoglie il medesimo approccio in materia di
condizioni di lavoro della donna,. Le condizioni di lavoro della donna
lavoratrice devono infatti consentirle: «…l'adempimento della sua essenziale
funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata
protezione.» (art. 37, 2° co. Cost.).
Sulla
essenziale funzione familiare del marito o del padre la Costituzione tace. Più
prudentemente, le costituzioni del secolo diciannovesimo, nel proclamare
l’eguaglianza tacevano su tutta la materia del diritto di famiglia.
Come è
stato osservato, questo modello di uguaglianza è in realtà un modello basato
sull’idea di ruoli separati e non intercambiali tra uomo e donna. Si tratta di
un modello protettivo di una sola parte, rispetto a cui si pone quindi un
problema di reasonable accomodation, di adattamento o accomodamento
ragionevole, più che di vera e propria uguaglianza di trattamento. Questo
modello non rappresenta più oggi, ai nostri occhi, l’ordine naturale delle
cose. Ad esempio, il congedo parentale dal lavoro è ormai diritto dell’uomo o
della donna, come la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato. Il
costume si prende però tuttora la propria rivincita nel momento in cui si
registrano i numeri dei congedi effettivamente fruiti dall’uno o dall’altro
sesso, o le attività di cura e di assistenza svolte all’interno della famiglia
dall’uno o dall’altro sesso. Ma questa differenza, questa separazione di ruoli,
è assai meno sottolineata sul piano del diritto oggi rispetto al passato.
Cosa
possiamo apprendere più in generale da questa vicenda legata all’evoluzione dei
rapporti tra i sessi?
Dobbiamo
riconoscere che il modello di uguaglianza che è stato alla base del discorso
condotto in occidente negli ultimi due secoli ha avuto una funzione inclusiva e
di integrazione nella vita pubblica di settori della popolazione che un tempo
erano in tutto o in parte esclusi da essa.
Al
tempo stesso, però, ha preteso imperiosamente un adattamento ai modelli
culturali dominanti. La pretesa è stata tanto più forte quanto più la società italiana
si pensava compatta in termini di adesione a valori culturali condivisi, comuni
credenze e stili di vita, o per lo meno assumeva di essere tale.
Lo era
davvero, compatta?
Su
questo punto bisogna fare chiarezza.
3. Gli
antropologi culturali, che indagano la struttura della società sanno che la
compattezza di cui parliamo – utilizzando talvolta il vocabolo «identità» – è
una grande favola.
Per
missione professionale l’antropologo deve provare a vivere dentro una comunità,
senza rinunciare, al proprio punto di vista, mancando il quale c’è completa
assimilazione, piuttosto che osservazione partecipante.
Ebbene,
cosa può dirci l’antropologo che ha fatto questa esperienza?
Ogni
mondo è un mondo di mondi.
Ogni
comunità presenta al proprio interno differenze, tensioni, slanci in direzioni
diverse, talvolta diametralmente opposte.
Così,
nell’Italia di oggi abbiamo gesti xenofobi, e gesti di solidarietà nei
confronti dei migranti. Nel Sud Africa segregazionista, negli Stati uniti del
separate but equal, c’erano bianchi che marciavano e lottavano insieme ai neri.
Nell’epoca in cui le persone di colore potevano essere ridotte in schiavitù
c’erano militanti abolizionisti che ne reclamavano la libertà. Quando gli ebrei
cercarono scampo rispetto alla barbarie nazifascista, ci fu chi volle mettere a
repentaglio la propria vita per proteggerli, e talvolta morì per loro.
L’immagine
di una comunità omogenea è il frutto di un’illusione; se vogliamo essere più
precisi: di una ideologia.
Un’ideologia
che possiamo comprendere come uno strumento di oppressione, illuminato nella
sua genesi e in molti dei suoi meccanismi fondamentali dalla psicologia
sociale.
Beninteso,
dietro il velo della nostalgia per la comunità omogenea si trova molto spesso
il tema dell’equa ripartizione delle risorse e della povertà, che è il vero
tema di cui spesso si discute, quando si parla d’altro. Il rifiuto della
differenza è infatti un bell’affare, quando porta con sé la negazione dei
diritti, il lavoro nero, la bidonville, la marginalità o la clandestinità
penalmente sanzionata per coloro che si trovano nel territorio dello Stato.
Mi
limiterò a notare che quanto storicamente vale in relazione alla questione
femminile vale in realtà per tutti i gruppi marginali nella nostra società. In
relazione a tali gruppi, l’eguaglianza rischia di essere messa da parte, di
essere revocata, di essere soppressa, sotto il manto delle norme che dovrebbero
garantirla.
Teniamo
presente che queste persone sono normalmente soggette a discriminazioni
multiple, vale a dire ad un fardello doppiamente pesante di difficoltà.
Talvolta si è in presenza di un vero e proprio stigma. Si può trattare di
stigma non completamente rimosso, com’è, ad esempio, quello che riguarda la
malattia mentale, mentre nel nostro Paese vi è stato un progresso significativo
per quanto riguarda lo sviluppo di atteggiamenti più inclusivi verso la
disabilità fisica.
Il
primo passo necessario per scoprire come il diritto si può aprire alla
diversità delle culture e alla loro interazione ed integrazione è comprendere
quanto ho appena ricordato: in una società democratica, caratterizzata da uno
stato costituzionale, si possono attuare meccanismi di subordinazione e di
esclusione che riguardano coloro che vivono sul territorio semplicemente
attraverso pretese avanzate in nome di (pretesi) valori culturali dominanti.
Certamente,
oggi in Italia migliaia di operatori pubblici, tante organizzazioni di
volontariato e religiose, milioni di cittadini impegnati a vario titolo nel
sociale, lavorano per promuovere l’inclusione. La ricchezza di vita che è
contenuta in questa esperienza, irriducibile ad una sola dimensione, molteplice
nei suoi aspetti, è inestimabile.
4.
Oggi possiamo dire di aver lasciato alle spalle vari regimi oppressivi, avendo
imboccato il sentiero che è poi diventato la via maestra dell’eguaglianza
generalizzata, dell’uguaglianza quale sia la cultura o l’esperienza di vita di
ciascuno.
Ho
cercato di mostrare il rischio dell’ipocrisia, nel presentare un assunto di
questo genere come pacificamente condiviso. Infatti, se dobbiamo dare
nuovamente ascolto agli studiosi della cultura, ad essere universalizzato è in
realtà solo quanto ci è già noto, quanto ci è familiare. L’effetto di questa tendenza è quello
di assumere che i propri modelli culturali abbiano valore universale, mentre in
realtà si rimane chiusi ai modelli altrui.
Questo
è vero anche in relazione al tema dei diritti umani.
Molti
tra coloro che si occupano di diritti umani sanno che l’argomento tratto dalla
necessità di difendere i diritti umani nel confronto con Paesi non appartenenti
all’Occidente, o con persone che provengono da Paesi che non hanno condiviso il
percorso verso la modernità dell’Occidente, non è al di sopra di ogni sospetto. Il dubbio che si agita è che questi diritti
rappresentino in realtà, agli occhi di chi ha vissuto in modo traumatico il
contatto con l’Occidente, null’altro che la continuazione della missione
civilizzatrice che l’Occidente scelto come vessillo per imporre regimi
coloniali o di dominio, se non il puro e semplice sterminio.
Soprattutto,
ecco il monito formulato da molti dei nostri interlocutori, non chiamateli
diritti umani: quasi fossero disumani i popoli non disposti a sottoscrivere
immediatamente simili tavole di valori. Volete proporli e difenderli? Non
colorateli dell’enfasi che li rende emblemi di civiltà.
Scavando
nella nostra storia, senza voler sottoscrivere visioni anacronistiche,
scopriamo che si può procedere altrimenti, si possono quindi evitare alcuni
errori di prospettiva.
Quello
che, nell’epoca attuale, è chiamata cultura un tempo era apertamente chiamato
costume, consuetudine: ciascuno legittimamente ne aveva uno proprio, per quanto
«selvaggio». Mancava un parametro universale, legato all’idea di uguaglianza,
com’è quello che verrà messo a punto più tardi, e che ci sollecita oggi.
Con il
tempo abbiamo appreso che la regola dell’uguaglianza implica il rispetto della
pluralità dei valori, vale a dire la pluralità degli orizzonti, delle
aspettative, e dei desideri che rendono ricca la vita in società. La Costituzione italiana è esplicita
in proposito: è la Costituzione di una società pluralista.
Si
tratta di una lezione importante: la prima condizione per procedere insieme –
cosa che dobbiamo assolutamente fare – è non umiliare l’altro, nelle pieghe
della cultura altrui troviamo infatti anche qualcosa di nostro. Sappiamo di
cosa si tratta: è la nostra umanità.
Crisi
Ucraina: li dovremo Sopportare
per
mesi e subirne le Conseguenze…
Conoscenzealconfine.it
-Claudio Martinotti Doria-( 24 Febbraio 2022)-
mi dice:
Crisi
Ucraina: li dovremo sopportare per mesi e subirne le Conseguenze. Mi riferisco
ai politicanti e media mainstream e alla loro continua ipocrisia e
mistificazione.
Da
quanto si sa dalla storia dell’umanità, chi detiene il potere si è sempre
fondato sulla gestione della paura per assoggettare, controllare e manipolare
le masse dei suoi sudditi.
Oltre all’uso della forza nelle sue varie
modalità attuative, e più recentemente ricorrendo all’abuso della tecnologia e
delle armi biologiche, si è sempre ricorso alla creazione di un nemico, sia
interno che esterno o invisibile, su cui indirizzare la frustrazione e
l’aggressività popolare che ha bisogno di sfogare la sua impotenza e viltà su
un capro espiatorio.
Sono
processi vecchi come il mondo ma sempre efficaci, funzionano, soprattutto se si
ha il totale controllo dei media, che per questo motivo sono appropriatamente
definiti mainstream, cioè complici di un regime ed esprimenti un pensiero
unico, come un megafono, una cassa di risonanza del potere.
Anche per questo motivo sono monotoni, monocordi,
ripetitivi e noiosi, ma con le masse di analfabeti di ritorno funzionano
perfettamente svolgendo la loro funzione ipnotica inducendoli a credere alle
menzogne propinate senza ritegno e lasciando spazio a celebrità e personaggi
insignificanti e indegni come i politicanti, non solo italici, perché ormai la politica esprime
quaquaraquà e ominicchi in tutti i paesi cosiddetti occidentali, di statisti
non vi è neppure l’ombra, l’unico degno di questo nome è paradossalmente proprio il
loro presunto avversario, il capro espiatorio per antonomasia, Vladimir Putin, il presidente della
Federazione Russa, accusato senza prove di qualsiasi nefandezza.
Da
mesi, tutte le forze politiche e mediatiche del mondo occidentale a guida
statunitense, hanno indirizzato i loro sforzi mediatici nel focalizzare
l’attenzione dell’opinione pubblica sul presunto pericolo rappresentato dalla
Russia, che
secondo la narrativa mainstream avrebbe avuto l’intenzione di invadere
l’Ucraina, cioè un paese fallito che si regge grazie ai finanziamenti del mondo
occidentale, proprio in chiave antirussa.
Il
sostegno finanziario e politico all’Ucraina è una mossa strategica per
esercitare pressione sulla Russia per indurla a compiere un passo falso,
approfittando in particolare dell’irrisolta questione del Donbass. La pressione negli ultimi mesi è
stata esasperante, avrebbe sfinito chiunque, hanno esagerato fino a sfiorare il
ridicolo e l’assurdo, senza alcuna remora o vergogna. Sono arrivati addirittura a
dichiarare il giorno esatto in cui si sarebbe compiuta la presunta invasione, e
dopo che non è avvenuta, se ne sono assunti il merito per averla sventata e
impedita.
Espedienti di una puerilità patologica che
potrebbero solo funzionare se il livello intellettuale dei destinatari di tali
spudorate menzogne fossero ragazzini in età puberale. Ma forse è in questo modo
che considerano i loro sudditi, o che li hanno ridotti grazie ai media
mainstream.
Se la
situazione finora non è degenerata come avrebbe potuto è solo grazie al fatto
che Putin è uno statista, un abile stratega, uno che non perde mai la calma, un
freddo calcolatore che sa giocare perfettamente a scacchi e pondera bene ogni
mossa e sa prevedere le ripercussioni di qualsiasi scelta.
A
differenza dei nostri politicanti che seguono solo un copione scritto da altri.
Infatti, inostri politicanti e i media al loro servizio, sono come degli attori
che recitano una parte, ed è proprio questo che mi assilla, dovremo sopportarli
per mesi mentre recitano mediocremente i soggetti a loro destinati, sentire le loro cazzate sapendo che
sono talmente ignoranti che per sapere dove si trovi e quali siano i confini
dell’Ucraina devono consultare un atlante.
E si
protendono in questo ruolo eroico giustificando uno stato criminale creato
dagli USA nel 2014 e divenuto di fatto una loro colonia dopo un colpo di stato
finanziato dalla CIA, facendo andare al potere locale oligarchi neonazisti
dichiarati che hanno bruciato vivi i loro oppositori nella strage di Odessa,
nella casa dei sindacati, di cui nessuno pare ricordarsi.
Oligarchi
che hanno creato numerosi battaglioni paramilitari poi integrati delle Forze
Armate ucraine, dichiaratamente filonazisti, come riportato anche nei loro
simboli e stendardi.
Neonazisti
che se avessero avuto mano libera nel Donbass, avrebbero sicuramente commesso
genocidi di stampo etnico a danno della popolazione russa di quella regione. Il problema è rappresentato dal
fatto che la stragrande maggioranza della popolazione della regione del Donbass
è a tutti gli effetti russa, 770mila sono cittadini russi dotati di passaporto
russo. Inevitabilmente
la Russia, sotto pressione, ha dovuto all’unanimità di tutte le forze politiche
e istituzionali della Federazione Russa, riconoscere le due repubbliche
separatiste del Donbass, cioè Donec’k e Luhans’k. Era l’unico modo per
proteggere i propri concittadini.
Questa
è la mossa che l’occidente attendeva, anzi smaniava, per sentirsi legittimata
ad accusare la Russia di volere la guerra, di volersi espandere per
ricostituire l’Unione Sovietica, dimenticandosi ipocritamente che sul finire
degli anni ’80 e i primi del ’90 la leadership occidentale aveva promesso a
Gorbaciov (che stava sciogliendo il Patto di Varsavia) che non avrebbe mai e
per nessun motivo incorporato le ex repubbliche del Patto di Varsavia nella
NATO.
Promessa negata fino ad oggi come inventata dai russi, ma rivelatasi vera dopo
che uno storico ha ritrovato dei documenti che ne dimostrano la fondatezza.
Quindi
gli USA e i suoi satelliti europei per l’ennesima volta si sono rivelati
menzogneri e inaffidabili. Non solo la promessa era vera ma sono andati ben oltre le
peggiori previsioni, inglobandoli tutti nella NATO, che dopo la caduta del Muro di
Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica avrebbe dovuta essere sciolta,
avendo perso ormai il suo scopo difensivo contro l’Unione Sovietica.
Sono
andati talmente oltre ogni senso della misura e dell’opportunità, che sono
arrivati a pretendere di accorpare pure l’Ucraina, cioè il territorio dove
storicamente la Russia è nata (dal
principato di Kiev) durante il Medioevo, che significherebbe poter posizionare
le armi missilistiche a poche centinaia di km da Mosca.
Nei
primi anni ’60 ai tempi della presidenza Kennedy, quando l’Unione sovietica
collocò alcune batterie missilistiche a Cuba, la reazione degli USA è stata
risoluta e si è sfiorata la III Guerra Mondiale, perché i russi dovrebbero
reagire diversamente ora che si trovano in una situazione analoga? Siamo al solito, al doppio standard
ipocrita occidentale dei due pesi e due misure, i principi morali valgono solo
se sono rivolti contro l’avversario, esentando sempre se stessi e il rispetto
delle norme e delle consuetudini è unilaterale, secondo convenienza.
Dal
punto di vista geopolitico e strategico la Russia ha perfettamente ragione a
pretendere che non si superino le cosiddette linee rosse che minacciano la loro
integrità, sicurezza e diritto alla difesa territoriale.
La NATO, braccio armato e associazione a
delinquere di stampo militare e terroristico nelle mani degli USA, non ha alcun
diritto di estendersi fino ai confini della Russia, altrimenti questa avrebbe il diritto
di ritornare a posizionarsi a Cuba per controbilanciare la minaccia.
Questi
sono ragionamenti e concetti basilari, elementari, che non necessitano di
conoscenze geopolitiche e strategiche per essere capiti. Ma i nostri politicanti e operatori
mediatici parlano di questioni geopolitiche e strategiche come fossero esperti,
mentre sono di un’ignoranza abissale e di un’ipocrisia imbarazzante.
Un
altro aspetto essenziale che rende insopportabile accettare il bombardamento
mediatico di falsità e scemenze sulla questione Ucraina, è il fatto che a
pagare le conseguenze delle sanzioni che verranno applicate alla Russia saranno
soprattutto i cittadini europei, che si ritroveranno con gravissime
ripercussioni economiche sulle loro spalle, già ora gravate da pesanti oneri
impropri, sanzioni volute dagli USA ma che penalizzano l’Europa, come al
solito.
Altro
aspetto paradossale e deleterio è rappresentato dal fatto che questi
quaquaraquà e ominicchi che governano l’UE, corrotti e ignoranti, hanno il
potere di inviare in Ucraina anche i nostri soldati, a rischiare di morire per
uno stato criminale e corrotto, dal quale sono già fuggiti in pochi anni sei
milioni di ucraini per non morire di fame.
All’Ucraina
non frega assolutamente nulla dell’integrità territoriale, che secondo loro
sarebbe stata violata, non dal colpo di stato nazista filoamericano, ma da una presunta invasione russa
della Crimea e del Donbass (mai avvenuta), se non fosse che, le due repubbliche
separatiste collocate nella regione del Donbass sono le più ricche e prospere
di tutta l’Ucraina. Sarebbe come se in Italia, la Lombardia e il Piemonte, si
staccassero rendendosi indipendenti e volessero aderire alla Confederazione
Elvetica.
Ecco
svelato il vero motivo dell’accanimento della leadership ucraina contro la
Russia e del coinvolgimento del mondo occidentale a loro sostegno. È l’unico modo che hanno le
oligarchie al potere in Ucraina per continuare a ricevere finanziamenti e accumulare
ricchezze a detrimento della popolazione sempre più ridotta in miseria.
Tra
l’altro v’informo, perché i media mainstream non lo fanno, che l’Ucraina ha
abbandonato totalmente i suoi cittadini del Donbass interrompendo ogni diritto
sociale e istituzionale, non pagando più le pensioni agli aventi diritto, oltre
ad altre vessazioni e angherie, trattandoli come nemici.
Per
parlare di un argomento occorre essere obiettivi e ben informati e non omettere
nulla d’importante, per fornire al lettore un quadro esauriente della
situazione, altrimenti non si fa informazione ma propaganda. Cosa altro potrebbero fare gli
abitanti del Donbass se non rivolgersi alla Russia? Sia per difendersi che per
sopravvivere dignitosamente.
Altro
aspetto che i media mainstream omettono di riferire, è che l’Ucraina non ha mai
rispettato gli accordi di Minsk, anzi non li ha mai voluti riconoscere e ha
continuano a bombardare i villaggi e le città più vicine ai confini
distruggendo infrastrutture e uccidendo civili, com’è stato riconosciuto anche
dalle testimonianze degli osservatori dell’OCSE presenti in zona, nonostante la
loro parzialità e faziosità.
La
Russia non ha alcun interesse a riprendersi l’Ucraina, uno stato fallimentare
che dovrebbe ricostruire e mantenere a vita con gravosi oneri che non si può
permettere, ma vuole solo difendere i russi che vi abitano e difendere sé
stessa dal ogni minaccia prossima ai suoi confini.
Quindi
in conclusione riaffermo le mie convinzioni, espresse fin dal 2014, al tempo
del colpo di stato nazista filoamericano in Ucraina, che la NATO andrebbe sciolta, che l’UE dovrebbe abbandonare
l’influenza politica degli USA che si è sempre rivelata deleteria per noi, per
riprendere rapporti amichevoli e commerciali con la Russia, che è corretto riconoscerlo
essere prevalentemente europea.
Infatti, i tre quarti della popolazione abitano nella
Russia Europea ed è per questo motivo che si sentono europei e non comprendono
quest’accanimento ostile nei loro confronti, perché è storicamente e culturalmente
immotivato ma istigato esclusivamente dagli interessi americani contrastanti
coi nostri, in quanto intendono tenere separata l’UE dalla Russia, in particolare la
Germania come prima potenza industriale dell’UE.
Prima
lo capiamo e meglio sarà, ma finché avremo dei servi e degli utili idioti a
governarci non faranno mai l’interesse della popolazione.
(Claudio
Martinotti Doria-- cavalieredimonferrato.it).
Il
solito, ipocrita Occidente
terrorista:
Putin “aggressore.”
Libreidee.org-Redazione-Libero-(24/2/2022)-ci
dice :
«Ora
tutti danno del matto scriteriato a Vladimir Putin, ma i veri folli siamo noi,
che ci stiamo bevendo la narrazione patetica che dalla sala ovale della Casa
Bianca ci è piombata in testa come verità assoluta: quella dell’Occidente e in
primis dell’America come paladina dei diritti inderogabili delle nazioni».
Così
“Libero”, in un editoriale che commenta la reazione militare russa alle
reiterate provocazioni atlantiche in Ucraina, paese “prenotato” ufficialmente
per l’ingresso nella Nato in violazione di ogni precedente accordo.
Traduzione
pratica nei nostri media:
Putin
avrebbe violato il diritto internazionale, calpestato la sovranità di uno Stato
tutelato dall’Onu, riconosciuto ufficialmente e sostenuto militarmente due
territori del Donbass (Est dell’Ucraina) che si sono proclamati repubbliche
indipendenti.
“Libero”
punta il dito contro il vizietto storico dell’Occidente: l’interferenza
“umanitaria”.
«Se
osservatori non sempre disinteressati colgono in una certa zona del mondo il
prevalere di un tiranno crudele, allora è concesso mandare truppe, rimpiazzare
i presidenti, commissariare un paese. È successo in Somalia nel 1993, in
Bosnia-Erzegovina fino al 1996».
Il
decantato diritto internazionale?
Regolarmente
ritoccato «a
misura del più forte, che non sempre è quello buono».
In Kosovo, «senza neppure il minimo cenno di
approvazione dell’Onu», nel 1999 la Nato attaccò la Serbia, «accusata di crimini orrendi nella
provincia già autonoma di Pristina a maggioranza albanese-musulmana», ma in realtà «i report erano falsi come quelli di
Giuda».
Non
solo: «Noi
italiani bombardammo Belgrado per ragioni umanitarie, persino un ospedale. Poi
garantimmo una resa onorevole a Milosevic, il presidente comunista di Belgrado, invano difeso dalla Russia e da
scrittori come Solzenicyn, spergiurando che il Kosovo sarebbe rimasto sacro suolo della
Serbia».
In
quel caso «la
Nato intervenne, inventando panzane, per costituire uno stato mafioso-islamico
nel cuore dell’Europa: fu un’operazione condotta da Bill Clinton e Joe Biden».
E
vogliamo parlare dell’Iraq?
Nel
2003, con l’aiuto di servizi segreti europei, «gli Stati Uniti costruirono
false prove del possesso, da parte di Saddam Hussein, di armi di distruzione di
massa.
Guerra di liberazione? È servita a insediare
l’Isis».
Altro
capitolo, la Libia:
«La Nato ha deciso che Gheddafi era cattivo e
i jihadisti di Allah buoni».
In pratica, sempre secondo “Libero”, «sostenemmo i
taglia-gola tagliando la gola a noi stessi (per gola qui si intendono i
rifornimenti energetici) e consegnando il nostro paese a essere meta di
migranti usati come armi di destabilizzazione».
Dopo
la Libia toccò alla Siria, e via così.
Oggi,
«Putin ha
applicato il medesimo criterio dei precedenti punti “americani”: in
particolare, il riferimento è all’Iraq e al Kosovo». L’adesione dell’Ucraina alla Nato? Più che prevedibile, nonostante fosse
stata osteggiata già nel 2008 sia da Prodi che dalla Merkel. Ma ora, «il dispiegamento di forze e missili
occidentali con basi in Romania, Polonia e Paesi Baltici è un bigliettino di
inimicizia sfacciato».
Quanto
alla popolazione russofona del Donbass e di Odessa: «C’è qualcuno che osi negare sia
vessata, ridotta a “dilly”, cittadini di serie B, dall’attuale regime
sponsorizzato dall’Occidente per essere una spina nel fianco della Russia?».
Il
quotidiano di Sallusti parla di «un secondo livello di ipocrisia», e spiega: «Putin in questi giorni ha reso
semplicemente ufficiale ciò che era già reale dal 2014». Ovvero: «Sin dall’invasione e annessione
della Crimea, il Donbass è sotto sovranità russa: non c’è servizio segreto
occidentale che non lo sappia. Persino le forze militari con divisa ucraina lì
servono Mosca. Ci sono stati referendum, in Donbass, dove plebiscitariamente la
popolazione ha optato – secondo il principio di autodeterminazione – per
l’indipendenza da Kiev».
E
dunque: «Il principio di autodeterminazione vale solo quando lo decidono gli
americani? Anche loro, in fin dei conti, alcuni secoli fa, si dichiararono
indipendenti dalla Gran Bretagna, o ci sbagliamo?».
Osserva
“Libero”:
«La storia si muove. Il diritto internazionale si
modella in una lotta impari tra puri ideali e sporca forza. Di solito vince la
forza».
E Putin si è mosso ora «non perché impazzito», ma per
ragioni di politica interna («individuare un’aggressione esterna raggruma il
popolo intorno al capo») e anche «per mostrare agli europei chi è davvero
Biden.
L’uomo
della Casa Bianca?
«Se ne
frega degli interessi e del benessere dei popoli alleati, e fa di tutto per
creare le condizioni – esasperando il conflitto diplomatico, muovendo l’esercito
– per inimicare la Russia e gli Stati europei».
In altre parole: «Che importa a Biden se la bolletta
della luce triplica a Bari e a Torino, se i forni di Mestre si spengono e non
sciolgono più il vetro perché il gas è troppo caro?». “Libero” cita una
riflessione di Jeffrey Sachs, della Columbia University, pubblicata in queste
ore sul “Financial Times”.
«Gli Stati Uniti – scrive Sachs – dovrebbero
garantire alla Russia che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato, chiedendo in
cambio il completo ritiro delle forze russe dalla regione del Donbass e
l’annullamento del riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche
separatiste, oltre alla smobilitazione delle truppe al confine con l’Ucraina,
insieme a garanzie sul riconoscimento della sovranità di Kiev». Aggiunge
l’analista:
«Se
gli Usa non proporranno questo accordo, dovrebbero farlo Germania e Francia».
Sempre
che non sia troppo tardi, ormai, vista la portata dell’offensiva militare russa
scatenata contro l’Ucraina.
Draghi: risposta immediata. Mattarella
convoca
Consiglio supremo di difesa.
msn.com-avvenire.it-Redazione-(24-2-2022)-
ci dice:
«Il
governo italiano condanna l’attacco della Russia all’Ucraina. È ingiustificato
e ingiustificabile.
L’Italia è vicina al popolo e alle istituzioni
ucraine in questo momento drammatico. Siamo al lavoro con gli alleati europei e
della Nato per rispondere immediatamente, con unità e determinazione».
Alle 7.14 Palazzo Chigi rende pubblica la
posizione, dura, di Mario Draghi, che sembra lasciare ormai pochi margini alla
diplomazia.
A
stretto giro di posta, anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio rilascia
una dichiarazione con toni analoghi: «L'operazione militare russa è una
gravissima e ingiustificata aggressione, non provocata, ai danni dell'Ucraina,
che l'Italia condanna con fermezza. Una violazione del diritto internazionale.
L'Italia è al fianco del popolo ucraino, insieme ai partner Ue e atlantici».
A stretto giro di posta, poi, il capo dello Stato
Sergio Mattarella compie l'atto che formalizza definitivamente la gravità della
situazione: la convocazione, alle 16.30, del Consiglio supremo di difesa.
Dopo i
fatti della notte, dunque, il governo italiano chiede una reazione veloce
dell'alleanza atlantica.
E chiede ai partiti di maggioranza di superare
i distinguo degli ultimi giorni.
Sulla
linea dura non c'è bisogno di convincere il segretario del Pd, Enrico Letta,
che su Radio uno e sui social conferma:
«L'Italia
deve condannare senza ambiguità l’attacco all’Ucraina e, insieme agli alleati,
reagire a questa sfida senza precedenti ai principi di libertà e democrazia in
Europa. I comodi terzismi sono stati spenti dalle bombe di Putin; ora è o di
qua o di là».
Il
segretario dem (globalista fanatico)oggi alle 16 sarà dinanzi all'ambasciata russa a Roma per
protestare.
Si tratta di un messaggio a Matteo Salvini, il
leader di maggioranza che sinora ha fatto più fatica a riconoscere le
responsabilità di Vladimir Putin nel conflitto.
Il capo della Lega, però, dopo aver letto la
nota di Draghi, afferma:
«La
Lega condanna con fermezza ogni aggressione militare, l'auspicio è l'immediato
stop alle violenze. Sostegno a Draghi per una risposta comune degli alleati».
Troppo
poco, secondo Letta, che chiede al capo del Carroccio una condanna esplicita di
Putin e ricorda a Salvini:
«Portavi
il suo nome sulle magliette». Passa un'oretta e il capo della Lega replica: «Chi fa polemica anche in ore così
drammatiche è davvero uomo da poco».
Il
leader leghista intanto annuncio il rientro dei parlamentari alle riunioni del
Copasir (organismo parlamentare abbandonato per protesta nei mesi scorsi) e una
riunione della segreteria del partito per definire la linea politica.
Mentre
a dare una indicazione sulla ricollocazione del Carroccio sono gli
europarlamentari Zanni e Campomenosi:
«Ferma condanna dell'aggressione militare russa
all'Ucraina, la guerra non è mai la soluzione. Piena solidarietà al popolo
ucraino, ora l'Occidente reagisca compatto. L'obiettivo deve essere una
risposta ferma e la fine immediata delle ostilità: le armi devono lasciare
posto alla diplomazia».
Il
riallineamento alla posizione di Draghi e Di Maio è in corso anche dentro M5s,
con il presidente Giuseppe Conte che sui social esprime «ferma condanna per l'attacco russo
che precipita la situazione e allontana ogni soluzione diplomatica. Confidiamo
in una risposta comune europea e nel contributo che l'Italia può dare. Il mio
pensiero va alla popolazione civile, per la quale sono profondamente
preoccupato».
Insomma
le fratture nella maggioranza non si ricompongono nemmeno in un momento di
difficoltà così acuto. Intanto salta la presenza in Cdm del ministro degli
Esteri francese, Le Drian, che avrebbe dovuto partecipare ai lavori del governo
italiano in base agli accordi di gemellaggio previsti nel Trattato del
Quirinale siglato da Roma e Parigi.
L'intera
agenda del governo e di Draghi subisce un netto cambiamento, in realtà: nel
pomeriggio il premier parteciperà al G7 in videoconferenza, poi al Consiglio
supremo di difesa, in serata alle 20 al Consiglio Ue straordinario, fissato in
presenza a Bruxelles.
Si
lavora inoltre ad una informativa del premier alla Camera e al Senato: domani,
come passo intermedio, Draghi incontrerà separatamente i capigruppo di Camera e
Senato. Mentre
già stamattina il premier ha riunito il Comitato interministeriale per la
sicurezza della Repubblica, il Cisr.
Sul
fronte delle opposizioni, Fratelli d'Italia pubblica una nota del capogruppo
alla Camera, Francesco Lollobrigida, che sembra voler dissipare i dubbi sulla
posizione della leader Giorgia Meloni:
«Fratelli
d'Italia - dice Lollobrigida - ha espresso anche in Parlamento la ferma
condanna delle azioni militari della Russia guidata da Vladimir Putin in
Ucraina.
Da giorni chiedevamo la presenza del presidente Draghi per un confronto
parlamentare su quello che stava accadendo e quali azioni l'Italia dovesse
intraprendere sul piano nazionale ed internazionale.
Fratelli
d'Italia è un partito patriottico e non farà prevalere atteggiamenti polemici
in questo momento, avremo tempo e modo di discutere dei gravi errori e delle
responsabilità dell'Europa e nell'Europa dei governi italiani che si sono
succeduti e che hanno portato a una debolezza evidente.
Oggi però
facciamo fronte comune con gli alleati del Patto Atlantico per arginare in ogni
modo possibili velleità imperialiste della Russia».
Lo
sgomento di noi che non
sappiamo
più pensare alla guerra.
msn.com-
Corriere della Sera- Aldo Cazzullo - (24-2-2022)- ci dice :
L’invasione
dell’Ucraina.
Non
soltanto non siamo più capaci di fare la guerra; non riusciamo neppure più a
pensarla. A concepirla.
Stamattina siamo tutti increduli e sgomenti,
nonostante fossimo stati messi sull’avviso non tanto dagli americani quanto
dallo stesso Putin.
E ora
avvertiamo la più frustrante delle sensazioni: l’impotenza. Cui, a seconda
della propria sensibilità, ognuno reagisce parlando d’altro o chiudendosi
nell’angoscia.
I social sono pieni di ironie su Di Battista,
che è stato sfortunato: aveva appena scritto su Facebook che «la Russia non sta
invadendo l’Ucraina», e «credo che Putin tutto voglia fuorché una guerra».
In
realtà, non c’è nulla da ridere; e non solo perché si tratta di un ex leader
storico del partito di maggioranza relativa, votato da un terzo degli elettori
italiani.
Ex
presidenti del Consiglio e studiosi di geopolitica non ci avevano capito molto
di più. E un po’ tutti noi ci eravamo illusi che la crisi si sarebbe limitata a
una correzione di confini, a uno dei tanti colpi di mano cui Putin ci ha
abituati.
Le bombe su Kiev e sulle grandi città ucraine,
le prime vittime, la manovra a tenaglia: lo scenario è completamente diverso, e
rende non solo inutili ma pure un po’ ridicole le schermaglie diplomatiche dei
giorni scorsi.
Ora
rischiamo davvero di avere Putin o un suo fantoccio sui confini orientali della
Nato e dell’Unione europea; proprio nel momento in cui l’Unione misura la
propria fragilità. Anche perché ne è appena uscita l’unica nazione che avesse
il know-how, i mezzi e la cultura per combattere, se non per l’Ucraina, almeno
per se stessa e gli alleati: il Regno Unito.
Certo,
nell’Ue c’è una potenza nucleare, la Francia.
Macron
ha sperato di poter fare la campagna elettorale fermando Putin. Nel frattempo,
a 40 giorni dal voto per l’Eliseo, il presidente ha ritirato le truppe del
Mali, dove già sono schierati i mercenari russi.
Ora, Macron è tutto tranne che uno
sprovveduto. Evidentemente sa che lasciare la prima linea della guerra
all’estremismo islamico, che ha insanguinato la Francia in questi anni ed è una
causa non secondaria dell’ondata migratoria che investe l’Europa, non fa
perdere consensi; ne fa guadagnare.
È la Francia del giugno 1940; e all’orizzonte
proprio non si vede un generale al tempo quasi sconosciuto, Charles de Gaulle,
che dalla radio di Londra invita a non arrendersi, mai.
Certo,
nell’Ue c’è una potenza economica e politica, la Germania; e in queste ore si
misura l’assenza di una protagonista dalla statura di Angela Merkel. Ma sulla
scena internazionale la Germania è ancora il Paese sconfitto in due guerre
mondiali, senza armi atomiche, senza un seggio permanente nel Consiglio di
Sicurezza dell’Onu, senza i mezzi e senza la mentalità per fare una guerra.
Quanto
alle nostre forze armate, proprio non meritano facili ironie. Da decenni, dalla
missione in Libano – Paese dove siamo ancora impegnati -, i soldati italiani
hanno dimostrato di saper mettersi in gioco e anche morire per difendere i
valori e gli interessi della comunità nazionale.
I
nostri uomini, gli alpini, i carabinieri sono considerati i migliori del mondo
nelle missioni di costruzione della pace: perché sono capaci di dialogo e di
rispetto per gli altri popoli; perché sono portatori di quella cultura umanista
e cristiana che è il principale motivo per cui possiamo essere orgogliosi di
sentirci italiani.
La stessa cultura che ha portato a scrivere
nella Costituzione che l’Italia giustamente ripudia la guerra come strumento di
risoluzione delle controversie internazionali. Ma se la guerra ce la fanno gli
altri? Riconosciamolo: lo sgomento di questa mattina nasce anche dal distacco
con cui abbiamo seguito le vicende ucraine.
La
difficile sorte di un Paese cuscinetto tra Putin e l’Europa libera.
L’avvelenamento di Viktor Yushchenko.
La partita
tra una democrazia filoeuropea per quanto debole, che elegge alla presidente
del Paese un ex comico e a sindaco di Kiev l’ex campione dei pesi massimi, e
un’autocrazia fortissima di stampo asiatico. Ora l’ultima cosa da fare è
sguarnire la frontiera orientale dell’Unione europea.
È perdere l’Est per una seconda volta, dopo le
speranze aperte dalla caduta del Muro e dall’allargamento dell’Ue. La prima
crisi da affrontare sarà quella dei profughi. Ma la vera questione sarà la
tenuta democratica – già messa a dura prova dal vento sovranista - di Polonia,
Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca; senza poter contare (come notava su
questo giornale Antonio Polito) sui Walesa, sui Nagy, sugli Havel.
La
frontiera della libertà andrà difesa a ogni costo. Anche perché stavolta sarà
sfidata direttamente l’America.
Se la
Cina non ha ancora attaccato Taiwan, è perché sa che l’America per Taiwan
sarebbe disposta a combattere.
Se la
Russia stamattina ha attaccato l’Ucraina, è perché sa che per l’Ucraina non era
disposto a combattere nessuno. Se fossimo stati pronti a fare la guerra per
l’Ucraina, la guerra non ci sarebbe.
Dirlo adesso è forse inutile. Ma è utilissimo, anzi
indispensabile, tenerlo a mente per evitare la prossima guerra.
Europa,
Stati Nazione E Futuro:
Ecco
Il “Pera” Pensiero.
Largomento.com-
Redazione- (24-2-2022)- ci dice :
“La
vera patria è là dove c’è cura di te. Non serve a niente, salvo che a far
mostra di buoni e facili sentimenti, condannare i patriottismi nazionali che rinascono.
Servirebbe un po’ di onestà intellettuale per capire le ragioni per cui
rinascono”
Pubblichiamo
l’intervento del Presidente emerito del Senato, prof. Marcello Pera, tenuto
all’Accademia lucchese di Scienze, Lettere e Arti il 18 novembre 2021.
Anche
se quasi nessuno lo sa, proprio in questi giorni si stanno riunendo in tutta
Europa quattro comitati ciascuno di 200 membri, cittadini europei selezionati
in modo casuale, per discutere sullo “Stato futuro dell’Europa”.
L’iniziativa, presa dalla presidente
dell’Unione Europea, Ursula von der Leyen,(globalista fanatica) su suggerimento del presidente
francese Emmanuel Macron, è partita nel 2019, poi slittata al 2020, e si
concluderà l’anno prossimo.
I temi in discussione sono quattro: economia,
democrazia, clima, migrazioni. Saranno oggetto di separati documenti da
presentare alle istituzioni europee.
Se si
discute di futuro dell’Europa, significa che la costruzione europea presente è
ancora un cantiere aperto o quantomeno che vi sono lacune. Faccio sùbito un esempio.
In
queste ore, a fronteggiare i migranti che dalla Bielorussia premono ai confini
della Polonia sono solo le forze dell’ordine polacche, anche se è chiaro che
chi ce li manda, Lukashenko oggi, come Erdogan ieri e Gheddafi prima, lo fa per
ricattare l’Europa intera, non la sola Polonia. Perché, allora, non c’è
l’Europa?
Semplice:
perché l’Europa non ha confini definiti e non ha una forza per difenderli. Ecco
una enorme lacuna.
Non
esistono un esercito europeo, una polizia europea, guardiacoste europei. In
questa situazione, come si può parlare di Stato (o super-Stato) europeo?
Il primo compito dello Stato è la difesa del
proprio territorio.
Come
si può parlare di Unione Europea? Compito di un’unione fra Stati è soccorrere
quelli che ne abbiano bisogno. Invece, oggi sembra valere ciò che qualche tempo
fa disse l’ambasciatore Sergio Romano: che nell’espressione “Unione Europea”,
“il termine Unione è una bugia”.
Non fa
meraviglia allora che il sentimento di appartenenza ad una medesima comunità
allargata europea si stia assottigliando e che presso molti cittadini europei
cominci a farsi strada la richiesta di nazionalità e si stia sviluppando un
patriottismo nazionale. È il fenomeno battezzato come “sovranismo”. Credo che, anziché deprecarlo e
prima di criticarlo, si dovrebbe comprenderlo. È deprimente invece osservare che si
preferisce farne oggetto di misera propaganda politica, come se non avesse
motivazioni serie.
Perché
nasce la diffidenza verso l’Europa globalista (governata dai
“Dagos man”) e cresce il bisogno di rifugio nei nostri Stati-nazione?
A mio
avviso, non c’è nessun mistero o disegno, nessun complotto di forze
antidemocratiche, nessun rigurgito del passato. Ci sono solo reazioni politiche a
fatti crudi da analizzare e a problemi oggettivi da risolvere. Consideriamo la
situazione e ciascuno guardi alla propria condizione.
L’agenda
dell’Ue.
2.)-
Se, a causa di fenomeni migratori, hai bisogno di sicurezza alla tua frontiera
o dentro il tuo paese e vedi che l’Unione europea non ha un’agenda adeguata a
soddisfarlo; se abiti in una zona di periferia e l’Unione ti lascia solo a
fronteggiare ondate di clandestini; se, di fronte a questo fenomeno, consenti
ad alcuni Stati interni e riparati di chiudere i loro confini trasformando in
imbuti ciechi gli Stati di frontiera; se hai paura del terrorismo islamico e
vedi che le élites politiche europee evitano persino di chiamarlo col suo nome
proprio; se le gerarchie della Chiesa si comportano allo stesso modo, magari piantando
alberi di pace mentre i terroristi ti fanno la guerra; allora è comprensibile
che un patriottismo europeo stenti a nascere. Anzi, cominci a pensare che
l’Europa sia un problema, non la soluzione. Che ti sia estranea e lontana,
anziché prossima.
Facciamo
analoghe osservazioni, soprattutto con riferimento a casa nostra. Se le tue condizioni di vita
peggiorano e la classe media del tuo paese si impoverisce sensibilmente; se
paghi tasse elevate; se il lavoro decentemente retribuito scarseggia; se i giovani
hanno futuro incerto; se la competizione nel mondo globalizzato abbassa il tuo
tenore economico; se lo stato sociale diventa sempre più costoso e sei
costretto a pagarlo due volte, prima con il contributo ai servizi nazionali poi
con le parcelle ai servizi privati; allora il patriottismo nazionale cresce, perché di fronte a questi problemi lo
Stato-nazione diventa l’unico luogo per la soddisfazione dei tuoi bisogni, cioè
diventa la tua vera patria. La vera patria, infatti, è là dove c’è cura di te.
Dunque,
non serve a niente, salvo che a far mostra di buoni e facili sentimenti,
condannare i patriottismi nazionali che rinascono. Servirebbe un po’ di onestà
intellettuale per capire le ragioni per cui rinascono.
Prendo
ancora l’esempio della Polonia. Di recente è stata condannata dal Parlamento e dalla
Commissione europea ed è ora minacciata di sanzioni fino all’espulsione
dall’Unione per violazione dello stato di diritto. Ma qualcuno ci ha spiegato
in che cosa precisamente consistono queste violazioni? Qualcuno, compreso la stampa, ha mai
fatto conoscere le motivazioni della Corte costituzionale polacca in merito al
rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario?
Qualcuno
ha mai ricordato che l’intervento della Corte costituzionale polacca ha la stessa
fonte di legittimità di quello della corte costituzionale tedesca, che pure
decide se le cessioni di sovranità verso l’Europa sono compatibili con l’ordine
costituzionale tedesco?
E
soprattutto: che cos’è, fino a dove si estende, quali limiti ha, il cosiddetto
“stato di diritto europeo”? Coinvolge anche la legislazione su materie etiche? E se i polacchi volessero mantenere
le loro in armonia e continuità con tradizione cattolica assai sentita in quel
paese, perché dovremmo condannarli?
È
anche su terreni come questi che viene a mancare l’Unione europea. Essa dà l’impressione di fare
distinzioni fra Stati, di promuoverne alcuni e censurarne altri, di favorire
certe politiche di alcuni partiti o coalizioni di partiti anziché altre, di
imporre decisioni in disprezzo delle maggioranze e dei governi eletti. È come se dai palazzi di Bruxelles
venisse un avvertimento agli elettori degli Stati nazionali: o vi fate
governare da maggioranze e persone da noi approvate, oppure siete fuori dalla
nostra comunità di “princìpi e valori”.
Niente suona più offensivo e irritante per un
elettore del sentirsi dire che non è libero di scegliere o che lo è solo entro
un certo perimetro.
I
polacchi, che hanno la memoria sanguinante delle invasioni nazista e sovietica,
hanno il timore che l’Unione europea si comporti nei loro confronti come un
impero centrale. Si può o no discutere se i popoli europei hanno solo il dovere di
cedere la loro sovranità e non anche il diritto di mantenere le proprie
tradizioni, almeno riguardo a certe materie particolarmente sensibili?
Chiarisco
la domanda.
Supponiamo che nella costituzione di un paese
europeo sia scritto che la famiglia è una “comunità naturale fondata sul
matrimonio fra un uomo e una donna”. È il caso della costituzione italiana all’art. 29,
anche se l’espressione “fra un uomo e una donna” non vi compare, ma è
chiaramente implicita in quella di “comunità naturale”, che non significa
“comunità giuridica” o “comunità culturale”.
Ebbene,
questa costituzione deve cedere al diritto comunitario che prevede il
matrimonio omosessuale? E perché? I popoli europei non hanno mai partecipato a
discussioni riguardo a questo nuovo diritto. Al contrario, quando fu stilata una
costituzione europea, la quale dà spazio alla famiglia omosessuale, i francesi
la bocciarono con un referendum.
La
realtà è che un vero spirito europeo non è ancora nato, anche perché, agli
occhi dei cittadini, le istituzioni europee non hanno fatto molto per farlo
nascere, essendo opache e pletoriche.
(Ed inoltre sono state infiltrate dai
globalisti che sono indottrinati dalla religione del Libro “La quarta rivoluzione industriale” scritto
da Klaus Schwab, il profeta.Ndr)
Abbiamo
un’abbondanza di organi politici, amministrativi, giurisdizionali, in cui è
difficile districarsi, e che pure ci inviano quintali di regole e decisioni e
direttive e sentenze ogni anno.
Qualcuno sa precisamente quali poteri ha il
parlamento europeo, che pure è eletto da tutti noi?
Qualcuno conosce le competenze e le differenze
fra Commissione europea, Consiglio europeo, Consiglio dell’Unione europea?
Qualcuno
sa dire che cos’è e che cosa fa il Consiglio d’Europa, che pure, nonostante il
nome, non fa parte delle istituzioni dell’Unione europea?
La
democrazia deve essere trasparente. Implica che i governanti siano controllati
dai governati mediante elezioni e perciò che i governanti siano ben conosciuti.
Invece, a
dire onestamente le cose come stanno, gli organi e gli uomini di governo
europei sono personaggi spesso oscuri e nascosti.
Per questo l’Unione europea oggi non è una federazione
né è una confederazione, bensì un’aggregazione non sempre ben riuscita. Forse
non è una plateale bugia, ma è una mezza verità.
Quanto
dico suona euro-scettico? Ecco un altro modo di dire per non ragionare. Oppure per esorcizzare le difficoltà
battezzandole con termini dalla connotazione negativa. È polemica banale e
deprimente.
Se si
guarda alla scala geopolitica mondiale, l’Europa è diventata una necessità ed è
irreversibile. Non possiamo prescindere e non possiamo tornare indietro. Anche
un nazionalista, se non è miope, non può non riconoscerlo. Dopotutto, se c’è
l’America, c’è la Cina, c’è la Russia, e ci sono altri attori potenti in regime
di pluralismo competitivo crescente, dovrebbe esserci anche l’Europa a
determinare gli equilibri mondiali e difendere i nostri interessi.
E
tanto più deve esserci oggi quanto più l’America non è lo stesso nostro
protettore di prima. Il tempo dello scudo americano sta ormai per scadere. Lo zio
Sam è sempre più restio a pagare i conti della nostra difesa. Non c’entra
Trump, c’entrano gli interessi dell’America. Ma allora, se l’Europa è
necessaria, quella di oggi va criticata e ripensata, e quella futura deve essere
meglio disegnata. Questo è sano realismo, lo scetticismo non c’entra.
Europa
necessaria e irreversibile.
3.)-Supponiamo
ora che l’Europa la vogliamo seriamente e che siamo tutti convinti che sia
necessaria e irreversibile. Per costruirla davvero, c’è ancora un problema molto serio da
affrontare ed è quello dell’identità. L’America è il continente
liberaldemocratico cristiano. La Cina il continente comunista e confuciano. La
Russia il continente autocratico e ortodosso. E l’Europa che cos’è?
Chi
eravamo lo sappiamo.
L’Europa era il continente cristiano. Lo è
ancora?
La Conferenza sul futuro dell’Europa in corso, che
tratta anche questo tema sotto la rubrica “valori e diritti”, non è la prima ad
occuparsene.
Di fatto, i grandi padri dell’Europa lo ebbero chiaro sùbito dopo la Seconda
guerra e pensarono ad un’Europa cristiana, perché ritenevano il cristianesimo
battesimo di identità e civiltà.
Disse
Schuman: “tutti
i paesi dell’Europa sono permeati dalla civiltà cristiana. Essa è l’anima
dell’Europa che occorre ridarle”.
Disse
De Gasperi: “come concepire un’Europa senza tener conto del cristianesimo, ignorando
il suo insegnamento fraterno, sociale, umanitario?”.
Disse
Adenauer: “consideravamo
mèta della nostra politica estera l’unificazione dell’Europa, perché unica
possibilità di affermare e salvaguardare la nostra civiltà occidentale e
cristiana contro le furie totalitarie”.
Il
progetto di questi padri, la Comunità Europea di Difesa (CED), come è noto finì
male, per mano francese, ma il tema ritornò negli anni Novanta, quando il processo di integrazione
economica si fece più stringente e quello di unione politica, dopo la caduta
del Muro di Berlino, cominciò a bussare alla porta.
Nel
1992, Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, pronunciò un
discorso nella cattedrale di Strasburgo in cui sollevò il problema, che agli
Italiani ricorda tanto quello celebre di D’Azeglio. Disse: “bisogna dare un’anima
all’Europa … Se nei dieci anni a venire non riusciamo a darle un’anima, una
spiritualità, un significato, avremo perduto la partita dell’Europa”.
Qualche
anno più tardi, nel 1999, Romano Prodi, anche lui presidente della Commissione
europea e anche lui in una chiesa, si espresse negli stessi termini: “l’Europa non si può concepire
nell’oblio della sua memoria e in questa memoria figura la traccia permanente
del cristianesimo. Nelle diverse culture delle nazioni europee, nelle arti,
nella letteratura, nell’ermeneutica del pensiero c’è la culla del cristianesimo
che alimenta credenti e non credenti”.
E
tanti altri hanno sostenuto la stessa posizione. Inutile che ricordi gli
interventi accorati e molto dotti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
E però
la discussione è finita male anche questa volta. Dell’anima cristiana
dell’Europa non si è più parlato. E quando se ne è parlato, quest’anima è stata via
via nascosta, emarginata, censurata e anche repressa. Quante discussioni inutili sulle
“radici giudaico-cristiane dell’Europa” da richiamare nel preambolo della
costituzione! Quanta retorica! Quanta ipocrisia di chi fingeva di apprezzarle,
quelle radici, e in realtà non credeva a nulla!
Guardiamo
in faccia la realtà. Oggi in Europa siamo nell’epoca dell’apostasia del
cristianesimo, del nascondimento e cancellazione della nostra storia,
dell’abbattimento dei nostri simboli. Si dice che è per una questione di
inclusione, di pari dignità, di accoglienza degli altri. Sarà. Resta comunque
che è una negazione gravissima della nostra identità. E io temo peggio: che sia
anche una questione di paura.
Siccome
la nostra memoria è spesso labile, conviene citare alcuni fatti recenti che non
dovrebbero essere dimenticati in fretta, perché sono ammonimenti molto seri.
L’Europa
ha evitato di menzionare le sue radici giudaico-cristiane nella sua
Costituzione poi defunta, poi risorta, poi finita nell’obitorio giuridico di
qualche trattato.
L’Europa
ha condannato un politico italiano, Rocco Buttiglione, per aver sostenuto che
il matrimonio omosessuale è contrario al suo credo cristiano.
L’Europa
promuove legislazioni che violano princìpi cristiani sui principali temi etici.
Sostiene l’aborto, l’eugenetica, l’eutanasia, la manipolazione degli embrioni,
il matrimonio omosessuale, l’identità di genere, e già tollera la poligamia.
L’Europa
non ha difeso un Papa, Benedetto XVI, attaccato perché in una sua lezione aveva
sostenuto che il cristianesimo è religione del logos e non della spada e aveva
chiesto all’islam di pronunciarsi in modo analogo.
L’Europa
ha impedito a questo stesso Papa di parlare in una università, la Sapienza di
Roma, dopo averlo invitato.
L’Europa
nasconde i suoi simboli cristiani, nelle sue scuole elementari non insegna più
a dire “Buon Natale” o “Buona Pasqua”, perché dice di non voler offendere i
bambini dei non credenti o degli altri credenti.
L’Europa
concede nei propri Stati la massima libertà religiosa e di culto agli islamici,
ma tollera che, nei loro Stati, questa stessa libertà sia conculcata fino al
martirio dei cristiani, in Africa, in Asia, in Turchia, in India, dappertutto.
L’Europa
protegge sotto lo scudo della libertà di espressione le opere d’arte blasfeme
nei confronti del cristianesimo, ma sospende questa stessa libertà quando si
tratti di irriverenza satirica nei confronti dell’islam.
L’Europa
reagisce flebilmente al fondamentalismo e al terrorismo islamici perché si
considera colpevole di esportare la civiltà cristiana.
E così
via, ogni volta con un cedimento rispetto alla nostra tradizione religiosa. Non
fa meraviglia che seri studiosi parlino ormai di una “Europa senza Dio” e che i
dati provino che l’Europa sia tra le aree più secolarizzate dell’Occidente.
Mi
faccio delle domande. Può nascere un patriottismo europeo in una terra così
desolata? Possiamo dotarci di una identità europea, se una fonte essenziale di
identità dell’Europa, quella religiosa, è osteggiata? Se qualcuno ci terrorizza
e ci accusa di essere “giudei e cristiani”, possiamo ancora rispondere: sì, lo
siamo e vogliamo restarlo? Se dobbiamo dialogare con gli altri, possiamo farlo
se gli altri declinano la loro identità e noi ci vergogniamo della nostra?
Fino a
poco tempo fa, pensavo che queste domande dovessero essere indirizzate al mondo
politico, ai partiti, alle istituzioni.
Da
tempo, mi trovo costretto a rivolgerle al mondo cattolico e in primo luogo al
suo magistero, dai vescovi al Pontefice.
Le
nostre chiese si spopolano, alcune chiudono, altre cadono, altre si trasformano
in nuovi edifici.
La
nostra educazione tradizionale si perde. Il nostro senso di appartenenza si
affievolisce. I vescovi marciano con la bandiera arcobaleno. Sulla loro bocca,
l’espressione “salvezza” è lentamente sostituita dall’espressione “giustizia” e
l’espressione “giustizia” è sempre più intesa nel senso di “giustizia sociale”,
come se la giustizia del Dio cristiano avesse a che fare con la busta paga,
mentre i termini “proselitismo” o “evangelizzazione” sono giudicati scorretti e
banditi. Su
questa strada, il cristianesimo si secolarizza, diventa umanesimo, ecologismo,
pacifismo, democrazia, diritti umani.
Con
uno slittamento semantico non facile da comprendere, il Pontefice chiama “clericalismo”
ciò che dovrebbe essere fermezza di dottrina e coerenza di comportamenti. In tanta confusione, ci può capitare persino di veder
recare omaggio al paganesimo, come si è visto al Sinodo dei vescovi
panamazzonico o con l’ingresso della Madre terra in San Pietro.
Mi
fermo qui. Per riassumere in rapida sintesi, rispondo alle domande che via via
mi sono fatto. Europa, dove sei? Oggi sei terra indefinita. Europa, chi sei? Oggi sei un
soggetto in via di smarrimento. Europa, ci sei? Oggi manchi spesso all’appello.
(@L_Argomento.).
"E’ una giornata storica oggi.
E lo
rimarrà per molto, se non in eterno.
Lantidiplomatico.it- Redazione-Vladimir Putin - (22
Febbraio 2022)- ci dice :
Per il
Donbass. Per la Russia. Il discorso integrale di Putin del 21 Febbraio 2022 di
Vladimir Putin.
Il
mondo è spaccato in due, in modo sempre più netto. O dalla parte del Donbass, o
contro. Ma qui non si parla solo di una striscia di terra grande a malapena
quanto il Veneto. Qui si tratta di prevenzione di una balcanizzazione del Paese
più grande della Terra, pianificata dall’occidente da troppi anni. Troppi anni
sono passati senza che la Russia, o in generale qualunque Paese nemico
(volutamente o meno) alla NATO si ribellasse veramente contro questa.
Oggi
sarà ricordato come il giorno della prima mossa forte da parte della
Russia.
E’
vero, c’è già stata la guerra nel Caucaso. E’ vero, c’è già stata una guerra
nel Donbass nel 2014 e nel 2015. Ma oggi la situazione è totalmente diversa. La
NATO, l’occidente, come non mai è in crisi, e come non mai è così vicino nei
propri piani aggressivi nei confronti della Russia.
Qui si
parla dell’equilibrio del mondo intero – del presente, ma soprattutto del
futuro… e anche del passato, da come ci fa ben pensare il presidente russo
Vladimir Putin nel suo denso e già storico discorso.
Discorso
di un eroe, un compagno, un rivoluzionario? Neanche ci passa per la mente
definirlo in un modo simile.
E
forse già chiamarlo alleato è un grande sforzo. Tuttavia, che la Russia –
nonostante la sua possenza naturale – sia un Paese sotto attacco, accerchiato,
se non addirittura, in certi termini, oppresso, non possiamo assolutamente
negarlo.
E Putin, nonostante la sua aspra critica
storica (in parte legittima) contro i bolscevichi, e nonostante la sua natura
praticamente borghese (o meglio filo-borghese), sta fungendo negli ultimi anni
da grosso
bastione contro il globalismo e l’imperialismo occidentale. E per questo va sostenuto, contro
tutte le offensive dell’ormai fortunatamente decadente impero occidentale.
Ma della
figura di Putin potremmo e dovremmo parlare molto più a fondo, in quanto leader
più complesso del nostro secolo… avremo altra occasione di parlarne. Vi lasciamo con la lettura del
discorso integrale del presidente russo, che è una sorta di Manifesto delle
passate e future politiche difensive russe; un Manifesto per l’Unità russa ed
una lotta contro le serpi occidentali. Traete voi le vostre conclusioni.
“Cari
cittadini della Russia! Cari amici!”
Il
tema del mio discorso sono gli eventi in Ucraina e perché questo è così
importante per noi, per la Russia. Naturalmente, il mio indirizzo è rivolto
anche ai nostri compatrioti in Ucraina.
Dovremo
parlare a lungo e in dettaglio. La questione è molto seria.
La
situazione nel Donbass è diventata ancora una volta critica e acuta. E oggi mi
rivolgo direttamente a voi non solo per dare una valutazione di ciò che sta
accadendo, ma anche per informarvi sulle decisioni che si stanno prendendo e
sui possibili ulteriori passi in questa direzione.
Permettetemi
di sottolineare ancora una volta che l’Ucraina non è solo un Paese vicino per
noi. È
parte integrante della nostra storia, della nostra cultura e del nostro spazio
spirituale.
Questi sono i nostri compagni e i nostri cari, compresi non solo i colleghi,
gli amici e gli ex colleghi d’armi, ma anche i nostri parenti e le
persone legate a noi da vincoli di sangue e familiari.
Per
molto tempo, gli abitanti delle terre sud-occidentali storiche della Vecchia
Russia si sono chiamati russi e cristiani ortodossi. Questo era il caso sia prima che
dopo il XVII secolo, quando parti di questi territori furono riuniti allo Stato
russo.
Ci
sembra che in linea di principio siamo tutti consapevoli di questo, che stiamo
parlando di fatti noti. Tuttavia, per capire ciò che sta accadendo oggi, per spiegare
i motivi dell’azione della Russia e gli obiettivi che
stiamo
perseguendo, è necessario dire almeno qualche parola sulla storia della questione.
Lasciatemi
iniziare con il fatto che l’Ucraina moderna è stata creata interamente dalla Russia,
o più precisamente, dalla Russia bolscevica e comunista. Il processo iniziò quasi
immediatamente dopo la Rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi soci lo fecero in
modo molto crudo alla Russia stessa – con la secessione, strappando parte dei
propri territori storici. Ai milioni di persone che vivevano lì, ovviamente, non è
stato chiesto nulla.
Poi,
alla vigilia e dopo la Grande Guerra Patriottica, Stalin aveva già annesso
all’URSS e consegnato all’Ucraina alcune terre che prima appartenevano a
Polonia, Romania e Ungheria.
In una
sorta di compensazione, Stalin diede alla Polonia parte dei territori tedeschi
originali, e nell’anno 1954 Krusciov prese la Crimea dalla Russia per qualche
motivo e la diede anche all’Ucraina. In effetti, è così che si è formato il
territorio dell’Ucraina sovietica.
Ma ora
vorrei prestare particolare attenzione al periodo iniziale della creazione
dell’URSS. Penso che questo sia estremamente importante per noi. Dovremo
partire, come si dice, da lontano.
Lasciate
che vi ricordi che dopo il colpo di stato di ottobre del 1917 e la conseguente
guerra civile, i bolscevichi iniziarono a costruire una nuova statualità, e
c’era un bel po’ di disaccordo tra loro. Stalin, che in quell’anno 1922
combinò [coprendo] le cariche di Segretario Generale del Comitato Centrale del
RCP(b) e di Commissario del Popolo per le Nazionalità, propose di costruire il Paese sui
principi dell’autonomizzazione, cioè dando alle Repubbliche – le future unità
amministrativo-territoriali – ampi poteri quando si fossero unite allo Stato
unificato.
Lenin
criticò questo piano e offrì concessioni ai nazionalisti, come li chiamava
all’epoca – gli “indipendenti”. Queste idee leniniste di una struttura statale
essenzialmente confederale, e lo slogan sul diritto delle Nazioni
all’autodeterminazione fino alla secessione, furono incluse a costituire la
base della statualità sovietica: prima nell’anno 1922, in cui fu sancita nella
Dichiarazione sull’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, e poi, dopo
la morte di Lenin, nella Costituzione dell’URSS del 1924.
Qui
sorgono immediatamente molte domande. La prima, e in effetti la più importante,
domanda è: perché
era necessario soddisfare le ambizioni nazionaliste in crescita smisurata
[proprio] ai margini dell’ex impero? Trasferire enormi territori, spesso
non collegati, alle unità amministrative di nuova formazione, e spesso
arbitrariamente formate, Repubbliche dell’Unione. Ripeto: trasferiti insieme alla
popolazione della Russia storica.
Inoltre,
di fatto, a queste unità amministrative fu dato lo status e la forma di entità
statali nazionali. Ancora una volta mi chiedo perché è stato necessario fare regali così
generosi, che i nazionalisti più ardenti non avevano mai nemmeno sognato prima,
e dare
alle Repubbliche il diritto di secessione dallo Stato unificato senza alcuna
condizione?
A
prima vista non ha senso, è pazzesco. Ma lo è solo a prima vista. C’è una
spiegazione. Dopo la Rivoluzione, il compito principale dei bolscevichi era quello di
mantenere il potere ad ogni costo, proprio ad ogni costo. Per questo optarono a tutto: e alle condizioni umilianti del
trattato di Brest, in un momento in cui la Germania del Kaiser e i suoi alleati
erano nella situazione militare ed economica più difficile; e l’esito della
prima guerra mondiale era di fatto predeterminato; e per soddisfare qualsiasi
richiesta, qualsiasi desiderio dei nazionalisti all’interno del Paese.
In
termini di destino storico della Russia e dei suoi popoli, i princìpi leninisti
di costruzione dello Stato non furono solo un errore – furono, come si dice,
molto peggio di un errore. Dopo il crollo dell’URSS in quel 1991, è diventato
abbondantemente chiaro.
Certo,
gli eventi del passato non possono essere cambiati, ma dovremmo almeno dirli
direttamente e onestamente, senza riserve e senza alcuna colorazione politica. Posso solo aggiungere che le
considerazioni della situazione politica attuale, per quanto spettacolari e
vantaggiose possano sembrare in un determinato momento, non dovrebbero e non
possono in nessun caso essere la base dei princìpi fondamentali della
statualità.
Non
sto accusando nessuno di nulla ora: la situazione del Paese all’epoca e dopo la
guerra civile, alla vigilia, era incredibilmente difficile e critica. Tutto
quello che voglio dire oggi è che è stato esattamente così. È un fatto storico. In realtà, come
ho già detto, la politica bolscevica ha portato alla nascita dell’Ucraina sovietica,
che ancora oggi può essere giustamente chiamata “Ucraina di Vladimir Lenin”.
È il
suo autore e architetto. Questo è pienamente confermato dai documenti
d’archivio, comprese le dure direttive di Lenin sul Donbass, che fu
letteralmente schiacciato sull’Ucraina. E ora “discendenti riconoscenti”
hanno demolito [e demoliscono] i monumenti a Lenin in Ucraina. La chiamano
“decomunistizzazione”.
Volete
la decomunistizzazione? Beh, questo ci sta bene. Ma non dobbiamo, come si dice,
fermarci a metà strada. Siamo pronti a mostrarvi cosa significa la vera
decomunistizzazione per l’Ucraina.
Tornando
alla storia della questione, ripeto che nell’anno 1922 l’URSS fu formata sul
territorio dell’ex impero russo. Ma la vita stessa ha mostrato subito che era impossibile
mantenere un territorio così vasto e complesso, né governarlo secondo i
princìpi amorfi e confederali proposti. Erano completamente scollegati
dalla realtà e dalla tradizione storica.
È
logico che il Terrore Rosso e la rapida transizione verso una dittatura
stalinista, il dominio dell’ideologia comunista e il monopolio del potere da
parte del Partito Comunista, la nazionalizzazione e il sistema pianificato
dell’economia nazionale – tutto questo ha di fatto trasformato i princìpi
dichiarati ma inattuabili della statualità in una semplice dichiarazione, una
formalità. In realtà, le Repubbliche dell’Unione non avevano alcun diritto
sovrano, semplicemente non esistevano.
In pratica, fu creato uno Stato strettamente
centralizzato e totalmente unitario.
Stalin,
infatti, realizzò pienamente nella pratica non le idee di Lenin, ma le sue
proprie idee di statualità.
Ma non
ha fatto cambiamenti rilevanti nei documenti sistemici, nella Costituzione del
Paese – non ha rivisto formalmente i proclamati princìpi leninisti della
costruzione dell’URSS. L’Unione Sovietica non era uno Stato, e sembrava non essere
necessario [esserlo] – tutto funzionava sotto il regime totalitario, ed
esteriormente sembrava bello, attraente e persino super-democratico.
E
tuttavia è un peccato che le odiose fantasie utopiche ispirate dalla
Rivoluzione, ma assolutamente distruttive per qualsiasi Paese normale, non siano state
prontamente epurate dalle basi fondamentali, formalmente legali, su cui è stata
costruita tutta la nostra statualità. Nessuno ha pensato al futuro, come è
successo spesso in passato nel nostro Paese.
I
dirigenti del Partito comunista sembravano credere di essere riusciti a formare
un solido sistema di governo, di aver finalmente risolto la questione nazionale
attraverso le loro politiche.
Ma la
falsificazione, la sostituzione di concetti, la manipolazione della coscienza
pubblica e l’inganno sono costosi. Il bacillo dell’ambizione nazionalista non era
andato da nessuna parte, e la mina originaria che era stata posata per minare
l’immunità dello Stato contro il contagio del nazionalismo stava solo
aspettando di accadere. Tale mina, ripeto, era il diritto di secessione dall’URSS.
A metà
degli anni ’80, in un contesto di crescenti problemi socio-economici e di
un’evidente crisi dell’economia pianificata, la questione nazionale, la cui
essenza non erano le aspettative e le aspirazioni insoddisfatte dei popoli
dell’Unione, ma soprattutto il crescente appetito delle élite locali, si faceva sempre
più acuta.
Tuttavia,
la direzione del PCUS – invece di analizzare profondamente la situazione, prendere
misure adeguate, soprattutto nell’economia, così come una graduale, ponderata,
deliberata trasformazione del sistema politico e della struttura statale – si limitò a una vera e propria
verbosità sul ripristino del principio leninista di autodeterminazione
nazionale.
Inoltre,
mentre la lotta per il potere si svolgeva all’interno dello stesso Partito
Comunista, ciascuna delle parti opposte cominciò a stimolare, incoraggiare e
giocare sconsideratamente sul sentimento nazionalista, promettendo ai suoi
potenziali sostenitori qualsiasi cosa desiderassero.
Tra
chiacchiere superficiali e populiste sulla democrazia e un futuro luminoso costruito sulla
base di un’economia di mercato o pianificata, ma in condizioni di reale
impoverimento e deficit totale, nessuno al potere ha pensato alle inevitabili
tragiche conseguenze per il Paese.
E poi
hanno seguito la strada ben battuta di soddisfare le ambizioni delle élite
nazionaliste, nutrite nelle loro stesse file di Partito, dimenticando che il PCUS non aveva
più, e grazie a Dio, tali strumenti per mantenere il potere e il Paese stesso –
come il terrore di Stato e una dittatura di tipo staliniano nelle loro mani. E che anche il famigerato protagonista
del Partito, come una nebbia mattutina, è svanito senza lasciare traccia
proprio davanti ai loro occhi.
Nel
settembre 1989, il plenum del Comitato Centrale del PCUS ha adottato un documento
essenzialmente fatidico – la cosiddetta politica nazionale del Partito nelle
condizioni moderne, la piattaforma PCUS. Esso conteneva le seguenti
disposizioni, cito: «Le Repubbliche dell’Unione hanno tutti i diritti
corrispondenti al loro status di Stati socialisti sovrani».
Un
altro punto: «Gli organi rappresentativi supremi delle Repubbliche dell’Unione possono
impugnare e sospendere i decreti e gli ordini del governo dell’Unione sui loro
territori».
Infine:
«Ogni
Repubblica dell’Unione ha la propria cittadinanza, che vale per tutti i suoi
abitanti».
Non
era ovvio a cosa avrebbero portato tali formulazioni e decisioni?
Non è
il momento né il luogo per entrare in questioni di diritto statale o
costituzionale, per definire la nozione stessa di cittadinanza. Ma ancora la domanda sorge: in quelle circostanze già difficili,
perché il Paese aveva bisogno di essere scosso ulteriormente in questo modo? Il
fatto rimane.
Anche
due anni prima del crollo dell’URSS, il suo destino era praticamente segnato.
Ora
sono i radicali e i nazionalisti, anche e soprattutto in Ucraina, a prendersi
il merito della conquista dell’indipendenza. Come possiamo vedere, questo non è
il caso.
Il
crollo del nostro Paese unito è stato causato da errori storici e strategici
dei dirigenti bolscevichi, la direzione del Partito Comunista, fatti in diversi
momenti nella costruzione dello Stato, nella politica economica e nazionale. Il crollo della Russia storica
chiamata URSS è sulla loro coscienza.
Nonostante
tutte queste ingiustizie, inganni e vere e proprie rapine alla Russia, il
nostro popolo, proprio il popolo, ha riconosciuto le nuove realtà geopolitiche
emerse dopo il crollo dell’URSS e ha riconosciuto i nuovi Stati indipendenti.
E non solo – la Russia stessa, trovandosi in
una situazione molto difficile in quel momento, ha aiutato i suoi partner della
CSI, compresi i suoi colleghi ucraini, dai quali sono arrivate numerose
richieste di sostegno materiale fin dal momento della dichiarazione di
indipendenza.
E il
nostro Paese ha fornito questo sostegno nel rispetto della dignità e della
sovranità dell’Ucraina.
Secondo
le stime degli esperti, che sono confermate da un semplice calcolo dei nostri prezzi
energetici,
il volume dei prestiti preferenziali, le preferenze economiche e commerciali
che la Russia ha concesso all’Ucraina, il beneficio totale per il bilancio
ucraino dall’anno 1991 al 2013 è stato di circa 250 miliardi di dollari.
Ma non
era tutto. Alla
fine del 1991, gli obblighi di debito dell’URSS verso Paese stranieri e fondi
internazionali ammontavano a circa 100 miliardi di dollari.
E
inizialmente si supponeva che questi prestiti sarebbero stati rimborsati da
tutte le ex Repubbliche sovietiche in modo solidale, in proporzione al loro
potenziale economico. La Russia, tuttavia, assunse l’intero debito sovietico e lo
saldò completamente. Alla fine ha completato questo processo nel corso
dell’anno 2017.
In
cambio, i nuovi Stati indipendenti dovevano cedere alcuni dei loro beni esteri
sovietici e accordi in tal senso furono raggiunti con l’Ucraina nel dicembre
1994.
Tuttavia,
Kiev non ha ratificato questi accordi e più tardi si è semplicemente rifiutata
di attuarli, rivendicando il fondo di diamanti, la riserva d’oro, nonché le proprietà
e altri beni ex sovietici all’estero.
Eppure,
nonostante i ben noti problemi, la Russia ha sempre cooperato con l’Ucraina in modo aperto,
onesto e, ripeto, nel rispetto dei suoi interessi, e i nostri legami si sono
sviluppati in diversi settori. Per esempio, il fatturato commerciale bilaterale del
2011 ha superato i 50 miliardi di dollari nell’anno. Va notato che il volume del commercio
dell’Ucraina con tutti i paesi dell’UE nell’anno 2019 prima della pandemia era
inferiore a questa cifra. Allo stesso tempo, si notava che le autorità ucraine
preferivano agire in modo tale da avere tutti i diritti e i benefici nelle loro
relazioni con la Russia, ma senza incorrere in alcun obbligo.
Invece
del partenariato, ha prevalso la dipendenza, che a volte ha assunto un
carattere assolutamente cavalleresco da parte delle autorità ufficiali di Kiev. Basta ricordare il ricatto
permanente nella sfera del transito energetico e il banale furto di gas.
Dovrei
aggiungere che Kiev ha cercato di usare il dialogo con la Russia come pretesto
per contrattare con l’Occidente, ricattarlo avvicinandosi a Mosca, conquistando
preferenze per sé: altrimenti l’influenza russa in Ucraina sarebbe cresciuta.
Allo
stesso tempo, le autorità ucraine inizialmente, e voglio sottolinearlo, fin dai
primi passi, hanno cominciato a costruire la loro statualità sulla negazione di
tutto ciò che ci unisce, hanno cercato di distorcere la coscienza e la memoria
storica di milioni di persone, intere generazioni che vivono in Ucraina.
Non
sorprende che la società ucraina abbia affrontato l’ascesa di un nazionalismo
estremo, che ha rapidamente preso la forma di una russofobia aggressiva e del
neonazismo. Da qui il coinvolgimento di nazionalisti ucraini e neonazisti in bande
terroristiche nel Caucaso del Nord e le rivendicazioni territoriali sempre più
vocali contro la Russia.
Anche
le forze esterne, che hanno usato una vasta rete di ONG e servizi speciali per
coltivare la loro clientela in Ucraina e promuovere i loro rappresentanti al
potere, hanno giocato un ruolo.
È
anche importante capire che l’Ucraina non ha essenzialmente mai avuto una
tradizione stabile di una sua autentica statualità.
E da
quell’anno 1991 ha seguito la strada della copia meccanica di modelli alieni,
distaccata sia dalla storia che dalle realtà ucraine.
Le istituzioni politiche statali sono state
costantemente ridisegnate per soddisfare i clan in rapida formazione con i loro
interessi egoistici che non hanno nulla a che fare con gli interessi del popolo
ucraino.L’intero
scopo della cosiddetta scelta di civiltà filo-occidentale del governo
oligarchico ucraino non era e non è quello di creare condizioni migliori per il
benessere del popolo, ma piuttosto di servire servilmente i rivali geopolitici
della Russia, mantenendo i miliardi di dollari rubati agli ucraini e nascosti
dagli oligarchi nei conti bancari occidentali.
Alcuni
gruppi finanziari industriali, i partiti e i politici che hanno assunto si sono
inizialmente affidati a nazionalisti e radicali.
Altri
hanno fatto un servizio a parole sulle buone relazioni con la Russia e sulla
diversità culturale e linguistica, e sono arrivati al potere con i voti dei
cittadini che hanno sostenuto con tutto il cuore tali aspirazioni, compresi
milioni nel sud-est. Ma una volta in carica, hanno immediatamente tradito i loro
elettori, abbandonato le loro promesse elettorali e attuato politiche per
volere dei radicali, a volte perseguendo i loro ex alleati – quelle
organizzazioni della società civile che sostenevano il bilinguismo e la
cooperazione con la Russia.
Hanno
approfittato del fatto che le persone che li sostenevano erano, di regola,
rispettose della legge, moderate nelle loro opinioni, abituate a fidarsi delle
autorità – non
avrebbero mostrato aggressività o fatto ricorso ad azioni illegali, a
differenza dei radicali.
I
radicali, a loro volta, divennero insolenti e le loro rimostranze crebbero di
anno in anno. Hanno trovato facile imporre ripetutamente la loro volontà a un governo
debole che era esso stesso infettato dal virus del nazionalismo e della
corruzione e hanno abilmente sostituito i veri interessi culturali, economici e
sociali del popolo e la reale sovranità dell’Ucraina con ogni sorta di
speculazione su basi nazionali e orpelli etnografici esterni.
Non
c’è una statualità sostenibile in Ucraina, e le procedure politiche ed
elettorali servono solo come una copertura, uno schermo per la ridistribuzione
del potere e della proprietà tra i vari clan oligarchici.
La
corruzione, che è senza dubbio una sfida e un problema per molti Paesi,
compresa la Russia, ha assunto un carattere particolare in Ucraina.
Ha
letteralmente permeato, corroso lo Stato ucraino, l’intero sistema, tutti i
rami del potere. I radicali hanno approfittato del giustificato malcontento del popolo,
hanno messo a tacere la protesta e hanno portato il Maidan a un colpo di stato
nell’anno 2014.
Nel
fare ciò, hanno ricevuto assistenza diretta da Paesi stranieri. Il cosiddetto campo di protesta in
piazza dell’Indipendenza a Kiev è stato sostenuto materialmente dall’ambasciata
americana per un milione di dollari al giorno.
Altre
somme molto ingenti sono state sfacciatamente trasferite direttamente sui conti
bancari dei leader dell’opposizione. E stavamo parlando di decine di milioni di dollari. E quanto hanno ottenuto alla fine le
persone veramente ferite, le famiglie di coloro che sono morti negli scontri
provocati nelle strade e nelle piazze di Kiev e di altre città? È meglio non
chiedere di questo.
I
radicali che avevano preso il potere organizzarono una persecuzione, un vero e
proprio terrore contro coloro che parlavano contro le azioni anticostituzionali.
Politici,
giornalisti e personaggi pubblici sono stati derisi e umiliati pubblicamente. Le città ucraine furono travolte da
un’ondata di pogrom e violenza, una serie di omicidi rumorosi e impuniti.
Non si può fare a meno di rabbrividire di fronte alla
terribile tragedia di Odessa, dove manifestanti pacifici sono stati brutalmente
assassinati e bruciati vivi nella Casa dei Sindacati.
I criminali che hanno commesso questa atrocità non
sono stati puniti, nessuno li sta cercando. Ma conosciamo i loro nomi e faremo
tutto il possibile per punirli, trovarli e consegnarli alla giustizia.
Il
Maidan non ha portato l’Ucraina più vicina alla democrazia e al progresso. Con il colpo di stato, i nazionalisti
e le forze politiche che li sostenevano hanno finalmente portato la situazione
a un punto morto e hanno spinto l’Ucraina nell’abisso della guerra civile. Otto anni dopo quegli eventi, il
Paese è diviso. L’Ucraina sta vivendo un’acuta crisi socio-economica.
Secondo
le organizzazioni internazionali, nel 2019 quasi sei milioni di ucraini,
sottolineo, circa il 15%, non della popolazione in età lavorativa, sono stati
costretti a lasciare il Paese in cerca di lavoro. Spesso, di regola, per lavori
occasionali e non qualificati. Anche il seguente fatto è indicativo: dall’anno 2020 della
pandemia, più di 60.000 medici e altri operatori sanitari hanno lasciato il
Paese.
Dall’anno
2014 a questa parte, le tariffe dell’acqua sono aumentate di quasi un terzo,
l’elettricità di diverse volte e il gas domestico di una dozzina di volte.
Molte persone semplicemente non hanno i soldi per pagare le utenze; devono
letteralmente sopravvivere.
Che
cosa è successo? Perché succede tutto questo? La risposta è ovvia: perché la
dote ricevuta non solo dall’era sovietica, ma anche dall’impero russo, è stata
sperperata e intascata.
Decine
e centinaia di migliaia di posti di lavoro, che davano alla gente un reddito
stabile e portavano tasse all’erario – anche grazie alla stretta collaborazione
con la Russia –, sono stati persi.
Industrie come la costruzione di macchine, la
fabbricazione di strumenti, l’elettronica, la costruzione di navi e di aerei
sono adagiate sugli allori o distrutte, mentre un tempo rendevano orgogliosa
non solo l’Ucraina, ma l’intera Unione Sovietica.
Il
cantiere navale del Mar Nero a Nikolayev, dove furono costruiti i primi
cantieri sotto Caterina la Grande, fu liquidato nel corso del 2021.
Il
famoso gruppo Antonov non ha prodotto un solo lotto di aerei dal 2016, e
l’impianto Yuzhmash, specializzato nella produzione di razzi e attrezzature
spaziali, è sull’orlo del fallimento, così come l’acciaieria Kremenchuk. Questo
triste elenco potrebbe continuare all’infinito.
Per
quanto riguarda il sistema di trasporto del gas, che è stato costruito da tutta
l’Unione Sovietica, è [oggi] così fatiscente che il suo funzionamento è irto di
grandi rischi e costi ambientali.
E ci
si chiede: la
povertà, la disperazione e la perdita di capacità industriali e tecnologiche è
la stessa scelta di civiltà filo-occidentale che ha ingannato e inganna milioni
di persone da anni, promettendo loro il paradiso?
In
realtà, si è arrivati al fatto che il crollo dell’economia ucraina è accompagnato
da una vera e propria rapina dei suoi cittadini, mentre l’Ucraina stessa è
stata semplicemente messa sotto amministrazione esterna.
Questo
non viene fatto solo su ordine delle capitali occidentali, ma anche sul terreno attraverso tutta
una rete di consiglieri stranieri, ONG (di Soros.Ndr.) e altre istituzioni schierate in
Ucraina.
Hanno
un’influenza diretta su tutte le principali decisioni del personale, su tutti i
rami e livelli di governo, da quello centrale a quello municipale, sulle
principali aziende e corporazioni statali, tra cui Naftogaz, Ukrenergo, la
Ferrovia Ucraina, Ukroboronprom, Ukrposhta e l’amministrazione dei porti
marittimi ucraini.
Semplicemente
non c’è un tribunale indipendente in Ucraina.
Su richiesta dell’Occidente, le autorità di Kiev hanno
dato ai rappresentanti delle organizzazioni internazionali il diritto prioritario
di selezionare i membri dei più alti organi giudiziari – il Consiglio di
giustizia e la Commissione di qualificazione dei giudici.
Inoltre,
l’ambasciata degli Stati Uniti controlla direttamente l’Agenzia nazionale per
la prevenzione della corruzione, l’Ufficio nazionale anticorruzione, la Procura
specializzata anticorruzione e la Corte suprema anticorruzione. Tutto questo viene fatto con il
pretesto plausibile di rendere più efficace la lotta contro la corruzione.
Bene, ok, ma dove sono i risultati? La corruzione è stata in piena fioritura,
ed è ancora in piena fioritura.
Gli
stessi ucraini sono a conoscenza di tutti questi metodi manageriali? Si rendono
conto che il loro Paese non è nemmeno sotto un protettorato politico ed
economico, ma è stato ridotto a una colonia con un regime fantoccio?
La
privatizzazione dello Stato ha portato al fatto che il governo, che si definisce «il potere dei patrioti», ha perso il suo carattere nazionale e
sta conducendo costantemente verso la completa de-sovranizzazione del Paese.(La globalizzazione criminale - ispirata da Klaus Schwab di Davos- regna
sovrana ,come ora in Europa !Ndr.).
Il
corso di de-russificazione e di assimilazione forzata continua. La Verkhovna Rada sta inesorabilmente
emettendo sempre più atti discriminatori, e una legge sui cosiddetti popoli
indigeni è già in vigore. Le persone che si considerano russe e che vorrebbero
preservare la loro identità, lingua e cultura hanno ricevuto il messaggio esplicito
che sono estranee in Ucraina.(In Italia i governanti globalisti hanno ora legiferato che
chi supera i 50 anni di età perde il
lavoro, se non accetta di iniettarsi un siero sperimentale nelle vene! Ndr.)
Le
leggi sull’istruzione e sul funzionamento della lingua ucraina come lingua di
Stato hanno bandito il russo dalle scuole, da tutte le sfere pubbliche, fino ai
negozi ordinari. La legge sulla cosiddetta lustrazione, la “pulizia” del potere, ha reso
possibile occuparsi dei dipendenti pubblici indesiderabili.
Gli
atti che danno alle forze dell’ordine ucraine motivi per una dura soppressione
della libertà di parola e di dissenso e per la persecuzione dell’opposizione ne
sono la riproduzione.
La triste pratica delle sanzioni unilaterali
illegittime contro altri Stati, individui stranieri e persone giuridiche è ben
nota nel mondo. L’Ucraina ha superato i suoi gestori occidentali e ha inventato uno
strumento come le sanzioni contro i suoi stessi cittadini, imprese, canali
televisivi, altri media e persino membri del parlamento.Kiev continua a preparare il massacro
anche della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca. E questa non è
una valutazione emotiva; lo dimostrano decisioni e documenti specifici.
Le
autorità ucraine hanno cinicamente trasformato la tragedia della scissione
della Chiesa in uno strumento di politica statale. L’attuale leadership del Paese non
risponde alle richieste dei cittadini dell’Ucraina di abrogare le leggi che
violano i diritti dei credenti. Inoltre, nuovi progetti di legge sono stati registrati
nella Rada contro il clero e milioni di parrocchiani della Chiesa ortodossa
ucraina del Patriarcato di Mosca.
Parlerò
separatamente della Crimea.
Il
popolo della penisola ha fatto la sua libera scelta: stare con la Russia.
Le
autorità di Kiev non hanno nulla per contrastare questa chiara ed esplicita
volontà del popolo, quindi puntano su azioni aggressive, sull’attivazione di
cellule estremiste, comprese le organizzazioni radicali islamiche, sull’invio di gruppi sovversivi per
commettere atti terroristici presso infrastrutture critiche e per rapire
cittadini russi. Abbiamo prove dirette che tali azioni aggressive vengono effettuate con
l’appoggio di servizi speciali stranieri.
Nel
marzo 2021, l’Ucraina ha adottato una nuova strategia militare.
Questo
documento è quasi interamente dedicato al confronto con la Russia e mira ad
attirare gli Stati stranieri in conflitto con il nostro Paese. La strategia
propone l’organizzazione di quello che è essenzialmente un sotto-strato terrorista
in Donbass e Crimea russa.
Delinea
anche i contorni della guerra prevista, e dovrebbe finire, come credono gli
strateghi di Kiev di oggi, e cito ancora, «con l’assistenza della comunità
internazionale a condizioni favorevoli all’Ucraina».
E
anche, come si esprime oggi Kiev – e lo cito anche qui, ascoltate con più
attenzione, per favore – «con il sostegno militare della comunità internazionale in un
confronto geopolitico con la Federazione Russa». In sostanza, questo non è altro che
la preparazione di un’azione militare contro il nostro Paese – contro la
Russia.
Sappiamo
anche che ci sono già state dichiarazioni che l’Ucraina sta per sviluppare le
proprie armi nucleari, e questa non è una vuota spavalderia. L’Ucraina possiede la tecnologia
nucleare sovietica e i mezzi di consegna di tali armi, tra cui l’aviazione e i
missili Tochka-U, anch’essi di progettazione sovietica, con una portata di più
di 100 chilometri. Ma ne faranno di più, è solo una questione di tempo. Ci sono
alcune basi dell’era sovietica.
Così,
sarà molto più facile per l’Ucraina acquisire armi nucleari tattiche che per
alcuni altri Stati – non li nominerò ora – che sviluppano effettivamente tali
armi, soprattutto in caso di supporto tecnologico dall’estero. E non dovremmo
escludere nemmeno questo.
Con la
comparsa di armi di distruzione di massa in Ucraina, la situazione nel mondo,
in Europa, soprattutto per noi, per la Russia, cambierà drasticamente.
Non
possiamo non reagire a questo pericolo reale, soprattutto, ripeto, che i
mecenati occidentali potrebbero facilitare la comparsa di tali armi in Ucraina
per creare un’altra minaccia al nostro Paese.
Possiamo
vedere come il pompaggio militare del regime di Kiev sia persistente. Gli Stati Uniti da soli hanno speso
miliardi di dollari dall’anno 2014 a questa parte, tra armi, attrezzature e
addestramento specializzato.
Negli
ultimi mesi, le armi occidentali sono fluite in Ucraina in un flusso costante,
in piena vista del mondo intero. Le attività delle forze armate e dei servizi
di sicurezza ucraini sono dirette da consiglieri stranieri, lo sappiamo bene.
Negli
ultimi anni, contingenti militari dei paesi della NATO sono stati presenti sul
territorio ucraino quasi continuamente con il pretesto di esercitazioni. Il sistema di comando e controllo
delle truppe ucraine è già integrato con le truppe della NATO. Ciò significa che il comando delle
forze armate ucraine, anche delle singole unità e sottounità, può essere esercitato direttamente
dal quartier generale della NATO.
Gli
Stati Uniti e la NATO hanno iniziato a sviluppare spudoratamente il territorio
dell’Ucraina come teatro di potenziali ostilità. Le esercitazioni congiunte regolari
hanno un chiaro orientamento anti-russo. Solo l’anno scorso, più di 23.000
militari e più di mille pezzi di equipaggiamento vi hanno preso parte.
È già
stata approvata una legge che permette alle forze armate di altri Stati di
entrare in Ucraina nel corso dell’anno 2022 per partecipare a esercitazioni
internazionali.
È chiaro che stiamo parlando principalmente delle
truppe della NATO. Almeno dieci di queste manovre congiunte sono previste per
quest’anno.
È
ovvio che tali eventi servono come copertura per il rapido rafforzamento del
raggruppamento militare della NATO in Ucraina.
Tanto
più che la rete di campi d’aviazione potenziata con l’aiuto degli americani – Boryspil, Ivano-Frankivsk, Chuguev,
Odessa e così via – è in grado di assicurare il trasferimento di unità militari
nel più breve tempo possibile.
Lo spazio aereo dell’Ucraina è aperto ai voli
dell’aviazione strategica e di ricognizione statunitense e ai droni utilizzati
per monitorare il territorio russo.
Devo
aggiungere che il centro operativo marittimo di Ochakov, costruito in America, permette alle
navi della NATO di operare, compreso l’uso di armi di precisione contro la flotta russa
del Mar Nero e le nostre infrastrutture lungo tutta la costa del Mar Nero.
Una
volta, gli Stati Uniti intendevano installare strutture simili in Crimea, ma i
Crimeani e i residenti di Sebastopoli hanno ostacolato questi piani. Lo
ricorderemo sempre.
Ripeto,
oggi un tale centro è schierato, è già stato schierato a Ochakov. Vi ricordo che i soldati di Alexander
Suvorov hanno combattuto per questa città nel XVIII secolo. Grazie al loro
coraggio, divenne parte della Russia. Allo stesso tempo, nel XVIII secolo, le
terre del Mar Nero, annesse alla Russia in seguito alle guerre con l’Impero
Ottomano, furono chiamate Novorossiya.
Ora
queste pietre miliari della storia vengono dimenticate, così come i nomi degli
statisti militari dell’Impero russo, senza i cui sforzi molte grandi città e
persino l’accesso al Mar Nero non esisterebbero nella moderna Ucraina.
Un
monumento ad Alexander Suvorov è stato recentemente demolito a Poltava. Cosa si può dire? Stai rinunciando al
tuo passato? Dalla cosiddetta “eredità coloniale dell’impero russo”? Bene,
allora sii coerente qui.
Il
prossimo [punto]. Dovrei notare che l’articolo 17 della Costituzione
dell’Ucraina non permette lo spiegamento di basi militari straniere sul suo
territorio.
Ma si scopre che questa è solo una convenzione che può essere facilmente
aggirata.
I
Paesi della NATO hanno dispiegato missioni di addestramento in Ucraina. Queste
sono, di fatto, già basi militari straniere. Basta chiamare la base “missione”
ed è fatta.
Kiev
ha da tempo proclamato un percorso strategico verso l’adesione alla NATO.
Sì,
certo, ogni Paese ha il diritto di scegliere il proprio sistema di sicurezza e
di stringere alleanze militari. E sembrerebbe così, se non fosse per un “ma”. I documenti internazionali
sanciscono espressamente il principio della sicurezza uguale e indivisibile,
che, come sappiamo, include l’obbligo di non rafforzare la propria sicurezza a
spese della sicurezza di altri Stati. Posso fare riferimento alla Carta
dell’OSCE per la sicurezza europea adottata a Istanbul nel 1999 e alla
Dichiarazione di Astana dell’OSCE del 2010.
In
altre parole, le scelte di sicurezza non dovrebbero minacciare altri Stati, e
l’adesione dell’Ucraina alla NATO è una minaccia diretta alla sicurezza della
Russia.Ricordo
che nell’aprile 2008, al vertice di Bucarest dell’Alleanza Nord Atlantica, gli Stati Uniti hanno fatto passare
la decisione che l’Ucraina e, incidentalmente, la Georgia sarebbero diventati
membri della NATO.
Molti
alleati europei degli Stati Uniti erano già ben consapevoli di tutti i rischi
di una tale prospettiva, ma hanno dovuto sopportare la volontà del loro partner
principale. Gli americani li hanno semplicemente usati per perseguire una
politica decisamente anti-russa.
Alcuni
Stati membri sono ancora molto scettici sull’adesione dell’Ucraina alla NATO.
Allo stesso tempo da alcune capitali europee ci arriva il messaggio: “Di cosa vi preoccupate? Non
accadrà letteralmente domani”. Infatti, i nostri partner americani dicono la
stessa cosa. “OK”, diciamo, “non domani, ma dopodomani”. Cosa cambia nella
prospettiva storica? In sostanza, niente.
Inoltre,
siamo consapevoli della posizione e delle parole della leadership degli Stati
Uniti secondo
cui i combattimenti attivi nell’Ucraina orientale non escludono la possibilità
che questo Paese entri nella NATO se può soddisfare i criteri dell’Alleanza
Nord Atlantica e sconfiggere la corruzione.
Eppure
cercano sempre di convincerci che la NATO è un’alleanza “pacifica e puramente
difensiva”.
Dicono che non ci sono minacce per la Russia. Ancora una volta ci suggeriscono di
crederci sulla parola. Ma noi conosciamo il vero prezzo di tali parole.
Nell’anno
1990 in cui si discuteva la questione dell’unificazione tedesca, gli Stati
Uniti promisero alla leadership sovietica che non ci sarebbe stata alcuna
estensione della giurisdizione o della presenza militare della NATO di un
centimetro verso est. E che l’unificazione tedesca non avrebbe portato a
un’estensione dell’organizzazione militare della NATO a est. Questa è una
citazione.
(Gli attuali governanti degli USA e
della UE ed altri governanti occidentali
sono sudditi della cricca criminale
globalista di Davos, sottoposta alle
direttive globaliste , distopiche e
paranoiche di Klaus Schwab !Ndr.)
Hanno
parlato e dato assicurazioni verbali e tutto si è rivelato essere niente. Più
tardi, ci è stato assicurato che l’adesione alla NATO dei Paesi dell’Europa
centrale e orientale avrebbe solo migliorato le relazioni con Mosca, sollevato
i Paesi dalle loro paure di una difficile eredità storica e persino creato una
cintura di Stati amici della Russia.
Si è
rivelato esattamente il contrario. Le autorità di alcuni Paesi dell’Europa
dell’Est, che diffondono russofobia, hanno portato i loro complessi e
stereotipi sulla minaccia russa nell’Alleanza e hanno insistito su un
rafforzamento delle capacità di difesa collettiva da impiegare principalmente
contro la Russia. E questo è successo negli anni ’90 e nei primi anni 2000,
quando, grazie all’apertura e alla nostra buona volontà, le relazioni tra la
Russia e l’Occidente erano a un livello elevato.
La
Russia ha adempiuto a tutti i suoi obblighi, compreso il ritiro delle truppe
dalla Germania e dagli Stati dell’Europa centrale e orientale, dando così un
enorme contributo al superamento dell’eredità della guerra fredda. Abbiamo
costantemente offerto diverse opzioni di cooperazione, anche nel Consiglio
NATO-Russia e nel formato OSCE.
Inoltre,
ora dirò qualcosa che non ho mai detto pubblicamente, lo dirò per la prima
volta. Nell’anno 2000 in cui il presidente uscente degli Stati Uniti Bill
Clinton visitò Mosca, gli chiesi: «Come si sentirebbe l’America ad accettare la Russia
nella NATO?».
Non
rivelerò tutti i dettagli di quella conversazione, ma la reazione alla mia
domanda sembrava, diciamo, molto contenuta – e come gli americani hanno
effettivamente reagito a questa possibilità si vede nei loro passi concreti
verso il nostro Paese.
Questo include il sostegno aperto ai
terroristi nel Caucaso del Nord – un atteggiamento sprezzante verso le nostre
richieste e preoccupazioni di sicurezza nell’area dell’allargamento della NATO
–, il ritiro dal trattato ABM, e così via. Viene voglia di chiedere: perché,
perché tutto questo, per cosa? D’accordo, non ci volete vedere come vostri
amici e alleati, ma perché farci nemici?
C’è
solo una risposta: non si tratta del nostro regime politico, non si tratta di
altro, semplicemente non hanno bisogno di un Paese così grande e indipendente come
la Russia. Questa
è la risposta a tutte le domande. Questa è la fonte della tradizionale politica
americana sulla Russia. Da qui l’atteggiamento verso tutte le nostre proposte di
sicurezza.
Oggi,
basta uno sguardo alla mappa per vedere come i Paesi occidentali hanno
“mantenuto” la loro promessa di non permettere alla NATO di avanzare verso est.
Semplicemente hanno ingannato. Abbiamo avuto cinque ondate di espansione della NATO
una dopo l’altra. Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Estonia,
Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia hanno aderito all’Alleanza
dal 1999 al 2004, Albania e Croazia nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia
del Nord nel 2020.
Di
conseguenza, l’alleanza e la sua infrastruttura militare hanno raggiunto
direttamente i confini della Russia. Questa è stata una delle cause
principali della crisi dell’euro-sicurezza, e ha avuto un impatto molto
negativo su tutto il sistema di relazioni internazionali, portando a una
perdita di fiducia reciproca.
La
situazione continua a deteriorarsi, anche nella sfera strategica. Per esempio, aree di posizionamento
per i missili anti-missile sono in fase di dispiegamento in Romania e Polonia
come parte del progetto di difesa missilistica globale degli Stati Uniti. È noto che i lanciatori di missili
schierati qui possono essere utilizzati per i missili da crociera Tomahawk –
sistemi di attacco offensivo.
Inoltre,
gli Stati Uniti stanno sviluppando un missile universale Standard-6, che, oltre
a risolvere i compiti di difesa aerea e missilistica, può anche colpire
obiettivi di terra da superficie. In altre parole, il presunto sistema difensivo di
difesa missilistica degli Stati Uniti si sta espandendo e stanno emergendo nuove capacità
offensive.
Le
informazioni che abbiamo ci danno tutte le ragioni per credere che l’adesione
dell’Ucraina alla NATO e il successivo dispiegamento di strutture NATO qui sia
una conclusione scontata; è una questione di tempo. Comprendiamo chiaramente che in un
tale scenario, il livello delle minacce militari alla Russia aumenterà
drammaticamente, molte volte. E richiamo l’attenzione sul fatto che il pericolo di un
attacco a sorpresa al nostro Paese aumenterà molte volte.
Lasciatemi
spiegare che i documenti di pianificazione strategica americana (i documenti!) sanciscono la possibilità di un
cosiddetto attacco preventivo contro i sistemi missilistici nemici. E sappiamo anche chi è il principale
avversario degli Stati Uniti e della NATO. È la Russia. Nei documenti della NATO il nostro
Paese è ufficialmente dichiarato direttamente come la principale minaccia alla
sicurezza euro-atlantica.
E
l’Ucraina servirà da trampolino per un tale colpo. Se i nostri antenati ne avessero
sentito parlare, probabilmente non ci avrebbero creduto. E oggi non vogliamo
crederci, ma è vero. Voglio che questo sia compreso sia in Russia che in Ucraina.
Molti
campi d’aviazione ucraini sono vicini ai nostri confini. Gli aerei tattici della NATO
schierati qui, compresi i vettori di armi a guida di precisione, saranno in
grado di colpire il nostro territorio fino a Volgograd – Kazan – Samara –
Astrakhan.
Il dispiegamento di mezzi di ricognizione radar in Ucraina permetterà alla NATO
di controllare strettamente lo spazio aereo russo fino agli Urali.
Infine,
dopo che gli Stati Uniti hanno rotto il trattato sui missili a raggio
intermedio e corto, il Pentagono sta già sviluppando apertamente un’intera
gamma di armi d’attacco a terra, compresi i missili balistici in grado di
raggiungere obiettivi fino a 5.500 chilometri di distanza.
Se
tali sistemi fossero schierati in Ucraina, sarebbero in grado di colpire
obiettivi in tutto il territorio europeo della Russia, così come oltre gli
Urali.
Ci vorrebbero meno di 35 minuti per i missili da
crociera Tomahawk per raggiungere Mosca, 7-8 minuti per i missili balistici
dalla zona di Kharkov e 4-5 minuti per gli attacchi ipersonici.
Questo
è chiamato, direttamente, un coltello alla gola.
E
loro, non ho dubbi, si aspettano di attuare questi piani proprio come hanno
fatto ripetutamente negli anni precedenti, espandendo la NATO verso est,
spingendo infrastrutture ed equipaggiamenti militari verso i confini della
Russia, ignorando completamente le nostre preoccupazioni, proteste e
avvertimenti. Scusate, sputate su di loro e fate quello che volete, quello che
vi pare.
E,
naturalmente, ci si aspetta anche che continuino a comportarsi secondo il noto
proverbio [russo]: “Il cane abbaia ma la carovana va avanti”. Permettetemi di dire subito che
non lo abbiamo accettato e non lo faremo mai. Allo stesso tempo, la Russia è sempre
stata a favore della soluzione dei problemi più complessi con mezzi politici e
diplomatici, al tavolo dei negoziati.
Siamo
ben consapevoli della nostra enorme responsabilità per la stabilità regionale e
globale.
Già
nel corso dell’anno 2008, la Russia ha presentato un’iniziativa per concludere
un trattato sulla sicurezza europea. La sua essenza era che nessuno Stato o
organizzazione internazionale nella regione euro-atlantica avrebbe dovuto
rafforzare la propria sicurezza a spese della sicurezza degli altri. Tuttavia,
la nostra proposta è stata respinta fin dall’inizio: non si deve permettere alla Russia di
limitare le attività della NATO.
Inoltre,
ci è stato detto esplicitamente che solo i membri dell’Alleanza Nord Atlantica
possono avere garanzie di sicurezza legalmente vincolanti.
Lo
scorso dicembre, abbiamo trasmesso ai nostri partner occidentali un progetto di
trattato tra la Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America sulle garanzie di
sicurezza, così come un progetto di accordo sulle misure di sicurezza tra la
Federazione Russa e gli Stati membri della NATO.
La
risposta degli Stati Uniti e della NATO è stata un sacco di parole generiche. Ci sono stati alcuni argomenti
razionali, ma erano tutti su questioni secondarie e sembravano un tentativo di
deviare la discussione.
Abbiamo
risposto di conseguenza, sottolineando che eravamo pronti a negoziare, ma a
condizione che tutte le questioni fossero considerate come un pacchetto, senza
separarle dalle proposte russe di base, fondamentali. E questi contengono tre punti chiave.
Il primo è la prevenzione di un ulteriore
allargamento della NATO.
Il
secondo è
il rifiuto di permettere all’Alleanza di schierare sistemi di armi d’urto ai
confini della Russia.
E
infine, un
ritorno delle capacità militari e delle infrastrutture del blocco in Europa
allo stato del 1997, quando fu firmato l’Atto fondatore della NATO-Russia.
Sono
proprio queste le nostre proposte di principio che sono state ignorate. I nostri partner occidentali, lo
ripeto, hanno ancora una volta espresso la formulazione di routine che ogni
Stato ha il diritto di scegliere liberamente come garantire la propria
sicurezza e di aderire a qualsiasi alleanza militare e alleanze.
In altre parole, nulla è cambiato nella loro
posizione, si sentono gli stessi riferimenti alla famigerata politica delle
“porte aperte” della NATO.
Inoltre,
stanno cercando di ricattarci di nuovo, minacciandoci di nuovo con sanzioni,
che, per inciso, continueranno a imporre man mano che la sovranità della Russia
e la potenza delle nostre Forze Armate crescono. E il pretesto per un altro
attacco di sanzioni sarà sempre trovato o semplicemente fabbricato,
indipendentemente dalla situazione in Ucraina. L’obiettivo è lo stesso: soffocare lo
sviluppo della Russia.
E lo
faranno, come hanno fatto prima, anche senza alcun pretesto formale, solo perché siamo noi e non
comprometteremo mai la nostra sovranità, i nostri interessi nazionali e i
nostri valori.
Voglio
essere chiaro, per dire senza mezzi termini, nella situazione attuale, quando
le nostre proposte per un dialogo paritario su questioni di principio sono
rimaste di fatto senza risposta da parte degli Stati Uniti e della NATO, quando
il livello delle minacce al nostro Paese stanno aumentando significativamente, la Russia ha tutto il diritto di
prendere contromisure per garantire la propria sicurezza. Questo è esattamente
quello che faremo.
Per
quanto riguarda la situazione nel Donbass, possiamo vedere che la leadership al
potere a Kiev dichiara costantemente e pubblicamente la sua indisponibilità ad
attuare il pacchetto di misure di Minsk per risolvere il conflitto, e non è
interessata a una soluzione pacifica. Al contrario, stanno cercando di
organizzare di nuovo una guerra lampo nel Donbass, come hanno fatto nel 2014 e
nel 2015. Ci ricordiamo come sono finite queste imprese allora.
Ora
non passa quasi un giorno senza che vengano bombardate aree popolate nel
Donbass. Un grande gruppo di truppe utilizza costantemente droni d’attacco,
attrezzature pesanti, razzi, artiglieria e sistemi di razzi a lancio multiplo. L’uccisione di civili, il blocco,
l’abuso di persone, compresi i bambini, le donne e gli anziani, continua senza
sosta. Come diciamo qui, non c’è una fine in vista.
E il
cosiddetto mondo civile, di cui i nostri colleghi occidentali si sono
autoproclamati unici rappresentanti, preferisce non accorgersene, come se tutto
questo orrore, il genocidio a cui sono sottoposti quasi 4 milioni di persone,
non esistesse – e solo perché queste persone non erano d’accordo con il colpo
di Stato sostenuto dall’Occidente in Ucraina nell’anno 2014; si sono opposte al movimento statale
elevato verso il nazionalismo cavernicolo e aggressivo e il neonazismo. E stanno lottando per i loro
diritti elementari – vivere nella loro terra, parlare la loro lingua,
preservare la loro cultura e le loro tradizioni.
Quanto
può durare questa tragedia? Per quanto tempo ancora si può tollerare tutto
questo? La Russia ha fatto di tutto per preservare l’integrità territoriale
dell’Ucraina, ha lottato con tenacia e pazienza in tutti questi anni per
attuare la risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 17 febbraio
2015, che ha sancito il pacchetto di misure di Minsk del 12 febbraio 2015 per
risolvere la situazione nel Donbass.
Tutto
invano. I presidenti e i deputati della Rada cambiano, ma l’essenza, la natura
aggressiva e nazionalista del regime che ha preso il potere a Kiev, no. È interamente un prodotto del colpo
di stato 2014, e coloro che hanno intrapreso la strada della violenza, dello
spargimento di sangue e dell’illegalità non hanno riconosciuto e non
riconosceranno nessun’altra soluzione alla questione del Donbass se non quella
militare.
In
questo contesto, considero necessario prendere la decisione a lungo attesa di
riconoscere immediatamente l’indipendenza e la sovranità della Repubblica
Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Luhansk.
Chiedo
all’Assemblea Federale della Federazione Russa di sostenere questa decisione e
poi ratificare i trattati di amicizia e mutua assistenza con le due
Repubbliche. Questi due documenti saranno preparati e firmati al più presto.
Chiediamo
che coloro che hanno preso e detengono il potere a Kiev cessino immediatamente
le ostilità. Altrimenti, tutta la responsabilità della possibile continuazione
dello spargimento di sangue sarà interamente sulla coscienza del regime che
governa il territorio dell’Ucraina.
Nell’annunciare
le decisioni prese oggi, ho fiducia nel sostegno dei cittadini della Russia, di
tutte le forze patriottiche del Paese.
Grazie
per l’attenzione.
KLAUS
SCHWAB E IL SUO “GRANDE RESET”
NAZI-FASCISTA.
Byoblu.com-
Michele Crudelini-(24 Dicembre 2020)- ci dice :
Riportiamo
di seguito la traduzione dell’articolo “KLAUS SCHWAB AND HIS GREAT FASCIST
RESET – AN OVERVIEW”, di Paul Cudenec, pubblicato sul blog Wrong Kind of Green
(traduzione per Byoblu a cura di Dario Savastano).
Da
dove arriva Klaus Schwab.
Klaus
Schwab, nato a Ravensburg nel 1938, è figlio della Germania di Adolf Hitler, un
regime da stato di polizia costruito sulla paura e sulla violenza, sul lavaggio
del cervello e sul controllo, sulla propaganda e sulla menzogna,
sull’industrialismo e l’eugenetica, sulla disumanizzazione e la “disinfezione”,
su una visione agghiacciante e grandiosa di un “nuovo ordine” che sarebbe
durato mille anni.
Schwab
sembra aver dedicato la sua vita a reinventare quell’incubo e a cercare di
trasformarlo in una realtà non solo per la Germania ma per il mondo intero.
Peggio
ancora, come confermano più volte le sue stesse parole, la sua visione
tecnocratica nazi-fascista , massonica-comunista è anche una perversa visione
transumanista, che fonderà gli esseri umani con le macchine in “curiosi mix tra
vita digitale e analogica”, che infetteranno il nostro corpo con la “polvere
intelligente” (Smart Dust) e in cui la polizia sarà apparentemente in grado di
leggere il nostro cervello.
E,
come vedremo, lui e i suoi complici stanno usando la crisi del Covid-19 per
aggirare le responsabilità democratiche, per scavalcare l’opposizione, per
accelerare la loro agenda e per imporla al resto dell’umanità contro la nostra
volontà in quello che lui definisce un “Grande Reset“.
La
governance globale: il sogno di Schwab.
Schwab
non è, ovviamente, un nazista in senso classico, non essendo né nazionalista né
antisemita, come testimonia il premio Dan David da un milione di dollari che
gli è stato assegnato da Israele nel 2004.
Ma il nazi-fascismo
del XXI secolo ha trovato diverse forme politiche attraverso le quali
continuare il suo progetto cardine di rimodellare l’umanità per adattarla al
capitalismo attraverso mezzi palesemente autoritari.
Questo
nuovo fascismo viene oggi portato avanti sotto le spoglie della governance
globale, della biosicurezza, della “Nuova Normalità“, del “New Deal for Nature”
e della “Quarta Rivoluzione Industriale”.
Schwab,
il fondatore ottantenne e presidente esecutivo del World Economic Forum, siede
al centro di questa matrix come un ragno su di una enorme ragnatela.
Le
origini del Grande Reset
L’originario
progettonazi- fascista, in Italia e in Germania, si basava su una fusione tra
Stato e imprese.
Mentre
il comunismo-massonico prevede
l’acquisizione di imprese e industrie da parte del governo, che (in teoria!)
agisce nell’interesse del popolo, il nazi-fascismo si basava sull’uso dello
Stato per proteggere e far progredire gli interessi delle élite benestanti.
Schwab
ha proseguito su questa strada in un contesto denazificato del secondo
dopoguerra, quando nel 1971 ha fondato l’European Management Forum, che si riuniva ogni
anno a Davos, in Svizzera.
Qui
egli promuoveva la sua ideologia del capitalismo degli stakeholder, in cui le
imprese venivano portate a una più stretta collaborazione con il governo.
Il
“capitalismo degli stakeholder” è descritto dalla rivista economica Forbes come “l’idea di un’azienda si concentra sul
soddisfare le esigenze di tutti i suoi stakeholder: clienti, dipendenti,
partner, comunità e società nel suo complesso”.
Anche
nel contesto di un particolare business, si tratta sempre di un’etichetta vuota.
Come osserva l’articolo di Forbes, in realtà significa solo che “le aziende possono continuare a
versare denaro privatamente ai loro azionisti e dirigenti, mantenendo un volto
pubblico di spiccata sensibilità sociale e di altruismo esemplare”.
Ma in
un contesto sociale generale, il concetto di stakeholder è ancora più nefasto, poiché
scarta ogni idea di democrazia, di dominio del popolo, a favore del dominio
degli interessi delle imprese.
La
società non è più considerata come una comunità vivente, ma come un’impresa, la
cui redditività è l’unico scopo valido dell’attività umana.
Lo
Stato azienda secondo Schwab.
Schwab
ha esposto questo programma già nel 1971, nel suo libro Moderne Unternehmensführung im
Maschinenbau (Gestione aziendale moderna nel settore dell’ingegneria meccanica), dove
con l’uso del termine “stakeholder” (die Interessenten) ha sostanzialmente ridefinito gli
esseri umani non come cittadini, individui liberi o membri di una comunità, ma
come partecipanti secondari di un’enorme impresa commerciale.
Lo
scopo della vita di ogni persona era “raggiungere la crescita e la
prosperità a lungo termine” per questa impresa – in altre parole, proteggere e
aumentare la ricchezza dell’élite capitalista.
Tutto
ciò è diventato ancora più chiaro nel 1987, quando Schwab ha ribattezzato il
suo European
Management Forum come “World Economic Forum“.
La
nascita del World Economic Forum.
Il WEF
definisce sé stesso sul proprio sito web come “la piattaforma globale per la
cooperazione tra pubblico e privato”, con ammiratori che descrivono come
esso crei “partnership
tra uomini d’affari, politici, intellettuali e altri leader della società per
‘definire, discutere e far progredire le questioni chiave dell’agenda unica globale'”.
Le
“partnership” che il WEF crea sono volte a sostituire la democrazia con una
leadership globale di individui prescelti e non eletti il cui dovere non è
quello di servire il pubblico bene, bensì quello di imporre la regola
dell’1% con la minor interferenza possibile da parte del resto della
popolazione.
Nei
libri che Schwab scrive per il consumo pubblico, si esprime con i cliché a due
facce della rotazione aziendale e dell’ambientalismo di facciata.
Gli
stessi termini vuoti vengono riempiti di volta in volta. In Shaping the Future of the Fourth
Industrial Revolution: A Guide to Building a Better World (Modellare in Futuro
della Quarta Rivoluzione Industriale: Una Guida per Costruire un Mondo Migliore), Schwab parla di “inclusione degli stakeholder e
distribuzione dei benefici” e di “partenariati sostenibili e inclusivi” che ci condurranno tutti verso un “futuro inclusivo, sostenibile e
prospero”!
Dietro
al WEF solo profitto e sfruttamento.
Dietro
questa millanteria, la vera motivazione che guida il suo “capitalismo degli
stakeholder”, che egli ha promosso incessantemente alla conferenza di Davos del
WEF del 2020, è il profitto e lo sfruttamento .Ad esempio, nel suo libro “La quarta
rivoluzione industriale” del 2016, Schwab scrive di una “uberizzazione” del lavoro e dei vantaggi che ne
deriverebbero per le imprese, in particolare per le start-up in rapida crescita
nell’economia digitale:
“Poiché
le piattaforme human cloud classificano i lavoratori come lavoratori autonomi,
esse sono (per il momento) libere dall’obbligo di pagare il salario minimo, le
tasse del datore di lavoro e le prestazioni sociali”.
La
stessa insensibilità capitalista traspare dal suo atteggiamento verso le
persone che si avvicinano alla fine della loro vita lavorativa e che hanno
bisogno di un meritato riposo:
Invecchiare
è una sfida economica perché se non si aumenta drasticamente l’età pensionabile
in modo che i membri più anziani della società possano continuare a contribuire
alla forza lavoro (un imperativo economico che ha molti benefici economici), la
popolazione in età lavorativa diminuisce simultaneamente all’aumento della
percentuale di anziani non autonomi.
L’essenza
della Quarta Rivoluzione Industriale.
Tutto
in questo mondo è ridotto alle sfide economiche, agli imperativi economici e ai
benefici economici per la classe capitalista dominante.
Il
mito del progresso è stato a lungo utilizzato dall’1% per convincere la gente
ad accettare le tecnologie progettate per sfruttarci e controllarci e Schwab
gioca su questo quando dichiara che “la Quarta Rivoluzione Industriale rappresenta una
significativa fonte di speranza per continuare la scalata nello sviluppo umano
che ha portato a un drammatico aumento della qualità della vita per miliardi di
persone dal 1800”.
Con
entusiasmo afferma:
Anche
se può non apparire di grande importanza per chi di noi vive quotidianamente
una serie di piccole ma significative modifiche alla vita, ciò non è un
cambiamento di poco conto: la Quarta Rivoluzione Industriale è un nuovo capitolo dello
sviluppo umano, alla pari con la prima, la seconda e la terza Rivoluzione
Industriale, ed è ancora una volta guidata dalla crescente disponibilità e di
un insieme di straordinarie tecnologie che interagiscono tra loro.
Tuttavia,
egli sa bene che la tecnologia non è ideologicamente neutrale, come alcuni
amano sostenere. Le tecnologie e le società si modellano a vicenda, dice:
Dopo
tutto, le tecnologie sono legate al modo in cui conosciamo le cose, al modo in
cui prendiamo le decisioni e al modo in cui pensiamo a noi stessi e agli altri.
Sono collegate alle nostre identità, alle nostre visioni del mondo e ai nostri
possibili futuri.
Dalle
tecnologie nucleari alla corsa allo spazio, agli smartphone, ai social media,
alle auto, alla medicina e alle infrastrutture, il significato delle tecnologie
le rende politiche. Anche il concetto di nazione ‘sviluppata’ si basa
implicitamente sull’adozione delle tecnologie e su ciò che esse significano per
noi, economicamente e socialmente.
Sostituire
i lavoratori umani ritenuti inutili.
La
tecnologia, per i capitalisti che la sostengono, non ha mai una finalità
sociale, bensì puramente di profitto, e Schwab afferma chiaramente che lo
stesso vale per la sua Quarta Rivoluzione Industriale.
Entusiasticamente
scrive: “Le
tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale sono veramente dirompenti,
stravolgono i modi esistenti di percepire, calcolare, organizzare, agire e
consegnare. Rappresentano modi completamente nuovi di creare valore per le
organizzazioni e i cittadini”.
Qualora
il significato di “creare valore” non fosse chiaro, egli fornisce alcuni esempi:
“I droni rappresentano un nuovo tipo di
lavoratore dipendente che lavora tra di noi e che esegue mansioni che un tempo
coinvolgevano persone reali” e “l’uso di
algoritmi sempre più sofisticati sta rapidamente estendendo la produttività dei
dipendenti, ad esempio, nell’uso dei chat bot per aumentare (e, sempre di più,
sostituire) il supporto della ‘live chat’ per le interazioni con i clienti”.
Tagliare
i costi per incrementare i profitti.
Schwab
entra nel dettaglio delle meraviglie in grado di tagliare i costi e di
incrementare i profitti nel suo mondo nuovo de “La Quarta Rivoluzione
Industriale”.
Spiega:
Prima
di quanto molti si aspettino, il lavoro di svariati professionisti come
avvocati, analisti finanziari, medici, giornalisti, contabili, assicuratori o
bibliotecari potrà essere parzialmente o completamente automatizzato…
La
tecnologia sta progredendo così velocemente che Kristian Hammond, co-fondatore
di Narrative Science, una società specializzata nella generazione automatica
della narrativa, prevede che entro la metà degli anni venti di questo secolo,
il 90% delle notizie potrebbe essere generato da un algoritmo, gran parte di
esse senza alcun tipo di intervento umano (a parte la progettazione
dell’algoritmo, ovviamente).
È
questo imperativo economico che alimenta l’entusiasmo di Schwab per “una
rivoluzione che sta cambiando radicalmente il nostro modo di vivere, lavorare e
relazionarci”.
Schwab,
descrivendo le meraviglie della Quarta Rivoluzione Industriale, insiste sul
fatto che essa sia “diversa da qualsiasi altra cosa che l’umanità abbia mai
sperimentato prima d’ora”.
Tutto
connesso e tutto controllabile
E si
scatena: “Considerate
le possibilità illimitate di avere miliardi di persone collegate a dispositivi
mobili, dando così origine a una potenza di elaborazione, capacità di
memorizzazione e accesso alla conoscenza senza precedenti. Oppure pensate alla
sbalorditiva confluenza di scoperte tecnologiche che stanno emergendo, che
coprono campi molto ampi come l’intelligenza artificiale (IA), la robotica,
l’internet delle cose (IoT), i veicoli autonomi, la stampa 3D, la
nanotecnologia, la biotecnologia, la scienza dei materiali, l’immagazzinamento
dell’energia e il calcolo quantistico, per citarne solo alcuni. Molte di queste
innovazioni sono agli albori, ma stanno già raggiungendo un punto di
inflessione nel loro sviluppo, poiché incrementano e si amplificano l’un
l’altra in una fusione di tecnologie tra il mondo fisico, digitale e biologico”.
Si
augura inoltre un incremento dell’istruzione online, che preveda “l’uso della
realtà virtuale e della realtà aumentata” per “migliorare drasticamente i
risultati educativi” , sensori “installati in case, vestiti e accessori, città,
trasporti e reti energetiche” e città
smart, con le loro importanti “piattaforme di dati”.
“Tutto
sarà smart e connesso a internet”, dice Schwab, e ciò si estenderà anche agli
animali, poiché “i sensori collegati al bestiame possono comunicare tra loro
attraverso una rete di telefonia mobile”.
Adora
l’idea di ” fabbriche di cellule intelligenti” che potrebbero consentire ” la
generazione accelerata di vaccini (anche mortali) ” e ”
tecnologie dei big-data“.
Massima
fiducia agli algoritmi.
Queste,
ci assicura, “offriranno modi nuovi e innovativi per servire i cittadini e i
clienti” e dovremo smettere di opporci
alle imprese che traggono profitto dallo sfruttamento e dalla vendita di
informazioni su ogni aspetto della nostra vita personale.
“Stabilire
la fiducia nei dati e negli algoritmi utilizzati per prendere decisioni sarà
fondamentale”, insiste Schwab. “Le preoccupazioni dei cittadini in merito alla privacy
e all’accertamento della responsabilità nelle strutture aziendali e legali
richiederanno degli aggiustamenti di pensiero”.
In fin
dei conti è chiaro che tutta questa esaltazione tecnologica ruota
esclusivamente intorno al profitto, o “valore” come Schwab preferisce
definirlo nella sua neolingua aziendale del 21° secolo. Così la tecnologia blockchain sarà
fantastica e provocherà “un’esplosione di beni commerciabili, dato che tutti i
tipi di scambio di valore possono essere ospitati sulla blockchain”.
L’uso
della tecnologia da libro mastro distribuito, aggiunge Schwab, “potrebbe
costituire la forza trainante di massicci flussi di valore in prodotti e
servizi digitali, fornendo identità digitali sicure che possono rendere i nuovi
mercati accessibili a chiunque sia connesso a internet”.
In
generale, l’interesse della Quarta Rivoluzione Industriale per l’élite
imprenditoriale dominante consiste nel fatto che essa “creerà fonti di valore
completamente nuove” e “darà vita a
ecosistemi di creazione di valore impossibili da immaginare con una mentalità
bloccata nella terza Rivoluzione Industriale”.
Le
tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale, sviluppate attraverso il 5G, rappresentano una minaccia senza
precedenti per la nostra libertà, come ammette Schwab: “Gli strumenti della
quarta rivoluzione industriale permettono nuove forme di sorveglianza e altri
mezzi di controllo che vanno contro le società sane e aperte”.
Ma
questo non gli impedisce di presentarle sotto una luce positiva, come quando
dichiara che “la criminalità pubblica rischia di diminuire grazie alla convergenza di
sensori, telecamere, IA e software di riconoscimento facciale”.
Nuove
tecnologie al servizio dell’élite miliardaria al comando.
Egli
descrive con una certa soddisfazione come queste tecnologie “possono invadere
lo spazio finora privato della nostra mente, leggendo i nostri pensieri e
influenzando il nostro comportamento”.
Schwab
prevede che:
man
mano che le capacità in questo settore miglioreranno, aumenterà la tentazione
per le forze dell’ordine e i tribunali di utilizzare tecniche per determinare
la probabilità di attività criminali, valutare la colpevolezza o anche
eventualmente recuperare i ricordi direttamente dal cervello delle persone.
Persino l’attraversamento di un confine nazionale potrebbe un giorno comportare
una dettagliata scansione del cervello per valutare il rischio per la sicurezza
di un individuo.
Ci
sono momenti in cui il capo del WEF si lascia trasportare dalla passione per un
futuro fantascientifico in cui “i viaggi umani nello spazio a lunga distanza e la
fusione nucleare saranno all’ordine del giorno”
e in cui “il prossimo modello di business di tendenza” potrebbe implicare che qualcuno “scambi l’accesso ai suoi pensieri per
la possibilità di risparmiare tempo e di scrivere un post sui social media solo
con il pensiero”.
Parlare
di “turismo spaziale” sotto il titolo “La Quarta Rivoluzione Industriale e
l’ultima frontiera” è quasi divertente,
così come la suggestione che “un mondo pieno di droni offre un mondo pieno di
possibilità”.
Il “transumanesimo”
come nuova religione ,comunista -massonica e globalista.
Ma
quanto più il lettore avanza nel mondo rappresentato nei libri di Schwab, tanto
meno esso appare come una cosa da ridere.
La
verità è che questa figura altamente influente, al centro del nuovo ordine
globale in via di costituzione, è un vero e proprio transumanista che sogna la
fine di una vita umana e di una comunità naturale e sana.
Schwab
ripete questo messaggio più e più volte, come per essere sicuro di averci
debitamente avvertiti.
“Le
strabilianti innovazioni scatenate dalla quarta rivoluzione industriale, dalla
biotecnologia all’IA, stanno ridefinendo ciò che significa essere umani”,
scrive.
“Il
futuro metterà alla prova la nostra concezione di ciò che significa essere
umani, sia dal punto di vista biologico che sociale”.
“Già
oggi i progressi delle neuro-tecnologie e delle biotecnologie ci costringono a
chiederci cosa significhi essere umani”.
I
dispositivi tecnologici diventeranno un’estensione del corpo umano
Lo
spiega più dettagliatamente in Shaping the Future of the Fourth Industrial
Revolution:
Le
tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale non si fermeranno a diventare
parte del mondo fisico che ci circonda, ma diventeranno parte di noi.
Infatti,
alcuni di noi sentono già che i nostri smartphone sono diventati un’estensione
di noi stessi. I dispositivi esterni di oggi (dai computer indossabili alle cuffie di
realtà virtuale) diventeranno quasi certamente impiantabili nel nostro corpo e
nel nostro cervello.
Gli
esoscheletri e le protesi aumenteranno la nostra potenza fisica, mentre i progressi
della neuro-tecnologia miglioreranno le nostre capacità cognitive.
Diventeremo più capaci di manipolare i nostri stessi
geni e quelli dei nostri figli. Questi sviluppi sollevano profondi
interrogativi: Dove tracciamo il confine tra l’uomo e la macchina? Cosa significa essere
umani?
(La
proteina Spike -nei nuovi vaccini anti virus- quante stragi potrà causare all’
umanità ?ndr.)
Un’intera
sezione di questo libro è dedicata al tema “Alterare l’Essere Umano” in cui
egli sbava sulla “capacità delle nuove tecnologie di diventare letteralmente
parte di noi” e invoca un futuro di cyborg implicante “curiosi mix di vita
digitale e analogica che ridefiniranno la nostra stessa natura”.
Egli
scrive che “queste tecnologie opereranno all’interno della nostra biologia e
cambieranno il modo in cui ci interfacciamo con il mondo. Esse sono in grado di
superare i confini del corpo e della mente, di migliorare le nostre capacità
fisiche e persino di avere un impatto duraturo sulla vita stessa”.
Il
sogno di Schwab dei microchip sottopelle.
Nessuna
violazione sembra spingersi troppo in là per Schwab, che sogna “microchip attivi impiantabili che
rompono la barriera cutanea del nostro corpo”, “tatuaggi intelligenti”,
“calcolo biologico” e “organismi progettati su misura”.
È
lieto di riferire che “i sensori, gli interruttori di memoria e i circuiti possono
essere codificati nei comuni batteri dell’intestino umano”, che “la Smart Dust, una varietà di
computer completi con antenne, ciascuno molto più piccolo di un granello di
sabbia, possono ora organizzarsi all’interno del corpo” e che “i dispositivi
impiantati contribuiranno probabilmente anche a comunicare pensieri normalmente
espressi verbalmente attraverso uno smartphone ‘incorporato’, così come
pensieri o stati d’animo potenzialmente inespressi, attraverso la lettura di
onde cerebrali e altri segnali”.
La
“biologia sintetica” è all’orizzonte nel mondo della Quarta Rivoluzione Industriale
di Schwab e darà ai governanti capitalisti tecnocratici del mondo “la possibilità
di personalizzare gli organismi scrivendo il DNA”.
L’idea
di neuro-tecnologie, in cui gli esseri umani avranno ricordi completamente
artificiali impiantati nel cervello, è sufficiente per far venire il
voltastomaco ad alcuni di noi, così come “la prospettiva di collegare il nostro
cervello alla realtà virtuale attraverso modem corticali, impianti o nano-bot”.
È di
poco conforto sapere che questo è tutto (naturalmente!) nell’interesse del
profitto capitalistico, poiché “preannuncia nuove industrie e sistemi per la
creazione di valore” e “rappresenta un’opportunità per creare sistemi di valore
completamente nuovi nella Quarta Rivoluzione Industriale”.
E che
dire della “biostampa
di tessuti organici” o del suggerimento
che “gli
animali potrebbero essere potenzialmente ingegnerizzati per produrre farmaci e
altre forme di trattamento”?
Qualcuno
vuole sollevare obiezioni di carattere etico?
La
megalomania di Schwab si allarga anche al mondo animale.
Tutto
ciò è evidentemente positivo per Schwab, che è felice di annunciare che
il
giorno in cui le mucche saranno progettate per produrre nel loro (sic) latte un
elemento per la coagulazione del sangue, di cui gli emofiliaci difettano, non è
lontano. I
ricercatori hanno già iniziato a progettare i genomi dei maiali con l’obiettivo
di sviluppare organi adatti al trapianto umano.
E il
tutto diventa ancora più inquietante: sin dal sinistro programma di
eugenetica della Germania nazista in cui nacque Schwab, questa scienza è stata considerata
inaccettabile dalla società umana, ma ora, però, evidentemente, egli sente che
l’eugenetica meriti una rivalutazione, quando annuncia, in merito all’editing
genetico che :
il
fatto che ora sia molto più facile manipolare con precisione il genoma umano
all’interno di embrioni vitali, comporta la possibilità che in futuro vedremo
l’avvento di bambini frutto di design che possiedono particolari
caratteristiche o che sono resistenti a una specifica malattia.
Nel
famigerato trattato transumanista del 2002 “ I, Cyborg “, Kevin Warwick prevede
che:
gli
esseri umani saranno in grado di evolversi sfruttando la super-intelligenza e
le abilità aggiuntive offerte dalle macchine del futuro, unendosi ad esse.
Tutto ciò indica verso lo sviluppo di una nuova specie umana, conosciuta nel
mondo della fantascienza come “cyborg”. Questo non significa che tutti debbano diventare cyborg.
Se
siete soddisfatti del vostro stato di esseri umani, allora così sia, potete
rimanere come siete. Ma attenzione: proprio come noi umani ci siamo
separati dai nostri cugini scimpanzé anni fa, così i cyborg si separeranno
dagli umani.
Coloro
che rimangono umani probabilmente diventeranno una sottospecie. Saranno, in
effetti, gli scimpanzé del futuro.
Un’élite
artificiale transumana. Schwab sembra accennare allo stesso futuro di un’élite
artificiale transumana “superiore” e potenziata che si separa dalla marmaglia
nata in modo naturale, in questo passaggio particolarmente maledetto del “La Quarta Rivoluzione Industriale
scrive che “siamo alle soglie di un radicale cambiamento sistemico che richiede
agli esseri umani di adattarsi continuamente.
Di
conseguenza, potremmo assistere a un crescente grado di polarizzazione nel
mondo, segnato da coloro che abbracciano il cambiamento da una parte, contro
coloro che vi si oppongono dall’altra.
“Questo
darà origine a una disuguaglianza che va oltre quella sociale descritta in
precedenza. Questa disuguaglianza ontologica separerà chi si adatta da chi resiste, i
vincenti dai perdenti materiali in tutti i sensi delle parole. I vincenti potrebbero anche
beneficiare di una qualche forma di miglioramento umano radicale generato da
alcuni segmenti della quarta rivoluzione industriale (come l’ingegneria
genetica) di cui i perdenti saranno privati.
Questo
rischia di creare conflitti di classe e altri scontri, totalmente diversi da
quelli visti prima d’ora”.
Schwab
aveva già parlato di una “grande trasformazione” nel 2016 ed è chiaramente determinato a fare tutto ciò che è in
suo potere per realizzare il suo mondo artificiale transumanista di ispirazione
eugenetica, della sorveglianza, del controllo e del profitto esponenziale.
Tuttavia,
come rivela il suo riferimento ai “conflitti di classe” di cui sopra, è chiaramente preoccupato dalla possibilità di “resistenza sociale” e da come procedere “se le tecnologie
riceveranno una grande resistenza da parte del pubblico”.
Gli
incontri annuali del WEF di Schwab a Davos sono stati a lungo accolti da
proteste anticapitaliste e, nonostante l’attuale paralisi della sinistra
radicale, egli
è ben consapevole della possibilità di una rinnovata e forse più ampia
opposizione al suo progetto, con il rischio di “risentimento, paura e
contraccolpi politici”.
Nel
suo libro più recente fornisce un contesto storico, sottolineando che “l’antiglobalismo è stato forte nel
periodo precedente al 1914 e fino al 1918, poi è diminuito durante gli anni
Venti, ma si è riacceso negli anni Trenta in seguito alla Grande Depressione”.
Egli
osserva che all’inizio degli anni 2000 “il contraccolpo politico e sociale
contro la globalizzazione si è rafforzato senza sosta”, afferma che negli ultimi due anni il ” malcontento sociale” si è
diffuso in tutto il mondo, citando i Gilet Gialli in Francia tra i vari
movimenti, e invoca lo “scenario cupo” che “potrebbe verificarsi di nuovo”.
Dunque
come può un onesto tecnocrate realizzare il suo futuro ideale per il mondo
senza il consenso dell’opinione pubblica mondiale? Come possono Schwab e i suoi amici
miliardari imporre la società da loro auspicata al resto del mondo?
Creare
una narrazione unica.
Una
soluzione è attraverso un’incessante propaganda e lavaggio del cervello che i
mass media e il mondo accademico di proprietà dell’1% dell’élite (ciò che a
loro piace chiamare “una narrazione”).
Per
Schwab, la
riluttanza della maggioranza dell’umanità a salire a bordo del treno verso la quarta rivoluzione industriale rispecchia la tragica circostanza che
“al mondo
manca una narrazione coerente, positiva e comune che delinei le opportunità e
le sfide della quarta rivoluzione industriale, una narrazione che è essenziale se
vogliamo dare forza a un insieme diversificato di individui e comunità ed evitare un contraccolpo popolare contro i cambiamenti radicali in
corso”.
E
aggiunge che “è quindi fondamentale investire attenzione ed energia nella cooperazione
multilaterale al di là dei confini accademici, sociali, politici, nazionali e
industriali. Queste interazioni e collaborazioni sono necessarie per creare narrazioni
positive,
comuni e piene di speranza, che consentano a individui e gruppi di tutte le
parti del mondo di partecipare alle trasformazioni in corso e di trarne
vantaggio”.
Internet:
l’arma che vuole utilizzare il tecno-imperialismo globale nazi-fascista , massonico
-comunista.
Una di
queste “narrazioni” occulta le ragioni per cui la tecnologia della quarta
rivoluzione industriale deve essere installata ovunque nel mondo il più presto
possibile.
Schwab
è frustrato dal fatto che “più della metà della popolazione mondiale (circa 3,9 miliardi
di persone) non possa ancora accedere a Internet”, con l’85% della popolazione dei Paesi in via
di sviluppo che rimane offline e quindi irraggiungibile, differentemente dal
22% del mondo sviluppato.
L’obiettivo
reale della Quarta Rivoluzione Industriale è quello di sfruttare queste
popolazioni a scopo di lucro attraverso il tecno-imperialismo globale, ma
ovviamente questo non può essere dichiarato nella “narrazione” propagandistica
necessaria per vendere il piano.
La
loro missione deve invece essere presentata, come fa lo stesso Schwab, come un tentativo di “sviluppare tecnologie e sistemi che
servano a distribuire valori economici e sociali come il reddito, le
opportunità e la libertà a tutti i portatori di interesse”.
Si
atteggia devotamente a guardiano dei valori liberali illuminati, dichiarando
che pensare in modo inclusivo va oltre il pensare alla povertà o alle comunità
emarginate semplicemente come un’aberrazione, ma a qualcosa che possiamo
risolvere.
Ci
costringe a realizzare che “i nostri privilegi si trovano sullo stesso piano della loro
sofferenza” e va al di là del reddito e dei diritti, anche se questi rimangono
importanti. Attraverso l’inclusione degli stakeholder e la distribuzione dei
benefici si ampliano le libertà per tutti”.
La
stessa tecnica, di una finta “narrazione” progettata per ingannare i cittadini
benpensanti a sostenere uno schema capitalista imperialista, è stata ampiamente
utilizzata per quanto riguarda il cambiamento climatico.
Il
ruolo di Greta Thunberg.
Schwab
è
chiaramente un grande fan di Greta Thunberg, la quale non aveva nemmeno fatto
in tempo ad alzarsi dal marciapiede dopo la sua protesta a Stoccolma, che è stata subito spedita a Davos
per parlare al WEF.
È
altresì un sostenitore della proposta di un globale New Deal for Nature, in particolare attraverso il
programma Voice
for the Planet, che è stato lanciato al WEF di Davos nel 2019 dai Global Shapers, un’organizzazione giovanile creata da Schwab nel 2011 e giustamente descritta dal
giornalista investigativo Cory Morningstar come “una grottesca esibizione di abuso
aziendale mascherata come qualcosa di positivo”.
Nel
suo libro del 2020, Schwab illustra il modo in cui il finto “attivismo giovanile”
viene utilizzato per promuovere i suoi personali obiettivi capitalistici.
Scrive,
in un passaggio estremamente franco che “l’attivismo giovanile sta aumentando
in tutto il mondo, essendo stato rivoluzionato dai social media che aumentano
la mobilitazione in una misura che prima sarebbe stata impossibile.
Esso
assume molte forme diverse, dalla partecipazione politica non
istituzionalizzata alle manifestazioni e alle proteste, e affronta questioni
diverse come il cambiamento climatico, le riforme economiche, l’uguaglianza di genere e i diritti
LGBTQ. La
giovane generazione è saldamente all’avanguardia del cambiamento sociale. Non
c’è dubbio essa che sarà il catalizzatore del cambiamento e la leva per un
momento cruciale per il Grande Reset”.
In
realtà, ovviamente, il futuro ultra-industriale proposto da Schwab sarà
tutt’altro che verde. Non è la natura che gli interessa, ma il “capitale naturale” e
“l’incentivazione degli investimenti nei mercati della frontiera verde e
sociale”.
Cambiamento
climatico: un’opportunità di business.
Inquinamento
equivale a profitto e la crisi ambientale è solo un’altra opportunità di
business, come
spiega in dettaglio ne “La Quarta Rivoluzione Industriale”:
in
questo nuovo
rivoluzionario sistema industriale, l’anidride carbonica si trasformerà da
inquinante ad effetto serra in un bene, e l’economia della cattura e dello
stoccaggio del carbonio passerà dall’essere un costo, così come i pozzi di assorbimento
dell’inquinamento, a diventare proficuo per la raccolta e l’utilizzo di carbonio e per la produzione.
Ancora
più importante: ciò aiuterà le aziende, i governi e i cittadini a diventare più
consapevoli e impegnati in strategie per rigenerare attivamente il capitale
naturale, permettendo usi intelligenti e rigenerativi del capitale naturale per
guidare la produzione e il consumo sostenibili e dare spazio alla biodiversità
per la ripresa in aree compromesse”. Le “soluzioni” di Schwab per i danni
strazianti inflitti al nostro mondo naturale dal capitalismo industriale
consistono nello stesso veleno, se non peggio.
La
geoingegneria è uno dei suoi cavalli di battaglia: “le proposte includono l’installazione di specchi giganti
nella stratosfera per deviare i raggi del sole, la semina chimica dell’atmosfera per
aumentare le precipitazioni e il dispiegamento di grandi macchine per rimuovere
l’anidride carbonica dall’aria”.
E poi
aggiunge: “attualmente
si stanno immaginando nuovi approcci attraverso la combinazione di tecnologie
della Quarta Rivoluzione Industriale, come le nanoparticelle e altri materiali
avanzati”.
Come
tutte le imprese e le ONG pro-capitaliste che sostengono il messo in pericolo New Deal for Nature, Schwab è completamente e
profondamente “non-green”.
Per
lui, la “possibilità ultima” di un’energia “pulita” e “sostenibile” comprende
la fusione nucleare. Egli attende con ansia
il giorno in cui i satelliti “copriranno tutto il pianeta con percorsi di comunicazione che
potrebbero aiutare a collegare gli oltre 4 miliardi di persone ancora prive di
accesso online”.
Schwab
vuole avvalersi degli OGM.
Schwab
inoltre si rammarica molto di tutta quella burocrazia che impedisce
l’avanzamento senza ostacoli degli alimenti geneticamente modificati,
avvertendo che “la sicurezza alimentare globale sarà raggiunta, tuttavia, solo se le
norme sugli alimenti geneticamente modificati saranno adattate per dimostrare
che la modificazione genetica offre un metodo preciso, efficiente e sicuro per
migliorare le colture”. Il nuovo ordine previsto da Schwab abbraccerà il mondo intero
e quindi è necessaria una governance globale per imporlo, come egli afferma
ripetutamente.
Il suo
futuro preferito “si realizzerà solo attraverso una migliore governance
globale” insiste. “È necessaria una
qualche forma di governance globale
efficace” .
Il
problema che abbiamo oggi è quello di un possibile “deficit di ordine globale”, afferma, aggiungendo inverosimilmente che l’Organizzazione Mondiale della
Sanità “è gravata da risorse limitate e in diminuzione”.
Quello
che in realtà sta dicendo è che la sua società del grande reset e della quarta
rivoluzione industriale funzionerà solo se imposta simultaneamente in tutto il
pianeta, altrimenti “rimarremo paralizzati nei nostri tentativi di affrontare e
rispondere alle sfide globali”.
Egli
ammette che “in poche parole, la governance globale il nesso di tutte queste altre
questioni”.
Questo
che ingloba tutto disapprova molto l’idea che una particolare popolazione
decida democraticamente
di intraprendere
un’altra strada. Tali popolazioni “rischierebbero di rimanere isolate dalle norme globali,
mettendo queste nazioni a rischio di diventare i ritardatari della nuova
economia digitale”, avverte Schwab.
Cancellare
identità e strutture familiari.
Ogni
senso di autonomia e di attaccamento alle radici è considerato una minaccia dal
punto di vista imperialista di Schwab e deve essere sradicato con la quarta
rivoluzione industriale.
Scrive
così:
Gli
individui erano soliti identificare la loro vita più da vicino con un luogo, un
gruppo etnico, una particolare cultura o anche una lingua. L’avvento del
coinvolgimento online e la maggiore esposizione alle idee di altre culture
fanno sì che le identità siano ora più fungibili rispetto al passato… Grazie
alla combinazione di modelli migratori storici e di connettività a basso costo,
si stanno ridefinendo le strutture familiari.
La
democrazia vera e propria rientra essenzialmente nella stessa categoria per
Schwab. Egli
sa che la maggior parte delle persone non accetterà di buon grado i piani per distruggere le loro vite
e renderle schiave di un sistema globale di sfruttamento tecno-nazi-fascista,
quindi la possibilità dare loro voce in capitolo è semplicemente esclusa.
Per
questo motivo il concetto di “stakeholder” è stato così importante per il
progetto di Schwab. Come già discusso in precedenza, si tratta della negazione della
democrazia, con l’accento posto invece sul “raggiungere i gruppi di stakeholder per
la costruzione di soluzioni”.
Se il
pubblico, le persone, sono incluse in questo processo ciò avviene meramente a
livello superficiale. Il programma è già stato pre-ipotizzato e le decisioni sono
state già prese dietro le quinte.
Schwab lo ammette efficacemente quando scrive:
“dobbiamo
ristabilire un dialogo tra tutti gli stakeholder per garantire una comprensione
reciproca che costruisca ulteriormente una cultura di fiducia tra le autorità
di regolamentazione, le organizzazioni non governative, i professionisti e gli
scienziati.
Anche
il pubblico deve essere preso in considerazione, perché deve partecipare alla
formazione democratica degli sviluppi biotecnologici che riguardano la società,
gli individui e le culture”.
Il
concetto di leadership di sistema.
Quindi
“anche” il pubblico deve essere considerato, in un secondo momento. Nemmeno
consultato direttamente, solo “considerato”! E il ruolo del popolo, il demos, sarà solo quello di “partecipare”
alla “formazione” degli sviluppi biotecnologici. La possibilità
che il pubblico respinga di fatto l’idea stessa di sviluppo biotecnologico è
stata completamente eliminata grazie ai presupposti volutamente costruiti con
la formula degli stakeholder.
Lo
stesso messaggio è implicito nel titolo della conclusione di Schwab in “Shaping the Future of the Fourth
Industrial Revolution:What You Can Do to Shape the Fourth Industrial Revolution . La tecno-tirannia non può essere
messa in discussione o fermata, semplicemente “plasmata” (shaped).
Schwab
usa il termine “leadership di sistema” per descrivere il modo profondamente antidemocratico in cui
l’1% impone la sua agenda a tutti noi, senza darci la possibilità di dire “no”.
Egli
scrive che “la leadership dei sistemi consiste nel coltivare una visione condivisa
del cambiamento, lavorare insieme a tutti gli stakeholder della società globale
e poi agire su di essa per cambiare il modo in cui il sistema offre i suoi
benefici e a chi li offre. La leadership di sistema richiede l’azione di tutti gli
stakeholder, inclusi gli individui, i dirigenti d’azienda, gli influencer
sociali e i decisori politici”.
Egli
definisce a questo controllo a tutto spettro dall’alto verso il basso come “la gestione del sistema
dell’esistenza umana” , sebbene altri potrebbero preferire il termine “totalitarismo“.
Uno
dei tratti distintivi del nazi-fascismo storico in Italia e in Germania era la
sua insofferenza per le scomode restrizioni imposte alla classe dirigente (“la
Nazione” in linguaggio nazi- fascista) dalla democrazia e dal liberalismo
politico.
Tutto
questo doveva essere spazzato via per consentire una Blitzkrieg di
“modernizzazione” accelerata.
Vediamo
riaffiorare lo stesso spirito negli appelli di Schwab per una “governance agile” in cui egli sostiene che “il passo dello sviluppo tecnologico e
di una serie di caratteristiche delle tecnologie rendono inadeguati i cicli e i
processi politici precedenti”.
Le
strutture sociali saranno al servizio del capitalismo globalista.
Egli
scrive che “l’idea di riformare i modelli di governance per far fronte alle
nuove tecnologie non è nuova, ma l’urgenza di farlo è di gran lunga maggiore
alla luce della potenza delle tecnologie emergenti di oggi… il concetto di governance agile cerca di abbinarsi con l’agilità, la
fluidità, la flessibilità e l’adattabilità delle tecnologie stesse e degli
attori del settore privato che le adottano”.
L’espressione
“riformare
i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie” svela la vera essenza della
questione. Come
nel nazi-fascismo, le strutture sociali devono essere reinventate in modo da
soddisfare le esigenze del capitalismo e delle sue tecnologie generatrici di
profitto.
Schwab
spiega che la sua ” governance agile” comporterebbe la creazione di
cosiddetti laboratori
di politica:
spazi
protetti all’interno del governo con un esplicito mandato di sperimentare nuovi metodi di sviluppo delle
politiche utilizzando principi agili che incoraggino la collaborazione tra
governi e imprese per creare ‘sandbox di sviluppo’ e ‘banchi di prova sperimentali’ per
sviluppare normative che utilizzino approcci iterativi, intersettoriali e
flessibili.
Per
Schwab, il ruolo dello Stato è quello di far progredire gli obiettivi capitalistici globalisti,
non di
tenerli sotto controllo in alcun modo.
Sebbene
egli sia del tutto favorevole al ruolo dello Stato nel consentire
l’acquisizione della nostra vita da parte delle imprese, è meno interessato
alla sua funzione di regolamentazione, che potrebbe rallentare l’afflusso di
profitti nelle mani dei privati, e quindi prevede “lo sviluppo di ecosistemi di
regolatori privati, in competizione sui mercati”.
La
simulazione della “pandemia fittizia”.
Nel
suo libro del 2018, Schwab affronta il problema delle normative moleste e di come
“superare questi limiti” nel campo dei dati e della privacy.
Egli
propone “accordi
di condivisione dei dati tra pubblico e privato che “rompono il vetro in caso
di emergenza”.
Questi
entrerebbero in gioco solo in circostanze di emergenza pre-concordate (come una
pandemia) e possono contribuire a ridurre i ritardi e a migliorare il
coordinamento dei paramedici, consentendo temporaneamente una condivisione dei
dati che in circostanze normali sarebbe illegale”.
Curiosamente
(?), due anni dopo c’è stata effettivamente una “pandemia” e queste
“circostanze di emergenza pre-concordate” sono diventate realtà.
Ciò
non deve essere stato una sorpresa per Schwab, visto che il suo WEF era tra gli
organizzatori della famigerata conferenza “Event 201” dell’ottobre 2019, in cui
fu simulata una pandemia di coronavirus fittizia.
Così
ha perso poco tempo per far uscire un nuovo libro, “Covid-19: The Great Reset”, realizzato in collaborazione con Thierry Malleret, che gestisce qualcosa chiamato “The Monthly Barometer”, “una succinta analisi predittiva
fornita agli investitori privati, ai CEO, ai decisori e agli opinion maker
globali”.
Pubblicato
nel luglio 2020, il libro si propone di partorire “congetture e idee su come
potrebbe e forse dovrebbe apparire il mondo post-pandemico”.
Schwab
e Malleret ammettono che il Covid-19 è “una delle pandemie meno mortali che
il mondo abbia conosciuto negli ultimi 2000 anni”, aggiungendo che “le conseguenze di COVID-19 in termini
di salute e mortalità saranno miti rispetto alle pandemie precedenti”.
E
aggiungono che “essa non costituisce una minaccia esistenziale, né uno shock che lascerà
la sua impronta sulla popolazione mondiale per decenni”.
Eppure,
incredibilmente, questa “lieve” malattia viene presentata contemporaneamente
come la scusa per un cambiamento sociale senza precedenti all’insegna del
“Grande Reset”!
E
sebbene dichiarino esplicitamente che il Covid-19 non costituisce un grande
“shock”, gli autori usano ripetutamente lo stesso termine per descrivere
l’impatto più ampio della crisi.
Il
Covid come strumento per facilitare i cambiamenti.
Schwab
e Malleret collocano il Covid-19 in una lunga tradizione di eventi che hanno
facilitato cambiamenti improvvisi e significativi nelle nostre società.
In
particolare evocano la Seconda Guerra Mondiale:
la
Seconda Guerra Mondiale è stata la quintessenza della guerra di trasformazione, innescando non solo cambiamenti
fondamentali nell’ordine globale e nell’economia globale, ma anche cambiamenti
radicali negli atteggiamenti e nelle credenze sociali che alla fine hanno
aperto la strada a politiche e disposizioni da contratto sociale radicalmente
nuove (come
l’ingresso delle donne nella forza lavoro prima di acquisire il diritto di
voto).
Ci
sono ovviamente differenze fondamentali tra una pandemia e una guerra (che considereremo in modo più
dettagliato nelle pagine seguenti), ma l’entità del loro potere di
trasformazione è paragonabile. Entrambe hanno il potenziale per essere una crisi
trasformativa di proporzioni inimmaginabili in precedenza.
Si
aggiungono anche al coro di molti “teorici della complotto” contemporanei nel
fare un confronto diretto tra il Covid-19 e l’11 settembre:
“questo
è quanto è successo dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001: in
tutto il mondo, nuove misure di sicurezza come l’impiego diffuso di telecamere,
la richiesta di carte d’identità elettroniche e la registrazione dei dipendenti
o dei visitatori in entrata e in uscita sono diventate la norma. All’epoca
queste misure erano considerate estreme, ma oggi sono utilizzate ovunque e
considerate “normali”.
Quando
qualsivoglia
tiranno dichiara il proprio diritto di governare su un popolo senza tener conto delle
sue opinioni, ama giustificare la propria dittatura con la pretesa di avere il
diritto morale di farlo perché egli è “illuminato”.
Lo
stesso vale per la tirannia alimentata dal Covid del Grande Reset di Schwab,
che il libro classifica come “leadership illuminata”, aggiungendo:
“Alcuni
leader e decisori che erano già in prima linea nella lotta contro il
cambiamento climatico potrebbero voler approfittare dello shock inflitto dalla
pandemia per attuare cambiamenti ambientali più ampi e duraturi. Essi, in
effetti, faranno “buon uso” della pandemia non lasciando che la crisi vada
sprecata”.
Niente
tornerà come prima!
L’élite
capitalistica mondiale al potere ha certamente fatto del suo meglio per “approfittare dello shock provocato
dal panico”, assicurando tutti noi fin dai primi giorni dell’epidemia che, per qualche
imperscrutabile ragione, niente nella nostra vita tornerà come prima.
Schwab
e Malleret sono,
inevitabilmente, entusiasti dell’uso del termine “nuova normalità, nonostante abbiano
ammesso che il virus è stato sempre e solo “blando”.
“È il
nostro momento decisivo”, esclamano. “Molte cose cambieranno per sempre”. “Un
nuovo mondo emergerà”. “Lo sconvolgimento sociale scatenato da COVID-19 durerà
per anni, e forse per generazioni”. “Molti di noi stanno pensando a quando le
cose torneranno alla normalità. La risposta immediata è: mai”.
Arrivano
persino a proporre una nuova separazione storica tra “l’era pre-pandemica” e “il mondo
post-pandemico”.
Scrivono
che “cambiamenti
radicali di tale conseguenza che alcuni esperti arrivano a riferirsi ad un’era
‘prima del coronavirus’ (A.C.) e ‘dopo il coronavirus’ (D.C.).
Continueremo
a rimanere sorpresi sia dalla rapidità che dalla natura inaspettata di questi
cambiamenti, poiché essi si fondono l’uno con l’altro, provocando conseguenze
di secondo, terzo, quarto ordine e oltre, effetti a cascata ed esiti imprevisti.
Così
facendo, daranno forma ad una “nuova normalità” radicalmente diversa da quella
che ci lasceremo progressivamente alle spalle. Molte delle nostre convinzioni e
delle nostre assunzioni su come il mondo potrebbe o dovrebbe apparire saranno distrutte
in questo processo”.
Il
Reset ambientale.
Già
nel 2016, Schwab puntava a “nuovi modi di usare la tecnologia per cambiare il
comportamento” e prevedeva che “la
portata e l’ampiezza della rivoluzione tecnologica in corso porterà a cambiamenti
economici, sociali e culturali di proporzioni così fenomenali da essere quasi
impossibili da pronosticare”.
Un
modo in cui aveva sperato di far avanzare la sua agenda tecnocratica era, come
abbiamo notato, attraverso le false “soluzioni” al cambiamento climatico proposte dai
capitalisti falsamente green.
Sotto
il titolo “Reset ambientale”, Schwab e Malleret dichiarano: “a prima vista, la pandemia e l’ambiente potrebbero sembrare solo cugini
imparentati alla lontana; ma sono molto più vicini e più intrecciati di quanto
si pensi”.
Una
delle connessioni è che sia la “crisi climatica” che quella del virus sono
state usate dal WEF e da loro simili per spingere la loro agenda di governance
globale.
Come
hanno affermato Schwab e il suo coautore, “esse hanno una natura globale e quindi possono essere
affrontate in modo adeguato solo in modo coordinato a livello globale”.
Un
altro collegamento è il modo in cui “l’economia post-pandemica” e “l’economia
verde” comportano ingenti profitti per
la gran parte agli stessi settori del grande business.
Il
Covid-19 è stata evidentemente una grande notizia per quei capitalisti che
speravano di incassare sulla distruzione dell’ambiente, con Schwab e Malleret a dire che “la convinzione che le strategie del Gruppo Esecutivo abbiano beneficiato della pandemia e
che abbiano maggiori probabilità di beneficiarne ulteriormente è corroborata da
vari sondaggi e rapporti. I primi dati mostrano che nel primo trimestre del
2020 il settore della sostenibilità ha superato quello dei fondi
convenzionali”.
Gli
squali capitalisti globalisti del cosiddetto “settore della sostenibilità” si
stanno fregando le mani con gioia alla prospettiva di tutti i soldi che stanno
per fare con il Grande Reset nazi-fascista di attuato con il pretesto del Covid, in cui lo Stato è reso strumento
per finanziare il loro ipocrita affarismo.
Schwab
e Malleret notano che “la chiave per gonfiare il capitale privato con nuove fonti
di valore economico nature-positive sarà quella di spostare le principali leve
politiche e gli incentivi della finanza pubblica nell’ambito di un più ampio
reset economico”.
“Un
documento politico preparato da Systemiq in collaborazione con il World Economic Forum stima che la costruzione di un’economia nature-positive potrebbe valere più di 10 trilioni di dollari all’anno entro
il 2030… Il reset dell’ambiente non dovrebbe
essere visto come un costo, ma piuttosto come un investimento che genererà
attività economica e opportunità di lavoro”.
Il
Covid è stato un incredibile acceleratore di cambiamenti già in atto.
Dato
l’intreccio tra la crisi climatica e quella del Covid esposto da Schwab, si
potrebbe ipotizzare che il piano originario fosse quello di attuare il reset della
“nuova normalità” tramite la crisi climatica.
Ma
evidentemente, tutta la pubblicità per Greta Thunberg e per il movimento “Extincion Rebellion”, sostenuto dalle grandi imprese, non ha suscitato abbastanza panico
nell’opinione pubblica da giustificare tali misure.
Il
Covid-19 serve perfettamente ai propositi di Schwab, poiché l’urgenza immediata
che presenta permette di accelerare e velocizzare l’intero processo senza
controllo.
“Questa
differenza cruciale tra i rispettivi orizzonti temporali di una pandemia e
quelli del cambiamento climatico e della perdite della natura significa che il
rischio di una pandemia richiede un’azione immediata, seguita da un risultato
rapido, mentre il cambiamento climatico e la perdite della natura richiedono sì
anch’essi un’azione immediata, ma il risultato (o ‘ricompensa futura’, nel
gergo degli economisti) seguirà solo con un certo ritardo”.
Per
Schwab e i suoi amici, il Covid-19 è il grande acceleratore di tutto ciò che da
anni vogliono imporci.
Come
affermano lui e Malleret, “la pandemia sta chiaramente esacerbando e accelerando le
tendenze geopolitiche che erano già evidenti prima dello scoppio della crisi”.
“La
pandemia segnerà una svolta accelerando questa transizione. Essa ha
cristallizzato la questione e reso impossibile il ritorno allo status quo
pre-pandemico”.
Riescono
a malapena a nascondere la loro gioia per la direzione che la società sta prendendo:
“la
pandemia accelererà ancora di più l’innovazione, catalizzando i cambiamenti
tecnologici già in atto ( è paragonabile all’effetto esacerbante che ha avuto
su altre questioni globali e nazionali di fondo) e “mettendo il turbo” a
qualsiasi business digitale e alla dimensione digitale di qualsiasi business”.
“Con
la pandemia, la ‘trasformazione digitale’ di cui tanti analisti si occupano da
anni, senza essere esattamente sicuri di cosa significhi, ha trovato il suo
catalizzatore. Uno dei principali effetti del confinamento sarà l’espansione e la
progressione del mondo digitale in modo decisivo e spesso permanente.
“Nell’aprile
del 2020, diversi leader del Big Tech hanno osservato quanto rapidamente e
radicalmente le necessità create dalla crisi sanitaria abbiano accelerato
l’adozione di una vasta gamma di tecnologie. Nell’arco di un solo mese, è
apparso che molte aziende in termini di adozione delle tecnologie siano balzate
avanti di diversi anni”.
Il
destino sta chiaramente sorridendo a Klaus Schwab, poiché questa crisi del
Covid-19 è riuscita a far avanzare, per sua fortuna, praticamente ogni aspetto
dell’agenda che egli ha promosso nel corso dei decenni.
E così
lui e Malleret riportano con soddisfazione che “la pandemia accelererà l’adozione
dell’automazione sul posto di lavoro e l’introduzione di un maggior numero di
robot nella nostra vita personale e professionale”.
Lo
sviluppo del commercio online.
I
Lockdown in tutto il mondo hanno, inutile dirlo, fornito un grande impulso finanziario
alle aziende che offrono shopping online.
Gli
autori raccontano che “i consumatori hanno bisogno di prodotti e, se non possono
fare acquisti, inevitabilmente ricorreranno all’acquisto online. Man mano che l’abitudine prende
piede, le persone che non avevano mai fatto acquisti online prima d’ora si
sentiranno più a loro agio a farli, mentre le persone che prima facevano
acquisti online solo parzialmente faranno presumibilmente più affidamento su di
essi.
Questo
è stato reso evidente durante i lockdown. Negli Stati Uniti, Amazon e Walmart
hanno assunto complessivamente 250.000 lavoratori per tenere il passo con
l’aumento della domanda e hanno costruito enormi infrastrutture per la
fornitura online. Questa crescita accelerata dell’e-commerce significa che i giganti dell’industria del
commercio al dettaglio online usciranno probabilmente dalla crisi ancora più
forti di quanto non fossero nell’era pre-pandemica”.
E
aggiungono: “man mano che sempre più beni e servizi ci vengono forniti attraverso i
nostri cellulari e computer, le aziende di settori così diversi come
l’e-commerce, le operazioni contactless, i contenuti digitali, i robot e le
consegne via drone (per citarne solo alcuni) prospereranno. Non è un caso che
aziende come Alibaba, Amazon, Netflix o Zoom siano emerse come ‘vincitrici’ dai
lockdown”.
A
titolo di corollario, potremmo ipotizzare che non è “per caso” che i governi
che sono stati conquistati e controllati dalle grandi imprese, grazie a
soggetti del calibro del WEF, è stata imposta una “nuova realtà” sotto la quale
le grandi imprese sono le “vincitrici”…
Le
buone notizie ispirate dal Covid non si fermano mai per tutti quei comparti
aziendali che possono beneficiare della “Quarta Repressione Industriale”.
“La
pandemia può rivelarsi una manna per l’istruzione online”, riportano Schwab e
Malleret.
“In
Asia, il passaggio all’istruzione online è stato particolarmente notevole, con
un forte aumento delle iscrizioni digitali degli studenti, una valutazione
molto più alta per le imprese di educazione online e più capitale disponibile
per le start-up dello ed-tech… Nell’estate del 2020, la tendenza sembra chiara:
il mondo dell’istruzione, come per tanti altri settori, diventerà in parte
virtuale”.
Anche
gli sport online sono decollati: “per un certo periodo, il distanziamento sociale può
limitare la pratica di alcuni sport, il che a sua volta andrà a beneficio della
sempre più potente espansione degli sport elettronici. La tecnologia e il
digitale non sono mai distanti!”.
Ci
sono notizie simili dal settore bancario: “le interazioni bancarie online sono
aumentate del 90% durante la crisi, dal 10%, senza alcun calo di qualità e con
un aumento della regolarità”.
L’automazione
come opportunità di risparmio delle
imprese.
Il
passaggio all’attività online, ispirato dal Covid, va ovviamente a vantaggio
della Big Tech, che sta ottenendo enormi profitti dalla crisi, come descrivono
gli autori:
“il valore di mercato combinato delle aziende leader del settore tecnologico ha
raggiunto record su record durante i lockdown, risalendo addirittura al di
sopra dei livelli di prima dello scoppio dell’epidemia… è improbabile che
questo fenomeno si attenui in tempi brevi, anzi, è probabile che si verifichi
piuttosto il contrario”.
Ma ci
sono buone notizie anche per tutte le imprese coinvolte, che non devono più
pagare gli esseri umani per lavorare per loro. L’automazione è, ed è sempre stata,
un risparmio di costi e quindi un aumento dei profitti per l’élite capitalista globalista
.
“La
pandemia aumenterà certamente la nostra attenzione per l’igiene. Una nuova ossessione per la pulizia
comporterà in particolare la creazione di nuove forme di imballaggio. Saremo incoraggiati a non toccare i
prodotti che acquistiamo. Semplici piaceri come annusare un melone o spremere un frutto
saranno disapprovati e potrebbero addirittura diventare un ricordo del
passato”.
Gli
autori descrivono anche ciò che appare molto simile a un’agenda tecnocratica
legata al profitto dietro al “distanziamento sociale” che è stato un elemento chiave del
“reset” del Covid.
Essi
scrivono che “in una maniera o nell’altra, è probabile che le misure di distanziamento
fisico e sociale persistano dopo che la pandemia stessa si sarà placata,
giustificando la decisione di molte aziende di diversi settori industriali di
accelerare l’automazione.
Dopo
un po’ di tempo, le persistenti preoccupazioni per la disoccupazione tecnologica si
ridurranno,
poiché le società sottolineeranno il bisogno di ristrutturare i luoghi di lavoro
in modo da ridurre al minimo lo stretto contatto umano. Infatti, le tecnologie di
automazione sono particolarmente adatte ad un mondo in cui gli esseri umani non
possono avvicinarsi troppo l’uno all’altro o sono disposti a ridurre le loro
interazioni.
La
nostra persistente e potenzialmente duratura paura di essere infettati da un
virus (COVID-19 o un altro) accelererà così l’implacabile marcia dell’automazione, in
particolare nei campi più suscettibili all’automazione”.
Come
già detto, Schwab è stato a lungo frustrato da tutte
quelle seccanti normative che impediscono ai capitalisti globalisti di fare tutti i soldi che vorrebbero se si concentrano su preoccupazioni
economicamente irrilevanti come la sicurezza e il benessere degli esseri umani.
Ma
(urrà!) la crisi da Covid ha fornito la scusa perfetta per eliminare gran parte
di questi ostacoli obsoleti per la prosperità e la crescita.
Un
settore in cui la burocrazia è stata abbandonata è quello della salute. Perché mai uno stakeholder di buon
senso dovrebbe pensare che un determinato obbligo di cura e di diligenza possa
incidere sulla redditività di questo particolare settore commerciale?
Schwab
e Malleret sono felicissimi di constatare che la telemedicina “beneficerà
notevolmente” dell’emergenza Covid: “la necessità di affrontare la pandemia con tutti i mezzi
disponibili (oltre alla necessità, durante lo scoppio epidemia, di proteggere
gli operatori sanitari permettendo loro di lavorare a distanza) ha rimosso
alcuni degli impedimenti normativi e legislativi legati all’adozione della
telemedicina”.
“Incentivare
l’economia senza contatto.”
L’abbandono
della regolamentazione è un fenomeno generale sotto il regime globale della
Nuova Normalità, spiegano Schwab e Malleret:
fino
ad oggi i governi hanno spesso rallentato il ritmo di adozione delle nuove
tecnologie a causa di lunghe riflessioni su come dovrebbe essere il miglior
quadro normativo ma, come l’esempio della telemedicina e della consegna tramite
droni sta ora dimostrando, è possibile una brusca accelerazione forzata dalla
necessità.
Durante
i lockdown, un allentamento quasi globale delle normative che in precedenza
avevano ostacolato il progresso nei campi in cui la tecnologia era disponibile
da anni, si è verificato all’improvviso perché non c’era scelta migliore o
altra scelta disponibile. Ciò che fino a poco tempo fa era impensabile è
diventato improvvisamente possibile… Le nuove regole resteranno in vigore.
E
aggiungono: “l’attuale imperativo di incentivare, non importa come, l'”economia senza contatto” e la conseguente disponibilità dei
regolatori ad accelerarla significa che si andrà avanti senza esclusione di
colpi”.
“Senza
esclusione di colpi”. Non illudetevi: questo è il linguaggio adottato dal capitalismo quando
abbandona la sua apparenza di democrazia liberale e passa alla modalità nazi-fascista.
Dall’opera
di Schwab e Malleret si evince chiaramente che una fusione nazi-fascista tra Stato e
impresa, a vantaggio di quest’ultima, è alla base del loro grande reset.
fin
dall’inizio della crisi del Covid, come loro stessi riconoscono, ingenti somme
di denaro sono state trasferite dalle casse pubbliche nelle tasche rigonfie
dell’1%:
“nell’aprile
del 2020, proprio quando la pandemia ha iniziato ad inghiottire il mondo, i governi di tutto il mondo avevano
annunciato programmi di stimolo per diversi trilioni di dollari, come se otto o
nove piani Marshall fossero stati messi in atto quasi contemporaneamente”.
Continuano
affermando che “il COVID-19 ha riscritto molte delle regole del gioco tra pubblico e
privato. … La benevola (o meno) maggiore intrusione dei governi nella vita
delle imprese e nella conduzione dei loro affari dipenderà dal paese e dal
settore industriale, quindi assumerà molte forme diverse”. “Misure che sarebbero sembrate
inconcepibili prima della pandemia potrebbero ben presto diventare la norma in
tutto il mondo, con i governi che cercheranno di evitare che la recessione
economica si trasformi in una depressione catastrofica.
“Sempre
più spesso si chiederà al governo di agire come “pagatore di ultima istanza” per prevenire o arginare l’ondata
di licenziamenti di massa e di distruzione delle imprese innescati dalla
pandemia. Tutti
questi cambiamenti stanno alterando le regole del ‘gioco’ della politica
economica e monetaria”.
Uno
Stato forte per aziende forti.
Schwab
e il suo
collega accolgono
di buon grado la prospettiva che un aumento dei poteri dello Stato venga
utilizzato per sostenere il profitto delle grandi imprese.
Scrivono
infatti che “una delle grandi lezioni degli ultimi cinque secoli in Europa e in
America è la seguente: le crisi acute contribuiscono a rafforzare il potere dello
Stato. È
sempre stato così e non c’è motivo per cui debba essere diverso con la pandemia
COVID-19”.
Aggiungono
poi che “guardando
al futuro, i governi molto probabilmente (ma con diversi gradi di intensità)
decideranno che è nell’interesse della società riscrivere alcune delle regole
del gioco e aumentare permanentemente il loro ruolo”.
L’idea
di riscrivere le regole del gioco ricorda ancora una volta molto il linguaggio
fascista, così come, naturalmente, l’idea di aumentare in modo permanente il
ruolo dello Stato nell’aiutare il settore privato.
Vale
infatti la pena di confrontare la posizione di Schwab su questo tema con quella
del dittatore fascista italiano Benito Mussolini, che rispose alla crisi economica del
1931 istituendo un apposito organismo di emergenza, L’Istituto mobiliare
italiano, per aiutare le imprese.
Egli
dichiarò che questo fosse “uno strumento per spingere energicamente l’economia italiana
verso la sua fase corporativa, cioè un sistema che fondamentalmente rispetta la
proprietà e l’iniziativa privata, ma le lega strettamente allo Stato, che da
solo può proteggerle, controllarle e nutrirle”.
I
sospetti sulla natura nazi- fascista del grande reset di Schwab sono
confermati, naturalmente, dalle misure da stato di polizia che sono state messe
in atto in tutto il mondo per garantire il rispetto delle misure “d’emergenza”
contro il Covid.
La
forza bruta che non si nasconde mai sotto la superficie del sistema capitalista
diventa sempre più visibile quando entra nella fase nazi-fascista e questo è
molto evidente nel libro di Schwab e Malleret.
La
parola “forza” viene utilizzata più volte nel contesto del Covid-19. A volte
questo avviene in ambito commerciale, come nel caso delle affermazioni che “il COVID-19 ha forzato tutte le
banche ad accelerare una trasformazione digitale che ora è destinata a
permanere” o che “il micro reset forzerà ogni azienda in ogni settore a
sperimentare nuovi modi di fare business, di lavorare e di operare”.
Ma a
volte si applica direttamente agli esseri umani, o ai “consumatori”, come Schwab e i
suoi simili preferiscono pensare a noi.
“Durante
i lockdown, molti consumatori in precedenza riluttanti ad affidarsi troppo alle
applicazioni e ai servizi digitali sono stati forzati a cambiare le loro
abitudini quasi da un giorno all’altro: guardare film online invece di andare
al cinema, farsi consegnare i pasti invece di uscire al ristorante, parlare con
gli amici a distanza invece di incontrarli in carne e ossa, parlare con i
colleghi su uno schermo invece di chiacchierare alla macchina del caffè, fare
esercizio online invece di andare in palestra, e così via…
“Molti
dei comportamenti tecnologici che siamo stati forzati ad adottare durante il
confinamento diventeranno più naturali grazie alla familiarità che avremo
acquisito con essi. Con il persistere del distanziamento sociale e fisico,
affidarsi maggiormente alle piattaforme digitali per comunicare, o lavorare, o
chiedere consigli, o ordinare qualcosa, a poco a poco, guadagnerà terreno su
abitudini precedentemente radicate”.
Un
sistema nazi-fascista, non offre ai singoli individui la possibilità di scegliere
se soddisfare o meno le sue richieste, come Schwab e Malleret hanno affermato
chiaramente in merito al cosiddetto “contact-tracing” (rintracciamento dei
contatti): “nessuna applicazione contact-tracing funzionerà su base volontaria se le
persone non sono disposte a fornire i propri dati personali all’ente
governativo che controlla il sistema; se una persona rifiuta di scaricare
l’applicazione (e quindi di nascondere informazioni su una possibile infezione,
movimenti e contatti), tutti ne risentiranno negativamente”.
Questo,
secondo loro, è un altro grande vantaggio della crisi da Covid rispetto a
quella ambientale che avrebbe potuto essere usata per imporre la loro Nuova
Normalità: “mentre per una pandemia, la maggioranza dei cittadini tenderà a
concordare con la necessità di imporre misure coercitive, essi resisteranno a
politiche restrittive in caso di rischi ambientali dove le prove possono essere
contestate”.
Queste
“misure coercitive”, che ci si aspetta che tutti noi rispettiamo, comporteranno
ovviamente livelli inimmaginabili di sorveglianza fascista delle nostre vite,
in particolare nel nostro ruolo di schiavi salariati.
Scrivono
Schwab e Malleret che “la direzione delle aziende sarà quella di una maggiore
sorveglianza; nel bene e nel male, le aziende osserveranno e a volte
registreranno ciò che fa la loro forza lavoro. Questa tendenza potrebbe assumere
diverse forme, dalla misurazione della temperatura corporea con telecamere
termiche al monitoraggio tramite un’ app di come i dipendenti si adegueranno al
distanziamento sociale”.
È
anche probabile che misure coercitive di un tipo o di un altro siano usate per
costringere le persone a sottoporsi alle vaccinazioni anti-Covid attualmente in
produzione.
Schwab è profondamente legata a quel mondo,
essendo
molto amico di Bill Gates ed essendo stato lodato dal pilastro di Big Pharma
Henry McKinnell, presidente e CEO di Pfizer Inc, come “una persona veramente
dedita ad una causa veramente nobile”.
Non
sorprende quindi che egli insista, insieme a Malleret, sul fatto che “non si può prevedere un pieno ritorno
alla “normalità” prima che sia disponibile un vaccino”.
E
aggiunge: “Il
prossimo ostacolo è la sfida politica di vaccinare un numero sufficiente di
persone in tutto il mondo (siamo collettivamente forti quanto l’anello più
debole) con un tasso di adesione abbastanza alto nonostante l’aumento degli
no-vax”.
I no
global come minaccia al progetto di Schwab.
I
“no-vax” si aggiungono così alla lista delle minacce per il progetto di Schwab,
insieme ai manifestanti anti-globalismo e agli anti-capitalisti, ai Gilet
Gialli e a tutti coloro che sono impegnati in “conflitti di classe”,
“resistenza sociale” e “contraccolpi politici”.
La
maggioranza della popolazione mondiale è già stata esclusa dai processi
decisionali a causa della mancanza di democrazia che Schwab vuole accentuare
attraverso il suo dominio azionistico delle imprese, la sua “agile governance”, il suo “sistema di gestione totalitario
dell’esistenza umana”.
Ma
come pensa di affrontare lo “scenario cupo” di persone che si ribellano al suo
grande reset “neo-normalista” e alla sua quarta rivoluzione industriale
transumanista?
Quale
grado di “forza” e di “misure coercitive” sarebbe disposto ad accettare per
assicurare l’alba della sua nuova era tecnocratica?
La
domanda è agghiacciante, ma dobbiamo anche tener presente l’esempio storico del
regime del XX secolo in cui è nato Schwab.
La
nuova normalità nazista di Hitler doveva durare mille anni, ma è crollata con
988 anni di anticipo rispetto all’obiettivo.
Solo
perché Hitler disse, con tutta la fiducia datagli dal potere, che il suo Reich
sarebbe durato un millennio, non significava che sarebbe andata così.
Solo
perché Klaus Schwab e Thierry Malleret e i loro amici dicono che stiamo
entrando nella Quarta Rivoluzione Industriale e che il nostro mondo sarà
cambiato per sempre, non significa che andrà così.
Non
dobbiamo accettare la loro nuova normalità. Non dobbiamo cadere nella paura che
vogliono infonderci. Non dobbiamo farci i loro vaccini. Non dobbiamo lasciarci
impiantare i loro smartphone o lasciare che modifichino il nostro DNA. Non
dobbiamo camminare, imbavagliati e sottomessi, dritti verso il loro inferno
transumanista.
Possiamo
denunciare le loro bugie! Smascherare la loro agenda! Rifiutare la loro
narrazione! Rifiutare la loro ideologia tossica! Resistere al loro nazi-fascismo-massonico
e comunista.
Klaus
Schwab non è un dio, ma un essere umano. Soltanto un uomo anziano. E quelli con
cui lavora, l’élite capitalista globale, sono pochi.
I loro scopi non sono gli scopi della stragrande
maggioranza dell’umanità. La loro visione transumanista è ripugnante per quasi tutti
quelli al di fuori della loro piccola cerchia e non hanno il consenso per la
dittatura tecnocratica che cercano di imporci.
Questo,
dopo tutto, è il motivo per cui hanno dovuto usare la falsa bandiera della
lotta contro un virus per cercare di realizzarla. Hanno capito che senza la
giustificazione dell'”emergenza” non avremmo mai accettato il loro schema
perverso.
Hanno
paura del nostro potenziale potere perché sanno che se ci alziamo in piedi, li
sconfiggeremo. Possiamo far crollare il loro progetto prima ancora che sia
iniziato.
Noi
siamo il popolo, noi siamo il 99%, e insieme possiamo riprenderci la nostra
libertà dalle fauci mortali della macchina nazi-fascista e massonico-comunista!
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