LA NATO DEVE ESPANDERE I SUOI CONFINI A EST ?

 

LA NATO DEVE ESPANDERE I SUOI CONFINI A EST ?

 

Washington e Mosca tra

sorrisi e delusioni 1991-2021.

Buongiornoslovacchia.sk -Elena Dundovich - ( 12 Aprile 2022)- ci dice :

 

Nel periodo che è trascorso dal 21 marzo del 2014, data in cui l’Assemblea Federale russa approvò l’annessione della Crimea, i rapporti tra Washington e Mosca sono andati progressivamente peggiorando sino a toccare, con l’attuale Presidenza Biden, il loro livello più basso.

In passato, però, le relazioni tra i due paesi hanno conosciuto anche momenti più felici seppur sempre nella cornice di un andamento estremamente oscillante.

Lontana è ormai da tempo l’”idilliaca fase” della prima metà degli anni ’90, quando Bill Clinton e Anthony Lake, suo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, avevano optato per un appoggio incondizionato al riformismo di El’cin, considerato l’unico leader capace di mantenere il paese sulla via della democrazia. L’Occidente nel suo complesso aveva garantito un flusso costante di aiuti economici ottenendo in cambio la gratitudine del Cremlino, evidente soprattutto nella volontà di cooperazione nel settore del nucleare e nella disponibilità ad aprire il mercato russo agli investitori stranieri. Neanche l’attacco russo alla Cecenia, il 1° dicembre del 1994, era sembrato capace di rompere l’intesa.

Nel quinquennio successivo però qualche tensione aveva cominciato a erodere la reciproca fiducia: l’allargamento della Nato alla Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia, nel 1999, scontentò Mosca; la crisi finanziaria asiatica del 1998 ebbe forti ripercussioni sull’economia della Federazione, provocando anche una forte reazione antiamericana nell’opinione pubblica russa, proprio, tra l’altro, nel momento in cui, forte dei progressi sino ad allora mostrati, Clinton aveva deciso l’ingresso della Federazione nel G8 e l’avvio del suo processo di adesione nel wto;

la crisi del Kosovo, con il conseguente bombardamento della nato sulla Serbia in assenza dell’autorizzazione dell’  Onu, tra il marzo e il giugno del 1999, provocò la dura reazione del Cremlino.

 

L’avvento di Putin e l’attentato alle Torri Gemelle.

A dispetto di tutto ciò, complicità e identità di vedute riapparvero quando, ormai Presidente Putin già dal marzo del 2000, l’attentato alle Torri Gemelle, l’11 settembre del 2001, sembrò porre le basi per una nuova fase di collaborazione.

La conferma di una minaccia ormai globale del terrorismo islamico fece dimenticare a Putin l’amarezza per le dure critiche subite per il nuovo attacco alla Cecenia dell’ottobre 1999 (nella sua veste di Primo Ministro) inducendolo a concreti gesti di amicizia verso Washington: gli aerei nato diretti in Afghanistan ottennero l’autorizzazione a sorvolare il territorio russo, la presenza di basi americane in Uzbekistan e in Kirghistan, paesi politicamente vicini a Mosca, venne accolta con favore, nel 2002 a Pratica di Mare fu istituito il Consiglio NATO-Russia, nel maggio dello stesso anno i due Presidenti firmarono il “Trattato Sort” che prevedeva una riduzione delle testate nucleari dei due paesi.

Gli obiettivi in quel momento di Mosca erano essenzialmente due: uno, più specifico, era quello di ottenere la benevolenza americana per la gestione della questione cecena,

l’altro, di più ampio respiro, consolidare la crescita dell’economia russa convincendo gli Stati Uniti a cancellare una parte consistente dell’immenso debito russo nei loro confronti.

La nuova luna di miele ebbe però vita assai breve: l’attacco americano nel 2003 all’Iraq, paese con cui Mosca aveva solidi rapporti così come con Iran e Corea del Nord, tutti ormai apertamente definiti da Washington l’Asse del Male; le rivoluzioni colorate in Georgia (2003), Ucraina (2004) e Kirghistan (2005), dietro alle quali, secondo il Cremlino, vi era una chiara influenza americana; l’allargamento della nato e dell’Unione europea a est nel 2004 e le guerre del gas tra Mosca e Kiev da un lato e Mosca e Minsk dall’altro, tra il 2004 e il 2006, con le loro conseguenze negative sulle economie dei paesi europei, strettamente dipendenti dalle importazioni del gas russo;

 il Summit nato di Bucarest, nell’aprile del 2008, in cui Bush confermò la volontà americana di schierare il sistema missilistico di difesa in Polonia e Repubblica ceca annunciando con formula vaga che Ucraina e Georgia sarebbero potuti diventare membri dell’Alleanza;

 e, infine, la guerra intrapresa dalla Georgia per riprendere il controllo dell’Ossezia del Sud e la conseguente reazione militare russa, portarono a un crescendo di tensione che cancellò completamente il riavvicinamento che vi era stato dopo il 2001.

L’uscita di scena di Bush e di Putin − definitiva la prima, dopo due mandati, temporanea la seconda − e l’arrivo rispettivamente di Barack Obama e Dmitrij Medvedev garantirono invece ancora una volta un evidente, seppur altrettanto breve, rasserenamento.

 La politica di “Reset” promossa dal nuovo Presidente, ovvero il riposizionamento strategico americano verso il Pacifico e l’Estremo Oriente, già allora motivata dalle preoccupazioni suscitate dall’enorme crescita economica cinese, implicava una crescente marginalità di Europa e Medio Oriente, teatro quest’ultimo dal quale Obama annunciò l’intenzione di un rapido disimpegno in vista di un totale ritiro delle truppe da Afghanistan e Iraq.

In questa cornice, la Russia appariva meno minacciosa e, anzi, per alcuni dossier un partner importante come, per esempio, quello della non proliferazione del nucleare.

Non pochi furono i risultati del dialogo instauratosi tra Obama e Medvedev: il posticipo e poi la definitiva cancellazione dello schieramento dei missili in Polonia e Repubblica ceca, l’abbandono di qualsiasi piano di allargamento nato, la firma del “New Start” per la riduzione degli armamenti nucleari, nel 2011, la collaborazione per l’accordo sul nucleare iraniano, poi firmato effettivamente nel 2015, l’ingresso della Russia nel Wto (2012) e, infine, sempre nello stesso anno, il ritiro da parte del Congresso dell’emendamento Jackson-Vanik, una norma degli anni Settanta che agiva da limite e ostacolo alla normalizzazione dei rapporti commerciali tra i due paesi, confermano l’assunto iniziale. Altrettanto vero è però che anche questo nuovo felice orientamento delle relazioni russo-americane non ebbe vita lunga.

L’inizio del terzo mandato di Putin, rieletto nel marzo del 2012, coincise in effetti con un quadro internazionale di grande tensione rispetto al quale la politica estera di Mosca assunse una postura completamente diversa dal passato. Lo scoppio delle cosiddette “Primavere arabe” in Tunisia, Egitto, Libia e Siria, tra il 2010 e il 2011, apertamente appoggiate dall’Occidente, suscitarono invece una iniziale diffidenza nel Cremlino pronto ad assumere una posizione sempre più assertiva via via che questi paesi cominciarono ad inclinare verso formule di governo dalla chiara impronta islamica.

In Egitto Mosca riempì il vuoto lasciato dagli americani che, dopo le rivolte popolari contro Mubarak, avevano apertamente simpatizzato con il governo dei Fratelli Musulmani a loro volta poi rovesciati dall’esercito appoggiato dalla folla. Obama reagì tagliando gran parte delle forniture militari e degli aiuti economici al Cairo, ma il nuovo governo del Generale al-Sisi non tardò a trovare un valido sostituto nel Cremlino disposto a concludere un’ampia intesa sia in campo industriale che militare; in Siria la difesa a oltranza di Assad contro le forze di opposizione, tra cui anche gruppi islamici, fu netta sin dall’inizio della crisi e di fronte al perpetuarsi delle incertezze occidentali avrebbe portato la Russia a intervenire militarmente a difesa del governo di Damasco nel settembre del 2015 provocando una fortissima tensione con Washington; in Libia infine, a dieci anni di distanza dall’intervento militare internazionale che vide protagoniste soprattutto la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e, in più piccola parte l’Italia, oggi sono la Russia e la Turchia a controllare effettivamente il paese ancora diviso.

Considerata illiberale la staffetta Medvedev-Putin e ricca di ombre la terza elezione di quest’ultimo, i repubblicani cominciarono a criticare la politica di “Reset” di Obama definendola un vero e proprio “appeasement” nei confronti della Russia.

 Nonostante le perplessità del Presidente, nel 2012 il Congresso approvò il “Magnitsky Act” con cui si limitava l’ingresso nel territorio americano ai cittadini russi responsabili di violazione dei diritti umani congelando i loro beni negli usa.

 La Duma rispose vietando l’adozione di bambini russi da parte di coppie residenti negli stati che, come gli USA, riconoscono tale diritto per le coppie omosessuali. Da quel momento l’opinione pubblica americana avrebbe seguito con sempre maggiore attenzione la “questione russa” in tutte le sue sfaccettature anche interne: dal giro di vite contro i giornalisti, gli attivisti per i diritti umani, gli esponenti delle organizzazioni non governative, al caso delle Pussy Riots, alle leggi omofobe del 2013 (che indussero per protesta Obama a non partecipare all’apertura dei Giochi Olimpici invernali a Soči nel febbraio del 2014) all’asilo politico concesso a Snowden, contractor della “National Secutity Agency”, che aveva rivelato l’esistenza del programma di spionaggio “Prism”.

L’annessione della Crimea e il nuovo volto della Russia

Se le relazioni erano già ampiamente peggiorate tra il 2012 e il 2014 fu però sicuramente la crisi Ucraina, l’annessione della Crimea alla Federazione e la questione del Donbass a renderle tese come mai prima.

Washington condannò come illegale il referendum, dure sanzioni vennero emanate sia dagli Stati Uniti che dall’Unione europea, il numero delle esercitazioni NATO nei paesi prossimi alla Russia si infittì da quel momento con l’impegno di creare nuove basi in Polonia e nei paesi Baltici, la Federazione venne sospesa dal G8.

 Tutte misure però che non sono riuscite a incidere sul governo russo che, grazie in quell’occasione a un forte consenso popolare, ha giocato la carta del patriottismo e della sindrome di accerchiamento da parte di un mondo ostile, di lontana memoria sovietica, per distogliere l’attenzione della popolazione dalla difficile situazione economica e da altre fragilità interne che già allora affliggevano il paese.

Da quel 2014 la Russia è cambiata. A prezzo di notevoli sacrifici nel campo del rispetto dei diritti umani, Putin ha ritrovato, ancor di più che durante le sue precedenti presidenze, le ragioni di un forte senso di identità nazionale ispirato alla natura euroasiatica del paese oltre che al patriottismo e al conservatorismo politico, religioso e culturale.

Memoria storica condivisa intorno al mito ancora molto sentito nello spazio post-sovietico della Grande Guerra Patriottica, richiamo costante al ruolo unificante della ortodossia ma soprattutto valorizzazione della lingua russa che, nonostante un ovvio progressivo ridimensionamento nel suo uso dopo il crollo dell’Urss, rimane ancora un fondamentale strumento di comunicazione in tutto lo spazio postsovietico, sono i tre pilastri su cui poggia il progetto politico dell’attuale élite russa che fonda la sua ragion d’essere sul concetto di “Russkij Mir”, ovvero il riconoscimento di una vocazione quasi messianica di una civiltà russa che va ben oltre i confini nazionali e che, oltre a comprendere tutti i russi che dopo il 1991 si trovano a vivere al di là dei confini della Federazione, mira al recupero di un’eredità sovietica non concepita solo in termini geopolitici ma intesa anche come “alterità” rispetto al cammino seguito durante il ‘900 dal resto d’Europa.

Un progetto politico certo non nato in quel 2014 ma che da quell’anno è diventato imprescindibile bussola per un’élite sempre più convinta che solo grazie a tale messaggio unificante si potranno rafforzare i legami con quei paesi ex sovietici che Mosca considera, sia a occidente che a oriente, il suo “Estero vicino” o, forse sarebbe meglio dire, il suo “Interno lontano”.

Paesi con cui il Cremlino già da tempo ha avviato forme di integrazione sia sul piano della difesa e sicurezza comuni, come l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza collettiva, che su quello economico, come l’Unione Economica Eurasiatica.

Scopo ultimo di tutto ciò è il recupero dello status di grande potenza della Federazione. La dura reazione dell’Unione Europea e di Washington, con l’applicazione delle sanzioni economiche, ha in effetti spinto Putin a rafforzare ulteriormente il dialogo con altri interlocutori internazionali e in primo luogo con la Cina.

Proprio nel maggio 2014 il Presidente firmò con Pechino un ampio accordo per una fornitura trentennale di metano e la costruzione di un imponente gasdotto, dal nome “Forza della Siberia”, che è stato poi inaugurato il 2 dicembre del 2019 ed è a oggi la principale infrastruttura nel trasporto di gas naturale di tutto l’Oriente russo con i suoi circa 3000 km di lunghezza.

Sempre dopo la crisi della Crimea, nel giugno del 2014, Putin compì un lungo viaggio in America Latina tra Cuba, Nicaragua, Brasile e Argentina. Eccezione fatta per l’Avana, tutte tappe inedite per un leader del Cremlino e che testimoniano un allargamento di prospettive propriamente globale.

Nel 2016 Trump ereditò dunque da Obama una situazione estremamente complessa né la fiducia tra i due paesi era mai stata, dopo il 1991, così scarsa. I primi tentativi del nuovo Presidente di riavviare con Mosca un dialogo più ad ampio raggio sulle tante questioni delicate aperte nell’agenda internazionale sarebbero però rimasti nel limbo delle buone intenzioni, ostaggio delle indagini a lungo condotte sulle interferenze russe nella campagna presidenziale americana e della continua tensione alimentata soprattutto dalla crisi siriana.

Così, alla fine, la vera scelta di Trump è stata quella dell’immobilismo: del resto qualsiasi strategia egli abbozzasse all’indirizzo del Cremlino è stata sempre aprioristicamente denunciata o come cinico baratto di favori con Mosca, con il sacrificio degli interessi e dei diritti degli alleati degli Stati Uniti in Europa, o come mano libera per l’influenza russa in altre aree del mondo.

Né niente è mutato dopo l’elezione di Biden nel novembre del 2020 e il suo breve incontro con Putin a Ginevra il 16 giugno del 2021. Dopo la delusione avuta con Donald Trump, sul quale inizialmente il Cremlino aveva riposto non poca fiducia, Mosca non nutre alcuna speranza in una distensione né è questo ciò che Biden ricerca.

Già in campagna elettorale quest’ultimo aveva sottolineato la sua volontà di riportare al centro dell’attenzione internazionale i valori della democrazia e come lotta alla corruzione, difesa dall’autoritarismo, promozione dei diritti umani nel mondo sarebbero state alcune delle principali priorità dell’agenda di politica estera della sua amministrazione in caso di vittoria.

In effetti, gli unici risultati reali del rapidissimo vertice sono stati il rientro dei rispettivi ambasciatori nelle proprie sedi – richiamati poco tempo prima in conseguenza delle sanzioni imposte dalla nuova Presidenza americana in risposta agli attacchi di hacker russi e alle presunte interferenze in campagna elettorale – e una dichiarazione con cui i due Presidenti riconoscono la responsabilità comune delle due potenze nucleari per la stabilità strategica.

 Risultato ben scarno a conferma di quanto i due paesi siano oggi profondamente distanti: non hanno interessi economici comuni, gli scambi culturali sono praticamente congelati, nei conflitti internazionali si trovano spesso sulle linee del fronte opposte.

Conclusioni.

Siamo dunque alla soglia o già immersi in una nuova guerra fredda?

Quale è il rischio che nell’uno o nell’altro caso si possa giungere a un conflitto armato? Se al secondo quesito è abbastanza facile rispondere in senso negativo, più difficile è trovare una risposta convincente al primo di essi.

Certo è che, per quanto i rapporti siano molto tesi e contraddittori, a differenza di un tempo Stati Uniti e Russia non sono rivali ideologici assoluti in uno scontro pressoché totale, il potere è oggi più diffuso di quanto non fosse nel sistema bipolare e la Russia è per gli Stati Uniti molto meno rilevante di quanto lo fosse un tempo l’Unione Sovietica. Il posto di quest’ultima è infatti oggi occupato dalla Cina che rappresenta il vero astro emergente del sistema internazionale contemporaneo e alla quale, dopo la crisi della Crimea, anche Mosca ha guardato con crescente attenzione e interesse.

(Elena Dundovich, Geopolitica.info cc by).

 

 

 

 

Germania, industriali e sindacati uniti:

no all’embargo gas russo o

sarà deindustrializzazione.

msn.com- Redazione First on line-(18-4-2022)- ci dice :

 

Industriali e sindacati sono uniti in Germania contro l’ipotesi di embargo contro il gas russo.

La Bda, associazione degli industriali tedeschi, e la Dgb, associazione dei sindacati tedeschi – riferisce l’agenzia Agi – hanno firmato una nota congiunta nella quale hanno espresso opposizione all’ipotesi di un embargo sul gas russo, paventando una deindustrializzazione della Germania.

In una dichiarazione congiunta all’agenzia Dpa, i presidenti delle due associazioni, Rainer Dulger (Bda) e Rainer Hoffmann (Dgb), hanno sottolineato che le sanzioni dovrebbero essere mirate, esercitare pressione sul destinatario e prevenire il più possibile danni alla propria economia.

Secondo Dulger e Hoffman un blocco delle importazioni di gas russo avrebbe invece conseguenze molto più gravi per l’economia e il mercato del lavoro tedeschi che per la Russia.

“Un immediato embargo sul gas comporterà perdite di produzione, arresti della produzione, ulteriore deindustrializzazione e continue perdite di posti di lavoro”, avverte la nota.

“Nei prossimi mesi avremo ancora molti problemi da risolvere. Non possiamo agire da una posizione di debolezza“, hanno concluso i due presidenti.

Il portavoce del governo tedesco, Wolfgang Buechner, aveva chiarito in precedenza che le autorità di Berlino si oppongono all’imposizione immediata di un embargo sulle forniture di petrolio e gas dalla Russia.

Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha più volte sottolineato che il suo esecutivo sta seguendo una strategia di riduzione graduale della dipendenza dalle forniture energetiche russe.

A sua volta Robert Habeck, vicecancelliere e ministro dell’Economia, ha annunciato l’introduzione di un piano di emergenza in caso di cessazione dell’approvvigionamento energetico dalla Russia.

Secondo le previsioni ufficiali del ministero guidato da Habeck, la Germania non potrà raggiungere la piena indipendenza dal gas russo prima dell’estate del 2024.

Il petrolio ai massimi da 3 settimane.

I prezzi del petrolio sono saliti ai massimi da quasi tre settimane sui timori per l’offerta globale con l’aggravarsi della crisi in Ucraina che solleva la prospettiva di sanzioni più pesanti da parte dell’Occidente sul principale esportatore, la Russia. I futures del Brent avanzano dello 0,73% a 112,51 dollari al barile, dopo aver toccato il massimo dal 30 marzo di 113,80 dollari.

I futures statunitensi del West Texas Intermediate sono saliti dello 0,69%, a 107,69 dollari al barile, dopo aver guadagnato fino a 108,55 dollari, il massimo dal 30 marzo. Secondo gli analisti, la guerra tra Russia e Ucraina, senza segni di un cessate il fuoco, sta alimentando i timori di approvvigionamento, soprattutto perché la domanda dovrebbe aumentare con l’avvicinarsi della stagione di guida nell’emisfero nord.

Le previsioni per il mercato del petrolio sono favorevoli a una tendenza rialzista questa settimana con una limitata offerta aggiuntiva proveniente dai principali produttori di petrolio per compensare un flusso ridotto dalla Russia.

 

 

 

 

Karaganov, consigliere di Putin:

“È una guerra esistenziale con l’Occidente.

Colpire obiettivi in Europa?

È possibile, se va avanti così”.

Ilfattoquotidiano.it - Redazione- (8 Aprile-2022)- ci dice

Il capo del “Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca” ha spiegato che - a suo avviso - il conflitto era inevitabile.

L'Ucraina "è stata riempita di armi e le sue truppe sono state addestrate dalla Nato, il loro esercito è diventato sempre più forte".  Inoltre, stando alle sue parole, c'è stato "un rapido aumento del sentimento neonazista in quel Paese. L’Ucraina stava diventando come la Germania intorno al 1936-‘37".

Per Sergej Karaganov, ex consigliere di Putin, quella in Ucraina è una guerra contro l’Occidente.

Intervistato dal Corriere della Sera, il capo del Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca ha spiegato che il conflitto era a suo avviso inevitabile perché l’Ucraina “è stata riempita di armi e le sue truppe sono state addestrate dalla Nato, il loro esercito è diventato sempre più forte”.

Inoltre, stando alle sue parole, c’è stato “un rapido aumento del sentimento neonazista in quel Paese. L’Ucraina stava diventando come la Germania intorno al 1936-‘37“.

La versione di uno degli uomini più ascoltati da Putin è quella che Mosca continua a propagandare dall’inizio del conflitto, da un lato negando massacri e dall’altro addossando alla Nato le mosse che hanno portato all’invasione dell’Ucraina.

Ammette che il suo Paese ha colpito per primo, ma lo ha fatto “prima che la minaccia (ucraina, ndr) diventasse ancora più letale”.

Una “guerra esistenziale” che per l’autore della ‘dottrina Putin‘ ha provocato – e tuttora provoca – non solo morti, ma la perdita della “superiorità morale” dei russi: “Ora siamo sullo stesso terreno dell’Occidente.

L’Occidente ha scatenato diverse aggressioni. Ora siamo sullo stesso terreno morale. Ora siamo uguali, stiamo facendo più o meno come voi“.

Inutile far riferimento ai tentativi diplomatici che avrebbero potuto far desistere la Russia dall’invadere il paese confinante: “Dagli occidentali abbiamo avuto promesse di tutti i tipi in questi trent’anni. Ma ci hanno mentito o le hanno dimenticate”.

L’unico grande errore commesso dalla Russia, nella visione di Karaganov, fu accettare nel 1997 il ‘Founding Treaty‘ sulle relazioni Russia-Nato, che prevedeva l’allargamento dell’Alleanza Atlantica.

“Firmammo perché eravamo disperatamente poveri, al collasso – afferma – ma questo allargamento è quello di un’alleanza aggressiva. È un cancro e noi volevamo fermare questa metastasi. Dobbiamo farlo, con un’operazione chirurgica”.

Guerra in Ucraina, missili sui civili in fuga alla stazione di Kramatorsk: almeno 50 morti. Zelensky: “Disumani”. Mosca: “Non siamo stati noi.”

A suo avviso, “le uccisioni di massa in Kosovo (contro i serbi, ndr) sono avvenuti dopo lo stupro della Serbia. Fu un’aggressione indicibile. E il processo a Milosevic è stato un triste e umiliante spettacolo di meschinità europea“.

 Oltretutto, il dittatore serbo fu giudicato dal Tribunale penale internazionale, il cui diritto non è riconosciuto dalla Russia, come l’ordine europeo emerso dopo la caduta del muro di Berlino:

“Non dobbiamo riconoscere un ordine costruito contro la Russia. Abbiamo cercato di integrarci, ma era una Versailles 2.0. Dovevamo distruggere quest’ordine. Non con la forza, ma attraverso una distruzione costruttiva rifiutando di parteciparvi. Ma quando la nostra ultima richiesta di fermare la Nato è stata respinta, si è deciso di usare la forza”.

Sull’obiettivo della guerra in Ucraina, il capo del Consiglio di politica estera e della difesa ha le idee chiare: “La maggior parte delle istituzioni sono, secondo noi, unilaterali e illegittime. Minacciano la Russia e l’Europa orientale. Noi volevamo una pace giusta, ma l’avidità e la stupidità degli americani e la miopia degli europei ci hanno rivelato che questi attori non la vogliono. Dobbiamo correggere i loro errori“.

Ascoltando le sue parole, la possibilità che il conflitto possa allargarsi e coinvolgere anche altri Paesi non è da escludere del tutto, perché “se va avanti così, gli obiettivi in Europa potrebbero essere colpiti o lo saranno per interrompere le linee di comunicazione”.

Un’ipotesi, quest’ultima, che non considera i recenti fallimenti dell’esercito russo, come il ritiro delle truppe dalla capitale ucraina.

E se l’operazione su Kiev avesse lo scopo di distrarre le forze ucraine dal teatro principale a sud e sud-est? – domanda retoricamente – Tra l’altro le truppe russe sono state molto attente a non colpire obiettivi civili, abbiamo usato solo il 30-35% delle armi”.

 I massacri avvenuti negli scorsi giorni e documentati dai media internazionali non fanno testo, nella visione di Mosca: “La storia di Bucha è una messinscena, una provocazione”.

(Bucha, Gabrielli: “È stato un eccidio, ma sulle responsabilità dobbiamo essere molto cauti. In questi casi bisogna spogliarsi della sicumera”).

Karagarov ignora le prove.

Ma ignora anche le risorse e le persone perse in 44 giorni di guerra: i russi sono “pronti a sacrificare tutto ciò per costruire un sistema internazionale più vitale. Vogliamo costruire un sistema internazionale più giusto e sostenibile. Diverso da quello emerso dopo il crollo dell’Unione Sovietica e che, a sua volta, ora sta crollando. Ora ci stiamo tutti fondendo nel caos. Vorremmo costruire la Fortezza Russia per difenderci da questo caos, anche se per questo diventeremo più poveri”.

Per evitare tutto ciò, per ottenere un cessate il fuoco, “l’Ucraina deve diventare neutrale e completamente demilitarizzata: niente armi pesanti, qualsiasi parte dell’Ucraina rimanga. Ciò dovrebbe essere garantito da potenze esterne, compresa la Russia, e nessuna esercitazione militare dovrebbe aver luogo nel paese se uno dei garanti è contrario. L’Ucraina dovrebbe essere un cuscinetto pacifico”.

 

 

 

Un cerchio da quadrare: la NATO,

l'Ucraina e il problema dell’allargamento.

Ispionline.it- Gianluca Pastori- (02 marzo 2022)- ci dice :

 

L’intervento russo in Ucraina ha rilanciato in modo drammatico la questione dell’allargamento della NATO.

Sinora, l’Alleanza atlantica è stata chiara nel sostenere come l’ammissione di nuovi membri debba avvenire “conformemente alle disposizioni dei vari documenti dell’OSCE, che confermano il diritto sovrano di ogni Stato di definire liberamente le proprie scelte di sicurezza” e come a nessun Paese fuori dall’Alleanza stessa possa essere concesso un diritto di veto o un ‘droit de regard’ su tale ammissione e le relative decisioni.

È il cosiddetto ‘principio della porta aperta’, contenuto nell’articolo 10 del trattato Nordatlantico del 1949 e successivamente ribadito in numerose occasioni. Intorno a questo principio si è consumato, negli scorsi anni, il cuore del confronto fra la NATO e la Russia e la difesa di questo principio è una delle ragioni della guerra attuale.

Qualunque sia l’esito del conflitto, difficilmente esso sarà accantonato.

Nelle scorse settimane, Bruxelles ha già sottolineato come la richiesta di Mosca di un impegno formale a non proseguire nella politica di allargamento e a ritirare le truppe e gli assetti schierarti nei Paesi entrati nella NATO dopo il 1999 non possa essere presa in considerazione come una seria base negoziale. L’avvio delle operazioni militari ha rafforzato ulteriormente questa posizione. Parallelamente, esso ha contribuito ad avvicinare all’Alleanza Paesi come la Svezia e la Finlandia, nei quali – da qualche tempo a questa parte – la ‘voglia di NATO’ nell’opinione pubblica sembra essere in aumento.

Gli Stati scandinavi collaborano con la NATO da tempo.

Entrambi sono parte del programma Partnership for Peace (PfP) sin dall’epoca sua attivazione, alla metà degli anni Novanta, e loro personale militare ha partecipato a diverse missioni dell’Alleanza.

 Truppe svedesi e finlandesi sono, inoltre, coinvolte nelle attività addestrative NATO, come nel caso dell’esercitazione Trident Juncture 18, nell’ottobre-novembre 2018.

Proprio Trident Juncture 18 e il coinvolgimento di Svezia e Finlandia sono stati, a suo tempo, ulteriori elementi di frizione con la Russia, che ha voluto vedervi l’ennesima manifestazione della politica aggressiva di Bruxelles.

Nonostante le diverse valutazioni che i due Paesi danno dell’utilità del sistema di sicurezza collettiva e nonostante l’abbandono del modello della ‘neutralità scandinava’ appaia ancora lontano, i segnali di un avvicinamento fra Stoccolma, Helsinki e Bruxelles sono, comunque, diversi. In linea con una traiettoria che interessa anche la Norvegia, negli ultimi dieci anni, fra l’altro, le spese militari hanno sperimentato un trend nettamente crescente sia in Svezia, sia in Finlandia, passando (a prezzi costanti), fra il 2010 e il 2020, da 4,958 a 6,234 miliardi di dollari nella prima e da 3,530 a 3,986 miliardi di dollari nella seconda (dati SIPRI).

Sul fronte NATO, il rapporto finale del Gruppo di riflessione costituito nell’ambito del programma #NATO2030 presenta lo sviluppo e l’eventuale rafforzamento della partnership con Svezia e Finlandia come un possibile modello per quelle in altre regioni.

Significativamente, entrambi i Paesi sono finiti anch’essi al centro delle pressioni russe: una mossa che, tuttavia, potrebbe accelerare il processo di convergenza in atto più che rallentarlo.

L’intervento armato di Mosca in Ucraina ha messo in luce, infatti, quanto poco pagante risulti – nello scenario attuale – una politica di ‘finlandizzazione’, che pure, nelle scorse settimane, era stata suggerita come una via per depotenziare la crisi in atto.

Come già osservato, ciò non significa, comunque, l’avvio a breve di nuovi round di allargamento. L’ammissione di Kiev alla NATO (almeno nel breve periodo) non è mai stata davvero oggetto di discussione, come più volte sottolineato sia dei vertici della NATO stessa, sia dal Presidente Biden.

Le stesse osservazioni valgono nel caso della Georgia, che pure (come l’Ucraina) ha ricevuto una formale assicurazione riguardo alla sua futura membership già nella dichiarazione finale del vertice di Bucarest del 2008.

Né a Bucarest né in seguito, tuttavia, è stata mai sollevata la questione dei tempi per la concessione di questa membership, che passa prioritariamente dall’ammissione dei Paesi candidati a un Membership action plan (MAP) e dal conseguimento dei risultati da questo definiti. Proprio la questione dell’amissione al MAP è stata oggetto di tensioni, la scorsa estate, fra le autorità ucraine e l’amministrazione statunitense, tensioni cha hanno portato la Casa Bianca a evidenziare esplicitamente la molta strada che la candidatura di Kiev avrebbe dovuto compiere prima di potersi concretizzare.

In questo quadro, i fatti degli ultimi giorni inseriscono un ulteriore elemento di complessità. La scelta, da parte russa, di ricorrere all’opzione militare ha indubbiamente aumentato la ‘domanda di NATO’ dal Baltico al Mar Nero, un aumento di domanda al quale ha corrisposto un incremento – diretto e indiretto – della presenza dell’Alleanza nella regione.

 D’altra parte, essa ha messo in luce anche la possibilità che lo scontro d’influenza oggi in atto con Mosca degradi in modo più o meno voluto verso il confronto armato: un’eventualità che – come si è visto nelle scorse settimane – gli alleati europei intendono chiaramente evitare.

Gli sviluppi futuri dipenderanno, in larga misura, dal come queste due forze troveranno la loro composizione.

Ovviamente, la NATO non può rinunciare al principio della ‘porta aperta’, né ad affermare la sua autonomia nel decidere chi possa aspirare alla membership e quali debbano essere i modi e i tempi dell’ammissione.

Ciò non significa, tuttavia, configurare come automatica una decisione che resta comunque politica. Si tratta – in fondo – del nocciolo dell’attuale crisi: per Bruxelles, non è tanto importante che l’Ucraina (né qualsiasi altro Paese) entri nella NATO, né che vi entri in tempi più o meno brevi, quanto, piuttosto, che conservi la possibilità di farlo:

una possibilità che la Russia percepisce come una minaccia più ancora che alla sua sicurezza al suo status di ‘grande potenza’ e alla sua possibilità di avere voce in capitolo in una questione che considera intimamente legata alla sua sicurezza.

Il meta-verso è il far west, cerchiamo

di non danneggiare l’umanità.

Linkiesta.it- Kara Swisher intervista Jaron Lanier -( 18 Aprile 2022)- ci dice :

 

 

Potremmo avere tutto il buono di internet anche senza quel perverso modello di business che lo governa? La giornalista del New York Times Kara Swisher ne ha discusso con il filosofo della Silicon Valley Jaron Lanier.

(Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Magazine + New York Times Turning Points 2022 ).

“Il futuro secondo Lanier”.

Kara Swisher.

Jaron Lanier è da molto tempo nella Silicon Valley. Persino più di me. E io sono davvero vecchia. Ha fatto la sua prima apparizione negli anni Ottanta ed è stato uno dei primi pionieri della realtà virtuale. Ma, nel corso degli anni, è diventato uno dei maggiori critici del mondo tech e in particolare delle aziende che gestiscono i social media, e cioè degli «imperi della modificazione dei comportamenti» come a lui piace definirle. Jaron attualmente lavora per Microsoft, che ha puntato tutto sulla corsa globale per costruire il meta-verso. E non è da sola. Facebook, Snap, Epic, Roblox e altri ancora stanno cercando di rivendicare un loro ruolo. Ma, anche con tutte queste aziende che stanno riversando miliardi di dollari nella corsa al meta-verso, non è ancora chiaro come questo sarà in realtà né se le persone lo useranno mai.

Per questo volevo parlare con Jaron di questo e del perché la visione di Mark Zuckerberg potrebbe non prevalere. Credo di voler iniziare parlando di social media.

Ovviamente, l’ultima volta che ne abbiamo discusso insieme è stata dopo l’uscita del tuo libro del 2018 che si intitolava, non so se potete crederci, “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social” (la cui traduzione in italiano è stata pubblicata dal Saggiatore, ndr). Tu stesso non hai alcun account sui social media. Quindi mi piacerebbe sentire una riflessione intorno a quel tuo libro, perché era piuttosto in anticipo ed è stato predittivo di molte cose.

Jaron Lanier.

È buffo, perché a me non sembra che fosse così in anticipo. E, per certi versi, le cose non sono molto cambiate da quando ho scritto quel libro, perché il mondo è ancora stretto in una morsa perversa dagli algoritmi di un piccolo numero di aziende, che operano con questo curioso business model in base al quale esse guadagnano soldi da persone che sperano di manipolare altre persone usando tecniche per modificare i comportamenti. E questa è una così bizzarra e strana e oscura svolta nella storia umana… Certo, questa cosa era stata già immaginata in certa fantascienza cupa. Ma vederla accadere nella realtà è stata la tragedia della mia carriera e di tutta la mia generazione di scienziati dell’informatica. Perfino le nostre discussioni su come provare a uscire da questa situazione tendono a essere danneggiate dalla situazione stessa in cui ci troviamo.

Swisher.

Perché?

Lanier.

Beh, voglio dire, penso che lo schema sia questo: le persone tendono ad assumere alcune delle peggiori caratteristiche che sono connesse alla costante eccitazione di quello che possiamo chiamare “cervello rettiliano”. Diventano un po’ più irritabili, vanesie, sprezzanti, chiuse nella propria tribù, sdegnose, sgarbate. E, più di ogni altra cosa, diventano paurose. Per certi versi, proprio codarde. E quando tutto questo succede nell’ambito di cui stiamo parlando, e quindi nei social media, si sviluppa una sensazione che potremmo definire di meta-disperazione.

Swisher.

Fra poco arriviamo al meta-verso. Sì, ci arriveremo, Jaron, non ti preoccupare. Ma prima voglio parlare ancora per un momento dei social media. Quindi tu non sei mai stato sui social media. È così?

Lanier.

Dobbiamo tornare indietro fino a un momento in cui non esisteva ancora l’espressione social media o addirittura fino a un momento in cui non esisteva il Web. Dobbiamo tornare agli anni Settanta, al periodo in cui sono stati progettati alcuni prototipi tipo Usenet di cui magari qualcuno si ricorda. Era qualcosa di simile a quello che oggi definiremmo un thread. Le prime versioni erano abbastanza grezze. C’era una divisione per argomenti. Ma non c’era niente di simile a “pollice su” o “pollice giù”. Anche lì, però, abbiamo avuto l’esperienza di un’amplificazione del cervello rettiliano, perché le persone si incazzavano di più di come avrebbero fatto in altre circostanze. Io ho deciso molto presto che non sono perfetto. E mi preoccupa usare qualcosa che tiri fuori il peggio di me. Così nella mia vita, per la stessa ragione, ho fatto anche altre scelte analoghe. Ad esempio, non bevo alcolici. Ed è una scelta insolita. La gran parte delle persone beve alcolici. Ma ho intuito che per me non sarebbe stata una buona cosa: non avrebbe tirato fuori il meglio di me, ma il peggio. Quindi semplicemente non bevo. E ho la stessa sensazione, ma ancora più forte, per quello che concerne i progetti online guidati dagli algoritmi. Ma non avevo mai pensato che potessimo essere perversi al punto che il principale business model di alcune delle maggiori aziende del mondo potesse essere il rendere le cose peggiori. È una cosa semplicemente sconvolgente.

Swisher.

La gente utilizza un sacco di diverse tecnologie. In questo caso che cosa c’è di diverso? Perché con queste tecnologie – userò l’espressione social media, ma potrei usarne molte altre, e potrebbe trattarsi di Usenet, di Facebook o di qualsiasi altra cosa – entra in gioco il cervello rettiliano? Come mai succede questo, secondo te?

Lanier.

Beh, voglio dire, il problema si notava anche con tecnologie come Usenet, ma non si trattava di qualcosa che potesse minacciare la civiltà. Ciò che ha peggiorato le cose è quell’elemento a cui io sono particolarmente contrario. Sto parlando dell’utilizzo di un ciclo di retroazione attraverso cui qualcosa che uno ha fatto nel passato possa influenzare quello che gli si fa vedere nel presente allo scopo di modificare il suo comportamento nel futuro. Questa cosa si chiama modificazione dei comportamenti.

Ed è studiata da scienziati che si chiamano comportamentisti. I due più famosi sono probabilmente Ivan Pavlov e B. F. Skinner. Insomma, si tratta di mettere un animale – nel caso di Sinner forse un piccione o un topo – in un circolo di retroazione e di allenarlo a fare qualcosa. E quando fa quello che si voleva che facesse lo si premia. E quando fa qualcosa che non si voleva che facesse gli si dà invece una scossa elettrica o un qualche altro tipo di punizione. Per il momento nel mondo dei social media non ci sono ancora scosse elettriche o erogatori di dolcetti, ma ci potremmo arrivare.

Swisher

Beh, lì ricevi i “mi piace” e i “non mi piace”.

Lanier.

Esatto: ricevi dolore e piacere sociale. L’essere respinti, umiliati, isolati eccetera corrisponde alle scosse elettriche. Mentre gli eventuali like e quei riconoscimenti che danno la speranza di diventare in qualche modo virali – ecco, quelli sono i dolcetti di premio.

Swisher.

Le persone dovrebbero quindi rinunciare ai social media? In sostanza, siamo tutti dei maledetti piccioni dentro una scatola? Voglio dire, ci sono anche degli aspetti positivi. Come l’organizzazione delle proteste in seguito all’assassinio di George Floyd. Alcune cose che riguardano la mobilitazione sono importanti.

Lanier.

Credo che sarebbe insensato negare che ci siano anche degli aspetti positivi. E, fra questi, quello che preferisco è la possibilità per le persone affette da malattie rare di trovarsi e di confrontarsi fra loro. Questo prima non era possibile. Ma bisogna dire che tutte queste buone cose avrebbero potuto succedere anche senza la dominazione dell’algoritmo. Si potrebbero avere tutti gli aspetti positivi di Internet e tutte le cose buone che associamo ai social media, e che in effetti esistono, senza questo assurdo business model. Ed è per questo che trovo che siano destituite di fondamento molte delle riflessioni del tipo che, beh, dobbiamo sopportare che Facebook stia rendendo il mondo più cupo e più folle perché abbiamo bisogno di questa o di quell’altra cosa. Questo non è assolutamente vero.

Swisher.

Parlaci un po’ di questo. Una delle tue tesi è che gli utenti dovrebbero in realtà pagare per cose come le ricerche su internet e i social network. Spiegaci. Perché questa è una cosa inevitabile?

Lanier.

Si tratta del modello economico alternativo che si poteva applicare a internet e a cui io, come molti altri, ero interessato. Si chiama data dignity. E dico questo per non iniziare subito a parlare di cose-per-le-quali-devi-pagare. Che poi, peraltro, questa è una cosa che le persone hanno sempre fatto: la gente per esempio paga il New York Times, tanto per fare un esempio che dovresti conoscere.

Swisher.

Sì, ne ho sentito parlare…

Lanier.

Ma anche nel mondo del gaming capita spesso di pagare. Ci sono un sacco di cose per le quali la gente paga e le va bene così. È solo che abbiamo stabilito che altre cose, come le ricerche su internet o la condivisione di video secondo il modello di YouTube, debbano invece essere gratuite. E, naturalmente, anche i social media così come li conosciamo. Ora, la situazione è questa: il motivo per cui queste cose sono gratuite è il fatto che vengono barattate in cambio delle informazioni sulle persone che le usano. E questi dati valgono molto. I dati sono la materia prima che ha alimentato le aziende più grandi. E non c’è nessuna ragione particolare per la quale non si dovrebbe pagare per avere queste informazioni. Quindi, in altre parole, la domanda è: perché le persone non vengono pagate? È interessante notare che Facebook ha ripetutamente fatto dichiarazioni su quanto questo sarebbe inutile, come se si trattasse di una tesi che è al centro del dibattito. Il fatto che giochino d’anticipo dimostra che forse non è una tesi che è al centro del dibattito ma che è una tesi buona, e’cace e, di fatto, corretta. Quindi si stanno già posizionando per cercare di combatterla proprio perché è corretta.

Swisher.

A questo riguardo ho interpellato Steve Case. Si trovava a un incontro per investitori. Lui diceva: «Noi attraverso i dati guadagniamo 10 dollari per ogni persona», eccetera. Allora io ho alzato la mano e gli ho chiesto: «E dove sono i miei 5 dollari? Capisci che cosa voglio dire?». E tutti hanno riso, ma io stavo pensando tipo…: «Ma perché ci vendiamo per così poco? Perché ci accontentiamo di ricevere in cambio soltanto la vostra roba gratis? Perché siete voi che vi prendete tutti i vantaggi, mentre noi…».

Lanier.

Sì. Voglio usare un metafora. Ho grande interesse per un certo W. Edwards Deming che molti decenni fa aveva sviluppato l’idea secondo cui le fabbriche avrebbero migliorato la qualità della loro produzione se avessero raccolto informazioni sul campo e se avessero quindi potuto contare su dati statistici. E quest’idea si è poi sviluppata in quello che si definisce quality movement. Una delle cose interessanti su Deming è che lui voleva che i dati e i riscontri raccolti sul campo non andassero soltanto ai proprietari della fabbrica e ai capo-ingegneri ma anche agli operai, perché secondo lui erano loro ad avere una visione precisa su come stavano andando davvero le cose. Ed erano loro quelli che avrebbero saputo come prendere questi dati e trasformarli in un prodotto migliore. Ora, per analogia, quello che sta succedendo oggi è che aziende come Google o come Meta stanno ottenendo gratuitamente tutti questi dati da persone che non ne capiscono né il significato né il valore e li stanno trasformando in questi algoritmi che sono perlopiù adoperati per manipolare quelle stesse persone. E questa è più o meno la stessa cosa che accadeva in fabbrica prima che Deming facesse la sua apparizione. Ma non c’è un motivo al mondo per il quale le persone che producono queste informazioni non siano coinvolte nel gioco e messe nelle condizioni di renderlo migliore.

Swisher.

Giusto.

Lanier.

E chissà che questa cosa – e cioè semplicemente il fatto che ci sia una partecipazione di molte più persone interessate – non si riveli il modo giusto di sistemare dei problemi apparentemente irrisolvibili, come ad esempio i bias negli algoritmi dell’intelligenza artificiale e così via. Secondo me questa cosa potrebbe avere senso e potrebbe funzionare se le persone concedessero in licenza i loro dati. Ma non come singoli individui. Dovrebbero unirsi in organizzazioni. La ragione per cui dico questo è che bisogna evitare una deriva verso battaglie di singoli che non sarebbero economicamente sostenibili. Le persone si dovrebbero riunire. Così queste entità collettive sarebbero un difensore diretto che ciascuno avrebbe online. Voglio dire, c’è una cosa pazzesca che risale all’epoca medievale e che si chiama rapporto fiduciario. E questo significa che se c’è qualcuno che ha delle conoscenze e delle informazioni che sono molto rilevanti per te e tu paghi questa persona, allora questa persona deve giurare di mettere i tuoi interessi davanti a tutto. Lo fanno i dottori. Lo fanno gli avvocati.

Swisher.

L’obbligo fiduciario. Ecco da dove viene.

Lanier.

Esatto, l’obbligo fiduciario. E internet va al di là della comprensione di chiunque. Nessuno capisce gli accordi che si accettano con un click, nessuno capisce che cosa succeda ai suoi dati. Eppure per noi queste cose sono importanti. Per la prima volta ci sarebbe un corpo intermedio nella posizione di difendere gruppi di persone attraverso un potere che coincide anche con uno strumento di finanziamento.

Swisher.

E quindi come si fa? Qual è il modo in cui oggi le persone dovrebbero interagire con la tecnologia e i social media? Perché sono ovunque e di’cili da evitare. E, naturalmente, durante la pandemia sono diventati ancora più di’cili da evitare. O magari uno non li vuole evitare, perché semplicemente non gli va di farlo. Io stessa, ad esempio, non uscirò da Twitter. Mi diverte. Mi fornisce un piacevole intrattenimento sotto diversi punti di vista.

Lanier.

E la cosa buffa è che io in Twitter non ci entrerò mai. Con tutto che mi piace Jack Dorsey e che penso che stia davvero cercando una strada nel labirinto per migliorare le cose (nel momento in cui si è svolta questa conversazione, Dorsey era ancora il ceo di Twitter, carica che ha nel frattempo lasciato, ndr). Perché non si tratta di denigrare le altre persone, ma si tratta di fare scelte personali basate sulle proprie priorità. E una delle cose che ho scritto nel libro su “Le dieci ragioni” è che non dirò a nessuno che cosa debba fare. Io non dico che dovete cancellare i vostri account. Se siete davvero sicuri che, qualora cancellaste i vostri account, la vostra vita ne risulterebbe danneggiata, allora a nessuno serve che danneggiate la vostra vita. Ma devo dirvi che qui c’è qualcosa di sospetto. Perché io vendo libri. Vengo interpellato dai media. Ho una vita che probabilmente è simile a quella che potrebbe avere un qualunque influencer di successo o qualcosa del genere. Eppure non ho nessun account sui social media. Certo, potrei essere un’eccezione. Ma d’altra parte, devo dire che non posso essere chissà che eccezione: non sono una persona giovane in bikini. Non cerco di essere trendy. Eppure le cose funzionano comunque. Per questo ogni tanto penso che molte persone abbiano investito in un’illusione e che stiano correndo su questa ruota per criceti a vantaggio di altri, anche se, di fatto, se scendessero da quella ruota, la loro carriera non ne risentirebbe. Non sono sicuro di quanto questo sia vero o perlomeno di quanto spesso sia vero, perché è molto di’cile sottoporre a verifica una simile idea. Ma ho davvero il forte sospetto che moltissimi di noi siano intrappolati in questa ruota per criceti e che otterremmo le stesse cose anche senza stare nella ruota. Ci scommetterei.

Swisher.

Ma lascia che ti chieda una cosa. Tu, all’inizio, eri partito con una grande eccitazione per le possibilità che c’erano. Io e te abbiamo parlato tante volte e molto, molto, molto a lungo di queste possibilità. Ma poi nel 2011 hai detto: «Sono deluso dal modo in cui Internet si è sviluppato negli ultimi dieci anni». Quindi parliamo un po’ delle possibilità che all’inizio avevano suscitato le tue speranze. Perché, se ora siamo al cervello retilliano, a quei tempi invece avevi delle speranze. Quali erano?

Lanier

Sì, beh, insomma, probabilmente il picco del mio ottimismo si è verificato negli anni Ottanta quando stavo presentando al mondo il concetto di realtà virtuale. E quello che vedevo nella realtà virtuale era un qualcosa che, almeno in potenza, avrebbe potuto essere meravigliosamente positivo per il mondo. E credo ancora che lo possa essere e che forse lo sarà. Ho sempre visto la realtà virtuale come un modo per avere un termine di paragone e per apprezzare finalmente quanto sia splendida la realtà che abbiamo. È così facile per noi dare per scontato quello che abbiamo. Ma se hai trascorso un po’ di tempo nella realtà virtuale e poi vai in una vera foresta, penso che sarai capace di amare quella foresta in un modo più viscerale di quanto tu non potessi pensare. E si possono fare moltissimi esempi di questo tipo. Anche soltanto guardare qualcun altro in faccia è stupefacente dopo che sei stato per un po’ nella realtà virtuale.

Swisher.

Quindi la tua speranza era che la realtà virtuale avrebbe consentito alle persone di apprezzare entrambe le cose, l’analogico e il digitale.

Lanier.

E poi avevo anche un’altra speranza… Anche allora ci si faceva questa domanda e cioè che cosa sarebbe successo se l’automazione fosse diventata davvero e’ciente e se la vecchia idea del lavoro non fosse più stata così necessaria. E io avevo questa idea che gradualmente l’economia e, più in generale, la civiltà si sarebbero spostate dalla necessità alla creatività. Verso una situazione in cui ci sarebbero stati sempre più artisti o comunque in cui le persone si sarebbero dedicate a un’attività artistica intesa in un senso molto estensivo. Pensavo che mano a mano sarebbero stati disponibili e utilizzabili sempre più tipi di robot e sempre più tipi di so#ware e che quindi le persone avrebbero creato un’economia basata sull’accrescimento dell’intelligenza, sull’accrescimento della profondità della comunicazione e, semplicemente, sull’accrescimento della bellezza.

Perché no? Che cosa ci sarebbe stato di sbagliato in tutto questo? E vorrei anche spiegare come, sempre a quei tempi, l’unico modo di pensare a un futuro a lungo termine per le persone fosse immaginare un’economia basata sulla creatività o una sorta di economia statica in una bolla. L’alternativa era un’economia temporanea in cui avremmo distrutto noi stessi e ci saremmo consumati fino alla morte. Perché perfino allora avevamo già capito che ci sarebbero stati dei limiti. E dire che non conoscevamo ancora i dettagli relativi al cambiamento climatico…

Swisher.

Dei limiti fisici rispetto a quello che stavamo facendo al pianeta…

Lanier.

Esatto. Per qualunque scienziato o ingegnere è una cosa semplicemente ovvia. Invece non c’è alcuna ragione per la quale dovrebbero esserci limiti culturali. Non c’è ragione per la quale l’umanità non possa diventare sempre più profonda, per sempre. E quindi pensavo alla realtà virtuale come a un piccolo tassello della speranza in un’eterna creatività.

Swisher.

Ora vorrei che parlassimo dell’idea di meta-verso. Dicci che cos’è per te e poi dicci che cosa pensi di ciò che Facebook ha dichiarato nella sua recente presentazione.                                                                                                                                       Lanier.

Beh, probabilmente, per molti versi, le prime implementazioni del meta-verso le ho condotte io. Per esempio, ho realizzato la prima esperienza di realtà virtuale multi-persona con visori, che è, di fatto, ciò che l’espressione “realtà virtuale” significava in origine. E mentre ascoltavo le parole di Mark Zuckerberg avevo come l’impressione che qualche megalomane avesse preso la mia roba e l’avesse sottoposta a un filtro di autoesaltazione. Insomma, è stata una cosa stranissima. Al riguardo, ho sempre pensato che ognuno avrebbe voluto emergere e che ci sarebbero stati cento milioni di microimprenditori che avrebbero fatto le loro piccole cose, qui e lì. E non che ci sarebbe stato un qualche dominatore assoluto.

Swisher.

Sì, abbiamo già parlato di questa tua idea e del fatto che pensavi che ci sarebbero state molte diverse aziende. Anche sul meta-verso la tua visione non è dissimile: pensavi che ci sarebbero stati questi mondi virtuali, che poi sarebbero entrati nei mondi reali o si sarebbero mescolati a essi. Ma pensavi che sarebbero stati creati da molte persone diverse e che poi la gente si sarebbe mossa attraverso questi mondi. Questa era la tua visione di che cosa fosse un meta-verso. Quindi di fatto ti senti come se Mark lo avesse messo in un frullatore, nel suo frullatore, e lo avesse tritato in una strana maniera. Da quel che possiamo vedere finora, il suo meta-verso è come una turbo-ruota per criceti?

Lanier.

Una cosa da dire al riguardo è che le dichiarazioni di Facebook, e ora di Meta, non sembrano del tutto coerenti, se ne sai davvero di questi argomenti. Ad esempio, mostrano molti scenari in cui in realtà non ci sarebbe alcun posto dove mettere i sensori o i display per abilitare quegli scenari. È una strana versione disincarnata della realtà virtuale visto che ogni implementazione di una realtà virtuale ha bisogno di sensori e di display per poter funzionare. Ma loro hanno un modo di presentare le cose che è come se si fosse in un film di fantascienza e non si dovessero davvero realizzare le cose.

 

Swisher

Questo è un modo carino per dire che non funziona.

Lanier

Beh, insomma, qualche sua versione potrebbe funzionare. Semplicemente, è strano che non sentano il bisogno di risolvere problemi basici di geometria e di fisica e di ingegneria che davvero non saranno eludibili. Ora, uno potrebbe dire: «E chi se ne importa? Sono solo dettagli». Ma il fatto è che questi dettagli sono quelli che determineranno come sarà l’esperienza.

Swisher.

C’è poi un’altra cosa riguardo alla presentazione di Mark Zuckerberg: molte persone l’hanno percepita come se si trattasse di land grabbing, come se Facebook stesse tentando di auto-dichiararsi leader del meta-verso, benché a questa stessa cosa ci abbiano lavorato anche altri, te compreso: Roblox ci sta lavorando e ci stanno lavorando anche Snap, Epic e Amazon. Chi è che ha un vantaggio competitivo?

Lanier.

Allora, vorrei azzardare questa ipotesi: se Tim Cook (che è l’amministratore delegato di Apple, ndr) non avesse iniziato a bloccare l’accesso di Facebook ai dati gratuiti, la creazione di quella cosa che si chiama Meta non sarebbe mai avvenuta. Io penso che Meta sia questa cosa qui: «A questo giro non abbiamo un device periferico capace di ottenere dati. Quindi dobbiamo vincere la prossima guerra dei device, in modo da poter poi ottenere quei dati. E, ah, sarebbe bello anche se avessimo degli smart speakers e degli strumenti per la domotica eccetera, ma quelle cose le ha Amazon. E allora andiamo con i visori». Io penso che alla fine si tratti di questo: devi possedere un tuo edge device per avere il potere di rendere la tua cloud buona o cattiva. E, a quanto pare, loro vogliono renderla cattiva e quindi hanno bisogno di avere un device che attualmente non hanno.

 

Swisher.

Questo è divertente.

Lanier.

Io… Sì, scusa, io non dovrei dire questo… Da parte mia, è un po’ fuori dalle righe… Non dovrei parlare in questo modo di un’altra azienda. Ma non c’è un’altra azienda della Silicon Valley che abbia avuto una simile processione di dirigenti che se ne sono andati spinti da profondi rimorsi. Insomma, è un caso unico. Credo che Facebook sia sottovalutata rispetto a quello che fa. Perché, in sostanza, Facebook sta gestendo le identità per Internet e questa è una funzione che ha un grande valore. Quindi in un regime di data dignity penso che Facebook raddoppierebbe o triplicherebbe molto rapidamente il suo valore. Quindi io non sono anti-Facebook per partito preso. E sono anche favorevole all’idea che chi ha investito nel settore tecnologico venga premiato economicamente per questo. Ma penso che Facebook abbia un business model terribile. Credo che abbia abbastanza successo perché quelli che ci investono pensino che stia andando bene. Ma io ritengo che sia ben lontana dall’andare bene come potrebbe e che si stia lasciando sfuggire l’occasione di trarre ulteriori vantaggi che sarebbero alla sua portata.

Swisher

Sì, lo pensano in molti.

Lanier

A me piace l’idea che Facebook vada bene. Voglio solo che vada bene grazie a un piano aziendale che non si basi sul danneggiare l’umanità. Insomma, mi pare una richiesta ragionevole.

Swisher

L’azienda per cui lavori, Microso#, ha annunciato a sua volta che sta creando un meta-verso. Queste sono le parole del ceo, Sa(a Nadella, nel video di presentazione: «Non si tratta più di guardare con una telecamera l’interno di una fabbrica: tu puoi essere in quella fabbrica. Non si tratta più di fare una videochiamata con i colleghi: tu puoi essere con loro nella stessa stanza». Ci puoi spiegare in che cosa differisce questo meta-verso da quello di Facebook? Di che cosa stava parlando Nadella?

Lanier.

Discutendo con te come singolo individuo, vorrei esprimere il mio pensiero con assoluta libertà, però io…

Swisher

Lavori per Microsoft.

Lanier

Sì. Penso che il fulcro dell’attività di Microsoft sia la vendita di prodotti e servizi. E che il referente centrale siano le imprese – e questo significa business. La cosa davvero bella di tutto questo è che ti mantiene onesto. Se qualcun altro ci sta mettendo i suoi soldi, è meglio che tu gli dia qualcosa che valga quei soldi. Non c’è niente di ambiguo. Non è una cosa del tipo «Ehi, noi te lo daremo gratuitamente, ma poi ti inganneremo con quest’altra cosa». È molto concreto. Quindi possiamo migliorare un’attività attraverso la realtà aumentata? Sì.

In questo campo le aree in cui ho lavorato di più sono state probabilmente la simulazione chirurgica e poi le simulazioni relative ai veicoli. E hanno avuto davvero successo. Insomma, molto tempo fa, lavorando con Joe Rosen e Ann Lasco alla Stanford Med, mi sono occupato del primissimo simulatore chirurgico attraverso un visore.

E questa è una cosa che è poi sbocciata. Alcuni anni fa, quando mia moglie ha avuto il cancro, il suo chirurgo ha appreso una procedura che era stata progettata nella realtà virtuale ed è stato formato da un ragazzo che era stato proprio uno studente di Joe Rosen, il mio compagno di quei vecchi tempi.

È così che sono andate le cose. E il suo intervento è andato benissimo.

È stato un successo totale e quindi questa procedura è diventata di uso comune. Allo stesso modo, sono ormai alcuni anni che non può capitare di salire su un’auto nuova – o su una barca, un aereo o un qualsiasi altro veicolo di recente produzione – che non sia stato progettato, almeno parzialmente, attraverso la realtà virtuale. Anche questa è diventata una cosa comune. Questi sono casi in cui le cose sono andate davvero molto bene. Ma, sì, io penso che, quando c’è una specifica esigenza di utilizzo, quando ci sono dei soldi in ballo e quando c’è un cliente ben definito, o sai sviluppare abbastanza il progetto da giustificare quella spesa oppure non lo sai sviluppare.

Swisher

Quindi: da un lato una grande chiarezza su quali siano realmente i termini della transazione, dall’altro un “non-sapevi-che-avremmo-venduto-il-tuo-rene-ma-ormai-è-andato”. Il tuo rene virtuale, intendo. Bene: quando pensi a tutto questo, all’aspetto che prenderà… Ci puoi spiegare in che modo usare internet sarà diverso da adesso? Come sarà con questi avatar, con queste proiezioni di noi stessi eccetera? Dacci qualche dettaglio su come immagini che queste cose appariranno.

Lanier.

La cosa buffa è che io non voglio che sembri una cosa bella se si avvia a essere applicata in un modo orribile per distruggere l’umanità. Ho passato molti anni a…

Swisher

Non vuoi dare loro la mappa della Morte Nera se stanno per usarla per distruggere dei pianeti, giusto?

Lanier

Sì. Ho passato molti anni a evocare visioni su quanto la realtà virtuale sarebbe stata una cosa meravigliosa. Ma davvero voglio continuare a tornare sullo stesso punto: per quanto possa essere una cosa fantastica, il momento migliore è quando ti togli il visore e puoi vedere il mondo con i tuoi sensi rinnovati. Questa è una cosa che non invecchia. Questa è una cosa che non scompare.

Swisher

Ma quale sarà l’aspetto di queste rappresentazioni, quella di Microso# e quella di Facebook, che non sono dissimili?

Lanier

Allora, quando stavamo progettando i primi mondi virtuali multi-persona destinati a essere messi in commercio e i primi visori e tutte queste cose, avevo degli amici, come Neal Stephenson e Bill Gibson, che stavano pubblicando i primi romanzi cyberpunk, giusto?

E poi i romanzi cyberpunk hanno avuto un enorme impatto sul cinema. E alla fine questa visione cinematografica è diventata un luogo comune grazie a film come “Matrix” o “Inception”, per fare degli esempi ancora molto conosciuti. E si innescò questo strano circuito per cui chi si occupava di tecnologia aveva influenzato i romanzieri che avevano poi influenzato i film che avevano poi influenzato la comunicazione da parte delle aziende. E così si è fatto tutto il giro ed è emerso un certo tipo di linguaggio visuale che puoi sempre osservare nella comunicazione da parte delle aziende di questo settore.

Swisher

E così questa è la ragione per cui la realtà virtuale appare come appare.

Lanier

Sì, io poi personalmente penso che apparirà molto meglio di così, ma vabbé.

Swisher.

Bene, occupiamoci ora di un altro aspetto. L’imprenditore Shaan Puri ha fatto un thread su Twitter riguardo al meta-verso, in cui ha esposto l’idea secondo cui il meta-verso non sia necessariamente un “luogo” virtuale ma che sia in realtà “tempo”. Ha scritto, cito testualmente: «La nostra attenzione era al 99 per cento dedicata al nostro ambiente fisico. La televisione ha ridotto questa quota all’85 per cento, i computer al 70 per cento, gli smartphone al 50 per cento. Presto, qualche azienda produrrà degli occhiali smart che staranno tutto il giorno davanti ai nostri occhi. Questo porterà la quota di attenzione che dedichiamo a uno schermo dal 50 al 90 per cento, se non di più. E questo è il momento, nel corso del tempo, in cui inizia il meta-verso, perché in quel momento la nostra vita virtuale diventerà più importante della nostra vita reale». Che cosa ne pensi di questo?

 

Lanier.

Sì, ok, lo trovo sconvolgente perché quando cerchi di capire la realtà così com’è e inizi ad apprezzarne le sottigliezze… Non so, basta suonare un vero flauto di bambù invece di un qualunque strumento digitale. O prendiamo anche solo una persona reale: semplicemente lo stare insieme con una persona reale, il guardare la sua faccia, il toccarla… Penso che ci sia un orizzonte aperto e infinito, in ogni tempo, per apprezzare di più il mondo fisico, benché anche il mondo digitale possa crescere e diventare sempre più creativo. Ultimamente ho riflettuto sul fatto che qualunque strumento digitale con cui puoi scrivere un testo sta iniziando a predire quello che scriverai. Quindi stiamo permettendo al linguaggio del passato di avere il controllo sul linguaggio del futuro più di quanto non lo avessimo mai fatto in precedenza. Allo stesso tempo, il mondo digitale siamo noi che ribolliamo nei nostri stessi succhi, perché gli algoritmi sono basati su dati del passato e limitano il futuro al passato.

Swisher

Sì. Io resisto sempre. Ma la resistenza è inutile.

Lanier.

Già. Ma anch’io lo faccio, eh. Odio questa roba. Ma il fatto è che se vuoi tracciare un disegno ineccepibile del mondo, in cui non c’è nessun mistero e tutto ha perfettamente senso, scoprirai che non puoi farlo. Sarà sempre visibile qualche cucitura, qualche saldatura, qualche problema di osservazione del tipo “Perché siamo qui e non lì? Che cos’è che ci ha collocati proprio in questo punto?”. E ogni volta se ne esce con una sensazione di esperienza mistica. Non puoi evitare davvero che ci sia qualcosa di un po’ metafisico nell’esperienza stessa. E quindi il fatto è che ogni mondo digitale – e non importa quanto sia complesso né quanto sia meraviglioso – avrà un valore maggiore quanto più contrasterà la percettibilità di quel mistero.

Swisher

Quello che ci stai dicendo è che si vedono le cuciture.

Lanier

È lì che trovi il futuro. E lì che trovi un infinito aperto.

Swisher.

C’è questa stupenda citazione che viene da “Arcadia” di Tom Stoppard e che ho sempre amato: «Quando avremo risolto tutti i misteri e perso ogni significato, saremo da soli su un riva vuota».

Lanier.

Oh, sì, certo!

Swisher

Secondo te, il nostro esistere in un mondo virtuale che cosa può provocare, ad esempio, nella nostra percezione di noi stessi? Ti cito. Tu hai scritto sulla realtà virtuale: «Chi è quello che è sospeso nel nulla facendo esperienza di queste cose che succedono? Sei tu, ma non sei esattamente tu. Che cosa è rimasto di te quando puoi virtualmente cambiare tutto del tuo corpo e del tuo mondo?». Ci parli di questo e di che cosa la realtà virtuale, anche se poi ne puoi uscire, provoca alla percezione di sé?

Lanier.

Ogni volta in cui penso a qualcosa che verrà, mi dico che sarà una cosa assolutamente buona e che le persone troveranno in questa cosa una piacevole positività spirituale. Ma poi qualcun altro guarderà la stessa cosa e dirà che, oh no!, quello è il modo in cui finiremo di manipolarci a vicenda. Quindi ora io non vorrei apparire troppo naïf ma quello che trovo interessante nel trasformarmi in un avatar è che un avatar può essere molto più estremo di quanto non si possa pensare.

Gli avatar che si vedono nelle comunicazioni da parte delle aziende sono simili a te, sono realistici. Ma tu puoi trasformarti in altre creature fantastiche. E viene fuori che il tuo cervello è già predisposto per controllare arti extra. Quindi puoi assumere tutte queste diverse forme corporee. Cose davvero fantastiche. Di fatto, abbiamo imparato molte cose che riguardano la neurologia e l’evoluzione grazie alla semplice osservazione delle possibilità che gli avatar offrono. Le cose stanno così: se cambi il tuo avatar, cambi il mondo. E puoi scherzare intorno al senso del passare del tempo. Ma, dal momento che puoi cambiare tutte queste cose e tuttavia c’è qualcosa che invece rimane sempre lì e che non cambia, penso che, almeno per quanto ne so, questa sia l’unica tecnologia che sia mai stata sviluppata che ti faccia percepire come la tua coscienza sia una cosa reale.

Swisher

Ho da poco intervistato al riguardo Jeanette Winterson, che scrive di questi argomenti. In sostanza, lei pensa che un giorno potremmo lasciarci del tutto alle spalle i nostri corpi fisici e che le nostre coscienze potrebbero continuare a esistere nello spazio digitale. Sei d’accordo con questa visione?

Lanier

Allora, questo è uno degli argomenti con cui ho dovuto fare di più i conti nella mia vita, perché le persone continuano a tirarlo fuori. La risposta breve è: «No, non sono d’accordo ». Perché per certi versi quest’idea suggerisce che nel nostro mondo manchi qualcosa. E io non mi sono messo a concepire simili idee pensando alla realtà virtuale prima di averla provata, perché io ho provato la realtà virtuale prima di pensare alla realtà virtuale. E per me è sempre stato completamente ovvio che la vera utilità della realtà virtuale fosse il farci notare quanto sia magica la nostra realtà convenzionale. Penso che la sua caratteristica davvero speciale sia questa. E poi questo concetto del voler abbandonare il corpo per entrare in un regno digitale è una specie di metamorfosi delle idee cattoliche. Ma di quelle davvero più antiche. Perché alla fine l’idea è che tu entrerai in questo paradiso, ma per entrarci dovrai avere dei pensieri giusti perché se invece penserai delle cose sbagliate allora una qualche super-intelligenza artificiale del futuro troverà il modo di colpirti e buttarti fuori eccetera. Da questa visione viene fuori tutta questa strana teologia.

Swisher

In ogni caso è interessante che le persone più ricche del mondo o vogliono andarsene dal pianeta o vogliono rifugiarsi in un mondo virtuale. Una delle cose che hai detto è che il meta-verso distruggerà l’umanità. Parlaci del suo lato oscuro. Probabilmente pensi questo in conseguenza di quello che è successo con Usenet e di quello che è successo con i social media. Qual è l’aspetto che ti preoccupa e che cosa bisogna fare per evitare che succeda quello di cui sei preoccupato?

Lanier

Qual è il lato oscuro del meta-verso? È molto semplice. Nella nostra economia la ricompensa deriva dall’esercitare un sempre maggiore controllo sulle possibilità di manipolare i comportamenti delle persone. E questo ci rende tutti sempre più vanesi, paranoici, irritabili, xenofobi, stupidi e paurosi. Perdiamo la capacità di parlare gli uni con gli altri. Perdiamo la capacità di percepire con precisione la realtà. In sostanza, perdiamo la capacità di essere intelligenti. E poi moriamo, perché gli esseri umani hanno corpi fragili e l’unica cosa che ci fa tirare avanti è l’intelligenza, sennò finiremmo divorati. Quindi verremo divorati e sarà tutto finito. E ora sto considerando molto seriamente questa eventualità.

Giusto per essere chiari: qualunque cosa stupida che puoi vedere su internet esisteva già prima di internet. Ci sono sempre state teorie cospirative. Tutte queste cose sono sempre esistite. Il punto è quale grado e quale rilevanza esse raggiungano. La vera questione è fino a che punto potremo sopravvivere davanti alla sempre crescente amplificazione di queste nostre stupidaggini. È come per la crisi climatica. Possiamo sopravvivere a un incremento dell’1 per cento della stupidità? Non lo so. E a un incremento dell’1,5 per cento? Il problema è questo. Gli studi sulla contagiosità sociale delle paranoie e sugli altri contraccolpi negativi di quello che accade online mostrano un leggero aumento della stupidità nell’ambiente. Ma pare che questa si accumuli, come gli interessi rispetto a una somma investita. Ed è un fenomeno molto largo e universale.

Swisher

E quindi che regole avrà il meta-verso? C’è qualcosa che lo possa governare?

Lanier

Penso che nella gran parte delle faccende umane si finisca per avere una qualche regola, più che altro per le situazioni estreme, una qualche gestione delle ricompense e una qualche cultura di linee guida etiche eccetera eccetera. I modi in cui gli esseri umani fanno funzionare e rendono sostenibili la società e la civiltà agiscono su molti piani diversi. Tuttavia, io credo che le ricompense debbano essere almeno vagamente allineate con la sopravvivenza umana perché la società non impazzisca.

Swisher

Certo. Quindi ci dovrebbe essere una Global Metaverse Authority? Potrei guidarla io questa G.M.A.!

Lanier

Hahahaha. No, non credo che ci sarà. Magari in un ipotetico futuro molto lontano. Ma non credo che siamo pronti per una cosa del genere né che siamo in grado di farla funzionare.

A me piacciono alcune delle caratteristiche dell’esperimento americano. E una di quelle che mi piacciono di più è l’idea del checks and balances e cioè dell’avere molteplici istituzioni ognuna delle quali esercita il controllo sulle altre. Noi, dal punto di vista formale, diciamo che questi tre poteri sono quello giudiziario, quello esecutivo e quello legislativo. Ma, da un punto di vista informale, possiamo dire che anche il sistema capitalistico e il governo si tengono d’occhio reciprocamente: sono due diversi sistemi che si relazionano l’uno con l’altro in modo maldestro. Eppure, uno dei due sistemi trova il modo, o almeno lo si spera, di ridurre gli eccessi dell’altro e viceversa. E penso che ci siano anche altri ambiti in cui le cose funzionano allo stesso modo. Ultimamente è diventato popolare questo concetto dell’intersezionalità. Mi piace questa idea secondo cui le identità delle persone abbiano una moltitudine di punti di contatto e sovrapposizione, cosicché la società non può rompersi lungo una linea netta come invece fanno gli algoritmi.

Certo, è importante dire – come peraltro hai già fatto tu stesso – che lavori anche per Microso #. Ma sei stato anche critico nei confronti delle aziende tecnologiche e del modo in cui si comportano. Pensi che sia importante poterlo fare? Per esempio, Frances Haugen ha dovuto lasciare Facebook. Pensi che sarebbe importante che queste aziende consentissero di discutere in pubblico di queste cose?

Sarebbe una scelta più sana? Sì, certo, sarebbe una cosa sana. Le aziende tecnologiche sono molto grandi e molto potenti. E penso che poter avere un po’ di discussione interna sarebbe una buona cosa, una cosa necessaria. Sta iniziando a capitare un pochino di più. Penso che sia una vergogna che le persone percepiscano l’obbligo di andarsene se vogliono parlare. Spero che questa cosa capiterà sempre meno spesso.

Swisher

Ho un’ultima domanda. Tu nel 2020, in una intervista a GQ, hai detto, cito testualmente, che il tuo progetto onnicomprensivo è «far sì che il futuro non vada a farsi fottere». Uno: che cosa intendevi dire? Due: abbiamo lasciato che il futuro andasse a farsi fottere?

Lanier

Quello che intendo dire è che nel piccolo mondo di chi si occupa di tecnologia c’è la tendenza a sposare immediatamente l’idea secondo la quale siamo più intelligenti di chiunque altro vivrà mai in futuro. E che, naturalmente, siamo più intelligenti di chiunque sia vivo ora. E che quindi progetteremo una soluzione.

E che sistemeremo questa cosa del clima. E che sistemeremo questa cosa del razzismo. E che sistemeremo questa follia della manipolazione dei comportamenti. E che sistemeremo tutto. E che saremo gli ingegneri che progettano il futuro. E che sarà senz’altro così.

Ma io penso che questo approccio sia di per sé sbagliato e che sia condannato all’insuccesso.

 Perché poi ci saranno quelle persone che in futuro riceveranno tutte queste cose. «Ehi, ecco la soluzione che abbiamo escogitato per voi!». Ma a queste persone, probabilmente, questa soluzione non piacerà, per una ragione o per un’altra o anche soltanto per orgoglio.

La cosa a cui io sono contrario e che critico è questa idea di grande sicurezza in se stessi in qualità di ingegneri che costruiscono il futuro.

 Ci sono cose che sono molto concrete e chiaramente definite, come la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e altri obiettivi di questo tipo, e in quel caso va benissimo così. Quello è necessario farlo, è ovvio. Ma in un’ottica più ampia… Credo che più che altro sia necessario rimuovere gli incentivi che spingono a un peggioramento delle cose e cercare di costruire un futuro in cui le persone possano lavorare più facilmente e avere fiducia negli altri.

Sono dell’idea che, se non ci fosse il modello manipolatorio che guida aziende come Meta, le persone continuerebbero a essere più cretine online che nella vita reale, ma comunque un po’ meno cretine di quanto non lo siano ora. E che non vedremmo questa disfunzione globale e il degrado di tutte le democrazie, che sta avvenendo ovunque e nello stesso momento.

Swisher

Ok, Jaron. Sempre che noi ora non ci troviamo all’interno di una simulazione. Ad esempio, in una simulazione nel meta-verso di una futura versione di Mark Zuckerberg. E che quindi tutto questo sia soltanto una simulazione in cui un gruppo di ragazzini sta giocando con noi e in cui noi non siamo davvero qui.

Lanier

Sì. Lo so. Questa è un’idea che emerge abbastanza spesso. E allora io potrei chiederti che cosa ci sarebbe di diverso. E se la risposta è che niente sarebbe diverso, allora la mia non sarebbe neanche una domanda. L’unica cosa che potrebbe essere davvero diversa è che se questa fosse una simulazione, allora dovrebbe esserci qualche possibilità di uscirne o la possibilità di essere Dio o di incontrare Dio o qualcosa del genere. Ed ecco che salta fuori un’altra volta un tipo di religiosità medievale. Ma io penso che le persone che cercano di essere Dio finiscano sempre male.

Swisher

Noi non siamo Dei.

Lanier

Né dovremmo desiderare di esserlo.

Swisher

Né dovremmo desiderare di esserlo.

 

 

Chi è il generale al quale Putin ha

affidato le sorti della guerra in Ucraina.

Agi.it-Ugo Barbàra- (9 Aprile 2022)- ci dice :                                                                                                                 

 

A 61 anni, Alexander Dvornikov è un veterano pluridecorato e ha alle spalle la vittoriosa condotta delle operazioni russe in Siria e una profonda conoscenza del distretto militare meridionale. Proprio quello che confina con l'Ucraina.

AGI - Una foto del 2016 lo ritrae mentre consegna a Vladimir Putin una grande foto incorniciata. È l'immagine di un elicottero da assalto che sorvola un gruppo di case in Siria, come spiega una didascalia in cirillico. È l'operazione che ha fatto guadagnare al generale Alexander Dvornikov la stella d'oro di Eroe della Federazione russa e la foto con Putin immortala il momento. Dvornikov, alto, imponente, non sembra troppo a proprio agio, eppure è abituato a muoversi nelle stanze del potere almeno quanto sul campo di battaglia.

Putin gli deve molto: è stato lui a dare la svolta alle operazioni in Siria: dall'inizio dell'intervento militare russo, nel settembre 2015, è stato comandante del raggruppamento delle forze armate e sei mesi dopo ha potuto raccogliere i frutti del suo lavoro nella Sala di San Giorgio nel Cremlino, dove il presidente gli ha appuntato al petto la più alta onorificenza militare.

Ora che è stato nominato comandante delle forze russe in Ucraina, Dvornikov è chiamato a ripetere l'impresa. Conosce bene la frontiera: il suo incarico precedente è stato in un luogo caldo come il Caucaso, dove è stato nominato comandante del distretto meridionale, in prima linea negli ultimi trent'anni per le tensioni nel Trans-caucaso e le due guerre in Cecenia, oltre alle continue operazioni antiterroristiche sul territorio di tutte le repubbliche, il conflitto militare con la Georgia, e ora con l'Ucraina.

Da dove viene il generale Dvornikov.

Negli appunti di Maria Lavrentyevna Kiriyenko, un'insegnante di storia della Scuola Militare Ussuri Suvorov, c'è una nota che riguarda Alexander Vladimirovich Dvornikov:

"Ha studiato il triplo degli altri, è stato membro della squadra della scuola di tiro, è stato un ottimo nuotatore e sciatore e ha sempre difeso i suoi amici".

 Ma Kiriyenko ha un debole per questo ragazzo di 17 anni (è nato nel 1961 a Ussurijsk, a pochissima distanza dal confine con la Cina e con la Corea del Nord e a due passi da Vladivostok), sa che Alexander ha una marcia in più e gli fa una raccomandazione che sarà profetica: "Sii per te stesso un generale, Sasha".

Nel 1978 Dvornikov entra nella Scuola di comando delle armi combinate superiori di Mosca, dopodiché, nel 1982, presta servizio nel distretto militare dell'Estremo Oriente come comandante di plotone, comandante di compagnia e capo di battaglione.

Nel 1991 si diploma all'Accademia Militare Frunze, dopo di che serve nel Gruppo delle forze occidentali come vice, e dal 1992 al 1994, comanda la 154 brigata di fanteria motorizzata di Berlino.

Dal 2000 al 2003 presta servizio nel distretto militare del Caucaso settentrionale (ora meridionale) come capo di stato maggiore della divisione e successivamente comandante della divisione.

Nel 2005 si diploma all'Accademia Militare di Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione Russa ed è  nominato Vice Comandante dell'Esercito, poi Capo di Stato Maggiore dell'Esercito nel Distretto Militare Siberiano.

Da giugno 2008 al gennaio 2011 è Comandante della V Armata Combinata del Distretto Militare dell'Estremo Oriente, poi fino ad aprile 2012 serve come Vice Comandante del Distretto Militare Orientale. Nel maggio 2012 è nominato Capo di Stato Maggiore - Primo Vice Comandante del Distretto Militare Centrale. Poi, nel settembre 2015, la svolta: gli viene affidato il comando del gruppo di truppe russe in Siria.

In un’intervista del 2016 parlava proprio della minaccia che poteva provenire da un allargamento della Nato in Ucraina e del ruolo dei Paesi amici:

"Abbiamo una nostra presenza al di fuori della Federazione Russa, alla quale attribuiamo un ruolo molto importante per la stabilità nella direzione strategica sudoccidentale - intendo le basi militari situate in Armenia, Abkhazia e Ossezia meridionale. Naturalmente, sono anche costantemente pronte al combattimento, in grado di svolgere la loro missione in qualsiasi momento".

E illustrava la strategia da adottare in combattimento: "È importante sapere non solo in teoria come e cosa si sta facendo, ma anche avere abilità pratiche nell'uso di armi di nuova generazione tra cui, ad esempio, i missili da crociera a lungo raggio Kalibr che possono essere sparati da fregate e da sottomarini contro bersagli terrestri e marittimi".

Dvornikov conosce meglio di chiunque altro l’armamento a sua disposizione e ne parla diffusamente: "Le unità di volo e la difesa aerea schierate in Crimea sono dotate delle armi più recenti. Negli aeroporti militari, i moderni caccia Su-30SM, gli elicotteri Ka-52 Alligator e Mi-28N Night Hunter sono pronti per svolgere missione di combattimento. I sistemi missilistici antiaerei S-400 Triumph e i sistemi missilistici e cannoni antiaerei Pantsir-S sono in servizio di difesa.

Inoltre, l'arrivo di nuovi sottomarini e navi nella flotta del Mar Nero e nella flottiglia del Caspio ci ha permesso di aumentare significativamente l'intensità dell'addestramento al combattimento del personale".

 

 

 

 

NEGOZIATI GUERRA, RUSSIA VS USA.

“Stop armi a Ucraina se vogliono la pace in Europa.”

Ilsussidiario.net- Niccolò Magnani -(14.04.2022)- ci dice :

 

I negoziati di pace tra Russia e Ucraina sembrano chiusi definitivamente: lo stop di Putin, la distanza siderale tra russi e Usa, lo scontro Nato-Mosca sulla Svezia. Ora cosa succede.

RUSSIA VS USA: “NON VOGLIONO I NEGOZIATI”. INTANTO DALLA TURCHIA

«Gli Stati Uniti potrebbero smettere di aiutare con armi l’Ucraina se volessero promuovere la pace e la stabilita’ nel continente europeo»:                    la denuncia contro la Casa Bianca e Joe Biden arriva dal portavoce di Vladimir Putin al Cremlino, Dmitri Peskov.

 «Gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare l’Ucraina a soddisfare le condizioni che sono state formulate in modo molto chiaro dalla Federazione Russa», ha concluso lo stretto collaboratore del Presidente russo.

 

Ultime notizie: battaglie Mariupol e Donbass. Scontro Putin-Ue.

Negoziati di pace sempre più risicati, “incastrati” tra i nodi sanzioni, armi e veti diplomatici: la pronta risposta degli Stati Uniti arriva dal Pentagono, con l’annuncio dell’imminente invio di armi verso l’Est dell’Ucraina, «Faremo arrivare le nuove armi all’Ucraina in meno di una settimane e poi le forze di Kiev le porteranno nell’est del Paese», sottolinea il portavoce della Difesa Usa, John Kirby.

 «Impossibile sostituire il gas russo in Europa.

La Ue cestina l’agenda ecologica e dà la colpa a noi»:

è nuovamente molto duro il messaggio che arriva da Vladimir Putin, intervenuto in conferenza stampa nel suo studio. «Gli attacchi dei partner europei sul rifiuto delle forniture di risorse energetiche russe destabilizzano la situazione e fanno salire i prezzi», ha poi continuato il Presidente russo.

Dopo giorni di silenzio sostanziale, dalla Turchia torna a risuonare l’invito per dei negoziati di pace diretti tra i due Presidenti di Russia e Ucraina: «Stiamo negoziando con le parti e ci stiamo adoperando per organizzare un incontro tra Putin e Zelensky», spiega il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, «Quello che è successo a Bucha ha influito negativamente sui negoziati: le immagini disumane di regioni come Bucha e Irpin, che condanniamo anche noi, hanno cambiato l’atmosfera. Nonostante tutte le difficoltà – conclude il diplomatico di Erdogan – c’è la possibilità di un cessate il fuoco».

Mariupol, ultimatum Russia a Ucraina è scaduto.

ONU: “NO POSSIBILITÀ DI NEGOZIATI DI PACE PER ORA”.

«Al momento non ci sia la possibilità di un cessate il fuoco globale in Ucraina»: l’ammissione del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres riflette il momento attuale. Una guerra massacrante su Mariupol e Donbass nel sud-est dell’Ucraina, uno scontro ancora più ampio a livello economico e diplomatico tra Nato e Russia e in generale due delegazioni – quelle di Kiev e Mosca – che sono state bloccate nelle trattative dalle rispettive cancellerie.

«Kiev non punta a raggiungere un accordo ma a trascinare deliberatamente il colloquio», è l’accusa lanciata dal Cremlino contro, in primis, il Governo Zelensky ma anche contro gli Stati Uniti di Joe Biden, reo di minacciare con toni «inqualificabili» le operazioni russe ad Est.

Nuovo fronte di scontro si è poi accesso nelle ultime ore con l’annuncio di Svezia e Finlandia di un prossimo ingresso nella Nato (in giugno, ndr): «Non si potrà più parlare di status denuclearizzato per il Baltico, l’equilibrio dovrà essere restaurato», ha scritto su Telegram il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa Dmitry Medvedev.

Per l’ex Presidente russo, «La Russia rafforzerà i suoi confini occidentali. Necessario rafforzare le truppe di terra, il sistema di difesa aerea e schierare consistenti forse navali nel mare». Al tentativo di allargamento della Nato per difendersi dalla potenziale espansione di Mosca si aggiunge l’opera degli Stati Uniti, inquadrata dal direttore della rivista Analsi Difesa come l’esatto opposto dei tentativi di pace: per Gianandrea Gaiani, raggiunto dall’AGI, «Gli Stati Uniti si preparano a una guerra di lunga durata volta a scoraggiare qualunque tipo di trattativa», citando la recente convocazione del Pentagono delle 8 principali aziende produttrici di armi negli Stati Uniti.

Sapelli: ecco cosa occorre concedere a Putin per fermare la guerra.

PUTIN CHIUDE I NEGOZIATI TRA RUSSIA E UCRAINA (PER ORA).

«Gli ucraini hanno spinto i negoziati in un vicolo cieco, sono loro che hanno creato difficoltà a portarli a un livello accettabile e l’operazione militare andrà avanti finché non ci saranno negoziati accettabili»: con queste parole, proferite ieri dal Presidente russo Vladimir Putin in conferenza stampa con l’omologo bielorusso Lukashenko, le trattative per dei negoziati di pace con l’Ucraina sembrano definitivamente archiviate.

Secondo la ricostruzione fatta dalla Russia con il suo leader, Kiev non avrebbe rispettato gli accordi raggiunti nei negoziati a Istanbul di fine marzo; non solo, «l’Ucraina viene usata come uno strumento per raggiungere gli obiettivi dell’Occidente indipendentemente dal benessere del popolo ucraino». Il vero consolidamento di Nato e Occidente, ha concluso il n. 1 del Cremlino, «è legato a una posizione umiliante e umiliata dell’Europa rispetto al Paese che la domina, si vergognano a dire che sono sotto lo schiaffo degli Usa. È comodo unirsi attorno al concetto di aggressione russa e servire così gli Usa». Alla vigilia della “battaglia finale sul Donbass” e con le città di Mariupol e Kharkiv pronte a cadere nel giro di pochi giorni, i negoziati sembrano per il momento definitivamente “chiusi” con anche Kiev ormai rassegnata a dover riparlare di trattative di pace solo dopo la guerra nei prossimi giorni nel Sud-Est del Paese.

TRATTATIVE IN STALLO, ORA COSA SUCCEDE CON I NEGOZIATI DI PACE.

«Il rifiuto dell’Occidente a cooperare colpisce i cittadini europei»: è ancora Putin stamane dopo una riunione di Governo a segnare la profonda distanza esistente tra Russia e Occidente. La minaccia di altre sanzioni (su tutte, l’embargo di petrolio e gas) e l’impossibilità – per il momento – di trovare una linea comune per la tregua, portano la guerra tra Russia e Ucraina sempre più lontana dalla pace.

Contro l’Europa, Putin e il ministro Lavrov contestano le parole dell’Alto Rappresentante di politica estera Ue Josep Borrell: «Kiev ha cambiato le regole del gioco cambiando le bozze dei negoziati di pace raggiunte in Turchia».

Al momento però anche le richieste della Russia sembrano mutuate rispetto alla prima fase della guerra contro l’Ucraina: consolidamento Donbass e Crimea; eliminazione battaglione Azov a Mariupol; garanzie di sicurezza per future eventuali esercitazioni militari ucraine-Nato.

A “rompere” nuovamente il già devastato asse Mosca-Occidente ci ha poi pensato il Presidente Usa Joe Biden che ha parlato per la prima volta di “genocidio” riferendosi alle operazioni della Russia: contrario il Presidente francese Macron che torna a contestare la linea Biden, «Non sono sicuro che l’escalation di parole servirà alla causa».

Insomma, le divisioni sono sempre più evidenti e la pace appare sempre più un miraggio: dal Vaticano tuona Papa Francesco a ridosso della Pasqua, dove la sua richiesta di “tregua Pasquale” è rimasta finora inascoltata. «Di fronte alle immagini strazianti che vediamo ogni giorno, di fronte al grido dei bambini e delle donne, non possiamo che urlare: “Fermatevi!”. La guerra non è la soluzione, la guerra è una pazzia, la guerra è un mostro, la guerra è un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto! Di più, la guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato».

 

 

 

 

 

LA GUERRA COME LA FANNO I RUSSI:

GUERRA RUSSIA UCRAINA

Comedonchisciotte.org - Markus -( 16 Aprile 2022)- ci dice :

(gilbertdoctorow.com)

 

In un lontano futuro, quando i documenti interni russi relativi allo svolgimento di questa guerra in Ucraina saranno resi pubblici, uno dei grandi enigmi del nostro tempo potrebbe finalmente ricevere una risposta definitiva: perché la Russia avrebbe condotto la sua “operazione militare speciale” in Ucraina con una mano legata dietro la schiena, sempre trattenendo le enormi forze distruttive sotto il suo comando, trascinando di conseguenza l’operazione e subendo perdite che una campagna più crudele, in “stile americano,” avrebbe in gran parte evitato?

 

Immediatamente all’inizio del conflitto armato, avevo sottolineato i dettagli di quello che avevo chiamato “il modo russo di fare la guerra” [the Russian Way of War, ndt] ora applicato in Ucraina. Questo approccio non causa la morte di un numero enorme di civili, non conta su un attacco iniziale “shock and awe” per demoralizzare e sopraffare il nemico. All’epoca, avevo detto che le considerazioni prioritarie da parte russa erano le tradizionali relazioni “fraterne” tra Ucraini e Russi, dal momento che esistono legami familiari e di parentela su entrambi i lati delle frontiere nazionali. L’intento di Vladimir Putin e del suo consiglio di guerra era quello di arrecare il minimo danno al popolo ucraino, cercando allo stesso tempo di separare gli elementi “sani” nel comando militare ucraino dai rabbiosi nazionalisti del Battaglione Azov e altre simili compagini irregolari, incorporate nell’esercito negli ultimi otto anni. Se queste due parti potessero essere separate, la guerra potrebbe essere vinta con minime perdite in termini di materiali e di vite umane.

Tuttavia, dopo le prime settimane dell’operazione, quando era diventato ovvio che si trattava di illusioni e che la Russia si trovava di fronte ad una forza militare unificata e sostenuta da un diffuso sostegno popolare, ancora non si erano visti cambiamenti visibili nel modo in cui la Russia operava sul terreno. L’unico indizio di cambiamento era stata la redistribuzione delle forze disponibili verso la cattura di Mariupol, per mettere in sicurezza l’intero litorale del Mar d’Azov, e il progressivo reindirizzamento delle forze di terra verso l’accerchiamento della parte più consistente dell’esercito ucraino, trincerato appena ad ovest della linea di demarcazione con il Donbass. In compenso c’era stato il ritiro delle truppe russe da Kiev e Chernigov, nel nord.

 

Ci sono state molte presunte analisi da parte di generali britannici, americani e altri militari in pensione. Aggiungeteci poi le speculazioni, ignoranti ma volubili, dei comuni giornalisti occidentali, soprattutto donne, che non hanno mai impugnato armi da fuoco di alcun tipo né tanto meno elaborato piani di battaglia. Tutti questi commentatori occidentali iniziano con supposizioni su come dovrebbe essere condotta un’invasione, se a scatenarla fossero gli Stati Uniti o la Gran Bretagna. [Secondo loro] qualsiasi deviazione delle forze russe dal calendario o dallo scopo di un simile assalto in stile occidentale, volto, ovviamente, a rovesciare il regime di Kiev e a soggiogare l’intero Paese, è destinata al fallimento, alla demoralizzazione o alla riduzione della capacità di coordinamento della copertura aerea, dell’artiglieria e degli altri elementi presenti sul campo di battaglia. Punto. La conclusione a cui giungono è che le forze armate russe sono molto meno minacciose di quanto si temesse e che perciò non si dovrebbe esitare ad espandere la NATO e respingerle.

 

Allo stesso tempo, nessuno, NESSUNO, in Occidente ha commentato alcuni fatti evidenti che inquadrano l'”operazione militare” russa totalmente al di fuori delle tradizionali modalità di condurre invasioni o altri atti di aggressione. Perfino la scelta delle parole usate per descrivere ciò che i Russi stavano per fare era stata tutt’altro che arbitraria. Avevano obiettivi specifici di “smilitarizzazione” e “denazificazione”, a cui, nelle ultime due settimane, si è aggiunta, quasi come un ripensamento, la protezione del Donbass da eventuali ulteriori attacchi da parte delle forze ucraine posizionate dall’altra parte della linea di demarcazione.

L’importanza di quest’ultimo obiettivo non è evidente per i lettori occidentali, perché le uniche immagini di guerra pubblicate sui media occidentali sono quelle che mostrano la sofferenza dei residenti di Mariupol o Kramatorsk.

Tuttavia, ai telespettatori della televisione russa vengono mostrate quotidianamente le conseguenze degli attacchi dei missili e dell’artiglieria ucraina sulla popolazione civile di Donetsk e dei villaggi circostanti, con un bilancio quotidiano di morti e feriti che richiedono il ricovero in ospedale. Questa è solo la parte finale di una storia di feroci attacchi, in violazione degli Accordi di Minsk, iniziata otto anni fa e che ha provocato più di 14.000 morti tra i civili, morti che, fino ad oggi, l’Occidente ha scelto di ignorare.

La nomina di alcuni giorni fa del generale Dvornikov a capo della prossima fase della guerra, la piena liberazione del Donbass e la liquidazione della principale concentrazione delle forze di terra ucraine, ha ricevuto commenti immediati dai media occidentali. I media russi stanno appena iniziando a recuperare il ritardo e a pubblicare le loro valutazioni sui possibili cambiamenti che potrebbero derivare dalla nuova condotta di guerra.

Dvornikov si era distinto come comandante della vittoriosa campagna militare russa in Siria. È noto per la capacità di coordinamento delle forze aeree e di terra, cosa per la quale la Russia non ha particolarmente brillato nella prima fase di questa guerra, sia per incompetenza, come hanno insinuato gli analisti occidentali, sia per evitare danni collaterali e perdite tra i civili, vincolata com’è da una situazione geografica in cui le truppe nemiche sono posizionate all’interno dei quartieri residenziali, come sottolinea la narrativa russa. Il nuovo campo di battaglia nel Donbass sarebbe molto più adatto a soluzioni “tecniche” di artiglieria e attacchi missilistici.

Tuttavia, la nomina di Dvornikov è solo un segno che “il modo russo di fare la guerra” viene attualmente riconsiderato ai massimi livelli del comando russo. In parte, ciò è dovuto alle promesse sempre più audaci, o meglio sempre più sconsiderate, da parte di Usa e NATO, di fornire armamenti pesanti a Kiev. Il campanello d’allarme è suonato ieri a Mosca dopo le dichiarazioni di un vicesegretario alla Difesa di Washington, secondo cui il prossimo livello di supporto a Kiev includerebbe missili a raggio intermedio in grado di colpire le basi aeree all’interno della Russia.

La risposta russa a questa minaccia è stata immediata. Il generale Konashenkov, portavoce dell’esercito russo per tutta la campagna, ha rilasciato una dichiarazione speciale secondo cui qualsiasi attacco sul territorio russo proveniente dall’Ucraina comporterebbe attacchi diretti della Russia ai centri decisionali di Kiev, attacchi che finora il comando russo aveva scelto di non effettuare. Questo, ovviamente, significa che ora verrebbero immediatamente distrutti il Ministero della Difesa, l’amministrazione presidenziale di Zelensky, forse la Rada, così come le loro servette, le torri della televisione ucraina. La conseguenza diretta sarebbe, di fatto, un cambiamento di regime.

Mentre i leader di diversi Paesi europei, negli ultimi due giorni, continuano a discutere pubblicamente se le azioni russe in Ucraina costituiscano o meno un “genocidio”, come ha dichiarato allegramente Joe Biden, nessuno sembra sottolineare le contraddizioni più evidenti all’idea che la Russia stia effettivamente mettendo in scena un guerra totale in Ucraina.

Ursula von der Leyen, Boris Johnson e i primi ministri della Polonia e di diversi Stati Baltici si recano tranquillamente a Kiev, passeggiano lungo i viali del centro insieme a Zelensky, come se non ci fosse alcuna guerra. A dire il vero, sono circondati da scorte di sicurezza, ma queste sarebbero utili solo se ci fossero minacce sul loro percorso. Nessuno pensa alla possibilità di un attacco missilistico russo, ma, alla luce delle osservazioni di Konashenkov, tutto questo potrebbe cambiare bruscamente in qualsiasi momento.

Infine, sono obbligato a ricordare che non tutti i professionisti militari in Russia sono rimasti in silenzio sulle modalità di condotta di questa “operazione militare”. La scorsa settimana, riportando in diretta da Mariupol e osservando la scena della totale distruzione intorno a lui, Yevgeny Poddubny, il corrispondente di guerra più esperto della televisione di stato russa, veterano della guerra siriana e di altre “zone calde”, aveva borbottato piano, quasi spontaneamente: “in una campagna militare, normalmente si impiegano forze per sei volte il numero dell’avversario, e qui invece siamo quasi uguali di numero.” Sicuramente, non c’era niente di “improvvisato” in questa dichiarazione.

Il punto è stato ribadito nell’edizione di ieri del quotidiano semiufficiale Rossiyskaya Gazeta in un’intervista al tenente generale Leonid Reshetnikov, un ufficiale dei servizi segreti esteri in pensione. Reshetnikov ha detto:

“Quando si è all’attacco, la scienza militare dice che si dovrebbe avere un minimo di tre volte il numero delle truppe in difesa. Ma, sul campo, secondo le informazioni disponibili, stiamo operando da una posizione di minoranza. Stiamo ottenendo risultati come raramente se ne vedono nella storia, a Izyum, a Novaja Kakhovka e in altri territori. Questo dimostra la bravura dei nostri soldati e dei loro comandanti.”

Sì, Reshetnikov ha espresso le sue osservazioni come un complimento, ma la critica implicita è lì per chiunque voglia guardare da vicino.

Fin dall’inizio, ho indirizzato l’attenzione su ciò che le élite sociali, accademiche e politiche russe hanno da dire sull'”operazione militare speciale”. Uno dei miei indicatori chiave è  il talk show politico “Una serata con Vladimir Solovyov” e l’edizione di ieri ha fornito molti spunti di riflessione.

 

In primo luogo, per quanto riguarda le sanzioni, c’era quasi unanimità tra i relatori sul fatto che è tempo che la Russia risponda direttamente e con forza alla guerra economica e ibrida che Stati Uniti ed Europa stanno ora conducendo contro il loro Paese. Chiedono un’interruzione immediata delle forniture di gas all’Europa, un embargo sull’esportazione di titanio e di altre materie prime essenziali per la produzione industriale avanzata in Occidente. Un’alternativa a queste mosse crudeli e devastanti contro l’Europa sarebbe quella di applicarle prima al Giappone, un altro fervente sostenitore della guerra commerciale contro la Russia che, negli ultimi giorni, ha pubblicamente sostenuto gli ultranazionalisti di Azov, rimuovendoli dall’elenco dei terroristi mondiali. La Russia dovrebbe imporre un embargo commerciale totale al Giappone, a cominciare dagli idrocarburi, ed estenderlo a tutti i settori, comprese le concessioni di pesca. Inoltre, la Russia dovrebbe posizionare armi nucleari tattiche ed altri armamenti significativi sulle Isole Curili, come un fermo promemoria su chi possiede questi territori, ora e per sempre.

Per quanto riguarda l’azione militare, il consenso dei partecipanti era anche a favore di una guerra totale contro l’Ucraina, senza considerazioni per le eventuali vittime civili collaterali. La guerra dovrebbe finire in modo rapido, deciso e con un minimo di ulteriori perdite russe. Punto. Come molti hanno notato, è molto probabile che anche i telespettatori siano rimasti confusi dall’approccio “all’acqua di rose” tenuto fino ad ora dalla Russia. Anche se si fidano del comandante in capo, vorrebbero un’azione più decisiva, sia in aria che a terra. Vale la pena ricordare che il relatore che rappresenta le classi “creative” russe, il direttore generale degli studi Mosfilm, Karen Shakhnazarov, che un paio di settimane fa aveva esitato a dare il suo sostegno alla guerra, ora ha “saltato la barricata” e sta facendo del suo meglio per cercare soluzioni che consentano di vincere subito una guerra cinetica.

Si era parlato anche della mobilitazione bellica. Il consenso dei relatori era che l’economia russa dovrebbe essere messa completamente sul piede di guerra, con il processo decisionale concentrato nell’esecutivo e rimosso dalle mani degli imprenditori. Questo sarebbe necessario non tanto per il conflitto in corso con l’Ucraina, ma per la continuazione della più ampia guerra con l’Occidente guidata dagli Stati Uniti, il vero contesto del conflitto. L’invio di missili a lungo raggio a Kiev renderebbe gli Stati Uniti un co-belligerante e la Russia dovrebbe essere pronta a colpire le istituzioni “decisionali” statunitensi.

In breve, la logica della discussione nel format di Solovyov era che i Russi dovrebbero chiarire in modo inequivocabile a Washington che sta flirtando con il disastro e che questo non è un videogioco, ma una lotta per la vita o la morte, in cui gli Americani non godono dell’immortalità.

Resta da vedere quanto di questa esuberanza influenzerà le prossime mosse del Cremlino. Ma gli analisti americani farebbero bene a dare un’occhiata a programmi come quello di Solovyov, se non vogliono che ignoranza e pressappochismo ci facciano precipitare in uno scenario da fine del mondo.

(gilbertdoctorow.com/2022/04/14/the-russian-way-of-war-part-two/).

(Gilbert Doctorow).

 

 

 

 

Il GRANDE RESET: Fase 2.0

Stateofthenation.co- Redazione Sotin- (18 aprile 2022)- ci dice :

(Peter Koenig- Global Research).

 

Ucraina-Russia: verso una "guerra calda"! Portare avanti l'agenda del Grande Reset di Klaus Schwab.

 

Dopo quasi quattro decenni di Guerra Fredda dalla metà degli anni 1950 al 1991, e altri 2 decenni di Guerra Fredda 2.0, dall'inizio dell'anno 2000, quando Putin ha assunto la Presidenza della Russia, gli Stati Uniti attraverso la NATO, e con i suoi vassalli europei, sono ora impegnati in una guerra calda con la Russia, usando l'Ucraina come proxy.

Questo è stato fatto in modo molto intelligente.

Dal momento che la prima guerra mondiale istigata dagli Stati Uniti nel giugno 1914, l'interesse di Washington era quello di soggiogare l'allora impero russo, e in seguito l'Unione Sovietica e ora la Russia. Questo obiettivo è valido fino ad oggi. L'obiettivo principale era ed è quello di conquistare questo enorme paese, la nazione più ricca di risorse del mondo, una posizione che la Russia detiene probabilmente ancora oggi.

I pretesti di Washington sono molti. Con l'inizio della rivoluzione sovietica, dicono, il comunismo era un pericolo per il mondo e soprattutto per gli Stati Uniti.

La "sicurezza nazionale" è sempre un argomento intelligente – e vende bene, dal momento che ogni paese presumibilmente pensa alla "sicurezza nazionale" come una priorità assoluta.

Negli ultimi due decenni, l'antagonismo guidato dagli Stati Uniti contro la Russia, seguito da vicino dall'Europa, era per lo più diretto contro un uomo, vale a dire il leader della Russia, il presidente Putin. È sempre più facile demonizzare una persona che un intero paese. Questo è ciò che l'Inner Circle di Washington sa fare meglio.

L'obiettivo di Putin era ed è quello di ripristinare la Russia come una società sicura e autosufficiente, pur mantenendo le relazioni, ma non dipendente dall'Occidente. L'autosufficienza nella misura del possibile e la sicurezza sono ciò che ogni leader dovrebbe vedere come una priorità per il suo paese. Putin, un ex funzionario di alto livello del KGB, sa molto bene cosa sta succedendo nelle menti politiche dell'egemone occidentale.

Quando Mikhail Gorbaciov, l'ultimo leader dell'ex Unione Sovietica (URSS), capitolò nel 1991, chiese agli alleati occidentali la promessa che NON avrebbero ampliato la NATO oltre Berlino, come condizione per consentire l'unificazione della Germania Est e Ovest.

Ciò fu confermato dall'allora Segretario di Stato americano James Baker, con le ormai famose parole:

"La NATO non si sposterà di un centimetro oltre Berlino".

Documenti in tal senso sono disponibili nel Museo della Guerra di Berlino.

Sappiamo tutti cosa accadde allora. La promessa non è stata mantenuta e oggi la NATO si è espansa da 16 paesi nel 1997, ad oggi 30 paesi, 28 dei quali sono in Europa. Molti dei nuovi si trovano nell'Europa orientale, le ex repubbliche sovietiche.

È ovvio che l'avvicinamento sempre più a Mosca è una minaccia per la Russia. Sarebbe percepito come una minaccia da Washington, se la Russia o la Cina costruissero una base militare in Messico o in America Centrale.

Ricordate la crisi dei missili cubani, quando i negoziati segreti tra l'allora presidente J.F. Kennedy e il presidente russo del Partito Comunista, Nikita Krusciov, salvarono potenzialmente il mondo da un Armageddon nucleare?

Perché Putin dovrebbe ora tollerare questa evidente invasione del suo paese da parte delle forze della NATO, e l'ultimo tentativo, di entrare in Ucraina?

L'Ucraina, tra l'altro, ha scritto il suo intento di ottenere l'adesione alla NATO nella sua Costituzione.

Che audacia.

Ufficialmente gli Stati Uniti e la NATO dicono che l'Ucraina non diventerà un membro della NATO, ma le azioni mostrano diversamente.

Negli ultimi 10-15 anni, e soprattutto dopo che gli Stati Uniti - NATO hanno istigato il colpo di stato di Maidan a Kiev il 22 febbraio 2014, gli Stati Uniti e i paesi della NATO hanno fornito all'Ucraina miliardi e miliardi di materiale bellico, missili ad alta precisione, sistemi antiaerei e anticarro, la maggior parte dei quali prodotti negli Stati Uniti. De facto, questo potrebbe essere facilmente interpretato come rendere l'Ucraina un membro silenzioso della NATO.

Per Putin, questo stava attraversando una linea rossa. Comprensibilmente. Soprattutto perché l'accordo di Minsk del 2014 non è mai stato rispettato e rispettato. Il vertice di Minsk si è svolto con la partecipazione di Vladimir Putin, dell'allora presidente ucraino Petro Poroshenko, della cancelliera tedesca Angela Merkel, del presidente francese François Hollande e dei rappresentanti e leader delle due province del Donbas, Alexander Zakharchenko, Repubblica popolare di Donetsk (DPR) e Igor Plotnitsky, Repubblica popolare di Luhansk (LPR).

I punti chiave delle misure concordate, tra cui un cessate il fuoco, il ritiro delle armi pesanti dalla linea del fronte, il rilascio dei prigionieri di guerra, la riforma costituzionale in Ucraina, la concessione dell'autogoverno ad alcune aree del Donbass e il ripristino del controllo del confine di stato al governo ucraino.

Nessuno di questi accordi è stato rispettato e i leader occidentali, che erano parte dell'accordo di Minsk, non si sono preoccupati di farli rispettare. Ad esempio, il battaglione nazista Azov di destra, che agisce nell'Ucraina orientale, è stato per 8 anni, dal colpo di stato di Maidan nel 2014, bombardando e attaccando terroristicamente la popolazione del Donbas. Hanno ucciso 14.000 civili, tra cui da 3.000 a 4.000 bambini, la maggior parte delle vittime sono di origine russa.

Questo è raramente menzionato nei media occidentali.

Per Putin, tracciare una linea rossa era evidente. Niente più aggressioni della NATO, niente armi della NATO o dei paesi della NATO in Ucraina, niente assalti alle province del Donbas, niente personale della NATO e addestramento della NATO in Ucraina. In effetti, Putin ha chiesto un'Ucraina neutrale e smilitarizzata, neutrale come l'Austria e la Svezia.

Niente di tutto questo è accaduto.

E ciò che era di estremo pericolo per la Russia, erano i 25-30 laboratori di bio-guerra sul suolo ucraino, e finanziati dagli Stati Uniti, negati da Washington come "teoria della cospirazione" per mesi, fino a quando, con sorpresa del mondo, il 9 marzo 2022, la signora Victoria Nuland, vice segretario di Stato degli Stati Uniti, ha confessato in un'audizione al Senato che – sì, gli Stati Uniti avevano finanziato questi bio-laboratori (li ha chiamati eufemisticamente "centri di ricerca"), e ha aggiunto che gli Stati Uniti ora dovevano distruggerli altrimenti potevano cadere sotto il controllo russo. Non ci sono parole per descrivere quanto sia ridicola questa affermazione. Fox News Tucker Carlson lo ha inquadrato e analizzato bene.

Con l'implacabile aggressione e l'ostilità occidentale contro la Russia e la persona di Putin, il presidente russo è stato messo in un angolo. Certamente non cerca una terza guerra mondiale nucleare, ma vuole sicurezza per il suo paese.

Una falsa bandiera occidentale potrebbe provocare un attacco nucleare della NATO contro la Russia. Non sarebbe la prima volta che gli Stati Uniti iniziano una guerra basata su una "falsa bandiera", perpetrata dagli stessi Stati Uniti o da uno stretto alleato, o da un proxy – basti pensare all'incidente autoinflitto del Golfo del Tonchino, l'attacco uss Maddox, che ha innescato la vera e propria guerra del Vietnam. E ce ne sono molti altri.

Grande reset fase 2.0.

Questa è la storia. Passiamo ora al presente.

La Russia è intervenuta in Ucraina il 24 febbraio 2022. Da allora, tutti gli occhi sono puntati su Russia e Ucraina. Quasi al giorno in cui il covid scomparirà dall'arena mondiale, almeno ufficialmente. Il Covid è sparito dai titoli dei giornali, ovunque. Non è una coincidenza. La geopolitica non conosce coincidenze, solo piani e strategie.

La provocazione sempre più forte e implacabile di trascinare la Russia in una guerra con l'Ucraina – potrebbe essere stata pianificata dal WEF e dai gestori del WEF? – Perché l'agenda completa e finale del WEF è molto più forte e più ampia, più grande e più profonda – di Covid e guerra messi insieme. Ma il Covid e la Guerra sono strumenti perfetti per promuovere l'Agenda 2030 (ONU), alias l'Agenda del Grande Reset.

(Il nuovo Hitler -Klaus Schwab-è al comando dei governi dei paesi globalisti occidentali tramite gli uomini di Davos -Comanda gli Usa tramite i Liberal Dem Usa! Ndr.)

Una foto recente  può dare un'idea di chi sta gestendo lo spettacolo in Ucraina. Raffigura Klaus Schwab, presidente e CEO del WEF, con il presidente ucraino Zelenskyy in quella che sembra una conversazione accogliente.

Covid equivale a Great Reset 1.0.

Era per mettere le persone in soggezione, per indottrinarle con una menzogna abietta, per diffondere paura, per rendere le persone sottomesse – e obbedienti alle autorità – credendo che queste autorità – di tutti i 193 paesi membri delle Nazioni Unite contemporaneamente – vogliano tutte solo il meglio per il loro popolo. Come dovrebbe essere. Quindi, fai quello che dicono. Ma  I governi dovrebbero essere i protettori del loro popolo.

Eravamo e ci sbagliamo ancora totalmente. Noi, il popolo, dobbiamo metterci in testa che questi tempi sono finiti. I nostri governi, il più delle volte, sono diventati i nostri nemici.

Vogliono il peggio per il popolo – un genocidio globale vaxx, rubando beni attraverso fallimenti artificialmente indotti dal covid, spostando le proprietà liquidate dal basso e dal centro verso l'alto, infliggendo crisi economiche e, infine, la piena digitalizzazione di tutto, comprese in particolare le risorse finanziarie, i tuoi soldi (niente più denaro) e – sì – il cervello umano – in modo da avere il controllo totale sugli esseri umani sopravvissuti. Klaus Schwab, l'amministratore delegato e fondatore del WEF la chiama la trasformazione degli esseri umani in transumani – in modo che al completamento dell'Agenda 2030, del Grande Reset – "non possiedi nulla, ma sarai felice".

Ecco una descrizione completa dell'Agenda Transumanista.

Per chi non lo sapesse ancora – Covid-19, alias SARS-Cov-2, non è mai esistito, non è mai stato identificato, non è mai stato scientificamente isolato.

The Viral Delusion, una nuova serie di documentari di 6 ore – con scienziati intervistati e fatti sul tavolo – il trailer ti dice più di tutto ciò che devi sapere per capire che sei stato ingannato criminalmente negli ultimi due anni. Il mondo è stato ingannato criminalmente. I criminali di guerra sono le élite occidentali, il WEF e i suoi gestori, funzionari governativi, che commettono consapevolmente questi crimini sull'umanità.

Questa truffa ha causato milioni di  vittime.

Direttamente dagli effetti collaterali nefasti e mortali delle iniezioni di mRNA che venivano vendute come vaccini, ma in realtà erano tutto tranne che vaccini; erano colpi velenosi, costituiti da diverse sostanze dannose, una di queste è l'ossido di grafene, creando un campo magnetico del tuo corpo, accessibile da microonde 5G – scoperto dal team di ricerca spagnolo, "La quinta colonna".

E indirettamente, causando sia nel Nord del mondo che nel Sud del mondo innumerevoli rovine finanziarie, disoccupazione, miseria, carestia, malattie correlate – e sì, milioni di suicidi per disperazione.

Tutto questo è accaduto con il consenso delle Nazioni Unite, dell'OMS e dei grandi Movers and Shakers, FMI, Banca Mondiale, Banca Centrale Europea (BCE), Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI, la Banca Centrale di tutte le banche centrali), persino l'UNICEF – e, naturalmente, le Fondazioni Gates e Rockefeller (i principali finanziatori di questa truffa di dimensione biblica). E per non dimenticare, il World Economic Forum – il WEF di Klaus Schwab  – e quei gestori oscuri del WEF, tra cui gli "imperatori finanziari" del mondo, BlackRock, Vanguard, State Street e Fidelity.

Insieme, gli imperatori finanziari (Multinazionali)controllano circa 20-25 trilioni di dollari in attività che danno loro un potere di leva di oltre 100 trilioni di dollari, rispetto a un PIL mondiale di circa 90 trilioni di dollari.

Con questa potenza finanziaria, possono fare quello che vogliono con qualsiasi paese vogliano. Questo potrebbe spiegare, perché da un giorno all'altro, il mondo intero, 193 paesi membri delle Nazioni Unite sono stati colpiti dallo stesso virus falso (totalmente senza senso, impossibile in realtà), e mandati tutti insieme in pieno blocco l'11 marzo 2020, quando c'erano solo qualcosa come 4.700 cosiddetti casi di covid registrati in tutto il mondo.

I media occidentali sono stati e sono ancora pagati miliardi e miliardi di dollari per perpetuare la menzogna-propaganda, la narrativa covid - vaxx. Il presidente Biden, capo dell'Impero delle bugie , ha recentemente stanziato un altro miliardo di dollari per "sovvenzionare" i media statunitensi, in modo che continuino a ripetere la narrativa covid e vaxx – e ora la propaganda di guerra anti-Russia.

Cosa c'è dopo?

All'ombra di The Great Reset 2.0 di Klaus Schwab, la guerra Russia-Ucraina – i preparativi per la prossima fase sono stati pianificati e già realizzati.

Le cose accadono a velocità di curvatura, in modo che la famigerata Agenda 2030 delle Nazioni Unite possa essere completata entro il 2030, prima che tutti si sveglino. Ad esempio, l'OMS non era un'agenzia originale delle Nazioni Unite, ma creata nel 1948 dalla Fondazione Rockefeller per diventare un organismo mondiale per controllare la salute della popolazione mondiale. Rockefeller "è riuscito" (il denaro compra tutto) a far incorporare l'OMS come agenzia sanitaria internazionale dell'organismo delle Nazioni Unite.

Per Rockefeller, un presunto eugenista, controllare la salute del mondo è una risorsa. Lui, a quel tempo, era anche il proprietario di Standard Oil, il più grande gigante di idrocarburi del mondo, e letteralmente il monopolio su petrolio e gas.

Ciò portò Rockefeller and Co. a decidere di convertire i prodotti farmaceutici finora per lo più a base vegetale in farmaci a base petrolchimica; più redditizio e meglio controllabile.

Oggi, all'ombra della guerra, l'OMS viene preparata per diventare l'unico cane da guardia al mondo sulla salute delle persone. Se il piano andrà in porto, ci sarà un Trattato pandemico, in base al quale l'OMS avrebbe entro il 2024 il pieno controllo sulle questioni di salute, al di sopra della sovranità di ogni nazione.

L'OMS deciderebbe cos'è una pandemia (potenzialmente ogni influenza può essere una pandemia), quando c'è una pandemia e quando i governi devono vaxx i loro cittadini.

La dottoressa Astrid Stuckelberger, ex insider dell'OMS, espone il monopolio criminale .

Questo piano è attualmente in discussione in diverse assemblee extra-ordinarie della sanità mondiale, dove di solito decidono i ministri della salute dei paesi.

Tuttavia, questo trattato sulla salute sarebbe un piano così mostruoso, che dovrebbe almeno essere ratificato dal parlamento di ogni paese sovrano – perché, se passasse, annienterebbe la sovranità di ogni nazione.Mentre si prepara la tirannia sanitaria dell'OMS, l'economia mondiale viene ulteriormente devastata dalla guerra Ucraina-Russia, dalla cortina fumogena per le attività dietro le quinte e dalle conseguenti carenze energetiche, in particolare in Occidente.

Ci saranno interruzioni della catena di approvvigionamento – già ora evidenti, usando il pretesto degli scioperi dei camionisti canadesi, statunitensi e australiani – cioè Freedom Caravans. Queste carovane della libertà stanno mostrando al mondo una lezione di coraggio contro la tirannia, specialmente quella in Canada. Hanno portato l'attenzione del mondo sulla menzogna e sul crimine perpetuati a livello globale sull'umanità – la vaccinazione forzata – e altre negazioni del covid, come l'inutile e velenoso indossare la maschera – e quella soprattutto sui bambini.

L'Ucraina e la Russia sono il granaio del mondo (la Russia è il più grande esportatore di grano del mondo). La guerra ridurrà la produzione alimentare e interromperà le catene di approvvigionamento alimentare.

A questa calamità si aggiungerà l'aumento esponenziale dei prezzi del carburante in Occidente – a causa del petrolio e del gas della Russia – guidato dalle sanzioni – non più accettato in Occidente, con conseguenti carenze estreme, inflazione – forse fino al 30-50% anche se temporaneo, l'impatto sarà una reazione a catena mondiale.

Ridotta produzione di fertilizzanti.

Prezzi più alti dei fertilizzanti – con conseguente calo della produzione di colture agricole – meno cibo, carestia mondiale e in molti casi in cui la povertà è già estrema, può significare la morte per carestia;

l'aumento dei prezzi del carburante - energia manderà in bancarotta innumerevoli piccole e medie imprese, con conseguente disoccupazione, più povertà, più miseria e carestia - malattie e morte;

il combustibile insufficiente interromperà ulteriormente le catene di approvvigionamento di quel materiale ridotto che altrimenti potrebbe essere disponibile ... e così via – e così via. La legge delle conseguenze non intenzionali può giocare.

Circa due terzi delle materie prime per produrre semiconduttori provengono dall'Ucraina. Quando la fornitura viene interrotta a causa della guerra, l'industria automobilistica vacillerà.

Più di un terzo dei metalli leggeri necessari per la costruzione di aerei, civili e militari, come il titanio e l'alluminio, proviene dalla Russia. Oltre agli idrocarburi, la Russia è anche un esportatore chiave di litio, cobalto e nichel, utilizzati nell'industria delle batterie e dell'elettronica. La Russia chiude il rubinetto di queste esportazioni verso ovest, e un'altra parte delle industrie occidentali morderà la polvere.

La spirale verso la miseria e l'inferno è quasi infinita.

Olocausto economico.

Gli olocausti economici, per così dire, favoriranno anche la riduzione della popolazione mondiale, giocando così nell'agenda eugenetica. Sebbene non sia esplicitato nel Grande Reset, la massiccia riduzione della popolazione è chiaramente un fattore per raggiungere il Grande Reset, gli obiettivi dell'Agenda 2030 di Klaus Schwab.

Questo è il piano. Come spesso si ripete, non deve accadere. Se noi umanità, ci svegliamo in massa e ci opponiamo a questo piano, non con l'odio, ma ascendendo a un livello superiore di coscienza, dove siamo in grado di costruire un mondo alternativo.

Great Reset Phase 3.0: Digitalizzazione completa di tutto, compresi gli esseri umani.

Cosa potrebbe attivare Reset 3.0? Forse un'altra pandemia, questa volta reale? O meglio un collasso monetario causato artificialmente.

Un evento che potrebbe portare alla rapida caduta delle due principali valute fiat, il dollaro USA e l'euro.

Potrebbe essere un'inflazione alle stelle – di cui stiamo assistendo all'inizio – e la crisi energetica pianificata e incombente potrebbe essere la campana a morto.

La scomparsa della supremazia del dollaro è imminente, poiché il petro-dollaro viene sostituito dal Petro-Yuan. Sta già accadendo. I sauditi hanno detto a Biden che preferiranno vendere la loro benzina alla Cina ed essere pagati in Petro-Yuan piuttosto che in dollari USA instabili e sempre meno sicuri. E no, non aumenteranno la produzione per stabilizzare i prezzi. Un messaggio chiaro che potrebbe accelerare il crollo delle valute fiat.

Le previsioni economiche e la lungimiranza stanno vedendo una rapida discesa del dollaro ancora nel 2022, il che significa che un enorme debito potrebbe essere spazzato via.

Sarebbe quello il momento di stimolare una prima digitalizzazione completa delle valute nel mondo occidentale, che alla fine si fonderà in due o tre valute digitali chiave? Ciò si adatterebbe al piano come parte del Ripristino.

Digitalizzare tutto è il sogno di Klaus Schwab – è il fondamento della sua “Quarta Rivoluzione Industriale” – anche un sogno. Le sue idee hanno molti sostenitori influenti – e se non ci alziamo in solidarietà contro questo Schwab – il WEF spinge verso questa apocalisse delle masse – siamo condannati.

Il codice di verifica QR.

Quello che oggi è noto come il codice QR, o la tecnologia QR è anche inclinato come diventare la forza trainante non solo della piena digitalizzazione, ma anche della sorveglianza totale e completa. La codifica QR può memorizzare circa 30.000 punti di informazione, o più, su ogni cittadino - seguendoti in ogni passo che fai, le persone che incontri, il cibo che mangi, il viaggio che fai. I maestri che gestiscono queste informazioni ti conoscono meglio di quanto tu conosca te stesso.

I codici QR si sono intrufolati silenziosamente nelle nostre vite. Molti ristoranti non hanno più menu stampati: hai un'applicazione sul tuo cellulare e fai uno screenshot QR ... e bingo, mentre leggi il menu del tuo ristorante, "loro" sanno dove sei e cosa mangi.

Addio contanti. Arriva il denaro digitalizzato.

È già quasi il caso in Svezia e in altri paesi nordici. La Svezia è in prima linea, testando e praticando il sistema su volontari con un microchip impiantato in mano. Il chip sostituisce i contanti, la carta di credito, il conto bancario e forse già di più.

Il tuo comportamento verrà registrato e mostrerà se segui le "norme del sistema".

Se fallisci, potrebbero bloccare il tuo flusso di denaro, temporaneamente o per sempre. Immagina "sanzioni" su piccola scala individuale – potrebbero farti morire di fame, o con le tecnologie 5G, l'intelligenza artificiale (AI), i robot, gli algoritmi, la polizia di sorveglianza può persino "neutralizzarti" – per sempre.

Questo è il quadro generale. Il grande reset: fasi da 1.0 a 3.0. Forse di più.

Ma ricordate, tutto questo può accadere solo quando Noi, il Popolo, lasciamo che accada. Non è mai troppo tardi per opporsi pacificamente alla tirannia. Opponetevi alle menzogne dei media, alle psyops, agli indottrinamenti dei media, alle narrazioni ufficiali e contro i nostri governi criminali.

Una cosa è chiara, nel mondo di oggi – almeno in tutto il mondo occidentale – non ci si può fidare di nessun governo.(Klaus Schwab , controlla tutti  i governi globalisti. Ndr).

La soluzione finale potrebbe essere quella di ascendere ad un livello superiore di coscienza, unirci in solidarietà e creare una società alternativa.

Con lo spirito di nessun odio, ma perseveranza – "Venceremos"!

Speranza – Obiettivo – e Azione comune – e noi vinceremo.

(Peter Koenig è un analista geopolitico ed ex Senior Economist presso la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dove ha lavorato per oltre 30 anni sull'acqua e l'ambiente in tutto il mondo. Tiene conferenze in università negli Stati Uniti, in Europa e in Sud America. Scrive regolarmente per riviste online ed è autore di Implosion – An Economic Thriller about War, Environmental Destruction and Corporate Greed; e co-autore del libro di Cynthia McKinney "When China Sneezes: From the Coronavirus Lockdown to the Global Politico-Economic Crisis" (Clarity Press – 1 novembre 2020).

(globalresearch.ca/ukraine-russia-proxy-war-advancing-agenda-great-reset/5774987).

 

 

 

 

Impegno Nato di non espandersi a Est,

ecco il documento.

Startmag.it- Tino Oldani- ( 26-2-2022)- ci dice :

 

I lettori di ItaliaOggi sono stati i primi, in Italia, ad essere informati circa le vere origini delle tensioni politiche e militari tra la Russia di Vladimir Putin e la Nato sulla questione Ucraina.

Con editoriali e articoli scritti in base ai fatti e non con la propaganda, il direttore Pierluigi Magnaschi e firme autorevoli come Roberto Giardina e Pino Nicotri hanno ricordato, unici in Italia, che dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) i leader dei maggiori paesi della Nato avevano promesso a Mosca che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso Est «neppure di un centimetro».

Una promessa smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi sono passati dall’ex impero sovietico all’alleanza militare atlantica. Da qui le contromosse di Putin: la guerra in Georgia, l’occupazione della Crimea, l’appoggio ai separatisti del Donbass, lo schieramento di oltre centomila soldati al confine con l’Ucraina, infine la dura linea diplomatica con cui ha ribattuto alle minacce di sanzioni da parte di Usa ed Ue: «Mosca è stata imbrogliata e palesemente ingannata».

Per tutta risposta, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha ripetuto quella che per anni è stata la linea difensiva di Washington sull’allargamento a Est della Nato:

 «Nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, ha fatto tali promesse all’Unione sovietica».

Una dichiarazione smentita dal settimanale tedesco Der Spiegel con uno scoop clamoroso, destinato a lasciare il segno.

L’inchiesta, intitolata «Vladimir Putin ha ragione?» e ripresa integralmente negli Usa da Zerohedge, si basa su un’ampia ricostruzione storica dei negoziati tra Nato e Mosca che hanno accompagnato la fine della guerra fredda.

Tra i documenti citati, spicca per importanza quello scovato nei British National Archives di Londra dal politolo americano Joshua Shifrinson, che ha collaborato all’inchiesta del settimanale tedesco e se ne dichiara «onorato» in un tweet.

 Si tratta di un verbale de-secretato nel 2017, in cui si dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania sull’unificazione delle due Germanie, dopo il crollo di quella dell’Est.

Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov.

Di fronte alla richiesta di alcuni paesi dell’Est Europa di entrare nella Nato, Polonia in testa, i rappresentanti dei quattro paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania Ovest), impegnati con Russia e Germania Est nei colloqui del gruppo «4+2», concordarono nel definire «inaccettabili» tali richieste.

Il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog, stando alla minuta della riunione, disse: «Abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi».

Tale posizione, precisò, era stata concordata con il cancelliere tedesco Helmuth Khol e con il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher.

Nella stessa riunione, rivela Der Spiegel, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: «Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-orientale e che la Nato non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente».

È innegabile che questo documento scritto conferma alcuni ricordi di Gorbaciov circa le promesse da lui ricevute, ma soltanto orali, sulla non espansione a Est della Nato. In un’intervista al Daily Telegraph (7 maggio 2008), Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione sovietica, disse che Helmuth Khol gli aveva assicurato che la Nato «non si muoverà di un centimetro più ad est».

Identica promessa, aggiunse in un’altra occasione, gli era stata fatta dall’ex segretario di Stato Usa, James Baker, il quale però smentì, negando di averlo mai fatto.

Eppure, ricorda Der Spiegel, anche Baker fu smentito a sua volta da diversi diplomatici, compreso l’ex ambasciatore Usa a Mosca, Jack Matlock, il quale precisò che erano state date «garanzie categoriche» all’Unione sovietica sulla non espansione a est della Nato.

L’inchiesta del settimanale aggiunge che promesse dello stesso tenore erano state fatte a Mosca anche dai rappresentanti britannico e francese.

La storia degli ultimi 30 anni racconta però altro: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ricorda Der Spiegel, sono entrate nella Nato nel 1999, poco prima della guerra contro la Jugoslavia.

 Lituania, Lettonia ed Estonia, confinanti con la Russia, lo hanno fatto nel 2004. Ora anche l’Ucraina vorrebbe fare altrettanto.

 Il che ha scatenato la reazione di Putin: «La Nato rinunci pubblicamente all’espansione nelle ex repubbliche sovietiche di Georgia e Ucraina, richiamando le forze statunitensi ai confini del blocco del 1997».

La prima apertura è giunta dal cancelliere tedesco, Olaf Scholz: «L’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è in agenda».

Parole che confermano la prudenza della Germania verso Putin e l’importanza strategica del Nord Stream 2 per la sua economia.

Se alla fine sarà pace o guerra, dipenderà dal vertice Biden-Putin, agevolato da Macron.

 Un vertice dove Biden, nonostante la martellante propaganda anti-Putin delle ultime settimane, entra indebolito da uno scoop che riscrive la storia.

Un’inchiesta così ricca di documenti finora inediti da far pensare all’aiuto di una manina politica, in sintonia con la Spd di Scholz, partito da sempre filorusso.

 

 

 

 

La storia dell’espansione

a est della Nato, spiegata.

It.insideover.com- Roberto Vivaldelli- ( 8 -3 - 2022)- ci dice :

 

L’invasione russa dell’Ucraina ha riacceso il dibattito – prima “riservato” ad esperti e studiosi di relazioni internazionali – sull’espansione a est della Nato dalla fine della Guerra Fredda ad oggi.

Pretesto usato dal Cremlino per tentare in qualche modo di giustificare un’aggressione contro uno stato sovrano o fatto storico di cui tenere conto?

La risposta, come sempre, è piuttosto complessa e non adatta a semplificazioni.

Lo scorso 15 febbraio sul tedesco Der Spiegel Klaus Wiegrefe ha ripercorso alcune tappe fondamentali di questo processo che ha visto via via inglobare gli ex Paesi sovietici nell’orbita atlantista.

 Nel settembre 1993, il presidente russo Boris Eltsin scrisse una lunga lettera al presidente degli Stati Uniti Bill Clinton.

La lettera, indirizzata al “caro Bill”, iniziava con un accenno al “candido scambio di opinioni” dei due leader.

Elstin tentava di spiegare al suo omologo statunitense come l’intenzione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca di aderire all’Alleanza Atlantico stesse diventando motivo di seria preoccupazione per Mosca.

La lettera inviata da Eltsin a Clinton nel 1993.

Naturalmente, spiegò Eltsin nella lettera inviata a Bill Clinton, ogni Paese può decidere autonomamente di quale alleanza vorrebbe far parte. Ma l’opinione pubblica russa vedeva l’espansione a est della Nato come “una sorta di neo-isolamento” della Russia, un fattore, insisteva, di cui bisognava tener conto. Eltsin faceva riferimento al Trattato sulla riunificazione della Germania nel 1990.

 “Lo spirito del trattato”, secondo l’allora presidente russo, “precludeva la possibilità di espandere la zona della Nato a est”.

A tal proposito è significativa la testimonianza diretta di Jack Matlock, ambasciatore americano a Mosca dal 1987 al 1991 in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 15 luglio 2007 e citata nel libro dell’ex ambasciatore Sergio Romano Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018).

“Quando ebbe luogo la riunificazione tedesca, noi promettemmo al leader sovietico Gorbačëv – io ero presente – che se la nuova Germania fosse entrata nella Nato non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss nell’Europa dell’Est.

Non mantenemmo la parola.

 Peggio: promettemmo anche che la Nato sarebbe intervenuta solo in difesa di uno Stato membro, e invece bombardammo la Serbia per liberare il Kosovo che non faceva parte dell’Alleanza”.

È vero che le testimonianze dell’epoca non sono sempre coerenti con quanto affermato da Matlock.

 Fortunatamente, spiega il Der Spiegel, ci sono molti documenti disponibili dai vari Paesi che hanno preso parte ai colloqui, inclusi appunti di conversazioni, trascrizioni di negoziati e rapporti.

Secondo i carteggi, Stati Uniti, Regno Unito e Germania rassicurarono il Cremlino del fatto che l’adesione alla Nato di Paesi come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca “era fuori questione”.

Nel marzo 1991, il primo ministro britannico John Major promise, durante una visita a Mosca, che non sarebbe accaduto “nulla del genere”.

Dal Patto di Varsavia alla Nato.

Come spiega Ted Galen Carpenter sul Guardian, nonostante le osservazioni di Eltisn e le promesse fatte ai leader russi alla fine della Guerra Fredda e nei primi anni’90, l’amministrazione di Bill Clinton aveva già deciso nel 1993 di fare pressione per inglobare alcuni Paesi dell’ex Patto di Varsavia nella Nato.

 Anche quella prima fase provocò la rabbia russa.

Nelle sue memorie, Madeleine Albright, segretario di Stato della Clinton, ammette che Elstin e i suoi connazionali “erano fortemente contrari all’allargamento, vedendolo come una strategia per sfruttare la loro vulnerabilità e spostare la linea di demarcazione dell’Europa a est, lasciandoli isolati”.

Dello stesso parere Strobe Talbott, vicesegretario di Stato.

 “Molti russi vedono la Nato come una traccia della Guerra fredda, intrinsecamente diretta contro il loro paese. Sottolineavano di aver sciolto il Patto di Varsavia, la loro alleanza militare, e si chiedevano perché l’Occidente non facesse fare lo stesso”.

Il resto è storia.

Nel 1994 l’Alleanza Atlantica lanciò l’iniziativa Partnership for Peace, o PfP. Il Partenariato per la pace consentiva ai Paesi che non facevano parte dell’Alleanza Atlantica di “condividere informazioni con gli alleati della Nato” e di modernizzare i loro eserciti in linea con standard dell’Alleanza stesso. Questo processo raggiunse un traguardo importante al Vertice di Washington del 1999, quando tre ex partner – Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria – divennero a tutti gli effetti membri della Nato.

Tuttavia, nel corso degli anni, molti studiosi “realisti”, fra cui John J. Mearsheimer ed Henry Kissinger passando per George Kennan, misero in guardia le amministrazioni Usa sui potenziali rischi di quella strategia. Persino il “falco” Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale durante l’amministrazione Carter e celebre politologo, nel 1995 pubblicò un saggio su Foreign Affairs a favore dell’espansione e est della Nato, pur fissando dei paletti ben precisi.

 “L’amministrazione Clinton – osservò – deve guidare l’Europa ed espandere la Nato”, ma senza “danneggiare i legami con la Russia”. Washington, spiegò, “dovrebbe dissipare l’ambiguità creata dalle attuali indiscrezioni. Il presidente deve adottare un duplice approccio: avviare il processo di accettazione degli stati dell’Europa centrale nella Nato precisando i criteri per l’adesione e firmare un trattato di sicurezza globale con la Russia”.

 Per farlo funzionare, osservò, “Germania e Polonia dovranno riconciliarsi, Occidente e Russia dovranno pacificare l’Ucraina e il problema dei Paesi baltici dovrà essere risolto. Solo la leadership americana può contribuire a creare un’Europa più ampia e più sicura per il prossimo secolo”.

Già allora, come ricorda Ted Galen Carpenter, alcuni studiosi diplomatici americani come il già citato George Kennan, il padre intellettuale della politica di contenimento americana durante la guerra fredda, in un’intervista al New York Times del maggio 1998 avvertì cosa avrebbe potuto mettere in moto l’espansione a est della Nato.

“Penso che sia l’inizio di una nuova Guerra fredda”, spiegò Kennan.

“Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto negativo e ciò influenzerà le loro politiche. Penso che sia un tragico errore. Non c’era alcun motivo per questo. Nessuno stava minacciando nessun altro”.

Kennan non fu ascoltato e l’espansione a est dell’Alleanza proseguì speditamente. Le fasi successive portarono all’adesione di nuovi alleati ex membri del Patto di Varsavia: Romania, Bulgaria, Slovacchia, Slovenia, Lettonia, Estonia e Lituania nel 2004, Croazia e Albania nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia del Nord nel 2020. Oggi i Paesi della Nato sono 30.

Accordi disattesi?

Importante sottolineare, come fa Der Spiegel, che non c’è, ovviamente, alcun accordo giuridicamente vincolante tra le due parti (la Nato e Mosca). Il verdetto sul fatto che l’Occidente abbia infranto o meno la sua parola dipende interamente da quanto si ritengano vincolanti le assicurazioni dai leader occidentali all’epoca.

 Sta di fatto che Mosca contesta ai Paesi occidentali di aver di fatto tradito lo spirito di tutti i trattati dal Crollo del Muro di Berlino in poi e di aver fatto delle promesse precise, mai mantenute.

 Come scrive il celebre giornalista Chris Hedges, già redattore del New York Times, l’amministrazione Clinton promise a Mosca “che le truppe da combattimento della Nato non sarebbero state di stanza nell’Europa orientale”, come previsto dal Nato-Russia Founding Act.

Questa promessa – spiega –  si è rivelata ancora una volta una bugia”.

Il conflitto odierno in Ucraina, senza voler giustificare nulla, è dunque – anche – il frutto di 30 anni di incomprensioni, mancate promesse, diffidenza reciproca e di due differenti visioni delle relazioni internazionali.

 

 

 

 

L’espansionismo

Nato in Europa.

 Altrenotizie.org- Manlio Dinucci-(07 Marzo 2022)- ci dice:

Si stenta a crederlo, ma un’alleanza militare, la Nato, il cui funzionamento vìola i principi di sovranità e uguaglianza degli Stati, iscritti nella Carta delle Nazioni Unite, negli ultimi 27 anni ha continuato a espandersi, contravvenendo ai trattati internazionali.

 È talmente incredibile che tutti se ne dimenticano.

«L’allargamento della Nato negli ultimi decenni è stato un grande successo e ha anche aperto la strada a un ulteriore allargamento della UE»: lo ha ribadito sabato scorso alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Per comprendere appieno le sue parole, occorre ricostruire nei termini essenziali questa storia di «grande successo».

 

Essa inizia nello stesso anno - il 1999 - in cui la Nato demolisce con la guerra la Jugoslava e, al vertice di Washington, annuncia di voler «condurre operazioni di risposta alle crisi, non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza».

 Dimenticando di essersi impegnata con la Russia a «non allargarsi neppure di un pollice a Est», la Nato inizia la sua espansione ad Est.

Ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Quindi, nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Federazione Jugoslava).

 Nel 2009, la Nato ingloba l’Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e la Croazia (già parte della Federazione Jugoslava); nel 2017, il Montenegro (già parte della Jugoslavia); nel 2020 la Macedonia del Nord (già parte della Jugoslavia) In vent’anni, la Nato si estende da 16 a 30 paesi.

In tal modo Washington ottiene un triplice risultato. Estende a ridosso della Russia, fin dentro il territorio dell’ex Urss, l’Alleanza militare di cui mantiene le leve di comando: il Comandante Supremo Alleato in Europa è, «per tradizione», sempre un generale Usa nominato dal presidente degli Stati Uniti e appartengono agli Usa anche gli altri comandi chiave.

 Allo stesso tempo, Washington lega i paesi dell’Est non tanto all’Alleanza, quanto direttamente agli Usa. Romania e Bulgaria, appena entrate, mettono subito a disposizione degli Stati Uniti le importanti basi militari di Costanza e Burgas sul Mar Nero. Il terzo risultato ottenuto da Washington con l’allargamento della Nato a Est è il rafforzamento della propria influenza in Europa.

 

Sui dieci paesi dell’Europa centro-orientale che entrano nella Nato tra il 1999 e il 2004, sette entrano nell’Unione Europea tra il 2004 e il 2007: alla UE che si allarga a Est, gli Stati Uniti sovrappongono la Nato che si allarga a Est sull’Europa.

Oggi 21 dei 27 paesi dell’Unione Europea appartengono alla Nato sotto comando Usa.

Il Consiglio Nord Atlantico, l’organo politico dell’Alleanza, secondo le norme Nato decide non a maggioranza ma sempre «all’unanimità e di comune accordo», ossia d’accordo con quanto deciso a Washington.

La partecipazione delle maggiori potenze europee a tali decisioni (esclusa l’Italia che ubbidisce tacendo) avviene in genere attraverso trattative segrete con Washington sul dare e avere.

Ciò comporta un ulteriore indebolimento dei parlamenti europei, in particolare di quello italiano, già oggi privati di reali poteri decisionali su politica estera e militare.

In tale quadro, l’Europa si ritrova oggi in una situazione ancora più pericolosa di quella della guerra fredda.

Altri tre paesi – Bosnia Erzegovina (già parte della Jugoslavia), Georgia e Ucraina (già parte dell’Urss) – sono candidati a entrare nella Nato.

Stoltenberg, portavoce degli Usa prima che della Nato, dichiara che «teniamo la porta aperta e, se l’obiettivo del Cremlino è quello di avere meno Nato ai confini della Russia, otterrà solo più Nato».

Nella escalation Usa-Nato, chiaramente diretta a far esplodere una guerra su larga scala nel cuore dell’Europa, entrano in gioco le armi nucleari.

Fra tre mesi inizia negli Usa la produzione in serie delle nuove bombe nucleari B61-12, che saranno schierate sotto comando Usa in Italia e altri paesi europei, probabilmente anche dell’Est ancora più a ridosso della Russia.

Oltre a queste, gli Usa hanno in Europa due basi terrestri in Romania e Polonia e quattro navi da guerra dotate del sistema missilistico Aegis, in grado di lanciare non solo missili anti-missile ma anche missili Cruise a testata nucleare.

Stanno inoltre preparando missili nucleari a raggio intermedio, da schierare in Europa contro la Russia, il nemico inventato che può però rispondere in maniera distruttiva se attaccato.

A tutto questo si aggiunge l’impatto economico e sociale della crescente spesa militare. Alla riunione dei ministri della Difesa, Stoltenberg ha annunciato trionfante che «questo è il settimo anno consecutivo di aumento della spesa della Difesa degli Alleati europei, accresciuta di 270 miliardi di dollari dal 2014». Altro denaro pubblico sottratto alle spese sociali e agli investimenti produttivi, mentre i paesi europei devono ancora riprendersi dal lockdown economico del 2020-21.

 La spesa militare italiana ha superato i 70 milioni di euro al giorno, ma non bastano. Il premier Draghi ha già annunciato «Ci dobbiamo dotare di una difesa più significativa: è chiarissimo che bisognerà spendere molto di più di quanto fatto finora». Chiarissimo: stringiamo la cinghia perché la Nato possa allargarsi.

(voltairenet.org).

 

 

 

 

 

La “profezia” di Biden:

“La Russia reagirà se la Nato si allarga.”

Nicolaporro.it- Redazione- (11 Marzo 2022)- ci dice :

 

Fa un po’ sorridere vedere il presidente Usa dire che l’allargamento a Est della Nato potrebbe creare problemi se non fatto coi tempi giusti. Maledetti archivi video.

Joe Biden odierno e Joe Biden nel 1997: oggi il Commander in Chief rivendica il diritto dell’Ucraina di chiedere l’ingresso nell’Alleanza Atlantica; ieri era consapevole che strappare troppo rapidamente Estonia, Lettonia e Lituania alla Russia avrebbe potuto provocare l’ira di Mosca.

Il video in questione, ripescato da Newsweek e diventato ormai rivale, ritrae l’allora senatore del Delaware in un accalorato discorso tenuto al Consiglio Atlantico il 18 giugno del 1997.

 Parole chiare, che oggi i critici verso le mosse Nato gli rinfacciano: “L’ammissione nella Nato gli Stati Baltici – diceva Joe – sarebbe l’unica mossa che rischierebbe di provocare una riposta vigorosa e ostile da parte della Russia e spostare gli equilibri tra Russia e Usa”.

Altri tempi, ovviamente.

L’Unione Sovietica era crollata da solo meno di 10 anni, la Russia era in evidente difficoltà e iniziava un debole dialogo tra i due blocchi prima divisi dalla Cortina di Ferro. Biden allora si mostrava cauto, benché deciso e speranzoso, nel promuovere l’allargamento della Nato ad Est. “Credo che con il tempo, il tempo significa nei prossimi anni, risolveremo il problema – diceva Biden – Ma nella misura in cui la Russia si sentirà a proprio agio”. Non con degli strappi.

Alla fine Estonia, Lettonia e Lituania sono entrate nell’Alleanza nel 2004. Solo pochi anni dopo rispetto alla previsione dell’ex senatore del Delaware.

Ma c’è chi, come il prof Alessandro Orsini, per questo censurato dalla Luiss, ritiene che il pragmatismo del 1997 sui Paesi Baltici Joe Biden avrebbe dovuto dimostrarlo anche con l’Ucraina.

 In fondo Putin ha giustificato l’invasione proprio con la scusa di impedire l’ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica, mossa considerata pericolosa per gli interessi di sicurezza di Mosca.

 Diciamo, parafrasando Biden, che Putin non si sentiva “a suo agio” con l’allargamento a Est. E infatti la sola ipotesi di vedere Kiev a braccetto con Washington potrebbe averlo convinto a dare il via ad “una risposta vigorosa”.

 

 

 

“Ti hanno censurato”. Il prof Orsini

costretto alla pubblica abiura.

Nicolaporro.it -Redazione- (11 Marzo 2022)- ci dice :

 

Il prof nel mirino della Luiss torna in tv e parla degli errori della Nato nel conflitto aperto da Putin in Ucraina.

Avevamo paventato questo problema circa dieci giorni fa: “Piccoli Putin crescono”, dicevamo. E facevamo riferimento alla censura di Dostoevskij da parte della Bicocca, alla insensata guerra ai direttori d’orchestra russi, così come alla caccia ai “putinisti” messi all’indice come i “no vax” o “no pass” al tempo del coronavirus.

Avevamo visto i primi sintomi di una pazzia collettiva.

La follia di un Paese che dice di combattere Putin e poi si dimentica che la differenza tra una democrazia e un regime è la libertà di espressione. Invece di rivendicare le nostre libertà, finiamo con l’assomigliare all’autarchia che arresta e incarcera i dissidenti. Ne volete una prova? Eccola.

Alessandro Orsini, Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS, una settimana fa era stato invitato a Piazza Pulita dove ha presentato un suo lucido ragionamento (discutibile, ma argomentato).

 In sintesi, diceva: se in Ucraina siamo arrivati a questo punto, un po’ di colpe sono anche dell’Ue e della Nato che hanno cercato l’allargamento a Est.

L’Università di Confindustria ha subito preso le distanze dal suo prof con una nota che fa a pugni col titolo di “Libera Università Internazionale”, dove si chiedeva a Orsini di “attenersi scrupolosamente al rigore scientifico e all’evidenza storica, senza lasciare spazio a pareri di carattere personale che possano inficiare valore, patrimonio di conoscenza e reputazione dell’intero Ateneo”. In sostanza: stai zitto o incolpa Putin.

Il prof per fortuna in tv ci è tornato eccome.

Solo che all’inizio del suo ragionamento, ieri sera, sempre a Piazza Pulita, ha dovuto fare una premessa che grida vendetta.

Grida vendetta per lo stato in cui verte la libertà di informazione e di opinione in Italia: uno stato catatonico.

In principio fu la messa al bando di filosofi stimati come Cacciari e Agamben, ora è il turno di Orsini.

 Il quale ha l’unica colpa di non allinearsi al pensiero unico della guerra in Ucraina (giusto o sbagliato che sia). “Parlo a titolo personale – ha detto Orsini in diretta – Non rappresento nessuno, condanno l’invasione della Russia, sto dalla parte degli ucraini. Penso che quando un professore universitario prima di parlare deve fare tutte queste premesse vuol dire che non c’è un bel clima”. Più che altro, mette i brividi.

 

 

 

La crisi tra Russia e Ucraina

spiegata in tre mappe.

Micromega.net- Ingrid Colanicchia-( 27 Febbraio 2022)- ci dice :

 

Ucraina, Nato e dipendenza energetica di Unione Europea e Italia dalla Russia. Tre mappe per “visualizzare” cause e posta in gioco della crisi in corso.

Un po’ di storia.

 Deflagrata in questi giorni, la crisi tra Russia e Ucraina (qui i motivi che hanno portato al conflitto) ha radici profonde. Dopo l’indipendenza, nel 1991, a seguito del crollo dell’Unione Sovietica, la relazione tra Mosca e Kiev è stata mutevole, a causa dell’alternanza tra governi più filo-russi e governi più vicini all’Unione Europea e all’Occidente.

Il contrasto si è fatto palese nel 2013, quando le proteste di piazza nazionaliste filo-occidentali e antirusse che prendono il nome di “Euro-Maidan” (e in cui sono presenti anche elementi neonazisti) mettono in fuga l’allora presidente Yanukovych (che si era rifiutato di firmare l’accordo di associazione e libero scambio con l’Unione Europea).

Non passa neppure un mese che, nel marzo 2014, gli abitanti della Crimea (a maggioranza russofona) esprimono mediante referendum (considerato illegale dalla Corte costituzionale ucraina) la volontà di tornare sotto la sovranità di Mosca.

La Russia non se lo fa dire due volte e sancisce ufficialmente la secessione della Repubblica di Crimea dall’Ucraina e la sua annessione alla Federazione Russa.

Ma non finisce qui.

 La regione del Donbass, nell’Est dell’Ucraina, segue a ruota l’esempio della Crimea: ha inizio una guerra civile nelle province di Donetsk e Lugansk, che si autoproclamano repubbliche indipendenti (si tratta delle due repubbliche riconosciute da Putin nel discorso di qualche giorno fa).

Nel febbraio 2015, con l’accordo detto Minsk II, si giunge a un cessate il fuoco ma gli impegni assunti in quel momento non vengono del tutto rispettati dalle parti, con la conseguenza che il conflitto prosegue di fatto ininterrottamente fino a oggi.

 

L’allargamento a est della Nato. Dopo la dissoluzione dell’Urss, nel 1991, la Nato si è allargata includendo molti Paesi storicamente all’interno dell’orbita russa.

 A eccezione degli Stati dell’ex Jugoslavia, tutti i Paesi entrati nell’Alleanza Atlantica dal 1991 a oggi erano infatti (fino a quella data) parte dell’Unione Sovietica o legati a essa dal Patto di Varsavia: parliamo di Polonia (1999), Repubblica ceca (1999), Ungheria (1999), Lettonia (2004), Lituania (2004), Estonia (2004), Romania (2004), Bulgaria (2004), Slovacchia (2004).

 Da allora la Nato si è allargata anche ad Albania (2009), Croazia (2009), Montenegro (2017) e Macedonia del nord (2020). L’Albania inizialmente aveva fatto parte del Patto di Varsavia ma ne era uscita di fatto nel 1961 e formalmente nel 1968, dopo l’invasione della Cecoslovacchia.

 

La dipendenza energetica di Italia e Unione Europea dalla Russia.

Per il proprio consumo, l’Ue ha bisogno di energia importata da Paesi terzi. Secondo i dati Eurostat, nel 2019 il principale prodotto energetico importato sono stati i prodotti petroliferi (compreso il petrolio greggio, che ne è il componente principale), che hanno rappresentato quasi i due terzi delle importazioni di energia nell’Ue, seguiti dal gas (27%) e dai combustibili fossili solidi (6%).

 La Russia è il principale fornitore dell’Ue di tutte e tre queste risorse.

Nella fattispecie, nel 2019, quasi due terzi delle importazioni di greggio extra-Ue provenivano da Russia (27%), Iraq (9%), Nigeria e Arabia Saudita (entrambi 8%) e Kazakistan e Norvegia (entrambi 7%); quasi tre quarti delle importazioni di gas naturale dell’Ue provenivano da Russia (41%), Norvegia (16%), Algeria (8%) e Qatar (5%); mentre oltre tre quarti di combustibili solidi (perlopiù carbone) provenivano da Russia (47%), Stati Uniti (18%) e Australia (14%).

Anche la dipendenza energetica dell’Italia è elevata:

nel 2020 la quota di importazioni nette rispetto alla disponibilità energetica lorda (un indicatore del grado di dipendenza del Paese dall’estero), si è attestata, secondo i dati del Ministero della Transizione ecologica, al 73% (nel 2019 era al 77,9%).

 L’approvvigionamento energetico del nostro Paese è costituito per il 40% dal gas naturale, per il 33% dal petrolio e per il 20% dalle fonti energetiche rinnovabili. Il ruolo della Russia, come noto, è di primo piano: il 43% delle nostre importazioni di gas naturale vengono infatti da Mosca.

 

 

 

 

Svezia e Finlandia vogliono entrare nella NATO:

la Russia muove le truppe al confine.

Lindipendente .online -Salvatore Toscano- (13 Aprile 2022 )- ci dice :

 

L’incontro tra i Paesi membri della NATO in programma a Madrid il 29 e il 30 giugno 2022 sta assumendo, giorno dopo giorno, una rilevanza più ampia.

Il Segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, ha infatti riferito che durante il summit verranno discussi i progetti «dell’adattamento a lungo termine della NATO», leggasi dispiegamento militare in Europa orientale.

A quest’ipotesi si aggiunge poi la volontà di Svezia e Finlandia di entrare a far parte dell’Alleanza.

Il primo ministro finlandese Sanna Marin, in una conferenza stampa congiunta a Stoccolma con l’omologa svedese Magdalena Andersson, ha dichiarato che «la Finlandia deciderà se candidarsi alla NATO entro poche settimane».

Nel frattempo, un filmato pubblicato da diversi media internazionali mostra la risposta di Mosca alle indiscrezioni: lo spostamento di veicoli militari al confine con la Finlandia (lungo 1.340 km).

Sulla volontà di Finlandia e Svezia di entrare a far parte dell’organizzazione, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato lo scorso 11 aprile che «un ulteriore allargamento della NATO non contribuirà alla sicurezza nel continente europeo».

 Oggi, a distanza di due giorni, i primi ministri di Svezia e Finlandia hanno parlato del futuro, con particolare riguardo nei confronti della scelta di mantenere la propria neutralità o aderire alla NATO.

Si tratta di un dubbio che, senza la guerra in Ucraina, avrebbe di certo un esito scontato, come dimostra un sondaggio rivolto alla popolazione finlandese nel 2019, quando soltanto il 20% degli intervistati si mostrò favorevole all’adesione all’Alleanza Atlantica.

Ma la guerra in Ucraina c’è da quasi due mesi ormai e, come ha dichiarato il primo ministro svedese nel corso della conferenza stampa, «c’è un prima e un dopo il 24 febbraio».

Sul binomio con la Finlandia, Magdalena Andersson ha sottolineato quanto «sarà importante per la Svezia la scelta del Paese», ammettendo che la decisione finale sarà influenzata da quanto accadrà a Helsinki.

Durante la stessa conferenza stampa, Sanna Marin ha  affermato che «la Finlandia condivide con la Russia un lungo confine», e oggi non può far altro che riflettere sul suo comportamento in Ucraina. «È una guerra in Europa che non volevamo accadesse, ma ora purtroppo è così. Sarà necessario capire cosa fare per evitare che accada nel nostro Paese».

Tra tante dichiarazioni e ipotesi è bene fare un passo indietro e consultare le fonti del diritto, internazionale in questo caso.

L’articolo 10 del Trattato Nord Atlantico afferma che “le parti [Stati membri] possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale“.

Considerare questa condizione è fondamentale per comprendere i meccanismi della NATO e riflettere sul suo funzionamento, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina.

 In un contesto geopolitico così delicato, l’entrata a far parte dell’Alleanza di Svezia e Finlandia (che condivide con la Russia un confine di 1.340 km, una lunghezza pari alla distanza tra le Alpi e Lampedusa) pone il rischio di una risposta da parte di Mosca, che da anni critica l’allargamento a Est dell’organizzazione, e per estensione un problema giuridico a monte per l’Alleanza perché uno Stato (europeo) può richiedere di far parte della NATO a patto che esso contribuisca alla sicurezza dei territori e dei membri coinvolti, cosa che non farebbero Svezia e soprattutto Finlandia in un momento storico così precario.

Si tratta, pertanto, di una scelta estremamente delicata, che merita di essere trattata con la massima attenzione  per evitare strumentalizzazioni che rischierebbero di alimentare una guerra internazionale.

(Salvatore Toscano).

 

 

Esclusivo: La geoeconomia russa

“Tzar Sergey Glazyev” presenta

il nuovo “sistema finanziario globale”.

Unz.com -Pepe Escobar- (14 Aprile 2022)- ci dice :

 

Il principale economista russo Sergey Glazyev afferma che una revisione completa del sistema monetario e finanziario globale dominato dall'Occidente è in corso. E le potenze emergenti del mondo ci stanno comprando.

Sergey Glazyev è un uomo che vive proprio nell'occhio del nostro attuale uragano geopolitico e geoeconomico.

 Uno degli economisti più influenti al mondo, membro dell'Accademia Russa delle Scienze ed ex consigliere del Cremlino dal 2012 al 2019, negli ultimi tre anni ha guidato il portafoglio super strategico di Mosca come Ministro responsabile dell'integrazione e della macroeconomia dell'Unione economica eurasiatica (UEE)- (EAEU).

La recente produzione intellettuale di Glazyev è stata a dir poco trasformativa, incarnata dal suo saggio “Sanctions and Sovereignty” e da un'ampia discussione sul nuovo paradigma geoeconomico emergente in un'intervista a una rivista economica russa.

In un altro dei suoi recenti saggi, Glazyev commenta come "Sono cresciuto a Zaporozhye, vicino al quale ora si svolgono pesanti combattimenti per distruggere i nazisti ucraini, che non sono mai esistiti nella mia piccola Patria. Ho studiato in una scuola ucraina e conosco bene la letteratura e la lingua ucraina, che da un punto di vista scientifico è un dialetto del russo. Non ho notato nulla di russofobo nella cultura ucraina. Nei 17 anni della mia vita a Zaporozhye, non ho mai incontrato un solo banderista".

Glazyev è stato gentile a prendersi un po' di tempo dal suo fitto programma per fornire risposte dettagliate a una prima serie di domande in quella che ci aspettiamo diventi una conversazione in corso, particolarmente focalizzata sul Sud del mondo.

 Questa è la sua prima intervista con una pubblicazione straniera dall'inizio dell'Operazione Z.

Mille grazie ad Alexey Subottin per la traduzione russo-inglese.

La culla: sei in prima linea in uno sviluppo geoeconomico rivoluzionario:

 la progettazione di un nuovo sistema monetario - finanziario attraverso un'associazione tra l'UEE e la Cina, bypassando il dollaro USA, con una bozza che sarà presto conclusa.

 Potrebbe forse far avanzare alcune delle caratteristiche di questo sistema – che non è certamente un Bretton Woods III – ma sembra essere una chiara alternativa al consenso di Washington e molto vicino alle necessità del Sud del mondo?

Glazyev: In un attacco di isteria russofoba, l'élite dominante degli Stati Uniti ha giocato il suo ultimo "asso di Trump" nella guerra ibrida contro la Russia.

Aver "congelato" le riserve valutarie russe nei conti di custodia delle banche centrali occidentali, dei regolatori finanziari degli Stati Uniti, dell'UE e del Regno Unito ha minato lo status del dollaro, dell'euro e della sterlina come valute di riserva globali. Questo passo ha accelerato bruscamente il continuo smantellamento dell'ordine economico mondiale basato sul dollaro.

 

Più di un decennio fa, i miei colleghi del “Forum economico di Astana” e io abbiamo proposto di passare a un nuovo sistema economico globale basato su una nuova valuta commerciale sintetica basata su un indice delle valute dei paesi partecipanti. Successivamente, abbiamo proposto di espandere il paniere valutario sottostante aggiungendo una ventina di materie prime negoziate in borsa. Un'unità monetaria basata su un paniere così espanso è stata modellata matematicamente e ha dimostrato un alto grado di resilienza e stabilità.

Più o meno nello stesso periodo, abbiamo proposto di creare un'ampia coalizione internazionale di resistenza nella guerra ibrida per il dominio globale che l'élite finanziaria e di potere degli Stati Uniti ha scatenato sui paesi che sono rimasti al di fuori del suo controllo.

Il mio libro The Last World War: the USA to Move and Lose, pubblicato nel 2016, ha spiegato scientificamente la natura di questa guerra imminente e ha sostenuto la sua inevitabilità – una conclusione basata su leggi oggettive di sviluppo economico a lungo termine. Basato sulle stesse leggi oggettive, il libro sosteneva l'inevitabilità della sconfitta del vecchio potere dominante.

Attualmente, gli Stati Uniti stanno combattendo per mantenere il loro dominio, ma proprio come la Gran Bretagna in precedenza, che ha provocato due guerre mondiali ma non è stata in grado di mantenere il suo impero e la sua posizione centrale nel mondo a causa dell'obsolescenza del suo sistema economico coloniale, è destinata a fallire.

 Il sistema economico coloniale britannico basato sul lavoro degli schiavi fu superato da sistemi economici strutturalmente più efficienti degli Stati Uniti e dell'URSS.

Sia gli Stati Uniti che l'URSS erano più efficienti nel gestire il capitale umano in sistemi integrati verticalmente, che dividevano il mondo nelle loro zone di influenza.

Una transizione verso un nuovo ordine economico mondiale è iniziata dopo la disintegrazione dell'URSS.

Questa transizione sta ora raggiungendo la sua conclusione con l'imminente disintegrazione del sistema economico globale basato sul dollaro, che ha fornito le basi del dominio globale degli Stati Uniti.

Il nuovo sistema economico convergente emerso nella RPC (Repubblica Popolare Cinese) e in India è la prossima inevitabile fase di sviluppo, che combina i benefici sia della pianificazione strategica centralizzata e dell'economia di mercato, sia del controllo statale delle infrastrutture monetarie e fisiche e dell'imprenditorialità.

Il nuovo sistema economico ha unito vari strati delle loro società attorno all'obiettivo di aumentare il benessere comune in un modo sostanzialmente più forte delle alternative anglosassoni ed europee.

Questo è il motivo principale per cui Washington non sarà in grado di vincere la guerra ibrida globale che ha iniziato. Questo è anche il motivo principale per cui l'attuale sistema finanziario globale incentrato sul dollaro sarà sostituito da uno nuovo, basato su un consenso dei paesi che aderiscono al nuovo ordine economico mondiale.

Nella prima fase della transizione, questi paesi ricorrono all'utilizzo delle loro valute nazionali e dei meccanismi di compensazione, sostenuti da swap di valuta bilaterali.

 A questo punto, la formazione dei prezzi è ancora per lo più guidata dai prezzi in varie borse, denominate in dollari. Questa fase è quasi finita: dopo che le riserve della Russia in dollari, euro, sterlina e yen sono state "congelate", è improbabile che qualsiasi paese sovrano continui ad accumulare riserve in queste valute. Il loro sostituto immediato sono le valute nazionali e l'oro.

La seconda fase della transizione comporterà nuovi meccanismi di determinazione dei prezzi che non fanno riferimento al dollaro.

La formazione dei prezzi nelle valute nazionali comporta notevoli spese generali, tuttavia, sarà ancora più attraente rispetto al prezzo di valute "non ancorate" e insidiose come dollari, sterline, euro e yen.

L'unico candidato valutario globale rimasto – lo yuan – non prenderà il suo posto a causa della sua inconvertibilità e del limitato accesso esterno ai mercati dei capitali cinesi. L'uso dell'oro come riferimento di prezzo è limitato dall'inconveniente del suo utilizzo per i pagamenti.

 

La terza e ultima fase della transizione del nuovo ordine economico comporterà la creazione di una nuova valuta di pagamento digitale fondata attraverso un accordo internazionale basato su principi di trasparenza, equità, buona volontà ed efficienza.

 Mi aspetto che il modello di tale unità monetaria che abbiamo sviluppato svolgerà il suo ruolo in questa fase.

Una valuta come questa può essere emessa da un pool di riserve valutarie dei paesi BRICS, a cui tutti i paesi interessati potranno aderire.

Il peso di ciascuna valuta nel paniere potrebbe essere proporzionale al PIL di ciascun paese (basato sulla parità di potere d'acquisto, ad esempio), alla sua quota nel commercio internazionale, nonché alla popolazione e alle dimensioni del territorio dei paesi partecipanti.

Inoltre, il paniere potrebbe contenere un indice dei prezzi delle principali materie prime negoziate in borsa: oro e altri metalli preziosi, metalli industriali chiave, idrocarburi, cereali, zucchero, nonché acqua e altre risorse naturali.

Per fornire sostegno e rendere la valuta più resiliente, è possibile creare a tempo debito riserve di risorse internazionali pertinenti.

 Questa nuova valuta verrebbe utilizzata esclusivamente per i pagamenti transfrontalieri ed emessa verso i paesi partecipanti sulla base di una formula predefinita.

 I paesi partecipanti utilizzerebbero invece le loro valute nazionali per la creazione di credito, al fine di finanziare gli investimenti nazionali e l'industria, nonché per le riserve di ricchezza sovrana. I flussi transfrontalieri dei conti di capitale rimarrebbero disciplinati dalle normative valutarie nazionali.

Michael Hudson chiede specificamente che se questo nuovo sistema consente alle nazioni del Sud del mondo di sospendere il debito dollarizzato e si basa sulla capacità di pagare (in valuta estera), questi prestiti possono essere legati a materie prime o, per la Cina, alla proprietà azionaria tangibile nell'infrastruttura di capitale finanziata dal credito estero non in dollari?

Glazyev: La transizione verso il “nuovo ordine economico mondiale” sarà probabilmente accompagnata dal rifiuto sistematico di onorare gli obblighi in dollari, euro, sterlina e yen.

A questo proposito, non sarà diverso dall'esempio dato dai paesi che emettono queste valute che hanno ritenuto opportuno rubare riserve di valuta estera di Iraq, Iran, Venezuela, Afghanistan e Russia per un importo di trilioni di dollari. Dal momento che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l'UE e il Giappone si sono rifiutati di onorare i loro obblighi e hanno confiscato la ricchezza di altre nazioni che era detenuta nelle loro valute, perché altri paesi dovrebbero essere obbligati a rimborsarli e a servire i loro prestiti?

In ogni caso, la partecipazione al nuovo sistema economico non sarà vincolata dagli obblighi di quello vecchio.

I paesi del Sud del mondo possono essere pienamente partecipi del nuovo sistema indipendentemente dai loro debiti accumulati in dollari, euro, sterlina e yen.

 Anche se dovessero inadempire i loro obblighi in quelle valute, ciò non avrebbe alcuna incidenza sul loro rating del credito nel nuovo sistema finanziario.

La nazionalizzazione dell'industria estrattiva, allo stesso modo, non causerebbe un'interruzione. Inoltre, se questi paesi riservassero una parte delle loro risorse naturali per il sostegno del nuovo sistema economico, il loro rispettivo peso nel paniere valutario della nuova unità monetaria aumenterebbe di conseguenza, fornendo a quella nazione maggiori riserve valutarie e capacità di credito.

 Inoltre, le linee di swap bilaterali con i paesi partner commerciali fornirebbero loro finanziamenti adeguati per i coinvestimenti e il finanziamento commerciale.

In uno dei suoi ultimi saggi, The Economics of the Russian Victory, lei chiede "una formazione accelerata di un nuovo paradigma tecnologico e la formazione di istituzioni di un nuovo ordine economico mondiale".

Tra le raccomandazioni, lei propone specificamente la creazione di "un sistema di pagamento e regolamento nelle valute nazionali degli Stati membri dell'UEE" e lo sviluppo e l'attuazione di "un sistema indipendente di insediamenti internazionali nell'UEE, nella SCO e nei BRICS, che potrebbe eliminare la dipendenza critica del sistema SWIFT controllato dagli Stati Uniti".

È possibile prevedere una spinta congiunta concertata da parte dell'UEE e della Cina per "vendere" il nuovo sistema ai membri della SCO, ad altri membri dei BRICS, ai membri dell'ASEAN e alle nazioni dell'Asia occidentale, dell'Africa e dell'America Latina? E questo si tradurrà in una geoeconomia bipolare – l'Occidente contro il Resto?

 

Glazyev: In effetti, questa è la direzione in cui stiamo andando.

In modalità deludente , le autorità monetarie della Russia fanno ancora parte del paradigma di Washington e giocano secondo le regole del sistema basato sul dollaro, anche dopo che le riserve valutarie russe sono state catturate dall'Occidente.

D'altra parte, le recenti sanzioni hanno stimolato un'ampia ricerca dell'anima tra il resto dei paesi non appartenenti al blocco del dollaro.

Gli "agenti di influenza" occidentali controllano ancora le banche centrali della maggior parte dei paesi, costringendole ad applicare politiche suicide prescritte dal FMI.

Tuttavia, tali politiche a questo punto sono così palesemente contrarie agli interessi nazionali di questi paesi non occidentali che le loro autorità stanno diventando giustamente preoccupate per la sicurezza finanziaria.

Lei evidenzia correttamente i ruoli potenzialmente centrali di Cina e Russia nella genesi del nuovo ordine economico mondiale.

 Sfortunatamente, l'attuale leadership della CBR (Banca Centrale di Russia) rimane intrappolata all'interno del cul-de-sac intellettuale del paradigma di Washington e non è in grado di diventare un partner fondatore nella creazione di un nuovo quadro economico e finanziario globale.

Allo stesso tempo, la CBR ha già dovuto affrontare la realtà e creare un sistema nazionale per la messaggistica interbancaria che non dipenda da SWIFT, e lo ha aperto anche alle banche straniere.

Sono già state istituite linee di swap cross-currency con le principali nazioni partecipanti. La maggior parte delle transazioni tra gli Stati membri dell'UEE sono già denominate in valute nazionali e la quota delle loro valute nel commercio interno sta crescendo a un ritmo rapido.

 

Una transizione simile sta avvenendo nel commercio con Cina, Iran e Turchia.

L'India ha indicato che è pronta a passare anche ai pagamenti in valute nazionali.

Si sta compiendo molto per sviluppare meccanismi di compensazione per i pagamenti in valuta nazionale. Parallelamente, c'è uno sforzo in corso per sviluppare un sistema di pagamento digitale non bancario, che sarebbe collegato all'oro e ad altre materie prime scambiate in borsa - "stablecoin".

Le recenti sanzioni statunitensi ed europee imposte ai canali bancari hanno causato un rapido aumento di questi sforzi. Il gruppo di paesi che lavorano sul nuovo sistema finanziario deve solo annunciare il completamento del quadro e la prontezza della nuova valuta commerciale e il processo di formazione del nuovo ordine finanziario mondiale accelererà ulteriormente da lì.

 Il modo migliore per realizzarlo sarebbe quello di annunciarlo alle riunioni regolari della SCO o dei BRICS. Ci stiamo lavorando.

The Cradle: Questo è stato un problema assolutamente chiave nelle discussioni degli analisti indipendenti in tutto l'Occidente.

La Banca centrale russa stava consigliando ai produttori di oro russi di vendere il loro oro nel mercato di Londra per ottenere un prezzo più alto di quello che il governo russo o la Banca centrale avrebbero pagato?

Non c'era alcuna anticipazione che l'imminente alternativa al dollaro USA dovesse essere basata in gran parte sull'oro? Come caratterizzerebbe quello che è successo? Quanti danni pratici ha inflitto questo all'economia russa a breve e medio termine?

 

Glazyev: La politica monetaria della CBR, attuata in linea con le raccomandazioni del FMI, è stata devastante per l'economia russa.

I disastri combinati del "congelamento" di circa $ 400 miliardi di riserve valutarie e oltre un trilione di dollari dirottati dall'economia dagli oligarchi verso destinazioni offshore occidentali, sono arrivati con lo sfondo di politiche altrettanto disastrose della CBR, che includevano tassi reali eccessivamente elevati combinati con un flottante gestito del tasso di cambio.

Stimiamo che ciò abbia causato un sotto-investimento di circa 20 trilioni di rubli e una sottoproduzione di circa 50 trilioni di rubli in beni.

Seguendo le raccomandazioni di Washington, la CBR ha smesso di acquistare oro negli ultimi due anni, costringendo di fatto i minatori d'oro nazionali a esportare pieni volumi di produzione, che hanno aggiunto fino a 500 tonnellate di oro.

In questi giorni l'errore e il danno che ha causato sono molto evidenti. Attualmente, la CBR ha ripreso gli acquisti di oro e, si spera, continuerà con politiche sane nell'interesse dell'economia nazionale invece di "mirare all'inflazione" a beneficio degli speculatori internazionali, come era avvenuto nell'ultimo decennio.

La culla: la Fed e la BCE non sono state consultate sul congelamento delle riserve estere russe. A New York e Francoforte si dice che si sarebbero opposti se fosse stato loro chiesto. Ti aspettavi personalmente il congelamento? E la leadership russa se lo aspettava?

 

Glazyev: Il mio libro "L'ultima guerra mondiale" che ho già menzionato, che è stato pubblicato nel lontano 2015, sosteneva che la probabilità che ciò accada alla fine è molto alta.

In questa guerra ibrida, la guerra economica e la guerra informativa - cognitiva sono teatri chiave di conflitto. Su entrambi questi fronti, gli Stati Uniti e i paesi della NATO hanno una superiorità schiacciante e non avevo alcun dubbio che ne avrebbero approfittato appieno a tempo debito.

 

Ho discusso a lungo per la sostituzione di dollari, euro, sterline e yen nelle nostre riserve valutarie con l'oro, che viene prodotto in abbondanza in Russia.

Sfortunatamente, gli agenti di influenza occidentali che occupano ruoli chiave presso le banche centrali della maggior parte dei paesi, così come le agenzie di rating e le pubblicazioni chiave, sono riusciti a mettere a tacere le mie idee.

Per fare un esempio, non ho dubbi che alti funzionari della Fed e della BCE siano stati coinvolti nello sviluppo di sanzioni finanziarie anti-russe. Queste sanzioni sono state costantemente intensificate e vengono attuate quasi istantaneamente, nonostante le ben note difficoltà con il processo decisionale burocratico nell'UE.

 

La culla: Elvira Nabiullina è stata riconfermata a capo della Banca centrale russa. Cosa faresti di diverso, rispetto alle sue azioni precedenti? Qual è il principale principio guida coinvolto nei vostri diversi approcci?

Glazyev: La differenza tra i nostri approcci è molto semplice. Le sue politiche sono un'attuazione ortodossa delle raccomandazioni del FMI e dei dogmi del paradigma di Washington, mentre le mie raccomandazioni si basano sul metodo scientifico e sulle prove empiriche accumulate negli ultimi cento anni nei principali paesi.

La culla: la partnership strategica Russia-Cina sembra essere sempre più ferrea – come gli stessi presidenti Putin e Xi riaffermano costantemente. Ma ci sono rumori contro di esso non solo in Occidente, ma anche in alcuni circoli politici russi. In questo delicatissimo momento storico, quanto è affidabile la Cina come alleato per tutte le stagioni della Russia?

Glazyev: Il fondamento del partenariato strategico russo-cinese è il buon senso, gli interessi comuni e l'esperienza di cooperazione nel corso di centinaia di anni.

L'élite dominante degli Stati Uniti ha iniziato una guerra ibrida globale volta a difendere la sua posizione egemonica nel mondo, prendendo di mira la Cina come principale concorrente economico e la Russia come forza chiave di contro-bilanciamento.

Inizialmente, gli sforzi geopolitici degli Stati Uniti miravano a creare un conflitto tra Russia e Cina. Agenti di influenza occidentale stavano amplificando le idee xenofobe nei nostri media e bloccando qualsiasi tentativo di transizione ai pagamenti in valute nazionali. Da parte cinese, agenti di influenza occidentale stavano spingendo il governo a mettersi in linea con le richieste degli interessi degli Stati Uniti.

Tuttavia, gli interessi sovrani di Russia e Cina hanno logicamente portato alla loro crescente partnership strategica e cooperazione, al fine di affrontare le minacce comuni provenienti da Washington.

 La guerra tariffaria degli Stati Uniti con la Cina e la guerra delle sanzioni finanziarie con la Russia hanno convalidato queste preoccupazioni e dimostrato il pericolo chiaro e presente che i nostri due paesi stanno affrontando.

Interessi comuni di sopravvivenza e resistenza stanno unendo Cina e Russia, e i nostri due paesi sono in gran parte simbiotici economicamente. Completano e aumentano i vantaggi competitivi l'uno dell'altro. Questi interessi comuni persisteranno nel lungo periodo.

Il governo cinese e il popolo cinese ricordano molto bene il ruolo dell'Unione Sovietica nella liberazione del loro paese dall'occupazione giapponese e nell'industrializzazione postbellica della Cina.

 I nostri due paesi hanno una solida base storica per il partenariato strategico e siamo destinati a cooperare strettamente nei nostri interessi comuni.

Spero che il partenariato strategico della Russia e della RPC, che è rafforzato dall'accoppiamento della One Belt One Road con l'Unione Economica Eurasiatica, diventi il fondamento del progetto del Presidente Vladimir Putin del Grande Partenariato Eurasiatico e il nucleo del nuovo ordine economico mondiale.

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