NO ALL’ OBBLIGO VACCINALE.
NO ALL’ OBBLIGO
VACCINALE.
Il
Bundestag boccia il cancelliere Scholz:
“no
all’obbligo vaccinale”.
Laverita.info-
Redazione-(8 aprile 2022)- ci dice :
Niente
obbligo vaccinale ,in Germania, per gli over
60.
Il
Bundestag ha votato contro il provvedimento di contrasto alla “pandemia “
fortemente voluto dal cancelliere Olaf Scholz .
La
proposta di legge ,firmata da un gruppo di deputati dei partiti di governo (Fdp
, Verdi e Spd ) è stata bocciata con 296
favorevoli e 378 contrari.
“No
all’obbligo!”. La Germania boccia la
vaccinazione
forzata. Resta solo l’Italia.
Ilparagone.it-redazione-(7
Aprile 2022)- ci dice :
È
ufficiale: la Germania non metterà l’obbligo di vaccinazione anti-covid per le
persone sopra i 60 anni.
il Parlamento ha infatti respinto oggi,
giovedì, la proposta con 378 voti a 296. La proposta, frutto di un compromesso
tra favorevoli e contrari all’immunizzazione obbligatoria generale tra cui un
gruppo di deputati dei partiti di governo SPD, Verdi e FDP, è stata, infine,
bocciata dal Parlamento tedesco. Una rilevante parte dell’FDP ha opposto forte
resistenza al provvedimento.
Proprio
in questi giorni erano state allentate le misure restrittive in contrasto alla
diffusione del coronavirus: a partire dal primo maggio, le persone contagiate col
Covid-19 e quelle entrate in contatto con loro, saranno sottoposti soltanto ad
una quarantena volontaria di cinque giorni. Questo anche grazie al calo dei
contagi, con una curva che ha ormai sorpassato il picco massimo.
La
sconfitta di Scholz.
Il
“no” del Parlamento sancisce una vera e propria sconfitta per il cancelliere
Olaf Scholz ed il ministro della salute Karl Lauterbach. Entrambi, infatti, si erano
dichiarati apertamente favorevoli.
"Vaccino,
su obbligo e pass
il Governo viola la privacy-"
garanteprivacy.it
- Valentino Di Giacomo - Il Mattino-( 25 aprile 2021)-ci dice :
"Vaccino,
su obbligo e pass il Governo viola la privacy"
Intervista
a Pasquale Stanzione, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali.
"II
governo non ci ha consultati ed era tenuto per legge a farlo". Pasquale Stanzione è dallo
scorso luglio il presidente dell'Autorità garante della Privacy. Campano,
giurista di fama, negli ultimi giorni sta rilevando come il governo sui pass
vaccinali e sull'obbligatorietà del vaccino per il personale sanitario non si
sia consultato con l'Authority.
Presidente,
venerdì ha diffuso un comunicato che di fatto stronca il pass vaccinale, ma
soprattutto ha richiesto di essere consultato dall'esecutivo Draghi: non è
stato fatto neppure per il decreto del primo aprile?
"Entrambi
i decreti legge sono stati adottati in assenza della previa consultazione del
Garante,
dovuta invece secondo il Gdpr per introdurre, già a livello legislativo, le
garanzie necessari e non soltanto alla piena legittimità delle disposizioni
interne, ma anche a delineare il miglior equilibrio possibile tra le esigenze
pubblicistiche di volta in volta in rilievo e la riservatezza individuale.
Come
dimostra, poi, l'attività consultiva svolta rispetto ai provvedimenti
emergenziali dell'ultimo anno (si pensi soltanto ad Immuni), le indicazioni del
Garante hanno consentito di favorire quella fiducia nel digitale necessaria per
la legittimazione sociale di misure altrimenti viste spesso con sospetto. Ecco
perché, tanto più rispetto a misure delicate e complesse quale l'obbligo
vaccinale per alcune categorie di operatori sani tari e le certificazioni verdi
sarebbe stato importante acquisire il parere del Garante prima che le
disposizioni entrassero in vigore".
Comprenderà
che però così i cittadini restano disorientati. Che succede da giugno per
spostarsi e come deve organizzarsi un'impresa che opera nel turismo? Così si
crea una giungla di pareri: a chi bisogna far riferimento, all'Authority o al governo?
"Sono
certo che le norme saranno, in sede di conversione, modificate in modo da
essere pienamente conformi alla disciplina europea, auspicabilmente consultando
il Garante anche nella forma dell'audizione parlamentare.
In presenza di un contrasto, insanabile
persino a livello ermeneutico, tra la norma legislativa e il parametro europeo,
l'illegittimità
del trattamento dei dati personali fondato su quella disciplina esporrebbe,
infatti, non soltanto a sanzioni chi lo realizzi, ma soprattutto renderebbe
inutilizzabili i dati cosi acquisiti, vanificando lo stesso scopo della misura
introdotta".
Almeno
per il pass vaccinale si può porre rimedio?
"La
norma può essere resa conforme alla disciplina privacy, con alcune integrazioni
in sede di conversione, abbiamo già chiarito al governo i punti da
correggere".
E per
il decreto del primo aprile per "obbligare" il personale sanitario a
vaccinarsi ci sono rilievi?
"Sì,
merita delle modifiche volte, in particolare, a definire con maggiore esattezza
i soggetti interessati dall'obbligo vaccinale, le tipologie di dati da trattare
con specifiche garanzie per quelli dei soggetti esentati dall'obbligo, dai
quali possono desumersi patologie e le modalità di realizzazione del flusso
informativo".
Si
rende conto che però cosi si crea un corto circuito? Cosa deve fare il
dirigente di un'azienda sanitaria? Almeno in tempi di pandemia non crede debbano
valere norme speciali per affrontare questa sciagura?
"La
fonte dei disagi che si stanno verificando non è la privacy, che è un
presupposto di libertà, ma la lacunosità della disciplina".
Se per
aggirare il problema della privacy i dipendenti di un ospedale o di una
qualsiasi azienda già vaccinati informassero autonomamente i propri superiori
dell'avvenuta vaccinazione cosi da isolare i "no vax"? Sarebbe
possibile?
"La
disciplina europea s'impone come parametro di legittimità di quella interna, ma
non vi è esigenza di un diritto speciale e derogatorio. Non c'è, dunque, bisogno di deroghe
ma di dialogo istituzionale per individuare il più alto equilibrio tra i
diritti in gioco".
Non
crede che il diritto alla salute collettiva valga più di qualche dato personale
in questo momento?
"La
privacy ha dimostrato di essere un diritto straordinariamente duttile e mai
tiranno, capace di continui bilanciamenti con le esigenze collettive.
Non si
è mai posto un aut aut tra salute e privacy, ma si è suggerito come realizzare
la migliore sinergia tra le due.
Ad
esempio considero il sistema italiano, volto a tracciare i contatti, non le
persone, minimizzando l'impatto sulla privacy nel segno di una scelta libera,
ma assunta nel segno della responsabilità sociale, un esempio di quella
duttilità della privacy di cui dicevo".
Scattano
le prime
multe da 100 euro
agli
over 50 no-vax, saranno
fino a
100mila al giorno.
Fanpage.it-Giacomo
Andreoli- (8 aprile 2022)- ci dice :
Dopo
diverse lungaggini e problemi burocratici, partono le multe automatiche da 100
euro per gli over 50 che non si sono vaccinati entro lo scorso 1° febbraio.
A più
di due mesi dall'introduzione ufficiale dell'obbligo e quando è terminato lo
Stato di emergenza, scattano le sanzioni per gli over 50 che non si sono
vaccinati. Tutti gli ultracinquantenni che non si sono sottoposti alle dosi,
ovviamente escluso chi non ha potuto farlo per motivi sanitari, riceveranno una
lettera dall'Agenzia delle Entrate che li avvisa della multa.
Si
sblocca così il processo di invio, fermo negli ultimi due mesi per la
difficoltà da parte del ministero della Salute (supportato dalle Asl e da
Sogei, l'azienda che lavora per il ministero dell'Economia) di stilare gli
elenchi precisi dei non vaccinati. Non solo: fino a pochi giorni fa si era
ancora in attesa di ricevere il parere favorevole da parte del Garante della
Privacy.
Ora,
con l'ok da parte dell'Autorità, gli elenchi sono arrivati all'Agenzia-lato
Riscossione, che tramite Poste invierà le cartelle esattoriali.
In
tutto gli over 50 che non si sono vaccinati entro il 1° febbraio sono 1,8
milioni, tra cui però ci sono centinaia di migliaia di guariti e diverse
persone che non si sono potute sottoporre a nessuna dose. Per questo Sogei a
gennaio stimava che i soggetti effettivamente da sanzionare fossero circa
1,5/1,6 milioni.
Il
primo lotto di lettere (chiamate "comunicazioni di avvio del
procedimento sanzionatorio") è in via di spedizione: saranno circa 600mila. Poi
ne dovrebbero essere inviate da 50mila a 100mila al giorno, in base alla
ricezione degli elenchi da parte del ministero della Salute. Una volta arrivata
la lettera, gli ultracinquantenni (lavoratori, disoccupati o pensionati)
avranno dieci giorni per rispondere, inviando eventualmente un certificato
medico per dimostrare che non si sono potuti vaccinare.
A
valutare questi documenti saranno le Asl competenti. Si eviterà la sanzione
solo in caso "di accertato pericolo per la salute, in relazione a
specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina
generale dell’assistito o dal medico vaccinatore". Dopo aver ricevuto la replica
alla comunicazione, l'Agenzia avrà altri 180 giorni per mandare effettivamente
la cartella via mail o tramite Pec.
Anche
stimando che le prime lettere arrivino in questi giorni, le prime risposte si
avrebbero a fine mese: è probabile quindi che l'invio effettivo delle cartelle
arrivi a ridosso della fatidica data del 15 giugno, quando scadrà l'obbligo
vaccinale (tranne per medici, sanitari e personale delle Rsa). Anche se la
multa arrivasse dopo quella data il pagamento sarebbe comunque dovuto.
(fanpage.it/attualita/scattano-le-prime-multe-da-100-euro-agli-over-50-no-vax-saranno-fino-a-100mila-al-giorno/).
I
pazienti Covid hanno un rischio maggiore
di
coaguli di sangue fino a 6 mesi dal contagio.
Fanpage.it-
Andrea Centini - (8 aprile 2022)- ci dice :
Confrontando
le cartelle cliniche di milioni di persone è stato determinato che i pazienti
Covid hanno un rischio superiore di gravi coaguli di sangue per mesi.
I
pazienti che hanno avuto la COVID-19, la malattia provocata dal coronavirus
SARS-CoV-2, hanno un rischio maggiore di sviluppare gravi coaguli di sangue
entro sei mesi dall'infezione.
Ad aumentare sono infatti le probabilità di
trombosi venosa profonda, embolia polmonare e sanguinamento a seguito della
formazione di trombi.
Il
tromboembolismo è una delle complicazioni note della patologia infettiva, che
può innescarsi a causa dei danni ai vasi sanguigni o dei processi infiammatori. Secondo il nuovo studio tale
rischio è risultato più significativo per le persone che sono state ricoverate
in ospedale e per chi ha contratto l'infezione durante la prima fase della
pandemia, quando le cure disponibili erano meno specializzate, le conoscenze
sulla COVID-19 erano minori e soprattutto non c'erano ancora a disposizione i
vaccini.
A
determinare che i pazienti Covid hanno un rischio superiore di gravi coaguli di
sangue entro sei mesi dall'infezione è stato un team di ricerca
internazionale guidato da scienziati svedesi dell'Università di Umea, che hanno
collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Matematica e
Statistica della The Open University (Regno Unito) e del Dipartimento di
Chirurgia dell'Università di Helsinki – Ospedale Universitario di Helsinki
(Finlandia). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Anne-Marie Fors
Connolly, esperta in medicina delle infezioni molecolari, sono giunti alle loro
conclusioni dopo aver progettato uno specifico studio di coorte, mettendo a
confronto le cartelle cliniche di oltre un milione di pazienti positivi al
coronavirus SARS-CoV-2 (contagiati tra il 1° febbraio del 2020 e il 25 maggio
2021) con quelle di più di 4 milioni di soggetti del gruppo di controllo. I
partecipanti, tutti svedesi, sono stati abbinati per età, sesso e contea di
residenza.
Durante
il periodo di follow-up la professoressa Fors Connolly e i colleghi hanno
verificato il tasso di incidenza di trombosi venosa profonda, embolia polmonare
o evento emorragico nei due gruppi di partecipanti abbinati, tenendo anche
conto di eventuali fattori confondenti per il risultati;
fra essi il cancro, trattamenti con
anticoagulanti, precedenti sanguinamenti e altre condizioni che catalizzano il
rischio di evento tromboembolico. Incrociando i dati è emerso chiaramente che i
pazienti Covid avevano un rischio significativamente superiore di sviluppare
serie complicazioni da coaguli di sangue rispetto a chi non era stato
contagiato.
Nello
specifico, è stato scoperto che 4 pazienti Covid su 10mila hanno avuto un
evento di trombosi venosa profonda contro 1 su 10mila del gruppo di controllo,
mentre 17 pazienti Covid su 10mila hanno avuto un'embolia polmonare rispetto a
meno di 1 su 10mila che non aveva contratto l'infezione.
L'aumento
del rischio di trombosi venosa profonda nei pazienti Covid si è normalizzato
dopo tre mesi dal contagio; quello di embolia polmonare dopo sei mesi e quello
di sanguinamento – come un ictus – dopo due mesi.
Come
funziona il vaccino Covid austriaco
PreS-RBD che colpisce tutte le varianti.
Fanpage.it-redazione-
(8 aprile 2022)- ci dice :
I
pazienti che avevano avuto una Covid grave, tanto da richiedere il ricovero in
ospedale, avevano un rischio di coaguli di sangue nei polmoni di circa 300
volte superiore alla norma, mentre era di sette volte superiore per chi aveva
avuto una forma leggera di Covid.
Gli
scienziati non hanno rilevato un aumento del rischio di emorragia interna nei
pazienti con infezione lieve.
Complessivamente,
spiegano i ricercatori nell'abstract dello studio, il rischio assoluto tra i
pazienti che avevano avuto la COVID-19 era dello 0,039 percento (401 casi) per
la trombosi venosa profonda; dello 0,17 percento (1761 casi) per l'embolia
polmonare e dello 0,101 percento (1002 casi) per il sanguinamento. “I risultati
di questo studio suggeriscono che la COVID-19 è un fattore di rischio per la
trombosi venosa profonda, embolia polmonare e le emorragie”, hanno chiosato la
professoressa Fors Connolly e i colleghi.
In
un'intervista alla BBC l'autrice principale dello studio ha sottolineato che
questi dati rappresentano una buona ragione per vaccinarsi, dato che i rischi
di trombosi associata ai vaccini – in particolar modo quelli a vettore
adenovirale – sono sensibilmente inferiori rispetto all'infezione.
I
dettagli della ricerca “Risks of deep vein thrombosis, pulmonary embolism, and
bleeding after covid-19: nationwide self-controlled cases series and matched
cohort study” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The
British Medical Journal.
(fanpage.it/innovazione/scienze/i-pazienti-covid-hanno-un-rischio-elevato-di-coaguli-di-sangue-fino-a-6-mesi-dal-contagio/).
Trust
the Plan:
e se ci fosse davvero
un
Progetto Segreto tra Trump, Putin e Xi Jinping?
Conoscenzealconfine.it
-( 8 Aprile 2022)- Martina Giuntoli-ci dice:
Ad
oggi la battaglia contro le éelite di Davos e contro il mondialismo unipolare,
quella stessa battaglia che aveva iniziato Trump nel 2016, pare proprio la stia
combattendo Putin.
Donald
Trump lo abbiamo sentito più volte negli ultimi mesi fare affermazioni non
proprio chiarissime in merito alle sue posizioni in politica internazionale.
Magari ci saremmo aspettati dichiarazioni ancora più apertamente
anti-globaliste una volta lasciata la Casa Bianca, e invece nulla.
Lo
stesso Monsignor Viganò, nella sua lettera dell’ottobre del 2020, come
ricorderete, aveva visto in lui il candidato
ideale da opporre contro il Great Reset.
Eppure,
dopo le vicende elettorali tristemente terminate con un broglio di sistema,
Trump ha lasciato il suo posto, ha fatto i bagagli e si è trasferito a
Mar-a-Lago in una specie di esilio volontario, ritornando solo di tanto in
tanto a parlare dal palco di qualche suo rally, o al telefono per qualche
intervista tv.
E
quindi davvero dovremmo pensare che per il Trump che abbiamo conosciuto sia
tutto finito così?
Davvero
possiamo pensare che Monsignor Viganò abbia affidato le sue raccomandazioni ad
una persona a caso?
Non
esattamente: potremmo anzi provare ad ipotizzare che ciò cui stiamo assistendo
sia un bluff in piena regola, una partita di poker in cui il tycoon newyorkese
non farebbe mai vedere davvero le carte che ha in mano, cosa che in ultima
analisi renderebbe la sua comunicazione criptata, da interpretare.
Durante
il suo ultimo rally, diversi esponenti del partito repubblicano si sono riuniti
con l’ex presidente a Commerce in Georgia, due su tutti Marjorie Taylor Greene
e Matt Gaetz, ai quali è stato chiesto di condividere qualche parola con il
pubblico che si era radunato come sempre numerosissimo.
È stato proprio Matt Gaetz a sganciare la
prima bomba della serata una volta raggiunto il palco. Il giovane politico
della House della Florida ha affermato che dopo le elezioni di mid-term il
prossimo novembre nominerà Donald Trump come speaker del congresso al posto di
Nancy Pelosi, riportando ufficialmente il tycoon in un posto istituzionalmente
di massimo rilievo.
Ma non
è finita qui. C’è un’ulteriore affermazione, la vedremo tra un attimo, che
potrebbe far intendere che il progetto antiglobalista trumpiano non solo non
sia finito con il suo mandato, ma che di fatto potrebbe far parte di
un’alleanza trasversale a staffetta tra leader mondiali tuttora in essere.
Ad
oggi infatti la battaglia contro le élite di Davos e contro il mondialismo
unipolare, quella stessa battaglia che aveva iniziato Trump nel 2016, pare
proprio la stia combattendo Putin, il quale, benché venga dato ormai per sconfitto dalla
incessante propaganda di guerra a reti unificate, ha lasciato che Stati Uniti
ed Europa si mettessero in ginocchio da soli con le loro sanzioni boomerang.
“Anche
se la guerra in Ucraina è stato un errore, Putin è un uomo intelligente e solo
i più intelligenti arrivano in vetta” ha affermato Trump durante il rally.
Il
mondo fuori dall’atlantismo unipolare esiste, e a quanto pare fa copiosi
affari. E infatti Russia, Cina, India e molti altri hanno deciso di fare
meglio, fare per sè, e farlo altrove.
E
quindi, dicevamo, oltre a nominare il solito Putin, Trump questa volta tira in
ballo anche Xi Jinping e Kim Jong-Un, ovvero Cina e Corea del Nord, dicendo che “(…)si affida alla loro
intelligenza(…)“.
Cosa
abbia voluto dire con queste parole non è certamente lineare da interpretare.
Potrebbe averli voluti pregare con quell’appello di non inasprire il clima
internazionale che già è difficilmente gestibile, ma Trump non è tipo da appelli
televisivi, o di circostanza.
Tuttavia,azione
trumpiana.
Più volte, come abbiamo visto, l’ex presidente si è espresso nei confronti di
Putin sostenendo che fosse una persona intelligente. Menzionando gli altri due leader ed
appellandosi alla loro intelligenza sembra quasi dire “è il vostro turno,
continuate la lotta come sta facendo il presidente russo”, “vi esorto a fare
quello che ha fatto lui”.
Sebbene
non sappiamo se questo sia davvero ciò che intendesse, rimane un’altra
considerazione da fare che ci può venire in aiuto. Infatti, se indaghiamo più da vicino
quali erano i rapporti tra Trump e gli altri prima che il suo mandato
terminasse, l’idea che esista un piano
prende ancora più corpo.
Basta
tornare con la memoria al 2017 quando il neo eletto tycoon fece un vero e
proprio world tour, (ovviamente nulla di lontanamente comparabile con quello
attualmente in essere di Zelensky), durante il quale visitò molti tra i Paesi
più influenti del mondo. E questo è noto.
Ma forse quello che è meno noto è il tipo
di accoglienza che gli venne riservata
dai rispettivi leader, una accoglienza molto spesso fuori dall’ordinario,
riservata esclusivamente a presidenti speciali.
A volte addirittura solo e soltanto a the Donald. Vediamo meglio.
Nel
novembre 2017 Trump e signora visitarono la Cina, ed a loro venne data la
possibilità di essere i primi politici stranieri a cenare nella cosiddetta
“Città proibita”: mai nessun politico straniero fino a quel momento aveva avuto
l’onore di poter entrare nel palazzo che fu dimora degli imperatori e delle
loro famiglie per 500 anni. L’ambasciatore cinese in USA riferì a riguardo: “Si tratterà
di una visita speciale, molto molto speciale”.
Si pensi che nemmeno il tanto osannato Obama, vincitore del Nobel per la
pace, ebbe modo di arrivare a tanto.
Nel
giugno del 2019 altro incredibile successo: Trump si trova in Corea del Sud e
propone a sorpresa una visita in Corea del Nord. Ebbene, non solo ci riesce, ma di
fatto è il primo presidente americano ad essere entrato in Corea del Nord,
oltrepassando su invito di Kim Jong Un il confine che separa la Corea del Sud dalla Corea del Nord.
In tale spettacolare occasione, immortalata da
centinaia di scatti e video, i due si salutarono come fossero amici da una
vita. Pacche
sulle spalle, sorrisi, strette di mano, un lungo ma fitto colloquio a porte
chiuse, e un invito ad andarlo a trovare alla Casa Bianca.
Se poi
vogliamo parlare di Russia, il Washington Post sostiene che alla data del 4
ottobre 2019 i due presidenti avevano già avuto un numero record di
conversazioni private, circa 16, alcune al telefono, altre di persona, in cui i
due sembravano davvero avere una intesa perfetta.
A tal
proposito, girano in rete diversi
filmati in cui Trump e Putin sono ritratti nelle varie occasioni ufficiali, ed
i loro incontri vengono messi a confronto con i colloqui che il leader russo
aveva intrattenuto con Obama o con altri presidenti del passato. Il duo Trump-Putin vince su tutti,
non vi è dubbio.
Ebbene,
possiamo ragionevolmente pensare che questo tipo di intesa e di comuni intenti
tra i summenzionati probabili alleati sia svanita improvvisamente al compiersi
dei brogli del novembre 2020, solo perché Trump è uscito dalla ufficialità del
suo ruolo di presidente?
Abbiamo
parlato di staffetta.
Potrebbe
essere in atto un avvicendarsi di ruoli, fino al tanto sospirato ritorno del
tycoon con le elezioni di Midterm.
E comunque,
Plan o no… la
lotta centrifuga contro le forze del deep state sta continuando, e mentre ormai pare che la crisi
economica sia inevitabile, l’accentramento mondialista invece sembra essere finito su
binario morto.
(Martina
Giuntoli-
visionetv.it/trust-the-plan-e-se-ci-fosse-davvero-un-progetto-segreto-tra-trump-putin-e-xi-jinping/).
“ I
POLITICI PAIONO NON AVERE IDEA DI QUAL’E
‘ LA VERA POSTA IN GIOCO”.
Laverita.info-
Francesco Borgonovo intervista Andrea Zhok- (9-4 2022)- ci dicono:
Andrea
Zhok , professore di Filosofia morale all’Università di Milano ,ha da poco
pubblicato “Lo
Stato di emergenza “ (Meltemi) ,un libro affilato che molto ha da dire della nostra democrazia , e che per
tanti versi prosegue il discorso iniziato con il saggio “ Critica della ragione liberale “.
Professore
,sembra in questi giorni che stia combattendo una nuova guerra in nome della “Ragione liberale” contro le tenebre dell’oscurantismo . Da una parte i buoni e
dall’altra le forze della reazione…
“La retorica
liberale si è costruita ,dal punto di vista storico ,appunto come una retorica della
libertà ,termine che la parola liberale evoca. Nei fatti , però , da ormai
mezzo secolo la ragione liberale si sta dimostrando la più strettamente
intenzionata ad avere un controllo serrato sulle anime .Diciamo un controllo
mediatico , che in qualche modo consenta a determinate concentrazioni di potere
di indirizzare le democrazie a
proprio piacimento.”
Si potrebbe
obiettare che nelle dittature la situazione dei media sia stata e sia peggiore.
“ Oggi viviamo una
situazione paradossale .Se riflettiamo sulla gestione dei media nelle dittature
,ci rendiamo conto che , per fare un
esempio , La Pravda dell’Urss era presa in giro dai sovietici.
Nessuno -o comunque pochi -credeva a ciò
che il giornale riportava , perché si dava per scontato che quel tipo di informazione irregimentata
fosse inaffidabile .Invece ,oggi , nelle
democrazie siamo abituati a dare credito alla dimensione mediatica proprio
perché si ritiene sia plurale , libera. E questa è una leva straordinaria. Una
potenza che in questa fase storica , per
la prima volta a mio avviso , si sta esercitando appieno, e in modo inquietante .
Da un lato abbiamo
la guerra vera , in Ucraina. Dall’altro una sorta di guerra immaginaria ,combattuta sui social , nei talk
show , con le dichiarazioni molto combattive dei politici… Sembra che molti siano convinti di essere davvero al
fronte.
“Queste forme
di cooptazione dell’opinione pubblica
presentano un rischio grandissimo. E cioè che
le classi dirigenti -le quali inizialmente guidano e indirizzano
l’opinione pubblica - finiscano per essere in buona parte vittime delal loro
stessa propaganda”.
E dove sta il
pericolo secondo lei “?
“Semplificando ,
la verità ha due componenti . C’è il
livello del discorso , in cui io e lei , parlando possiamo essere d’accordo. E
poi c’ è la realtà esterna , la durezza delle cose. Nel momento in cui la
propaganda prende il sopravvento
,fatalmente ci dimentichiamo della verità esterna. Cominciamo a credere a
prescindere dalla realtà.”
Sta accadendo questo
?
“L’atteggiamento dei leader europei sulla guerra ,sulle sue
origini e sulle sue conseguenze mi pare qualcosa di delirante. Stiamo correndo dei rischi spaventosi. Sento Draghi
che parla di condizionatori. Altro che condizionatori , non c’è proprio la
percezione di cos sia in gioco in questa
fase .Potremmo ritrovarci tra pochi anni in una situazione ingestibile a
livello interno. Veniamo da due anni di gestione pandemica catastrofica
, in cui la situazione scaturita dalla crisi del 2008 , mai recuperata , si è
esacerbata . E adesso vediamo Draghi che dice “ ma sì dai ,tiriamo giù il
riscaldamento”
Vuol dire che i
politici vivono una realtà
parallela , e grazie ai mezzi di
cui dispongono la proiettano tutt’attorno fino a scavalcare
la verità esterna.”
Chi cerca di mettere
in dubbio la “realtà parallela” subisce pesanti attacchi. Un tempo erano gli
apparati statali a esercitare la
censura. Oggi sembra che i primi a chiedere la testa dei dissenzienti siano proprio i media .
“Non dobbiamo
dimenticare che in questa fase la
concentrazione di potere nelle mani di gruppi ristretti è massima .Siamo
abituati a pensare che nell’Occidente contemporaneo il potere sia diffuso , ma
non è così. Il potere è per lo più concentrato
nelle strutture finanziarie , che con poco sforzo possono cambiare equilibri a livello produttivo , politico e mediatico , anche perché quasi
tutti i maggiori produttori hanno rapporti diretti con gruppi in cui il numero dei decisori è
molto ridotto”.
Insomma, il potere è
saldamente nelle mani di una élite. Si
tratta solo di questo ?
“ No , il
meccanismo è sottile . La classe dirigente , nel mondo dell’informazione
, è selezionata preventivamente in base alla sua partecipazione al progetto
storico globalista e neo liberale (o meglio al
“liberal Dem Usa”). Cioè chi è al vertice c’è perché è partecipe . Quindi non ha bisogno
di particolari incentivi: se ha fatto carriera è perché forniva determinate
garanzie .L’attuale
sistema ha consolidato un’egemonia che è
refrattaria alle forme di democrazia”.
Le faccio la
consueta obiezione : se non le piace la nostra democrazia ,vada in Russia .
“Già . Come se allo
schiavo che si lamenta rispondessimo :”Non sei contento del padrone ? Vai da un
altro padrone”. Il punto è
che io non voglio la schiavitù.
A me interessa far funzionare la nazione
in cui sono nato e vivo , non raddrizzare le gambe agli ayatollah. Di quelli si
occuperanno gli iraniani ,della Russia si occuperanno i russi. Ma se vengono tradite le premesse della democrazia
in cui io sono cittadino , allora ho un problema”.
Le stiamo tradendo ?
“Guardi .ogni Paese
ha sviluppato anticorpi per i propri problemi. Paesi come Russia e Cina , Paesi
privi di tradizione democratica
,sviluppano forme trasversali di resistenza , canali che suppliscono ai
deficit del sistema. Da noi succede
qualcosa di diverso . La
democrazia è il cuore del nostro modello
, la ragione per cui vi si aderisce .Non è un elemento collaterale , ma
è l’elemento centrale , di cui possiamo essere orgogliosi , ed è il presupposto per il funzionamento di
tutto il resto. Il sistema delle
istituzioni può funzionare se funziona la base democratica”.
Quindi ?
“Quindi il problema odierno è che la base democratica sta scivolando
,in maniera drammatica e in buona parte inconsapevole , verso qualcosa di diverso .Non parlo tanto
dei tratti caratteristici della repressione
come la censura esplicita o la cancellazione del diritto di manifestazione. Ci sono anche questi
tratti ,si , ma la cosa più grave mi
sembra che l’opinione pubblica venga
guidata in forma ,diciamo , artefatta . In
una democrazia ,il governo del popolo non avviene mai con il bastone , ma con la guida delle
anime. E oggi
,sistematicamente ,si cerca di indottrinare le anime a tutti i livelli : scolastico,
accademico , mediatico …”
Faccio di nuovo l’avvocato del diavolo: chi si lamenta oggi non sa cosa
sia la censura.
Come ha detto qualcuno : Alessandro Orsini, in fondo deve
rinunciare a 2.000 euro di compenso,
mica lo mandano in carcere.
“Occorre chiarire un cosa. La censura oggi non funziona come 150 anni fa. In un come
quello di oggi , dove c’è un sovraccarico
di informazioni , il potere non ha la necessità di esercitare il 100
% del controllo. Questa necessità
esisteva nel Risorgimento , quando esistevano tre giornali . Il controllo oggi si esercita in
termini
maggioritari “.
Un esempio ?
“Invito uno in Tv. Lo faccio parlare . Ma Prima e dopo di lui metto due bastonatori di professione”.
L’invitato è libero dire la sua
, ma complessivamente ne esce male.
“Questo è un tipo di operazione in cui si mantiene l’apparenza del
pluralismo negandola nella sostanza. Quando hai condotto le persone in una direzione , puoi anche concedere che
una minoranza abbia un titolo di rappresentanza
laterale, in tribuna.”
Quello che si sente dire a proposito di Orsini ,o di Tony Capuozzo , o
di altri sotto attacco , è che non devono atteggiarsi a vittime , a perseguitati , perché in fondo sono dei
privilegiati.
“Certo
. Il gioco è proprio quello di dire : “Ma scusa ,tu sei uno dei nostri ,come ti
permetti di incrinare il racconto , di prendere una parte che non sia la
nostra?” Questa
è una operazione scandalosa in democrazia .L’ intellettuale se ha dignità e spina dorsale è proprio questo che deve fare
: occuparsi del suo Paese , non della sua presunta parte”.
Però
c’è anche chi si atteggia un po' a martire. E magari a farlo è proprio chi,con la scusa di essere “contro il potere”
, le spara grosse . Screditando chi invece si oppone con toni e argomenti ragionevoli.
“ L’amplificazione delle componenti folkloristiche è un gioco in cui il mainstream
eccelle. Se ci sono due persone una accanto all’altra ,una che porta argomenti
pacati e l’altra esagitati ,viene dato più spazio alla seconda. Ma il punto
centrale qui non riguarda il folklore o
i complottismi .Il punto è : perché scatta la ricerca di
verità alternative ? Succede quando le verità ufficiali non sono più
affidabili. Quando ,ad esempio .Wikipedia cambia le voci. A questo punto è un
istinto naturale quello di fornire verità alternative. Molte saranno false
,altre no. Dobbiamo prendere in considerazione le opposizioni improbabili o
estreme, anche eventualmente per scartarle . Ma non succede. Nel corso della pandemia abbiamo
visto una sistematica violazione scientifici consolidati , una falsificazione
senza precedenti , e tutti coloro che sollevano obiezioni ,non solo in Italia ,sono stati
messi a tacere, minacciati di conseguenze disciplinari , messi al bando ,
esclusi , radiati …Tendiamo a dimenticarlo , ma sono state fatte cose molto
gravi ,che costituiscono m un precedente pericoloso”,
Già.
Un precedente che si sta ripetendo ora.
Fisco e catasto, scoppia la rissa.
Ma se Draghi chiedesse la fiducia
sarebbe
“atto immorale.”
Visionetv-Giulia
Burgazzi -Antonio Albanese- ( 7 Aprile 2022)-ci dicono :
Draghi
medita di porre la fiducia sulla legge di delega fiscale. Se così fosse, il “Si fa come dico
io” verrebbe innalzato a vette che in
una democrazia parlamentare sembrerebbero inarrivabili.
Una
legge delega, per definizione, è infatti un atto con il quale il Parlamento
incarica il Governo di svolgere la funzione legislativa propria del Parlamento
stesso. Però in base alla Costituzione il Parlamento deve indicare i principi e
criteri ai quali il Governo deve attenersi esercitando la delega in questione.
Un voto di fiducia sulla legge delega significa in pratica che principi e
criteri il Governo se li scrive da sé.
La
Costituzione non lo vieta. Ma anche un cieco vede che, in questo caso, il ruolo del
Parlamento si riduce a quello di un passacarte. Peraltro, l’eventuale voto di
fiducia sulla legge delega sarebbe coerente con la filosofia draghiana in base
alla quale “Il
Governo è qui per fare le cose, il Parlamento per garantirgli i voti”, come egli stesso ebbe occasione di
dire.
Su
questo sfondo si innesta la bagarre che c’è stata ieri, mercoledì 6, alla
Commissione Finanze della Camera. Gli onorevoli si sono quasi picchiati. I
dettagli folkloristici contemplano voli di campanelli e microfoni nonché
intervento dei commessi per sedare animi rissosi. La sostanza: la coalizione di Draghi,
al proprio interno, non è d’accordo su nulla. Donde appunto l’ipotesi di
ricorrere al voto di fiducia.
Uno
dei principali punti dolenti è la riforma del catasto. Chi volesse approfondire
i dettagli palesatiti in aula può sciropparsi lo spiegone che l’onorevole
Borghi (Lega) ha diffuso su Twitter. Questo uno dei suoi passaggi fondamentali
a proposito della fiducia.
Ma c’è
un altro punto di sostanziale importanza. La riforma del fisco – dunque la
legge delega in proposito – fa parte delle numerosissime, terribili condizioni
legate al PNRR.
Ovvero,
fa parte delle condizioni alle quali l’UE ci presta dei soldi (in parte anche
nostri) da spendere in obiettivi concordati con la stessa UE ed attuando
parallelamente vari e dolorosi “Ce lo chiede l’Europa”. E infine, è bene non dimenticarlo,
quei soldi andranno resi. Finora tutto ciò che riguarda il PNRR ha incontrato il
plebiscitario favore parlamentare: come se la prospettiva di spendere dei soldi mettesse
tutti d’accordo.
Può
darsi che alla fine la maggioranza si ricompatti davanti alla prospettiva del
PNNR. Può darsi che il Governo compia “l’atto immorale” di chiedere la fiducia
e che poi la ottenga. Ma può darsi che accada anche un’altra cosa.
Forse
la bagarre sulla delega fiscale è nata perché le forze politiche si sono rese
conto che ha ragione Tremonti. Secondo lui, con la guerra lo scenario è enormemente
cambiato e il
PNRR è espressione di un modello di
sviluppo che rischia di essere vecchio. In questo caso sarà furioso Draghi,
che finora è andato avanti a forza di voti di fiducia. Sarà furioso, ma dovrà
farsene una ragione.
(GIULIA
BURGAZZI e ANTONIO ALBANESE).
Adesso
anche la Cina minaccia l'atomica
“Taiwan
nel mirino". Mosca contro gli Usa "Guerra possibile".
msn.com-ilgiornale.it-
Valeria Robecco- (10-4-2022)- ci dice :
New
York. Crescono i timori di un conflitto mondiale con gli Usa da un lato, Cina e
Russia dall'altro. Nei giorni scorsi i vertici militari americani avevano
lanciato un allarme in tal senso, e ora il Wall Street Journal spiega che Pechino ha
«accelerato l'espansione del suo arsenale nucleare dopo aver rivisto la sua
valutazione sulla minaccia posta dagli Stati Uniti».
Alcune
fonti riferiscono come sebbene si tratti di uno sforzo che precede l'invasione
russa dell'Ucraina, la cautela di Washington in un coinvolgimento diretto nella
guerra avrebbe convinto il Dragone a dare maggiore enfasi allo sviluppo di armi
nucleari come deterrente.
I
leader cinesi, precisa il quotidiano, vedono infatti in un forte arsenale
nucleare «un
deterrente per gli Usa da un coinvolgimento diretto in un potenziale conflitto
su Taiwan».
Quest'anno
ad esempio, secondo gli analisti che studiano le immagini satellitari, sono
aumentati i lavori su 120 sospetti silos missilistici in una remota regione
occidentale della Cina che potrebbero essere utilizzati per ospitare missili a
testata nucleare in grado di raggiungere gli Stati Uniti.
Matt
Korda, un
ricercatore del Nuclear Information Project presso la Federation of American Scientists
di Washington, spiega che le istantanee scattate a gennaio mostrano come le coperture
temporanee sugli ultimi 45 silos vicino alla città di Yumen sono state rimosse,
suggerendo che il lavoro più sensibile in tutti i silos è stato completato.
Per
gli Usa la dottrina atomica cinese non è chiara, e temono che Pechino possa
attaccare a sorpresa, mentre fonti vicine alla leadership cinese, sempre citate
dal Wsj, escludono questa possibilità.
La
maggiore attenzione del gigante asiatico sulle armi nucleari sarebbe invece
guidata dai timori che Washington possa cercare di rovesciare il governo
comunista di Pechino a seguito di una svolta più aggressiva delle
amministrazioni di Donald Trump e Joe Biden.
E il maggiore sostegno americano a Taiwan ha
spinto i leader cinesi a discutere la prospettiva che gli Stati Uniti siano
disposti a usare armi nucleari in un conflitto sull'isola.
Oltre al fatto che l'arsenale atomico cinese è
ormai obsoleto e inadatto a rappresentare un deterrente efficace nei confronti
degli Usa.
Le stime del governo degli Stati Uniti e del
settore privato collocano l'arsenale nucleare del Dragone nelle poche centinaia
di testate, molto al di sotto delle circa 4mila detenute sia dalla Russia che
dagli Stati Uniti. Ma il Pentagono si aspetta che potranno disporre di mille
testate entro la fine di questo decennio.
In
pubblico la Cina minimizza le sue attività nucleari, e all'inizio dell'anno Fu Cong,
direttore generale del dipartimento per il controllo degli armamenti del
ministero degli Esteri di Pechino, ha definito «non vere» le «affermazioni dei
funzionari statunitensi secondo cui Pechino sta espandendo notevolmente le sue
capacità nucleari».
Precisando
che al contrario il Paese sta lavorando per garantire che il suo deterrente
nucleare soddisfi il livello minimo necessario per la difesa nazionale.
Intanto,
anche Mosca getta benzina sul fuoco riguardo il rischio di un possibile
conflitto più ampio, e avverte che le forniture di armi e munizioni all'Ucraina
da parte dell'Occidente causano «ulteriore spargimento di sangue».
L'ambasciatore di Mosca a Washington Anatoly Antonov
ha spiegato che sono «pericolose e provocatorie» e possono portare «gli Stati
Uniti e la Russia sulla via del confronto militare diretto».
Malgrado
questo le forniture continuano. Ieri Bloomberg citava fonti della Nato e del G7
secondo cui alcuni Paesi occidentali avrebbero in programma di addestrare
soldati ucraini all'uso di armi più moderne da loro fornite.
Pochi
giorni fa il capo dello stato maggiore congiunto Mark Milley, in una audizione
parlamentare, ha avvertito che «ci troviamo a fronteggiare due potenze globali:
la Cina e la Russia, ciascuna con significative capacità militari ed entrambe
volte a cambiare fondamentalmente le regole basate sull'attuale ordine
mondiale».
«Stiamo
entrando in un mondo che sta diventando più instabile e il potenziale per un
significativo conflitto internazionale sta aumentando, non riducendosi», ha
aggiunto, ribadendo che l'invasione russa dell'Ucraina è «la più grande minaccia alla pace e
alla sicurezza dell'Europa e forse del mondo» nei suoi 42 anni di servizio
nell'esercito Usa. Una posizione condivisa nella medesima audizione anche dal
capo del Pentagono Lloyd Austin.
Truppe
russe a
corto di armi e con «morale basso»,
60
paracadutisti rifiutano di combattere.
E per
disertare si
rivolgono all'avvocato.
msn.com-ilmessaggero.it- Cristiana Mangani-
(9-4-2022)-ci dice :
C'è
l'aspetto della violenza, delle stragi, degli eccidi di civili e di tanti
bambini, ma c'è anche chi vorrebbe sottrarsi a tutto questo. L’esercito russo è
stanco. I soldati di Mosca sarebbero “a corto di armi e di morale”, e si
rifiuterebbero di eseguire gli ordini. Anzi, qualcuno starebbe addirittura
sabotando il proprio equipaggiamento. La notizia arriva da più parti,
dall'intelligence inglese e da quella americana.
(Ucraina,
il direttore della centrale di Chernobyl: «Russi toccavano scorie nucleari a
mani nude»).
Truppe
russe a corto di armi e con «morale basso».
Ma
anche dal quotidiano russo indipendente Pskovskaya Gubernia, che ha scritto di 60 paracadutisti
appartenenti alle truppe dello zar, di un'unità nella provincia di Pskov, che
si sono rifiutati di combattere in Ucraina.
Naturalmente
la reazione non è stata di comprensione, perché molti di questi sono stati
licenziati e alcuni minacciati di essere perseguiti penalmente per diserzione o
mancato rispetto di un ordine.
Il
giornale che ha diffuso la notizia attraverso il suo canale Telegram, è un
quotidiano noto per i suoi reportage indipendenti.
E
proprio durante l'attività di repressione scatenata da Mosca contro chi
diffonde notizie sulla guerra non in linea con quanto sostiene il governo, si è ritrovato come Pskovskaya
Gubernia a subire perquisizioni e chiusure. Il mese scorso le autorità hanno
fatto irruzione negli uffici del giornale e nelle case dei dipendenti anziani,
secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti.
Le
perdite.
A
confermare la notizia diffusa dal quotidiano è stato anche l'attivista locale
Nikolay Kuzmin, affiliato al partito di opposizione Yabloko.
Kuzmin
ha detto di aver parlato con un autista che ha trasportato alcuni dei
paracadutisti dalla Bielorussia a Pskov, un'importante base per le forze aeree
russe. La
forza aviotrasportata dell'esercito russo, il Vdv, ha subito pesanti perdite in
Ucraina, e questo ha intaccato la loro fama di gruppo di "élite" .
Un'unità all'interno del Vdv, il famoso 331° reggimento paracadutisti delle
guardie, ha perso il suo comandante, il colonnello Sergei Sukharev, e almeno
altri 39 membri.
I
diritti umani.
Le
forze russe hanno subito pesanti perdite da quando è cominciata l'invasione
dell'Ucraina e i rapporti degli 007 sostengono che il morale delle truppe è ai
minimi termini e si sta deteriorando ulteriormente.
I
paracadutisti di Pskov non sono gli unici, infatti, a essersi rifiutati di
combattere. Almeno 12 membri della Guardia nazionale russa di Rosgvardia nella
regione di Khakassia si sono ribellati reagendo allo stesso modo.
L'avvocato
per i diritti umani Pavel Chikhov ha dichiarato su Telegram che il capitano
Farid Chitav e 11 dei suoi subordinati Rosgvardia si sono rifiutati di invadere
l'Ucraina il 25 febbraio perché gli ordini erano "illegali", ha detto
a Newsweek.
Alcuni
russi catturati hanno, poi, riferito che i loro leader gli hanno mentito
riguardo al piano di invasione dell'Ucraina, e questa sarebbe stata la vera
causa della impreparazione e della debolezza di fronte alla forte resistenza
ucraina.
E, infatti, nonostante i numerosi vantaggi sul
campo dell'esercito russo, i soldati e la strategia militare di Mosca non sono
riusciti a ottenere la rapida vittoria sperata da Putin. Il capo dell'intelligence britannica
Jeremy Fleming ha affermato che il presidente russo «ha valutato male la
situazione prima di invadere, in parte anche perché i suoi consiglieri hanno paura
di dirgli la verità».
I
soldati russi uccisi.
La
Nato ha stimato che nel mese scorso, sono stati uccisi tra 7.000 e 15.000
soldati russi. In una rara ammissione, il portavoce del Cremlino, Peskov, ha dichiarato
a Sky News che la Russia ha avuto «significative perdite di truppe ed è
un'enorme tragedia per noi». Dichiarazioni che lo starebbero mettendo in forte
difficoltà, tanto da farlo finire nel mirino dei “falchi”.
Insomma,
le perdite e il malumore starebbero incrinando il fronte interno russo. E nel
caso dei 12 ufficiali della Guardia Nazionale di Krasnodar è in atto anche
un'azione legale.
Impegnati in esercitazioni in Crimea, il 25
febbraio hanno ricevuto l'ordine di partenza per l'Ucraina, ma hanno risposto
che intendevano restare in Crimea.
Il 1°
marzo sono stati licenziati, e hanno deciso di rivolgersi a un avvocato. Mikhail Benjash ha accettato il
mandato e in un'intervista a Meduza - la rivista dissidente online che sta
informando milioni di russi sul reale andamento della guerra - ha spiegato la
linea difensiva: «Se ci fosse un conflitto in corso, o una situazione di
emergenza, o la legge marziale, allora i termini contrattuali potrebbero essere
cambiati senza il consenso degli interessati, e per 6 mesi. Ma qui non c'è un
conflitto, c'è solo una "operazione militare speciale".
E la legge non prevede niente in merito. Quindi, tu ufficiale della
Rosgvardia puoi andare in Ucraina, ma solo se sei d'accordo».
"Operazione
militare speciale".
L'espressione
"operazione militare speciale" è proprio quella usata da Putin, e se
è vero che «c'è un rifiuto di massa, dalla Siberia al Caucaso del Nord», e che
solo l'avvocato Benjash ha ricevuto altre 200 richieste di assistenza, vuol
dire che in futuro ci sarà molto lavoro per i tribunale i legali.
Un
altro avvocato russo, Pavel Chikov, ha dato notizia su Telegram di «storie
analoghe in Crimea, a Novgorod, Omsk, Stavropol. Altre persone stanno cercando
assistenza legale» per non dover ubbidire all'ordine di partenza per il fronte
ucraino.
Perché un conto è essere impiegati contro il terrorismo e la criminalità
organizzata, un altro è la guerra.
La Guardia Nazionale era stata istituita nel 2016 con
questi compiti, che poi si erano allargati alla repressione dei movimenti di
piazza antigovernativi. Ma evidentemente la guerra è troppo persino per la rude
Rosgvardia.
La
diserzione.
C'è
anche di più, e si arriva alla diserzione conclamata. Il team di Aleksej Navalny,
l'attivista che in questi giorni si è visto respingere una richiesta di
scarcerazione, ha diffuso l'audio di un colloquio tra russi intercettato forse
in Ucraina. E si evince che le forze speciali russe dei distaccamenti di Irkutsk,
Omsk e Novosibirsk si sono rifiutate di combattere in Ucraina, presentando
rapporti di smobilitazione di massa. Interi reparti hanno disobbedito, anche se
non si conoscono le conseguenze. Si parla di minacce da parte dei comandanti,
di accuse di "vigliaccheria e tradimento".
Naturalmente,
si tratta di notizie che filtrano a fatica, non direttamente controllate a
occidente. Come
quella di 300 soldati dell'Ossezia che hanno partecipato alle "operazioni
di pace" nelle città conquistate (che però non sono state conquistate), e
se ne sono tornati nella loro regione.
L’allarme
di Soros e la profezia di Q:
Stati
Uniti, Russia e Cina hanno
impedito
il “Nuovo Ordine Mondiale”,
(ossia
la “Dottrina
Impartita al mondo libero dell’ ing. Klaus Schwab”.Ndr).
Lacrunadellago.net-
(17 Marzo 2022)- Cesare Sacchetti- ci
dice :
Nel
suo ultimo editoriale pubblicato in una delle sue riviste preferite, Project Syndicate, uno dei media
prediletti dei poteri globali, George Soros ha lanciato un vero e proprio
“allarme”.Secondo
il finanziere di origini ungheresi e askenazite già noto in Italia per il suo
famigerato attacco speculativo alla lira nel 1992, la Russia e la Cina starebbero
mettendo a rischio la civiltà per come la conosciamo.
La
cosiddetta civiltà di cui Soros sta parlando in realtà non è altro che l’ordine
globalista “liberal Dem Usa” che è stato
partorito alla fine della seconda guerra mondiale.
È
l’ordine secondo il quale è l’Occidente liberal Dem Usa nelle vesti del blocco Euro-Atlantico ad
essere il pilastro economico, militare, e geopolitico del cosiddetto Nuovo
Ordine Mondiale.
Il
pensiero globalista aveva in mente già all’epoca una gerarchia piuttosto
precisa nella distribuzione del potere.
Questo
pensiero mirava e mira alla costruzione di una sorta di repubblica universale nella
quale un domani gli Stati nazionali non esisteranno più.
La
filosofia globalista è la negazione della sovranità e dell’indipendenza delle
nazioni. È una filosofia autoritaria molto più pericolosa e autoritaria dei totalitarismi del
secolo scorso perché minaccia la pace e la prosperità di ogni singolo popolo
che abita il pianeta.
L’Occidente
liberal Dem Usa assieme alle sue
istituzioni cardine, tra le quali ci sono, solo per citarne alcune UE, NATO e
FMI, è stato indubbiamente la forza motrice di questo disegno.
A sua
volta, dopo il crollo del muro di Berlino si è aggiunta alla partecipazione di
questa visione la dittatura comunista cinese che è stata il motore della globalizzazione
economica.
Il
patto tra la Cina comunista e l’Occidente liberal Dem Usa.
Ciò
che potrà sorprendere molti lettori è proprio questo. Soros era l’uomo che ieri tesseva le
lodi della Cina fino a definirla un “governo più funzionale di quello degli stessi
Stati Uniti” mentre oggi la definisce apertamente una “minaccia”.
Per
comprendere le ragioni di questo divorzio tra la finanza anglosassone e la Cina, occorre prima risalire alla causa
di ciò che ha originato la vertiginosa ascesa della Cina negli anni addietro.
La
potenza della Cina comunista non viene infatti dal nulla e può essere spiegata
soltanto con l’appoggio e il sostegno ricevuto dal gotha della finanza mondiale
(Rothschild, Rockefeller & C.).
La
filosofia economica di questi ambienti finanziari non è altro che quella del
neoliberismo. Nel neoliberismo, i veri signori dell’economia e della finanza sono un
manipolo di oligarchi e di banchieri che accumulano nelle loro mani un potere
così enorme e dominante da metterli al di sopra degli stessi Stati nazionali.
Quando
non esiste un attore, in questo caso lo Stato, che governa e partecipa ai
processi economici si crea un vuoto e a riempire questo vuoto di potere sono
gli oligarchi e le loro corporation.
Il
potere viene tutto trasferito nelle mani dei privati. Sono loro il vero Stato,
poiché quello formale è divenuto un simulacro giuridico privo di effettivi
poteri.(Così
dice la dottrina di Klaus Schwab! Ndr).
Per
dare una idea di come le grandi corporation abbiano raggiunto una influenza superiore
a quella degli stessi Stati si pensi al fondo di investimenti americano
BlackRock che è arrivato ad accumulare risorse pari alla folle cifra di 16
trilioni di dollari, superiore al PIL della Cina stessa o dell’Unione europea.
È in
questi fondi che si annida il vero potere della finanza mondiale e delle
famiglie di banchieri come i Rothschild & C.che nascondono sempre la loro
partecipazione azionaria in un dedalo inestricabile di scatole cinesi.
La
globalizzazione è stata l’ordigno che ha fatto esplodere il neoliberismo, e la
Cina può senz’altro considerarsi come la miccia che ha innescato il micidiale
meccanismo.
Per
poter produrre una quantità praticamente infinita di beni a basso costo e di
bassissima qualità occorreva individuare un Paese che avesse al suo interno un
bacino praticamente infinito di manodopera a bassissimi costi.
È
questa la ragione per la quale l’ascesa della Cina non è stata decisa a
Pechino. È
stata decisa negli ambienti finanziari di Wall Street e della City di Londra
che hanno fatto affluire una quantità enorme di capitali verso la terra del
dragone.
La
migrazione in Cina di tutte le multinazionali americane siglò il patto tra i
poteri finanziari dello stato profondo di Washington e la dittatura comunista
cinese.
L’apertura
dei mercati Occidentali alle merci cinesi sarebbe stata difatti impossibile senza che gli organismi di controllo
dell’UE e degli USA ne avessero permesso volutamente l’ingresso.
Fu
infatti proprio l’amministrazione del democratico Clinton a permettere l’ingresso
della Cina nell’Organizzazione mondiale del Commercio sotto le false premesse che la Cina
si sarebbe “democratizzata” e che i deficit commerciali non sarebbero
aumentati.
Ovviamente
si è verificato il fenomeno opposto e le ragioni sono facilmente intuibili. Se si aprono i mercati a delle merci
prodotte a bassissimo costo non si farà altro che disoccupare la propria
manodopera di alta qualità, e aumentare enormemente il numero delle
importazioni da quel mercato.
La
globalizzazione è stata una partita con delle regole truccate sin dal principio
perché coloro che hanno scritto le regole volevano che Pechino vincesse a
tavolino.
La
Cina quindi per come l’abbiamo conosciuta è una creazione diretta
dell’Occidente liberal Dem Usa. Non esisteva sotto un punto di vista industriale prima
degli anni 90, e fu creata artificialmente dal potere finanziario per andare verso la
visione di un mondo nelle mani di una governance globale.
La
Cina è servita per bloccare l’ascensore sociale, e a precipitare verso il basso
la classe media dei Paesi Occidentali che sono state letteralmente schiacciate
dall’avvento della globalizzazione.
Gli
unici che sono saliti al piano superiore sono gli oligarchi Occidentali e cinesi
che hanno visto aumentare a dismisura le loro ricchezze fino ad arrivare ad una
forbice sociale senza precedenti.
Ad
oggi, il 76% delle ricchezze è concentrato nelle mani di un 10%, costituito da
un manipolo di capitalisti che hanno accumulato ricchezze ancora più enormi dopo
l’avvento della “farsa pandemica del Covid 19”.
Tutto
quindi sembrava procedere senza particolari intoppi. La luna di miele tra le élite
occidentali e Pechino sembrava consolidata.
I
rapporti successivamente hanno iniziato a incrinarsi. Soros (collega di Klaus Schwab) in realtà aveva già lanciato in questo
senso “l’allarme” nel 2019 quando definì per la prima volta il presidente
cinese Xi Jinping come il più “feroce nemico delle società aperte”.
Per
società aperta si intende sostanzialmente quel modello che porta appunto allo
scioglimento dello Stato nazionale, dei suoi confini e conseguentemente anche
della sua identità etnica e culturale.
Nella
repubblica universale totalitaria il tutto si fonde con l’uno, dove per uno si
intende il Leviatano
assoluto, il tiranno globale che impera su ogni nazione (dottrina di Klaus Schwab).
L’Occidente
già si era reso conto che c’era un problema con Pechino. La Cina aveva accettato il patto
con il potere globalista ma soltanto qualora questi fosse finalizzato soltanto
ed esclusivamente gli interessi nazionali cinesi.
La
Cina ha un modello economico sotto certo aspetti persino più imperialista di
quello Occidentale, vista la sua colonizzazione selvaggia del continente
africano.
Il
potere economico di Pechino è una leva per conquistare progressivamente tutte
le nazioni e renderle delle colonie cinesi.
A
questo proposito l’esempio della via della Seta è perfettamente calzante. I Paesi che si sono trovati a firmare
questo accordo con la Cina si sono ritrovati invischiati in una trappola del
debito che li ha portati poi a cedere tutte le loro infrastrutture chiave alla
dittatura comunista cinese.
Il
dragone in questo modo si è fagocitato intere nazioni come accaduto ad esempio
con il Sri Lanka costretto a cedere i suoi porti per ripagare gli esorbitanti
debiti contratti con i cinesi.
La
previsione di Q: Stati Uniti (Trump), Russia e Cina alleati contro il
globalismo.
All’Occidente
liberale tutto questo è andato sostanzialmente bene fino a quando questa enorme
accumulazione di potere cinese fosse servita poi a raggiungere il fine ultimo
del globalismo, ovvero il super-governo mondiale.
George
Soros e i suoi storici referenti nel mondo della finanza, su tutti la famiglia
Rothschild, hanno dovuto prendere atto di una realtà inaspettata. La Cina non è
interessata a rinunciare alla sua sovranità. La Cina non vuole smettere di
esistere come Paese e non vuole portare in dote il suo potere ai vertici del
mondialismo che sono stati coloro che l’hanno costruita.
Questa
è stata una delle ragioni principali che hanno portato al fallimento del Grande
Reset concepito da Davos ( dottrina di Klaus Schwab ,il
nuovo Hitler !) sin dall’inizio dell’operazione
terroristica del coronavirus.
L’idea
era quella di dare vita ad una società globale talmente integrata da prevedere
ovunque gli stessi modelli autoritari.
Ovunque
si sarebbe dovuto ricorrere al vaccino obbligatorio, nuovo marchio razziale
della società “liberal Dem Usa” , per poter entrare in un luogo pubblico.
Ovunque
si sarebbe dovuto esibire permanentemente questo infame marchio per poter
accedere al proprio posto di lavoro.
Coloro
che si fossero opposti sarebbero stati messi progressivamente al bando fino ad
essere messi in dei veri e propri campi di detenzione COVID.
Il
piano così come l’avevano concepito le alte sfere del club di Davos e il suo
ideologo massone, Klaus Schwab, è invece rovinosamente fallito.
Sono
troppi gli attori geopolitici che mancano all’appello, e soprattutto le superpotenze
globali che avrebbero dovuto dare il loro imprescindibile sostegno, Stati
Uniti, Russia e Cina, si sono tutte opposte (di fatto) fermamente al piano.
Per
comprendere la strategia del Nuovo Ordine Mondiale (previsto da Klaus Schwab)
occorre ragionare su un piano che supera i propri confini del proprio Stato
nazionale. Il Nuovo Ordine Mondiale come dice la parola stessa è “mondiale” per
definizione, non locale, e quindi non può essere eseguito soltanto in singoli
Paesi.
Occorre
immaginare il mondo come una scacchiera dove alcuni pezzi sono più fondamentali
e strategici di altri per vincere la partita.
Gli
architetti di Davos (guidati dall’ ing. Klaus Schwab) non sono riusciti a raggiungere il
loro disegno ultimo proprio perché non disponevano e non dispongono tuttora dei
pezzi senza i quali la partita non si può vincere.
E quei
pezzi come si accennava in precedenza sono proprio gli Stati Uniti (di Trump),
la Russia e la Cina.
A
questo proposito viene in mente uno scritto pubblicato da Q qualche tempo sulla
sua bacheca. Per coloro che non sapessero chi è Q, l’ipotesi più probabile e
accreditata è che dietro questa lettera si nasconda un gruppo di intelligence
militare americana che ha affiancato Trump sin dall’inizio del suo mandato e
con ogni probabilità ancora prima della sua candidatura.
Lo
scopo di questo gruppo è quello di separare e liberare gli Stati Uniti dal
governo occulto dello stato profondo (e dai liberal Dem Usa ) che ha
controllato l’America per molti decenni.
Molta
disinformazione è stata fatta al riguardo su Q e molti, alcuni in buonafede
molti altri in malafede, l’hanno liquidata come una sorta di psy-op, ovvero un
depistaggio concepito da qualche agenzia di intelligence dello stato profondo
americano per ingabbiare i dissidenti e portarli in un vicolo cieco.
Se si
studiano attentamente gli scritti di Q, i cosiddetti drop, e si guarda con
attenzione agli accadimenti degli ultimi anni, si vedrà che è in realtà è
accaduto l’esatto opposto.
Il
mondo è andato sicuramente vicino al baratro del governo mondiale, ma il
disegno originario del potere globale è andato praticamente in frantumi.
L’alleanza
più palese e naturale che si è creata in questo senso in chiave patriottica e
anti-globalista è stata quella tra Donald Trump e Vladimir Putin dal 2016 in
poi.
Quando
i poteri dello stato profondo di Washington (e i Liberal Dem Usa) hanno perduto
il controllo degli Stati Uniti hanno subito una perdita pesantissima,
praticamente incolmabile. Hanno perduto il pezzo più importante della scacchiera,
quella regina che gli aveva consentito di portare avanti tutti i piani del vero
potere finanziario internazionale.
Il
disegno originario era quello di mandare alla Casa Bianca una delle
tradizionali referenti del potere di Washington, la “democratica”(Liberal Dem
Usa) Hillary Clinton.
Alla
Clinton sarebbe spettato il compito di gestire gli Stati Uniti durante
l’operazione terroristica del coronavirus e di dare l’accelerazione massima e
definitiva verso il Grande Reset globale di Klaus Schwab.
Non è
accaduto. Alla Casa Bianca c’era un presidente che era e sarà ancora fermamente opposto all’idea di un governo
mondiale.
La
dottrina del “Prima l’America” ha segnato un punto definitivo della
dipendenza degli Stati Uniti dai vari circoli dello stato profondo quali il
CFR, il gruppo Bilderberg e la Trilaterale che sono tutti sottomessi a loro
volta al potere di Klaus Schwab delle grandi famiglie di banchieri quali
Rothschild, Rockefeller, Dupont e Astor.
La
separazione tra gli Stati Uniti e il globalismo non si è nemmeno ricomposta
sotto la cosiddetta amministrazione Biden perché questa non sta eseguendo
l’agenda prescritta di questi poteri.
Piuttosto
prosegue, incredibilmente per alcuni, a tenere distante gli Stati Uniti
dall’Unione europea (globalista diretta da Klaus Schwab in persona ) e dalla NATO.
È un
argomento che è stato affrontato numerose volte e già in passato abbiamo avuto
modo di spiegare questa enorme anomalia attraverso una decisione presa da Trump
prima di lasciare la Casa Bianca.
La decisione
in questione è stata quella di firmare l’atto contro le Insurrezioni che ha
trasferito il potere ai militari nel gennaio del 2021 per impedire la riuscita
del colpo di Stato elettorale del novembre del 2020.
I
poteri dello stato profondo portarono in atto la più grossa frode elettorale
della storia perché avevano bisogno di riprendersi il controllo del loro pezzo
pregiato senza il quale la partita non poteva essere vinta.
La
contromossa di Trump ha sventato il golpe e il globalismo oggi si ritrova in
braghe di tela.
L’alleanza
tra Trump e Putin si è consolidata ancora di più e l’operazione militare in
Ucraina condotta dai russi sta dando l’ultima spallata definitiva al
traballante pilastro dell’Occidente liberale, la NATO e il cosiddetto blocco
Euro-Atlantico.
La
Russia ha deciso di condurre questa operazione proprio ora perché era ed è
perfettamente consapevole che l’avversario è debole e diviso come mai prima. Soprattutto l’avversario è privo
della protezione militare statunitense senza la quale nulla può di fronte a
Mosca.
La
Russia per molti anni è stata un incrollabile baluardo nell’impedire l’avanzata
del totalitarismo mondiale ma spesso si ritrovava isolata sul piano
internazionale. Oggi la Russia si guarda intorno e scopre che intorno a sé a solo
alleati.
Non
solo la Cina comunista che ha deciso di schierarsi apertamente con la Russia
per contrastare i poteri Occidentali (tutti globalisti e fedeli al dettato
di Klaus Schwab) ma anche l’America Latina, l’Asia, l’Eurasia,
e i Paesi arabi.
Sotto
certi aspetti si sta manifestando già nei fatti quell’alleanza anti-globalista
di cui parlava l’arcivescovo Carlo Maria Viganò.
Nell’idea
degli architetti del caos il mondo avrebbe dovuto stringersi intorno all’idea
del governo mondiale. Il mondo invece si sta stringendo intorno all’idea della
preservazione della propria sovranità delle nazioni libere.
A
questo punto, quello di Soros sembra un disperato grido d’aiuto. È il grido di
aiuto di chi ha compreso che ormai la finestra di opportunità per giungere al
Nuovo Ordine Mondiale si è definitivamente chiusa.
All’alleanza
tra Trump e Putin si è unita la Cina anche se principalmente per i propri
interessi nazionali e non perché abbia a cuore i destini dell’umanità.
Questo
però non cambia un’evidenza di fatto. L’ordine” liberal Dem Usa “ globale non
ha più solidi perni di riferimento sui quali poter contare salvo la debole
Unione europea (ora globalista) le cui contraddizioni e divisioni si sono
esacerbate ancora di più sotto la farsa pandemica del Covid 19.
È
proprio di questi giorni la notizia che la BCE potrebbe sospendere nei prossimi
mesi il programma di acquisto dei titoli di Stato, staccando definitivamente la
spina alla moneta unica. Sarebbe quindi la vittoria della linea dei falchi tedeschi e
olandesi a prevalere e sarebbe la definitiva accelerazione della disgregazione
del progetto europeo.
Il
mondialismo quindi si ritrova in questa condizione. Ambiva alla conquista del
mondo, ma ha subito un brusco risveglio e ha scoperto che è il mondo ad aver
messo fine al mondialismo di Klaus Schwab.
Financial
Times: è
Draghi l’ideologo
della
guerra finanziaria alla Russia.
Visionetv.it-
(7 Aprile 2022 )- Giulia Burgazzi- ci dice :
C’è la
manona di Draghi (dettata di Klaus
Schwab )dietro la più dura delle sanzioni contro Russia: il blocco delle
riserve detenute all’estero dalla sua banca centrale.
Il prestigioso Financial Times ha ricostruito
ieri, mercoledì 6, la genesi dei provvedimenti concertati dall’Occidente. L’articolo si intitola “Weaponisation
of finance”, “La trasformazione in arma della finanza”.
Cittadini
ed imprese si sono ampiamente accorti che la guerra finanziaria alla Russia
comporta la distruzione dell’economia europea.
E in
questo compito- impartito da Klaus Schwab - il primo ministro italiano, si
deduce dal Financial Times, è in prima linea.
Nessuno
infatti(a parte Klaus Schwab che ama
giocare in segreto !), a quanto scrive il Financial Times, ha chiesto o
suggerito a Draghi di sanzionare la banca centrale russa.
E’
stata proprio un’idea sua.
Ha
scelto per l’UE una linea che fa piacere a Washington e che punisce la stessa
UE e l’Italia.
I Governi italiani hanno smesso negli Anni 90
di citare l’interesse nazionale. Ma qui siamo oltre. Il passo saliente del
Financial Times, in traduzione, è questo.
In
Europa, è stato Draghi a portare avanti l’idea di sanzionare la banca centrale
durante la riunione UE d’emergenza svoltasi la notte dell’invasione
[dell’Ucraina]. L’Italia, grande importatrice di gas russo, in passato è stata
spesso esitante a proposito delle sanzioni.
Ma
secondo un funzionario UE il leader italiano ha sostenuto che le scorte di
riserve russe avrebbero potuto essere utilizzate per attutire il colpo di altre
sanzioni.
Il
congelamento delle riserve di valuta detenute all’estero dalla banca centrale
russa ha lo scopo di spingere la Russia verso il default.
Il
default è l’impossibilità a ripagare i debiti con l’estero contratti dallo
Stato. Di conseguenza la Russia avrebbe caos economico e inflazione. Soprattutto,
potrebbe verificarsi il rovesciamento del regime, che costituisce il vero
obiettivo di Biden.
Ma un
default della Russia innescherebbe uno tsunami finanziario di grandi
proporzioni. Infatti il blocco delle riserve all’estero della banca centrale ha
un solo precedente. Quello del piccolo Venezuela. Nulla di paragonabile con la
Russia.
Un
default della Russia colpirebbe, fra gli altri, anche le 500 imprese italiane
che operano in Russia nonché i detentori italiani del debito russo.
Non rivedrebbero indietro i loro soldi,
ovviamente. Idem gli altri detentori UE del debito russo e le imprese di altri Stati
UE operanti in Russia.
Ma
evidentemente per Draghi le sanzioni alla banca centrale russa sono più
importanti di questi, diciamo, effetti collaterali.
Come
ha riconosciuto il ministro dell’Economia e delle Finanze italiano, Daniele
Franco, due grandi banche italiane, Intesa Sanpaolo e UniCredit, hanno prestato
molti soldi alla Russia. Per usare le sue parole: hanno un’esposizione verso la Russia
senz’altro rilevante.
Intesa
e Unicredit hanno ampiamente tranquillizzato risparmiatori e azionisti. Resta il fatto che secondo la testata
finanziaria italiana Deal Flower esse presentano un’esposizione complessiva
verso Mosca pari a 20 miliardi di euro. Se evaporano, sappiano che è stato
Draghi.
(GIULIA
BURGAZZI).
(Sarebbe
interessante farsi dire da Draghi come ha registrato nel libro contabile della
BCE
I duemila miliardi
di euro che la FED “gli ha restituito” a suo tempo con i ringraziamenti del caso !
Ndr.).
Italia-Russia, gli interessi
economici
prima di tutto.
Globalproject.info-
Simone Ogno- (2 / 2 / 2022)- ci dice :
Mentre
la NATO e la Federazione Russa giocano nuovamente alla guerra sulla pelle della
popolazione ucraina per guadagnare maggiore potere contrattuale sulle questioni
militare ed energetica, il Sistema-Italia ha deciso di muoversi come ha sempre fatto:
orientato al profitto di pochi, incurante del contesto e delle parti coinvolte.
Mercoledì
26 gennaio, si è tenuto infatti l’incontro online tra il Presidente della
Federazione russa, Vladimir Putin, e la delegazione imprenditoriale della
Camera di Commercio Italo-Russa (CCIR).
Come
riportato anche in una nota del Cremlino, l’incontro aveva l’obiettivo di fare
il punto della situazione sulle relazioni commerciali italo-russe e le
prospettive future.
Il
piatto forte riguardava il tema dell’energia e dei combustibili fossili:
«In
particolare, siamo soddisfatti del positivo sviluppo della cooperazione con le
aziende e banche italiane nei progetti energetici su larga scala, come Yamal
LNG e Arctic LNG-2, in cui sono coinvolte oltre 60 aziende italiane.
I produttori
italiani di attrezzature ad alta tecnologia stanno anche contribuendo
attivamente al progetto Vostok Oil, che Rosneft sta realizzando nel Territorio
di Krasnoyarsk, nel nord della Russia», ha affermato Putin.
È in
questa cornice che si comprende meglio la partecipazione di alcuni soggetti che
abbiamo imparato a conoscere bene negli anni.
C’era
Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa Russia, “l’italiano più potente di Mosca”,
che ha permesso a Intesa Sanpaolo di consolidarsi come la banca europea degli
interessi russi, prima favorendo la privatizzazione di Rosneft e poi mettendo a
punto i finanziamenti per i mega-progetti di gas fossile Yamal LNG e Arctic
LNG-2, supportati proprio dal colosso torinese e da SACE, l’agenzia pubblica
italiana di credito all’esportazione.
Andrea
Orcel, amministratore
delegato di UniCredit, è il vero nome nuovo, dal momento che l’istituto di
Piazza Gae Aulenti ha diminuito negli anni la sua esposizione al business
russo.
Nonostante
i suoi ultimi impegni sul clima, la seconda banca italiana ha deciso di
chiudere un occhio sui finanziamenti a due società del settore oil & gas la
cui produzione di idrocarburi si concentra nella Regione artica. Quasi
dimenticavamo, le due società sono russe. Sicuramente una coincidenza.
C’era
anche Philippe Donnet, amministratore delegato di Assicurazioni Generali, che sta
per mandare in soffitta i contratti assicurativi e gli investimenti nel carbone, ma strizza l’occhio alla finta
transizione ecologica da carbone a gas in Europa orientale.
In
ultimo spiccava Maire Tecnimont, che si è aggiudicata pochi giorni fa una commessa di 1,1
miliardi di euro per conto di Rosneft, per la costruzione di una nuova
raffineria del colosso russo: Vostok Oil, appunto.
Fatta
eccezione di Enel, gli altri campioni fossili nazionali a partecipazione
statale (Eni, Snam e Saipem) erano tutti assenti. Pare abbiano deciso all’ultimo di
non partecipare dietro la pressione diretta di Mario Draghi.
Poco
male, la loro agenda fossile in Russia non ne risentirà, grazie ai progetti
estrattivi del cane a sei zampe con Rosneft – tra cui anche il giacimento di
Zohr al largo dell’Egitto – e quelli mid-stream di Saipem, tra cui Arctic
LNG-2.
Non è
tanto la concomitanza dell’incontro con l’escalation mediatica della crisi
ucraina a dover stupire, d’altronde il meeting era stato richiesto mesi fa. Non
bisogna neanche lasciarsi accecare dal fumo degli occhi di una presunta “deriva
filo-russa” delle società italiane: sono legate a doppio giro anche al
capitalismo estrattivista statunitense, Intesa Sanpaolo in primis, e non fanno
altro che orientare, seguire e rafforzare i trend di mercato.
Oggi,
considerato anche il teatrino imbarazzante in sede UE con la tassonomia, il
trend di mercato ha un nome chiaro: gas.
È
questo che dovrebbe stupire e innescare un moto di riprovazione: tutti questi
gruppi finanziari e industriali parlano di sostenibilità e obiettivi di
decarbonizzazione al 2050 o prima, quando nella realtà non fanno altro che rafforzare
l’agenda fossile.
Ecco ancora
una volta il vero senso di “net” in ogni affermazione riguardante piani di
decarbonizzazione “net-zero”.
Sostenere
il gas in ogni sede e in ogni maniera è nel DNA del Sistema-Italia a trazione
fossile, composto da finanza privata, industria fossile e finanza pubblica. Sta
a noi inchiodarlo dinanzi alle proprie responsabilità e ostacolarlo.
Il
parlamento e il premier debbono
decidere
se Putin è
come Hitler
oppure
come
Stalin e
poi fare le scelte
di
politica estera conseguenti.
Italiaoggi.it-
Riccardo Ruggeri-(9-4-2022)- ci dice:
Dopo
lo sgradevole periodo dominato dalla triade Virus-Vaccini-Pass, speravo che il
2022 sarebbe stato l'anno della rinascita e della pacificazione.
Purtroppo,
già a febbraio, quando la ripresa economico-culturale era ancora fragilissima, il criminale Vladimir Putin ha
d'improvviso calato l'asso della guerra contro l'Ucraina, e l'equilibrio
dell'Occidente è entrato, come ovvio, in crisi.
Si sta
ripetendo lo scontro sui media e sui social dei due anni precedenti facendo
entrare la maggioranza silenziosa dei cittadini (sono uno di loro) in uno stato
di preoccupazione per un possibile scivolamento verso la Terza Guerra mondiale.
Gli
ultimi sondaggi confermano una nostra grande disponibilità verso il popolo
ucraino per donare loro tutto il possibile, con però un limite invalicabile, il
70% di noi non vuole che l'Italia sia coinvolta direttamente in una guerra a
rischio nucleare.
Nel
Cameo precedente ho raccontato come, avendo appena finito di scrivere un libro
(distopico) come «La terza guerra mondiale di Gordon Comstock», mi era rimasto molto materiale
preparatorio non usato.
Materiale molto utile per analizzare la
politica estera.
Questa è la vera priorità politica di un paese, perché
si identifica con gli interessi dell'Italia, che dovrebbero essere al centro
dell'azione di tutti i nostri partiti e leader, indipendentemente dalla loro
collocazione ideologica.
E i
nostri interessi, ormai da tanti anni, non coincidono né con quelli imperiali
di Joe Biden, men che meno con quelli altrettanto imperiali di Vladimir Putin,
ma molto più banalmente con quelli di una parte degli europei, come Germania,
Francia, Spagna.
Più il
tempo passa e più questa guerra diventa un confronto fra due potenze
termonucleari, con i poveri ucraini, incolpevoli, costretti a metterci il territorio, la
fanteria e i morti. E pure con un pesante coinvolgimento economico di noi
europei.
Suggerirei,
per chi lo voglia, di studiarsi uno dei più straordinari documenti di politica
estera, il celebre «Long Telegram», di George F. Kennan.
Questo
telegramma sarà poi la base strategica della successiva Dottrina Truman, e il
conseguente Piano Marshall.
Nel
luglio 1947 il documento Long Telegram, con altro titolo, uscì come articolo a
firma «X» sulla rivista Foreign Affairs. Ricordiamo fatti e contesto di
allora, perché ci possono essere molto utili per l'oggi.
Kennan
era allora l'incaricato d'affari dell'Ambasciata americana a Mosca. Il 9 febbraio 1946, al Teatro
Bolshoi ascolta il discorso di Iosif Stalin.
La
caratteristica dei leader comunisti (e quelli loro speculari fascio-nazisti) è
sempre stata di essere molto sinceri sugli obiettivi con i loro adepti.
Stalin
quella sera lo fu: dichiarò che voleva espandere la politica imperiale sovietica
fino ad arrivare al Mediterraneo. Insomma, voleva una politica estera speculare a
quella imperiale degli Stati Uniti.
Kennan
inviò a Washington un lunghissimo telegramma-report di analisi (e di dottrina),
con una sua proposta di containment. Questo ispirò per decenni la politica estera
americana.
Semplificando,
lo schema si basava su determinate assunzioni-valutazioni:
1- Se Stalin è come Hitler, non si fanno trattative, ma guerra
totale, se necessario anche nucleare, per distruggerlo;
2- Se Stalin non è Hitler allora dobbiamo applicare l'arte
della pazienza politica, il containment.
Harry
Truman decise per il containment, e questa strategia fu quella che sempre seguirono tutti i
presidenti americani, dem e rep, fino all'auto-collasso, quarant'anni dopo,
dell'Unione Sovietica.
A mio
parere è lo stesso scenario-dilemma che si pone oggi verso la Russia di Putin.
Essendo
noi una repubblica parlamentare, tocca all'attuale parlamento e al premier
Mario Draghi fare chiarezza, sciogliendo il dilemma di oggi:
1-
Putin è come Hitler?
2-
Putin è come Stalin?
(Zafferano.news).
La
"profezia" di Bannon: "Perché
la
guerra arriverà anche in Italia."
Ilgiornale.it-
Massimo Balsamo-(9 Aprile 2022)- ci dice :
L'ideologo
di Donald Trump attacca la Nato e mette nel mirino il presidente ucraino
Zelensky: "È un comico corrotto".
Steve
Bannon non ha dubbi: ci stiamo avviando verso un momento buio della storia e
nessuno sarà escluso.
“Ci
stiamo avviando a una crisi finanziaria mondiale che porterà a una guerra
globale: è chiaro come il sole. E l’orrore che abbiamo visto in Ucraina verrà
anche in Italia”, la profezia dell’ideologo di Donald Trump ai microfoni di
Zona Bianca.
Nei giorni
più drammatici dell’offensiva russa ai danni dei civili ucraini, sono in corso
i negoziati per tentare di arrivare al cessate il fuoco. Secondo il politologo,
però, coinvolgere la Nato è stato un errore, così come chiamare in causa gli
Stati Uniti.
Gli americani non la pensano come Biden, ha
spiegato Bannon: “È giusto così. Questa guerra non sarebbe mai dovuta accadere:
gli ucraini sono stati usati come carne da macello”.
Ora
parla Trump, sfida totale allo Zar: "Inviamoli in Russia..."
Braccio
destro del tycoon, Bannon ha rimarcato che questa guerra non sarebbe potuta
accadere durante la presidenza Trump:
“Se
fosse stato presidente, avrebbe visto che dal 2014 l’entrata russa in Ucraina
aveva causato 14 mila vittime, cercando un negoziato per evitare di arrivare a
questo nuovo conflitto armato”. Una guerra è imprevedibile, ha proseguito lo statunitense, e
tutti “stiamo giocando con il fuoco”.
Per
Bannon stiamo permettendo la trasformazione di un conflitto regionale in un
conflitto globale, ammonendo i leader mondiali: “Non spingete gli ucraini verso la
loro fine”.
Non ci
sono invece grandi parole di stima per il presidente ucraino Volodymyr
Zelensky, definito “un comico corrotto”, e per i suoi interventi in
videocollegamento con i parlamenti di tutto il mondo:
"Voglio
fare un commento brutale sul Congresso americano, come sul Parlamento italiano.
È imbarazzante quando un tipo come Zelensky cita Churchill un giorno e parla
dell’Olocausto il giorno dopo, si rifà a Martin Luther King, parla di Pearl
Harbor e dell’11 settembre.
E quei
pagliacci si alzano in piedi e battono le mani".
"Combattimento
all'arma bianca..."
Ora scatta l'assalto finale.
Ilgiornale.it-
Federico Giuliani- (10 Aprile 2022) - ci dice :
L'esercito
russo sta riposizionando i suoi uomini ed è pronto a sferrare un nuovo assalto:
nel mirino di Mosca la parte orientale dell'Ucraina.
"Combattimento
all'arma bianca...". Ora scatta l'assalto finale.
I
riflettori puntati sul sud e sull'est dell'Ucraina, dove sta prendendo quota la
fase due della guerra.
L'esercito
russo sta riposizionando i suoi uomini ed è pronto a sferrare un nuovo assalto.
Non conosciamo con esattezza gli obiettivi di Mosca, anche se appare plausibile
sintetizzarli nella definitiva conquista della fascia costiera ucraina – forse
fino alla Transnistria – e nell'ottenimento di più territorio possibile nel
Donbass.
Il
piano di Mosca per l'assalto finale.
Se
così fosse – lo scopriremo tra poche ore o giorni – allora Mosca avrebbe
intenzione di prendere anche Odessa, la città portuale fin qui colpita di
striscio solo da qualche missile sparato dalla flotta russa posizionata nel Mar
Nero.
Certo
è che il Cremlino deve fare attenzione a mantenere i possedimenti acquisiti,
visto che le forze di Kiev si starebbero avvicinando a Kherson da due direzioni
nel tentativo, vero o presunto, di liberarla.
A
Mariupol la situazione resta complessa: i russi controllerebbero il centro ma
sacche di resistenza ucraina continuerebbero a operare nella zona.
Lo
scenario orientale è ancora più caldo. Come ha sottolineato Repubblica,
non è da escludere un rapido peggioramento in tutto il Donbass e, più in
generale, nell'est dell'Ucraina.
Gli
ufficiali del Pentagono, non a caso, hanno evocato immagini forti: "Sarà
un combattimento all’arma bianca, molto sanguinoso e molto brutto".
Considerando
che le previsioni e le analisi della Difesa Usa si sono fin qui rivelate
corrette, è impossibile non preoccuparsi.
Anche
perché le truppe russe stanziate nell'area conterebbero circa 10mila soldati in
più rispetto alla scorsa settimana. Pronte a sferrare l'assalto finale.
Le
prossime mosse dell'esercito russo.Scendendo nei dettagli, possiamo schematizzare i
movimenti dell'esercito russo così da fissare le prossime mosse del Cremlino.
Innanzitutto
i russi stanno convergendo nei piccoli centri di Barkinkove, Popasna e Rubizhne
e, al tempo stesso, bombardando quelli più grandi, come dimostrano
Severodonetsk e Sloviansk.
A proposito di Severodonetsk, "una scuola
e due condomini sono stati bombardati in mattinata dai russi" e "due
anziani sono stati salvati", ha fatto sapere il capo dell'amministrazione
regionale militare di Luhansk, Serhi Gaidai.
E,
sempre nell'est dell'Ucraina, quasi al confine russo, l'esercito della
Federazione ha fatto muovere verso il Sud un convoglio lungo una decina di
chilometri e con un centinaio di mezzi, tra cui veicoli corazzati e
artiglieria, nella zona della città di Velykyi Burluk. Lo hanno rivelato le
immagini satellitari raccolte l'8 aprile e analizzate dalla società
statunitense Maxar Technologies.
La
città si trova a Est di Kharkiv e il convoglio si muoveva a circa 80 chilometri
di distanza dalla seconda città più grande dell'Ucraina, Kharkiv, appunto;
potrebbe essere l'ennesima conferma che la Russia adesso si vuole concentrare
sul Donbass.
Al
fine di accelerare le operazioni, Mosca sta inoltre completando il
trasferimento verso quest'area dei contingenti che hanno tentato l'assedio a
Kiev e dintorni. Infine, fonti della Difesa americana citate dalla Cnn, hanno fatto sapere
che la Russia avrebbe iniziato a mobilitare i riservisti e starebbe cercando di
reclutare 60.000 soldati per far fronte alle gravi perdite subite in Ucraina e
lanciare l'offensiva a est.
Il monito
di Mosca sulle
armi occidentali
a Kiev
e l’ombra
di una guerra Usa-Russia.
It.insideover.com-
Federico Giuliani-(10 APRILE 2022)- ci dice:
È
plausibile immaginare nel medio periodo un conflitto militare diretto tra Stati
Uniti e Russia?
Esiste la possibilità che le vicende ucraine
possano spingere Washington e Mosca ad affrontarsi direttamente sul campo, non
per forza in Ucraina?
La
risposta ad entrambe le domande è affermativa, anche se l’ipotesi di un simile
testa a testa resta al momento più che remota.
Eppure, guai a dare per scontato il fatto che
le tensioni in atto nell’est Europa riguardino solo quello spazio geografico;
basta una scintilla per incendiare il resto del continente o, addirittura, per
proiettare il conflitto ucraino altrove.
L’ambasciatore
russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, ha rilasciato un’interessante
intervista a Newsweek dalla quale emergono affermazioni alquanto preoccupanti.
Le forniture di armi e munizioni all’Ucraina
da parte dell’Occidente causano “ulteriore spargimento di sangue”, sono
“pericolose e provocatorie” e possono portare “gli Stati Uniti e la Federazione
Russa sulla via del confronto militare diretto”, ha detto Antonov.
Il
quale ha poi sottolineato che Mosca starebbe facendo tutto il possibile per
evitare vittime civili e danni alle infrastrutture dell’Ucraina.
Ecco
dove i russi attaccheranno nel Donbass.
Perché
Biden non vuole (ancora) la fine della guerra.
Certo,
quella fornita da Antonov è la versione russa, ma vale tuttavia la pena approfondire
le sue dichiarazioni per capire il punto di vista di Mosca.
“L’operazione
speciale in Ucraina è il risultato della riluttanza del regime di Kiev a
fermare il genocidio dei russi adempiendo ai propri obblighi derivanti dagli
impegni internazionali”, ha proseguito Antonov nello spiegare le ragioni dello
scoppio delle ostilità.
L’ambasciatore
ha quindi aggiunto una seconda ragione per giustificare lo scoppio del
conflitto: “Il desiderio degli Stati membri della Nato di utilizzare il territorio di
uno Stato vicino per stabilire un punto d’appoggio nella lotta contro la
Russia”.
Insomma,
a detta di Antonov le colpe della guerra sarebbero da condividere tra Kiev e
Occidente.
“I
Paesi membri della Nato hanno iniziato un’esplorazione militare dell’Ucraina”,
ha aggiunto Antonov, secondo cui l’Ucraina è stata “inondata di armi
occidentali mentre il presidente Vladimir Zelensky annunciava i piani di Kiev
per acquisire di armi nucleari che avrebbero minacciato non solo i Paesi
vicini, ma anche il mondo intero”.
Rischio
escalation.
E qui
arriviamo al rischio di una possibile escalation militare tra Stati Uniti e
Russia, come preannunciato all’inizio dell’articolo. L’amministrazione statunitense
guidata da Joe Biden e i Paesi europei hanno fornito assistenza militare
all’Ucraina, promettendo a Kiev di incrementarla.
Antonov
ha avvertito che tali aiuti hanno peggiorato il conflitto e potrebbero
potenzialmente portare a un conflitto diretto tra Washington e Mosca.
“Gli
Stati occidentali sono direttamente coinvolti negli eventi attuali mentre
continuano a pompare l’Ucraina con armi e munizioni, incitando così a ulteriori
spargimenti di sangue”, ha affermato l’ambasciatore.
“Avvertiamo
che tali azioni sono pericolose e provocatorie in quanto sono dirette contro il
nostro Stato”, ha aggiunto.
“Possono condurre gli Stati Uniti e la
Federazione Russa sulla via del confronto militare diretto. Qualsiasi fornitura di armi e
equipaggiamento militare dall’Occidente, effettuata da convogli di trasporto
attraverso il territorio dell’Ucraina, è un obiettivo militare legittimo per le
nostre forze armate”, ha concluso lo stesso Antonov ribadendo che “l’occupazione
dell’Ucraina non è l’obiettivo dell’operazione speciale” attuata da Vladimir
Putin e che la Russia starebbe adottando le misure necessarie “per preservare
la vita e la sicurezza dei civili”.
I
dubbi di Salvini sull'espulsione
dei 30
diplomatici russi dall'Italia.
Agi.it-
Serenella Ronda-(05 aprile 2022)- ci dice :
Il
leader di via Bellerio: "Da che mondo e mondo le guerre non le vinci coi
carri armati e con le bombe, le chiudi con la diplomazia, col dialogo,
buonsenso, col ragionamento, col confronto".
AGI -
Sono trenta i diplomatici russi espulsi dall'Italia. Ad annunciarlo è stato il
ministro degli Esteri, riferendo che l'ambasciatore della Federazione russa è
stato convocato alla Farnesina "per notificargli la decisione del governo
italiano di espellere trenta diplomatici russi in servizio presso l'ambasciata
in quanto 'persone non gradite".
Luigi
Di Maio, a Berlino per partecipare alla Moldova Support Conference, ha spiegato
che la misura, "assunta con altri partner europei e atlantici, si è resa necessaria
per ragioni legate alla nostra sicurezza nazionale e nel contesto della crisi
attuale della crisi conseguente all'ingiustificata aggressione all'Ucraina da
parte della Federazione russa".
Il
premier Mario Draghi, a Torino per la firma del Patto per la città, ha
sottolineato che si tratta di "una decisione presa in accordo con altri
partner europei e atlantici". La linea del governo, però, non convince
tutte le forze della maggioranza che sostiene l'esecutivo. A prendere le
distanze è la Lega, che fa filtrare dubbi.
Fonti
del partito, premettendo che "il primo interesse della Lega è che si arrivi alla
pace in Ucraina il prima possibile", parlando infatti di
"stupore": il ministero degli Esteri avrà "agito valutando il
meglio", si ragiona in via Bellerio, "la pace però non si raggiunge
con gesti estremi come le espulsioni ma con la trattativa e il dialogo".
Concetto
poi ribadito dallo stesso Matteo Salvini che, ospite della web radio
dell'Unione italiana ciechi, osserva: "Sento tante persone che parlano di
guerra come se fosse normale. Io ci vado sempre molto prudente. Anche oggi
l'Italia ha deciso di espellere 30 diplomatici russi: non entro nel merito di
analisi geopolitiche. È chiaro che qua c'è un aggressore e un aggredito, però
da che mondo e mondo le guerre non le vinci coi carri armati e con le bombe, le
chiudi con la diplomazia, col dialogo, buonsenso, col ragionamento, col
confronto".
Parole
che suscitano la reazione del Pd, che attacca. "La Lega contesta una decisione presa
dal governo e condivisa con gli alleati che ha l'obiettivo di tutelare la sicurezza
nazionale. Ieri non una parola sull'eccidio di Bucha, oggi una presa di
distanza dalle scelte dell'esecutivo sui diplomatici russi. Sorprendente",
afferma la capogruppo del Pd al Senato, Simona Malpezzi.
E
l'omologa alla Camera, Debora Serracchiani, valuta un "errore" le
"dissociazioni, come quella della Lega, da decisioni tanto importanti
quanto coerenti con i fini dell'azione che si è data il governo". Per l'esponente dem
"l'obiettivo è la fine della guerra", ma "insieme c'è la tutela dei
cittadini e della sicurezza nazionale e quindi bene ha fatto il ministro Di
Maio".
Le
"posizioni della Lega sono imbarazzanti per il nostro Paese, soprattutto
dopo le tremende notizie di Bucha", rincara la senatrice dem Tatjana Rojc,
secondo cui "il continuo mettersi nella scia di Putin da parte di Salvini
non aiuta il lavoro del governo nell'ambito Ue e Nato".
Anche
Europa verde critica la Lega, definendo la sua posizione
"inquietante".
Contro
l'espulsione si schiera anche Matteo Dall'Osso, deputato di FI che,
intervenendo in Aula a titolo personale, ha osservato: "Parliamo di diplomazia e autorizziamo
l'invio di armi in Ucraina, parliamo di favorire la de-escalation e si procede
all'espulsione di trenta diplomatici russi. Questo Parlamento e questo governo
stanno dimostrando totale assenza di diplomazia. Siete schiavi di interessi
altrui. Faccio appello ai miei colleghi a coloro che la pensano come me: non
abbiate paura, ora è il momento di agire e non di reagire".
Di
tutt'altro avviso il Questore di FdI della Camera e componente della
commissione Esteri, Edmondo Cirielli, che invece plaude "la linea di fermezza del
ministro Luigi Di Maio sul sostegno all'Ucraina e di lealtà nel mantenimento
degli impegni derivanti dall'Alleanza Atlantica e dell'Unione Europea, solidi
pilastri del mondo libero. In un momento così delicato e critico, la sicurezza
nazionale assume un valore preponderante e imprescindibile". Per il leader
di NcI Maurizio Lupi "l'espulsione dei diplomatici russi è un atto dovuto".
L’ambasciatore
cinese a Mosca difende
Putin
e critica l’Italia: «State gettando
benzina
sul fuoco».
Ecco
il report integrale della Farnesina.
Open.online
- Sara Menafra-(9 APRILE 2022)- ci dice :
Il
diplomatico della Repubblica popolare: «State attenti: se volete una Russia
pericolosa, sappiate che può esserlo molto».
Un
incontro che è andato al di là dei soliti “toni felpati” e che avrebbe permesso
all’ambasciatore italiano a Mosca, Giorgio Starace, di capire a fondo cosa
pensi la Cina della guerra in Ucraina.
La
Cina, è l’informazione più pesante, pur non avendo «compreso appieno» il senso
dell'”operazione speciale” della Russia, non avrebbe alcuna intenzione di
aiutare l’Occidente ad uscire dal pantano bellico o di lavorare per un cessate
il fuoco che risparmi i civili ucraini.
E’ il
racconto contenuto nella lettera non classificata, inviata alla Farnesina e che
Open ha scelto di pubblicare integralmente, l’ambasciatore italiano Starace
racconta di aver incontrato il suo omologo, Zhang Hanui, già vice ministro
degli Esteri della Repubblica popolare e in passato ambasciatore proprio in
Ucraina.
Stando
al racconto, anche questo privo di retorica e molto diretto, dello stesso
Starace, Hanui
sarebbe andato dritto al punto:
Si è
lanciato in una appassionata difesa dell'”operazione militare speciale lanciata
dalla Russia, a suo avviso giustificata dal costante allargamento della NATO ad
est, dall’aver ignorato le “legittime” esigenze di sicurezza di Mosca, dagli
intensi programmi di riarmo lanciati da Kiev con il sostegno dell’Occidente
(“stavano lavorando alla costruzione di missili con gittata di 2000 Km, per non
parlare dei 26 laboratori chimici americani trovati in territorio ucraino”) e
dalle “atrocità ” commesse dagli ucraini in Donbass dal 2014 (“hanno ucciso piu’
di 15 mila civili”).
Secondo
Starace, Hanui avrebbe mostrato giudizi molto critici nei confronti degli Usa,
«hanno
provocato questo conflitto per indebolire Putin e distruggere le relazioni tra
UE e Russia»,
avrebbe detto e dell’Europa, «Da lui considerata priva di autonomia, poco lungimirante e
incapace di difendere persino i propri interessi basilari”: «Chiedete aiuto
alla Cina per spegnere questo fuoco. Non è giusto e non è neanche nei nostri
interessi. L’Ucraina è molto lontana da noi. D’altra parte, ha continuato, un
cessate il fuoco sarà possibile solo dopo che le parti avranno raggiunto un
accordo di pace “in autonomia”». E il doppio avvertimento:
“State
attenti: se volete una Russia pericolosa, sappiate che può esserlo molto”.
[…]
“La Cina e una grande potenza economica ma anche militare e non è più disposta
a tollerare né l’egemonia mondiale americana né le continue ingerenze
occidentali nei propri affari interni”.
Starace,
che nelle scorse settimane era stato criticato per aver frenato l’addio delle
aziende italiane alla Russia, sembra molto colpito dalla «determinatezza con cui l’Amb. Hanhui
ha più volte richiamato la crescente forza militare della Cina (“in soli 4 anni
siamo in grado di costruire una flotta grande quanto quella britannica”), sottolineando
come “negli ultimi 30 anni la Cina è cresciuta così tanto solo grazie al sudore
e alla fatica dei cinesi, senza cercare scorciatoie militari”»:
«Abbiamo
la seconda economia mondiale e un esercito sempre più forte per cui pretendiamo
di essere trattati con il rispetto che meritiamo e non abbiamo alcuna
intenzione di continuare ad accettare soprusi che vengano dall’esterno».
Tra le
righe, però, dice Starace, Hanui una critica alla Russia l’avrebbe fatta:
“Io
credo che il suo passaggio sulle “scorciatoie militari sia illuminante e
probabilmente contenga una velata critica all’operazione militare speciale, che
la Cina non ha forse mai compreso appieno”.
Richiesta
FOIA: il
70% delle infezioni
da
COVID al CDC erano tra i vaccinati.
Vaccinedeaths.com-(04/10/2022
)- Lance D. Johnson : ci dice :
L'agenzia
che ha sventrato l'economia, minacciato le libertà civili e distrutto l'etica
medica SAPEVA anche che i vaccinati avevano maggiori probabilità di contrarre
il COVID e diffonderlo ai loro coetanei.
I
Centers for Disease Control (CDC) lo sapevano perché i propri dipendenti
avevano maggiori probabilità di risultare positivi al covid-19 e di contrarre
un "caso di svolta" se fossero stati VACCINATI.
Queste
informazioni sono state nascoste per tutto il 2021, fino a quando una richiesta
FOIA ha scoperto i dati.
I
lavoratori CDC hanno maggiori probabilità di contrarre COVID se completamente
vaccinati.
Il 2
febbraio 2022, l'Informed Consent Action Network (ICAN) ha presentato una richiesta di
Freedom of
Information Act (FOIA), chiedendo informazioni sulle infezioni da covid-19 all'interno
della forza lavoro del CDC.
ICAN si sta intensificando e sta svolgendo il
lavoro investigativo critico che le agenzie di sanità pubblica si rifiutano di
fare.
Il 28 marzo 2022, il CDC ha consegnato i propri
dati interni sulle infezioni rivoluzionarie e ICAN ha pubblicato un
aggiornamento legale sulla questione.
Si
scopre che i completamente vaccinati si stavano ammalando, diffondendo proteine
spike e mettendo a rischio i non vaccinati per tutto il 2021.
Ad
esempio, i dipendenti CDC completamente vaccinati hanno costituito il 70% delle
infezioni da COVID nell'agosto del 2021. Il CDC ha riportato 36 positivi al
covid-19 quel mese e, tra questi, 25 casi provenivano dai vaccinati. Allo stesso modo a luglio, ci sono
stati 18 positivi al covid-19 e dieci dei casi erano nei vaccinati.
ICAN
riferisce: "Ora, non conosciamo la percentuale di dipendenti CDC che sono
stati vaccinati ad agosto 2021, ma se il tasso di vaccinazione del CDC riflette
quello degli adulti negli Stati Uniti, era molto inferiore al 70%. Ma anche se
oltre il 70% dei dipendenti del CDC sono stati vaccinati, il fatto che entro la
fine dell'estate 2021, il 70% dei suoi dipendenti positivi al COVID-19 sia
stato vaccinato avrebbe dovuto essere una cifra scioccante e avrebbe dovuto servire da campanello
d'allarme per il CDC sul fallimento di questi vaccini per prevenire l'infezione".
Gli
studi sull'efficacia del vaccino non hanno misurato l'efficacia del mondo
reale. Nel
mondo reale, tutti i benefici misurabili del vaccino sono svaniti piuttosto
rapidamente, rendendo l'esperimento pericoloso e distruttivo per la società in
generale.
Secondo i dati del mondo reale, i vaccinati risultano essere più suscettibili
entro pochi mesi. Ancora peggio, i vaccinati possono diffondere proteine spike attraverso
secrezioni di esosomi fino a un mese dopo la vaccinazione, mentre diffondono
inutilmente l'arma biologica agli immunocompromessi.
Questo
fa emergere un'importante ipotesi... Se le persone non hanno sparato con un
prodotto mal progettato che ammala e diffonde l'infezione, allora molti dei
positivi al covid-19 nei non vaccinati potrebbero non essere mai esistiti in
primo luogo.
Il
tasso di infezione per i vaccinati potrebbe essere anche superiore a quello
riportato.
Il
tasso di infezione nei vaccinati potrebbe essere molto più alto di quello
riportato dal CDC. Secondo il CDC, "le persone che sono state vaccinate
hanno probabilmente meno probabilità di sottoporsi al test". Quante persone vaccinate sono state
ammalate dal vaccino e in seguito hanno contratto il COVID, ma non sono state
tenute a testare e registrare i dati?
D'altra
parte, i non vaccinati sono stati regolarmente profilati e soggiogati,
costretti a fare test covid-19 per andare al lavoro e partecipare alla società.
La propensione per i positivi (e i falsi positivi) sarebbe sempre stata più
alta nei non vaccinati, quindi è spaventoso che il tasso di casi rivoluzionari
fosse così alto nella forza lavoro vaccinata del CDC!
Il CDC
ha persino smesso di segnalare casi rivoluzionari nei vaccinati, per oscurare i
dati sul fallimento del vaccino. Il CDC ha anche permesso ai vaccinati di fare test
covid che contenevano una soglia di ciclo più bassa. Ciò ha abbassato
automaticamente il tasso di positività nella coorte vaccinata, facendo sembrare
sulla carta che i non vaccinati si contraessero e diffondessero più facilmente
il virus. Tuttavia, l'utilizzo di protocolli di test non trasparenti e
disparati è una frode medica, non scienza.
Negli
studi clinici sono stati utilizzati anche protocolli di test disparati? Oltre
la metà delle persone vaccinate ha manifestato sintomi negli studi clinici,
anche se il loro tasso di positività al COVID era inferiore (rispetto ai non
vaccinati) nel momento preciso in cui sono stati testati. Perché questi sintomi di
avvelenamento sono stati ignorati negli studi clinici e non considerati come un
rischio serio?
Perché il CDC ha rifiutato di fornire un adeguato
consenso informato? Gli studi clinici non hanno misurato con precisione i casi
di covid-19 nei mesi vaccinati successivi, perché il vaccino è stato immesso in
fretta e furia sul mercato. Tuttavia, il CDC ora deve ammettere che
l'"efficacia" del vaccino diminuisce in un paio di mesi, mettendo la
popolazione a rischio di nuove varianti.
In una
presentazione alla Washington University, il direttore del CDC Rochelle
Walensky ha ammesso di aver originariamente appreso dell'efficacia del vaccino
dalla CNN. Tuttavia,
questi rapporti della CNN si basavano su un comunicato stampa di Pfizer, che affermava
ingannevolmente che il vaccino era efficace al 95%. Il CDC ha elaborato politiche che
collegano i lock-dows all'assorbimento del vaccino. Il CDC ha imposto illegalmente un
prodotto difettoso alla popolazione, minacciando i mezzi di sussistenza delle
persone nel processo. Pfizer, CNN, Fauci e il CDC hanno tutti mentito
sull'efficacia del vaccino per oltre un anno, poiché la loro forza lavoro è
stata danneggiata e ammalata dal vaccino, una dose fallita dopo l'altra.
(DailyExpose.uk
--JImmunol.org--NaturalNews.com).
Dr.
David Martin: i vaccini COVID sono armi
biologiche
progettate
per il genocidio.
Vaccinedeaths.com-(30/03/2022)-
Mary Villareal- ci dice :
Il Dr.
David Martin ha avvertito il pubblico che un genocidio è attualmente in corso sotto
forma di vaccinazione di massa.
"Questa
è una pandemia di bio-armazione dell'organismo umano. Questa non è la salute
pubblica. E
Anthony Fauci è l'architetto di questo genocidio", ha detto Martin quando
è apparso nell'episodio del 24 marzo di "The Stew Peters Show". Durante il corso del
programma, Martin ha parlato del modello chimerico delle proteine spike e di
come questo stia influenzando il corpo.
La
scienza mainstream ha fornito la notizia che i vaccini contro il coronavirus di
Wuhan (COVID-19) persistono nel corpo umano per un periodo indeterminato e
sopravviveranno fino a otto settimane nel sistema linfatico, dove produrrà continuamente
la proteina spike. Gli scienziati vedono prove che le proteine spike si stanno
manifestando nei flussi di rifiuti a tassi allarmanti.
Questo
è ciò che accade quando si inietta il corpo con un modello chimerico di una
proteina spike sintetica e quando questo tipo di terapia genica non è stato
testato correttamente. Si scopre che nessuno sa per quanto tempo ogni individuo
vaccinato iniettato produrrebbe gli agenti patogeni nel loro corpo.
Perché
ci sono concentrazioni così elevate di proteina spike che compaiono nei flussi
di rifiuti?
"La
ragione è davvero semplice", ha detto Martin. "L'organismo umano viene ora
modificato e viene modificato per produrre perpetuamente una proteina tossica
nota e programmata per danneggiare l'umanità". (Correlato: Karen Kingston dice a
Michele Swinick: Lo scopo del vaccino COVID-19 è quello di essere uno strumento
per l'editing genetico - Brighteon.TV.)
Martin
ha aggiunto che queste proteine sono note per essere dannose e sono soggette
alle armi biologiche e chimiche, ai trattati e alle leggi che sono state
applicate negli Stati Uniti. Questi virus chimerici sono il risultato della
manipolazione deliberata di SARS-CoV-2, per incorporare acidi nucleici nel
virus, che è illegale.
Con il
quarto colpo di COVID-19 ora in corso negli Stati Uniti, Fauci sta parlando di
fare un altro giro di lockdown, e sembra che molti americani parteciperanno
perché molti sono stati sottoposti al lavaggio del cervello dai cosiddetti
esperti.
I
virus chimerici SARS-CoV-2 sono il risultato di una manipolazione deliberata.
I
virus chimerici SARS-CoV-2 sono il risultato di qualsiasi manipolazione
deliberata del virus per incorporare acidi nucleici per i fattori di virulenza
SARS-CoV-2. Questo in realtà si presenta in tre sezioni del Code of Federal
Regulations sottoposte al programma di agenti biologici e tossici definito nel
Capitolo 18 della Sezione 178 del Codice degli Stati Uniti.
Come
agente biologico, è anche soggetto a 18 US Code Section 175, o al divieto di
armi biologiche. Lo statuto dice che ciò che Big Pharma sta facendo sotto la
direzione di Fauci è un crimine punibile fino a 99 anni di carcere e fino a $
100 milioni per conteggio.
Le
dichiarazioni delle "autorità" sono così eclatanti in materia che non
c'è bisogno di inventare una cospirazione perché tutto ciò che hanno fatto è
stato registrato e pubblicato. Secondo Martin, sono anche in violazione delle
leggi sulla cospirazione criminale e sul racket e lo hanno ammesso.
Secondo
i documenti del produttore di vaccini Pfizer, "non esiste un precedente attuale per
un'immunoterapia basata su mRNA, come il tipo che stiamo sviluppando, approvato
per la vendita dalla FDA [Food and Drug Administration], dalla Commissione
europea o da qualsiasi altra agenzia di regolamentazione in altre parti del
mondo".
"Questo
non è un vaccino per la salute pubblica. Questa è un'alternativa chimerica
sintetica generata dal computer al fattore di virulenza di SARS-CoV-2 ",
ha insistito Martin.
"Questa
è la realtà che dice che siamo sottoposti a una dipendenza perpetua da un
agente patogeno e tossico noto. E il motivo per cui Anthony Fauci sta ora sostenendo il
prossimo round di booster". (Correlato: I dottori Peter Daszak e Anthony Fauci
devono essere ARRESTATI, poiché emergono nuove informazioni che documentano il
miglioramento e l'implementazione pianificati del coronavirus.)
Nel
frattempo, i documenti hanno rivelato che lo zoologo Peter Daszak e i suoi
collaboratori hanno pianificato di rilasciare nanoparticelle che potrebbero
penetrare nella pelle. Queste particelle contengono "nuove proteine spike
chimeriche" da coronavirus di pipistrello, che possono penetrare nella
pelle quando migliorate.
I documenti hanno inoltre rivelato che
COVID-19 è più di un virus. È un'arma biologica che è stata strategicamente
sviluppata e prevista per il dispiegamento.
Hanno
anche pianificato di creare virus chimerici, geneticamente migliorati per
infettare gli esseri umani più facilmente, e hanno chiesto 14 milioni di dollari
alla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) per finanziare il
lavoro.
DARPA ha rifiutato l'applicazione.
(Daszak
è il presidente di EcoHealth Alliance, un'organizzazione senza scopo di lucro
che ha ricevuto finanziamenti dall'Istituto nazionale di allergia e malattie infettive di
Fauci per
studiare i coronavirus dei pipistrelli con gli scienziati dell'Istituto di
virologia di Wuhan.).
(Brighteon.com
--Telegraph.co.uk).
Dr.
Lee Merritt: Siamo nella quarta fase
della
GUERRA del DNA contro l'umanità.
Vaccionedeaths.com-(04/07/2022)
- Ramon Tomey : ci dice :
Il
conduttore di Brighteon.TV Dr. Lee Merritt ha detto a Bob "The
Plumber" Sisson che l'umanità è alla quarta fase della guerra del DNA che
coinvolge i vaccini contro il coronavirus di Wuhan (COVID-19).
"Parlando
della grande guerra del DNA contro l'umanità ... fondamentalmente, siamo nella
quarta fase della guerra. Non credo che possiamo votare noi stessi al di fuori
di questo. Dovremo prepararci, proteggerci e forse lottare per uscirne",
ha detto durante i quattro giorni del Let's Go Brandon Rally tenutosi a
Brandon, in Florida.
Il
conduttore di "Merritt Medical Hour" ha detto a Sisson: "Dal 2015, mi sento come se
avessi assistito a un attacco terroristico al rallentatore contro il mondo
intero e non potessi fermarlo. L'unica ragione per cui sono stato svegliato presto è
perché l'[AAPS] mi ha svegliato a ciò che stava accadendo e ai crimini della
medicina organizzata". (Correlato: Dr. Lee Merritt avverte: i vaccini forzati sono un
crimine a livello di Olocausto contro l'umanità.)
L'ex
presidente dell'Association of American Physicians and Surgeons (AAPS) ha
scritto un editoriale nel 2015, che è stato pubblicato con il suo nome da
nubile Lee Hieb. Il suo pezzo del 10 marzo 2015 criticava il National Adult
Immunization Plan dell'amministrazione Obama.
"Non
si può gridare per il 'diritto di scelta di una donna' quando si applica
all'aborto, ma non darle il diritto di scegliere ciò che le viene somministrato
in una siringa. Permettetemi di essere chiaro: la salute pubblica non prevale sulla
libertà individuale. Fine della storia", scrisse all'epoca.
Sia
Sisson che Merritt hanno citato lo scrittore conservatore G. Edward Griffin
come determinante nell'aprire gli occhi sui vaccini. Sisson, conduttore di
"CLO2TV", ha detto che il libro di Griffin "A World Without Cancer"
gli ha mostrato come le famiglie Carnegie e Rockefeller hanno preso il
controllo delle scuole di medicina e hanno drasticamente alterato la pratica
della medicina.
"Ho
iniziato a svegliarmi, ma non sono diventato serio fino a quando forse [l'ex
presidente Donald] Trump era in corsa. Pensavo che ce l'avessimo fatta una
volta che fosse entrato [alla Casa Bianca]. Ma la palude è più profonda di quanto
pensassimo", ha detto Sisson. "[Griffin] ci stava dicendo cosa
succederà oggi, probabilmente già negli anni 1960 e 1970".
Gli
individui vaccinati non possono de-vaccinarsi da soli.
"Nessuno
che non sia vaccinato in questo momento che io sappia salterà nel gruppo
vaccinato. Il gruppo vaccinato è già vaccinato, non può saltare. Possono solo decidere se avere il
quarto o il quinto richiamo, immagino – ma non possono 'non-vaccinarsi' per
quanto ne sappiamo", ha detto Merritt.
"Siamo
in una situazione in cui [è] una specie di calma prima della tempesta. Stiamo
vedendo i morenti, ma non abbiamo un'idea di ciò che direbbero il "primo
derivato del morire". In altre parole, non sappiamo quanto rapidamente stia
cambiando il tasso di mortalità".
L'ospite
di "Merritt Medical Hour" ha indicato un "marcato aumento senza
precedenti" della mortalità per tutte le cause causata dai vaccini
COVID-19, citando dati provenienti da Stati Uniti, Regno Unito e Germania.
"Non riesco a trovare numeri in Israele, ma sono sicura che stanno avendo
grossi problemi perché sono state le prime persone vaccinate", ha detto.
Merritt ha anche menzionato i nati morti, gli aborti spontanei e l'infertilità
come alcuni degli altri problemi legati ai colpi di vaccino.
"Invece
di riorganizzare le sedie a sdraio sul Titanic, dobbiamo guardare i dati e
prepararci perché [questo] ci dirà se abbiamo bisogno di vedere la tendenza [e]
dove va. Non possiamo fare un backup su questo".
Secondo
Merritt, ci sono diversi modi per affrontare la proteina spike SARS-CoV-2 nei
vaccini COVID-19.
"Possiamo
affrontare la proteina spike, sappiamo come farlo. Ivermectina, ossigenoterapia
iperbarica, chelazione, glutatione [per via endovenosa] – ci sono molte cose
che possiamo fare".
Poi si
è rivolta a Sisson e ha detto "Penso che la tua cosa sia proprio
lassù", in riferimento al biossido di cloro, che il conduttore di
"CLO2TV" sta promuovendo.
(Una conversazione
tra Bob Sisson e il Dr. Lee Merritt al Let's Go Brandon Rally in Florida.
Canale
BrighteonTV su Brighteon.com.).
Guerra
Ucraina, chi piangerà di più
in
Italia per le sanzioni contro la Russia.
Starmag.it-
Marco Dell'Aguzzo- (23-2-2022 )- ci dice :
Guerra
Ucraina: l’Italia è uno dei Paesi europei meno favorevoli all’imposizione di
sanzioni dure contro la Russia. Ecco perché e quali sono i settori, le aziende e gli
istituti di credito più attivi a Mosca. Fatti, nomi, numeri e analisi.
Martedì
22 febbraio i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno deciso di imporre
sanzioni contro la Russia per il riconoscimento formale dell’indipendenza delle
autoproclamate repubbliche di Doneck e Lugansk e per l’invio di truppe in
Ucraina orientale.
FARE
“MALE” ALLA RUSSIA CON LE SANZIONI.
Le
sanzioni sono rivolte verso tutti i membri della Duma di stato (la camera bassa
del parlamento russo) che hanno votato a favore del riconoscimento dei
territori separatisti, verso ventisette individui o entità che minacciano direttamente
l’integrità territoriale ucraina e verso le banche che finanziano i ribelli del
Donbass (la regione dell’Ucraina orientale dove si trovano le repubbliche in
questione).
Secondo
Josep Borrell, il rappresentante della politica estera dell’Unione europea, il
pacchetto di sanzioni approvato da Bruxelles “farà molto male” alla Russia, e
dovrebbe servire a disincentivare il Cremlino dal lanciare un’operazione
militare più vasta in Ucraina.
LA
POSIZIONE DELL’ITALIA.
L’Italia
è uno dei paesi dell’Unione europea maggiormente filorussi, e vorrebbe pertanto
sanzioni limitate in risposta alle mosse di Vladimir Putin. Questa posizione –
e l’approccio cauto che emerge dalle dichiarazioni dei politici, incluso il
presidente del Consiglio Mario Draghi – ha tre spiegazioni: la volontà di proteggere gli
importanti rapporti economici; la dipendenza dalle forniture di gas russo per
il soddisfacimento del fabbisogno energetico; una certa fascinazione
politico-culturale, sia a destra che a sinistra, per la Russia e/o per Putin.
L’Italia
è molto dipendente dalle importazioni di gas russo, che rappresenta il 43 per
cento degli acquisti dall’estero (dati 2020). Seguono a distanza quello
algerino (circa 23 per cento), quello norvegese (11 per cento) e quello
qatariota (10 per cento).
Il
nostro, inoltre, è uno dei paesi europei più vulnerabili a un’interruzione
delle forniture russe: sia per i volumi importati, sia perché è molto legato
alle condotte russe che passano per l’Ucraina, ovvero quelle che più
probabilmente verrebbero interrotte in caso di guerra. L’Italia condivide quest’ultima
vulnerabilità con l’Austria, che infatti rientra nel blocco degli stati europei
meno inclini alla durezza sanzionatoria verso Mosca.
QUANTO
VALE IL COMMERCIO ITALIA-RUSSIA.
Secondo
la Sace, società del ministero dell’Economia che si occupa di assicurare gli
investimenti italiani all’estero, la Russia è il quattordicesimo mercato di destinazione
per le esportazioni italiane.
Nel
2021 l’export italiano in Russia è valso 8 miliardi di euro, leggermente
superiore ai valori del 2019 e nettamente rispetto a quelli del 2020 (7,1
miliardi). Le previsioni al 2024 indicano un incremento progressivo su base
annua, da 8,8 miliardi nel 2023 a 9,1 nel 2024.
Nel
2020, a fronte di esportazioni per 7,1 miliardi, le importazioni italiane dalla
Russia sono valse 9,1 miliardi.
La
Sace, come dichiarato dall’amministratore delegato Pierfrancesco Latini,
possiede un portafoglio di attività in Russia dal valore di circa 3,2 miliardi
di euro.
LA
QUOTA DI MERCATO DELL’ITALIA.
I dati
Sace fissano la quota di mercato dell’export italiano in Russia al 4,4 per
cento. Si tratta di un valore superiore a quelli di Francia (3,5 per cento) e
Spagna (1,3 per cento), ma inferiore a quello della Germania (10,2 per cento).
ESPORTAZIONI
E IMPORTAZIONI.
L’Italia
esporta in Russia principalmente macchinari, abbigliamento, apparecchi
elettronici e prodotti chimico-farmaceutici. Importa, invece, soprattutto prodotti
minerari, petroliferi e metallurgici. La bilancia commerciale pende nettamente
dalla parte della Russia.
RISCHIO
POLITICO.
Secondo
la valutazione della Sace, il rischio politico in Russia è medio (52/100). Ma
il rischio di guerra e disordini civili è considerato più alto (61/100), così
come quello di credito (61/100) e di mancato pagamento dalla controparte
bancaria (68/100) e corporate (74/100).
COSA
FANNO UNICREDIT E INTESA SANPAOLO.
Antonio
Fallico – presidente
di Banca Intesa Russia (Intesa Sanpaolo) e dell’Associazione Conoscere Eurasia,
e definito “l’italiano
più potente di Mosca” – aveva detto di pensare che gli affari tra Italia e
Russia debbano “svolgersi regolarmente”, nonostante le tensioni sull’Ucraina. Intesa Sanpaolo ha ventotto filiali
in Russia e possiede asset per 1 miliardo di euro circa, oltre a gestire la
maggior parte degli investimenti italiani in Russia e viceversa.
Secondo
uno studio di Credit Suisse, le banche italiane sono tra quelle più esposte
verso la Russia a livello europeo, assieme agli istituti francesi ed austriaci. Dopo Raiffeisen Bank International
e Société générale, la terza banca per esposizione è infatti UniCredit: è presente in Russia dal 2005 e
possiede due milioni di clienti retail e 30mila corporate. Nel 2021 l’utile della controllata
russa del gruppo è stato di 180 milioni di euro, su un totale però di 3,9
miliardi. UniCredit – come spiega MF-Milano Finanza – aveva mostrato interesse
per la banca russa Otkritie, “nazionalizzata nel 2017 a seguito di un bailout
causato dall’eccessivo ammontare di crediti deteriorati”.
I RISCHI
PER CALZATURE E ABBIGLIAMENTO.
Arturo
Venanzi, presidente
della sezione Calzature di Confindustria Fermo, ha recentemente dichiarato al
Sole 24 Ore che “l’’eventuale varo di nuove sanzioni [alla Russia] sarebbe un disastro
perché qui sul territorio ci sono almeno 20mila addetti impegnati nel distretto
delle calzature e in media per le aziende la Russia vale il 30% dei ricavi”. Si stima che circa il 7 per cento
delle esportazioni di calzature nell’area di Fermo si diriga in Russia.
Niccolò
Ricci, amministratore delegato di Stefano Ricci, marchio di abbigliamento di
lusso, ha detto che Russia e Ucraina valgono il 15 per cento dei ricavi della
società.
I
CONTRATTI DI SAIPEM E MAIRE TECNIMONT.
Molto
attiva in Russia – ma poco toccata dalle sanzioni imposte anni fa, si legge sul
quotidiano Domani – è Saipem, la società di tecnologie per l’energia in
difficoltà finanziarie dopo il profit warning di fine gennaio. È coinvolta nel progetto Arctic LNG 2
sul gas liquefatto, sviluppato assieme a Novatek (il primo treno di
liquefazione dovrebbe entrare in funzione nel 2023), per un valore di 3,3
miliardi di euro. Saipem sta inoltre lavorando con Gazpromneft, società del
gruppo gasifero statale Gazprom, alla costruzione di un nuovo impianto nella
raffineria di Mosca.
Ancora
più presente di Saipem in Russia è Maire Tecnimont, altra società
ingegneristica italiana focalizzata sul settore energetico: nel 2017 ha
ottenuto un contratto da 3,4 miliardi per la costruzione di un sito di
trattamento del gas nella regione di Amur. Il progetto – definito uno dei più
grandi al mondo – è portato avanti da Gazprom e i fondi sono stati forniti, tra
le altre, dalle banche statali russe Sberbank e VTB, che gli Stati Uniti
potrebbero sanzionare.
LE
VALUTAZIONI DI INTESA SANPAOLO.
Visto
il rischio di una guerra tra Mosca e Kiev, Intesa Sanpaolo ha esaminato
l’esposizione al mercato russo di tutte le aziende italiane sotto la sua
copertura. Pochissime di queste – riporta MF-Milano Finanza – presentano
un’esposizione significativa (al 10 per cento o superiore).
Per
Eni, Elica e Aeffe l’esposizione al mercato russo vale il 2 per cento dei
ricavi. Moncler, Safilo e Triboo sono sotto il 2 per cento. Salvatore Ferragamo
è sotto l’1 per cento.
Più
alta è l’esposizione di Brunello Cucinelli, al 5 per cento, e di Campari, al 3
per cento; De Longhi è al 6 per cento, Geox all’8.
Le
società più esposte sono invece Maire Tecnimont e TraWell con il 25 per cento
dei ricavi, Buzzi Unicem con il 10 per cento, Lu-Ve con il 7,6 per cento e
Recordati con il 4,5. Seguono con oltre il 3 per cento dei ricavi Sit e Prima
Industrie. Pirelli è al 3 per cento, Comer al 2, Interpump all’1,5, Biesse
all’1,3, Seco all’1 e Zignago Vetro allo 0,2.
Per
quanto riguarda le società energetiche come A2A, Acea, Enel, Hera e Iren,
secondo Intesa Sanpaolo l’impatto che avvertirebbero dipenderà dall’attività di
approvvigionamento di gas in Europa, che potrebbe ridursi. “Quanto a Enel”, scrive MF, “la
banca ritiene che la società possa risentire delle stesse considerazioni, al di
là dell’attività del gruppo in Russia, pari allo 0,4% del fatturato
consolidato/ebitda”.
Il
conflitto Ucraina: 10 punti per capire
come
la guerra ha cambiato il mondo.
Ispionline.it-
Redazione-(16 marzo 2022)- ci dice :
L’invasione
dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin è uno spartiacque. In sole
due settimane ha prodotto una serie di conseguenze impensabili fino a pochi
giorni prima: e non solo per le parti in causa, ma anche per il resto del
mondo.
Dal ricompattamento
degli Stati membri dell’Unione Europea alla decisione storica della Germania di
riarmarsi; da un flusso migratorio senza precedenti alla messa in discussione
della transizione energetica, dalla rivitalizzazione della NATO al possibile
“raffreddamento” delle relazioni tra Mosca e Pechino, questa guerra sembra
essere un vero game-changer.
Comunque
vada a finire il conflitto, il mondo di domani potrebbe non essere più lo
stesso.
Dalla
guerra (contro la pandemia) alla guerra (quella vera).
Due anni
fa l’inizio della pandemia ha cambiato il volto del mondo, portando i paesi ad
adottare misure da tempi di guerra, dalla chiusura dei confini ai lockdown;
quella che è stata spesso chiamata “la guerra contro il virus” ha portato
l’Europa a uno sforzo di coordinamento e di solidarietà al suo interno talvolta
difficile, tra chiusura delle frontiere e politiche vaccinali diverse.
Mentre l’UE si abitua alla “nuova normalità”,
la guerra ai suoi confini pone ora una minaccia esistenziale che ne ha
compattato la risposta: in tempi da record, l’UE ha mobilitato aiuti militari
per 500milioni di euro, facendo la scelta storica di usare il budget dei paesi
membri per finanziare la consegna di armi letali.
L’attenzione si sposta dalla guerra al virus
alla guerra sul campo, mentre nelle zone di maggiore flusso di rifugiati, si
teme un allarme Covid-19: due guerre diverse che hanno cambiato il volto del
mondo, insieme? Nel frattempo, la reintroduzione del Patto di Stabilità può
attendere. È il caso di parlare di una nuova “variante Kiev”?
Germania,
Europa: aiuti militari “da 0 a 100 (miliardi)”.
Da
domenica 27 febbraio, l’UE per la prima volta nella sua storia ha iniziato a
esportare armi.
Non
era mai accaduto: i Trattati impediscono a Bruxelles di utilizzare il budget
comunitario per motivi bellici.
Ma i
Ministri dell’UE hanno aggirato il divieto attivando uno strumento esterno al
budget, la
European Peace Facility, che può mobilitare fino a 5 miliardi di euro per aiuti
militari.
500
milioni sono stati immediatamente utilizzati per inviare armi sul fronte
ucraino. Questa svolta riflette l’eccezionalità per l’UE e i suoi Stati Membri
della crisi ucraina, che il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito “un
momento storico per il nostro continente”.
Proprio
la Germania ha iniziato lo scorso 26 febbraio un nuovo capitolo della propria
storia. Negli ultimi settant’anni il governo tedesco non ha mai esportato armi
verso territori di conflitto, un impegno durato fino a qualche giorno fa: il
Paese si è adesso riposizionato a livello internazionale dando sostegno
militare (attraverso l’esportazione di armi) al governo di Kiev.
Su
questa scia, 24 ore dopo, Berlino ha anche annunciato un aumento della spesa
militare (attualmente all’1,5% del Pil) tale da raggiungere l’obiettivo interno
alla NATO del 2% del Pil. A questo contribuirà uno stanziamento di 100 miliardi
di euro per spese militari.
Da
Trump a Biden, se l’Atlantico torna a restringersi.
Durante
la Presidenza Trump le relazioni transatlantiche erano giunte ai minimi
termini: sia a livello economico, a causa dei dazi imposti dagli USA sui
prodotti europei, che a livello strategico-militare, con Trump che criticava i
membri europei della NATO per non spendere abbastanza per la Difesa.
Con Biden alla Casa Bianca, nel 2021 le frizioni
commerciali sono state parzialmente risolte (sia la controversia Airbus-Boeing
che quella sull’acciaio/alluminio) ed è stato lanciato un nuovo “Trade and
Technology Council”.
Oggi,
la guerra in Ucraina ha riavvicinato ulteriormente le due sponde dell’Atlantico
anche dal punto di vista geopolitico, con una convergenza pressoché totale
sulle misure da prendere contro la Russia (vedi il coordinamento sulle
sanzioni) e in sostegno dell’Ucraina.
Migranti:
Da "aiutiamoli a casa loro" a "accogliamoli tutti".
La
guerra in Ucraina ha generato un flusso di rifugiati rapido e massiccio. Di
fronte a questo fenomeno senza precedenti, i leader europei hanno risposto con
solidarietà, aprendo i confini e facilitando le procedure di ingresso.
L’UE ha approvato l’utilizzo della Direttiva
di Protezione Temporanea, che darà alle persone provenienti dall’Ucraina (salvo
alcune categorie) il diritto di essere accolti nell’UE con procedure semplificate.
Questa
direttiva viene usata per la prima volta e dà ai rifugiati di guerra una
protezione senza precedenti per la semplicità delle procedure, particolarmente
snelle e veloci, con accesso al sistema educativo, al mercato del lavoro,
alloggio e assistenza sociale, con un rinnovo automatico di un anno.
Questa solidarietà si differenzia rispetto
alla gestione di “crisi migratorie” del passato, come quello del 2015 nel
Mediterraneo, la chiusura dei confini da parte dell’Ungheria, o il recente
trattamento dei migranti e richiedenti asilo al confine tra la Bielorussia con
Polonia e Lituania: si è passati da una politica di chiusura a una di
benvenuto, un’accelerazione virtuosa di fronte all’emergenza in corso, ma che ha fatto parlare di doppio
standard nel trattamento dei migranti in base ai paesi di provenienza.
Sanzioni:
Da armi spuntate a un “all in”?
Le
prime sanzioni alla Russia furono imposte nel 2014, in seguito all’invasione
della Crimea e al sostegno dei movimenti separatisti nel Donbass da parte della
Russia. Quelle misure, volte soprattutto a colpire singoli individui o settori
circoscritti, ebbero un’efficacia limitata portando alla “cristallizzazione”
dell’occupazione in Ucraina.
Otto
anni dopo, la situazione è decisamente diversa: l’esclusione delle principali banche
russe dal circuito di pagamenti SWIFT e il blocco delle riserve valutarie della
Banca Central Russa in euro e in dollari possono davvero colpire l’economia di
Mosca (come dimostra il crollo del rublo – 29% - nella sola giornata del 28
febbraio).
Dopo
decisioni “timide” dovute anche a visioni divergenti tra gli Stati membri volte
a tutelare i propri interessi nazionali (va menzionata anche l’iniziale
ritrosia dell’Italia e della Germania), l’invasione dell’Ucraina ha convinto
l’UE a varare in maniera compatta sanzioni molto più pesanti.
Climate
change: Dal net zero al "va bene tutto purché scaldi."
Se il
2020 è stato l’anno dei grandi annunci di svolta climatica dei più importanti
Paesi del mondo, con Unione Europea, Cina, Giappone e Stati Uniti che
annunciavano piani ambiziosi per arrivare alla neutralità climatica entro la
metà del secolo, la situazione all’inizio del 2022 è profondamente cambiata.
L’Europa sembra riconoscere che la transizione
sarà lunga e annuncia l’inserimento del nucleare e del gas tra le fonti
“green”, ma anche questo potrebbe non bastare a gestire l’emergenza di
breve-medio periodo.
Nel frattempo, si parla di riapertura di centrali a
carbone, per far fronte a prezzi del gas impazziti e per cercare di ridurre la
dipendenza dalla Russia. Non è la sola: Pechino annuncia infatti la riapertura
di centrali e miniere di carbone per far fronte all’accresciuta domanda di
energia.
Si
apre ora e più che mai la questione: è il momento della grande accelerazione
degli investimenti in rinnovabili, o sarà l’energia “del passato” ad assicurare
la sicurezza energetica dei Paesi?
Nato:
Da “cerebralmente morta” a “the place to be”.
Per
Trump era inutile e per Macron era cerebralmente morta.
Oggi
far parte della Nato torna ad essere appetibile anche per paesi
tradizionalmente neutrali come Svezia e Finlandia, mentre le repubbliche
baltiche si sentono al sicuro per la loro appartenenza nell’Alleanza Atlantica
e comunicano al mondo il loro “te l’avevo detto che la Russia era pericolosa!”.
La
guerra in Ucraina ha innescato un cambiamento di approccio nella politica
estera di attori la cui neutralità sembrava consolidata verso una presa di
posizione attiva nei confronti della Russia. Svezia e Finlandia, molto vicine
geograficamente alla Russia, sembrano propense a interrompere una neutralità
decennale mostrando un interesse crescente a unirsi alla NATO, mentre mandano
in Ucraina aiuti militari.
Questa
dinamica ha coinvolto perfino la Svizzera, paese super partes per antonomasia,
la cui neutralità (che dura dal XVI secolo ed è sopravvissuta a due guerre
mondiali) è venuta meno quando la Confederazione ha imposto sanzioni alla
Russia e inviato aiuti militari.
Il
ritorno della guerra in Europa sta quindi spostando l’asse di paesi storicamente
neutrali verso un coinvolgimento nel fronte comune, mentre la Nato ritrova la
propria missione originaria di bastione difensivo contro le attività militari
di Mosca: la paura di Putin di una espansione a Est dell’Alleanza Atlantica
sembra sempre di più una profezia che si autoavvera.
Rapporto
Cina-Russia: Dall’amicizia “senza limiti” all’astensione all’Onu.
Fino
al 4 febbraio le relazioni tra Cina e Russia avevano toccato il massimo storico
tanto da essere definite “senza limiti”. Dopo 10 giorni dall’invasione si
moltiplicano i segnali di un mancato pieno supporto cinese all’invasione:
l’astensione
della Cina all’Onu, la telefonata tra Wang Yi e Kuleba per la mediazione di un
cessate il fuoco, il congelamento dei prestiti a Russia e Bielorussia da parte dell’Aiib
sostenuta da cinesi.
L’avanzata
dell’invasione con un crescente numero di vittime civili, l’isolamento russo e
il rischio che la Cina possa essere caricata delle responsabilità del conflitto
in quanto quasi alleata della Russia sembra aver fissato un limite, almeno
parziale, alle relazioni.
Che
negli ultimi anni, comunque, sono aumentate nettamente: sia dal punto di vista
economico (con la Cina che oggi è saldamente il primo partner commerciale di
Mosca), che energetico: è stato infatti da poco firmato il contratto per il
raddoppio del gasdotto “Power of Siberia”.
Taiwan:
Da “attenzione la Cina invaderà” a “attenzione l’Occidente risponderà.”
Secondo
l’Economist nell’estate 2021 Taiwan era “il posto più pericoloso al mondo” (a
causa delle mire espansionistiche di Pechino e degli interessi degli USA
nell’area) e prima delle Olimpiadi sembrava che la Cina cercasse di capire fino
a dove UE e USA si sarebbero spinti per difendere l’Ucraina, per eventualmente
agire di conseguenza con Taiwan.
La risposta
è arrivata: quando serve l’Occidente c’è e nel XXI secolo fare la guerra è
ancora più difficile di prima per la resistenza delle popolazioni locali e per
l’incredibile diffusione di informazioni di ogni tipo in tempo reale. Il
disimpegno in Afghanistan era stato fatto anche per concentrarsi sul
contenimento alla Cina, una politica che non può prescindere dalla difesa di
Taiwan.
Allo
stato attuale Pechino sembra molto meno desiderosa di impegnarsi nell’invasione
di Taiwan: un’impresa che, se fallimentare, potrebbe danneggiare la corsa di Xi
verso la riconferma al XX Congresso del Pcc del prossimo autunno. Le
ricognizioni aeree sembrano solo “normale amministrazione” senza costituire un
pericolo reale, anche perché la reazione di Taiwan e del resto del mondo sarà
di elevare l’allerta aumentando le difficoltà per un ipotetico attacco cinese.
Valute:
Dal dollaro al bitcoin?
Nei
mercati emergenti caratterizzati da volatilità finanziaria, detenere valuta
straniera considerata più “forte” (soprattutto dollari, ma anche euro) è
considerato il migliore modo per proteggere i propri risparmi ricorrendo a beni
cosiddetti “rifugio”.
Questo
era vero anche in Russia fino a pochi giorni fa, ovvero prima che entrassero in
vigore le sanzioni economiche che hanno fatto crollare a picco il valore del
rublo e reso quasi impossibile accedere a valuta straniera (da qui la corsa
agli sportelli bancari dei giorni scorsi).
A
causa del difficoltoso accesso ai canali “tradizionali” dei mercati finanziari
internazionali, in Russia (ma anche in Ucraina) ha ripreso vigore il ricorso al
Bitcoin come nuovo bene rifugio. Tanto che si sta cominciando a parlare dei bitcoin (e
degli altri crypto-assets) come “valute di guerra”.
La
guerra di Putin ha cambiato
tutto
(e ce ne accorgeremo presto).
Linkiesta.it-
Giovanni Cagnoli- Gael Gaborel, da Unsplash -
(11-3-2022)- ci dicono :
Oltre
alle questioni militari, umanitarie e diplomatiche, all’orizzonte ci sono
conseguenze di carattere economico, sociale e geopolitico immense: la Russia,
in crisi, diventerà con ogni probabilità il vassallo della Cina, mentre
l’Europa dovrà fare i conti con l’inflazione e il problema delle risorse. Il
quadro dei partiti in Italia, poi, subirà cambiamenti drastici.
L’invasione
e la guerra ucraina aprono scenari di lunghissimo termine per la geopolitica e
spazzano via un trentennio di assurde narrazioni in Occidente. Trent’anni
segnati da movimenti politici improvvisati, privi di ogni aggancio storico e
culturale e sostanzialmente incapaci non tanto di governare, che è un traguardo
improponibile per Lega e 5 Stelle, ma anche solo di partecipare in modo
adeguato al semplice dibattito in corso.
(I
mezzi militari russi in Ucraina sono marchiati con delle Z bianche.
wired.it
- gallery).
Alcuni
rilevanti cambiamenti sono ormai già evidenti.
È
acclarato che la Russia, peraltro militarmente poco pericolosa alla luce di
quanto si è potuto vedere, e soprattutto la Cina vedono l’occidente come un
nemico storico, da contrastare in ottica di rapporti di forza per ottenere
l’egemonia economica e militare sul resto del mondo.
Difficile
intuire cosa significhi veramente egemonia nel XXI secolo.
Come
dimostrato acutamente in numerosi saggi, oggi la conquista o l’egemonia su un
territorio, quando il mondo è determinato da un’economia mobile e focalizzata
sui servizi, significa veramente poco o nulla se non è condivisa dalla
popolazione. Nulla però potrà cancellare agli occidentali la memoria di questa
barbarie, insieme con la presa di coscienza delle aspirazioni egemoniche di
Russia e Cina, dopo che per anni i cantori dell’imperialismo americano e di
altre facezie nostrane avevano distratto l’opinione pubblica dalle mosse già
molto evidenti dei sistemi geopolitici a noi ostili.
A chi
va dicendo inopinatamente “né con la Nato né con Putin” si contrappone il buonsenso
generale che vede nella Nato l’unica, fondamentale, preziosa difesa da Putin (benché
lontana dalla Cina). E più gli sciagurati eredi del “comunismo de noantri“
continueranno a esprimere opinioni tanto dissennate, più avveleneranno i pozzi
dei loro stessi alleati politici interni.
Ci
sarà da ridere a vedere le contorsioni del Partito Democratico quando, in una
competizione elettorale, dovrà correre con alleati come Articolo 1 o altri
partiti di estrema sinistra. Verrà facilmente attaccato e spiazzato da chi farà notare
che essere al governo con chi dice “né con la Nato né con Putin” rappresenta
una posizione che, nel nuovo mondo, è estremamente pericolosa: apre una falla
in cui la Russia potrebbe tentare di inserirsi.
Ne
consegue che presso una larghissima maggioranza di italiani la linea di
politica estera europeista, atlantista e con la Nato non è più in discussione
nemmeno per lontana ipotesi. Di Battista, Bersani, Fratoianni, Landini e compagnia sono,
politicamente, come la peste. Chi li tocca muore (sempre politicamente) all’istante, in
forza di ragioni evidenti anche all’opinione pubblica meno informata. Rimarranno come novelli Bertinotti,
con un consenso sempre inferiore al cinque per cento e nessun peso politico
sostanziale.
È
ormai evidente che la transizione ecologica vada affrontata con gradualismo e
intelligenza.
Per
prima cosa bisogna uscire dalle importazioni di petrolio e gas dalla Russia, e
serviranno realisticamente due o tre anni e molti soldi. Spariscono spazzati via come la
neve ad aprile i dibattiti su trivelle, gasdotti, tap e quant’altro,
dimostrando anche qui plasticamente quanto fossero in passato ridicoli e
infondati. A valle di questo obiettivo, ci si dovrà porre il tema dei costi e
dei benefici della transizione ecologica.
Improvvisamente
i tempi diventeranno parte integrante del dibattito, perché banalmente non
avremo abbastanza soldi per gettare miliardi di euro in obiettivi forse anche
necessari, ma conseguibili soltanto grazie alle risorse generate dall’economia
– la quale economia non può essere strozzata indefinitamente da costi
energetici esorbitanti, pena il non raggiungimento degli obiettivi stessi di
taglio alle emissioni per mancanza di risorse.
Saremo
tutti per una volta acutamente consapevoli che il welfare, la transizione
ecologica, la sanità dipendono dallo sviluppo economico e non sono diritti
acquisiti atavicamente dalle opulente società occidentali, come qualcuno ha voluto
inopinatamente fare credere peer mero populismo elettorale.
Per
una strana ma efficace eterogenesi dei fini, questa esplosione dei prezzi
dell’energia rende palese quanto dobbiamo essere attenti al tema dei costi
dell’energia stessa, e quanto sia assurdo perseguire obiettivi manichei in un
contesto di guerra militare ed economica nel pianeta.
È una
grandissima sveglia collettiva, dopo che per anni si è discusso tanto di
emissioni e mai dei costi di contenimento delle emissioni, come se la questione
delle risorse da impiegare per raggiungere questi obiettivi, sacrosanti in sé
ma per nulla ovvi sull’asse dei tempi, fosse scontato e indifferente.
Da
adesso in poi tempi e costi saranno “front and center” come dicono gli
anglosassoni.
In
generale avremo un tasso di inflazione molto più alto di quello vissuto negli
ultimi 30 anni e più a lungo, a causa di un generale aumento delle materie
prime (in alcuni casi come l’energia o il nickel si tratta di un’esplosione più
che un aumento) e per la necessità di assicurarsi fonti di approvvigionamento
su tutte le commodity (e non solo) protette dalle azioni geopolitiche
aggressive di Russia e Cina.
Saremo
disposti a pagare un prezzo più alto pur di non essere ricattabili, perché
abbiamo ben capito che Russia e Cina sono pronte a sfruttare, in modo cinico e
indiscriminato, qualsiasi possibilità di ricatto nei nostri confronti.
È la
fine definitiva del “processo di globalizzazione” iniziato con la caduta del muro di
Berlino nel 1989 e con la rivoluzione del ruolo cinese nel mondo, postulata da
Deng Xiao Ping già o meno negli stessi anni.
Le
implicazioni in casa nostra sono pesanti: calerà il potere di acquisto e,
soprattutto, verrà intaccato il welfare così come lo conosciamo. Difficilmente le pensioni italiane,
le più generose e meno sostenibili in Europa, verranno adeguate al 100% del
tasso di inflazione, specie nelle fasce di prestazione più elevate.
Si realizzerà in modo traumatico un
aggiustamento necessario del massiccio trasferimento intergenerazionale in
essere. Anche qui, una straordinaria eterogenesi dei fini: per difendere i giovani,
costantemente calpestati nei loro sacrosanti diritti da partiti politici,
sindacati miopi o interessati, governi per lo più orientati a sinistra per
decenni, interviene in via indiretta ma abbastanza evidente la guerra scatenata
da Putin e la reazione della Cina, cioè l’opposto di quel neoliberismo che
veniva accusato di strozzare il welfare con le regole di Maastricht. Una cosa
straordinaria e assolutamente imprevedibile.
Russia
e Cina sono i nostri dichiarati nemici.
La
Russia sprofonda nella triste a impossibile autarchia dell’Unione Sovietica
(ammesso che regga a lungo, e ci sono seri dubbi che possa succedere) mentre la Cina è totalmente
smascherata nel suo disegno di egemonia mondiale, anche presso coloro che
pretendevano non fosse vero, tra cui Di Maio/Grillo (per ignoranza) e D’Alema
(per interesse e ideologia).
Se per la Russia la scelta sarà tra diventare
il vassallo, nemmeno troppo ascoltato, della Cina, a cui dovrà portare in dote materie
prime e testate nucleari per poi essere abbandonato alla triste sorte
dell’attuale Bielorussia, con un tenore di vita da terzo mondo – o, in alternativa,
rovesciare il regime e praticare una rapidissima inversione a U diretta nel
campo occidentale – la Cina invece avrà tempo, risorse economiche, potenza
militare e soprattutto popolazione per ampliare il suo disegno per molti anni.
La
Russia ha un Pil ante crollo di circa 1,6 trilioni di dollari contro i circa 50
trilioni dell’occidente allargato. Non può competere, anche tenendo conto che
rapidamente le materie prime, unica fonte di sostentamento di un economia che
(dopo 70 anni di cura comunista) risulta ancora estremamente arretrata a
livello industriale, avranno un unico acquirente, cioè la Cina.
La quale in breve lo farà pesare. Per i
sostenitori di Vladimir Purin è un triste destino: cercano il loro spazio nella
storia e nell’egemonia del mondo e si troveranno a essere non solo vassalli, ma
anche vessati mercantilmente di chi oggi li incoraggia a suicidarsi.
La
Cina ha un Pil di circa 15 trilioni di dollari, è in rapido sviluppo, si trova
nella zona più popolata e dinamica del pianeta e riesce a coniugare crescita
economica e dittatura politica in modo unico.
Sarà
un avversario temibile e difficile da gestire. In entrambi i casi (Cina e Russia),
la dittatura consente asimmetria informativa e scarso scrutinio delle decisioni
del governo da parte della popolazione, che non ha voce democratica.
Questo
è un vantaggio non indifferente rispetto al mondo occidentale, dove ogni decisione politica è soggetta a
scrutinio, critica e ovviamente al vaglio della popolazione. Un vantaggio che nel tempo però diventerà
sempre più difficile da difendere, in un mondo in cui Putin è costretto a
chiudere tutto per evitare che il suo popolo sappia anche solo cosa sta facendo
e a raccontare pietose menzogne per coprire i suoi crimini di guerra.
Il
costo della disinformazione cresce e la possibilità di riuscita della
propaganda si abbassa nel tempo, così come il valore del nazionalismo.
Il punto di partenza però non è incoraggiante,
visto che in Cina il nazionalismo è molto acuto e la prospettiva di una svolta democratica
lontanissima.
La
Russia è iper-nazionalista, ma il suo destino è segnato senza appello. In
tre-cinque anni conterà pochissimo nello scacchiere globale.
Last
but not least, si assisterà a una dislocazione di capitale, ricchezza e potere senza precedenti. È prevedibile, o meglio evidente,
che i detentori di bond vengano ancora di più tassati dall’inflazione a
vantaggio dei detentori di attività reali come azioni e immobili, a maggior
ragione in un contesto di recessione e inflazione, che forzerà i governi e le
banche centrali (i cui responsabili vengono nominati dai governi) a essere
molto espansivi e con tassi di interesse molto bassi.
La
cosiddetta “repressione finanziaria”, cioè tassi reali negativi, resterà con noi non solo nel
periodo post-Covid, ma ancora a lungo, mentre il controllo dell’inflazione
derivante dalle materie prime e dalla fine della globalizzazione sarà per tutti
un obiettivo meno stringente rispetto allo sviluppo economico e al controllo
della disoccupazione.
Quindi
assisteremo a volatilità enorme (in questi giorni un crollo o un rimbalzo del 3 per
cento nei prezzi delle azioni è visto con indifferenza mentre tre settimane fa
faceva prima pagina dei giornali), ma anche a un trend di lungo periodo di penalizzazione
dei bond a vantaggio di equity e immobili, dopo che negli ultimi 30 anni era
successo l’opposto (con l’eccezione della bolla delle azioni tecnologiche, bio
tech e dei grandi vincitori della transizione digitale).
Oltre
che nelle asset class, l’inflazione determinerà la gestione del trasferimento
intergenerazionale come conseguenza indiretta, ma evidente soprattutto in
Europa e in Italia in modo plateale.
Ciò
che per decenni non si è mai voluto vedere diventerà inesorabilmente
necessario. Non potremo in nessun modo adeguare le pensioni, soprattutto quelle
di importo appena medio-alto, al 100 per cento dell’inflazione, pena
l’insostenibilità del nostro sistema economico.
Si
farà allora per forza quanto si sarebbe dovuto fare in modo attento e
programmato negli ultimi 30 anni. Ridurre è impossibile, ma aumentare poco o nulla è
facile e in un contesto di inflazione elevata si tratta di una forte riduzione
in termini reali. Sarà doloroso e ci saranno tensioni anche forti, ma l’esito
finale è già scritto. E forse è anche giusto così.
Per
contro, il lavoro protetto dal calo demografico, che è anch’esso destinato a
mordere molto più di quanto si pensi nei prossimi 10 anni, verrà premiato
probabilmente anche sopra il tasso di inflazione. La mancanza di lavoro qualificato e
necessario, insieme alla drammatica e decennale sottovalutazione delle
competenze richieste rispetto a quelle ridondanti, fa sì che le professioni più
richieste (data scientist, data analyst, in generale gestione di processi
complessi, ma anche badanti e personale medico/infermieristico) saranno
remunerate molto bene e protette dall’inflazione, a danno di altre professioni,
meno necessarie e purtroppo in Italia diffuse solo per la protezione quasi
incomprensibile operata dai sindacati della scuola di ruoli obsoleti e senza
alcun valore per gli stessi studenti. Anche qui, le inesorabili leggi
dell’innovazione e della domanda/offerta in un contesto di straordinario cambiamento
tecnologico fanno giustizia sommaria di una retorica antica e negativa per i
fruitori stessi dell’istruzione secondaria.
Per
fortuna il lavoro qualificato avrà finalmente forte premio sui fruitori di
rendita che non lavorano e spesso sono troppo pigri o incapaci di “conoscere”;
questi ultimi vedranno il proprio patrimonio erodersi inesorabilmente, forse
anche rapidamente senza potersi molto difendere.
Anche
qui una auspicabile e fin troppo attesa rivincita, o meglio redistribuzione
della ricchezza, del lavoro sul capitale improduttivo, non per merito di Karl
Marx e dei suoi epigoni, e nemmeno per improbabili tasse patrimoniali auspicate
senza conoscerne il funzionamento e gli effetti, ma all’opposto per merito
delle forze globali e del mercato che viene ancora additato come massimo
responsabile negativo di ogni nefandezza sociale.
Il XXI
secolo si farà beffe di chi non ha capito che il mondo va velocissimo e con
questa rivoluzione geopolitica trascina nell’oblio i miti populistici di chi
non voleva vedere il cambiamento, e ha dispensato false sicurezze scambiando
voti con promesse da mercante. È come mettere un dito sulla diga che si è rotta. L’ha rotta Putin con le sue bombe, ma
adesso non si ripara più e inizia l’inondazione.
Soprattutto
saranno profondissimi e duraturi gli effetti sulla nostra società, in cui
media, sindacati e partiti hanno per decenni nascosto la triste ancorché
sgradevole verità: serve creare ricchezza prima di redistribuirla,
l’indebitamento dello Stato deve avere un limite e la spesa pubblica
improduttiva e clientelare (di cui abbiamo recentemente creato i campioni
dell’assurdo con cash-back, reddito di cittadinanza e bonus 110% tutti
fortemente voluti dai 5 Stelle) va criticata con forza.
Tanto
per cominciare, tra meno di otto mesi si è ufficialmente in campagna
elettorale. L’attuale governo avrà molte difficolta a gestire la prossima finanziaria
pre-elettorale e si troverà sul tavolo l’enorme grana della politica dei
redditi in epoca fortemente inflattiva.
Ignazio
Visco ha già detto la sua opinione, secondo la classica teoria monetaria, per
la quale lo shock inflattivo da materie prime non deve trasmettersi a
salari/stipendi e tanto meno pensioni, ma in un anno elettorale la voce e le
idee di Visco (che Draghi peraltro sa leggere benissimo nello stesso modo)
saranno pressoché irrilevanti, come lo furono per anni quelle dei nostri ottimi
governatori della Banca d’Italia, che al 31 maggio ogni anno lanciavano anatemi
sulla produttività, sulla spesa pubblica e sulle pensioni per raccogliere vaghi
applausi di circostanza e nulla più da quasi tutti i partiti.
Applausi
regolarmente contraddetti con le norme della successiva finanziaria di lì a sei
mesi, con un occhio benevolo al deficit spending corrente. Quindi a marzo 2023, quando si voterà
e si eleggeranno solo 600 e non 945 parlamentari, possiamo aspettarci movimenti
tellurici rilevantissimi
I 5
Stelle e la Lega sommati non oscilleranno più intorno al 50% ma tra il 20 e il
25%. È ipotizzabile che i 5 Stelle saranno tra l’8 e il 10%, ma forse è una
stima troppo ottimista. Conte si distingue per quello che è, cioè una persona
di bassissimo spessore che dice solo ovvietà, le dice peraltro male e in modo
prolisso, e prospetta realizzazioni non fattibili come soluzioni geniali
(«Ristrutturate subito, è gratis capite, gratis!») resta l’apogeo della
comunicazione contiana.
Luigi
Einaudi si rivolta nella tomba pensando a quel “gratis” fatto con il denaro
pubblico dei contribuenti. Conte tra l’altro non ha alcun seguito e potere nel
partito di Grillo e Di Maio che assurge al ruolo di statista in tanta pochezza.
Per la
Lega la prognosi dipende dal coraggio che finora Giorgetti, Zaia e Fedriga non
hanno avuto nel relegare Salvini al ruolo che gli compete, cioè di clown. Se
continueranno a non trovare il coraggio, il partito scenderà tra il 13 e il
15%, aiutato dalla figuraccia planetaria di Salvini ridicolizzato da un sindaco
di un paesino polacco.
Non bastasse, le piazzate di Borghi e Bagnai
anti-euro e anti-Europa saranno oggetto di scherno per i più buoni e di feroce
polemica per i meno buoni.
Banalmente,
l’antieuropeismo in epoca di aggressioni imperialiste non paga, e tutti abbiamo
capito che l’Europa è un baluardo e la nostra preziosa ancora di salvezza.
Quindi, se si va avanti con Salvini il ritorno
alla marginalità politica è assicurato. Se invece fosse esautorato – ma a patto
che succeda quasi subito – il peso elettorale potrebbe aumentare, purché il
nuovo leader (Fedriga) si dimostri adeguato al momento storico e tagli i ponti
con il passato, con Salvini e il relativo cerchio magico, tornando a
rappresentare il mondo produttivo del Nord.
Il
Partito Democratico esce rafforzato e vincitore, ancorché al suo interno ci
siano sia Giorgio Gori e Lorenzo Guerini, che hanno svolto un ruolo molto
positivo meritando le lodi degli alleati americani, sia personaggi come
Provenzano, Boccia, Orlando, nonché il disastroso Emanuele Felice per la
politica economica, che continuano a fare ampi distinguo e soprattutto
postulano la continuazione della scellerata politica di deficit spending.
Bisognerà
vedere se Enrico Letta nella formazione delle liste seguirà la sua nomenklatura
ex Politburo (e allora si ferma al 22/23%) o se piuttosto sceglie una linea più
“renziana” (parola infamante per il Pd) e allora potrebbe salire al 25-28%.
Con
ogni probabilità sceglierà la prima strada e il crinale della scelta sarà
l’abiura o meno della «fantastica alleanza con i 5 Stelle».
L’elettorato
di centro mai seguirà il Partito Democratico su quella strada, limitandolo,
come hanno ben capito Carlo Calenda e Matteo Renzi. Ma le pulsioni
anti-renziane nel partito e il potere dei mandarini ex sezione Botteghe Oscure
spingono certamente per l’illusione della spallata definitiva insieme ai 5
Stelle verso il mondo dell’economia di mercato, il mondo dove il controllo
della spesa pubblica e della crescita economica sono visti sempre come nemici
da combattere. È un’occasione storica per diventare un moderno partito di centro
sinistra, ma la prognosi non è benigna, a causa del desiderio di potere e
l’ideologia di pochi.
Per
Fratelli d’Italia, Salvini ha aperto una prateria infinita. Il suo crollo
sfonda le porte a un’ulteriore crescita di Giorgia Meloni, la quale però a
questo punto si trova di fronte a un bivio non dissimile a quello del Pd.
Può
agevolmente arrivare al 22-24% raccogliendo i delusi di Salvini e chiudendosi
nel recinto del becero nazionalismo, della spesa pubblica assistenziale, e di
frange di nostalgica destra rafforzate dalla paura dell’orso russo oppure,
all’opposto, tentare di trasformarsi in un vero partito di governo di
centrodestra.
Per fare
questa transizione serve molto Crosetto e poco La Russa, molta cultura e poche
urla, e serve soprattutto portare a bordo personalità di spessore e non yes man
della prima ora, operazione in cui Fratelli d’Italia non ha, almeno finora, mai
brillato.
Francamente
dubito che la Meloni riesca in un compito così difficile, ma avrebbe carte da
giocare incredibilmente positive, visto che il nazionalismo anche fin troppo
urlato finora sarà almeno in parte sdoganato dall’aggressività russa.
Se approfittasse dell’occasione per urlarlo di
meno e per entrare nel dibattito economico sociale, finora abbastanza
trascurato dai suoi, gli spazi sarebbero rilevantissimi.
La sensazione è che la Meloni lo ha intuito
(vedi la visita negli Stati Uniti) ma non basta, deve saperlo anche fare e non
è facile.
Infine
il fantomatico centro.
Forza Italia non ha alcuna propulsione con il
declino anagrafico di Berlusconi (anche lui grande amico storico di Putin e
quindi assai silenzioso). Renzi e Calenda litigano spesso e volentieri. Toti e Brugnaro cercano di farsi
notare ma partono da percentuali infime.
Se si
trovasse una forma di accordo, il centro governerebbe sempre il Paese
realisticamente spesso con il Pd, ma anche occasionalmente con la versione
rinnovata di Fratelli d’Italia.
Ma non
succederà a causa delle ambizioni dei vari attori in gioco e del fatto che la
legge elettorale non verrà mai cambiata (vedi l’opposizione viscerale
soprattutto dei 5 Stelle e della Lega, che sarebbero definitivamente fuori dai
giochi). Il
rischio è che un centro che vale oggi almeno il 20%, se non il 25% dei voti, si
trovi a essere rappresentato dal 5% dei parlamentari in una sorta di drammatica
pervicace auto-determinazione all’irrilevanza elettorale.
Un centro coeso (che capisco bene essere un
ossimoro) con il sostegno di Bentivogli, e magari Zaia e Fedriga in fuga dalla
Lega populista di Salvini/Borghi/Bagnai avrebbe il peso della vecchia
Democrazia Cristiana e sarebbe dominus della scena politica italiana a lungo.
Manca,
purtroppo per chi scrive, l’ingrediente chiave e cioè il nome del leader e il
sostegno convinto al leader di chi non lo fosse. Una mancanza grave e
realisticamente molto duratura, non certo modificabile in questi nove mesi che
ci separano dalla campagna elettorale.
Tuttavia,
in questo quadro assai desolante alcuni fondamentali risultati positivi sono
stati raggiunti anche paradossalmente per merito di Putin.
La
sostanziale sparizione di 5 Stelle, che sarà conclamata il giorno dopo le
elezioni;
La
sostanziale sparizione delle istanze populiste e anti europeiste della Lega,
già oggi conclamata;
L’abiura
dell’”uno vale uno”;
La
probabile fine del campo largo “Pd-5 Stelle”, che più che un campo largo sembra
oggi un abbraccio mortale; I vagiti ancora poco controllati di un nuovo centro
europeista, atlantista, e molto distante dal partito della spesa pubblica “a
prescindere”. Poco e male ma qualcosa si sta muovendo;
La
consapevolezza comune che è meglio avere al governo Draghi competente,
autorevole e ascoltato e non Conte incompetente, verboso e totalmente vuoto di
contenuti;
Partendo
dalle drammatiche elezioni del 2018, con il Parlamento popolato in massa da
Toninelli, Ciampolillo e amici non è poca cosa. Diciamo che una legislatura iniziata
nel peggiore dei modi con il Conte I, continuata con il peggior governo della
storia repubblicana (Conte II) e con un Parlamento spappolato in cambi di
casacca e con una qualità media pessima, finiamo con alcune consapevolezze e
con Draghi alla guida nella seconda fase Covid e durante la peggiore crisi di
politica estera del dopoguerra per quasi il 50 per cento della legislatura.
Non
poca cosa, e per fortuna lo scorso gennaio Matteo Renzi ha tenuto duro e ha
fatto saltare il banco, acquisendo un merito che gli verrà riconosciuto nella
sua carriera politica molto a lungo. E per fortuna Draghi ha accettato di
servire il Paese nonostante debba confrontarsi con Conte e Salvini e non più
con Weidmann, Olli Rehn o Ben Bernanke. Come non capire i momenti di
frustrazione.
Le
elezioni sono drammaticamente vicine. Il quadro geopolitico ed economico è
totalmente stravolto per almeno dieci anni. Il Parlamento del 2018 è il
peggiore possibile.
Dobbiamo
cercare di capire cosa c’è in gioco nel Parlamento del 2023, perché la crisi
ucraina e le sue conseguenze non diventino drammatiche più di quanto lo siano
già. Bisogna capire e spiegare le implicazioni di medio termine per la nostra
società, per l’Italia e per l’Europa.
Il
presidente ucraino Zelensky ha dimostrato che ci si deve difendere da soli,
pagando un prezzo enorme per questa scelta incredibilmente coraggiosa. Noi
dovremo difenderci nel modo che oggi sembra essere inadeguato, ma che resta il
migliore nel mondo, vale a dire con la democrazia e con il voto. Se non lo
sapremo fare, il prezzo sarà enorme anche per noi, speriamo non in termini di
vite umane, ma certo in termini di capacità di garantire ai nostri figli una
terra e una nazione dove i loro talenti possano crescere e prosperare.
Abbiamo,
anche per merito del sacrificio degli ucraini, una grandissima occasione per
crescere e superare alcuni nostri limiti endemici. Non possiamo mancare
l’appuntamento non fosse altro che per onorare il sacrificio di donne e bambini
innocenti a Kiev.
Guerra
in Ucraina: o l’Ue
abbandona
Maastricht o si disintegra.
Micromega.net-
Enrico Grazzini-( 21 Febbraio 2022)- ci dice :
La
minaccia di un conflitto nel cuore dell’Europa pone l’Unione davanti a un
bivio. Perché lo scontro riguarda il “grande gioco” tra Usa, Russia e, appunto,
Ue.
Di
fronte alla minaccia di una nuova guerra nel cuore dell’Europa, l’Unione
Europea è a un bivio: o riuscirà a diventare più unita realizzando nuove e più
strette forme di cooperazione o si disintegrerà.
L’Europa
in Ucraina vive per la prima volta dalla scomparsa dell’URSS la minaccia di un
nuovo grande conflitto bellico condotto direttamente da una superpotenza
atomica e nulla potrà più essere come prima.
Lo
scontro non riguarda solo e non tanto l’Ucraina – come ci vogliono fare credere
– ma il “grande gioco” tra Usa, Russia ed Europa.
Da una
parte la Nato, seguendo le aggressive strategie americane, punta a espandersi a
est direttamente sulle frontiere russe, e dall’altra parte la Russia di
Vladimir Putin pretende, in nome della sua sicurezza, di allargare la sua sfera
di influenza e di neutralizzare i Paesi confinanti, cioè quelli dell’ex Patto
di Varsavia.
(L’appello
– Russia, Ucraina e il conflitto che non conviene a nessuno: ma la pace è
ancora possibile.)
La
Russia ultranazionalistica di Putin vuole affermare la sua autorità a livello
europeo e globale confrontandosi frontalmente con l’aggressività della
superpotenza americana. L’Europa, in questo scontro, rischia di rimanere schiacciata
e di essere costretta a subire passivamente le decisioni e le forze altrui. Il rischio concreto per l’Unione
Europea è che se non riuscirà a prendere iniziative strategiche e di sicurezza
sufficientemente rapide, forti e coese si frantumerà sotto la formidabile
pressione degli avvenimenti.
Posta
di fronte allo scontro tra Russia e Usa in Ucraina, l’UE deve decidere
rapidamente che cosa vuole fare da grande (e anche se vuole davvero, e se può,
diventare grande). Dovrà decidere se costruire una forza militare autonoma di
difesa sotto l’ombrello atomico francese o se invece restare (quasi)
esclusivamente sotto l’ombrello americano, seguendo però così necessariamente e
in tutti i campi la politica estera americana.
Dovrà
decidere se seguire l’America di Biden non solo nello scontro con la Russia,
rischiando una nuova guerra in casa sua, ma anche in quello economico e
commerciale contro la Cina.
Il
problema è che il “Regno di Mezzo” è un prezioso partner della UE e potrebbe
diventare un formidabile fattore di sviluppo per l’economia europea. Il dilemma
è fondamentale soprattutto per la Germania, il Paese leader in Europa, che
esporta più in Cina che negli Usa. Basti dire che la Volkswagen vende il 40
percento delle sue automobili in Cina.
Ma la
questione cinese riguarda tutti i Paesi europei: per tutti loro il mercato asiatico è
senz’altro il più promettente a livello globale.
Lo
scontro geopolitico è quindi a 360 gradi e l’Europa dovrà decidere in fretta il
suo posizionamento tra le superpotenze se vorrà giocare un ruolo autonomo in
questo scenario di scontri multipli.
Il
presidente francese Macron traina attualmente la “politica di autosufficienza”
dell’Europa, apparentemente assecondato dal premier italiano Mario Draghi.
Non a
caso Macron ha affermato in una recente intervista all’Economist che “stiamo vivendo la morte cerebrale
della NATO”,
e Angela Merkel, di fronte all’ultranazionalismo arrogante di Trump, aveva già
dichiarato che “l‘Europa deve cominciare a pensare di forgiare da sola il suo destino”.
Si tratta ora di capire che cosa farà il nuovo governo
tedesco di Olaf Scholz di fronte al rischio di vedersi tagliate le forniture di
gas da parte della Russia di Vladimir Putin.
Anche
il governo Draghi è consapevole che uno scontro in Ucraina e un “non accordo”
sulla sicurezza europea potrebbe mettere in ginocchio l’economia italiana.
I
governi di Francia, Germania e Italia dovranno decidere se in prospettiva
accettare nella NATO i paesi dell’ex Patto di Varsavia, e proseguire così
l’accerchiamento della Russia sul fronte occidentale rischiando un confronto
diretto con il gigante militare, o se invece concordare con Putin un nuovo patto
difensivo che possa garantire la sicurezza di entrambe le parti – cosa
ovviamente tutt’altro che facile – e i rifornimenti energetici essenziali per
rifornire le industrie europee.
È
chiaro che in linea teorica i governi europei preferiscono puntare a una
soluzione diplomatica con la Russia, ma occorrerà capire che cosa concretamente
possono e vogliono offrire, e se Putin è interessato a dei compromessi. E sono anche consapevoli che le
eventuali ritorsioni economiche che potrebbero avviare nei confronti della
Russia in caso di conflitto probabilmente avranno un peso e un effetto minore
dei danni economici che invece la Russia potrebbe produrre all’Europa.
Rimanere
senza gas e petrolio, o comunque avere dei prezzi triplicati o quadruplicati,
potrebbe mettere in ginocchio la competitività dell’industria europea e il
benessere delle famiglie. Sembra insomma che in questa fase la Russia abbia il
coltello dalla parte del manico.
In
questo quadro di estrema turbolenza i governi europei dovranno prendere delle
decisioni che porteranno a una svolta della Ue, in un senso o nell’altro.
Finora
la Ue è stata un successo nel campo dell’apertura e dell’unificazione del mercato
continentale ma ha fatto fiasco sul piano monetario – nel senso che l’architettura e le
politiche dell’euro hanno messo in crisi e frenato l’economia dell’Eurozona, in
particolare quella dei Paesi periferici – ed è stato un completo fallimento sul
piano politico e istituzionale.
Ora
però si apre necessariamente una fase di grande discontinuità. I governi europei dovranno decidere
se attuare finalmente una politica energetica comune e se continuare o meno le
politiche solidali ed espansive decise per uscire dalla crisi del Covid
nonostante la crescita dell’inflazione.
L’energia
è il primo banco di prova dell’Europa: i governi dovranno decidere se
attuare una politica industriale comune, trattare insieme gli acquisti e gli
approvvigionamenti, attuare una comune politiche di scorte e di ricerca sulle
tecnologie energetiche alternative e limitare anche la concorrenza tra le
industrie europee, come per esempio tra la francese Total e l’italiana Eni.
Finora
in questo campo strategico l’Europa ha clamorosamente fallito. La Francia ha puntato sul nucleare,
la Germania invece lo sta chiudendo e, pur avendo il carbone, ha puntato a
trattative separate e privilegiate con i russi sul gas, fino a costruire
insieme a loro in gasdotto NorthStream2.
L’Italia,
senza carbone e senza nucleare, è il Paese che rischia di più: le industrie italiane dovrebbero
affrontare 37 miliardi di euro di costi energetici nel 2022, rispetto agli 8
miliardi di euro del 2019. Il prezzo del gas è aumentato del 500% rispetto al 2019 e
L’Autorità italiana di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, Arera,
all’inizio di quest’anno ha aumentato i prezzi dell’elettricità del 55% e
quelli del gas del 42%.
L’industria
nazionale rischia di essere tagliata fuori dalla competizione e la ripresa post-Covid
iniziata qualche mese fa dell’economia rischia di rallentare bruscamente a
causa dell’aumento delle bollette.
Il
governo a luglio ha stanziato circa 10 miliardi per alleviare i costi
dell’energia e a metà febbraio ha deciso di stanziarne altri 8 per le famiglie,
l’industria e gli enti pubblici.
Per
ora Draghi non prevede aumenti del debito pubblico causati dai nuovi sussidi
per l’energia ma è ovvio che prima o poi i costi dell’energia potrebbero
causare una crescita del debito di Stato o comunque una sua minora discesa.
Non a
caso Draghi ha chiesto che le eventuali sanzioni dell’Europa contro la Russia
non colpiscano il settore energetico.
Gli
interessi dei Paesi europei sono diversi e se la UE non adotterà nuove regole
di cooperazione allora in tempi più o meno lunghi potrebbe disintegrarsi.
Quali
saranno le possibili direzioni che concretamente prenderà è troppo presto per
dirlo. È
probabile che si manifesteranno ancora di più le divergenze strategiche tra i
Paesi dell’area euro e quelli del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria,
Repubblica Ceca e Slovacchia) per i quali la Ue è solo un mercato unico e
invece gli Usa rappresentano un efficace scudo militare di fronte al gigante
russo.
All’interno dell’eurozona invece è possibile
che Germania e Francia, con il seguito di Italia e Spagna, cercheranno di
costruire una Europa più integrata e politica, o come dice Macron con un
termine ambiguo e ancora privo di reali contenuti, una Europa più “sovrana”.
È
chiaro, comunque, che di fronte alla crisi energetica e militare non solo le
stupide regole del Fiscal Compact – sospese fino a gennaio 2023 a causa del
Covid – ma anche quelle di Maastricht (massimo 60% di rapporto debito
pubblico/PIL e massimo 3% di deficit su PIL) non hanno più alcuna base reale e
vanno buttate alle ortiche.
Politici
ed economisti dovranno rivedere tutte le regole europee. Nella situazione di attuale
conflitto geopolitico sarebbe folle che la Ue lasciasse che un Paese come
l’Italia, con il 150% del debito su PIL, possa non avere più accesso ai
mercati, e che la Francia, con il 130% di debito su Pil, possa trovarsi in
difficoltà a servire il debito.
Il
confronto con la Russia richiede infatti forza, unità e lungimiranza. L’Europa sarebbe completamente in
balia di forze straniere se, dopo la Brexit, perdesse altri pezzi. Paradossalmente la questione Ucraina
potrebbe incoraggiare l’Unione Europea a diventare più lungimirante, altrimenti
potrebbe spaccarsi.
Se la
Ue vuole fare uscire l’economia europea dalla crisi, allora le politiche
monetarie e fiscali post-Covid dovranno continuare a procedere nel senso
dell’espansione, senza curarsi troppo dell’aumento dell’inflazione che
certamente in una situazione di conflitto correrà ancora per parecchio tempo
sopra il 2%.
L’inflazione in Europa oggi raggiunge il 5%: ma la causa della crescita dei prezzi
non è purtroppo nell’aumento del potere di acquisto dei cittadini e neppure
nelle “spese pazze” per il welfare delle amministrazioni pubbliche. Questa inflazione è invece causata
essenzialmente dall’aumento dei prezzi dell’energia e non dalla crescita della
domanda. Di
fronte a questa “inflazione da costo” sarebbe suicida che la Banca centrale europea
aumentasse i tassi di interesse:
se la Bce alzasse il prezzo del denaro strozzerebbe
l’economia e provocherebbe ulteriore disoccupazione e fallimenti a catena senza
nemmeno abbattere l’inflazione.
La Bce
spaccherebbe l’Euro se non continuasse a stampare moneta per coprire i deficit
degli Stati, andando di fatto contro le regole di Maastricht.
Le
politiche fiscali dovranno continuare a essere espansive per permettere agli
stati di investire nell’energia, nella sicurezza e nel Green New Deal contro i
cambiamenti climatici.
È ora
che i governi prendano atto del fallimento di Maastricht: in questa fase è
possibile che Francia e Germania finalmente si decidano a mettere i governi
europei intorno a un tavolo per costruire nuove regole, possibilmente meno
stupide e costrittive di quelle attuali.
Di
fronte a una nuova possibile tragedia europea, almeno una nota positiva c’è: in
una situazione di crisi energetica e di emergenza nel campo della sicurezza, le
politiche di austerità dovranno obbligatoriamente essere abbandonate.
I
governi europei saranno finalmente costretti a riflettere sul possibile
cambiamento delle “stupide regole” di Maastricht e a trovare nuove forme di
cooperazione.
Altrimenti
l’Ue e l’Eurozona sono destinate a spaccarsi.
Mosca
all'Italia:
“Con altre sanzioni conseguenze
irreversibili”.
Di Maio: "Invece di minacciare fermi
guerra".
Huffingtonpost.it-
Redazione-(19 -3-2022)- ci dice :
Il
direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri di Mosca, facendo
riferimento all'aiuto fornito dalla Russia al nostro Paese all'inizio della
pandemia: "È
deprimente che ora, sullo sfondo dell'isteria anti-russa, le autorità italiane
abbiano dimenticato tutto".
La
Farnesina: "La Russia stoppi l'aggressione".
"Le
sanzioni non sono una nostra scelta. Non vorremmo che la logica del ministro
dell'Economia francese Bruno Le Maire, che ha dichiarato la "totale guerra
finanziaria ed economica" alla Russia, trovasse seguaci in Italia e
provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili".
È
quanto ha affermato all'agenzia Ria Novosti Alexei Paramonov, direttore del dipartimento europeo
del ministero degli Esteri russo.
"Ci
aspettiamo che a Roma, come in altre capitali europee, tornino comunque in sé,
ricordino gli interessi profondi dei loro popoli, le costanti pacifiche e
rispettose delle loro aspirazioni di politica estera".
Pronta
la risposta della Farnesina che "respinge con fermezza le dichiarazioni
minacciose del Direttore del Dipartimento europeo del Ministero degli Esteri
russo Alexei Paramonov, secondo cui eventuali nuove sanzioni" alla Russia
"comporterebbero conseguenze irreversibili per l'Italia e invita il Ministero
degli Esteri russo ad agire per la cessazione immediata dell'illegale e brutale
aggressione" nei confronti dell'Ucraina, "che la Farnesina condanna
fortemente".
L'Italia coi partner europei ed internazionali - sottolinea una nota -
continuerà a esercitare ogni pressione affinché la Russia torni nel quadro
della legalità internazionale.
Paramonov
parte dal sostegno della Russia all'Italia all'inizio della pandemia Covid:
"In
accordo con l'accordo raggiunto a livello di Presidente della Russia e Presidente
del Consiglio dei Ministri d'Italia nel marzo-aprile 2020, all'Italia è stata
fornita un'assistenza significativa attraverso il Ministero della Difesa, il
Ministero dell'Industria e Commercio e Ministero della Salute della Russia. A
proposito, una richiesta di assistenza alla parte russa fu inviata allora anche
dal ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini, che oggi è uno dei
principali 'falchi' e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano".
"È deprimente che ora - sostiene direttore
del dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo - sullo sfondo
dell'isteria anti-russa, le autorità italiane abbiano improvvisamente
dimenticato tutto: i trattati e gli accordi bilaterali esistenti, la natura
speciale dei nostri legami, la ricca storia secolare di relazioni e tradizioni
forti, l'esperienza di successo della cooperazione, il significativo capitale
accumulato di fiducia reciproca e si unisca alla frenetica campagna russo-fobica.
Ci aspettiamo che a Roma, come in altre capitali europee, tornino comunque in
sé, ricordino gli interessi profondi dei loro popoli, le costanti pacifiche e
rispettose delle loro aspirazioni di politica estera".
Alla
domanda se la Russia interromperà la fornitura di idrocarburi all'Italia in
risposta alle sanzioni occidentali, Paramonov è cauto: "La questione della risposta a
misure restrittive di portata senza precedenti e illegittime dal punto di vista
del diritto internazionale sanziona la pressione sulla Russia da parte degli
Stati Uniti e dell'Ue è in fase di elaborazione da parte del governo della
Federazione russa.
Mosca
non ha mai utilizzato le esportazioni di energia come strumento di pressione
politica.
Le compagnie energetiche russe hanno sempre
adempiuto pienamente ai loro obblighi. Continuano a farlo anche adesso.
Sappiamo che c'è molta preoccupazione per il futuro di queste consegne.
Tenuto
conto della significativa dipendenza di Roma dagli idrocarburi russi, che
raggiungono il 40-45%, il rifiuto dei meccanismi affidabili di trasporto dei
vettori energetici sviluppatisi in molti decenni avrebbe conseguenze
estremamente negative per l'economia italiana e per tutti gli italiani".
"Le
continue e ripetute provocazioni delle autorità russe al governo italiano,
compresa quella a Lorenzo Guerini, non ci meravigliano più". Lo scrive il ministro degli
Esteri Luigi Di Maio su Twitter. "Il governo russo, invece di trascorrere le
giornate minacciando, fermi la guerra in Ucraina che sta causando la morte di
civili innocenti", aggiunge.
Conseguenze
economiche
e
finanziarie della guerra.
Sbilanciamoci
.info- Vincenzo Comito-(7 Marzo 2022)- ci dice :
Mondo, primo piano.
Nel
reticolo di interessi non è semplice definire chi è destinato a guadagnare e
chi a perdere dalla guerra. Sicuramente l’Europa ha da perderci più di
chiunque, con rischi di recessione in caso di prolungamento della crisi. E la
Russia viene costretta a una alleanza più stretta con la Cina.
Questo
articolo non vuole coprire tutte le tematiche economico-finanziarie legate alla
guerra in Ucraina e alle sanzioni occidentali, ma guardare soltanto ad alcune
di esse, con
particolare riferimento al ruolo della Cina nella crisi e, in misura minore, alle
possibili conseguenze del tutto per il quadro europeo.
E’ ben
noto che con le guerre c’è sempre chi ci guadagna e nel nostro caso faranno
salti di gioia certamente i produttori di armi (anche noi ne abbiamo qualcuno;
così, mentre la Borsa italiana quasi crollava in un giorno, perdendo più del 6%
del suo valore, il titolo Leonardo guadagnava il 15%).
Macron ha dichiarato che i 50 miliardi di euro
stanziati in bilancio dalla Francia per il 2022 non bastano più, mentre, come è
noto, Scholz ha annunciato in fretta la creazione di un fondo di 100 miliardi
di euro per il settore, senza neanche informare i suoi alleati di governo;
attendiamo un qualche annuncio italiano in proposito.
Intanto
partono dalla UE e dagli USA grandi carichi militari per l’Ucraina.
Ma non
mancheranno di arricchirsi anche i trader di prodotti energetici ed agricoli,
nonchè di molti minerali, oltre che, come sempre, gli speculatori di Borsa.
Un
difficile equilibrio.
La
Cina si trova in una situazione molto complessa e delicata. E’ noto come sia molto amica della Russia, mentre meno
noto è che intrattiene rapporti cordiali anche con l’Ucraina, essendone, tra
l’altro, il primo paese importatore ed esportatore, mentre l’Ucraina ha aderito
al progetto di nuova Via della Seta. Manifestando grande sangue freddo, proprio
alla vigilia dell’invasione, società cinesi hanno acquisito il controllo della
Borsa di Kiev. Sullo sfondo c’è il rapporto con gli Stati Uniti, che minacciano
sanzioni se la Cina aiuterà la Russia.
Il
governo cinese ha dichiarato a più riprese di essere favorevole ad un
meccanismo di sicurezza europeo “equilibrato”, sottolineando come appaia
necessario rispettare le legittime preoccupazioni in materia di sicurezza di
tutti i paesi (compresa quindi, è sottinteso, la Russia), ma nello stesso
tempo, ha aggiunto che bisogna anche rispettare l’integrità territoriale di
tutti i paesi (compresa quindi l’Ucraina). Ricordiamo che Pechino non si
intromette in generale negli affari interni di altri paesi, accusando invece –
e correttamente – i paesi occidentali di farlo continuamente.
Quindi
la Cina è per una soluzione negoziale del conflitto (la stessa Ucraina le ha
chiesto di provare ad aiutare il processo e più di recente anche gli Stati
Uniti, mentre minacciano sanzioni in caso il paese asiatico aiutasse la Russia,
sembra abbiano chiesto il suo intervento per aiutare il processo di pace) e
cercherà presumibilmente, ma molto in sordina, di spingere i due contendenti a
trovare un’intesa, mentre non è chiaro quale sia alla fine il suo reale potere
negoziale.
Bisogna considerare, tra l’altro, che la Russia perseguirà i suoi obiettivi in
Ucraina quale che sia l’atteggiamento della Cina.
In ogni caso essa si trova, come al solito
ormai da tempo, al centro della scena anche suo malgrado e lo sarà
presumibilmente ancora di più in un prossimo futuro.
Sul
piano economico la Cina può essere molto danneggiata dalla guerra. Nel 2021 il
paese ha importato gas e petrolio per 316 miliardi di dollari e per quasi 200
miliardi di minerale di ferro, senza prendere poi in conto il potenziale
impatto inflazionistico dei prezzi più elevati delle materie prime e le
perturbazioni nelle catene di fornitura globali.
Russia-Cina,
un matrimonio di convenienza e le analogie con il caso iraniano.
Le
sanzioni spingono necessariamente la Russia, come è già stato scritto, nelle
braccia della Cina, anche se non è chiaro dove tale alleanza potrà arrivare
operativamente e quanto la Cina vorrà e potrà fare.
Intanto
le sanzioni incideranno certamente sul livello del Pil del paese. L’Iran, dopo
vari episodi precedenti, sottoposto alle sanzioni di Trump, in un primo tempo,
nel 2018 e 2019, ha visto il suo Pil pro-capite scendere del 15%, mentre
l’inflazione è andata alle stelle; ma l’economia iraniana non è collassata e si
è stabilizzata ad un nuovo livello e questo attraverso anche le vendite di
contrabbando o mascherando l’origine dei prodotti, una politica di import substitution.
Di
sicuro le sanzioni incideranno sulla diversificazione dei suoi sbocchi
commerciali grazie anche alla sua relativamente forte base industriale. Teheran
ha continuato ad esportare ogni giorno 1 milione di barili di petrolio grazie
alla Cina e ad altri paesi. Un destino per qualche aspetto simile si potrebbe
configurare per il caso russo. Qualcuno prevede per quest’anno per la Russia
una caduta del Pil che si dovrebbe aggirare intorno al 7-9%, mentre il livello
di inflazione potrebbe raggiungere il 17%. Ma si può valutare che neanche
l’economia rissa non collasserà, mentre è più facile che ciò avvenga per quella
ucraina.
Quello
tra la Russia e la Cina appare un matrimonio di convenienza -i due paesi non si amavano tradizionalmente
troppo-, in cui comunque i rapporti di forza sono tutti a favore del secondo
attore citato. Si tratta in ogni caso di due economie complementari.
Un
quadro della situazione nei vari comparti.
Sul
piano finanziario l’esclusione parziale dalla rete Swift (non sono comprese nel
blocco le transazioni in petrolio e gas), che quindi non appare più, almeno per
il momento, l’ ”arma nucleare” di cui si parlava, non può che portare la Russia
a inserirsi nella rete autonoma cinese, la Cips, che stentava a decollare e che
potrebbe ora trovare nuova linfa per la sua crescita.
La crisi potrebbe contribuire più in generale
a aumentare gli sforzi cinesi di rendersi sempre più autonomi dal dollaro,
attivando tra l’altro ancora più velocemente il renmimbi virtuale. Ma si tratta di uno sforzo di lunga
lena che ha bisogno di tempo per essere portato a compimento e i cinesi
procedono cautamente.
Il 26
febbraio del 2022 le potenze occidentali hanno congelato le riserve della Banca
centrale russa detenute presso le loro istituzioni monetarie.
Questa
misura appare senza precedenti e rappresenta, come sottolinea un articolo di Le
Monde dell’11 marzo, un colpo di tuono nel pianeta monetario. Il congelamento lascerà forti tracce
perché significa che la sicurezza delle riserve di un paese detenute all’estero
non è più garantita per nessuno.
Ciò spingerà molti paesi a diversificarsi, almeno in
parte, dal dollaro e a impiegare una fetta delle loro riserve anche in Cina,
spingendo anche da questo lato ad una crescita della moneta cinese, anche se il
cammino per un suo ruolo di primo livello appare ancora lungo.
Ricordiamo
che l’UE è il principale partner commerciale della Russia, con quest’ultima che
esporta quasi tre volte tanto verso la UE che verso la Cina, anche se gli accordi tra i due paesi
mirano a portare presto l’interscambio a 250 miliardi di dollari all’anno
contro i 147 del 2021.
L’Ue è
oggi il principale acquirente del gas russo, anche se proprio in queste
settimane Cina e Russia si sono messe d’accordo per la costruzione di un nuovo
gasdotto che porterà il gas in Cina dagli stessi giacimenti da cui esso parte
oggi per l’Europa, rendendo in 2-3 anni la Russia meno dipendente dalle vendite
in Europa.
Come
la Russia se la potrebbe in parte cavare.
Intanto
ci sono le entrate derivanti dalla vendita del gas in Occidente e che non sono
certo trascurabili, mentre la Russia continuerà a cedere il suo gas e il suo
petrolio anche a molti altri paesi del mondo.
La
Russia sta cercando, apparentemente con successo, di stringere più forti
accordi con l’India, terzo più grande paese importatore di energia al mondo – e
che tra l’altro si trova di fronte alla collera della popolazione per il forte
aumento del prezzo dei carburanti – offrendo prezzi scontati e l’utilizzo negli
scambi delle rispettive valute nazionali, utilizzando come punto di riferimento
lo yuan cinese, sia per il petrolio come per i fertilizzanti.
Gli
Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno annunciato l’8 marzo il blocco delle
importazioni russe di petrolio. Di fatto, nonostante diverse dichiarazioni
contrarie, tra cui anche quelle del sempre meno credibile gruppo dirigente
della UE a Bruxelles, l’UE non può fare a meno del gas russo, se non in un’ottica
di medio termine (forse 5-7 anni).
Ricordiamo
incidentalmente che l’Occidente non è il mondo e che molti Stati in Asia,
Africa, America Latina non hanno condannato l’invasione dell’Ucraina, o lo
hanno fatto in modo blando. Per quanto riguarda direttamente la Cina, essa può
assorbire, volendo e potendo, grandi quantità di prodotti energetici.
La
Russia possiede, tramite la sua Banca centrale e una banca di sviluppo, circa
140 miliardi di dollari in obbligazioni del paese asiatico, circa un quarto
delle sue riserve valutarie, ma ovviamente denominate in yuan, denaro che può
utilizzare per far fronte alle sue necessità, ma solo nei casi in cui può
utilizzare la moneta cinese.
I
giornali hanno cominciato a raccontare qualche giorno fa che presso le filiali
moscovite delle banche cinesi già centinaia di imprese russe erano arrivate
chiedendo di aprire dei conti in yuan, mentre diverse imprese dello stesso
paese cominciano ad accettare pagamenti nella stessa valuta.
Si
racconta di una fabbrica di cioccolato russa che ha esaurito le sue scorte di
alcuni prodotti grazie all’acquisto on-line da parte di molti cinesi che
simpatizzano per la causa del “paese amico”.
Anche
un’impresa ucraina di cioccolato ha cercato di fare lo stesso tipo di
operazione, ma i giornali non dicono se e con quale successo.
In questi giorni gli scambi commerciali
sembrano procedere abbastanza regolarmente nei due sensi, con qualche
eccezione; alcune
imprese cinesi che hanno incorporati nei loro prodotti componenti statunitensi,
si stanno ritirando dalla Russia (vedi il caso Lenovo).
Molti
investitori cinesi, dopo l’annuncio delle sanzioni, si sono precipitati ad
acquistare titoli azionari di una decina di imprese del loro paese che hanno
rapporti d’affari rilevanti con la Russia, nell’aspettativa di un aumento delle
attività tra Mosca e Pechino. Una scelta azzardata? Intanto il valore di tali
titoli è salito fortemente.
E’
d’altro canto da registrare che la grande banca AIIB, formata a suo tempo su
iniziativa di Pechino per fornire finanziamenti a progetti dei paesi emergenti
e della quale i tre principali azionisti sono Cina, India e Russia, ha sospeso
le operazioni per quanto riguarda i finanziamenti a Russia e Bielorussia, ma
non all’Ucraina.
La
mossa, giustificata ufficialmente con l’aumento del rischio di credito, non ha
alcun effetto pratico, perché in questo momento non c’è in ballo nessun
progetto importante, ma segnala una certa attenzione e un messaggio del paese
del dragone.
La
notizia potrebbe servire alla Cina anche per rimarcare come ci sia un’autonomia
della banca rispetto al paese asiatico e sempre della Cina rispetto alla
Russia. Infine
si segnala che tra il 10 e il 14 marzo la Cina ha inviato due convogli con
aiuti umanitari alla società della Croce rossa ucraina.
Aspetti
della situazione economica dell’Europa dopo lo scoppio della guerra.
Mentre
con l’invasione dell’Ucraina l’UE ha mancato l’ennesima occasione per mostrare
una sua voce autonoma rispetto a quella degli Stati Uniti, anzi indicando a
tratti un volto più oltranzista, a Bruxelles c’è un clima di grande
preoccupazione per le forniture di gas e di petrolio.
Le
stesse centrali a carbone europee hanno un ruolo chiave ancora oggi per
assicurare gli approvvigionamenti del continente e non si saprebbe come sostituire
il carbone russo con quello proveniente da altre fonti, almeno nel breve
termine. Le fabbriche dell’auto europee, soprattutto quelle tedesche, si devono
fermare perché mancano ormai i cavi elettrici, prodotti in Ucraina da
importanti imprese, mentre tale difficoltà si aggiunge alla chiusura delle
fabbriche dell’auto europee in Russia e mentre continua anche la carenza di
semiconduttori. Le fabbriche occidentali in Russia hanno comunque chiuso.
Per
quanto riguarda i minerali, segnaliamo il caso del palladio, di cui la Russia
produce il 40% del totale mondiale e i cui prezzi sono aumentati di quasi il
50% da gennaio ai primi giorni di marzo (il metallo è utilizzato anche in
Europa nella produzione dei catalizzatori delle marmitte nelle auto a benzina, nonché
in quella dei semiconduttori).
I due paesi sono produttori importanti anche
di altri minerali e gas importanti, utilizzati nella produzione di chip,
smartphone e veicoli elettrici. L’Ucraina vende circa il 90% del gas neon,
usato in particolare nella produzione di semiconduttori. Sempre l’Ucraina vende
il 40% del kripton, altro gas raro. Anche i prezzi di alluminio e nickel, di
cui la Russia è un importante produttore, appaiono sotto tensione. Comunque il paese ha bloccato la
loro esportazione.
La Russia
e l’Ucraina sono poi dei grandi produttori ed esportatori di cereali. Con i processi di riscaldamento
climatico, la Russia in un paio d’anni ha sviluppato prodigiosamente i suoi
raccolti ed oggi è il primo esportatore mondiale di grano, mentre l’Ucraina è
poco da meno (il primo paese è anche il primo esportatore di fertilizzanti).
I due paesi rappresentano oggi un terzo degli
scambi mondiali e da quando è scoppiata la guerra i prezzi, che erano già prima
in rilevante salita, sono aumentati ancora intorno al 40%.
Va
anche ricordato che, mentre nel luglio del 2019 il corso del grano era di 185
euro la tonnellata, l’8 marzo 2022 esso era salito a 370 euro. L’ultimo raccolto cinese, ed anche
quello canadese, sono andati abbastanza male, mentre gli alti prezzi del carburante
e dei fertilizzanti stanno facendo sì che gli agricoltori americani, pur in
presenza di rilevanti aumenti nei prezzi del grano, si interroghino perplessi
su quanto seminare la prossima volta.
La Fao
stima che sino al 30% delle aree coltivate a grano e a semi di girasole in
Ucraina non saranno seminate o non
saranno poi raccoglibili, mentre anche un importante paese agricolo come
l’Argentina blocca le esportazioni di diversi prodotti agricoli.
I
francesi si preoccupano già per la sacra baguette, mentre si scopre che
l’Italia importa ogni anno il 50% del suo consumo di grano tenero e il 40% di
quello duro (una volta almeno, la pasta si faceva nel nostro paese con il grano
dell’Est). Soffriranno di più paesi come il Libano, la Libia, lo Yemen, il Bangladesh,
l’Egitto (già il più grande esportatore di grano nell’impero romano ed oggi il
più grande importatore del mondo), la Turchia ed un’altra decina di paesi che
basano una parte significativa del loro consumo sull’Ucraina e sulla Russia.
Per alcuni di questi paesi si minaccia una carestia. Russia ed Ucraina rappresentano anche
un quinto del commercio mondiale di mais e circa l’80% della produzione
dell’olio dai semi di girasole.
Incidentalmente
si può segnalare come un particolare curioso il fatto che l’Ucraina è anche il
più grande mercato nero di armi in Europa.
Note
su inflazione e recessione.
Le
conseguenze della crisi ucraina sull’economia globale potrebbero dunque,
ovviamente, essere molto rilevanti.
I
primi mesi del 2022 registrano una crescita ulteriore del tasso di inflazione
in Occidente, anche se va sottolineato che le ragioni dell’aumento dei prezzi
sono in parte diverse tra Stati Uniti e UE. In febbraio nella UE l’inflazione
ha raggiunto il 5,8% e si pensa che potrebbe superare il 7% da qui alla fine
dell’anno se il conflitto dovesse durare, mentre sempre in febbraio negli Stati
Uniti si registra un +7,9%, cifra che rappresenta indubbiamente un record di
lunga lena.
In particolare, come abbiamo già sottolineato, i
problemi toccano i prodotti energetici, le altre materie prime e i cereali, cui
si aggiungono ovviamente il panico e la speculazione, oltre forse all’ulteriore
aggravamento delle questioni logistiche.
Intorno
al 10 marzo il prezzo del gas ha raggiunto i 200 dollari per megavattora,
mentre quello del petrolio brent era l’11 marzo a 112 dollari al barile e anche
i prezzi del carbone sono aumentati moltissimo.
Anche
se nei giorni successivi c’è stato qualche ripiegamento dei valori, in
concomitanza a qualche spiraglio che sembra aprirsi al tavolo delle trattative
tra i due contendenti.
Tra
l’altro si vanno fermando in Europa fonderie, acciaierie ed altre imprese in
settori energivori. Ricordiamo, come aggravante, che l’euro si va indebolendo
contro il dollaro e che quindi i prezzi, che sono normalmente espressi in
dollari, alla fine risulteranno nei paesi dell’euro ulteriormente in salita. Più in generale dalla crisi l’euro
dovrebbe uscire indebolito, mentre si rinforzerà il dollaro, come sempre quando
si manifesta qualche sciagura.
I
prossimi aumenti dei tassi di interesse negli Stati Uniti dovrebbero avere
presumibilmente l’effetto di portare ad un calo nelle quotazioni delle Borse,
alimentate a suo tempo dal denaro facile.
Ma si
teme e a ragione soprattutto per quelle europee, che hanno già preso una china
pericolosa. In tale situazione, quanto potrà
resistere la BCE nel tenere i tassi di interesse fermi? Ad un certo punto, come
afferma qualcuno, le banche centrali, che vedono fortemente complicato il loro compito di
gestire con una certa tranquillità la fuoriuscita dalle conseguenze del Covid,
potrebbero preferire la scelta di causare una recessione piuttosto che perdere
la battaglia contro l’inflazione.
Ci si
può così chiedere se ne seguirà anche una forte caduta dell’economia. Molto dipenderà dalla durata della
guerra e dai risvolti economici e politici della stessa. In ogni caso per il 2022 si può
prevedere come minimo una forte riduzione dei tassi di crescita, se non una
vera e propria recessione in Occidente, in particolare in Europa, recessione
che appare sempre più probabile man mano che passano i giorni e i complessi
fili che legano tra di loro tutte le economie si dipanano.
In
ogni caso gli Stati Uniti sembrano più protetti con il loro isolamento
geografico, l’abbondanza delle risorse energetiche, il relativamente basso
livello di scambi commerciali con il resto del mondo. Molto più gravi i
problemi in Europa.
Si
levano così voci pessimistiche. Il capo della Volkswagen, Herbert Diess, il 9
marzo, in una sua dichiarazione, ha avvisato che una guerra prolungata in Ucraina
avrebbe conseguenze molto peggiori sull’economia europea rispetto a quelle
portate dal coronavirus. L’interruzione nelle catene di fornitura globali potrebbe
per lui avere come conseguenza forti incrementi di prezzi, scarsità di energia
e inflazione elevata.
Ancora
più pessimista Martin Wolf del Financial Times, che scrive come la combinazione
del conflitto, degli shock nelle catene di fornitura e degli alti livelli di
inflazione, appare inevitabilmente destabilizzante e conduce presumibilmente ad
una crisi economica.
A
scorrere anche un solo numero del Il Sole 24 Ore, quello del 13 marzo, si
possono leggere molti titoli allarmati: “Aziende senza materie prime”,
“Allevamenti ko”, “Ghisa, poche alternative per uscire dallo stallo”, “Il
distretto di Sassuolo senza argilla da piastrelle”, “Il record del grano gela
le produzioni alimentari”, “Stangata sui costi di produzione, l’industria
italiana va in panne”.
Cosa
succederà infine ai salari? Nel 2021 in tutti i paesi del G-7 essi sono rimasti indietro
rispetto all’inflazione ed anche di molto, mentre molti “esperti” economici, a
cominciare dal governatore della Banca d’Inghilterra, chiedono moderazione ai
sindacati, ma non fanno lo stesso con le imprese.
Una situazione molto complicata e dagli esiti imprevedibili.
La
profezia di Caracciolo: "Cosa
accadrà
fra Russia e Cina". E sull'Italia...
ilgiornale.it-
Federico Giuliani- (11-4-2022)-ci dice :
Il
focus è ovviamente su Russia e Cina, i due Paesi che si candidano a formare un
blocco contrapposto all'Occidente: ecco cosa aspettarci dal futuro.
La
profezia di Caracciolo: "Cosa accadrà fra Russia e Cina". E
sull'Italia...
Il conflitto
ucraino non cambierà soltanto il volto dell'Europa rispetto a come eravamo
abituati a conoscerlo. Trasformerà radicalmente anche gli equilibri mondiali
che, dal termine della Guerra Fredda in poi, avevano accompagnato l'umanità.
Il
focus è ovviamente su Russia e Cina, i due Paesi che si candidano a formare un
blocco contrapposto all'Occidente. E mentre gli Stati Uniti continuano a spingere Mosca
verso Pechino, l'Italia, spaesata, segue Berlino e Parigi senza prendere
iniziativa.
I
nuovi equilibri.
Per
capire meglio che cosa potrebbe succedere nell'immediato futuro è interessante
leggere l'ultima analisi del giornalista Lucio Caracciolo sul quotidiano La
Stampa.
Innanzitutto, le ultime questioni geopolitiche
ci fanno notare subito un primo "movimento" degno di nota.
Il
braccio di ferro, seppur indiretto, tra Washington e Mosca spinge - e spingerà
sempre di più – alla rottura tra Europa e Russia. L'esito di questo terremoto storico
sarà duplice. Da una parte avremo "un'Europa più o meno americana spinta fin quasi
alle porte di Mosca", dall'altra "una Russia nell'orbita
cinese", ha sottolineato Caracciolo.
Va da
sé che tutto questo potrà essere rallentato o disturbato tanto dall'esito
tattico-militare della guerra che si sta combattendo in Ucraina quanto dalla
durata della battaglia.
Difficilmente,
tuttavia, qualcosa o qualcuno potrà interrompere l'avvicinamento dei russi
verso Pechino.
"Sia che in Ucraina prevalgano nel tempo
gli americani via ucraini (possibile) o i russi (improbabile), come anche in
caso di provvisorio stallo codificato in nuova partizione del paese, la
separazione fra Nato e Federazione Russa volge al divorzio senza appello",
ha chiarito Caracciolo.
Doppia
partita.
Scendendo
nel dettaglio, possiamo affermare che la guerra in Ucraina racchiude in sé una
doppia partita.
La prima è relativa al futuro del continente europeo, con tutti
i risvolti inerenti all'Europa orientale, al futuro ucraino e russo;
la seconda è invece molto più ampia e riguarda
il mondo intero, racchiudendo in sé il confronto russo-americano.
"Sul piano degli equilibri planetari,
per gli americani rigettare i russi in Asia significa colpire insieme il nemico
principale: la Cina", ha scritto Caracciolo.
Il Dragone si ritroverebbe infatti costretto a
soccorrere un partner al quale aveva sempre attribuito "speciale virtù
militare" e "decente affidabilità", ovvero due aspettative
"evaporate al primo contatto con la prova della guerra".
Se, al
momento, "l'intesa russo-cinese non si spezza, ma solo per provvisoria
mancanza di alternative. Xi non si fida più di Putin", che cosa sta
succederà sul piano europeo?
Intanto dovremo fare i conti con l'esclusione
della Russia dal Vecchio Continente. E questo "conferma le divisioni
profonde tra noi europei sul se e come trattare con Mosca".
Anche
perché le sanzioni "con cui Washington intende premere su Mosca"
ricadranno a pioggia sugli alleati europei, "costretti ad adottarne di
proprie", ha aggiunto Caracciolo.
In
ogni caso, l'opinione dello stesso Caracciolo è emblematica: "In termini economici e di pace
sociale i perdenti di questa guerra, ben dopo i russi, saremo noi
europei". E mentre Francia e Germania si interrogano sul da farsi,
"l'Italia spaesata segue zoppicando fra Berlino e Parigi".
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