Ciò che agli italiani è vietato conoscere.
Ciò che agli italiani è vietato conoscere.
Indebolire
Mosca a suon di sanzioni
la
farà finire nelle mani di Pechino.
Laverita.info-
Carlo Pelanda- (3 giugno 2022)- -ci dice :
(Ndr :
i delinquenti globalisti e filantropi
occidentali -liberal dem Usa e Deep
State Usa- è proprio quello che vogliono
fare !).
L’allontanamento
di Xi da Putin cela la strategia cinese : evitare le ritorsioni di Usa e Ue e
conquistare la Russia quando sarà troppo fiaccata.
Scenario
che l’occidente “deve” scongiurare.
La
Cina sta dando segnali di distanziamento dalla Russia , ma è per metà una finta e per l’altra metà una
strategia di conquista della Russia stessa, dopo che sarà stata indebolita
dalle sanzioni.
La
finta del distanziamento serve nel breve
e medio termine ad evitare le sanzioni secondarie minacciate dall’America in
caso di aiuto alla Russia. Ma va annotato che pur uscendo dalla Russia stessa
alcune società cinesi ,avendo Pechino
vietato i voli commerciali verso la Cina (con la scusa della mancata
manutenzione dovuta alle sanzioni ) questa mantiene un aiuto sotterraneo a
Mosca in termini di “funzioni santuario”, non aggressività nell’asia centrale e
non espansione via pressione demografica forzata verso la Siberia come
attuate fino a poco tempo fa ,eccetera, per mantenere comunque una base di
buoni rapporti. Che saranno utili nel futuro per prendersi i tesori russi quando Mosca
sarà senza mezzi per difenderli.
La
strategia cinese vede con favore
l’indebolimento di Mosca via sanzioni, pur criticandole pubblicamente , perché
ne favoriscono la conquista prospettica.
Chi scrive ritiene improbabile che gli
analisti russi e quella parte delle Forze armate capace di pensiero
strategico autonomo nel regime putiniano
non vedano questo progetto cinese di vassallaggio della Russia.
E ciò suscita la curiosità di capire come
pensino di evitare tale scenario sempre
meno ipotetico.
Trapela
che una parte di questi strateghi , la più anziana sembra , non ritenga il
pericolo cinese esistenziale , forse perché abituata a vedere Pechino come
potenza militare inferiore : confidano in un blocco sino-russo dove Mosca sarà
necessaria, e quindi non vassallabile , per rafforzarlo sul piano delle armi
spaziali e navali , i n particolare
sottomarini , su quello delle rotte artiche
che appaiono l’unico sbocco sicuro per la marina cinese circondata nel
Pacifico da un cordone a guida
statunitense , nonché su quelli energetico ed alimentare.
C’è la sensazione che questa ala di pensiero
strategico coincida abbastanza con il gruppo dei putiniani al comando.
E fa ipotizzare tali concetti siano influenzati dalla
priorità di difendere il regime autoritario dalla pressione democratica spontanea che sta
allargandosi nella parte cis-uralica ed urbana
della Russia e in Bielorussia .
In
altre parole il regime sta sbagliando analisi per paura della crescente domanda
popolare di libertà , portandolo ad una convergenza con la Cina che ha lo
stesso terrore in relazione alla pressione democratizzante esterna ed una
interna iniziale , sottovalutando i pericoli prospettici.
Ma alcuni segnali indicano che una parte più
giovane o comunque meglio addestrata al
pensiero strategico “lungo “, valuti più realisticamente sia il pericolo cinese futuro ,sia quello più
ravvicinato di un’implosione della Federazione russa .
Tale
componente non è filo occidentale , persegue l’idea di una Russia come
potenza autonoma e fa filtrare che l’esagerazione bellica voluta da Vladimir
Putin diverge dall’interesse nazionale
russo ,compromettendolo.
C’è
veramente una fronda ai piani altri del regime ? Oppure è un inganno raffinato
per influenzare media e consiglieri dei governi sanzionatori?
Cioè :
se mantenete a lungo le sanzioni , la
Russia finirà in mano alla Cina.
Chi
scrive non ha i mezzi per rispondere.
Tuttavia , pensa sia necessario porre un problema di
“Grand Strategy” al complesso democratico occidentale :
se la
Russia cadrà definitivamente nelle mani della Cina ,influenzando buona apre
dell’Asia centrale , il blocco sino-russo a guida cinese sarà troppo grande per
essere circondato e condizionato.
Mentre
l’obiettivo del G7 ,articolato in
alleanze locali militari e politiche come Nato, Aukus, Quad , gruppo di
consultazione euro-americano per la limitazione delle tecnologie critiche cinesi
,eccetera, è quello di comprimere il raggio del potere di Pechino entro i suoi
confini , rendendolo troppo piccolo per diventare globale e minacciare con il
proprio modello di capitalismo autoritario
il dominio del capitalismo democratico globale , cioè il mondo delle democrazie
occidentali.
La
condizione di vittoria é la compressione condizionante della Cina ,non il solo contenimento , pur
evitando la sua implosione.
Se
Pechino conquistasse la Russia , tale obiettivo sarebbe difficile da raggiungere perché
l’enorme Eurasia si consoliderebbe con la complicazione di una piccola testa di
ponte per il mondo democratico occidentale ridotto alla sua penisola
occidentale, cioè la debole Ue ,e un Mediterraneo costiero e profondo esposto a
tensioni.
L’idea
francese di un’autonomia strategica europea
in tale scenario è perfino ridicola – infatti la Germania mai la
accetterà- pensando ai rapporti di forza e scala : l’Ue diverrebbe vassalla
dell’Eurasia sino-russa.
Ma
anche la convergenza euro-americana ,
pur dando forza all’Ue e più capacità globale all’America e al G7 , per esempio
per le proiezioni di potenza in Africa , sarebbe un modello insufficiente.
Pertanto
,sia il complesso democratico globale ,sia la Cina hanno come obiettivo
l’influenza sulla Russia.
La
Cina in forma di conquista , mentre al complesso democratico occidentale basterebbe una Russia
autonoma , non implosa e capace di tenere confini controllati e barriere con la
Cina.
Per i
politici del complesso democratico occidentale questo tema di scenario a dieci anni è
comprensibilmente secondario nelle contingenze della tragedia ucraina e i suoi
impatti.
Ma ci
sono i motivi per raccomandare che entri al più presto nel pensiero strategico
comune delle democrazie occidentali , Ucraina inclusa.
Cina,
base militare segreta in Cambogia.
Gli
007 occidentali:
«Così Pechino vuole diventare una
potenza globale».
msn.com-Il
Messaggero -Redazione Web- (7-6-2022)- ci dice :
Cina,
base militare segreta in Cambogia: così Pechino vuole diventare «una potenza
globale».
La
Cina sta costruendo segretamente una base militare (una struttura navale) in
Cambogia ad uso esclusivo delle sue forze armate. La notizia è stata confermata
al Washington Post da funzionari occidentali. Nonostante le smentite di rito di
entrambi i Paesi, l'intelligence americana non ha dubbi: sarà nella parte
settentrionale della base cambogiana Ream nel Golfo di Thailandia e potrebbe
essere ufficializzata con una cerimonia già questa settimana.
Si
tratta della seconda base navale militare all'estero (la prima nella regione
dell'Indo-Pacifico) e fa parte della strategia di Pechino che ha l'obiettivo,
secondo i funzionari citati dal Washington Post - di costruire una rete di
strutture militari in tutto il mondo a sostegno delle sue aspirazioni a
diventare una vera potenza globale. E i numeri della Marina militare
cinese sono i più imponenti al mondo: 355 navi (che saranno 460 entro il 2030)
contro le 297 degli Stati Uniti).
Le
ambizioni di Pechino.
L'unica
altra base militare straniera della Cina in questo momento è una struttura
navale nel paese dell'Africa orientale di Gibuti.
Avere
una struttura in grado di ospitare grandi navi da guerra a ovest del Mar Cinese
Meridionale sarebbe un elemento importante dell'ambizione della Cina di
espandere la sua influenza nella regione e rafforzerebbe la sua presenza vicino
alle principali rotte marittime del sud-est asiatico.
«L'Indo-Pacifico
è un'area importante per i leader cinesi, che la vedono come la legittima e
storica sfera di influenza della Cina - ha detto un funzionario occidentale -.
È una
direzione verso un mondo multipolare in cui le grandi potenze affermano con
maggiore forza i loro interessi nella loro sfera di influenza percepita».
Pechino,
secondo i funzionari, fanno affidamento sul fatto che quella regione «non vuole
o non è in grado di sfidare gli interessi fondamentali della Cina, che crede di
poter indurre i Paesi a piegarsi a i suoi interessi. Essenzialmente, la Cina vuole
diventare così potente che la regione cederà alla leadership cinese piuttosto
che affrontare le conseguenze per non averlo fatto».
Il
retroscena.
Il
Wall Street Journal ha riferito nel 2019 che la Cina aveva firmato un accordo
segreto per consentire ai suoi militari di utilizzare la base.
Pechino e Phnom Penh hanno negato il rapporto,
con il primo ministro cambogiano Hun Sen che lo ha denunciato come «notizia
falsa».
Un
portavoce del ministero della Difesa cinese all'epoca denunciò anche quelle che
chiamava «voce» e disse che la Cina aveva semplicemente aiutato con
l'addestramento militare e le attrezzature logistiche.
Durante
il fine settimana, tuttavia, un funzionario cinese a Pechino ha confermato al
Washington Post che «una parte della base sarà utilizzata dall'esercito
cinese».
Il
funzionario ha negato che fosse per uso "esclusivo" da parte dei
militari, dicendo che anche gli scienziati avrebbero utilizzato la struttura. Il funzionario ha aggiunto che i
cinesi non sono coinvolti in alcuna attività nella parte cambogiana della base.
L'inaugurazione
sarebbe prevista per giovedì (9-6-2022)e dovrebbero intervenire sia i
funzionari cinesi che l'ambasciatore cinese in Cambogia.
In
arrivo gli F2000: come funziona
la
nuova arma
"letale" di Kiev.
msn.com-il
giornale- Alessandro Ferro- (8-6-2022)- ci dice:
Indipendentemente
dalle minacce di Mosca, l'Ue e gli Stati Uniti continuano a inviare i loro
aiuti all'esercito di Kiev. Tra le novità più rilevanti degli ultimi giorni c'è
una particolare arma inviata dal Belgio: si tratta di un particolare tipologia
di fucile d'assalto chiamato FN F2000. Il produttore, FN Herstal, produce
varie armi portatili, sistemi d'arma integrati e munizioni. Uno dei fiori
all'occhiello dell'azienda che sta nei pressi di Liegi, però, è questa
particolare tipologia di fucile che può aiutare in maniera decisiva, in
Donbass, a vincere la resistenza russa.
Come
funziona.
Innanzitutto,
non si tratta di un'arma nuova visto che è in servizio dal marzo 2001 ed è già
stata utilizzata in molteplici occasioni dall'India al Perù. Come spiegano alcuni
esperti, una delle caratteristiche principali è che si può ridurre o meno la
lunghezza del fucile ed è facile da maneggiare sia per i mancini che per i
destri. Inoltre, è possibile collegare al fucile un lanciagranate da 40 mm o un
sistema di controllo del fuoco computerizzato per aumentare la letalità.
Sappiamo che sia l'elenco che il numero delle armi è secretato per una scelta
condivisa dall'Ue: fonti, tuttavia, rivelano che il Belgio potrebbe aver consegnato al
governo ucraino almeno diecimila di questi fucili d'assalto oltre a 200 cannoni
anticarro e 3.800 tonnellate di carburante.
Centinaia
di proiettili al minuto.
L'F2000
è considerata un'arma davvero letale perché, come ricorda Il Messaggero, può
arrivare a sparare, teoricamente, anche 850 proiettili al minuto con
un'assoluta maneggevolezza per il soldato che lo utilizza.
I ben
informati dicono che faccia la differenza il suo sistema di espulsione
frontale. In
pratica, le munizioni esaurite vengono espulse dal retro di questo fucile e
cadono a debita distanza da chi lo sta utilizzando eliminando in questo modo
uno degli inconvenienti storico delle armi tradizionali.
Come detto, poi, "la maniglia di
armamento" è montata in maniera tale da poter favorire agevolmente anche
la mano destra se l'arma è utilizzata da un mancino.
Oltre
al lanciagranate, poi, possono essere aggiunti materiali quali laser e torce
elettriche.
Sicuramente, uno dei sistemi esterni aggiuntivi che può fare la differenza è proprio il
lanciagranate che aiuta il combattente a fermare il nemico grazie ai gas
lacrimogeni e alcuni proiettili ad aria compressa che lo rendono
"innocuo" se viene utilizzato non durante una guerra ma nel corso di
manifestazioni aperte al pubblico qualora si riscontrassero criticità.
Le
foto di questi F2000 stanno facendo il giro del web: è soprattutto su Twitter che si
trovano numerosi soldati ucraini impugnare quest'arma fornita dal Belgio.
Come
spiegano gli esperti di The War Zone, questi fucili sono stati utilizzati in una certa misura
anche in Polonia e Spagna, fungendo da potenziali fonti aggiuntive per la
consegna.
I restanti acquirenti degli F2000 si trovano in Medio Oriente e in Asia.
Quello
tra Stati Uniti, Russia
e Cina
è un triangolo pericoloso.
Limesonline.com-
Giovanni Pardi-(29/03/2022)- ci dice :
Le
grandi potenze si stanno abbandonando a un gioco rischioso, che ci riporta al
1939. I suoi esiti potrebbero essere imprevedibili. Il prezzo che Washington
sarà disposto a pagare per la mediazione cinese deciderà della guerra e della
pace.
GUERRA
D'UCRAINA, USA, RUSSIA, CINA.
In
tempi non sospetti, avevo espresso l’auspicio che la Russia di Putin svolgesse
il ruolo di arbitro interessato nel conflitto tra Cina e Stati Uniti, con tre
scopi principali.
Con
Pechino, Mosca avrebbe dovuto stringere accordi sull’energia e sugli equilibri
euroasiatici.
Con
Stati Uniti e Nato, avrebbe dovuto concordare una stabilità geo-strategica nel
fianco sud-est dell’Europa, nonché vasti investimenti occidentali per superare
la centralità di gas e petrolio a scapito dell’industria leggera e dei consumi.
Inoltre,
con entrambi avrebbe dovuto convenire reciproche garanzie, con l’obiettivo di
evitare conflitti incontrollabili.
Avevo
anche sottolineato che le questioni di principio, così nobili all’apparenza,
sono nemiche giurate del negoziato, un impedimento al suo avvio.
Purtroppo
questi presupposti stanno venendo meno. La situazione generale sembra destinata
a peggiorare. Il considerare Ucraina e Taiwan sullo stesso piano, come esempi di
rigidità occidentale, mette all’angolo gli Stati Uniti e i suoi alleati,
sottoponendoli a un aut aut tra rinuncia ed escalation senza spazi negoziali
praticabili.
Viceversa,
affrontare le singole problematiche con una serie di do ut des è l’unico metodo
per avviare al successo un negoziato sicuramente irto di difficoltà.
Non
c’è dubbio che un’amicizia tra giganti come Russia e Cina, accomunati da una
lunghissima frontiera, porterebbe Pechino a rinunciare alla leadership globale
in cambio di “spalle coperte” a nord-ovest.
La
porterebbe anche a trattare – cifre e carte geografiche alla mano – un assetto
dell’area del Pacifico sicuro per cinesi, americani e alleati di riferimento.
Lo
stesso vale per la questione ucraina, dove le ferite dello stalinismo sono
ancora aperte come nel resto dell’Europa Orientale. L’amicizia e cooperazione economica con la Cina
consentirebbe alla Russia un atteggiamento più costruttivo con l’Alleanza
Atlantica, limitando gli schieramenti militari dei due contendenti abbastanza
da garantire la reciproca sicurezza attraverso una fascia territoriale
concordata di sistemi d’arma solo difensivi. Il tutto nel quadro di accordi
economici per assicurare le risorse energetiche in cambio di tecnologie ed
investimenti.
Attualmente,
tuttavia, sembra in atto un processo inverso, risultante nella chiusura dei ponti e
nei tentativi russi e cinesi di dividere lo schieramento occidentale usando un
vero e proprio “cappio” energetico, regolabile a seconda degli obiettivi
strategici di Mosca e, di conseguenza, di Pechino.
È un
chiaro esempio di gioco pericoloso, che ci riporta al 1939 e all’accordo tra
Russia e Germania. Questa volta il ruolo allora assegnato alla Gran Bretagna è attribuito
agli Stati Uniti, che devono scegliere se premere il pulsante della pace o
quello della guerra.
Per
fortuna, le differenze ci sono e consistono principalmente nelle aspettative
della Russia e dei paesi occidentali.
Due
parole d’ordine: sicurezza e sviluppo economico. Questi vanno garantiti attraverso
una politica negoziale aspra, ma che consideri un mancato accordo come un’ipotesi
assolutamente negativa.
Resta
però l’incognita della Cina e il suo selvaggio ritmo di sviluppo economico.
Quest’ultimo
deve necessariamente porsi al servizio di un accordo strategico, escludendo che
fin da subito il ritorno dell’opzione “l’Asia agli asiatici.”
Un piano inclinato che porterebbe a un
conflitto con gli Stati Uniti ed i loro alleati – Giappone, Corea del Sud,
Australia e India in primis.
Questi
timori, forse, sono infondati. Ma solo un accordo senza vincitori né vinti sull’Ucraina –
e in generale sull’Europa orientale – può indurre la Cina a un analogo
negoziato con Stati Uniti e alleati nell’area del Pacifico e dell’intera Asia.
Viceversa,
un
fallimento nel negoziato per la soluzione del conflitto tra Mosca e Kiev incoraggerebbe le tentazioni
geostrategiche di Pechino su Formosa e sul Mar Cinese Meridionale, obbligando
Washington a una reazione militare densa di incognite.
Il
tempo, purtroppo, stringe. Ancora una volta un’Europa con la “e” minuscola si presenta
come un territorio di conquista tra contendenti globali, non come una entità
sovranazionale o una federazione di Stati, capace di contribuire alla stabilità
e alla sicurezza nello sviluppo come bussole obbligate per la nostra civiltà.
L’Italia
di Mario Draghi, con Francia e Germania in equilibrio politico instabile,
potrebbe giocare le sue carte, forte della sua tradizionale fedeltà atlantica e
del suo altrettanto tradizionale multilateralismo economico (e non solo) verso
il Mediterraneo e l’Europa orientale.
Resta
una difficoltà insormontabile: il rapporto tra Russia e l’ex sfera d’influenza
sovietica, che necessiterebbe di una diplomazia fatta di Realpolitik, rivisitando
decenni bui sotto il tallone stalinista, tanto per i russi quanto per gli altri
soggetti.
Essere
amici della Russia dovrebbe portare a proposte positive, non all’ uso della
forza, nemmeno se esibita in unione con il ricatto energetico. Ma anche a una sostanziale
dichiarazione di scuse, finora esclusivo patrimonio dell’Occidente e della Chiesa
cattolica.
È
passato poco più di un mese e l’uso della forza da parte della Russia è
diventata una drammatica e tragica realtà. Una realtà composta da città distrutte,
migliaia di morti militari e civili, insieme a un vero e proprio esodo della
popolazione ucraina verso i paesi confinanti.
Le
responsabilità sono chiare. Bisogna invece soffermarsi sul futuro. Terminato il conflitto, Russia e la
Cina saranno ancora più vicine e il rapporto tra Europa e Stati Uniti sarà
ancora più difficile. L’interrogativo è simile a quello del 1939, «morire per Danzica?», peraltro
appesantito dalla dipendenza energetica e dall’inferiorità militare dell’Unione
Europea nei confronti della Russia.
Non
serve abbandonarsi a un pessimismo di fondo. Ma nello stesso tempo è difficile
coniugare una ragionevole speranza di un nuovo equilibro con gli avvenimenti
cui stiamo assistendo nell’Europa orientale. Questi sembrano piuttosto prefigurare
un periodo di fortissime tensioni tra le nazioni coinvolte a vario titolo nella
guerra in corso.
In
ultima analisi, sarà il prezzo che gli Stati Uniti pagheranno alla Cina per la
sua mediazione a decidere della guerra o della pace.
Se
quel prezzo fosse troppo alto, correremo seriamente il rischio di conflitto
allargato, dagli esiti imprevedibili.
L’appello
di Zelensky, la base cinese
in
Cambogia e il Summit delle Americhe.
Limesonline.com-
Federico Petroni, Giorgio Cuscito, Niccolò Locatelli-(7/06/2022)- ci dicono:
Intervistato
dal Financial Times, il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj (Zelensky) ha dichiarato che il suo
esercito è
«inferiore in termini di equipaggiamento» e dunque non è «in grado di
avanzare».
Il
capo di Stato ha attaccato chi parla di «non umiliare la Russia». Ha inoltre esortato gli alleati a
creare le precondizioni per portare i russi al negoziato, per esempio inviando
più armamenti. Infine, l’accusa più dura: le sanzioni, benché abbiano causato danni, «non hanno davvero influenzato la
posizione della Russia» perché alcuni governi stanno più attenti a non far
soffrire l’economia.
L’Ucraina chiede l’embargo totale di gas e
petrolio.
Perché
conta: L’appello di Zelensky palesa la stanchezza del fronte occidentale e
quella del fronte ucraino.
Le vittime dall’inizio del conflitto sono oltre 40
mila e le Forze armate di Kiev potrebbero perdere fino a cento soldati al
giorno. Il
capo di Stato sa perfettamente che il suo paese non si può permettere uno
stallo, cioè lo scenario a oggi più probabile, perché rischierebbe di esaurire
la fibra della popolazione.
Combattere
sul proprio territorio è un vantaggio se si tratta di sopravvivere ma logora di
più rispetto a chi combatte lontano da casa. Inoltre, stanno arrivando nuovi
equipaggiamenti come i lanciarazzi a lungo raggio ma gli ucraini non li sanno
usare fino in fondo e l’addestramento richiede tempo.
Il
riferimento a chi non intende umiliare la Russia è alla Francia, ma non solo al
presidente Emmanuel Macron. Si sono espresse in questi termini anche le altre due
principali figure della politica transalpina, Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. Oltre a Parigi, anche altre
cancellerie occidentali, da Roma a Berlino, hanno posizioni simili.
Ma nel calderone finiscono anche l’Ungheria che blocca
i pacchetti di sanzioni dell’Unione Europea e persino gli Stati Uniti, i quali
mandano armi ma con limiti espliciti per non rischiare di far esondare la
guerra dagli argini dell’Ucraina.
Il
governo di Kiev teme che gli occidentali stiano ammettendo di aver raggiunto il
limite del proprio sostegno. La riluttanza euro-americana non equivale a spezzare il fronte
della Nato, come sperava Mosca. Ma è dovuta alla sensazione che, per ora, la guerra
soddisfi un interesse fondamentale: tenere lontano Putin.
Quel
lontano, per Kiev, è però drammaticamente vicino.
LE
UCRAINE OCCUPATE.
(
Federico Petroni)
Il
governo russo ha annunciato di aver sminato i porti di Mariupol’ e Berdyansk
sul Mar d’Azov, di aver aperto un collegamento stradale sulla terraferma tra la
Russia e la Crimea e di aver ripristinato il traffico cargo su 1200 chilometri
di ferrovia tra la stessa Mariupol’ e Kherson.
Perché
conta: Sono sforzi per russificare i territori occupati, per legarli alla
Russia, per esibire successi all’opinione pubblica e per mettere pressione su
Kiev.
Un
collegamento terrestre tra Russia e Crimea è uno degli obiettivi minimi di
questa guerra (per quanto del tutto insufficiente a concluderla), per togliere
la penisola dall’isolamento che il ponte sullo Stretto di Kerč non era
sufficiente a rompere.
È
inoltre un complemento al cosiddetto «ponte dell’acqua» che nei primi
giorni del conflitto i russi hanno completato per assicurare alla Crimea
l’accesso a decisive riserve d’acqua dolce.
Dai
porti sminati potranno ripartire le spedizioni del grano proveniente dalle
terre conquistate. L’obiettivo è triplice: far ripartire l’economia locale,
alleggerendo l’aggravio dell’amministrazione civile-militare; respingere le
accuse ucraine di star causando una crisi alimentare mondiale; usare il grano
come strumento diplomatico per comprarsi qualche fragile governo straniero.
Ma la
ripresa dell’export non può essere totale: le acque basse del Mar d’Azov non
consentono l’accesso di navi di grossa stazza. Per quelle serve anche la
riapertura del porto di Odessa.
Un
accordo in tal senso è nell’interesse più della Russia e della Turchia (che sta
mediando e avrebbe un ruolo nella scorta) che dell’Ucraina. Kiev teme di
vanificare gli sforzi bellici che le hanno consentito, secondo la sua Marina
militare, di ricacciare la flotta russa a 100 miglia dalla costa, permettendo
così operazioni sulla foce del Bug, nei pressi di Kherson. Tuttavia, le 20 milioni di tonnellate
di grano invenduto costituiranno una forte pressione sul governo ucraino per
accettare un’intesa.
Intanto
le autorità dell’amministrazione civile-militare dell’occupata Kherson fanno
sapere che intendono «seguire i passi della Crimea», cioè aderire tramite
“referendum” alla Federazione Russa. La consultazione non è in programma al momento, si
parla genericamente dell’autunno. La ripresa dei collegamenti infrastrutturali
serve a rendere possibile che ciò accada.
Contro
scenari come questo si batterà l’insurrezione locale, organizzata tramite il
Centro di resistenza nazionale e apparentemente in crescita, come segnalano due
recenti attacchi a Melitopol e a Enerhodar riportati non solo dalla stampa
ucraina ma pure da quella russa.
Secondo Kiev, nei territori occupati sono rimasti 3
milioni di persone. È materiale umano sufficiente a fornire nascondiglio e
sostegno ai partigiani. Benché privi di valli o foreste, gli spazi teoricamente sotto il
controllo dei russi sono troppo vasti per essere controllati con i soldati ora
a disposizione di Mosca.
LA
BASE CINESE IN CAMBOGIA.
(Giorgio
Cuscito).
La
Repubblica Popolare Cinese starebbe costruendo una struttura a uso navale
all’interno della base di Ream, in Cambogia. Lo sostiene il Washington Post
riportando indiscrezioni fornite separatamente da un anonimo funzionario
occidentale e da uno cinese. Quest’ultimo avrebbe affermato che solo una
porzione della base sarà gestita dalla Repubblica Popolare e che il resto
continuerà a essere controllato da Phnom Penh. Per il quotidiano statunitense
giovedì a Ream si svolgerà una cerimonia per celebrare l’evento.
Perché
conta: Pechino
vuole aggiudicarsi un punto di approdo nella penisola indocinese da collegare
alla base di Hainan e alle isole artificiali nel conteso Mar Cinese
Meridionale.
Così
da accrescere la presenza dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) in
prossimità dello Stretto di Malacca (presidiato dagli americani) e imbrigliare i paesi rivieraschi nella
propria rete di rotte navali, che ora può avvalersi anche di un attracco alle
Isole Salomone.
Da
circa due anni, si vocifera dell’accordo tra Pechino e Phnom Penh per
consentire all’Epl di servirsi della base di Ream, ma entrambi i governi hanno
sempre negato. Ciononostante, i sopralluoghi di funzionari cinesi, le attività
di ristrutturazione della base e gli investimenti infrastrutturali progettati
dalla Repubblica Popolare non lontano dalla installazione sono indizi del
concreto interesse della leadership guidata dal presidente Xi Jinping a creare
qui il secondo avamposto navale all’estero dopo quello inaugurato a Gibuti nel
2017.
Nei
prossimi giorni, gli Usa punteranno i riflettori sul progetto per mettere in
difficoltà Pechino e Phnom Penh e attirare il consenso dei paesi rivieraschi
preoccupati dall’ascesa della Repubblica Popolare.
Lo sforzo mediatico e diplomatico tornerà
utile per accelerare
il consolidamento del dialogo quadrilaterale di sicurezza (Quad) e la Cornice
economica per l’Indo-Pacifico, promossi dal presidente Joe Biden in funzione
anticinese proprio la scorsa settimana.
IL
SUMMIT DELLE AMERICHE PER ESCLUSIONE
(Niccolò
Locatelli).
Gli
Stati Uniti non hanno invitato i presidenti di Cuba, Venezuela e Nicaragua al
IX Summit delle Americhe iniziato ieri a Los Angeles. Contrariato da questa scelta, il
presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador ha annunciato che diserterà
il vertice, inviando al suo posto il ministro degli Esteri.
Perché
conta: Per
paradossale che sia, i limiti della retorica del presidente degli Stati Uniti
Joe Biden appaiono in tutta la loro chiarezza proprio nell’emisfero
occidentale.
L’insistenza
strumentale su diritti umani e democrazia può mobilitare popolazioni e governi
europei e indo-pacifici contro Russia e Cina, ma risuona oltremodo posticcia in
un’area che ha visto numerosi interventi a stelle e strisce contro governi
democraticamente eletti o figure dittatoriali ma (almeno inizialmente) molto
popolari.
L’esclusione
dei regimi dell’Alba ha dunque una coerenza ideologica globale ma una scarsa
efficacia emisferica. A livello multilaterale, comunica il sostanziale disinteresse
di Washington ad ascoltare i suoi vicini di emisfero, invece che a dettar loro
la linea.
A
livello bilaterale, la decisione contraddice recenti aperture verso L’Avana e
Caracas che apparivano sensate alla luce degli stessi interessi statunitensi (rispettivamente: disgelo e graduale
integrazione dell’isola nella sfera d’influenza Usa, ampliamento della
disponibilità di fonti energetiche alternative alla Russia sul mercato).
Dalla
fine della minaccia sovietica in poi, gli Stati Uniti hanno ignorato l’America
Latina o se ne sono occupati attraverso le lenti della politica interna –
essenzialmente contrasto al narcotraffico, controllo dell’immigrazione,
sostegno agli oppositori dei regimi cubano e venezuelano.
L’assenza
di una “pars construens” anche economica è stata sostenibile in tempi meno
preoccupanti di quelli attuali.
L’onda
lunga della guerra ucraina rischia di generare instabilità ed emigrazione di
massa, mentre
la penetrazione cinese si allarga al controllo di infrastrutture cruciali.
Converrebbe
cambiare registro. A prescindere dai gesti clamorosi ma inconcludenti del
presidente messicano, consapevole in cuor suo che il futuro economico e
securitario del suo paese non può prescindere dalla superpotenza.
Prodi:
«Pace difficile finché
non
trattano Stati Uniti e Cina».
Ilsole24ore.com-
Barbara Fiammeri-(5 giugno 2022)- ci dice :
Ruolo
Ue solo se avanzerà la cooperazione tra Francia Germania, Italia e Spagna.
Prodi:
“Senza
negoziato tra Cina e Stati Uniti non si va da nessuna parte”
Spiragli
«concreti» di pace non ne vede.
Ed è
difficile che si aprano finché «Stati Uniti e Cina» non decideranno di
assumersi direttamente il ruolo di negoziatori. Sono loro che devono muoversi.
Romano
Prodi interviene al Festival dell’Economia di Trento con una affluenza record
di pubblico.
Quanto
all’Europa, se vuole davvero esercitare un ruolo deve velocemente incamminarsi
verso quella che l’ex premier ed ex presidente della Commissione europea
definisce «cooperazione
rafforzata» guidata da Francia, Germania, Italia e Spagna.
Del
resto anche l’adesione all’Euro coinvolge solo «19 Paesi (da gennaio 20) sui 27
della Ue».
Impantanarsi
nella discussione sul superamento dell’unanimità non porterebbe da nessuna
parte. Prodi usa parole durissime: «Sono ansioso che venga ributtato nel fango», dice il
professore riferendosi alla condizione dell’unanimità delle scelte oggi importa
a Bruxelles. Le divisioni evidenti sulle sanzioni lo confermano. Bisogna
muoversi «rapidamente» e decisivo è - dice Prodi intervistato da Lucia
Annunziata e dal vicepresidente esecutivo dell’Ispi, Paolo Magri - il ruolo di
Emmanuel Macron perché la Francia ha il diritto di veto alle Nazioni Unite e
l’arma nucleare e deve quindi «assumersi la leadership della politica estera
europea».
Prodi
lancia un monito:
«Credo
non si sia capito bene il peso della decisione della Germania di riarmarsi».
Per
l’ex premier bisogna che questo riarmo non diventi troppo «nazionalizzato», nel
senso che deve essere un assest per tutta l’Unione. Ma non c’è molto tempo. «Si
parla di tragedia alimentare ma per ora ci sono ancora le scorte. Tra qualche
mese finiranno e le conseguenze saranno disastrose».
5
giugno 2022.
Ucraina,
ultime notizie. Kiev sotto attacco, chieste armi all’Occidente. Putin: con i
razzi a lungo raggio il conflitto si estende
La
guerra sta facendo emergere i nuovi rapporti di forza. Che restano dominati da
Stati Uniti e Cina. I cinesi stanno costruendo alleanze inimmaginabili come
quella con l’India «e noi cosa facciamo?», è la domanda del professore che
sottolinea come i cinesi la guerra la fanno stando fermi.
Nonostante le dichiarazioni di sostegno a Vladimir
Putin «neppure una cartuccia» hanno inviato a Mosca e hanno anche detto che
«nessun confine va cambiato». Ci sono ragioni obiettivo, lo scambio commerciale
ha un rapporto di 1 a 10: La Cina non può rinunciare all’Europa e agli Stati
uniti.
Sollecitato
a margine del panel a parlare sulle fratture all’interno della maggioranza per
le perplessità di Lega e M5s sulla linea del governo nel sostegno all’Ucraina,
la risposta di Prodi è tagliente:
Quando
non si hanno alternative le perplessità si mettono da parte. Siccome nessuno
vuole elezioni anticipate saranno pure perplessi ma poi un accomodamento lo
troveranno».
Ma queste fibrillazioni non sono prive di effetti: «Basta guardare l’andamento dello
spread». Gli applausi della platea lo accompagnano verso la fine
dell’intervento.
Lucia Annunziata poco prima non aveva nascosto
i suoi dubbi sul sostegno americano in futuro.
Prodi
preferisce rispondere con una battuta: «Gli americani ci fanno nuotare ma non
gli dispiace se di tanto in tanto beviamo».
Tutto
resta circondato dall’incertezza di questi giorni. Il timore di una guerra che
si protrae a lungo incombe. E Prodi non nega che potrebbe essere questo il
futuro che ci attende se non si interviene anche cercando nuovi interlocutori.
Putin
muove l'esercito dalla Bielorussia:
carri
amati russi con la lettera "O" in Donbass.
msn.com-il
mattino –redazione-(7-6-2022)-ci dice :
Putin
muove l'esercito dalla Bielorussia: carri amati marcati con la lettera
"O" in Donbass.
Sono
marcati con la lettera "O". Carri armati russi che Putin sta muovendo
dalla Bielorussia verso il Donbass.
L'obiettivo principale di Mosca è ora di
circondare l'esercito di Zelensky nell'Ucraina orientale e prendere il
controllo totale delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk.
Le
città di Severodonetsk è sotto attacco da giorni. Ma anche Lysychansk è stata
oggetto di un'offensiva insieme agli insediamenti. L'escalation russa del fuoco di
artiglieria dentro e intorno a Severodonetsk è probabilmente intesa a
supportare le operazioni russe all'interno della città stessa e a impedire alle
forze ucraine di schierare efficacemente nuove truppe e condurre operazioni di
rifornimento nelle aree sotto attacco.
Medvedev
chi è? Il
consigliere di Putin ed ex presidente della Russia che minaccia gli occidentali.
La
"O" sulle truppe russe in Bierlorussia: il significato.
Di
carri armati russi con lettere dell'alfabeto disegnate sopra se ne sono visti
dall'inizio della guerra.
Per il
Ministero della Difesa russo la Z significa vittoria e V significa potere della
verità.
Ma
secondo gli esperti militari queste lettere sono state scritte in base alle
rispettive aree dell'esercito russo. E se la Z indica il distretto
militare orientale Z, la O rappresenta invece l'esercito russo presente in
Bielorussia.
Il
ritiro delle forze a nord.
Contrattacchi
ucraini limitati e localizzati il 5 giugno hanno costretto le truppe russe a
concentrarsi sul mantenimento delle linee difensive a nord della città di
Kharkiv il 6 giugno.
Il
portavoce del ministero della Difesa ucraino Oleksandr Motuzyanyk ha riferito
che elementi non specificati della 6a armata combinata russa di armi, Baltico
La flotta e il 1 ° corpo d'armata della Repubblica popolare di Donetsk (DNR)
stanno operando nell'oblast di Kharkiv settentrionale per impedire l'avanzata
ucraina verso il confine russo.
Un
canale Telegram russo ha riferito che sono in corso combattimenti a Tsupivka,
Velyki Prokhody e Ternova a seguito dei contrattacchi ucraini.
Le
difficoltà a Popasna.
I
progressi compiuti dalla Russia fino a maggio sull'asse Popasna meridionale si
sono bloccati nell'ultima settimana, ha affermato martedì il ministero della
Difesa britannico.
I
rapporti di pesanti bombardamenti vicino a Izium suggeriscono che la Russia si sta
preparando a fare un nuovo sforzo sull'asse settentrionale, ha anche affermato
in un tweet.
"La Russia avrà quasi certamente
bisogno di realizzare una svolta su almeno uno di questi assi per tradurre i
guadagni tattici in successo a livello operativo e progressi verso il suo
obiettivo politico di controllare tutta l'Oblast' di Donetsk", ha
affermato il ministero.
Alberto
Bradanini: "Gli Usa temono
un
asse Russia-Cina e un mondo multipolare”.
Huffingtonpost.it
-Luciana Borsatti –( 06 Maggio 2022)- ci dice :
Parla
l’ex ambasciatore, autore di “Cina. L’irresistibile ascesa”.
“Pur
non concordando sulla decisione di Putin di invadere l’Ucraina, poiché
qualsiasi conflitto anche lontano genera insidiose turbolenze, la dirigenza
cinese condivide nella sostanza il giudizio di Mosca: che la genesi del conflitto
vada attribuita alla strategia americana di destrutturare la Russia con una
guerra per procura (combattuta dagli ucraini con armi e finanziamenti
Nato-Usa), provocarne un cambiamento di regime e se possibile causarne persino
la frantumazione, rendendola facile preda degli avvoltoi di Wall Street”.
A
dirlo in una conversazione con chi scrive è Alberto Bradanini, Ambasciatore a
Pechino dal 2013 al 2015, dopo esservi stato consigliere commerciale e console
generale a Hong Kong.
(L’ex diplomatico, che ora presiede il
Centro Studi sulla Cina Contemporanea, ha appena pubblicato “Cina.
L’irresistibile ascesa” (Sandro Teti Editore), che fa seguito a “Oltre la
Grande Muraglia. Uno sguardo sulla Cina che non ti aspetti” (Università
Bocconi, 2018) e “Cina, lo sguardi di Nenni e le sfide di oggi” (Anteo, 2021).
“Nel
giudizio di Pechino – prosegue Bradanini – gli Usa mirano poi a impedire la
saldatura Russia-Cina e a provocare un’analoga guerra per procura anticinese,
questa volta combattuta fino all’ultimo taiwanese”.
A suo
avviso, gli Usa non accettano l’emergere di un mondo multipolare che fiorisce
intorno all’alleanza russo-cinese, cui si aggiungerebbero “l’India e altre
nazioni cosiddette emergenti che, infatti, non intendono seguire Washington
nella politica sanzionatoria contro Mosca”.
Di
tale ultimo sviluppo costituisce un’evidenza il voto dell’Assemblea generale
dell’Onu, dove
la risoluzione americana di condanna dell'invasione russa è passata con 141
voti a favore e 5 contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del nord e
Siria), ma anche con 35 astenuti, tra cui Cina, India, Pakistan, Egitto, Sud
Africa, Mongolia, tutte le ex-repubbliche sovietiche e diversi Paesi
dell’America centrale e meridionale e africani. Altri, pur avendo votato contro
Mosca, non si sono poi associati alle sanzioni Usa-Ue.
Ora,
osserva l’ex ambasciatore a Pechino, non sarebbe razionale catalogare tali
paesi, che insieme rappresentano oltre quattro miliardi di abitanti del
pianeta, tra i sostenitori della Russia. Essi però “danno corpo in tal modo a un forte
malcontento nei riguardi degli Stati Uniti, ritenuti responsabili delle radici
di un conflitto iniziato nei primi anni 2000, aggravatosi poi nel Donbass nel
2014 con oltre 15mila vittime ed estesosi ora a una guerra vera e propria”.
Le
angosce di Washington davanti alla complementarità Europa-Russia.
L’eterno
incubo americano, sempre secondo Bradanini, è costituito dalla possibile
saldatura Russia-Europa, “le quali condividono un’oggettiva complementarità: stessa
civiltà, profonda interazione storica, medesima religione e stesso colore di
pelle. Sul piano economico, l’Europa ha bisogno di energia, la Russia di
capitali, macchinari e beni finiti di qualità: due calamite in naturale
reciproca attrazione.
Se
tale saldatura dovesse materializzarsi, gli Stati Uniti si troverebbero in
posizione marginale oltre Atlantico, lontani dall’heartland, quella regione
irrinunciabile per chi mira a dominare il mondo.
Se poi si aggiungesse la Cina, che con la Belt and Road Initiative mira proprio ad accorciare le
distanze tra le due estremità dell’Eurasia attraverso la connettività nei
territori intermedi, le trepidazioni dell’impero giungerebbero al parossismo
perché, in quel caso, lo scettro del mondo passerebbe di mano”.
“L’espansionismo
Nato/Washington verso Est ha dunque l’obiettivo strategico di impedire quel
percorso di pacificazione/integrazione euroasiatica che era emerso quale
promessa di pace e sviluppo alla caduta dell’Unione Sovietica”. Una svolta che aveva determinato “una nuova convergenza tra Cina e
Russia”, non più accomunate dall’ideologia anticapitalista come ai tempi di Mao
e Stalin, ma da comuni interessi economici e strategici, e dalla medesima
necessità di contenere l’espansionismo americano.
Del
resto, rileva ancora Bradanini, “anche in una discutibile strategia imperiale, il Paese
in grado di sfidare l’egemonia americana è la Cina, non certo la Russia, la
quale andrebbe reclutata nel campo euro-atlantico e non sospinta verso Pechino”.
L’imbarazzo
di Pechino di fronte alla guerra in Ucraina.
Da
parte sua “la
dirigenza cinese non ama i conflitti, che giudica contrari alle sue priorità e
interessi: pesanti ripercussioni economiche e blocco commerciale sarebbero le
immediate conseguenze di un conflitto che la coinvolgesse”. Davanti alla crisi
ucraina, “la Cina si trova dunque in forte imbarazzo”. Il Paese ha legami
profondi sia con la Russia che con l’Occidente. Il commercio Russia-Cina – che
nel 2021 ha sfiorato i 150 miliardi di dollari - crescerà ulteriormente nei
prossimi anni con l’import cinese di altro gas siberiano. La Cina è già oggi il primo partner
commerciale della Russia, che è a sua volta per Pechino il primo esportatore di
energia (oltre
che di tecnologia militare.)
Pechino
ha però profondi legami anche con Usa e Ue, con i quali il commercio eccede di
molto quello con la Russia (Usa-Cina 657 miliardi di dollari e Ue-Cina 695 mld
di euro), oltre a investimenti reciproci per centinaia di miliardi di dollari.
E poi, 70.000 imprese Usa operano in Cina, per un fatturato annuo di 700
miliardi di dollari” mentre la finanza di Wall Street “è oggi autorizzata a sui
risparmi delle famiglie cinesi”.
“Alla
luce di tali intrecci - sottolinea l’analista - la richiesta di mediazione
americana è vista da Pechino come una trappola”, mentre per Washington “la
riluttanza a intervenire sarebbe evidenza che la Cina approva la guerra di
Putin.
Un’accusa che - insieme a quella di vendere
armi alla Russia”, di essere stata informata in anticipo dell'attacco russo e
aver chiesto a Mosca di rinviarlo al termine delle Olimpiadi - preparerebbe il
terreno per sanzioni anticinesi.
Dal
conflitto, gli Stati Uniti trarrebbero enormi benefici consolidando la
subordinazione dell’Europa e favorendo il complesso militare-industriale, le
corporazioni gas/petrolio e il corso del dollaro.
"Secondo
i governi occidentali, quello italiano incluso – conclude Bradanini - occorre
armare l’esercito ucraino.
La
Cina reputa invece che questo accresce pericolosamente il rischio di
escalation, anche nucleare”.
“Pechino suggerisce invece di investire su una diversa
nozione di sicurezza, collettiva e indivisibile, abbandonando l’astratta etica dei
principi a favore dell’etica della realtà, foriera di equilibrio tra Grandi
Potenze, riduzione del danno e logica del compromesso”.
Usa,
Cina, Russia.
Chi
aggredisce chi?
Micromega.net-
Michele Martelli –(31 Maggio 2022)- ci dice :
L’aumento
incessante del bilancio militare e nucleare, la pretesa del ruolo di polizia internazionale
e l’”esportazione
della democrazia” con la guerra sono i punti qualificanti della politica estera americana
degli ultimi vent’anni.
Il
Congresso americano, su proposta di Biden, ha appena stanziato, senza
opposizione alcuna, con i voti favorevoli di ambedue i partiti democratico e
repubblicano, altri 40 miliardi di dollari di «aiuti» al governo ucraino, in
prevalenza militari, con nuovi efficaci armamenti e «missili di lunga gittata»,
capaci di colpire obiettivi in territorio russo.
Con quale sicuro effetto?
Non promuovere la pace, ma alimentare l’escalation
bellica, come ha prontamente commentato il ministro russo Lavrov.
Al
tempo stesso, Biden ha minacciato la Cina d’intervento militare diretto in caso
di invasione di Taiwan.
Ma la Cina non ha invaso né manifestato di
invadere alcunché, anche se rivendica la legittimità dell’integrazione cinese
di Taiwan.
Intanto
Biden sta ulteriormente armando il governo filo-Usa di Taiwan, mentre aerei
bombardieri e sommergibili atomici americani controllano, come temibili falchi
e pescicani, il cielo e le acque dell’Indo-Pacifico. Che cosa sta succedendo?
Taiwan come Ucraina? Chi aggredisce o minaccia chi?
Facciamo
un passo indietro. Tutto comincia col «suicidio» dell’Urss, che qualcuno ha chiamato
«assassinio», nel 1989-91, ultimo frutto avvelenato della Guerra Fredda.
Gli
Usa, che restano l’unica superpotenza planetaria, sognano un mondo unipolare;
la
Russia eltsiniana
è allo sfacelo, facile preda del capitalismo occidentale e della mafiosa
oligarchia cleptocratica interna;
la
Cina post-maoista sin dagli anni ’80 ha spalancato le porte al capitale
straniero, dando l’impressione di potersi trasformare finalmente in una sorta
di colonia americana. Ma ben presto il sogno rischia di sfumare.
La
Russia nazionalista si riorganizza autonomamente come esportatrice di materie
prime (gas, petrolio, grano, ecc.) e superpotenza nucleare pari agli Usa,
esaltandosi nel progetto neo-imperiale e neo-zarista di Putin;
la
Cina, governata paradossalmente sempre dal Partito comunista, in pochi anni
diventa una superpotenza economica in grado di vincere la sfida planetaria.
Qui
comincia il delirio americano.
La sigla che lo riassume è Pnac, ossia Project for the New
American Century («Progetto per un Nuovo Secolo Americano»), nome del più famoso e influente
centro di ricerca politico-strategico «neocon» nato nel 1997, con sede a
Washington, ma tuttora attivo, e che ha ispirato ininterrottamente le ultime
presidenze, democratiche e repubblicane, da Clinton a Bush Figlio, da Obama a
Trump fino all’attuale Biden già vice di Obama.
E
l’acronimo Maga?
No,
non è la perfida maga Magò de La spada nella roccia, ma le iniziali dello
slogan Make
America Great Again («Facciamo l’America di nuovo grande»), simbolo della campagna presidenziale
di Trump nel 2016, nonché di quelle di Clinton e consorte, e usato per la prima
volta nel 1980 da Reagan.
La particolarità di Trump è che la sua ideologia ultraconservatrice, condensata in quello slogan, era
supportata dal miliardario David Duke detto il «Grande Mago», suprematista bianco, ex Gran Maestro
degli incappucciati del Ku Klux Klan ed ex-membro del Partito Nazista Americano.
Sì, certo, non è il Pnac, ma il “Pna”. Ma negli Usa, per chi non lo
sapesse, c’è anche quel partito. Ѐ stato fattore e componente dell’assalto al Capitol
Hill?
Aldilà
delle differenze programmatiche, in realtà molto labili, tra presidenti,
partiti e rispettivi raggruppamenti interni, tre sono i punti qualificanti della
politica estera americana negli ultimi due decenni:
1) l’aumento incessante del bilancio militare
e nucleare;
2) la pretesa del ruolo di polizia
internazionale;
3)
l’«esportazione della democrazia» con la guerra.
Il
fine? Americanizzare
il pianeta, imponendo un «novus ordo saeclorum» centrato sulla supremazia Usa e
difendendo ovunque e con ogni mezzo gli interessi americani.
E tre
sono anche le principali aree d’intervento Usa, come indicato dalla mappa
geopolitica globale del Pnac:
1) il Medio-Oriente;
2)
l’Est-Europa;
3)
l’Indo-Pacifico.
Perché
il Medio-Oriente, dove gli Stati Uniti sono intervenuti nei modi più diversi,
col bombing
police in Iraq e Libia, con le «primavere arabe», con le sanzioni anti-Iran, con l’invenzione
dell’Isis e il tentato regime change di Bashar al-Assad?
Semplice:
per il
pieno controllo delle risorse petrolifere ed energetiche di quell’area;
chiaramente: chi controlla le risorse, controlla l’economia e il commercio
mondiale.
Il perché dell’Est-Europa è testimoniato dalla
guerra russo-ucraina in atto, originariamente provocata, non giustificata,
dall’espansionismo dell’Alleanza Atlantica, iniziato col
bombardamento-smembramento blair-clintoniano della Serbia, paese amico della
Russia.
La
Nato a papa Bergoglio ha forse ricordato il mitico mostro cinocefalo greco-antico
dalle mille teste canine, se è ricorso alla metafora del suo «abbaiare alla porta di
Mosca»; l’intento di Washington è stato ed è l’accerchiamento e l’indebolimento
della Russia, attualmente percepita come il principale ostacolo militare che si
frappone agli Usa e all’illusione del suo dominio mondiale.
E
infine, perché l’Indo-Pacifico?
Perché
per la Casa Bianca oggi, per sua esplicita e ripetuta ammissione, «il vero
nemico» globale degli Usa è la Cina.
Sin dalla nascita della Repubblica popolare cinese,
nel 1949, le élites dominanti statunitensi non si sono mai rassegnate alla
«perdita della Cina».
Le
guerre di aggressione, in parte fallimentari, contro la Corea e il Vietnam, con
un bilancio tragico di morti e devastazioni, e il sanguinoso colpo di Stato
anticomunista del generale Suharto nel 1965 in Indonesia (500 mila vittime), ne
sono state la controprova, così come la Seato (= South East Asia Treaty
Organization, «Organizzazione del trattato per l’Asia sudorientale»), una sorta
di Nato asiatica in funzione anticinese, sorta nel 1954 e sciolta nel 1975.
Ma gli
Stati Uniti, di fronte allo strepitoso sviluppo della Cina, allo scopo di
isolarla e strangolarla, hanno ristabilito nuove alleanze e partnership
nell’Indo-Pacifico, dal “Quad” (= Quadrilateral Security Dialog), formalizzato nel 2007 con
l’adesione di Stati Uniti, Australia, India e Giappone, all’”Aukus” (dalle iniziali dei paesi membri: Australia, United Kingdom e United
States),
firmato il 15 settembre 2021, Biden regnante.
Due sigle che, insieme alla Nato, formano la rete di
alleanze geopolitiche e strategico-militari degli Usa contro Russia e Cina, una
rete di fatto alternativa all’Onu, che le «guerre umanitarie» americane hanno
scavalcato, ignorato e ridotto in agonia.
Ecco
perché il 24 maggio 2022, a proposito del conflitto in Ucraina, di cui fino
all’invasione russa la Cina, guarda caso, era il primo partner commerciale,
Biden ha dichiarato agli alleati asiatici: «Non è una questione europea, è un
problema globale».
Detto
altrimenti: la posta in gioco, nella guerra per procura in Ucraina, giocata con
tragico cinismo sul giusto orgoglio e sulla pelle del popolo ucraino, è la
sopravvivenza dell’Impero americano, del suo sogno persistente di dominio
mondiale.
Un
Impero che, come il «vecchio Re» di Ionesco, non vuole morire, perché si
ritiene eterno, immortale: altrimenti, che «cielo e terra, popoli e città
periscano con me».
Tradotto
nel linguaggio imperiale di Washington: piuttosto l’Olocausto nucleare che la
mia fine. Quasi come il Mazzarò della famosa novella di Verga: «Roba mia,
vientene con me».
Cina
contro Stati Uniti:
«Il
tentativo Usa di sopprimere
noi e
Russia non riuscirà».
L'Europa
dialoga con Pechino.
Ilmessaggero.it-Redazione-
(29-3-2022)- ci dice:
La
reazione della potenza guidata da Xi Jinping è un avvertimento agli Stati
Uniti: «Non
cercate di opporvi alla Cina rafforzando le alleanze».
Cina
contro Stati Uniti: «Il tentativo Usa di sopprimere noi e Russia non riuscirà».
Durissimo
affondo della Cina contro gli Stati Uniti.
Le
parole del presidente Joe Biden non sono passate inosservate a Pechino che ha
definito «sconcertante» la dichiarazione di Biden.
Facciamo
un passo indietro: Biden aveva detto che Putin non può rimanere al potere.
Oggi
in un editoriale molto duro il Global Times (cinese) giudica poco responsabile
il comportamento di Biden.
«Non importa quanto bene funzioni la macchina
della propaganda di Biden, non può sminuire il fatto che una dichiarazione così schietta in un
momento così delicato potrebbe infiammare ulteriormente la situazione. Questo è stato poco saggio e
irresponsabile, e riflette un terribile problema all'interno della politica
statunitense: alcuni politici stanno portando le loro lamentele personali a livello
nazionale», si legge.
La
Cina inoltre boccia il piano Usa 2023 che prevede un aumento delle dotazioni e
delle spese militari. È un piano da guerra fredda, commenta la Cina.
Biden
sfida Putin: 813 miliardi per il riarmo, molti per la sfida nell'Artico (dove
Mosca è in vantaggio).
Ucraina, la Cina attacca la Nato: «Falsità su sostegno a Russia».
Il
rapporto sulla strategia di difesa nazionale degli Usa «è pieno di idee da
Guerra Fredda e di confronto tra i campi: Cina e Russia sono due grandi potenze
e il tentativo di contenere e sopprimere entrambi i Paesi non avrà successo».
È il
commento del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, all'indomani della presentazione
della relazione del Pentagono a corredo del budget 2023, secondo cui la Cina è il più
importante concorrente strategico degli Usa, mentre la Russia è definita una
seria minaccia.
L'America
vede nemici immaginari, dice Wang.
Ucraina,
Corte Onu:
«Non c'è
genocidio in Donbass, sospendere le operazioni militari». Russia e Cina votano
contro (insieme).
La
parte statunitense, ha aggiunto Wang nel briefing quotidiano, «dovrebbe riflettere sulle proprie
responsabilità nella crisi in Ucraina e rivedere e correggere le sue pratiche
di creazione di nemici immaginari, ignorando le preoccupazioni politiche e di
sicurezza di altri Paesi e mobilitando il confronto di gruppo».
Il portavoce ha invitato «ad attuare
seriamente la dichiarazione» fatta dal presidente Joe Biden nell'ultimo
colloquio in modalità video con il suo omologo cinese Xi Jinping sul fatto «di non cercare una nuova guerra
fredda, di non cercare di cambiare il sistema cinese, di non cercare di opporsi
alla Cina rafforzando le alleanze, di non sostenere l'indipendenza di Taiwan e di non
avere alcuna intenzione di scontrarsi con la Cina», puntando invece alla collaborazione
con la parte cinese.
Nella
nuova situazione, «Cina e Usa dovrebbero rispettarsi a vicenda, coesistere
pacificamente e lavorare a una cooperazione vantaggiosa per tutti».
Nella
conferenza stampa tenuta ieri sul bilancio 2023 per la difesa, la vice ministra
americana della Difesa Kathleen H. Hicks ha parlato di Cina, Corea del Nord e Russia come le più
grandi minacce alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Usa,
Il dollaro? Fmi: «Non è più dominante, il suo potere come valuta di riserva sta scemando
a favore di yuan e altre monete».
Colloquio
Borrell – Wang.
«L'alto
rappresentante dell'Ue per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell ha
parlato con il consigliere di stato/ministro degli esteri cinese Wang Yi.
Questa è stata la loro terza conversazione dall'inizio dell'invasione militare
della Russia in Ucraina. Borrell ha ricordato che la guerra di aggressione
della Russia contro l'Ucraina viola gravemente il diritto internazionale e sta
causando massicce perdite di vite umane e danni ai civili.
L'invasione
ha anche innescato grandi turbolenze per l'economia globale in un momento in
cui l'attenzione dovrebbe essere concentrata sulla ripresa globale
post-pandemia.
Josep
Borrell e Wang Yi hanno convenuto sull'urgenza di tornare alla pace nel
continente europeo il più presto possibile. A questo proposito, hanno discusso
dei negoziati in corso e della necessità di un cessate il fuoco, della
creazione di corridoi umanitari e della prevenzione di qualsiasi rischio di
ulteriore escalation». Lo fa sapere il servizio diplomatico europeo. «L'Ucraina sarà un argomento chiave
per la discussione dei leader durante il 23esimo vertice Ue- Cina che si terrà
il 1° aprile.
L'agenda del vertice sarà di ampio respiro e
comprenderà anche le questioni economiche, il clima, la ripresa globale, le
questioni regionali e i diritti umani».
Né con
Russia (e Cina), né con Ucraina (e USA).
Il
rilancio del Movimento dei Paesi Non Allineati.
Transform-italia.it-Alessandro
Scassellati-(13/04/2022)- ci dice :
A
quasi due mesi dall’inizio della terribile aggressione russa all’Ucraina, lungi
dall’essere stata isolata sul piano internazionale, come viene proclamato dai
media mainstream occidentali, la Russia rimane un importante interlocutore
economico e politico per tanti Paesi del mondo.
L’Ucraina
ha spinto i suoi alleati occidentali a far condannare la Russia all’ONU e a
metterla sotto pesanti sanzioni, ma il resto del mondo resiste a schierarsi da
una parte o dall’altra.
Soprattutto
i Paesi del Sud del mondo – il grosso dei Paesi che fanno parte del Movimento
dei Non Allineati – non vogliono una nuova guerra fredda che spacchi il mondo
in due blocchi guidati da USA e Cina, e si battono per un “nuovo ordine
internazionale multipolare”.
C’è
una parte del mondo che non vuole una nuova guerra fredda.
È
ormai sempre più evidente che per i leader americani ed europei al governo la
guerra della Russia in Ucraina deve rappresentare un momento di svolta
paradigmatico nella storia geopolitica del mondo.
Per la presidente della Commissione Europea, Ursula
von der Leyen, infatti, “l’invasione russa dell’Ucraina rappresenta un momento
di svolta non solo per il nostro continente, ma anche per le nostre relazioni
con il resto del mondo; è un momento decisivo perché niente sarà più come prima
della guerra”.
Ma,
nonostante i pressanti e spesso minacciosi inviti dei politici americani ed
europei a schierarsi nel conflitto dalla parte dell’Ucraina, un numero
crescente di Paesi asiatici, africani, latinoamericani ed oceanici ha finora
scelto di rimanere neutrale.
Cina, India, Pakistan, Brasile, Turchia,
Indonesia, Sud Africa e persino il Messico sono rimasti in disparte, resistendo
alle richieste di isolare diplomaticamente la Russia o di unirsi alla campagna
per sanzionare pesantemente la sua economia.
Hanno
emesso voci razionali e pragmatiche che rappresentano le opinioni di una parte
significativa della comunità internazionale, come dimostrano le astensioni alle
votazioni all’Assemblea Generale dell’ONU.
Le imprese asiatiche sono rimaste in Russia
anche se le loro controparti occidentali sono partite in massa.
All’ONU,
un gran numero di Stati africani, il più grande dei quali il Sud Africa, si è
astenuto da risoluzioni volte a ostracizzare la Russia per l’invasione (solo 28
dei 54 paesi africani, poco più del 51%, rappresentati all’ONU hanno votato a
favore della risoluzione americana contro la Russia del 2 marzo scorso).
Questi
Paesi si oppongono anche a sanzioni unilaterali al di sopra del diritto
internazionale (e senza un mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU),
ritenendo che oltre a creare gravi problemi economici per entrambe le parti,
determinino nuovi problemi critici per l’economia globale, nel commercio e
crescita economica, nella finanza, nell’energia, nella sicurezza alimentare e
nelle supply chains (catene logistiche e produttive globali), senza aiutare la
risoluzione del conflitto. La loro preoccupazione concreta è che una selva crescente
di sanzioni possa comportare una recessione economica globale, inflazione
galoppante senza crescita (stagflazione) e una crisi del debito per tanti Paesi
emergenti e poveri.
Infine,
temono che se la spirale crescente di aspro confronto, riarmo, insicurezza,
nazionalismo e formazione di blocchi contrapposti continuerà incontrollata, ci sia il rischio concreto di
scatenare un conflitto globale che finirà per pesare soprattutto sulle economie
e società dei Paesi a medio e basso reddito e che renderà impossibile qualsiasi
concreto sforzo cooperativo globale teso ad affrontare l’emergenza
climatica/ambientale.
Opinioni
che sono state semplicemente ignorate dalla gran parte dei media occidentali,
anche se di recente il settimanale della globalizzazione The Economist ha provato ad interrogarsi sul perché
una così ampia parte del mondo non si opponga alla Russia, ma che dimostrano che al momento ci
sono tanti Paesi emergenti e poveri che ricordano i crimini commessi
dall’Occidente – le intrusioni violente e le guerre in Afghanistan, Iraq,
Siria, Yemen, Libia, etc.2 – e che non hanno alcuna intenzione di schierarsi con
un blocco od un altro secondo una logica manichea “amico/nemico“, “noi/loro”,
“democrazia/autocrazia”.
Le
votazioni all’ONU delle scorse settimane suggeriscono che la guerra in Ucraina potrebbe
essere vista da gran parte del mondo come una lotta contro un sistema politico
ed economico globale che istituzionalizza una gerarchia imperiale, la
distribuzione dei Paesi tra ricchi e poveri e la supremazia globale della
popolazione bianca.
Invece che schierarsi con l’uno o l’altro
blocco, come molti Paesi sono stati costretti a fare durante la Guerra Fredda,
stiamo assistendo all’emergere di un mondo genuinamente post-americano.
Molti
dei Paesi che ora non vogliono seguire gli Stati Uniti, comprese aspiranti
grandi potenze come India e Cina, sono colpevoli delle proprie gravi violazioni
dei diritti umani. Eppure è improbabile che tornino mai ai loro precedenti ruoli
di supplicanti o seguaci dell’Occidente.
Il
primo ministro delle Barbados, Mia Motley, il cui Partito Laburista ha vinto a
mani basse le ultimi elezioni generali, garantendole un secondo mandato, ha
affermato che il suo Paese spera di difendere i valori di Errol Barrow, il
primo primo ministro delle Barbados dopo l’indipendenza, che aveva promesso di
essere “amico di tutti e satellite di nessuno“, per cui si dichiara disponibile a
dare il benvenuto a qualsiasi investimento estero – cinese, americano, inglese,
etc. – che
serva ai bisogni del suo popolo.
Mentre
gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO (l’organizzazione transatlantica nata
con la Guerra Fredda e che nel giugno 2021 ha inserito la Cina tra le grandi
sfide sistemiche della sicurezza globale, a fianco del tradizionale rivale, la
Russia), insieme
ad Australia, Giappone e pochi altri Paesi alleati, stanno spingendo il mondo verso una
nuova guerra fredda per il contenimento della Cina, accelerando così la
deglobalizzazione e la regionalizzazione del mondo in blocchi
economico-militari contrapposti guidati da Stati Uniti e Cina, con ciascun
blocco impegnato ad isolarsi dall’altro e a diminuire l’influenza dell’altro ,si sta rilanciando il Movimento dei
Non Allineati (NAM), un forum che comprende 120 Paesi che non sono formalmente
allineati con o contro nessun grande blocco di potere geopolitico.
Dopo
l’ONU, è il più grande raggruppamento di Stati al mondo, con quasi i due terzi
dei 193 membri dell’ONU e il 55% della popolazione mondiale.
L’appartenenza è particolarmente concentrata nei paesi
considerati in via di sviluppo, sebbene il NAM abbia anche un certo numero di
nazioni sviluppate. È nato nel settembre 1961 all’indomani della guerra di
Corea, con la Conferenza di Belgrado, a seguito dello sforzo di alcuni Paesi
(in gran parte ex-colonie da poco diventate Stati indipendenti a seguito delle
lotte dei popoli dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e di altre regioni
del mondo) per controbilanciare la rapida bipolarizzazione del mondo – tra USA
(con la NATO) e URSS (con il Patto di Varsavia) – durante la Guerra Fredda. Le idee di fondo del NAM erano state
definite nel corso della Conferenza Afro-Asiatica di Bandung in Indonesia del
18-24 aprile 1955 e sono basate in favore della creazione di un ordine
internazionale multipolare.
La
posizione neutrale di molti di questi Paesi, la loro riluttanza a condannare la
Russia all’ONU, è stata uno shock per le élite occidentali, da tempo abituate
ad indicare ad altre nazioni quali posizioni geopolitiche devono assumere.
Dei 7,9 miliardi di persone nel mondo, il voto
sulla risoluzione approvata all’Assemblea Generale dell’ONU il 2 marzo
sembrerebbe indicare che la maggioranza dell’umanità simpatizza con la Russia
in Ucraina: solo il 41% della popolazione mondiale vive in Paesi che si sono
allineati agli Stati Uniti e alla NATO nel voto della risoluzione.
In
altre parole, il modo in cui durante e dopo la Guerra Fredda l’Occidente come
unica superpotenza ha raccolto il supporto delle nazioni più povere e con
popolazioni più giovani e “di colore” del Sud del mondo e alla periferia del
sistema economico mondiale, non è più efficace.
L’India
offre il miglior esempio di quanto questa posizione di neutralità abbia colto
alla sprovvista le élite americane.
Richard
N. Haass, il
presidente del Council on Foreign Relations, un importante rappresentate
dell’establishment della politica estera americana, ha denunciato l’India per la sua
posizione neutrale.
Haass, apparentemente ignaro del suo tono
condiscendente, ha affermato che il rifiuto dell’India di schierarsi contro la
Russia ha dimostrato che il Paese di 1,2 miliardi di persone “rimane
impreparato a farsi carico di grandi responsabilità di potere o ad essere un
partner affidabile“.
Allo
stesso modo, il presidente Joe Biden ha criticato l’India per essere stata
“titubante” nella sua risposta alla Russia, rispetto ai Paesi dell’Unione
Europea e al Giappone, che in modo convinto si sono uniti alla causa ucraina.
Dopo
un incontro virtuale tra Biden e Modi l’11 aprile, il portavoce della Casa
Bianca ha detto che “il presidente [Biden] ha comunicato molto chiaramente che non
è nell’interesse dell’India aumentare” gli acquisti di petrolio russo. Il
segretario di Stato Antony Blinken ha segnalato che gli USA stanno monitorando
quello che ha definito “un aumento delle violazioni dei diritti umani” da parte
di alcuni funzionari indiani, facendo intendere che gli USA potrebbero usare il
bastone delle sanzioni contro “la più grande democrazia del mondo” nel caso in
cui l’India non si allineasse sul piano politico ai loro desideri.
Se da
una parte c’è il bastone, dall’altra c’è la carota.
Il segretario americano alla difesa, Lloyd Austin, ha
promesso una maggiore interoperabilità militare e condivisione
dell’intelligence in funzione anti cinese.
“Quindi sono lieto che abbiamo identificato nuove
opportunità per estendere la portata operativa dei nostri eserciti e per
coordinarci più strettamente insieme attraverso l’estensione
dell’Indo-Pacifico“, ha aggiunto Austin. “Soprattutto dopo l’invasione russa
dell’Ucraina, è più importante che mai restare uniti per difendere i nostri
valori condivisi“.
I
leader americani sperano da tempo che l’India sia disposta a fungere da partner
per aiutare gli Stati Uniti a contenere l’ascesa della Cina allo status di
grande potenza e sostenere l’“ordine basato sulle regole” sostenuto dagli Stati
Uniti.
Ma, a
quanto pare, l’India ha i suoi interessi nazionali (la sua “autonomia
strategica”) da perseguire e difendere, per cui è non disponibile a condannare
la Russia.
È un
importante cliente delle armi e dell’energia russe, avendo una lunga relazione
con Mosca che risale alla Guerra Fredda. Moralità a parte, ci sono ragioni
concrete e materiali per cui gli indiani non vorrebbero sacrificare questi
legami semplicemente per ottenere lodi da Washington.
L’India
è tutt’altro che l’unico Paese che è rimasto accuratamente neutrale rispetto
all’Ucraina. In uno sviluppo che ha visibilmente irritato diplomatici e
politici americani, anche un gran numero di altri Paesi asiatici e africani ha
scelto di restare “neutrale”.
Molti
Paesi, soprattutto in Africa, ricordano il sostegno di Mosca alla liberazione
dal dominio coloniale o da governi suprematisti bianchi, e in molti permane un
forte sentimento antimperialista. Nel bene e nel male, qualunque cosa accadrà nel
prossimo futuro probabilmente assisteremo ad una rottura netta rispetto ai secoli passati
di egemonia occidentale, non solo in politica, ma anche nel mondo della cultura
e delle idee.
L’approvazione
della prima risoluzione sulla guerra della Russia con l’Ucraina.
Il 2
marzo, in una sessione speciale di emergenza, l’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite ha votato la risoluzione ES-11/1 che condanna l’invasione russa
dell’Ucraina e che non era passata nel Consiglio di Sicurezza il 25 febbraio
per il veto della Russia.
La
risoluzione “deplora con la massima fermezza l’aggressione della Federazione
Russa contro l’Ucraina in violazione dell’articolo 2, paragrafo 4 della Carta
delle Nazioni Unite” e “decide che la Federazione Russa dovrà ritirare
immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue forze militari
dal territorio dell’Ucraina entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti”.
Sebbene
la risoluzione non sia giuridicamente vincolante, ha portato a una chiara
sconfitta simbolica per la Russia.
Alla
fine, 141 Paesi (il 73% dei Paesi membri dell’ONU) hanno sostenuto la
risoluzione (superando facilmente la maggioranza dei due terzi richiesta per
l’approvazione), con solo 5 voti contrari (Bielorussia, Corea del Nord,
Eritrea, Siria e Russia) e 35 astenuti (vedi mappa sotto), mentre altri 12 non
hanno votato affatto.
All’interno
della regione Asia-Pacifico, solo due Paesi hanno votato contro la risoluzione:
la stessa
Russia e la Corea del Nord. Dieci Paesi si sono astenuti. Turkmenistan e Uzbekistan non hanno
votato. Nel frattempo, 14 Paesi dell’Asia-Pacifico non solo hanno votato a
favore, ma hanno co-sponsorizzato la risoluzione.
La
mappa dei risultati rende chiaramente evidenti le divisioni regionali. Nessuna delle cinque repubbliche
dell’Asia centrale ha votato a favore della mozione; tutte si sono astenute o
non hanno partecipato alla votazione. Un risultato che non sorprende, visti gli
stretti legami della regione con Mosca.
Nell’Asia
meridionale, i Paesi sono stati equamente divisi, con quattro a sostegno della
risoluzione – Afghanistan, Bhutan, Maldive e Nepal – e quattro astenuti –
Bangladesh, India, Pakistan e Sri Lanka.
Il
Pakistan ha tenuto a sottolineare la necessità di prestare attenzione al
principio della “sicurezza indivisibile” che rappresenta un cenno alla
posizione della Russia.
Il supporto non è stata una sorpresa, visto che il
primo ministro Imran Khan era in Russia per una visita di Stato il 24 febbraio,
il giorno in cui Mosca ha iniziato l’aggressione all’Ucraina.
L’India, nonostante gli stretti legami storici con
l’Unione Sovietica e la Russia, è sembrata un po’ meno favorevole alla
posizione russa, con il suo rappresentante che ha chiesto “l’immediata
cessazione della violenza e la fine delle ostilità, osservando che tutti gli
Stati membri dell’ONU non sono solo obbligati a seguire la Carta, ma anche a
rispettare il diritto internazionale, l’integrità territoriale e la sovranità
statale”.
In ogni caso, dietro il voto di astensione
dell’India sull’Ucraina, sia al Consiglio di Sicurezza il 25 febbraio (insieme
a Cina e Emirati Arabi Uniti) sia alle votazioni dell’Assemblea Generale, c’è una combinazione di
preoccupazioni immediate economiche e di sicurezza e ipotesi di lunga data sul
suo ruolo e importanza geopolitica nell’Indo-Pacifico.
L’India
percepisce la sua astensione come un atto di neutralità e descrive la sua
richiesta di “de-escalation immediata” come una posizione “equilibrata” in
mezzo a circostanze difficili, ma gli Stati Uniti hanno avvertito che le
conseguenze di un “più esplicito allineamento strategico” di Nuova Delhi con
Mosca sarebbero “significative e a lungo termine“.
L’amministrazione
Biden ha anche messo in guardia l’India più di una volta contro la costruzione
di meccanismi di pagamento alternativi al dollaro (con rubli e/o rupie) con la
Russia o l’acquisto di più petrolio dalla Russia.
Nel
sud-est asiatico, nonostante la riluttanza della maggior parte dei governi a
prendere una posizione decisa contro l’aggressione russa, alla fine la maggior
parte della regione ha sostenuto la risoluzione.
La Cambogia è stata anche un’aggiunta a
sorpresa dell’ultimo minuto alla lista dei co-sponsor. Dei 10 membri
dell’ASEAN, otto – Brunei, Cambogia, Indonesia, Malesia, Myanmar16, Filippine,
Singapore e Thailandia – hanno votato a favore, così come il non membro
dell’ASEAN Timor-Leste. Vietnam e Laos sono state le uniche astensioni.
L’Asia
nord-orientale ha visto una chiara divisione tra i vicini della Russia –
Mongolia e Cina che si sono astenuti e Corea del Nord, che ha votato no – e gli alleati degli Stati Uniti,
Corea del Sud e Giappone, che hanno entrambi co-sponsorizzato la risoluzione.
L’Oceania
ha dato pieno sostegno alla risoluzione, con quasi tutti gli Stati delle isole
del Pacifico che hanno votato a favore. Nel dibattito che ha preceduto il
voto, l’ambasciatore delle Fiji Satyendra Prasad, parlando a nome del Forum delle Isole del Pacifico, ha chiesto il “ritiro delle forze armate russe e
la fine dell’aggressione, che viola la Carta [dell’ONU]“.
Prasad
ha anche esortato che “… Il mondo ha bisogno che i suoi diplomatici e tutti i suoi
leader affrontino il cambiamento climatico e può farlo solo una volta
ripristinata la pace in Ucraina“.
In
Medio Oriente, la Siria, strettamente legata alla Russia, ha votato contro, mentre
hanno votato a favore 10 Paesi. Si sono astenuti Armenia, Iran e Iraq.
In
Africa, l’Eritrea è stato unico Paese a votare contro, mentre hanno votato a
favore 28 Paesi, per lo più democrazie e tutti alleati occidentali, spesso
attivamente coinvolti in operazioni militari congiunte.
I
Paesi che si sono astenuti sono stati 1724.
L’ambasciatore
degli Stati Uniti presso l’ONU Linda Thomas-Greenfield ha criticato i Paesi
africani che si sono astenuti per la loro presunta incapacità di comprendere la
gravità della situazione, senza porre alcuna attenzione ai loro interessi
commerciali (ad esempio, per quanto riguarda l’importazione di cibo) o ai
legami di sicurezza con la Russia e praticamente chiedendo che prendessero una
posizione allineata alla posizione americana.
“Penso,
per quello che capisco, che dobbiamo fare un lavoro aggiuntivo per aiutare
questi Paesi a comprendere l’impatto della guerra di aggressione russa
sull’Ucraina, e penso che abbiamo già fatto parte di quel lavoro in termini di
coinvolgimento con quei Paesi.
Penso che molti di loro considerassero l’astensione
essere neutrali, ma qui non c’è una terreno neutrale.
Non ci
sono dubbi. … Non puoi stare in disparte e guardare l’aggressione che vediamo
in corso in Ucraina e dire che sarai neutrale al riguardo.”
Le
nazioni africane hanno ovviamente i propri interessi nel conflitto separati da
quelli degli Stati Uniti.
Molti
di loro hanno buoni rapporti con la Russia e hanno costruito relazioni
economiche e politiche critiche con il governo di Putin.
La
Russia è un importante fornitore di materie prime come il grano e gode anche di
una vera popolarità come alternativa all’Occidente per gli investimenti e il
supporto alla sicurezza. Mentre molti Paesi occidentali si sono impegnati ad accogliere
i rifugiati ucraini nell’ultimo mese, gli africani che vivono in Europa hanno
subito il razzismo ai valichi di frontiera mentre cercavano di fuggire dal
conflitto, qualcosa che è diventato il principale motivo di preoccupazione per
molti africani (soprattutto in Nigeria e Senegal), compresi i diplomatici, ma è
stato ignorato da Thomas-Greenfield nei suoi commenti che invitavano le nazioni
africane ad allinearsi.
In
Nord America hanno votato a favore Canada e USA, con l’ambasciatrice all’ONU,
Linda Thomas-Greenfield che aveva detto: “Vota sì se ritieni che gli Stati
membri dell’ONU – compreso il tuo – abbiano diritto alla sovranità e
all’integrità territoriale. Vota sì se ritieni che la Russia dovrebbe essere
ritenuta responsabile delle sue azioni“.
In America
Latina e Caraibi, hanno votato a favore 27 Paesi, mentre Bolivia, Cuba, El
Salvador, Nicaragua si sono astenuti.
In
Europa hanno votato a favore tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea insieme a Regno Unito, Albania,
Andorra, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Islanda, Liechtenstein, Monaco,
Montenegro, Macedonia del Nord, Norvegia, San Marino, Svizzera.
L’approvazione
della seconda risoluzione sulla guerra della Russia con l’Ucraina.
Il 24
marzo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una seconda
risoluzione (la ES-11/2) sulla guerra della Russia con l’Ucraina. Il testo, che
ancora una volta condannava la Russia e si concentrava sulla situazione
umanitaria, è stato presentato dall’Ucraina e da 89 co-sponsor e ha ricevuto un
totale di 140 voti (72,5% del totale dei membri) di approvazione (vedi mappa
sotto). Come
per la risoluzione del 2 marzo, solo quattro Paesi si sono uniti a Mosca per
votare no: Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria.
Una
manciata di Stati è passata dall’astenersi sulla prima risoluzione (o non
votare affatto) all’appoggiare la seconda o viceversa, ma la maggioranza a sostegno
dell’Ucraina nell’Assemblea Generale è rimasta sostanzialmente costante.
I
diplomatici dell’ONU, tuttavia, hanno affermato che garantire tale sostegno per
la risoluzione è stato difficile e il percorso accidentato che ha portato
all’approvazione è stato analizzato in un paper dell’Internationa Crisis Group.
Da
quando l’Assemblea Generale ha votato per la prima volta sulla situazione in
Ucraina, molti membri del Movimento dei Non Allineati all’ONU hanno iniziato a
preoccuparsi degli effetti globali della crisi.
Questi
includono la minaccia concreta di shock sui prezzi alimentari – che
probabilmente colpiranno in modo particolarmente duro l’Africa e il Medio
Oriente, poiché entrambi sono i principali importatori di grano, altri cereali
e olio di girasole da Russia e Ucraina – e la probabilità che i donatori
statunitensi ed europei devieranno gli aiuti allo sviluppo e umanitari per
aiutare l’Ucraina e i milioni di sfollati e rifugiati ucraini, creando carenze
di fondi per altri Paesi, sfollati e rifugiati. I diplomatici occidentali insistono
sul fatto che cercheranno di evitare questo risultato – e lo stesso dicono l’UE
e l’OCSE – ma in privato ammettono che è quasi inevitabile.
Alcuni
rappresentanti europei all’ONU hanno infastidito le loro controparti NAM
agitando la questione Ucraina nei colloqui relativi ad altre regioni
problematiche, come il Corno d’Africa.
Pertanto,
il percorso di elaborazione e approvazione della risoluzione dell’Assemblea
Generale del 24 marzo sulla situazione umanitaria ha rischiato di diventare un
parafulmine tutto per questo malcontento.
L’Ucraina
e i suoi alleati hanno dovuto affrontare un dilemma molto serio all’interno
dell’Assemblea Generale, dove il 21 marzo il Sud Africa (uno dei più importanti
membri del NAM, ma anche parte del network dei Paesi BRICS, insieme con
Brasile, Russia, India e Cina) ha presentato una propria risoluzione
umanitaria. La bozza di Pretoria sembrava uno sforzo per conciliare le
differenze tra gli altri testi offerti, poiché menzionava l’invasione della
Russia, ma includeva anche un testo che riaffermava l’integrità territoriale
dell’Ucraina all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti,
includendo implicitamente la Crimea controllata dalla Russia. Era inoltre privo
di espressioni che avrebbero potuto essere lette come incolpare l’Ucraina per
le vittime civili (gli esperti umanitari, tuttavia, temevano che contenesse un
paragrafo sul “coordinamento delle Nazioni Unite” degli sforzi umanitari che
avrebbe potuto aprire la strada alla Russia per interferire nelle operazioni di
aiuto dell’ONU). L’iniziativa del Sud Africa ha colto di sorpresa i diplomatici
occidentali e la sua motivazione rimane oggetto di dibattito a New York. I
funzionari sudafricani insistono sul fatto che le loro intenzioni erano
esclusivamente umanitarie, osservando che il presidente Cyril Ramaphosa aveva
chiesto un ruolo dell’ONU per far finire la guerra già a febbraio. Dicono anche
di aver informato l’Ucraina delle loro proposte prima di presentarle all’ONU29.
Entro
la fine della settimana, l’UE ha condotto una campagna di lobbyng a nome del
testo ucraino che garantiva un totale di 90 co-sponsor, inclusa la stessa
Ucraina.
La
delegazione dell’UE a New York ha svolto un ruolo significativo sia nel tenere
uniti i membri dell’UE, che avevano opinioni divergenti su quanto fosse difficile
respingere il Sud Africa, sia nel coordinare le lobby all’ONU e nelle capitali
per ottenere il maggior numero di voti possibile.
Al contrario, il Sud Africa ha potuto
raccogliere meno di dieci co-sponsor per la sua bozza.
Quest’ultimo
gruppo includeva la Cina, ma non sembra che Pechino abbia lavorato molto per
costruire una coalizione dietro al testo.
Il 25
marzo la risoluzione ucraina è passata nell’Assemblea Generale e la Cina si è
astenuta.
Immediatamente dopo, l’Ucraina ha convocato una votazione procedurale
sull’opportunità di tenere un voto pieno sulla bozza del Sud Africa.
Solo
50 Paesi – tra cui Cina e Russia – hanno appoggiato il voto sul testo
sudafricano, mentre 67 – tra cui tutti i 27 membri dell’UE e gli USA – si sono
opposti
(vedi mappa sotto).
L’iniziativa
è morta.
Ma, è
stato un risultato a distanza ravvicinata. Un numero significativo di membri
dell’UE avrebbe voluto astenersi dalla proposta sudafricana e, se questo blocco
lo avesse fatto, la bozza sudafricana sarebbe stata almeno votata a pieni voti
e molto probabilmente sarebbe stata approvata, anche se non con un grande
margine.
I funzionari dell’ONU sarebbero stati lasciati a
cercare di interpretare due risoluzioni contrastanti sulla situazione
umanitaria in Ucraina, lasciando l’Assemblea Generale profondamente divisa.
La
sospensione della Russia dal Consiglio dei diritti umani.
Poiché
l’Assemblea Generale è effettivamente emersa da questo processo disordinato,
apparendo sorprendentemente ferma a sostegno dell’Ucraina, i diplomatici
occidentali si sono chiesti cosa potevano fare di più per penalizzare la Russia.
L’opzione
scelta è stata quella di provare a sospendere Mosca dal suo seggio nel
Consiglio dei diritti umani a Ginevra. Una mossa che avrebbe richiesto una
maggioranza di due terzi a sostegno nell’Assemblea generale. Sulla carta questa opzione sembrava
fattibile visti i numeri nelle votazioni di fine marzo, soprattutto perché le
astensioni e le mancate presentazioni all’Assemblea non contano ai fini del
risultato.
A
molti membri della NAM non piace in linea di principio l’idea che l’Assemblea
Generale approvi risoluzioni sulle prestazioni in materia di diritti umani di
un singolo Paese.
Coloro
che fino ad a quel momento erano stati disposti a votare contro la Russia su
risoluzioni in gran parte simboliche avrebbero potuto esitare a sostenere
sanzioni più concrete, come la sospensione della Russia dal Consiglio per i diritti umani (al quale partecipano 47 Stati,
presieduto attualmente dall’Arabia Saudita, un Paese che certo non rispetta i
diritti umani e che da 8 anni combatte una disastrosa guerra in Yemen, e con
gli USA che sono rientrati quest’anno dopo che Trump aveva deciso di uscirne).
Sebbene
il Consiglio non possa prendere decisioni giuridicamente vincolanti, le sue
decisioni inviano messaggi politici importanti e può autorizzare indagini.
L’Ucraina
e i suoi sostenitori europei ed americani, dopo essersi assicurati due
straordinarie maggioranze contro la Russia nell’Assemblea Generale, entrambe
significative per segnalare il sostegno del mondo all’Ucraina, anche se non per
misure politiche concrete, invece di procedere con cautela, hanno deciso di andare avanti senza
stare troppo ad ascoltare le preoccupazioni delle loro controparti africane, asiatiche
e latinoamericane sul futuro dei prezzi alimentari e degli aiuti allo sviluppo.
Il 5
aprile, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha fatto un discorso
appassionato da Kiev a una sala gremita del Consiglio di Sicurezza. Si è soffermato sulle atrocità contro
i civili ucraini da parte delle truppe russe.
“Abbiamo
a che fare con uno Stato che sta trasformando il veto del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite nel diritto alla morte“, ha detto Zelensky.
È poi
passato ad accusare le Nazioni Unite di debolezza istituzionale di fronte alla
crisi, aggiungendo: “Se continua, i Paesi non faranno affidamento sul diritto
internazionale o sulle istituzioni globali per garantire la sicurezza, ma
piuttosto sul potere delle proprie armi“.
Il 7
aprile l’Assemblea Generale ha votato la risoluzione ES-11/3 che sospende la
Russia dal Consiglio per i diritti umani (rendendo Mosca il primo membro
permanente del Consiglio di Sicurezza a cui sia mai stata revocata
l’appartenenza a qualsiasi organismo dell’ONU31), mentre infuriavano le polemiche e le
accuse secondo cui i soldati russi hanno ucciso civili nella città di Bucha (i
video e le foto erano state rese pubbliche il 1 aprile), mentre si ritiravano
dalla regione intorno alla capitale dell’Ucraina. La risoluzione avviata dagli Stati
Uniti il 3 aprile (con altri 57 Paesi come co-sponsor) ha raggiunto la
maggioranza dei due terzi dei membri votanti dell’Assemblea richiesta per
passare, con 93 voti espressi a favore (48% degli Stati membri), 24 contrari,
con 58 Paesi che si sono astenuti (ma i loro voti non sono stati considerati
per il conteggio finale) e 18 assenti. In sostanza, c’è stato un netto
spostamento di voti a favore della Russia (vedi mappa sotto) che ha interessato
tutte le aree del mondo, eccetto Nord America ed Europa.
La
breve risoluzione esprime “grave preoccupazione per l’attuale crisi dei diritti umani e
umanitaria in Ucraina, in particolare per le segnalazioni di violazioni e abusi
dei diritti umani e violazioni del diritto internazionale umanitario da parte
della Federazione Russa, comprese violazioni gravi e sistematiche e abusi dei
diritti umani”.
Se la
risoluzione alla fine è passata facilmente, le 58 astensioni hanno dimostrato
chiaramente che molti Paesi – tra i quali Brasile, India, Messico, Senegal e
Sud Africa – erano a disagio con il suo contenuto.
Cina,
Iran e Siria sono state tra le 24 nazioni che hanno votato contro la risoluzione. “Una mossa così frettolosa
all’Assemblea Generale, che costringe i Paesi a scegliere da che parte stare,
aggraverà la divisione tra gli Stati membri, intensificherà il confronto tra le
parti interessate: è come aggiungere benzina sul fuoco“, ha detto prima della
votazione l’ambasciatore cinese all’ONU, Zhang Jun.
La
Russia aveva invitato un numero imprecisato di Paesi a votare “no”, affermando
che l’astensione o il mancato voto sarebbe stato considerato un atto ostile e
avrebbe influito sulle relazioni bilaterali.
In un
suo cosiddetto “non-paper“, la Russia ha affermato che il tentativo di
espellerla dal Consiglio per i diritti umani era un atto politico di Paesi che
vogliono preservare la loro posizione dominante e il controllo sul mondo.
“Riteniamo
che i membri delle forze russe abbiano commesso crimini di guerra in Ucraina e
crediamo che la Russia debba essere ritenuta responsabile“, ha affermato
l’ambasciatrice americana Thomas-Greenfield.
“Non
possiamo permettere a uno Stato membro che sta sovvertendo ogni principio che
ci sta a cuore di continuare a far parte del Consiglio per i diritti umani
delle Nazioni Unite”.
(Alessandro
Scassellati).
Russia
e Cina contro Usa ed
Europa,
ma è vera guerra fredda?
Firstonline.info-
Maddalena Tulanti-(31-3-2022)- ci dice :
Il
recente vertice Russia-Cina, molto aggressivo verso Usa ed Europa, ha destato
allarme in Occidente ma riproporre i vecchi schieramenti non descrive esattamente
la nuova realtà delle grandi potenze. Non solo perché Cina e Russia hanno poco
a che vedere fra loro ma anche perché gli interessi economici globali sono
molto più intrecciati di un tempo.
E all’orizzonte c’è la Code War non la Cold
War.
Quando
non sappiamo leggere la realtà è facile che ci rivolgiamo a concetti che ci
sono familiari e la lingua della politica internazionale è forse il luogo in
cui più facilmente di altri si usano sempre le stesse categorie.
Prendiamo
“guerra fredda”. E’ tornata di moda nelle ultime settimane, e non a caso sono stati proprio i
protagonisti della “vera” guerra fredda, quella che iniziò nel 1947 fra Usa e
Urss e finì nel 1991, con l’implosione di questa ultima, a rilanciare il termine.
I
russi nello specifico.
Lo ha
fatto il ministro degli esteri Lavrov
durante una conferenza stampa in seguito all’incontro con il suo omologo
cinese Wang Yi, incontro avvenuto dopo
giorni duri per entrambi, cominciati con Biden che aveva
dato dell’”assassino” a Putin per la
prigionia del dissidente Navalnyi;
e conclusi con le sanzioni alla Cina per la
persecuzione degli uiguri, l’etnia turcofona e musulmana dello Xinjiang.
L’unico scopo dell’incontro con la stampa di Lavrov
era quello di mostrare agli Usa e agli occidentali che la Russia non è sola: se Washington
faceva squillare le trombe per richiamare gli alleati occidentali, Mosca
avrebbe suonato le campane per
mobilitare il potente (non) amico orientale.
“Gli Stati Uniti stanno cercando di affidarsi
alle alleanze politico-militari della guerra fredda per cercare di distruggere
l’architettura legale internazionale”, aveva detto Lavrov.
Sottinteso,
il campo dei nemici è sempre lo stesso:
Europei e Americani da una parte
e Russi e Cinesi dall’altra.
Ergo,
il vecchio termine “guerra fredda”, torna
di moda.
Ma è
così? Siano di fronte alla riproposizione dei vecchi schieramenti?
Da un
certo di punta di vista è vero: da una parte ci sono sempre Stati democratici e
liberali, Europa e Usa; e dall’altra parte regimi che si chiamano ancora comunisti come la
Cina, insieme con gli eredi di quelli che lo erano una volta, la Russia.
Ma
questo è puro teatro, fumo per le opinioni pubbliche e titoli per i giornali. Nonché il tentativo della parte più
fragile in questo momento (la Russia) di accompagnarsi al compagno più grosso
(la Cina).
Ma
Cina e Russia non hanno niente a che vedere fra di loro. Entrambe sono sicuramente simili
per quel che riguarda l’astio verso le
nostre regole della democrazia politica, ma sono del tutto diverse l’una
dall’altra per quel che riguarda il rispetto della libertà personale dei
singoli cittadini.
Per semplificare: i russi e i cinesi non sanno
che farsene dei partiti politici, non ne hanno abitudine né coscienza; ma mentre i cinesi si annullano
(grazie alla loro millenaria cultura) nel bene collettivo, i russi, dopo aver sperimentato con
70 anni di comunismo questo modo di vivere, lo hanno rigettato riscoprendosi
come individui singoli che trovano la forza di esistere solo per se stessi.
Ecco
come sono riusciti a uscire dall’implosione dell’impero sovietico, tornando a
essere un Paese stimato (e ancora temuto), dopo aver toccato il fondo della
miseria e dell’umiliazione.
Per
risalire hanno scavato dentro se stessi ritrovando Raskolnikov, il principe Myshkyn, il
generale Kutuzov, i russi insomma hanno delegato (per ora) la politica, ma non
il resto della vita.
Ed è
per questo che la “strana” alleanza fra Russia e Cina è effimera, valida solo
fino a quando Mosca avrà paura di essere nell’angolo.
E
guardando al futuro prossimo,
sarebbe un errore enorme da parte
dell’Occidente se dimenticasse che la Russia è dentro la culla dei suoi valori,
a cominciare da quelli cristiani.
La
Russia è “uno di noi”, avrebbero detto
in un film. La Cina è invece “l’altro”, con tutta la
stima per essa e per “qualunque altro”
sul pianeta.
E poi
c’è un’altra cosa, la più importante forse.
I
Paesi principali, gli Usa e gli alleati
europei, la Russia, e oggi la Cina, sono
del tutto differenti rispetto non solo al 1947, ma perfino in confronto al 1989
e agli anni successivi.
Troppi
sono i legami, non solo economici, ma soprattutto economici, che stringono ciascun Paese all’altro.
Lo ha detto con chiarezza Merkel
rispondendo da Berlino a Biden che aveva chiesto attraverso i suoi
uomini, il segretario di Stato Blinken
prima, e il capo della Nato
Stoltenberg poi, di bloccare la
costruzione del gasdotto Nord Stream 2
fra la Russia e la Germania:
“Con gli Usa ci sono molte cose in comune, ma
non c’è un’identità di vedute”. E se non
fosse chiaro ha ribadito che in Europa “abbiamo anche i nostri interessi”.
E quando si parla di interessi si
intende intanto il volume dell’interscambio commerciale: fra Russia e Ue esso è pari a 240 miliardi all’anno, a
fronte dei 25 fra Russia e Usa.
Con la Cina il peso si equivale: parliamo di
645 miliardi fra Ue e Pechino, 625 fra
americani e cinesi. Facciamo finta che non esistano?
Senza
contare la fisionomia differente dall’epoca della guerra fredda dei grandi
Paesi in questione e dei loro alleati.
Prendiamo
le forze armate per esempio.
Usando
lo stesso metodo che l’ha fatta diventare la più grande fabbrica del mondo,
cioè copiando, la Cina è oggi una grande potenza navale, forse la più grande
del pianeta.
Ha
comprato le vecchie navi dei Paesi dell’ex Urss in disarmo, dall’Ucraina
soprattutto, e le ha utilizzate come
modello per costruirne delle proprie.
E così è stato calcolato che nel 2024 essa
possiederà almeno 400 mezzi navali contro i 355 degli americani.
Insomma in soli due decenni la forza militare della marina cinese si è
più che triplicata, secondo un rapporto del dicembre scorso citato dalla Cnn e
redatto dai responsabili della Marina americana.
Anche
se i cinesi continuano però a spendere un quarto degli americani per la Difesa: secondo quanto
riporta l’istituto internazionale per la Pace di Stoccolma, Sipri, questa spesa
rappresenta più o meno il 13% del prodotto lordo, mentre gli americani ne destinano
il 35%, di gran lunga superiore alla somma di quello di tutti gli alleati messi
insieme (per la cronaca, dopo Usa e Cina vengono Arabia Saudita, India e Russia, con
più meno una spesa pari al 4% del loro Pil).
Quanto
alla Russia, gli osservatori
indipendenti che hanno partecipato alle ultime esercitazioni nel Caucaso
(Kavkaz- 20, nel dicembre scorso) sostengono che la sua forza militare è
assolutamente potentissima per quanto riguarda le forze di terra (operazioni di
corazzate e di fanteria pesante, sistemi di difesa missilistica, numero di
soldati pronto a intervenire ovunque nel giro di due settimane) ma che il suo punto più forte sia
l’uso dei cosiddetti “sciami di droni”, cioè gruppi di droni dispiegati a
supporto dell’artiglieria. Sistema efficace dispiegato con successo in Ucraina (Crimea e
dintorni) e in Siria (attacco all’Isis):
entrambe
vittorie per i russi.
E
l’Europa? La difesa dell’Europa è demandata, secondo il Trattato di Lisbona, a
ciascun membro: uno per 27, 27 per uno, per parafrasare i moschettieri.
Approvato
nel 2007, questo Trattato amplia le possibilità di quello di Maastricht del
1992, chiamando
appunto gli Stati membri a intervenire con tutti i loro mezzi qualora uno o più
Stati venissero attaccati da entità extra UE. È questo il vero pilastro della
difesa comune UE, una novità rispetto al passato che, tuttavia, non vuol dire che non ci serviamo più
dell’ombrello delle forze della Nato, solo che cerchiamo di collaborare con
esse in maniera autonoma e, forse, pretendendo
anche più rispetto.
Questo
per parlare di quello che nessuno Stato ama mettere in primo piano perché, a
parole, le
armi e tutto quello che cresce attorno ad esse, è roba “brutta sporca e
cattiva” che si lascia volentieri ai militari e a quanti se ne devono occupare
per mestiere. Pur restando questo tema lo sfondo
di ogni altra discussione, sia essa economia, sociale o come, e adesso,
sanitaria. Un
Commendatore silenzioso e potente.
In
conclusione, siamo tornati o no alla guerra fredda?
La
verità è che come ha sostenuto Alec Ross, esperto di politiche tecnologiche di
Obama e prof all’Alma Mater di Bologna,
con un bel gioco di parole, se un
fronte si è aperto non è quello della “Cold War”, ma di una “Code War”, non di una guerra fredda, ma di
una guerra dei codici informatici.
E se
il mondo resterà a questo proposito multipolare, rispetto alla contrapposizione
Usa-Urss, sicuramente Stati Uniti e Cina saranno i principali contendenti.
Una
guerra nuova – sostiene Ross – non regolata da trattati, combattuta a colpi
di cyber attacchi, con un livello magari
basso di conflitto, ma costante.
Russia, Usa, Cina, Israele, Iran e Arabia
Saudita sono già i Paesi più coinvolti. Cosicché, siamo d’accordo con Ross, non è distopico pensare che nel giro di pochi anni si potranno vedere
persone morire in risposta non a un colpo di cannone, ma a un click su una
tastiera.
RUSSIA
E CINA UNITE
PER UN
NUOVO ORDINE MONDIALE.
Thefederalist.eu-
Stefano Spoltore-(20-5-2022)- ci dice :
Nell’inverno
del 2013 il governo di Kiev decise di non sottoscrivere l’adesione all’Unione
europea e, allo stesso tempo, di avviare trattative con Mosca per siglare un
accordo economico finanziario ritenuto più vantaggioso.
Quella decisione creò una frattura in seno al
paese tra i sostenitori dell’adesione alla UE e i sostenitori di un accordo con
la Russia.
La
ricca regione del Donbass, a maggioranza etnica russa, proclamò a quel punto la
propria indipendenza con il pieno sostegno della Russia.
Ebbe
così inizio una guerra mai dichiarata apertamente tra l’esercito regolare di
Kiev e quello separatista che in otto anni di guerra ha visto morire oltre
14.000 persone, per lo più civili, e un esodo dalla regione di oltre 1.500.000
cittadini di cui circa 900.000 diretti verso la Russia.
La
successiva decisione della Russia nel 2014 di riportare la Crimea entro i
propri confini tramite un referendum aggravò ulteriormente la crisi con
l’Ucraina e con il mondo occidentale. Vennero allora imposte alla Russia
una serie di sanzioni economiche e finanziare proposte dal governo USA
(all’epoca era Presidente Obama) con l’appoggio dell’Unione europea.
La
crisi Ucraina si è riaccesa drammaticamente nel gennaio del 2022 dal momento
che la Russia intende contrastare con ogni mezzo il possibile ingresso di quel
paese nel novero delle nazioni NATO.
Contrastare
l’allargamento della NATO ai paesi un tempo alleati o satelliti dell’URSS è una
questione considerata vitale nell’ottica di Mosca.
In questi ultimi anni le richieste di adesione
alla NATO sono state prospettate da parte degli USA ai governi di Moldavia e
Georgia, altre richieste di adesione sono pervenute direttamente da alcune
nazioni, la più recente proprio da parte della Ucraina.
Si
tratta di nazioni che erano parte integrante del territorio dell’URSS.
Non va
poi dimenticato che anche la Finlandia (nazione da sempre dichiaratasi
neutrale) sta valutando di presentare la richiesta al governo di Washington per
diventarne membro.
Queste
ulteriori adesioni porrebbero le truppe e le basi della NATO direttamente a
ridosso dei confini della Russia che non potrebbe più contare sulla presenza di
Stati cuscinetto che, nella logica di Mosca, devono rappresentare un limite
invalicabile dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (o Guerra Patriottica
come invece viene definita in Russia e prima ancora nell’URSS).
Quel
limite era già stato violato nel 2004 con l’adesione alla NATO di Estonia e
Lettonia,
ma in quegli anni, a Mosca, Putin stava ancora definendo l’assetto del paese e
in politica estera il paese risultava indebolito dopo oltre un decennio di
profonda crisi interna.
Gli
anni successivi al dissolvimento dell’URSS erano stati i più tormentati e
l’assetto con i nuovi equilibri di potere interni avevano avuto la prevalenza
su qualsiasi altra questione. Furono necessari oltre dieci anni per ridefinire i confini
della nuova Russia dopo la frammentazione del suo territorio che vide la
nascita di tredici nuove Repubbliche indipendenti con le quali disegnare i
confini, definire la spartizione del tesoro della Banca Centrale, dell’arsenale
atomico e degli armamenti, nonché contrastare tentativi di colpo di Stato o
sedare nel sangue ulteriori tentativi secessionisti nel Caucaso.
Tutte
questioni che si sovrapponevano alla lotta intestina a Mosca per la conquista
del potere che, dopo l’uscita di scena di Gorbaciov, l’ascesa e caduta di
Eltsin, vide
prevalere la figura di Vladimir Putin.
Quando
si aprì la crisi ucraina nel 2013 la situazione interna russa si era
stabilizzata e il governo di Mosca poteva tornare ad esercitare la propria
politica estera con ritrovata autorevolezza. L’assetto di potere era ora ben
definito.
Mosca
rispose alle sanzioni occidentali avviando intese sempre più strette e
vincolanti con la Cina in campo economico, energetico e militare, cosa
impensabile sino a pochi anni prima.
Il
quadro internazionale era mutato in modo radicale. Gli anni di difficoltà della Russia
erano coincisi con l’ascesa a potenza economica della Cina che esercitava, ed
esercita ancor di più oggi, una grande influenza politica e militare in vaste
regioni dell’Asia e dell’Africa.
La
delocalizzazione in Cina di molte attività industriali da parte degli
Occidentali, nel tempo, l’hanno resa una potenza in grado di determinare la
produzione di intere linee di prodotti per il mondo intero.
Alla forza militare di cui dispone, la Cina
può così far pesare anche la propria capacità industriale sino al punto di
poter condurre guerre economiche riducendo (o aumentando a seconda dei propri
interessi) la vendita ed esportazione di alcuni beni, per esempio nel settore
auto o in quello dell’informatica, vitali per l’industria europea.
Verso
un nuovo equilibrio: Russia e Cina alleate in politica estera.
La
instabilità politica derivante dalla dissoluzione dell’URSS negli anni Novanta,
indusse la Cina a promuovere nel 1996 una Organizzazione per la Cooperazione
(detta di Shangai o SCO) che coinvolgesse la Russia e alcune delle giovani
repubbliche ex-sovietiche con cui condivide i confini: Kazakistan, Tagikistan e
Kirghizistan.
L’obiettivo principale della Organizzazione
era quello di favorire la cooperazione in campo economico, politico e militare
per contrastare il separatismo e il terrorismo in Asia Centrale. Negli anni l’Organizzazione, che tra
l’altro ha l’obiettivo di mediare eventuali contrasti tra le nazioni che ne
fanno parte, si è ampliata e vi hanno aderito anche Uzbekistan, India e
Pakistan. L’Organizzazione
ebbe l’effetto di aprire un nuovo canale di comunicazione diretto tra Pechino e
Mosca.
Il desiderio principale della Cina era quello
di garantire unità territoriale ai propri confini per evitare spinte
separatiste a carattere politico, etnico o religioso (oltre a quello storico
nel Tibet) dopo quanto era accaduto in Russia. Si trattava di un desiderio che
Mosca condivideva pienamente.
Negli
stessi anni gli Stati Uniti assumevano una leadership a livello mondiale, che
li metteva però spesso in gravi difficoltà dovendo operare, militarmente, dal
Medio Oriente all’Africa e persino in Europa nella ex-Jugoslavia.
Non è questa la sede per rievocare i numerosi focolai
di tensione sorti negli anni di fine secolo XX e agli inizi del nuovo, ma, mentre gli Stati Uniti cercavano
di agire in tutti gli scenari con gli europei in alcuni casi al seguito, la
Russia si avviava a stabilizzarsi al proprio interno e la Cina diventava una
potenza economica garantendosi l’ingresso nel WTO nel 2001 e avviando allo
stesso tempo un ampio progetto di rinnovamento delle forze armate.
La
Russia di Putin e la Cina erano ora pronte a condividere l’obiettivo di
contrastare gli Stati Uniti come unica superpotenza.
Un contesto generale nel quale l’Unione
europea svolgeva un ruolo da spettatore o di passivo sostenitore delle scelte
politiche USA o militari nell’ambito della NATO.
La
crisi in Ucraina consolidò l’intesa tra Mosca e Pechino che negli anni si è
ampliata in campo militare senza che per questo fosse necessario la firma di un
Trattato ad hoc.
L’aiuto
che la Cina garantì alla Russia in tutte le sedi internazionali nel sostenere le
sue ragioni in Ucraina venne presto ricambiato.
E di
recente Pechino ha ribadito che l’allargamento della NATO all’Ucraina è una
provocazione dell’Occidente che crea solo nuove tensioni, la stessa tesi
sostenuta dalla Russia. Mosca da parte sua difende il diritto della Cina nel
controllare gli atolli nelle acque del Mar Cinese Meridionale, ma, fatto ancor
più rilevante per Pechino, Mosca sostiene il diritto di Pechino nel rivendicare la
propria sovranità sull’isola di Taiwan e nell’imporre la propria legislazione
ad Hong Kong.
La
condivisione e il reciproco sostegno in politica estera tra Pechino e Mosca si
sta manifestando in modo ancor più palese nel corso del 2022, ponendo il mondo
Occidentale, e in particolare gli USA, in grave difficoltà nel dover gestire
fronti così impegnativi (Ucraina e Taiwan), avendo di fronte due potenze pronte
a sostenersi. Le difficoltà degli Stati Uniti, già emerse sotto la presidenza Obama e
aggravatesi con quella di Trump, sono accentuate dalla incapacità di agire da
parte della Unione europea, vittima delle proprie debolezze: ha una forte
dipendenza dalla Russia negli approvvigionamenti energetici; ha una forte
dipendenza dalla Cina nella fornitura di prodotti industriali ad alto valore
tecnologico.
La mancanza di un potere europeo in grado di esprimere
una propria politica estera e di difesa nonché una propria politica energetica
ed industriale la pongono dinanzi alla propria fragilità ed inconsistenza ad
agire per essere credibile.
Questa inconsistenza vede l’Unione europea
nella condizione di sostenere le scelte politiche degli USA seppur passivamente
e spesso in modo confuso e contraddittorio.
Stati
Uniti e Unione europea sperimentano pertanto le proprie difficoltà dinanzi alla
coincidenza di interessi che legano Russia e Cina.
Se la
UE ai propri confini non è in grado di gestire in modo autonomo il
confronto-scontro in atto in Ucraina da ben nove anni e ricorrono alla NATO per
tutelarsi, gli Stati Uniti sembrano ancor più in difficoltà nelle acque del
Pacifico, segnatamente nel tratto del Mar Cinese.
Mentre
in Europa sono aperti dei canali diplomatici per evitare il precipitare della
crisi in una guerra aperta, nell’area del Pacifico la Cina ha lanciato una
sfida ben precisa e senza appello: Taiwan deve rientrare a pieno titolo sotto
la sovranità di Pechino entro il 2050.
È
dall’inizio della crisi ucraina che Russia e Cina conducono esercitazioni
militari e navali in modo congiunto nelle acque di tutto il mondo. La prima volta fu nel 2015, nel Mar
Mediterraneo, successivamente nel Mar Baltico, nel Mar del Giappone e nel Mar
Cinese Meridionale (qui anche con truppe di marines per simulare la conquista
di una isola).
Infine,
nel gennaio di quest’anno, a navi delle flotte russa e cinese si sono aggiunte
navi della flotta dell’Iran a largo del Golfo di Oman allarmando l’intero mondo
arabo, e non solo, per le implicazioni che comporta questa collaborazione
militare nel già difficile quadro della situazione medio orientale.
Ma
ancor di più: la Russia garantisce a militari e a ingegneri civili cinesi
l’utilizzo delle proprie basi nell’area dell’Artico in previsione della
costruzione di porti da condividere e per svolgere insieme trivellazioni nella
ricerca di nuovi pozzi petroliferi o di gas.
A seguito dello scioglimento dei ghiacci, le
previsioni indicano che entro il 2050 le navi mercantili che dal Pacifico
raggiungono i porti del Nord Europa potranno transitare lungo le coste artiche
per sei mesi all’anno contro gli attuali tre.
Questa
via di navigazione diventerà pertanto sempre più strategica per la navigazione
commerciale riducendo i costi e i tempi oggi necessari per il transito lungo il
canale di Panama.
Controllare
l’Artico e disporre di porti amici diverrà strategico non solo per lo
sfruttamento delle sue ricchezze naturali, ma anche per il controllo dei
traffici non solo mercantili.
Si rinnova così la capacità delle due potenze
di sviluppare strategie di lungo termine. Questa condivisione di interessi
suscita grandi preoccupazioni negli USA poiché, nel caso la crisi in Europa e
la crisi nel Pacifico dovessero deflagrare in contemporanea per una precisa
intesa tra Mosca e Pechino, non sarebbero in grado di gestire
contemporaneamente i due fronti.
In
particolare, sarebbe la crisi nel Pacifico, nelle acque del Mar Cinese
Meridionale, a vedere gli USA sconfitti nonostante il possibile aiuto militare
legato ai recenti accordi siglati in ambito QUAD (Usa, Giappone, Australia e India) o
in ambito AUKUS
(USA,
Regno Unito e Australia).
A
prevedere una piena sconfitta e, di conseguenza, l’annessione di Taiwan alla
Cina, è lo stesso Comando Strategico che lo ha ammesso in una audizione al
Congresso degli Stati Uniti nell’aprile del 2021.
Taiwan
rappresenta comunque la falsa coscienza del mondo intero. Solo 14 nazioni la
riconoscono come Stato sovrano, il resto del mondo intrattiene solo rapporti
commerciali.
Vi è infatti un veto da parte del governo di
Pechino che ha deciso di non intrattenere relazioni diplomatiche con gli Stati
che rifiutano di riconoscere che la Cina Popolare è una e indivisibile e che
Taiwan è solo una provincia ribelle.
Al
mondo manca il coraggio di riconoscere la legittimità ad esistere di Taiwan per
timore di rompere i rapporti con Pechino e gli Stati Uniti, da questo punto di
vista, hanno precise responsabilità allorché nel 1972 decisero di accettare il
principio di “una sola Cina” su precisa richiesta di Pechino (all’epoca era
Presidente R.Nixon).
In
Ucraina e lungo le coste di Taiwan si assiste a continue prove di forza da
parte di Russia e Cina, nel tentativo, congiunto, di saggiare le reazioni
dell’Occidente e di verificarne la capacità di reazione.
Non
altrimenti si spiegano le continue esercitazioni navali congiunte o le continue
violazioni dello spazio aereo di Taiwan da parte dei caccia cinesi.
Il contesto nel Pacifico è ulteriormente complicato
dalla instabilità nelle acque del Mar Giallo e del Mar del Giappone, per le
continue minacce da parte della Corea del Nord, il che ha indotto il Giappone,
stretto alleato degli USA, a rileggere la propria carta costituzionale per
consentire un aumento delle spese militari e prevedere la costruzione di
portaerei. Si tratta di acque presidiate da importanti porti militari sia russi
che cinesi.
Conclusione.
Il
mondo uscito dal crollo dell’URSS ha destabilizzato interi continenti e gli
Stati Uniti si sono dimostrati incapaci di garantire da soli un nuovo ordine
che garantisse pace e stabilità.
In questa incapacità rientrano anche precise
responsabilità degli europei che non hanno saputo avviare una diversa politica
di vicinato con la nascente nuova Russia.
Gli Stati Uniti, assecondati dalla UE, hanno
così continuato a percepire la Russia come un possibile nemico da contrastare.
Anziché
cogliere la novità derivante dal crollo del sistema sovietico, l’Occidente ha
continuato ad agire per indebolire la Russia rafforzando la propria presenza ad
est nell’ambito della NATO. Una grande occasione per favorire nuove relazioni tra la
Unione europea (allargatasi ai paesi un tempo sotto l’influenza sovietica) e la
Russia è andata così perduta. Ma d’altronde una Unione europea senza un proprio governo e
senza una propria politica estera come avrebbe potuto agire diversamente?
Inoltre,
l’allargamento della UE ad est poneva anche in evidenza le paure che queste
nuove nazioni continuavano e continuano ad avere nei confronti della vicina
potenza russa che per lungo tempo li aveva sottomessi. Da questo punto di vista l’ingresso
nella UE garantiva a questi paesi un aiuto nello sviluppo delle loro economie e
un consolidamento delle loro giovani democrazie, e, allo stesso tempo,
l’ingresso come membri della NATO dava garanzie in termini di sicurezza
militare.
Mentre
questo scenario si andava costruendo in Europa, in Estremo Oriente emergeva la
Cina come nuova potenza dapprima economica ed oggi anche militare.
Sul
piano economico, la mancanza di una politica industriale ed energetica, mostra
oggi le contraddizioni e le debolezze della UE.
La delocalizzazione di molte attività produttive pone
la Cina nelle condizioni di utilizzare l’economia come uno strumento politico a
tutti gli effetti, come ammesso dalla stessa Commissione europea che evidenzia
la dipendenza dell’Europa dalla Cina in settori strategici.
Il sapere di essere deboli dovrebbe indurre
pertanto i governi ad individuare soluzioni di prospettiva per evitare, come
sta accadendo, di vedere l’industria europea in difficoltà negli
approvvigionamenti sia di prodotti finiti che di materie prime, indirizzate
invece principalmente verso la Cina e le altre nazioni dell’Estremo Oriente che
oggi, insieme, rappresentano il polmone industriale del mondo intero, a
riconferma di come il commercio internazionale sia passato dall’area atlantica a
quella del Pacifico. L’eterno dilemma del mondo alla ricerca di un equilibrio che
contrasti le mire egemoniche vede oggi tre grandi potenze continentali
confrontarsi in modo aperto: Stati Uniti, Russia e Cina ce lo ricordano ogni
giorno. È
altrettanto evidente come un continente risulti assente o comunque marginale ed
è la stessa Commissione europea a ricordarcelo così come i recenti interventi
pubblici del Presidente Macron o del Cancelliere Scholz. Non resta, come
recitava un antico detto latino, che passare dalle parole ai fatti compiendo
scelte radicali che diano alla Unione europea l’assetto federale di cui
necessita per esercitare la propria sovranità.
I
prossimi mesi saranno pertanto decisivi alla luce delle decisioni che i Capi di
governo, in sede di Consiglio europeo, prenderanno sulla base delle proposte
che i cittadini europei hanno formulato in seno alla Conferenza sul futuro
dell’Europa. Alla Conferenza sono state presentate precise idee per abolire il diritto
di veto, per garantire all’Unione un proprio potere fiscale e di bilancio, per
dare maggiori poteri al Parlamento europeo nel definire le linee di una
politica estera. Si tratta di questioni vitali per il futuro della Unione e per garantire
un maggior equilibrio nella gestione dei problemi del mondo.
(Stefano
Spoltore).
"Le
parole di Medvedev? Chi si stupisce
non ha
capito che la Russia è
nel
pieno di una dinamica fascista."
msn.com-
Uffpost-redazione- (8-6-2022)- ci dice :
“Chi
si stupisce non ha capito che da settimane la Russia è nel pieno di una
dinamica fascista. C’è una mobilitazione totale intorno alla guerra, le reti
televisive parlano di quanto tempo i missili russi impiegano a raggiungere
Parigi, Londra o New York”.
Le parole di Dmitri Medvedev non hanno sorpreso Raphaël
Glucksmann, intellettuale francese e deputato europeo del gruppo Socialisti e
Democratici. “Il suo ruolo è sempre stato quello di eseguire i voleri di Putin. Eppure
tanti dirigenti e analisti ci spiegavano che lui era il volto ragionevole del
regime”, dice in un’intervista rilasciata al Corriere della sera.
“Non è
un caso, il loro nemico è indistinto dall’inizio. Siamo noi a essere bersaglio,
attraverso gli ucraini.
Nella propaganda russa loro non combattono solo i
‘nazisti’ ucraini, la loro guerra è una guerra contro di noi, cioè tutti quelli
che non sono la Russia o non la sostengono.
Quando
Putin ha detto che la caduta dell’Urss è stata la più grande catastrofe
geopolitica del XX secolo, non era folklore, era un programma di governo: punire i
responsabili. Ovvero, nella sua visione, i nemici interni e l’Occidente”
Glucksmann
trova incomprensibile e pericolosa la strategia di Macron, che ha abbassato i
toni, dicendo: “Non bisogna umiliare la Russia”.
“L’opinione
pubblica europea e occidentale in generale si abitua presto, i massacri
continuano come all’inizio della guerra ma ci stiamo abituando. Il Cremlino lo
sa, capisce che, tra le difficoltà economiche e la nostra stanchezza anche morale,
è il momento di fare paura.
Anche
perché l’Europa non ha le idee chiare.
Che
cosa vogliamo fare in questa guerra? Sostenere davvero l’Ucraina, con armi e
sanzioni, fino a farla vincere mostrando a Putin che le invasioni militari e i
massacri non pagano?
Oppure
sperare astrattamente in un cessate il fuoco, mentre perdiamo tempo in dibattiti
eterni e in sanzioni a metà e i russi deportano un milione di ucraini?”.
Usa e
Ue trovano l'accordo su sicurezza
alimentare
e semiconduttori
(ma
non sulla Cina).
Europa.today.it-
Redazione- (16-5-2022)- ci dice :
Il
secondo Consiglio per il commercio e la tecnologia ha visto Bruxelles e
Washington uniti nella condanna alla Russia. Ma su Pechino la distanza resta.
Il
commissario Ue Valdis Dombrovskis.
Una
cooperazione rafforzata, in particolare contro i rischi nelle catene di
approvvigionamento mondiali, come quella dei semiconduttori.
E
fronte comune per continuare a rispondere "all'aggressione russa nei
confronti dell'Ucraina".
Ma tra
i risultati raggiunti da Ue e Usa nella seconda riunione ministeriale del
Consiglio per il commercio e la tecnologia (il Trade and technology council, Ttc,
istituito da Bruxelles e Washington per riavvicinarsi dopo le tensioni dell'era
Trump) non
si segnalano passi in avanti sul convitato di pietra, la Cina.
Gli
Stati Uniti vorrebbero una condanna più chiara da parte dell'Ue contro le
pratiche commerciali di Pechino.
Ma per
il momento, Bruxelles, già alle prese con il riassetto dei rapporti con la
Russia e le sue conseguenze economiche, non sembra intenzionata a fare grandi
aperture.
Il
grano ucraino.
A
Parigi, dove si è tenuta la seconda riunione del Ttc, i leader europei e
statunitensi hanno "espresso un forte impegno condiviso a sostenere
l'Ucraina contro l'aggressione militare russa e hanno concordato misure
concrete già attuate e da proseguire nell'ambito del Ttc.
Si sono inoltre impegnati a collaborare con
l'Ucraina per ricostruire la sua economia e agevolare gli scambi e gli
investimenti".
In
questo quadro, l'urgenza è rimettere in circolazione le produzioni ucraine più
importanti per l'economia globale, prima fra tutte quella del grano.
L'Ue ha presentato un piano la scorsa
settimana per consentire la ripresa dell'export dall'Ucraina, ma servirà anche
il sostegno di Washington per attuarlo.
Catene
di approvvigionamento sicure.
"Di
fronte all'ulteriore minaccia per le catene di approvvigionamento globali
determinata dall'aggressione russa nei confronti dell'Ucraina - scrive
Bruxelles - entrambe le parti hanno convenuto che una stretta collaborazione
per promuovere la resilienza delle catene di approvvigionamento è più
importante che mai.
Ad
esempio, l'Ue e gli Usa hanno convenuto di sviluppare un meccanismo comune di
allarme rapido e monitoraggio sulle catene del valore dei semiconduttori, al
fine di aumentare la consapevolezza e la preparazione in caso di interruzioni
dell'approvvigionamento e intensificare lo scambio di informazioni per evitare
una corsa alle sovvenzioni".
Una
task force dedicata al finanziamento pubblico per la sicurezza e la resilienza
dell'infrastruttura digitale "aprirà inoltre la strada al finanziamento
pubblico congiunto Usa-Ue di progetti digitali nei Paesi terzi, sulla base di
una serie di principi generali comuni".
Norme
in ambito tecnologico.
Nel
settore delle tecnologie emergenti, l'Ue e gli Stati Uniti hanno
convenuto di istituire un meccanismo di informazione sulla normazione
strategica (Strategic Standardisation Information-SSI) per promuovere e
difendere gli interessi comuni nelle attività internazionali di normazione.
Entrambe
le parti si adopereranno per promuovere lo sviluppo di norme tecniche allineate
e interoperabili in settori di interesse strategico comune quali l'IA, la
produzione additiva, il riciclaggio dei materiali o l'Internet delle cose.
Intelligenza
artificiale IA.
Entrambe
le parti hanno ulteriormente discusso dell'attuazione di principi comuni in
materia di IA e hanno convenuto di elaborare una tabella di marcia congiunta
sugli strumenti di valutazione e misurazione per un'IA e una gestione dei
rischi affidabili.
Governance
delle piattaforme.
L'Ue e
gli Stati Uniti hanno inoltre ribadito il loro sostegno a favore di un'Internet
aperta, globale, interoperabile, affidabile e sicura, in linea con la
dichiarazione per il futuro di Internet e con la dichiarazione sui diritti e i
principi digitali europei. Inoltre, l'Ue e gli Usa hanno convenuto di rafforzare la
cooperazione su aspetti essenziali della governance delle piattaforme.
Accesso
delle PMI alla tecnologia.
L'Ue e
gli Stati Uniti hanno pubblicato oggi una guida comune sulle migliori prassi
con informazioni per le PMI sui modi per migliorare la loro sicurezza
informatica.
Barriere
commerciali.
I
ministri hanno convenuto di collaborare a soluzioni che contribuiranno ad
incrementare il commercio e gli investimenti transatlantici, anche attraverso una maggiore
collaborazione in materia di appalti pubblici e valutazione della conformità e
attraverso scambi su potenziali nuovi ostacoli commerciali sia a livello bilaterale
che in relazione ai paesi terzi.
Hanno
inoltre convenuto di coordinare l'impegno ad affrontare le politiche non di
mercato, cercando
nel contempo di evitare conseguenze collaterali per l'una o l'altra parte.
Integrità
delle informazioni.
Hanno
convenuto di rafforzare la loro cooperazione a sostegno dell'integrità delle
informazioni in situazioni di crisi, concentrandosi inizialmente su un quadro analitico
comune per individuare la manipolazione delle informazioni e l'interferenza da
parte della Russia, per giungere all'istituzione di un quadro di cooperazione in
tutte le situazioni di crisi.
Dialogo
sul commercio e sul lavoro.
I
copresidenti hanno convenuto di istituire un dialogo tripartito sul commercio e
sul lavoro al
fine di promuovere congiuntamente i diritti dei lavoratori riconosciuti a
livello internazionale, tra cui l'eliminazione del lavoro forzato e del lavoro
minorile.
Controlli
sulle esportazioni.
La
collaborazione nell'ambito del Ttc è stata determinante per un'applicazione
rapida e armonizzata dei controlli sulle esportazioni di tecnologie avanzate quali la
sorveglianza aerospaziale e informatica, al fine di compromettere la capacità
della Russia di sviluppare ulteriormente le sue capacità industriali e
militari. Entrambe
le parti si sono impegnate a sviluppare e potenziare questa forte
collaborazione.
Perché
la Cina sta a guardare.
Italiaoggi.it-
Giuseppe Gagliano- (1-4-2022)- ci dice :
Pechino
si dichiara vicina a Mosca anche in questi tempi ma in pratica non lo è affatto.
I suoi
interessi economici con Usa e Ue sono troppo grandi.
Come
sappiamo, poco prima che la Russia invadesse l'Ucraina il presidente cinese e
quello russo si erano incontrati a Pechino per siglare una partnership senza
limiti temporali di alcun genere.
Tuttavia,
fino a questo momento, tale sinergia sembra molto limitata: se infatti il Dragone condivide, come
la Russia, un atteggiamento sprezzante verso il sistema liberaldemocratico e
unipolare guidato dagli Stati Uniti, la sua assistenza in campo economico alla
Russia, allo scopo di limitare i danni delle sanzioni, è ancora scarsa.
Dobbiamo
tenere presente, infatti, che i funzionari di Pechino hanno assunto un
atteggiamento molto più prudente riguardo la loro posizione filo-russa,
adottando una posizione quanto meno più neutrale.
Se le
sanzioni economiche dovessero trasformare la Russia in un vero e proprio paria,
economicamente isolato come sperano Biden e Zelensky, la Cina potrebbe non
venire in soccorso alla Russia.
Infatti
le partnership economiche tra Cina, Usa e Ue e i loro alleati nel continente
asiatico sono molto più strette e allo stesso tempo molto più fruttuose sul
piano economico rispetto a quelle con la Russia.
Vediamo
i numeri.
La Cina finora ha esportato circa 68 miliardi
di dollari in merci in Russia, mentre le sue esportazioni verso l'America e
l'Europa superano il trilione di dollari.
Dobbiamo
inoltre tenere presente una seconda considerazione: come farebbe la Cina a proteggere le
proprie imprese dalle sanzioni poste in essere dagli Stati Uniti e dall'Unione
Europea?
Non dimentichiamo a tal proposito che gli Usa,
la Gran Bretagna e l'Ue, analogamente a Giappone, Corea del Sud, Australia e
Singapore hanno imposto una serie di sanzioni contro la Russia che includono il
congelamento dei beni della Banca centrale russa, ma anche il divieto di
transazioni bancarie, la disconnessione delle principali strutture bancarie
russe dal sistema Swift.
Se mettiamo insieme tutte queste soluzioni, è
difficile nascondere come queste di fatto siano in grado di limitare in modo
rilevante la capacità della Russia di effettuare transazioni finanziarie.
Se è
indubbio che la diplomazia cinese (e in particolare il responsabile della
regolamentazione bancaria, Guo Shuqing) ha esplicitamente sostenuto che la Cina
non applicherà sanzioni finanziarie, ma continuerà a mantenere scambi normali
con la Russia, resta tuttavia il fatto che questa dichiarazione non significa
che la Cina abbia la capacità di sfidare le sanzioni americane, europee e
asiatiche.
Quello
che invece dicono fonti di intelligence finanziaria è che le transazioni tra
Cina e Russia stanno cominciando a subire un evidente rallentamento. In fondo, qual è il primo obiettivo
della Cina se non l'autoconservazione?
E questo è un obiettivo legittimo da parte cinese? Senza dubbio, se solo consideriamo
che il Dipartimento del Tesoro americano, grazie alle norme extragiudiziali, ha il potere di punire attraverso
sanzioni secondarie società o individui non americani che abbiano rapporti
commerciali con determinate entità finanziarie russe.
Questa strategia da parte degli Stati Uniti è stata
applicata contro Corea del Nord, Iran, Russia e Venezuela. Può davvero la Cina
permettersi il lusso di perdere l'accesso al sistema finanziario americano?
Certo,
non possiamo dimenticare il fatto che la Cina abbia chiesto un maggiore uso del
renminbi (valuta avente corso legale nella Repubblica Popolare Cinese, ndr)
piuttosto che del dollaro Usa nel commercio e un uso più ampio del proprio
sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) piuttosto che della
rete Swift.
Ma è
tuttavia vero che queste misure non finirebbero per ridurre la vulnerabilità
economica della Cina di fronte alle sanzioni americane. Infatti le società cinesi che
commerciano con le istituzioni bancarie russe inserite nella black list rischiano
ancora sanzioni secondarie indipendentemente dal sistema di valuta che
utilizzano. Solo quelle istituzioni che non hanno bisogno di commerciare con gli
Stati Uniti possono davvero fare a meno del rischio di sanzioni e queste istituzioni finanziarie sono
molto poche e nel contempo assai poco rilevanti (la Banca di Dandong o la Banca
di Kunlun).
Ma gli
Stati Uniti, allo scopo di aumentare la pressione economica nei confronti della
Cina, hanno posto in essere anche un'altra strategia: hanno cioè imposto severi controlli
sulle esportazioni alla Russia, come ad esempio l'embargo sui chip della
multinazionale cinese Huawei. Cosa significa questo per la Russia?
Semplice: queste sanzioni danneggeranno
profondamente la Russia, perché le impediranno di poter avere accesso ai
semiconduttori e a tutti i prodotti di fascia alta a livello tecnologico (come
nella crittografia) e questo finirà per danneggiare a medio-lungo termine
l'efficienza e la competitività industriale della Russia.
Infatti
la Cina ha bisogno, sotto il profilo strettamente tecnologico, degli Stati
Uniti, dell'Europa e anche del Giappone per poter accedere ai semiconduttori,
nonché alla tecnologia di fascia alta. Facciamo un'ipotesi: è vero che multinazionali come Huawei
e Smic sono già oggetto di sanzioni, ma potrebbero ancora ricevere tecnologie
americane con il permesso del Dipartimento del Tesoro, se non violano le
attuali sanzioni contro la Russia.
Ma se
questo avvenisse, le sanzioni poste in essere dagli Usa porterebbero a
restrizioni molto più drastiche e quindi a perdite molto più consistenti per
l'industria cinese. Se questa intendesse violare le sanzioni per aiutare la
Russia, avrebbe più da perdere che da guadagnare a livello economico.
Passiamo
al settore energetico.
Se
l'Occidente intendesse porre in essere un embargo energetico, la preoccupazione
per sanzioni secondarie indurrebbe le principali multinazionali cinesi del
petrolio e del gas a rispettarlo.
Analogamente,
se la Russia volesse ridurre in modo deliberato le sue esportazioni di gas
verso l'Europa, la Cina certo potrebbe essere in grado di assorbirne una parte,
ma non abbastanza per compensare le gravi perdite finanziarie.
Non
dimentichiamo infatti che la Cina ha importato circa 10 miliardi di metri cubi
di gas naturale dalla Russia lo scorso anno attraverso il gasdotto Power of
Siberia.
In
linea teorica questo gasdotto potrebbe trasportare fino a 38 mld mc all'anno,
ma questa cifra è soltanto una piccola frazione delle vendite in Europa che si
aggirano intorno ai 175 mld mc.
Inoltre il gasdotto non è collegato ai
giacimenti che riforniscono l'Europa e ciò rende molto difficile per la Russia,
a breve termine, la possibilità di reindirizzare il gas naturale alla Cina.
(Il
Sussidiario.net).
Qui
Pechino, con la Russia 'un nuovo modello'
Cina
ribadisce, con Mosca esempio di relazioni internazionali.
Ansa.it-
Redazione ANSA- PECHINO-(29 aprile 2022)- ci dice :
La
Cina torna a definire i legami con la Russia un "nuovo modello" di
relazioni internazionali per il mondo, rinnovando il suo sostegno "al
partner senza limiti" e sfidando Stati Uniti, Ue e altri Paesi alleati
impegnati nel pressing su Pechino perché condanni Mosca dopo l'aggressione
militare ai danni dell'Ucraina.
"Un
importante risultato del successo delle relazioni Cina-Russia è che le due
parti superano il modello di alleanza militare e politica tipico nell'era della
Guerra Fredda", ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Zhao
Lijian.
Pechino
e Mosca "si impegnano a sviluppare un nuovo modello di relazioni
internazionali", basato sul "non causare scontri o prendere di mira
altre nazioni", ha aggiunto nel briefing quotidiano, commentando i giudizi
dell'ammiraglio John Aquilino, a capo del comando Indo-Pacifico degli Stati
Uniti, secondo cui la cooperazione "senza limiti" tra Russia e Cina è
motivo di "grande preoccupazione".
Il
legame Cina-Russia è diverso dalla "mentalità da Guerra Fredda"
mostrata da alcuni Paesi, ha continuato Zhao, sollevando la critica standard di
Pechino alla cooperazione degli Stati Uniti con blocchi come la Nato, la cui
espansione ripetuta verso est è - nella vulgata cinese - la causa dell'attacco
di Mosca.
A
marzo il presidente americano Joe Biden ha avvertito il suo omologo cinese Xi
Jinping del rischio di "implicazioni e conseguenze" se Pechino avesse
dato sostegno al presidente russo Vladimir Putin nell'invasione dell'Ucraina.
Finora
non c'è stato alcun segno che la Cina abbia dato un supporto per aggirare le
sanzioni draconiane di Usa e alleati, ma ha offerto supporto retorico sposando
le teorie del complotto russe, come la falsa affermazione che gli Usa gestiscano una
rete di bio-laboratori di armi in Ucraina.
Pechino ha più volte rimarcato l'amicizia
"senza limiti" che Xi e Putin hanno espresso nella dichiarazione
congiunta firmata a Pechino poco prima della cerimonia di apertura delle
Olimpiadi invernali di febbraio.
Anche
sulla missione di mediazione tentata dal segretario generale dell'Onu Antonio
Guterres, recatosi prima in Russia e poi in Ucraina, la Cina ha espresso il suo
apprezzamento, ma Zhao non ha mai citato o commentato il bombardamento di Kiev
da parte delle truppe di Mosca proprio quando Guterres era in visita.
"Accogliamo con favore gli sforzi di mediazione
del segretario generale dell'Onu per alleviare la situazione in Russia e in
Ucraina e la Cina ha sempre sostenuto la Russia e l'Ucraina perché superando le
difficoltà possano continuare i negoziati", si è limitato a osservare Zhao.
Guerra
in Ucraina, "contornare"
la
Russia per contenere la Cina?
Ilgiorno.it-
Paola Olla- (20-5-2022)- ci dice :
L'ANALISI
DI PAOLA OLLA - L'estensione a Nord della NATO, le conseguenze di una sconfitta
di Putin, la guerra ibrida, la “Special relationship” tra Londra e Washington,
il rischio di un ruolo gregario della UE, vecchie logiche e nuovi scenari di
ordine globale.
Aprendo
la rubrica "La lente dello storico" il nostro proposito non era
soltanto l’inquadramento storico di temi e vicende che coinvolgono l’attenzione
dei cittadini in merito alla guerra in Ucraina.
Volevamo anche sollecitare i nostri lettori a proporci
le loro considerazioni e le loro esigenze di approfondimento. L’appello è stato
raccolto.
Abbiamo
ricevuto molte lettere con osservazioni tutt’altro che irrilevanti. Tra queste,
una in particolare è parsa un’efficace sintesi degli argomenti trattati nelle altre.
È la lettera di un professore di Storia e
Filosofia di una scuola superiore. Racconta le curiosità, i dubbi, le paure, la
progressiva diversificazione delle percezioni dei suoi alunni da quando la
guerra è cominciata e chiede che questa rubrica li prenda in considerazione.
Ne
faremo il filo conduttore della nostra conversazione di oggi con la
professoressa Paola Olla.
Professoressa,
comincio con una domanda suggerita dagli alunni del nostro lettore. Se davvero si vuole la pace, perché
la provocazione dell’adesione della Svezia e della Finlandia alla Nato?
“La
richiesta di adesione alla NATO presentata dalla Svezia e dalla Finlandia è
stato un vero colpo da maestro: salda la barriera difensiva ai confini occidentali
della Russia e aggiunge due tasselli importantissimi al segmento nordico
dell’Alleanza, irrobustendone il carattere di avamposto europeo della strategia Regaining arctic dominance pensata da Obama, lanciata da Trump e
incrementata da Biden".
(Usa: "I russi vogliono
Severodonetsk, ma la difesa ucraina li spaventa").
Perché
è così importante?
"Con lo scioglimento dei ghiacci
l’Artico non è ormai più uno spazio di cooperazione scientifica ma l’area di
contesa più calda al mondo. La progressiva percorribilità della via marittima
permetterà alla Cina di accorciare i percorsi commerciali e di accedere, in
competizione con la Russia e con l’Occidente, alle immense risorse dei suoi
fondali.
A
questa sfida ‘artica’ la Russia ha risposto mostrando in modo inequivocabile di
non essere disposta a rinunciare alla posizione egemone di cui ha goduto
nell’area ma anzi di volerla ampliare accentuando, con l’affinamento delle
capacità della marina di adattarsi alle condizioni climatiche proibitive, lo
schiacciante vantaggio accumulato rispetto alla NATO.
Il 2014 non è stato per la Russia soltanto
l’anno dell’annessione della Crimea ma anche l'inizio di una militarizzazione
in chiave espansionistica delle frontiere artiche.
L’aggressione all’Ucraina ha offerto alla Nato
l’occasione per una controffensiva formidabile. Non pare vero ma con una sola mossa
Putin ha vanificato ogni sforzo dei suoi predecessori per assicurare alla
Russia confini sicuri e vie marittime previe”.
Alla
NATO sta riuscendo un capolavoro. A questo punto Putin è a un bivio, o va
avanti con la guerra o si ferma e tratta.
“Per
andare avanti con la guerra Putin dovrebbe avere la certezza di poterla
vincere. La
sconfitta, se avesse come conseguenza l’entrata dell’Ucraina e, come sarebbe
probabile, anche della Georgia nella NATO, trasformerebbe il Mar Nero, oltre al
Baltico, in un altro lago dell’Alleanza dove la Russia avrebbe poco più che un
balcone dal quale affacciarsi. A questo drammatico cambiamento seguirebbe inesorabilmente
il crollo anche del sistema di sicurezza a protezione dei confini asiatici. Mosca non sarebbe più in grado né di
sedare le irrequietezze del Kazakistan, suo alleato ma attraversato da pulsioni
occidentaliste, né di antagonizzare le insidie dell’Azerbaijan né la pressione
della Cina sulla Mongolia”.
Sta
dicendo che una sconfitta metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa della
Russia?
“Dico
che per sperare di vincere una guerra convenzionale Putin deve averne i mezzi,
ma le intelligence anglosassoni asseriscono che non li possiede.
E deve
poter contare su alleati forti e leali e questi di certo non li ha.
Gli
alleati della Russia sono tutti infidi instabili e problematici: dal Kazakistan in continuo
fermento, alla Bielorussia in ebollizione, all’Armenia in perenne tensione con
l’Azerbajian per il Nagorno Karabakh, al Kirghizistan e al Tagikistan
contenitori di pericolose sacche jiadiste.
Se
dovesse venire a mancare la funzione della Russia come fattore di ordine e di
stabilizzazione, tutta l’area esploderebbe.
E
infine il popolo russo.
Al
momento sembrerebbe compatto attorno al suo capo, ma che cosa succederebbe se
il dramma che sta vivendo lo percepisse come il seguito di un colpo di mano in
Ucraina pensato male e ancor peggio realizzato e non come la conseguenza di un
colpo “preventivo” contro i diabolici piano nella NATO nel Donbass? È
psicologicamente preparato ad affrontare una guerra?”.
È
possibile che il popolo russo tolga il sostegno a Putin?
“Se i
russi si convincessero che la guerra non è inequivocabilmente difensiva non
seguirebbero il loro capo con la stessa capacità di resistenza e determinazione
con cui hanno seguito Stalin.
Putin
sta facendo di tutto per convincerli del contrario.
Lo si
è visto e sentito il 9 maggio: l’accusa alla NATO di aver “tradito” i negoziati
di dicembre, l’operazione speciale in continuità con la grande guerra
patriottica, la manipolazione della storia per creare un’identificazione tra
l’aggressore nazista e la NATO”.
Putin
potrebbe riuscire nel suo intento? Alla sua narrazione si contrappone la propaganda
dell’Occidente che in un modo o nell’altro arriva anche in Russia.
“Per
il principio dell’eterogenesi dei fini i successi diplomatici della NATO e gli
sforzi per aiutare l’Ucraina a vincere potrebbero rivelarsi un formidabile
argomento a
supporto della tesi di un piano premeditato della NATO contro la sicurezza
della Russia. C’è il rischio che non solo i russi ne siano suggestionati ma anche i
paesi “non allineati” nel conflitto.
Non
sono aprioristicamente filo-russi ma sono in grandissima parte ostili
all’Occidente che considerano da sempre, e oggi più che mai per i contraccolpi
delle sanzioni, il vero responsabile dei loro problemi.
Tra le
loro fila, Putin potrebbe trovare molti amici interessati e perfino gli alleati
che attualmente la Russia non ha”.
Se le
forze convenzionali russe fossero nello stato che si descrive, non sarebbe
logico aspettarsi da Putin una richiesta a breve del cessate il fuoco piuttosto
che un attacco alla Finlandia o ad altri confinanti? Quale scenario abbiamo
davanti in attesa che giunga il momento dei negoziati?
“Temo
che dobbiamo aspettarci la continuazione sia della guerra di logoramento in
Ucraina sia della guerra ibrida allargata a tutti i paesi che aiuteranno gli
ucraini in vista della vittoria finale”.
Cos’è
una guerra ibrida e quanto deve preoccuparci?
“È
quella che stiamo combattendo.
I
paesi della NATO e la UE sono entrati in una guerra ibrida nel momento in cui
hanno cominciato a rifornire di armi l’Ucraina e a sanzionare economicamente la
Russia.
Non
l’abbiamo percepito perché in questo tipo di guerra ci si avvale poco dei mezzi
militari tradizionali e molto della cibernetica, della psicologia e
dell’aggressione economica e finanziaria.
I
danni possono però essere altrettanto micidiali.
Non
tuonano gli obici e non sfrecciano i missili né sfilano i carri armati ma la
vita dei paesi che vi sono coinvolti ne è ugualmente stravolta.
Si muore se ci si trova nella traiettoria di
un cannone e si muore annegati se un hacker aziona il dispositivo di apertura di
una diga.
Si
muore di fame e di cancrena perché si è intrappolati feriti in un bunker e si
muore di stenti se la catena alimentare si interrompe perché il nemico ha
bloccato l’arrivo delle materie prime.
Si
manipola il pensiero del popolo nemico con un’informazione piena di fake news
ma intanto il nemico punta con lo stesso mezzo a conseguire il medesimo
risultato.
Si ricorre alla censura per contrastarlo e si
infligge alla democrazia una ferita che potrebbe ucciderla. Ma c’è dell’altro. La guerra ibrida,
a differenza di quella classica, non compatta le alleanze, alla lunga le
spacca”.
Sta
già succedendo.
“Temo
di sì.
Le
guerre ibride dividono gli alleati, corrodono la tenuta dei governi,
frammentano le forze politiche e le società civili. Obbligano a scelte che
progressivamente svuotano i valori per i quali si afferma di combatterle.
Guardi
come si sta comportando la UE.
Accusa
la Russia di non essere uno Stato di diritto ma la presidente Von der Layen in
cambio della rinuncia di Orban al veto sull’embargo al gas russo ha offerto una
sorta di condono delle sanzioni applicate all’Ungheria per le misure illiberali
in materia di informazione e di giustizia.
E che
dire del corteggiamento ai tirannelli del Golfo per assicurarsi a un buon
prezzo gas e petrolio?
E dei provvedimenti discriminatori in materia di
accoglienza dei rifugiati?
I
danni collaterali delle guerre ibride sono meno appariscenti dei morti sotto le
bombe ma per le democrazie non sono meno nefasti.
La UE
da quando è crollato il Muro è spesso venuta a patti con i suoi principi
fondanti, mai però come sta accadendo ora”.
Queste
contraddizioni i nostri lettori le notano e lamentano i sacrifici che stanno
affrontando e l’angoscia per il futuro incerto che hanno davanti. Ne attribuiscono la causa alla
subalternità all’America del nostro governo e della UE.
“Più
aumenteranno i disagi per i cittadini più crescerà il loro desiderio di pace e
la rabbia contro chi prospetta una guerra lunga per raggiungerla.
L’antiamericanismo e lo scetticismo nei confronti della UE non si combattono
con la retorica filo-americana e la propaganda russo-fobica ma dimostrando coi
fatti che l’europeismo e l’impegno per la pace non sono false promesse”.
Ma
allora perché la UE fa poco o nulla per spingere Putin ad aprire un negoziato?
Non sarebbe un buon momento? Qualche segnale i russi lo stanno lanciando.
“Ma sì
che lo si sta facendo, nel modo in cui è prescritto nel documento finale
firmato da Biden e da Draghi il 12 maggio: continuando “l’impegno nel perseguire
la pace supportando l’Ucraina e infliggendo costi alla Russia”.
Pensa
che tra i “costi” potrebbe esserci un cambio del regime attuale?
“Il
documento non parla di un cambiamento di regime in Russia ma neppure lo esclude
esplicitamente. Menziona invece la parola pace ed è stata una boccata di ossigeno.
Avvertivamo tutti il desiderio di sentirla pronunciare da qualcuno che fosse
abbastanza autorevole da restituire a questa parola il senso che le è proprio. Anche la comunicazione di voi
giornalisti ha cambiato subito tono, avete smesso di parlare soltanto di guerra
e avete finalmente cominciato a ragionare di possibili negoziati, di probabili
mediazioni e perfino dei contenuti che i due belligeranti avrebbero potuto
discutere.
E da
ieri (giovedì, ndr) c’è sul tavolo del Segretario Generale dell’ONU la proposta
di un piano di pace italiano.
Il
punto critico, come ha detto Draghi, è che ogni decisione in merito
all’apertura di un negoziato è in capo ai due belligeranti. Gli altri paesi possono usare della
loro influenza per favorirne il buon esito ma è escluso, sintetizzo ancora
Draghi,
che si possa forzare il governo Zelenski a una pace che non soddisfi tutte le
aspettative dell’Ucraina”.
Non
trova molta ambiguità nella dichiarazione di Washington?
“Certo,
è una formula ambigua ma nelle circostanze date è il massimo che Draghi potesse
ottenere da Biden.
Consente
agli Stati Uniti di non cambiare di una virgola i propri piani e ai governi
alleati margini per interpretazioni tattiche che non ne compromettano la
strategia di fondo.
Ne
ricavano spazi di manovra sia gli intenzionati a incrementare l’indebolimento
della Russia, sia i governi sospettati di eccessivo atlantismo che si vedano
costretti a compiere operazioni diplomatiche in linea con le aspettative di
pace delle opinioni pubbliche.
Senza
violarne la lettera né lo spirito Johnson può correre a Stoccolma e a Helsinki
a offrire la protezione militare della Gran Bretagna in attesa della loro
adesione alla NATO e il ministro di Maio può presentare a Guterres un piano di
pace senza prima passare per il beneplacito di Zelenski”.
L’attivismo
di Johnson è impressionante, deve ammettere che la sua iniziativa è parsa quasi
una smentita di quanto avevano dichiarato Biden e Draghi solo poche ore prima.
“La
garanzia alla Finlandia e alla Svezia è coerente con la necessità di proteggere
i due paesi in questa delicata fase di transizione ed è stata sicuramente
concordata con Biden.
Nella
sequenza dei fatti si nota, è vero, una certa incongruenza. Da Washington un pur cauto gesto
distensivo, dal viaggio di Johnson a Stoccolma e a Helsinki la più traumatica
delle provocazioni. Johnson è molto dinamico. È possibile che sua sponte abbia
anticipato un po’ i tempi. Il suo desiderio di primato e l’ansia di ridare smalto alla “storica
Special relationship” tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti può darsi gli
faccia compiere mosse un po’ precipitose”.
Che
ruolo sta giocando Johnson nell’allargamento della NATO?
“Non
del gregario che si accontenta di offrire quando deve la borraccia al campione
ma piuttosto del corridore ambizioso che punta a formare un gruppo di testa e a
capitanarlo.
Johnson
è alla conquista della leadership politica del braccio europeo dell’Alleanza e
ogni sua mossa è coerente con questo obiettivo.
Può
succedere che la sua tattica “aggressiva” non sia del tutto coincidente con
quella studiata da Biden per convincere le opinioni pubbliche europee delle sue
intenzioni pacifiche ma la loro convergenza sulla strategia e sugli scopi
dell’allargamento della NATO credo sia totale”.
Ma la
UE in tutto questo?
“L’UE
è stata e continua a essere un’esperienza di integrazione grandiosa unica al
mondo ma non è una nazione. È una pluralità di nazioni percepita dagli altri, nonostante il suo enorme
potenziale, come un “club commerciale”.
Così
l’ha definita Biden durante l’incontro con Draghi sebbene dai resoconti
ufficiali non risulti.
La
diversità da qualsiasi alleato o competitor è all’origine della forza e della
potenza della UE ma anche la ragione della sua estrema fragilità.
O
trova il modo per dotarsi degli stessi poteri decisionali di cui godono gli
Stati o il suo ruolo nella NATO e nell’assetto occidentale che si sta
delineando sarà quello che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna decideranno di
assegnarle”.
Si
sostiene però che la UE non goda di autonomia strategica perché finora ha
rifiutato di armarsi come avrebbe dovuto.
“Il
potenziamento e l’integrazione dei dispositivi militari certamente
razionalizzano l’apporto europeo alla NATO ma non garantiscono alla UE un ruolo
più assertivo nell'Alleanza.
Una partnership più equilibrata col nostro
grande alleato l’avremo soltanto con la comunitarizzazione della politica
estera oltre che della difesa.
Gli
Stati Uniti sono egemoni non soltanto perché finora hanno speso molto più della
UE in armamenti ma perché sono in grado di strutturare e usare il proprio
potenziale militare in funzione degli obiettivi della loro politica estera.
La UE
non possiede questa capacità.
La
rappresentazione politica e mediatica dell’esercito comune europeo come “la” soluzione
per sottrarre la UE alla subalternità all’interno della NATO è la cortina di
fumo dietro la quale si tenta di nascondere l’inquietante realtà di una Europa
comunitaria che in materia di politica estera è sempre stata ed è profondamente
divisa”.
L’esercito
europeo è comunque un primo passo verso il raggiungimento di questa capacità.
“Senza
dubbio, ma, insisto, non è sufficiente. Si tende a dimenticarlo, ma nel 1991,
quando si aprì la crisi in Jugoslavia, la CEE disponeva di un’organizzazione
militare autonoma, la UEO, ottimamente equipaggiata di mezzi e di uomini. Gli
Stati membri, allora erano 12, avrebbero potuto utilizzarla sia come
deterrente, sia in funzione di peace enforcing.
Non è
successo perché quando, con molto ritardo, hanno preso in considerazione il
ricorso alla UEO si sono accorti che sugli obiettivi da raggiungere con
l’intervento armato il loro disaccordo era assoluto.
Non è
mancato un esercito, è mancata la compattezza politica ed è per questo che
nella questione sono intervenuti gli Stati Uniti.
Non si
è mai riflettuto abbastanza su questo momento tragico della storia europea, se lo si facesse si arriverebbe a
capire che fino a quando il nodo della politica estera comune non verrà sciolto
l’esercito europeo resterà il pilastro di un sistema di sicurezza disegnato
dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, funzionale ai loro interessi globali.
Non è scontato che siano gli stessi della UE”.
Eppure
Macron nell’autonomia strategica della UE sembra crederci.
“Un
conto è crederci un conto è realizzarla.
Molti
alleati NATO dell’area settentrionale e orientale dell’Europa non desiderano
altro che tramutarsi nel braccio armato degli Stati Uniti nel continente.
La loro visione geopolitica dell’Europa
coincide perfettamente con quella di Biden e di Johnson. La Polonia è uno di questi”.
E gli
alleati del versante occidentale? Sono altrettanto compatti nel puntare all’autonomia
strategica? Draghi che posizione ha?
“Nella
conferenza stampa del 12 maggio a Washington, Draghi ha eluso la domanda con un
lapidario “è un concetto da chiarire perché comunque è una questione di molti
anni”.
Date
le circostanze e il luogo non poteva esprimersi diversamente. Conosce la posizione di Biden in
merito all’autonomia strategica europea e ha ragione di dire che richiederà
molti anni.
Ha però accennato alla necessità di un chiarimento tra
gli alleati e non credo lo abbia fatto per placare chi lo accusa di eccesso di
atlantismo. La sua posizione avrà un peso tutt’altro che irrilevante in questo
chiarimento”.
Draghi
conta più di quanto gli si voglia riconoscere?
“Mi domando dove potrebbe arrivare
l’idea di Macron se non fosse condivisa e supportata da Draghi.
Un passaggio cruciale potrebbe essere
l’attuazione di una cooperazione rafforzata in materia di politica estera.
L’art.
44 del Testo Unico dell’Unione la consente.
Si
tratterebbe di costruire un gruppo significativo di paesi disposti a
sacrificare i rispettivi sovranismi a vantaggio di un sovranismo europeo che
aprisse all’elaborazione di una geopolitica autonoma, non antitetico ma
complementare a quella statunitense, nella quale la UE attualmente si riconosce
pur patendone le evidenti incongruenze con gli interessi europei.
Non
sarà facile, ma l’asse franco-tedesco e il Trattato del Quirinale possono
insieme costituire una piattaforma di partenza credibile per gli altri Stati
membri che volessero aggiungersi”.
Quali?“Qui sta il punto. L’intensa attività
diplomatica di Johnson sta raccogliendo intorno alla Gran Bretagna quasi tutti
i paesi dell’Est e del Nord Europa. Si tratta di vedere se la piattaforma
Johnson avrà più potere attrattivo di quanta ne avrebbe la piattaforma
Macron/Draghi/Scholz.
Non è
una sfida da poco. Nell'immediato investe l’approccio alla soluzione del
conflitto in Ucraina, a lungo termine l’assetto geostrategico dell’Europa nel
contesto globale”.
Chi
dei due è destinato ad avere la meglio?
“Il
gruppo di paesi che si riconosce nella leadership di Johnson quale braccio
politico degli USA in Europa aborre l’idea che ci si debba preoccupare di non umiliare
Putin e poco riflette, a quanto appare, sulle conseguenze di una linea dura:
sposa in pieno l’obiettivo del governo ucraino di una “vittoria senza
condizioni”.
Macron,
che con Putin parla spesso, ha chiari in mente i rischi enormi impliciti in questa
soluzione.
I suoi
argomenti appaiono però fragili, fumosi, non abbastanza solidaristici con il
popolo ucraino e dunque divisivi.
Lo siano o meno, come tali l’informazione
occidentale li rappresenta.
Basta
vedere la freddezza riservata alla proposta di pace del ministro Di Maio.
Non è
certo l’accoglienza acritica dedicata ai report dell’intelligence britannica a
supporto di una visione della Russia da un lato vicina al collasso militare, e
quindi anche politico, e dall’altro protesa ad allargare i propri confini con
ogni mezzo”.
Beh, o
è l’una o è l’altra cosa. Sta di fatto che l’impressione dei nostri lettori è che a decidere saranno Biden e
Zelenski a meno di un’iniziativa a sorpresa di Putin che, messo nell’angolo,
giochi la carta della diplomazia sfidando Biden a un incontro.
Se accadesse, ritornerebbero sul tavolo le
proposte russe presentate nel dicembre scorso?
Putin
chiedeva l’impegno a escludere un'ulteriore espansione a Est della NATO e di non dispiegare missili a raggio
intermedio in zone da cui avrebbero potuto colpire il territorio russo. Non sembrerebbero
richieste irricevibili.
“La
situazione attuale è drammaticamente cambiata rispetto ad allora e onestamente
non saprei fare previsioni su ciò che Putin potrebbe proporre e Biden concedergli
e neppure colgo l’utilità di un confronto che non vedesse la partecipazione
anche di Xi Jinping e della UE.
Sono
quasi certa però che in un incontro a due verrebbe ancora respinta la richiesta
della rinuncia della NATO a cooperare militarmente con gli stati post-sovietici
dell’area caucasica e transcaucasica.
Abbandonando
l’Afghanistan gli Stati Uniti hanno perso il loro avamposto in Asia centrale ma
non l'interesse per le aree caucasiche ricche di materie prime e terre rare.
Faranno
di tutto per impedire che si trasformino in un condominio russo-cinese con la
Russia nel ruolo del poliziotto che garantisce l’ordine e la Cina in quello del
finanziatore delle infrastrutture.
I
tempi in cui l’interventismo russo era utile contro il terrorismo islamico sono
passati. La
Nuova via della seta di Xi Jinping ha cambiato tutto. Il nemico di turno ora è
la Cina e finché Putin resta al potere lo è anche la Russia e non solo per aver
aggredito l’Ucraina”.
Dunque
non è la solidarietà con gli interessi di sicurezza della Russia ciò che
determina le risposte e le iniziative diplomatiche della Cina?
“La
diplomazia cinese protegge gli interessi della Cina, non quelli della Russia. Definendo “significativa” l’adesione
della Finlandia e della Svezia alla NATO ha comunicato al mondo di aver colto
appieno la valenza anticinese sia in del riarmo europeo sia dell’allargamento
della NATO”.
Quindi
sarebbe la Cina l’obiettivo ultimo della guerra per procura che gli Stati Uniti
starebbero combattendo in Ucraina contro la Russia?
“Il
“contenimento” della Cina è l’obiettivo geopolitico di Washington e di Londra.
L’indebolimento della Russia è una parte
essenziale del ‘Pivot to Asia’ di Obama e di Hillary Clinton. Biden lo sta
interpretando con slancio. Non per caso l’argomento delle relazioni con Pechino
è stato toccato anche nei colloqui con Draghi”.
Ma
l’UE che interesse avrebbe a seguire Johnson e Biden? Ha ormai perso la partnership con la
Russia, non
rischia, se dovesse alienarsi anche la Cina, di depotenziare il suo ruolo
geopolitico a totale vantaggio di Stati Uniti e Gran Bretagna?
“La UE
non ha un orientamento univoco sulle relazioni da tenere con la Cina,
figuriamoci se ha una “politica cinese” da contrapporre o da affiancare a
quella netta e proattiva dei due alleati anglosassoni.
Johnson
e Biden giocano in tandem e lo si vede, i loro obiettivi sono perfettamente
coincidenti.
Entrambi
si adoperano per costruire alleanze militari anticinesi come l’AUKUS, o gruppi
commerciali antagonisti alla Cina per dar vita a una NATO dell’indo-pacifico,
l’uno nella prospettiva della globalizzazione dell’Alleanza, l’altro per
restituire centralità al ruolo della Gran Bretagna nell’ordine mondiale che
dovrebbe emergere dal compimento di questa strategia”.
L’aggressione
all’Ucraina non ha solo stravolto le relazioni tra l’Occidente e la Russia. Ha anche messo in moto processi di
distribuzione del potere all’interno della NATO e di rinnovamento in chiave
anglo-americana dell’ordine mondiale. È così?
“Sì,
ma lo scenario che si sta aprendo non è affatto nuovo. Sotto la spinta della paura per la
possibile perdita del primato a vantaggio della Cina, gli Stati Uniti hanno
sostituito l’idea della cooperazione globale con la logica disfunzionale della
contrapposizione.
Non è
la prima volta che succede.
Alla fine dell’estate del 1949, al trauma per la
contemporanea perdita del monopolio atomico e della Cina passata nel campo
avversario, gli Stati Uniti reagirono con la militarizzazione dell’Alleanza
Atlantica e con il riarmo della Germania per potersi concentrare su quadrante
estremo orientale del globo.
Di diverso rispetto a quegli anni c’è che oggi
anche l’Europa segue l’America nelle sue ossessioni mentre allora seguì la
propria straordinaria immaginazione, realizzando una creatura, quella sì, davvero
originale: un meraviglioso esempio di cooperazione per tutto il mondo.
Nonostante tutti i suoi limiti potrebbe
esserlo ancora”.
GUERRA
IN UCRAINA: TRABALLA
L’INFLUENZA
DELLA CINA IN EUROPA.
Opinone.it-
Fabio Marco Fabbri-(03 maggio 2022)- ci dice :
Guerra
in Ucraina: traballa l’influenza della Cina in Europa.
Il
rappresentante cinese nel Fondo di Cooperazione per gli Investimenti
Cina-Europa Centrale e orientale, Huo Yuzhen, la settimana scorsa ha visitato
la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Slovacchia, la Slovenia, la Croazia, poi
Polonia, Estonia e Lettonia.
Questa
organizzazione si occupa del miglioramento della cooperazione nell’ambito degli
investimenti tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e orientale, sostenendo
bilateralmente i rapporti commerciali, favorendo le attività delle società di
servizi finanziari, e attuare ogni progetto che possa procurare effetti
costruttivi sulla società.
Questo
pellegrinaggio cinese nell’Europa centro-orientale, pubblicizzato come una
propaganda per il rafforzamento della cooperazione tra la Cina e questi Stati
membri dell’Unione europea, è stato intrapreso proprio quando l’Occidente ha
espresso critiche pesanti per la posizione di neutralità assunta dalla Cina
circa l’invasione russa dell’Ucraina.
È
evidente che le critiche occidentali non sono solo teoriche, dato che
l’autocratica alla macchina economica cinese pare stia manifestando alcune
crepe proprio nei suoi rapporti commerciali con l’Europa, una sorta di
“sanzioni differite”.
Così il 29 aprile il portavoce del ministero
degli Affari esteri cinese, Zhao Lijian, ha dichiarato che Pechino ha sempre
operato affinché Ucraina e Russia conducessero negoziati utili per poter
accogliere costruttivamente gli sforzi che la Comunità internazionale fa per
ottenere una pace condivisa e non umiliante per nessuno.
Tale
affermazione, pronunciata durante una conferenza stampa, non casualmente arriva
dopo la recente visita del Segretario generale delle Nazioni Unite, António
Guterres, in Russia e Ucraina.
Ha
continuato Zhao, affermando che in questa fase la Comunità internazionale deve
insistere “sul mantenimento dei negoziati piuttosto che sulle sanzioni
unilaterali, sul mantenimento della democrazia piuttosto che sull’egemonia, sull’unità
piuttosto che sulla divisione, sull’obiettività piuttosto che sul pregiudizio”.
Auspicando,
infine, una cooperazione cino-europea per raggiungere la fine delle ostilità.
È
forse questa anche una risposta a quanto affermato dal comandante del comando
Indo-Pacifico degli Stati Uniti, John Aquilino, secondo cui la cooperazione tra
Cina e Russia è preoccupante?
Infine,
Zhao ha descritto il peculiare rapporto cino-russo come una esperienza che ha
visto creare un modello di alleanza militare e politica diverso dalla mentalità
della Guerra fredda, che era quello di creare aggregazioni di scopo.
Infatti, è evidente la peculiarità del
rapporto cino-russo, che diversamente da “altre relazioni internazionali” ha
seguito il principio di non alleanza, di non confronto e di non prendere di
mira una “terza parte”.
Quindi
Zhao, disdegnando le modalità da “Guerra fredda”, ha incolpato gli Stati Uniti
di avere favorito l’espansione verso est della Nato, dandogli una indiscutibile
responsabilità nella crisi ucraina.
La Cina ha così ostentato una posizione
intermedia, che non risparmia critiche né alla Russia né alla Nato, ma che si pone come soft-mediatore,
con un apparente ambiguo sbilanciamento verso Mosca, ma che rappresenta una
caratteristica della “diplomazia” cinese.
In
più, il rappresentante di Pechino ha anche affermato che il vero obiettivo
degli Stati Uniti non è la pace ma indebolire la Russia, facendo in modo che il
conflitto continui, ricordando quanto affermato dagli stessi Stati Uniti.
In
pratica, le autorità cinesi si sono finora rifiutate di condannare i loro
omologhi russi; in realtà, è Xi Jinping che non ha condannato Vladimir Putin per il suo
intervento militare, confermando le forti relazioni bilaterali ed escludendo,
per il momento, l’istituzione di sanzioni contro la Russia. Ma da notizie
diffuse dall’intelligence statunitense –
non si sa bene se costruite o meno, ma sono comunque verosimili – pare che Mosca avrebbe chiesto aiuti
militari ed economici alla Cina, richieste che rilevano le oggettive difficoltà
russe.
Questo ha spinto i grandi sanzionatori occidentali ad agire
verso la Cina, mettendola in guardia dal soddisfare le richieste di Mosca.
Ma si
sa che le autocrazie si gloriano di essere regimi funzionanti, soprattutto in
epoche geo-strategicamente e sociologicamente complesse, come quella attuale.
Così
Xi Jinping ritiene che l’abbraccio tra il socialismo con caratteristiche cinesi
e il comunismo, espresso dal Partito Comunista cinese, sia una “alchimia
politica” che sovrasta ogni altra forma di Governo; mentre Vladimir Putin
considera superata la democrazia liberale.
Tuttavia, alla luce dei fatti, entrambi questi
leader sono fautori di notevoli calamità più o meno celate.
E
praticando un nazionalismo aggressivo soffocano qualsiasi spiacevole verità,
applicando il teorema del tiranno auto-accecato.
Ma
altrettanto si potrebbe affermare per le cosiddette democrazie, tali solo sulla
“carta”, che notoriamente hanno causato disastri rendendo la “linea divisoria”
con le autocrazie quasi invisibile.
Ma in
epoche geo-strategicamente e sociologicamente complesse, come quella attuale,
anche nelle democrazie il confine tra la verità e menzogna è cancellato, vedi
l’indice della libertà di stampa.
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