LA LIBERTA’ DEI POPOLI EUROPEI NON E’ SOLO UN SENTIMENTO ANTICO , MA E’ SEMPRE PRESENTE .

LA LIBERTA’ DEI POPOLI EUROPEI NON E’ SOLO

UN SENTIMENTO ANTICO , MA   E’ SEMPRE PRESENTE .

 

 

ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ 

EUROPEA.

e-medine.org -Redazione -(18-5-2021)- ci dice :

 

Al giorno d’oggi non sempre è facile percepire una vera e propria identità europea tra i cittadini europei.

La ragione è semplice: manca quel rapporto di fedeltà e reciprocità indispensabile per il concetto classico di “popolo”.

Al concetto di “popolo europeo” non può essere associato lo stesso significato inteso in ambito nazionale, perché per la percezione di un’identità europea non si può fare appello ai soli principi e alle sole tradizioni comuni tra gli Stati membri.

Per comprendere cosa significhi essere cittadini europei è necessario, quindi, far nascere un senso di appartenenza e individuare un insieme di valori che siano identificativi dell’Europa, intesa non come semplice unione di Stati, ma come organizzazione che ha una propria identità culturale.

Ed è di questa identità comune che tratteremo a breve.

BREVE STORIA DELL’EUROPA.

Per comprendere dove ha origine l’identità europea occorre fare qualche passo indietro, fino al secondo dopoguerra.

All’indomani della seconda guerra mondiale sorse infatti la necessità di creare un legame sempre più stretto tra i Paesi europei e i rispettivi popoli per mettere fine alle rivalità politiche ed economiche.

 In quegli anni Winston Churchill, che identificava l’Europa come culla della cultura, delle arti, della filosofia e della scienza, cominciò a ipotizzare la creazione degli “Stati Uniti d’Europa” per poter vivere in pace, in sicurezza e in libertà.

Sotto questi principi nel 1949 dieci Paesi, Italia inclusa, si allearono per fondare la prima organizzazione europea: il Consiglio d’Europa.

Questa organizzazione, che oggi conta 47 Stati, si propone diversi obiettivi, tra i quali proprio quello di promuovere la consapevolezza dell’identità europea e di difendere i diritti dell’uomo, la democrazia parlamentare e il principio di legalità.

Nel 1952 venne fondata la CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, con lo scopo di riunire in un mercato comune le industrie del carbone e dell’acciaio, entrambe strategicamente importanti per l’economia dell’Europa, ponendole sotto il controllo di un’autorità sovranazionale.

Nel 1957 i Trattati di Roma istituirono la CEE (Comunità Economica Europea) e col trattato di Maastricht, nel 1992, alle Comunità si è affiancato un ordinamento più vasto, quello dell’Unione, che inglobava tutte le altre organizzazioni e che ha finito poi con il sostituirle. È da queste evoluzioni che si è sviluppata l’Unione Europea così come la conosciamo e dal quale sono emersi più chiaramente i diritti e i doveri del cittadino europeo.

L’EUROPA OGGI: GLI STATI MEMBRI E I PAESI CANDIDATI.

Nel giugno 2016 il Regno Unito ha un referendum per decidere se uscire o meno dall’Unione Europea. L’esito del referendum è stato positivo: il 51,9% della popolazione britannica ha votato per l’uscita dall’UE. Dopo una procedura non priva di difficoltà, il 31 gennaio 2020 il Regno Unito ha lasciato ufficialmente l’UE.

L’Unione Europea, dopo la Brexit, rappresenta un’unione politica ed economica di 27 Stati.

COSA DISTINGUE L'EUROPA DALLE ALTRE ORGANIZZAZIONI.

L’organizzazione istituzionale dell’Unione Europea rispecchia i valori stessi su cui si fonda.

L’Europa rappresenta un organismo sui generis, a cavallo tra una federazione di Stati (come gli Stati Uniti d’America) e un’organizzazione intergovernativa (come le Nazioni Unite).

A differenza delle federazioni, in Europa viene dato risalto al concetto di “membro”: in quel termine è insita la volontà di voler far parte del “club europeo”.

I rapporti tra gli Stati membri e l’UE vengono regolati dai trattati che richiedono la ratifica all’unanimità.

Se è vero, oltre che per alcuni casi necessario, che gli Stati membri delegano parte della loro sovranità, è vero anche che a tutti gli Stati membri viene riconosciuto un peso e che l’unanimità tra gli Stati può bloccare l’Europa.

 La cessione della sovranità è quindi a favore della costruzione di equilibri comuni per i quali ciascuno Stato membro concorre, insieme agli altri, a determinare le regole. L’attuale assetto è riuscito a garantire settant’anni di pace incondizionata in un continente che aveva sempre vissuto in guerra.

I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COMUNITÀ EUROPEA.

La costruzione di un’Europa unita si fonda su ideali e obiettivi riconosciuti e condivisi anche dagli Stati membri.

Proprio per i valori su cui è fondata, l’UE ha una visione umanista e un modello sociale che la stragrande maggioranza dei suoi cittadini sente di condividere.

Tra questi valori fondamentali vi sono la realizzazione di una pace durevole, l’unità, l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza e la solidarietà. L’Unione si fonda esplicitamente sui principi di libertà e democrazia.

L’identità europea si basa dunque su questo insieme di valori e di principi, condivisi da tutti coloro che fanno parte dell’UE e difesi da istituzioni come la Commissione Europea, nata anche con il compito di individuare eventuali violazioni di questi principi da parte degli Stati membri e di preservare lo stato di diritto.

La condivisione di valori, principi, diritti e doveri dovrebbe contribuire ad accomunare tutti i cittadini europei in un sentimento di fratellanza e a promuovere la riflessione sul concetto di identità europea.

 L’attenzione che l’Unione Europea ha da sempre mostrato con riferimento alle tematiche dei diritti umani ha reso l’Europa un continente in cui libertà e democrazia assumono una rilevanza effettiva. In tal senso è ad esempio importante sottolineare che la pena di morte, ancora prevista i molti Stati, è stata abolita in tutti i Paesi dell’Unione Europea.

L’UE E LO STATO DI DIRITTO: RULE OF LAW.

L’articolo 2 del trattato sull’Unione Europea sancisce lo stato di diritto (rule of law) come uno dei valori fondamentali dell’Unione. È anche la ‘conditio sine qua non’ per la tutela di tutti gli altri valori fondamentali dell’Unione, a cominciare dai diritti fondamentali e dalla democrazia.

Il rispetto dello stato di diritto è fondamentale per il funzionamento dell’Unione e la Commissione Europea ha l’incarico di preservarla. Ecco le azioni volte a difendere la rule of law:

efficace applicazione del diritto UE;

corretto funzionamento del mercato interno;

mantenimento di un contesto propizio agli investimenti;

fiducia reciproca.

Lo Stato di diritto inoltre prevede una tutela giurisdizionale effettiva il che presuppone l’autonomia, la qualità e l’efficienza dei sistemi giudiziari nazionali.

EUROPA E INTEGRAZIONE SOCIALE.

Il multiculturalismo è parte della cultura europea fin dall’inizio dei tempi. La coesistenza di più culture, lingue e tradizioni caratterizza l’Europa arricchendone la storia. Le culture europee non si limitano solo a coesistere.

Nello scenario normativo europeo, infatti, si dà molta rilevanza al divieto di discriminazione e al principio di parità di trattamento. Una delle principali manifestazioni del rispetto per le identità culturali delle nazioni europee è dato, ad esempio, dal diritto di ogni cittadino UE di rivolgersi alle istituzioni europee e di ricevere risposta da queste nella propria lingua.

Il multiculturalismo è un modello di integrazione basato sul riconoscimento dei diritti non solo dell’individuo, ma anche di quelli dei gruppi e delle comunità che abitano in un Paese.

Parità di trattamento e divieto di discriminazione impongono una strategia di integrazione sociale che coinvolga tutti gli Stati membri. Una di queste è la strategia dell’UE per la gioventù, un pacchetto di azioni mirate a rafforzare l’impegno dei giovani cittadini dell’Unione nella partecipazione attiva alla democrazia e alla società.

La strategia dell’UE per la gioventù punta in particolare a:

 

sfruttare pienamente le possibilità offerte dall'animazione socioeducativa e dai centri giovanili come strumento di integrazione;

incoraggiare un approccio trasversale per affrontare il problema dell'esclusione in ambiti come l'istruzione, l'occupazione e l'integrazione sociale;

sostenere la sensibilizzazione interculturale e combattere i pregiudizi;

sostenere l'informazione e l'educazione dei giovani sui loro diritti;

affrontare il problema dei senzatetto, degli alloggi in generale e della povertà;

agevolare l'accesso a servizi di qualità, ad esempio i trasporti, l'integrazione digitale, la salute e i servizi sociali;

promuovere strutture d'assistenza specifiche per le giovani famiglie.

e-Medine, organizzazione non-profit che promuove la cittadinanza europea, è coinvolta in diversi progetti europei con l’obiettivo di potenziare l’integrazione sociale in Europa.

Tra questi, la non-profit è coinvolta nel progetto “EUROTHON”, con l’obiettivo di ampliare la conoscenza degli ideali europei e intensificare il coinvolgimento dei giovani nel processo democratico dell’Unione attraverso un programma di apprendimento innovativo che adotta un approccio orientato all’integrazione, incentrato sugli studenti e orientato all’azione.

PERCHÉ È IMPORTANTE RISCOPRIRE L’IDENTITÀ EUROPEA.

L’Europa rappresenta per molti la culla della cultura, una terra di opportunità e un continente civile in cui oggi regnano la democrazia e il rispetto dei diritti umani, una società in cui prevalgono l’inclusione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la non discriminazione.

La nostra identità dipende da ciò che siamo stati e da ciò che insieme progettiamo di diventare.

La consapevolezza e la convinzione di appartenere ad un unico “popolo europeo” elimina il rischio di conflitti tra i governi e i cittadini dei diversi Stati membri.

Come insegna la storia, le logiche escludenti e conflittuali portano a guerre e crisi e di questo ne conserviamo una tragica memoria.

Essere europei e comprendere l’importanza della propria identità è fondamentale per vivere con più consapevolezza la “cittadinanza europea”, che va ben oltre il contesto nazionale, in quanto non si riferisce al rapporto tra il cittadino e l’autorità sovrana (Stato), ma indentifica l’appartenenza ad una comunità, quella europea, accomunata da principi e valori umani. Valori che, purtroppo, non sono ancora condivisi in tutte quelle parti del mondo divise da guerre e conflitti.

Non dimentichiamoci che del passato si nutrono il presente e il futuro e che la memoria è la bussola essenziale di un’identità che si forma e che si sviluppa. Dobbiamo essere consapevoli che la sola memoria però non basta alla formazione di un’identità europea (collettiva e politica) e che occorre mobilitare le energie per superare i condizionamenti del passato e trasformare il continente europeo nella grande madrepatria delle future generazioni di cittadini europei.

 

 

 

 

L’uguaglianza, la diversità,

e il diritto: vive la différence!

Questionegiustizia.it - Michele Graziadei-(20-1-2022)- ci dice :

Il principio di uguaglianza non si è affermato in modo pacifico nella storia perché esso si afferma facilmente solo rispetto a chi è ritenuto simile a sé e non viene applicato automaticamente a chi è percepito come diverso.

Il modello di uguaglianza che è stato alla base del discorso costituzionale condotto in occidente negli ultimi due secoli ha avuto una funzione inclusiva e di integrazione ma al tempo stesso ha preteso imperiosamente un adattamento ai modelli culturali dominanti.

Ma l’immagine di una comunità omogenea è il frutto di una illusione o se si vuole essere più precisi di una ideologia.

 Dietro il velo della nostalgia per una società omogenea si trova molto spesso il tema dell’equa ripartizione delle risorse e della povertà e quello del riconoscimento dei diritti. Anche l’argomento dei diritti umani da difendere nel confronto con i Paesi non appartenenti all’Occidente non è al di sopra di ogni sospetto.

In particolare quello di voler con essi perpetuare la missione civilizzatrice propria del colonialismo. La regola dell’uguaglianza implica il rispetto della pluralità dei valori che rendono ricca la vita in una società.                          La Costituzione italiana è esplicita in proposito perché è la Costituzione di una società che vuole essere pluralista. E la prima condizione per procedere in questa direzione è non umiliare l’altro. Nelle pieghe della cultura altrui troviamo anche qualcosa di nostro è la nostra umanità.

1. Sebbene sia un regime fragile e sempre in pericolo, la democrazia appartiene al mondo moderno. Il numero delle democrazie nel mondo è in aumento costante nell’ultimo secolo, ed il principio di uguaglianza che è alla base della costituzione politica democratica si diffonde. Le sue ramificazioni sono in tutte le direzioni, e la sua avanzata va di pari passo con proclamazioni solenni, che intendono garantire il rispetto della dignità umana.

 

Il principio di uguaglianza non si è però affermato in modo pacifico nella storia. Per fare un esempio notissimo, il diritto al voto delle donne è arrivato dopo una lunga battaglia, durata oltre un secolo.

Anche nelle democrazie occidentali, la parità salariale tra uomo e donna è tuttora da conquistare nei fatti. La discriminazione (etnica, di genere, linguistica, religiosa, etc.) è bandita dalle costituzioni democratiche, ed è ora combattuta dallo Stato.

L’azione dello Stato viene però monitorata sul piano internazionale, tramite i regimi protettivi dei diritti umani, per evitare che al riparo di essa, o addirittura grazie ad essa, il principio di uguaglianza possa essere violato, a vantaggio di una parte o di una componente della società.

Sul piano della vita sociale e in campo morale il principio di uguaglianza si afferma senza eccessiva difficoltà rispetto a chi è ritenuto simile a sé, mentre non è automaticamente esteso a chi viene percepito come diverso.

Per quanto il sentimento di essere parte di una singola umanità possa essere forte – siamo tutti mortali – dobbiamo riconoscere che il solo sentimento di umanità rappresenta un vincolo troppo debole per contrastare la forte tendenza ad applicare il principio di uguaglianza unicamente a chi viene ritenuto simile a sé.

Per contrastare questa tendenza il diritto contemporaneo ha messo a punto una propria strategia: è la strategia legata al riconoscimento dei diritto umani. Sul punto, limitiamoci per ora a questo rilievo essenziale, vedremo meglio oltre quali problemi si aprono nel momento in cui i diritti umani si affacciano sulla scena contemporanea.

Resta comunque sotto gli occhi di tutti un fatto. Affermato il principio di uguaglianza, proclamati i diritti umani, il tema della differenza – in primo luogo in termini di stili di vita e di atteggiamenti culturali – non è esaurito.

Il pluralismo proclamato dalle democrazie costituzionali contemporanee – specialmente di quelle costituite sulla base dell’idea di nazione – tuttora non incorpora fino in fondo questa dimensione dell’esperienza umana. Il valore della differenza non è sempre né pienamente espresso, né pienamente colto, sebbene a livello internazionale venga ormai frequentemente riconosciuto.

Un riconoscimento del genere si legge, ad esempio, nella Convenzione delle Nazioni unite sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali del 2005, che è stata approvata dalla Decisione del Consiglio dell’Unione europea in data 18 luglio 2006.

La nostalgia di una (immaginaria) comunità omogenea ha lasciato più di una traccia nel discorso intorno alla cittadinanza.

Lo stato costituzionale che è edificato sulla base della Costituzione repubblicana, è agli antipodi dello stato chiuso, di cui parlava Fichte all’inizio del 1800. L’Italia al pari di altri Stati europei è pienamente integrata nella vita della comunità internazionale. L’appartenenza dell’Italia e degli Stati Membri all’Unione europea ha trasformato lo stesso concetto di cittadinanza, facendo retrocedere l’idea di Stato nazione. Ma tutto questo non esclude, evidentemente, la possibilità che la comunità nazionale – o una sua componente – pensi se stessa secondo modelli che propongono l’idea di comunità omogenea, e che implicano chiusura verso chi non appartiene ad essa.

L’affermarsi di stili di vita individualizzati conduce però sempre più a riconoscere maggior spazio alla differenziazione nello spazio pubblico e nel privato.

La società contemporanea è infatti segnata da processi di individualizzazione che tendono sciogliere l’individuo dai vincoli dell’appartenenza sociale e dalle forme di vita sociale tradizionali; d’altra parte la società è sempre più tagliata sull’individuo, che affida la propria biografia a scelte rischiose, e a nuove forme di distinzione. Questi processi, al cuore di una società di mercato, dovrebbero però essere governati con il conforto di teorie destinate a rendere conto in modo più adeguato del rapporto tra democrazia, pluralismo dei valori, molteplicità degli orientamenti culturali, e degli stili di vita.

2. Quali sono, ovvero quali possono essere queste teorie?

 

Dobbiamo partire da un dato di fatto. Tra la fine del diciottesimo secolo e il diciannovesimo secolo, sulla scia di rivendicazioni ampiamente diffuse, lo Stato ha costruito la cittadinanza smantellando le norme che segmentavano la società in ceti e classi distinte.

La storia europea è stata molto a lungo una storia di ceti e di classi separate da innumerevoli distinzioni, sancite da norme giuridiche, in gran parte di origine consuetudinaria.

I diritti riconosciuti sotto questo regime non derivavano dallo Stato, ma dalla propria condizione sociale, stabilita molto spesso alla nascita. In questo contesto, avevano ampio spazio le giurisdizioni particolari, private speciali, in quando l’idea d giustizia (e di uguaglianza) era relativa alla propria condizione sociale, era l’uguaglianza del nobile con il nobile, del borghese con il borghese, e così via.

L’azione dello Stato negli ultimi due secoli ha mirato ad abbattere queste disuguaglianze, per far sì che la condizione determinata dalla nascita non reggesse tutta la vita dell’individuo, si è aperta così la via della democrazia.

La tragica vicenda sfociata nell’orrore delle persecuzioni razziali durante il fascismo e il nazismo ha rappresentato una inversione di tendenza, che svela quanto sia stato complicato e discontinuo il processo che si avviò nel momento in cui una nozione generalizzata e universale di uguaglianza si mise in movimento. Si è trattato infatti di un processo non lineare, che ha incontrato forti resistenze, anche laddove non si sono affermati regimi totalitari, perché l’antico regime non è morto in un giorno.

Se poniamo mente al declinare dell’assetto sociale e giuridico di antico regime nel ventesimo secolo possiamo dire che, ultima a cadere in Europa, è stata la differenza legata al genere, che negava alle donne il voto, l’accesso a ampi settori del mondo del lavoro, o che disconosceva l’apporto femminile al benessere della famiglia, tramite il lavoro prestato nella famiglia.

Nel diritto di famiglia differenze profonde tra uomo e donna sono in effetti rimaste in piedi a lungo, anche dopo l’entrata in vigore delle costituzioni del secondo dopoguerra. Il tema è centrale, se si vuol comprendere cosa voglia dire uguaglianza e cosa voglia dire differenza, e come il diritto operi in proposito, come ha rilevato con R. Rubio-Marin.

Le costituzioni del secondo dopoguerra – come sappiamo – hanno accolto la donna pienamente nell’ordine politico, attraverso il riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo, ma non hanno fatto scomparire l’abito sociale tradizionale che ritagliava per la donna un ruolo separato, confinato in seno alla famiglia. Nella famiglia, il marito e il padre era colui che sosteneva la vita familiare con il proprio reddito. Alla donna toccava il ruolo catturato da quel linguaggio edulcorato che la presentava come «l’angelo del focolare», linguaggio che, nella sua ambiguità, pretendeva di mitigare la condizione di diseguaglianza giuridica e di fatto in cui la donna si trovava, nobilitandola, tessendone le lodi.

Come questa disuguaglianza poteva essere mantenuta, anzi, come poteva essere giustificata, e resa pienamente legittima?

Se pensiamo alla famiglia, la leva – più esplicitamente – il condizionamento essenziale utilizzato per stabilire rapporti diseguali era legato a doppio filo ad un assunto semplice, quanto fortemente ideologico. Il matrimonio trae origine dal consenso dei nubendi, della cui libertà si faceva garante il diritto. Pertanto, con il proprio libero consenso al matrimonio, la donna avrebbe scelto – altrettanto liberamente – di aderire al regime diseguale consacrato dal matrimonio, che la poneva in posizione di subordinazione rispetto al marito.

Il quadro ora ricordato si arricchisce di una nota niente affatto secondaria. In realtà, sebbene di regola il consenso alle nozze fosse dato liberamente, per la donna il matrimonio era molto spesso anche l’unica possibilità di «uscire di casa». Un’alternativa pienamente legittima sul piano sociale raramente esisteva (salva la possibilità di prendere i voti!).

Il testo della Costituzione italiana in qualche misura aderisce a questa visione tradizionale dell’ordine delle cose, quando stabilisce che: «Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare» (art. 29, 2°co. Cost., enfasi aggiunta). La Costituzione accoglie il medesimo approccio in materia di condizioni di lavoro della donna,. Le condizioni di lavoro della donna lavoratrice devono infatti consentirle: «…l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.» (art. 37, 2° co. Cost.).

Sulla essenziale funzione familiare del marito o del padre la Costituzione tace. Più prudentemente, le costituzioni del secolo diciannovesimo, nel proclamare l’eguaglianza tacevano su tutta la materia del diritto di famiglia.

Come è stato osservato, questo modello di uguaglianza è in realtà un modello basato sull’idea di ruoli separati e non intercambiali tra uomo e donna. Si tratta di un modello protettivo di una sola parte, rispetto a cui si pone quindi un problema di reasonable accomodation, di adattamento o accomodamento ragionevole, più che di vera e propria uguaglianza di trattamento. Questo modello non rappresenta più oggi, ai nostri occhi, l’ordine naturale delle cose. Ad esempio, il congedo parentale dal lavoro è ormai diritto dell’uomo o della donna, come la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato. Il costume si prende però tuttora la propria rivincita nel momento in cui si registrano i numeri dei congedi effettivamente fruiti dall’uno o dall’altro sesso, o le attività di cura e di assistenza svolte all’interno della famiglia dall’uno o dall’altro sesso. Ma questa differenza, questa separazione di ruoli, è assai meno sottolineata sul piano del diritto oggi rispetto al passato.

Cosa possiamo apprendere più in generale da questa vicenda legata all’evoluzione dei rapporti tra i sessi?

Dobbiamo riconoscere che il modello di uguaglianza che è stato alla base del discorso condotto in occidente negli ultimi due secoli ha avuto una funzione inclusiva e di integrazione nella vita pubblica di settori della popolazione che un tempo erano in tutto o in parte esclusi da essa.

Al tempo stesso, però, ha preteso imperiosamente un adattamento ai modelli culturali dominanti. La pretesa è stata tanto più forte quanto più la società italiana si pensava compatta in termini di adesione a valori culturali condivisi, comuni credenze e stili di vita, o per lo meno assumeva di essere tale.

Lo era davvero, compatta?

Su questo punto bisogna fare chiarezza.

3. Gli antropologi culturali, che indagano la struttura della società sanno che la compattezza di cui parliamo – utilizzando talvolta il vocabolo «identità» – è una grande favola.

Per missione professionale l’antropologo deve provare a vivere dentro una comunità, senza rinunciare, al proprio punto di vista, mancando il quale c’è completa assimilazione, piuttosto che osservazione partecipante.

Ebbene, cosa può dirci l’antropologo che ha fatto questa esperienza?

Ogni mondo è un mondo di mondi.

Ogni comunità presenta al proprio interno differenze, tensioni, slanci in direzioni diverse, talvolta diametralmente opposte.

Così, nell’Italia di oggi abbiamo gesti xenofobi, e gesti di solidarietà nei confronti dei migranti. Nel Sud Africa segregazionista, negli Stati uniti del separate but equal, c’erano bianchi che marciavano e lottavano insieme ai neri. Nell’epoca in cui le persone di colore potevano essere ridotte in schiavitù c’erano militanti abolizionisti che ne reclamavano la libertà. Quando gli ebrei cercarono scampo rispetto alla barbarie nazifascista, ci fu chi volle mettere a repentaglio la propria vita per proteggerli, e talvolta morì per loro.

L’immagine di una comunità omogenea è il frutto di un’illusione; se vogliamo essere più precisi: di una ideologia.

Un’ideologia che possiamo comprendere come uno strumento di oppressione, illuminato nella sua genesi e in molti dei suoi meccanismi fondamentali dalla psicologia sociale.

Beninteso, dietro il velo della nostalgia per la comunità omogenea si trova molto spesso il tema dell’equa ripartizione delle risorse e della povertà, che è il vero tema di cui spesso si discute, quando si parla d’altro. Il rifiuto della differenza è infatti un bell’affare, quando porta con sé la negazione dei diritti, il lavoro nero, la bidonville, la marginalità o la clandestinità penalmente sanzionata per coloro che si trovano nel territorio dello Stato.

Mi limiterò a notare che quanto storicamente vale in relazione alla questione femminile vale in realtà per tutti i gruppi marginali nella nostra società. In relazione a tali gruppi, l’eguaglianza rischia di essere messa da parte, di essere revocata, di essere soppressa, sotto il manto delle norme che dovrebbero garantirla.

Teniamo presente che queste persone sono normalmente soggette a discriminazioni multiple, vale a dire ad un fardello doppiamente pesante di difficoltà. Talvolta si è in presenza di un vero e proprio stigma. Si può trattare di stigma non completamente rimosso, com’è, ad esempio, quello che riguarda la malattia mentale, mentre nel nostro Paese vi è stato un progresso significativo per quanto riguarda lo sviluppo di atteggiamenti più inclusivi verso la disabilità fisica.

Il primo passo necessario per scoprire come il diritto si può aprire alla diversità delle culture e alla loro interazione ed integrazione è comprendere quanto ho appena ricordato: in una società democratica, caratterizzata da uno stato costituzionale, si possono attuare meccanismi di subordinazione e di esclusione che riguardano coloro che vivono sul territorio semplicemente attraverso pretese avanzate in nome di (pretesi) valori culturali dominanti.

Certamente, oggi in Italia migliaia di operatori pubblici, tante organizzazioni di volontariato e religiose, milioni di cittadini impegnati a vario titolo nel sociale, lavorano per promuovere l’inclusione. La ricchezza di vita che è contenuta in questa esperienza, irriducibile ad una sola dimensione, molteplice nei suoi aspetti, è inestimabile.

4. Oggi possiamo dire di aver lasciato alle spalle vari regimi oppressivi, avendo imboccato il sentiero che è poi diventato la via maestra dell’eguaglianza generalizzata, dell’uguaglianza quale sia la cultura o l’esperienza di vita di ciascuno.

Ho cercato di mostrare il rischio dell’ipocrisia, nel presentare un assunto di questo genere come pacificamente condiviso. Infatti, se dobbiamo dare nuovamente ascolto agli studiosi della cultura, ad essere universalizzato è in realtà solo quanto ci è già noto, quanto ci è familiare. L’effetto di questa tendenza è quello di assumere che i propri modelli culturali abbiano valore universale, mentre in realtà si rimane chiusi ai modelli altrui.

Questo è vero anche in relazione al tema dei diritti umani.

Molti tra coloro che si occupano di diritti umani sanno che l’argomento tratto dalla necessità di difendere i diritti umani nel confronto con Paesi non appartenenti all’Occidente, o con persone che provengono da Paesi che non hanno condiviso il percorso verso la modernità dell’Occidente, non è al di sopra di ogni sospetto.                     Il dubbio che si agita è che questi diritti rappresentino in realtà, agli occhi di chi ha vissuto in modo traumatico il contatto con l’Occidente, null’altro che la continuazione della missione civilizzatrice che l’Occidente scelto come vessillo per imporre regimi coloniali o di dominio, se non il puro e semplice sterminio.

 

Soprattutto, ecco il monito formulato da molti dei nostri interlocutori, non chiamateli diritti umani: quasi fossero disumani i popoli non disposti a sottoscrivere immediatamente simili tavole di valori. Volete proporli e difenderli? Non colorateli dell’enfasi che li rende emblemi di civiltà.

Scavando nella nostra storia, senza voler sottoscrivere visioni anacronistiche, scopriamo che si può procedere altrimenti, si possono quindi evitare alcuni errori di prospettiva.

Quello che, nell’epoca attuale, è chiamata cultura un tempo era apertamente chiamato costume, consuetudine: ciascuno legittimamente ne aveva uno proprio, per quanto «selvaggio». Mancava un parametro universale, legato all’idea di uguaglianza, com’è quello che verrà messo a punto più tardi, e che ci sollecita oggi.

Con il tempo abbiamo appreso che la regola dell’uguaglianza implica il rispetto della pluralità dei valori, vale a dire la pluralità degli orizzonti, delle aspettative, e dei desideri che rendono ricca la vita in società. La Costituzione italiana è esplicita in proposito: è la Costituzione di una società pluralista.

Si tratta di una lezione importante: la prima condizione per procedere insieme – cosa che dobbiamo assolutamente fare – è non umiliare l’altro, nelle pieghe della cultura altrui troviamo infatti anche qualcosa di nostro. Sappiamo di cosa si tratta: è la nostra umanità.

 

 

 

 

Crisi Ucraina: li dovremo Sopportare

per mesi e subirne le Conseguenze…

 

Conoscenzealconfine.it -Claudio Martinotti Doria-( 24 Febbraio 2022)-  mi dice:                                                                       

 

Crisi Ucraina: li dovremo sopportare per mesi e subirne le Conseguenze. Mi riferisco ai politicanti e media mainstream e alla loro continua ipocrisia e mistificazione.

Da quanto si sa dalla storia dell’umanità, chi detiene il potere si è sempre fondato sulla gestione della paura per assoggettare, controllare e manipolare le masse dei suoi sudditi.

 Oltre all’uso della forza nelle sue varie modalità attuative, e più recentemente ricorrendo all’abuso della tecnologia e delle armi biologiche, si è sempre ricorso alla creazione di un nemico, sia interno che esterno o invisibile, su cui indirizzare la frustrazione e l’aggressività popolare che ha bisogno di sfogare la sua impotenza e viltà su un capro espiatorio.

Sono processi vecchi come il mondo ma sempre efficaci, funzionano, soprattutto se si ha il totale controllo dei media, che per questo motivo sono appropriatamente definiti mainstream, cioè complici di un regime ed esprimenti un pensiero unico, come un megafono, una cassa di risonanza del potere.

 Anche per questo motivo sono monotoni, monocordi, ripetitivi e noiosi, ma con le masse di analfabeti di ritorno funzionano perfettamente svolgendo la loro funzione ipnotica inducendoli a credere alle menzogne propinate senza ritegno e lasciando spazio a celebrità e personaggi insignificanti e indegni come i politicanti, non solo italici, perché ormai la politica esprime quaquaraquà e ominicchi in tutti i paesi cosiddetti occidentali, di statisti non vi è neppure l’ombra, l’unico degno di questo nome è paradossalmente proprio il loro presunto avversario, il capro espiatorio per antonomasia, Vladimir Putin, il presidente della Federazione Russa, accusato senza prove di qualsiasi nefandezza.

Da mesi, tutte le forze politiche e mediatiche del mondo occidentale a guida statunitense, hanno indirizzato i loro sforzi mediatici nel focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sul presunto pericolo rappresentato dalla Russia, che secondo la narrativa mainstream avrebbe avuto l’intenzione di invadere l’Ucraina, cioè un paese fallito che si regge grazie ai finanziamenti del mondo occidentale, proprio in chiave antirussa.

Il sostegno finanziario e politico all’Ucraina è una mossa strategica per esercitare pressione sulla Russia per indurla a compiere un passo falso, approfittando in particolare dell’irrisolta questione del Donbass. La pressione negli ultimi mesi è stata esasperante, avrebbe sfinito chiunque, hanno esagerato fino a sfiorare il ridicolo e l’assurdo, senza alcuna remora o vergogna. Sono arrivati addirittura a dichiarare il giorno esatto in cui si sarebbe compiuta la presunta invasione, e dopo che non è avvenuta, se ne sono assunti il merito per averla sventata e impedita.

 Espedienti di una puerilità patologica che potrebbero solo funzionare se il livello intellettuale dei destinatari di tali spudorate menzogne fossero ragazzini in età puberale. Ma forse è in questo modo che considerano i loro sudditi, o che li hanno ridotti grazie ai media mainstream.

Se la situazione finora non è degenerata come avrebbe potuto è solo grazie al fatto che Putin è uno statista, un abile stratega, uno che non perde mai la calma, un freddo calcolatore che sa giocare perfettamente a scacchi e pondera bene ogni mossa e sa prevedere le ripercussioni di qualsiasi scelta.

A differenza dei nostri politicanti che seguono solo un copione scritto da altri. Infatti, inostri politicanti e i media al loro servizio, sono come degli attori che recitano una parte, ed è proprio questo che mi assilla, dovremo sopportarli per mesi mentre recitano mediocremente i soggetti a loro destinati, sentire le loro cazzate sapendo che sono talmente ignoranti che per sapere dove si trovi e quali siano i confini dell’Ucraina devono consultare un atlante.

E si protendono in questo ruolo eroico giustificando uno stato criminale creato dagli USA nel 2014 e divenuto di fatto una loro colonia dopo un colpo di stato finanziato dalla CIA, facendo andare al potere locale oligarchi neonazisti dichiarati che hanno bruciato vivi i loro oppositori nella strage di Odessa, nella casa dei sindacati, di cui nessuno pare ricordarsi.

Oligarchi che hanno creato numerosi battaglioni paramilitari poi integrati delle Forze Armate ucraine, dichiaratamente filonazisti, come riportato anche nei loro simboli e stendardi.

Neonazisti che se avessero avuto mano libera nel Donbass, avrebbero sicuramente commesso genocidi di stampo etnico a danno della popolazione russa di quella regione. Il problema è rappresentato dal fatto che la stragrande maggioranza della popolazione della regione del Donbass è a tutti gli effetti russa, 770mila sono cittadini russi dotati di passaporto russo. Inevitabilmente la Russia, sotto pressione, ha dovuto all’unanimità di tutte le forze politiche e istituzionali della Federazione Russa, riconoscere le due repubbliche separatiste del Donbass, cioè Donec’k e Luhans’k. Era l’unico modo per proteggere i propri concittadini.

Questa è la mossa che l’occidente attendeva, anzi smaniava, per sentirsi legittimata ad accusare la Russia di volere la guerra, di volersi espandere per ricostituire l’Unione Sovietica, dimenticandosi ipocritamente che sul finire degli anni ’80 e i primi del ’90 la leadership occidentale aveva promesso a Gorbaciov (che stava sciogliendo il Patto di Varsavia) che non avrebbe mai e per nessun motivo incorporato le ex repubbliche del Patto di Varsavia nella NATO. Promessa negata fino ad oggi come inventata dai russi, ma rivelatasi vera dopo che uno storico ha ritrovato dei documenti che ne dimostrano la fondatezza.

Quindi gli USA e i suoi satelliti europei per l’ennesima volta si sono rivelati menzogneri e inaffidabili. Non solo la promessa era vera ma sono andati ben oltre le peggiori previsioni, inglobandoli tutti nella NATO, che dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica avrebbe dovuta essere sciolta, avendo perso ormai il suo scopo difensivo contro l’Unione Sovietica.

Sono andati talmente oltre ogni senso della misura e dell’opportunità, che sono arrivati a pretendere di accorpare pure l’Ucraina, cioè il territorio dove storicamente  la Russia è nata (dal principato di Kiev) durante il Medioevo, che significherebbe poter posizionare le armi missilistiche a poche centinaia di km da Mosca.

Nei primi anni ’60 ai tempi della presidenza Kennedy, quando l’Unione sovietica collocò alcune batterie missilistiche a Cuba, la reazione degli USA è stata risoluta e si è sfiorata la III Guerra Mondiale, perché i russi dovrebbero reagire diversamente ora che si trovano in una situazione analoga? Siamo al solito, al doppio standard ipocrita occidentale dei due pesi e due misure, i principi morali valgono solo se sono rivolti contro l’avversario, esentando sempre se stessi e il rispetto delle norme e delle consuetudini è unilaterale, secondo convenienza.

Dal punto di vista geopolitico e strategico la Russia ha perfettamente ragione a pretendere che non si superino le cosiddette linee rosse che minacciano la loro integrità, sicurezza e diritto alla difesa territoriale.

 La NATO, braccio armato e associazione a delinquere di stampo militare e terroristico nelle mani degli USA, non ha alcun diritto di estendersi fino ai confini della Russia, altrimenti questa avrebbe il diritto di ritornare a posizionarsi a Cuba per controbilanciare la minaccia.

Questi sono ragionamenti e concetti basilari, elementari, che non necessitano di conoscenze geopolitiche e strategiche per essere capiti. Ma i nostri politicanti e operatori mediatici parlano di questioni geopolitiche e strategiche come fossero esperti, mentre sono di un’ignoranza abissale e di un’ipocrisia imbarazzante.

Un altro aspetto essenziale che rende insopportabile accettare il bombardamento mediatico di falsità e scemenze sulla questione Ucraina, è il fatto che a pagare le conseguenze delle sanzioni che verranno applicate alla Russia saranno soprattutto i cittadini europei, che si ritroveranno con gravissime ripercussioni economiche sulle loro spalle, già ora gravate da pesanti oneri impropri, sanzioni volute dagli USA ma che penalizzano l’Europa, come al solito.

Altro aspetto paradossale e deleterio è rappresentato dal fatto che questi quaquaraquà e ominicchi che governano l’UE, corrotti e ignoranti, hanno il potere di inviare in Ucraina anche i nostri soldati, a rischiare di morire per uno stato criminale e corrotto, dal quale sono già fuggiti in pochi anni sei milioni di ucraini per non morire di fame.

All’Ucraina non frega assolutamente nulla dell’integrità territoriale, che secondo loro sarebbe stata violata, non dal colpo di stato nazista filoamericano, ma da una presunta invasione russa della Crimea e del Donbass (mai avvenuta), se non fosse che, le due repubbliche separatiste collocate nella regione del Donbass sono le più ricche e prospere di tutta l’Ucraina. Sarebbe come se in Italia, la Lombardia e il Piemonte, si staccassero rendendosi indipendenti e volessero aderire alla Confederazione Elvetica.

Ecco svelato il vero motivo dell’accanimento della leadership ucraina contro la Russia e del coinvolgimento del mondo occidentale a loro sostegno. È l’unico modo che hanno le oligarchie al potere in Ucraina per continuare a ricevere finanziamenti e accumulare ricchezze a detrimento della popolazione sempre più ridotta in miseria.

Tra l’altro v’informo, perché i media mainstream non lo fanno, che l’Ucraina ha abbandonato totalmente i suoi cittadini del Donbass interrompendo ogni diritto sociale e istituzionale, non pagando più le pensioni agli aventi diritto, oltre ad altre vessazioni e angherie, trattandoli come nemici.

Per parlare di un argomento occorre essere obiettivi e ben informati e non omettere nulla d’importante, per fornire al lettore un quadro esauriente della situazione, altrimenti non si fa informazione ma propaganda. Cosa altro potrebbero fare gli abitanti del Donbass se non rivolgersi alla Russia? Sia per difendersi che per sopravvivere dignitosamente.

Altro aspetto che i media mainstream omettono di riferire, è che l’Ucraina non ha mai rispettato gli accordi di Minsk, anzi non li ha mai voluti riconoscere e ha continuano a bombardare i villaggi e le città più vicine ai confini distruggendo infrastrutture e uccidendo civili, com’è stato riconosciuto anche dalle testimonianze degli osservatori dell’OCSE presenti in zona, nonostante la loro parzialità e faziosità.

La Russia non ha alcun interesse a riprendersi l’Ucraina, uno stato fallimentare che dovrebbe ricostruire e mantenere a vita con gravosi oneri che non si può permettere, ma vuole solo difendere i russi che vi abitano e difendere sé stessa dal ogni minaccia prossima ai suoi confini.

Quindi in conclusione riaffermo le mie convinzioni, espresse fin dal 2014, al tempo del colpo di stato nazista filoamericano in Ucraina, che la NATO andrebbe sciolta, che l’UE dovrebbe abbandonare l’influenza politica degli USA che si è sempre rivelata deleteria per noi, per riprendere rapporti amichevoli e commerciali con la Russia, che è corretto riconoscerlo essere prevalentemente europea.

 Infatti, i tre quarti della popolazione abitano nella Russia Europea ed è per questo motivo che si sentono europei e non comprendono quest’accanimento ostile nei loro confronti, perché è storicamente e culturalmente immotivato ma istigato esclusivamente dagli interessi americani contrastanti coi nostri, in quanto intendono tenere separata l’UE dalla Russia, in particolare la Germania come prima potenza industriale dell’UE.

Prima lo capiamo e meglio sarà, ma finché avremo dei servi e degli utili idioti a governarci non faranno mai l’interesse della popolazione.

(Claudio Martinotti Doria-- cavalieredimonferrato.it).

 

 

 

 

Il solito, ipocrita Occidente

terrorista: Putin “aggressore.”

Libreidee.org-Redazione-Libero-(24/2/2022)-ci dice :

«Ora tutti danno del matto scriteriato a Vladimir Putin, ma i veri folli siamo noi, che ci stiamo bevendo la narrazione patetica che dalla sala ovale della Casa Bianca ci è piombata in testa come verità assoluta: quella dell’Occidente e in primis dell’America come paladina dei diritti inderogabili delle nazioni».

Così “Libero”, in un editoriale che commenta la reazione militare russa alle reiterate provocazioni atlantiche in Ucraina, paese “prenotato” ufficialmente per l’ingresso nella Nato in violazione di ogni precedente accordo.

Traduzione pratica nei nostri media:

Putin avrebbe violato il diritto internazionale, calpestato la sovranità di uno Stato tutelato dall’Onu, riconosciuto ufficialmente e sostenuto militarmente due territori del Donbass (Est dell’Ucraina) che si sono proclamati repubbliche indipendenti.

“Libero” punta il dito contro il vizietto storico dell’Occidente: l’interferenza “umanitaria”.

«Se osservatori non sempre disinteressati colgono in una certa zona del mondo il prevalere di un tiranno crudele, allora è concesso mandare truppe, rimpiazzare i presidenti, commissariare un paese. È successo in Somalia nel 1993, in Bosnia-Erzegovina fino al 1996».

Il decantato diritto internazionale?

Regolarmente ritoccato «a misura del più forte, che non sempre è quello buono».

 In Kosovo, «senza neppure il minimo cenno di approvazione dell’Onu», nel 1999 la Nato attaccò la Serbia, «accusata di crimini orrendi nella provincia già autonoma di Pristina a maggioranza albanese-musulmana», ma in realtà «i report erano falsi come quelli di Giuda».

Non solo: «Noi italiani bombardammo Belgrado per ragioni umanitarie, persino un ospedale. Poi garantimmo una resa onorevole a Milosevic, il presidente comunista di Belgrado, invano difeso dalla Russia e da scrittori come Solzenicyn, spergiurando che il Kosovo sarebbe rimasto sacro suolo della Serbia».

In quel caso «la Nato intervenne, inventando panzane, per costituire uno stato mafioso-islamico nel cuore dell’Europa: fu un’operazione condotta da Bill Clinton e Joe Biden».

E vogliamo parlare dell’Iraq?

Nel 2003, con l’aiuto di servizi segreti europei, «gli Stati Uniti costruirono false prove del possesso, da parte di Saddam Hussein, di armi di distruzione di massa.

 Guerra di liberazione? È servita a insediare l’Isis».

Altro capitolo, la Libia:

 «La Nato ha deciso che Gheddafi era cattivo e i jihadisti di Allah buoni».

 In pratica, sempre secondo “Libero”, «sostenemmo i taglia-gola tagliando la gola a noi stessi (per gola qui si intendono i rifornimenti energetici) e consegnando il nostro paese a essere meta di migranti usati come armi di destabilizzazione».

Dopo la Libia toccò alla Siria, e via così.

Oggi, «Putin ha applicato il medesimo criterio dei precedenti punti “americani”: in particolare, il riferimento è all’Iraq e al Kosovo». L’adesione dell’Ucraina alla Nato? Più che prevedibile, nonostante fosse stata osteggiata già nel 2008 sia da Prodi che dalla Merkel. Ma ora, «il dispiegamento di forze e missili occidentali con basi in Romania, Polonia e Paesi Baltici è un bigliettino di inimicizia sfacciato».

Quanto alla popolazione russofona del Donbass e di Odessa: «C’è qualcuno che osi negare sia vessata, ridotta a “dilly”, cittadini di serie B, dall’attuale regime sponsorizzato dall’Occidente per essere una spina nel fianco della Russia?».

Il quotidiano di Sallusti parla di «un secondo livello di ipocrisia», e spiega: «Putin in questi giorni ha reso semplicemente ufficiale ciò che era già reale dal 2014». Ovvero: «Sin dall’invasione e annessione della Crimea, il Donbass è sotto sovranità russa: non c’è servizio segreto occidentale che non lo sappia. Persino le forze militari con divisa ucraina lì servono Mosca. Ci sono stati referendum, in Donbass, dove plebiscitariamente la popolazione ha optato – secondo il principio di autodeterminazione – per l’indipendenza da Kiev».

E dunque: «Il principio di autodeterminazione vale solo quando lo decidono gli americani? Anche loro, in fin dei conti, alcuni secoli fa, si dichiararono indipendenti dalla Gran Bretagna, o ci sbagliamo?».

Osserva “Libero”:

 «La storia si muove. Il diritto internazionale si modella in una lotta impari tra puri ideali e sporca forza. Di solito vince la forza».

 E Putin si è mosso ora «non perché impazzito», ma per ragioni di politica interna («individuare un’aggressione esterna raggruma il popolo intorno al capo») e anche «per mostrare agli europei chi è davvero Biden.

L’uomo della Casa Bianca?

«Se ne frega degli interessi e del benessere dei popoli alleati, e fa di tutto per creare le condizioni – esasperando il conflitto diplomatico, muovendo l’esercito – per inimicare la Russia e gli Stati europei».

 In altre parole: «Che importa a Biden se la bolletta della luce triplica a Bari e a Torino, se i forni di Mestre si spengono e non sciolgono più il vetro perché il gas è troppo caro?». “Libero” cita una riflessione di Jeffrey Sachs, della Columbia University, pubblicata in queste ore sul “Financial Times”.

 «Gli Stati Uniti – scrive Sachs – dovrebbero garantire alla Russia che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato, chiedendo in cambio il completo ritiro delle forze russe dalla regione del Donbass e l’annullamento del riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste, oltre alla smobilitazione delle truppe al confine con l’Ucraina, insieme a garanzie sul riconoscimento della sovranità di Kiev». Aggiunge l’analista:

«Se gli Usa non proporranno questo accordo, dovrebbero farlo Germania e Francia».

Sempre che non sia troppo tardi, ormai, vista la portata dell’offensiva militare russa scatenata contro l’Ucraina.

 

 

 

 

Draghi: risposta immediata. Mattarella

convoca Consiglio supremo di difesa.

msn.com-avvenire.it-Redazione-(24-2-2022)- ci dice:

«Il governo italiano condanna l’attacco della Russia all’Ucraina. È ingiustificato e ingiustificabile.

 L’Italia è vicina al popolo e alle istituzioni ucraine in questo momento drammatico. Siamo al lavoro con gli alleati europei e della Nato per rispondere immediatamente, con unità e determinazione».

 Alle 7.14 Palazzo Chigi rende pubblica la posizione, dura, di Mario Draghi, che sembra lasciare ormai pochi margini alla diplomazia.

A stretto giro di posta, anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio rilascia una dichiarazione con toni analoghi: «L'operazione militare russa è una gravissima e ingiustificata aggressione, non provocata, ai danni dell'Ucraina, che l'Italia condanna con fermezza. Una violazione del diritto internazionale. L'Italia è al fianco del popolo ucraino, insieme ai partner Ue e atlantici».

 A stretto giro di posta, poi, il capo dello Stato Sergio Mattarella compie l'atto che formalizza definitivamente la gravità della situazione: la convocazione, alle 16.30, del Consiglio supremo di difesa.

Dopo i fatti della notte, dunque, il governo italiano chiede una reazione veloce dell'alleanza atlantica.

 E chiede ai partiti di maggioranza di superare i distinguo degli ultimi giorni.

Sulla linea dura non c'è bisogno di convincere il segretario del Pd, Enrico Letta, che su Radio uno e sui social conferma:

«L'Italia deve condannare senza ambiguità l’attacco all’Ucraina e, insieme agli alleati, reagire a questa sfida senza precedenti ai principi di libertà e democrazia in Europa. I comodi terzismi sono stati spenti dalle bombe di Putin; ora è o di qua o di là».

Il segretario dem (globalista fanatico)oggi alle 16 sarà dinanzi all'ambasciata russa a Roma per protestare.

 Si tratta di un messaggio a Matteo Salvini, il leader di maggioranza che sinora ha fatto più fatica a riconoscere le responsabilità di Vladimir Putin nel conflitto.

 Il capo della Lega, però, dopo aver letto la nota di Draghi, afferma:

«La Lega condanna con fermezza ogni aggressione militare, l'auspicio è l'immediato stop alle violenze. Sostegno a Draghi per una risposta comune degli alleati».

Troppo poco, secondo Letta, che chiede al capo del Carroccio una condanna esplicita di Putin e ricorda a Salvini:

«Portavi il suo nome sulle magliette». Passa un'oretta e il capo della Lega replica: «Chi fa polemica anche in ore così drammatiche è davvero uomo da poco».

Il leader leghista intanto annuncio il rientro dei parlamentari alle riunioni del Copasir (organismo parlamentare abbandonato per protesta nei mesi scorsi) e una riunione della segreteria del partito per definire la linea politica.

Mentre a dare una indicazione sulla ricollocazione del Carroccio sono gli europarlamentari Zanni e Campomenosi:

 «Ferma condanna dell'aggressione militare russa all'Ucraina, la guerra non è mai la soluzione. Piena solidarietà al popolo ucraino, ora l'Occidente reagisca compatto. L'obiettivo deve essere una risposta ferma e la fine immediata delle ostilità: le armi devono lasciare posto alla diplomazia».

Il riallineamento alla posizione di Draghi e Di Maio è in corso anche dentro M5s, con il presidente Giuseppe Conte che sui social esprime «ferma condanna per l'attacco russo che precipita la situazione e allontana ogni soluzione diplomatica. Confidiamo in una risposta comune europea e nel contributo che l'Italia può dare. Il mio pensiero va alla popolazione civile, per la quale sono profondamente preoccupato».

Insomma le fratture nella maggioranza non si ricompongono nemmeno in un momento di difficoltà così acuto. Intanto salta la presenza in Cdm del ministro degli Esteri francese, Le Drian, che avrebbe dovuto partecipare ai lavori del governo italiano in base agli accordi di gemellaggio previsti nel Trattato del Quirinale siglato da Roma e Parigi.

L'intera agenda del governo e di Draghi subisce un netto cambiamento, in realtà: nel pomeriggio il premier parteciperà al G7 in videoconferenza, poi al Consiglio supremo di difesa, in serata alle 20 al Consiglio Ue straordinario, fissato in presenza a Bruxelles.

Si lavora inoltre ad una informativa del premier alla Camera e al Senato: domani, come passo intermedio, Draghi incontrerà separatamente i capigruppo di Camera e Senato. Mentre già stamattina il premier ha riunito il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, il Cisr.

Sul fronte delle opposizioni, Fratelli d'Italia pubblica una nota del capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida, che sembra voler dissipare i dubbi sulla posizione della leader Giorgia Meloni:

«Fratelli d'Italia - dice Lollobrigida - ha espresso anche in Parlamento la ferma condanna delle azioni militari della Russia guidata da Vladimir Putin in Ucraina. Da giorni chiedevamo la presenza del presidente Draghi per un confronto parlamentare su quello che stava accadendo e quali azioni l'Italia dovesse intraprendere sul piano nazionale ed internazionale.

Fratelli d'Italia è un partito patriottico e non farà prevalere atteggiamenti polemici in questo momento, avremo tempo e modo di discutere dei gravi errori e delle responsabilità dell'Europa e nell'Europa dei governi italiani che si sono succeduti e che hanno portato a una debolezza evidente.

Oggi però facciamo fronte comune con gli alleati del Patto Atlantico per arginare in ogni modo possibili velleità imperialiste della Russia».

 

 

 

 

Lo sgomento di noi che non

sappiamo più pensare alla guerra.

msn.com- Corriere della  Sera- Aldo Cazzullo -  (24-2-2022)- ci dice :

 

L’invasione dell’Ucraina.

Non soltanto non siamo più capaci di fare la guerra; non riusciamo neppure più a pensarla. A concepirla.

 Stamattina siamo tutti increduli e sgomenti, nonostante fossimo stati messi sull’avviso non tanto dagli americani quanto dallo stesso Putin.

E ora avvertiamo la più frustrante delle sensazioni: l’impotenza. Cui, a seconda della propria sensibilità, ognuno reagisce parlando d’altro o chiudendosi nell’angoscia.

 I social sono pieni di ironie su Di Battista, che è stato sfortunato: aveva appena scritto su Facebook che «la Russia non sta invadendo l’Ucraina», e «credo che Putin tutto voglia fuorché una guerra».

In realtà, non c’è nulla da ridere; e non solo perché si tratta di un ex leader storico del partito di maggioranza relativa, votato da un terzo degli elettori italiani.

Ex presidenti del Consiglio e studiosi di geopolitica non ci avevano capito molto di più. E un po’ tutti noi ci eravamo illusi che la crisi si sarebbe limitata a una correzione di confini, a uno dei tanti colpi di mano cui Putin ci ha abituati.

 Le bombe su Kiev e sulle grandi città ucraine, le prime vittime, la manovra a tenaglia: lo scenario è completamente diverso, e rende non solo inutili ma pure un po’ ridicole le schermaglie diplomatiche dei giorni scorsi.

Ora rischiamo davvero di avere Putin o un suo fantoccio sui confini orientali della Nato e dell’Unione europea; proprio nel momento in cui l’Unione misura la propria fragilità. Anche perché ne è appena uscita l’unica nazione che avesse il know-how, i mezzi e la cultura per combattere, se non per l’Ucraina, almeno per se stessa e gli alleati: il Regno Unito.

Certo, nell’Ue c’è una potenza nucleare, la Francia.

Macron ha sperato di poter fare la campagna elettorale fermando Putin. Nel frattempo, a 40 giorni dal voto per l’Eliseo, il presidente ha ritirato le truppe del Mali, dove già sono schierati i mercenari russi.

 Ora, Macron è tutto tranne che uno sprovveduto. Evidentemente sa che lasciare la prima linea della guerra all’estremismo islamico, che ha insanguinato la Francia in questi anni ed è una causa non secondaria dell’ondata migratoria che investe l’Europa, non fa perdere consensi; ne fa guadagnare.

 È la Francia del giugno 1940; e all’orizzonte proprio non si vede un generale al tempo quasi sconosciuto, Charles de Gaulle, che dalla radio di Londra invita a non arrendersi, mai.

Certo, nell’Ue c’è una potenza economica e politica, la Germania; e in queste ore si misura l’assenza di una protagonista dalla statura di Angela Merkel. Ma sulla scena internazionale la Germania è ancora il Paese sconfitto in due guerre mondiali, senza armi atomiche, senza un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, senza i mezzi e senza la mentalità per fare una guerra.

Quanto alle nostre forze armate, proprio non meritano facili ironie. Da decenni, dalla missione in Libano – Paese dove siamo ancora impegnati -, i soldati italiani hanno dimostrato di saper mettersi in gioco e anche morire per difendere i valori e gli interessi della comunità nazionale.

I nostri uomini, gli alpini, i carabinieri sono considerati i migliori del mondo nelle missioni di costruzione della pace: perché sono capaci di dialogo e di rispetto per gli altri popoli; perché sono portatori di quella cultura umanista e cristiana che è il principale motivo per cui possiamo essere orgogliosi di sentirci italiani.

 La stessa cultura che ha portato a scrivere nella Costituzione che l’Italia giustamente ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Ma se la guerra ce la fanno gli altri? Riconosciamolo: lo sgomento di questa mattina nasce anche dal distacco con cui abbiamo seguito le vicende ucraine.

La difficile sorte di un Paese cuscinetto tra Putin e l’Europa libera. L’avvelenamento di Viktor Yushchenko.

La partita tra una democrazia filoeuropea per quanto debole, che elegge alla presidente del Paese un ex comico e a sindaco di Kiev l’ex campione dei pesi massimi, e un’autocrazia fortissima di stampo asiatico. Ora l’ultima cosa da fare è sguarnire la frontiera orientale dell’Unione europea.

 È perdere l’Est per una seconda volta, dopo le speranze aperte dalla caduta del Muro e dall’allargamento dell’Ue. La prima crisi da affrontare sarà quella dei profughi. Ma la vera questione sarà la tenuta democratica – già messa a dura prova dal vento sovranista - di Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca; senza poter contare (come notava su questo giornale Antonio Polito) sui Walesa, sui Nagy, sugli Havel.

La frontiera della libertà andrà difesa a ogni costo. Anche perché stavolta sarà sfidata direttamente l’America.

Se la Cina non ha ancora attaccato Taiwan, è perché sa che l’America per Taiwan sarebbe disposta a combattere.

Se la Russia stamattina ha attaccato l’Ucraina, è perché sa che per l’Ucraina non era disposto a combattere nessuno. Se fossimo stati pronti a fare la guerra per l’Ucraina, la guerra non ci sarebbe.

 Dirlo adesso è forse inutile. Ma è utilissimo, anzi indispensabile, tenerlo a mente per evitare la prossima guerra.

 

 

 

 

Europa, Stati Nazione E Futuro:

Ecco Il “Pera” Pensiero.

Largomento.com- Redazione- (24-2-2022)- ci dice :

“La vera patria è là dove c’è cura di te. Non serve a niente, salvo che a far mostra di buoni e facili sentimenti, condannare i patriottismi nazionali che rinascono. Servirebbe un po’ di onestà intellettuale per capire le ragioni per cui rinascono”

Pubblichiamo l’intervento del Presidente emerito del Senato, prof. Marcello Pera, tenuto all’Accademia lucchese di Scienze, Lettere e Arti il 18 novembre 2021.

Anche se quasi nessuno lo sa, proprio in questi giorni si stanno riunendo in tutta Europa quattro comitati ciascuno di 200 membri, cittadini europei selezionati in modo casuale, per discutere sullo “Stato futuro dell’Europa”.

 L’iniziativa, presa dalla presidente dell’Unione Europea, Ursula von der Leyen,(globalista fanatica) su suggerimento del presidente francese Emmanuel Macron, è partita nel 2019, poi slittata al 2020, e si concluderà l’anno prossimo.                  I temi in discussione sono quattro: economia, democrazia, clima, migrazioni. Saranno oggetto di separati documenti da presentare alle istituzioni europee.

 

Se si discute di futuro dell’Europa, significa che la costruzione europea presente è ancora un cantiere aperto o quantomeno che vi sono lacune. Faccio sùbito un esempio.

In queste ore, a fronteggiare i migranti che dalla Bielorussia premono ai confini della Polonia sono solo le forze dell’ordine polacche, anche se è chiaro che chi ce li manda, Lukashenko oggi, come Erdogan ieri e Gheddafi prima, lo fa per ricattare l’Europa intera, non la sola Polonia. Perché, allora, non c’è l’Europa?

Semplice: perché l’Europa non ha confini definiti e non ha una forza per difenderli. Ecco una enorme lacuna.

Non esistono un esercito europeo, una polizia europea, guardiacoste europei. In questa situazione, come si può parlare di Stato (o super-Stato) europeo?

 Il primo compito dello Stato è la difesa del proprio territorio.

Come si può parlare di Unione Europea? Compito di un’unione fra Stati è soccorrere quelli che ne abbiano bisogno. Invece, oggi sembra valere ciò che qualche tempo fa disse l’ambasciatore Sergio Romano: che nell’espressione “Unione Europea”, “il termine Unione è una bugia”.

Non fa meraviglia allora che il sentimento di appartenenza ad una medesima comunità allargata europea si stia assottigliando e che presso molti cittadini europei cominci a farsi strada la richiesta di nazionalità e si stia sviluppando un patriottismo nazionale. È il fenomeno battezzato come “sovranismo”. Credo che, anziché deprecarlo e prima di criticarlo, si dovrebbe comprenderlo. È deprimente invece osservare che si preferisce farne oggetto di misera propaganda politica, come se non avesse motivazioni serie.

Perché nasce la diffidenza verso l’Europa globalista (governata  dai  “Dagos man”) e cresce il bisogno di rifugio nei nostri Stati-nazione?

A mio avviso, non c’è nessun mistero o disegno, nessun complotto di forze antidemocratiche, nessun rigurgito del passato. Ci sono solo reazioni politiche a fatti crudi da analizzare e a problemi oggettivi da risolvere. Consideriamo la situazione e ciascuno guardi alla propria condizione.

L’agenda dell’Ue.

2.)- Se, a causa di fenomeni migratori, hai bisogno di sicurezza alla tua frontiera o dentro il tuo paese e vedi che l’Unione europea non ha un’agenda adeguata a soddisfarlo; se abiti in una zona di periferia e l’Unione ti lascia solo a fronteggiare ondate di clandestini; se, di fronte a questo fenomeno, consenti ad alcuni Stati interni e riparati di chiudere i loro confini trasformando in imbuti ciechi gli Stati di frontiera; se hai paura del terrorismo islamico e vedi che le élites politiche europee evitano persino di chiamarlo col suo nome proprio; se le gerarchie della Chiesa si comportano allo stesso modo, magari piantando alberi di pace mentre i terroristi ti fanno la guerra; allora è comprensibile che un patriottismo europeo stenti a nascere. Anzi, cominci a pensare che l’Europa sia un problema, non la soluzione. Che ti sia estranea e lontana, anziché prossima.

 

Facciamo analoghe osservazioni, soprattutto con riferimento a casa nostra. Se le tue condizioni di vita peggiorano e la classe media del tuo paese si impoverisce sensibilmente; se paghi tasse elevate; se il lavoro decentemente retribuito scarseggia; se i giovani hanno futuro incerto; se la competizione nel mondo globalizzato abbassa il tuo tenore economico; se lo stato sociale diventa sempre più costoso e sei costretto a pagarlo due volte, prima con il contributo ai servizi nazionali poi con le parcelle ai servizi privati; allora il patriottismo nazionale cresce, perché di fronte a questi problemi lo Stato-nazione diventa l’unico luogo per la soddisfazione dei tuoi bisogni, cioè diventa la tua vera patria. La vera patria, infatti, è là dove c’è cura di te.

Dunque, non serve a niente, salvo che a far mostra di buoni e facili sentimenti, condannare i patriottismi nazionali che rinascono. Servirebbe un po’ di onestà intellettuale per capire le ragioni per cui rinascono.

Prendo ancora l’esempio della Polonia. Di recente è stata condannata dal Parlamento e dalla Commissione europea ed è ora minacciata di sanzioni fino all’espulsione dall’Unione per violazione dello stato di diritto. Ma qualcuno ci ha spiegato in che cosa precisamente consistono queste violazioni? Qualcuno, compreso la stampa, ha mai fatto conoscere le motivazioni della Corte costituzionale polacca in merito al rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario?

Qualcuno ha mai ricordato che l’intervento della Corte costituzionale polacca ha la stessa fonte di legittimità di quello della corte costituzionale tedesca, che pure decide se le cessioni di sovranità verso l’Europa sono compatibili con l’ordine costituzionale tedesco?

E soprattutto: che cos’è, fino a dove si estende, quali limiti ha, il cosiddetto “stato di diritto europeo”? Coinvolge anche la legislazione su materie etiche? E se i polacchi volessero mantenere le loro in armonia e continuità con tradizione cattolica assai sentita in quel paese, perché dovremmo condannarli?

È anche su terreni come questi che viene a mancare l’Unione europea. Essa dà l’impressione di fare distinzioni fra Stati, di promuoverne alcuni e censurarne altri, di favorire certe politiche di alcuni partiti o coalizioni di partiti anziché altre, di imporre decisioni in disprezzo delle maggioranze e dei governi eletti. È come se dai palazzi di Bruxelles venisse un avvertimento agli elettori degli Stati nazionali: o vi fate governare da maggioranze e persone da noi approvate, oppure siete fuori dalla nostra comunità di “princìpi e valori”.

 Niente suona più offensivo e irritante per un elettore del sentirsi dire che non è libero di scegliere o che lo è solo entro un certo perimetro.

I polacchi, che hanno la memoria sanguinante delle invasioni nazista e sovietica, hanno il timore che l’Unione europea si comporti nei loro confronti come un impero centrale. Si può o no discutere se i popoli europei hanno solo il dovere di cedere la loro sovranità e non anche il diritto di mantenere le proprie tradizioni, almeno riguardo a certe materie particolarmente sensibili?

Chiarisco la domanda.

 Supponiamo che nella costituzione di un paese europeo sia scritto che la famiglia è una “comunità naturale fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna”. È il caso della costituzione italiana all’art. 29, anche se l’espressione “fra un uomo e una donna” non vi compare, ma è chiaramente implicita in quella di “comunità naturale”, che non significa “comunità giuridica” o “comunità culturale”.

Ebbene, questa costituzione deve cedere al diritto comunitario che prevede il matrimonio omosessuale? E perché? I popoli europei non hanno mai partecipato a discussioni riguardo a questo nuovo diritto. Al contrario, quando fu stilata una costituzione europea, la quale dà spazio alla famiglia omosessuale, i francesi la bocciarono con un referendum.

La realtà è che un vero spirito europeo non è ancora nato, anche perché, agli occhi dei cittadini, le istituzioni europee non hanno fatto molto per farlo nascere, essendo opache e pletoriche.

(Ed inoltre sono state infiltrate dai globalisti che sono indottrinati dalla religione del Libro  “La quarta rivoluzione industriale” scritto da Klaus Schwab,  il profeta.Ndr)

Abbiamo un’abbondanza di organi politici, amministrativi, giurisdizionali, in cui è difficile districarsi, e che pure ci inviano quintali di regole e decisioni e direttive e sentenze ogni anno.

 Qualcuno sa precisamente quali poteri ha il parlamento europeo, che pure è eletto da tutti noi?

 Qualcuno conosce le competenze e le differenze fra Commissione europea, Consiglio europeo, Consiglio dell’Unione europea?

Qualcuno sa dire che cos’è e che cosa fa il Consiglio d’Europa, che pure, nonostante il nome, non fa parte delle istituzioni dell’Unione europea?

La democrazia deve essere trasparente. Implica che i governanti siano controllati dai governati mediante elezioni e perciò che i governanti siano ben conosciuti. Invece, a dire onestamente le cose come stanno, gli organi e gli uomini di governo europei sono personaggi spesso oscuri e nascosti.

 Per questo l’Unione europea oggi non è una federazione né è una confederazione, bensì un’aggregazione non sempre ben riuscita. Forse non è una plateale bugia, ma è una mezza verità.

Quanto dico suona euro-scettico? Ecco un altro modo di dire per non ragionare. Oppure per esorcizzare le difficoltà battezzandole con termini dalla connotazione negativa. È polemica banale e deprimente.

Se si guarda alla scala geopolitica mondiale, l’Europa è diventata una necessità ed è irreversibile. Non possiamo prescindere e non possiamo tornare indietro. Anche un nazionalista, se non è miope, non può non riconoscerlo. Dopotutto, se c’è l’America, c’è la Cina, c’è la Russia, e ci sono altri attori potenti in regime di pluralismo competitivo crescente, dovrebbe esserci anche l’Europa a determinare gli equilibri mondiali e difendere i nostri interessi.

E tanto più deve esserci oggi quanto più l’America non è lo stesso nostro protettore di prima. Il tempo dello scudo americano sta ormai per scadere. Lo zio Sam è sempre più restio a pagare i conti della nostra difesa. Non c’entra Trump, c’entrano gli interessi dell’America. Ma allora, se l’Europa è necessaria, quella di oggi va criticata e ripensata, e quella futura deve essere meglio disegnata. Questo è sano realismo, lo scetticismo non c’entra.

Europa necessaria e irreversibile.

3.)-Supponiamo ora che l’Europa la vogliamo seriamente e che siamo tutti convinti che sia necessaria e irreversibile. Per costruirla davvero, c’è ancora un problema molto serio da affrontare ed è quello dell’identità. L’America è il continente liberaldemocratico cristiano. La Cina il continente comunista e confuciano. La Russia il continente autocratico e ortodosso. E l’Europa che cos’è?

Chi eravamo lo sappiamo.

 L’Europa era il continente cristiano. Lo è ancora?

 La Conferenza sul futuro dell’Europa in corso, che tratta anche questo tema sotto la rubrica “valori e diritti”, non è la prima ad occuparsene. Di fatto, i grandi padri dell’Europa lo ebbero chiaro sùbito dopo la Seconda guerra e pensarono ad un’Europa cristiana, perché ritenevano il cristianesimo battesimo di identità e civiltà.

Disse Schuman: “tutti i paesi dell’Europa sono permeati dalla civiltà cristiana. Essa è l’anima dell’Europa che occorre ridarle”.

Disse De Gasperi: “come concepire un’Europa senza tener conto del cristianesimo, ignorando il suo insegnamento fraterno, sociale, umanitario?”.

Disse Adenauer: “consideravamo mèta della nostra politica estera l’unificazione dell’Europa, perché unica possibilità di affermare e salvaguardare la nostra civiltà occidentale e cristiana contro le furie totalitarie”.

Il progetto di questi padri, la Comunità Europea di Difesa (CED), come è noto finì male, per mano francese, ma il tema ritornò negli anni Novanta, quando il processo di integrazione economica si fece più stringente e quello di unione politica, dopo la caduta del Muro di Berlino, cominciò a bussare alla porta.

Nel 1992, Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, pronunciò un discorso nella cattedrale di Strasburgo in cui sollevò il problema, che agli Italiani ricorda tanto quello celebre di D’Azeglio. Disse: “bisogna dare un’anima all’Europa … Se nei dieci anni a venire non riusciamo a darle un’anima, una spiritualità, un significato, avremo perduto la partita dell’Europa”.

Qualche anno più tardi, nel 1999, Romano Prodi, anche lui presidente della Commissione europea e anche lui in una chiesa, si espresse negli stessi termini: “l’Europa non si può concepire nell’oblio della sua memoria e in questa memoria figura la traccia permanente del cristianesimo. Nelle diverse culture delle nazioni europee, nelle arti, nella letteratura, nell’ermeneutica del pensiero c’è la culla del cristianesimo che alimenta credenti e non credenti”.

E tanti altri hanno sostenuto la stessa posizione. Inutile che ricordi gli interventi accorati e molto dotti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

E però la discussione è finita male anche questa volta. Dell’anima cristiana dell’Europa non si è più parlato. E quando se ne è parlato, quest’anima è stata via via nascosta, emarginata, censurata e anche repressa. Quante discussioni inutili sulle “radici giudaico-cristiane dell’Europa” da richiamare nel preambolo della costituzione! Quanta retorica! Quanta ipocrisia di chi fingeva di apprezzarle, quelle radici, e in realtà non credeva a nulla!

Guardiamo in faccia la realtà. Oggi in Europa siamo nell’epoca dell’apostasia del cristianesimo, del nascondimento e cancellazione della nostra storia, dell’abbattimento dei nostri simboli. Si dice che è per una questione di inclusione, di pari dignità, di accoglienza degli altri. Sarà. Resta comunque che è una negazione gravissima della nostra identità. E io temo peggio: che sia anche una questione di paura.

Siccome la nostra memoria è spesso labile, conviene citare alcuni fatti recenti che non dovrebbero essere dimenticati in fretta, perché sono ammonimenti molto seri.

L’Europa ha evitato di menzionare le sue radici giudaico-cristiane nella sua Costituzione poi defunta, poi risorta, poi finita nell’obitorio giuridico di qualche trattato.

L’Europa ha condannato un politico italiano, Rocco Buttiglione, per aver sostenuto che il matrimonio omosessuale è contrario al suo credo cristiano.

L’Europa promuove legislazioni che violano princìpi cristiani sui principali temi etici. Sostiene l’aborto, l’eugenetica, l’eutanasia, la manipolazione degli embrioni, il matrimonio omosessuale, l’identità di genere, e già tollera la poligamia.

L’Europa non ha difeso un Papa, Benedetto XVI, attaccato perché in una sua lezione aveva sostenuto che il cristianesimo è religione del logos e non della spada e aveva chiesto all’islam di pronunciarsi in modo analogo.

L’Europa ha impedito a questo stesso Papa di parlare in una università, la Sapienza di Roma, dopo averlo invitato.

L’Europa nasconde i suoi simboli cristiani, nelle sue scuole elementari non insegna più a dire “Buon Natale” o “Buona Pasqua”, perché dice di non voler offendere i bambini dei non credenti o degli altri credenti.

 

L’Europa concede nei propri Stati la massima libertà religiosa e di culto agli islamici, ma tollera che, nei loro Stati, questa stessa libertà sia conculcata fino al martirio dei cristiani, in Africa, in Asia, in Turchia, in India, dappertutto.

L’Europa protegge sotto lo scudo della libertà di espressione le opere d’arte blasfeme nei confronti del cristianesimo, ma sospende questa stessa libertà quando si tratti di irriverenza satirica nei confronti dell’islam.

L’Europa reagisce flebilmente al fondamentalismo e al terrorismo islamici perché si considera colpevole di esportare la civiltà cristiana.

E così via, ogni volta con un cedimento rispetto alla nostra tradizione religiosa. Non fa meraviglia che seri studiosi parlino ormai di una “Europa senza Dio” e che i dati provino che l’Europa sia tra le aree più secolarizzate dell’Occidente.

Mi faccio delle domande. Può nascere un patriottismo europeo in una terra così desolata? Possiamo dotarci di una identità europea, se una fonte essenziale di identità dell’Europa, quella religiosa, è osteggiata? Se qualcuno ci terrorizza e ci accusa di essere “giudei e cristiani”, possiamo ancora rispondere: sì, lo siamo e vogliamo restarlo? Se dobbiamo dialogare con gli altri, possiamo farlo se gli altri declinano la loro identità e noi ci vergogniamo della nostra?

Fino a poco tempo fa, pensavo che queste domande dovessero essere indirizzate al mondo politico, ai partiti, alle istituzioni.

Da tempo, mi trovo costretto a rivolgerle al mondo cattolico e in primo luogo al suo magistero, dai vescovi al Pontefice.

Le nostre chiese si spopolano, alcune chiudono, altre cadono, altre si trasformano in nuovi edifici.

La nostra educazione tradizionale si perde. Il nostro senso di appartenenza si affievolisce. I vescovi marciano con la bandiera arcobaleno. Sulla loro bocca, l’espressione “salvezza” è lentamente sostituita dall’espressione “giustizia” e l’espressione “giustizia” è sempre più intesa nel senso di “giustizia sociale”, come se la giustizia del Dio cristiano avesse a che fare con la busta paga, mentre i termini “proselitismo” o “evangelizzazione” sono giudicati scorretti e banditi. Su questa strada, il cristianesimo si secolarizza, diventa umanesimo, ecologismo, pacifismo, democrazia, diritti umani.

Con uno slittamento semantico non facile da comprendere, il Pontefice chiama “clericalismo” ciò che dovrebbe essere fermezza di dottrina e coerenza di comportamenti. In tanta confusione, ci può capitare persino di veder recare omaggio al paganesimo, come si è visto al Sinodo dei vescovi panamazzonico o con l’ingresso della Madre terra in San Pietro.

Mi fermo qui. Per riassumere in rapida sintesi, rispondo alle domande che via via mi sono fatto. Europa, dove sei? Oggi sei terra indefinita. Europa, chi sei? Oggi sei un soggetto in via di smarrimento. Europa, ci sei? Oggi manchi spesso all’appello.

(@L_Argomento.).

 

 

 

 

"E’ una giornata storica oggi.

E lo rimarrà per molto, se non in eterno.

 Lantidiplomatico.it- Redazione-Vladimir Putin - (22 Febbraio 2022)- ci dice :

 

Per il Donbass. Per la Russia. Il discorso integrale di Putin del 21 Febbraio 2022 di Vladimir Putin.

 

Il mondo è spaccato in due, in modo sempre più netto. O dalla parte del Donbass, o contro. Ma qui non si parla solo di una striscia di terra grande a malapena quanto il Veneto. Qui si tratta di prevenzione di una balcanizzazione del Paese più grande della Terra, pianificata dall’occidente da troppi anni. Troppi anni sono passati senza che la Russia, o in generale qualunque Paese nemico (volutamente o meno) alla NATO si ribellasse veramente contro questa.

Oggi sarà ricordato come il giorno della prima mossa forte da parte della Russia.        

E’ vero, c’è già stata la guerra nel Caucaso. E’ vero, c’è già stata una guerra nel Donbass nel 2014 e nel 2015. Ma oggi la situazione è totalmente diversa. La NATO, l’occidente, come non mai è in crisi, e come non mai è così vicino nei propri piani aggressivi nei confronti della Russia.

Qui si parla dell’equilibrio del mondo intero – del presente, ma soprattutto del futuro… e anche del passato, da come ci fa ben pensare il presidente russo Vladimir Putin nel suo denso e già storico discorso.

Discorso di un eroe, un compagno, un rivoluzionario? Neanche ci passa per la mente definirlo in un modo simile.

E forse già chiamarlo alleato è un grande sforzo. Tuttavia, che la Russia – nonostante la sua possenza naturale – sia un Paese sotto attacco, accerchiato, se non addirittura, in certi termini, oppresso, non possiamo assolutamente negarlo.

 E Putin, nonostante la sua aspra critica storica (in parte legittima) contro i bolscevichi, e nonostante la sua natura praticamente borghese (o meglio filo-borghese), sta fungendo negli ultimi anni da grosso bastione contro il globalismo e l’imperialismo occidentale. E per questo va sostenuto, contro tutte le offensive dell’ormai fortunatamente decadente impero occidentale.

Ma della figura di Putin potremmo e dovremmo parlare molto più a fondo, in quanto leader più complesso del nostro secolo… avremo altra occasione di parlarne. Vi lasciamo con la lettura del discorso integrale del presidente russo, che è una sorta di Manifesto delle passate e future politiche difensive russe; un Manifesto per l’Unità russa ed una lotta contro le serpi occidentali. Traete voi le vostre conclusioni.

 

“Cari cittadini della Russia! Cari amici!”

Il tema del mio discorso sono gli eventi in Ucraina e perché questo è così importante per noi, per la Russia. Naturalmente, il mio indirizzo è rivolto anche ai nostri compatrioti in Ucraina.

Dovremo parlare a lungo e in dettaglio. La questione è molto seria.

La situazione nel Donbass è diventata ancora una volta critica e acuta. E oggi mi rivolgo direttamente a voi non solo per dare una valutazione di ciò che sta accadendo, ma anche per informarvi sulle decisioni che si stanno prendendo e sui possibili ulteriori passi in questa direzione.

Permettetemi di sottolineare ancora una volta che l’Ucraina non è solo un Paese vicino per noi. È parte integrante della nostra storia, della nostra cultura e del nostro spazio spirituale. Questi sono i nostri compagni e i nostri cari, compresi non solo i colleghi, gli amici e gli ex colleghi d’armi, ma anche i nostri parenti e le persone legate a noi da vincoli di sangue e familiari.

Per molto tempo, gli abitanti delle terre sud-occidentali storiche della Vecchia Russia si sono chiamati russi e cristiani ortodossi. Questo era il caso sia prima che dopo il XVII secolo, quando parti di questi territori furono riuniti allo Stato russo.

Ci sembra che in linea di principio siamo tutti consapevoli di questo, che stiamo parlando di fatti noti. Tuttavia, per capire ciò che sta accadendo oggi, per spiegare i motivi dell’azione della Russia e gli obiettivi che

stiamo perseguendo, è necessario dire almeno qualche parola sulla storia della questione.

Lasciatemi iniziare con il fatto che l’Ucraina moderna è stata creata interamente dalla Russia, o più precisamente, dalla Russia bolscevica e comunista. Il processo iniziò quasi immediatamente dopo la Rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi soci lo fecero in modo molto crudo alla Russia stessa – con la secessione, strappando parte dei propri territori storici. Ai milioni di persone che vivevano lì, ovviamente, non è stato chiesto nulla.

Poi, alla vigilia e dopo la Grande Guerra Patriottica, Stalin aveva già annesso all’URSS e consegnato all’Ucraina alcune terre che prima appartenevano a Polonia, Romania e Ungheria.

In una sorta di compensazione, Stalin diede alla Polonia parte dei territori tedeschi originali, e nell’anno 1954 Krusciov prese la Crimea dalla Russia per qualche motivo e la diede anche all’Ucraina. In effetti, è così che si è formato il territorio dell’Ucraina sovietica.

Ma ora vorrei prestare particolare attenzione al periodo iniziale della creazione dell’URSS. Penso che questo sia estremamente importante per noi. Dovremo partire, come si dice, da lontano.

Lasciate che vi ricordi che dopo il colpo di stato di ottobre del 1917 e la conseguente guerra civile, i bolscevichi iniziarono a costruire una nuova statualità, e c’era un bel po’ di disaccordo tra loro. Stalin, che in quell’anno 1922 combinò [coprendo] le cariche di Segretario Generale del Comitato Centrale del RCP(b) e di Commissario del Popolo per le Nazionalità, propose di costruire il Paese sui principi dell’autonomizzazione, cioè dando alle Repubbliche – le future unità amministrativo-territoriali – ampi poteri quando si fossero unite allo Stato unificato.

Lenin criticò questo piano e offrì concessioni ai nazionalisti, come li chiamava all’epoca – gli “indipendenti”. Queste idee leniniste di una struttura statale essenzialmente confederale, e lo slogan sul diritto delle Nazioni all’autodeterminazione fino alla secessione, furono incluse a costituire la base della statualità sovietica: prima nell’anno 1922, in cui fu sancita nella Dichiarazione sull’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, e poi, dopo la morte di Lenin, nella Costituzione dell’URSS del 1924.

Qui sorgono immediatamente molte domande. La prima, e in effetti la più importante, domanda è: perché era necessario soddisfare le ambizioni nazionaliste in crescita smisurata [proprio] ai margini dell’ex impero? Trasferire enormi territori, spesso non collegati, alle unità amministrative di nuova formazione, e spesso arbitrariamente formate, Repubbliche dell’Unione. Ripeto: trasferiti insieme alla popolazione della Russia storica.

Inoltre, di fatto, a queste unità amministrative fu dato lo status e la forma di entità statali nazionali. Ancora una volta mi chiedo perché è stato necessario fare regali così generosi, che i nazionalisti più ardenti non avevano mai nemmeno sognato prima, e dare alle Repubbliche il diritto di secessione dallo Stato unificato senza alcuna condizione?

A prima vista non ha senso, è pazzesco. Ma lo è solo a prima vista. C’è una spiegazione. Dopo la Rivoluzione, il compito principale dei bolscevichi era quello di mantenere il potere ad ogni costo, proprio ad ogni costo. Per questo optarono a tutto: e alle condizioni umilianti del trattato di Brest, in un momento in cui la Germania del Kaiser e i suoi alleati erano nella situazione militare ed economica più difficile; e l’esito della prima guerra mondiale era di fatto predeterminato; e per soddisfare qualsiasi richiesta, qualsiasi desiderio dei nazionalisti all’interno del Paese.

In termini di destino storico della Russia e dei suoi popoli, i princìpi leninisti di costruzione dello Stato non furono solo un errore – furono, come si dice, molto peggio di un errore. Dopo il crollo dell’URSS in quel 1991, è diventato abbondantemente chiaro.

Certo, gli eventi del passato non possono essere cambiati, ma dovremmo almeno dirli direttamente e onestamente, senza riserve e senza alcuna colorazione politica. Posso solo aggiungere che le considerazioni della situazione politica attuale, per quanto spettacolari e vantaggiose possano sembrare in un determinato momento, non dovrebbero e non possono in nessun caso essere la base dei princìpi fondamentali della statualità.

Non sto accusando nessuno di nulla ora: la situazione del Paese all’epoca e dopo la guerra civile, alla vigilia, era incredibilmente difficile e critica. Tutto quello che voglio dire oggi è che è stato esattamente così. È un fatto storico. In realtà, come ho già detto, la politica bolscevica ha portato alla nascita dell’Ucraina sovietica, che ancora oggi può essere giustamente chiamata “Ucraina di Vladimir Lenin”.

È il suo autore e architetto. Questo è pienamente confermato dai documenti d’archivio, comprese le dure direttive di Lenin sul Donbass, che fu letteralmente schiacciato sull’Ucraina. E ora “discendenti riconoscenti” hanno demolito [e demoliscono] i monumenti a Lenin in Ucraina. La chiamano “decomunistizzazione”.

Volete la decomunistizzazione? Beh, questo ci sta bene. Ma non dobbiamo, come si dice, fermarci a metà strada. Siamo pronti a mostrarvi cosa significa la vera decomunistizzazione per l’Ucraina.

Tornando alla storia della questione, ripeto che nell’anno 1922 l’URSS fu formata sul territorio dell’ex impero russo. Ma la vita stessa ha mostrato subito che era impossibile mantenere un territorio così vasto e complesso, né governarlo secondo i princìpi amorfi e confederali proposti. Erano completamente scollegati dalla realtà e dalla tradizione storica.

È logico che il Terrore Rosso e la rapida transizione verso una dittatura stalinista, il dominio dell’ideologia comunista e il monopolio del potere da parte del Partito Comunista, la nazionalizzazione e il sistema pianificato dell’economia nazionale – tutto questo ha di fatto trasformato i princìpi dichiarati ma inattuabili della statualità in una semplice dichiarazione, una formalità. In realtà, le Repubbliche dell’Unione non avevano alcun diritto sovrano, semplicemente non esistevano.

 In pratica, fu creato uno Stato strettamente centralizzato e totalmente unitario.

Stalin, infatti, realizzò pienamente nella pratica non le idee di Lenin, ma le sue proprie idee di statualità.

Ma non ha fatto cambiamenti rilevanti nei documenti sistemici, nella Costituzione del Paese – non ha rivisto formalmente i proclamati princìpi leninisti della costruzione dell’URSS. L’Unione Sovietica non era uno Stato, e sembrava non essere necessario [esserlo] – tutto funzionava sotto il regime totalitario, ed esteriormente sembrava bello, attraente e persino super-democratico.

E tuttavia è un peccato che le odiose fantasie utopiche ispirate dalla Rivoluzione, ma assolutamente distruttive per qualsiasi Paese normale, non siano state prontamente epurate dalle basi fondamentali, formalmente legali, su cui è stata costruita tutta la nostra statualità. Nessuno ha pensato al futuro, come è successo spesso in passato nel nostro Paese.

I dirigenti del Partito comunista sembravano credere di essere riusciti a formare un solido sistema di governo, di aver finalmente risolto la questione nazionale attraverso le loro politiche.

Ma la falsificazione, la sostituzione di concetti, la manipolazione della coscienza pubblica e l’inganno sono costosi. Il bacillo dell’ambizione nazionalista non era andato da nessuna parte, e la mina originaria che era stata posata per minare l’immunità dello Stato contro il contagio del nazionalismo stava solo aspettando di accadere. Tale mina, ripeto, era il diritto di secessione dall’URSS.

A metà degli anni ’80, in un contesto di crescenti problemi socio-economici e di un’evidente crisi dell’economia pianificata, la questione nazionale, la cui essenza non erano le aspettative e le aspirazioni insoddisfatte dei popoli dell’Unione, ma soprattutto il crescente appetito delle élite locali, si faceva sempre più acuta.

Tuttavia, la direzione del PCUS – invece di analizzare profondamente la situazione, prendere misure adeguate, soprattutto nell’economia, così come una graduale, ponderata, deliberata trasformazione del sistema politico e della struttura statale – si limitò a una vera e propria verbosità sul ripristino del principio leninista di autodeterminazione nazionale.

Inoltre, mentre la lotta per il potere si svolgeva all’interno dello stesso Partito Comunista, ciascuna delle parti opposte cominciò a stimolare, incoraggiare e giocare sconsideratamente sul sentimento nazionalista, promettendo ai suoi potenziali sostenitori qualsiasi cosa desiderassero.

Tra chiacchiere superficiali e populiste sulla democrazia e un futuro luminoso costruito sulla base di un’economia di mercato o pianificata, ma in condizioni di reale impoverimento e deficit totale, nessuno al potere ha pensato alle inevitabili tragiche conseguenze per il Paese.

E poi hanno seguito la strada ben battuta di soddisfare le ambizioni delle élite nazionaliste, nutrite nelle loro stesse file di Partito, dimenticando che il PCUS non aveva più, e grazie a Dio, tali strumenti per mantenere il potere e il Paese stesso – come il terrore di Stato e una dittatura di tipo staliniano nelle loro mani. E che anche il famigerato protagonista del Partito, come una nebbia mattutina, è svanito senza lasciare traccia proprio davanti ai loro occhi.

Nel settembre 1989, il plenum del Comitato Centrale del PCUS ha adottato un documento essenzialmente fatidico – la cosiddetta politica nazionale del Partito nelle condizioni moderne, la piattaforma PCUS. Esso conteneva le seguenti disposizioni, cito: «Le Repubbliche dell’Unione hanno tutti i diritti corrispondenti al loro status di Stati socialisti sovrani».

Un altro punto: «Gli organi rappresentativi supremi delle Repubbliche dell’Unione possono impugnare e sospendere i decreti e gli ordini del governo dell’Unione sui loro territori».

Infine: «Ogni Repubblica dell’Unione ha la propria cittadinanza, che vale per tutti i suoi abitanti».

Non era ovvio a cosa avrebbero portato tali formulazioni e decisioni?

Non è il momento né il luogo per entrare in questioni di diritto statale o costituzionale, per definire la nozione stessa di cittadinanza. Ma ancora la domanda sorge: in quelle circostanze già difficili, perché il Paese aveva bisogno di essere scosso ulteriormente in questo modo? Il fatto rimane.

Anche due anni prima del crollo dell’URSS, il suo destino era praticamente segnato.

Ora sono i radicali e i nazionalisti, anche e soprattutto in Ucraina, a prendersi il merito della conquista dell’indipendenza. Come possiamo vedere, questo non è il caso.

Il crollo del nostro Paese unito è stato causato da errori storici e strategici dei dirigenti bolscevichi, la direzione del Partito Comunista, fatti in diversi momenti nella costruzione dello Stato, nella politica economica e nazionale. Il crollo della Russia storica chiamata URSS è sulla loro coscienza.

Nonostante tutte queste ingiustizie, inganni e vere e proprie rapine alla Russia, il nostro popolo, proprio il popolo, ha riconosciuto le nuove realtà geopolitiche emerse dopo il crollo dell’URSS e ha riconosciuto i nuovi Stati indipendenti.

 E non solo – la Russia stessa, trovandosi in una situazione molto difficile in quel momento, ha aiutato i suoi partner della CSI, compresi i suoi colleghi ucraini, dai quali sono arrivate numerose richieste di sostegno materiale fin dal momento della dichiarazione di indipendenza.

E il nostro Paese ha fornito questo sostegno nel rispetto della dignità e della sovranità dell’Ucraina.

Secondo le stime degli esperti, che sono confermate da un semplice calcolo dei nostri prezzi energetici, il volume dei prestiti preferenziali, le preferenze economiche e commerciali che la Russia ha concesso all’Ucraina, il beneficio totale per il bilancio ucraino dall’anno 1991 al 2013 è stato di circa 250 miliardi di dollari.

Ma non era tutto. Alla fine del 1991, gli obblighi di debito dell’URSS verso Paese stranieri e fondi internazionali ammontavano a circa 100 miliardi di dollari.

E inizialmente si supponeva che questi prestiti sarebbero stati rimborsati da tutte le ex Repubbliche sovietiche in modo solidale, in proporzione al loro potenziale economico. La Russia, tuttavia, assunse l’intero debito sovietico e lo saldò completamente. Alla fine ha completato questo processo nel corso dell’anno 2017.

In cambio, i nuovi Stati indipendenti dovevano cedere alcuni dei loro beni esteri sovietici e accordi in tal senso furono raggiunti con l’Ucraina nel dicembre 1994.

Tuttavia, Kiev non ha ratificato questi accordi e più tardi si è semplicemente rifiutata di attuarli, rivendicando il fondo di diamanti, la riserva d’oro, nonché le proprietà e altri beni ex sovietici all’estero.

Eppure, nonostante i ben noti problemi, la Russia ha sempre cooperato con l’Ucraina in modo aperto, onesto e, ripeto, nel rispetto dei suoi interessi, e i nostri legami si sono sviluppati in diversi settori. Per esempio, il fatturato commerciale bilaterale del 2011 ha superato i 50 miliardi di dollari nell’anno. Va notato che il volume del commercio dell’Ucraina con tutti i paesi dell’UE nell’anno 2019 prima della pandemia era inferiore a questa cifra. Allo stesso tempo, si notava che le autorità ucraine preferivano agire in modo tale da avere tutti i diritti e i benefici nelle loro relazioni con la Russia, ma senza incorrere in alcun obbligo.

Invece del partenariato, ha prevalso la dipendenza, che a volte ha assunto un carattere assolutamente cavalleresco da parte delle autorità ufficiali di Kiev. Basta ricordare il ricatto permanente nella sfera del transito energetico e il banale furto di gas.

Dovrei aggiungere che Kiev ha cercato di usare il dialogo con la Russia come pretesto per contrattare con l’Occidente, ricattarlo avvicinandosi a Mosca, conquistando preferenze per sé: altrimenti l’influenza russa in Ucraina sarebbe cresciuta.

Allo stesso tempo, le autorità ucraine inizialmente, e voglio sottolinearlo, fin dai primi passi, hanno cominciato a costruire la loro statualità sulla negazione di tutto ciò che ci unisce, hanno cercato di distorcere la coscienza e la memoria storica di milioni di persone, intere generazioni che vivono in Ucraina.

Non sorprende che la società ucraina abbia affrontato l’ascesa di un nazionalismo estremo, che ha rapidamente preso la forma di una russofobia aggressiva e del neonazismo. Da qui il coinvolgimento di nazionalisti ucraini e neonazisti in bande terroristiche nel Caucaso del Nord e le rivendicazioni territoriali sempre più vocali contro la Russia.

Anche le forze esterne, che hanno usato una vasta rete di ONG e servizi speciali per coltivare la loro clientela in Ucraina e promuovere i loro rappresentanti al potere, hanno giocato un ruolo.

È anche importante capire che l’Ucraina non ha essenzialmente mai avuto una tradizione stabile di una sua autentica statualità.

E da quell’anno 1991 ha seguito la strada della copia meccanica di modelli alieni, distaccata sia dalla storia che dalle realtà ucraine.

 Le istituzioni politiche statali sono state costantemente ridisegnate per soddisfare i clan in rapida formazione con i loro interessi egoistici che non hanno nulla a che fare con gli interessi del popolo ucraino.L’intero scopo della cosiddetta scelta di civiltà filo-occidentale del governo oligarchico ucraino non era e non è quello di creare condizioni migliori per il benessere del popolo, ma piuttosto di servire servilmente i rivali geopolitici della Russia, mantenendo i miliardi di dollari rubati agli ucraini e nascosti dagli oligarchi nei conti bancari occidentali.

Alcuni gruppi finanziari industriali, i partiti e i politici che hanno assunto si sono inizialmente affidati a nazionalisti e radicali.

Altri hanno fatto un servizio a parole sulle buone relazioni con la Russia e sulla diversità culturale e linguistica, e sono arrivati al potere con i voti dei cittadini che hanno sostenuto con tutto il cuore tali aspirazioni, compresi milioni nel sud-est. Ma una volta in carica, hanno immediatamente tradito i loro elettori, abbandonato le loro promesse elettorali e attuato politiche per volere dei radicali, a volte perseguendo i loro ex alleati – quelle organizzazioni della società civile che sostenevano il bilinguismo e la cooperazione con la Russia.

Hanno approfittato del fatto che le persone che li sostenevano erano, di regola, rispettose della legge, moderate nelle loro opinioni, abituate a fidarsi delle autorità – non avrebbero mostrato aggressività o fatto ricorso ad azioni illegali, a differenza dei radicali.

I radicali, a loro volta, divennero insolenti e le loro rimostranze crebbero di anno in anno. Hanno trovato facile imporre ripetutamente la loro volontà a un governo debole che era esso stesso infettato dal virus del nazionalismo e della corruzione e hanno abilmente sostituito i veri interessi culturali, economici e sociali del popolo e la reale sovranità dell’Ucraina con ogni sorta di speculazione su basi nazionali e orpelli etnografici esterni.

Non c’è una statualità sostenibile in Ucraina, e le procedure politiche ed elettorali servono solo come una copertura, uno schermo per la ridistribuzione del potere e della proprietà tra i vari clan oligarchici.

La corruzione, che è senza dubbio una sfida e un problema per molti Paesi, compresa la Russia, ha assunto un carattere particolare in Ucraina.

Ha letteralmente permeato, corroso lo Stato ucraino, l’intero sistema, tutti i rami del potere. I radicali hanno approfittato del giustificato malcontento del popolo, hanno messo a tacere la protesta e hanno portato il Maidan a un colpo di stato nell’anno 2014.

Nel fare ciò, hanno ricevuto assistenza diretta da Paesi stranieri. Il cosiddetto campo di protesta in piazza dell’Indipendenza a Kiev è stato sostenuto materialmente dall’ambasciata americana per un milione di dollari al giorno.

Altre somme molto ingenti sono state sfacciatamente trasferite direttamente sui conti bancari dei leader dell’opposizione. E stavamo parlando di decine di milioni di dollari. E quanto hanno ottenuto alla fine le persone veramente ferite, le famiglie di coloro che sono morti negli scontri provocati nelle strade e nelle piazze di Kiev e di altre città? È meglio non chiedere di questo.

I radicali che avevano preso il potere organizzarono una persecuzione, un vero e proprio terrore contro coloro che parlavano contro le azioni anticostituzionali.

Politici, giornalisti e personaggi pubblici sono stati derisi e umiliati pubblicamente. Le città ucraine furono travolte da un’ondata di pogrom e violenza, una serie di omicidi rumorosi e impuniti.

 Non si può fare a meno di rabbrividire di fronte alla terribile tragedia di Odessa, dove manifestanti pacifici sono stati brutalmente assassinati e bruciati vivi nella Casa dei Sindacati.

 I criminali che hanno commesso questa atrocità non sono stati puniti, nessuno li sta cercando. Ma conosciamo i loro nomi e faremo tutto il possibile per punirli, trovarli e consegnarli alla giustizia.

Il Maidan non ha portato l’Ucraina più vicina alla democrazia e al progresso. Con il colpo di stato, i nazionalisti e le forze politiche che li sostenevano hanno finalmente portato la situazione a un punto morto e hanno spinto l’Ucraina nell’abisso della guerra civile. Otto anni dopo quegli eventi, il Paese è diviso. L’Ucraina sta vivendo un’acuta crisi socio-economica.

Secondo le organizzazioni internazionali, nel 2019 quasi sei milioni di ucraini, sottolineo, circa il 15%, non della popolazione in età lavorativa, sono stati costretti a lasciare il Paese in cerca di lavoro. Spesso, di regola, per lavori occasionali e non qualificati. Anche il seguente fatto è indicativo: dall’anno 2020 della pandemia, più di 60.000 medici e altri operatori sanitari hanno lasciato il Paese.

Dall’anno 2014 a questa parte, le tariffe dell’acqua sono aumentate di quasi un terzo, l’elettricità di diverse volte e il gas domestico di una dozzina di volte. Molte persone semplicemente non hanno i soldi per pagare le utenze; devono letteralmente sopravvivere.

Che cosa è successo? Perché succede tutto questo? La risposta è ovvia: perché la dote ricevuta non solo dall’era sovietica, ma anche dall’impero russo, è stata sperperata e intascata.

Decine e centinaia di migliaia di posti di lavoro, che davano alla gente un reddito stabile e portavano tasse all’erario – anche grazie alla stretta collaborazione con la Russia –, sono stati persi.

 Industrie come la costruzione di macchine, la fabbricazione di strumenti, l’elettronica, la costruzione di navi e di aerei sono adagiate sugli allori o distrutte, mentre un tempo rendevano orgogliosa non solo l’Ucraina, ma l’intera Unione Sovietica.

Il cantiere navale del Mar Nero a Nikolayev, dove furono costruiti i primi cantieri sotto Caterina la Grande, fu liquidato nel corso del 2021.

Il famoso gruppo Antonov non ha prodotto un solo lotto di aerei dal 2016, e l’impianto Yuzhmash, specializzato nella produzione di razzi e attrezzature spaziali, è sull’orlo del fallimento, così come l’acciaieria Kremenchuk. Questo triste elenco potrebbe continuare all’infinito.

Per quanto riguarda il sistema di trasporto del gas, che è stato costruito da tutta l’Unione Sovietica, è [oggi] così fatiscente che il suo funzionamento è irto di grandi rischi e costi ambientali.

E ci si chiede: la povertà, la disperazione e la perdita di capacità industriali e tecnologiche è la stessa scelta di civiltà filo-occidentale che ha ingannato e inganna milioni di persone da anni, promettendo loro il paradiso?

In realtà, si è arrivati al fatto che il crollo dell’economia ucraina è accompagnato da una vera e propria rapina dei suoi cittadini, mentre l’Ucraina stessa è stata semplicemente messa sotto amministrazione esterna.

Questo non viene fatto solo su ordine delle capitali occidentali, ma anche sul terreno attraverso tutta una rete di consiglieri stranieri, ONG (di Soros.Ndr.) e altre istituzioni schierate in Ucraina.

Hanno un’influenza diretta su tutte le principali decisioni del personale, su tutti i rami e livelli di governo, da quello centrale a quello municipale, sulle principali aziende e corporazioni statali, tra cui Naftogaz, Ukrenergo, la Ferrovia Ucraina, Ukroboronprom, Ukrposhta e l’amministrazione dei porti marittimi ucraini.

Semplicemente non c’è un tribunale indipendente in Ucraina.

 Su richiesta dell’Occidente, le autorità di Kiev hanno dato ai rappresentanti delle organizzazioni internazionali il diritto prioritario di selezionare i membri dei più alti organi giudiziari – il Consiglio di giustizia e la Commissione di qualificazione dei giudici.

Inoltre, l’ambasciata degli Stati Uniti controlla direttamente l’Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione, l’Ufficio nazionale anticorruzione, la Procura specializzata anticorruzione e la Corte suprema anticorruzione. Tutto questo viene fatto con il pretesto plausibile di rendere più efficace la lotta contro la corruzione. Bene, ok, ma dove sono i risultati? La corruzione è stata in piena fioritura, ed è ancora in piena fioritura.

Gli stessi ucraini sono a conoscenza di tutti questi metodi manageriali? Si rendono conto che il loro Paese non è nemmeno sotto un protettorato politico ed economico, ma è stato ridotto a una colonia con un regime fantoccio?

La privatizzazione dello Stato ha portato al fatto che il governo, che si definisce «il potere dei patrioti», ha perso il suo carattere nazionale e sta conducendo costantemente verso la completa de-sovranizzazione del Paese.(La globalizzazione criminale  - ispirata da Klaus Schwab di Davos- regna sovrana ,come ora in Europa !Ndr.).

Il corso di de-russificazione e di assimilazione forzata continua. La Verkhovna Rada sta inesorabilmente emettendo sempre più atti discriminatori, e una legge sui cosiddetti popoli indigeni è già in vigore. Le persone che si considerano russe e che vorrebbero preservare la loro identità, lingua e cultura hanno ricevuto il messaggio esplicito che sono estranee in Ucraina.(In Italia i governanti globalisti hanno ora legiferato che chi supera i 50 anni di età  perde il lavoro, se non accetta di iniettarsi un siero sperimentale nelle vene! Ndr.)

Le leggi sull’istruzione e sul funzionamento della lingua ucraina come lingua di Stato hanno bandito il russo dalle scuole, da tutte le sfere pubbliche, fino ai negozi ordinari. La legge sulla cosiddetta lustrazione, la “pulizia” del potere, ha reso possibile occuparsi dei dipendenti pubblici indesiderabili.

Gli atti che danno alle forze dell’ordine ucraine motivi per una dura soppressione della libertà di parola e di dissenso e per la persecuzione dell’opposizione ne sono la riproduzione.

 La triste pratica delle sanzioni unilaterali illegittime contro altri Stati, individui stranieri e persone giuridiche è ben nota nel mondo. L’Ucraina ha superato i suoi gestori occidentali e ha inventato uno strumento come le sanzioni contro i suoi stessi cittadini, imprese, canali televisivi, altri media e persino membri del parlamento.Kiev continua a preparare il massacro anche della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca. E questa non è una valutazione emotiva; lo dimostrano decisioni e documenti specifici.

Le autorità ucraine hanno cinicamente trasformato la tragedia della scissione della Chiesa in uno strumento di politica statale. L’attuale leadership del Paese non risponde alle richieste dei cittadini dell’Ucraina di abrogare le leggi che violano i diritti dei credenti. Inoltre, nuovi progetti di legge sono stati registrati nella Rada contro il clero e milioni di parrocchiani della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca.

Parlerò separatamente della Crimea.

Il popolo della penisola ha fatto la sua libera scelta: stare con la Russia.

Le autorità di Kiev non hanno nulla per contrastare questa chiara ed esplicita volontà del popolo, quindi puntano su azioni aggressive, sull’attivazione di cellule estremiste, comprese le organizzazioni radicali islamiche, sull’invio di gruppi sovversivi per commettere atti terroristici presso infrastrutture critiche e per rapire cittadini russi. Abbiamo prove dirette che tali azioni aggressive vengono effettuate con l’appoggio di servizi speciali stranieri.

Nel marzo 2021, l’Ucraina ha adottato una nuova strategia militare.

Questo documento è quasi interamente dedicato al confronto con la Russia e mira ad attirare gli Stati stranieri in conflitto con il nostro Paese. La strategia propone l’organizzazione di quello che è essenzialmente un sotto-strato terrorista in Donbass e Crimea russa.

Delinea anche i contorni della guerra prevista, e dovrebbe finire, come credono gli strateghi di Kiev di oggi, e cito ancora, «con l’assistenza della comunità internazionale a condizioni favorevoli all’Ucraina».

E anche, come si esprime oggi Kiev – e lo cito anche qui, ascoltate con più attenzione, per favore – «con il sostegno militare della comunità internazionale in un confronto geopolitico con la Federazione Russa». In sostanza, questo non è altro che la preparazione di un’azione militare contro il nostro Paese – contro la Russia.

 

Sappiamo anche che ci sono già state dichiarazioni che l’Ucraina sta per sviluppare le proprie armi nucleari, e questa non è una vuota spavalderia. L’Ucraina possiede la tecnologia nucleare sovietica e i mezzi di consegna di tali armi, tra cui l’aviazione e i missili Tochka-U, anch’essi di progettazione sovietica, con una portata di più di 100 chilometri. Ma ne faranno di più, è solo una questione di tempo. Ci sono alcune basi dell’era sovietica.

Così, sarà molto più facile per l’Ucraina acquisire armi nucleari tattiche che per alcuni altri Stati – non li nominerò ora – che sviluppano effettivamente tali armi, soprattutto in caso di supporto tecnologico dall’estero. E non dovremmo escludere nemmeno questo.

Con la comparsa di armi di distruzione di massa in Ucraina, la situazione nel mondo, in Europa, soprattutto per noi, per la Russia, cambierà drasticamente.

Non possiamo non reagire a questo pericolo reale, soprattutto, ripeto, che i mecenati occidentali potrebbero facilitare la comparsa di tali armi in Ucraina per creare un’altra minaccia al nostro Paese.

Possiamo vedere come il pompaggio militare del regime di Kiev sia persistente. Gli Stati Uniti da soli hanno speso miliardi di dollari dall’anno 2014 a questa parte, tra armi, attrezzature e addestramento specializzato.

Negli ultimi mesi, le armi occidentali sono fluite in Ucraina in un flusso costante, in piena vista del mondo intero. Le attività delle forze armate e dei servizi di sicurezza ucraini sono dirette da consiglieri stranieri, lo sappiamo bene.

Negli ultimi anni, contingenti militari dei paesi della NATO sono stati presenti sul territorio ucraino quasi continuamente con il pretesto di esercitazioni. Il sistema di comando e controllo delle truppe ucraine è già integrato con le truppe della NATO. Ciò significa che il comando delle forze armate ucraine, anche delle singole unità e sottounità, può essere esercitato direttamente dal quartier generale della NATO.

 

Gli Stati Uniti e la NATO hanno iniziato a sviluppare spudoratamente il territorio dell’Ucraina come teatro di potenziali ostilità. Le esercitazioni congiunte regolari hanno un chiaro orientamento anti-russo. Solo l’anno scorso, più di 23.000 militari e più di mille pezzi di equipaggiamento vi hanno preso parte.

È già stata approvata una legge che permette alle forze armate di altri Stati di entrare in Ucraina nel corso dell’anno 2022 per partecipare a esercitazioni internazionali.

 È chiaro che stiamo parlando principalmente delle truppe della NATO. Almeno dieci di queste manovre congiunte sono previste per quest’anno.

È ovvio che tali eventi servono come copertura per il rapido rafforzamento del raggruppamento militare della NATO in Ucraina.

Tanto più che la rete di campi d’aviazione potenziata con l’aiuto degli americani – Boryspil, Ivano-Frankivsk, Chuguev, Odessa e così via – è in grado di assicurare il trasferimento di unità militari nel più breve tempo possibile.

 Lo spazio aereo dell’Ucraina è aperto ai voli dell’aviazione strategica e di ricognizione statunitense e ai droni utilizzati per monitorare il territorio russo.

Devo aggiungere che il centro operativo marittimo di Ochakov, costruito in America, permette alle navi della NATO di operare, compreso l’uso di armi di precisione contro la flotta russa del Mar Nero e le nostre infrastrutture lungo tutta la costa del Mar Nero.

Una volta, gli Stati Uniti intendevano installare strutture simili in Crimea, ma i Crimeani e i residenti di Sebastopoli hanno ostacolato questi piani. Lo ricorderemo sempre.

Ripeto, oggi un tale centro è schierato, è già stato schierato a Ochakov. Vi ricordo che i soldati di Alexander Suvorov hanno combattuto per questa città nel XVIII secolo. Grazie al loro coraggio, divenne parte della Russia. Allo stesso tempo, nel XVIII secolo, le terre del Mar Nero, annesse alla Russia in seguito alle guerre con l’Impero Ottomano, furono chiamate Novorossiya.

Ora queste pietre miliari della storia vengono dimenticate, così come i nomi degli statisti militari dell’Impero russo, senza i cui sforzi molte grandi città e persino l’accesso al Mar Nero non esisterebbero nella moderna Ucraina.

Un monumento ad Alexander Suvorov è stato recentemente demolito a Poltava. Cosa si può dire? Stai rinunciando al tuo passato? Dalla cosiddetta “eredità coloniale dell’impero russo”? Bene, allora sii coerente qui.

Il prossimo [punto]. Dovrei notare che l’articolo 17 della Costituzione dell’Ucraina non permette lo spiegamento di basi militari straniere sul suo territorio. Ma si scopre che questa è solo una convenzione che può essere facilmente aggirata.

I Paesi della NATO hanno dispiegato missioni di addestramento in Ucraina. Queste sono, di fatto, già basi militari straniere. Basta chiamare la base “missione” ed è fatta.

Kiev ha da tempo proclamato un percorso strategico verso l’adesione alla NATO.

Sì, certo, ogni Paese ha il diritto di scegliere il proprio sistema di sicurezza e di stringere alleanze militari. E sembrerebbe così, se non fosse per un “ma”. I documenti internazionali sanciscono espressamente il principio della sicurezza uguale e indivisibile, che, come sappiamo, include l’obbligo di non rafforzare la propria sicurezza a spese della sicurezza di altri Stati. Posso fare riferimento alla Carta dell’OSCE per la sicurezza europea adottata a Istanbul nel 1999 e alla Dichiarazione di Astana dell’OSCE del 2010.

In altre parole, le scelte di sicurezza non dovrebbero minacciare altri Stati, e l’adesione dell’Ucraina alla NATO è una minaccia diretta alla sicurezza della Russia.Ricordo che nell’aprile 2008, al vertice di Bucarest dell’Alleanza Nord Atlantica, gli Stati Uniti hanno fatto passare la decisione che l’Ucraina e, incidentalmente, la Georgia sarebbero diventati membri della NATO.

Molti alleati europei degli Stati Uniti erano già ben consapevoli di tutti i rischi di una tale prospettiva, ma hanno dovuto sopportare la volontà del loro partner principale. Gli americani li hanno semplicemente usati per perseguire una politica decisamente anti-russa.

Alcuni Stati membri sono ancora molto scettici sull’adesione dell’Ucraina alla NATO. Allo stesso tempo da alcune capitali europee ci arriva il messaggio: “Di cosa vi preoccupate? Non accadrà letteralmente domani”. Infatti, i nostri partner americani dicono la stessa cosa. “OK”, diciamo, “non domani, ma dopodomani”. Cosa cambia nella prospettiva storica? In sostanza, niente.

Inoltre, siamo consapevoli della posizione e delle parole della leadership degli Stati Uniti secondo cui i combattimenti attivi nell’Ucraina orientale non escludono la possibilità che questo Paese entri nella NATO se può soddisfare i criteri dell’Alleanza Nord Atlantica e sconfiggere la corruzione.

Eppure cercano sempre di convincerci che la NATO è un’alleanza “pacifica e puramente difensiva”. Dicono che non ci sono minacce per la Russia. Ancora una volta ci suggeriscono di crederci sulla parola. Ma noi conosciamo il vero prezzo di tali parole.

Nell’anno 1990 in cui si discuteva la questione dell’unificazione tedesca, gli Stati Uniti promisero alla leadership sovietica che non ci sarebbe stata alcuna estensione della giurisdizione o della presenza militare della NATO di un centimetro verso est. E che l’unificazione tedesca non avrebbe portato a un’estensione dell’organizzazione militare della NATO a est. Questa è una citazione.

(Gli attuali governanti degli USA e della UE ed altri  governanti occidentali   sono sudditi della cricca criminale globalista di Davos, sottoposta  alle direttive globaliste , distopiche  e paranoiche di Klaus Schwab !Ndr.)

Hanno parlato e dato assicurazioni verbali e tutto si è rivelato essere niente. Più tardi, ci è stato assicurato che l’adesione alla NATO dei Paesi dell’Europa centrale e orientale avrebbe solo migliorato le relazioni con Mosca, sollevato i Paesi dalle loro paure di una difficile eredità storica e persino creato una cintura di Stati amici della Russia.

Si è rivelato esattamente il contrario. Le autorità di alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, che diffondono russofobia, hanno portato i loro complessi e stereotipi sulla minaccia russa nell’Alleanza e hanno insistito su un rafforzamento delle capacità di difesa collettiva da impiegare principalmente contro la Russia. E questo è successo negli anni ’90 e nei primi anni 2000, quando, grazie all’apertura e alla nostra buona volontà, le relazioni tra la Russia e l’Occidente erano a un livello elevato.

La Russia ha adempiuto a tutti i suoi obblighi, compreso il ritiro delle truppe dalla Germania e dagli Stati dell’Europa centrale e orientale, dando così un enorme contributo al superamento dell’eredità della guerra fredda. Abbiamo costantemente offerto diverse opzioni di cooperazione, anche nel Consiglio NATO-Russia e nel formato OSCE.

Inoltre, ora dirò qualcosa che non ho mai detto pubblicamente, lo dirò per la prima volta. Nell’anno 2000 in cui il presidente uscente degli Stati Uniti Bill Clinton visitò Mosca, gli chiesi: «Come si sentirebbe l’America ad accettare la Russia nella NATO?».

Non rivelerò tutti i dettagli di quella conversazione, ma la reazione alla mia domanda sembrava, diciamo, molto contenuta – e come gli americani hanno effettivamente reagito a questa possibilità si vede nei loro passi concreti verso il nostro Paese.

 Questo include il sostegno aperto ai terroristi nel Caucaso del Nord – un atteggiamento sprezzante verso le nostre richieste e preoccupazioni di sicurezza nell’area dell’allargamento della NATO –, il ritiro dal trattato ABM, e così via. Viene voglia di chiedere: perché, perché tutto questo, per cosa? D’accordo, non ci volete vedere come vostri amici e alleati, ma perché farci nemici?

C’è solo una risposta: non si tratta del nostro regime politico, non si tratta di altro, semplicemente non hanno bisogno di un Paese così grande e indipendente come la Russia. Questa è la risposta a tutte le domande. Questa è la fonte della tradizionale politica americana sulla Russia. Da qui l’atteggiamento verso tutte le nostre proposte di sicurezza.

Oggi, basta uno sguardo alla mappa per vedere come i Paesi occidentali hanno “mantenuto” la loro promessa di non permettere alla NATO di avanzare verso est. Semplicemente hanno ingannato. Abbiamo avuto cinque ondate di espansione della NATO una dopo l’altra. Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia hanno aderito all’Alleanza dal 1999 al 2004, Albania e Croazia nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia del Nord nel 2020.

Di conseguenza, l’alleanza e la sua infrastruttura militare hanno raggiunto direttamente i confini della Russia. Questa è stata una delle cause principali della crisi dell’euro-sicurezza, e ha avuto un impatto molto negativo su tutto il sistema di relazioni internazionali, portando a una perdita di fiducia reciproca.

La situazione continua a deteriorarsi, anche nella sfera strategica. Per esempio, aree di posizionamento per i missili anti-missile sono in fase di dispiegamento in Romania e Polonia come parte del progetto di difesa missilistica globale degli Stati Uniti. È noto che i lanciatori di missili schierati qui possono essere utilizzati per i missili da crociera Tomahawk – sistemi di attacco offensivo.

Inoltre, gli Stati Uniti stanno sviluppando un missile universale Standard-6, che, oltre a risolvere i compiti di difesa aerea e missilistica, può anche colpire obiettivi di terra da superficie. In altre parole, il presunto sistema difensivo di difesa missilistica degli Stati Uniti si sta espandendo e stanno emergendo nuove capacità offensive.

Le informazioni che abbiamo ci danno tutte le ragioni per credere che l’adesione dell’Ucraina alla NATO e il successivo dispiegamento di strutture NATO qui sia una conclusione scontata; è una questione di tempo. Comprendiamo chiaramente che in un tale scenario, il livello delle minacce militari alla Russia aumenterà drammaticamente, molte volte. E richiamo l’attenzione sul fatto che il pericolo di un attacco a sorpresa al nostro Paese aumenterà molte volte.

Lasciatemi spiegare che i documenti di pianificazione strategica americana (i documenti!) sanciscono la possibilità di un cosiddetto attacco preventivo contro i sistemi missilistici nemici. E sappiamo anche chi è il principale avversario degli Stati Uniti e della NATO. È la Russia. Nei documenti della NATO il nostro Paese è ufficialmente dichiarato direttamente come la principale minaccia alla sicurezza euro-atlantica.

E l’Ucraina servirà da trampolino per un tale colpo. Se i nostri antenati ne avessero sentito parlare, probabilmente non ci avrebbero creduto. E oggi non vogliamo crederci, ma è vero. Voglio che questo sia compreso sia in Russia che in Ucraina.

Molti campi d’aviazione ucraini sono vicini ai nostri confini. Gli aerei tattici della NATO schierati qui, compresi i vettori di armi a guida di precisione, saranno in grado di colpire il nostro territorio fino a Volgograd – Kazan – Samara – Astrakhan. Il dispiegamento di mezzi di ricognizione radar in Ucraina permetterà alla NATO di controllare strettamente lo spazio aereo russo fino agli Urali.

Infine, dopo che gli Stati Uniti hanno rotto il trattato sui missili a raggio intermedio e corto, il Pentagono sta già sviluppando apertamente un’intera gamma di armi d’attacco a terra, compresi i missili balistici in grado di raggiungere obiettivi fino a 5.500 chilometri di distanza.

Se tali sistemi fossero schierati in Ucraina, sarebbero in grado di colpire obiettivi in tutto il territorio europeo della Russia, così come oltre gli Urali.

 Ci vorrebbero meno di 35 minuti per i missili da crociera Tomahawk per raggiungere Mosca, 7-8 minuti per i missili balistici dalla zona di Kharkov e 4-5 minuti per gli attacchi ipersonici.

Questo è chiamato, direttamente, un coltello alla gola.

E loro, non ho dubbi, si aspettano di attuare questi piani proprio come hanno fatto ripetutamente negli anni precedenti, espandendo la NATO verso est, spingendo infrastrutture ed equipaggiamenti militari verso i confini della Russia, ignorando completamente le nostre preoccupazioni, proteste e avvertimenti. Scusate, sputate su di loro e fate quello che volete, quello che vi pare.

E, naturalmente, ci si aspetta anche che continuino a comportarsi secondo il noto proverbio [russo]: “Il cane abbaia ma la carovana va avanti”. Permettetemi di dire subito che non lo abbiamo accettato e non lo faremo mai. Allo stesso tempo, la Russia è sempre stata a favore della soluzione dei problemi più complessi con mezzi politici e diplomatici, al tavolo dei negoziati.

Siamo ben consapevoli della nostra enorme responsabilità per la stabilità regionale e globale.

Già nel corso dell’anno 2008, la Russia ha presentato un’iniziativa per concludere un trattato sulla sicurezza europea. La sua essenza era che nessuno Stato o organizzazione internazionale nella regione euro-atlantica avrebbe dovuto rafforzare la propria sicurezza a spese della sicurezza degli altri. Tuttavia, la nostra proposta è stata respinta fin dall’inizio: non si deve permettere alla Russia di limitare le attività della NATO.

Inoltre, ci è stato detto esplicitamente che solo i membri dell’Alleanza Nord Atlantica possono avere garanzie di sicurezza legalmente vincolanti.

Lo scorso dicembre, abbiamo trasmesso ai nostri partner occidentali un progetto di trattato tra la Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America sulle garanzie di sicurezza, così come un progetto di accordo sulle misure di sicurezza tra la Federazione Russa e gli Stati membri della NATO.

La risposta degli Stati Uniti e della NATO è stata un sacco di parole generiche. Ci sono stati alcuni argomenti razionali, ma erano tutti su questioni secondarie e sembravano un tentativo di deviare la discussione.

Abbiamo risposto di conseguenza, sottolineando che eravamo pronti a negoziare, ma a condizione che tutte le questioni fossero considerate come un pacchetto, senza separarle dalle proposte russe di base, fondamentali. E questi contengono tre punti chiave.

Il primo è la prevenzione di un ulteriore allargamento della NATO.

Il secondo è il rifiuto di permettere all’Alleanza di schierare sistemi di armi d’urto ai confini della Russia.

E infine, un ritorno delle capacità militari e delle infrastrutture del blocco in Europa allo stato del 1997, quando fu firmato l’Atto fondatore della NATO-Russia.

 

Sono proprio queste le nostre proposte di principio che sono state ignorate. I nostri partner occidentali, lo ripeto, hanno ancora una volta espresso la formulazione di routine che ogni Stato ha il diritto di scegliere liberamente come garantire la propria sicurezza e di aderire a qualsiasi alleanza militare e alleanze.

 In altre parole, nulla è cambiato nella loro posizione, si sentono gli stessi riferimenti alla famigerata politica delle “porte aperte” della NATO.

Inoltre, stanno cercando di ricattarci di nuovo, minacciandoci di nuovo con sanzioni, che, per inciso, continueranno a imporre man mano che la sovranità della Russia e la potenza delle nostre Forze Armate crescono. E il pretesto per un altro attacco di sanzioni sarà sempre trovato o semplicemente fabbricato, indipendentemente dalla situazione in Ucraina. L’obiettivo è lo stesso: soffocare lo sviluppo della Russia.

E lo faranno, come hanno fatto prima, anche senza alcun pretesto formale, solo perché siamo noi e non comprometteremo mai la nostra sovranità, i nostri interessi nazionali e i nostri valori.

Voglio essere chiaro, per dire senza mezzi termini, nella situazione attuale, quando le nostre proposte per un dialogo paritario su questioni di principio sono rimaste di fatto senza risposta da parte degli Stati Uniti e della NATO, quando il livello delle minacce al nostro Paese stanno aumentando significativamente, la Russia ha tutto il diritto di prendere contromisure per garantire la propria sicurezza. Questo è esattamente quello che faremo.

Per quanto riguarda la situazione nel Donbass, possiamo vedere che la leadership al potere a Kiev dichiara costantemente e pubblicamente la sua indisponibilità ad attuare il pacchetto di misure di Minsk per risolvere il conflitto, e non è interessata a una soluzione pacifica. Al contrario, stanno cercando di organizzare di nuovo una guerra lampo nel Donbass, come hanno fatto nel 2014 e nel 2015. Ci ricordiamo come sono finite queste imprese allora.

Ora non passa quasi un giorno senza che vengano bombardate aree popolate nel Donbass. Un grande gruppo di truppe utilizza costantemente droni d’attacco, attrezzature pesanti, razzi, artiglieria e sistemi di razzi a lancio multiplo. L’uccisione di civili, il blocco, l’abuso di persone, compresi i bambini, le donne e gli anziani, continua senza sosta. Come diciamo qui, non c’è una fine in vista.

E il cosiddetto mondo civile, di cui i nostri colleghi occidentali si sono autoproclamati unici rappresentanti, preferisce non accorgersene, come se tutto questo orrore, il genocidio a cui sono sottoposti quasi 4 milioni di persone, non esistesse – e solo perché queste persone non erano d’accordo con il colpo di Stato sostenuto dall’Occidente in Ucraina nell’anno 2014; si sono opposte al movimento statale elevato verso il nazionalismo cavernicolo e aggressivo e il neonazismo. E stanno lottando per i loro diritti elementari – vivere nella loro terra, parlare la loro lingua, preservare la loro cultura e le loro tradizioni.

Quanto può durare questa tragedia? Per quanto tempo ancora si può tollerare tutto questo? La Russia ha fatto di tutto per preservare l’integrità territoriale dell’Ucraina, ha lottato con tenacia e pazienza in tutti questi anni per attuare la risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 17 febbraio 2015, che ha sancito il pacchetto di misure di Minsk del 12 febbraio 2015 per risolvere la situazione nel Donbass.

Tutto invano. I presidenti e i deputati della Rada cambiano, ma l’essenza, la natura aggressiva e nazionalista del regime che ha preso il potere a Kiev, no. È interamente un prodotto del colpo di stato 2014, e coloro che hanno intrapreso la strada della violenza, dello spargimento di sangue e dell’illegalità non hanno riconosciuto e non riconosceranno nessun’altra soluzione alla questione del Donbass se non quella militare.

In questo contesto, considero necessario prendere la decisione a lungo attesa di riconoscere immediatamente l’indipendenza e la sovranità della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Luhansk.

Chiedo all’Assemblea Federale della Federazione Russa di sostenere questa decisione e poi ratificare i trattati di amicizia e mutua assistenza con le due Repubbliche. Questi due documenti saranno preparati e firmati al più presto.

Chiediamo che coloro che hanno preso e detengono il potere a Kiev cessino immediatamente le ostilità. Altrimenti, tutta la responsabilità della possibile continuazione dello spargimento di sangue sarà interamente sulla coscienza del regime che governa il territorio dell’Ucraina.

Nell’annunciare le decisioni prese oggi, ho fiducia nel sostegno dei cittadini della Russia, di tutte le forze patriottiche del Paese.

Grazie per l’attenzione.

 

 

 

 

KLAUS SCHWAB E IL SUO “GRANDE RESET”

NAZI-FASCISTA.

Byoblu.com- Michele Crudelini-(24 Dicembre 2020)- ci dice :

 

Riportiamo di seguito la traduzione dell’articolo “KLAUS SCHWAB AND HIS GREAT FASCIST RESET – AN OVERVIEW”, di Paul Cudenec, pubblicato sul blog Wrong Kind of Green (traduzione per Byoblu a cura di Dario Savastano).

Da dove arriva Klaus Schwab.

Klaus Schwab, nato a Ravensburg nel 1938, è figlio della Germania di Adolf Hitler, un regime da stato di polizia costruito sulla paura e sulla violenza, sul lavaggio del cervello e sul controllo, sulla propaganda e sulla menzogna, sull’industrialismo e l’eugenetica, sulla disumanizzazione e la “disinfezione”, su una visione agghiacciante e grandiosa di un “nuovo ordine” che sarebbe durato mille anni.

Schwab sembra aver dedicato la sua vita a reinventare quell’incubo e a cercare di trasformarlo in una realtà non solo per la Germania ma per il mondo intero.

Peggio ancora, come confermano più volte le sue stesse parole, la sua visione tecnocratica nazi-fascista , massonica-comunista è anche una perversa visione transumanista, che fonderà gli esseri umani con le macchine in “curiosi mix tra vita digitale e analogica”, che infetteranno il nostro corpo con la “polvere intelligente” (Smart Dust) e in cui la polizia sarà apparentemente in grado di leggere il nostro cervello.

E, come vedremo, lui e i suoi complici stanno usando la crisi del Covid-19 per aggirare le responsabilità democratiche, per scavalcare l’opposizione, per accelerare la loro agenda e per imporla al resto dell’umanità contro la nostra volontà in quello che lui definisce un “Grande Reset“.

La governance globale: il sogno di Schwab.

Schwab non è, ovviamente, un nazista in senso classico, non essendo né nazionalista né antisemita, come testimonia il premio Dan David da un milione di dollari che gli è stato assegnato da Israele nel 2004.

Ma il nazi-fascismo del XXI secolo ha trovato diverse forme politiche attraverso le quali continuare il suo progetto cardine di rimodellare l’umanità per adattarla al capitalismo attraverso mezzi palesemente autoritari.

Questo nuovo fascismo viene oggi portato avanti sotto le spoglie della governance globale, della biosicurezza, della “Nuova Normalità“, del “New Deal for Nature” e della “Quarta Rivoluzione Industriale”.

Schwab, il fondatore ottantenne e presidente esecutivo del World Economic Forum, siede al centro di questa matrix come un ragno su di una enorme ragnatela.

Le origini del Grande Reset

L’originario progettonazi- fascista, in Italia e in Germania, si basava su una fusione tra Stato e imprese.

Mentre il comunismo-massonico  prevede l’acquisizione di imprese e industrie da parte del governo, che (in teoria!) agisce nell’interesse del popolo, il nazi-fascismo si basava sull’uso dello Stato per proteggere e far progredire gli interessi delle élite benestanti.

Schwab ha proseguito su questa strada in un contesto denazificato del secondo dopoguerra, quando nel 1971 ha fondato l’European Management Forum, che si riuniva ogni anno a Davos, in Svizzera.

Qui egli promuoveva la sua ideologia del capitalismo degli stakeholder, in cui le imprese venivano portate a una più stretta collaborazione con il governo.

Il “capitalismo degli stakeholder” è descritto dalla rivista economica Forbes come “l’idea di un’azienda si concentra sul soddisfare le esigenze di tutti i suoi stakeholder: clienti, dipendenti, partner, comunità e società nel suo complesso”.

Anche nel contesto di un particolare business, si tratta sempre di un’etichetta vuota. Come osserva l’articolo di Forbes, in realtà significa solo che “le aziende possono continuare a versare denaro privatamente ai loro azionisti e dirigenti, mantenendo un volto pubblico di spiccata sensibilità sociale e di altruismo esemplare”.

Ma in un contesto sociale generale, il concetto di stakeholder è ancora più nefasto, poiché scarta ogni idea di democrazia, di dominio del popolo, a favore del dominio degli interessi delle imprese.

La società non è più considerata come una comunità vivente, ma come un’impresa, la cui redditività è l’unico scopo valido dell’attività umana.

Lo Stato azienda secondo Schwab.

Schwab ha esposto questo programma già nel 1971, nel suo libro Moderne Unternehmensführung im Maschinenbau (Gestione aziendale moderna nel settore dell’ingegneria meccanica), dove con l’uso del termine “stakeholder” (die Interessenten) ha sostanzialmente ridefinito gli esseri umani non come cittadini, individui liberi o membri di una comunità, ma come partecipanti secondari di un’enorme impresa commerciale.

Lo scopo della vita di ogni persona era “raggiungere la crescita e la prosperità a lungo termine” per questa impresa – in altre parole, proteggere e aumentare la ricchezza dell’élite capitalista.

Tutto ciò è diventato ancora più chiaro nel 1987, quando Schwab ha ribattezzato il suo European Management Forum come “World Economic Forum“.

La nascita del World Economic Forum.

Il WEF definisce sé stesso sul proprio sito web come “la piattaforma globale per la cooperazione tra pubblico e privato”, con ammiratori che descrivono come esso crei “partnership tra uomini d’affari, politici, intellettuali e altri leader della società per ‘definire, discutere e far progredire le questioni chiave dell’agenda unica globale'”.

Le “partnership” che il WEF crea sono volte a sostituire la democrazia con una leadership globale di individui prescelti e non eletti il cui dovere non è quello di servire il pubblico bene, bensì quello di imporre la regola dell’1% con la minor interferenza possibile da parte del resto della popolazione.

Nei libri che Schwab scrive per il consumo pubblico, si esprime con i cliché a due facce della rotazione aziendale e dell’ambientalismo di facciata.

Gli stessi termini vuoti vengono riempiti di volta in volta. In Shaping the Future of the Fourth Industrial Revolution: A Guide to Building a Better World (Modellare in Futuro della Quarta Rivoluzione Industriale: Una Guida per Costruire un Mondo Migliore), Schwab parla di “inclusione degli stakeholder e distribuzione dei benefici” e di “partenariati sostenibili e inclusivi” che ci condurranno tutti verso un “futuro inclusivo, sostenibile e prospero”!

Dietro al WEF solo profitto e sfruttamento.

Dietro questa millanteria, la vera motivazione che guida il suo “capitalismo degli stakeholder”, che egli ha promosso incessantemente alla conferenza di Davos del WEF del 2020, è il profitto e lo sfruttamento .Ad esempio, nel suo libro “La quarta rivoluzione industriale” del 2016, Schwab scrive di una “uberizzazione” del lavoro e dei vantaggi che ne deriverebbero per le imprese, in particolare per le start-up in rapida crescita nell’economia digitale:

“Poiché le piattaforme human cloud classificano i lavoratori come lavoratori autonomi, esse sono (per il momento) libere dall’obbligo di pagare il salario minimo, le tasse del datore di lavoro e le prestazioni sociali”.

La stessa insensibilità capitalista traspare dal suo atteggiamento verso le persone che si avvicinano alla fine della loro vita lavorativa e che hanno bisogno di un meritato riposo:

Invecchiare è una sfida economica perché se non si aumenta drasticamente l’età pensionabile in modo che i membri più anziani della società possano continuare a contribuire alla forza lavoro (un imperativo economico che ha molti benefici economici), la popolazione in età lavorativa diminuisce simultaneamente all’aumento della percentuale di anziani non autonomi.

L’essenza della Quarta Rivoluzione Industriale.

Tutto in questo mondo è ridotto alle sfide economiche, agli imperativi economici e ai benefici economici per la classe capitalista dominante.

Il mito del progresso è stato a lungo utilizzato dall’1% per convincere la gente ad accettare le tecnologie progettate per sfruttarci e controllarci e Schwab gioca su questo quando dichiara che “la Quarta Rivoluzione Industriale rappresenta una significativa fonte di speranza per continuare la scalata nello sviluppo umano che ha portato a un drammatico aumento della qualità della vita per miliardi di persone dal 1800”.

Con entusiasmo afferma:

Anche se può non apparire di grande importanza per chi di noi vive quotidianamente una serie di piccole ma significative modifiche alla vita, ciò non è un cambiamento di poco conto: la Quarta Rivoluzione Industriale è un nuovo capitolo dello sviluppo umano, alla pari con la prima, la seconda e la terza Rivoluzione Industriale, ed è ancora una volta guidata dalla crescente disponibilità e di un insieme di straordinarie tecnologie che interagiscono tra loro.

Tuttavia, egli sa bene che la tecnologia non è ideologicamente neutrale, come alcuni amano sostenere. Le tecnologie e le società si modellano a vicenda, dice:

Dopo tutto, le tecnologie sono legate al modo in cui conosciamo le cose, al modo in cui prendiamo le decisioni e al modo in cui pensiamo a noi stessi e agli altri. Sono collegate alle nostre identità, alle nostre visioni del mondo e ai nostri possibili futuri.

Dalle tecnologie nucleari alla corsa allo spazio, agli smartphone, ai social media, alle auto, alla medicina e alle infrastrutture, il significato delle tecnologie le rende politiche. Anche il concetto di nazione ‘sviluppata’ si basa implicitamente sull’adozione delle tecnologie e su ciò che esse significano per noi, economicamente e socialmente.

Sostituire i lavoratori umani ritenuti inutili.

La tecnologia, per i capitalisti che la sostengono, non ha mai una finalità sociale, bensì puramente di profitto, e Schwab afferma chiaramente che lo stesso vale per la sua Quarta Rivoluzione Industriale.

Entusiasticamente scrive: “Le tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale sono veramente dirompenti, stravolgono i modi esistenti di percepire, calcolare, organizzare, agire e consegnare. Rappresentano modi completamente nuovi di creare valore per le organizzazioni e i cittadini”.

Qualora il significato di “creare valore” non fosse chiaro, egli fornisce alcuni esempi:

 “I droni rappresentano un nuovo tipo di lavoratore dipendente che lavora tra di noi e che esegue mansioni che un tempo coinvolgevano persone reali”  e “l’uso di algoritmi sempre più sofisticati sta rapidamente estendendo la produttività dei dipendenti, ad esempio, nell’uso dei chat bot per aumentare (e, sempre di più, sostituire) il supporto della ‘live chat’ per le interazioni con i clienti”.

Tagliare i costi per incrementare i profitti.

Schwab entra nel dettaglio delle meraviglie in grado di tagliare i costi e di incrementare i profitti nel suo mondo nuovo de “La Quarta Rivoluzione Industriale”.

Spiega:

Prima di quanto molti si aspettino, il lavoro di svariati professionisti come avvocati, analisti finanziari, medici, giornalisti, contabili, assicuratori o bibliotecari potrà essere parzialmente o completamente automatizzato…

La tecnologia sta progredendo così velocemente che Kristian Hammond, co-fondatore di Narrative Science, una società specializzata nella generazione automatica della narrativa, prevede che entro la metà degli anni venti di questo secolo, il 90% delle notizie potrebbe essere generato da un algoritmo, gran parte di esse senza alcun tipo di intervento umano (a parte la progettazione dell’algoritmo, ovviamente).

È questo imperativo economico che alimenta l’entusiasmo di Schwab per “una rivoluzione che sta cambiando radicalmente il nostro modo di vivere, lavorare e relazionarci”.

Schwab, descrivendo le meraviglie della Quarta Rivoluzione Industriale, insiste sul fatto che essa sia “diversa da qualsiasi altra cosa che l’umanità abbia mai sperimentato prima d’ora”.

Tutto connesso e tutto controllabile

E si scatena: “Considerate le possibilità illimitate di avere miliardi di persone collegate a dispositivi mobili, dando così origine a una potenza di elaborazione, capacità di memorizzazione e accesso alla conoscenza senza precedenti. Oppure pensate alla sbalorditiva confluenza di scoperte tecnologiche che stanno emergendo, che coprono campi molto ampi come l’intelligenza artificiale (IA), la robotica, l’internet delle cose (IoT), i veicoli autonomi, la stampa 3D, la nanotecnologia, la biotecnologia, la scienza dei materiali, l’immagazzinamento dell’energia e il calcolo quantistico, per citarne solo alcuni. Molte di queste innovazioni sono agli albori, ma stanno già raggiungendo un punto di inflessione nel loro sviluppo, poiché incrementano e si amplificano l’un l’altra in una fusione di tecnologie tra il mondo fisico, digitale e biologico”.

Si augura inoltre un incremento dell’istruzione online, che preveda “l’uso della realtà virtuale e della realtà aumentata” per “migliorare drasticamente i risultati educativi” , sensori “installati in case, vestiti e accessori, città, trasporti e reti energetiche”  e città smart, con le loro importanti “piattaforme di dati”.

“Tutto sarà smart e connesso a internet”, dice Schwab, e ciò si estenderà anche agli animali, poiché “i sensori collegati al bestiame possono comunicare tra loro attraverso una rete di telefonia mobile”.

Adora l’idea di ” fabbriche di cellule intelligenti” che potrebbero consentire ” la generazione accelerata di vaccini (anche mortali) ”   e ” tecnologie dei big-data“.

Massima fiducia agli algoritmi.

Queste, ci assicura, “offriranno modi nuovi e innovativi per servire i cittadini e i clienti”  e dovremo smettere di opporci alle imprese che traggono profitto dallo sfruttamento e dalla vendita di informazioni su ogni aspetto della nostra vita personale.

“Stabilire la fiducia nei dati e negli algoritmi utilizzati per prendere decisioni sarà fondamentale”, insiste Schwab. “Le preoccupazioni dei cittadini in merito alla privacy e all’accertamento della responsabilità nelle strutture aziendali e legali richiederanno degli aggiustamenti di pensiero”.

In fin dei conti è chiaro che tutta questa esaltazione tecnologica ruota esclusivamente intorno al profitto, o “valore” come Schwab preferisce definirlo nella sua neolingua aziendale del 21° secolo. Così la tecnologia blockchain sarà fantastica e provocherà “un’esplosione di beni commerciabili, dato che tutti i tipi di scambio di valore possono essere ospitati sulla blockchain”.

L’uso della tecnologia da libro mastro distribuito, aggiunge Schwab, “potrebbe costituire la forza trainante di massicci flussi di valore in prodotti e servizi digitali, fornendo identità digitali sicure che possono rendere i nuovi mercati accessibili a chiunque sia connesso a internet”.

In generale, l’interesse della Quarta Rivoluzione Industriale per l’élite imprenditoriale dominante consiste nel fatto che essa “creerà fonti di valore completamente nuove”  e “darà vita a ecosistemi di creazione di valore impossibili da immaginare con una mentalità bloccata nella terza Rivoluzione Industriale”.

Le tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale, sviluppate attraverso il 5G, rappresentano una minaccia senza precedenti per la nostra libertà, come ammette Schwab: “Gli strumenti della quarta rivoluzione industriale permettono nuove forme di sorveglianza e altri mezzi di controllo che vanno contro le società sane e aperte”.

Ma questo non gli impedisce di presentarle sotto una luce positiva, come quando dichiara che “la criminalità pubblica rischia di diminuire grazie alla convergenza di sensori, telecamere, IA e software di riconoscimento facciale”.

Nuove tecnologie al servizio dell’élite miliardaria al comando.

Egli descrive con una certa soddisfazione come queste tecnologie “possono invadere lo spazio finora privato della nostra mente, leggendo i nostri pensieri e influenzando il nostro comportamento”.

Schwab prevede che:

man mano che le capacità in questo settore miglioreranno, aumenterà la tentazione per le forze dell’ordine e i tribunali di utilizzare tecniche per determinare la probabilità di attività criminali, valutare la colpevolezza o anche eventualmente recuperare i ricordi direttamente dal cervello delle persone. Persino l’attraversamento di un confine nazionale potrebbe un giorno comportare una dettagliata scansione del cervello per valutare il rischio per la sicurezza di un individuo.

 

Ci sono momenti in cui il capo del WEF si lascia trasportare dalla passione per un futuro fantascientifico in cui “i viaggi umani nello spazio a lunga distanza e la fusione nucleare saranno all’ordine del giorno”  e in cui “il prossimo modello di business di tendenza” potrebbe implicare che qualcuno “scambi l’accesso ai suoi pensieri per la possibilità di risparmiare tempo e di scrivere un post sui social media solo con il pensiero”.

Parlare di “turismo spaziale” sotto il titolo “La Quarta Rivoluzione Industriale e l’ultima frontiera”  è quasi divertente, così come la suggestione che “un mondo pieno di droni offre un mondo pieno di possibilità”.

Il “transumanesimo” come nuova religione ,comunista -massonica e globalista.

Ma quanto più il lettore avanza nel mondo rappresentato nei libri di Schwab, tanto meno esso appare come una cosa da ridere.

La verità è che questa figura altamente influente, al centro del nuovo ordine globale in via di costituzione, è un vero e proprio transumanista che sogna la fine di una vita umana e di una comunità naturale e sana.

Schwab ripete questo messaggio più e più volte, come per essere sicuro di averci debitamente avvertiti.

“Le strabilianti innovazioni scatenate dalla quarta rivoluzione industriale, dalla biotecnologia all’IA, stanno ridefinendo ciò che significa essere umani”, scrive.

“Il futuro metterà alla prova la nostra concezione di ciò che significa essere umani, sia dal punto di vista biologico che sociale”.

“Già oggi i progressi delle neuro-tecnologie e delle biotecnologie ci costringono a chiederci cosa significhi essere umani”.

I dispositivi tecnologici diventeranno un’estensione del corpo umano

Lo spiega più dettagliatamente in Shaping the Future of the Fourth Industrial Revolution:

Le tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale non si fermeranno a diventare parte del mondo fisico che ci circonda, ma diventeranno parte di noi.

Infatti, alcuni di noi sentono già che i nostri smartphone sono diventati un’estensione di noi stessi. I dispositivi esterni di oggi (dai computer indossabili alle cuffie di realtà virtuale) diventeranno quasi certamente impiantabili nel nostro corpo e nel nostro cervello.

Gli esoscheletri e le protesi aumenteranno la nostra potenza fisica, mentre i progressi della neuro-tecnologia miglioreranno le nostre capacità cognitive.

 Diventeremo più capaci di manipolare i nostri stessi geni e quelli dei nostri figli. Questi sviluppi sollevano profondi interrogativi: Dove tracciamo il confine tra l’uomo e la macchina? Cosa significa essere umani?

(La proteina Spike -nei nuovi vaccini anti virus- quante stragi potrà causare all’ umanità ?ndr.)

Un’intera sezione di questo libro è dedicata al tema “Alterare l’Essere Umano” in cui egli sbava sulla “capacità delle nuove tecnologie di diventare letteralmente parte di noi” e invoca un futuro di cyborg implicante “curiosi mix di vita digitale e analogica che ridefiniranno la nostra stessa natura”.

Egli scrive che “queste tecnologie opereranno all’interno della nostra biologia e cambieranno il modo in cui ci interfacciamo con il mondo. Esse sono in grado di superare i confini del corpo e della mente, di migliorare le nostre capacità fisiche e persino di avere un impatto duraturo sulla vita stessa”.

Il sogno di Schwab dei microchip sottopelle.

Nessuna violazione sembra spingersi troppo in là per Schwab, che sogna “microchip attivi impiantabili che rompono la barriera cutanea del nostro corpo”, “tatuaggi intelligenti”, “calcolo biologico” e “organismi progettati su misura”.

È lieto di riferire che “i sensori, gli interruttori di memoria e i circuiti possono essere codificati nei comuni batteri dell’intestino umano”, che “la Smart Dust, una varietà di computer completi con antenne, ciascuno molto più piccolo di un granello di sabbia, possono ora organizzarsi all’interno del corpo” e che “i dispositivi impiantati contribuiranno probabilmente anche a comunicare pensieri normalmente espressi verbalmente attraverso uno smartphone ‘incorporato’, così come pensieri o stati d’animo potenzialmente inespressi, attraverso la lettura di onde cerebrali e altri segnali”.

La “biologia sintetica” è all’orizzonte nel mondo della Quarta Rivoluzione Industriale di Schwab e darà ai governanti capitalisti tecnocratici del mondo “la possibilità di personalizzare gli organismi scrivendo il DNA”.

L’idea di neuro-tecnologie, in cui gli esseri umani avranno ricordi completamente artificiali impiantati nel cervello, è sufficiente per far venire il voltastomaco ad alcuni di noi, così come “la prospettiva di collegare il nostro cervello alla realtà virtuale attraverso modem corticali, impianti o nano-bot”.

È di poco conforto sapere che questo è tutto (naturalmente!) nell’interesse del profitto capitalistico, poiché “preannuncia nuove industrie e sistemi per la creazione di valore” e “rappresenta un’opportunità per creare sistemi di valore completamente nuovi nella Quarta Rivoluzione Industriale”.

E che dire della “biostampa di tessuti organici”  o del suggerimento che “gli animali potrebbero essere potenzialmente ingegnerizzati per produrre farmaci e altre forme di trattamento”?

Qualcuno vuole sollevare obiezioni di carattere etico?

La megalomania di Schwab si allarga anche al mondo animale.

Tutto ciò è evidentemente positivo per Schwab, che è felice di annunciare che

 

il giorno in cui le mucche saranno progettate per produrre nel loro (sic) latte un elemento per la coagulazione del sangue, di cui gli emofiliaci difettano, non è lontano. I ricercatori hanno già iniziato a progettare i genomi dei maiali con l’obiettivo di sviluppare organi adatti al trapianto umano.

E il tutto diventa ancora più inquietante: sin dal sinistro programma di eugenetica della Germania nazista in cui nacque Schwab, questa scienza è stata considerata inaccettabile dalla società umana, ma ora, però, evidentemente, egli sente che l’eugenetica meriti una rivalutazione, quando annuncia, in merito all’editing genetico che :

il fatto che ora sia molto più facile manipolare con precisione il genoma umano all’interno di embrioni vitali, comporta la possibilità che in futuro vedremo l’avvento di bambini frutto di design che possiedono particolari caratteristiche o che sono resistenti a una specifica malattia.

Nel famigerato trattato transumanista del 2002 “ I, Cyborg “, Kevin Warwick prevede che:

gli esseri umani saranno in grado di evolversi sfruttando la super-intelligenza e le abilità aggiuntive offerte dalle macchine del futuro, unendosi ad esse. Tutto ciò indica verso lo sviluppo di una nuova specie umana, conosciuta nel mondo della fantascienza come “cyborg”. Questo non significa che tutti debbano diventare cyborg.

Se siete soddisfatti del vostro stato di esseri umani, allora così sia, potete rimanere come siete. Ma attenzione: proprio come noi umani ci siamo separati dai nostri cugini scimpanzé anni fa, così i cyborg si separeranno dagli umani.

Coloro che rimangono umani probabilmente diventeranno una sottospecie. Saranno, in effetti, gli scimpanzé del futuro.

Un’élite artificiale transumana. Schwab sembra accennare allo stesso futuro di un’élite artificiale transumana “superiore” e potenziata che si separa dalla marmaglia nata in modo naturale, in questo passaggio particolarmente maledetto del “La Quarta Rivoluzione Industriale scrive che “siamo alle soglie di un radicale cambiamento sistemico che richiede agli esseri umani di adattarsi continuamente.

Di conseguenza, potremmo assistere a un crescente grado di polarizzazione nel mondo, segnato da coloro che abbracciano il cambiamento da una parte, contro coloro che vi si oppongono dall’altra.

“Questo darà origine a una disuguaglianza che va oltre quella sociale descritta in precedenza. Questa disuguaglianza ontologica separerà chi si adatta da chi resiste, i vincenti dai perdenti materiali in tutti i sensi delle parole. I vincenti potrebbero anche beneficiare di una qualche forma di miglioramento umano radicale generato da alcuni segmenti della quarta rivoluzione industriale (come l’ingegneria genetica) di cui i perdenti saranno privati.

Questo rischia di creare conflitti di classe e altri scontri, totalmente diversi da quelli visti prima d’ora”.

Schwab aveva già parlato di una “grande trasformazione” nel 2016  ed è chiaramente determinato a fare tutto ciò che è in suo potere per realizzare il suo mondo artificiale transumanista di ispirazione eugenetica, della sorveglianza, del controllo e del profitto esponenziale.

Tuttavia, come rivela il suo riferimento ai “conflitti di classe” di cui sopra, è chiaramente preoccupato dalla possibilità di “resistenza sociale”  e da come procedere “se le tecnologie riceveranno una grande resistenza da parte del pubblico”.

Gli incontri annuali del WEF di Schwab a Davos sono stati a lungo accolti da proteste anticapitaliste e, nonostante l’attuale paralisi della sinistra radicale, egli è ben consapevole della possibilità di una rinnovata e forse più ampia opposizione al suo progetto, con il rischio di “risentimento, paura e contraccolpi politici”.

Nel suo libro più recente fornisce un contesto storico, sottolineando che “l’antiglobalismo è stato forte nel periodo precedente al 1914 e fino al 1918, poi è diminuito durante gli anni Venti, ma si è riacceso negli anni Trenta in seguito alla Grande Depressione”.

Egli osserva che all’inizio degli anni 2000 “il contraccolpo politico e sociale contro la globalizzazione si è rafforzato senza sosta”,  afferma che negli ultimi due anni il ” malcontento sociale” si è diffuso in tutto il mondo, citando i Gilet Gialli in Francia tra i vari movimenti, e invoca lo “scenario cupo” che “potrebbe verificarsi di nuovo”.

Dunque come può un onesto tecnocrate realizzare il suo futuro ideale per il mondo senza il consenso dell’opinione pubblica mondiale? Come possono Schwab e i suoi amici miliardari imporre la società da loro auspicata al resto del mondo?

Creare una narrazione unica.

Una soluzione è attraverso un’incessante propaganda e lavaggio del cervello che i mass media e il mondo accademico di proprietà dell’1% dell’élite (ciò che a loro piace chiamare “una narrazione”).

Per Schwab, la riluttanza della maggioranza dell’umanità a salire a bordo del treno verso la quarta rivoluzione industriale rispecchia la tragica circostanza che “al mondo manca una narrazione coerente, positiva e comune che delinei le opportunità e le sfide della quarta rivoluzione industriale, una narrazione che è essenziale se vogliamo dare forza a un insieme diversificato di individui e comunità ed evitare un contraccolpo popolare contro i cambiamenti radicali in corso”.

E aggiunge che “è quindi fondamentale investire attenzione ed energia nella cooperazione multilaterale al di là dei confini accademici, sociali, politici, nazionali e industriali. Queste interazioni e collaborazioni sono necessarie per creare narrazioni positive, comuni e piene di speranza, che consentano a individui e gruppi di tutte le parti del mondo di partecipare alle trasformazioni in corso e di trarne vantaggio”.

Internet: l’arma che vuole utilizzare il tecno-imperialismo globale nazi-fascista , massonico -comunista.

Una di queste “narrazioni” occulta le ragioni per cui la tecnologia della quarta rivoluzione industriale deve essere installata ovunque nel mondo il più presto possibile.

Schwab è frustrato dal fatto che “più della metà della popolazione mondiale (circa 3,9 miliardi di persone) non possa ancora accedere a Internet”,  con l’85% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo che rimane offline e quindi irraggiungibile, differentemente dal 22% del mondo sviluppato.

L’obiettivo reale della Quarta Rivoluzione Industriale è quello di sfruttare queste popolazioni a scopo di lucro attraverso il tecno-imperialismo globale, ma ovviamente questo non può essere dichiarato nella “narrazione” propagandistica necessaria per vendere il piano.

La loro missione deve invece essere presentata, come fa lo stesso Schwab, come un tentativo di “sviluppare tecnologie e sistemi che servano a distribuire valori economici e sociali come il reddito, le opportunità e la libertà a tutti i portatori di interesse”.

 

Si atteggia devotamente a guardiano dei valori liberali illuminati, dichiarando che pensare in modo inclusivo va oltre il pensare alla povertà o alle comunità emarginate semplicemente come un’aberrazione, ma a qualcosa che possiamo risolvere.

Ci costringe a realizzare che “i nostri privilegi si trovano sullo stesso piano della loro sofferenza” e va al di là del reddito e dei diritti, anche se questi rimangono importanti. Attraverso l’inclusione degli stakeholder e la distribuzione dei benefici si ampliano le libertà per tutti”.

La stessa tecnica, di una finta “narrazione” progettata per ingannare i cittadini benpensanti a sostenere uno schema capitalista imperialista, è stata ampiamente utilizzata per quanto riguarda il cambiamento climatico.

Il ruolo di Greta Thunberg.

Schwab è chiaramente un grande fan di Greta Thunberg, la quale non aveva nemmeno fatto in tempo ad alzarsi dal marciapiede dopo la sua protesta a Stoccolma, che è stata subito spedita a Davos per parlare al WEF.

È altresì un sostenitore della proposta di un globale New Deal for Nature, in particolare attraverso il programma Voice for the Planet, che è stato lanciato al WEF di Davos nel 2019 dai Global Shapers, un’organizzazione giovanile creata da Schwab nel 2011 e giustamente descritta dal giornalista investigativo Cory Morningstar come “una grottesca esibizione di abuso aziendale mascherata come qualcosa di positivo”.

Nel suo libro del 2020, Schwab illustra il modo in cui il finto “attivismo giovanile” viene utilizzato per promuovere i suoi personali obiettivi capitalistici.

Scrive, in un passaggio estremamente franco che “l’attivismo giovanile sta aumentando in tutto il mondo, essendo stato rivoluzionato dai social media che aumentano la mobilitazione in una misura che prima sarebbe stata impossibile.

 

Esso assume molte forme diverse, dalla partecipazione politica non istituzionalizzata alle manifestazioni e alle proteste, e affronta questioni diverse come il cambiamento climatico, le riforme economiche, l’uguaglianza di genere e i diritti LGBTQ. La giovane generazione è saldamente all’avanguardia del cambiamento sociale. Non c’è dubbio essa che sarà il catalizzatore del cambiamento e la leva per un momento cruciale per il Grande Reset”.

In realtà, ovviamente, il futuro ultra-industriale proposto da Schwab sarà tutt’altro che verde. Non è la natura che gli interessa, ma il “capitale naturale” e “l’incentivazione degli investimenti nei mercati della frontiera verde e sociale”.

Cambiamento climatico: un’opportunità di business.

Inquinamento equivale a profitto e la crisi ambientale è solo un’altra opportunità di business, come spiega in dettaglio ne “La Quarta Rivoluzione Industriale”:

in questo nuovo rivoluzionario sistema industriale, l’anidride carbonica si trasformerà da inquinante ad effetto serra in un bene, e l’economia della cattura e dello stoccaggio del carbonio passerà dall’essere un costo, così come i pozzi di assorbimento dell’inquinamento, a diventare proficuo per la raccolta e l’utilizzo di carbonio e per la produzione.

Ancora più importante: ciò aiuterà le aziende, i governi e i cittadini a diventare più consapevoli e impegnati in strategie per rigenerare attivamente il capitale naturale, permettendo usi intelligenti e rigenerativi del capitale naturale per guidare la produzione e il consumo sostenibili e dare spazio alla biodiversità per la ripresa in aree compromesse”. Le “soluzioni” di Schwab per i danni strazianti inflitti al nostro mondo naturale dal capitalismo industriale consistono nello stesso veleno, se non peggio.

La geoingegneria è uno dei suoi cavalli di battaglia: “le proposte includono l’installazione di specchi giganti nella stratosfera per deviare i raggi del sole, la semina chimica dell’atmosfera per aumentare le precipitazioni e il dispiegamento di grandi macchine per rimuovere l’anidride carbonica dall’aria”.

E poi aggiunge: “attualmente si stanno immaginando nuovi approcci attraverso la combinazione di tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale, come le nanoparticelle e altri materiali avanzati”.

Come tutte le imprese e le ONG pro-capitaliste che sostengono il messo in pericolo New Deal for Nature, Schwab è completamente e profondamente “non-green”.

Per lui, la “possibilità ultima” di un’energia “pulita” e “sostenibile” comprende la fusione nucleare.  Egli attende con ansia il giorno in cui i satelliti “copriranno tutto il pianeta con percorsi di comunicazione che potrebbero aiutare a collegare gli oltre 4 miliardi di persone ancora prive di accesso online”.

Schwab vuole avvalersi degli OGM.

Schwab inoltre si rammarica molto di tutta quella burocrazia che impedisce l’avanzamento senza ostacoli degli alimenti geneticamente modificati, avvertendo che “la sicurezza alimentare globale sarà raggiunta, tuttavia, solo se le norme sugli alimenti geneticamente modificati saranno adattate per dimostrare che la modificazione genetica offre un metodo preciso, efficiente e sicuro per migliorare le colture”. Il nuovo ordine previsto da Schwab abbraccerà il mondo intero e quindi è necessaria una governance globale per imporlo, come egli afferma ripetutamente.

Il suo futuro preferito “si realizzerà solo attraverso una migliore governance globale”  insiste. “È necessaria una qualche forma di governance  globale efficace” .

Il problema che abbiamo oggi è quello di un possibile “deficit di ordine globale”,  afferma, aggiungendo inverosimilmente che l’Organizzazione Mondiale della Sanità “è gravata da risorse limitate e in diminuzione”.

Quello che in realtà sta dicendo è che la sua società del grande reset e della quarta rivoluzione industriale funzionerà solo se imposta simultaneamente in tutto il pianeta, altrimenti “rimarremo paralizzati nei nostri tentativi di affrontare e rispondere alle sfide globali”.

Egli ammette che “in poche parole, la governance globale il nesso di tutte queste altre questioni”.

Questo che ingloba tutto disapprova molto l’idea che una particolare popolazione decida democraticamente di intraprendere un’altra strada. Tali popolazioni “rischierebbero di rimanere isolate dalle norme globali, mettendo queste nazioni a rischio di diventare i ritardatari della nuova economia digitale”,  avverte Schwab.

Cancellare identità e strutture familiari.

Ogni senso di autonomia e di attaccamento alle radici è considerato una minaccia dal punto di vista imperialista di Schwab e deve essere sradicato con la quarta rivoluzione industriale.

Scrive così:

Gli individui erano soliti identificare la loro vita più da vicino con un luogo, un gruppo etnico, una particolare cultura o anche una lingua. L’avvento del coinvolgimento online e la maggiore esposizione alle idee di altre culture fanno sì che le identità siano ora più fungibili rispetto al passato… Grazie alla combinazione di modelli migratori storici e di connettività a basso costo, si stanno ridefinendo le strutture familiari.

La democrazia vera e propria rientra essenzialmente nella stessa categoria per Schwab. Egli sa che la maggior parte delle persone non accetterà di buon grado i piani per distruggere le loro vite e renderle schiave di un sistema globale di sfruttamento tecno-nazi-fascista, quindi la possibilità dare loro voce in capitolo è semplicemente esclusa.

Per questo motivo il concetto di “stakeholder” è stato così importante per il progetto di Schwab. Come già discusso in precedenza, si tratta della negazione della democrazia, con l’accento posto invece sul “raggiungere i gruppi di stakeholder per la costruzione di soluzioni”.

Se il pubblico, le persone, sono incluse in questo processo ciò avviene meramente a livello superficiale. Il programma è già stato pre-ipotizzato e le decisioni sono state già prese dietro le quinte.

Schwab lo ammette efficacemente quando scrive: “dobbiamo ristabilire un dialogo tra tutti gli stakeholder per garantire una comprensione reciproca che costruisca ulteriormente una cultura di fiducia tra le autorità di regolamentazione, le organizzazioni non governative, i professionisti e gli scienziati.

Anche il pubblico deve essere preso in considerazione, perché deve partecipare alla formazione democratica degli sviluppi biotecnologici che riguardano la società, gli individui e le culture”.

Il concetto di leadership di sistema.

Quindi “anche” il pubblico deve essere considerato, in un secondo momento. Nemmeno consultato direttamente, solo “considerato”! E il ruolo del popolo, il demos, sarà solo quello di “partecipare” alla “formazione” degli sviluppi biotecnologici.                                La possibilità che il pubblico respinga di fatto l’idea stessa di sviluppo biotecnologico è stata completamente eliminata grazie ai presupposti volutamente costruiti con la formula degli stakeholder.

Lo stesso messaggio è implicito nel titolo della conclusione di Schwab in “Shaping the Future of the Fourth Industrial Revolution:What You Can Do to Shape the Fourth Industrial Revolution . La tecno-tirannia non può essere messa in discussione o fermata, semplicemente “plasmata” (shaped).

Schwab usa il termine “leadership di sistema” per descrivere il modo profondamente antidemocratico in cui l’1% impone la sua agenda a tutti noi, senza darci la possibilità di dire “no”.

Egli scrive che “la leadership dei sistemi consiste nel coltivare una visione condivisa del cambiamento, lavorare insieme a tutti gli stakeholder della società globale e poi agire su di essa per cambiare il modo in cui il sistema offre i suoi benefici e a chi li offre. La leadership di sistema richiede l’azione di tutti gli stakeholder, inclusi gli individui, i dirigenti d’azienda, gli influencer sociali e i decisori politici”.

Egli definisce a questo controllo a tutto spettro dall’alto verso il basso come “la gestione del sistema dell’esistenza umana” , sebbene altri potrebbero preferire il termine “totalitarismo“.

Uno dei tratti distintivi del nazi-fascismo storico in Italia e in Germania era la sua insofferenza per le scomode restrizioni imposte alla classe dirigente (“la Nazione” in linguaggio nazi- fascista) dalla democrazia e dal liberalismo politico.

 

Tutto questo doveva essere spazzato via per consentire una Blitzkrieg di “modernizzazione” accelerata.

Vediamo riaffiorare lo stesso spirito negli appelli di Schwab per una “governance agile” in cui egli sostiene che “il passo dello sviluppo tecnologico e di una serie di caratteristiche delle tecnologie rendono inadeguati i cicli e i processi politici precedenti”.

Le strutture sociali saranno al servizio del capitalismo globalista.

Egli scrive che “l’idea di riformare i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie non è nuova, ma l’urgenza di farlo è di gran lunga maggiore alla luce della potenza delle tecnologie emergenti di oggi… il concetto di governance agile cerca di abbinarsi con l’agilità, la fluidità, la flessibilità e l’adattabilità delle tecnologie stesse e degli attori del settore privato che le adottano”.

L’espressione “riformare i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie” svela la vera essenza della questione. Come nel nazi-fascismo, le strutture sociali devono essere reinventate in modo da soddisfare le esigenze del capitalismo e delle sue tecnologie generatrici di profitto.

Schwab spiega che la sua ” governance agile” comporterebbe la creazione di cosiddetti laboratori di politica:

spazi protetti all’interno del governo con un esplicito mandato di sperimentare nuovi metodi di sviluppo delle politiche utilizzando principi agili che incoraggino la collaborazione tra governi e imprese per creare ‘sandbox di sviluppo’ e ‘banchi di prova sperimentali’ per sviluppare normative che utilizzino approcci iterativi, intersettoriali e flessibili.

Per Schwab, il ruolo dello Stato è quello di far progredire gli obiettivi capitalistici globalisti, non di tenerli sotto controllo in alcun modo.

 

Sebbene egli sia del tutto favorevole al ruolo dello Stato nel consentire l’acquisizione della nostra vita da parte delle imprese, è meno interessato alla sua funzione di regolamentazione, che potrebbe rallentare l’afflusso di profitti nelle mani dei privati, e quindi prevede “lo sviluppo di ecosistemi di regolatori privati, in competizione sui mercati”.

La simulazione della “pandemia fittizia”.

Nel suo libro del 2018, Schwab affronta il problema delle normative moleste e di come “superare questi limiti” nel campo dei dati e della privacy.

Egli propone “accordi di condivisione dei dati tra pubblico e privato che “rompono il vetro in caso di emergenza”.

Questi entrerebbero in gioco solo in circostanze di emergenza pre-concordate (come una pandemia) e possono contribuire a ridurre i ritardi e a migliorare il coordinamento dei paramedici, consentendo temporaneamente una condivisione dei dati che in circostanze normali sarebbe illegale”.

Curiosamente (?), due anni dopo c’è stata effettivamente una “pandemia” e queste “circostanze di emergenza pre-concordate” sono diventate realtà.

Ciò non deve essere stato una sorpresa per Schwab, visto che il suo WEF era tra gli organizzatori della famigerata conferenza “Event 201” dell’ottobre 2019, in cui fu simulata una pandemia di coronavirus fittizia.

Così ha perso poco tempo per far uscire un nuovo libro, “Covid-19: The Great Reset”, realizzato in collaborazione con Thierry Malleret, che gestisce qualcosa chiamato “The Monthly Barometer”, “una succinta analisi predittiva fornita agli investitori privati, ai CEO, ai decisori e agli opinion maker globali”.

 

Pubblicato nel luglio 2020, il libro si propone di partorire “congetture e idee su come potrebbe e forse dovrebbe apparire il mondo post-pandemico”.

Schwab e Malleret ammettono che il Covid-19 è “una delle pandemie meno mortali che il mondo abbia conosciuto negli ultimi 2000 anni”, aggiungendo che “le conseguenze di COVID-19 in termini di salute e mortalità saranno miti rispetto alle pandemie precedenti”.

E aggiungono che “essa non costituisce una minaccia esistenziale, né uno shock che lascerà la sua impronta sulla popolazione mondiale per decenni”.

Eppure, incredibilmente, questa “lieve” malattia viene presentata contemporaneamente come la scusa per un cambiamento sociale senza precedenti all’insegna del “Grande Reset”!

E sebbene dichiarino esplicitamente che il Covid-19 non costituisce un grande “shock”, gli autori usano ripetutamente lo stesso termine per descrivere l’impatto più ampio della crisi.

Il Covid come strumento per facilitare i cambiamenti.

Schwab e Malleret collocano il Covid-19 in una lunga tradizione di eventi che hanno facilitato cambiamenti improvvisi e significativi nelle nostre società.

In particolare evocano la Seconda Guerra Mondiale:

la Seconda Guerra Mondiale è stata la quintessenza della guerra di trasformazione, innescando non solo cambiamenti fondamentali nell’ordine globale e nell’economia globale, ma anche cambiamenti radicali negli atteggiamenti e nelle credenze sociali che alla fine hanno aperto la strada a politiche e disposizioni da contratto sociale radicalmente nuove (come l’ingresso delle donne nella forza lavoro prima di acquisire il diritto di voto).

Ci sono ovviamente differenze fondamentali tra una pandemia e una guerra (che considereremo in modo più dettagliato nelle pagine seguenti), ma l’entità del loro potere di trasformazione è paragonabile. Entrambe hanno il potenziale per essere una crisi trasformativa di proporzioni inimmaginabili in precedenza.

Si aggiungono anche al coro di molti “teorici della complotto” contemporanei nel fare un confronto diretto tra il Covid-19 e l’11 settembre:

“questo è quanto è successo dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001: in tutto il mondo, nuove misure di sicurezza come l’impiego diffuso di telecamere, la richiesta di carte d’identità elettroniche e la registrazione dei dipendenti o dei visitatori in entrata e in uscita sono diventate la norma. All’epoca queste misure erano considerate estreme, ma oggi sono utilizzate ovunque e considerate “normali”.

Quando qualsivoglia tiranno dichiara il proprio diritto di governare su un popolo senza tener conto delle sue opinioni, ama giustificare la propria dittatura con la pretesa di avere il diritto morale di farlo perché egli è “illuminato”.

Lo stesso vale per la tirannia alimentata dal Covid del Grande Reset di Schwab, che il libro classifica come “leadership illuminata”, aggiungendo:

“Alcuni leader e decisori che erano già in prima linea nella lotta contro il cambiamento climatico potrebbero voler approfittare dello shock inflitto dalla pandemia per attuare cambiamenti ambientali più ampi e duraturi. Essi, in effetti, faranno “buon uso” della pandemia non lasciando che la crisi vada sprecata”.

Niente tornerà come prima!

L’élite capitalistica mondiale al potere ha certamente fatto del suo meglio per “approfittare dello shock provocato dal panico”, assicurando tutti noi fin dai primi giorni dell’epidemia che, per qualche imperscrutabile ragione, niente nella nostra vita tornerà come prima.

Schwab e Malleret sono, inevitabilmente, entusiasti dell’uso del termine “nuova normalità, nonostante abbiano ammesso che il virus è stato sempre e solo “blando”.

“È il nostro momento decisivo”, esclamano. “Molte cose cambieranno per sempre”. “Un nuovo mondo emergerà”. “Lo sconvolgimento sociale scatenato da COVID-19 durerà per anni, e forse per generazioni”. “Molti di noi stanno pensando a quando le cose torneranno alla normalità. La risposta immediata è: mai”.

Arrivano persino a proporre una nuova separazione storica tra “l’era pre-pandemica” e “il mondo post-pandemico”.

Scrivono che “cambiamenti radicali di tale conseguenza che alcuni esperti arrivano a riferirsi ad un’era ‘prima del coronavirus’ (A.C.) e ‘dopo il coronavirus’ (D.C.).

Continueremo a rimanere sorpresi sia dalla rapidità che dalla natura inaspettata di questi cambiamenti, poiché essi si fondono l’uno con l’altro, provocando conseguenze di secondo, terzo, quarto ordine e oltre, effetti a cascata ed esiti imprevisti.

Così facendo, daranno forma ad una “nuova normalità” radicalmente diversa da quella che ci lasceremo progressivamente alle spalle. Molte delle nostre convinzioni e delle nostre assunzioni su come il mondo potrebbe o dovrebbe apparire saranno distrutte in questo processo”.

Il Reset ambientale.

Già nel 2016, Schwab puntava a “nuovi modi di usare la tecnologia per cambiare il comportamento”  e prevedeva che “la portata e l’ampiezza della rivoluzione tecnologica in corso porterà a cambiamenti economici, sociali e culturali di proporzioni così fenomenali da essere quasi impossibili da pronosticare”.

Un modo in cui aveva sperato di far avanzare la sua agenda tecnocratica era, come abbiamo notato, attraverso le false “soluzioni” al cambiamento climatico proposte dai capitalisti falsamente green.

Sotto il titolo “Reset ambientale”, Schwab e Malleret dichiarano: “a prima vista, la pandemia e l’ambiente potrebbero sembrare solo cugini imparentati alla lontana; ma sono molto più vicini e più intrecciati di quanto si pensi”.

Una delle connessioni è che sia la “crisi climatica” che quella del virus sono state usate dal WEF e da loro simili per spingere la loro agenda di governance globale.

Come hanno affermato Schwab e il suo coautore, “esse hanno una natura globale e quindi possono essere affrontate in modo adeguato solo in modo coordinato a livello globale”.

Un altro collegamento è il modo in cui “l’economia post-pandemica” e “l’economia verde”  comportano ingenti profitti per la gran parte agli stessi settori del grande business.

Il Covid-19 è stata evidentemente una grande notizia per quei capitalisti che speravano di incassare sulla distruzione dell’ambiente, con Schwab e Malleret a dire che “la convinzione che le strategie del Gruppo Esecutivo abbiano beneficiato della pandemia e che abbiano maggiori probabilità di beneficiarne ulteriormente è corroborata da vari sondaggi e rapporti. I primi dati mostrano che nel primo trimestre del 2020 il settore della sostenibilità ha superato quello dei fondi convenzionali”.

Gli squali capitalisti globalisti del cosiddetto “settore della sostenibilità” si stanno fregando le mani con gioia alla prospettiva di tutti i soldi che stanno per fare con il Grande Reset nazi-fascista di attuato con il pretesto del Covid, in cui lo Stato è reso strumento per finanziare il loro ipocrita affarismo.

Schwab e Malleret notano che “la chiave per gonfiare il capitale privato con nuove fonti di valore economico nature-positive sarà quella di spostare le principali leve politiche e gli incentivi della finanza pubblica nell’ambito di un più ampio reset economico”.

“Un documento politico preparato da Systemiq in collaborazione con il World Economic Forum stima che la costruzione di un’economia nature-positive potrebbe valere più di 10 trilioni di dollari all’anno entro il 2030Il reset dell’ambiente non dovrebbe essere visto come un costo, ma piuttosto come un investimento che genererà attività economica e opportunità di lavoro”.

Il Covid è stato un incredibile acceleratore di cambiamenti già in atto.

Dato l’intreccio tra la crisi climatica e quella del Covid esposto da Schwab, si potrebbe ipotizzare che il piano originario fosse quello di attuare il reset della “nuova normalità” tramite la crisi climatica.

Ma evidentemente, tutta la pubblicità per Greta Thunberg e per il movimento “Extincion Rebellion”, sostenuto dalle grandi imprese, non ha suscitato abbastanza panico nell’opinione pubblica da giustificare tali misure.

Il Covid-19 serve perfettamente ai propositi di Schwab, poiché l’urgenza immediata che presenta permette di accelerare e velocizzare l’intero processo senza controllo.

“Questa differenza cruciale tra i rispettivi orizzonti temporali di una pandemia e quelli del cambiamento climatico e della perdite della natura significa che il rischio di una pandemia richiede un’azione immediata, seguita da un risultato rapido, mentre il cambiamento climatico e la perdite della natura richiedono sì anch’essi un’azione immediata, ma il risultato (o ‘ricompensa futura’, nel gergo degli economisti) seguirà solo con un certo ritardo”.

Per Schwab e i suoi amici, il Covid-19 è il grande acceleratore di tutto ciò che da anni vogliono imporci.

Come affermano lui e Malleret, “la pandemia sta chiaramente esacerbando e accelerando le tendenze geopolitiche che erano già evidenti prima dello scoppio della crisi”.

“La pandemia segnerà una svolta accelerando questa transizione. Essa ha cristallizzato la questione e reso impossibile il ritorno allo status quo pre-pandemico”.

Riescono a malapena a nascondere la loro gioia per la direzione che la società sta prendendo: “la pandemia accelererà ancora di più l’innovazione, catalizzando i cambiamenti tecnologici già in atto ( è paragonabile all’effetto esacerbante che ha avuto su altre questioni globali e nazionali di fondo) e “mettendo il turbo” a qualsiasi business digitale e alla dimensione digitale di qualsiasi business”.

“Con la pandemia, la ‘trasformazione digitale’ di cui tanti analisti si occupano da anni, senza essere esattamente sicuri di cosa significhi, ha trovato il suo catalizzatore. Uno dei principali effetti del confinamento sarà l’espansione e la progressione del mondo digitale in modo decisivo e spesso permanente.

“Nell’aprile del 2020, diversi leader del Big Tech hanno osservato quanto rapidamente e radicalmente le necessità create dalla crisi sanitaria abbiano accelerato l’adozione di una vasta gamma di tecnologie. Nell’arco di un solo mese, è apparso che molte aziende in termini di adozione delle tecnologie siano balzate avanti di diversi anni”.

Il destino sta chiaramente sorridendo a Klaus Schwab, poiché questa crisi del Covid-19 è riuscita a far avanzare, per sua fortuna, praticamente ogni aspetto dell’agenda che egli ha promosso nel corso dei decenni.

E così lui e Malleret riportano con soddisfazione che “la pandemia accelererà l’adozione dell’automazione sul posto di lavoro e l’introduzione di un maggior numero di robot nella nostra vita personale e professionale”.

Lo sviluppo del commercio online.

I Lockdown in tutto il mondo hanno, inutile dirlo, fornito un grande impulso finanziario alle aziende che offrono shopping online.

Gli autori raccontano che “i consumatori hanno bisogno di prodotti e, se non possono fare acquisti, inevitabilmente ricorreranno all’acquisto online. Man mano che l’abitudine prende piede, le persone che non avevano mai fatto acquisti online prima d’ora si sentiranno più a loro agio a farli, mentre le persone che prima facevano acquisti online solo parzialmente faranno presumibilmente più affidamento su di essi.

Questo è stato reso evidente durante i lockdown. Negli Stati Uniti, Amazon e Walmart hanno assunto complessivamente 250.000 lavoratori per tenere il passo con l’aumento della domanda e hanno costruito enormi infrastrutture per la fornitura online. Questa crescita accelerata dell’e-commerce significa che i giganti dell’industria del commercio al dettaglio online usciranno probabilmente dalla crisi ancora più forti di quanto non fossero nell’era pre-pandemica”.

E aggiungono: “man mano che sempre più beni e servizi ci vengono forniti attraverso i nostri cellulari e computer, le aziende di settori così diversi come l’e-commerce, le operazioni contactless, i contenuti digitali, i robot e le consegne via drone (per citarne solo alcuni) prospereranno. Non è un caso che aziende come Alibaba, Amazon, Netflix o Zoom siano emerse come ‘vincitrici’ dai lockdown”.

A titolo di corollario, potremmo ipotizzare che non è “per caso” che i governi che sono stati conquistati e controllati dalle grandi imprese, grazie a soggetti del calibro del WEF, è stata imposta una “nuova realtà” sotto la quale le grandi imprese sono le “vincitrici”…

Le buone notizie ispirate dal Covid non si fermano mai per tutti quei comparti aziendali che possono beneficiare della “Quarta Repressione Industriale”.

“La pandemia può rivelarsi una manna per l’istruzione online”, riportano Schwab e Malleret.

“In Asia, il passaggio all’istruzione online è stato particolarmente notevole, con un forte aumento delle iscrizioni digitali degli studenti, una valutazione molto più alta per le imprese di educazione online e più capitale disponibile per le start-up dello ed-tech… Nell’estate del 2020, la tendenza sembra chiara: il mondo dell’istruzione, come per tanti altri settori, diventerà in parte virtuale”.

Anche gli sport online sono decollati: “per un certo periodo, il distanziamento sociale può limitare la pratica di alcuni sport, il che a sua volta andrà a beneficio della sempre più potente espansione degli sport elettronici. La tecnologia e il digitale non sono mai distanti!”.

Ci sono notizie simili dal settore bancario: “le interazioni bancarie online sono aumentate del 90% durante la crisi, dal 10%, senza alcun calo di qualità e con un aumento della regolarità”.

L’automazione come  opportunità di risparmio delle imprese.

Il passaggio all’attività online, ispirato dal Covid, va ovviamente a vantaggio della Big Tech, che sta ottenendo enormi profitti dalla crisi, come descrivono gli autori: “il valore di mercato combinato delle aziende leader del settore tecnologico ha raggiunto record su record durante i lockdown, risalendo addirittura al di sopra dei livelli di prima dello scoppio dell’epidemia… è improbabile che questo fenomeno si attenui in tempi brevi, anzi, è probabile che si verifichi piuttosto il contrario”.

Ma ci sono buone notizie anche per tutte le imprese coinvolte, che non devono più pagare gli esseri umani per lavorare per loro. L’automazione è, ed è sempre stata, un risparmio di costi e quindi un aumento dei profitti per l’élite capitalista globalista .

“La pandemia aumenterà certamente la nostra attenzione per l’igiene. Una nuova ossessione per la pulizia comporterà in particolare la creazione di nuove forme di imballaggio. Saremo incoraggiati a non toccare i prodotti che acquistiamo. Semplici piaceri come annusare un melone o spremere un frutto saranno disapprovati e potrebbero addirittura diventare un ricordo del passato”.

Gli autori descrivono anche ciò che appare molto simile a un’agenda tecnocratica legata al profitto dietro al “distanziamento sociale” che è stato un elemento chiave del “reset” del Covid.

Essi scrivono che “in una maniera o nell’altra, è probabile che le misure di distanziamento fisico e sociale persistano dopo che la pandemia stessa si sarà placata, giustificando la decisione di molte aziende di diversi settori industriali di accelerare l’automazione.

Dopo un po’ di tempo, le persistenti preoccupazioni per la disoccupazione tecnologica si ridurranno, poiché le società sottolineeranno il bisogno di ristrutturare i luoghi di lavoro in modo da ridurre al minimo lo stretto contatto umano. Infatti, le tecnologie di automazione sono particolarmente adatte ad un mondo in cui gli esseri umani non possono avvicinarsi troppo l’uno all’altro o sono disposti a ridurre le loro interazioni.

La nostra persistente e potenzialmente duratura paura di essere infettati da un virus (COVID-19 o un altro) accelererà così l’implacabile marcia dell’automazione, in particolare nei campi più suscettibili all’automazione”.

Come già detto, Schwab è stato a lungo frustrato da tutte quelle seccanti normative che impediscono ai capitalisti globalisti di  fare tutti i soldi che vorrebbero se  si concentrano su preoccupazioni economicamente irrilevanti come la sicurezza e il benessere degli esseri umani.

Ma (urrà!) la crisi da Covid ha fornito la scusa perfetta per eliminare gran parte di questi ostacoli obsoleti per la prosperità e la crescita.

Un settore in cui la burocrazia è stata abbandonata è quello della salute. Perché mai uno stakeholder di buon senso dovrebbe pensare che un determinato obbligo di cura e di diligenza possa incidere sulla redditività di questo particolare settore commerciale?

Schwab e Malleret sono felicissimi di constatare che la telemedicina “beneficerà notevolmente” dell’emergenza Covid: “la necessità di affrontare la pandemia con tutti i mezzi disponibili (oltre alla necessità, durante lo scoppio epidemia, di proteggere gli operatori sanitari permettendo loro di lavorare a distanza) ha rimosso alcuni degli impedimenti normativi e legislativi legati all’adozione della telemedicina”.

“Incentivare l’economia senza contatto.”

L’abbandono della regolamentazione è un fenomeno generale sotto il regime globale della Nuova Normalità, spiegano Schwab e Malleret:

fino ad oggi i governi hanno spesso rallentato il ritmo di adozione delle nuove tecnologie a causa di lunghe riflessioni su come dovrebbe essere il miglior quadro normativo ma, come l’esempio della telemedicina e della consegna tramite droni sta ora dimostrando, è possibile una brusca accelerazione forzata dalla necessità.

 

Durante i lockdown, un allentamento quasi globale delle normative che in precedenza avevano ostacolato il progresso nei campi in cui la tecnologia era disponibile da anni, si è verificato all’improvviso perché non c’era scelta migliore o altra scelta disponibile. Ciò che fino a poco tempo fa era impensabile è diventato improvvisamente possibile… Le nuove regole resteranno in vigore.

E aggiungono: “l’attuale imperativo di incentivare, non importa come, l'”economia senza contatto” e la conseguente disponibilità dei regolatori ad accelerarla significa che si andrà avanti senza esclusione di colpi”.

“Senza esclusione di colpi”. Non illudetevi: questo è il linguaggio adottato dal capitalismo quando abbandona la sua apparenza di democrazia liberale e passa alla modalità nazi-fascista.

Dall’opera di Schwab e Malleret si evince chiaramente che una fusione nazi-fascista tra Stato e impresa, a vantaggio di quest’ultima, è alla base del loro grande reset.

fin dall’inizio della crisi del Covid, come loro stessi riconoscono, ingenti somme di denaro sono state trasferite dalle casse pubbliche nelle tasche rigonfie dell’1%:

“nell’aprile del 2020, proprio quando la pandemia ha iniziato ad inghiottire il mondo, i governi di tutto il mondo avevano annunciato programmi di stimolo per diversi trilioni di dollari, come se otto o nove piani Marshall fossero stati messi in atto quasi contemporaneamente”.

Continuano affermando che “il COVID-19 ha riscritto molte delle regole del gioco tra pubblico e privato. … La benevola (o meno) maggiore intrusione dei governi nella vita delle imprese e nella conduzione dei loro affari dipenderà dal paese e dal settore industriale, quindi assumerà molte forme diverse”. “Misure che sarebbero sembrate inconcepibili prima della pandemia potrebbero ben presto diventare la norma in tutto il mondo, con i governi che cercheranno di evitare che la recessione economica si trasformi in una depressione catastrofica.

“Sempre più spesso si chiederà al governo di agire come pagatore di ultima istanza” per prevenire o arginare l’ondata di licenziamenti di massa e di distruzione delle imprese innescati dalla pandemia. Tutti questi cambiamenti stanno alterando le regole del ‘gioco’ della politica economica e monetaria”.

Uno Stato forte per aziende forti.

Schwab e il suo collega accolgono di buon grado la prospettiva che un aumento dei poteri dello Stato venga utilizzato per sostenere il profitto delle grandi imprese.

Scrivono infatti che “una delle grandi lezioni degli ultimi cinque secoli in Europa e in America è la seguente: le crisi acute contribuiscono a rafforzare il potere dello Stato. È sempre stato così e non c’è motivo per cui debba essere diverso con la pandemia COVID-19”.

Aggiungono poi che “guardando al futuro, i governi molto probabilmente (ma con diversi gradi di intensità) decideranno che è nell’interesse della società riscrivere alcune delle regole del gioco e aumentare permanentemente il loro ruolo”.

L’idea di riscrivere le regole del gioco ricorda ancora una volta molto il linguaggio fascista, così come, naturalmente, l’idea di aumentare in modo permanente il ruolo dello Stato nell’aiutare il settore privato.

Vale infatti la pena di confrontare la posizione di Schwab su questo tema con quella del dittatore fascista italiano Benito Mussolini, che rispose alla crisi economica del 1931 istituendo un apposito organismo di emergenza, L’Istituto mobiliare italiano, per aiutare le imprese.

Egli dichiarò che questo fosse “uno strumento per spingere energicamente l’economia italiana verso la sua fase corporativa, cioè un sistema che fondamentalmente rispetta la proprietà e l’iniziativa privata, ma le lega strettamente allo Stato, che da solo può proteggerle, controllarle e nutrirle”.

I sospetti sulla natura nazi- fascista del grande reset di Schwab sono confermati, naturalmente, dalle misure da stato di polizia che sono state messe in atto in tutto il mondo per garantire il rispetto delle misure “d’emergenza” contro il Covid.

La forza bruta che non si nasconde mai sotto la superficie del sistema capitalista diventa sempre più visibile quando entra nella fase nazi-fascista e questo è molto evidente nel libro di Schwab e Malleret.

La parola “forza” viene utilizzata più volte nel contesto del Covid-19. A volte questo avviene in ambito commerciale, come nel caso delle affermazioni che “il COVID-19 ha forzato tutte le banche ad accelerare una trasformazione digitale che ora è destinata a permanere” o che “il micro reset forzerà ogni azienda in ogni settore a sperimentare nuovi modi di fare business, di lavorare e di operare”.

Ma a volte si applica direttamente agli esseri umani, o ai “consumatori”, come Schwab e i suoi simili preferiscono pensare a noi.

“Durante i lockdown, molti consumatori in precedenza riluttanti ad affidarsi troppo alle applicazioni e ai servizi digitali sono stati forzati a cambiare le loro abitudini quasi da un giorno all’altro: guardare film online invece di andare al cinema, farsi consegnare i pasti invece di uscire al ristorante, parlare con gli amici a distanza invece di incontrarli in carne e ossa, parlare con i colleghi su uno schermo invece di chiacchierare alla macchina del caffè, fare esercizio online invece di andare in palestra, e così via…

“Molti dei comportamenti tecnologici che siamo stati forzati ad adottare durante il confinamento diventeranno più naturali grazie alla familiarità che avremo acquisito con essi. Con il persistere del distanziamento sociale e fisico, affidarsi maggiormente alle piattaforme digitali per comunicare, o lavorare, o chiedere consigli, o ordinare qualcosa, a poco a poco, guadagnerà terreno su abitudini precedentemente radicate”.

Un sistema nazi-fascista, non offre ai singoli individui la possibilità di scegliere se soddisfare o meno le sue richieste, come Schwab e Malleret hanno affermato chiaramente in merito al cosiddetto “contact-tracing” (rintracciamento dei contatti): “nessuna applicazione contact-tracing funzionerà su base volontaria se le persone non sono disposte a fornire i propri dati personali all’ente governativo che controlla il sistema; se una persona rifiuta di scaricare l’applicazione (e quindi di nascondere informazioni su una possibile infezione, movimenti e contatti), tutti ne risentiranno negativamente”.

Questo, secondo loro, è un altro grande vantaggio della crisi da Covid rispetto a quella ambientale che avrebbe potuto essere usata per imporre la loro Nuova Normalità: “mentre per una pandemia, la maggioranza dei cittadini tenderà a concordare con la necessità di imporre misure coercitive, essi resisteranno a politiche restrittive in caso di rischi ambientali dove le prove possono essere contestate”.

Queste “misure coercitive”, che ci si aspetta che tutti noi rispettiamo, comporteranno ovviamente livelli inimmaginabili di sorveglianza fascista delle nostre vite, in particolare nel nostro ruolo di schiavi salariati.

Scrivono Schwab e Malleret che “la direzione delle aziende sarà quella di una maggiore sorveglianza; nel bene e nel male, le aziende osserveranno e a volte registreranno ciò che fa la loro forza lavoro. Questa tendenza potrebbe assumere diverse forme, dalla misurazione della temperatura corporea con telecamere termiche al monitoraggio tramite un’ app di come i dipendenti si adegueranno al distanziamento sociale”.

È anche probabile che misure coercitive di un tipo o di un altro siano usate per costringere le persone a sottoporsi alle vaccinazioni anti-Covid attualmente in produzione.

 

Schwab è profondamente legata a quel mondo, essendo molto amico di Bill Gates ed essendo stato lodato dal pilastro di Big Pharma Henry McKinnell, presidente e CEO di Pfizer Inc, come “una persona veramente dedita ad una causa veramente nobile”.

Non sorprende quindi che egli insista, insieme a Malleret, sul fatto che “non si può prevedere un pieno ritorno alla “normalità” prima che sia disponibile un vaccino”.

E aggiunge: “Il prossimo ostacolo è la sfida politica di vaccinare un numero sufficiente di persone in tutto il mondo (siamo collettivamente forti quanto l’anello più debole) con un tasso di adesione abbastanza alto nonostante l’aumento degli no-vax”.

I no global come minaccia al progetto di Schwab.

I “no-vax” si aggiungono così alla lista delle minacce per il progetto di Schwab, insieme ai manifestanti anti-globalismo e agli anti-capitalisti, ai Gilet Gialli e a tutti coloro che sono impegnati in “conflitti di classe”, “resistenza sociale” e “contraccolpi politici”.

La maggioranza della popolazione mondiale è già stata esclusa dai processi decisionali a causa della mancanza di democrazia che Schwab vuole accentuare attraverso il suo dominio azionistico delle imprese, la sua “agile governance”, il suo “sistema di gestione totalitario dell’esistenza umana”.

Ma come pensa di affrontare lo “scenario cupo” di persone che si ribellano al suo grande reset “neo-normalista” e alla sua quarta rivoluzione industriale transumanista?

Quale grado di “forza” e di “misure coercitive” sarebbe disposto ad accettare per assicurare l’alba della sua nuova era tecnocratica?

 

La domanda è agghiacciante, ma dobbiamo anche tener presente l’esempio storico del regime del XX secolo in cui è nato Schwab.

La nuova normalità nazista di Hitler doveva durare mille anni, ma è crollata con 988 anni di anticipo rispetto all’obiettivo.

Solo perché Hitler disse, con tutta la fiducia datagli dal potere, che il suo Reich sarebbe durato un millennio, non significava che sarebbe andata così.

Solo perché Klaus Schwab e Thierry Malleret e i loro amici dicono che stiamo entrando nella Quarta Rivoluzione Industriale e che il nostro mondo sarà cambiato per sempre, non significa che andrà così.

Non dobbiamo accettare la loro nuova normalità. Non dobbiamo cadere nella paura che vogliono infonderci. Non dobbiamo farci i loro vaccini. Non dobbiamo lasciarci impiantare i loro smartphone o lasciare che modifichino il nostro DNA. Non dobbiamo camminare, imbavagliati e sottomessi, dritti verso il loro inferno transumanista.

Possiamo denunciare le loro bugie! Smascherare la loro agenda! Rifiutare la loro narrazione! Rifiutare la loro ideologia tossica! Resistere al loro nazi-fascismo-massonico e comunista.

Klaus Schwab non è un dio, ma un essere umano. Soltanto un uomo anziano. E quelli con cui lavora, l’élite capitalista globale, sono pochi.

 I loro scopi non sono gli scopi della stragrande maggioranza dell’umanità. La loro visione transumanista è ripugnante per quasi tutti quelli al di fuori della loro piccola cerchia e non hanno il consenso per la dittatura tecnocratica che cercano di imporci.

Questo, dopo tutto, è il motivo per cui hanno dovuto usare la falsa bandiera della lotta contro un virus per cercare di realizzarla. Hanno capito che senza la giustificazione dell'”emergenza” non avremmo mai accettato il loro schema perverso.

Hanno paura del nostro potenziale potere perché sanno che se ci alziamo in piedi, li sconfiggeremo. Possiamo far crollare il loro progetto prima ancora che sia iniziato.

Noi siamo il popolo, noi siamo il 99%, e insieme possiamo riprenderci la nostra libertà dalle fauci mortali della macchina nazi-fascista e massonico-comunista!

  

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