CONFLITTO UCRAINO.

 CONFLITTO UCRAINO.

 

"Attacco in Ucraina inevitabile".

E Putin svela il suo prossimo obiettivo.

msn.com-ilgiornale.it- Federico Giuliani- (12-4-2022)- ci dice :

 

"Non avevamo altra scelta se non intervenire". Durante una visita al cosmodromo di Vostochny insieme al presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, Vladimir Putin è tornato a parlare della missione militare in Ucraina. Il capo del Cremlino ha tirato in ballo il genocidio russo nel Donbass e spiegato che lo scontro con Kiev "era solo questione di tempo".

Putin, prima di incontrare il suo omologo bielorusso, ha visitato il cosmodromo di Vostochnij, nell'Estremo oriente russo, assieme allo stesso Lukashenko.

 I due leader hanno ispezionato la costruzione delle strutture e scambiato alcune frasi con i lavoratori del centro. Non era più possibile "tollerare il genocidio ai danni della popolazione russa nel Donbass", e per questo la Russia non poteva fare nient'altro che intervenire, ha dichiarato il presidente russo.

Per quanto riguarda la guerra, Putin non ha dubbi sul fatto che il "nobile" obiettivo di proteggere il Donbass verrà raggiunto. "Questo è quello che accadrà. Non ci sono dubbi. Gli obiettivi sono perfettamente chiari e sono nobili", ha sottolineato il capo del Cremlino.

Putin ha poi sottolineato che il principale obiettivo di Mosca consiste nell'"aiutare le persone nel Donbass che noi abbiamo riconosciuto".

"Lo dovevamo fare – ha aggiunto - perché le autorità di Kiev, incoraggiate dall'Occidente, si sono rifiutate di attuare gli accordi di Minsk per una risoluzione pacifica dei problemi del Donbass".

Ma nel cosmodromo Putin ha affrontato anche il tema dell'aerospazio, dichiarando che la Russia continuerà a realizzare i suoi piani nel campo dell' esplorazione spaziale, compreso il lavoro su una nave spaziale di prossima generazione.

"Continueremo a lavorare su un'astronave di prossima generazione e sulle tecnologie dell'energia nucleare e spaziale, dove abbiamo chiaramente gettato ottime basi e abbiamo evidenti vantaggi", ha ribadito il presidente russo.

"Impossibile isolare la Russia."

Sul fronte economico Putin, almeno a parole, ha dimostrato di avere le idee chiare. "La Russia non si chiuderà, è impossibile isolarla", ha detto sottolineando che Mosca "è pronta a cooperare con tutti i partner che lo desiderano" e che "non ha intenzione di chiudersi".

"Non abbiamo intenzione di chiuderci – ha aggiunto - nel mondo moderno, è totalmente impossibile isolare rigorosamente qualcuno e completamente impossibile isolare un Paese così grande come la Russia. Quindi lavoreremo con i partner che vogliono interagire".

Nel frattempo Volodymyr Zelensky chiede il bando totale del gas russo.

 "Ho parlato anche dei prossimi passi con i rappresentanti dell'Ue per fare pressione sulla Russia. Le sanzioni attuale non bastano, è necessario un embargo totale sul petrolio e gas", ha dichiarato il presidente ucraino.

Zelensky ha spiegato che l'export energetico è quello che assicura la maggior parte dei profitti del Cremlino.

Ma non è finita qui, perché il leader ucraino è tornato anche a chiedere l'invio di armi, soprattutto per liberare Mariupol dall'assedio russo.

"Se avessimo caccia e veicoli blindati pesanti a sufficienza, l'artiglieria necessaria, ce la potremmo fare.

Sono sicuro che avremo quasi tutto quello che ci serve. Ma non si perde solo tempo, si perdono anche le vite degli ucraini, vite che non torneranno più indietro", ha detto in un video diffuso su Telegram.

 In ultima battuta, Zelensky non ha escluso che la Russia possa ricorrere all'uso di armi chimiche nella "nuova fase di terrore" minacciata contro l'Ucraina.

 

 

 

 

Guerra Ucraina news, a Mosca "arrestato Surkov".

Giallo sull'ex eminenza grigia di Putin.

msn.com-quotidiano.net-redazione- (12-4-2022)-ci dice :

Mosca, 12 aprile 2022 - Guerra in Ucraina, c’è una vittima politica illustre nella cerchia di Putin. Vladislav Surkov, ex potentissimo e assai ascoltato consigliere del presidente russo, sarebbe stato arrestato e messo ai domiciliari. Il condizionale è d’obbligo perché al momento non esistono conferme ufficiali, e chissà se ma ne arriveranno.

La notizia trapela dal dissidente russo Ilya Ponomarev, che rimanda a una fonte giudicata attendibile. Surkov potrebbe essere rimasto vittima di una faida? Il cerchio magico attorno al presidente russo si sarebbe infranto, in una lotta senza quartiere tra falchi e colombe.

Chi è Surkov.

Vladislav Yuryevich Surkov, 58 anni, imprenditore e politico, dal settembre 2013 al 2020 è stato consigliere personale di Vladimir Putin per i rapporti con Abcasia, Ossezia del Sud e Ucraina. Quindi è stato rimosso per ordine presidenziale nel febbraio di due anni fa.

Chi sono i fedelissimi di Putin.

Nella cerchia dei fedelissimi di Putin, si ascrive come primo nome quello di Dmitrij Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza ed ex presidente della Russia fino al 2012.

Ci sarebbe proprio lui tra i primi e più convinti fautori dell’'operazione speciale' in Ucraina.

Nello stesso elenco Kadyrov, lo spietato leader ceceno tra i protagonisti del conflitto sul campo, con una buona dose di giallo.

E ancora Evgenij Prigozhin, noto come il 'cuoco di Putin', in verità un oligarca della ristorazione, la leggenda vuole che abbia iniziato da un chiosco di hot dog. Grande finanziatore della disinformazione, inserito dall'Fbi tra i 13 russi fabbricatori di troll durante la campagna presidenziale Usa del 2016.

 

Il sondaggio che fa tremare

i giallorossi: boom del centrodestra

msan.com-ilgiornale.it- Luca Sablone - (12-4-2022)- ci dice :

 

Il quadro resta sempre lo stesso ormai da anni: il centrodestra è la coalizione verso cui gli italiani hanno maggiore fiducia. L'ultimo sondaggio di Swg per il Tg La7 premia Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia, mentre segna un tracollo di Partito democratico e Movimento 5 Stelle.

Si mette davvero male per Enrico Letta e Giuseppe Conte, i cui partiti non possono vantare un trend positivo e si ritrovano a oltre 10 punti percentuali di distanza dal centrodestra.

Un pantano politico che potrebbe far pagare ai giallorossi un conto salatissimo in occasione delle prossime elezioni politiche.

Cosa voterebbero gli italiani se oggi si dovesse tornare alle urne?

Il primo partito del Paese resta Fratelli d'Italia, che può godere del 21,6% proprio come la rilevazione della scorsa settimana.

Cala invece il Partito democratico, che nell'arco di 7 giorni perde lo 0,2% dei consensi e va al 21,2%.

Piccoli segnali di ripresa per la Lega, che dallo scorso 4 aprile segna un +0,1% e si porta al 15,9%: il partito di Matteo Salvini si trova a un passo dalla quota del 16%.

Ormai a ruota libera, nel senso negativo, il Movimento 5 Stelle. Nonostante Giuseppe Conte sia stato confermato leader, i grillini continuano a disperdere preferenze e a crollare giorno dopo giorno: il M5S in una settimana ha perso lo 0,4% e ora si trova al 12,9%, ancora una volta sotto il 13% (dopo una lieve risalita per la lotta contro l'aumento delle spese militari entro il 2024). Prosegue il buon momento di Forza Italia che, soprattutto dopo il ritorno da protagonista di Silvio Berlusconi, aumenta i consensi a suo favore: gli azzurri guadagnano lo 0,3% e si attestano all'8%.

Infine si trovano i partiti che riscontrano minori preferenze tra l'elettorato italiano. Azione di Carlo Calenda e +Europa perdono lo 0,3% e scendono al 5%; seguono poi Sinistra italiana (2,6%, +0,3%), Mdp-Articolo 1 (2,6%, -0,2%), Italia Viva di Matteo Renzi (2,4%, in aumento dello 0,2%), i Verdi (2,3%, -0,1%) e Italexit di Gianluigi Paragone (1,9%, -0,2%). Le altre liste si attestano al 3,6%, in salita dello 0,5%.                    Il 42% non si esprime.

I dati parlano in maniera inequivocabile: il centrodestra unito ha buone possibilità di prendere il timone del Paese. La coalizione formata da Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia può vantare il 45,5% dei consensi: la soglia del 50% dista ancora un po', ma il vantaggio sul fronte giallorosso è molto ampio.

Infatti Partito democratico e Movimento 5 Stelle si fermano al 34,1%, che aumenta al 36,7% se si considera anche Mdp-Articolo 1.

Ma la distanza dal centrodestra resta lo stesso abissale: ecco perché Letta spera in una accozzaglia di partiti, considerato l'unico modo per cercare di scongiurare il tracollo elettorale.

 

 

 

 

 

 

Lockdown a Shanghai: l’Incubo

Distopico della Città Cinese.

 

Conoscenzealconfine.it- (12 Aprile 2022)- Miriam Gualandi- ci dice :

 

Le poche e frammentarie notizie che arrivano da Shanghai, in Cina, sembrano tratte direttamente dalle pagine di un libro futuristico e distopico.

Milioni di persone chiuse in casa, droni che sorvolano le città intimando alle persone di “contenere il proprio desiderio di libertà”.

Animali domestici positivi al Covid destinati all’abbattimento, pazienti “infetti” prelevati e condotti in ospedali da campo in zone limitrofe, a volte anche a centinaia di chilometri di distanza dalle proprie abitazioni.

Siamo di fronte, a quanto sembra, al totale fallimento dell’approccio “zero covid”, politica che avrebbe dovuto portare la Cina fuori dall’emergenza coronavirus grazie ad un dispiegamento di test di massa e rigidi lockdown a cadenza regolare.

 La propaganda cinese ne aveva fatto una strategia vincente, che garantiva meno morti e una crescita economica migliore rispetto ad altri paesi. Controllo sociale e crescita economica al massimo non sono novità per il Paese, che ad oggi però tiene in ostaggio milioni e milioni di cittadini con le stesse fallimentari misure.

 

Il risultato è dunque che da fine marzo Shanghai è completamente chiusa fino a data da destinarsi.

Come riporta The Economist, i cittadini avrebbero avuto anche pochissimo tempo per prepararsi, al punto da prendere d’assalto i supermercati.

 Sulla piattaforma di messaggistica Weibo sarebbero apparse anche diverse richieste di aiuto di persone a cui viene impedito di lasciare la propria abitazione, anche per motivi di salute; inoltre mancano farmaci e le persone si accapigliano per l’acqua potabile. Video ripresi con i cellulari mostrano folle di cittadini respinti dalla polizia e le urla dai balconi della città.

Magazzini e centri espositivi abbandonati sono stati trasformati in centri di isolamento improvvisati per i positivi al test. Addirittura, come riporta sempre The Economist, il Governo avrebbe inizialmente applicato una politica per cui i bambini positivi al covid, anche se di pochi mesi, venivano separati dai propri genitori. Diversi video apparsi sui social cinesi avrebbero contribuito a creare lo scandalo, costringendo il governo a concedere ai genitori infetti di restare con i propri figli e ai genitori sani di bambini infetti di fare domanda per andare con loro.

Pochi giorni fa le autorità avrebbero annunciato che cominceranno ad allentare il blocco nelle comunità in cui non si segnalano casi positivi entro 14 giorni dall’ultimo test. I cittadini potranno uscire dalle proprie abitazioni e muoversi nel proprio quartiere.

Una situazione di controllo e repressione inimmaginabile dopo due anni di emergenza sanitaria. E viene da chiedersi se a qualcuno interessano i diritti umani di milioni di cittadini cinesi.

(Miriam Gualandi-- byoblu.com/2022/04/10/lockdown-a-shanghai-lincubo-distopico-della-citta-cinese/).

 

 

 

 

Emergenze Parallele: continua

la Guerra di Draghi al nostro Paese.

Conoscenzealconfine.it- (11 Aprile 2022)- Francesco Cappello :

 

Non so se sia del tutto chiaro ma siamo ormai pienamente parte del conflitto ucraino. Siamo in guerra contro la Russia grazie alle decisioni di Draghi avallate dalla sua corte di vassalli.

Forniamo armi a Kiev mentre ci siamo proposti quali protagonisti principali della guerra economica contro la Russia seppure le sanzioni predisposte hanno il potere di danneggiare seriamente più il nostro Paese che la federazione russa.

Il “guerriero” Draghi, l’uomo che guarda lontano, dice che: “se dovessero cessare le forniture russe oggi, noi comunque fino a tardo ottobre siamo coperti dalle nostre riserve quindi le conseguenze non le vedremmo fino all’autunno.

Questa è la prima cosa da sapere“ nello stesso momento in cui, Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, afferma che già oggi (con il gas russo che continua ad alimentare il nostro sistema industriale): “Il 16% delle imprese ha ridotto o interrotto le produzioni. Se continuiamo così si aggiungerà un altro 30% nei prossimi mesi (…) Non possiamo più reggere. Produrre è diventato antieconomico”.

La produzione industriale sta infatti rallentando ad un ritmo del 10% al mese: a marzo si è registrato un calo nei consumi industriali del gas del 10,3%, dopo che a febbraio si era già avuta una diminuzione del 9,3%. (dati confindustria). Si rifletta ora sul fatto che il calo costante dei consumi industriali è indice sicuro di incipiente recessione economica

Fa eco Coldiretti che sottolinea come la crisi colpisca “direttamente imprese e famiglie”. I rincari energetici fanno, infatti, aumentare del 51% il costo della produzione della frutta in Italia.

E l’aumento è addirittura pari al 67% per la produzione ortofloricola.

“Uno scenario preoccupante per il settore ortofrutticolo nazionale, che garantisce (…) 440.000 posti di lavoro, pari al 40% del totale in agricoltura, con un fatturato di 15 mld di euro all’anno (…), pari al 25% della produzione agricola totale”. (Fonte: RAI Televideo)

Presso Ghedi ed Aviano, inoltre, ospitiamo missili a testata nucleare, pur avendo ratificato il trattato di non proliferazione nucleare nel ’75 che ci vieterebbe di detenere armi atomiche sul territorio nazionale.

I B61 (12), quasi 5 volte la potenza distruttiva della bomba che distrusse Hiroshima, sono stati progettati per distruggere i bunker sotterranei dei centri di comando avversari. Addestriamo i nostri piloti per portare tali missili sull’obiettivo. Siamo un paese oggetto di ritorsione nucleare…

Stiamo però tranquilli… la Ue e Di Maio pensano  a noi.

La Commissione europea ha, infatti, istituito la Health Emergency preparedness and Response Authority (HERA) che provvederà a fare acquisti, per il valore di 540 milioni e mezzo di euro, in modo da non trovarci impreparati qualora avessimo bisogno di cure per esposizione a radiazioni o patogeni chimici e biologici.

Nel comunicato stampa della Commissione si legge che: “l’approvvigionamento consisterà in equipaggiamenti, medicine, vaccini e altre terapie per curare pazienti esposti a CBRN”. Per chi non sapesse l’acronimo CBRN fa riferimento ad agenti Chimici Biologici Radioattivi Nucleari.

 

Non credo che i più si rendano conto del rischio che corriamo.

 Se ne fossimo pienamente consapevoli saremmo già nelle piazze un movimento forte e determinato contro il sistema della guerra. Auguriamoci e facciamo in modo che ciò avvenga prima possibile.

Francesco Cappello- (Canale telegram: t.me/Seminaredomande)-

(francescocappello.com/2022/04/07/emergenze-parallele-la-guerra-di-draghi-continua/).

 

 

 

 

Cosa succede se Putin chiude il gas?

Il piano del governo Draghi.

msn.com-notizie.it-Chiara Nava- ( 12-4-2022)- ci dice :

 

Il governo Draghi ha diverse ipotesi sul tavolo, dalla razionalizzazione della produzione delle fabbriche, al taglio all’illuminazione pubblica, fino alla sostituzione del gas con legna nelle aree rurali.

Cosa succede se Putin chiude il gas?

L’accordo con l’Algeria permette all’Italia di fare un passo verso l’indipendenza dal gas russo, ma non è sufficiente.

Per questo il governo Draghi sta lavorando ad un piano B, che prevede il razionamento dei consumi e la ricerca di altri fornitori.

Si tratta di decisioni che avranno un forte impatto sui cittadini. Lo scenario peggiore potrebbe accadere per rappresaglia nei confronti delle sanzioni dell’Occidente o perché la situazione della Russia sui mercati finanziari potrebbe precipitare.

L’Italia ha un fabbisogno tra i 75 e gli 80 miliardi di metri cubi di gas, ci cui 29 provengono dalla Russia. entro il 2024 l’Algeria incrementerà di 9 miliardi la quota di gas che venderà all’Italia, mentre Libia e Azerbaijan ne porteranno altri due a testa. Grazie ad accordi con Qatar, Egitto e Stati Uniti dovrebbero arrivarne altri sei, ma nella migliore delle ipotesi si parla della fine del 2023. Per questo sono necessari altri provvedimenti più urgenti, come l’aumento della produzione nazionale e il potenziamento delle centrali a carbone. Tutto questo, però, non basta, per cui si parla anche dei razionamenti.

( Telefonata Draghi-Putin: anche il gas nel colloquio - Unomattina - 31/03/2022 -RaiPlay).

Il piano del governo Draghi: termosifoni e condizionatori.

Un assaggio è stato l’emendamento del Movimento 5 Stelle, riformulato dal governo, che ristabilisce che “la media ponderata delle temperature” degli ambienti degli edifici pubblici non debba “superare i 19 gradi centigradi +2 gradi di tolleranza” in inverno.

Dalle regole sono esclusi ospedali, cliniche e case di cura. Il piano B prevede anche azioni più incisive, come il taglio dell’illuminazione degli edifici, dei monumenti e dei luoghi pubblici.

 Sul tavolo c’è anche lo scenario che riguarda la rimodulazione dell’attività industriale di alcune filiere, con lo scopo di mantenere invariato il livello di produzione, razionalizzando l’operatività delle fabbrica, partendo dai settori dell’acciaio e delle ceramiche.

Le filiere che producono a ciclo continuo possono concentrare la produzione in alcuni periodi dell’anno, per ottenere un risparmio usando meno energia. “Ma se domani dovessimo mette in pratica l’embargo al gas russo ci attende un razionamento più forte. Ovvero non dare gas alle fabbriche, alle scuole, alle amministrazioni pubbliche” ha avvertito Davide Tabarelli, professore di economia e presidente di Nomisma Energia, in un’intervista a La Stampa.

Secondo Tabarelli “con una temperatura più bassa si può sperare nella migliore delle ipotesi di tagliare un miliardo di metri cubi. Ci sono 29 miliardi di metri cubi di gas russo da sostituire.

 Perciò bisogna far lavorare meno le fabbriche, utilizzare più carbone se i sindaci delle città dove ci sono le centrali ce lo lasciano fare. Quindi cercare di usare tutti i prodotti petroliferi al posto del gas e la legna nelle aree rurali, ma vanno tolti subito i vincoli ambientali sulla polveri sottili.

Alla fine arriviamo a 15-20 miliardi“. Un’altra ipotesi è quella di usare il gas liquefatto, ma ci vuole tempo per gli impianti di rigassificazione, per cui non resta altro da fare che il razionamento.

Il decreto per la continuità alle politiche di sostegno.

Federico Freni, sottosegretario all’Economia, in un’intervista per Il Messaggero, ha dichiarato che il governo sta preparando un decreto da cinque miliardi per dare continuità alle politiche di sostegno, come la proroga del taglio delle accise, la riduzione dell’Iva sul gas e l’azzeramento degli oneri di sistema per le categorie più deboli. “Stiamo lavorando al testo che sarà presentato dopo l’approvazione del Documento di Economia e Finanza. Il governo metterà in campo tutte le risorse necessarie” ha spiegato.

 

 

 

 

Continuano le vendite sui Btp con rendimenti

che toccano nuovi livelli record dal 2019.

Financialounge.com- Antonio Cardarelli -( 12 Aprile 2022)- ci dice :

 

Proseguono le vendite dei titoli obbligazionari in attesa dei dati sull'inflazione Usa. Il decennale italiano supera la soglia del 2,5%, per il Bund tedesco i rendimenti negativi sono ormai un lontano ricordo.

 L'inflazione continua a spaventare i mercati e i rendimenti dei titoli di Stato crescono ancora. Il rendimento del Btp decennale ha toccato quota 2,5%, record da maggio 2019, quando arrivò al 2,6%. In rialzo anche i rendimenti degli altri titoli decennali europei, con il Bund tedesco a 0,84%. Prosegue anche la corsa del T-Bond Usa, che ormai vede quota 3%.

CONTRASTARE L'INFLAZIONE.

Il motivo alla base della crescita costante dei rendimenti è sempre lo stesso: l'inflazione.

 A marzo, nell'Eurozona, il carovita ha toccato +7,5% mentre negli Usa l'aumento è stato del 7,9% a febbraio con attese, per marzo, dell'8,4% (il dato verrà pubblicato nel primo pomeriggio di oggi, 12 aprile). L'inflazione record costringe le banche centrali a modificare la politica monetaria ultra accomodante degli ultimi due-tre anni. Da qui l'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, in attesa delle nuove emissioni che non potranno beneficiare del sostegno di Fed e Bce tramite attraverso tassi sui minimi e acquisto titoli.

IN SALITA I RENDIMENTI DI BTP E BUND

Nella seduta di oggi (12 aprile) lo spread tra Btp e Bund è in salita del 2,5% a 165 punti base.

 Tuttavia, anche il rendimento del decennale tedesco, il Bund appunto, sono in salita.

Lo scorso gennaio la stessa obbligazione aveva rendimento negativi, ma con la crescita dell'inflazione anche per il benchmark dei titoli di Stato europei le cose sono cambiate. L'ondata di vendite, infatti, non ha risparmiato il Bund tedesco facendo crollare i prezzi e aumentare i rendimenti, due valori che si muovono in modo inversamente proporzionale.

FED E BCE PRONTE A CAMBIARE ATTEGGIAMENTO.

La Federal Reserve americana ha già imboccato con decisione la strada della politica monetaria restrittiva.

 Oltre a ridurre il bilancio, il presidente Jerome Powell ha dato il via al ciclo di rialzo dei tassi.

Il primo ritocco è stato di 25 punti base, ma i mercati si aspettano altri 9 rialzi nel corso del 2022, anche da 50 punti base per volta. La Bce è più indietro rispetto alla Fed, ma anche da Francoforte la scelta è quella di contrastare l'inflazione mettendo fine alle politiche monetarie accomodanti che hanno accompagnato l'economia post-pandemica verso la ripresa.

Ripresa che ora deve fare i conti con l'inflazione, salita come previsto con le riaperture economiche e peggiorata sensibilmente dalla guerra e dai nuovi lockdown in Cina.

 

 

 

Il conflitto ucraino cambia

la vecchia globalizzazione.

 

Ilmanifesto.it-Alfonso Gianni- (3 aprile 2022)- ci dice :

 

EFFETTO UCRAINA. Ci vorrebbe una visione diversamente orientata dal punto di vista degli interessi di classe da difendere e di medio-lungo periodo per riuscire a risolvere il disastro economico all'orizzonte. Ma questa non si vede, seppure per ragioni e con caratteri diversi, né sull’uno né sull’altro versante dell’Atlantico.

Il paradosso per cui l’unica certezza è l’assenza di certezza è tornato di moda.

L’ha usato anche il ministro dell’economia Daniele Franco, per giustificare l’imminente presentazione di un Def che dimezzerà le previsioni di crescita dello scorso autunno, derubricandole a una cifra fra il 2 e il 3%, con un aumento record dell’inflazione al 6,7%, mai così in alto dal 1991. Ma l’espressione può essere riferita all’intero quadro mondiale, politico ed economico.

La storia punisce gli incauti. Obama definì la Russia una potenza regionale. Non era solo quella, come si vede di fronte alle conseguenze globali dell’invasione dell’Ucraina.

 Larry Fink, il fondatore di BlackRock, il più grande fondo di investimenti mondiale, ha scritto agli azionisti che “l’invasione russa dell’Ucraina ha messo fine alla globalizzazione come l’abbiamo sperimentata negli ultimi trent’anni”.

Molto dipende da come si concluderà e con che tempi la guerra ucraina. Intanto circolano varie formule dal “multipolarismo competitivo” alla “concorrenza tra blocchi”, tutte basate sullo sconvolgimento dei vecchi assetti, del resto già minati dai processi di de-globalizzazione antecedenti alla pandemia.

In questo quadro così friabile tuttavia qualche certezza si fa strada. Nessuno più osa affermare che l’incremento dell’inflazione sia congiunturale e passeggero. Nell’Eurozona l’inflazione è salita a marzo al 7,5% partendo dal già robusto 5,9% di febbraio. Le previsioni ottimistiche della Bce su un suo drastico ridimensionamento il prossimo anno – che peraltro contraddicono il preannunciato contenimento della politica monetaria espansiva – non vengono credute dai mercati finanziari che prevedono per il febbraio del 2024 non meno del 4% di inflazione.

 Visto i bassi tassi di crescita la prospettiva di un periodo non breve di stagflazione da probabile si è fatta certa. Negli Usa l’inflazione è quasi all’8%, ma almeno la situazione occupazionale è migliore e persino le retribuzioni sono aumentate del 5%.

Si fa sempre più drammatico il dilemma per la Fed e la Bce: se intervenire rialzando i tassi per raffreddare la spinta inflazionistica con l’avvio più che probabile di un processo recessivo, oppure ampliare il rimbalzo economico, chiamato crescita, lasciando le briglie libere all’incremento dei prezzi. Nell’uno e nell’altro caso le conseguenze sociali sono pesanti. Ma non nello stesso modo. I falchi del ritorno all’austerity sono pronti ad aggredire le colombe. E sarebbe un nuovo disastro devastante, un’implosione per l’Europa.

Ci vorrebbe una visione diversamente orientata dal punto di vista degli interessi di classe da difendere e di medio-lungo periodo per riuscire a risolvere il problema. Ma questa non si vede, seppure per ragioni e con caratteri diversi, né sull’uno né sull’altro versante dell’Atlantico.

 Le conseguenze del conflitto bellico si fanno sentire anche sul lato asiatico del globo. In Cina l’indice manifatturiero delle piccole imprese private, più sensibile agli smottamenti, si colloca sotto quota 50, lo spartiacque tra crescita e recessione. Infatti Morgan Stanley taglia le stime della crescita cinese per l’anno in corso di un punto rispetto al target ufficiale (dal 5,5% al 4,6%).

Il rallentamento dell’economia mondiale e gli effetti della guerra ucraina riducono le esportazioni cinesi, mentre i flussi di capitale invertono la rotta alla ricerca di porti più sicuri. In Giappone si rileva un calo di fiducia che potrebbe preludere a una riduzione del Pil che pareva in leggera ripresa. In questa situazione si riaccende la guerra delle valute. Anche qui le cose non saranno più come prima. La creazione del denaro dal nulla che sta alla base delle politiche di espansione monetaria non è detto che sopravviva alla crisi.

Lo indica già la mossa sul rublo avanzata da Putin, che non va presa sottogamba. L’intenzione ritorsiva russa è evidente ed è legata alla necessità urgente di sostenere il rublo. Comunque vada, ciò non esaurisce il significato e i possibili effetti della manovra.

Infatti, come osservato da alcuni economisti, per acquistare gas bisogna procurarsi rubli, quindi chiederli a una banca russa che a sua volta potrebbe avere la necessità di richiederli alla banca centrale.

 Il che comporterebbe non un semplice cambio tra divise monetarie, ma un prestito in rubli da rimborsare necessariamente attraverso l’esportazione di beni in Russia ricevendo rubli in pagamento.

 La divisa russa diverrebbe moneta per lo scambio, con un “sottostante” rappresentato da fonti energetiche fossili.

Il tutto comporterebbe un indebolimento dell’euro e della Unione europea – il che di per sé non dispiacerebbe affatto agli Usa -, annullerebbe l’effetto delle sanzioni economiche, riproporrebbe in termini rinnovati il superamento della centralità del dollaro.

Ci vorrebbe un novello Keynes per sbrogliare la matassa. In assenza dovremmo tutti puntare su un esito positivo della trattativa di pace. Non altrimenti la Ue potrebbe contribuire a un nuovo ordine mondiale, con un ruolo autonomo.

 

 

IL MULTIPOLARISMO SPIEGATO FACILE.

Bloccostudentesco.org- Blocco Studentesco -Michele - ( Apr. 7, 2022)- ci dice :

Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è tornato di moda il nome di Aleksander Dugin.

L’autore de “La quarta teoria politica” è divenuto per l’opinione pubblica colui che ha creato il retroterra culturale di questa guerra, con tutti i fraintendimenti del caso, sia da parte delle testate mainstream che da parte dei filo-putiniani.

Fra questi ultimi si è fatta strada l’idea che l’invasione dell’Ucraina sia un passo obbligato per la creazione di un mondo multipolare da opporre a quello unipolare americano.

Un’idea che nasce dal saggio duginiano del 2013 e pubblicato in Italia nel 2019 “Teoria del mondo multipolare”. Un’idea che però presenta più di una difficoltà.

Dugin di certo non è quel Rasputin di Putin che molti cercano di descrivere.

Non bastasse il fatto che lo stesso Dugin ha spesso fatto critiche ferocissime a Putin e che quest’ultimo abbia ben altri riferimenti ideologici, Dugin è qualcosa di assolutamente diverso da quel tessitore nell’ombra misticheggiante e analfabeta che era Rasputin.

Il profilo di Dugin è quello di un pensatore e di accademico di ottimo livello, prova ne è quella stessa Teoria del mondo multipolare in cui riesce a confrontarsi con i principali paradigmi delle relazioni internazionali in uso oggi.

 A dirla tutta, il multipolarismo duginiano è in fondo una riedizone dello Scontro di civiltà di Samuel Huntigton. Se per Huntigton il problema è come preservare l’egemonia della civiltà occidentale, per Dugin è come rovesciarlo.

 Un modo di procedere abbastanza tipico del pensatore russo, il quale riprende concetti dal pensiero contemporaneo e post-moderno per creare un edificio teorico originale che vada però in una direzione diversa.

Come per Huntigton, gli attori della politica internazionale non sono più gli stati nazioni, ma le civiltà.

Queste sono grossomodo: civiltà occidentale, civiltà ortodossa (euroasiatica), civiltà islamica, civiltà cinese (confuciana), civiltà indù, e civiltà giapponese.

In più le civiltà latino-americana, civiltà buddista, e civiltà africana, sarebbero civiltà ancora potenziali.

Anticipazioni di tutto ciò si possono trovare già in Oswald Spengler con la sua morfologia delle civiltà e in Carl Schmitt con la dottrina dei grandi spazi.

Come la pace di Westfalia (1648) ha posto fino alle guerre di religione crea uno ius publicum europeum che riconoscesse la sovranità degli stati nazionali, così il crollo del mondo bipolare, avvenuto con la caduta dell’Urss e la fine della guerra fredda, sarebbe il preludio al riconoscimento reciproco della sovranità delle civiltà, le quali dovranno avere un’autonomia assoluta all’interno del proprio spazio di integrazione.

Da tutto questo si può facilmente prevedere come i nuovi conflitti si verificheranno alle periferie delle civiltà. Dove i rispettivi spazi di integrazione si sovrappongono e vanno in contrasto. Cosa che peraltro sta avvenendo proprio in Ucraina.

Le cose si complicano quando da questo impianto descrittivo e teorico si passa alla prassi politica.

Infatti, Dugin vede in tutto questo una garanzia contro il globalismo.

Tuttavia, identifica quest’ultimo con le pretese universalistiche dell’occidente, finendo spesso per confondersi con un terzomondismo d’accatto che invece vorrebbe rifiutare.

Anzi, quella sorta di tutti contro l’egemone americano che è per Dugin il multipolarismo acquista delle volte di un imperialismo russo. Imperialismo aggravato appunto dalla cattiva coscienza del terzomondismo.

Ma questo non è nemmeno l’aspetto più deteriore. Né in Huntigton né in Dugin c’è una civiltà europea.

 Prendendo per buono il multipolarismo di Dugin, l’Europa sarebbe solamente uno spazio di conquista, il teatro dove la civiltà occidentale (America) e quella euroasiatica (Russia) si contendono il dominio sul mondo.

Tifare per uno qualsiasi dei due poli significa di fatto rinunciare ad uno spazio politico europeo e, cosa ancora peggiore, all’idea di una civiltà europea. L’Europa sarebbe come l’Italia dopo la calata di Carlo VIII, uno scrigno di tesori preda di potenze straniere. Speriamo quindi che nessuno s’azzardi a dire: o Usa o Russia, purché se magna.

 

 

 

Invasione dell’Ucraina, lo storico Romero:

“Non si tratta di una nuova Guerra fredda,

oggi è un conflitto tra potenze con ideali sfumati”.

Ilfattoquotidiano.it-Olimpia Capitano- (3 aprile 2022)- ci dice :

 

Invasione dell’Ucraina, lo storico Romero: “Non si tratta di una nuova Guerra fredda, oggi è un conflitto tra potenze con ideali sfumati”

Il docente dell’Istituto universitario europeo sottolinea una differenza cruciale: "Usa e Unione sovietica pensavano di avere ciascuno una sua ricetta per il progresso del mondo, capitalistico o socialista. Su queste ricette si giocavano gli equilibri del mondo e l’aspetto ideologico era molto forte."

Com’è fatto l’Est dell’Ucraina che Putin vuole conquistare? Non tutto guarda a Mosca: “Donbass diverso dalla Crimea e diviso al suo interno. E le bombe nelle zone russofone non portano sentimenti positivi”

“Ucraina parte della Russia”: Putin usa la storia in modo strumentale?

Le analisi – “Radici comuni sì, ma differenze su lingua e cultura da secoli”. “Uso del passato glorioso per ricostruire un’identità comune”.

 

I continui richiami a una “nuova guerra fredda”, il ritorno di un discorso che sembra voler contrapporre due distinti blocchi di civiltà e rievocare atmosfere novecentesche.

 Quanto di tutto questo ha una valenza politica o strategica? E quanto è però fuorviante per cercare di capire davvero quali sono e come si stanno trasformando i nuovi equilibri internazionali, economicamente, politicamente e ideologicamente molto lontani da quelli del periodo della guerra fredda, a sua volta più articolato di quanto si pensi?

A rispondere a ilfattoquotidiano.it è Federico Romero, docente dell’Istituto universitario europeo, con all’attivo moltissime pubblicazioni, tra cui spicca Storia della Guerra fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa (Einaudi, 2009).

 Dal 2015 dirige il progetto dell’European Research Council “Looking West: the European Socialist regimes facing pan-European cooperation and the European Community”.

(ARCHIVIO/22 MARZO – Dall’11 settembre al muro di Berlino: così Zelensky mette i parlamentari di fronte ai momenti più delicati dei loro Paesi.)

Professor Romero, nei discorsi di Zelensky ai parlamenti sono emersi molti riferimenti a cavallo tra seconda guerra mondiale e guerra fredda, con citazioni dei leader del passato. C’è, ed eventualmente qual è, il punto strategico di questa narrazione?

Non credo che ci sia uno scopo strategico nel senso pieno del termine. Piuttosto, credo che si tratti di una volontà di usare bene ed efficacemente la retorica per raccogliere consenso, usando le immagini più evocative a seconda dell’audience di riferimento, per drammatizzare, commuovere, coinvolgere.

 Si tratta, a mio modo di vedere, di un modo di operare più politico che strategico: il punto discorsivo e politico è quello di inserire l’Ucraina nella famiglia delle democrazie occidentali.

Zelensky cerca così di sancire l’appartenenza ucraina all’universo simbolico e culturale dell’Europa e più in generale dell’occidente.

Questo viene fatto a maggiore ragione adesso: l’Ucraina non può entrare nella Nato, ma questo non significa che non ci siano ancora aperture per un entrata nell’Unione Europea, anzi.

L’apparente appiattimento che a volte si fa tra appartenenza all’Unione europea e alla Nato è storicamente legato alla costruzione di un ideale di Occidente democratico con le sue infrastrutture condivise. Tuttavia, si tratta di realtà diverse, occorre tenere presente che ci sono paesi neutrali in Ue. Inoltre, questa tendenza all’appiattimento emerge fortemente anche a seconda dei momenti specifici: le differenze tra Ue e Nato ritornano sempre non appena un’emergenza di carattere bellico o di sicurezza recede un po’.

Per Zelensky è dunque importante coltivare il terreno del simbolico, far crescere un vocabolario di identificazione comune che è anche risorsa politica, sia per un futuro percorso di entrata nell’Ue; sia per avere più risorse nella gestione dei flussi di rifugiati, o in proiezione di futuri negoziati di pace.

A partire dalle proteste di Maidan del 2014, l’annessione russa della Crimea e il sostegno alle rivolte del Donbass, hanno portato a un radicale allontanamento ucraino dall’idea di un’integrazione nel progetto russo di unione economica e politica e a un maggiore avvicinamento al sistema euroatlantico.

 La Russia ha reagito rafforzando la sua narrazione anti-occidentale e alimentando discorsi ambigui sugli accordi di Minsk fino all’invasione del 24 febbraio. L’escalation e l’Ucraina sono solo un pretesto strategico di una realpolitik russa volta a capire quanto ci si possa spingere e quanto l’Occidente sia disposto a fare?

 

Ho pensato a lungo che ci fosse una strategia. Credevo che, con questo dispiegamento di forze armate, si volesse costruire una forma di ricatto diplomatico all’Ucraina e indirettamente all’occidente, per ottenere un tavolo negoziale su alcuni nodi come il formale riconoscimento delle Repubbliche separatiste del Donbass, di Donetsk e Lugansk; l’esclusione di qualsiasi trattativa relativa all’entrata dell’Ucraina nella Nato; la definizione concorde di una linea geopolitica di equilibrio di poteri oltre cui non far spingere l’Occidente.

Tuttavia, semmai fosse stata questa la strategia, con l’invasione sarebbe saltato tutto. A partire dall’invasione mi riesce in effetti difficile vedere una strategia. Infatti, se il ragionamento strategico si sposta sulla conquista di una parte o di tutta l’Ucraina, qualcosa non torna: da un lato le operazioni militari sarebbero state organizzate meglio; dall’altro la Russia ha materialmente più da perdere che da guadagnare dall’approfondimento di queste conflittualità.

Tendo a credere che, come spesso accade nella storia, il ragionamento strategico sia stato soverchiato dagli eventi.

Si è scesi in campo enfatizzando il risentimento nazionale e la convinzione di una crescente minaccia occidentale, forse anche con l’idea, strategica, che questo sarebbe servito per consolidare il potere interno e per aumentare gli spazi di alleanza con la Cina.

Spesso però si va al di là delle strategie e si finisce per identificarsi con ciò che si dice, con la propaganda. Sono confini sfumati.

Il diplomatico americano George Frost Kennan, figura chiave della guerra fredda e e ideatore della “politica del contenimento” dell’espansionismo sovietico, scrisse nel 1997 sul New York Times che, tra le altre cose, “l’espansione della Nato” sarebbe “l’errore più fatale” della politica Usa avvertendo che avrebbe potuto spingere “la politica estera russa in direzioni decisamente non di nostro gradimento”. Che ruolo ha avuto tale espansione nel tracciare le premesse di questo conflitto?

Secondo me è un discorso per certi aspetti molto complesso ma pure semplice. Nel 1989 la Nato si fermava in Germania. Gradualmente si è espansa verso Paesi baltici, Slovacchia, Polonia, sempre più vicino alla Russia e senz’altro questi passaggi hanno influito sulla ripresa di un forte nazionalismo russo che ha chiaramente un evidente ruolo anche nel conflitto odierno, anche se non possiamo sapere quanto pesi nella testa di Putin.

Sappiamo però che, nell’orientare la discussione sull’espansionismo Nato, diversi analisti negli anni Novanta – anche fortemente conservatori – erano contrati all’espansione della Nato. Ragionando però a posteriori non saprei dire quanto sia stato un errore diplomatico o meno, perché vanno tenuti in mente anche gli scenari.

Era inimmaginabile una fantasiosa alternativa di ridefinizione comune di un nuovo equilibrio condiviso tra occidente ed ex mondo sovietico, perché comunque l’occidente aveva vinto.

Nel frattempo, i paesi dell’Europa dell’est bussavano all’occidente ed erano aree con regimi politici appena nati, instabili, esposti a conflitti etnici e religiosi. Premeva l’urgenza di stabilizzazione ai propri confini e prevalse questa opzione, anche se era realistico immaginare una cattiva reazione.

Si sarebbe forse potuto combinare l’espansione con una politica estremamente positiva e propositiva verso la Russia. Ciò avrebbe voluto dire fornire un enorme aiuto economico che ne evitasse lo shock post-sovietico. Al contempo questo avrebbe implicato un esborso soldi enormi ed era impensabile, anche perché era proprio il momento in cui si iniziava a credere e raccontare che libero mercato e libera concorrenza avessero il potere di sistemare tutto. È una matassa di ipotesi, difficile dire cosa si sarebbe potuto fare o non, cosa sarebbe dovuto essere fatto o non.

 

Ha senso oggi parlare in termini di “nuova guerra fredda”, o è una semplificazione evocativa che non ci permette di leggere dentro le trasformazioni storiche?

Credo che l’analogia con la guerra fredda non serva a molto. La prima differenza cruciale sta nel fatto che Usa e Unione sovietica pensavano di avere ciascuno una sua ricetta per il progresso del mondo, capitalistico o socialista.

 Su queste ricette si giocavano gli equilibri del mondo e l’aspetto ideologico era molto forte.

Adesso il quadro è molto diverso, non ci sono visioni di progresso antitetiche, idee di espansione di modelli universalistici. Adesso è un conflitto di potere tra potenze e l’elemento ideale è ben più sfocato.

Questo si nota anche nei discorsi occidentali che contrappongono alla democrazia un non ben definito fronte autocratico.

Tuttavia, tutto si sfuma se si pensa, ad esempio, alla Cina. Usa, Gran Bretagna e Australia sono favorevoli a identificare Pechino e Mosca in un unico blocco autocratico cui contrapporsi, ma lo stesso non vale per Italia, Francia, Germania.

 Questo è un punto che potrebbe essere baricentro per il futuro occidentale a livello strategico.

 

 

 

 

Come l’Europa sta cercando di vincere

la battaglia antitrust contro le Big Tech.

 

Linkiesta.it-Redazione-(26-3-2022)- ci dice :

Il nuovo Digital Markets Act è il primo passo del percorso disegnato da Bruxelles per smantellare i monopoli delle grandi aziende della Silicon Valley, che soffocano l’emergere di nuovi player europei.Le grandi aziende del settore informatico hanno dominato il mercato troppo a lungo. Per anni hanno abusato della loro posizione dominante e attuato pratiche sleali, anticoncorrenziali, difficili da contrastare per i competitor.

Già a febbraio Linkiesta riportava il segnale dall’allarme lanciato dalle 41 società del Cispe – l’associazione europea che riunisce chi offre servizi cloud – che hanno deciso di fare squadra contro i colossi dell’informatica.

Le politiche di colossi come Microsoft e Google hanno frenato la crescita di piccole imprese e start-up innovative, che di fatto è come se fossero state escluse dal mercato.

Anzi, in alcuni casi le Big Tech si comportano come se dispensassero a piacimento spazi sul mercato alla concorrenza, nascondendo così la loro condizione monopolistica.

Nel 2014 ad esempio è nato Proton Mail, un servizio di posta elettronica con sede a Ginevra fondato da Andy Yen – oggi conta 50 milioni di utenti in tutto il mondo. L’ambizione è poter competere con un colosso come Gmail, di proprietà di Google, che oggi ha 1,5 miliardi di utenti.

Intervistato dal Financial Times, Yen ha spiegato che Proton non potrà mai essere un vero concorrente di Google fin quando internet sarà un luogo simile a Far West, senza regole: «Cresciamo grazie alla buona volontà dei giganti della tecnologia. Anzi, i giganti potrebbero farci sparire da internet da un momento all’altro, praticamente senza ripercussioni legali o finanziarie».

Quello di Andy Yen e la sua Proton è solo uno dei tanti casi di aziende europee che non riescono a colmare il gap rispetto a Big Tech. È per questo che l’Unione europea negli ultimi tempi si è mossa per dare un ordine e un criterio al mercato in questo settore, provando a regolamentarlo per cancellare le condizioni di monopolio di Google, Meta, Microsoft e altri.

La speranza è in una sigla, Dma. È il Digital Markets Act, il primo intervento in materia di concorrenza da vent’anni a questa parte. Proprio ieri, dopo tre mesi di trattative, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno trovato un significativo accordo sulla proposta legislativa che regolamenterà le attività delle grandi piattaforme internet.

Il Dma andrà a riequilibrare i rapporti di forza con le Big Tech: include principalmente divieti o restrizioni nell’esecuzione di specifiche pratiche commerciali, e obblighi da far rispettare alle piattaforme per modificarne le pratiche commerciali e facilitare la concorrenza. Per le più grandi piattaforme digitali ci sono una ventina di regole da rispettare per evitare abusi di posizione dominante.

Il Dma è affiancato dal Digital Services Act (Dsa), che dovrà operare in aree come la privacy e l’utilizzo dei dati, in funzione di un maggior pluralismo e di un’offerta più diffusa in materia di servizi digitali, a prezzi più bassi, facilitando così le startup e semplificando il panorama normativo europeo.

Così Bruxelles sta provando a creare una via europea alla regolamentazione digitale: oggi l’Unione rappresenta la più grande minaccia per gli imperi digitali messi in piedi dai cosiddetti gate-keeper come Google, Facebook, Amazon e Microsoft. Una minaccia che ha il volto di Margrethe Vestager, Vicepresidente esecutiva della Commissione europea, nonché Commissaria Antitrust.

Inizialmente le sanzioni consistevano in multe che, per quanto salate, non potevano scalfire gli imperi digitali. Google, ad esempio, ha ricevuto circa 10 miliardi di euro di multe in un decennio, decisioni che l’azienda americana ha già impugnato più volte e che di certo non ne hanno modificato le modalità d’azione sul mercato.

Negli ultimi anni, però, la musica è cambiata. «La legislazione antitrust sta iniziando scoprire la sua capacità di trasformare completamente il modo in cui queste grandi aziende fanno affari, disabilitando la loro strategia fondamentale di integrazione che ha permesso loro di legare utenti, dominare i mercati e catturare miliardi di euro di ricavi», scrive il Financial Times.

Secondo il Corporate Europe Observatory ci sono stati più di 150 incontri tra Big Tech e i funzionari dell’Unione europea dall’inizio dell’attuale Commissione (fine 2019).

L’arrivo del Dma, il cui bersaglio sono le imprese con una capitalizzazione di mercato individuale superiore a 65 miliardi di euro, è un segnale particolarmente significativo: per la prima volta ci saranno regole su come le grandi piattaforme online devono competere nel mercato europeo. Il Digital Markets Act potrebbe, ad esempio, costringere Google a offrire agli utenti la scelta di provider di posta elettronica alternativi durante l’avvio di un nuovo smartphone, oppure obbligare Apple ad aprire il suo app store a servizi concorrenti.

«Le principali aziende stanno ora spostando la loro attenzione su come potrebbero conformarsi alla legislazione, piuttosto che farla deragliare», si legge sul Financial Times. «Perché non c’è modo di fermare questo cambiamento: le grandi aziende tecnologiche hanno perso la battaglia legislativa».

Il quotidiano economico spiega però che Google e le sue sorelle del settore hanno provato per anni a contrastare le nuove politiche europee con attività di lobbying, consapevoli che i nuovi strumenti messi in campo da Bruxelles avrebbero cambiato lo scenario: «Google, in particolare, si è distinto per il modo in cui ha preso di mira alti funzionari per cercare di orientare il regolamento a modo suo. L’azienda ha pianificato una campagna aggressiva direttamente rivolta a Thierry Breton, il commissario per i mercati interni che è stato determinante nell’elaborazione delle nuove dure regole contro le grandi aziende tecnologiche».

Ci ha provato anche Facebook – oggi ribattezzata Meta – accusando una minaccia ai danni dell’innovazione tecnologica. Nick Clegg, presidente degli affari globali della società, aveva detto che il Digital Markets Act avrebbe rischiato «di fossilizzare il funzionamento dei prodotti e di impedire la costante iterazione e sperimentazione che guida il progresso tecnologico». Niente da fare, accuse cadute nel vuoto.

La grande forza delle politiche europee ha dato slancio anche agli Stati Uniti: non è un mistero che l’amministrazione di Joe Biden sia molto favorevole a ciò che sta facendo Bruxelles. Ha segnalato misure di applicazione più severe negli Stati Uniti che rispecchiano le iniziative di Bruxelles e ha messo i critici della grande tecnologia in posizioni influenti, come ad esempio Lina Khan, a capo della Federal Trade Commission – una che si è fatta un nome sostenendo che Amazon vada smantellata.

Il Digital Markets Act potrebbe essere emulato a Washington. Il Congresso ha introdotto delle discussioni, grazie al senatore repubblicano Chuck Grassley e alla democratica Amy Klobuchar, sull’American Innovation and Choice Online Act, una legge con ambizioni simili a quella dell’Unione europea. Ma è altamente improbabile che ci siano sviluppi significativi in tempi brevi in una fase di crisi e conflitto come questa, e con le elezioni di midterm a novembre.

«In Europa, tra le aziende tecnologiche c’è la sensazione che la battaglia sia già persa. I team legali di Google, Apple e Amazon stanno già valutando i modi per implementare le nuove regole nell’ambito delle loro attività commerciali», conclude il Financial Times.

 «I politici stanno cercando di fare ciò che è bene per i consumatori, perché quello che fanno le grandi aziende tecnologiche è anticoncorrenziale. Alla fine le persone si sono svegliate».

 

 

 

LO SCONTRO DI CIVILTÀ

PRODOTTO DALL’OCCIDENTE.

Iari.site- Nicki Anastasio-  (26 Marzo 2021)- ci dice : 

 

Ripercorrere la storia dell’Egitto, dell’Iran e della Turchia ci mostra quanto sia paradossale l’idea secondo cui si esista un reale scontro civiltà tra l’Occidente e il mondo musulmano.

L’idea che ci sia una differenza indiscutibile e incolmabile – al livello culturale, politico ed economico – tra il mondo occidentale e i paesi musulmani avanza con forza nel corso del ventesimo secolo quando serie di eventi minacciano gli interessi geopolitici delle potenze occidentali in Medio Oriente e Nord Africa.

Dalla rivoluzione iraniana del 1979 all’ascesa dell’organizzazione jihadista-salafita Al-Qaeda.

Le società dei paesi a maggioranza musulmana sono considerate per loro natura incompatibili con i principi della modernità. Troviamo questi stereotipi nell’opera di Samuel Huntington ‘’Clash of Civilizations’’ in cui l’autore prevede un futuro di guerre tra le diverse culture del mondo sostenendo l’evidente superiorità economia, scientifica e culturale dell’Occidente e descrivendo il mondo musulmano come una minaccia costante alla pace e la stabilità della comunità internazionale.

Considerando l’evoluzione storica di tre paesi – Egitto, Iran, Turchia – troveremo alcuni elementi che ci aiutano a rispondere alla seguente domanda: a che punto si può parlare di conflitto di civiltà tra il mondo musulmano e l’Occidente? E se c’è davvero una cesura tra i due, quanto questa immagine è stata prodotta dall’Occidente stesso per garantire, attraverso un calcolo realistico degli interessi, la sua egemonia nel sistema internazionale e legittimare rapporti di dominazione?

Con la fine Prima guerra mondiale Francia e Gran Bretagna si dividono i territori appartenenti allo smembrato Impero Ottomano.

 La delimitazione dei confini dei paesi arabi, tali come ci appaiono oggi, è stata stabilita all’epoca attraverso gli accordi Sykos-Picos (1916) e di San-Remo (1920). In considerazione di questo gli analisti definiscono il Medio Oriente come un sistema penetrato perché sottoposto, sin dalla sua creazione, all’influenza di potenze straniere che hanno spinto all’adozione del modello capitalista e dei principi della modernità, così come concepiti dall’establishment occidentale.

L’Egitto: dal mandato britannico alla sua neo-liberalizzazione.

Già prima dell’inizio del mandato britannico in Egitto, le élite borghesi credono che per resistere agli europei sia necessario appropriarsi delle loro conoscenze e tecniche.

Le politiche di modernizzazione da loro sostenute e implementate dalla monarchia filo-britannica del re Farouk polarizzano gli equilibri sociali e, in risposta, una forte organizzazione politica segnata dal socialismo avanza rivendicando una forma di ritorno alle fonti dell’Islam.

Sono i Fratelli Musulmani. Ma saranno gli Liberi Ufficiali, dopo la Seconda guerra mondiale, che riusciranno a cementare tutte le forze politiche di dissenso (socialisti, soldati, fratelli musulmani) sulla base del loro rifiuto condiviso verso il regime monarchico simbolo della dominazione occidentale.

Jamal Abd Al-Naser, il più carismatico dei Liberi Ufficiali, diventa il volto di Rivoluzione. Egli vuole rendere l’Egitto una potenza nel mondo arabo, guida della resistenza dei paesi del terzo mondo al colonialismo. In risposta, la Francia e la Gran Bretagna lo chiamano l’Hitler arabo.

I successivi presidenti egiziani si sono ancorati maggiormente all’ Occidente in qualità di partner economico e militare. Infatti, a partire dalla politica di infitah (apertura) di Anwar Sadat, l’Egitto mostra l’intenzione di beneficiare del liberalismo economico anche se ciò finisce per aumentare le disuguaglianze sociali. L’esercito e le famiglie vicine al regime si arricchiscono e i poveri si impoveriscono.

Più il paese si conforma agli standard economici e politici occidentali e più autoritario diventa il potere centrale. Oggi, le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno in Egitto, legittimati dalla politica di zero tolleranza del presidente Al-Sisi verso tutte le forme di contestazione alla sua macchina militare. Ma questo non ha ostacolato le relazioni tra il Cairo e le grandi potenze, non ha impedito la firma di accordi economici e il sostegno dell’Occidente al presidente resta forte nonostante tutto.

La Turchia: dall’idea di una nazione laica al neo-ottomanesimo.

All’inizio del diciannovesimo secolo, il contatto con la modernizzazione europea spinge i gruppi nazionalisti turchi a rielaborare le idee ispirate dalla Rivoluzione francese per promuovere il progetto di una nazione laica.La figura che incarna il cambiamento è Mustapha Kemal. Egli sostiene che il secolarismo equivale alla modernità e pertanto il Califfato, garante dell’unità della comunità musulmana, deve lasciare il posto al potere statale.

A tal fine, egli mette in atto diversi provvedimenti: l’approvazione di un Codice civile sul modello svizzero e l’adozione dell’alfabeto latino. In tutto ciò, il padre dei Turchi fa leva sulla religione per rendere omogeneo il nuovo territorio ma successivamente ritira tutto il potere ai religiosi, rendendo l’Islam un fattore sociale privo di forza politica.

La creazione del moderno stato turco viene immediatamente seguita da una svolta autoritaria. Mustapha Kemal rivendica sempre di più la sua vicinanza ideologia ai regimi fascisti europei come chiave per accedere alla civiltà occidentale.

Dopo la sua morte la Turchia si avvicina sempre più ai paesi del nord del mondo adottando un capitalismo di convenienza e diventando uno stato membro della NATO. Ma questo non aiuta la stabilizzazione del potere interno che rimarrà debole fino all’elezione di Erdogan nel 2003.

Dall’inizio della sua ascesa politica il suo referente ideologico è la corrente moderata dei Fratelli Musulmani che, all’esplosione della Primavera araba, si era posta come forza trainante del cambiamento nella regione.  Ne consegue che la politica estera della Turchia comincia a cozzare con gli interessi delle monarchie conservatrici del Golfo, difensori dello status quo della regione e ostili all’Islam politico.

Nonostante Erdogan si ponga come difensore del mondo musulmano, i suoi obiettivi sono più politici che religiosi. Cementare il consenso alla sua figura – riferendosi a popoli che abitano anche al di fuori della Turchia – e proteggere i suoi interessi nella regione.

Alla luce di ciò, gli analisti ritengono che Ankara voglia ristabilire la vecchia influenza detenuta dall’Impero Ottomano nel Mediterraneo. Ciò ha causato non poche tensioni lo scorso anno, nel momento in cui la concorrenza interregionale per l’egemonia politica sul mondo musulmano si è sovrapposta agli interessi energetici dell’Europa, in particolare della Francia.

Il rifiuto iraniano verso l’Occidente.

La presa del potere da parte di Reza Khan in Iran, dopo lo scoppio della rivoluzione costituzionale nel 1905, è accompagnata dall’attuazione di un piano di ammodernamento politico che si richiama al modello europeo e in parte a quello turco. (“L’Iran deve europeizzare anima e corpo”).

L’invasione anglo-sovietica del 1941 e l’ascesa di Mohammad Reza Pahlavi, l’ultimo scià iraniano, rafforzano l’avvicinamento del paese all’Occidente, visto come necessario per impedire la diffusione di una rivoluzione islamista o comunista nel paese.

Colui che diventerà conosciuto come l’Ayatollah Khomeini riuscirà a compattare il malcontento della popolazione contro la sottomissione all’Occidente creando un nuovo modello statale che si basa sulla legge di Dio (sharia) e che fa riferimento alla componente sciita dell’Islam di cui la Repubblica Islamica si pone come difensore.

Se da una parte la Rivoluzione Iraniana ha contribuito a istituzionalizzare e statalizzare le figure religiose, dall’altro lo stato ha continuato a detenere un forte potere politico. Ad esempio, anche se i Guardiani della Rivoluzione incorporano giuristi religiosi, questi sono sotto il controllo di un Consiglio controllato dai politici. La figura della Guida Suprema (nominata da un’Assemblea di esperti – 86 dignitari religiosi eletti a suffragio universale), inoltre, è imprescindibile da quella del Presidente.

La crisi degli ostaggi americani segna l’inizio delle tensioni tra Iran e Stati Uniti, paese garante del sistema internazionale post-Guerra fredda. Il contesto di confronto con l’Occidente si rafforza.

Prima a causa dell’affare Rushdie in seguito in merito alla questione del nucleare. Inoltre, la vicinanza degli Stati Unite alle monarchie petrolifere del Golfo spinge l’Iran ad espandere la sua influenza nel Levante arabo attraverso proxy actors mobilitati non tanto dalla religione ma piuttosto da sentimenti di odio contro gli Stati Uniti e Israele.

Le ultime elezioni presidenziali hanno mostrato la popolarità dei riformatori sui conservatori ma gli effetti delle sanzioni imposte dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump hanno rafforzato l’isolamento del paese e, di conseguenza, la diffusione di sentimenti antioccidentali nella sfera politica. Pertanto, non ci si aspetta una distensione delle tensioni tra Washington e Teheran a seguito delle elezioni presidenziale che avranno luogo questo giugno.

Scontro di civiltà o di interessi?

A una lettura superficiale, i fenomeni storico-politici avvenuti nel mondo musulmano sembrano legati al rapporto squilibrato tra stato e religione e al fallimento del capitalismo nei paesi che ne fanno parte.

Secondo le generalizzazioni più frequenti la religione è pesantemente impigliata nella macchina statale e la società a non dispone delle conoscenze e delle abilità necessarie per conformarsi agli standard occidentali.

Questi giudizi di valore, largamente diffusi in Occidente, nascondono l’esistenza di rapporti di dominazione che, anche dopo la fine formale del colonialismo, si sono ristrutturati in nuove forme di influenza politica ed economica.

Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano scelto come loro alleati nella regione i paesi che garantiscano il mantenimento dello status quo – Egitto e monarchie conservatrici – e che la mobilitazione di certe immagini relative alla civiltà islamica – l’incapacità di perseguire il progresso economico e adottare i valori dell’Occidente – è stata utilizzata nel corso degli anni per giustificare lo sfruttamento della regione e la sua posizione di sottomissione nella divisione internazionale del lavoro.

Alla luce di ciò non possiamo dire che esiste una cesura netta tra l’Occidente e il mondo musulmano, in quanto i paesi del Medio Oriente sono entrati in contatto con la modernità occidentale a partire dalla loro formazione storica e, a partire da quel momento, hanno digerito questo immaginario rielaborandolo o condannandolo.

E’ evidente allora che i due blocchi, se così possiamo definirli, si sono influenzati l’un l’altro, nonostante l’esistenza di rapporti di dominazione a vantaggio del primo che oggi non ha più la forza per affermarsi come unico e solo garante del sistema internazionale.

 

 

 

 Il sovranismo è una truffa?

Intellettualedissidente.it- Emanuel Pietrobon-(12-1-2019 )-ci dice :

(L’Illuminismo oscuro- Nick Land).

 

Non è in corso alcuna battaglia tra sovranisti e globalisti, non c’è alcun risveglio di popolo contro le élites liberiste ( liberal Dem Usa): è l’ennesimo scontro geopolitico guidato dagli Stati Uniti per estendere la loro egemonia globale.

L’epoca delle ideologie non è finita col crollo dell’Unione Sovietica e con la sconfitta dei fascismi; sembra infatti essere in corso una nuova battaglia, ideologica, politica e culturale, tra due nuove visioni del mondo, il cui esito determinerà non solo il futuro dell’Occidente, ma delle stesse relazioni internazionali: si tratta dello scontro tra sovranisti e globalisti.

Il sovranismo è un’ideologia mirante alla ricostruzione della legittimità e del potere dei decadenti stati nazionali, ridotti a degli attori marginali nello scacchiere internazionale dall’emergere delle grandi corporazioni multinazionali, dei gruppi finanziari, delle organizzazioni internazionali e non governative, mentre il globalismo rappresenta una degenerazione dell’internazionalismo e del cosmopolitismo liberale otto-novecentesco, avente come obiettivo la costruzione di un nuovo ordine mondiale guidato dai mercati, dalla globalizzazione e dalle strutture anazionali e sovranazionali.

 Il fronte sovranista è rappresentato essenzialmente dai cosiddetti partiti del populismo di destra e di sinistra, sebbene in realtà non si tratti di un blocco monolitico come sovente dipinto, mentre quello globalista è guidato dai grandi e piccoli, vecchi e nuovi partiti di ispirazione progressista, centrista e liberaldemocratica (Liberal Dem Usa).

 

In realtà, sovranismo e globalismo sono due facce della stessa medaglia, due cavalli di battaglia magistralmente utilizzati per mascherare la vera natura di questo conflitto:

un gigantesco conflitto geopolitico che vede da una parte coinvolti gli Stati Uniti e dall’altra tutti gli ostacoli per l’egemonia americana nel nuovo millennio – Cina, Russia e l’asse francotedesco in primis.

Anche la vittoria di Trump non ha segnato l’inizio del crollo della globalizzazione liberale, del progressismo e del marxismo culturale, sebbene così sia stata (e sia ancora) pubblicizzata e propagandata dalle destre populiste di tutto l’Occidente, ma semplicemente il ritorno in scena (ben mascherato) del mai defunto “Progetto per un nuovo secolo americano”.

Per i non addetti ai lavori, si tratta di un ambizioso progetto disegnato negli anni ’90 da un prestigioso think tank formato, tra gli altri, da Robert Kagan, John Bolton (l’attuale consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump), Dick Cheney, ed altri influenti analisti, strateghi e pensatori di formazione reaganiana, wilsoniana e neoconservatrice.

 L’obiettivo era il rafforzamento della presenza statunitense nel mondo in aree tradizionalmente instabili e sfuggevoli, come il mondo arabo-islamico e l’Asia orientale, ma vitali ai fini dell’egemonia sul cuore della terra tanto caro a sir Halford Mackinder e Zbigniew Brzezinski.

Gli insuccessi dell’amministrazione Obama e della gestione Dem degli affari statunitensi nel mondo – Europa, Cina e Medio Oriente su tutti – hanno dato nuova linfa vitale all’ala messianica ed eccezionalista dello Stato profondo, rendendo possibile la proliferazione di sentimenti reazionari in Occidente, ostili alla visione del mondo sorretta dai liberal Dem  americani e quindi potenzialmente sfruttabili.

 

In Europa, i populisti di destra hanno semplicemente sfruttato le gravi mancanze in termini di leadership e capacità di gestione dei problemi dei partiti centristi e di sinistra, rompendo un’egemonia politico-culturale più che decennale, vedendo nella recessione economica, nella crisi dei rifugiati, nei mali della modernità e nello spaventapasseri dell’islamizzazione gli eventi ideali con i quali catalizzare i consensi di un’opinione pubblica stanca, demoralizzata e sfiduciata. Un’Europa egemonizzata dai populisti di destra sarà (forse) liberata dalla morsa della dittatura burocratica di Bruxelles imposta dall’asse francotedesco, ma di certo cadrà completamente tra le braccia degli Stati Uniti, più intenzionati che mai a recuperare il declino di potere nel mondo sperimentato dal dopo-Bush Jr.

 

La caduta di Saddam Hussein era stata promossa con forza dagli ideologi del nuovo secolo americano, i quali formarono un importante gruppo di pressione durante l’epoca Bush Jr, nella speranza di giungere a dei cambi di regime anche in Siria, Libia e Iran.

Non è un caso che, per quanto il sovranismo si erga a protettore dell’interesse e della sovranità nazionali, sia strenuo difensore della nuova linea di politica estera statunitense costruita sulla paura gialla, l’euroscetticismo, l’iranofobia, e l’immancabile appoggio ad Israele.

No, Trump e Putin non sono segretamente alleati, e Trump non sta combattendo contro alcuno Stato profondo, sta semplicemente realizzando, in maniera egregia e fulminea, i sogni dei neocon di dar luogo ad un’egemonia statunitense duratura e realmente proiettata globalmente. Le simpatie filorusse seguono uno scopo preciso: allontanare Mosca da Pechino, evitando la caduta della Russia nell’orbita dell’emergente superpotenza cinese.

Il vero obiettivo degli Stati Uniti, oggi e nel prossimo futuro, sarà infatti il contenimento di Pechino, le cui ambizioni egemoniche planetarie si sono oramai manifestate con il lancio della cosiddetta Nuova via della seta. Se questo ambizioso progetto infrastrutturale e geostrategico dovesse realizzarsi, la Cina avrebbe il dominio economico (e quindi politico) su quasi l’intera Eurasia e parte dell’Africa.

Alcuni eventi, a questo proposito, sono molto emblematici e non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni: la chiamata presidenziale di Trump diretta all’omologo taiwanese e il dietrofront sulla politica kissingeriana della “una sola Cina”, le dichiarazioni del ministro dell’interno italiano Matteo Salvini sul pericolo cinese, la diffusione in sede europea di report allarmanti sui rischi della nuova via della seta per l’indipendenza economica dell’Ue, e la generale diffidenza dei populisti europei verso l’espansionismo cinese.

No, l’ondata populista non è una rivolta di popolo contro l’élite, come dichiarato dall’ideologo della nuova destra americana Steve Bannon, una delle eminenze grigie che suggeriscono Trump, ma l’ennesimo tentativo statunitense di impedire la rinascita di un’Europa forte e indipendente. Ma la colpa di tutto ciò non è imputabile solamente agli Stati Uniti:

sono stati gli statisti europei, miopi e carenti di ogni qualità necessaria per svolgere funzioni di guida, a creare il terreno fertile per il tramonto del sogno europeo, alimentando il relativismo culturale e la distruzione delle identità locali e nazionali, ponendo interessi lobbistici al di sopra di quelli popolari e preferendo gli egoismi nazionali al solidarismo comunitario.

Steve Bannon.

Oggi l’Europa è spaccata a metà: mentre le forze laiche, liberali ed europeiste perdono terreno giorno dopo giorno, anche nelle loro storiche roccaforti, nuovi e vecchi partiti e movimenti euroscettici e conservatori avanzano e si organizzano in vista delle elezioni parlamentari europee di maggio, che si prospettano essere un banco di prova per saggiare l’efficacia della strategia americana per il Vecchio continente. Ma lo scontro sovranisti-globalisti diretto dagli Stati Uniti non sta plasmando solo l’Europa in chiave antirussa e anticinese, perché la finta rivoluzione popolare sta dilaniando anche l’America Latina, cortile di casa di Washington per antonomasia sin dall’epoca della dottrina Monroe.

Ogni tentativo rivoluzionario nel subcontinente è stato storicamente represso nel sangue, attraverso l’instaurazione di dittature militari favorevoli agli interessi statunitensi sin dalla fine del 1800, ma l’ascesa della cosiddetta nuova sinistra bolivariana a partire dagli anni ’90 aveva temporaneamente bloccato i piani egemonici di Washington nell’area.

Oggi, la situazione è radicalmente cambiata, merito di una strategia geo-religiosa estremamente lungimirante, mirante alla protestantizzazione dei latinoamericani e all’utilizzo di questa nuova ed imponente massa popolare per fini politici e culturali. Nicaragua, Honduras, Costarica, El Salvador, Messico, Brasile: le roccaforti del cattolicesimo ispanoamericano si sono rapidamente trasformate in bastioni dell’evangelicalismo più settario e fondamentalista, erodendo la carica d’attrazione esercitata dalla nuova sinistra e dal cattolicesimo.

Molte sono le caratteristiche che accomunano le decine di denominazioni di ispirazione evangelica che dominano il nuovo scenario religioso latinoamericano: il monopolio dell’informazione attraverso l’acquisto di media tradizionali e nuovi, il sionismo cristiano (e quindi l’abbandono del tradizionale solidarismo latino verso la causa palestinese e il terzomondismo), la convinzione che gli Stati Uniti siano il punto di riferimento morale della civiltà occidentale, il feroce anticattolicesimo, l’anticomunismo.Benjamin Netanyahu è un grande protagonista della svolta sionista dei populisti di destra e sovranisti europei, oggi i più grandi sostenitori di Israele in sede comunitaria.

È proprio attraverso la religione che gli Stati Uniti hanno conquistato l’America Latina, penetrandone l’anima e cambiandola, riuscendo a far emergere una nuova destra, religiosa, conservatrice e filoamericana, voluta dal popolo. Non è un caso che i primi paesi a seguire la decisione di Trump nel riconoscimento di Gerusalemme quale capitale unica di Israele, con il conseguente spostamento dell’ambasciata, siano stati proprio quelli latinoamericani, guidati da amministrazioni giunte al potere con i voti degli evangelici: Guatemala, Honduras, Paraguay. L’ultimo paese ad annunciare il proprio supporto in toto alla linea trumpiana è stato il Brasile di Jair Bolsonaro, alla cui cerimonia d’insediamento presidenziale era presente in veste di ospite d’onore BenJamin Netanyahu, il carismatico primo ministro israeliano co-autore, insieme ai neocon statunitensi, della svolta sionista dei populisti-sovranisti d’Occidente.

Il discorso di Netanyahu al popolo brasiliano è stato largamente ignorato, ma in realtà è altamente significativo, perché prova l’esistenza di un forte legame tra l’evangelicalismo ed il sionismo, confermando la tesi della religione utilizzata a fini politico-culturali. Uno dei passaggi fondamentali è infatti il seguente:

Noi [israeliani] non abbiamo amici migliori al mondo della comunità evangelica, e la comunità evangelica non ha un amico migliore nel mondo dello stato di Israele […] Sapete che il primo nome del presidente Bolsonaro in ebraico è Yair, che è anche il nome di nostro figlio, ma Yair significa qualcosa in ebraico: colui che porta luce. E io credo che oggi abbiamo un’opportunità insieme di portare un po’ di luce al popolo del Brasile e al popolo di Israele. Questa è un’alleanza di fratelli.

Se il populismo europeo è stato alimentato a scopo anti-iraniano, antirusso e anticinese, quello latinoamericano non è stato motivato soltanto da fini anticattolici e filosionisti, ma anche per dare il colpo di grazia a quel che rimane della nuova sinistra, oramai rappresentata da regimi (forse) prossimi alla caduta: Nicaragua e Venezuela.

Jair Bolsonaro è il neopresidente del Brasile e ha promesso l’inizio di una nuova era per il colosso latinoamericano: forte alleanza con Stati Uniti ed Israele, allontanamento dai Brics, scontro con l’asse del male latinoamericano rappresentato da Cuba e Venezuela, annichilimento delle forze di sinistra.

Insomma, il sovranismo non è altro che uno strumento utilizzato da Stati Uniti ed Israele per portare avanti una specifica agenda di politica estera mirante al contenimento russo, cinese, iraniano ed europeo, promossa e retta da un’efficace propaganda che vorrebbe far passare questa rivoluzione come una guerra culturale tra buoni (cristiani, conservatori, filosionisti, antiliberali) e cattivi (fedeli a papa Francesco, europeisti, filopalestinesi, liberal Dem Usa).

Anche l’accanimento mediatico contro Francesco I e lo scoppio di scandali ad orologeria coinvolgenti il clero vaticano, casualmente provenienti dagli Stati Uniti, sono da inquadrare nel contesto di questo scontro geopolitico, perché l’attuale pontificato è stato sin dalle origini in prima fila nella denuncia del pericolo populista. La rivoluzione sovranista-populista è una truffa e siamo stati tutti ingannati.

 

 

 

 

NUOVO RESPIRO PER L’EUROPA:

PRENDONO FORZA GLI ANTI-GLOBALISTI?

Comedonchisciotte.org- Jacopo Brogi- Redazione CDC -( 09 Aprile 2022 )- ci dice :

Le elezioni in tre paesi europei, ovviamente, non riflettono il mitico confronto tra “democrazia” e “autocrazia”.

La pubblicazione globalista americana The New York Times rileva che “la lotta tra democrazia e autocrazia si svolge non solo in Ucraina”, ma anche in tutta Europa.

La vittoria di Aleksandr Vučić alle elezioni presidenziali in Serbia, così come la vittoria di Viktor Orban in Ungheria, sono la prova della vittoria, secondo il giornalista David Leonhardt, dei nemici della democrazia.

L’autore sottolinea che il prossimo “terremoto geopolitico” potrebbe verificarsi in Francia, dove il 10 aprile 2022 si terrà il primo turno delle elezioni presidenziali.

Ungheria.

La vittoria di Orban alle elezioni parlamentari non è stata così scontata.

L’opposizione per la prima volta dopo tanto tempo ha proposto un candidato unico – e non chiunque, ma un simpatizzante e collaboratore delle strutture di Soros, Peter Marki-Zai, che ha trascorso parte della sua vita in Canada.

Sullo sfondo della posizione neutrale dell’Ungheria e del rifiuto di Viktor Orban di fornire armi all’Ucraina, l’operazione per cambiare il regime dalla parte del campo globalista è stata lanciata alla massima velocità. Tuttavia, qualcosa è andato storto e Orban ha mantenuto il suo seggio con oltre il 60% dei voti.

Marqui-Zai, che ha attivamente chiesto il sostegno all’Ucraina nel conflitto, nonché l’adesione a una dura politica sanzionatoria antirussa, è stato sconfitto.

Lo stesso Orban, dopo essere stato eletto, ha definito Zelensky, Soros, i media internazionali e i burocrati dell’UE suoi oppositori.

Da cosa è guidato Orban?

Mentre i suoi oppositori nei media internazionali lo accusano di essere un agente del Cremlino, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjarto osserva che il governo ungherese non è disposto a “rischiare la vita e la sicurezza del popolo ungherese”.

Parallelamente, ci sono state segnalazioni di una possibile transizione di alcune società ungheresi (in particolare, la società energetica MVM) a accordi con Gazprom in rubli. Il 6 aprile, Viktor Orban e Vladimir Putin hanno avuto una conversazione telefonica.

La posizione dell’Ungheria, isolata dalla retorica globalista, dimostra non tanto un “corso filo-russo” quanto una politica di buon senso e impegno per una civiltà in cui gli interessi del proprio popolo, e non delle “élites mondiali”, sono fondamentali. Pertanto, Orban ha invitato Putin a colloqui di pace in Ungheria. Dopotutto, l’Ungheria, come la Russia, è interessata a stabilire la pace in Ucraina.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha definito Orban “praticamente l’unico in Europa che sostiene apertamente Putin”.

Si può aggiungere che oggi Orban è praticamente l’unico che cerca di farsi guidare dagli interessi del Paese, e non dalla “dittatura liberal Dem Usa  occidentale”. Il New York Times ha definito abbastanza argutamente l’Ungheria “la quinta colonna della NATO”.

La sensazione di queste elezioni è l’ingresso nel parlamento ungherese del partito Patria Nostra : populisti di destra che si oppongono al dispiegamento di truppe NATO nel Paese, all’ingresso dell’Ucraina nell’UE e alla dittatura sanitaria globalista.

 Il partito, formato da ex membri di Jobbik, guidato da Laszlo Toroshkay (sindaco della città di Ashotthal), ha ricevuto il 6%. “Patria Nostra” è un “nuovo tipo” di destra, anti-globalista che si oppone consapevolmente all’ideologia del “Great Reset” di Klaus Schwab.

Serbia.

Il 3 aprile si sono svolte in Serbia le elezioni presidenziali e parlamentari. Il presidente Aleksandr Vučić, come previsto, ha vinto le elezioni presidenziali. Alle parlamentari – il suo “Partito Progressista Serbo” (SPP) – in una coalizione con il Partito socialista serbo e l’Unione degli Ungheresi della Vojvodina, ha ottenuto il 43,78% dei voti.

Aleksandr Vučić ha già dichiarato che proseguirà il percorso di cooperazione con la Russia.

La Serbia presterà particolare attenzione alla neutralità militare e alla cooperazione con la Russia nel settore energetico. In precedenza, Mosca e Belgrado hanno firmato un contratto di fornitura di gas naturale estremamente vantaggioso per la Serbia, che scade il 31 maggio.

 Il 6 aprile Vučić ha telefonato al presidente russo Vladimir Putin. È stata sollevata la questione di un futuro accordo sul gas. Allo stesso tempo, Vučić ha sottolineato che la Serbia continuerà il suo percorso verso l’adesione all’UE.

Uno dei risultati importanti delle elezioni è il passaggio di tre forze politiche “di destra” al parlamento, che hanno ricevuto seggi nell’Assemblea grazie alla loro posizione filo-russa e al sostegno all’operazione militare speciale russa in Ucraina. Queste sono le coalizioni “Dveri” , “Nada” , il partito “Zavetniki” .

Ciò dimostra che il sostegno della Russia è un fattore politico importante.

Anche il presidente Vučić è stato sostenuto perché gode della reputazione di un leader che non litiga con la Russia. Tuttavia, Vučić difficilmente dovrebbe essere considerato un “populista” o un “politico filorusso”, piuttosto, è un pragmatico opportunista che cerca di trovare un equilibrio tra diversi centri di potere. Quindi, non dimenticare che nel voto dell’ONU, la Serbia ha condannato il NWO (di Klaus Schwab), sebbene non sostenesse sanzioni.

 

«Ci si dovrebbe aspettare che Vučić continui la politica di bilanciamento in futuro”, ha detto a Katehon l’esperto di geopolitica Aleksandr Bovdunov. Tuttavia, sullo sfondo di una vera guerra tra Russia e Occidente, non sarà facile sedersi su due sedie. L’Occidente utilizzerà tutte le sue risorse di influenza per estrarre dalla leadership serba passi che potrebbero essere interpretati come anti-russi».

Francia.

Un importante campo di battaglia del globalismo e del continentalismo in Europa è la Francia. Il 10 aprile 2022 si svolgerà il primo turno delle elezioni presidenziali e, nonostante Emmanuel Macron e Le Pen siano nuovamente ai primi posti, il contesto di ciò che sta accadendo è diverso dal 2017.

In primo luogo, il conservatore e pubblicista di destra Eric Zemmour, che è letteralmente diventato il “cigno nero” della scena politica francese, ha avuto un’influenza significativa che ha causato lo spostamento politico della “finestra di Overton”.

Grazie a lui, il tema dell’”immigrazione”, la “Grande Sostituzione”, la politica antifrancese del presidente in carica Emmanuel Macron, il tema dell’identità è tornato ad essere in primo piano.

 I suoi rivali sulla fascia destra, sia Le Pen (che ha notevolmente ammorbidito l’agenda di destra dal 2017) che il repubblicano Pekress, hanno dovuto tenere il passo con il loro serio rivale. Si può anche notare che, sotto l’influenza di Zemmour, Macron, Le Pen e Pekress hanno svoltato a destra.

Le Pen ha prestato molta attenzione al tema della sicurezza nei suoi slogan, Pekress ha iniziato a costruire la sua campagna sulla retorica anti-islamista (sebbene i sostenitori di Zemmour dubitassero della sua sincerità, indagando anche sui possibili legami con gli islamisti). Anche Macron, che viene chiamato il “camaleonte politico”, ha ripreso a tornare sul tema della sicurezza.

In secondo luogo, nel 2022 Macron è un candidato con una “reputazione offuscata”. Complice anche una serie di scandali: la vendita della società di costruzione di macchine Alstom alla società americana General Electric, il coinvolgimento della società americana McKinsey per una società di consulenza sanitaria ed evasione fiscale per 10 anni, un’indagine di alto profilo su corruzione e riciclaggio di denaro dell’ex presidente Macron, Alexandre Benalla. Più una discussione piuttosto assurda sul sesso della moglie di Macron (un certo numero di pubblicazioni sosteneva che fosse transgender). A ciò si aggiungono una serie di fallimenti di politica economica di Macron (e le successive proteste su larga scala sia dei sindacati che dei gilet gialli), una crisi della sicurezza, problemi di salute (crolli pandemici che hanno messo in luce la debolezza e l’incapacità del sistema sanitario francese di lavoro ad alta velocità), e anche in connessione con il conflitto in Ucraina, l’incapacità del presidente di agire da “operatore di pace”.

«L’intero “periodo di cinque anni” del governo di Macron è, a suo modo, un fiasco della politica estera francese, un trionfo del globalismo e il rifiuto francese dei propri interessi nazionali, secondo me», ha commentato a Katehon l’esperto Aleksandr Artamonov sui risultati del primo mandato di Macron.

I fallimenti in Africa hanno colpito in modo significativo la reputazione di Macron: l’ingresso fiducioso nella sfera di influenza russa della Repubblica Centrafricana, il conflitto con la leadership del Mali e l’espulsione da lì delle truppe francesi, sostituite da specialisti russi.

Oltre alla Russia, la Turchia sta entrando nell’Africa occidentale, una regione di tradizionale influenza francese, cercando di avvicinarsi al Niger, un paese che Parigi, dopo aver lasciato il Mali, considera fondamentale per mantenere l’influenza nel Sahel.

Il Niger è anche la principale fonte di uranio per l’industria nucleare francese. Macron ha promesso nel 2017 che avrebbe riavviato le relazioni con l’Africa. Ora è accusato di neocolonialismo, nei paesi africani si stanno svolgendo manifestazioni contro la guerra, i militari sono saliti al potere in Mali, Guinea e Burkina Faso, sostenendo la sovranità dei loro paesi.

La crisi ucraina, nonostante abbia temporaneamente legittimato Macron, gli ha inferto un duro colpo alla lunga, perché è stato Macron a parlare più volte prima dell’inizio dell’operazione con la tesi di essere riuscito a prevenire l’offensiva russa contro l’Ucraina.

 Il discorso fortemente mutato, in cui, dopo l’avvio dell’Operazione Militare Speciale della Federazione Russa, si era già chiaramente manifestata la posizione globalista con il sostegno della Francia all’Ucraina (compresa quella militare), nonché la dura politica sanzionatoria nei confronti della Federazione Russa, influirono sulla posizione della Francia.

Ritornato sulla scia della politica globalista filoamericana, il Paese ha cominciato a subirne le conseguenze: un aumento dei prezzi delle risorse energetiche, delle materie prime, del grano, dei fertilizzanti, dei mangimi, ecc.

 Tutto questo ha già cominciato a colpire la Francia, ed è particolarmente evidente alla maggioranza nella “periferia” francese. Ed è questa “Francia periferica” che sostiene la Le Pen.

E solo un paio di mesi fa sembrava che la realtà politica francese si stesse nuovamente trasformando in un classico confronto tra destra e sinistra.

Tuttavia, quando l’instabilità è arrivata nella regione, questa incredibile nuova scissione ibrida (anti-globalisti/globalisti) si è rivelata di nuovo e le elezioni sono diventate un campo di battaglia per le persone e le élites straricche.

Le elezioni in tre paesi europei, ovviamente, non riflettono il mitico confronto tra “democrazia” e “autocrazia”.

Piuttosto, sottolineano che anche di fronte alla crescente pressione del nucleo anglosassone dell’Occidente, i tentativi di sopprimere tutte le forze sovraniste e populiste come presunti “complici della Russia” hanno avuto scarso successo.

La guerra che di fatto l’Occidente ha dichiarato alla Russia non si attenua, ma in una certa misura ne esacerba le contraddizioni interne. In questo contesto, nuove forze sovraniste e populiste stanno emergendo e stanno facendo progressi.

I leader collaudati con politiche pragmatiche si sentono sicuri di fronte alle turbolenze regionali e globali. Le posizioni delle forze anti-globalizzazione si rafforzano, mentre i” liberal Dem Usa” non riuscendo a trovare una risposta adeguata alle nuove sfide, la esprimono nel discorso propagandistico “autoritarismo contro democrazia”, il quale non ha nulla a che vedere con la realtà.

(Katehon, Geopolitica.ru- Traduzione di Alessandro Napoli).

 

 

 

 

 Il miliardario “globalista” sfida

il presidente “sovranista”.

Ytali.com- GUIDO MOLTEDO-( 1 Agosto 2018)- ci dice:

Charles Koch, grande finanziatore dei repubblicani, rompe clamorosamente con Trump sulle questioni dei dazi e dell'immigrazione. E gli dichiara guerra.

Multimiliardari come George Soros e Michael Bloomberg sono notoriamente arcinemici del loro pari diventato presidente degli Stati Uniti.

 Per defenestrarlo sono disposti a investire milioni di dollari. Bloomberg, indipendente di area repubblicana, ha annunciato di recente di essere pronto a tirar fuori ottanta milioni di dollari per sostenere candidati democratici in corsa per il Congresso a novembre.

Un cambio di maggioranza alla camera e possibilmente anche al senato equivarrebbe a un cambio di regime, sarebbe l’inizio della fine di Donald Trump. Senza maggioranza repubblicana nelle due camere, ma anche solo in una, l’eccentrico presidente farebbe davvero fatica a stare a galla.

Che al gruppo dei “donor” anti-Trump potessero associarsi anche i fratelli Charles e David Koch, era un’eventualità impensabile, un miracolo che solo The Donald poteva fare.

E sì, l’emblema stesso del conservatorismo che da anni alimenta con milionate di dollari l’opposizione alla presidenza Obama, poi alla candidatura di Hillary e a in generale ai democratici, specie ovviamente di fede “liberal Dem Usa”, è passato dall’altra parte, fino a paventare un impegno finanziario consistente a favore di candidati democratici.

I Koch non sono impazziti (per precisione Charles, perché David, malato, si è ritirato a vita privata).

 Tra i magnati più ricchi del mondo, (Koch Industries, azienda petrolifera e chimica, è la seconda compagnia privata più importante negli Usa, con introiti nel 2013 di 115 miliardi di dollari), sono noti per le fondazioni e pensatoi che controllano, attivi nel campo politico e nella diffusione delle idee libertarie, come il Cato Institute e Americans for Prosperity.

Già, perché i Koch sono libertari. Azzererebbero il ruolo dello stato, sono per la libertà d’impresa senza freni e controlli, con una spiccata allergia ai vincoli ambientalistici.

Per questo sono anche nemici giurati del protezionismo. E del sovranismo. E quindi, tanto per citare il caso più evidente, sono contrarissimi alle feroci politiche anti-immigrazione di questa amministrazione. Considerano sacra la libertà delle merci e delle persone, punti imprescindibili di un programma politico conservatore.

 

I politici che hanno beneficiato dei finanziamenti dei Koch.

Per molte ragioni, osserva il New York Times, Trump dovrebbe essere il loro presidente ideale, per via della politica fiscale (la flat tax), delle misure anti-ecologiche a favore dell’industria e dell’energia, per la filosofia di “deregulation” che è l’impronta della politica economica di questa amministrazione.

Finora il dissenso era sullo sfondo. E’ esploso lo scorso fine settimana, nella riunione annuale del “Koch network” a Colorado Springs. Charles Koch ha definito “detrimental” le politiche sul commercio di Trump, ma ha anche stigmatizzato il clima di divisione nel paese che alimenta la sua presidenza, un clima che non favorisce l’impresa.

Non solo parole. Segue subito l’annuncio che dei 400 milioni di dollari investiti nella politica nel 2018, i candidati repubblicani non vedranno un centesimo se non s’impegneranno esplicitamente, una volta eletti, a favorire politiche di sostegno al libero commercio e non ostili all’immigrazione.

Tanto per cominciare, i Koch non sosterranno Kevin Cramer, che invece il presidente appoggia con forza, nella corsa al senato in North Dakota. Piuttosto daranno soldi alla sua avversaria democratica, la senatrice uscente Heidi Heitkamp.

 Idem in Pennsylvania, dove i Koch sono freddi con Lou Barletta, un cocco di The Donald.

Una dichiarazione di guerra, quella di Colorado Springs, che non ha intimidito per niente Trump. E neppure Steve Bannon, il suo consigliere fidato, anche adesso che è fuori della Casa Bianca. Ai due, d’altra parte, sono sempre stati antipatici i Koch: “globalist”, sono definiti con disprezzo.

Trump replica ai Koch dicendo che sono “sopravvalutati”, che “nei circoli repubblicani sono una barzelletta assoluta”, e che da loro non ha mai preso niente perché “non aveva bisogno né dei loro soldi né delle loro cattive idee” (ma molti degli eletti alle ultime elezioni sì, compreso il suo vice Mike Pence).

La battaglia sta diventando termonucleare, dopo che Bannon ha intimato ai candidati repubblicani di non prendere soldi dai Koch, che sono “tossici”, e che in caso contrario “ci sarà una punizione”.

La strafottenza dei due si basa sulla convinzione che la base repubblicana adora il suo presidente e che nessun candidato del Grand Old Party oserebbe prendere le distanze da lui.

 Inoltre sono talmente sicuri di avere il vento dalla loro parte da immaginare di poter costruire due gruppi parlamentari, al senato e alla camera, totalmente allineati alla Casa Bianca.

 

 

 

 

DANNI A LUNGO TERMINE,

SOPRATTUTTO NEI GIOVANI.

Comedonchisciotte.org- Massimo Cascone -( 13 Aprile 2022)- ci dice :

Vaccinazioni giovani : danni lungo termine

Uno studio americano di follow-up su bambini affetti da miocardite infiammatoria del muscolo cardiaco dopo aver ricevuto la seconda dose del vaccino mRNA Pfizer, pubblicato lo scorso 25 marzo sul Journal of Pediatrics, ha dimostrato che i danni della vaccinazione non svaniscono con il tempo ma rischiano invece di protrarsi nel lungo termine, senza che ciò venga preso minimamente in considerazione dalla maggior parte della comunità scientifica.

Lo studio condotto presso il Seattle Children’s Hospital, ha esaminato 16 maschi, con un’età media di 15 anni, per studiare l’evoluzione dell’infiammazione del muscolo cardiaco dai tre agli i otto mesi dopo la vaccinazione. Parliamo quindi di soggetti per i quali già di base si accerta la diagnosi di miocardite poco dopo la vaccinazione. Lo scopo della ricerca è capire se questa infiammazione al muscolo cardiaco con il tempo va a scemare, fino a scomparire, oppure no.

Ebbene, la ricerca – condotta attraverso l’utilizzo di elettrocardiogrammi (ECG) e scansioni di risonanza magnetica cardiaca (CMR) per esaminare anomalie nel cuore come cicatrici miocardiche, fibrosi, stiramento e ridotta estensione dei muscoli ventricolari – mostra come dopo otto mesi dall’inizio della sintomatologia, essa continua a persistere sotto forme diverse, confermando che la vaccinazione possa protrarre nel tempo il danno creatosi.

“Sebbene i sintomi iniziali (come dolore toracico e intolleranza all’esercizio) fossero transitori e la maggior parte dei pazienti sembrasse rispondere al trattamento (solo con FANS – farmaci antinfiammatori non steroidei – come l’ibuprofene), abbiamo dimostrato la persistenza di risultati anormali su CMR al follow-up (da tre a otto mesi) nella maggior parte dei pazienti” affermano i ricercatori.

Indicatore principale della persistenza del danno l’LGE, acronimo indicante la capacità del cuore di pompare in modo efficiente.

La presenza di LGE è un indicatore di danno cardiaco e fibrosi ed è stata fortemente associata a una prognosi peggiore nei pazienti con miocardite acuta classica. Una meta-analisi comprendente otto studi ha rilevato che la presenza di LGE è un predittore di morte per tutte le cause, morte cardiovascolare, trapianto cardiaco, rio-spedalizzazione, miocardite acuta ricorrente e necessità di supporto circolatorio meccanico.

Una sentenza, o quasi, che dovrebbe mettere in guardia le tantissime persone che dopo la vaccinazione hanno accusato dolori al petto o affaticamento, ora scomparsi. I danni non solo ci sono stati ma continuano a esserci in forma diversa, meno sintomatica ma molto più pericolosa.

Per i ricercatori quindi “le segnalazioni persistenti di eventi cardiaci nelle settimane e nei mesi successivi alla vaccinazione con mRNA tra persone apparentemente in forma e sane di tutte le età e generi, ma soprattutto uomini, non possono più essere ignorate o liquidate come non correlate”.

 I possibili effetti a lungo termine possono includere infatti cancro, malattie renali ed epatiche e condizioni neurodegenerative, oltre chiaramente ai problemi cardiaci.

Il tutto ovviamente nel totale silenzio dei media e degli stessi medici, i quali in più occasioni hanno rimandato a casa i pazienti che presentavano la sintomatologia sopra descritta, prescrivendo semplicemente degli antinfiammatori, senza indagare le conseguenze che un’infiammazione cardiaca può avere nel lungo periodo.

Il risultato è sotto i nostri occhi, persone sane e in giovane età, in particolar modo atleti, stramazzano a terra ogni giorno, e tutti si ostinano a fare finta di niente.

(Massimo A. Cascone-- conservativewoman.co.uk/vaccine-is-linked-to-long-term-child-heart-problems-but-still-the-jabbing-goes-on/).

 

 

 

 

L’ITALIA AD ALGERI PER RIDURRE

LA DIPENDENZA DAL GAS RUSSO.

 

Comedonchisciotte.org - Massimo Cascone -( 12 Aprile 2022  )- ci dice :

Draghi e Di Maio ad Algeri, firmato l'accordo di cooperazione su energia e gas. Nella delegazione italiana anche Cingolani e l'ad di Eni De Scalzi.

“I rapporti tra Italia e Argentina hanno radici profonde”…è con questo clamoroso lapsus che il nostro Presidente del Consiglio ha annunciato l’accordo per la fornitura di gas, al termine dell’incontro con il Presidente della Repubblica algerina, Abdelmadjid Tebboune, che dovrebbe permettere all’Italia di ridurre da dipendenza energetica dalla Russia.

“I nostri Governi hanno firmato una Dichiarazione d’Intenti sulla cooperazione bilaterale nel settore dell’energia. A questa si aggiunge l’accordo tra Eni e Sonatrach – azienda di stato algerina, principali aziende petroliere al mondo – per aumentare le esportazioni di gas verso l’Italia”, ha continuato Draghi parlando ai gionalisti.

 “Subito dopo l’invasione dell’Ucraina, avevo annunciato che l’Italia si sarebbe mossa con rapidità per ridurre la dipendenza dal gas russo. Gli accordi di oggi sono una risposta significativa a questo obiettivo strategico, ne seguiranno altre”

Un accordo che nasce quindi dalla necessità del nostro governo di trovare alternative ora che l’Unione Europea sta andando dritta dritta verso l’embargo, su pressione di USA e Regno Unito.

Una scelta che più volte abbiamo inquadrato come folle, a maggior ragione ascoltando le ultime dichiarazioni del Segretario Generale dell’OPEC Mohammad Barkindo.

Una cooperazione tra Italia e Algeria, destinata, secondo le draghiane dichiarazioni, ad allargarsi anche ad altri settori. “All’incontro di oggi seguirà un nuovo Vertice Intergovernativo che si terrà qui ad Algeri il prossimo 18 e 19 luglio […] L’Italia è pronta a lavorare con l’Algeria per sviluppare energie rinnovabili e idrogeno verde. Vogliamo accelerare la transizione energetica e creare opportunità di sviluppo e occupazione”.

Dichiarazioni che confermano le nostre previsioni sul futuro prossimo: la crisi energetica per sponsorizzare il Green New Deal  (di Klaus Schwab) e trasformare completamente le abitudini dei popoli europei.

Senza un vero piano per far fronte alla mancanza delle fonti energetiche russe, come conferma RT News, solo un totale e concertato investimento in quella direzione forse può salvare l’Europa dal freddo del prossimo inverno.

(Massimo A. Cascone-- ansa.it/sito/notizie/politica/2022/04/11/draghi-e-di-maio-ad-algeri-incontro-contebounne-per-intesa-sul-gas_1dd2a561-75ea-4777-9245-a404db989ec9.html).

 

 

 

 

“Sovranisti” Populisti Contro Progressisti (liberal Dem Usa)

 Europeisti “Globalisti”: Addio Partiti Politici.

 Economia-italia.com -Redazione - (24 novembre 2021)- ci dice :

 

Finito il Comunismo contro il Fascismo, quali sono le 2 grandi aree ideologiche politiche che si vanno delineando in uno spettro di azione mondiale?

 I sovranisti - populisti contro i globalisti - progressisti (liberal Dem Usa) sembrano rispondere a questa richiesta del mercato politico attuale.

I sovranisti di oggi sono i nazionalisti di ieri? La destra di oggi sono i conservatori di ieri?

I progressisti di oggi sono la sinistra di ieri? E gli europeisti ed i globalisti di oggi sono i liberali di ieri?

A Noi di Economia Italia sembra proprio di sì.

Questo lo si vede dalle varie vicende politiche che ci sanno facendo entrare nella 2a decade di questo 2.000.

Sovranismo: in principio era il nazionalismo di Putin.

Putin è il più importante personaggio politico di questo inizio di secolo. Certamente è quello vincente.

Putin ha vinto la sua sfida interna ( con oltre l’80% di preferenze tra i suoi elettori) e sta facendo bene con la sua sfida esterna, è il politico internazionale più amato dal popolo e più temuto dagli altri governanti.

Non ci metteremo qui ad analizzare i suoi discutibili metodi, inaccettabile per gli standard democratici occidentali, ma perfettamente in linea con la nuovissima democrazia in Russia, un paese dove , sottolineiamo non c’era mai stata la democrazia prima del 1990.

Putin è riuscito a riprendere per i capelli un paese allo sfascio dove l’anarchia e i particolarismi sembravano aver preso piede e in nome del nazionalismo russo, della patria e del capo forte supremo che difende la patria dalle forze esterne ( narrativa cara al popolo russo) è riuscito nel suo intento, addirittura andando ad influenzare gli altri proprio con quei nuovi strumenti ( internet, il trolling ) che gli hanno permesso di solidificare il potere interno.

Putin ha ispirato molti politici nel mondo, ma quelli che interessano direttamente noi sono i politici della Brexit , Trump e gli altri politici europei primi tra tutti quelli italiani cioè Salvini e il M5S.

Ovviamente Putin non crede al sovranismo se non al suo, visto come si è comportato in Cecenia e in Ucraina, solo per dirne due. Putin guida l’Impero Russo che oggi è molto debole economicamente ma vede la sua forza  militare immutata e la sua forza politica all’estero non ai livelli della vecchia URSS ma sicuramente molto, molto importante. E’ e rimane una delle 3 potenze più importanti a livello globale insieme a Stati Uniti e Cina.

L’Europa? Guarda, visto che non riesce ancora a trovare un’unione politica.

La fine del comunismo reale e l’inizio dei “partiti progressisti liberal Dem Usa” in Italia.

Nel 1989 cade il muro di Berlino.Il paese occidentale più comunista di tutti, cioè l’Italia sembra non accorgersene.

Il Partito Comunista Italiano cambia nome ma non cambia persone.

Attenzione: cambia nome solo perché travolto dagli scandali di tangentopoli, non certo per la vergogna di portare un nome “comunista” che è anche simbolo di massacri. Se non ci fosse stata ancora tangentopoli in Italia al posto del PD nel 2018 ci sarebbe il PCI, senza ombra di dubbio.

Una volta cambiato il nome 2 o 3 volte all’inizio degli anni 2000 sembrava che con PD tutti fossero d’accordo.

Un partito democratico di sinistra. Purtroppo in Italia per “sinistra” si intende socialista, o addirittura comunista.

Attuare una politica socialista o comunista in Italia e chiamarla “politica di sinistra ” in Italia non è possibile come – ora come ora – non è possibile in nessun paese occidentale, se non si vuol fare la fine del Venezuela, dove, nonostante sia il paese con più petrolio al mondo la gente fa la fame al punto che intere popolazioni partono a piedi e lasciano il paese.

Il PD ha cercato di fare il partito democratico “progressista liberal Dem Usa” di sinistra.

Cioè ha cercato di fare politiche per lo sviluppo di tutta la società, non solo a favore dei più poveri ma anche delle aziende, bypassando così la lotta di classe, un concetto del 900 che forse andava bene a quell’epoca .

Chi più di tutti ha cercato di trasformare un partito ancora troppo comunista che aveva solo il marchio PD è stato Renzi. Forse troppe aspettative si sono riversate su questo ragazzo non ancora 40 enne e , inevitabilmente molti ci sono andati sbattere.

Tutta colpa di Renzi?

Si voleva tutto subito: un Governo Renzi che avrebbe dovuto far ripartire l’Italia dalla crisi economica, che avrebbe dovuto gestire la vera e propria invasione di 150 mila profughi all’anno che arrivavano dall’Africa per cercare fortuna in Europa, che avrebbe dovuto fermare il terrorismo islamista dilagante.

Più che un Premier, sarebbe servito un super eroe della Marvel.

Il populismo può portare a cercare di accontentare tutti come nella recente manovra economica.

Il suicidio politico della Merkel e di Renzi con i migranti.

La Merkel dal canto suo dal 2015 in poi ha fatto dei danni enormi in tutta Europa: per fini elettorali infatti ( all’epoca andava molto di moda salvare profughi siriani che scappavano dalla guerra) iniziò a fare  arrivare MILIONI di profughi dalla Siria: decine di migliaia di persone senza documenti, di cui non si sapeva nulla, se fossero state brave persone o malintenzionati, una decisione che portò a riempire l’Europa di profughi a far fare ad altri paesi la stessa cosa per “essere più bravi e buoni” ( vedi Renzi e gli accordi internazionali per far arrivare in Italia i profughi trovati in mare anche a 12 km. dalla costa libica).

Un suicidio politico che ha portato alla rinascita di un partito filo nazista in Germania ed ad un sentimento di xenofobia in Italia, ben cavalcato da Salvini, le altre forze di destra e il M5S.

Non prima che gli inglesi, impauriti per la vera e propria invasione del proprio paese ( la costruzione di 5.000 moschee a Londra) decidessero per la Brexit.

Ovviamente tutto questo malumore fu acuito, accentuato e divenne comune anche grazie agli attentati terroristici in Europa da parte degli islamisti, con cadenza quasi settimanale. Attentati che dal 2001 non furono mai cessati, ma che videro gli anni dal 2014 al 2017 dei veri e propri massacri quasi settimanali con una sensazione di insicurezza diffusa e percepita dalla stragrande maggioranza della popolazione non solo italiana, ma anche del resto dell’Unione Europea.

Democrazia e consumismo, cioè voglio tutto e subito.I limiti della democrazia senza intermediari, ma io direi della democrazia fatta ideologia. Volere non è potere ma chi lo racconta ad un mondo in cui le persone sono rimaste incantate dal consumismo?

Il consumismo ci ha insegnato come volere è potere e che la fantasia è al potere. Peccato il consumismo abbia a che fare col mondo delle cose, e abbia il denaro a fungere da principio di realtà, mentre la politica ha a che fare con gli uomini (e a qualsiasi desiderio o delirio solo il voto sembrerebbe limite).

Non so il percorso, ma il risveglio da questa sbronza sarà tragico.

Quant’è la percentuale di popolazione immigrata che i cittadini di una nazione pensano essere nel proprio territorio? Gli italiani pensano che il numero di immigrati sia quasi il 300% di quello reale. I Giapponesi pensano addirittura che il numero di immigrati sia il 500% in più rispetto alla realtà dei numeri.

 IL POPULISMO E’ IL VELENO, LE GRANDI CITTA’ MULTIRAZZIALI SONO L’ANTIDOTO.

 (Da: “World Economic Forum” di Klaus Schwab).

Gli stati nazione più potenti del mondo stanno flirtando con un conflitto catastrofico.

Che si tratti di Europa, Asia o Medio Oriente, per la prima volta dagli anni ’60 ci troviamo di fronte a una reale possibilità di confronto nucleare. Con gli stati nazione distratti, anche la minaccia di cambiamenti climatici irreversibili incombe.

L’ansia globale alimenta la crescita dei movimenti nazionalisti, incoraggiati dal ritmo del populismo. I partiti anti-immigrati e anti-establishment stanno capitalizzando l’inquietudine pubblica, guadagnando punti fermi nei sistemi politici di tutto il pianeta. Ma per quanto allarmante tutto questo suoni, ci sono opportunità per evitare potenziali disastri. Uno dei più potenti antidoti al populismo è proprio di fronte a noi. Molte delle città del mondo stanno rioccupando attivamente la politica, l’economia e l’azione ambientale dal basso verso l’alto. Alcuni di loro stanno costruendo una visione positiva, inclusiva e plurale del futuro, anche se i leader nazionalisti spacciano la paura, chiudono i confini e costruiscono muri.

Le città sono l’avanguardia della cosmopoli globale”, sostiene Timothy Garton Ash, professore di studi europei presso l’Università di Oxford, “con persone di ogni luogo – ogni fede, lingua, cultura – vivono e lavorano a guancia, gli stereotipi del ‘Altro’ propagandato dal populismo è smentito dall’esperienza quotidiana. ”

Le città plurali (globaliste)giocheranno un ruolo critico nel determinare se l’umanità sopravvive a questo secolo o no.

Le radici economiche del populismo.

Abbiamo visto la fusione dell’ultra nazionalismo e del populismo di destra in passato. Non è finita bene. Il mondo sta di nuovo entrando in un periodo facilmente riconoscibile come pre-autoritario e fascista. E la posta in gioco non potrebbe essere più alta.

Il futuro della democrazia liberale (ora solo Liberal Dem Usa) è in bilico come negli anni ’30.

Il populismo nazionalista aumenta durante i periodi di volatilità economica. Quest’ultima ondata è un sottoprodotto degli spaventosi eccessi del capitalismo finanziario, che culmina nel disastro abitativo del 2008 e nelle sue scosse di assestamento che continuano fino ad oggi. La reazione politica si sta facendo sentire.

Mentre la globalizzazione ha portato benefici ad alcune Multinazionali , lo scambio accelerato di persone, beni e idee ha anche posti di lavoro eviscerati e ha contribuito a un’estrema disuguaglianza.

Quelli lasciati indietro hanno visto i loro stipendi ristagnare e profondamente risentirsi delle élite straricche che ritengono responsabili.

Identità sotto minaccia.

Il populismo non è solo alimentato dalle ansie economiche, ma anche dalle tensioni culturali. Con il suo stesso design, la globalizzazione minaccia le identità essenziali.

 Il ciclo di notizie di 24 ore aggrava queste paure. Le popolazioni urbane e rurali sono sempre più al mondo quando si tratta di valori e priorità. I social media amplificano drammaticamente la polarizzazione tra vari gruppi.

Ciò che distingue il momento presente dal passato è la scala. I processi economici, sociali e tecnologici stanno accelerando e frantumando i confini di ciò che gli individui possono assorbire e capire. La tentazione di ritirarsi in soluzioni semplicistiche offerte da uomini forti carismatici è comprensibile.

Nuovi arrivi.

I dati demografici offrono un’altra convincente spiegazione del recente aumento del populismo dal Regno Unito e dagli Stati Uniti a Francia, Italia, Germania e Polonia.

 Il populismo prospera in aree semi-urbane e rurali dove le popolazioni native sono in declino, e meno nelle crescenti città cosmopolite. In effetti, le grandi maggioranze dell’elettorato delle piccole città hanno votato per Trump o per la Brexit , mentre le grandi città hanno votato nella direzione opposta.

In tutto il Nord America e in Europa, i modelli migratori si stanno spostando dalle grandi metropoli affaccendate alle città di piccole e medie dimensioni dove la popolazione locale è più etnicamente omogenea. Anche gli aumenti più incrementali dei nuovi arrivati ​​in queste aree possono apparire drammaticamente più alti (rispetto ai loro residenti) di quanto non siano in realtà.

L’afflusso di popolazione improvvisa è in genere una conseguenza delle politiche elaborate dal governo centrale. Tuttavia, raramente sono accompagnati da un’iniezione parallela di risorse per attenuare gli impatti dell’immigrazione sui servizi locali, dalle scuole agli ospedali. Ciò a sua volta può portare a distorsioni nel modo in cui le persone percepiscono l’immigrazione – e la percezione è importante perché può alimentare le braci del populismo.

L’estensione della sovra stima delle popolazioni musulmane è un esempio calzante. La maggior parte degli americani crede che il 17% della popolazione statunitense sia musulmana quando la percentuale effettiva è solo dell’1%.

 I residenti del Regno Unito ritengono che il 21% della popolazione sia musulmana quando la percentuale effettiva è più vicina al 5%.

La maggior parte delle popolazioni europee sopravvaluta anche la popolazione musulmana del loro paese da tre a cinque volte. Questo tipo di punti di vista non sono limitati ai musulmani o all’Europa occidentale.

Se le città devono sconfiggere il populismo, hanno bisogno di sapere di cosa si tratta. Secondo Jan-Werner Muller di Princeton, al centro del populismo c’è un profondo rifiuto del pluralismo.

È animato da due idee di base: l’opposizione alla diversità e il rifiuto del cosiddetto establishment.

I populisti sostengono che gli stranieri minacciano il modo di vivere nazionale e che “il popolo” ha bisogno di escludere gli estranei. L’antitesi della gente è stranamente migranti.

Quindi, come le città multirazziali possono reagire?

In realtà, molti di loro lo sono già. La maggior parte delle città accoglie istintivamente differenze, disaccordi e diversità. Come sottolinea Timothy Garton Ash, questo è fondamentale.

 “Poche cose sono più importanti per combinare la libertà e la diversità delle interazioni quotidiane in strada, sul posto di lavoro, nel caffè”, dice. “Piccole cortesie si integrano, piccoli allentamenti alienati. In questo senso, ciò che fanno i normali residenti delle città può essere tanto importante quanto qualsiasi cosa fatta dai leader politici e degli affari “.

Per secoli hanno dovuto costruire forme sofisticate di alloggio per sopravvivere. Da Toronto e Kuala Lumpur a Sao Paulo e Singapore, questa idea di coesistenza urbana è intrinseca al loro senso di appartenenza. Come fa notare Timothy Garton Ash.

Questo sentimento di città è un buffer per le nozioni di nazionalismo. Come spiega Ivo Daalder del Chicago Council on Global Affairs, “Viviamo in un mondo non più diviso tra sinistra e destra, liberale e conservatore, ma aperto e chiuso. Le città – e in particolare le grandi città globali – sono l’avanguardia dell’apertura, spingono verso frontiere aperte, mercati aperti, società aperte e menti aperte.

Queste città sono la nostra migliore difesa contro il nazionalismo chiuso e il populismo che infetta le nostre società “.

La città plurale.

Forse non è così sorprendente. Le città sono il crogiolo della politica democratica. Hanno sempre sperimentato tensione e conflitto. Ma sono anche il luogo in cui sono nati virtualmente tutti i movimenti sociali progressisti moderni.

L’architetto del Parlamento Globale dei Sindaci , Benjamin Barber, vede “le nazioni come parrocchiale e meschine – sono avversarie del cambiamento e del progresso – mentre le città sono conservatrici del multiculturalismo , tolleranza e società aperta “.

Più è plurale la città, più è sicura. I populisti costruiscono regolarmente i migranti come una minaccia alla sicurezza. Spronato dal giornalismo sensazionalista, c’è una diffusa convinzione che i migranti commettano più crimini dei locali. Per essere sicuri, dove i servizi per assistere e integrare i migranti sono scarsi, il rischio di reati può aumentare. Ma la realtà è che i migranti hanno meno probabilità di essere coinvolti nella criminalità rispetto ai residenti a lungo termine.

Le città con grandi concentrazioni di residenti nati all’estero tendono ad avere livelli di criminalità più bassi rispetto alle città senza popolazione mista.

Nel Regno Unito, per ogni aumento dell’1% della migrazione, vi è una diminuzione dello 0,4% della criminalità urbana. Nella maggior parte delle città europee, i migranti di prima generazione hanno quasi la metà delle probabilità di commettere reati come migranti di terza generazione.

I migranti hanno anche il doppio delle probabilità di avviare attività commerciali come i loro vicini nativi.

Anche le città stanno iniziando a flettere i muscoli sulla scena internazionale. Ad esempio, il Patto Globale dei Sindaci appena creato promette di espandere notevolmente il peso delle città.

Il Patto prevede di mobilitare oltre 7.100 città da 119 paesi che rappresentano oltre 600 milioni di persone. I firmatari stanno impegnando risorse per raggiungere una società a basse emissioni di carbonio. Molti altri sicuramente seguiranno.

Un’influenza crescente.

Oggi i sindaci sono spesso l’avanguardia del movimento per costruire città più sicure, più vivibili e accoglienti. C’è una buona ragione per cui i leader municipali stanno intensificando la loro diplomazia cittadina e le loro autorità nazionali.

Secondo la C40 , le principali nazioni del mondo hanno solo cinque anni per spostarsi verso un’economia a basse emissioni di carbonio se desiderano evitare l’innalzamento della temperatura globale oltre i 2 ° C. La posta in gioco non potrebbe essere più alta.

Tuttavia, anche quando la scienza sui cambiamenti climatici viene accettata, i politici nazionali si muovono a un ritmo glaciale. Come hanno dimostrato i 200 sindaci che hanno ospitato un summit sul clima durante la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico del 2015, le reti tra le città esercitano una notevole influenza. Barber è fermamente convinto che “la sovranità urbana ei diritti delle città sono la chiave del cambiamento progressivo e della resistenza”.

Le città stanno ri-cablando i circuiti degli affari internazionali. Città diverse come Bangalore, Hong Kong e Londra dipendono dalla migrazione internazionale e interna per prosperare. Il sindaco di Los Angeles, Eric Garcetti, sostiene che “la grande forza delle nostre città sono i migranti e gli immigrati che costituiscono la spina dorsale della loro economia e sicurezza”. Se le città che soffrono delle angosce della globalizzazione stanno rimbalzando più forti di prima .

Città come santuari.

Le città dovranno iniziare a diventare più proattive e prendere la lotta per il populismo. Ciò significa affrontare e sconfiggere le ideologie populiste nella pubblica piazza .

Ciò di cui abbiamo bisogno è un dibattito aperto su migrazione e integrazione, e una forte argomentazione per i benefici (e rischi) del pluralismo.

Secondo Matthew Goodwin dell’Università del Kent , escludere i populisti dal dibattito pubblico può effettivamente spingerli ad adottare posizioni più estremiste.

Un modo promettente per sconfiggere il populismo è attraverso la creazione delle cosiddette “città del santuario”.

Questi sono comuni che sviluppano politiche e programmi pro-migrazione . Mentre non esiste un elenco ufficiale, ci sono circa 300 città simili negli Stati Uniti da soli.

Città come New York e San Francisco hanno raddoppiato il loro impegno nello status di santuario, anche se la nuova amministrazione statunitense sta minacciando di tagliare i fondi federali.

Le città possono anche diventare più proattive nell’integrare i nuovi arrivati. Le 130 città che formano la rete Euro Cities chiedono a gran voce maggiori poteri per rispondere alla crisi dei rifugiati della regione. E mentre politicamente rischiosi, i sindaci da Colonia a Stoccolma stanno facilitando un dibattito pubblico su come gestire l’indurimento degli atteggiamenti nei confronti degli immigrati sulla scia delle aggressioni sessuali.

Al centro della città plurale ci sono strategie che incoraggiano l’interazione e lo scambio tra diversi gruppi di identità. Questo perché un maggiore contatto può ridurre i pregiudizi che alimentano il populismo e aumentano la tolleranza e la resilienza. Le città plurali sono fondamentalmente sensibili ai migranti e arene che moderano sia la creatività che i conflitti.

Il futuro appartiene alle città, non agli stati nazionali. Più della metà del mondo vive già in uno. Ma le città in più rapida crescita in Africa e in Asia – dove arrivano ogni mese 5 milioni di estranei – sono proprio quelle meno preparate. Una delle grandi sfide del 21 ° secolo sarà assicurare che le città di domani siano progettate per essere plurali. Ciò significa costruire intenzionalmente infrastrutture e servizi equi e rispettosi del clima, con il benessere dei nuovi arrivati ​​in mente.

 

 

 

 

Usa, dall’idea Hillary Clinton ,al ticket

Biden-Cheney per il 2024: le boutade dei quotidiani

sono lo specchio del caos che regna tra i Dem Usa.

Ilfattoquotidiano.it- Roberto Festa- (20-1-2022)- ci dice:

La proposta di “Hillary 2024” l’hanno fatta per primi sul Wall Street Journal Doug Schoen e Andrew Stein. Ricordiamo una cosa.

Il quotidiano finanziario è un giornale conservatore e quindi potrebbe trattarsi di un tentativo di destabilizzazione. Ma se si osservano le discussioni sui quotidiani liberal come il Nyt, vi si trovano proposte irrealizzabili come quella di un'alleanza tra il presidente e la figlia del falco repubblicano della "war on terror". Intanto, Biden va a picco nei sondaggi.

(Stati Uniti – Pandemia, inflazione e riforme mancate con vista sulle elezioni di Midterm: nel 2022 Joe Biden si gioca tutto.).

Hillary Clinton candidata alle Presidenziali 2024? Potrebbe sembrare una boutade, e in parte lo è.

La proposta è partita da un editoriale del Wall Street Journal, è stata discussa, ridicolizzata, respinta o considerata. Con ogni probabilità, la cosa non si concretizzerà.

 Ma il solo fatto che a qualcuno possa venire in mente dimostra la confusione e l’assenza di strategia che regnano nel Partito Democratico, soprattutto nel momento più difficile per l’amministrazione di Joe Biden.

Anzitutto, vale la pena di fare un po’ di storia.

 La proposta di “Hillary 2024” l’hanno fatta per primi sul Wall Street Journal Doug Schoen e Andrew Stein. Ricordiamo una cosa. Il quotidiano finanziario è un giornale conservatore. Schoen è un sondaggista che ha lavorato per Michael Bloomberg mentre Stein è l’ex presidente del consiglio comunale di New York City che, alle presidenziali 2016, sostenne, guarda caso, Donald Trump.

Già questo dovrebbe far riflettere sulla serietà e soprattutto sulla neutralità della proposta.

 Tralasciando comunque questo aspetto, vediamo cosa dicono i due. Hillary Clinton, a loro giudizio, sarebbe la candidata perfetta per il 2024 perché: ha esperienza di governo, può essere la candidata del cambiamento, ha espresso la volontà di ricandidarsi. I punti forti della proposta di Schoen e Stein potrebbero essere facilmente confutati. Clinton aveva esperienza di governo anche nel 2016, ma questo non impedì la sua sconfitta contro l’“inesperto”, almeno politicamente, Donald Trump.

Che possa essere la candidata del cambiamento appare difficile.

Nel 2024, l’ex first lady avrà 77 anni. È sulla scena politica nazionale dal 1978 e la sua fisionomia di democratica centrista assomiglia a quella di Joe Biden. Quanto ai segnali che avrebbe mandato per un suo ritorno, si riducono a una recente intervista a Nbc, in cui Clinton spiega che i democratici devono capire come conquistare gli Stati “rossi”, repubblicani. Nel 2017, peraltro, Clinton aveva dichiarato “conclusa” la sua carriera politica attiva.

 

L’articolo del Wall Street Journal è stato comunque letto e commentato. Dick Morris, già consulente di Bill Clinton, ha spiegato che “ci sono buone possibilità” che Hillary possa essere candidata nel 2024, soprattutto “se i democratici dovessero perdere le elezioni di midterm”.

Sulle barricate sono invece saliti i progressisti (liberal Dem Usa), per i quali il ritorno di Clinton corrisponde a un incubo.

“I democratici hanno una storia antica di ritorni in scena da parte di politici, che poi vengono fatti fuori”, ha detto Adam Green del Progressive Campaign Change Committee, citando i casi di Ted Strickland in Ohio, Russ Feingold in Wisconsin, Phil Bredesen in Tennessee e Walter Mondale in Minnesota. Tutti vecchi leoni regolarmente sconfitti al momento di un atteso, sbandierato, deludente rientro in politica.

Chi è forse riuscito a sintetizzare meglio il sentimento che deve aver preso molti democratici alla notizia di una candidatura di Clinton nel 2024 è comunque un giornale, il Boston Herald, che in un editoriale ha scritto: “Abbiamo un messaggio per Hillary Clinton. Non farlo!”.

Il fatto è che la storia della candidatura – e soprattutto la discussione che si è sviluppata successivamente – appaiono un segnale delle difficoltà che il Partito Democratico sta vivendo in questa fase. L’amministrazione Biden ha tradito molte delle promesse fatte in campagna elettorale. Non è passata la riforma dell’immigrazione, non è passata la legge sul controllo delle armi, langue la riforma del welfare, destinati a sicura sconfitta sono i due progetti per il diritto di voto.

Intanto sale l’inflazione, la supply chain mostra problemi seri, la pandemia non è stata arrestata. In queste condizioni, i democratici appaiono destinati a una sconfitta, secondo alcuni storica, alle elezioni di midterm.

Sono tanti i segnali di queste difficoltà. Meglio, di questa crisi. È impopolare, poco amata, la leadership democratica e non si riesce nemmeno a trovare strategie comuni sulle questioni principali che hanno mandato alla Casa Bianca Joe Biden e Kamala Harris.

 Il partito appare spaccato tra moderati e progressisti(Liberal dem Usa). Il passaggio della legge sulle infrastrutture, uno dei pochi risultati tangibili dell’ultimo anno, è stato travagliato da una lotta epica all’interno del partito, con i progressisti che non volevano votarla temendo che i centristi poi non appoggiassero (come è infatti avvenuto) la riforma del welfare.

 In una recente intervista al Guardian, Bernie Sanders ha spiegato che il partito “ha voltato la schiena alla classe lavoratrice”.

I gruppi della società civile appaiono nel migliore dei casi delusi, nel peggiore furibondi, per le tante promesse e gli scarsi risultati.

Soprattutto le comunità afro-americane che hanno contribuito in modo determinante alla vittoria del 2020 mostrano la loro insofferenza per il ritardo con cui questa amministrazione ha abbracciato la difesa del diritto di voto. Un quadro esauriente delle divisioni e dell’assenza di strategia dei democratici lo si può peraltro ritrovare in queste settimane a New York. C’è un sindaco, Eric Adams, pro-business, pro-sviluppo immobiliare, durissimo sulle questioni della sicurezza. E c’è un Consiglio comunale infarcito di progressisti (Liberal dem Usa)che si trovano regolarmente all’opposizione rispetto alle idee del “loro” sindaco.

È dunque naturale che in questo clima possano nascere proposte come quella della candidatura di Clinton per il 2024, che oltre a essere morta in partenza è per l’appunto un segnale del vuoto che domina in casa democratica.

La proposta – minaccia, bufala, auspicio, ballon d’essai, come la si voglia chiamare – di Clinton 2024 non è peraltro sola.

Altre uscite riempiono in questi giorni il dibattito. Sul liberal New York Times, il liberal Thomas Friedman ha proposto per il 2024 un ticket presidenziale Joe Biden-Liz Cheney.

 L’82enne presidente democratico dovrebbe scegliere come propria vice non più Harris, incapace di trovare una propria voce, ma la deputata repubblicana, nemica giurata di Donald Trump.

La ragione di questa accoppiata quanto meno curiosa verrebbe, secondo Friedman, dalla necessità di “salvare il nostro sistema democratico” contro i repubblicani ‘golpisti’ di Trump.

La cosa è ovviamente impossibile. Cheney, figlia del falco della “war on terror” Dick, è sì su posizioni critiche nei confronti di Trump dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio, ma ha regolarmente votato per l’agenda politica dell’ex presidente ed è una tra le voci più solide del movimento conservatore Usa.

Difficile pensare che tutte le differenze tra Biden e Cheney possano essere messe da parte – su immigrazione, sicurezza, welfare – in nome di un “governo di unità nazionale” che non avrebbe peraltro i voti di buona parte dei democratici e di nessuno tra i repubblicani.

 Eppure della proposta si discute sull’organo più importante dell’intellighenzia liberal americana, approfondendo la sensazione ormai molto concreta di caos che si respira a sinistra.

Mentre ci si divide, mentre si ascoltano le cose più assurde, la barca affonda. Un sondaggio Quinnipiac del 10 gennaio mostrava che il 54% degli elettori statunitensi è insoddisfatto di Biden. Mai la popolarità del presidente democratico era scesa così in basso.

 

 

 

 

Claudio Signorile: "Il conflitto ucraino

più pericoloso della Guerra fredda."

Agi.it- Fabio Florindi-(8 aprile 2022)- ci dice :

 

Per l'ex ministro socialista "sarà la fine della globalizzazione per come l'abbiamo conosciuta, ma non esiste il ritorno alle istanze nazionali".

 

AGI - "Una situazione molto più pericolosa" della Guerra fredda, che si tradurrà nella fine della globalizzazione per come l'abbiamo conosciuta. Claudio Signorile, 85 anni, ex ministro socialista ed ex vicesegretario del Psi, ha parlato all'AGI della guerra in Ucraina e delle conseguenze sull'assetto geopolitico mondiale.

C'era molta differenza negli anni più duri della Guerra fredda rispetto a quanto stiamo vivendo oggi?

"Abbiamo vissuto alcuni momenti drammatici, ma oggi è completamente diverso il contesto. Da una condizione bipolare siamo passati a una multipolarità, ci sono gli Stati Uniti e la Russia, ma anche la Cina e l'Unione Europa.

Questa situazione è molto più pericolosa, perché è senza idee, senza strategie e senza controllo. Durante la Guerra fredda c'era un quadro di riferimento e la parola d'ordine era conservarlo, non creare squilibri non controllabili. Ora siamo in mare aperto, non si capisce dove si vuole andare a finire".

Vede una possibile via d'uscita?

"Tutta questa crisi è legata a una esigenza di ridisegno degli equilibri mondiali, che non sono solo economici, ma anche strategici e militari. Dunque sulla ricostruzione di questi equilibri si possono riaprire le trattative.

 La pace è il risultato di una serie di azioni, ma da quello che vedo nessuna trattativa finora ha avuto la serietà di questo obiettivo.

Sono molto preoccupato per la mancanza di una capacità dirigente: quando c'era la Guerra fredda, il bipolarismo obbligava ad avere un obiettivo finale. Qui non mi pare che questa sia la strada.

E' d'accordo con quanti propongono l'aumento delle spese militari?

"L'aumento in sé è una cosa ridicola, l'importante è l'integrazione della filiera delle armi all'interno di una stessa alleanza. Questo fa fare il salto di qualità, avere armi compatibili. Ci deve essere un'integrazione".

Negli ultimi decenni, forse, ci si era illusi che il dualismo Usa-Russia fosse finito con il crollo del comunismo...

"Era una sciocchezza. Questo dualismo non era solo legato all'ideologia, ma anche agli interessi strategici, energetici, economici e militari. La Federazione Russa tende naturalmente a ripercorrere la strada del potere sovietico, ma sa di avere condizioni globali diverse. C'è stata una mediocre lettura dei processi storici, che non ha aperto a un rapporto organico tra Nato e Russia quando si poteva. La classe dirigente occidentale ha pensato di aver vinto la partita, ma partite di questo tipo non si vincono mai definitivamente".

Una delle questioni più urgenti per l'Europa è abbandonare la dipendenza energetica con Mosca. Ci riuscirà?

 

"In una prospettiva di qualche anno l'Europa può sganciarsi dal gas e dalle importazioni di materie prime dalla Russia.

Bisogna cominciare da subito, ci metteremo non meno di 3 anni per la parte che riguarda l'energia fossile, dovremo aiutarci anche con il nuovo nucleare. In ogni caso, questa guerra sarà la fine della globalizzazione per come l'abbiamo conosciuta, ma non esiste il ritorno alle istanze nazionali.

Ci sarà una trasformazione della globalizzazione in alleanze di blocco. L'Europa deve far parte dell'alleanza di blocco atlantica. Non è più globalizzazione, ma non è ritorno al nazionalismo".

 

I motivi della guerra tra Russia e Ucraina,

la storia del conflitto e cosa sta succedendo.

Fanpage.it- Ida Artiaco - (20 -3-2022)- ci dice :

Perché la Russia ha invaso l’Ucraina? Quali sono, in breve, le motivazioni che hanno spinto Putin ad invadere il territorio ucraino lo scorso 24 febbraio? Le cause sono molteplici, ma la principale è l’opposizione di Mosca all’adesione dell’Ucraina alla Nato. Ecco come si è giunti allo scoppio del conflitto.

La guerra tra Russia e Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022 con l'invasione del Paese da parte delle truppe di Putin, continua da oltre un mese nonostante l'avvio dei negoziati di pace tra i due Stati.

Le motivazioni del conflitto, però, non possono essere ascritte solo all'ingresso di Mosca prima in Donbass e poi nel resto del territorio ucraino: le cause della crisi russo-ucraina sono più profonde e affondano le loro radici nella storia passata e recente dei due Paesi.

 La vera causa del conflitto risiede nel fatto che la Russia di Putin si è da sempre mostrata contraria al desiderio dell’Ucraina di entrare a far parte della NATO e, in generale, di avvicinarsi all'influenza statunitense e occidentale.

Mosca si oppone strenuamente a questa possibilità, temendo che i Paesi occidentali, Usa in primis, possano servirsi del territorio ucraino per stabilirvi basi e radar, con nuovi intercettori antimissili, come quelli dispiegati in Romania e in Polonia.

In altre parole, il Cremlino vuole mantenere la sua sfera d’influenza nell’area, e vuole che la NATO rinunci alle sue attività nell’Est Europa.

Ma le cause e gli eventi che hanno portato allo scontro sono molteplici e in questo articolo le riassumeremo tutte in modo completo.

 

Perché l'Ucraina è importante per la Russia di Putin?

L’origine del conflitto tra la Russia e l’Ucraina è da ricercare nel braccio di ferro tra Kiev da un lato, con il presidente Volodymyr Zelensky intenzionato ad entrare nell'orbita di NATO e Ue, e Mosca dall'altro, con il presidente Vladimir Putin, forte dell'appoggio della Cina e dei sudditi ucraini del Donbass delle Repubbliche secessioniste, che lui stesso ha riconosciuto. Ma la situazione è molto più complessa di così.

Prima di andare ad esaminare le cause della crisi tra Russia e Ucraina, bisogna fare un passo indietro e capire come si configura quest'ultima a livello geopolitico. L'Ucraina infatti è un paese eterogeneo per storia, lingua e religione, con sostanziali differenze tra Est e Ovest, a maggioranza cattolica.

Per anni sotto l'orbita sovietica, è diventato indipendente nel 1991, Crimea inclusa. Ma la stabilità politica e sociale è durata pochissimo. Già all'inizio del nuovo Millennio infatti sono emerse faglie profondissime tra i fautori dell'avvicinamento all’Unione Europea e all’Occidente e i sostenitori del legame storico con la Russia, che ha il suo bacino in particolare nelle zone a sud-est, nonché nel Donbass con i due stati separatisti non riconosciuti, e cioè la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Luhansk, dove il russo continua a essere la prima lingua.               La polarizzazione tra Occidente e Oriente è confermata nello scrutinio presidenziale del 2004, ma non è ancora nulla in confronto a quello che accadrà nel 2014.

Quali sono i motivi storici della guerra?

A febbraio del 2014, infatti, il popolo ucraino caccia l'allora presidente filorusso Viktor Yanukovich, instaurando un governo ad interim filoeuropeo non riconosciuto da Mosca.

La risposta di Vladimir Putin non si è fatta attendere, con l'annessione della penisola di Crimea e l'appoggio alla rivolta dei separatisti filorussi nel Donbass, regione nel Sud Est del Paese.

D'altronde il numero uno del Cremlino ha sempre ritenuto che il suo Paese abbia un "diritto storico" sull’Ucraina, sin dai tempi dell'Unione sovietica, come ha scritto apertamente in un lungo articolo pubblicato lo scorso anno, in cui definisce Russia e Ucraina "una nazione". Sempre quell'anno migliaia di persone manifestano anche a Donetsk contro le nuove autorità di Kiev, filo-occidentali. Il 7 aprile, è proclamata la Repubblica popolare di Donetsk.

Appena eletto, il presidente ucraino Pietro Poroschenko lancia un’operazione ‘antiterrorista’ (ATO) per tentare di riprendere le città del Donbass, finite in gran parte in mano ai separatisti. La situazione è convulsa almeno fino al 2015 con la firma degli cosiddetti accordi di Minsk 2, con il quale è stabilito un cessate il fuoco che non è mai stato davvero rispettato. Basti pensare che nell’agosto scorso, l’OSCE contava 1761 esplosioni provocate da bombe di artiglierie e mortai.

Qual è il ruolo della NATO e dell'Occidente?

Intanto, già dal 2008, quindi prima dell'instaurazione del governo filo-occidentale non riconosciuto da Putin, l’Ucraina stava lavorando per entrare nella Nato.                       Ma l’Alleanza atlantica non può accettare nuovi membri già coinvolti in conflitti.

Non solo. Kiev dovrebbe combattere la corruzione e intraprendere un percorso di riforme politiche e militari, dunque ancora adesso l'ingresso nell'Alleanza sembra improbabile.

 Nonostante ciò, Mosca si oppone a questa possibilità – è una delle condizioni poste per la fine delle ostilità – temendo che i Paesi occidentali, Usa in primis, possano servirsi del territorio ucraino per stabilirvi basi e radar, con nuovi intercettori antimissili, come quelli dispiegati in Romania e in Polonia. In altre parole, il Cremlino vuole mantenere la sua sfera d’influenza nell’aerea, e vuole che la Nato rinunci alle sue attività nell’Est Europa.

Cosa sta succedendo in Ucraina?

Per ottenere garanzie scritte dagli occidentali, Mosca sta attuando un dispiegamento di forze fra la Bielorussia, il distretto occidentale a ridosso del confine ucraino e la Crimea, oltre che con la flotta, facendo temere ai più un blocco navale delle coste ucraine, contro Odessa e Mariupol, per far scendere al compromesso il governo guidato dall'ex comico Zelenski, filo-occidentale.                                 Al momento, secondo alcune fonti, al confine con l'Ucraina, per un totale di 2.200 chilometri, sarebbero ammassati oltre 100mila soldati russi, un numero nettamente superiore a quello di Kiev.

Il premier britannico Boris Johnson ha parlato nei giorni scorsi dell’ipotesi di una "guerra lampo" per conquistare la capitale ma il sospetto che molti hanno è che Putin stia di fatto bluffando per alzare la posta con l’Occidente per il suo lungo elenco di richieste che vanno oltre l’Ucraina, come l'annullamento del dispiegamento di truppe nel blocco di Paesi – da quelli baltici ai Balcani, ovvero buona parte dell’Europa orientale – che si sono uniti dopo il 1997.

 Attualmente i negoziati sono in corso, e si valuta la possibilità di un incontro tra Putin e Zelensky, mai avvenuto finora dall'inizio del conflitto, probabilmente in Turchia, con il presidente Erdogan che sta svolgendo un ruolo attivo di mediazione tra i due Paesi.

(fanpage.it/esteri/perche-si-rischia-la-guerra-tra-russia-e-ucraina-le-vere-cause-della-crisi/).

 

 

 

 

 

Guerra Russia-Ucraina, Mosca: “Veicoli Nato e Washington sono obiettivi legittimi”. Sindaco Mariupol: “Qui 20 mila morti”. Truppe russe al confine finlandese. Polemiche Cina-Usa: “Genocidio? Evitare tensioni”. A Kiev i presidenti di Polonia e Baltici.

Lastampa.it-Redazione-  Andrea Margelletti- (13-4-2022)- ci dice :

 

(AGGIORNAMENTI DALL'UCRAINA DI FRANCESCA MANNOCCHI E FRANCESCO SEMPRINI. DIRETTA A CURA DI GIACOMO GALEAZZI, DANIELA LANNI, GIAMPIERO MAGGIO).

Le Chiese chiedono la tregua di Pasqua. Kazakistan: “Pronti a ospitare colloquio Putin-Zelensky”. Colpita stazione ferroviaria. Cremlino: «L’Occidente paga con l’inflazione il rifiuto di cooperare». In arrivo altri 750 milioni di aiuti militari Usa. Zelenski: «Necessario bloccare completamente le banche russe».

 

È il quarantanovesimo giorno di guerra. Si arena il fronte della diplomazia, con il presidente russo Vladimir Putin che parla di «negozianti in un vicolo cieco», sottolinea che il massacro di Bucha è una «falso» e fa sapere «che ci prenderemo il Donbass». L’Ucraina resiste e parla di «offensiva finale già iniziata» proprio nel Donbass, mentre comunica la cattura dell’oligarca ucraino e filo russo Viktor Medvedchuk.

Il presidente Usa Joe Biden ieri ha evocato per la prima volta la parola “genocidio” riferendosi a Putin, e, oggi, Macron ha replicato: «Starei attento con le parole». Intanto gli usa hanno promesso l’invio in Ucraina di altri 700 milioni di dollari. E Zelensky, intanto, teme un attacco con armi chimiche.

Il punto di Andrea Margelletti – “Putin non si fermerà, vuole cambiare l’assetto del mondo”.

17 – Zelensky: senza nuove armi bagno di sangue.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha pubblicato un nuovo video in cui avverte che la guerra diventerà «un bagno di sangue senza fine, diffondendo miseria, sofferenza e distruzione» se non verranno fornite nuove armi a Kiev. Parlando in inglese, Zelensky ha dichiarato che l'Ucraina si e' difesa dalla Russia «molto più a lungo di quanto pianificassero gli invasori ma che la Russia ha ancora la capacità di attaccare non solo l'Ucraina». «Polonia, Moldova, Romania e Stati baltici diventeranno i prossimi obiettivi se la libertà dell'Ucraina cade», ha aggiunto il presidente ucraino, chiedendo più armi per «salvare milioni di ucraini e milioni di europei». «Abbiamo bisogno di artiglieria pesante, veicoli corazzati, sistemi di difesa aerea e aerei da combattimento», ha detto Zelensky, «la libertà deve essere armata meglio della tirannia».

16.32- Zakharova, Kiev lavora a nuove provocazioni

16.26- Cipro revoca la cittadinanza a 21 russi.

Cipro ha revocato la cittadinanza cipriota a 21 russi, secondo il quotidiano cipriota Phileleftheros che cita fonti governative. Quattro oligarchi inclusi nella lista dei sanzionati dall'Ue sono tra le persone colpite dalla revoca. Anche i loro figli e le loro mogli si sono visti revocare i passaporti, per un totale di 21 persone. I quattro avevano ottenuto la cittadinanza cipriota tra il 2013 e il 2019, secondo il quotidiano, che pubblica foto e nomi dei quattro. Tra loro figura Aleksander Ponomarenko, presidente della società che gestisce l'aeroporto internazionale di Sheremetyevo, nei pressi di Mosca.

16.26 -Oms, 50 giorni di guerra, 4,6 milioni di rifugiati.

«Domani ricorrono 50 giorni dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia». Un periodo durante il quale «4,6 milioni di rifugiati hanno lasciato il Paese» colpito dalla guerra, «migliaia di civili sono morti, inclusi bambini», e «ci sono stati 119 attacchi verificati all'assistenza sanitaria. I servizi sanitari continuano a essere gravemente interrotti». Lo ha sottolineato il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante una conferenza stampa Oms di aggiornamento sul conflitto, su Covid-19 e su altre tematiche sanitarie.

16.33 – Papa, aggressione armata è oltraggio a Dio.

«L’aggressione armata di questi giorni, come ogni guerra, rappresenta un oltraggio a Dio, un tradimento blasfemo del Signore della Pasqua». Parole dure e chiare quelle di Papa Francesco nell'Udienza generale del mercoledì nella settimana che porta alla Santa Pasqua. Il dolore per la guerra e per le armi che continuano a mietere vittime in Ucraina torna nelle parole del Santo Padre che dedica diversi passaggi al conflitto in corso tra Kiev e Mosca.

16.23 – Zelensky: “Putin rafforza esercito per colpire più forte Kharkiv e Donbass”.

«Putin e il suo esercito stanno cambiando strategia: stanno aumentando le loro forze per colpire ancora più forte su Kharkiv e su tutto il Donbass, Mariupol inclusa». Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nell'ultimo video pubblicato sui social.

16.22 – Peskov: “Inaccettabili dichiarazioni Biden su genocidio”.

Il Cremlino definisce «inaccettabili» le dichiarazioni del presidente americano Joe Biden, secondo cui in Ucraina sarebbe in corso un “genocidio”. «Siamo fortemente in disaccordo con loro. Consideriamo inaccettabili i tentativi di stravolgere la situazione in questo modo – ha detto il portavoce Dmitry Peskov – Inoltre, questo è difficilmente accettabile da parte per il presidente degli Stati Uniti, un paese le cui azioni nella storia recente sono ben note».

16.21 – Zelensky: “Non ci davano più di una settimana, invece siamo solo al primo round”.

«Molti esperti prevedevano che l'Ucraina non avrebbe resistito più di una settimana se la Russia ci avesse invasi. Ma noi siamo riusciti a fermarli e allontanarli. La guerra non è ancora finita. Questo è stato solo il primo round». Lo afferma, in un video pubblicato sul suo canale Telegram, il premier dell'Ucraina Volodymyr Zelensky.

16.17 – Media, nuove armi Usa a Kiev includono artiglieria pesante.  Fonti congresso: “Ci saranno obici”.

Nel nuovo pacchetto di aiuti militari all'Ucraina, che l'amministrazione Biden si appresta ad annunciare, ci saranno anche sistemi di artiglieria pesante da terra come gli obici, armi che possono colpire fino a 70 km di distanza. Lo riferisce alla Reuters una fonte del Congresso americano.

16.16 – Russia: “Veicoli Nato e Usa sono obiettivi legittimi”.

«I veicoli americani e della Nato che trasportano armi nel territorio ucraino saranno considerati da noi obiettivi legittimi». Lo ha detto il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov citato dall'agenzia di stampa Tass.

16.15 – Vicepremier Ucraina a Senato, aiutateci a fermare genocidio.

«Se il mondo non interviene, la Russia non si fermerà. Il sangue dei civili ucraini deve smettere di scorrere». Lo ha detto Olga Stefanishyna, vice primo ministro dell'Ucraina, intervenendo in collegamento video con le commissioni Diritti umani e Contro l'odio del Senato. L'esponente del governo di Kiev ha parlato degli orrori commessi dall'esercito russo contro i civili in queste settimane di guerra. «Ogni giorno emergono dettagli sempre più orribili. Torture, sepolture di massa, violenze sessuali, brutalità commesse davanti ai bambini, minori stuprati. Si sta rivelando la vera faccia dell'esercito russo, di ogni singolo soldato. Queste atrocità avvengono in tutto il territorio occupato, non solo a Bucha. Ci sono decine di paesi dove la gente è stata fucilata in strada. Abbiamo visto missili contro ospedali e asili nido. Mariupol non esiste più», ha poi affermato.

16.12 – Yellen: “A rischio integrazione economica Cina”.

La posizione della Cina nel conflitto ucraino ne mette a rischio l'integrazione nell'economia mondiale. Lo ha dichiarato il segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, in un discorso all'Atlantic Council. «L'attitudine del mondo nei confronti della Cina e la sua volontà di perseguire un'ulteriore integrazione economica potrebbe essere decisamente colpita dalla reazione cinese al nostro appello per un'azione risoluta contro la Russia», ha detto Yellen.

16.11 – Shevchuk denuncia l'uso di bombe a grappolo a Kharkiv.

Bombe a grappolo sulla città di Kharkiv e i «crimini terribili di violenza sessuale». Lo denuncia nel consueto videomessaggio da Kiev, l'arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, nel 49esimo giorno di guerra in Ucraina. «Gli occupanti russi bombardano appositamente le vie che servono per evacuare le persone civili. Così stamattina è stata distrutta la stazione ferroviaria nella parte centrale dell'Ucraina. Si tratta di quegli snodi in cui cerchiamo di aiutare la gente a lasciare i luoghi dei combattimenti», aggiunge Shevchuk.

16.10 – Pentagono incontra produttori armi per discutere come sostenere Kiev.

Il Pentagono ha convocato oggi una riunione con i principali produttori di armamenti negli Stati Uniti per discutere la capacità di garantire forniture militari all'Ucraina nella guerra che si prevede lunga con la Russia. Lo rivela la Cnn precisando che la riunione, che sarà classificata, sarà presieduta dalla vice segretario alla Difesa, Kathleen Hicks. Vi parteciperanno rappresentanti di Boeing, L3Harris, Raytheon, BAE, Lockheed Martin, Huntington Ingalls, General Dynamics e Northrop Grumman. Nell'agenda le forniture all'Ucraina, ed insieme garantire che vengano sostituite negli arsenali di Usa ed alleati le armi inviate a Kiev. Per quanto riguarda l'Ucraina si valuteranno sia le esigenze immediate, sia quelle a lungo termine, in un arco di tempo tra i due e quattro anni. Gli Stati Uniti hanno autorizzato oltre 2,4 miliardi di aiuti militari a Kiev dall'inizio dell'amministrazione Biden, dei quali 1,7 miliardi dopo l'inizio dell'invasione russa il 24 febbraio scorso. Ed oggi è atteso l'annuncio da parte di Washington dell'invio a Kiev di materiale bellico per diverse centinaia di milioni di dollari.

16.09 – Yellen: “Chi ostacola sanzioni subirà conseguenze”.

Chi ostacola le sanzioni occidentali contro la Russia e non condanna la sua «bieca guerra» all'Ucraina si dimostra poco lungimirante e pagherà le conseguenze della sua posizione. Lo ha dichiarato il segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, a una conferenza dell'Atlantic Council. Yellen non ha nominato nessun Paese specifico ma il principale destinatario del monito sembra la Cina.

16.07 – Le Pen: “Riavvicinare Nato e Russia dopo fine della guerra”.

La candidata del Rassemblement National alle elezioni presidenziali francesi, Marine Le Pen, spinge per un «riavvicinamento strategico tra la Nato e la Russia non appena la guerra russo-ucraina sarà conclusa e risolta da un trattato di pace». Presentando il suo progetto diplomatico a Parigi, la sfidante di Emmanuel Macron nel ballottaggio del 24 aprile ha detto che questo «è nell'interesse della Francia e dell'Europa, ma credo anche degli Stati Uniti che non hanno alcun interesse nel vedere emergere una stretta unione tra Cina e Russia».

15.53 – Missione Ue indagherà su crimini di guerra.

Il Consiglio Ue ha modificato il mandato della missione per la riforma del settore della sicurezza civile in Ucraina (Euam Ukraine), che ora potrà aiutare le autorità ucraine ad indagare sui crimini di guerra commessi nel contesto dell'invasione russa. Euam Ukraine, specifica il Consiglio, fornirà consulenza e addestramento e potrà dare fondi ed equipaggiamento alle autorità di Kiev. La missione coopererà con la Corte Penale Internazionale, con Eurojust e con gli Stati membri, sostenendo le indagini sui crimini di guerra commessi in Ucraina.

14.36 – Zelenski: bloccare banche russe.

«Invito l'Estonia a difendere la necessità di un completo blocco delle banche russe quando approva un nuovo e molto importante pacchetto di sanzioni contro la Federazione russa a livello di Unione europea. Tutte le banche, non solo una parte». Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel corso di un collegamento video con il Parlamento estone. «E vi esorto - ha aggiunto - ad aggiungere finalmente il petrolio al pacchetto di sanzioni. E' necessario un embargo a livello dell'intera Unione europea».

14.22 - Arrivati a Kiev i presidenti di Polonia e Baltici.

I presidenti di Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia sono arrivati a Kiev in treno. Lo ha riferito l'ambasciata estone in Ucraina su Twitter. I leader hanno in programma di incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky

14.20 – Cina a Biden: “Genocidio? evitare nuove tensioni. Ogni sforzo internazionale dovrebbe spingere a soluzione crisi”.

La Cina «ha sempre sostenuto che sull'Ucraina la massima priorità per tutte le parti interessate è mantenere la calma e la moderazione, cessare il fuoco e fermare la guerra il prima possibile, evitando una crisi umanitaria su larga scala». E' la risposta del portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian a una domanda sulle accuse di genocidio del presidente Usa Joe Biden alla Russia con l'aggressione all'Ucraina. "Qualsiasi sforzo della comunità internazionale dovrebbe raffreddare la tensione, non alimentarla, e dovrebbe spingere per una soluzione diplomatica, non aggravare ulteriormente gli scenari", ha aggiunto Zhao.

14.15 – Mosca: “Freneremo i tentativi Usa di rallentare nostra operazione”. Lo afferma il viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov.

I tentativi da parte degli Stati Uniti e di altri Paesi occidentali di rallentare l'operazione speciale russa in Ucraina saranno frenati: lo ha detto alla Tass il viceministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov. «Stiamo anche dicendo chiaramente agli americani e ad altri (Paesi) occidentali che tentano di rallentare la nostra operazione speciale e infliggere il maggior danno possibile alle unità russe e alle unità di DPR (Repubblica popolare di Donetsk, ndr) ed LPR (Repubblica popolare di Lugansk, ndr) che saranno frenati in modo duro», ha detto Ryabkov.

14.09 – Mosca: “Russia non ha armi chimiche”.

«La Russia non ha armi chimiche»: così la presidente del Consiglio della Federazione Russa, Valentina Matviyenko, ha respinto le accuse secondo cui la Russia potrebbe avere usato armi chimiche in Ucraina, secondo quanto riportato a Interfax. «La Russia non ha armi chimiche. La Russia ha adempiuto ai suoi obblighi nel 2017, abbiamo completamente smaltito le armi chimiche», ha detto Matviyenko rispondendo alla richiesta di un commento sulle accuse relative a un utilizzo di armi chimiche in Ucraina.

14.02 – Mosca, mezzi Usa e Nato con armi in Ucraina obiettivi legittimi. Lo ribadisce il viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov.

La Russia considera i veicoli statunitensi e della Nato che trasportano armi e munizioni attraverso il territorio dell'Ucraina come obiettivi militari legittimi: lo ha detto alla Tass il viceministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov. «Avvisiamo che i mezzi di trasporto Usa-Nato che trasportano munizioni e armi attraverso il territorio dell'Ucraina saranno visti da noi come obiettivi militari legittimi», ha affermato Ryabkov.

14.01 – In Italia 91.846 profughi di cui 34mila minori.

Sono 91.846 le persone arrivate finora in Italia: 47.499 donne, 10.368 uomini e 33.979 minori. Rispetto a ieri l'incremento è di 709 ingressi nel territorio nazionale, le destinazioni principali sono Milano, Roma, Napoli e Bologna. A renderlo noto è il Viminale.

13.56 – Sindaco Mariupol: “Armi chimiche? Stiamo raccogliendo prove”.

«Stiamo raccogliendo prove» dell'uso di armi chimiche da parte delle forze russe in Ucraina. «I nostri esperti le stanno esaminando, anche se non sarà facile». Lo ha assicurato il sindaco di Mariupol Vadym Boichenko.

13.55 – Di Maio: “Risposta ferma ad aggressione russa”.

«Il governo, con la Farnesina in prima linea, è impegnato con i suoi partner e alleati a fornire una risposta ferma e coesa all'ingiustificata aggressione russa, ad assicurare sostegno all'Ucraina e alla sua popolazione e al contempo a mitigare le conseguenze sulle famiglie e imprese italiane». Lo ha affermato il ministro degli Esteri, Luigi Di miao, nel messaggio indirizzato al convegno sui marchi storici italiani a Palazzo Massimo. «L'impegno incessante della Farnesina si è tradotto in misure concrete – ha spiegato il ministro – anzitutto con l'istituzione di una unità di crisi per le imprese italiane che si prefigge di raccogliere le loro esigenze e assicurare loro assistenza per le ripercussioni del confitto a cui sono esposte».

13.54 – Sindaco di Maripol: “20 mila morti in città. Genocidio.”

«Secondo le nostre stime sono ventimila le persone morte a causa dei bombardamenti russi», ha detto il sindaco di Mariupol, Vadym Boichenko in un discorso televisivo, parlando di «genocidio da parte della Federazione russa contro la nostra città e il nostro Paese». E ha aggiunto: «Il 90% degli edifici di Mariupol sono stati ridotti in macerie, è stato colpito l'ospedale, sono state distrutte le scuole. Sono i crimini di guerra atroci di Putin . Ma la città sarà per sempre ucraina».

13.46 – Ordinario militare: “No al pacifismo vuoto”.

«In questo tempo in cui la guerra continua a crocifiggere Cristo, la risposta non sta nel pacifismo vuoto, superficiale, irreale, ma nel lasciare che l'amore raggiunga i cuori umani, per trasformare le lance in falci, la vendetta in perdono, l'odio in amore, la guerra in pace», dice l'Ordinario militare, monsignor Santo Marcianò ai cappellani militari. «Di questo amore, anche i militari sono e devono essere strumento», ha ammonito il vescovo.

13.43 – Evacuate 300 persone da Luhansk anche senza corridoi.

«Nonostante l'assenza dei corridoi verdi per oggi, siamo riusciti ad evacuare più di 300 persone dalla regione di Luhansk», riferisce Serhii Haidai, governatore della regione di Luhansk.

13.40 – Ue sostiene indagini su crimini di guerra e scomparsi.

La commissione Ue annuncia disposizioni legali e supporto finanziario per le indagini sulle «atrocità commesse in Ucraina contro la società civile». Inoltre l’Ue stanzia 7,5 milioni di euro per garantire la raccolta di dati sulle persone disperse e scomparse.

13.35 – Papa: «La pace non è frutto di compromesso”

Scrive papa Francesco su Twitter: «La Pace del Signore segue la via della mitezza e della croce: è prendersi la responsabilità degli altri. Cristo ha preso su di sé il nostro male, il peccato e la morte. In questo modo ci ha liberato. La sua pace non è il frutto di qualche compromesso, ma nasce dal dono di sé».

 

Così le banche stanno guadagnando miliardi con la guerra in Ucraina.

13.24 – Scontro diplomatico Russia-Colombia.

Il presidente colombiano Iván Duque respinge le critiche del rappresentante russo all’Onu sull’ sull'andamento dell'accordo di pace in Colombia. «Paesi che distruggono infrastrutture e ospedali e commettono stragi non possono avere l'autorità morale per parlare al mondo di pace».

13.07 – Vicesindaco Dnipro, “1.500 cadaveri russi negli obitori”.

«Negli obitori della città di Dnipro ci sono oltre 1.500 cadaveri di soldati russi che nessuno ha reclamato», afferma il vicesindaco Mykhailo Lysenko.

Mariupol, lo scontro nell'acciaieria Azovstal tra ceceni e il battaglione Azov: così i mercenari di Putin al grido di "Allah Akbar" cercano di stanare gli ucraini.

13.02 – Appello della Chiese europee a Putin e Zelensky.

Le Chiese europee chiedono una tregua per Pasqua alle autorità russe e ucraine. II presidenti della Conferenza delle Chiese europee e della Comece, la Commissione dei vescovi cattolici europei hanno inviato una lettera al presidente russo Vladimir Putin e a quello ucraino Volodymyr Zelensky per chiedere «rispettosamente un cessate il fuoco in Ucraina dalla mezzanotte del 17 aprile fino alla mezzanotte del 25». Per «dare ai cristiani in Russia e Ucraina, sorelle e fratelli in Cristo, l'occasione per celebrare la Pasqua in pace e dignità».

12.48 – Londra amplia lista russi sanzionati, altri 206 colpiti.

Il Regno Unito ha ampliato la lista di entità e individui russi sanzionati aggiungendone altri 206. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri di Londra. Tra i nuovi sanzionati dalla Gran Bretagna vi è anche Viktor Medvedchuk, l'oligarca ucraino filo-russo catturato dai servizi segreti ucraini. E’ tra coloro che ha visto congelati i suoi beni, come pure il magnate del petrolio e capo della società  energetica Lukoil, Vagit Alekperov.

12.40 – Arcivescovo di Mosca: “Diffidenza russi-ucraini”.

La Pasqua del 2022 si celebra nel contesto di una guerra fratricida e l’arcivescovo cattolico di Mosca, monsignor Paolo Pezzi registra tra i fedeli «un'improvvisa diffidenza solo perché si appartiene a popoli diversi». Sì della diocesi alla “Carovana della pace" promossa dai pacifisti italiani a favore dei profughi: «E’ importante ogni iniziativa che tende ad accogliere questi reali poveri del mondo e cerca anche di aiutarli a ritornare a casa. La guerra mostra l'umiliazione della politica e dell'economia, usate per sottomettere e non per fare crescere».

12.37 – Sono 26.653 i bambini nati in Ucraina sotto le bombe.

Dall'inizio del conflitto sono 26.653 i bambini nati in Ucraina sotto alle bombe, nei bunker e nelle metropolitane, per lo più nelle regioni di Lviv, Dnipropetrovsk, Odessa, Vinnytsia, Zakarpattya e Ivano-Frakvisk. A renderlo noto è il ministero della Giustizia.

12.32 – Colpita stazione ferroviaria nel centro del Paese.

«Le forze russe hanno attaccato una stazione ferroviaria nell'Ucraina centrale», ha riferito il presidente delle Ferrovie ucraine (Ukrzaliznytsia), Oleksandr Kamyshin. Kamyshin non ha precisato il nome della città in cui si trova la stazione colpita, ma ha detto che nessuno dei dipendenti delle ferrovie e dei passeggeri è rimasto ferito. Sono stati cambiati i percorsi e gli orari di 17 treni passeggeri.

12.29 – Artificieri bonificano il territorio di Snov (Cernihiv) .

Gli artificieri sono al lavoro a Snov, nella regione di Cernihiv, per bonificare il territorio. I media locali riportano l'appello ai residenti del governatore del distretto, Ivan Ivaschenko, affinché restino calmi in caso dovessero sentire esplosioni.

12.20 – Mezzi militari russi al confine con Finlandia.

Veicoli militari russi sono stati visti vicino al confine con la Finlandia. Un video mostra lo spostamento di attrezzature militari, compresi i sistemi di difesa costiera, al confine tra Russia e Finlandia, in un apparente avvertimento proprio mentre il dibattito sull'adesione alla Nato continua a crescere nel Paese nordico. Il primo ministro Sanna Marin annuncia che l’adesione sarà discussa «nelle prossime settimane», dopo l'invasione dell'Ucraina da parte di Vladimir Putin.

12.13 – Ad Ankara, Ucraina ed Ue al centro degli incontri .

Il segretario generale della Farnesina, Ettore Sequi ha partecipato ad Ankara ad una sessione di consultazioni con il vice ministro agli Affari Esteri turco, Sedat Onal. Al centro dell'incontro gli sviluppi della crisi ucraina e diversi focus su temi regionali. La Turchia ha rilanciato la propria candidatura ad entrare nell'Unione Europea.

12.08 – Alle sanzioni Mosca risponde con “sviluppo dell’Artico”.

«Di fronte alla pressione delle sanzioni, la Russia deve prestare particolare attenzione a progetti e piani relativi allo sviluppo della zona artica», sostiene  Vladimir Putin. In un incontro sullo sviluppo dell'Artico il presidente russo spiega: «Centinaia di nostri cittadini vivono e lavorano nei territori artici e praticamente tutte le aree della sicurezza nazionale del nostro Paese sono concentrate».

12.01 – Putin: “L’Occidente paga il rifiuto della cooperazione.”

«Il rifiuto di alcuni Paesi occidentali a cooperare normalmente» con la Russia, «incluso nella sfera energetica, ha già colpito gli europei e gli Usa», afferma il presidente russo Vladimir Putin, sottolineando che ora «l'inflazione aumenta».

11.57- Kazakistan: “Pronti a ospitare colloquio Putin-Zelensky.

«Il presidente Tokayev ha già proposto il Kazakistan come mediatore a tutti e due i presidenti, Putin e Zelensky, e siamo prontissimi ad accogliere i due leader per un incontro nel nostro territorio. Credo che l'incontro si possa tenere», ha detto l'ambasciatore del Kazakistan in Italia, Yerbolat Sembayev in un briefing con la stampa.

11.56 – Tensioni Cina-Usa.

La Cina «ha sempre sostenuto che sull'Ucraina la massima priorità per tutte le parti interessate è mantenere la calma e la moderazione, cessare il fuoco e fermare la guerra il prima possibile, evitando una crisi umanitaria su larga scala». E' la risposta del portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian a una domanda sulle accuse di genocidio del presidente Usa Joe Biden alla Russia con l'aggressione all'Ucraina. «Qualsiasi sforzo della comunità internazionale dovrebbe raffreddare la tensione, non alimentarla, e dovrebbe spingere per una soluzione diplomatica, non aggravare ulteriormente gli scenari», ha aggiunto Zhao.

11.50 – Consigliere Zelensky: venga Scholz a parlare di armi.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, prende le sue decisioni in modo sempre «molto ponderato»: è quello che ha affermato il suo consigliere Oleksiy Arestovych, che stamattina al Morgenmagazin del canale tv ARD, ha risposto a una domanda sul rifiuto di Kiev della visita del presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. «Credo che l'argomento principale fosse che Zelensky voglia incontrare il cancelliere Olaf Scholz, per parlare con lui di questioni pratiche, inclusa la consegna delle armi». Arestovych ha poi spiegato che l'offensiva russa si concentra sull'est del paese e che il destino di Mariupol «dipende dalla consegna di armi dalla Germania».

11.44 – Turchia: “Nostre navi pronte per evacuazione Mariupol”

«La Turchia mette a disposizione navi per l'evacuazione di persone da Mariupol e resta in attesa di una risposta positiva». Lo rende noto il ministero della Difesa di Ankara citato dalla Tass.

11.20 – Kiev, Mosca ha ordinato distruzione prove crimini esercito.

«La leadership russa ha ordinato la distruzione di qualsiasi prova dei crimini del suo esercito in Ucraina»: lo affermano in un tweet i servizi di intelligence della Difesa ucraina.

11.03 – Lukashenko: “Unità con Mosca, ma non  unificazione”.

Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko esclude  un'eventuale «unificazione» del suo Paese con la Russia, sostenendo che questa strategia corrisponde a «vecchi metodi». Il principale alleato del presidente russo Vladimir Putin nella regione, difende «l'unità» di Minsk e Mosca, ma sulla base di «due Stati indipendenti». In un incontro svoltosi a Vladivostok con le autorità della regione di Primorye, il presidente bielorusso ha affermato che entrambi i Paesi formano una «patria comune, da Brest a Vladivostok».

10.58 – Delegazione Pse: “Fare di tutto per i profughi”.

Persone che scappano per salvarsi la vita, donne e bambini traumatizzati e il costante bisogno di aiutare coloro che fuggono dalla guerra in Ucraina: questo è ciò che i rappresentanti del Pse hanno visto oggi al confine polacco-ucraino. La delegazione del Pse ha visitato il posto di blocco al confine di Medyka, un punto di passaggio utilizzato da una parte significativa dei 2,5 milioni di rifugiati ucraini che sono entrati in Polonia.

10.54 – I crimini sui cui indaga la Corte penale internazionale .

Né la Russia né l'Ucraina sono parti della Cpi (Corte penale internazionale), ma Kiev ha accettato la giurisdizione della Corte per i crimini commessi sul suo territorio a partire dall'invasione russa della Crimea nel 2014. Sotto osservazione I crimini di guerra, cioè gravi violazioni del diritto internazionale commesse contro civili e combattenti durante i conflitti armati. Tra cui uccisioni, torture, stupri e presa di ostaggi, nonché attacchi a missioni umanitarie.  

10.28 – Unicef: “3  milioni di bambini da soccorrere in Ucraina”.

Allarme del direttore dei programmi d'emergenza dell'Unicef Manuel Fontaine: «Dopo sei settimane la guerra continua a essere un incubo per i bambini dell'Ucraina - sia per quelli che sono fuggiti che per quelli che rimangono all'interno del paese. Dopo sei settimane, quasi 3 milioni di bambini in Ucraina hanno bisogno di assistenza umanitaria. Più di 4,5 milioni di persone, oltre il 90% delle quali sono donne e bambini, hanno attraversato i paesi vicini come rifugiati e l'Oim stima che 7,1 milioni di persone siano ora sfollati interni e che più del 50% delle famiglie sfollate abbiano bambini».

10.12 – Il 57% del tedeschi contro l’embargo del gas russo.

Secondo l’istituto demoscopico Allensbach, il 57% dei tedeschi ritiene necessario continuare a comprare il gas da Mosca per garantire la sicurezza energetica ed evitare l'aumento dei prezzi. E solo il 30% è favorevole a un embargo totale sui combustibili. Nel sondaggio si chiedeva anche di valutare l'affermazione dell'ex presidente Joachim Gauck convinto che i tedeschi potrebbero «soffrire il freddo»: il 59% ha detto di non condividerla e solo il 24% è d'accordo.

10.06 – Russia e Cina, "inammissibile politicizzare lo sport.”

Russia e Cina, attraverso i loro Comitati olimpici nazionali, definiscono «inammissibile politicizzare lo sport».

Mosca ha informato Pechino dell'esclusione di squadre e atleti russi a livello internazionale a seguito dell'intervento in Ucraina, ha avviato il processo per consentire agli atleti russi di allenarsi in Cina e di allestire eventi sportivi internazionali in territorio russo con altre nazioni (Bielorussia, Armenia e Kazakistan). Gli allenamenti ed eventi sportivi congiunti con la Cina rientrano nel progetto “Anno degli scambi sportivi Cina-Russia 2022-2023”.

 

9.55 – Kiev, morti 19.800 soldati russi dall’inizio della guerra

Secondo le stime delle forze armate ucraine, dall'inizio della guerra sono morti circa 19.800 soldati russi. Mosca avrebbe perso inoltre 158 aerei, 143 elicotteri, 739 carri armati, 116 lanciarazzi multipli.

9.52 – Forze armate ucraine smentiscono la resa di Mariuopol.

Kiev smentisce l'annuncio russo sulla resa, a Mariupol, di oltre mille soldati della 36esima Brigata della fanteria di Marina. «A Mariupol, le unità della 36° Brigata, a seguito di una rischiosa operazione si sono uniti al Battaglione Azov, che ha contribuito a questa manovra», ha scritto su Twitter Oleksiy Arestovich, consigliere della presidenza ucraina. «Questo è ciò che accade quando gli ufficiali non perdono la testa, ma mantengono saldamente il comando e il controllo delle truppe. Non perdiamoci», aggiunge.

9.44 – Cresce l’interscambio Cina-Russia a marzo, +12,7%.

Aumenta  l'interscambio tra Cina e Russia nel mese di marzo, il primo dopo l'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina e segnato dall'imposizione delle sanzioni internazionali a Mosca. Secondo i dati dell'amministrazione generale delle Dogane cinesi, il volume è cresciuto del 12,76% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, a quota 11,67 miliardi di dollari.

9.37 – Russia a Usa, basta "disinformazione" su armi chimiche.

La Russia sostiene che le affermazioni di Stati Uniti e Ucraina secondo cui Mosca potrebbe usare armi chimiche in Ucraina sono «disinformazione» perché Mosca ha distrutto le sue ultime scorte chimiche nel 2017. E aggiunge, attraverso l'ambasciata a Washington, che gli estremisti ucraini puntano a organizzare provocazioni proprio con le armi chimiche. «Chiediamo a Washington di smettere di diffondere disinformazione. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, si è distinto ancora una volta per le sue parole insulse, non corroborati da una sola prova».

9.15 – Macron evita le accuse genocidio. "Non aiutano la pace" .

Il presidente francese, Emmanuel Macron evita di parlare di genocidio commesso dai russi in Ucraina, a differenza di quanto fatto dall'omologo americano, Joe Biden, ma insiste  sul fatto che l'esercito di Mosca ha commesso «crimini di guerra». Secondo il capo dell'Eliseo, un'escalation verbale non contribuisce all'obiettivo di fermare la guerra e cercare il pace.

9.01 – Kadyrov: “Mille marine ucraini si arrendono a Mariupol.”

Oltre 1.000 marine ucraini, «centinaia» dei quali sono feriti, si sono arresi a Mariupol, scrive  sul suo canale Telegram il leader ceceno Ramzan Kadyrov, fedelissimo del presidente russo Vladimir Putin. La loro decisione di arrendersi è «una scelta giusta», commenta Kadyrov.

8.54 – 191 bambini morti e 349 feriti dall’inizio della guerra.

Sono 191 i bambini morti e 349 quelli feriti dall'inizio della guerra in Ucraina. L'Ufficio del procuratore generale su Telegram riferisce che i dati non sono definitivi in quanto i lavori sono ancora in corso nei luoghi delle ostilità. Il maggior numero di vittime si registra nelle regioni di Donetsk, Kiev e Kharkiv.

8.51 – Di Maio: “Paghiamo il costo della guerra di Putin”.

Secondo il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio «stiamo pagando il prezzo della guerra di Putin, non delle sanzioni». E intervenendo a Radio Anch'io all'indomani delle parole di Vladimir Putin, aggiunge: «Il punto fondamentale su cui bisogna lavorare è la diplomazia e proprio quando le parti si rifiutano di lavorare a una soluzione di pace diplomatica bisogna accelerare sulla diplomazia. Sicuramente l'Unione Europea, noi lo stiamo chiedendo, si deve fare promotrice di una conferenza di pace».

8.47 – Sindaco Mariupol: “In 100mila chiedono evacuazione”.

«A Mariupol ci sono 100 mila persone che chiedono di essere evacuate dalla città», riferisce il sindaco della città portuale ucraina assediata Vadym Boichenko.

8.35 – Kiev: “Oggi impossibile aprire corridoi umanitari".

Il vice primo ministro ucraino Iryna Vereshchuk in un messaggio su Telegram afferma che «oggi non è stato possibile aprire alcun corridoio umanitario». E accusa le forze di occupazione russe di violare il cessate il fuoco e di bloccare gli autobus che evacuano i civili. Le autorità ucraine sono al lavoro per riaprire i corridoi umanitari «il più presto possibile».

 

8.23 – Papa: “Ucraina aggredita, no al riarmo”.

«La guerra è un sacrilegio, L'Ucraina è stata aggredita e invasa- afferma Papa Francesco nell'introduzione al saggio “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace”- E nel conflitto ad essere colpiti sono purtroppo tanti civili innocenti. La guerra non è la soluzione. E’una pazzia, un mostro, un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto».

8.18 – A Kiev i presidenti della Polonia e dei paesi baltici.

I presidenti di Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia sono diretti a Kiev per incontrare Volodymy Zelensky. Secondo Jakub Kumoch, consigliere del leader polacco, «portano un messaggio forte di sostegno politico e assistenza militare». Su Twitter il presidente della Lituania, Gitanas Nauseda, assicurando che « continuerà a sostenere la battaglia dell'Ucraina per la sua sovranità e libertà».

8.12 – Fondo d’emergenza Usa per le armi all’Ucraina.

L'amministrazione Usa destinerà altri 750 milioni di dollari di aiuti militari all'Ucraina. La fornitura sarà finanziata utilizzando la “Presidential Drawdown Authority”, uno strumento con il quale la Casa Bianca, se c’è un’emergenza, può autorizzare il trasferimento di articoli e servizi prelevati dalle riserve statunitensi senza l'approvazione del Congresso.

7.30 – Gb: generale Dvornikov tentativo di Mosca di centralizzare il comando e il controllo.

«La nomina da parte della Russia del generale dell'esercito Alexander Dvornikov» alla guida dell’offensiva russa «rappresenta un tentativo di centralizzare il comando e il controllo. L'incapacità di coordinare l'attività militare ha ostacolato l'invasione della Russia fino ad oggi». Lo afferma l'ultimo rapporto dell'intelligence britannica sull'andamento della guerra in Ucraina , pubblicato dal ministero della Difesa.

7.10 – I presidenti di Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania verso Kiev.

I presidenti dei quattro Paesi sono in viaggio verso Kiev.

 

05.45 – Kiev, 720 morti a Bucha e altri sobborghi.

Più di 720 persone sono state uccise a Bucha e in altri sobborghi di Kiev occupati dalle truppe russe e più di 200 sono considerate disperse. Lo ha riferito il ministero dell'Interno ucraino, citato da Sky News. A Bucha, il sindaco Anatoliy Fedoruk ha riferito che sono stati trovati 403 corpi e il numero potrebbe aumentare.

05.25 – Bomba a grappolo usata nell'attacco alla stazione di Kramatorsk.

Nell'attacco alla stazione ferroviaria di Kramatorsk, costata la vita a più di 50 persone, sarebbe stata usata una bomba a grappolo, bandita da molti Paesi in base al diritto internazionale. E' quanto avrebbero accertato i i giornalisti della Bbc che hanno visitato la stazione.

05.16 – Kiev, almeno 20 giornalisti uccisi da inizio guerra.

Almeno 20 giornalisti sono stati uccisi in Ucraina dall'inizio dell'invasione russa, il 24 febbraio. Lo ha riferito l'Unione nazionale dei giornalisti dell'Ucraina sul suo canale Telegram, precisando che si tratta delle vittime confermate dall'ufficio del procuratore generale.

02.08 – Russia, ogni giorno corridoi aperti a Kharkov-Mariupol.

La Russia apre ogni giorno il proprio tratto di corridoi umanitari a Kharkov e Mariupol. A dirlo alla Tass è Mikhail Mizintsev, capo del Centro di gestione della difesa nazionale russo. «Nel rigoroso rispetto del diritto internazionale umanitario - spiega Mizintsev - la parte russa continua il suo sforzo per fornire un aiuto alla popolazione delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, nonché alla popolazione locale e agli stranieri nei territori liberati dell'Ucraina. Dalle 10:00 di ogni giorno - prosegue - la parte russa apre corridoi umanitari nelle aree di Kharkov e Mariupol». Ieri l'Ucraina ha informato noto di nove corridoi operativi a Zaporozhye e Donetsk, ma nessuno verso la Russia.

01.50 Zelensky ringrazia Biden per aver usato la parola “genocidio” riferita a Putin.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ringraziato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden per aver usato la parola 'genocidio' nel descrivere l'invasione russa dell'Ucraina. «Parole vere di un vero leader», ha twittato Zelensky. «Chiamare le cose con il loro nome è essenziale per resistere al male. Siamo grati per l'assistenza degli Stati Uniti fornita finora e abbiamo urgente bisogno di armi più pesanti per prevenire ulteriori atrocità russe», ha aggiunto.

01.45 – Zelensky, nuovo pacchetto sanzioni contro Russia includa petrolio.

«Oggi, nel mio discorso al parlamento e al popolo lituano, e allo stesso tempo a tutte le nazioni europee, ho sottolineato che il sesto pacchetto di sanzioni dell'Ue contro la Russia deve includere il petrolio». Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, chiedendo di smettere di «moltiplicare pacchetti di sanzioni insufficientemente forti». «Solo l'abbandono da parte dell'Europa delle risorse energetiche russe e la completa restrizione del sistema bancario russo possono essere un argomento per la leadership russa per cercare la pace», ha aggiunto.

01.15 – Zelensky: impossibile indagine completa su sostanza usata a Mariupol.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy ha affermato che "non è ancora possibile" trarre conclusioni al 100% sul tipo di sostanza utilizzata a Mariupol. "Consideriamo con grande attenzione le segnalazioni di ieri sull'uso di una sostanza velenosa a Mariupol contro i difensori della città", ha detto nel suo discorso alla nazione. "Non è ancora possibile trarre conclusioni al cento per cento su che tipo di sostanza fosse. Ovviamente è impossibile condurre un'indagine completa e un'analisi completa nella città assediata. Tuttavia - ha sottolineato - date le ripetute minacce dei propagandisti russi di usare armi chimiche contro i difensori di Mariupol e l'uso ripetuto da parte dell'esercito russo di munizioni al fosforo in Ucraina, ad esempio, il mondo deve rispondere ora. Rispondere preventivamente. Perché dopo l'uso delle armi di distruzione di massa, qualsiasi risposta non cambierà nulla. E sembrerà solo un'umiliazione per il mondo democratico", ha aggiunto Zelensky.

01.05 – Biden conferma accuse "genocidio" a Putin.

Il presidente Joe Biden ha confermato la sua accusa alle forze di Vladimir Putin, che a suo dire stanno commettendo un genocidio in Ucraina. «Sì, l'ho chiamato genocidio», ha detto Biden ai giornalisti quando gli è stato chiesto delle sue precedenti affermazioni. «E' diventato sempre più chiaro», «le prove stanno aumentando, è diverso dalla scorsa settimana».

 

00.45 –  La Francia congela beni russi per un valore di oltre 25 miliardi di dollari: lo ha detto il ministero delle Finanze francese.

Il ministero delle Finanze francese ha pubblicato un elenco dettagliato delle attività russe per un valore di 23,7 miliardi di euro - o 25,6 miliardi di dollari di dollari - che ha congelato da quando la Russia ha invaso l'Ucraina il 24 febbraio. I beni appartenenti alla Banca centrale russa, che secondo il ministero valgono 22,8 miliardi di euro, costituiscono la maggior parte dei beni congelati. L'elenco delle attività comprende anche 33 proprietà immobiliari con un valore di acquisto combinato di 573,6 milioni di euro, tra cui alcuni indirizzi ad Antibes, Saint-Jean-Cap-Ferrat e Saint-Tropez sulla Costa Azzurra, e 178 miliardi di euro in sono stati inoltre elencati asset bancari congelati, tre yacht per un valore di oltre 125 miliardi di euro, sei elicotteri per un valore di oltre 60 milioni di euro e tre opere d'arte per un valore di 7 milioni di euro.

00.38 – Ucraina: deputata Usa a Blinken, ripristinare presenza diplomatici a Kiev.

Victoria Spartaz, il primo membro del Congresso Usa nato in Ucraina, ha esortato il Dipartimento di Stato a rimandare alcuni diplomatici in Ucraina. Spartaz ha inviato una lettera al Segretario di Stato americano Antony Blinken spiegando che gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di ridistribuire diplomatici statunitensi a Leopoli nell'Ucraina occidentale per fornire un migliore coordinamento con l'Ucraina. La deputata ha sottolineato le azioni dell'Unione Europea, che ha restituito il suo corpo diplomatico a Kiev. «In qualità di maggiore fornitore di assistenza militare e umanitaria all'Ucraina, è tempo che gli Stati Uniti seguano l'esempio dei nostri alleati europei», ha scritto Spartaz. Gli Stati Uniti e altri paesi hanno ritirato i loro diplomatici ed evacuato le ambasciate e i consolati da Kiev nei giorni precedenti l'invasione russa, spostandoli nella città occidentale di Leopoli. I funzionari sono poi stati trasferiti in Polonia.

00.25 – L'esercito ucraino riferisce di una battaglia di 5 ore nella regione centrale di Zaporizhzhia mentre le forze cercano di liberare l'area

L'esercito ucraino ha riferito martedì di pesanti combattimenti nella regione centrale di Zaporizhzhia. L'amministrazione militare regionale di Zaporizhzhia ha affermato che una battaglia di cinque ore ha avuto luogo nel distretto di Polohy mentre le forze ucraine cercavano di liberare l'area. Dopo che unità della brigata di difesa territoriale della regione hanno occupato parte del distretto, i rinforzi russi li hanno costretti a ritirarsi, secondo il colonnello Ivan Arefyev, portavoce dell'amministrazione militare. Polohy si trova a nord-est della città di Melitopol occupata dalla Russia, dove Arefyev ha affermato che le truppe russe hanno continuato a «usare metodi terroristici per intimidire la popolazione locale e convincerla a stare dalla loro parte».

00.20 – Biden pronto a dare altri 750 milioni di dollari in armi a Kiev.

Gli Usa intendono annunciare entro 48 ore altri 750 milioni di dollari in assistenza militare all'Ucraina invasa dalle forze russe. Lo riferisce la Reuters in esclusiva, citando due fonti dell'amministrazione americana, secondo le quali il presidente Joe Biden usera' i suoi poteri per trasferire equipaggiamenti senza passare per l'approvazione del Congresso. Tra gli aiuti è molto probabile che ci siano anche sistemi di artiglieria, compresi obici. Nessun commento finora dalla Casa Bianca che l'altra settimana aveva sottolineato come dall'inizio dell'invasione russa abbia fornito all'Ucraina assistenza per 1,7 miliardi di dollari.

00.17 – CNN, L’OPCW (vigilanza internazionale sulle armi chimiche) "preoccupata" per le notizie non confermate sull'uso di armi chimiche a Mariupol.

L'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) ha dichiarato di essere «preoccupata per il recente rapporto non confermato sull'uso di armi chimiche» nella città ucraina assediata di Mariupol emersa lunedì. «Tutti i 193 Stati membri dell'OPCW, comprese la Federazione Russa e l'Ucraina, sono parti della Convenzione sulle armi chimiche»  ha affermato l'OPCW in una nota. «In tal modo, si sono solennemente e volontariamente impegnati a non sviluppare, produrre, acquisire, accumulare, trasferire o utilizzare armi chimiche».

00.05 – L’OCSE pubblicherà domani i risultati dell'indagine sulle violazioni dei diritti umani nella guerra russa.

L'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) pubblicherà domani, mercoledì, i risultati della sua indagine sulle violazioni dei diritti umani e le atrocità commesse nella guerra russa in corso in Ucraina. Lo dice il portavoce della Missione statunitense presso l'OSCE.

 

00.01 – Zelensky a Mosca, Medvedchuk in cambio nostri soldati.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha proposto alla Russia di consegnare a Mosca l'oligarca Viktor Medvedchuk, considerato vicino al presidente russo Vladimir Putin, in cambio della liberazione degli ucraini fatti prigionieri dalle forze russe. Lo riferisce il Guardian. «Propongo uno scambio tra questo vostro uomo» e gli uomini e donne ucraini detenuti dai russi, ha detto Zelensky in un messaggio su Telegram. Poche ore prima Kiev aveva reso noto che Medvedchuk era stato arrestato in un’operazione dell'intelligence ucraina.

 

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