CONFLITTO UCRAINO.
CONFLITTO UCRAINO.
"Attacco
in Ucraina inevitabile".
E
Putin svela il suo prossimo obiettivo.
msn.com-ilgiornale.it-
Federico Giuliani- (12-4-2022)- ci dice :
"Non
avevamo altra scelta se non intervenire". Durante una visita al
cosmodromo di Vostochny insieme al presidente bielorusso, Alexander Lukashenko,
Vladimir Putin è tornato a parlare della missione militare in Ucraina. Il capo del Cremlino ha tirato in
ballo il genocidio russo nel Donbass e spiegato che lo scontro con Kiev
"era solo questione di tempo".
Putin,
prima di incontrare il suo omologo bielorusso, ha visitato il cosmodromo di
Vostochnij, nell'Estremo oriente russo, assieme allo stesso Lukashenko.
I due leader hanno ispezionato la costruzione
delle strutture e scambiato alcune frasi con i lavoratori del centro. Non era più possibile "tollerare
il genocidio ai danni della popolazione russa nel Donbass", e per questo
la Russia non poteva fare nient'altro che intervenire, ha dichiarato il
presidente russo.
Per
quanto riguarda la guerra, Putin non ha dubbi sul fatto che il
"nobile" obiettivo di proteggere il Donbass verrà raggiunto. "Questo è quello che accadrà.
Non ci sono dubbi. Gli obiettivi sono perfettamente chiari e sono nobili",
ha sottolineato il capo del Cremlino.
Putin
ha poi sottolineato che il principale obiettivo di Mosca consiste
nell'"aiutare le persone nel Donbass che noi abbiamo riconosciuto".
"Lo
dovevamo fare – ha aggiunto - perché le autorità di Kiev, incoraggiate
dall'Occidente, si sono rifiutate di attuare gli accordi di Minsk per una
risoluzione pacifica dei problemi del Donbass".
Ma nel
cosmodromo Putin ha affrontato anche il tema dell'aerospazio, dichiarando che
la Russia continuerà a realizzare i suoi piani nel campo dell' esplorazione
spaziale, compreso il lavoro su una nave spaziale di prossima generazione.
"Continueremo
a lavorare su un'astronave di prossima generazione e sulle tecnologie
dell'energia nucleare e spaziale, dove abbiamo chiaramente gettato ottime basi
e abbiamo evidenti vantaggi", ha ribadito il presidente russo.
"Impossibile
isolare la Russia."
Sul
fronte economico Putin, almeno a parole, ha dimostrato di avere le idee chiare.
"La
Russia non si chiuderà, è impossibile isolarla", ha detto sottolineando
che Mosca "è pronta a cooperare con tutti i partner che lo
desiderano" e che "non ha intenzione di chiudersi".
"Non
abbiamo intenzione di chiuderci – ha aggiunto - nel mondo moderno, è totalmente
impossibile isolare rigorosamente qualcuno e completamente impossibile isolare
un Paese così grande come la Russia. Quindi lavoreremo con i partner che
vogliono interagire".
Nel
frattempo Volodymyr Zelensky chiede il bando totale del gas russo.
"Ho parlato anche dei prossimi passi con
i rappresentanti dell'Ue per fare pressione sulla Russia. Le sanzioni attuale
non bastano, è necessario un embargo totale sul petrolio e gas", ha dichiarato
il presidente ucraino.
Zelensky
ha spiegato che l'export energetico è quello che assicura la maggior parte dei
profitti del Cremlino.
Ma non
è finita qui, perché il leader ucraino è tornato anche a chiedere l'invio di
armi, soprattutto per liberare Mariupol dall'assedio russo.
"Se
avessimo caccia e veicoli blindati pesanti a sufficienza, l'artiglieria
necessaria, ce la potremmo fare.
Sono
sicuro che avremo quasi tutto quello che ci serve. Ma non si perde solo tempo,
si perdono anche le vite degli ucraini, vite che non torneranno più
indietro", ha detto in un video diffuso su Telegram.
In ultima battuta, Zelensky non ha escluso che
la Russia possa ricorrere all'uso di armi chimiche nella "nuova fase di
terrore" minacciata contro l'Ucraina.
Guerra
Ucraina news,
a Mosca "arrestato Surkov".
Giallo
sull'ex eminenza grigia di Putin.
msn.com-quotidiano.net-redazione-
(12-4-2022)-ci dice :
Mosca,
12 aprile 2022 - Guerra in Ucraina, c’è una vittima politica illustre nella cerchia di
Putin. Vladislav Surkov, ex potentissimo e assai ascoltato consigliere del
presidente russo, sarebbe stato arrestato e messo ai domiciliari. Il
condizionale è d’obbligo perché al momento non esistono conferme ufficiali, e
chissà se ma ne arriveranno.
La
notizia trapela dal dissidente russo Ilya Ponomarev, che rimanda a una fonte
giudicata attendibile. Surkov potrebbe essere rimasto vittima di una faida? Il cerchio magico attorno al
presidente russo si sarebbe infranto, in una lotta senza quartiere tra falchi e
colombe.
Chi è
Surkov.
Vladislav
Yuryevich Surkov, 58 anni, imprenditore e politico, dal settembre 2013 al 2020
è stato consigliere personale di Vladimir Putin per i rapporti con Abcasia,
Ossezia del Sud e Ucraina. Quindi è stato rimosso per ordine presidenziale nel
febbraio di due anni fa.
Chi
sono i fedelissimi di Putin.
Nella
cerchia dei fedelissimi di Putin, si ascrive come primo nome quello di Dmitrij Medvedev, vicepresidente del Consiglio di
sicurezza ed ex presidente della Russia fino al 2012.
Ci
sarebbe proprio lui tra i primi e più convinti fautori dell’'operazione
speciale' in Ucraina.
Nello
stesso elenco Kadyrov, lo spietato leader ceceno tra i protagonisti del conflitto sul campo,
con una buona dose di giallo.
E
ancora Evgenij
Prigozhin,
noto come il 'cuoco di Putin', in verità un oligarca della ristorazione, la
leggenda vuole che abbia iniziato da un chiosco di hot dog. Grande finanziatore della
disinformazione, inserito dall'Fbi tra i 13 russi fabbricatori di troll durante la
campagna presidenziale Usa del 2016.
Il
sondaggio che
fa tremare
i giallorossi:
boom del centrodestra
msan.com-ilgiornale.it-
Luca Sablone - (12-4-2022)- ci dice :
Il
quadro resta sempre lo stesso ormai da anni: il centrodestra è la coalizione
verso cui gli italiani hanno maggiore fiducia. L'ultimo sondaggio di Swg per il
Tg La7 premia Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia, mentre segna un tracollo
di Partito democratico e Movimento 5 Stelle.
Si
mette davvero male per Enrico Letta e Giuseppe Conte, i cui partiti non possono
vantare un trend positivo e si ritrovano a oltre 10 punti percentuali di
distanza dal centrodestra.
Un
pantano politico che potrebbe far pagare ai giallorossi un conto salatissimo in
occasione delle prossime elezioni politiche.
Cosa
voterebbero gli italiani se oggi si dovesse tornare alle urne?
Il primo
partito del Paese resta Fratelli d'Italia, che può godere del 21,6% proprio
come la rilevazione della scorsa settimana.
Cala
invece il Partito democratico, che nell'arco di 7 giorni perde lo 0,2% dei
consensi e va al 21,2%.
Piccoli
segnali di ripresa per la Lega, che dallo scorso 4 aprile segna un +0,1% e si
porta al 15,9%: il partito di Matteo Salvini si trova a un passo dalla quota
del 16%.
Ormai
a ruota libera, nel senso negativo, il Movimento 5 Stelle. Nonostante Giuseppe
Conte sia stato confermato leader, i grillini continuano a disperdere
preferenze e a crollare giorno dopo giorno: il M5S in una settimana ha perso lo
0,4% e ora si trova al 12,9%, ancora una volta sotto il 13% (dopo una lieve
risalita per la lotta contro l'aumento delle spese militari entro il 2024). Prosegue il buon momento di Forza
Italia che, soprattutto dopo il ritorno da protagonista di Silvio Berlusconi,
aumenta i consensi a suo favore: gli azzurri guadagnano lo 0,3% e si attestano
all'8%.
Infine
si trovano i partiti che riscontrano minori preferenze tra l'elettorato
italiano. Azione di Carlo Calenda e +Europa perdono lo 0,3% e scendono al 5%;
seguono poi Sinistra italiana (2,6%, +0,3%), Mdp-Articolo 1 (2,6%, -0,2%),
Italia Viva di Matteo Renzi (2,4%, in aumento dello 0,2%), i Verdi (2,3%,
-0,1%) e Italexit di Gianluigi Paragone (1,9%, -0,2%). Le altre liste si
attestano al 3,6%, in salita dello 0,5%. Il 42% non si esprime.
I dati
parlano in maniera inequivocabile: il centrodestra unito ha buone possibilità di prendere
il timone del Paese. La coalizione formata da Forza Italia, Lega e Fratelli
d'Italia può vantare il 45,5% dei consensi: la soglia del 50% dista ancora un
po', ma il vantaggio sul fronte giallorosso è molto ampio.
Infatti
Partito democratico e Movimento 5 Stelle si fermano al 34,1%, che aumenta al
36,7% se si considera anche Mdp-Articolo 1.
Ma la
distanza dal centrodestra resta lo stesso abissale: ecco perché Letta spera in una
accozzaglia di partiti, considerato l'unico modo per cercare di scongiurare il
tracollo elettorale.
Lockdown
a Shanghai: l’Incubo
Distopico
della Città Cinese.
Conoscenzealconfine.it-
(12 Aprile 2022)- Miriam Gualandi- ci dice :
Le
poche e frammentarie notizie che arrivano da Shanghai, in Cina, sembrano tratte
direttamente dalle pagine di un libro futuristico e distopico.
Milioni
di persone chiuse in casa, droni che sorvolano le città intimando alle persone
di “contenere
il proprio desiderio di libertà”.
Animali
domestici positivi al Covid destinati all’abbattimento, pazienti “infetti” prelevati e
condotti in ospedali da campo in zone limitrofe, a volte anche a centinaia di
chilometri di distanza dalle proprie abitazioni.
Siamo
di fronte, a quanto sembra, al totale fallimento dell’approccio “zero covid”,
politica che avrebbe dovuto portare la Cina fuori dall’emergenza coronavirus
grazie ad un dispiegamento di test di massa e rigidi lockdown a cadenza
regolare.
La propaganda cinese ne aveva fatto una
strategia vincente, che garantiva meno morti e una crescita economica migliore
rispetto ad altri paesi. Controllo sociale e crescita economica al massimo non sono
novità per il Paese, che ad oggi però tiene in ostaggio milioni e milioni di
cittadini con le stesse fallimentari misure.
Il
risultato è dunque che da fine marzo Shanghai è completamente chiusa fino a
data da destinarsi.
Come
riporta The Economist, i cittadini avrebbero avuto anche pochissimo tempo per
prepararsi, al punto da prendere d’assalto i supermercati.
Sulla piattaforma di messaggistica Weibo
sarebbero apparse anche diverse richieste di aiuto di persone a cui viene
impedito di lasciare la propria abitazione, anche per motivi di salute; inoltre
mancano farmaci e le persone si accapigliano per l’acqua potabile. Video
ripresi con i cellulari mostrano folle di cittadini respinti dalla polizia e le
urla dai balconi della città.
Magazzini
e centri espositivi abbandonati sono stati trasformati in centri di isolamento
improvvisati per i positivi al test. Addirittura, come riporta sempre The
Economist, il Governo avrebbe inizialmente applicato una politica per cui i
bambini positivi al covid, anche se di pochi mesi, venivano separati dai propri
genitori. Diversi
video apparsi sui social cinesi avrebbero contribuito a creare lo scandalo,
costringendo il governo a concedere ai genitori infetti di restare con i propri
figli e ai genitori sani di bambini infetti di fare domanda per andare con
loro.
Pochi
giorni fa le autorità avrebbero annunciato che cominceranno ad allentare il
blocco nelle comunità in cui non si segnalano casi positivi entro 14 giorni
dall’ultimo test. I cittadini potranno uscire dalle proprie abitazioni e
muoversi nel proprio quartiere.
Una
situazione di controllo e repressione inimmaginabile dopo due anni di emergenza
sanitaria. E viene da chiedersi se a qualcuno interessano i diritti umani di
milioni di cittadini cinesi.
(Miriam
Gualandi--
byoblu.com/2022/04/10/lockdown-a-shanghai-lincubo-distopico-della-citta-cinese/).
Emergenze
Parallele: continua
la Guerra di Draghi al nostro Paese.
Conoscenzealconfine.it-
(11 Aprile 2022)- Francesco Cappello :
Non so
se sia del tutto chiaro ma siamo ormai pienamente parte del conflitto ucraino. Siamo in guerra contro la Russia grazie alle decisioni di Draghi
avallate dalla sua corte di vassalli.
Forniamo
armi a Kiev mentre ci siamo proposti quali protagonisti principali della guerra
economica contro la Russia seppure le sanzioni predisposte hanno il potere di
danneggiare seriamente più il nostro Paese che la federazione russa.
Il
“guerriero” Draghi, l’uomo che guarda lontano, dice che: “se dovessero cessare
le forniture russe oggi, noi comunque fino a tardo ottobre siamo coperti dalle
nostre riserve quindi le conseguenze non le vedremmo fino all’autunno.
Questa
è la prima cosa da sapere“ nello stesso momento in cui, Carlo Bonomi,
presidente di Confindustria, afferma che già oggi (con il gas russo che
continua ad alimentare il nostro sistema industriale): “Il 16% delle imprese ha ridotto o
interrotto le produzioni. Se continuiamo così si aggiungerà un altro 30% nei
prossimi mesi (…) Non possiamo più reggere. Produrre è diventato
antieconomico”.
La
produzione industriale sta infatti rallentando ad un ritmo del 10% al mese: a
marzo si è registrato un calo nei consumi industriali del gas del 10,3%, dopo
che a febbraio si era già avuta una diminuzione del 9,3%. (dati confindustria).
Si
rifletta ora sul fatto che il calo costante dei consumi industriali è indice
sicuro di incipiente recessione economica…
Fa eco
Coldiretti che sottolinea come la crisi colpisca “direttamente imprese e
famiglie”. I rincari energetici fanno, infatti, aumentare del 51% il costo
della produzione della frutta in Italia.
E
l’aumento è addirittura pari al 67% per la produzione ortofloricola.
“Uno
scenario preoccupante per il settore ortofrutticolo nazionale, che garantisce
(…) 440.000 posti di lavoro, pari al 40% del totale in agricoltura, con un
fatturato di 15 mld di euro all’anno (…), pari al 25% della produzione agricola
totale”. (Fonte: RAI Televideo)
Presso
Ghedi ed Aviano, inoltre, ospitiamo missili a testata nucleare, pur avendo
ratificato il trattato di non proliferazione nucleare nel ’75 che ci vieterebbe
di detenere armi atomiche sul territorio nazionale.
I B61
(12), quasi 5 volte la potenza distruttiva della bomba che distrusse Hiroshima,
sono stati progettati per distruggere i bunker sotterranei dei centri di
comando avversari. Addestriamo i nostri piloti per portare tali missili
sull’obiettivo. Siamo un paese oggetto di ritorsione nucleare…
Stiamo
però tranquilli… la Ue e Di Maio pensano a noi.
La
Commissione europea ha, infatti, istituito la Health Emergency preparedness and
Response Authority (HERA) che provvederà a fare acquisti, per il valore di 540
milioni e mezzo di euro, in modo da non trovarci impreparati qualora avessimo
bisogno di cure per esposizione a radiazioni o patogeni chimici e biologici.
Nel
comunicato stampa della Commissione si legge che: “l’approvvigionamento consisterà in
equipaggiamenti, medicine, vaccini e altre terapie per curare pazienti esposti
a CBRN”. Per chi non sapesse l’acronimo CBRN fa riferimento ad agenti Chimici
Biologici Radioattivi Nucleari.
Non
credo che i più si rendano conto del rischio che corriamo.
Se ne fossimo pienamente consapevoli saremmo
già nelle piazze un movimento forte e determinato contro il sistema della
guerra. Auguriamoci e facciamo in modo che ciò avvenga prima possibile.
Francesco
Cappello- (Canale telegram: t.me/Seminaredomande)-
(francescocappello.com/2022/04/07/emergenze-parallele-la-guerra-di-draghi-continua/).
Cosa
succede se Putin
chiude il
gas?
Il
piano del governo Draghi.
msn.com-notizie.it-Chiara
Nava- ( 12-4-2022)- ci dice :
Il
governo Draghi ha diverse ipotesi sul tavolo, dalla razionalizzazione della
produzione delle fabbriche, al taglio all’illuminazione pubblica, fino alla
sostituzione del gas con legna nelle aree rurali.
Cosa
succede se Putin chiude il gas?
L’accordo
con l’Algeria permette all’Italia di fare un passo verso l’indipendenza dal gas
russo, ma non è sufficiente.
Per
questo il governo Draghi sta lavorando ad un piano B, che prevede il
razionamento dei consumi e la ricerca di altri fornitori.
Si
tratta di decisioni che avranno un forte impatto sui cittadini. Lo scenario
peggiore potrebbe accadere per rappresaglia nei confronti delle sanzioni
dell’Occidente o perché la situazione della Russia sui mercati finanziari
potrebbe precipitare.
L’Italia
ha un fabbisogno tra i 75 e gli 80 miliardi di metri cubi di gas, ci cui 29
provengono dalla Russia. entro il 2024 l’Algeria incrementerà di 9 miliardi la
quota di gas che venderà all’Italia, mentre Libia e Azerbaijan ne porteranno
altri due a testa. Grazie ad accordi con Qatar, Egitto e Stati Uniti dovrebbero
arrivarne altri sei, ma nella migliore delle ipotesi si parla della fine del
2023. Per
questo sono necessari altri provvedimenti più urgenti, come l’aumento della
produzione nazionale e il potenziamento delle centrali a carbone. Tutto questo,
però, non basta, per cui si parla anche dei razionamenti.
(
Telefonata Draghi-Putin: anche il gas nel colloquio - Unomattina - 31/03/2022 -RaiPlay).
Il
piano del governo Draghi: termosifoni e condizionatori.
Un
assaggio è stato l’emendamento del Movimento 5 Stelle, riformulato dal governo,
che ristabilisce che “la media ponderata delle temperature” degli ambienti
degli edifici pubblici non debba “superare i 19 gradi centigradi +2 gradi di
tolleranza” in inverno.
Dalle
regole sono esclusi ospedali, cliniche e case di cura. Il piano B prevede anche
azioni più incisive, come il taglio dell’illuminazione degli edifici, dei
monumenti e dei luoghi pubblici.
Sul tavolo c’è anche lo scenario che riguarda
la rimodulazione dell’attività industriale di alcune filiere, con lo scopo di
mantenere invariato il livello di produzione, razionalizzando l’operatività
delle fabbrica, partendo dai settori dell’acciaio e delle ceramiche.
Le
filiere che producono a ciclo continuo possono concentrare la produzione in
alcuni periodi dell’anno, per ottenere un risparmio usando meno energia. “Ma se domani dovessimo mette in
pratica l’embargo al gas russo ci attende un razionamento più forte. Ovvero non
dare gas alle fabbriche, alle scuole, alle amministrazioni pubbliche” ha
avvertito Davide Tabarelli, professore di economia e presidente di Nomisma
Energia, in un’intervista a La Stampa.
Secondo
Tabarelli “con una temperatura più bassa si può sperare nella migliore delle
ipotesi di tagliare un miliardo di metri cubi. Ci sono 29 miliardi di metri
cubi di gas russo da sostituire.
Perciò bisogna far lavorare meno le fabbriche,
utilizzare più carbone se i sindaci delle città dove ci sono le centrali ce lo
lasciano fare. Quindi cercare di usare tutti i prodotti petroliferi al posto
del gas e la legna nelle aree rurali, ma vanno tolti subito i vincoli
ambientali sulla polveri sottili.
Alla
fine arriviamo a 15-20 miliardi“. Un’altra ipotesi è quella di usare il gas
liquefatto, ma ci vuole tempo per gli impianti di rigassificazione, per cui non
resta altro da fare che il razionamento.
Il
decreto per la continuità alle politiche di sostegno.
Federico
Freni, sottosegretario all’Economia, in un’intervista per Il Messaggero, ha
dichiarato che il governo sta preparando un decreto da cinque miliardi per dare
continuità alle politiche di sostegno, come la proroga del taglio delle accise,
la riduzione dell’Iva sul gas e l’azzeramento degli oneri di sistema per le
categorie più deboli. “Stiamo lavorando al testo che sarà presentato dopo
l’approvazione del Documento di Economia e Finanza. Il governo metterà in campo
tutte le risorse necessarie” ha spiegato.
Continuano
le vendite
sui Btp con
rendimenti
che
toccano nuovi livelli record dal 2019.
Financialounge.com-
Antonio Cardarelli -( 12 Aprile 2022)- ci dice :
Proseguono
le vendite dei titoli obbligazionari in attesa dei dati sull'inflazione Usa. Il
decennale italiano supera la soglia del 2,5%, per il Bund tedesco i rendimenti
negativi sono ormai un lontano ricordo.
L'inflazione continua a spaventare i mercati e i
rendimenti dei titoli di Stato crescono ancora. Il rendimento del Btp decennale
ha toccato quota 2,5%, record da maggio 2019, quando arrivò al 2,6%. In rialzo
anche i rendimenti degli altri titoli decennali europei, con il Bund tedesco a
0,84%. Prosegue anche la corsa del T-Bond Usa, che ormai vede quota 3%.
CONTRASTARE
L'INFLAZIONE.
Il
motivo alla base della crescita costante dei rendimenti è sempre lo stesso: l'inflazione.
A marzo, nell'Eurozona, il carovita ha toccato
+7,5% mentre negli Usa l'aumento è stato del 7,9% a febbraio con attese, per
marzo, dell'8,4% (il dato verrà pubblicato nel primo pomeriggio di oggi, 12
aprile). L'inflazione record costringe le banche centrali a modificare la
politica monetaria ultra accomodante degli ultimi due-tre anni. Da qui l'aumento dei rendimenti dei
titoli di Stato, in attesa delle nuove emissioni che non potranno beneficiare
del sostegno di Fed e Bce tramite attraverso tassi sui minimi e acquisto
titoli.
IN
SALITA I RENDIMENTI DI BTP E BUND
Nella
seduta di oggi (12 aprile) lo spread tra Btp e Bund è in salita del 2,5% a 165
punti base.
Tuttavia, anche il rendimento del decennale
tedesco, il Bund appunto, sono in salita.
Lo
scorso gennaio la stessa obbligazione aveva rendimento negativi, ma con la
crescita dell'inflazione anche per il benchmark dei titoli di Stato europei le
cose sono cambiate. L'ondata di vendite, infatti, non ha risparmiato il Bund
tedesco facendo crollare i prezzi e aumentare i rendimenti, due valori che si
muovono in modo inversamente proporzionale.
FED E
BCE PRONTE A CAMBIARE ATTEGGIAMENTO.
La
Federal Reserve americana ha già imboccato con decisione la strada della
politica monetaria restrittiva.
Oltre a ridurre il bilancio, il presidente
Jerome Powell ha dato il via al ciclo di rialzo dei tassi.
Il
primo ritocco è stato di 25 punti base, ma i mercati si aspettano altri 9
rialzi nel corso del 2022, anche da 50 punti base per volta. La Bce è più indietro rispetto alla
Fed, ma anche da Francoforte la scelta è quella di contrastare l'inflazione
mettendo fine alle politiche monetarie accomodanti che hanno accompagnato
l'economia post-pandemica verso la ripresa.
Ripresa
che ora deve fare i conti con l'inflazione, salita come previsto con le
riaperture economiche e peggiorata sensibilmente dalla guerra e dai nuovi
lockdown in Cina.
Il
conflitto ucraino cambia
la
vecchia globalizzazione.
Ilmanifesto.it-Alfonso
Gianni- (3 aprile 2022)- ci dice :
EFFETTO
UCRAINA. Ci vorrebbe una visione diversamente orientata dal punto di vista
degli interessi di classe da difendere e di medio-lungo periodo per riuscire a
risolvere il disastro economico all'orizzonte. Ma questa non si vede, seppure
per ragioni e con caratteri diversi, né sull’uno né sull’altro versante
dell’Atlantico.
Il
paradosso per cui l’unica certezza è l’assenza di certezza è tornato di moda.
L’ha
usato anche il ministro dell’economia Daniele Franco, per giustificare
l’imminente presentazione di un Def che dimezzerà le previsioni di crescita
dello scorso autunno, derubricandole a una cifra fra il 2 e il 3%, con un
aumento record dell’inflazione al 6,7%, mai così in alto dal 1991. Ma
l’espressione può essere riferita all’intero quadro mondiale, politico ed
economico.
La
storia punisce gli incauti. Obama definì la Russia una potenza regionale. Non
era solo quella, come si vede di fronte alle conseguenze globali dell’invasione
dell’Ucraina.
Larry Fink, il fondatore di BlackRock, il più
grande fondo di investimenti mondiale, ha scritto agli azionisti che
“l’invasione russa dell’Ucraina ha messo fine alla globalizzazione come
l’abbiamo sperimentata negli ultimi trent’anni”.
Molto
dipende da come si concluderà e con che tempi la guerra ucraina. Intanto circolano varie formule dal “multipolarismo competitivo” alla
“concorrenza tra blocchi”, tutte basate sullo sconvolgimento dei vecchi assetti, del
resto già minati dai processi di de-globalizzazione antecedenti alla pandemia.
In
questo quadro così friabile tuttavia qualche certezza si fa strada. Nessuno più osa affermare che
l’incremento dell’inflazione sia congiunturale e passeggero. Nell’Eurozona l’inflazione è salita
a marzo al 7,5% partendo dal già robusto 5,9% di febbraio. Le previsioni ottimistiche della Bce
su un suo drastico ridimensionamento il prossimo anno – che peraltro
contraddicono il preannunciato contenimento della politica monetaria espansiva
– non vengono credute dai mercati finanziari che prevedono per il febbraio del
2024 non meno del 4% di inflazione.
Visto i bassi tassi di crescita la prospettiva di un
periodo non breve di stagflazione da probabile si è fatta certa. Negli Usa l’inflazione è quasi all’8%,
ma almeno la situazione occupazionale è migliore e persino le retribuzioni sono
aumentate del 5%.
Si fa
sempre più drammatico il dilemma per la Fed e la Bce: se intervenire rialzando i tassi per raffreddare la spinta
inflazionistica con l’avvio più che probabile di un processo recessivo, oppure ampliare il rimbalzo
economico, chiamato crescita, lasciando le briglie libere all’incremento dei
prezzi.
Nell’uno e nell’altro caso le conseguenze sociali sono pesanti. Ma non nello
stesso modo.
I falchi del ritorno all’austerity sono pronti ad aggredire le colombe. E
sarebbe un nuovo disastro devastante, un’implosione per l’Europa.
Ci
vorrebbe una visione diversamente orientata dal punto di vista degli interessi
di classe da difendere e di medio-lungo periodo per riuscire a risolvere il
problema. Ma questa non si vede, seppure per ragioni e con caratteri diversi,
né sull’uno né sull’altro versante dell’Atlantico.
Le conseguenze del conflitto bellico si fanno
sentire anche sul lato asiatico del globo. In Cina l’indice manifatturiero
delle piccole imprese private, più sensibile agli smottamenti, si colloca sotto
quota 50, lo spartiacque tra crescita e recessione. Infatti Morgan Stanley
taglia le stime della crescita cinese per l’anno in corso di un punto rispetto
al target ufficiale (dal 5,5% al 4,6%).
Il
rallentamento dell’economia mondiale e gli effetti della guerra ucraina
riducono le esportazioni cinesi, mentre i flussi di capitale invertono la rotta
alla ricerca di porti più sicuri. In Giappone si rileva un calo di fiducia che
potrebbe preludere a una riduzione del Pil che pareva in leggera ripresa. In questa situazione si riaccende la
guerra delle valute. Anche qui le cose non saranno più come prima. La creazione
del denaro dal nulla che sta alla base delle politiche di espansione monetaria
non è detto che sopravviva alla crisi.
Lo
indica già la mossa sul rublo avanzata da Putin, che non va presa sottogamba. L’intenzione ritorsiva russa è
evidente ed è legata alla necessità urgente di sostenere il rublo. Comunque
vada, ciò non esaurisce il significato e i possibili effetti della manovra.
Infatti,
come osservato da alcuni economisti, per acquistare gas bisogna procurarsi
rubli, quindi chiederli a una banca russa che a sua volta potrebbe avere la necessità
di richiederli alla banca centrale.
Il che comporterebbe non un semplice cambio
tra divise monetarie, ma un prestito in rubli da rimborsare necessariamente
attraverso l’esportazione di beni in Russia ricevendo rubli in pagamento.
La divisa russa diverrebbe moneta per lo
scambio, con un “sottostante” rappresentato da fonti energetiche fossili.
Il
tutto comporterebbe un indebolimento dell’euro e della Unione europea – il che
di per sé non dispiacerebbe affatto agli Usa -, annullerebbe l’effetto delle
sanzioni economiche, riproporrebbe in termini rinnovati il superamento della
centralità del dollaro.
Ci
vorrebbe un novello Keynes per sbrogliare la matassa. In assenza dovremmo tutti puntare su
un esito positivo della trattativa di pace. Non altrimenti la Ue potrebbe
contribuire a un nuovo ordine mondiale, con un ruolo autonomo.
IL
MULTIPOLARISMO SPIEGATO FACILE.
Bloccostudentesco.org-
Blocco Studentesco -Michele - ( Apr. 7, 2022)- ci dice :
Con
l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è tornato di moda il nome di Aleksander Dugin.
L’autore
de “La
quarta teoria politica” è divenuto per l’opinione pubblica colui che ha creato il
retroterra culturale di questa guerra, con tutti i fraintendimenti del caso,
sia da parte delle testate mainstream che da parte dei filo-putiniani.
Fra
questi ultimi si è fatta strada l’idea che l’invasione dell’Ucraina sia un
passo obbligato per la creazione di un mondo multipolare da opporre a quello
unipolare americano.
Un’idea
che nasce dal saggio duginiano del 2013 e pubblicato in Italia nel 2019 “Teoria del mondo multipolare”. Un’idea che però presenta più di
una difficoltà.
Dugin
di certo non è quel Rasputin di Putin che molti cercano di descrivere.
Non
bastasse il fatto che lo stesso Dugin ha spesso fatto critiche ferocissime a
Putin e che quest’ultimo abbia ben altri riferimenti ideologici, Dugin è qualcosa di assolutamente
diverso da quel tessitore nell’ombra misticheggiante e analfabeta che era
Rasputin.
Il
profilo di Dugin è quello di un pensatore e di accademico di ottimo livello,
prova ne è quella stessa Teoria del mondo multipolare in cui riesce a
confrontarsi con i principali paradigmi delle relazioni internazionali in uso
oggi.
A dirla tutta, il multipolarismo duginiano è
in fondo una riedizone dello Scontro di civiltà di Samuel Huntigton. Se per Huntigton il problema è come
preservare l’egemonia della civiltà occidentale, per Dugin è come rovesciarlo.
Un modo di procedere abbastanza tipico del
pensatore russo, il quale riprende concetti dal pensiero contemporaneo e
post-moderno per creare un edificio teorico originale che vada però in una
direzione diversa.
Come
per Huntigton, gli attori della politica internazionale non sono più gli stati
nazioni, ma le civiltà.
Queste
sono grossomodo: civiltà occidentale, civiltà ortodossa (euroasiatica), civiltà islamica,
civiltà cinese (confuciana), civiltà indù, e civiltà giapponese.
In più
le civiltà latino-americana, civiltà buddista, e civiltà africana, sarebbero
civiltà ancora potenziali.
Anticipazioni
di tutto ciò si possono trovare già in Oswald Spengler con la sua morfologia
delle civiltà e in Carl Schmitt con la dottrina dei grandi spazi.
Come
la pace di Westfalia (1648) ha posto fino alle guerre di religione crea uno ius
publicum europeum che riconoscesse la sovranità degli stati nazionali, così il
crollo del mondo bipolare, avvenuto con la caduta dell’Urss e la fine della
guerra fredda, sarebbe il preludio al riconoscimento reciproco della sovranità
delle civiltà, le quali dovranno avere un’autonomia assoluta all’interno del
proprio spazio di integrazione.
Da
tutto questo si può facilmente prevedere come i nuovi conflitti si
verificheranno alle periferie delle civiltà. Dove i rispettivi spazi di
integrazione si sovrappongono e vanno in contrasto. Cosa che peraltro sta
avvenendo proprio in Ucraina.
Le
cose si complicano quando da questo impianto descrittivo e teorico si passa
alla prassi politica.
Infatti,
Dugin vede in tutto questo una garanzia contro il globalismo.
Tuttavia,
identifica quest’ultimo con le pretese universalistiche dell’occidente, finendo
spesso per confondersi con un terzomondismo d’accatto che invece vorrebbe
rifiutare.
Anzi,
quella sorta di tutti contro l’egemone americano che è per Dugin il
multipolarismo acquista delle volte di un imperialismo russo. Imperialismo aggravato appunto
dalla cattiva coscienza del terzomondismo.
Ma
questo non è nemmeno l’aspetto più deteriore. Né in Huntigton né in Dugin c’è una
civiltà europea.
Prendendo per buono il multipolarismo di Dugin,
l’Europa sarebbe solamente uno spazio di conquista, il teatro dove la civiltà
occidentale (America) e quella euroasiatica (Russia) si contendono il dominio
sul mondo.
Tifare
per uno qualsiasi dei due poli significa di fatto rinunciare ad uno spazio
politico europeo e, cosa ancora peggiore, all’idea di una civiltà europea. L’Europa sarebbe come l’Italia dopo
la calata di Carlo VIII, uno scrigno di tesori preda di potenze straniere.
Speriamo quindi che nessuno s’azzardi a dire: o Usa o Russia, purché se magna.
Invasione
dell’Ucraina, lo storico Romero:
“Non
si tratta di una nuova Guerra fredda,
oggi è
un conflitto tra potenze con ideali sfumati”.
Ilfattoquotidiano.it-Olimpia
Capitano- (3 aprile 2022)- ci dice :
Invasione
dell’Ucraina, lo storico Romero: “Non si tratta di una nuova Guerra fredda,
oggi è un conflitto tra potenze con ideali sfumati”
Il
docente dell’Istituto universitario europeo sottolinea una differenza cruciale:
"Usa
e Unione sovietica pensavano di avere ciascuno una sua ricetta per il progresso
del mondo, capitalistico o socialista. Su queste ricette si giocavano gli
equilibri del mondo e l’aspetto ideologico era molto forte."
Com’è
fatto l’Est dell’Ucraina che Putin vuole conquistare? Non tutto guarda a Mosca: “Donbass diverso dalla Crimea e diviso
al suo interno. E le bombe nelle zone russofone non portano sentimenti
positivi”
“Ucraina
parte della Russia”: Putin usa la storia in modo strumentale?
Le
analisi – “Radici
comuni sì, ma differenze su lingua e cultura da secoli”. “Uso del passato
glorioso per ricostruire un’identità comune”.
I
continui richiami a una “nuova guerra fredda”, il ritorno di un discorso che
sembra voler contrapporre due distinti blocchi di civiltà e rievocare atmosfere
novecentesche.
Quanto di tutto questo ha una valenza politica o
strategica? E quanto è però fuorviante per cercare di capire davvero quali sono
e come si stanno trasformando i nuovi equilibri internazionali, economicamente,
politicamente e ideologicamente molto lontani da quelli del periodo della
guerra fredda, a sua volta più articolato di quanto si pensi?
A
rispondere a ilfattoquotidiano.it è Federico Romero, docente dell’Istituto
universitario europeo, con all’attivo moltissime pubblicazioni, tra cui spicca
Storia della Guerra fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa (Einaudi, 2009).
Dal 2015 dirige il progetto dell’European Research
Council “Looking West: the European Socialist regimes facing pan-European
cooperation and the European Community”.
(ARCHIVIO/22
MARZO – Dall’11 settembre al muro di Berlino: così Zelensky mette i
parlamentari di fronte ai momenti più delicati dei loro Paesi.)
Professor
Romero, nei discorsi di Zelensky ai parlamenti sono emersi molti riferimenti a
cavallo tra seconda guerra mondiale e guerra fredda, con citazioni dei leader
del passato. C’è, ed eventualmente qual è, il punto strategico di questa
narrazione?
Non
credo che ci sia uno scopo strategico nel senso pieno del termine. Piuttosto,
credo che si tratti di una volontà di usare bene ed efficacemente la retorica
per raccogliere consenso, usando le immagini più evocative a seconda
dell’audience di riferimento, per drammatizzare, commuovere, coinvolgere.
Si tratta, a mio modo di vedere, di un modo di operare
più politico che strategico: il punto discorsivo e politico è quello di
inserire l’Ucraina nella famiglia delle democrazie occidentali.
Zelensky
cerca così di sancire l’appartenenza ucraina all’universo simbolico e culturale
dell’Europa e più in generale dell’occidente.
Questo
viene fatto a maggiore ragione adesso: l’Ucraina non può entrare nella Nato, ma
questo non significa che non ci siano ancora aperture per un entrata
nell’Unione Europea, anzi.
L’apparente
appiattimento che a volte si fa tra appartenenza all’Unione europea e alla Nato
è storicamente legato alla costruzione di un ideale di Occidente democratico
con le sue infrastrutture condivise. Tuttavia, si tratta di realtà
diverse, occorre tenere presente che ci sono paesi neutrali in Ue. Inoltre, questa tendenza
all’appiattimento emerge fortemente anche a seconda dei momenti specifici: le
differenze tra Ue e Nato ritornano sempre non appena un’emergenza di carattere
bellico o di sicurezza recede un po’.
Per
Zelensky è dunque importante coltivare il terreno del simbolico, far crescere
un vocabolario di identificazione comune che è anche risorsa politica, sia per
un futuro percorso di entrata nell’Ue; sia per avere più risorse nella
gestione dei flussi di rifugiati, o in proiezione di futuri negoziati di pace.
A
partire dalle proteste di Maidan del 2014, l’annessione russa della Crimea e il
sostegno alle rivolte del Donbass, hanno portato a un radicale allontanamento
ucraino dall’idea di un’integrazione nel progetto russo di unione economica e
politica e a un maggiore avvicinamento al sistema euroatlantico.
La Russia ha reagito rafforzando la sua
narrazione anti-occidentale e alimentando discorsi ambigui sugli accordi di
Minsk fino all’invasione del 24 febbraio. L’escalation e l’Ucraina sono solo un
pretesto strategico di una realpolitik russa volta a capire quanto ci si possa
spingere e quanto l’Occidente sia disposto a fare?
Ho
pensato a lungo che ci fosse una strategia. Credevo che, con questo
dispiegamento di forze armate, si volesse costruire una forma di ricatto
diplomatico all’Ucraina e indirettamente all’occidente, per ottenere un tavolo
negoziale su alcuni nodi come il formale riconoscimento delle Repubbliche
separatiste del Donbass, di Donetsk e Lugansk; l’esclusione di qualsiasi trattativa
relativa all’entrata dell’Ucraina nella Nato; la definizione concorde di una
linea geopolitica di equilibrio di poteri oltre cui non far spingere
l’Occidente.
Tuttavia,
semmai fosse stata questa la strategia, con l’invasione sarebbe saltato tutto. A partire dall’invasione mi riesce in
effetti difficile vedere una strategia. Infatti, se il ragionamento strategico
si sposta sulla conquista di una parte o di tutta l’Ucraina, qualcosa non
torna: da un lato le operazioni militari sarebbero state organizzate meglio;
dall’altro la Russia ha materialmente più da perdere che da guadagnare
dall’approfondimento di queste conflittualità.
Tendo
a credere che, come spesso accade nella storia, il ragionamento strategico sia
stato soverchiato dagli eventi.
Si è
scesi in campo enfatizzando il risentimento nazionale e la convinzione di una
crescente minaccia occidentale, forse anche con l’idea, strategica, che questo
sarebbe servito per consolidare il potere interno e per aumentare gli spazi di
alleanza con la Cina.
Spesso
però si va al di là delle strategie e si finisce per identificarsi con ciò che
si dice, con la propaganda. Sono confini sfumati.
Il
diplomatico americano George Frost Kennan, figura chiave della guerra fredda e
e ideatore della “politica del contenimento” dell’espansionismo sovietico,
scrisse nel 1997 sul New York Times che, tra le altre cose, “l’espansione della
Nato” sarebbe “l’errore più fatale” della politica Usa avvertendo che avrebbe
potuto spingere “la politica estera russa in direzioni decisamente non di
nostro gradimento”. Che ruolo ha avuto tale espansione nel tracciare le
premesse di questo conflitto?
Secondo
me è un discorso per certi aspetti molto complesso ma pure semplice. Nel 1989
la Nato si fermava in Germania. Gradualmente si è espansa verso Paesi baltici,
Slovacchia, Polonia, sempre più vicino alla Russia e senz’altro questi passaggi
hanno influito sulla ripresa di un forte nazionalismo russo che ha chiaramente
un evidente ruolo anche nel conflitto odierno, anche se non possiamo sapere
quanto pesi nella testa di Putin.
Sappiamo
però che, nell’orientare la discussione sull’espansionismo Nato, diversi
analisti negli anni Novanta – anche fortemente conservatori – erano contrati
all’espansione della Nato. Ragionando però a posteriori non saprei dire quanto
sia stato un errore diplomatico o meno, perché vanno tenuti in mente anche gli
scenari.
Era
inimmaginabile una fantasiosa alternativa di ridefinizione comune di un nuovo
equilibrio condiviso tra occidente ed ex mondo sovietico, perché comunque
l’occidente aveva vinto.
Nel
frattempo, i paesi dell’Europa dell’est bussavano all’occidente ed erano aree
con regimi politici appena nati, instabili, esposti a conflitti etnici e
religiosi. Premeva l’urgenza di stabilizzazione ai propri confini e prevalse
questa opzione, anche se era realistico immaginare una cattiva reazione.
Si
sarebbe forse potuto combinare l’espansione con una politica estremamente
positiva e propositiva verso la Russia. Ciò avrebbe voluto dire fornire un
enorme aiuto economico che ne evitasse lo shock post-sovietico. Al contempo
questo avrebbe implicato un esborso soldi enormi ed era impensabile, anche
perché era proprio il momento in cui si iniziava a credere e raccontare che
libero mercato e libera concorrenza avessero il potere di sistemare tutto. È
una matassa di ipotesi, difficile dire cosa si sarebbe potuto fare o non, cosa
sarebbe dovuto essere fatto o non.
Ha
senso oggi parlare in termini di “nuova guerra fredda”, o è una semplificazione
evocativa che non ci permette di leggere dentro le trasformazioni storiche?
Credo
che l’analogia con la guerra fredda non serva a molto. La prima differenza
cruciale sta nel fatto che Usa e Unione sovietica pensavano di avere ciascuno
una sua ricetta per il progresso del mondo, capitalistico o socialista.
Su queste ricette si giocavano gli equilibri
del mondo e l’aspetto ideologico era molto forte.
Adesso
il quadro è molto diverso, non ci sono visioni di progresso antitetiche, idee
di espansione di modelli universalistici. Adesso è un conflitto di potere tra
potenze e l’elemento ideale è ben più sfocato.
Questo
si nota anche nei discorsi occidentali che contrappongono alla democrazia un
non ben definito fronte autocratico.
Tuttavia,
tutto si sfuma se si pensa, ad esempio, alla Cina. Usa, Gran Bretagna e Australia sono
favorevoli a identificare Pechino e Mosca in un unico blocco autocratico cui
contrapporsi, ma lo stesso non vale per Italia, Francia, Germania.
Questo è un punto che potrebbe essere
baricentro per il futuro occidentale a livello strategico.
Come
l’Europa sta cercando di vincere
la
battaglia antitrust contro le Big Tech.
Linkiesta.it-Redazione-(26-3-2022)-
ci dice :
Il
nuovo Digital
Markets Act è il primo passo del percorso disegnato da Bruxelles per smantellare i
monopoli delle grandi aziende della Silicon Valley, che soffocano l’emergere di
nuovi player europei.Le grandi aziende del settore informatico hanno dominato il
mercato troppo a lungo. Per anni hanno abusato della loro posizione dominante e
attuato pratiche sleali, anticoncorrenziali, difficili da contrastare per i
competitor.
Già a
febbraio Linkiesta riportava il segnale dall’allarme lanciato dalle 41 società
del Cispe – l’associazione europea che riunisce chi offre servizi cloud – che hanno deciso di fare squadra
contro i colossi dell’informatica.
Le
politiche di colossi come Microsoft e Google hanno frenato la crescita di
piccole imprese e start-up innovative, che di fatto è come se fossero state
escluse dal mercato.
Anzi,
in alcuni casi le Big Tech si comportano come se dispensassero a piacimento
spazi sul mercato alla concorrenza, nascondendo così la loro condizione
monopolistica.
Nel
2014 ad esempio è nato Proton Mail, un servizio di posta elettronica con sede a
Ginevra fondato da Andy Yen – oggi conta 50 milioni di utenti in tutto il
mondo. L’ambizione
è poter competere con un colosso come Gmail, di proprietà di Google, che oggi
ha 1,5 miliardi di utenti.
Intervistato
dal Financial Times, Yen ha spiegato che Proton non potrà mai essere un vero
concorrente di Google fin quando internet sarà un luogo simile a Far West,
senza regole: «Cresciamo grazie alla buona volontà dei giganti della tecnologia. Anzi,
i giganti potrebbero farci sparire da internet da un momento all’altro,
praticamente senza ripercussioni legali o finanziarie».
Quello
di Andy Yen e la sua Proton è solo uno dei tanti casi di aziende europee che
non riescono a colmare il gap rispetto a Big Tech. È per questo che l’Unione europea
negli ultimi tempi si è mossa per dare un ordine e un criterio al mercato in
questo settore, provando a regolamentarlo per cancellare le condizioni di monopolio di
Google, Meta, Microsoft e altri.
La
speranza è in una sigla, Dma. È il Digital Markets Act, il primo intervento in materia di
concorrenza da vent’anni a questa parte. Proprio ieri, dopo tre mesi di
trattative, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno trovato un significativo
accordo sulla proposta legislativa che regolamenterà le attività delle grandi
piattaforme internet.
Il Dma
andrà a riequilibrare i rapporti di forza con le Big Tech: include principalmente divieti o
restrizioni nell’esecuzione di specifiche pratiche commerciali, e obblighi da
far rispettare alle piattaforme per modificarne le pratiche commerciali e
facilitare la concorrenza. Per le più grandi piattaforme digitali ci sono una ventina
di regole da rispettare per evitare abusi di posizione dominante.
Il Dma
è affiancato dal Digital Services Act (Dsa), che dovrà operare in aree come la privacy e l’utilizzo dei dati, in funzione di un maggior
pluralismo e di un’offerta più diffusa in materia di servizi digitali, a prezzi più bassi,
facilitando così le startup e semplificando il panorama normativo europeo.
Così
Bruxelles sta provando a creare una via europea alla regolamentazione digitale:
oggi
l’Unione rappresenta la più grande minaccia per gli imperi digitali messi in
piedi dai cosiddetti gate-keeper come Google, Facebook, Amazon e Microsoft. Una minaccia che ha il volto di Margrethe Vestager, Vicepresidente
esecutiva della Commissione europea, nonché Commissaria Antitrust.
Inizialmente
le sanzioni consistevano in multe che, per quanto salate, non potevano scalfire
gli imperi digitali. Google, ad esempio, ha ricevuto circa 10 miliardi di euro di
multe in un decennio, decisioni che l’azienda americana ha già impugnato più
volte e che di certo non ne hanno modificato le modalità d’azione sul mercato.
Negli
ultimi anni, però, la musica è cambiata. «La legislazione antitrust sta
iniziando scoprire la sua capacità di trasformare completamente il modo in cui
queste grandi aziende fanno affari, disabilitando la loro strategia
fondamentale di integrazione che ha permesso loro di legare utenti, dominare i mercati
e catturare miliardi di euro di ricavi», scrive il Financial Times.
Secondo
il Corporate
Europe Observatory ci sono stati più di 150 incontri tra Big Tech e i funzionari
dell’Unione europea dall’inizio dell’attuale Commissione (fine 2019).
L’arrivo
del Dma, il cui bersaglio sono le imprese con una capitalizzazione di mercato
individuale superiore a 65 miliardi di euro, è un segnale particolarmente
significativo: per la prima volta ci saranno regole su come le grandi piattaforme
online devono competere nel mercato europeo. Il Digital Markets Act potrebbe, ad esempio, costringere Google a offrire agli
utenti la scelta di provider di posta elettronica alternativi durante l’avvio
di un nuovo smartphone, oppure obbligare Apple ad aprire il suo app store a
servizi concorrenti.
«Le
principali aziende stanno ora spostando la loro attenzione su come potrebbero
conformarsi alla legislazione, piuttosto che farla deragliare», si legge sul
Financial Times. «Perché non c’è modo di fermare questo cambiamento: le grandi
aziende tecnologiche hanno perso la battaglia legislativa».
Il
quotidiano economico spiega però che Google e le sue sorelle del settore hanno
provato per anni a contrastare le nuove politiche europee con attività di
lobbying, consapevoli che i nuovi strumenti messi in campo da Bruxelles
avrebbero cambiato lo scenario: «Google, in particolare, si è distinto per il modo in
cui ha preso di mira alti funzionari per cercare di orientare il regolamento a
modo suo. L’azienda ha pianificato una campagna aggressiva direttamente rivolta
a Thierry Breton, il commissario per i mercati interni che è stato determinante
nell’elaborazione delle nuove dure regole contro le grandi aziende
tecnologiche».
Ci ha
provato anche Facebook – oggi ribattezzata Meta – accusando una minaccia ai
danni dell’innovazione tecnologica. Nick Clegg, presidente degli affari globali della
società, aveva
detto che il Digital Markets Act avrebbe rischiato «di fossilizzare il
funzionamento dei prodotti e di impedire la costante iterazione e sperimentazione
che guida il progresso tecnologico». Niente da fare, accuse cadute nel vuoto.
La
grande forza delle politiche europee ha dato slancio anche agli Stati Uniti: non è un mistero che
l’amministrazione di Joe Biden sia molto favorevole a ciò che sta facendo
Bruxelles. Ha
segnalato misure di applicazione più severe negli Stati Uniti che rispecchiano
le iniziative di Bruxelles e ha messo i critici della grande tecnologia in
posizioni influenti, come ad esempio Lina Khan, a capo della Federal Trade Commission – una che si è fatta un nome
sostenendo che Amazon vada smantellata.
Il
Digital Markets Act potrebbe essere emulato a Washington. Il Congresso ha
introdotto delle discussioni, grazie al senatore repubblicano Chuck Grassley e alla
democratica Amy Klobuchar, sull’American Innovation and Choice Online Act, una
legge con ambizioni simili a quella dell’Unione europea. Ma è altamente improbabile che ci
siano sviluppi significativi in tempi brevi in una fase di crisi e conflitto
come questa,
e con le elezioni di midterm a novembre.
«In
Europa, tra le aziende tecnologiche c’è la sensazione che la battaglia sia già
persa. I team legali di Google, Apple e Amazon stanno già valutando i modi per
implementare le nuove regole nell’ambito delle loro attività commerciali», conclude il Financial Times.
«I politici stanno cercando di fare ciò che è
bene per i consumatori, perché quello che fanno le grandi aziende tecnologiche
è anticoncorrenziale. Alla fine le persone si sono svegliate».
LO
SCONTRO DI CIVILTÀ
PRODOTTO
DALL’OCCIDENTE.
Iari.site-
Nicki Anastasio- (26 Marzo 2021)- ci
dice :
Ripercorrere
la storia dell’Egitto, dell’Iran e della Turchia ci mostra quanto sia
paradossale l’idea secondo cui si esista un reale scontro civiltà tra
l’Occidente e il mondo musulmano.
L’idea
che ci sia una differenza indiscutibile e incolmabile – al livello culturale,
politico ed economico – tra il mondo occidentale e i paesi musulmani avanza con
forza nel corso del ventesimo secolo quando serie di eventi minacciano gli
interessi geopolitici delle potenze occidentali in Medio Oriente e Nord Africa.
Dalla
rivoluzione iraniana del 1979 all’ascesa dell’organizzazione jihadista-salafita
Al-Qaeda.
Le
società dei paesi a maggioranza musulmana sono considerate per loro natura
incompatibili con i principi della modernità. Troviamo questi stereotipi
nell’opera di Samuel Huntington ‘’Clash of Civilizations’’ in cui l’autore prevede un futuro di
guerre tra le diverse culture del mondo sostenendo l’evidente superiorità
economia, scientifica e culturale dell’Occidente e descrivendo il mondo musulmano come
una minaccia costante alla pace e la stabilità della comunità internazionale.
Considerando
l’evoluzione storica di tre paesi – Egitto, Iran, Turchia – troveremo alcuni
elementi che ci aiutano a rispondere alla seguente domanda: a che punto si può parlare di
conflitto di civiltà tra il mondo musulmano e l’Occidente? E se c’è davvero una cesura tra i
due, quanto questa immagine è stata prodotta dall’Occidente stesso per
garantire, attraverso un calcolo realistico degli interessi, la sua egemonia nel sistema
internazionale e legittimare rapporti di dominazione?
Con la
fine Prima guerra mondiale Francia e Gran Bretagna si dividono i territori appartenenti
allo smembrato Impero Ottomano.
La delimitazione dei confini dei paesi arabi,
tali come ci appaiono oggi, è stata stabilita all’epoca attraverso gli accordi
Sykos-Picos (1916) e di San-Remo (1920). In considerazione di questo gli
analisti definiscono il Medio Oriente come un sistema penetrato perché
sottoposto, sin dalla sua creazione, all’influenza di potenze straniere che
hanno spinto all’adozione del modello capitalista e dei principi della
modernità, così come concepiti dall’establishment occidentale.
L’Egitto:
dal mandato britannico alla sua neo-liberalizzazione.
Già
prima dell’inizio del mandato britannico in Egitto, le élite borghesi credono che per
resistere agli europei sia necessario appropriarsi delle loro conoscenze e tecniche.
Le
politiche di modernizzazione da loro sostenute e implementate dalla monarchia
filo-britannica del re Farouk polarizzano gli equilibri sociali e, in risposta,
una forte
organizzazione politica segnata dal socialismo avanza rivendicando una forma di
ritorno alle fonti dell’Islam.
Sono i
Fratelli Musulmani. Ma saranno gli Liberi Ufficiali, dopo la Seconda guerra
mondiale, che
riusciranno a cementare tutte le forze politiche di dissenso (socialisti,
soldati, fratelli musulmani) sulla base del loro rifiuto condiviso verso il
regime monarchico simbolo della dominazione occidentale.
Jamal
Abd Al-Naser, il più carismatico dei Liberi Ufficiali, diventa il volto di
Rivoluzione. Egli vuole rendere l’Egitto una potenza nel mondo arabo, guida della
resistenza dei paesi del terzo mondo al colonialismo. In risposta, la Francia e la Gran
Bretagna lo chiamano l’Hitler arabo.
I
successivi presidenti egiziani si sono ancorati maggiormente all’ Occidente in
qualità di partner economico e militare. Infatti, a partire dalla politica
di infitah (apertura) di Anwar Sadat, l’Egitto mostra l’intenzione di
beneficiare del liberalismo economico anche se ciò finisce per aumentare le
disuguaglianze sociali. L’esercito e le famiglie vicine al regime si
arricchiscono e i poveri si impoveriscono.
Più il
paese si conforma agli standard economici e politici occidentali e più
autoritario diventa il potere centrale. Oggi, le violazioni dei diritti
umani sono all’ordine del giorno in Egitto, legittimati dalla politica di zero
tolleranza del presidente Al-Sisi verso tutte le forme di contestazione alla
sua macchina militare. Ma questo non ha ostacolato le relazioni tra il Cairo e le
grandi potenze, non ha impedito la firma di accordi economici e il sostegno
dell’Occidente al presidente resta forte nonostante tutto.
La
Turchia: dall’idea di una nazione laica al neo-ottomanesimo.
All’inizio
del diciannovesimo secolo, il contatto con la modernizzazione europea spinge i
gruppi nazionalisti turchi a rielaborare le idee ispirate dalla Rivoluzione
francese per promuovere il progetto di una nazione laica.La figura che incarna il cambiamento
è Mustapha Kemal. Egli sostiene che il secolarismo equivale alla modernità e pertanto il Califfato, garante
dell’unità della comunità musulmana, deve lasciare il posto al potere statale.
A tal
fine, egli mette in atto diversi provvedimenti: l’approvazione di un Codice civile
sul modello svizzero e l’adozione dell’alfabeto latino. In tutto ciò, il padre dei Turchi
fa leva sulla religione per rendere omogeneo il nuovo territorio ma successivamente ritira tutto il
potere ai religiosi, rendendo l’Islam un fattore sociale privo di forza
politica.
La
creazione del moderno stato turco viene immediatamente seguita da una svolta
autoritaria.
Mustapha
Kemal rivendica sempre di più la sua vicinanza ideologia ai regimi fascisti
europei come chiave per accedere alla civiltà occidentale.
Dopo
la sua morte la Turchia si avvicina sempre più ai paesi del nord del mondo
adottando un capitalismo di convenienza e diventando uno stato membro della
NATO. Ma questo non aiuta la stabilizzazione del potere interno che rimarrà
debole fino all’elezione di Erdogan nel 2003.
Dall’inizio
della sua ascesa politica il suo referente ideologico è la corrente moderata
dei Fratelli Musulmani che, all’esplosione della Primavera araba, si era posta
come forza trainante del cambiamento nella regione.
Ne consegue che la politica estera della Turchia comincia a cozzare con gli
interessi delle monarchie conservatrici del Golfo, difensori dello status quo
della regione e ostili all’Islam politico.
Nonostante
Erdogan si ponga come difensore del mondo musulmano, i suoi obiettivi sono più
politici che religiosi. Cementare il consenso alla sua figura – riferendosi a
popoli che abitano anche al di fuori della Turchia – e proteggere i suoi
interessi nella regione.
Alla
luce di ciò, gli analisti ritengono che Ankara voglia ristabilire la vecchia
influenza detenuta dall’Impero Ottomano nel Mediterraneo. Ciò ha causato non poche tensioni
lo scorso anno, nel momento in cui la concorrenza interregionale per l’egemonia politica
sul mondo musulmano si è sovrapposta agli interessi energetici dell’Europa, in
particolare della Francia.
Il
rifiuto iraniano verso l’Occidente.
La
presa del potere da parte di Reza Khan in Iran, dopo lo scoppio della
rivoluzione costituzionale nel 1905, è accompagnata dall’attuazione di un piano
di ammodernamento politico che si richiama al modello europeo e in parte a
quello turco. (“L’Iran deve europeizzare anima e corpo”).
L’invasione
anglo-sovietica del 1941 e l’ascesa di Mohammad Reza Pahlavi, l’ultimo scià
iraniano, rafforzano l’avvicinamento del paese all’Occidente, visto come
necessario per impedire la diffusione di una rivoluzione islamista o comunista
nel paese.
Colui
che diventerà conosciuto come l’Ayatollah Khomeini riuscirà a compattare il
malcontento della popolazione contro la sottomissione all’Occidente creando un
nuovo modello statale che si basa sulla legge di Dio (sharia) e che fa
riferimento alla componente sciita dell’Islam di cui la Repubblica Islamica si
pone come difensore.
Se da
una parte la Rivoluzione Iraniana ha contribuito a istituzionalizzare e
statalizzare le figure religiose, dall’altro lo stato ha continuato a detenere
un forte potere politico. Ad esempio, anche se i Guardiani della Rivoluzione incorporano
giuristi religiosi, questi sono sotto il controllo di un Consiglio controllato
dai politici. La figura della Guida Suprema (nominata da un’Assemblea di esperti – 86
dignitari religiosi eletti a suffragio universale), inoltre, è imprescindibile
da quella del Presidente.
La
crisi degli ostaggi americani segna l’inizio delle tensioni tra Iran e Stati
Uniti, paese garante del sistema internazionale post-Guerra fredda. Il contesto
di confronto con l’Occidente si rafforza.
Prima
a causa dell’affare Rushdie in seguito in merito alla questione del nucleare. Inoltre, la vicinanza degli Stati
Unite alle monarchie petrolifere del Golfo spinge l’Iran ad espandere la sua
influenza nel Levante arabo attraverso proxy actors mobilitati non tanto dalla
religione ma piuttosto da sentimenti di odio contro gli Stati Uniti e Israele.
Le
ultime elezioni presidenziali hanno mostrato la popolarità dei riformatori sui
conservatori ma gli effetti delle sanzioni imposte dal presidente degli Stati
Uniti Donald Trump hanno rafforzato l’isolamento del paese e, di conseguenza,
la diffusione di sentimenti antioccidentali nella sfera politica. Pertanto, non ci si aspetta una
distensione delle tensioni tra Washington e Teheran a seguito delle elezioni
presidenziale che avranno luogo questo giugno.
Scontro
di civiltà o di interessi?
A una
lettura superficiale, i fenomeni storico-politici avvenuti nel mondo musulmano
sembrano legati al rapporto squilibrato tra stato e religione e al fallimento
del capitalismo nei paesi che ne fanno parte.
Secondo
le generalizzazioni più frequenti la religione è pesantemente impigliata nella macchina
statale e la società a non dispone delle conoscenze e delle abilità necessarie
per conformarsi agli standard occidentali.
Questi
giudizi di valore, largamente diffusi in Occidente, nascondono l’esistenza di
rapporti di dominazione che, anche dopo la fine formale del colonialismo, si
sono ristrutturati in nuove forme di influenza politica ed economica.
Non è
un caso che gli Stati Uniti abbiano scelto come loro alleati nella regione i
paesi che garantiscano il mantenimento dello status quo – Egitto e monarchie
conservatrici – e che la mobilitazione di certe immagini relative alla civiltà
islamica – l’incapacità di perseguire il progresso economico e adottare i
valori dell’Occidente – è stata utilizzata nel corso degli anni per
giustificare lo sfruttamento della regione e la sua posizione di sottomissione
nella divisione internazionale del lavoro.
Alla
luce di ciò non possiamo dire che esiste una cesura netta tra l’Occidente e il
mondo musulmano, in quanto i paesi del Medio Oriente sono entrati in contatto
con la modernità occidentale a partire dalla loro formazione storica e, a
partire da quel momento, hanno digerito questo immaginario rielaborandolo o
condannandolo.
E’
evidente allora che i due blocchi, se così possiamo definirli, si sono
influenzati l’un l’altro, nonostante l’esistenza di rapporti di dominazione a
vantaggio del primo che oggi non ha più la forza per affermarsi come unico e
solo garante del sistema internazionale.
Il sovranismo è una truffa?
Intellettualedissidente.it-
Emanuel Pietrobon-(12-1-2019 )-ci dice :
(L’Illuminismo
oscuro- Nick Land).
Non è
in corso alcuna battaglia tra sovranisti e globalisti, non c’è alcun risveglio di popolo
contro le élites liberiste ( liberal Dem Usa): è l’ennesimo scontro geopolitico guidato dagli Stati Uniti
per estendere la loro egemonia globale.
L’epoca
delle ideologie non è finita col crollo dell’Unione Sovietica e con la
sconfitta dei fascismi; sembra infatti essere in corso una nuova battaglia,
ideologica, politica e culturale, tra due nuove visioni del mondo, il cui esito
determinerà non solo il futuro dell’Occidente, ma delle stesse relazioni
internazionali: si tratta dello scontro tra sovranisti e globalisti.
Il
sovranismo è
un’ideologia mirante alla ricostruzione della legittimità e del potere dei
decadenti stati nazionali, ridotti a degli attori marginali nello scacchiere
internazionale dall’emergere delle grandi corporazioni multinazionali, dei
gruppi finanziari, delle organizzazioni internazionali e non governative, mentre il globalismo rappresenta una degenerazione
dell’internazionalismo e del cosmopolitismo liberale otto-novecentesco, avente
come obiettivo la costruzione di un nuovo ordine mondiale guidato dai mercati,
dalla globalizzazione e dalle strutture anazionali e sovranazionali.
Il fronte sovranista è rappresentato essenzialmente dai
cosiddetti partiti del populismo di destra e di sinistra, sebbene in realtà non
si tratti di un blocco monolitico come sovente dipinto, mentre quello globalista è guidato dai grandi e piccoli,
vecchi e nuovi partiti di ispirazione progressista, centrista e
liberaldemocratica (Liberal Dem Usa).
In
realtà, sovranismo e globalismo sono due facce della stessa medaglia, due
cavalli di battaglia magistralmente utilizzati per mascherare la vera natura di
questo conflitto:
un
gigantesco conflitto geopolitico che vede da una parte coinvolti gli Stati
Uniti e dall’altra tutti gli ostacoli per l’egemonia americana nel nuovo
millennio – Cina, Russia e l’asse francotedesco in primis.
Anche
la vittoria di Trump non ha segnato l’inizio del crollo della globalizzazione
liberale, del progressismo e del marxismo culturale, sebbene così sia stata (e
sia ancora) pubblicizzata e propagandata dalle destre populiste di tutto
l’Occidente, ma semplicemente il ritorno in scena (ben mascherato) del mai defunto “Progetto per un
nuovo secolo americano”.
Per i
non addetti ai lavori, si tratta di un ambizioso progetto disegnato negli anni
’90 da un prestigioso think tank formato, tra gli altri, da Robert Kagan, John
Bolton (l’attuale consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione
Trump), Dick Cheney, ed altri influenti analisti, strateghi e pensatori di
formazione reaganiana, wilsoniana e neoconservatrice.
L’obiettivo era il rafforzamento della
presenza statunitense nel mondo in aree tradizionalmente instabili e
sfuggevoli, come il mondo arabo-islamico e l’Asia orientale, ma vitali ai fini dell’egemonia sul
cuore della terra tanto caro a sir Halford Mackinder e Zbigniew Brzezinski.
Gli
insuccessi dell’amministrazione Obama e della gestione Dem degli affari
statunitensi nel mondo – Europa, Cina e Medio Oriente su tutti – hanno dato
nuova linfa vitale all’ala messianica ed eccezionalista dello Stato profondo,
rendendo possibile la proliferazione di sentimenti reazionari in Occidente, ostili alla visione del mondo
sorretta dai liberal Dem americani e
quindi potenzialmente sfruttabili.
In
Europa, i populisti di destra hanno semplicemente sfruttato le gravi mancanze in termini di
leadership e capacità di gestione dei problemi dei partiti centristi e di
sinistra, rompendo un’egemonia politico-culturale più che decennale, vedendo
nella recessione economica, nella crisi dei rifugiati, nei mali della modernità
e nello spaventapasseri dell’islamizzazione gli eventi ideali con i quali
catalizzare i consensi di un’opinione pubblica stanca, demoralizzata e
sfiduciata. Un’Europa egemonizzata dai populisti di destra sarà (forse) liberata
dalla morsa della dittatura burocratica di Bruxelles imposta dall’asse
francotedesco, ma di certo cadrà completamente tra le braccia degli Stati
Uniti, più intenzionati che mai a recuperare il declino di potere nel mondo
sperimentato dal dopo-Bush Jr.
La
caduta di Saddam Hussein era stata promossa con forza dagli ideologi del nuovo
secolo americano, i quali formarono un importante gruppo di pressione durante
l’epoca Bush Jr, nella speranza di giungere a dei cambi di regime anche in
Siria, Libia e Iran.
Non è
un caso che, per quanto il sovranismo si erga a protettore dell’interesse e della
sovranità nazionali, sia strenuo difensore della nuova linea di politica estera
statunitense costruita sulla paura gialla, l’euroscetticismo, l’iranofobia, e
l’immancabile appoggio ad Israele.
No,
Trump e Putin non sono segretamente alleati, e Trump non sta combattendo contro
alcuno Stato profondo, sta semplicemente realizzando, in maniera egregia e
fulminea, i
sogni dei neocon di dar luogo ad un’egemonia statunitense duratura e realmente
proiettata globalmente. Le simpatie filorusse seguono uno scopo preciso: allontanare Mosca da Pechino,
evitando la caduta della Russia nell’orbita dell’emergente superpotenza cinese.
Il
vero obiettivo degli Stati Uniti, oggi e nel prossimo futuro, sarà infatti il
contenimento di Pechino, le cui ambizioni egemoniche planetarie si sono oramai
manifestate con il lancio della cosiddetta Nuova via della seta. Se questo ambizioso progetto
infrastrutturale e geostrategico dovesse realizzarsi, la Cina avrebbe il dominio economico
(e quindi politico) su quasi l’intera Eurasia e parte dell’Africa.
Alcuni
eventi, a questo proposito, sono molto emblematici e non hanno bisogno di
ulteriori spiegazioni: la chiamata presidenziale di Trump diretta all’omologo
taiwanese e il dietrofront sulla politica kissingeriana della “una sola Cina”,
le dichiarazioni del ministro dell’interno italiano Matteo Salvini sul pericolo
cinese, la diffusione in sede europea di report allarmanti sui rischi della
nuova via della seta per l’indipendenza economica dell’Ue, e la generale
diffidenza dei populisti europei verso l’espansionismo cinese.
No,
l’ondata populista non è una rivolta di popolo contro l’élite, come dichiarato
dall’ideologo della nuova destra americana Steve Bannon, una delle eminenze
grigie che suggeriscono Trump, ma l’ennesimo tentativo statunitense di impedire
la rinascita di un’Europa forte e indipendente. Ma la colpa di tutto ciò non è
imputabile solamente agli Stati Uniti:
sono
stati gli statisti europei, miopi e carenti di ogni qualità necessaria per
svolgere funzioni di guida, a creare il terreno fertile per il tramonto del sogno
europeo, alimentando il relativismo culturale e la distruzione delle identità
locali e nazionali, ponendo interessi lobbistici al di sopra di quelli popolari
e preferendo gli egoismi nazionali al solidarismo comunitario.
Steve
Bannon.
Oggi
l’Europa è spaccata a metà: mentre le forze laiche, liberali ed europeiste
perdono terreno giorno dopo giorno, anche nelle loro storiche roccaforti, nuovi
e vecchi partiti e movimenti euroscettici e conservatori avanzano e si
organizzano in vista delle elezioni parlamentari europee di maggio, che si
prospettano essere un banco di prova per saggiare l’efficacia della strategia
americana per il Vecchio continente. Ma lo scontro sovranisti-globalisti diretto dagli
Stati Uniti non sta plasmando solo l’Europa in chiave antirussa e anticinese, perché
la finta rivoluzione popolare sta dilaniando anche l’America Latina, cortile di
casa di Washington per antonomasia sin dall’epoca della dottrina Monroe.
Ogni
tentativo rivoluzionario nel subcontinente è stato storicamente represso nel
sangue, attraverso l’instaurazione di dittature militari favorevoli agli
interessi statunitensi sin dalla fine del 1800, ma l’ascesa della cosiddetta
nuova sinistra bolivariana a partire dagli anni ’90 aveva temporaneamente
bloccato i piani egemonici di Washington nell’area.
Oggi,
la situazione è radicalmente cambiata, merito di una strategia geo-religiosa
estremamente lungimirante, mirante alla protestantizzazione dei latinoamericani
e all’utilizzo di questa nuova ed imponente massa popolare per fini politici e
culturali. Nicaragua, Honduras, Costarica, El Salvador, Messico, Brasile: le roccaforti del cattolicesimo
ispanoamericano si sono rapidamente trasformate in bastioni
dell’evangelicalismo più settario e fondamentalista, erodendo la carica
d’attrazione esercitata dalla nuova sinistra e dal cattolicesimo.
Molte
sono le caratteristiche che accomunano le decine di denominazioni di
ispirazione evangelica che dominano il nuovo scenario religioso
latinoamericano: il monopolio dell’informazione attraverso l’acquisto di media
tradizionali e nuovi, il sionismo cristiano (e quindi l’abbandono del
tradizionale solidarismo latino verso la causa palestinese e il terzomondismo),
la convinzione che gli Stati Uniti siano il punto di riferimento morale della
civiltà occidentale, il feroce anticattolicesimo, l’anticomunismo.Benjamin Netanyahu è un grande
protagonista della svolta sionista dei populisti di destra e sovranisti
europei, oggi i più grandi sostenitori di Israele in sede comunitaria.
È
proprio attraverso la religione che gli Stati Uniti hanno conquistato l’America
Latina, penetrandone l’anima e cambiandola, riuscendo a far emergere una nuova
destra, religiosa, conservatrice e filoamericana, voluta dal popolo. Non è un
caso che i primi paesi a seguire la decisione di Trump nel riconoscimento di
Gerusalemme quale capitale unica di Israele, con il conseguente spostamento
dell’ambasciata, siano stati proprio quelli latinoamericani, guidati da
amministrazioni giunte al potere con i voti degli evangelici: Guatemala,
Honduras, Paraguay. L’ultimo paese ad annunciare il proprio supporto in toto
alla linea trumpiana è stato il Brasile di Jair Bolsonaro, alla cui cerimonia d’insediamento
presidenziale era presente in veste di ospite d’onore BenJamin Netanyahu, il carismatico primo ministro
israeliano co-autore, insieme ai neocon statunitensi, della svolta sionista dei
populisti-sovranisti d’Occidente.
Il
discorso di Netanyahu al popolo brasiliano è stato largamente ignorato, ma in
realtà è altamente significativo, perché prova l’esistenza di un forte legame tra
l’evangelicalismo ed il sionismo, confermando la tesi della religione
utilizzata a fini politico-culturali. Uno dei passaggi fondamentali è
infatti il seguente:
Noi
[israeliani] non abbiamo amici migliori al mondo della comunità evangelica, e
la comunità evangelica non ha un amico migliore nel mondo dello stato di
Israele […] Sapete che il primo nome del presidente Bolsonaro in ebraico è
Yair, che è anche il nome di nostro figlio, ma Yair significa qualcosa in
ebraico: colui
che porta luce. E io credo che oggi abbiamo un’opportunità insieme di portare un po’ di
luce al popolo del Brasile e al popolo di Israele. Questa è un’alleanza di
fratelli.
Se il
populismo europeo è stato alimentato a scopo anti-iraniano, antirusso e
anticinese, quello latinoamericano non è stato motivato soltanto da fini
anticattolici e filosionisti, ma anche per dare il colpo di grazia a quel che
rimane della nuova sinistra, oramai rappresentata da regimi (forse) prossimi
alla caduta: Nicaragua e Venezuela.
Jair
Bolsonaro è il neopresidente del Brasile e ha promesso l’inizio di una nuova
era per il colosso latinoamericano: forte alleanza con Stati Uniti ed Israele,
allontanamento dai Brics, scontro con l’asse del male latinoamericano
rappresentato da Cuba e Venezuela, annichilimento delle forze di sinistra.
Insomma,
il sovranismo non è altro che uno strumento utilizzato da Stati Uniti ed
Israele per portare avanti una specifica agenda di politica estera mirante al
contenimento russo, cinese, iraniano ed europeo, promossa e retta da
un’efficace propaganda che vorrebbe far passare questa rivoluzione come una
guerra culturale tra buoni (cristiani, conservatori, filosionisti,
antiliberali) e cattivi (fedeli a papa Francesco, europeisti, filopalestinesi,
liberal Dem Usa).
Anche
l’accanimento mediatico contro Francesco I e lo scoppio di scandali ad
orologeria coinvolgenti il clero vaticano, casualmente provenienti dagli Stati
Uniti, sono da inquadrare nel contesto di questo scontro geopolitico, perché l’attuale pontificato è stato
sin dalle origini in prima fila nella denuncia del pericolo populista. La rivoluzione sovranista-populista è
una truffa e siamo stati tutti ingannati.
NUOVO
RESPIRO PER L’EUROPA:
PRENDONO
FORZA GLI ANTI-GLOBALISTI?
Comedonchisciotte.org-
Jacopo Brogi- Redazione CDC -( 09 Aprile 2022 )- ci dice :
Le
elezioni in tre paesi europei, ovviamente, non riflettono il mitico confronto
tra “democrazia” e “autocrazia”.
La
pubblicazione globalista americana The New York Times rileva che “la lotta tra democrazia e autocrazia
si svolge
non solo in Ucraina”, ma anche in tutta Europa.
La
vittoria di Aleksandr Vučić alle elezioni presidenziali in Serbia, così come la
vittoria di Viktor Orban in Ungheria, sono la prova della vittoria, secondo il
giornalista David Leonhardt, dei nemici della democrazia.
L’autore
sottolinea che il prossimo “terremoto geopolitico” potrebbe verificarsi in
Francia, dove il 10 aprile 2022 si terrà il primo turno delle elezioni
presidenziali.
Ungheria.
La
vittoria di Orban alle elezioni parlamentari non è stata così scontata.
L’opposizione
per la prima volta dopo tanto tempo ha proposto un candidato unico – e non
chiunque, ma un simpatizzante e collaboratore delle strutture di Soros, Peter
Marki-Zai, che ha trascorso parte della sua vita in Canada.
Sullo
sfondo della posizione neutrale dell’Ungheria e del rifiuto di Viktor Orban di
fornire armi all’Ucraina, l’operazione per cambiare il regime dalla parte del
campo globalista è stata lanciata alla massima velocità. Tuttavia, qualcosa è andato storto
e Orban ha mantenuto il suo seggio con oltre il 60% dei voti.
Marqui-Zai,
che ha attivamente chiesto il sostegno all’Ucraina nel conflitto, nonché
l’adesione a una dura politica sanzionatoria antirussa, è stato sconfitto.
Lo
stesso Orban, dopo essere stato eletto, ha definito Zelensky, Soros, i media
internazionali e i burocrati dell’UE suoi oppositori.
Da
cosa è guidato Orban?
Mentre
i suoi oppositori nei media internazionali lo accusano di essere un agente del
Cremlino, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjarto osserva che il governo ungherese non è
disposto a “rischiare la vita e la sicurezza del popolo ungherese”.
Parallelamente,
ci sono state segnalazioni di una possibile transizione di alcune società
ungheresi (in particolare, la società energetica MVM) a accordi con Gazprom in
rubli. Il 6 aprile, Viktor Orban e Vladimir Putin hanno avuto una conversazione
telefonica.
La
posizione dell’Ungheria, isolata dalla retorica globalista, dimostra non tanto un “corso
filo-russo” quanto una politica di buon senso e impegno per una civiltà in cui
gli interessi del proprio popolo, e non delle “élites mondiali”, sono
fondamentali. Pertanto, Orban ha invitato Putin a colloqui di pace in Ungheria.
Dopotutto, l’Ungheria, come la Russia, è interessata a stabilire la pace in
Ucraina.
Il
presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha definito Orban “praticamente l’unico
in Europa che sostiene apertamente Putin”.
Si può
aggiungere che oggi Orban è praticamente l’unico che cerca di farsi guidare
dagli interessi del Paese, e non dalla “dittatura liberal Dem Usa occidentale”. Il New York Times ha definito
abbastanza argutamente l’Ungheria “la quinta colonna della NATO”.
La
sensazione di queste elezioni è l’ingresso nel parlamento ungherese del partito
Patria Nostra : populisti di destra che si oppongono al dispiegamento di truppe NATO nel
Paese, all’ingresso dell’Ucraina nell’UE e alla dittatura sanitaria globalista.
Il partito, formato da ex membri di Jobbik,
guidato da Laszlo Toroshkay (sindaco della città di Ashotthal), ha ricevuto il
6%. “Patria
Nostra” è un “nuovo tipo” di destra, anti-globalista che si oppone
consapevolmente all’ideologia del “Great Reset” di Klaus Schwab.
Serbia.
Il 3
aprile si sono svolte in Serbia le elezioni presidenziali e parlamentari. Il presidente Aleksandr Vučić, come
previsto, ha vinto le elezioni presidenziali. Alle parlamentari – il suo “Partito Progressista Serbo” (SPP) –
in una coalizione con il Partito socialista serbo e l’Unione degli Ungheresi
della Vojvodina, ha ottenuto il 43,78% dei voti.
Aleksandr
Vučić ha già dichiarato che proseguirà il percorso di cooperazione con la
Russia.
La
Serbia presterà particolare attenzione alla neutralità militare e alla
cooperazione con la Russia nel settore energetico. In precedenza, Mosca e Belgrado
hanno firmato un contratto di fornitura di gas naturale estremamente
vantaggioso per la Serbia, che scade il 31 maggio.
Il 6 aprile Vučić ha telefonato al presidente russo
Vladimir Putin. È stata sollevata la questione di un futuro accordo sul gas.
Allo stesso tempo, Vučić ha sottolineato che la Serbia continuerà il suo
percorso verso l’adesione all’UE.
Uno
dei risultati importanti delle elezioni è il passaggio di tre forze politiche
“di destra” al parlamento, che hanno ricevuto seggi nell’Assemblea grazie alla
loro posizione filo-russa e al sostegno all’operazione militare speciale russa
in Ucraina. Queste sono le coalizioni “Dveri” , “Nada” , il partito “Zavetniki”
.
Ciò
dimostra che il sostegno della Russia è un fattore politico importante.
Anche
il presidente Vučić è stato sostenuto perché gode della reputazione di un
leader che non litiga con la Russia. Tuttavia, Vučić difficilmente
dovrebbe essere considerato un “populista” o un “politico filorusso”,
piuttosto, è un pragmatico opportunista che cerca di trovare un equilibrio tra
diversi centri di potere. Quindi, non dimenticare che nel voto dell’ONU, la Serbia ha condannato il NWO (di
Klaus Schwab), sebbene non sostenesse sanzioni.
«Ci si
dovrebbe aspettare che Vučić continui la politica di bilanciamento in futuro”,
ha detto a Katehon l’esperto di geopolitica Aleksandr Bovdunov. Tuttavia, sullo sfondo di una vera
guerra tra Russia e Occidente, non sarà facile sedersi su due sedie. L’Occidente utilizzerà tutte le sue risorse
di influenza per estrarre dalla leadership serba passi che potrebbero essere
interpretati come anti-russi».
Francia.
Un
importante campo di battaglia del globalismo e del continentalismo in Europa è
la Francia.
Il 10 aprile 2022 si svolgerà il primo turno delle elezioni presidenziali e,
nonostante Emmanuel Macron e Le Pen siano nuovamente ai primi posti, il
contesto di ciò che sta accadendo è diverso dal 2017.
In
primo luogo, il conservatore e pubblicista di destra Eric Zemmour, che è
letteralmente diventato il “cigno nero” della scena politica francese, ha avuto
un’influenza significativa che ha causato lo spostamento politico della
“finestra di Overton”.
Grazie
a lui, il tema dell’”immigrazione”, la “Grande Sostituzione”, la politica
antifrancese del presidente in carica Emmanuel Macron, il tema dell’identità è
tornato ad essere in primo piano.
I suoi rivali sulla fascia destra, sia Le Pen
(che ha notevolmente ammorbidito l’agenda di destra dal 2017) che il
repubblicano Pekress, hanno dovuto tenere il passo con il loro serio rivale. Si può anche notare che, sotto
l’influenza di Zemmour, Macron, Le Pen e Pekress hanno svoltato a destra.
Le Pen
ha prestato molta attenzione al tema della sicurezza nei suoi slogan, Pekress
ha iniziato a costruire la sua campagna sulla retorica anti-islamista (sebbene
i sostenitori di Zemmour dubitassero della sua sincerità, indagando anche sui
possibili legami con gli islamisti). Anche Macron, che viene chiamato il
“camaleonte politico”, ha ripreso a tornare sul tema della sicurezza.
In
secondo luogo, nel 2022 Macron è un candidato con una “reputazione offuscata”. Complice anche una serie di
scandali: la vendita della società di costruzione di macchine Alstom alla
società americana General Electric, il coinvolgimento della società americana
McKinsey per una società di consulenza sanitaria ed evasione fiscale per 10
anni, un’indagine di alto profilo su corruzione e riciclaggio di denaro dell’ex
presidente Macron, Alexandre Benalla. Più una discussione piuttosto assurda
sul sesso della moglie di Macron (un certo numero di pubblicazioni sosteneva
che fosse transgender). A ciò si aggiungono una serie di fallimenti di politica
economica di Macron (e le successive proteste su larga scala sia dei sindacati
che dei gilet gialli), una crisi della sicurezza, problemi di salute (crolli pandemici che hanno messo in
luce la debolezza e l’incapacità del sistema sanitario francese di lavoro ad
alta velocità), e anche in connessione con il conflitto in Ucraina, l’incapacità del presidente
di agire da “operatore di pace”.
«L’intero
“periodo di cinque anni” del governo di Macron è, a suo modo, un fiasco della politica estera
francese, un trionfo del globalismo e il rifiuto francese dei propri interessi
nazionali,
secondo me», ha commentato a Katehon l’esperto Aleksandr Artamonov sui
risultati del primo mandato di Macron.
I
fallimenti in Africa hanno colpito in modo significativo la reputazione di
Macron: l’ingresso
fiducioso nella sfera di influenza russa della Repubblica Centrafricana, il
conflitto con la leadership del Mali e l’espulsione da lì delle truppe
francesi, sostituite da specialisti russi.
Oltre
alla Russia, la Turchia sta entrando nell’Africa occidentale, una regione di
tradizionale influenza francese, cercando di avvicinarsi al Niger, un paese che
Parigi, dopo aver lasciato il Mali, considera fondamentale per mantenere
l’influenza nel Sahel.
Il
Niger è anche la principale fonte di uranio per l’industria nucleare francese. Macron ha promesso nel 2017 che
avrebbe riavviato le relazioni con l’Africa. Ora è accusato di neocolonialismo,
nei paesi africani si stanno svolgendo manifestazioni contro la guerra, i
militari sono saliti al potere in Mali, Guinea e Burkina Faso, sostenendo la
sovranità dei loro paesi.
La
crisi ucraina, nonostante abbia temporaneamente legittimato Macron, gli ha
inferto un duro colpo alla lunga, perché è stato Macron a parlare più volte
prima dell’inizio dell’operazione con la tesi di essere riuscito a prevenire
l’offensiva russa contro l’Ucraina.
Il discorso fortemente mutato, in cui, dopo l’avvio
dell’Operazione Militare Speciale della Federazione Russa, si era già
chiaramente manifestata la posizione globalista con il sostegno della Francia
all’Ucraina (compresa quella militare), nonché la dura politica sanzionatoria
nei confronti della Federazione Russa, influirono sulla posizione della Francia.
Ritornato
sulla scia della politica globalista filoamericana, il Paese ha cominciato a subirne le
conseguenze: un aumento dei prezzi delle risorse energetiche, delle materie prime, del
grano, dei fertilizzanti, dei mangimi, ecc.
Tutto questo ha già cominciato a colpire la
Francia, ed è particolarmente evidente alla maggioranza nella “periferia”
francese. Ed
è questa “Francia periferica” che sostiene la Le Pen.
E solo
un paio di mesi fa sembrava che la realtà politica francese si stesse
nuovamente trasformando in un classico confronto tra destra e sinistra.
Tuttavia,
quando l’instabilità è arrivata nella regione, questa incredibile nuova
scissione ibrida (anti-globalisti/globalisti) si è rivelata di nuovo e le elezioni sono diventate
un campo di battaglia per le persone e le élites straricche.
Le
elezioni in tre paesi europei, ovviamente, non riflettono il mitico confronto
tra “democrazia” e “autocrazia”.
Piuttosto,
sottolineano che anche di fronte alla crescente pressione del nucleo
anglosassone dell’Occidente, i tentativi di sopprimere tutte le forze sovraniste e
populiste come presunti “complici della Russia” hanno avuto scarso successo.
La
guerra che di fatto l’Occidente ha dichiarato alla Russia non si attenua, ma in
una certa misura ne esacerba le contraddizioni interne. In questo contesto, nuove forze
sovraniste e populiste stanno emergendo e stanno facendo progressi.
I
leader collaudati con politiche pragmatiche si sentono sicuri di fronte alle
turbolenze regionali e globali. Le posizioni delle forze anti-globalizzazione
si rafforzano, mentre i” liberal Dem Usa” non riuscendo a trovare una risposta adeguata
alle nuove sfide, la esprimono nel discorso propagandistico “autoritarismo contro democrazia”, il quale non ha nulla a che vedere
con la realtà.
(Katehon,
Geopolitica.ru- Traduzione di Alessandro Napoli).
Il miliardario “globalista” sfida
il
presidente “sovranista”.
Ytali.com-
GUIDO MOLTEDO-( 1 Agosto 2018)- ci dice:
Charles
Koch, grande finanziatore dei repubblicani, rompe clamorosamente con Trump
sulle questioni dei dazi e dell'immigrazione. E gli dichiara guerra.
Multimiliardari
come George Soros e Michael Bloomberg sono notoriamente arcinemici del loro
pari diventato presidente degli Stati Uniti.
Per defenestrarlo sono disposti a investire milioni di
dollari. Bloomberg, indipendente di area repubblicana, ha annunciato di recente
di essere pronto a tirar fuori ottanta milioni di dollari per sostenere
candidati democratici in corsa per il Congresso a novembre.
Un
cambio di maggioranza alla camera e possibilmente anche al senato equivarrebbe
a un cambio di regime, sarebbe l’inizio della fine di Donald Trump. Senza
maggioranza repubblicana nelle due camere, ma anche solo in una, l’eccentrico
presidente farebbe davvero fatica a stare a galla.
Che al
gruppo dei “donor” anti-Trump potessero associarsi anche i fratelli Charles e
David Koch, era un’eventualità impensabile, un miracolo che solo The Donald
poteva fare.
E sì,
l’emblema stesso del conservatorismo che da anni alimenta con milionate di
dollari l’opposizione alla presidenza Obama, poi alla candidatura di Hillary e
a in generale ai democratici, specie ovviamente di fede “liberal Dem Usa”, è
passato dall’altra parte, fino a paventare un impegno finanziario consistente a favore
di candidati democratici.
I Koch
non sono impazziti (per precisione Charles, perché David, malato, si è ritirato
a vita privata).
Tra i magnati più ricchi del mondo, (Koch Industries, azienda
petrolifera e chimica, è la seconda compagnia privata più importante negli Usa,
con introiti nel 2013 di 115 miliardi di dollari), sono noti per le fondazioni e
pensatoi che controllano, attivi nel campo politico e nella diffusione delle
idee libertarie, come il Cato Institute e Americans for Prosperity.
Già,
perché i Koch sono libertari. Azzererebbero il ruolo dello stato, sono per la libertà
d’impresa senza freni e controlli, con una spiccata allergia ai vincoli
ambientalistici.
Per
questo sono anche nemici giurati del protezionismo. E del sovranismo. E quindi,
tanto per citare il caso più evidente, sono contrarissimi alle feroci politiche
anti-immigrazione di questa amministrazione. Considerano sacra la libertà delle
merci e delle persone, punti imprescindibili di un programma politico
conservatore.
I
politici che hanno beneficiato dei finanziamenti dei Koch.
Per molte
ragioni, osserva il New York Times, Trump dovrebbe essere il loro presidente
ideale, per via della politica fiscale (la flat tax), delle misure
anti-ecologiche a favore dell’industria e dell’energia, per la filosofia di
“deregulation” che è l’impronta della politica economica di questa
amministrazione.
Finora
il dissenso era sullo sfondo. E’ esploso lo scorso fine settimana, nella riunione annuale
del “Koch network” a Colorado Springs. Charles Koch ha definito “detrimental”
le politiche sul commercio di Trump, ma ha anche stigmatizzato il clima di
divisione nel paese che alimenta la sua presidenza, un clima che non favorisce
l’impresa.
Non
solo parole. Segue subito l’annuncio che dei 400 milioni di dollari investiti nella
politica nel 2018, i candidati repubblicani non vedranno un centesimo se non
s’impegneranno esplicitamente, una volta eletti, a favorire politiche di
sostegno al libero commercio e non ostili all’immigrazione.
Tanto
per cominciare, i Koch non sosterranno Kevin Cramer, che invece il presidente
appoggia con forza, nella corsa al senato in North Dakota. Piuttosto daranno soldi alla sua
avversaria democratica, la senatrice uscente Heidi Heitkamp.
Idem in Pennsylvania, dove i Koch sono freddi con Lou
Barletta, un cocco di The Donald.
Una
dichiarazione di guerra, quella di Colorado Springs, che non ha intimidito per
niente Trump. E neppure Steve Bannon, il suo consigliere fidato, anche adesso che è
fuori della Casa Bianca. Ai due, d’altra parte, sono sempre stati antipatici i
Koch: “globalist”, sono definiti con disprezzo.
Trump
replica ai Koch dicendo che sono “sopravvalutati”, che “nei circoli
repubblicani sono una barzelletta assoluta”, e che da loro non ha mai preso
niente perché “non aveva bisogno né dei loro soldi né delle loro cattive idee” (ma molti
degli eletti alle ultime elezioni sì, compreso il suo vice Mike Pence).
La
battaglia sta diventando termonucleare, dopo che Bannon ha intimato ai
candidati repubblicani di non prendere soldi dai Koch, che sono “tossici”, e che in
caso contrario “ci sarà una punizione”.
La
strafottenza dei due si basa sulla convinzione che la base repubblicana adora
il suo presidente e che nessun candidato del Grand Old Party oserebbe prendere
le distanze da lui.
Inoltre sono talmente sicuri di avere il vento
dalla loro parte da immaginare di poter costruire due gruppi parlamentari, al
senato e alla camera, totalmente allineati alla Casa Bianca.
DANNI
A LUNGO TERMINE,
SOPRATTUTTO
NEI GIOVANI.
Comedonchisciotte.org-
Massimo Cascone -( 13 Aprile 2022)- ci dice :
Vaccinazioni
giovani : danni lungo termine
Uno
studio americano di follow-up su bambini affetti da miocardite infiammatoria
del muscolo cardiaco dopo aver ricevuto la seconda dose del vaccino mRNA
Pfizer, pubblicato lo scorso 25 marzo sul Journal of Pediatrics, ha dimostrato
che i danni della vaccinazione non svaniscono con il tempo ma rischiano invece
di protrarsi nel lungo termine, senza che ciò venga preso minimamente in
considerazione dalla maggior parte della comunità scientifica.
Lo
studio condotto presso il Seattle Children’s Hospital, ha esaminato 16 maschi,
con un’età media di 15 anni, per studiare l’evoluzione dell’infiammazione del
muscolo cardiaco dai tre agli i otto mesi dopo la vaccinazione. Parliamo quindi
di soggetti per i quali già di base si accerta la diagnosi di miocardite poco
dopo la vaccinazione. Lo scopo della ricerca è capire se questa infiammazione al
muscolo cardiaco con il tempo va a scemare, fino a scomparire, oppure no.
Ebbene,
la ricerca – condotta attraverso l’utilizzo di elettrocardiogrammi (ECG) e
scansioni di risonanza magnetica cardiaca (CMR) per esaminare anomalie nel
cuore come cicatrici miocardiche, fibrosi, stiramento e ridotta estensione dei
muscoli ventricolari – mostra come dopo otto mesi dall’inizio della sintomatologia,
essa continua a persistere sotto forme diverse, confermando che la vaccinazione
possa protrarre nel tempo il danno creatosi.
“Sebbene
i sintomi iniziali (come dolore toracico e intolleranza all’esercizio) fossero
transitori e la maggior parte dei pazienti sembrasse rispondere al trattamento (solo con FANS – farmaci antinfiammatori
non steroidei – come l’ibuprofene), abbiamo dimostrato la persistenza di risultati
anormali su CMR al follow-up (da tre a otto mesi) nella maggior parte dei
pazienti” affermano i ricercatori.
Indicatore
principale della persistenza del danno l’LGE, acronimo indicante la capacità
del cuore di pompare in modo efficiente.
La
presenza di LGE è un indicatore di danno cardiaco e fibrosi ed è stata
fortemente associata a una prognosi peggiore nei pazienti con miocardite acuta
classica. Una meta-analisi comprendente otto studi ha rilevato che la presenza
di LGE è un predittore di morte per tutte le cause, morte cardiovascolare,
trapianto cardiaco, rio-spedalizzazione, miocardite acuta ricorrente e
necessità di supporto circolatorio meccanico.
Una
sentenza, o quasi, che dovrebbe mettere in guardia le tantissime persone che
dopo la vaccinazione hanno accusato dolori al petto o affaticamento, ora
scomparsi. I
danni non solo ci sono stati ma continuano a esserci in forma diversa, meno
sintomatica ma molto più pericolosa.
Per i
ricercatori quindi “le segnalazioni persistenti di eventi cardiaci nelle
settimane e nei mesi successivi alla vaccinazione con mRNA tra persone apparentemente
in forma e sane di tutte le età e generi, ma soprattutto uomini, non possono più
essere ignorate o liquidate come non correlate”.
I possibili effetti a lungo termine possono
includere infatti cancro, malattie renali ed epatiche e condizioni
neurodegenerative, oltre chiaramente ai problemi cardiaci.
Il
tutto ovviamente nel totale silenzio dei media e degli stessi medici, i quali
in più occasioni hanno rimandato a casa i pazienti che presentavano la
sintomatologia sopra descritta, prescrivendo semplicemente degli
antinfiammatori, senza indagare le conseguenze che un’infiammazione cardiaca
può avere nel lungo periodo.
Il
risultato è sotto i nostri occhi, persone sane e in giovane età, in particolar modo atleti, stramazzano a terra ogni giorno, e
tutti si ostinano a fare finta di niente.
(Massimo
A. Cascone-- conservativewoman.co.uk/vaccine-is-linked-to-long-term-child-heart-problems-but-still-the-jabbing-goes-on/).
L’ITALIA
AD ALGERI PER RIDURRE
LA
DIPENDENZA DAL GAS RUSSO.
Comedonchisciotte.org
- Massimo Cascone -( 12 Aprile 2022 )-
ci dice :
Draghi
e Di Maio ad Algeri, firmato l'accordo di cooperazione su energia e gas. Nella
delegazione italiana anche Cingolani e l'ad di Eni De Scalzi.
“I
rapporti tra Italia e Argentina hanno radici profonde”…è con questo clamoroso
lapsus che il nostro Presidente del Consiglio ha annunciato l’accordo per la
fornitura di gas, al termine dell’incontro con il Presidente della Repubblica algerina,
Abdelmadjid Tebboune, che dovrebbe permettere all’Italia di ridurre da dipendenza
energetica dalla Russia.
“I
nostri Governi hanno firmato una Dichiarazione d’Intenti sulla cooperazione
bilaterale nel settore dell’energia. A questa si aggiunge l’accordo tra Eni e
Sonatrach – azienda di stato algerina, principali aziende petroliere al mondo –
per aumentare le esportazioni di gas verso l’Italia”, ha continuato Draghi
parlando ai gionalisti.
“Subito dopo l’invasione dell’Ucraina, avevo
annunciato che l’Italia si sarebbe mossa con rapidità per ridurre la dipendenza
dal gas russo. Gli accordi di oggi sono una risposta significativa a questo
obiettivo strategico, ne seguiranno altre”
Un
accordo che nasce quindi dalla necessità del nostro governo di trovare
alternative ora che l’Unione Europea sta andando dritta dritta verso l’embargo,
su pressione di USA e Regno Unito.
Una
scelta che più volte abbiamo inquadrato come folle, a maggior ragione
ascoltando le ultime dichiarazioni del Segretario Generale dell’OPEC Mohammad
Barkindo.
Una
cooperazione tra Italia e Algeria, destinata, secondo le draghiane
dichiarazioni, ad allargarsi anche ad altri settori. “All’incontro di oggi seguirà un
nuovo Vertice Intergovernativo che si terrà qui ad Algeri il prossimo 18 e 19
luglio […]
L’Italia è pronta a lavorare con l’Algeria per sviluppare energie rinnovabili e
idrogeno verde. Vogliamo accelerare la transizione energetica e creare
opportunità di sviluppo e occupazione”.
Dichiarazioni
che confermano le nostre previsioni sul futuro prossimo: la crisi energetica per sponsorizzare
il Green New Deal (di Klaus Schwab) e
trasformare completamente le abitudini dei popoli europei.
Senza
un vero piano per far fronte alla mancanza delle fonti energetiche russe, come conferma
RT News, solo un totale e concertato investimento in quella direzione forse può
salvare l’Europa dal freddo del prossimo inverno.
(Massimo
A. Cascone-- ansa.it/sito/notizie/politica/2022/04/11/draghi-e-di-maio-ad-algeri-incontro-contebounne-per-intesa-sul-gas_1dd2a561-75ea-4777-9245-a404db989ec9.html).
“Sovranisti”
Populisti Contro Progressisti (liberal Dem Usa)
Europeisti “Globalisti”: Addio Partiti
Politici.
Economia-italia.com -Redazione - (24 novembre 2021)-
ci dice :
Finito
il Comunismo contro il Fascismo, quali sono le 2 grandi aree ideologiche
politiche che si vanno delineando in uno spettro di azione mondiale?
I sovranisti - populisti contro i globalisti -
progressisti (liberal Dem Usa) sembrano rispondere a questa richiesta del
mercato politico attuale.
I
sovranisti di oggi sono i nazionalisti di ieri? La destra di oggi sono i
conservatori di ieri?
I
progressisti di oggi sono la sinistra di ieri? E gli europeisti ed i globalisti
di oggi sono i liberali di ieri?
A Noi
di Economia Italia sembra proprio di sì.
Questo
lo si vede dalle varie vicende politiche che ci sanno facendo entrare nella 2a
decade di questo 2.000.
Sovranismo: in principio era il nazionalismo di
Putin.
Putin
è il più importante personaggio politico di questo inizio di secolo. Certamente
è quello vincente.
Putin
ha vinto la sua sfida interna ( con oltre l’80% di preferenze tra i suoi
elettori) e sta facendo bene con la sua sfida esterna, è il politico internazionale più
amato dal popolo e più temuto dagli altri governanti.
Non ci
metteremo qui ad analizzare i suoi discutibili metodi, inaccettabile per gli
standard democratici occidentali, ma perfettamente in linea con la nuovissima
democrazia in Russia, un paese dove , sottolineiamo non c’era mai stata la
democrazia prima del 1990.
Putin
è riuscito a riprendere per i capelli un paese allo sfascio dove l’anarchia e i
particolarismi sembravano aver preso piede e in nome del nazionalismo russo, della
patria e del capo forte supremo che difende la patria dalle forze esterne ( narrativa cara al popolo russo) è
riuscito nel suo intento, addirittura andando ad influenzare gli altri proprio
con quei nuovi strumenti ( internet, il trolling ) che gli hanno permesso di
solidificare il potere interno.
Putin
ha ispirato molti politici nel mondo, ma quelli che interessano
direttamente noi sono i politici della Brexit , Trump e gli altri politici europei
primi tra tutti quelli italiani cioè Salvini e il M5S.
Ovviamente
Putin non crede al sovranismo se non al suo, visto come si è comportato in Cecenia
e in Ucraina, solo per dirne due. Putin guida l’Impero Russo che oggi è molto debole
economicamente ma vede la sua forza
militare immutata e la sua forza politica all’estero non ai livelli
della vecchia URSS ma sicuramente molto, molto importante. E’ e rimane una delle 3 potenze più
importanti a livello globale insieme a Stati Uniti e Cina.
L’Europa?
Guarda,
visto che non riesce ancora a trovare un’unione politica.
La
fine del comunismo reale e l’inizio dei “partiti progressisti liberal Dem Usa”
in Italia.
Nel
1989 cade il muro di Berlino.Il paese occidentale più comunista di tutti, cioè
l’Italia sembra non accorgersene.
Il
Partito Comunista Italiano cambia nome ma non cambia persone.
Attenzione:
cambia
nome solo perché travolto dagli scandali di tangentopoli, non certo per la
vergogna di portare un nome “comunista” che è anche simbolo di massacri. Se non ci fosse stata ancora
tangentopoli in Italia al posto del PD nel 2018 ci sarebbe il PCI, senza ombra
di dubbio.
Una
volta cambiato il nome 2 o 3 volte all’inizio degli anni 2000 sembrava che con
PD tutti fossero d’accordo.
Un
partito democratico di sinistra. Purtroppo in Italia per “sinistra” si intende
socialista, o addirittura comunista.
Attuare
una politica socialista o comunista in Italia e chiamarla “politica di sinistra ” in Italia non è possibile come –
ora come ora – non è possibile in nessun paese occidentale, se non si vuol fare
la fine del Venezuela, dove, nonostante sia il paese con più petrolio al mondo
la gente fa la fame al punto che intere popolazioni partono a piedi e lasciano
il paese.
Il PD
ha cercato di fare il partito democratico “progressista liberal Dem Usa” di
sinistra.
Cioè
ha cercato di fare politiche per lo sviluppo di tutta la società, non solo a
favore dei più poveri ma anche delle aziende, bypassando così la lotta di
classe, un concetto del 900 che forse andava bene a quell’epoca .
Chi
più di tutti ha cercato di trasformare un partito ancora troppo comunista che
aveva solo il marchio PD è stato Renzi. Forse troppe aspettative si sono
riversate su questo ragazzo non ancora 40 enne e , inevitabilmente molti ci
sono andati sbattere.
Tutta
colpa di Renzi?
Si
voleva tutto subito: un Governo Renzi che avrebbe dovuto far ripartire l’Italia
dalla crisi economica, che avrebbe dovuto gestire la vera e propria invasione
di 150 mila profughi all’anno che arrivavano dall’Africa per cercare fortuna in
Europa, che avrebbe dovuto fermare il terrorismo islamista dilagante.
Più
che un Premier, sarebbe servito un super eroe della Marvel.
Il
populismo può portare a cercare di accontentare tutti come nella recente
manovra economica.
Il
suicidio politico della Merkel e di Renzi con i migranti.
La
Merkel dal canto suo dal 2015 in poi ha fatto dei danni enormi in tutta Europa:
per fini elettorali infatti ( all’epoca andava molto di moda salvare profughi
siriani che scappavano dalla guerra) iniziò a fare arrivare MILIONI di profughi dalla Siria: decine
di migliaia di persone senza documenti, di cui non si sapeva nulla, se fossero
state brave persone o malintenzionati, una decisione che portò a riempire
l’Europa di profughi a far fare ad altri paesi la stessa cosa per “essere più
bravi e buoni” ( vedi Renzi e gli accordi internazionali per far arrivare in
Italia i profughi trovati in mare anche a 12 km. dalla costa libica).
Un
suicidio politico che ha portato alla rinascita di un partito filo nazista in
Germania ed ad un sentimento di xenofobia in Italia, ben cavalcato da Salvini,
le altre forze di destra e il M5S.
Non
prima che gli inglesi, impauriti per la vera e propria invasione del proprio
paese ( la costruzione di 5.000 moschee a Londra) decidessero per la Brexit.
Ovviamente
tutto questo malumore fu acuito, accentuato e divenne comune anche grazie agli
attentati terroristici in Europa da parte degli islamisti, con cadenza quasi
settimanale. Attentati che dal 2001 non furono mai cessati, ma che videro gli
anni dal 2014 al 2017 dei veri e propri massacri quasi settimanali con una
sensazione di insicurezza diffusa e percepita dalla stragrande maggioranza
della popolazione non solo italiana, ma anche del resto dell’Unione Europea.
Democrazia
e consumismo, cioè voglio tutto e subito.I limiti della democrazia senza
intermediari, ma io direi della democrazia fatta ideologia. Volere non è potere ma chi lo
racconta ad un mondo in cui le persone sono rimaste incantate dal consumismo?
Il
consumismo ci ha insegnato come volere è potere e che la fantasia è al potere. Peccato il consumismo abbia a che
fare col mondo delle cose, e abbia il denaro a fungere da principio di realtà,
mentre la politica ha a che fare con gli uomini (e a qualsiasi desiderio o
delirio solo il voto sembrerebbe limite).
Non so
il percorso, ma il risveglio da questa sbronza sarà tragico.
Quant’è
la percentuale di popolazione immigrata che i cittadini di una nazione pensano
essere nel proprio territorio? Gli italiani pensano che il numero di immigrati sia
quasi il 300% di quello reale. I Giapponesi pensano addirittura che il numero di immigrati
sia il 500% in più rispetto alla realtà dei numeri.
IL POPULISMO E’ IL VELENO, LE GRANDI CITTA’
MULTIRAZZIALI SONO L’ANTIDOTO.
(Da: “World Economic Forum” di Klaus Schwab).
Gli
stati nazione più potenti del mondo stanno flirtando con un conflitto
catastrofico.
Che si
tratti di Europa, Asia o Medio Oriente, per la prima volta dagli anni ’60 ci
troviamo di fronte a una reale possibilità di confronto nucleare. Con gli stati nazione distratti,
anche la minaccia di cambiamenti climatici irreversibili incombe.
L’ansia
globale alimenta la crescita dei movimenti nazionalisti, incoraggiati dal ritmo
del populismo. I partiti anti-immigrati e anti-establishment stanno capitalizzando
l’inquietudine pubblica, guadagnando punti fermi nei sistemi politici di tutto
il pianeta. Ma per quanto allarmante tutto questo suoni, ci sono opportunità per
evitare potenziali disastri. Uno dei più potenti antidoti al populismo è proprio di fronte
a noi.
Molte delle città del mondo stanno rioccupando attivamente la politica,
l’economia e l’azione ambientale dal basso verso l’alto. Alcuni di loro stanno
costruendo una visione positiva, inclusiva e plurale del futuro, anche se i
leader nazionalisti spacciano la paura, chiudono i confini e costruiscono muri.
“Le città sono l’avanguardia della
cosmopoli globale”, sostiene Timothy Garton Ash, professore di studi europei
presso l’Università di Oxford, “con persone di ogni luogo – ogni fede, lingua,
cultura – vivono e lavorano a guancia, gli stereotipi del ‘Altro’ propagandato
dal populismo è smentito dall’esperienza quotidiana. ”
Le
città plurali (globaliste)giocheranno un ruolo critico nel determinare se l’umanità sopravvive a
questo secolo o no.
Le
radici economiche del populismo.
Abbiamo
visto la fusione dell’ultra nazionalismo e del populismo di destra in passato.
Non è finita bene. Il mondo sta di nuovo entrando in un periodo facilmente riconoscibile
come pre-autoritario e fascista. E la posta in gioco non potrebbe essere più alta.
Il
futuro della democrazia liberale (ora solo Liberal Dem Usa) è in bilico come
negli anni ’30.
Il
populismo nazionalista aumenta durante i periodi di volatilità economica. Quest’ultima ondata è un
sottoprodotto degli spaventosi eccessi del capitalismo finanziario, che culmina
nel disastro abitativo del 2008 e nelle sue scosse di assestamento che
continuano fino ad oggi. La reazione politica si sta facendo sentire.
Mentre
la globalizzazione ha portato benefici ad alcune Multinazionali , lo scambio
accelerato di persone, beni e idee ha anche posti di lavoro eviscerati e ha
contribuito a un’estrema disuguaglianza.
Quelli
lasciati indietro hanno visto i loro stipendi ristagnare e profondamente
risentirsi delle élite straricche che ritengono responsabili.
Identità
sotto minaccia.
Il
populismo non è solo alimentato dalle ansie economiche, ma anche dalle tensioni
culturali.
Con il suo stesso design, la globalizzazione minaccia le identità essenziali.
Il ciclo di notizie di 24 ore aggrava queste
paure. Le popolazioni urbane e rurali sono sempre più al mondo quando si tratta
di valori e priorità. I social media amplificano drammaticamente la polarizzazione
tra vari gruppi.
Ciò
che distingue il momento presente dal passato è la scala. I processi economici, sociali e
tecnologici stanno accelerando e frantumando i confini di ciò che gli individui
possono assorbire e capire. La tentazione di ritirarsi in soluzioni
semplicistiche offerte da uomini forti carismatici è comprensibile.
Nuovi
arrivi.
I dati
demografici offrono un’altra convincente spiegazione del recente aumento del
populismo dal Regno Unito e dagli Stati Uniti a Francia, Italia, Germania e
Polonia.
Il populismo prospera in aree semi-urbane e
rurali dove le popolazioni native sono in declino, e meno nelle crescenti città
cosmopolite. In effetti, le grandi maggioranze dell’elettorato delle piccole
città hanno votato per Trump o per la Brexit , mentre le grandi città hanno
votato nella direzione opposta.
In
tutto il Nord America e in Europa, i modelli migratori si stanno spostando
dalle grandi metropoli affaccendate alle città di piccole e medie dimensioni
dove la popolazione locale è più etnicamente omogenea. Anche gli aumenti più incrementali
dei nuovi arrivati in queste aree possono apparire drammaticamente più alti
(rispetto ai loro residenti) di quanto non siano in realtà.
L’afflusso
di popolazione improvvisa è in genere una conseguenza delle politiche elaborate
dal governo centrale. Tuttavia, raramente sono accompagnati da un’iniezione
parallela di risorse per attenuare gli impatti dell’immigrazione sui servizi
locali, dalle scuole agli ospedali. Ciò a sua volta può portare a
distorsioni nel modo in cui le persone percepiscono l’immigrazione – e la
percezione è importante perché può alimentare le braci del populismo.
L’estensione
della sovra stima delle popolazioni musulmane è un esempio calzante. La maggior parte degli americani
crede che il 17% della popolazione statunitense sia musulmana quando la
percentuale effettiva è solo dell’1%.
I residenti del Regno Unito ritengono che il 21% della
popolazione sia musulmana quando la percentuale effettiva è più vicina al 5%.
La
maggior parte delle popolazioni europee sopravvaluta anche la popolazione
musulmana del loro paese da tre a cinque volte. Questo tipo di punti di vista non
sono limitati ai musulmani o all’Europa occidentale.
Se le
città devono sconfiggere il populismo, hanno bisogno di sapere di cosa si
tratta. Secondo
Jan-Werner Muller di Princeton, al centro del populismo c’è un profondo rifiuto
del pluralismo.
È
animato da due idee di base: l’opposizione alla diversità e il rifiuto del cosiddetto
establishment.
I
populisti sostengono che gli stranieri minacciano il modo di vivere nazionale e
che “il popolo” ha bisogno di escludere gli estranei. L’antitesi della gente è
stranamente migranti.
Quindi,
come le città multirazziali possono reagire?
In
realtà, molti di loro lo sono già. La maggior parte delle città accoglie
istintivamente differenze, disaccordi e diversità. Come sottolinea Timothy Garton Ash,
questo è fondamentale.
“Poche cose sono più importanti per combinare
la libertà e la diversità delle interazioni quotidiane in strada, sul posto di
lavoro, nel caffè”, dice. “Piccole cortesie si integrano, piccoli allentamenti alienati.
In questo senso, ciò che fanno i normali residenti delle città può essere tanto
importante quanto qualsiasi cosa fatta dai leader politici e degli affari “.
Per
secoli hanno dovuto costruire forme sofisticate di alloggio per sopravvivere.
Da Toronto e Kuala Lumpur a Sao Paulo e Singapore, questa idea di coesistenza
urbana è intrinseca al loro senso di appartenenza. Come fa notare Timothy
Garton Ash.
Questo
sentimento di città è un buffer per le nozioni di nazionalismo. Come spiega Ivo Daalder del Chicago
Council on Global Affairs, “Viviamo in un mondo non più diviso tra sinistra e destra,
liberale e conservatore, ma aperto e chiuso. Le città – e in particolare le
grandi città globali – sono l’avanguardia dell’apertura, spingono verso
frontiere aperte, mercati aperti, società aperte e menti aperte.
Queste
città sono la nostra migliore difesa contro il nazionalismo chiuso e il populismo che infetta le nostre
società “.
La
città plurale.
Forse
non è così sorprendente. Le città sono il crogiolo della politica democratica. Hanno
sempre sperimentato tensione e conflitto. Ma sono anche il luogo in cui sono
nati virtualmente tutti i movimenti sociali progressisti moderni.
L’architetto
del Parlamento Globale dei Sindaci , Benjamin Barber, vede “le nazioni come
parrocchiale e meschine – sono avversarie del cambiamento e del progresso –
mentre le città sono conservatrici del multiculturalismo , tolleranza e società
aperta “.
Più è
plurale la città, più è sicura. I populisti costruiscono regolarmente i migranti come una
minaccia alla sicurezza. Spronato dal giornalismo sensazionalista, c’è una diffusa
convinzione che i migranti commettano più crimini dei locali. Per essere sicuri, dove i servizi per
assistere e integrare i migranti sono scarsi, il rischio di reati può
aumentare. Ma
la realtà è che i migranti hanno meno probabilità di essere coinvolti nella
criminalità rispetto ai residenti a lungo termine.
Le
città con grandi concentrazioni di residenti nati all’estero tendono ad avere
livelli di criminalità più bassi rispetto alle città senza popolazione mista.
Nel
Regno Unito, per ogni aumento dell’1% della migrazione, vi è una diminuzione
dello 0,4% della criminalità urbana. Nella maggior parte delle città
europee, i migranti di prima generazione hanno quasi la metà delle probabilità
di commettere reati come migranti di terza generazione.
I
migranti hanno anche il doppio delle probabilità di avviare attività
commerciali come i loro vicini nativi.
Anche
le città stanno iniziando a flettere i muscoli sulla scena internazionale. Ad
esempio, il Patto Globale dei Sindaci appena creato promette di espandere
notevolmente il peso delle città.
Il
Patto prevede di mobilitare oltre 7.100 città da 119 paesi che rappresentano
oltre 600 milioni di persone. I firmatari stanno impegnando risorse per raggiungere una
società a basse emissioni di carbonio. Molti altri sicuramente seguiranno.
Un’influenza
crescente.
Oggi i
sindaci sono spesso l’avanguardia del movimento per costruire città più sicure,
più vivibili e accoglienti. C’è una buona ragione per cui i leader municipali stanno
intensificando la loro diplomazia cittadina e le loro autorità nazionali.
Secondo
la C40 , le principali nazioni del mondo hanno solo cinque anni per spostarsi
verso un’economia a basse emissioni di carbonio se desiderano evitare
l’innalzamento della temperatura globale oltre i 2 ° C. La posta in gioco non
potrebbe essere più alta.
Tuttavia,
anche quando la scienza sui cambiamenti climatici viene accettata, i politici
nazionali si muovono a un ritmo glaciale. Come hanno dimostrato i 200 sindaci
che hanno ospitato un summit sul clima durante la Conferenza di Parigi sul
cambiamento climatico del 2015, le reti tra le città esercitano una notevole
influenza. Barber
è fermamente convinto che “la sovranità urbana ei diritti delle città sono la
chiave del cambiamento progressivo e della resistenza”.
Le
città stanno ri-cablando i circuiti degli affari internazionali. Città diverse
come Bangalore, Hong Kong e Londra dipendono dalla migrazione internazionale e
interna per prosperare. Il sindaco di Los Angeles, Eric Garcetti, sostiene che
“la grande forza delle nostre città sono i migranti e gli immigrati che
costituiscono la spina dorsale della loro economia e sicurezza”. Se le città
che soffrono delle angosce della globalizzazione stanno rimbalzando più forti
di prima .
Città
come santuari.
Le
città dovranno iniziare a diventare più proattive e prendere la lotta per il
populismo. Ciò
significa affrontare e sconfiggere le ideologie populiste nella pubblica piazza
.
Ciò di
cui abbiamo bisogno è un dibattito aperto su migrazione e integrazione, e una
forte argomentazione per i benefici (e rischi) del pluralismo.
Secondo
Matthew Goodwin dell’Università del Kent , escludere i populisti dal dibattito
pubblico può effettivamente spingerli ad adottare posizioni più estremiste.
Un
modo promettente per sconfiggere il populismo è attraverso la creazione delle
cosiddette “città del santuario”.
Questi
sono comuni che sviluppano politiche e programmi pro-migrazione . Mentre non esiste un elenco
ufficiale, ci sono circa 300 città simili negli Stati Uniti da soli.
Città
come New York e San Francisco hanno raddoppiato il loro impegno nello status di
santuario, anche se la nuova amministrazione statunitense sta minacciando di
tagliare i fondi federali.
Le
città possono anche diventare più proattive nell’integrare i nuovi arrivati. Le
130 città che formano la rete Euro Cities chiedono a gran voce maggiori poteri
per rispondere alla crisi dei rifugiati della regione. E mentre politicamente
rischiosi, i sindaci da Colonia a Stoccolma stanno facilitando un dibattito
pubblico su come gestire l’indurimento degli atteggiamenti nei confronti degli
immigrati sulla scia delle aggressioni sessuali.
Al
centro della città plurale ci sono strategie che incoraggiano l’interazione e
lo scambio tra diversi gruppi di identità. Questo perché un maggiore contatto
può ridurre i pregiudizi che alimentano il populismo e aumentano la tolleranza
e la resilienza. Le città plurali sono fondamentalmente sensibili ai migranti e arene che
moderano sia la creatività che i conflitti.
Il
futuro appartiene alle città, non agli stati nazionali. Più della metà del mondo vive già
in uno. Ma le città in più rapida crescita in Africa e in Asia – dove arrivano
ogni mese 5 milioni di estranei – sono proprio quelle meno preparate. Una delle
grandi sfide del 21 ° secolo sarà assicurare che le città di domani siano
progettate per essere plurali. Ciò significa costruire intenzionalmente
infrastrutture e servizi equi e rispettosi del clima, con il benessere dei
nuovi arrivati in mente.
Usa,
dall’idea Hillary Clinton ,al ticket
Biden-Cheney
per il 2024: le boutade dei quotidiani
sono
lo specchio del caos che regna tra i Dem Usa.
Ilfattoquotidiano.it-
Roberto Festa- (20-1-2022)- ci dice:
La
proposta di “Hillary 2024” l’hanno fatta per primi sul Wall Street Journal Doug
Schoen e Andrew Stein. Ricordiamo una cosa.
Il
quotidiano finanziario è un giornale conservatore e quindi potrebbe trattarsi
di un tentativo di destabilizzazione. Ma se si osservano le discussioni sui
quotidiani liberal come il Nyt, vi si trovano proposte irrealizzabili come
quella di un'alleanza tra il presidente e la figlia del falco repubblicano
della "war on terror". Intanto, Biden va a picco nei sondaggi.
(Stati
Uniti – Pandemia, inflazione e riforme mancate con vista sulle elezioni di
Midterm: nel 2022 Joe Biden si gioca tutto.).
Hillary
Clinton candidata alle Presidenziali 2024? Potrebbe sembrare una boutade, e in
parte lo è.
La
proposta è partita da un editoriale del Wall Street Journal, è stata discussa,
ridicolizzata, respinta o considerata. Con ogni probabilità, la cosa non si
concretizzerà.
Ma il solo fatto che a qualcuno possa venire in mente
dimostra la confusione e l’assenza di strategia che regnano nel Partito
Democratico, soprattutto nel momento più difficile per l’amministrazione di Joe
Biden.
Anzitutto,
vale la pena di fare un po’ di storia.
La proposta di “Hillary 2024” l’hanno fatta per primi
sul Wall Street Journal Doug Schoen e Andrew Stein. Ricordiamo una cosa. Il
quotidiano finanziario è un giornale conservatore. Schoen è un sondaggista che
ha lavorato per Michael Bloomberg mentre Stein è l’ex presidente del consiglio
comunale di New York City che, alle presidenziali 2016, sostenne, guarda caso,
Donald Trump.
Già
questo dovrebbe far riflettere sulla serietà e soprattutto sulla neutralità
della proposta.
Tralasciando comunque questo aspetto, vediamo
cosa dicono i due. Hillary Clinton, a loro giudizio, sarebbe la candidata
perfetta per il 2024 perché: ha esperienza di governo, può essere la candidata
del cambiamento, ha espresso la volontà di ricandidarsi. I punti forti della proposta di
Schoen e Stein potrebbero essere facilmente confutati. Clinton aveva esperienza di governo
anche nel 2016, ma questo non impedì la sua sconfitta contro l’“inesperto”,
almeno politicamente, Donald Trump.
Che
possa essere la candidata del cambiamento appare difficile.
Nel
2024, l’ex first lady avrà 77 anni. È sulla scena politica nazionale dal 1978 e
la sua fisionomia di democratica centrista assomiglia a quella di Joe Biden. Quanto ai segnali che avrebbe
mandato per un suo ritorno, si riducono a una recente intervista a Nbc, in cui
Clinton spiega che i democratici devono capire come conquistare gli Stati
“rossi”, repubblicani. Nel 2017, peraltro, Clinton aveva dichiarato “conclusa” la
sua carriera politica attiva.
L’articolo
del Wall Street Journal è stato comunque letto e commentato. Dick Morris, già consulente di Bill
Clinton, ha spiegato che “ci sono buone possibilità” che Hillary possa essere
candidata nel 2024, soprattutto “se i democratici dovessero perdere le elezioni
di midterm”.
Sulle
barricate sono invece saliti i progressisti (liberal Dem Usa), per i quali il
ritorno di Clinton corrisponde a un incubo.
“I
democratici hanno una storia antica di ritorni in scena da parte di politici,
che poi vengono fatti fuori”, ha detto Adam Green del Progressive Campaign
Change Committee, citando i casi di Ted Strickland in Ohio, Russ Feingold in
Wisconsin, Phil Bredesen in Tennessee e Walter Mondale in Minnesota. Tutti
vecchi leoni regolarmente sconfitti al momento di un atteso, sbandierato,
deludente rientro in politica.
Chi è
forse riuscito a sintetizzare meglio il sentimento che deve aver preso molti
democratici alla notizia di una candidatura di Clinton nel 2024 è comunque un
giornale, il Boston Herald, che in un editoriale ha scritto: “Abbiamo un messaggio per Hillary
Clinton. Non farlo!”.
Il
fatto è che la storia della candidatura – e soprattutto la discussione che si è
sviluppata successivamente – appaiono un segnale delle difficoltà che il
Partito Democratico sta vivendo in questa fase. L’amministrazione Biden ha tradito
molte delle promesse fatte in campagna elettorale. Non è passata la riforma
dell’immigrazione, non è passata la legge sul controllo delle armi, langue la
riforma del welfare, destinati a sicura sconfitta sono i due progetti per il
diritto di voto.
Intanto
sale l’inflazione, la supply chain mostra problemi seri, la pandemia non è
stata arrestata. In queste condizioni, i democratici appaiono destinati a una
sconfitta, secondo alcuni storica, alle elezioni di midterm.
Sono
tanti i segnali di queste difficoltà. Meglio, di questa crisi. È impopolare, poco amata, la
leadership democratica e non si riesce nemmeno a trovare strategie comuni sulle
questioni principali che hanno mandato alla Casa Bianca Joe Biden e Kamala
Harris.
Il partito appare spaccato tra moderati e progressisti(Liberal
dem Usa). Il passaggio della legge sulle infrastrutture, uno dei pochi
risultati tangibili dell’ultimo anno, è stato travagliato da una lotta epica
all’interno del partito, con i progressisti che non volevano votarla temendo
che i centristi poi non appoggiassero (come è infatti avvenuto) la riforma del
welfare.
In una recente intervista al Guardian, Bernie Sanders
ha spiegato che il partito “ha voltato la schiena alla classe lavoratrice”.
I
gruppi della società civile appaiono nel migliore dei casi delusi, nel peggiore
furibondi, per le tante promesse e gli scarsi risultati.
Soprattutto
le comunità afro-americane che hanno contribuito in modo determinante alla
vittoria del 2020 mostrano la loro insofferenza per il ritardo con cui questa
amministrazione ha abbracciato la difesa del diritto di voto. Un quadro esauriente delle
divisioni e dell’assenza di strategia dei democratici lo si può peraltro
ritrovare in queste settimane a New York. C’è un sindaco, Eric Adams,
pro-business, pro-sviluppo immobiliare, durissimo sulle questioni della
sicurezza. E c’è un Consiglio comunale infarcito di progressisti (Liberal dem Usa)che si trovano regolarmente
all’opposizione rispetto alle idee del “loro” sindaco.
È dunque
naturale che in questo clima possano nascere proposte come quella della
candidatura di Clinton per il 2024, che oltre a essere morta in partenza è per
l’appunto un segnale del vuoto che domina in casa democratica.
La
proposta – minaccia, bufala, auspicio, ballon d’essai, come la si voglia
chiamare – di Clinton 2024 non è peraltro sola.
Altre
uscite riempiono in questi giorni il dibattito. Sul liberal New York Times, il
liberal Thomas Friedman ha proposto per il 2024 un ticket presidenziale Joe
Biden-Liz Cheney.
L’82enne presidente democratico dovrebbe scegliere
come propria vice non più Harris, incapace di trovare una propria voce, ma la
deputata repubblicana, nemica giurata di Donald Trump.
La
ragione di questa accoppiata quanto meno curiosa verrebbe, secondo Friedman,
dalla necessità di “salvare il nostro sistema democratico” contro i
repubblicani ‘golpisti’ di Trump.
La
cosa è ovviamente impossibile. Cheney, figlia del falco della “war on terror” Dick, è
sì su posizioni critiche nei confronti di Trump dopo l’assalto al Congresso del
6 gennaio, ma ha regolarmente votato per l’agenda politica dell’ex presidente
ed è una tra le voci più solide del movimento conservatore Usa.
Difficile
pensare che tutte le differenze tra Biden e Cheney possano essere messe da
parte – su immigrazione, sicurezza, welfare – in nome di un “governo di unità
nazionale” che non avrebbe peraltro i voti di buona parte dei democratici e di
nessuno tra i repubblicani.
Eppure della proposta si discute sull’organo
più importante dell’intellighenzia liberal americana, approfondendo la
sensazione ormai molto concreta di caos che si respira a sinistra.
Mentre
ci si divide, mentre si ascoltano le cose più assurde, la barca affonda. Un
sondaggio Quinnipiac del 10 gennaio mostrava che il 54% degli elettori
statunitensi è insoddisfatto di Biden. Mai la popolarità del presidente
democratico era scesa così in basso.
Claudio
Signorile: "Il conflitto ucraino
più
pericoloso della Guerra fredda."
Agi.it-
Fabio Florindi-(8 aprile 2022)- ci dice :
Per
l'ex ministro socialista "sarà la fine della globalizzazione per come
l'abbiamo conosciuta, ma non esiste il ritorno alle istanze nazionali".
AGI -
"Una
situazione molto più pericolosa" della Guerra fredda, che si tradurrà
nella fine della globalizzazione per come l'abbiamo conosciuta. Claudio
Signorile, 85 anni, ex ministro socialista ed ex vicesegretario del Psi, ha
parlato all'AGI della guerra in Ucraina e delle conseguenze sull'assetto
geopolitico mondiale.
C'era
molta differenza negli anni più duri della Guerra fredda rispetto a quanto
stiamo vivendo oggi?
"Abbiamo
vissuto alcuni momenti drammatici, ma oggi è completamente diverso il contesto.
Da una
condizione bipolare siamo passati a una multipolarità, ci sono gli Stati Uniti
e la Russia, ma anche la Cina e l'Unione Europa.
Questa
situazione è molto più pericolosa, perché è senza idee, senza strategie e senza
controllo. Durante la Guerra fredda c'era un quadro di riferimento e la parola
d'ordine era conservarlo, non creare squilibri non controllabili. Ora siamo in
mare aperto, non si capisce dove si vuole andare a finire".
Vede
una possibile via d'uscita?
"Tutta
questa crisi è legata a una esigenza di ridisegno degli equilibri mondiali, che
non sono solo economici, ma anche strategici e militari. Dunque sulla
ricostruzione di questi equilibri si possono riaprire le trattative.
La pace è il risultato di una serie di azioni,
ma da quello che vedo nessuna trattativa finora ha avuto la serietà di questo
obiettivo.
Sono
molto preoccupato per la mancanza di una capacità dirigente: quando c'era la Guerra fredda, il
bipolarismo obbligava ad avere un obiettivo finale. Qui non mi pare che questa
sia la strada.
E'
d'accordo con quanti propongono l'aumento delle spese militari?
"L'aumento
in sé è una cosa ridicola, l'importante è l'integrazione della filiera delle
armi all'interno di una stessa alleanza. Questo fa fare il salto di qualità,
avere armi compatibili. Ci deve essere un'integrazione".
Negli
ultimi decenni, forse, ci si era illusi che il dualismo Usa-Russia fosse finito
con il crollo del comunismo...
"Era una sciocchezza. Questo dualismo
non era solo legato all'ideologia, ma anche agli interessi strategici,
energetici, economici e militari. La Federazione Russa tende naturalmente a
ripercorrere la strada del potere sovietico, ma sa di avere condizioni globali
diverse.
C'è stata una mediocre lettura dei processi storici, che non ha aperto a un
rapporto organico tra Nato e Russia quando si poteva. La classe dirigente
occidentale ha pensato di aver vinto la partita, ma partite di questo tipo non
si vincono mai definitivamente".
Una
delle questioni più urgenti per l'Europa è abbandonare la dipendenza energetica
con Mosca. Ci riuscirà?
"In
una prospettiva di qualche anno l'Europa può sganciarsi dal gas e dalle
importazioni di materie prime dalla Russia.
Bisogna
cominciare da subito, ci metteremo non meno di 3 anni per la parte che riguarda
l'energia fossile, dovremo aiutarci anche con il nuovo nucleare. In ogni caso, questa guerra sarà la
fine della globalizzazione per come l'abbiamo conosciuta, ma non esiste il
ritorno alle istanze nazionali.
Ci
sarà una trasformazione della globalizzazione in alleanze di blocco. L'Europa
deve far parte dell'alleanza di blocco atlantica. Non è più globalizzazione, ma non è
ritorno al nazionalismo".
I
motivi della guerra tra Russia e Ucraina,
la
storia del conflitto e cosa sta succedendo.
Fanpage.it-
Ida Artiaco - (20 -3-2022)- ci dice :
Perché
la Russia ha invaso l’Ucraina? Quali sono, in breve, le motivazioni che hanno
spinto Putin ad invadere il territorio ucraino lo scorso 24 febbraio? Le cause
sono molteplici, ma la principale è l’opposizione di Mosca all’adesione
dell’Ucraina alla Nato. Ecco come si è giunti allo scoppio del conflitto.
La
guerra tra Russia e Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022 con l'invasione del
Paese da parte delle truppe di Putin, continua da oltre un mese nonostante
l'avvio dei negoziati di pace tra i due Stati.
Le
motivazioni del conflitto, però, non possono essere ascritte solo all'ingresso
di Mosca prima in Donbass e poi nel resto del territorio ucraino: le cause
della crisi russo-ucraina sono più profonde e affondano le loro radici nella
storia passata e recente dei due Paesi.
La vera causa del conflitto risiede nel fatto
che la Russia di Putin si è da sempre mostrata contraria al desiderio
dell’Ucraina di entrare a far parte della NATO e, in generale, di avvicinarsi
all'influenza statunitense e occidentale.
Mosca
si oppone strenuamente a questa possibilità, temendo che i Paesi occidentali,
Usa in primis, possano servirsi del territorio ucraino per stabilirvi basi e
radar, con nuovi intercettori antimissili, come quelli dispiegati in Romania e
in Polonia.
In
altre parole, il Cremlino vuole mantenere la sua sfera d’influenza nell’area, e
vuole che la NATO rinunci alle sue attività nell’Est Europa.
Ma le
cause e gli eventi che hanno portato allo scontro sono molteplici e in questo
articolo le riassumeremo tutte in modo completo.
Perché
l'Ucraina è importante per la Russia di Putin?
L’origine
del conflitto tra la Russia e l’Ucraina è da ricercare nel braccio di ferro tra
Kiev da un lato, con il presidente Volodymyr Zelensky intenzionato ad entrare
nell'orbita di NATO e Ue, e Mosca dall'altro, con il presidente Vladimir Putin,
forte dell'appoggio della Cina e dei sudditi ucraini del Donbass delle
Repubbliche secessioniste, che lui stesso ha riconosciuto. Ma la situazione è
molto più complessa di così.
Prima
di andare ad esaminare le cause della crisi tra Russia e Ucraina, bisogna fare
un passo indietro e capire come si configura quest'ultima a livello
geopolitico. L'Ucraina infatti è un paese eterogeneo per storia, lingua e
religione, con sostanziali differenze tra Est e Ovest, a maggioranza cattolica.
Per
anni sotto l'orbita sovietica, è diventato indipendente nel 1991, Crimea
inclusa. Ma la stabilità politica e sociale è durata pochissimo. Già all'inizio
del nuovo Millennio infatti sono emerse faglie profondissime tra i fautori
dell'avvicinamento all’Unione Europea e all’Occidente e i sostenitori del
legame storico con la Russia, che ha il suo bacino in particolare nelle zone a
sud-est, nonché nel Donbass con i due stati separatisti non riconosciuti, e
cioè la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Luhansk,
dove il russo continua a essere la prima lingua. La polarizzazione tra Occidente e
Oriente è confermata nello scrutinio presidenziale del 2004, ma non è ancora
nulla in confronto a quello che accadrà nel 2014.
Quali
sono i motivi storici della guerra?
A
febbraio del 2014, infatti, il popolo ucraino caccia l'allora presidente
filorusso Viktor Yanukovich, instaurando un governo ad interim filoeuropeo non
riconosciuto da Mosca.
La
risposta di Vladimir Putin non si è fatta attendere, con l'annessione della
penisola di Crimea e l'appoggio alla rivolta dei separatisti filorussi nel
Donbass, regione nel Sud Est del Paese.
D'altronde
il numero uno del Cremlino ha sempre ritenuto che il suo Paese abbia un
"diritto storico" sull’Ucraina, sin dai tempi dell'Unione sovietica,
come ha scritto apertamente in un lungo articolo pubblicato lo scorso anno, in
cui definisce Russia e Ucraina "una nazione". Sempre quell'anno
migliaia di persone manifestano anche a Donetsk contro le nuove autorità di
Kiev, filo-occidentali. Il 7 aprile, è proclamata la Repubblica popolare di
Donetsk.
Appena
eletto, il presidente ucraino Pietro Poroschenko lancia un’operazione
‘antiterrorista’ (ATO) per tentare di riprendere le città del Donbass, finite
in gran parte in mano ai separatisti. La situazione è convulsa almeno
fino al 2015 con la firma degli cosiddetti accordi di Minsk 2, con il quale è
stabilito un cessate il fuoco che non è mai stato davvero rispettato. Basti pensare che nell’agosto scorso,
l’OSCE contava 1761 esplosioni provocate da bombe di artiglierie e mortai.
Qual è
il ruolo della NATO e dell'Occidente?
Intanto,
già dal 2008, quindi prima dell'instaurazione del governo filo-occidentale non
riconosciuto da Putin, l’Ucraina stava lavorando per entrare nella Nato. Ma l’Alleanza atlantica non può
accettare nuovi membri già coinvolti in conflitti.
Non
solo. Kiev dovrebbe combattere la corruzione e intraprendere un percorso di
riforme politiche e militari, dunque ancora adesso l'ingresso nell'Alleanza
sembra improbabile.
Nonostante ciò, Mosca si oppone a questa
possibilità – è una delle condizioni poste per la fine delle ostilità – temendo
che i Paesi occidentali, Usa in primis, possano servirsi del territorio ucraino
per stabilirvi basi e radar, con nuovi intercettori antimissili, come quelli
dispiegati in Romania e in Polonia. In altre parole, il Cremlino vuole
mantenere la sua sfera d’influenza nell’aerea, e vuole che la Nato rinunci alle
sue attività nell’Est Europa.
Cosa
sta succedendo in Ucraina?
Per
ottenere garanzie scritte dagli occidentali, Mosca sta attuando un
dispiegamento di forze fra la Bielorussia, il distretto occidentale a ridosso
del confine ucraino e la Crimea, oltre che con la flotta, facendo temere ai più
un blocco navale delle coste ucraine, contro Odessa e Mariupol, per far
scendere al compromesso il governo guidato dall'ex comico Zelenski,
filo-occidentale.
Al momento, secondo alcune fonti,
al confine con l'Ucraina, per un totale di 2.200 chilometri, sarebbero
ammassati oltre 100mila soldati russi, un numero nettamente superiore a quello
di Kiev.
Il
premier britannico Boris Johnson ha parlato nei giorni scorsi dell’ipotesi di
una "guerra lampo" per conquistare la capitale ma il sospetto che
molti hanno è che Putin stia di fatto bluffando per alzare la posta con
l’Occidente per il suo lungo elenco di richieste che vanno oltre l’Ucraina,
come l'annullamento del dispiegamento di truppe nel blocco di Paesi – da quelli
baltici ai Balcani, ovvero buona parte dell’Europa orientale – che si sono
uniti dopo il 1997.
Attualmente i negoziati sono in corso, e si
valuta la possibilità di un incontro tra Putin e Zelensky, mai avvenuto finora
dall'inizio del conflitto, probabilmente in Turchia, con il presidente Erdogan
che sta svolgendo un ruolo attivo di mediazione tra i due Paesi.
(fanpage.it/esteri/perche-si-rischia-la-guerra-tra-russia-e-ucraina-le-vere-cause-della-crisi/).
Guerra
Russia-Ucraina, Mosca: “Veicoli Nato e Washington sono obiettivi legittimi”.
Sindaco Mariupol: “Qui 20 mila morti”. Truppe russe al confine finlandese.
Polemiche Cina-Usa: “Genocidio? Evitare tensioni”. A Kiev i presidenti di Polonia
e Baltici.
Lastampa.it-Redazione-
Andrea Margelletti- (13-4-2022)- ci dice
:
(AGGIORNAMENTI
DALL'UCRAINA DI FRANCESCA MANNOCCHI E FRANCESCO SEMPRINI. DIRETTA A CURA DI
GIACOMO GALEAZZI, DANIELA LANNI, GIAMPIERO MAGGIO).
Le
Chiese chiedono la tregua di Pasqua. Kazakistan: “Pronti a ospitare colloquio
Putin-Zelensky”. Colpita stazione ferroviaria. Cremlino: «L’Occidente paga con
l’inflazione il rifiuto di cooperare». In arrivo altri 750 milioni di aiuti militari
Usa. Zelenski: «Necessario bloccare completamente le banche russe».
È il
quarantanovesimo giorno di guerra. Si arena il fronte della diplomazia, con il
presidente russo Vladimir Putin che parla di «negozianti in un vicolo cieco»,
sottolinea che il massacro di Bucha è una «falso» e fa sapere «che ci
prenderemo il Donbass». L’Ucraina resiste e parla di «offensiva finale già iniziata»
proprio nel Donbass, mentre comunica la cattura dell’oligarca ucraino e filo
russo Viktor Medvedchuk.
Il
presidente Usa Joe Biden ieri ha evocato per la prima volta la parola
“genocidio” riferendosi a Putin, e, oggi, Macron ha replicato: «Starei attento
con le parole». Intanto gli usa hanno promesso l’invio in Ucraina di altri 700
milioni di dollari. E Zelensky, intanto, teme un attacco con armi chimiche.
Il
punto di Andrea Margelletti – “Putin non si fermerà, vuole cambiare l’assetto
del mondo”.
17 – Zelensky: senza nuove armi bagno di
sangue.
Il
presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha pubblicato un nuovo video in cui avverte
che la guerra diventerà «un bagno di sangue senza fine, diffondendo miseria,
sofferenza e distruzione» se non verranno fornite nuove armi a Kiev. Parlando
in inglese, Zelensky ha dichiarato che l'Ucraina si e' difesa dalla Russia
«molto più a lungo di quanto pianificassero gli invasori ma che la Russia ha
ancora la capacità di attaccare non solo l'Ucraina». «Polonia, Moldova, Romania
e Stati baltici diventeranno i prossimi obiettivi se la libertà dell'Ucraina
cade», ha aggiunto il presidente ucraino, chiedendo più armi per «salvare
milioni di ucraini e milioni di europei». «Abbiamo bisogno di artiglieria
pesante, veicoli corazzati, sistemi di difesa aerea e aerei da combattimento»,
ha detto Zelensky, «la libertà deve essere armata meglio della tirannia».
16.32-
Zakharova,
Kiev lavora a nuove provocazioni
16.26-
Cipro
revoca la cittadinanza a 21 russi.
Cipro
ha revocato la cittadinanza cipriota a 21 russi, secondo il quotidiano cipriota
Phileleftheros che cita fonti governative. Quattro oligarchi inclusi nella lista
dei sanzionati dall'Ue sono tra le persone colpite dalla revoca. Anche i loro figli e le loro mogli
si sono visti revocare i passaporti, per un totale di 21 persone. I quattro
avevano ottenuto la cittadinanza cipriota tra il 2013 e il 2019, secondo il
quotidiano, che pubblica foto e nomi dei quattro. Tra loro figura Aleksander
Ponomarenko, presidente della società che gestisce l'aeroporto internazionale
di Sheremetyevo, nei pressi di Mosca.
16.26
-Oms, 50 giorni di guerra, 4,6 milioni di rifugiati.
«Domani
ricorrono 50 giorni dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia». Un
periodo durante il quale «4,6 milioni di rifugiati hanno lasciato il Paese»
colpito dalla guerra, «migliaia di civili sono morti, inclusi bambini», e «ci
sono stati 119 attacchi verificati all'assistenza sanitaria. I servizi sanitari
continuano a essere gravemente interrotti». Lo ha sottolineato il direttore
generale dell'Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus,
durante una conferenza stampa Oms di aggiornamento sul conflitto, su Covid-19 e
su altre tematiche sanitarie.
16.33
– Papa,
aggressione armata è oltraggio a Dio.
«L’aggressione
armata di questi giorni, come ogni guerra, rappresenta un oltraggio a Dio, un
tradimento blasfemo del Signore della Pasqua». Parole dure e chiare quelle di
Papa Francesco nell'Udienza generale del mercoledì nella settimana che porta
alla Santa Pasqua. Il dolore per la guerra e per le armi che continuano a
mietere vittime in Ucraina torna nelle parole del Santo Padre che dedica
diversi passaggi al conflitto in corso tra Kiev e Mosca.
16.23
– Zelensky:
“Putin rafforza esercito per colpire più forte Kharkiv e Donbass”.
«Putin
e il suo esercito stanno cambiando strategia: stanno aumentando le loro forze
per colpire ancora più forte su Kharkiv e su tutto il Donbass, Mariupol
inclusa». Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nell'ultimo video
pubblicato sui social.
16.22
– Peskov:
“Inaccettabili dichiarazioni Biden su genocidio”.
Il
Cremlino definisce «inaccettabili» le dichiarazioni del presidente americano
Joe Biden, secondo cui in Ucraina sarebbe in corso un “genocidio”. «Siamo
fortemente in disaccordo con loro. Consideriamo inaccettabili i tentativi di
stravolgere la situazione in questo modo – ha detto il portavoce Dmitry Peskov
– Inoltre, questo è difficilmente accettabile da parte per il presidente degli
Stati Uniti, un paese le cui azioni nella storia recente sono ben note».
16.21
– Zelensky:
“Non ci davano più di una settimana, invece siamo solo al primo round”.
«Molti
esperti prevedevano che l'Ucraina non avrebbe resistito più di una settimana se
la Russia ci avesse invasi. Ma noi siamo riusciti a fermarli e allontanarli. La
guerra non è ancora finita. Questo è stato solo il primo round». Lo afferma, in
un video pubblicato sul suo canale Telegram, il premier dell'Ucraina Volodymyr
Zelensky.
16.17
– Media, nuove
armi Usa a Kiev includono artiglieria pesante.
Fonti congresso: “Ci saranno obici”.
Nel
nuovo pacchetto di aiuti militari all'Ucraina, che l'amministrazione Biden si
appresta ad annunciare, ci saranno anche sistemi di artiglieria pesante da
terra come gli obici, armi che possono colpire fino a 70 km di distanza. Lo
riferisce alla Reuters una fonte del Congresso americano.
16.16 – Russia: “Veicoli Nato e Usa sono
obiettivi legittimi”.
«I
veicoli americani e della Nato che trasportano armi nel territorio ucraino
saranno considerati da noi obiettivi legittimi». Lo ha detto il vice ministro
degli Esteri russo Sergei Ryabkov citato dall'agenzia di stampa Tass.
16.15
– Vicepremier
Ucraina a Senato, aiutateci a fermare genocidio.
«Se il
mondo non interviene, la Russia non si fermerà. Il sangue dei civili ucraini
deve smettere di scorrere». Lo ha detto Olga Stefanishyna, vice primo ministro
dell'Ucraina, intervenendo in collegamento video con le commissioni Diritti
umani e Contro l'odio del Senato. L'esponente del governo di Kiev ha parlato degli
orrori commessi dall'esercito russo contro i civili in queste settimane di
guerra. «Ogni
giorno emergono dettagli sempre più orribili. Torture, sepolture di massa,
violenze sessuali, brutalità commesse davanti ai bambini, minori stuprati. Si sta rivelando la vera faccia
dell'esercito russo, di ogni singolo soldato. Queste atrocità avvengono in
tutto il territorio occupato, non solo a Bucha. Ci sono decine di paesi dove la
gente è stata fucilata in strada. Abbiamo visto missili contro ospedali e asili
nido. Mariupol non esiste più», ha poi affermato.
16.12
– Yellen:
“A rischio integrazione economica Cina”.
La
posizione della Cina nel conflitto ucraino ne mette a rischio l'integrazione
nell'economia mondiale. Lo ha dichiarato il segretario al Tesoro Usa, Janet
Yellen, in un discorso all'Atlantic Council. «L'attitudine del mondo nei
confronti della Cina e la sua volontà di perseguire un'ulteriore integrazione
economica potrebbe essere decisamente colpita dalla reazione cinese al nostro
appello per un'azione risoluta contro la Russia», ha detto Yellen.
16.11
– Shevchuk
denuncia l'uso di bombe a grappolo a Kharkiv.
Bombe
a grappolo sulla città di Kharkiv e i «crimini terribili di violenza sessuale».
Lo denuncia nel consueto videomessaggio da Kiev, l'arcivescovo maggiore
Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, nel 49esimo
giorno di guerra in Ucraina. «Gli occupanti russi bombardano appositamente le
vie che servono per evacuare le persone civili. Così stamattina è stata
distrutta la stazione ferroviaria nella parte centrale dell'Ucraina. Si tratta
di quegli snodi in cui cerchiamo di aiutare la gente a lasciare i luoghi dei
combattimenti», aggiunge Shevchuk.
16.10
– Pentagono
incontra produttori armi per discutere come sostenere Kiev.
Il
Pentagono ha convocato oggi una riunione con i principali produttori di
armamenti negli Stati Uniti per discutere la capacità di garantire forniture
militari all'Ucraina nella guerra che si prevede lunga con la Russia. Lo rivela
la Cnn precisando che la riunione, che sarà classificata, sarà presieduta dalla
vice segretario alla Difesa, Kathleen Hicks. Vi parteciperanno rappresentanti di
Boeing, L3Harris, Raytheon, BAE, Lockheed Martin, Huntington Ingalls, General
Dynamics e Northrop Grumman. Nell'agenda le forniture all'Ucraina, ed insieme garantire
che vengano sostituite negli arsenali di Usa ed alleati le armi inviate a Kiev.
Per quanto riguarda l'Ucraina si valuteranno sia le esigenze immediate, sia
quelle a lungo termine, in un arco di tempo tra i due e quattro anni. Gli Stati
Uniti hanno autorizzato oltre 2,4 miliardi di aiuti militari a Kiev dall'inizio
dell'amministrazione Biden, dei quali 1,7 miliardi dopo l'inizio dell'invasione
russa il 24 febbraio scorso. Ed oggi è atteso l'annuncio da parte di Washington dell'invio
a Kiev di materiale bellico per diverse centinaia di milioni di dollari.
16.09
– Yellen:
“Chi ostacola sanzioni subirà conseguenze”.
Chi
ostacola le sanzioni occidentali contro la Russia e non condanna la sua «bieca
guerra» all'Ucraina si dimostra poco lungimirante e pagherà le conseguenze
della sua posizione. Lo ha dichiarato il segretario al Tesoro Usa, Janet
Yellen, a una conferenza dell'Atlantic Council. Yellen non ha nominato nessun Paese
specifico ma il principale destinatario del monito sembra la Cina.
16.07
– Le Pen:
“Riavvicinare Nato e Russia dopo fine della guerra”.
La
candidata del Rassemblement National alle elezioni presidenziali francesi,
Marine Le Pen, spinge per un «riavvicinamento strategico tra la Nato e la
Russia non appena la guerra russo-ucraina sarà conclusa e risolta da un
trattato di pace». Presentando il suo progetto diplomatico a Parigi, la
sfidante di Emmanuel Macron nel ballottaggio del 24 aprile ha detto che questo
«è nell'interesse della Francia e dell'Europa, ma credo anche degli Stati Uniti
che non hanno alcun interesse nel vedere emergere una stretta unione tra Cina e
Russia».
15.53
– Missione
Ue indagherà su crimini di guerra.
Il
Consiglio Ue ha modificato il mandato della missione per la riforma del settore
della sicurezza civile in Ucraina (Euam Ukraine), che ora potrà aiutare le
autorità ucraine ad indagare sui crimini di guerra commessi nel contesto
dell'invasione russa. Euam Ukraine, specifica il Consiglio, fornirà consulenza
e addestramento e potrà dare fondi ed equipaggiamento alle autorità di Kiev. La missione coopererà con la Corte
Penale Internazionale, con Eurojust e con gli Stati membri, sostenendo le
indagini sui crimini di guerra commessi in Ucraina.
14.36
– Zelenski:
bloccare banche russe.
«Invito
l'Estonia a difendere la necessità di un completo blocco delle banche russe
quando approva un nuovo e molto importante pacchetto di sanzioni contro la
Federazione russa a livello di Unione europea. Tutte le banche, non solo una
parte». Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel corso di un
collegamento video con il Parlamento estone. «E vi esorto - ha aggiunto - ad
aggiungere finalmente il petrolio al pacchetto di sanzioni. E' necessario un embargo a livello
dell'intera Unione europea».
14.22
- Arrivati
a Kiev i presidenti di Polonia e Baltici.
I
presidenti di Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia sono arrivati a Kiev in
treno. Lo ha riferito l'ambasciata estone in Ucraina su Twitter. I leader hanno in programma di
incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky
14.20
– Cina a
Biden: “Genocidio? evitare nuove tensioni. Ogni sforzo internazionale dovrebbe
spingere a soluzione crisi”.
La
Cina «ha sempre sostenuto che sull'Ucraina la massima priorità per tutte le
parti interessate è mantenere la calma e la moderazione, cessare il fuoco e
fermare la guerra il prima possibile, evitando una crisi umanitaria su larga
scala». E' la risposta del portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian a
una domanda sulle accuse di genocidio del presidente Usa Joe Biden alla Russia
con l'aggressione all'Ucraina. "Qualsiasi sforzo della comunità
internazionale dovrebbe raffreddare la tensione, non alimentarla, e dovrebbe
spingere per una soluzione diplomatica, non aggravare ulteriormente gli scenari",
ha aggiunto Zhao.
14.15
– Mosca:
“Freneremo i tentativi Usa di rallentare nostra operazione”. Lo afferma il
viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov.
I
tentativi da parte degli Stati Uniti e di altri Paesi occidentali di rallentare
l'operazione speciale russa in Ucraina saranno frenati: lo ha detto alla Tass
il viceministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov. «Stiamo anche dicendo
chiaramente agli americani e ad altri (Paesi) occidentali che tentano di
rallentare la nostra operazione speciale e infliggere il maggior danno possibile
alle unità russe e alle unità di DPR (Repubblica popolare di Donetsk, ndr) ed
LPR (Repubblica popolare di Lugansk, ndr) che saranno frenati in modo duro», ha
detto Ryabkov.
14.09
– Mosca:
“Russia non ha armi chimiche”.
«La
Russia non ha armi chimiche»: così la presidente del Consiglio della
Federazione Russa, Valentina Matviyenko, ha respinto le accuse secondo cui la
Russia potrebbe avere usato armi chimiche in Ucraina, secondo quanto riportato
a Interfax. «La Russia non ha armi chimiche. La Russia ha adempiuto ai suoi
obblighi nel 2017, abbiamo completamente smaltito le armi chimiche», ha detto
Matviyenko rispondendo alla richiesta di un commento sulle accuse relative a un
utilizzo di armi chimiche in Ucraina.
14.02 – Mosca, mezzi Usa e Nato con armi in
Ucraina obiettivi legittimi. Lo ribadisce il viceministro degli Esteri russo
Sergey Ryabkov.
La
Russia considera i veicoli statunitensi e della Nato che trasportano armi e
munizioni attraverso il territorio dell'Ucraina come obiettivi militari
legittimi: lo ha detto alla Tass il viceministro degli Esteri russo, Sergey
Ryabkov. «Avvisiamo
che i mezzi di trasporto Usa-Nato che trasportano munizioni e armi attraverso
il territorio dell'Ucraina saranno visti da noi come obiettivi militari
legittimi», ha affermato Ryabkov.
14.01
– In
Italia 91.846 profughi di cui 34mila minori.
Sono
91.846 le persone arrivate finora in Italia: 47.499 donne, 10.368 uomini e
33.979 minori. Rispetto a ieri l'incremento è di 709 ingressi nel territorio
nazionale, le destinazioni principali sono Milano, Roma, Napoli e Bologna. A
renderlo noto è il Viminale.
13.56
– Sindaco
Mariupol: “Armi chimiche? Stiamo raccogliendo prove”.
«Stiamo
raccogliendo prove» dell'uso di armi chimiche da parte delle forze russe in
Ucraina. «I nostri esperti le stanno esaminando, anche se non sarà facile». Lo
ha assicurato il sindaco di Mariupol Vadym Boichenko.
13.55
– Di Maio:
“Risposta ferma ad aggressione russa”.
«Il
governo, con la Farnesina in prima linea, è impegnato con i suoi partner e
alleati a fornire una risposta ferma e coesa all'ingiustificata aggressione
russa, ad assicurare sostegno all'Ucraina e alla sua popolazione e al contempo
a mitigare le conseguenze sulle famiglie e imprese italiane». Lo ha affermato
il ministro degli Esteri, Luigi Di miao, nel messaggio indirizzato al convegno
sui marchi storici italiani a Palazzo Massimo. «L'impegno incessante della
Farnesina si è tradotto in misure concrete – ha spiegato il ministro –
anzitutto con l'istituzione di una unità di crisi per le imprese italiane che
si prefigge di raccogliere le loro esigenze e assicurare loro assistenza per le
ripercussioni del confitto a cui sono esposte».
13.54
– Sindaco
di Maripol: “20 mila morti in città. Genocidio.”
«Secondo
le nostre stime sono ventimila le persone morte a causa dei bombardamenti
russi», ha detto il sindaco di Mariupol, Vadym Boichenko in un discorso
televisivo, parlando di «genocidio da parte della Federazione russa contro la
nostra città e il nostro Paese». E ha aggiunto: «Il 90% degli edifici di
Mariupol sono stati ridotti in macerie, è stato colpito l'ospedale, sono state
distrutte le scuole. Sono i crimini di guerra atroci di Putin . Ma la città
sarà per sempre ucraina».
13.46
– Ordinario
militare: “No al pacifismo vuoto”.
«In
questo tempo in cui la guerra continua a crocifiggere Cristo, la risposta non
sta nel pacifismo vuoto, superficiale, irreale, ma nel lasciare che l'amore raggiunga
i cuori umani, per trasformare le lance in falci, la vendetta in perdono,
l'odio in amore, la guerra in pace», dice l'Ordinario militare, monsignor Santo
Marcianò ai cappellani militari. «Di questo amore, anche i militari sono e
devono essere strumento», ha ammonito il vescovo.
13.43
– Evacuate
300 persone da Luhansk anche senza corridoi.
«Nonostante
l'assenza dei corridoi verdi per oggi, siamo riusciti ad evacuare più di 300
persone dalla regione di Luhansk», riferisce Serhii Haidai, governatore della
regione di Luhansk.
13.40
– Ue
sostiene indagini su crimini di guerra e scomparsi.
La
commissione Ue annuncia disposizioni legali e supporto finanziario per le
indagini sulle «atrocità commesse in Ucraina contro la società civile». Inoltre
l’Ue stanzia 7,5 milioni di euro per garantire la raccolta di dati sulle
persone disperse e scomparse.
13.35
– Papa:
«La pace non è frutto di compromesso”
Scrive
papa Francesco su Twitter: «La Pace del Signore segue la via della mitezza e
della croce: è prendersi la responsabilità degli altri. Cristo ha preso su di
sé il nostro male, il peccato e la morte. In questo modo ci ha liberato. La sua
pace non è il frutto di qualche compromesso, ma nasce dal dono di sé».
Così
le banche stanno guadagnando miliardi con la guerra in Ucraina.
13.24
– Scontro
diplomatico Russia-Colombia.
Il
presidente colombiano Iván Duque respinge le critiche del rappresentante russo
all’Onu sull’ sull'andamento dell'accordo di pace in Colombia. «Paesi che
distruggono infrastrutture e ospedali e commettono stragi non possono avere
l'autorità morale per parlare al mondo di pace».
13.07
– Vicesindaco
Dnipro, “1.500 cadaveri russi negli obitori”.
«Negli
obitori della città di Dnipro ci sono oltre 1.500 cadaveri di soldati russi che
nessuno ha reclamato», afferma il vicesindaco Mykhailo Lysenko.
Mariupol,
lo scontro nell'acciaieria Azovstal tra ceceni e il battaglione Azov: così i
mercenari di Putin al grido di "Allah Akbar" cercano di stanare gli
ucraini.
13.02
– Appello
della Chiese europee a Putin e Zelensky.
Le
Chiese europee chiedono una tregua per Pasqua alle autorità russe e ucraine. II
presidenti della Conferenza delle Chiese europee e della Comece, la Commissione
dei vescovi cattolici europei hanno inviato una lettera al presidente russo
Vladimir Putin e a quello ucraino Volodymyr Zelensky per chiedere
«rispettosamente un cessate il fuoco in Ucraina dalla mezzanotte del 17 aprile
fino alla mezzanotte del 25». Per «dare ai cristiani in Russia e Ucraina,
sorelle e fratelli in Cristo, l'occasione per celebrare la Pasqua in pace e
dignità».
12.48
– Londra
amplia lista russi sanzionati, altri 206 colpiti.
Il
Regno Unito ha ampliato la lista di entità e individui russi sanzionati
aggiungendone altri 206. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri di Londra.
Tra i nuovi sanzionati dalla Gran Bretagna vi è anche Viktor Medvedchuk,
l'oligarca ucraino filo-russo catturato dai servizi segreti ucraini. E’ tra coloro che ha visto congelati
i suoi beni, come pure il magnate del petrolio e capo della società energetica Lukoil, Vagit Alekperov.
12.40
– Arcivescovo
di Mosca: “Diffidenza russi-ucraini”.
La
Pasqua del 2022 si celebra nel contesto di una guerra fratricida e
l’arcivescovo cattolico di Mosca, monsignor Paolo Pezzi registra tra i fedeli
«un'improvvisa diffidenza solo perché si appartiene a popoli diversi». Sì della
diocesi alla “Carovana della pace" promossa dai pacifisti italiani a
favore dei profughi: «E’ importante ogni iniziativa che tende ad accogliere
questi reali poveri del mondo e cerca anche di aiutarli a ritornare a casa. La guerra
mostra l'umiliazione della politica e dell'economia, usate per sottomettere e
non per fare crescere».
12.37
– Sono
26.653 i bambini nati in Ucraina sotto le bombe.
Dall'inizio
del conflitto sono 26.653 i bambini nati in Ucraina sotto alle bombe, nei
bunker e nelle metropolitane, per lo più nelle regioni di Lviv, Dnipropetrovsk,
Odessa, Vinnytsia, Zakarpattya e Ivano-Frakvisk. A renderlo noto è il ministero
della Giustizia.
12.32
– Colpita
stazione ferroviaria nel centro del Paese.
«Le
forze russe hanno attaccato una stazione ferroviaria nell'Ucraina centrale», ha
riferito il presidente delle Ferrovie ucraine (Ukrzaliznytsia), Oleksandr
Kamyshin. Kamyshin non ha precisato il nome della città in cui si trova la
stazione colpita, ma ha detto che nessuno dei dipendenti delle ferrovie e dei
passeggeri è rimasto ferito. Sono stati cambiati i percorsi e gli orari di 17
treni passeggeri.
12.29
– Artificieri
bonificano il territorio di Snov (Cernihiv) .
Gli
artificieri sono al lavoro a Snov, nella regione di Cernihiv, per bonificare il
territorio. I media locali riportano l'appello ai residenti del governatore del
distretto, Ivan Ivaschenko, affinché restino calmi in caso dovessero sentire
esplosioni.
12.20
– Mezzi
militari russi al confine con Finlandia.
Veicoli
militari russi sono stati visti vicino al confine con la Finlandia. Un video
mostra lo spostamento di attrezzature militari, compresi i sistemi di difesa
costiera, al confine tra Russia e Finlandia, in un apparente avvertimento
proprio mentre il dibattito sull'adesione alla Nato continua a crescere nel
Paese nordico. Il primo ministro Sanna Marin annuncia che l’adesione sarà
discussa «nelle prossime settimane», dopo l'invasione dell'Ucraina da parte di
Vladimir Putin.
12.13
– Ad
Ankara, Ucraina ed Ue al centro degli incontri .
Il
segretario generale della Farnesina, Ettore Sequi ha partecipato ad Ankara ad
una sessione di consultazioni con il vice ministro agli Affari Esteri turco,
Sedat Onal. Al centro dell'incontro gli sviluppi della crisi ucraina e diversi
focus su temi regionali. La Turchia ha rilanciato la propria candidatura ad
entrare nell'Unione Europea.
12.08
– Alle
sanzioni Mosca risponde con “sviluppo dell’Artico”.
«Di
fronte alla pressione delle sanzioni, la Russia deve prestare particolare
attenzione a progetti e piani relativi allo sviluppo della zona artica»,
sostiene Vladimir Putin. In un incontro
sullo sviluppo dell'Artico il presidente russo spiega: «Centinaia di nostri
cittadini vivono e lavorano nei territori artici e praticamente tutte le aree
della sicurezza nazionale del nostro Paese sono concentrate».
12.01
– Putin:
“L’Occidente paga il rifiuto della cooperazione.”
«Il
rifiuto di alcuni Paesi occidentali a cooperare normalmente» con la Russia,
«incluso nella sfera energetica, ha già colpito gli europei e gli Usa», afferma
il presidente russo Vladimir Putin, sottolineando che ora «l'inflazione
aumenta».
11.57-
Kazakistan:
“Pronti a ospitare colloquio Putin-Zelensky.
«Il
presidente Tokayev ha già proposto il Kazakistan come mediatore a tutti e due i
presidenti, Putin e Zelensky, e siamo prontissimi ad accogliere i due leader
per un incontro nel nostro territorio. Credo che l'incontro si possa tenere»,
ha detto l'ambasciatore del Kazakistan in Italia, Yerbolat Sembayev in un
briefing con la stampa.
11.56
– Tensioni
Cina-Usa.
La
Cina «ha sempre sostenuto che sull'Ucraina la massima priorità per tutte le
parti interessate è mantenere la calma e la moderazione, cessare il fuoco e
fermare la guerra il prima possibile, evitando una crisi umanitaria su larga
scala». E' la risposta del portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian a
una domanda sulle accuse di genocidio del presidente Usa Joe Biden alla Russia con
l'aggressione all'Ucraina. «Qualsiasi sforzo della comunità internazionale dovrebbe
raffreddare la tensione, non alimentarla, e dovrebbe spingere per una soluzione
diplomatica, non aggravare ulteriormente gli scenari», ha aggiunto Zhao.
11.50
– Consigliere
Zelensky: venga Scholz a parlare di armi.
Il
presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, prende le sue decisioni in modo sempre
«molto ponderato»: è quello che ha affermato il suo consigliere Oleksiy
Arestovych, che stamattina al Morgenmagazin del canale tv ARD, ha risposto a
una domanda sul rifiuto di Kiev della visita del presidente tedesco
Frank-Walter Steinmeier. «Credo che l'argomento principale fosse che Zelensky voglia
incontrare il cancelliere Olaf Scholz, per parlare con lui di questioni
pratiche, inclusa la consegna delle armi». Arestovych ha poi spiegato che
l'offensiva russa si concentra sull'est del paese e che il destino di Mariupol
«dipende dalla consegna di armi dalla Germania».
11.44
– Turchia:
“Nostre navi pronte per evacuazione Mariupol”
«La
Turchia mette a disposizione navi per l'evacuazione di persone da Mariupol e
resta in attesa di una risposta positiva». Lo rende noto il ministero della
Difesa di Ankara citato dalla Tass.
11.20
– Kiev,
Mosca ha ordinato distruzione prove crimini esercito.
«La
leadership russa ha ordinato la distruzione di qualsiasi prova dei crimini del
suo esercito in Ucraina»: lo affermano in un tweet i servizi di intelligence
della Difesa ucraina.
11.03
– Lukashenko:
“Unità con Mosca, ma non unificazione”.
Il
presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko esclude un'eventuale «unificazione» del suo Paese con
la Russia, sostenendo che questa strategia corrisponde a «vecchi metodi». Il
principale alleato del presidente russo Vladimir Putin nella regione, difende
«l'unità» di Minsk e Mosca, ma sulla base di «due Stati indipendenti». In un
incontro svoltosi a Vladivostok con le autorità della regione di Primorye, il presidente bielorusso ha affermato
che entrambi i Paesi formano una «patria comune, da Brest a Vladivostok».
10.58
– Delegazione
Pse: “Fare di tutto per i profughi”.
Persone
che scappano per salvarsi la vita, donne e bambini traumatizzati e il costante
bisogno di aiutare coloro che fuggono dalla guerra in Ucraina: questo è ciò che
i rappresentanti del Pse hanno visto oggi al confine polacco-ucraino. La
delegazione del Pse ha visitato il posto di blocco al confine di Medyka, un
punto di passaggio utilizzato da una parte significativa dei 2,5 milioni di
rifugiati ucraini che sono entrati in Polonia.
10.54 – I crimini sui cui indaga la Corte
penale internazionale .
Né la
Russia né l'Ucraina sono parti della Cpi (Corte penale internazionale), ma Kiev
ha accettato la giurisdizione della Corte per i crimini commessi sul suo
territorio a partire dall'invasione russa della Crimea nel 2014. Sotto
osservazione I crimini di guerra, cioè gravi violazioni del diritto
internazionale commesse contro civili e combattenti durante i conflitti armati.
Tra cui uccisioni, torture, stupri e presa di ostaggi, nonché attacchi a
missioni umanitarie.
10.28
– Unicef:
“3 milioni di bambini da soccorrere in
Ucraina”.
Allarme
del direttore dei programmi d'emergenza dell'Unicef Manuel Fontaine: «Dopo sei
settimane la guerra continua a essere un incubo per i bambini dell'Ucraina -
sia per quelli che sono fuggiti che per quelli che rimangono all'interno del
paese. Dopo sei settimane, quasi 3 milioni di bambini in Ucraina hanno bisogno
di assistenza umanitaria. Più di 4,5 milioni di persone, oltre il 90% delle
quali sono donne e bambini, hanno attraversato i paesi vicini come rifugiati e
l'Oim stima che 7,1 milioni di persone siano ora sfollati interni e che più del
50% delle famiglie sfollate abbiano bambini».
10.12
– Il 57% del
tedeschi contro l’embargo del gas russo.
Secondo
l’istituto demoscopico Allensbach, il 57% dei tedeschi ritiene necessario
continuare a comprare il gas da Mosca per garantire la sicurezza energetica ed
evitare l'aumento dei prezzi. E solo il 30% è favorevole a un embargo totale sui
combustibili. Nel sondaggio si chiedeva anche di valutare l'affermazione
dell'ex presidente Joachim Gauck convinto che i tedeschi potrebbero «soffrire
il freddo»:
il 59% ha detto di non condividerla e solo il 24% è d'accordo.
10.06
– Russia e
Cina, "inammissibile politicizzare lo sport.”
Russia
e Cina, attraverso i loro Comitati olimpici nazionali, definiscono
«inammissibile politicizzare lo sport».
Mosca
ha informato Pechino dell'esclusione di squadre e atleti russi a livello internazionale
a seguito dell'intervento in Ucraina, ha avviato il processo per consentire
agli atleti russi di allenarsi in Cina e di allestire eventi sportivi
internazionali in territorio russo con altre nazioni (Bielorussia, Armenia e
Kazakistan). Gli allenamenti ed eventi sportivi congiunti con la Cina rientrano nel
progetto “Anno degli scambi sportivi Cina-Russia 2022-2023”.
9.55 –
Kiev, morti 19.800 soldati russi dall’inizio della guerra
Secondo
le stime delle forze armate ucraine, dall'inizio della guerra sono morti circa
19.800 soldati russi. Mosca avrebbe perso inoltre 158 aerei, 143 elicotteri,
739 carri armati, 116 lanciarazzi multipli.
9.52 –
Forze
armate ucraine smentiscono la resa di Mariuopol.
Kiev
smentisce l'annuncio russo sulla resa, a Mariupol, di oltre mille soldati della
36esima Brigata della fanteria di Marina. «A Mariupol, le unità della 36°
Brigata, a seguito di una rischiosa operazione si sono uniti al Battaglione
Azov, che ha contribuito a questa manovra», ha scritto su Twitter Oleksiy
Arestovich, consigliere della presidenza ucraina. «Questo è ciò che accade
quando gli ufficiali non perdono la testa, ma mantengono saldamente il comando
e il controllo delle truppe. Non perdiamoci», aggiunge.
9.44 – Cresce l’interscambio Cina-Russia a
marzo, +12,7%.
Aumenta l'interscambio tra Cina e Russia nel mese di
marzo, il primo dopo l'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina e segnato
dall'imposizione delle sanzioni internazionali a Mosca. Secondo i dati
dell'amministrazione generale delle Dogane cinesi, il volume è cresciuto del
12,76% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, a quota 11,67 miliardi
di dollari.
9.37 –
Russia a
Usa, basta "disinformazione" su armi chimiche.
La
Russia sostiene che le affermazioni di Stati Uniti e Ucraina secondo cui Mosca
potrebbe usare armi chimiche in Ucraina sono «disinformazione» perché Mosca ha
distrutto le sue ultime scorte chimiche nel 2017. E aggiunge, attraverso
l'ambasciata a Washington, che gli estremisti ucraini puntano a organizzare
provocazioni proprio con le armi chimiche. «Chiediamo a Washington di smettere
di diffondere disinformazione. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned
Price, si è distinto ancora una volta per le sue parole insulse, non
corroborati da una sola prova».
9.15 –
Macron
evita le accuse genocidio. "Non aiutano la pace" .
Il
presidente francese, Emmanuel Macron evita di parlare di genocidio commesso dai
russi in Ucraina, a differenza di quanto fatto dall'omologo americano, Joe
Biden, ma insiste sul fatto che
l'esercito di Mosca ha commesso «crimini di guerra». Secondo il capo
dell'Eliseo, un'escalation verbale non contribuisce all'obiettivo di fermare la
guerra e cercare il pace.
9.01 – Kadyrov: “Mille marine ucraini si
arrendono a Mariupol.”
Oltre
1.000 marine ucraini, «centinaia» dei quali sono feriti, si sono arresi a
Mariupol, scrive sul suo canale Telegram
il leader ceceno Ramzan Kadyrov, fedelissimo del presidente russo Vladimir
Putin. La
loro decisione di arrendersi è «una scelta giusta», commenta Kadyrov.
8.54 –
191
bambini morti e 349 feriti dall’inizio della guerra.
Sono
191 i bambini morti e 349 quelli feriti dall'inizio della guerra in Ucraina.
L'Ufficio del procuratore generale su Telegram riferisce che i dati non sono
definitivi in quanto i lavori sono ancora in corso nei luoghi delle ostilità.
Il maggior numero di vittime si registra nelle regioni di Donetsk, Kiev e
Kharkiv.
8.51 –
Di Maio:
“Paghiamo il costo della guerra di Putin”.
Secondo
il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio «stiamo pagando il prezzo della guerra
di Putin, non delle sanzioni». E intervenendo a Radio Anch'io all'indomani
delle parole di Vladimir Putin, aggiunge: «Il punto fondamentale su cui bisogna
lavorare è la diplomazia e proprio quando le parti si rifiutano di lavorare a
una soluzione di pace diplomatica bisogna accelerare sulla diplomazia. Sicuramente l'Unione Europea, noi lo
stiamo chiedendo, si deve fare promotrice di una conferenza di pace».
8.47 –
Sindaco
Mariupol: “In 100mila chiedono evacuazione”.
«A
Mariupol ci sono 100 mila persone che chiedono di essere evacuate dalla città»,
riferisce il sindaco della città portuale ucraina assediata Vadym Boichenko.
8.35 –
Kiev:
“Oggi impossibile aprire corridoi umanitari".
Il
vice primo ministro ucraino Iryna Vereshchuk in un messaggio su Telegram
afferma che «oggi non è stato possibile aprire alcun corridoio umanitario». E
accusa le forze di occupazione russe di violare il cessate il fuoco e di
bloccare gli autobus che evacuano i civili. Le autorità ucraine sono al lavoro
per riaprire i corridoi umanitari «il più presto possibile».
8.23 –
Papa:
“Ucraina aggredita, no al riarmo”.
«La
guerra è un sacrilegio, L'Ucraina è stata aggredita e invasa- afferma Papa
Francesco nell'introduzione al saggio “Contro la guerra. Il coraggio di
costruire la pace”- E nel conflitto ad essere colpiti sono purtroppo tanti
civili innocenti. La guerra non è la soluzione. E’una pazzia, un mostro, un
cancro che si autoalimenta fagocitando tutto».
8.18 –
A Kiev i
presidenti della Polonia e dei paesi baltici.
I
presidenti di Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia sono diretti a Kiev per
incontrare Volodymy Zelensky. Secondo Jakub Kumoch, consigliere del leader
polacco, «portano un messaggio forte di sostegno politico e assistenza
militare». Su Twitter il presidente della Lituania, Gitanas Nauseda,
assicurando che « continuerà a sostenere la battaglia dell'Ucraina per la sua
sovranità e libertà».
8.12 –
Fondo
d’emergenza Usa per le armi all’Ucraina.
L'amministrazione
Usa destinerà altri 750 milioni di dollari di aiuti militari all'Ucraina. La
fornitura sarà finanziata utilizzando la “Presidential Drawdown Authority”, uno strumento con il quale la Casa
Bianca, se c’è un’emergenza, può autorizzare il trasferimento di articoli e
servizi prelevati dalle riserve statunitensi senza l'approvazione del
Congresso.
7.30 –
Gb:
generale Dvornikov tentativo di Mosca di centralizzare il comando e il
controllo.
«La
nomina da parte della Russia del generale dell'esercito Alexander Dvornikov»
alla guida dell’offensiva russa «rappresenta un tentativo di centralizzare il
comando e il controllo. L'incapacità di coordinare l'attività militare ha
ostacolato l'invasione della Russia fino ad oggi». Lo afferma l'ultimo rapporto
dell'intelligence britannica sull'andamento della guerra in Ucraina ,
pubblicato dal ministero della Difesa.
7.10 –
I
presidenti di Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania verso Kiev.
I
presidenti dei quattro Paesi sono in viaggio verso Kiev.
05.45
– Kiev,
720 morti a Bucha e altri sobborghi.
Più di
720 persone sono state uccise a Bucha e in altri sobborghi di Kiev occupati
dalle truppe russe e più di 200 sono considerate disperse. Lo ha riferito il
ministero dell'Interno ucraino, citato da Sky News. A Bucha, il sindaco
Anatoliy Fedoruk ha riferito che sono stati trovati 403 corpi e il numero
potrebbe aumentare.
05.25
– Bomba a
grappolo usata nell'attacco alla stazione di Kramatorsk.
Nell'attacco
alla stazione ferroviaria di Kramatorsk, costata la vita a più di 50 persone,
sarebbe stata usata una bomba a grappolo, bandita da molti Paesi in base al
diritto internazionale. E' quanto avrebbero accertato i i giornalisti della Bbc
che hanno visitato la stazione.
05.16
– Kiev,
almeno 20 giornalisti uccisi da inizio guerra.
Almeno
20 giornalisti sono stati uccisi in Ucraina dall'inizio dell'invasione russa,
il 24 febbraio. Lo ha riferito l'Unione nazionale dei giornalisti dell'Ucraina
sul suo canale Telegram, precisando che si tratta delle vittime confermate
dall'ufficio del procuratore generale.
02.08
– Russia,
ogni giorno corridoi aperti a Kharkov-Mariupol.
La
Russia apre ogni giorno il proprio tratto di corridoi umanitari a Kharkov e
Mariupol. A dirlo alla Tass è Mikhail Mizintsev, capo del Centro di gestione
della difesa nazionale russo. «Nel rigoroso rispetto del diritto internazionale
umanitario - spiega Mizintsev - la parte russa continua il suo sforzo per
fornire un aiuto alla popolazione delle repubbliche popolari di Donetsk e
Lugansk, nonché alla popolazione locale e agli stranieri nei territori liberati
dell'Ucraina. Dalle 10:00 di ogni giorno - prosegue - la parte russa apre
corridoi umanitari nelle aree di Kharkov e Mariupol». Ieri l'Ucraina ha informato noto
di nove corridoi operativi a Zaporozhye e Donetsk, ma nessuno verso la Russia.
01.50 Zelensky ringrazia Biden per aver
usato la parola “genocidio” riferita a Putin.
Il
presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ringraziato il presidente degli Stati
Uniti Joe Biden per aver usato la parola 'genocidio' nel descrivere l'invasione
russa dell'Ucraina. «Parole vere di un vero leader», ha twittato Zelensky.
«Chiamare le cose con il loro nome è essenziale per resistere al male. Siamo
grati per l'assistenza degli Stati Uniti fornita finora e abbiamo urgente
bisogno di armi più pesanti per prevenire ulteriori atrocità russe», ha
aggiunto.
01.45
– Zelensky,
nuovo pacchetto sanzioni contro Russia includa petrolio.
«Oggi,
nel mio discorso al parlamento e al popolo lituano, e allo stesso tempo a tutte
le nazioni europee, ho sottolineato che il sesto pacchetto di sanzioni dell'Ue
contro la Russia deve includere il petrolio». Lo ha detto il presidente ucraino
Volodymyr Zelensky, chiedendo di smettere di «moltiplicare pacchetti di
sanzioni insufficientemente forti». «Solo l'abbandono da parte dell'Europa
delle risorse energetiche russe e la completa restrizione del sistema bancario
russo possono essere un argomento per la leadership russa per cercare la pace»,
ha aggiunto.
01.15
– Zelensky:
impossibile indagine completa su sostanza usata a Mariupol.
Il
presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy ha affermato che "non è ancora
possibile" trarre conclusioni al 100% sul tipo di sostanza utilizzata a
Mariupol. "Consideriamo con grande attenzione le segnalazioni di ieri
sull'uso di una sostanza velenosa a Mariupol contro i difensori della
città", ha detto nel suo discorso alla nazione. "Non è ancora
possibile trarre conclusioni al cento per cento su che tipo di sostanza fosse.
Ovviamente è impossibile condurre un'indagine completa e un'analisi completa
nella città assediata. Tuttavia - ha sottolineato - date le ripetute minacce
dei propagandisti russi di usare armi chimiche contro i difensori di Mariupol e
l'uso ripetuto da parte dell'esercito russo di munizioni al fosforo in Ucraina,
ad esempio, il mondo deve rispondere ora. Rispondere preventivamente. Perché dopo l'uso delle armi di
distruzione di massa, qualsiasi risposta non cambierà nulla. E sembrerà solo
un'umiliazione per il mondo democratico", ha aggiunto Zelensky.
01.05
– Biden
conferma accuse "genocidio" a Putin.
Il
presidente Joe Biden ha confermato la sua accusa alle forze di Vladimir Putin,
che a suo dire stanno commettendo un genocidio in Ucraina. «Sì, l'ho chiamato
genocidio», ha detto Biden ai giornalisti quando gli è stato chiesto delle sue
precedenti affermazioni. «E' diventato sempre più chiaro», «le prove stanno
aumentando, è diverso dalla scorsa settimana».
00.45
– La Francia congela beni russi per un
valore di oltre 25 miliardi di dollari: lo ha detto il ministero delle Finanze
francese.
Il
ministero delle Finanze francese ha pubblicato un elenco dettagliato delle
attività russe per un valore di 23,7 miliardi di euro - o 25,6 miliardi di
dollari di dollari - che ha congelato da quando la Russia ha invaso l'Ucraina
il 24 febbraio. I beni appartenenti alla Banca centrale russa, che secondo il
ministero valgono 22,8 miliardi di euro, costituiscono la maggior parte dei
beni congelati. L'elenco delle attività comprende anche 33 proprietà
immobiliari con un valore di acquisto combinato di 573,6 milioni di euro, tra
cui alcuni indirizzi ad Antibes, Saint-Jean-Cap-Ferrat e Saint-Tropez sulla
Costa Azzurra, e 178 miliardi di euro in sono stati inoltre elencati asset
bancari congelati, tre yacht per un valore di oltre 125 miliardi di euro, sei
elicotteri per un valore di oltre 60 milioni di euro e tre opere d'arte per un
valore di 7 milioni di euro.
00.38
– Ucraina:
deputata Usa a Blinken, ripristinare presenza diplomatici a Kiev.
Victoria
Spartaz, il primo membro del Congresso Usa nato in Ucraina, ha esortato il
Dipartimento di Stato a rimandare alcuni diplomatici in Ucraina. Spartaz ha
inviato una lettera al Segretario di Stato americano Antony Blinken spiegando
che gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di
ridistribuire diplomatici statunitensi a Leopoli nell'Ucraina occidentale per
fornire un migliore coordinamento con l'Ucraina. La deputata ha sottolineato le
azioni dell'Unione Europea, che ha restituito il suo corpo diplomatico a Kiev.
«In qualità di maggiore fornitore di assistenza militare e umanitaria
all'Ucraina, è tempo che gli Stati Uniti seguano l'esempio dei nostri alleati
europei», ha scritto Spartaz. Gli Stati Uniti e altri paesi hanno ritirato i
loro diplomatici ed evacuato le ambasciate e i consolati da Kiev nei giorni
precedenti l'invasione russa, spostandoli nella città occidentale di Leopoli. I
funzionari sono poi stati trasferiti in Polonia.
00.25
– L'esercito
ucraino riferisce di una battaglia di 5 ore nella regione centrale di
Zaporizhzhia mentre le forze cercano di liberare l'area
L'esercito
ucraino ha riferito martedì di pesanti combattimenti nella regione centrale di
Zaporizhzhia. L'amministrazione militare regionale di Zaporizhzhia ha affermato
che una battaglia di cinque ore ha avuto luogo nel distretto di Polohy mentre
le forze ucraine cercavano di liberare l'area. Dopo che unità della brigata di
difesa territoriale della regione hanno occupato parte del distretto, i
rinforzi russi li hanno costretti a ritirarsi, secondo il colonnello Ivan
Arefyev, portavoce dell'amministrazione militare. Polohy si trova a nord-est
della città di Melitopol occupata dalla Russia, dove Arefyev ha affermato che
le truppe russe hanno continuato a «usare metodi terroristici per intimidire la
popolazione locale e convincerla a stare dalla loro parte».
00.20
– Biden
pronto a dare altri 750 milioni di dollari in armi a Kiev.
Gli
Usa intendono annunciare entro 48 ore altri 750 milioni di dollari in
assistenza militare all'Ucraina invasa dalle forze russe. Lo riferisce la
Reuters in esclusiva, citando due fonti dell'amministrazione americana, secondo
le quali il presidente Joe Biden usera' i suoi poteri per trasferire
equipaggiamenti senza passare per l'approvazione del Congresso. Tra gli aiuti è
molto probabile che ci siano anche sistemi di artiglieria, compresi obici.
Nessun commento finora dalla Casa Bianca che l'altra settimana aveva
sottolineato come dall'inizio dell'invasione russa abbia fornito all'Ucraina
assistenza per 1,7 miliardi di dollari.
00.17
– CNN,
L’OPCW (vigilanza internazionale sulle armi chimiche) "preoccupata" per
le notizie non confermate sull'uso di armi chimiche a Mariupol.
L'Organizzazione
per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) ha dichiarato di essere
«preoccupata per il recente rapporto non confermato sull'uso di armi chimiche»
nella città ucraina assediata di Mariupol emersa lunedì. «Tutti i 193 Stati
membri dell'OPCW, comprese la Federazione Russa e l'Ucraina, sono parti della
Convenzione sulle armi chimiche» ha
affermato l'OPCW in una nota. «In tal modo, si sono solennemente e
volontariamente impegnati a non sviluppare, produrre, acquisire, accumulare,
trasferire o utilizzare armi chimiche».
00.05
– L’OCSE
pubblicherà domani i risultati dell'indagine sulle violazioni dei diritti umani
nella guerra russa.
L'Organizzazione
per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) pubblicherà domani,
mercoledì, i risultati della sua indagine sulle violazioni dei diritti umani e
le atrocità commesse nella guerra russa in corso in Ucraina. Lo dice il
portavoce della Missione statunitense presso l'OSCE.
00.01
– Zelensky a Mosca, Medvedchuk in cambio nostri soldati.
Il
presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha proposto alla Russia di consegnare a
Mosca l'oligarca Viktor Medvedchuk, considerato vicino al presidente russo
Vladimir Putin, in cambio della liberazione degli ucraini fatti prigionieri
dalle forze russe. Lo riferisce il Guardian. «Propongo uno scambio tra questo
vostro uomo» e gli uomini e donne ucraini detenuti dai russi, ha detto Zelensky
in un messaggio su Telegram. Poche ore prima Kiev aveva reso noto che
Medvedchuk era stato arrestato in un’operazione dell'intelligence ucraina.
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