BLOCCO POLITICO MEDIATICO OCCIDENTALE.

 BLOCCO POLITICO MEDIATICO OCCIDENTALE.

 

Il Forum Economico Mondiale

può fermare la de-globalizzazione ?

swissinfo.ch-(20-5-2022)- Jessica Davis Plüss, Dominique Soguel-dit-Picard, Pauline Turuban.

 

L'attivista climatica Greta Thunberg ha inscenato una protesta fuori il centro dei congressi di Davos durante l'ultimo WEF nel 2020. È stata -allora-tra le poche persone giovani a essere stata invitata all'evento annuale.

Le forze che si oppongono alla visione di un ordine economico globale promossa dal Forum economico mondiale di Davos (WEF) stanno guadagnando terreno.

Che sia l’inizio della fine del WEF come lo conosciamo oggi?

I giganti del mondo politico ed economico riuniti nella località alpina di Davos questa settimana si trovano ad affrontare un panorama molto diverso da quello del loro ultimo incontro faccia a faccia, nel gennaio del 2020.

 In aperto contrasto con la tradizione, quest’anno il Forum economico mondiale si riunisce nel pieno della primavera, anziché in inverno. Ma se in questo periodo dell’anno le temperature in Svizzera sono decisamente più miti, l’invasione russa dell’Ucraina ha gettato un’ombra sull’evento del 2022, ora intitolato "Una svolta nella storia".

"L'incontro di quest'anno si svolge nella situazione geopolitica e geoeconomica più complessa degli ultimi decenni", ha detto mercoledì il presidente del WEF Borge Brende durante una conferenza stampa. "Dovremo concentrarci ancora di più sull'impatto e sui risultati".

Quest’anno, quindi, l’atmosfera al WEF sarà ben diversa dal solito.

Gli imprenditori, le imprenditrici e i membri dell’élite russa non sono stati invitati. Il presidente ucraino Volodomyr Zelensky terrà invece un discorso virtuale e ha inviato a Davos una forte delegazione.

La Cina, che ha imposto misure di confinamento nelle due città più popolose a causa della Covid-19, ha inviato solo il suo rappresentante per il cambiamento climatico, Xie Zhenhua.

 I principali membri della delegazione statunitense sono l'inviato speciale per il clima John Kerry e l'ex vicepresidente e paladino dell'ambientalismo Al Gore. Un netto contrasto rispetto ai tempi in cui le grandi potenze economiche mondiali mandavano, se non il proprio capo di Stato, almeno una nutrita delegazione composta dai principali esponenti del governo.

Simili assenze non si limitano a lasciare enormi lacune nel programma dell’evento, ma rispecchiano i legami sempre più tenui tra il WEF e la realtà globale, dicono analisti, analiste e osservatori e osservatrici. Invece di essere "cittadini del mondo" che si ritrovano a Davos per parlare di problemi globali, i vari Paesi tendono a rifugiarsi sempre di più nel proprio angolino, tendenza ulteriormente esacerbata dalla pandemia da Covid e dalle pesanti conseguenze economiche dell’invasione russa dell’Ucraina, due eventi catastrofici che all’ultima riunione del WEF nessuno avrebbe potuto prevedere.

Start-up svizzere, piccole imprese e grandi innovazioni.

La creatività delle start-up svizzere non conosce limiti e le loro innovazioni riscontrano un grande successo mondiale.

"Oggi viviamo in un mondo completamente diverso", sostiene David Bach, esperto di politiche economiche della IDM Business School.

"Un mondo di regioni e blocchi contrapposti che hanno implicazioni di vasta portata non solo sulle politiche internazionali e sull’economia globale, ma anche sulle strategie imprenditoriali".

Il campione della globalizzazione.

Alla nascita del Forum economico mondiale, negli anni Settanta, la Guerra fredda aveva causato profonde divisioni ideologiche a livello globale. L’appuntamento annuale a Davos divenne uno degli unici forum capaci di combinare visioni del mondo molto diverse tra loro, costruito su quello che il WEF chiama "lo spirito di Davos", cioè il concetto di "partecipazione, collaborazione e scambi amichevoli tra più partecipanti".

Con l’affermarsi del liberismo economico, il Forum è divenuto sinonimo del libero commercio e dell’efficienza finanziaria che hanno definito la globalizzazione degli anni Ottanta e Novanta, favorendo forti guadagni fino all’inizio degli anni Duemila e aiutando milioni di persone a uscire dalla povertà tramite l’integrazione della Cina e degli ex Stati sovietici nell’economia globale.

"La forte globalizzazione registrata a livello dei commerci dopo che la Cina è entrata a far parte del sistema commerciale mondiale si è stabilizzata una decina di anni fa", spiega David Dorn, professore di globalizzazione e mercati del lavoro all’Università di Zurigo.

Ora che l’euforia per i guadagni portati dalla globalizzazione è un po’ scemata, le forze che vi si oppongono hanno acquistato nuovo vigore.

 L’aumento del divario tra ricchi e poveri ha provocato rabbia e risentimento. L’outsourcing ha portato allo sfruttamento della manodopera in Paesi con meno tutele in materia di diritti dei lavoratori. L’impiego di filiere produttive sempre più rapide e complesse ha creato danni ambientali irreversibili. Il cambio di secolo ha visto scoppiare violente proteste contro il WEF e il suo club dei miliardari, divenuto emblema di tutti i problemi legati alla globalizzazione.

Contenuto esterno.

Negli anni, il Forum ha cercato di mitigare le contestazioni invitando nella propria cerchia anche persone di ideologie opposte e aggiungendo vari rappresentanti delle organizzazioni non governative al mix di CEO.

Inoltre, ha organizzato eventi WEF anche in altre parti del mondo, da Dubai a Città del Capo a Tientsin, ha riformulato la retorica capitalista per renderla più inclusiva e ha spinto le aziende a occuparsi di problemi sociali con sessioni incentrate su come evitare una crisi alimentare, mettere fine alla schiavitù e affrontare il cambiamento climatico.

In più, ha creato un Open ForumLink esterno aperto al pubblico (perlomeno a chi si trova a Davos) per coinvolgerlo nelle questioni in agenda.

 

Nel frattempo, le economie sono divenute ancora più interconnesse e interdipendenti, con filiere sempre più lunghe e complesse, sostenute da grandi progressi tecnologici.

Man mano che le multinazionali in grado di trasportare merci in ogni angolo del mondo si sono fatte più potenti, i governi si sono indeboliti.

 I cittadini e le cittadine delle singole nazioni si sono trasformati in consumatori e consumatrici globali, aveva scritto il politologo Samuel Huntington in un saggio   del 2004 intitolato "The Denationalisation of the American Elite" (La denazionalizzazione dell’élite americana). Quelli che Huntington chiamava "gli uomini di Davos", "lavoratori altamente qualificati e specializzati" o "cosmocrati", una classe emergente alimentata dalla connettività globale, venivano considerati il problema.

Le reazioni negative alla globalizzazione non sono diminuite, anzi, ne è nato un movimento di protesta radicato in una retorica populista e nazionalista.

"Ormai regna la sensazione diffusa che a comandare sia l’élite cosmopolita, parte di Wall Street e di Hollywood.

Leader come Donald Trump negli Stati Uniti o Marie le Pen in Francia hanno saputo sfruttare il senso di esclusione delle persone", afferma Daniel Warner, politologo svizzero-americano ed ex vicedirettore del Graduate Institute di Ginevra.

Colmare il divario tra i generi: una visione svizzera al WEF.

Il punto di rottura.

Le prime reazioni negative, tuttavia, sono state niente rispetto a ciò che sarebbe arrivato in seguito. La guerra in Ucraina e la pandemia sono solo le ultime crisi ad aver messo in discussione i meriti della visione del WEF riguardo all’ordine economico mondiale.

L’ultima volta che l’élite si è riunita a Davos mancava solo un mese al momento in cui l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) avrebbe dichiarato l’epidemia di coronavirus ufficialmente una pandemia.

 Nelle sale del centro congressi di Davos giravano solo voci di una crisi sanitaria a Wuhan. Da allora, la pandemia ha stravolto le vite della popolazione in quasi tutti i Paesi e spinto il WEF ad annullare il proprio ritrovo annuale in Svizzera per due anni di fila.

Negli oltre 50 anni di storia del Forum, è stata la prima volta che gli eventi mondiali lo hanno portato a cancellare l’evento.

Quando si è cominciato a parlare del programma di un possibile incontro a Davos in gennaio, l’invasione russa dell’Ucraina sembrava ancora molto improbabile. Adattandosi al drammatico evolversi delle circostanze, il WEF ha poi modificato il tema dell’evento 2022 da "Collaborare per una rinnovata fiducia" a "Una svolta nella storia: politiche governative e strategie imprenditoriali".

"Quella a cui stiamo assistendo è una globalizzazione inversa", spiega Warner.

"In certi Paesi si è verificato un ritorno a un nazionalismo aggressivo, dai Gilets Jaunes [i gilet gialli francesi] a [il presidente russo] Vladimir Putin, almeno in una certa misura. La gente si sente sempre più tagliata fuori, senza alcun legame emotivo con la globalizzazione".

Le forniture di beni fondamentali come farmaci, grano e olio si sono fatte discontinue, esacerbando le diseguaglianze già esistenti.

Nonostante gli appelli per rendere cure e vaccini contro il Covid disponibili a livello globale, i vari Paesi del mondo si sono pestati i piedi a vicenda per essere i primi a riceverli. Se per i miliardari e le miliardarie non è cambiato molto, non si può dire lo stesso dei milioni di persone che hanno faticato a permettersi le cure disponibili.

 

Dall’inizio della guerra in Ucraina, due dei principali Paesi esportatori di grano sono stati destabilizzati dalle sanzioni e dai combattimenti. Il Programma alimentare mondiale stima che il conflitto e il relativo contraccolpo sui prezzi di carburanti e beni alimentari porteranno 47 milioni di persone sull’orlo della fame.

Di fronte a queste crisi, oltre che all’emergenza climatica, molti Paesi si sono chiusi in sé stessi, cercando di difendere le proprie risorse e la propria popolazione tramite l’imposizione di blocchi sulle esportazioni e il sostegno delle industrie locali.

 

"La storia della globalizzazione è sempre stata un gran tira e molla tra chi favorisce una maggiore integrazione e apertura e chi invece vi si oppone, come in tutta la storia del libero commercio", sottolinea Bach.

Al momento le forze a favore della deglobalizzazione sono più forti perché non includono più solo demagoghi e populisti… I blocchi delle filiere provocati prima dalla pandemia e poi dalla guerra sono una realtà per tutti".

I dubbi dei vincitori.

Persino chi può trarre vantaggio dalla globalizzazione – quindi le multinazionali – si trova in difficoltà su certe tematiche, oltre a subire le pressioni di dipendenti, clienti e governi, nonché dei propri azionisti e azioniste, per schierarsi da un lato o dall’altro, man mano che la geopolitica divide il mondo in blocchi commerciali sempre più definiti.

"Oggi una multinazionale non può più pensare di espandersi nel Paese X o nel Paese Y liberamente", dice Warner.

Le aziende si troveranno ad affrontare sempre più casi in cui, come per la Russia o per la Cina, fare affari può comportare un forte prezzo da pagare.

Christoph Franz, presidente del consiglio di amministrazione del colosso farmaceutico svizzero Roche, ha spiegato a SWI swissinfo.ch che l’azienda sta assistendo a una creazione di valore sempre più localizzata e che si aspetta che le imprese valuteranno più apertamente i rischi della globalizzazione, "attribuendo valori diversi alla sicurezza delle filiere, d’ora in avanti".

"Molti esponenti politici e leader d’impresa prendono le parti della deglobalizzazione perché la trovano economicamente o politicamente vantaggiosa."

Agli occhi dei CEO, districarsi tra sanzioni e interruzioni delle filiere di produzione non è una semplice seccatura, ma qualcosa che mette in discussione molti dei principi fondamentali che hanno orientato le decisioni imprenditoriali degli ultimi decenni. Per fare affari con la seconda potenza economica mondiale, le aziende devono adeguarsi sempre di più ai piani di Xi Jinping per rendere la Cina indipendente dall’Occidente, raggiungere l’autosufficienza e creare un ordine economico incentrato sull’economia cinese.

Tanti, nel mondo, auspicano un approccio diverso, con paradigmi diversi, e non solo tra chi protesta contro la globalizzazione. Paesi come la Cina vogliono ridefinire l’ordine mondiale, mentre le aziende con clientela e personale sparsi in diverse parti del globo cercano delle nuove modalità di fare affari.

"L’immagine del villaggio globale oggi non esiste più", spiega Warner. "L’idea di mettere insieme esponenti del mondo politico e imprenditoriale è spesso considerata elitista e molti non sono più convinti che queste persone possano risolvere il problema e favorire la pace".

Il Forum economico mondiale a una svolta.

Con lo "spirito di Davos" così minacciato, il WEF sarà ancora in grado di risolvere i problemi posti dalla globalizzazione?

 

"Il WEF ha ancora molto da offrire, ma se si ostina a rimanere un club esclusivo per persone facoltose che la gente normale non riesce a capire e a cui anzi tende ad attribuire la colpa di tanti problemi, non farà che perdere sostegni", commenta Gretta Fenner, direttrice del Basel Institute on Governance. "Si può parlare finché si vuole, ma dove sono le azioni tangibili, dove la responsabilità per tutte le dichiarazioni e gli impegni sottoscritti dai leader durante il Forum?".

Nonostante si sia dichiarato più inclusivo, il WEF è ancora molto costoso (tanto che per farne parte si arriva a pagare fino a 600'000 dollari l’anno) e il suo ritrovo annuale rimane un evento esclusivo, solo su invito e con importanti misure di sicurezza. Nonostante i tanti appelli sottoscritti per rallentare il cambiamento climatico, i CEO vi si recano sui loro jet privati. Alcuni degli incontri più importanti avvengono in via ufficiosa, a porte chiuse, e i badge dei partecipanti sono ancora divisi per colore a indicarne la scala gerarchica.

Questa volta, però, senza i grandi nomi e le potenze che in genere attirano l’attenzione, è possibile che venga dedicato più tempo a voci e prospettive diverse. La Grecia ha annunciato che per la prima volta sarà presente con la Greek House Davos , mentre l’India ha promosso diversi eventi nella settimana che precede il Forum. Il continente africano è presente con la delegazione di più alto livello di sempre, con sette capi di Stato e decine di ministri.

"Considerato che al momento il mondo è in difficoltà su diversi fronti, quella di mettere insieme diverse teste per confrontarsi su alcuni dei problemi più pressanti mi sembra una buona idea", dice Bach.

 "Ciò non significa che io abbia chissà quali aspettative sulla nostra capacità di trovare soluzioni ai problemi più urgenti dell’umanità, ma penso che ritrovarsi faccia a faccia possa rivelarsi positivo… [e] che l’impegno combinato di chi parteciperà al WEF possa davvero fare la differenza".

 

 

 

 

Non si pretende che Reagiate,

figuriamoci… ma almeno,

per piacere, Non Dimenticate!

Conoscenzealconfine.it –( 15 Luglio 2022)- Andrea Zhok- ci dice :

 

Il blocco politico-mediatico occidentale ha condotto la popolazione ucraina al macello e i popoli europei all’immiserimento e ad una subordinazione terminale.

Quando l’Ucraina sarà un deserto di rovine, smembrato tra Russia e Polonia, con milioni di profughi, mentre la recessione distruggerà quel che resta del welfare europeo e la nuova cortina di ferro sul mar Baltico ci costringerà a tempo indefinito a spendere le ultime risorse in armamenti, quel giorno e in tutti gli anni a venire, per piacere, ricordatevi di tutta la compagine di politici, opinionisti e giornalisti che nel febbraio scorso vi spiegavano come fosse un affronto inaccettabile per l’Ucraina sovrana rinunciare all’adesione alla Nato e accettare gli “Accordi di Minsk”, che aveva sottoscritto.

Ricordatevi di quelli che hanno lavorato indefessamente, giorno dopo giorno, per rendere ogni trattativa impossibile, che hanno nutrito ad arte un’ondata russo-fobica, che vi hanno descritto con tinte lugubri la pazzia-malattia di Putin, che vi hanno spiegato come l’Europa ne sarebbe uscita più forte di prima, che vi hanno raccontato che la via della pace passava attraverso la consegna di tutte le armi disponibili, che hanno incensato un servo di scena costruito in studio come un prode condottiero del suo popolo.

Se 5 mesi fa non avessero avuto la meglio queste voci miserabili, se l’Ucraina non fosse stata incoraggiata in ogni modo a “tenere il punto” con la Russia (che tanto garantivamo noi, l’Occidente democratico), l’Ucraina oggi sarebbe un paese cuscinetto, neutrale, tra Nato e Russia – con tutti i vantaggi dei paesi neutrali che sono contesi commercialmente da tutte le direzioni – un paese pacifico dove si starebbe raccogliendo il grano, e che non piangerebbe decine di migliaia di morti (né piangerebbero i loro morti le madri russe).

Ma, mosso dal consueto amore per un bene superiore, dai propri celebri principi non negoziabili e incorruttibili, il blocco politico-mediatico occidentale ha condotto la popolazione ucraina al macello e i popoli europei all’immiserimento e ad una subordinazione terminale.

Non si pretende che reagiate, figuriamoci… ma almeno, per piacere, non dimenticate!

(Andrea Zhok- ariannaeditrice.it/articoli/quando-l-ucraina-sara-un-deserto-di-rovine).

 

 

 

Da Davos lo sguardo

sul nuovo ordine mondiale.

Formiche.net- Salvatore Zecchini –( 26/05/2022)- ci dice :

Da Davos lo sguardo sul nuovo ordine mondiale.

Il nuovo ordine mondiale che si deduce dai tanti interventi va nel senso della contrapposizione tra il blocco occidentale e la Russia, con la Cina in posizione defilata. Nessuno ha azzardato configurare lo scenario di uscita dalla guerra in Ucraina, ma vi è la sensazione che le relazioni internazionali hanno superato un punto di svolta per andare verso un nuovo assetto.

Dopo due anni di sospensione a causa della pandemia è ripresa in questi giorni a Davos la consuetudine dell’incontro annuale di personalità del mondo economico-finanziario e di quello politico, organizzato dal World Economic Forum ossia da Klaus Schwab. Quest’anno l’atmosfera non appariva così glaciale come nel passato per via della calendarizzazione dell’evento a febbraio nel mezzo dei rigori dell’inverno alpino.

 Pur nella mitezza del clima primaverile, in una cornice di verde rigoglioso e compatto, non sono mancati accenti preoccupati sull’evolvere della situazione economica, che è apparsa fortemente condizionata dagli sviluppi politici delle tensioni tra grandi potenze. Tra i molti temi dibattuti quelli centrali, che hanno improntato gran parte degli interventi, hanno riguardato le prospettive di recessione economica in America ed Europa, l’impatto della lotta all’alta inflazione corrente, le politiche energetiche, la carenza di forniture di prodotti alimentari di base, e il contributo del progresso tecnologico al superamento delle attuali difficoltà. Della pandemia da Covid e dei suoi strascichi, invece, non è rimasta traccia nelle discussioni, come se fosse un evento superato senza conseguenze.

Sull’economia americana è giudizio condiviso che il contrasto alle tensioni inflazionistiche ha assunto priorità sulla crescita e che il rialzo dei tassi d’interesse continuerà con rapidità fin quando la dinamica dei prezzi interni non mostrerà di rientrare su livelli tali da rassicurare sul non radicamento di aspettative inflazionistiche tra gli operatori economici.

La conseguenza sarà un inevitabile ripiegamento della crescita, ma sul se si verificherà una recessione le opinioni differiscono. Per alcuni questa sarà inevitabile, in quanto nonostante l’ascesa dei salari l’elevata inflazione sta erodendo il potere d’acquisto dei consumatori. Molte grandi imprese ormai si attendono un afflosciarsi della domanda, un calo degli utili e un ridimensionamento dei progetti d’investimento. Altri commentatori mettono in discussione l’assunto di un consumatore che spende meno; invece, si attendono soltanto un rallentamento della crescita dovuto oltre che alla restrizione monetaria, alle non ancora superate difficoltà di approvvigionamento dopo lo sconvolgimento delle catene di fornitura, e ai rincari di energia, materie prime ed alimentari.

L’eco delle attese di una recessione si è già avvertita sui mercati azionari, con notevoli cadute degli indici di borsa, specialmente del Nasdaq, grande instabilità in gran parte dei mercati finanziari e spinte recessive sulla congiuntura. In questi sviluppi taluni intravedono una replica dello scoppio della bolla dei titoli tecnologici nel 1999 con il suo seguito, ma giustamente altri sottolineano che a differenza di quegli anni oggi le grandi compagnie del Nasdaq presentano bilanci solidi, grandi programmi d’investimento e considerevoli programmi di ricerca ed innovazione.

Se si guarda d’altronde alla reazione dell’economia americana dopo i due shock del 2009 e del 2020, è più probabile che possa evitare una recessione, ma subirà un forte rallentamento.

Molto dipenderà dal livello a cui la Fed porterà i tassi d’interesse per raffreddare la domanda. In questo quadro, dal lato dell’offerta la rottura di consolidate filiere del valore ha un suo peso, perché riconfigurarle richiede tempo, comporta costi maggiori e alcuni fornitori esteri non sono rimpiazzabili per anni. I rischi della globalizzazione per la sicurezza dell’occidente e la difesa dei suoi valori sono stati, invece, messi in risalto dal Segretario Generale della Nato.

Ma il reshoring sarà un fenomeno limitato ad alcune produzioni strategiche per la sicurezza nazionale, e non una nota dominante tale suffragare la visione di alcuni intervenuti di una deglobalizzazione in corso.

Contro quest’ultima tesi J. O’Neil, ex presidente di Goldman Sachs, ha avanzato anche un argomento finanziario: fin quando gli USA e altri Paesi avranno bisogno del risparmio estero per crescere e troveranno conveniente investire in Asia e altri Paesi la globalizzazione continuerà.

Naturalmente continuerà, come sostenuto in un recente articolo dallo scrivente, secondo schemi diversi dal passato per tener conto del near-shoring volto a ridurre l’insicurezza nelle lunghe catene di fornitura e per effetto delle sanzioni contro i Paesi nemici dell’Ucraina.

Nell’evoluzione della globalizzazione si avvertiranno gli effetti del recente accordo internazionale sull’armonizzazione della tassazione minima dei redditi delle imprese e sul prelievo fiscale per le grandi multinazionali dei servizi.

Il numero uno dell’Oecd ha espresso fiducia che entro l’anno si scioglieranno i rimanenti nodi tecnici attraverso discussioni in sede Oecd e che si potrà applicare il nuovo accordo nel 2024. Ma altri intervenuti hanno manifestato dubbi perché sul primo pilastro dell’accordo (la tassazione minima) il Congresso americano e alcuni Paesi non sono favorevoli, mentre è possibile che venga applicato il prelievo sulle grandi multinazionali sulla base del luogo di produzione del reddito.

In Europa le prospettive di crescita appaiono più incerte di quelle americane per effetto della vicinanza alla guerra nell’Est europeo, le conseguenti sanzioni economiche, la dipendenza energetica dalla Russia e l’atteso rialzo dei tassi d’interesse guida, con i riflessi su bilanci pubblici già in tensione.

Commissione Europea e BCE hanno cercato di placare le aspettative di una recessione accompagnata da elevata inflazione. La Lagarde ha insistito sulla gradualità nel rialzo dei tassi e Gentiloni ha escluso che si debba ricorrere a restrizioni nelle politiche di bilancio, ma ha raccomandato grande cautela nelle politiche di spesa pubblica e un forte impegno ad attuare il Pnrr e le riforme.

Altri intervenuti non appaiono dello stesso avviso di fronte a una dinamica dei prezzi troppo alta, a tensioni sui mercati delle commodities e dell’energia, e a un perdurante eccesso di domanda, che va riportata in linea con le limitazioni dell’offerta dovute a fattori su scala mondiale.

La presidentessa della Commissione Ue ha enfatizzato la dimensione geopolitica della crisi in Europa, con un duro discorso sulle responsabilità della Russia e sul nuovo atteggiamento dell’Europa.

A suo dire, la Russia dovrà “soffrire” per il fallimento strategico delle sue azioni aggressive e sarà chiamata a contribuire all’opera di ricostruzione dell’Ucraina, anche attraverso l’impiego dei beni sequestrati ai russi dopo l’invasione. L’embargo verso i prodotti energetici russi sarà rafforzato, mentre la diversificazione delle fonti energetiche e la transizione verde dovranno proseguire insieme all’attuazione del PNRR. Verso la Cina, invece, va tenuto un atteggiamento cauto, perché pur essendo un temile concorrente sui mercati, mostra una convergenza di interessi con gli europei, ad esempio nella lotta al cambiamento climatico.

I temi dell’energia e dell’indipendenza dalle forniture russe e da fonti fossili hanno suscitato molti interventi nella prospettiva di diversificazione dei Paesi d’importazione e della sicurezza energetica in condizioni di compatibilità con la transizione verde. In Europa vi sono importanti differenze nella vulnerabilità energetica dei Paesi, vulnerabilità difficili da superare nel breve periodo per la segmentazione dei mercati e delle infrastrutture lungo le frontiere nazionali. Per un approccio europeo al problema è indispensabile investire nelle infrastrutture di connessione delle reti elettriche, gasdotti e oleodotti con quelle di altri Paesi partner, in modo da costituire una rete integrata, che permetta di gestire al meglio le criticità che possono emergere a livello nazionale.

La proposta di porre un tetto al prezzo del gas all’ingrosso non ha riscosso generale consenso. Il premier spagnolo, Sanchez, l’ha sostenuta come strumento temporaneo per contrastare gli eccessi del mercato, che rischiano di penalizzare la produzione e i consumi, oltre a colpire particolarmente i meno abbienti. Altri, in specie i rappresentanti di imprese energetiche, sono d’avviso contrario, appellandosi al ruolo del mercato come ri-equilibratore tra domanda ed offerta. In realtà, questa misura tende a deviare le correnti di rifornimento dai Paesi che l’applicano, ritarda l’aggiustamento dei soggetti economici al nuovo assetto dei prezzi relativi, determina penuria negli approvvigionamenti, impatta negativamente sugli investimenti e riduce l’incentivo alla decarbonizzazione.

 Gli stessi obiettivi dei governi nell’imporre un tetto possono essere raggiunti con altri strumenti, quali gli incentivi agli investimenti green, la modulazione della tassazione, che rappresenta una notevole componente del prezzo finale, a seconda delle tensioni sui mercati, il potenziamento delle reti infrastrutturali e l’applicazione di standard di efficienza energetica nelle produzioni in generale, incluse quelle energivore.

I picchi raggiunti dalle quotazioni delle materie prime e di quelle energetiche, il blocco delle esportazioni ucraine di derrate dai suoi porti, le sanzioni alla Russia e le restrizioni all’export decise da grandi Paesi esportatori di derrate rischiano di determinare una crisi alimentare in vaste aree del mondo. I pochi rappresentanti di organizzazioni umanitarie presenti a Davos hanno chiesto iniziative per scongiurare una carestia in diversi Paesi africani, una richiesta a cui ha risposto la von Der Leyen, annunciando che sono in corso discussioni per lo sblocco dei porti ucraini e la messa in opera di mezzi alternativi di trasporto.

Sul problema scottante della cooperazione tra Paesi in tempi di crisi non si è visto gran che a Davos.

Il nuovo ordine mondiale che si deduce dai tanti interventi va nel senso della contrapposizione tra il blocco occidentale e la Russia, con la Cina in posizione defilata.

Nessuno ha azzardato configurare lo scenario di uscita dalla guerra in Ucraina, ma vi è la sensazione che le relazioni internazionali hanno superato un punto di svolta per andare verso un nuovo assetto. Da un lato, si andrebbe verso il contenimento reciproco delle grandi potenze, e dall’altro lato, verso il ricompattamento dei Paesi meno potenti attorno ad alleanze per la tutela reciproca contro potenziali aggressori.

 Un ritorno alla guerra fredda del secolo scorso non sembra più attuale, ma l’isolamento economico-finanziario della Russia e dei suoi alleati probabilmente durerà a lungo ed influirà sulla futura configurazione dell’economia mondiale. Ormai è tempo che gli italiani se ne convincano e ne traggano le conseguenze.

(Il nostro nemico è Klaus Schwab. Il finto filantropo buonista ! Ndr. ).

 

 

 

 

A Davos va in scena l’imbarazzo Ue:

così la guerra smaschera

la perdita di «soft power».

Corriere.it- Federico Fubini-( 24 mag. 2022)- ci dice :

 

A Davos va in scena l'imbarazzo Ue: così la guerra smaschera la perdita di «soft power»

Se un fattore emerge dai primi due giorni di incontri al World Economic Forum di Davos, esso riguarda la perdita di velocità dell’Unione europea. Sta perdendo il suo soft power per la sua difficoltà di reagire a una guerra atroce ai suoi confini.

Non è più una protagonista delle discussioni e quando lo è, viene relegata a un ruolo negativo: se ne parla più per ciò che l’Europa non riesce a fare che per ciò che ha fatto nei primi tre mesi di guerra in Ucraina.

 

LA GUERRA ECONOMICA.

Starbucks lascia la Russia dopo 15 anni: chiuderà 130 negozi.

L’effetto della guerra.

Sicuramente il conflitto ha indebolito la credibilità politica di Berlino e di Bruxelles e da 48 ore questa nuova realtà si respira nell’aria del Congress Centre di Davos. La si avverte più da ciò che si evita di dire, che da quel che si afferma apertamente. La si legge fra le righe delle dichiarazioni, che nei titoli. Ma è uno dei fenomeni nuovi di un evento la cui agenda in passato spesso è stata dettata dai leader Francia, Germania, Gran Bretagna e anche di Bruxelles.

LA GUERRA IN EUROPA.

Grano, Ucraina isolata per mare e per terra: «E i russi rubano le scorte».

Le sanzioni insufficienti.

Il tono lo ha dato lunedì Volodymyr Zelensky quando Klaus Schwab, il patron del Forum, gli ha chiesto quale fosse il suo messaggio personale a ciascuno dei leader.

 «Preferisco dire che l’Ucraina non ha tempo – ha risposto il presidente ucraino –. Nessuno sa quanto tempo ha l’Europa». Implicita ma evidente nelle parole di Zelensky era la consapevolezza che, dopo tre mesi, l’Europa non è riuscita a stabilire nessun tipo di sanzioni sulle principali fonti di entrate di Vladimir Putin: il gas e il petrolio.

 Su entrambi i fronti non ci sono state neppure misure parziali, neppure un avvio di provvedimenti in grado di cambiare qualcosa. Qualunque siano le ragioni, questo è un fatto che grava come un macigno sulle discussioni di Davos.

Gas e elettricità, i consumi salgono ad aprile: così aumenta la dipendenza da Mosca.

La ricerca del compromesso con Putin.

Al contrario, aleggia il sospetto che le principali capitali dell’Europa occidentale abbiano fretta di trovare un compromesso che fermi la guerra in una maniera accettabile anche per il Cremlino.

Ha detto oggi in uno degli incontri il presidente polacco Andrzej Duda: «Se qualche politico in Europa pensa sia possibile indurre gli ucraini a fare concessioni, come dice in Italia Silvio Berlusconi, allora si sbaglia profondamente».

Questo del resto è l’umore che prevale al Forum, almeno ufficialmente. Il logo dell’evento è stato cambiato con i colori della bandiera ucraina e l’immobile della Promenade che di solito diventava la “Russia House” è stato ribattezzato in “Russia War Crimes House”.

Era il luogo che in passato veniva affittato a caro prezzo dalla folta delegazione di oligarchi di Mosca al Forum, che ora il miliardario ucraino Viktor Pinchuk ha ripreso per farne la sede di una mostra fotografica sulle devastazioni e le stragi di guerra.

ENERGIA

Petrolio, l’Italia aumenta le importazioni dalla Russia: sono 4 volte di più.

L’ipocrisia della politica.

In fondo però proprio la ex “Russia House” rivela una certa dose di ipocrisia, che non manca mai in questo rito fra le montagne svizzere in cui la ricchezza celebra se stessa e con Klaus Schwab  promette di cambiare il mondo.

Fino al 2020, all’ultimo evento, gli oligarchi, i politici e il denaro russo erano più che benvenuti al Forum. Erano fra i protagonisti del business, se non degli eventi politici.

 

Grano, tra il 2022 e il 2023 i consumi supereranno la produzione.

Ora però si notano più le mancanze dell’Unione europea. Come l’aver lasciato sola la Moldova, che ormai sta accogliendo rifugiati ucraini per un numero pari al 12% della sua popolazione di quattro milioni.

«Siamo un piccolo Paese con un grande cuore», ha rivendicato oggi la 44enne premier Natalia Gavrilita.

Che poi non ha potuto fare a meno di notare come la sua richiesta di adesione all’Unione avanzi molto, molto lentamente malgrado la posizione chiave del Paese e il ruolo molto costruttivo svolto in questa fase.

 Anche sul piano economico il vecchio continente sembra più esposto. Ieri l’amministratrice delegata di Citigroup, Jane Fraser, ha lasciato capire che l’Europa è l’area del mondo nella quale diventa più probabile una recessione per lo choc della guerra e delle materie prime.

 Così l’Europa a Davos sta perdendo un bel po’ del suo soft power. E se in Ucraina le armi non tacciono presto, difficilmente lo recupererà.

 

 

 

Davos e il mondo meno global.

Ilmattino.it- (25 Maggio 2022)- Giorgio La Malfa-ci dice :

 

Negli ultimi trent’anni la marcia della globalizzazione sembrava inarrestabile. La fine dell’Unione Sovietica aveva fatto sperare che una Russia convertita al capitalismo potesse integrarsi rapidamente con le economie dei Paesi dell’Europa occidentale.

Questo avrebbe consentito a noi di accedere alle materie prime e alle immense riserve energetiche della Russia e a loro di ottenere tecnologie e beni di consumo finale per sollevare un Paese la cui popolazione ha tuttora uno standard di vita inaccettabile.

A sua volta, più o meno a partire dagli stessi anni, la Cina sembrava scegliere il capitalismo: si industrializzava si integrava nell’economia mondiale per poi entrare nel 2001 nel Wto. Le grandi imprese multinazionali americane trovavano nella Cina un fornitore affidabile e relativamente poco costoso per le loro produzioni, anche quelle tecnologicamente più sofisticate.

Nel nuovo clima politico ed economico di questi decenni si andava affermando l’idea che ormai il mondo costituisse un unico grande mercato in cui era irrilevante sapere da dove venivano le materie prime e i prodotti energetici, dove erano prodotti i beni intermedi, dove si assemblavano i prodotti finiti. Contava solo il fatto che nei luoghi prescelti prevalevano i prezzi più bassi.

Trovava applicazione nel mondo la teoria dei vantaggi comparati di David Ricardo e si poteva sognare che “le commerce doux” - il commercio dolce - di cui avevano parlato gli illuministi avrebbe ingentilito gli animi e contribuito a far scomparire le guerre.

Uno dei luoghi simbolo nei quali si celebravano i fasti della globalizzazione era la cittadina di Davos in Svizzera, non più celebre perchè Thomas Mann vi aveva ambientato la Montagna Magica ma perché annualmente vi affluivano uomini di governo, banchieri centrali e non, industriali e finanzieri per presentare le loro idee sul mondo, ma soprattutto per imbastire affari.

 Il rétentissement delle riunioni di Davos era massimo, anche se si trattava essenzialmente di un’occasione di business.

Ieri a Davos è cominciata la conferenza di quest’anno, ma quasi non ce ne siamo accorti, leggendo i giornali di oggi. La ragione è semplice.

La crisi del processo di globalizzazione è sotto gli occhi di tutti. Più che celebrarne i fasti, si deve recitare il de profundis.

Prima c’è stata la pandemia che ha rivelato la fragilità delle catene di valore troppo lunghe - una espressione pomposa per dire che i prodotti finiti che richiedono di assemblare parti componenti prodotte in varie parti del mondo comportano il rischio di intoppi e di costi inaspettati maggiori dei benefici che si attendono dalla dispersione della produzione nelle parti più svariate del mondo.

Poi è venuta la guerra in Ucraina che ha fatto il resto. Il sogno dell’integrazione fra la Russia e l’Europa occidentale è svanito, anche se la Germania, soprattutto, fa fatica a piegarsi a questo dato della realtà.

Ma anche nel mondo politico italiano si ripete l’argomento che non possiamo fare pagare ai nostri concittadini un prezzo troppo alto. Ci si rende conto che il problema non è trovare gli approvvigionamenti meno costosi ma di evitare i condizionamenti politici.

 Basta fermarsi a considerare le contraddizioni dell’Europa occidentale che fornisce armi all’Ucraina ma non usa l’arma più efficace per difendere il buon diritto di quel paese che sarebbe costituita dalla rinuncia a importare il gas da quella Russia. Invece di impedire alla Russia di fare la guerra si aiuta la Russia a farla e l’Ucraina a difendersi. Ha ragione Vlodomir Zelensky a dire che la risposta dell’Europa occidentale è debole e contraddittoria.

In questo quadro, non c’è da sorprendersi se Davos abbia poco da dire.

Le vicende di questo periodo con la Russia e con la Cina dicono che bisogna tornare a pensare nuovamente nei termini in cui si ragionava fra la fine della seconda guerra e la caduta del Muro di Berlino, dove non era Davos il luogo deputato alla discussione , ma le riunioni della Trilaterale nelle quali si incontravano gli europei, gli americani e i giapponesi o il Bildeberg nel quale si confrontavano soprattutto Europa e Stati uniti. Ed a livello politico dove era la Nato la sede principale di collegamento fra la politica e l’economia. (Già, ma allora non comandava solo Klaus Schwab…Ndr).

E’ evidente che vi sono differenze molto profonde fra Europa e Stati Uniti ed anche all’interno dell’Europa. Si tratta di questioni politicamente gravi e difficili. Vanno discusse in sedi interne al mondo delle democrazie.(Ma Klaus Schwab vuole eliminare le democrazie !Ndr.)

 Sapendo che un mondo diviso in blocchi produce meno ed a costi maggiori e che dunque bisogna ragionare su come ripartire i costi ed evitare che pesino sulle parti più deboli: la lezione di questi ultimi anni è che la politica “della Globalizzazione di Klaus Schwab -Ndr)” viene prima dell’economia e la condiziona pesantemente.

 In Europa stentiamo ancora prenderne atto.

 

 

 

Ucraina, il pragmatismo di Kissinger.

 Altrenotizie.org- Michele Paris-(25 Maggio 2022)- ci dice :

 

Quando quella di Henry Kissinger è tra le voci più ragionevoli dell’Occidente, è molto probabile che le prospettive per l’Europa e gli Stati Uniti siano ancora più cupe di quanto già di tema.

 In un intervento al tradizionale summit del World Economic Forum di Davos, l’ex segretario di Stato e consigliere per la Sicurezza Nazionale di Richard Nixon ha infatti invitato il regime ucraino e i suoi sponsor a mostrare maggiore “saggezza” e, in sostanza, a fare pesanti concessioni alla Russia per mettere fine al conflitto in corso ed evitare ulteriori “conseguenze disastrose”.

Kissinger ha in larga misura rispolverato uno dei principi geo-politici cardine della politica estera americana, quello cioè che impone di evitare il consolidarsi di una solida alleanza tra Russia e Cina in grado di esercitare il controllo sull’area euro-asiatica a discapito degli interessi e dell’egemonia globale di Washington.

Questa prospettiva è vista con orrore dalla classe dirigente USA, ma si sta rapidamente materializzando proprio a causa delle politiche implementate a partire almeno dall’amministrazione Obama e dall’accelerazione impressa da Biden dopo l’inizio delle operazioni militare russe in Ucraina.

In maniera estremamente lucida nonostante i suoi quasi 99 anni, Kissinger ha ricordato il ruolo fondamentale della Russia negli equilibri strategici europei, spiegando che l’unica via d’uscita che eviti un conflitto rovinoso per l’Occidente è in pratica l’accordo per una Ucraina neutrale.

Prosegue ancora Kissinger: “i negoziati devono iniziare nei prossimi due mesi, prima che si creino tensioni e sconvolgimenti difficili da superare. L’ideale sarebbe tornare allo status quo ante”. Per Kissinger, “proseguire la guerra oltre questa soglia non avrebbe più nulla a che fare con la libertà dell’Ucraina, ma diventerebbe una guerra contro la Russia”.

Il pacifismo non è evidentemente al centro del pensiero di Kissinger. L’avvertimento a fermare la follia anti-russa che ha contagiato le élites occidentali serve piuttosto a prospettare una via d’uscita che eviti il precipitare nel baratro, sia sul fronte economico sia su quello militare.

 Il riferimento allo status quo ante implica inoltre l’accettazione da parte dell’Ucraina della cessione di parte del proprio territorio alla Russia, a cominciare dalla Crimea.

 La realtà sul campo ha peraltro già superato gli auspici di Kissinger, tanto che Kiev dovrà con ogni probabilità dire addio definitivamente anche alle repubbliche di Donetsk e Lugansk.

L’intervento di Kissinger ha causato sbigottimento e rabbia tra molti di coloro che in passato lo avevano celebrato come un insuperabile “statista” o una sorta di oracolo della geo-politica americana.

Il fatto che uno degli uomini maggiormente coinvolti nei peggiori crimini commessi dagli Stati Uniti su scala globale nel secondo dopoguerra sia oggi una delle pochissime voci moderate in Occidente la dice lunga sul clima che si respira in Europa e negli Stati Uniti.

Anche se in molti si sono scagliati contro l’ex segretario di Stato, alcuni addirittura auspicandone apertamente la morte, lo stesso invito a parlare pubblicamente a Davos è forse un altro segnale del crescente diffondersi di inquietudini e malumori tra i potenti in Occidente per la china che ha imboccato la guerra in Ucraina. Dietro l’apparente compattezza, ostentata sempre nella cittadina svizzera con l’immancabile intervento in videoconferenza di Zelensky, sembrano esserci parecchi timori per le conseguenze di un conflitto interamente evitabile e provocato dai governi occidentali.

Se appare difficile una marcia indietro a questo punto, c’è almeno da sperare che prese di posizione come quelle di Kissinger contribuiscano a rompere il fronte dei guerrafondai e a offrire una via d’uscita diplomatica in tempi brevi.

Per quanto riguarda il tentativo di impedire il consolidarsi della partnership strategica russo-cinese, il consiglio di Kissinger sembra essere invece fuori tempo massimo. A questo proposito è interessante citare un’intervista all’ex alto ufficiale dell’intelligence militare russa, Dmitry Trenin, pubblicata proprio nei giorni scorsi dal network russo RT.

Esponendo gli obiettivi strategici di Mosca nel perseguire le operazioni militari in Ucraina, Trenin spiega tra l’altro come lo sguardo del suo paese sia sempre più a est e agli sviluppi di una realtà globale impostata al multipolarismo.

 Nella creazione di un nuovo modello per l’ordine mondiale, racconta Trenin, gli orientamenti russi vanno verso la “cooperazione con potenze come Cina e India, così come Brasile, e con attori regionali come Turchia, i paesi ASEAN [Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico], i paesi del Golfo [Persico], Iran, Egitto, Algeria, Israele, Sudafrica, Pakistan, Argentina, Messico” e altri ancora.

 

 

 

 

I BRICS sfidano il

multilateralismo occidentale.

Affariinternazionali.it- Emanuela Colaci-(27 Giugno 2022)- ci dice :

 

Nella dichiarazione finale del vertice dei Paesi BRICS del 23 e 24 giugno, si legge molta retorica del ‘nuovo ordine mondiale’ in chiave anti-occidentale.

 Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa hanno espresso in 75 punti fondamentali le loro priorità per il futuro: il “ritorno del multilateralismo”, “dell’economia globale contro i protezionismi”, “la riforma del Consiglio di Sicurezza Onu”.

 Il vertice dei Paesi ‘emergenti’ ha anticipato di qualche giorno il summit del G7, in programma fino al 28 giugno a Elmau con i capi di Stato e di governo di Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Giappone, Canada, Stati Uniti e dell’Unione europea in qualità di ospite.

Due chiavi di lettura per le tante contraddizioni.

Le proposte dei BRICS non tengono conto delle principali contraddizioni dei Paesi ex-emergenti rispetto ai principi del multilateralismo e dell’ordine onusiano basato sulla pace e sull’integrità territoriale degli Stati sovrani:

tra i cinque Paesi emergenti solo il Brasile ha adottato sanzioni internazionali e denunciato l’aggressione russa dell’Ucraina al voto dell’Assemblea delle Nazioni unite il 2 e il 24 marzo scorso.

Sulla strada della contraddizione – con la Russia, paese aggressore, che non ha nascosto la minaccia dell’utilizzo dell’ “arma nucleare” incidentalmente all’aggressione dell’Ucraina – nella dichiarazione finale compare anche l’invito al dialogo tra Kyiv e Mosca e la necessità di un maggiore controllo degli armamenti, in particolar modo delle armi nucleari.

Il focus “multilaterale” dei BRICS non considera le responsabilità rispetto ai civili uccisi in nella guerra della Russia all’Ucraina: secondo l’ufficio dell’Alto Commissario Onu per i Diritti umani sarebbero più di 5 mila i morti e 6 mila i feriti tra la popolazione ucraina (stime considerate al ribasso), con “la maggior parte  delle vittime causate dall’uso di armi esplosive con un’ampia area di impatto, compresi i bombardamenti di artiglieria pesante e sistemi di lancio multiplo di razzi, missili e attacchi aerei”.

Come leggere queste prese di posizione retoriche, alla luce della guerra contro l’Ucraina?

 Una prima chiave di lettura arriva dalla lista dei Paesi invitati al XIV meeting, quest’anno organizzato da Pechino: l’elenco dei partecipanti ha incluso delegazioni di Argentina, Egitto, Indonesia, Iran, Kazakistan, Cambogia, Malesia, Senegal, Thailandia, Uzbekistan, Fiji ed Etiopia.

Tutti potenziali candidati per entrare nella formula BRICS+? In questo senso si dirigono le dichiarazioni del presidente cinese Xi Jinping, pronto a offrire un ombrello protettivo ai possibili nuovi “non-allineati”:

“Alcuni Paesi politicizzano le questioni dello sviluppo e impongono sanzioni per creare divisioni e scontri. Questi Paesi si impegnano nel costruire ‘piccoli cortili con alte mura’ e nelle sanzioni per creare in modo artificiale scontri e divisioni”. L’attacco di Xi al sistema delle “sanzioni unilaterali”, ostacolo allo sviluppo armonico e globale nella visione cinese, scarica le responsabilità sui paesi dell’Alleanza occidentale, responsabili di portare il mondo sull’orlo della crisi alimentare ed economica. In particolar modo sul benessere, già precario, dei Paesi del sud del mondo.

La seconda chiave di lettura porta dritti al cuore dell’ideologia di Vladimir Putin, espressa a più riprese e anche nel suo intervento in videoconferenza con i quattro leader BRICS:

“Gli Stati occidentali scaricano i propri errori macroeconomici sul resto del mondo attraverso meccanismi finanziari”, ha affermato il presidente russo.

Queste dichiarazioni ricalcano il retroterra ideologico espresso al Forum Economico di San Pietroburgo, il 17 giugno scorso:

Quando ho parlato a Davos nel 2020 ho ribadito che l’ordine unipolare è finito. È una questione storica e naturale. Gli Stati Uniti che hanno pronunciato la vittoria nella guerra fredda non si sono accorti che in tutto il mondo si sono sviluppati nuovi centri con nuovi modelli di istituzioni e crescita economica. Questi centri hanno il diritto di difendere la loro sovranità nazionale. Questi cambiamenti hanno un carattere fondamentale, è impossibile restare seduti e aspettare che tutto ritorni come prima. Ma sembra che alcuni leader occidentali restino attaccati a queste convinzioni”.

Un modello alternativo a quello occidentale.

I BRICS rappresentano il 41% della popolazione globale, il 24% del PIl e il 16% del commercio globale. La vera novità riguarda il tentativo del gruppo di influenzare le relazioni internazionali attraverso un revanscismo anti-occidentale, offrendo garanzie “economiche” sul libero scambio e il benessere globale ai Paesi più in difficoltà su questioni come l’approvvigionamento alimentare ed energetico.

 La Russia diventa così il paese aggredito dalle sanzioni – con evidente svantaggio della parte del mondo che sta peggio – senza che siano analizzate le ragioni che hanno portato al regime delle sanzioni, attualmente in vigore, né questioni impellenti per la sicurezza alimentare come il blocco del grano, di cui le responsabilità russe sono evidenti.

La volontà di costruire un modello (di potere) alternativo a quello occidentale era chiara sin dalla prima dichiarazione congiunta dei BRICS del 16 giugno 2009 al meeting di Ekaterinburg, in Russia:

“Esprimiamo il nostro forte impegno per la diplomazia multilaterale con le Nazioni Unite che svolgono il ruolo centrale nell’affrontare le sfide e le minacce globali. A questo proposito, riaffermiamo la necessità di una riforma globale dell’Onu al fine di renderla più efficiente in modo che possa affrontare le sfide globali odierne in modo più efficace”.

Questa volontà non ha investito solo la ricerca di una riforma del multilateralismo del post Seconda guerra mondiale: dal 2009, nel mondo, si sono susseguite crisi e guerre regionali, che hanno visto la Russia giocare un ruolo fondamentale.

 Nel conflitto siriano – la Siria è tra i cinque Paesi dell’Onu che ha rifiutato di condannare l’aggressione russa all’Ucraina– e in Mali, dove la brigata Wagner ha coadiuvato l’azione del governo in chiave anti-islamista. Bamako ha recentemente chiuso i rapporti diplomatici con la Francia, con Parigi costretta a ritirare gran parte dei soldati della missione Barkahane, attivata nel 2013 con l’invio di 5 mila unità.

Se la Russia ha agito sul piano militare e strategico – anche attraverso le infiltrazioni dell’intelligence nei paesi occidentali, come avvenuto in Italia – negli anni la Cina ha rafforzato le sue partnership commerciali, nei Paesi africani come in Asia, fino a spingersi in Europa (ancora una volta, in Italia).

La nuova via della Seta resta l’ipoteca di Pechino sulla realizzazione di quel nuovo ordine economico globale che vede la Cina guidare gli equilibri del commercio e dell’approvvigionamento di materie prime fondamentali.

 

 

Editoriale: L’Agenda del WEF e la visione di Xi Jinping che sarà a Davos per offrire una soluzione cinese all’economia mondiale piena di pandemia e protezionismo.

Agenparl.eu -  AGENPARL ITALIA-(15 Gennaio 2022)- ci dice :

 

L’ evento virtuale dell’Agenda di Davos offre la prima piattaforma globale del 2022 affinché i leader mondiali si uniscano per condividere le loro visioni per l’anno a venire.

L’evento virtuale della durata di una settimana, che si svolgerà sul sito Web del World Economic Forum e sui canali dei social media dal 17 al 21 gennaio 2022, vedrà la partecipazione di capi di stato e di governo, amministratori delegati e altri leader. Discuteranno le sfide critiche che il mondo deve affrontare oggi e presenteranno le loro idee su come affrontarle.

L’evento segnerà anche il lancio di numerose iniziative del Forum, compresi gli sforzi per accelerare la corsa all’azzeramento delle emissioni nette, garantire l’opportunità economica di soluzioni positive per la natura, creare resilienza informatica, rafforzare le catene del valore globali, costruire economie in mercati fragili attraverso investimenti umanitari , colmare il divario nella produzione di vaccini e utilizzare soluzioni di dati per prepararsi alla prossima pandemia.

“Tutti sperano che nel 2022 la pandemia di COVID-19, e le crisi che l’hanno accompagnata, inizino finalmente a recedere”, ha affermato Klaus Schwab , fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum.

“Ma ci aspettano grandi sfide globali, dal clima al cambiamento per ricostruire la fiducia e la coesione sociale. Per affrontarli, i leader dovranno adottare nuovi modelli, guardare a lungo termine, rinnovare la cooperazione e agire in modo sistematico. L’Agenda 2022 di Davos è il punto di partenza per il dialogo necessario per la cooperazione globale nel 2022″.

Partecipanti all’Agenda 2022 di Davos.

I leader mondiali che pronunceranno discorsi speciali sullo “Stato del mondo” includeranno:

Narendra Modi , Primo Ministro dell’India

Kishida Fumio , Primo Ministro del Giappone

António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite

Ursula von der Leyen , Presidente della Commissione Europea

Scott Morrison , Primo Ministro dell’Australia

Joko Widodo , presidente dell’Indonesia

Naftali Bennett , Primo Ministro di Israele

Janet L. Yellen , Segretario del Tesoro degli Stati Uniti

Yemi Osinbajo , vicepresidente della Nigeria

Xi Jinping , presidente della Repubblica popolare cinese

Olaf Scholz , Cancelliere federale della Germania

Il programma vedrà anche relatori tra cui:

Tedros Adhanom Ghebreyesus , Direttore Generale, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

Fatih Birol , Direttore Esecutivo, Agenzia Internazionale per l’Energia

José Pedro Castillo Terrones , Presidente del Perù

Ivan Duque , presidente della Colombia

Anthony S. Fauci , Direttore, National Institute of Allergy and Infectious Diseases, National Institutes of Health degli Stati Uniti d’America

Yasmine Fouad , Ministro dell’Ambiente dell’Egitto

Kristalina Georgieva , Direttore Generale, Fondo Monetario Internazionale (FMI)

Alejandro Giammattei , Presidente del Guatemala

Al Gore , vicepresidente degli Stati Uniti (1993-2001) e presidente e co-fondatore, Generation Investment Management

Paulo Guedes , Ministro dell’Economia del Brasile

Paula Ingabire , Ministro dell’Informazione, delle Tecnologie della Comunicazione e dell’Innovazione del Ruanda

Paul Kagame , Presidente del Ruanda

John F. Kerry , inviato presidenziale speciale per il clima degli Stati Uniti d’America

Christine Lagarde , Presidente, Banca Centrale Europea

Guillermo Lasso , Presidente dell’Ecuador

Ngozi Okonjo-Iweala , Direttore Generale, Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)

Abdulaziz Bin Salman Bin Abdulaziz Al Saud , Ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita

Nicolas Schmit , Commissario per il Lavoro ei Diritti Sociali, Commissione Europea

François Villeroy de Galhau , Governatore della Banca Centrale di Francia

Sarah bint Yousif Al-Amiri, Ministro di Stato per la Tecnologia Avanzata, Ministero dell’Industria e della Tecnologia Avanzata degli Emirati Arabi Uniti

Carlos Alvarado Quesada , Presidente del Costa Rica, Ufficio del Presidente del Costa Rica

A tal riguardo da notare che il quotidiano comunista cinese Global Times ha pubblicato un articolo dal titolo «Xi per rivolgersi a Davos, offrire una soluzione cinese all’economia mondiale piena di pandemie e protezioniste», secondo il quale «lunedì il presidente cinese Xi Jinping parteciperà alla sessione virtuale del Forum economico mondiale di Davos del 2022 e fornirà osservazioni da Pechino tramite collegamento video. Gli osservatori hanno affermato che poiché il mondo è ancora una volta al bivio per affrontare il COVID-19, la Cina, con i suoi contributi alla prevenzione globale del COVID-19 e allo sviluppo economico stabile, potrebbe offrire approcci cinesi e saggezza non solo per la ripresa ma anche per resistere all’erosione del protezionismo e dell’unilateralismo».

Su invito di Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, Xi parteciperà all’evento lunedì, ha annunciato venerdì il portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying. L’evento virtuale dell’Agenda di Davos si svolgerà dal 17 al 21 gennaio e vedrà la partecipazione di capi di stato e di governo, amministratori delegati e altri leader per discutere delle sfide critiche. L’evento segna il lancio di numerose iniziative del forum, tra cui gli sforzi per accelerare la corsa all’azzeramento delle emissioni nette, garantire l’opportunità economica di soluzioni positive per la natura, creare resilienza informatica, rafforzare le catene del valore globali, costruire economie in mercati fragili attraverso investimenti umanitari, creare un ponte il divario nella produzione del vaccino e utilizzare soluzioni di dati per prepararsi alla prossima pandemia, secondo un comunicato dal sito Web ufficiale.

Contro la dilagante diffusione della variante Omicron a livello globale, il mondo è ancora una volta al bivio. E mentre i leader mondiali si riuniscono per discutere delle sfide globali, vogliono ascoltare dalla Cina come il mondo può collaborare per combattere la pandemia di COVID-19, come stimolare l’economia globale e ridurre il divario di sviluppo e lo sviluppo dell’economia cinese , Su Xiaohui, vicedirettore del Dipartimento per gli studi internazionali e strategici del China Institute of International Studies, ha dichiarato al Global Times.

Su ha osservato che in precedenza, le osservazioni del leader cinese ai forum di Davos hanno sempre aiutato a dissipare le nuvole e ad offrire approcci e saggezza cinesi. Nel 2017, il discorso del presidente Xi, che ha sottolineato l’apertura della Cina al mondo, ha rafforzato la fiducia globale nella globalizzazione e nel futuro.

Nel 2021, mentre il mondo stava ancora combattendo il coronavirus ed era minacciato dal protezionismo, il presidente Xi ha anche espresso un severo ripudio in molte importanti questioni multilaterali di tattiche di bullismo, pregiudizio ideologico e odio, nonché disaccoppiamento economico e sanzioni, che ha avvertito potrebbero spingere il mondo nella divisione e nel confronto, e ha offerto un approccio multilaterale inclusivo che guiderebbe il mondo fuori dall’oscurità.

La Cina si è distinta non solo nella lotta contro il COVID-19 a livello nazionale, ma anche nel riprendere lo sviluppo economico in mezzo a cupe aspettative, rendendola il motore per la ripresa globale e lo stabilizzatore della catena industriale globale nell’era post-COVID-19. Potrebbe offrire l’approccio e la saggezza della Cina mondiale per resistere all’erosione del protezionismo, hanno affermato gli osservatori.

Altri leader che parteciperanno all’evento includono il primo ministro indiano Narendra Modi, il primo ministro giapponese Kishida Fumio, il primo ministro australiano Scott Morrison, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il presidente dell’UE Ursula von der Leyen e il segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen.

Approcci cinesi .

“Ripresa dalla pandemia”, “resilienza economica e sociale” e cooperazione globale sono temi chiave per l’evento di Davos. Ora, nel terzo anno della pandemia, il rapido sviluppo dei vaccini è un risultato scientifico per secoli, ma la variante Omicron mostra che il mondo deve dare la priorità alla distribuzione globale universale. E la pandemia ha anche riportato il mondo indietro con molti problemi, inclusa la disuguaglianza dei vaccini, secondo un comunicato dal sito ufficiale del forum.

In quanto paese con la popolazione più numerosa al mondo, la Cina adotta il proprio metodo per tenere sotto controllo l’epidemia e sta anche esplorando modi per aggiornare la sua politica dinamica zero e bilanciare la prevenzione e lo sviluppo economico, che potrebbero offrire esperienza ad altri paesi e contribuire alla lotta globale contro il coronavirus, ha dichiarato venerdì al Global Times Huo Jianguo, vicepresidente della China Society for World Trade Organization Studies di Pechino.

Come paese in via di sviluppo, fintanto che la Cina ha messo sotto controllo il COVID-19, non ha perso tempo ad assistere altri paesi, inclusa la donazione di vaccini in particolare ai vasti paesi in via di sviluppo per ridurre il divario vaccinale a livello globale, ha osservato Huo.

Alla fine del 2021, solo il 7,5% degli 1,3 miliardi di persone del continente africano è completamente vaccinato, mentre alcuni paesi occidentali stanno accumulando molti più vaccini del necessario e li stanno sprecando. Alcuni paesi occidentali hanno donato vaccini che sicuramente scadranno ai paesi in via di sviluppo, in particolare al continente africano, il che ha prosciugato le aspettative e i budget dei paesi riceventi.

La Cina aveva già fornito all’Africa circa 180 milioni di dosi di vaccino al 30 novembre 2021, coprendo quasi tutti i paesi africani. La maggior parte degli oltre 6 milioni di dosi di vaccini contro il COVID-19 somministrati in Zimbabwe sono stati sviluppati da aziende cinesi.

Nell’agosto 2021, il presidente Xi ha promesso di compiere sforzi per fornire al mondo 2 miliardi di dosi di vaccino contro il COVID-19 quest’anno e di donare 100 milioni di dollari alla COVAX per promuovere le disposizioni globali sui vaccini, in un discorso scritto alla prima riunione di un forum internazionale cooperazione sui vaccini COVID-19.

Dallo scoppio dell’epidemia, la Cina è diventata anche l’unica grande economia al mondo a raggiungere una crescita positiva nel 2020 nell’ambito di forti politiche di controllo dell’epidemia ed è diventata la spina dorsale della crescita economica globale, hanno affermato gli esperti, osservando che i risultati economici della Cina potrebbero anche infondere fiducia nei leader globali sulla ripresa.

L’International Finance Forum di dicembre ha stimato che l’economia globale dovrebbe crescere del 5,9% nel 2022, riprendendosi a un livello pre-pandemia del 2019. La Cina rimarrà il maggior contributore alla crescita globale con il 26,3%, seguita dagli Stati Uniti con il 16,7% e dall’India con l’11%.

Il FMI prevede una crescita del PIL del 5,6% per la Cina nel 2022, superiore alla crescita media del 4,9%.

“La pratica cinese ha dimostrato che la Cina non solo ha controllato l’epidemia, ma ha anche assicurato uno sviluppo economico sostenibile con una crescita positiva”, ha affermato Huo, osservando che “la stabilità dell’economia cinese è il suo contributo all’economia globale, poiché la dimensione dell’economia cinese è relativamente grande”.

 

Se l’economia mondiale crescerà in media del 5% quest’anno, la Cina non contribuirà per meno di un terzo all’economia globale, ha previsto.

Alcuni hanno minimizzato lo sviluppo della Cina negli ultimi 10-20 anni. Ma guardando indietro, la maggior parte del pessimismo mostra che non erano disposti a vedere nulla di buono in Cina e speravano di vedere la Cina incontrare maggiori difficoltà, ha detto al Global Times Lian Ping, capo dello Zhixin Investment Research Institute.

Per rafforzare la sua economia, una Cina aperta offre importanti opportunità storiche alle aziende di tutto il mondo per condividere i dividendi dello sviluppo cinese.

A partire da gennaio 2022, la Cina ha annullato le restrizioni sui rapporti di partecipazione straniera nella produzione di autovetture. In seguito all’apertura dei settori dei servizi finanziari come titoli e assicurazioni, l’industria manifatturiera cinese ha accelerato e si è ulteriormente aperta.

Secondo un sondaggio pubblicato dalla Camera di commercio americana a Shanghai a settembre, il 59,5% delle società statunitensi intervistate ha dichiarato di aver aumentato i propri investimenti in Cina nel 2021, con un aumento anno su anno del 30,9%, vicino al livello prima del inizio della disputa commerciale tra i due paesi nel 2018.

Le società e gli investimenti americani continuano ad affluire nel mercato cinese, il che dimostra che la tendenza alla globalizzazione economica è irreversibile e la politica di “disaccoppiamento” del governo degli Stati Uniti è controproducente, hanno affermato gli osservatori del mercato.

La Cina sta giocando un ruolo più importante nelle catene di approvvigionamento globali. L’operatore ferroviario cinese ha riportato un nuovo record di 15.000 viaggi in treno merci Cina-Europa effettuati nel 2021, il 22% in più rispetto al 2020, dimostrando che i treni merci Cina-Europa sono diventati un potente “ancora di stabilità” nella catena di approvvigionamento globale, che è fondamentale per il buon funzionamento delle catene di approvvigionamento in tutta l’Europa centrale e in Asia centrale.

I treni merci Cina-Europa hanno stabilito nuovi record fornendo al contempo un servizio logistico stabile, affidabile e ad alta efficienza come pilastro per le catene di approvvigionamento globali, ha affermato all’inizio di questo mese il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin.

La Cina sta inoltre rafforzando la sua integrazione economica con l’Asia-Pacifico e altre regioni del mondo e ha spinto la cooperazione economica internazionale a nuovi livelli.

Il mondo ha assistito all’istituzione del suo più grande blocco commerciale, il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), dall’inizio del 2022, segnando una gloriosa vittoria del multilateralismo e aumentando le prospettive commerciali per i paesi della regione Asia-Pacifico.

Mentre avanzava il controllo interno, la Cina è stata attiva nel cercare la cooperazione con la comunità internazionale. La Cina ha ufficialmente presentato domanda per aderire all’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP) e ha anche presentato domanda per aderire all’Accordo di partenariato per l’economia digitale.

La tendenza anti-globalizzazione nei paesi sviluppati è dilagante, ma la Cina sta diventando un’importante forza trainante per l’apertura del mercato e la globalizzazione economica, ha detto Cheng Dawei, ricercatore presso l’Institute of China’s Economic Reform and Development della Renmin University of China. Tempi globali.

Il mondo deve resistere al protezionismo commerciale e sbarazzarsi della guerra fredda e del pensiero anti-globalizzazione, al fine di creare condizioni migliori per la ripresa, ha affermato Huo.

 

“Se il mondo non può farlo insieme, la ripresa non sarà efficace a breve termine”, ha avvertito Huo.

Fin qui la visione del World Economic Forum e della Cina.

Ma vediamo più in dettaglio la ‘visione’ del WEF che viene illustrata nella «Resilienza economica e sociale», secondo cui dopo decenni di progressi nell’affrontare la povertà e la disuguaglianza di reddito , il COVID-19 ci ha riportato indietro, portando il primo aumento della povertà estrema in una generazione .

 I governi hanno lanciato alcuni dei più grandi programmi di spesa sociale mai visti, ma la disuguaglianza e l’inflazione dei vaccini, in particolare l’aumento dei prezzi di cibo ed energia , minacciano di allargare ulteriormente i divari. Per riprendersi veramente, non dobbiamo solo stabilizzare le economie, ma anche garantire che siano resilienti ed eque, fornendo mobilità sociale, posti di lavoro e opportunità eque per tutti.

Le aziende riconoscono sempre più il valore di fare del bene a lungo termine e, nell’ultimo anno, ha gettato le basi per l’azione con impegni per lo zero netto , giustizia sociale e metriche ESG condivise . Ora, mentre intraprendiamo la prossima fase di ripresa, è importante mettere in atto questi piani e attuare veramente il capitalismo degli stakeholder per garantire che la ripresa tocchi non solo gli azionisti dell’azienda, ma anche i suoi dipendenti, clienti, fornitori, comunità locali e società a larga.

Il 7 gennaio, Klaus Schwab ha pubblicato il suo ultimo libro, The Great Narrative , scritto in collaborazione con Thierry Malleret. Basato su interviste con 50 dei principali pensatori del mondo, il libro esplora come possiamo costruire un futuro più inclusivo, sostenibile e resiliente.

Il 26 gennaio il Forum pubblicherà il suo Global Competitiveness Report 2021-2022.

Tutto chiaro?

Uno studio pubblicato durante la conferenza annuale della Federal Reserve Bank di Kansas City sostiene che la pandemia globale di coronavirus in corso ha già instillato nel pubblico la paura che smorzerà l’assunzione di rischi e la produzione economica per decenni.

Condotta dalla Federal Reserve Bank di St. Louis, la ricerca, intitolata “Scarring Body and Mind: The Long-Term Faith-Scarring effects of COVID-19” – ha proseguito affermando che la pandemia aumenterà solo la “probabilità percepita di uno shock estremo e negativo in futuro”.

“Mentre il virus alla fine passerà, verranno sviluppati vaccini e i lavoratori torneranno al lavoro, un evento di questa portata potrebbe lasciare effetti duraturi sulla natura dell’attività economica”, afferma lo studio.

“Le aziende prenderanno decisioni future pensando al rischio di un’altra pandemia”.

I ricercatori hanno notato che le aziende continueranno a essere eccessivamente caute non solo su un’altra epidemia virale , ma anche su altre possibili interruzioni inaspettate dell’economia .

La ricerca ha anche evidenziato il fatto che la pandemia renderà obsoleti alcuni “capitali”, come attrezzature ed edifici, a causa del loro valore in rapido deprezzamento nell’economia futura .

Questo può essere visto anche oggi, poiché i ristoranti stanno chiudendo le porte o consentendo solo ai commensali di utilizzare una piccola parte del loro spazio. Molti uffici sono ora vuoti poiché più dipendenti lavorano da casa.

Inoltre, il documento affermava che un minor numero di individui si assumerà un rischio aggiuntivo e avvierà nuove attività , poiché le attuali inadempienze e fallimenti diffusi li dissuaderanno dal farlo.

Lo studio ha suggerito che la pandemia di coronavirus comporterà danni a lungo termine ancora più profondi rispetto alla crisi petrolifera della fine degli anni ’70, alla recessione dei primi anni ’90 e alla Grande Recessione.

Tale danno economico potrebbe includere una sostanziale diminuzione del prodotto interno lordo degli Stati.

Quali saranno gli effetti del coronavirus? Con molta probabilità la pandemia ridurrà la produzione economica occidentale a vantaggio di quella cinese.

Ma sarà solo una questione economica? O ci saranno anche effetti psicologici che la pandemia ha ingenerato e ingenererà sugli individui, in particolare sui giovani e sulle persone psicologicamente più fragili o più esposte alla crisi economica derivante dall’emergenza sanitaria, cosa che sta già avvenendo ad esempio in Italia.

Ricordiamoci anche degli effetti che il covid ha prodotto sulle pensioni sul bilancio dell’INPS dove l’eccesso di mortalità nella popolazione anziana, si calcola, produrrà un bilancio positivo sui conti dell’Inps per circa 12 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Il risparmio annuale dell’Inps è stato di 1,11 miliardo di euro nel 2021. Ma, appunto, calcolando quanto avrebbe dovuto prendere di pensione nei prossimi dieci anni il gruppo sfortunato dei deceduti Covid 2020, si arriva alla cifra di quasi 12 miliardi di euro di risparmi.

E la prospettiva è chi inizia ora a lavorare in Italia andrà in pensione a 71 anni di età, ovvero in media circa 9 anni più tardi di chi si ritira oggi dalla vitta attiva.

Tutto chiaro?

(E’ tutto chiaro solo per la cricca agli ordini di Klaus Schwab .Ndr.).

 

 

 

Covid, un’esperienza sconvolgente:

è stata un’ipnosi di massa?

La visione della psicanalista Colette Soler.

msn.com-First online- Redazione- (17-7-2022)- ci dice :

Covid Italia.

Proprio in questi giorni è in libreria un libro che rivisita l’esperienza del Covid, purtroppo ricorrente anche se non nelle forme pandemiche delle origini, da un punto di vista diciamo “nuovo?”, “differente?”.

Si tratta del libro di Colette Soler, Scritto sotto il Covid. “Che fare dell’ipnosi di massa”, Guerini e associati, 2022.

Ormai sul Covid si è detto e scritto di tutto e c’è una certa saturazione mediatica e informativa. E anche molta voglia di parlare d’altro. Ma lo spazio per qualche riflessione ulteriore rimane ed è importante che sia esplorato.

Quello di Colette Soler, psicoanalista di scuola lacaniana e docente di filosofia all’Ecole Normale Supèrieure, è un punto di osservazione e una riflessione che meritano di essere considerati con attenzione. Prima di tutto per la caratura della studiosa francese e in secondo luogo perché, come dice il titolo del libro, è stato scritto a caldo durante il periodo della pandemia. Infatti il volume raccoglie i testi di una dozzina di video conferenze e interventi tenuti dall’aprile 2020 al marzo 2021.

Questa immanenza agli avvenimenti rende il libro ancor più suggestivo, perché non c’è stato neppure il tempo di farli sedimentare e analizzarli per ottenere il necessario distacco; siamo proprio in corpore vivo, come in una seduta di analisi.

E il punto di vista psicoanalitico, com’è avvenuto in molti altri casi della storia contemporanea grazie soprattutto alla Scuola di Francoforte, può contribuire a spiegare fenomeni difficilmente affrontabili e interamente spiegabili dalle discipline e dalle metodologie delle scienze umane tradizionali.

La tesi di Soler di aver visto dispiegarsi durante la pandemia una sorta di ipnosi di massa in cui il modo individuale è coinciso con il modo collettivo è, anche se può lasciare alcuni esitanti, una ipotesi suggestiva e, anche, con un certo fondamento.

In questo quadro è decisivo, inoltre, il ruolo che Soler attribuisce alla propria disciplina e ai suoi professionisti nel riservarsi un ruolo capace di capire dove li sta portando il proprio tempo. Il libro avvia anche un discorso interno alla psicoanalisi.

Del libro della Soler pubblichiamo qui sotto la prefazione di Mario Binasco, docente di Psicologia e Psicopatologia dei legami famigliari nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II alla Pontificia Università Lateranense e analista-membro della Scuola di Psicoanalisi dei Forum del Campo Lacaniano.

Condizione alterata.

«Sotto Covid»: così Colette Soler dice di avere scritto questo testo, e aggiunge «come si dice: scritto sotto Lsd». Scritto dunque in uno stato di alterazione, nel quale, aggiungo io, certe apparenze della realtà perdono la consistenza e la familiarità abituali, e altri tipi di sensibilità si acuiscono.

Ma questa condizione alterata è la stessa che è stata imposta a tutti da qualcosa che è accaduto: e che non è il fatto bruto di un virus invisibile benché reale, ma il racconto che le autorità sociali ne hanno fatto e le conseguenze che ne hanno tratto. Chi potrebbe negare che ‘sotto Covid’ sia la condizione in cui ciascuno, negli ultimi due anni, ha vissuto e sta ancora vivendo ogni aspetto della propria vita?

Lavoro, professione, scuola, rapporti famigliari, politica, rapporti sociali, prospettive di vita: tutto questo, quand’anche non sia stato interrotto o vietato, è comunque entrato in una specie di tempo sospeso, sospeso a un’emergenza decretata.

Qualcosa di sconvolgente.

Ma è il modo in cui questo è accaduto che giustifica il sottotitolo del libro. Qualcosa di inaudito e di inimmaginabile fino ad allora ha potuto accadere senza grandi obiezioni: che un’intera nazione si chiudesse in casa su ordine delle autorità, facendo tacere e azzerando le ragioni del vivere di fronte al nuovo criterio dominante, l’imperativo assoluto di evitare il contagio, identificato tout court con la morte.

 

Dove si trovano riunite queste condizioni? E cioè: una definizione dello stato della realtà totalmente determinato dalla parola di un’autorità, il comando di comportamenti congruenti con quel racconto, l’arrendevolezza del destinatario del comando che rinuncia alla critica, all’iniziativa di pensiero, al voler sapere, per non turbare il proprio rapporto con quella autorità? Nell’ipnosi. Quello che era accaduto e che continuava ad accadere aveva dunque tutte le caratteristiche di un caso di ipnosi di massa.

Ipnosi di massa.

Questa volta però non si trattava dell’ipnosi quotidiana e inavvertita alla quale da decenni la televisione ci ha abituato suggerendoci svariati modi di consumo anche politico e culturale: ciò che veniva suggerito non veniva semplicemente a prendere posto tra le altre possibilità vitali.

Questa volta la suggestione introduceva, con l’imperativo incondizionato di evitare il contagio, una logica di guerra, in cui ogni cittadino veniva arruolato: e come si sa, l’esercito in guerra è uno dei luoghi sociali nei quali ogni azione che non è obbligatoria è vietata; in cui viene proscritta per il soggetto singolo ogni assunzione di rischio – che invece normalmente caratterizza la vita del soggetto, i suoi atti, che fanno di quella vita la sua vita.

Sappiamo anche che non è concesso in guerra di interrogarsi sulle ragioni più o meno convincenti di quella manovra o di quel comportamento imposto. Nella situazione di guerra non è chiesto al soggetto di condividere l’azione e le sue ragioni, ma solo di eseguire i comportamenti prescritti: la collettività gli chiede una dedizione incondizionata, dove ogni minimo interrogarsi sulle ragioni dei comandi significa mettere in questione l’autorità a cui il soggetto appoggia il suo essere e contraddire il proprio desiderio di far parte del collettivo.

Lavoro per la psicoanalisi.

L’emergere allo scoperto della natura ipnotica dei legami sociali non può non porre questione agli psicoanalisti (ma non solo a loro): Freud ha inventato il dispositivo psicoanalitico abbandonando l’ipnosi e andando in direzione opposta, e nel campo del legame psicoanalitico, che Lacan chiama il Discorso del­l’Analista, è a quest’ultimo, l’analista, che tocca di mantenere operante ciò che differenzia radicalmente questo legame da ogni altro, fosse pure terapeutico.

Ma certamente l’analista non può ignorare o trascurare come funzionano i discorsi, cioè i legami al di fuori di quello analitico: perché l’analista è quello che molto più di ogni altro sa che il soggetto a cui il suo atto lo lega è lo stesso soggetto che si trova implicato, diversamente, negli altri legami sociali e nelle loro vicende.

L’immenso lavoro di Freud e di Lacan nel rendere conto concettualmente della struttura del soggetto e dell’impossibilità di suturarne l’esistenza gli consegna un sapere e un compito.

Dove stiamo andando.

Colette Soler constata che :

«Il trauma da Covid-19 ha prodotto negli psicoanalisti, dopo un momento di stupore, come una specie di risveglio, un sentimento di urgenza. Un’urgenza di pensare nuovamente il loro posto e la loro funzione nelle nuove condizioni esterne».

Per poi chiedersi:

«Che opportunità lascia il governo del collettivo della società a questo discorso della psicoanalisi? La cui caratteristica, a differenza degli altri, è che in esso ci si impegna solo per scelta; per lui [l’analista] è dunque impossibile ignorare lo stato delle mentalità plasmate dalla politica, e ha quindi bisogno di una diagnosi aggiornata per sapere ‘dove lo sta portando il suo tempo’».

Tanto più, potremmo aggiungere, quando questo «risveglio» accade in parallelo a un aggravarsi del «sonno ipnotico» in altri funzionamenti di legame sociale. Ma la pratica dell’analisi, l’esperienza analitica, non dovrebbe già essere lei stessa una pratica di risveglio?

Certamente: e «perché sia così, bisogna evidentemente che gli analisti continuino a credere nella radicalità di ciò che fanno e a volerla, questa radicalità», afferma Colette.

Ma questo non basta.

Questo straordinario libretto di Colette da un lato sollecita gli analisti a fare fronte, a credere fino in fondo a quello che fanno e che li distingue, a riconoscere e a orientarsi sull’essenziale dei fatti della struttura dei soggetti e dei legami sociali, a cui questi prendono parte, ad assolvere il compito o il dovere che «a essi tocca in questo mondo» (Lacan).

E dall’altro lato si offre a chi cerca di agire responsabilmente in questi campi della vita sociale e vuole rispondere di ciò che cerca e che fa: a tutti quelli che lavorano e si impegnano a diverso titolo e in diverse posizioni in questi altri legami sociali – dalla politica all’educazione, ai servizi di cura, all’economia e all’impresa, alla giustizia nella sua immensa crisi – e infine, o forse in primo luogo, nei media e nell’informazione, ambito cruciale di ogni propaganda e di ogni acquiescenza ipnotica; in tutti i dispositivi nei quali essi si trovano a trattare i soggetti nelle loro vite, e a decidere delle sorti dell’umano.

Vorrebbe invogliarli a interessarsi e a prendere in conto ciò che la psicoanalisi rivela del reale inaggirabile del soggetto umano, per poter pensare e sperimentare un’alleanza diversa da quella che, nella modernità, la tecnoscienza ha stretto col potere politico e sociale.

La scienza e la tecnica hanno sedotto i potenti promettendo di rendere possibile il superamento progressivo dell’impotenza umana, ma scambiando l’impossibilità con l’impotenza da cui la tecnoscienza promette di liberarci, hanno finito per imporre alla società il modello del campo di concentramento e per alimentare la gigantesca fuga dal reale di cui è sintomo l’ideologia dell’enhancement e del post-human: fuga dal reale perché fuga dall’impossibile («il reale è l’impossibile», Lacan).

Vorrei che la miriade di intelligenti osservazioni di Colette Soler ci aiutassero a lasciarci sedurre stavolta non dalla dilagante negazione della dipendenza del soggetto dal reale, ma invece dalla presa in conto dell’impossibilità come fatto di struttura dell’essere parlante, che la psicoanalisi dimostra essere condizione e fattore inaggirabile per la vivibilità dell’umano.

Chi è Colette Soler.

Colette Soler è stata docente di filosofia all’Ecole Normale Supérieure e presso le Università di Parigi VIII e Parigi VII. L’incontro con l’insegna­mento e la persona di Jacques Lacan l’ha poi portata a scegliere la psicoa­nalisi. È stata membro della Scuola freudiana di Parigi, in seguito direttrice dell’École de la Cause freudienne e iniziatrice dell’Internazionale dei Forum del Campo Lacaniano (IFCL) e della sua Scuola di Psicoanalisi (EPFCL). In­segna in ambito lacaniano in Francia e all’estero, tenendo seminari periodici e ricoprendo fin dall’inizio responsabilità direttive. Tra i suoi libri, tradotti in diverse lingue, ricordiamo L’epoca dei traumi (2004), Quel che Lacan diceva delle donne (2005), Lacan, l’inconscio reinventato (2010), L’inconscio a cielo aperto della psicosi (2014), Gli affetti lacaniani (2016) e Avventi del reale. Dall’angoscia al sintomo (2018).

 

 

 

Crisi del gas, staremo al freddo

e non servirà praticamente

a niente. I calcoli esatti.

Visionetv.it- Giulia Burgazzi- (16-7-2022)- ci dice :

Quest’inverno ci chiederanno il sacrificio di stare al freddo, ma non servirà a praticamente a niente, come fu per le nonne che a suo tempo donarono l’oro alla patria. Basta fare i conti. E i conti li hanno fatti sia l’ENEA (l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) sia Moody’s, la blasonata agenzia statunitense di rating.

Fra poche settimane il Governo e l’Unione Europea imporranno di abbassare il riscaldamento nelle case per risparmiare gas.

Questo risparmio così doloroso sarà una goccia nel mare. Assolutamente insufficiente per ovviare in modo minimamente significativo alla mancanza di gas in cui ci hanno precipitati la politica antirussa e ultra atlantica di Roma e di Bruxelles e le conseguenti ritorsioni della Russia.

 Oltretutto ci si attende che la Russia chiuda completamente i rubinetti e che sia necessario dire addio anche a quel poco gas russo che nonostante tutto continua ad arrivare.

L’ENEA ha calcolato che l’austerity domestica meticolosamente applicata da tutte le famiglie consentirà all’Italia di risparmiare 2,7 miliardi di metri cubi di gas. I 2,7 miliardi sembrano un’enormità.

Lo sembrano assai meno se si tiene conto del fatto che, in tempi normali, all’Italia servono in un anno 29 miliardi di metri cubi di gas russo: il gas che già sta mancando e che verosimilmente mancherà del tutto.

Nonostante la dura austerity domestica, il “buco” sarebbe comunque pari a 26 miliardi abbondanti di metri cubi. Rappresentano più di un terzo delle abituali importazioni annuali di gas (dalla Russia non solo) dato che e in tempi normali arrivano in Italia  72,75 miliardi di metri cubi . La produzione nazionale è pressoché insignificante.

L’austerity domestica in base alla quale ENEA calcola quel modesto risparmio corrisponde ad abbassare il riscaldamento da 20 a 19 gradi; ridurre il funzionamento dei termosifoni di un’ora ogni giorno e poi ancora di 15 giorni all’anno. Sai che bel  frescolino, a fine ottobre a fine marzo, nelle case non riscaldate dell’Italia settentrionale!

E tutta la frenetica attività del Governo per procurare gas alternativo a quello russo? Su questo, si è incaricata di indagare l’agenzia Moody’s, quella le cui parole sono Vangelo quando alza o abbassa il rating. Stavolta il Vangelo di Moody’s recita: l’Italia riuscirà a sostituire il gas russo solo nel 2025. Il rapporto dell’agenzia non è pubblico, ma il succo è comunque on line.

E dunque – non può che essere la conclusione – probabilmente ci imporranno di abbassare il riscaldamento ben di più. Staremo al freddo e al buio (anche l’elettricità di produce col gas) ma anche donando l’equivalente del nostro oro alla patria le attività economiche non potranno funzionare come di consueto, con tutto ciò che da questo deriva in termini di impoverimento collettivo. E’ questo l’inverno che ci si prepara.

GIULIA BURGAZZI.

(E tutto per obbedire agli ordini disumani di Klaus Schwab! Ndr. ) .

 

Le dimissioni di Draghi.

Washington e Bruxelles

hanno già votato per farlo restare.

 

Non se ne va mica tanto facilmente. Il Presidente della Repubblica ha respinto ieri, giovedì, le dimissioni di Draghi e l’ha rispedito davanti al Parlamento, dove pure lo stesso Draghi aveva appena ottenuto il voto di fiducia: ma non con la maggioranza plebiscitaria che egli vorrebbe.

Tuttavia, se Draghi ha bisogno di altri voti per mettere lo scranno al riparo dallo scarso gradimento degli italiani (nei sondaggi ha avuto un crollo del 12% ed è al ora 48%), dovrebbe ben sapere che Washington e Bruxelles hanno già votato per lui.

(Lo ha ordinato il “Dio” Klaus Schwab.Ndr.)

Per questo, fra gli scenari possibili, c’è anche quello in cui il capo del governo è per qualche tempo un altro, magari Giuliano Amato, ma la crisi economica ed il tumultuoso, ulteriore deterioramento del tenore di vita legati all’ormai certa mancanza di gas fanno sì che venga richiamato in sella colui che alcuni chiamano il Migliore. In questo caso, visto quel che è accaduto finora, Draghi non potrebbe che peggiorare ulteriormente le cose: ma almeno lo farebbe con unità nazionale, senza tumulti e senza opposizione.

Draghi si è dimesso perché ieri, giovedì, il M5S è uscito dall’aula del Senato al momento di votare la fiducia sul cosiddetto decreto Aiuti. Draghi ha comunque ampiamente ottenuto la fiducia stessa. Alla Camera, dove le procedure sono diverse, il M5S la settimana scorsa ha votato la fiducia ma è uscito dall’aula per il decreto Aiuti.

 

Un capo del Governo che si dimetta subito dopo aver ottenuto il voto di fiducia del Parlamento, non lo si era ancora visto. Eppure è accaduto ieri. Draghi non vuole avere un’opposizione che non sia (come ora) numericamente residuale.

Dunque mercoledì 20 Draghi si presenterà al Parlamento per fare la conta di chi lo vuole e di chi non lo vuole. Per l’occasione, il M5S potrebbe anche rimangiarsi i mal di pancia che l’hanno indotto ad effettuare il modesto distinguo sul decreto Aiuti: del resto, il M5S non ha mai dato apertamente voto contrario.

E’ teoricamente possibile, ma improbabile, che Draghi accetti di continuare a governare senza il M5S. L’altra ipotesi è l’apertura della crisi di governo.

Però una cosa è chiara: ai piani altissimi – non si ratta dei piani alti nazionali – vogliono che Draghi resti. Repubblica ha raccolto  altolocate dichiarazioni provenienti da Washington secondo le quali per gli USA la guida di Draghi è determinante, nientepopodimeno. Parallelamente a Bruxelles la Commissione Europea ha seguito “con preoccupato sconcerto” le vicende italiane e il commissario UE italiano, Paolo Gentiloni, ha auspicato apertamente che “la leadership di Draghi continui”.

E dunque, anche se tutto può succedere, non è detto che Draghi se ne vada. E se anche se ne andrà, è verosimile che torni a galla.

GIULIA BURGAZZI.

 

 

 

Hai caldo ? Fatti tuoi.

Il sadismo “Estivo “ delle élites.

Visionetv.it- Andrea Sartori- (16-7-2022)- ci dice :

Le notizie su caldo e siccità continuano a riempire le pagine dei giornali, ma pare che se il caldo provoca gravi sofferenze le cosiddette “élites” siano completamente indifferenti a questo. Ricordiamo una delle stupidaggini più grosse del dittatore italiano Mario Draghi: “preferite la pace o il condizionatore?”.

Il popolo italiano ha risposto chiaramente alla domanda idiota e fuori luogo.

Ma questo non avviene solo in Italia. Abbiamo ad esempio l’Inghilterra che vede una stretta ancora più sadica sul caldo. Ad esempio: vietato bere. Nemmeno fossimo Lawrence d’Arabia che deve risparmiare l’acqua per attraversare il deserto e prendere Aqaba.

E questo è il caso delle infermiere britanniche. E’ stato loro proibito di bere acqua nell’area dell’ospedale nonostante l’ondata di caldo record anche per il Regno Unito.

Si è arrivati addirittura al record di 43 gradi e persino i vertici dello staff infermieristico d’Inghilterra hanno chiesto di permettere alle infermiere di bere.

Ci sembra un po’ ipocrita – afferma una delle infermiere – anche perché noi siamo incoraggiate a idratare i nostri pazienti”.

Queste folli misure paiono riflettere ancora la politica contro le infezioni.

Il gruppo “Nurses United UK2 ha sollevato la questione e l’organizzatore del gruppo Anthony Johnson ha parlato chiaramente “Dobbiamo favorire un cambiamento culturale nella nostra professione.

Anche gli infermieri sono esseri umani. È per questo che i nostri pazienti vogliono che usiamo la nostra compassione per prenderci cura di loro.

 I dirigenti che pensano che sia accettabile negare l’acqua agli infermieri dovrebbero vergognarsi di se stessi.

 In che modo i nostri infermieri si prenderanno cura di noi se non ci prendiamo cura di loro?.

Per una questione di decenza umana e di sicurezza del nostro paziente, questa “politica” deve essere messa in discussione”.

Ma non sono solo gli infermieri ad essere trattati come bestie. Anche i ragazzi delle scuole vengono puniti perché non sopportano il caldo.

E qui abbiamo il caso di Harrison Utting, un ragazzo di 13 anni che frequenta una scuola nel Kent e che è stato punito in una cella di isolamento tipo prigione militare per aver indossato dei comunque decenti pantaloni corti per andare a scuola.

La giustificazione è che “non ha rispettato l’uniforme scolastica”.

 Ma anche in questo caso c’è di mezzo l’ondata dio caldo, e questo problema è stato sollevato dal padre. Non fa nulla, va punito. E severamente, immaginate cosa può essere una cella di isolamento per un tredicenne.

La realtà è che attualmente il mondo è governato da pazzi psicopatici e sadici. (Il “Dio” della loro nuova religione è infatti un pazzo, ossia Klaus Schwab.Ndr.).

Certo, da sempre i governanti sono stati personaggi non troppo equilibrati, da Caligola per arrivare al fanatico Robespierre, al megalomane Napoleone sino ai recenti Hitler e Stalin.

Ma oggi alla psicopatia si aggiunge una vena di sadismo verso la popolazione ignota persino ai regimi più folli che riversavano i loro problemi mentali su alcune categorie (gli ebrei per Hitler, i kulaki per Lenin e Stalin…) mentre oggi tutta la popolazione è vittima delle turbe mentali di personaggi evidentemente malati di cervello.

(ANDREA SARTORI).

 

 

 

Vaccini e miocarditi nei giovani:

adesso anche “La Repubblica” se ne accorge.

Visionetv.it- Federico Mereta- Antonio Albanese- (16-7-2022)- ci dice :

 

“Miocardite e pericardite dopo vaccino Covid nei giovani, come limitare i rischi”: non si tratta di un articolo scientifico di qualche sconosciuta rivista medica, o di un anonimo blog complottista, novax, filo-putiniano.

A scriverlo è La Repubblica, il più potente megafono e sponsor della campagna vaccinale.

In questo articolo di Federico Mereta,  il quotidiano, diretto da Maurizio Molinari, appartenente al gruppo GEDI, cita uno studio canadese sul British Medical Journal che spiega, in caso di vaccinazione Covid 19, quanto sia importante allungare il periodo tra prima e seconda dose in chiave di riduzione del rischio.

Certo, secondo la lettura dei dati che fa l’autore, esiste comunque un “vantaggio della profilassi vaccinale”, vista una  “sostanziale rarità dei casi di infiammazione del miocardio e del pericardio dopo vaccinazione”, ma si premura comunque di spiegare che il “rischio di miocardite o pericardite potrebbe calare allungando ad almeno un mese l’intervallo tra prima e seconda dose”.

Lo studio è stato coordinato da Lisa Hartling, dell’Università dell’Alberta ad Edmonton, ed evidenzia come a rischiare di più siano gli  adolescenti maschi e nei giovani adulti maschi: per limitare i rischi, meglio distanziare le somministrazioni vaccinali, anche fino a 56 giorni tra una dose e un’altra, a seconda dell’età e del sesso.

Tutto è scritto in chiave “riduzione del rischio”, certo,  ma si ammette a denti stretti l’esistenza “di alcuni interrogativi cui occorre ancora fornire una risposta definitiva, rilevando una volta di più la complessità di una tematica che presenta ancora incertezze” consigliando “nei bambini una sorveglianza continua della miocardite dopo i vaccini a mRna”.

Abbiamo scritto più volte segnalando molti altri studi che riportano dati diversi rispetto a quello esaminato da “La Repubblica”, nonché l’esistenza di effetti collaterali.

Per gli scettici del siero non è certo una novità, ma adesso anche il quotidiano che è stato il peggior randello per chi osava dubitare sull’ innocuità dei sieri non può più fare ameno di ammettere l’esistenza di “meccanismi ancora ignoti che stanno dietro il potenziale rischio di miocarditi e pericarditi post-vaccinazione”: bisogna seguire la situazione dicono.

Lo dicono adesso dopo la politica vaccinale voluta da Speranza, invece ferrea e indeclinabile, che ha costretto  chiunque all’inoculazione, senza eccezioni, nemmeno in caso di pazienti che presentavano patologie allergiche o malattie che normalmente avrebbero controindicato un trattamento sanitario invasivo e sperimentale:  non ha risparmiato nemmeno i bambini, soggetti evidentemente al riparo dai sintomi gravi del virus.

Dopo il flop della quarta dose, le centinaia di migliaia di costosissime fiale rimaste inutilizzate e le evidenze scientifiche proposte da autorevoli scienziati il mainstream comincia a riallinearsi: ormai lo scetticismo ha debordato dagli argini delle fila dei famigerati novax.

E chissà: magari la sentenza del Tribunale di Firenze,  che Speranza ha avuto la faccia tosta di criticare, potrebbe essere stata un avvertimento per qualcuno.

(ANTONIO ALBANESE).

 

 

Bastille 2022: nasce il nuovo movimento

mondiale contro la tirannia dell’agenda Covid.

Visionetv.it- Andrea Sartori – (15-7-2022)- ci dice :

 

“Allons enfants de la Patrie, le jour de gloire est arrivé/contre nous de la tyrannie, l’étendard sanglant est levé”.

Non poteva che essere il 14 luglio il giorno più indicato per la nascita di Bastille 2022 il movimento che prende a suo simbolo proprio la presa della Bastiglia che, quel fatidico 14 luglio del 1789, diede inizio alla più importante rivoluzione della Storia che abbatté l’ancien régime.

Da cosa parte Bastille 2022? Dalla questione Covid 19.

Il nuovo movimento (che rifiuta l’appellativo di “movimento di protesta” perché non intende “negoziare coi governi”).

“La presa della Bastiglia avvenne a Parigi nel pomeriggio del 14 luglio 1789.

 La Bastiglia era un’armeria medievale, una fortezza e una prigione politica.

Era il simbolo dell’autorità reale sotto Luigi XVI.

 La monarchia francese fu costretta ad accettare l’autorità della neo-proclamata Assemblea Nazionale e ad appoggiare i diritti fondamentali contenuti nella Declaration des droits de l’Homme et du Citoyen (Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino) formulati all’inizio dell’agosto 1789.

 Più di 230 anni dopo questi diritti fondamentali (Liberté, Fraternité Egalité) sono contrastati da governi corrotti in tutto il mondo per conto di un’ illusorio e totalitaria casta finanziaria”.

(E’ la casta guidata da un pazzo, ossia da Klaus Schwab !Ndr.)

Questo l’incipit del manifesto di Bastille 2022 che rende ben chiaro il parallelo tra l’oggi e il 1789. il promotore del manifesto “Bastille 2022” è Michel Chossudovsky, professore emerito di Economia all’Università di Ottawa.

E continua “Bastille 2022 non è un movimento di “protesta” propriamente detto. Non cerchiamo di negoziare con funzionari governativi corrotti. Mettiamo in dubbio la loro legittimità. Sono dei mentitori”

Lo scopo è quello di creare un movimento di massa in tutto il mondo che di fatto rovesci le autorità politiche coinvolte nel progetto Covid 19 (di fatto, praticamente tutte le principali autorità mondiali). Ma sebbene anche le autorità russe e cinesi siano pesantemente coinvolte nel progetto Covid 19 Chossudovsky punta il dito soprattutto contro le élites statunitensi.

L’ amministrazione Biden – continua il manifesto – ha sposato l’agenda Covid, che è stata usata per destabilizzare e indebolire le economie nazionali, incluse quelle delle “nazioni nemiche”. Non possiamo separare la nostra comprensione della crisi Covid dalla politica estera USA e dall’agenda egemonica americana: il confronto USA-NATO con la Russia in Europa orientale, la militarizzazione del Mar Cinese Meridionale contro la Cina, l’Iran e la geopolitica del Medio Oriente, le attuali sanzioni contro Venezuela e Cuba, eccetera”.

Cosa propone quindi Chossudovsky?

“Ciò che è necessario fare è lo sviluppo di un’ampia rete di base che affronti sia gli architetti di questa crisi che tutti i livelli di governo (cioè nazionale, statale, provinciale, municipale, ecc.) coinvolti nell’imposizione del vaccino e nell’attuazione del lockdown e chiusura dell’attività economica.

Questa rete va istituita (a livello nazionale e internazionale) a tutti i livelli della società, nelle città e nei villaggi, nei luoghi di lavoro, nelle parrocchie. Sindacati, organizzazioni degli agricoltori, associazioni di categoria, associazioni imprenditoriali, sindacati studenteschi, associazioni di veterani. I gruppi ecclesiali sarebbero chiamati a integrare questo movimento.

 “Diffondere la voce” attraverso i social media e i media online indipendenti sarà intrapresa tenendo presente che Google e Facebook sono strumenti di censura.

Procedure legali e proteste si stanno svolgendo in tutte le principali regioni del mondo. Nell’ambito di una rete mondiale di iniziative, è importante stabilire meccanismi di comunicazione, dialogo e scambio all’interno e tra i paesi.

La creazione di un tale movimento, che sfida con forza la legittimità delle élite finanziarie, Big Pharma, et al., così come le strutture dell’autorità politica a livello nazionale, non è un compito facile”.

Un movimento gandhiano a livello mondiale. Funzionerà? Avrà diffusione?

 Chossudovsky non si fa illusioni, ad esempio sia anche di  livello legale, ben consapevole del fatto che “i giudici ricevono pressioni”.

Ma come diceva il filosofo cinese Lao Tzu “un viaggio di mille li (misura più o meno equivalente al nostro miglio) inizia con un solo passo”.

L’importante è cominciare.

(ANDREA SARTORI).

 

 

 

 

Il Pass non passa in Francia:

Macron non ha i numeri. E la libertà trionfa.

Visionetv.it- Martina Giuntoli – (15-7-2022) – ci dice :

 

In Francia, Macron ed i suoi avrebbero voluto reintrodurre il pass con vaccinazione completa per entrare ed uscire dal Paese a partire dal 31 luglio, all’interno della nuova legge sul Covid, ma niente, non ci sono riusciti.

Questo è quel succede a vincere le elezioni e a non aver i numeri per governare: ogni decisione passa inevitabilmente al vaglio dell’opposizione e spesso torna al mittente.

Proprio come in questo caso, con 219 voti contro e 195 a favore.

Inoltre, i voti, già risicatissimi, saranno ancora più risicati fino a quando i 21 parlamentari della maggioranza cui sono stati assegnati incarichi ministeriali dovranno aspettare 30 giorni per essere autorizzati a cercare i loro sostituti in parlamento.

 Come legge francese comanda.

La nuova legge sul Covid atta a valutare le misure necessarie da intraprendere per gestire la settima ondata di Covid, prevedeva essenzialmente due punti, di cui uno, il pass, bocciato.

L’altro, invece approvato dal parlamento, introduce la possibilità di estendere fino al 31 marzo 2023 l’utilizzo del database SI-DEP  del ministero della salute per la gestione dei contatti stretti con persone positive al SARS-COV2.

Diciamo la verità, la parte saliente riguardava il punto non approvato e la maggioranza (stiracchiata) infatti non ha gradito il risultato della votazione alla camera dei deputati.

Il Primo Ministro, Elisabeth Born, rilancia su Twitter tutta l’amarezza del voto contrario al pass espresso dai colleghi:

“È un brutto momento. Unendosi per votare contro le misure a protezione dei francesi contro il Covid-LFI, gli LR e l’RN di fatto impediscono qualsiasi controllo alle frontiere di fronte al virus.” , ha così raccontato dell’operato dell’Opposizione.

Peccato che all’amarezza dei macronisti e della Born corrisponda l’esplosiva felicità di moltissimi francesi che non nascondono la loro soddisfazione sui social in risposta ai tweet dei membri governativi.

Chissà se a qualcuno staranno tornando in mente quelli che tempo fa andavano insinuando dei dubbi circa la legittimità del risultato alle urne, dopo queste ulteriori prove pratiche di democrazia.

Ora la legge bocciata sarà quindi discussa quindi al Senato, dopo il dibattimento ed il voto di ieri alla Camera.

Secondo l’ordinamento francese, le leggi seguono un iter che va da Camera a Senato e viceversa finché maggioranza e opposizione non trovano un accordo o un compromesso. Un’ eventualità che in questo caso potrebbe verificarsi con grandissima difficoltà, sia chiaro.

Il ministro della Salute, François Braun, ha consolato i (pochi) sostenitori del regime del covid impegnandosi in prima persona affinché il governo riesca a ripristinare il pass quanto prima.

(Il green pass serve per la sorveglianza fisica del popolo. Questo è  il motivo per cui

Il “Dio” Klaus Schwab l’ha ordinata !Ndr.)

Sul suo profilo infatti riprende le parole del primo ministro, oltre a parlare continuamente di mascherine, distanziamento, cautele e attenzioni.

Tutto il mondo è paese, è vero, Braun non è poi così diverso dal nostrano Speranza.

Tuttavia l’opposizione d’Oltralpe, insieme alla ristretta maggioranza, sono una ricetta molto pericolosa per i compari dell’Eliseo. Non sembra infatti che questa si faccia problemi quando si deve bloccare una legge.

Come questa volta.

(MARTINA GIUNTOLI).

 

 

 

Il dopo Draghi. Il cerino acceso in mano

e i militari evocati da Sorgi già un anno fa.

Visionetv.it- Giulia Burgazzi- (15-7-2022)- ci dice :

Se oggi finisce il draghismo (ma finisce davvero?) si possono fare due considerazioni.

 La meno cupa è la prima, relativa alle terribili condizioni in cui questo Governo lascia l’Italia. Chi vorrà prendere in mano il cerino rischia seriamente di scottarsi.

Tornano inoltre in mente  – ed è la seconda considerazione – autorevoli ipotesi o magari  avvertimenti di un anno fa, quando tirava aria di crisi estiva: se cade Draghi, potremmo avere un governo militare. E la guerra, allora, non c’era neppure.

 

Una cosa per volta. Il Governo guidato da Draghi ha ridotto l’Italia in uno stato tale che lo stesso Draghi vuole rimanere in carica solo con una maggioranza così ampia da diluire le responsabilità e farle diventare sfumate e fondamentalmente impersonali.

Crisi economica, crisi energetica con la prospettiva di razionamenti a partire dall’autunno, inflazione all’8% (come dicono i dati ufficiali) solo per chi non gestisce le bollette e non va a fare la spesa, aumento delle spese militari, armi inviate all’Ucraina rendendo l’Italia praticamente sua co-belligerante contro la Russia in una guerra che gli italiani non vogliono.

Poi il Covid gestito a suon di green pass e vaccini (ormai quarta dose) acquistati e pagati con modalità faraoniche mentre la sanità è allo sfascio.

E ancora: le forche caudine rappresentate dalle terribili condizioni del PNRR, perfino la prospettiva del razionamento idrico…

E’ per annegare le responsabilità in mezzo a quelle di tutti gli altri, probabilmente, che Draghi non vuole restare a Palazzo Chigi se si sfila il M5S.

 Eppure avrebbe i numeri per rimanere.

Potrebbe trovarli persino se lo salutasse anche la Lega. Basterebbe qualche ulteriore transfugo dal M5S verso Di Maio, qualche “responsabile” magari reperito attraverso il “buon rapporto” con la Meloni.

Invece no. Se le condizioni in cui si trova l’Italia non sono addebitabili praticamente a tutte le forze politiche, l’uomo del “Si fa come dico io” se ne va, lasciando il cerino acceso nelle mani di qualcun altro.

(Già. Peccato che Draghi è un servetto di Klaus Schwab , ossia il suo Dio in Terra!Ndr.)

Ma se Draghi se ne va, chi al suo posto? Un anno fa, quando c’era odore di crisi di governo estiva, Marcello Sorgi – firma di punta della Stampa e dunque iscritto al Draghi fan club – vergò un editoriale che è giusto riesumare. Si concludeva dicendo che, in caso di dimissioni di Draghi,

al Presidente della Repubblica non resterebbe che mettere su un governo elettorale, forse perfino militare, com’è accaduto con il generale Figliuolo per le vaccinazioni. A mali estremi, estremi rimedi.

Più elmetti per tutti – Sorgi oltretutto lo ha scritto quando la guerra non era neanche all’orizzonte – e una prospettiva di ordine e disciplina perché altrimenti l’Italia, così gonfia di crisi, non può che scoppiare.

“Non è affatto detto” che si arriverà al governo militare, aggiungeva allora Sorgi. Ma intanto  l’ha detto.

(GIULIA BURGAZZI).

Quelle strane morti a Cambridge.

L’élite genera suicidi?

Visionetv.it- Andrea Sartori- (15-7-2022 )- ci dice :

 

Strane cose accadono a Cambridge, uno degli atenei più prestigiosi del mondo. Faccende oscure e, purtroppo, che hanno portato alla morte di alcuni studenti. Ma in maniera particolare dato che si tratta di una strana epidemia di suicidi. Infatti in soli quattro mesi l’università britannica è stata funestata da ben cinque sospetti casi di suicidio.

E’ stata ovviamente aperta un’inchiesta su quanto sta accadendo. I sindacati degli studenti hanno puntato il dito contro i vertici dell’ateneo, reo secondo loro di aver allentato le misure anti-suicidio. Già solo questo fatto indica che gli studenti di Cambridge sono da sempre a rischio suicidio.

E questo lo si comprende anche andando a capire gli studenti coinvolti. Apparentemente non ci sono legami tra i vari ragazzi. Le autorità di Cambridge non hanno rivelato i nomi degli studenti suicidi ma almeno due solo stati identificati: Daniel Fry, 20 anni, studente in Storia morto a marzo e Yasmin Lajoe, 34 anni studentessa in scienze umane, politiche e sociali deceduta a maggio.

L’ultimo tweet dello scorso 24 maggio è indicativo: “Sto lentamente emergendo da un bozzolo di dolore insopportabile, sono cambiata per sempre per averli conosciuti e perduti. Mi sentivo senza speranza. Ho sentito l’inerzia. Ma niente rimane così fermo per molto tempo. Cresciamo. Ci sarà di nuovo la gioia, di nuovo l’amore. Lo so ora.”

 

Nonostante il finale di auto-incoraggiamento si sente chiaramente il dolore della ragazza. Dovuto a cosa? Dal tweet parrebbe per aver perso qualcuno (qualcuno degli studenti suicidi?).

Molti di noi ricordano l’”Attimo Fuggente” il film che consacrò Robin Williams, ambientato in un college esclusivo e terminato col suicidio di uno degli allievi prigioniero delle aspettative della sua famiglia.

E dal Regno Unito andiamo in Asia: il suicidio è la principale causa di morte tra i giovani cinesi. Per quale motivo i giovani cinesi si suicidano?

 Lo stress provocato dalla scuola che si traduce nella pressione che la società cinese sbatte sulle spalle di questi ragazzi.

Stessa musica si sente in Giappone dove è presente il problema del suicidio degli studenti universitari. Prendiamo ad esempio le società asiatiche perché è notoria l’insopportabile pressione sociale presente in quei Paesi.

Ma questo accade anche in Occidente, specie nelle cosiddette “élites” che caricano i loro figli di pesi insopportabili. Cambridge è una delle università d’élite per eccellenza.

Davanti a questi fatti è meglio fermarsi e chiedersi: ne vale la pena? L’essere i migliori, ma a che prezzo?

Al di là di tutte le considerazioni che si possono fare riguardo l’ “essere élite” questo va detto: i figli dell’élite, quando sono un attimo sensibili, sono fragili e tristi. E la brutalità del loro ambiente oltre alla terribile pressione che sono costretti a subire li distrugge.

(ANDREA SARTORI).

 

Nel G7 vedo solo una riunione dell’élite

occidentale, arrogante e fallimentare.

Sinistrainrete.info- Paolo Ferrero-(30-6-2022)- ci dice :

 

Il vertice dei G7 viene magnificato dai cinegiornali nostrani per la sua rassicurante potenza: le democrazie occidentali, unite sono imbattibili e possono vincere ogni sfida globale contro i barbari. In realtà questo vertice è la testimonianza palmare del fallimento, dell’arroganza e della differenza di interessi che attraversa l’Occidente.

Vediamo meglio.

L’arroganza.

Una buona parte del vertice è stato speso sull’allargamento delle sanzioni alla Russia, sui tetti al prezzo del petrolio russo e il contesto è quello dell’aumento delle spese militari e delle forniture militari a Zelensky.

L’arroganza consiste nell’ipotizzare che attraverso le sanzioni economiche la Russia possa essere piegata.

Come ogni arrogante tende a sopravvalutare la propria forza, così i paesi occidentali non hanno visto una cosa macroscopica e cioè che il mondo in questi decenni ha avuto uno sviluppo che ha ridotto le distanze tra i paesi occidentali e altri paesi “in via di sviluppo”.

Questo fa sì che le sanzioni, non solo non abbiano messo in ginocchio la Russia – che è tutt’altro che isolata – ma che abbiano spinto la Russia, la Cina e molti paesi del sud a cercare di costruire rapidamente una alternativa.

 Questi altri paesi – a partire dalla Cina – temono infatti che il trattamento oggi riservato alla Russia possa essere riservato a ciascuno di loro nel caso di uno scontro con gli Usa.

Da questo punto di vista il piano di investimenti ipotizzato a Schloss Elmau, per dimensioni ed a causa dell’impostazione neoliberista in cui è inserito, non è destinato a invertire la tendenza nel rapporto tra Occidente e complesso dei paesi del Sud del Mondo.

Il fallimento .

Le sanzioni già poste in essere e quelle decise nelle Alpi bavaresi hanno quindi un duplice effetto che non è quello di piegare la Russia: in primo luogo distruggono l’economia europea tagliando definitivamente il cordone ombelicale con la Russia e sostituendolo con il cappio della dipendenza statunitense.

Come tutti gli arroganti, gli occidentali si sono fatti male da soli con politiche inflattive e recessive che stanno destabilizzando l’economia europea.

In secondo luogo spingono i paesi “non occidentali” ad accordarsi ed allearsi a partire dal commercio delle materie prime per arrivare agli scambi di manufatti, aprendo scenari inediti anche sul versante decisivo della finanza internazionale. Oltre al danno la beffa quindi.

Ma il danno è destinato a crescere perché gli effetti di medio periodo delle sanzioni e della politica aggressiva dell’Occidente nei confronti degli altri paesi sono destinati ad allargarsi.

Nei giorni scorsi si è tenuta la riunione dei Brics che hanno deciso di dar vita ad un mezzo di pagamento internazionale che possa essere agita al di fuori del circuito monetario del dollaro.

Questa decisione presa da paesi che rappresentano il 25% del Pil mondiale e il 40% della popolazione mondiale ha la forza per procedere e per ridimensionare significativamente la posizione di rendita di cui godono gli Stati Uniti e il blocco occidentale in generale.

Come se non bastasse dopo il vertice l’Argentina ha chiesto di entrare a far parte dei Brics e a occhio altri seguiranno a breve. In altre parole è la posizione dominante dell’Occidente sul piano economico e finanziario – e in parte militare – che sta venendo meno.

I nostri grandi, i G7, invece di cercare di costruire un nuovo ordine mondiale fondato sulla cooperazione e sulla lotta al cambio climatico vogliono imporre un loro ordine neo coloniale basato su armi atomiche e sanzioni economiche: stanno fallendo.

Ci troviamo quindi di fronte ad élites occidentali miopi ed arroganti che devono essere fermate il prima possibile.

Prima che l’economia europea venga devastata completamente dall’accettazione dei diktat statunitensi e prima che con l’invio di “Missili a media e lunga gittata” al mercenario Zelelnsky, gli Usa non ci portino direttamente nella terza guerra mondiale.

 

 

 Ucraina: 007 Kiev, Putin scampato

 ad attentato due mesi fa.

Mosca valuta il piano di pace italiano.

 

Ansa.it- Redazione Ansa – (23-5-2022)- ci dice :

Zelensky, solo mio incontro con Putin può finire la guerra. Lavrov, relazioni con Occidente? Ci penseremmo due volte.

Vladimir Putin "è sfuggito ad un attentato meno di due mesi fa": a sostenerlo è il capo dell'intelligence del ministero della Difesa ucraino, Kyrylo Budanov, che non ha lesinato di recente altrettante 'clamorose' rivelazioni sulla situazione politica interna russa o sullo stato di salute dello zar.

"Si tratta di un'informazione non pubblica e di un tentativo assolutamente fallito, è successo davvero circa due mesi fa", ha detto Budanov, precisando che l'attentato "è stato compiuto da elementi del Caucaso", la turbolenta regione russa divenuta negli anni anche la culla del jihadismo di matrice Isis.

Ma non è certo contro gli islamici che punta l'indice Budanov, che si era già detto sicuro che in Russia sia in corso un'operazione sotterranea per rimuovere Putin dal potere, che dovrebbe raggiungere il suo zenit "entro fine anno".

"Sono ottimista", aveva confidato a Sky News, scommettendo sul fatto che Kiev a metà agosto rovescerà in proprio favore le sorti della guerra.

Anche perché Putin, aveva aggiunto, "è gravemente malato di cancro".

Prima ancora di queste bombe mediatiche, sempre Budanov aveva rivelato che Kiev era a conoscenza dei piani di invasione sin dal novembre 2021 grazie a una fitta rete di informatori annidata tra le file di Mosca: "Le nostre fonti sono ovunque. Nell'esercito, negli ambienti politici, così come nell'amministrazione presidenziale".

Mosca ha ricevuto e "sta studiando" il piano di pace per l'Ucraina presentato dall'Italia all'Onu, ma ancora non fa commenti. Così come non si registrano reazioni dalle cancellerie europee. Solo la portavoce del governo tedesco, ad una domanda in proposito, risponde che spetta all'Ucraina decidere se il piano sia accettabile.

E Kiev, attraverso la vice ministra degli Esteri Emine Dzhaparova, in visita a Roma, mette in chiaro che "qualsiasi piano di pace che non preveda la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina non è un piano sostenibile".

Zelensky: 'Servono sanzioni massime contro la Russia'.

ZELENSKY: 'VINCEREMO'.

"Stiamo pagando un prezzo alto, ma ci sarà sicuramente una vittoria, perché semplicemente non c'è altra via d'uscita".

Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, citato dall'agenzia Ukrinform, rispondendo ad una domanda su come finirà la guerra e se spera di firmare un accordo di pace con il presidente russo Vladimir Putin.

Allo stesso tempo, Zelensky ha detto di sapere che "qualsiasi guerra finisce con la diplomazia, la diplomazia può portare alla pace, e la pace è il desiderio di ogni persona normale".

"Non accetto nessun incontro con mediatori russi, ma solo con il presidente Vladimir Putin, e la questione sul tavolo deve essere una sola: far finire la guerra", ha spiegato Zelensky.

"Senza di lui non si prendono decisioni e dobbiamo esserne ben consapevoli - ha aggiunto Zelensky -. E se stiamo parlando di una decisione per porre fine alla guerra, senza di lui questa decisione non sarà presa".

La riconquista militare della Crimea da parte di Kiev sarebbe possibile solo al prezzo di enormi perdite umane. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, citato da Ukrainska Pravda. Un conflitto per la riconquista della penisola annessa nel 2014 dalla Russia potrebbe portare alla morte di "centinaia di migliaia" di soldati ucraini, ha affermato il presidente.

'PROCESSEREMO I 2.500 DELL'AZOVSTAL'.

"I 2.500 criminali della Azovstal devono essere giudicati in tribunale". Denis Pushilin, capo dell'autoproclamata repubblica di Donetsk (Dpr), insiste, Aggiungendo però un elemento: "Da una Corte internazionale".

E forse non è un caso, nel giorno in cui un tribunale di Kiev al termine di un processo lampo ha condannato all'ergastolo "per crimini di guerra" il soldato russo Vadim Shishimarin, di 21 anni.

Comincia a diradarsi la nebbia sulla possibile sorte degli "irriducibili" della acciaieria di Mariupol che si sono arresi alle forze russe dopo quasi tre mesi  di assedio.

"I prigionieri di Azovstal sono detenuti nel territorio della Repubblica di Donetsk. Si prevede di organizzare un tribunale internazionale sul territorio della repubblica", ha detto Pushilin, citato dall'agenzia russa Interfax.

Una fonte 'a conoscenza dei preparativi per il procedimento' ha poi detto all'agenzia russa Interfax che "le informazioni preliminari disponibili indicano che il primo processo provvisorio si svolgerà proprio qui a Mariupol", aggiungendo poi che ci saranno diverse altre fasi, che potrebbero aver luogo in altre località.

Il ministero degli Esteri russo ritiene d'altro canto che ci sia la possibilità di uno scambio di prigionieri.

Rispondendo a una domanda se sia possibile, il viceministro degli esteri Andrei Rudenko ha risposto:

"Credo che tutto ciò che non contraddica il buon senso sia possibile".

Salvo poi prudentemente aggiungere che la questione "non è nella mia area di responsabilità". A stretto giro è quindi intervenuto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, riguardo però alla possibilità specifica che i difensori di Azovfstal, che per la precisione sono 2.439 persone tra cui 78 donne, possano esser scambiati con l'oligarca filorusso Viktor Medvedchuk, considerato vicino al presidente russo Vladimir Putin: "Medvedchuk è un cittadino ucraino e non è un militare.

Coloro che si sono arresi ad Azovstal sono militari o membri di unità nazionaliste, quindi sono categorie di persone completamente diverse ed è difficile prendere in considerazione qualsiasi scambio a questo proposito".

Per quanto riguarda lo scambio con soldati russi, anche Peskov ha mostrato prudenza. "Non posso rispondere a questa domanda, che è nell'ambito delle competenze dei nostri ufficiali militari".

'NUOVE ARMI A KIEV'.

Munizioni, artiglieria strategica, sistemi per la difesa costiera, carri armati e mezzi blindati. L'assistenza militare dell'Occidente all'Ucraina non si ferma e durante la seconda riunione del Gruppo di contatto contro l'aggressione russa 20 Paesi hanno annunciato nuovi aiuti alle forze di Kiev, tra i quali il capo del Pentagono Lloyd Austin ha ringraziato anche l'Italia.

"Circa venti Paesi hanno annunciato nuovi pacchetti di assistenza all'Ucraina per combattere l'invasione delle forze russe nel vertice con gli alleati", ha dichiarato il segretario alla Difesa americana in una conferenza stampa con il capo di stato maggiore congiunto, generale Mark Milley, subito dopo l'incontro che questa volta non è avvenuto nella base di Ramstein, in Germania, ma in videocollegamento.

 Tra i Paesi che hanno dichiarato l'impegno a fornire nuovi aiuti militari a Kiev c'è anche l'Italia, che Austin ha citato assieme a Grecia, Norvegia, Polonia e Danimarca.

AGENZIA ANSA.

Ucraina, la cronaca della giornata – Mondo.

IL FRONTE DIPLOMATICO.

Se l'Occidente proponesse di riaprire le relazioni con la Russia, Mosca ci penserebbe "due volte": lo ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, citato da Interfax.

 Se l'Occidente "cambierà mentalità" e "quando avranno finito con la loro frenesia, vedranno che la Russia è ancora qui e si rafforza anno dopo anno. Se vogliono offrire qualcosa in termini di ripresa delle relazioni, ci penseremo due volte se ci servirà o non tanto", ha detto Lavrov.

Le relazioni economiche tra Russia e Cina diventeranno "più strette", mentre l'Occidente "assume un atteggiamento da dittatore", ha aggiunto.

Ma all'ottantanovesimo giorno di una guerra che si trascina senza svolte decisive, le iniziative diplomatiche rimangono avvolte nella nebbia dell'incertezza.

La Russia, ha detto il vice ministro degli Esteri Andrey Rudenko, ha "ricevuto recentemente" le proposte italiane, articolate in quattro tappe sotto la supervisione di un Gruppo internazionale di Facilitazione (Gif): il cessate il fuoco, la possibile neutralità dell'Ucraina, le questioni territoriali - in particolare Crimea e Donbass - e un nuovo patto di sicurezza europea e internazionale.

 Il piano è stato illustrato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio al segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, ma non inviato direttamente a Mosca, secondo quanto si apprende. Rudenko ha detto che Mosca è pronta a riprendere i negoziati con Kiev appena l'Ucraina mostrerà "segnali costruttivi".

Parole che appaiono semplici affermazioni di rito in assenza di sviluppi concreti, almeno alla luce del sole. Allo stesso tempo è chiaro che la leadership moscovita non si aspetta soluzioni che portino alla revoca delle sanzioni occidentali, come emerge dalle parole del presidente Vladimir Putin in occasione di un incontro a Sochi con il suo omologo bielorusso e grande alleato, Aleksandr Lukashenko. "L'economia russa resiste abbastanza bene", ha affermato il capo del Cremlino, ma "non tutto è facile" e "tutto ciò richiede un'attenzione speciale da parte del blocco economico e del governo e sforzi speciali".

 

Il Pentagono e il dipartimento di Stato americano stanno valutando la possibilità di inviare forze speciali a protezione dell'ambasciata Usa a Kiev.  

Lo ha detto il portavoce del dipartimento della Difesa, John Kirby, al Washington Post confermando le anticipazioni del Wall Street Journal.

 "Stiamo esaminando le condizioni di sicurezza" della sede diplomatica in Ucraina "ma non è stata presa nessuna decisione", sottolineato Kirby. 

 Il Wall Street Journal ha rivelato che funzionari militari e diplomatici Usa stanno valutando la possibilità di inviare forze speciali a protezione dell'ambasciata americana nella capitale ucraina, che ha appena riaperto.

La proposta non è ancora stata presentata al presidente americano Joe Biden, sottolineano le fonti.

"Sono decisioni che deve prendere il presidente, ma ancora nessun piano è stato delineato né presentato al segretario alla Difesa". Lo ha detto il capo dello stato maggiore congiunto Usa, Mark Milley, in una conferenza stampa con il capo del Pentagono, LLoyd Austin, a proposito della possibilità che forze speciali siano inviate a protezione dell'ambasciata americana a Kiev.

Se la decisione dovesse essere presa, la presenza di truppe Usa in Ucraina segnerebbe un'escalation rispetto alla promessa iniziale di Biden che nessun soldato americano avrebbe messo piede in Ucraina.

Nuovi aiuti militari all'Ucraina da una ventina dei Paesi che hanno partecipato oggi a Ramstein, in Germania, alla seconda riunione mensile del gruppo di contatto dei Paesi occidentali contro l'aggressione russa: lo ha annunciato il capo del Pentagono Lloyd Austin.

LA SITUAZIONE SUL CAMPO.

"Oggi abbiamo terminato i lavori sulla Desna. Purtroppo le statistiche sono le seguenti: oggi sotto le macerie abbiamo trovato 87 cadaveri. Senza queste persone sarà il futuro dell'Ucraina".

Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante il World Economic Forum.

Una settimana fa ci fu un attacco aereo contro il villaggio di Desna, nella regione di Chernihiv, vicino al quale si trova il centro di addestramento delle Forze armate ucraine.

 La fregata russa Admiral Makarov ha lasciato Sebastopoli e si dirige verso le posizioni nel Mar Nero.

Lo rende noto l'esercito ucraino, citato dal Kyiv Independent.

 Il comando operativo 'Sud' ritiene che tale spostamento aumenti la probabilità di attacchi missilistici contro l'Ucraina. 

Le forze russe hanno bombardato ieri sera il distretto di Kryvyi Rih, nella regione orientale di Dnipropetrovsk: lo ha reso noto su Telegram il capo dell'amministrazione militare regionale, Valentyn Reznichenko, secondo quanto riporta l'agenzia Ukrinform. "La scorsa notte c'è stato un allarme aereo senza fine. Nella maggior parte dei distretti è andato tutto bene. Nel distretto di Kryvyi Rih hanno bombardando di nuovo. Il nemico ha colpito due volte la comunità di Apostolove con (lanciamissili multipli, ndr) Uragan MLRS ", ha scritto Reznichenko. Per il momento non si segnalano vittime o feriti.  Intanto oltre 150 corpi sono stati trovati dal servizio di emergenza statale ucraino sotto le macerie nella città di Kharkiv (est) dall'inizio dell'invasione russa: lo ha reso noto il vice capo del servizio, Anatolii Torianyk, secondo quanto riporta il Kyiv Independent.  Finora, ha aggiunto Torianyk, 98 persone sono state tratte in salvo.  La Russia deve pagare "un prezzo di lungo termine" per aver aggredito l'Ucraina con un'azione che ha lo scopo di "distruggere l'identità dell'Ucraina". Lo ha detto il presidente Usa Joe Biden, parlando in conferenza stampa a Tokyo con il premier nipponico Fumio Kishida dopo il loro summit. "E' il costo di chi vuole cambiare gli assetti con l'uso della forza", ha aggiunto.

 

GRANDE RESET.

Davos, il centralismo (non) democratico mondiale.

Lanuovabq.it-Maurizio Milano – (8-6-2022)- ci dice :

 

Il giro mentale dei partecipanti a Davos è quindi sempre lo stesso: che cosa possiamo fare noi élite mondiali per pianificare un futuro migliore per il mondo?

 La prospettiva è il rovesciamento della sussidiarietà in una visione distopica fondata su un’antropologia distorta.

Unico assente, in dissenso, è Elon Musk, possibile polo alternativo.

Tutti i leader europei al WEF.

Nel recente incontro di Davos, il primo in presenza dalla crisi sanitaria CoViD-19, si è parlato del conflitto in Ucraina e della connessa crisi alimentare ed energetica, del futuro della globalizzazione, di economia, lavoro e impresa, delle divise digitali delle Banche centrali, della tecnologia e del meta-verso, delle prossime minacce alla salute, di ambiente e cambiamento climatico, e altro ancora.

La grande novità rispetto agli incontri passati è data, ovviamente, dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e dalle sue pesanti ricadute sul commercio mondiale, sulla globalizzazione e sulla crisi energetica e alimentare: un evento che non si poteva prevedere nell’incontro dello scorso anno, al quale aveva partecipato come speaker il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, che quest’anno è stato sostituito dal Presidente ucraino, Volodymyr Zelens’kyj.

L’esplosione di un conflitto ad alta intensità nel cuore dell’Europa è un evento di portata storica: ennesima conferma che il futuro è imprevedibile, e quindi ancora meno si dovrebbe credere che sia pianificabile, una lezione che però il Forum di Davos non sembra avere ben appreso, visto il pervicace impegno di “cambiare il mondo”, in meglio ovviamente.

Al netto degli effetti geopolitici e geoeconomici della guerra in Ucraina, ancora di difficile stima, il Forum di Davos 2022 è rimasto focalizzato sui soliti grandi obiettivi. La “narrazione” dominante è che il mondo pre-CoViD-19 è definitivamente tramontato e quindi non torneremo più alla “normalità” pre-pandemica.

 Siamo entrati in uno “stato di eccezione” permanente in cui si passa, senza soluzione di continuità, dalla crisi sanitaria a quella climatica, dalla crisi militare a quella energetica-alimentare.                    

Le crisi si sa, sono il terreno ideale per proseguire con l’«iniziativa» del Great Reset dei sistemi sociali, politici ed economici mondiali, con un’alleanza tra i grandi gruppi industriali e finanziari e i pubblici poteri – Stati, Banche centrali, comunità sovranazionale – per «ripensare, reimmaginare e resettare il nostro mondo», per usare la terminologia del Prof. Klaus Schwab, Fondatore ed Executive Chairman del World Economic Forum.

Le grandi sfide globali richiedono soluzioni globali, nella prospettiva di una «pianificazione democratica» e uno «statalismo climatico», concertato ai livelli più alti, statali e sovranazionali: un “socialismo liberale”, insomma, un po’ gnostico e un po’ fabiano, che intende mantenere le sovrastrutture liberal-democratiche, o social-democratiche che siano, ridotte però a gusci vuoti, mentre le risorse e le decisioni importanti sono destinate a essere sempre più accentrate presso “tecnici” e “competenti”, in “cabine di regìa” sempre più lontane.

Meno proprietà privata, meno libertà e meno privacy, più tasse, in cambio della promessa di maggiore sicurezza e salute garantite dall’alto – nella forma di maggiori sussidi pubblici e di “reddito universale di cittadinanza” – nel nuovo “capitalismo ambientale” dell’era post-pandemica, «sostenibile, resiliente e inclusivo», come recita la narrazione dominante. I residui spazi di libertà economica – che avevano visto uno spiraglio con le politiche di Reagan e della Thatcher negli anni ’80, definite in modo spregiativo come “neo-liberiste” – devono lasciare il posto allo «stakeholder capitalism del XXI° secolo», invocato da Schwab, nella prospettiva della Quarta Rivoluzione industriale.

La rivoluzione digitale in atto, con un’avanzata esponenziale delle ICT (Information and Communication Technologies), aprirà prospettive inedite, consentendo il tracciamento in tempo reale di cose, denaro e persone, in un sistema di controllo sociale sempre più pervasivo.

Tra gli interventi al WEF 2022 attiro l’attenzione su quelli dei magnati-filantropi Bill Gates e George Soros.

 Gates ha parlato delle prossime epidemie – quasi si trattasse di nuovo rilasci già pianificati del sistema operativo Windows – mentre Soros ha invocato l’urgenza di sconfiggere Putin in tempi brevi per potere tornare a gestire la vera emergenza dei nostri tempi, che sarebbe quella climatica, paventando il rischio di essere andati già oltre il punto di non ritorno con la possibile fine della civiltà per come la conosciamo.

Sul tema della guerra si evidenzia la posizione differente dell’ex-segretario di Stato statunitense, Henry Kissinger, il quale ha richiamato in varie sedi, con molto pragmatismo e meno idealismo, alla necessità di porre fine al conflitto in tempi brevi con un accordo che preveda delle concessioni da entrambe le parti, al fine di evitare scenari catastrofici per gli attori coinvolti, Ucraina e Russia in primis, ma anche per il resto d’Europa e del mondo.

 Al di là delle valutazioni di merito che si possono fare, il fil rouge dei vari interventi che si sono succeduti a Davos è sempre quello dell’emergenza globale che richiede un multilateralismo che superi il livello dei singoli Stati nazionali.

Sul fronte sanitario, ad esempio, la prospettiva è quella di un ruolo crescente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che potrebbe arrivare ad imporre le proprie decisioni su scala planetaria, “saltando” le decisioni degli Stati nazionali.

Il giro mentale dei partecipanti a Davos è quindi sempre lo stesso: che cosa possiamo fare noi élite mondiali per pianificare un futuro migliore per il mondo?

La prospettiva è il rovesciamento della sussidiarietà in una visione distopica fondata su un’antropologia distorta e conseguentemente su una sociologia “rovesciata”: una visone atomistica e materialistica, centralistica e dirigistica, dove i “migliori” vorrebbero guidare dal centro e dall’alto, nel nome di un globalismo ideologico.

 L’approccio ideologico di Davos è inevitabilmente destinato a scontrarsi con il reale:

le nuove politiche economiche post-pandemiche provocheranno però seri danni strada facendo, soprattutto in termini di restrizioni alla proprietà privata, alla libertà e alla privacy.

 Ne abbiamo purtroppo già fatto esperienza con le politiche sanitarie improntate ideologicamente alla strategia CoViD-zero negli ultimi due anni, e lo stiamo subendo con le dinamiche inflazionistiche fuori controllo, anch’esse causate da errate scelte monetarie e fiscali, non soltanto dalla guerra in atto.

Tra i temi affrontati a Davos anche le CBDC (Central Bank Digital Currencies), le Divise Centrali delle Banche Centrali, indicate come strategiche da Kristalina Georgieva, direttrice operativa del Fondo Monetario Internazionale, mentre ha invece snobbato le criptovalute emesse dai privati in modo decentrato, affermando che non possono essere considerate “denaro” perché non sono garantite da una pubblica autorità e non costituiscono una “riserva di valore” affidabile.                                      La digitalizzazione completa dei pagamenti con le CBDC apre prospettive pericolose sia in termini di “profilazione” sia in termini di possibili limitazioni, o addirittura di blocchi al loro utilizzo, che potrebbero essere decisi e attuati in tempo reale dalla Banca centrale nei confronti di soggetti ritenuti non sufficientemente rispettosi delle “regole” imposte politicamente.

 La Cina, non a caso, è all’avanguardia mondiale nello sviluppo dello yuan digitale, e tale successo è stato indicato con ammirazione dalla Georgieva.

Mentre in un’economia libera il “denaro” dovrebbe appartenere alla res pubblica, nella prospettiva indicata si impone invece una visione “politica” del denaro, emesso in regime di monopolio dalle varie Banche centrali, già ora manipolabile a piacimento nella logica fiat, e con l’evoluzione digitale in modo ancora più efficace, soprattutto se si accompagnerà, come auspicato, alla morte del contante.

 

Si segnala, tra gli assenti notabili, Elon Musk, patron di Tesla nonché uomo più ricco del mondo, che ha preso pubblicamente le distanze dal Partito democratico statunitense e ha iniziato a condannare in più sedi l’emergenza demografica in atto, in una prospettiva diametralmente opposta a quella dell’Agenda ONU 2030 fatta propria dal Forum di Davos.

Nel dicembre 2021, ad esempio, Musk ha dichiarato al Wall Street Journal’s CEO Council Summit: «Uno dei rischi più grandi per la civiltà è il basso tasso demografico e il suo rapido declino. Sono in tantissimi, comprese le persone intelligenti, che pensano che siamo in troppi nel mondo e che la crescita della popolazione stia andando fuori controllo. È esattamente l’opposto. Per favore guardate i dati. Se le persone non faranno più figli, la civiltà sarà destinata a collassare. Prestate attenzione alle mie parole». In un suo recente commento su twitter ha poi commentato l’inverno demografico in Italia con parole lapidarie: «l’Italia non avrà più una popolazione se queste tendenze continueranno».

 

A chi critica Musk cercando di screditarlo sul piano personale, occorre ricordare, alla scuola di San Tommaso d’Aquino (1225-1274), che «omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est» (S. Th., I-II, q.109, a.1, ad 1). Non stupisce che Musk non sia stato invitato a Davos, o se è stato invitato non stupisce che abbia declinato l’invito.

(…)

Potrei continuare con altri grandi nomi ma credo che l’elenco sia sufficiente per apprezzare l’ampiezza e la portata della rete soggiacente al World Economic Forum di Davos: è sicuramente un grande e potentissimo club, decisamente esclusivo; occorre pagare cifre importanti per farne parte e chi paga, in genere, si attende poi qualcosa in cambio.

 Ci troviamo di fronte, con ogni evidenza, non a un “capitalismo selvaggio” o “turbo-capitalismo”, come ancora molti lamentano mancando il segno, bensì a un crony capitalism – un capitalismo clientelare – a livello mondiale, concertato tra grande capitale e poteri pubblici: non si tratta di “neo-liberismo” ma di “neo-corporativismo”, con una continua erosione dei residui spazi di libertà economica per quei privati, che numericamente sono la quasi totalità, che non fanno parte del club.

D’altronde, ce l’avevano detto con trasparenza, come possiamo vedere nel famoso video, comparso lo scorso anno sul sito del WEF, contenente 8 previsioni per il mondo nel 2030: «Non possiederai nulla. E sarai felice […] I valori occidentali saranno stati testati fino al punto di rottura».

Ora, il fatto che nel mondo di Davos manchi Tesla – che è stata stranamente valutata con un basso scoring nell’ambito delle valutazioni ESG da parte di S&P Global, escludendola quindi dal benchmark dei titoli sostenibili, e sulla quale Bill Gates sta speculando al ribasso – e che contemporaneamente Elon Musk stia assumendo posizioni contrarie a quelle dell’establishment sulla demografia, uno dei punti chiave dello “sviluppo sostenibile” a trazione ONU, pare degno di nota: chissà se tra gli eventi imprevedibili il futuro non ci riserverà un’alleanza inedita nel Partito repubblicano statunitense tra Donald Trump ed Elon Musk, con twitter non più controllato dal mondo liberal per fare propaganda unilaterale e censurare come fake news notizie non gradite. Se così fosse, credo che la novità a Davos non sarebbe accolta con entusiasmo.

 

 

 

 

 La globalizzazione ha mostrato

 tutti i suoi limiti e pericoli.

Italiaoggi.it- Luigi Chiarello- (27-5-2022)- ci dice :

 

I nodi al pettine. La globalizzazione (che ha moltiplicato i fatturati, reso la Cina superpotenza mondiale e fatto della Russia il benzinaio d'Europa) si è tradotta in un imbuto. La corsa alle delocalizzazioni, utili a comprimere i costi e a fertilizzare i mercati emergenti, ha polarizzato l'economia del pianeta; alcuni paesi si sono specializzati in produzioni settoriali, tanto da generare oligopoli.

 È il caso dell'acciaio, dei cereali, dell'olio di girasole, dei semiconduttori. Ma la pandemia e la guerra in Ucraina hanno squarciato il velo: la celebrata interdipendenza del mercato è assurta a dipendenza di alcune economie da altre. Un cappio, annodato anche per scelte politiche, che oggi genera rischi di sicurezza nazionale.

Sul versante alimentare il dato è eclatante: per decenni la politica agricola europea ha disincentivato le produzioni cerealicole, in favore dei prodotti premium.

La fabbricazione di cibo-commodity e oli vegetali è stata delegata ad altri: Russia, Ucraina, Americhe, Far east.

Il risultato è che da mesi (e a Davos in questi giorni) l'Occidente s'arrovella alla ricerca di vie d'uscita per aggirare il doppio ricatto russo: come ovviare alla chiusura dei rubinetti del gas da Mosca?

Come far fronte al blocco navale che impedisce a milioni di tonnellate di grano ucraino di raggiungere i silos di destinazione (gran parte dei quali in paesi a rischio carestie, rivolte e migrazioni)?

Un dato sconcerta: secondo un report Eurasia Group presentato a NY nei giorni scorsi, entro novembre 243 mln di persone in più soffriranno di scarsità di cibo, per un totale di 1,9 mld. E l'Italia? E' il paese più esposto al rinculo della bomba alimentare lanciata dal Cremlino: i paesi affondati dal blocco russo e dal caro fertilizzanti sono quelli del Nord Africa e del Medio Oriente.

Per far fronte a tutto ciò l'Ue ha promosso trasferimenti di cereali su rotaia e chiesto ai paesi Ue di aprire i loro porti a Kiev. Visti i volumi, una goccia nel mare. Anche la Cina s'è candidata a garante per corridoi verdi via mare. Pechino lo fa per interesse: ha investito negli anni sui terreni ucraini e nei primi mesi del 2022 ha rastrellato metà del grano sul mercato mondiale.

Dunque, il nodo non è l'assenza di prodotto, ma la concentrazione dell'offerta. Lo ha detto nei giorni scorsi a Politico anche Sophia Murphy, direttore dell'IATP, istituto Usa specializzato in trade: «Metà della produzione agricola mondiale è in 4 colture: canna da zucchero, grano, mais e riso.

Sono tutte esportate da una manciata di paesi e scambiate da quattro multinazionali: Archer Daniels Midland (ADM), Bunge, Cargill e Louis Dreyfus, che hanno fatto guadagni enormi col boom dei prezzi del grano». E in tempi di crisi come questi, le loro scorte non vanno certo a paesi con i conti disastrati.

 

 

 

FOOD SHORTAGE.

Crisi alimentare, l’Agricoltura 4.0 può aiutare

ma serve ridurre le diseguaglianze.

Agendadigitale.eu-Mirella Castigli –( 27-5-2022)- ci dice :

(ScenariDigitali.info).

 

Industry 4.0.

Agricoltura 4.0, sensori IoT e big data potrebbero aiutarci a rendere coltivazioni e zootecnia più sostenibili e resilienti, anche in tempo di food shortage.

 Ma la tecnologia funziona veramente solo in un contesto politico che riduca le diseguaglianze, mentre la povertà estrema nel mondo potrebbe quadruplicare

 

 

Lo spettro della guerra del grano: Agricoltura 4.0 può mitigare i rischi, ma il problema sono le disuguaglianze.

La crisi alimentare, innescata dalla guerra del grano, è il fantasma che si aggira nelle cancellerie del Mediterraneo e del mondo, dopo che l’Onu ha avvertito che potrebbe materializzarsi l’incubo del food shortage.

La guerra del pane si annida, come una matrioska, dentro il conflitto in atto, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Infatti Russia e Ucraina rappresentano, insieme, il 12% delle calorie scambiate a livello commerciale globale.

Intanto il blocco dei porti, da una parte minati, dall’altro sotto reale minaccia russa, impedisce alle navi di portare il grano nei Paesi affamati.

 Anche il governo Draghi ha chiesto di fare presto per evitare nuove tragedie.

Inoltre, già a inizio conflitto, abbiamo scoperto che neanche in Italia nessuno sa “quanto siano pieni i silos”, ci conferma Andrea Bacchetti dell’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano perché mancano sensori IoT. Invece, l’agricoltura 4.0 e big data potrebbero intanto aiutarci a rendere coltivazioni e zootecnia più sostenibili, resilienti e monitorabili.

Tuttavia la tecnologia non basta.

 Infatti, la digitalizzazione funziona veramente solo in un contesto politico che riduca le diseguaglianze, in aumento dopo pandemia, lockdown, inflazione galoppante e guerra nel cuore dell’Europa.

“Il problema di fondo rimane quello delle diseguaglianze globali”, commenta Mauro Del Corno, giornalista finanziario de Il Fatto Quotidiano.

Del resto, viviamo in un contesto in cui già il caro bollette e il rincaro a doppia cifra degli alimenti di prima necessità spingono i ceti medio-bassi verso la soglia della povertà.

La guerra del grano in cifre.

Abbiamo scoperto quanto il mondo sia fragile nel corso della pandemia e del lockdown, quando si sono interrotte le catene di fornitura. Ne abbiamo toccato con mano gli sconquassi nel corso delle ultime stagioni torridi, a causa dei cambiamenti climatici. Infatti, l’India non esporterà il suo grano a causa delle temperature sopra i 50 gradi Celsius.

Inoltre, la guerra di Putin sta mietendo vite umane nelle città ucraine devastate dalla guerra, ma sta anche ponendo le basi per futuri disastri. Sta in parte impedendo di raccogliere il grano e di seminare in quella terra che rappresenta il granaio del mondo e soprattutto dei Paesi poveri che s’affacciano nel Mediterraneo.

Il sistema alimentare, reso fragile dalla pandemia, rischia dunque di uscire con le ossa rotte a causa dello shock energetico, della siccità provocata dai cambiamenti climatici e ora dalla guerra in Ucraina.

Infine, il World Food Programme aveva già avvertito che l’anno in corso sarebbe stato un annus horribilis per sfamare il mondo, a causa dei ritardi nella semina in Cina, il più grande produttore di grano al mondo, a causa delle piogge, e delle elevatissime temperature che attanagliano l’India in un girono infernale.

Nel frattempo, l’era dei climate change colpisce anche gli USA, la Francia e il Corno d’Africa, dove la siccità è la peggiore degli ultimi quarant’anni.

 E, dulcis in fundo, la pandemia non è ancora finita, come dimostrano i lockdown cinesi. Infatti, non hanno ricevuto la prima dose di vaccino ben 2,7 miliardi di persone.

L’aumento dei prezzi delle derrate alimentari.

Il prezzo dei cereali è salito del 53% da inizio della guerra, innescando fra l’altro un’inflazione che non si vedeva da decenni in Occidente, dove pre-pandemia vivevamo nel cosiddetto secolo deflazionista.

 Ma il prezzo del grano è salito di un ulteriore 6% lo scorso 16 maggio quando l’India, a causa di un’ondata di calore, ha annunciato di bloccare l’export, per timore che la carestia colpisca il Paese.

Infatti, 48 ore dopo la decisione del Premier indiano Narendra Modi, il capo dell’Onu, António Guterres, ha lanciato l’allarme: il food shortage potrebbe durare per anni.

 La mancanza di alimenti di prima necessità potrebbe colpire i Paesi del Sud del Mediterraneo, ma non solo. Si prevede che le persone senza sicurezza alimentare possano passare da 440 milioni a 1.6 miliardi. Ciò potrebbe innescare nuove ondate migratorie.

L’esplosione della povertà.

La povertà estrema potrebbe dunque quadruplicare, mentre potrebbero sfiorare quota 250 milioni le persone che non hanno alimenti base e cibo a sufficienza per vivere e dunque potrebbero morire di fame. Inoltre la limitazione della supply chain alimentare di Russia e Ucraina potrebbe gettare nella povertà altre centinaia di milioni di persone.

Lo scenario di guerra del grano, a sua volta, avrà conseguenze devastanti: disordini politici, bambini che muoiono di stenti e persone affamate. Già prima della pandemia, secondo Save the Children, cinque bambini morivano di fame ogni minuto (settemila al giorno le morti di minori legati alla malnutrizione), in un mondo dove 350 milioni di bambini vivevano in zone fragili, colpiti da guerre e carestie. Ma, post-pandemia e nello scenario attuale, in cui la Russia bombarda i silos pieni di grano e blocca i porti e c’è chi dirotta le navi verso la Siria (Paese alleato), il food shortage è un’arma. Infatti Vladimir Putin ha dichiarato che potrebbe sbloccare la crisi del grano in cambio della revoca delle sanzioni.

I leader del mondo sanno dunque che la fame è uno dei principali problemi che affligge il mondo e che è urgente quanto mai trovare una soluzione globale.

L’impatto del conflitto bellico in Ucraina.

Russia e Ucraina detengono, insieme, il 28% del grano scambiato sui mercati globali, il 29% dell’orzo, 15% del mais e il 75% dell’olio di girasole.

Ma i numeri non dicono tutto, infatti, qui entra in gioco la geografia. Metà dei cereali importati da Libano e Tunisia arriva dalle zone di guerra. Per Libia ed Egitto la percentuale sale ai due terzi. L’export alimentare dell’Ucraina fornisce derrate alimentari essenziali a 400 milioni di persone nel mondo.

La guerra sta dunque disarticolando le supply chain, anche perché l’Ucraine per difendersi da un assalto inaudito da parte di Mosca ha dovuto minare le acque dei suoi porti, mentre la Russia sta paralizzando il porto di Odessa, dopo aver conquistato l’accesso completo al Mare di Azov.

Nelle economie emergenti, le persone spendono per il cibo un quarto dei loro budget. Questa quota sale al 40% nell’Africa sub-sahariana. In Egitto il pane fornisce il 30% di tutte le calorie ingerite. In molti Paesi importatori, i governi non sono in grado di offrire sussidi per aiutare i poveri, soprattutto se sono già impegnati negli sforzi economici per importare energia, un altro mercato afflitto dal rialzo dei prezzi.

L’allarme dei leader.

Tuttavia la crisi rischia di essere solo all’inizio e perfino di peggiorare. L’Ucraina ha già venduto il raccolto prima della guerra. La Russia sta invece ancora gestendo la vendita di derrate di grano, nonostante il rialzo dei costi e l’incremento dei rischi di spedizione. Comunque, i silos Ucraini non danneggiati dal conflitto sono pieni di grano ed orzo: l’urgenza è aprire i porti del Mar Nero, come ha anche chiesto il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi.

A fine giugno i contadini dovranno immagazzinare il loro grano per evitare che marcisca il raccolto, ma manca loro il carburante per i trattori e la forza lavoro, in fuga a causa della guerra, per la prossima semina.

Mosca, a sua volta, a causa delle sanzioni imposte per fermare la guerra, subisce la carenza di semenze e pesticidi che in genere compra dall’Union europea (cui per altro vende il suo fertilizzante, senza il quale calerà la resa dei raccolti). Siamo entrati in un circolo vizioso.

Il rincaro dei prezzi e l’impatto sul food shortage.

Intanto, in questo scenario di guerra e incertezza politica e sociale, il prezzo del grano sale, canniballizzando i margini di profitto, a causa dell’aumento dei prezzi di fertilizzanti ed energia (esportati dalla Russia). I principali costi che pesano sul budget degli agricoltori sono in forte aumento, a causa delle sanzioni. Senza fertilizzanti, potrebbe subire un crollo verticale anche la produttività dei campi. La resa globale potrebbe calare ai livelli più bassi di sempre.

Infatti un quinto dell’export di fertilizzanti subisce restrizioni, e ciò causerà un impatto devastante sulla crisi alimentare: la fame nel mondo non può che aumentare.

Infine, a causa della paura del food shortage, 23 Paesi dal Kazakhstan al Kuwait – hanno dichiarato severe restrizioni all’export di cibo che copre in genere il 10% delle calorie scambiate sui mercato globali.

L’olio di palma avrebbe potuto sostituire l’olio di girasole, prodotto da Russia e Ucraina.  Ma l’Indonesia, da cui proviene il 60% dell’olio di palma, ha decretato un bando temporaneo sull’export.

L’Europa sta aiutando, ma dovrebbe fare di più per dare una mano all’Ucraina a trasportare il grano via ferrovia e strade ai porti in Romania o nel Baltico, ma, secondo le più rosee previsioni, solo il 20% del grano potrebbe prendere questa strada.

Agricoltura 4.0: come la tecnologia può mitigare i rischi.

Per affrontare le sfide attuali in campo agricolo, la tecnologia offre un’ampia gamma di possibilità per garantire la sicurezza alimentare dei Paesi in futuro. Ne abbiamo parlato con Andrea Bacchetti (Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico di Milano e dell’Università degli Studi di Brescia): “La premessa fondamentale è che Agricoltura 4.0 non può fornire la soluzione definitiva all’impatto del conflitto russo-ucraino, di cui possiamo immaginare solo le conseguenze nel breve termine, ma non nel medio-lungo periodo”.

“Il paradigma di Agricoltura 4.0 ha tuttavia caratteristiche che possono aiutare a mitigare gli effetti e a portare a casa la lezione che ci avrebbe già dovuto impartire la pandemia per accelerare la transizione. Infatti il mercato di Agricoltura 4.0”, continua Bacchetti, “sta crescendo a un ritmo importante. Siamo passati, nel giro di tre anni, da un fatturato di 100 milioni scarsi a 1,5 miliardi di euro. Inoltre, sono più di mille le soluzioni agricole sul mercato e migliaia di aziende hanno già adottato almeno una tecnologia 4.0. Infine, il 6% – ma è una stima prudenziale – della superficie agricola italiana è coltivata con almeno una tecnologia di Agricoltura 4.0”.

Produrre di più con meno input.

Quella che un tempo si definiva agricoltura di precisione si è evoluta in Agricoltura 4.0 e sta conquistando terreno.

“Anche per far fronte alla sfida dei cambiamenti climatici e al post-pandemia, al di là della guerra in Ucraina. Infatti viviamo in uno scenario complicato”. “Agricoltura 4.0 significa applicare una o più tecnologie digitali in campo, ma non solo, con l’obiettivo di aumentare la resa, la produttività. Dunque, significa produrre di più con meno risorse: meno acqua, meno fertilizzanti (che produce la Russia), meno concime e meno mangimi per le aziende zootecniche.

Produrre di più è un bene perché la popolazione umana sta crescendo e dobbiamo soddisfare il fabbisogno alimentare delle persone, in uno scenario di forte crescita della popolazione a livello globale. Produrre di più, inoltre, con meno risorse fa aumentare il livello di indipendenza nei confronti di forniture che provengono dall’estero (compresi i Paesi coinvolti dal conflitto).

Non nel breve, ma nel medio-lungo periodo, se le aziende investono in questi strumenti, Agricoltura 4.0 rappresenta un paradigma per aumentare l’indipendenza da supply chain su cui non è detto che si possa più contare”.

I vantaggi di Agricoltura 4.0.

“Utilizzare meno input, significa ridurre l’acquisto di prodotti che scarseggiano o i cui costi sono molto aumentati, riducendo ulteriormente i margini che in genere le aziende sfruttano per investire e innescare il volano per aumentare il livello di digitalizzazione dei processi di produzione agricola”.

“Inoltre, i trattori smart a guida parallela permettono di lavorare la stessa superficie di campo, utilizzando meno gasolio, perché la guida parallela evita di ripassare più volte sullo stesso punto: su ampie superficie riduce il consumo di carburante in maniera significativa”.

La tracciabilità.

Altro tema importante è quello della discontinuità delle filiere, a causa della guerra del grano innescata dal conflitto. “In ambito zootecnico, le aziende stanno facendo fatica a riceve mangimi e grano dai consueti fornitori, magari coinvolti nel conflitto.

 Le imprese sono costrette a cambiare improvvisamente fornitori, senza poter svolgere una valutazione preventiva della qualità dei mangimi o del grano acquistati. Succede che stanno comprando a scatola chiusa: la verifica della qualità della merce avviene solo ad acquisto fatto.

Tuttavia, esiste la tecnologia per monitorare la qualità delle forniture, la tracciabilità e valutare così il cambio di fornitori sulla base dei dati”.

I dispositivi IoT.

Un’altra tecnologia preziosa nell’attuale scenario riguarda “la sensoristica IoT per valutare il livello di scorte di grano nei principali magazzini, per rispondere a una domanda cruciale: per quanto tempo posso tollerare le mancare forniture di grano sulla base delle scorte che effettivamente ho nei silos?

 Il digitale può rispondere a questo interrogativo, grazie ai sensori IoT (Internet of Things) nei silos che sarebbero in grado di monitorare il livello degli stock in tempo reale. Dovremmo sensorizzare almeno i grandi consorzi agrari e i centri di raccolta, senza pretendere un’implementazione capillare, per fornire stime adeguate. Grazie ai dispositivi IoT, avremmo una situazione sotto controllo per valutare fino a quando siamo coperti, se dobbiamo adottare contromisure in caso di difficoltà legate alla situazione effettiva sulla base dei dati”.

Monitoraggio in real-time.

Il monitoraggio in real time è cruciale. Infatti, l’Italia non deve solo sfamare la sua popolazione, ma è anche un Paese esportatore di pasta, dunque acquista grano anche per lavorarlo e fare export: la nostra filiera agro-alimentare è messa a dura prova.

“Invece nessuno sapeva quale fosse il livello dei silos allo scoppio del conflitto per assenza di sensori IoT laddove servirebbero. Non abbiamo ancora imparato la lezione della pandemia, speriamo che questo tragico conflitto ci lasci come eredità positiva la necessità di monitorare la situazione reale con i sensori IoT”.

 

Big data in campo.

Infine, i big data rivestiranno un ruolo crescente in agricoltura. “Ma attualmente ci accontenteremmo di veder gestire gli small data, i normalissimi dati nelle mani di aziende agricole e conto-terzisti: questi ultimi, per la natura del loro lavoro (cooperare con più aziende agricole e più fasi), dispongono di una miniera di dati.

Potrebbero sviluppare anche un business: accanto all’attività sul campo, il conto-terzista potrebbe agire da consulente, raccogliendo i dati, rielaborandoli e mettendoli a disposizione dei clienti.

 Tuttavia, attualmente i conto-terzisti si riempiono di GByte di dati, al fine di fatturare, e poi sovrascrivono, perché purtroppo non c’è ancora un mercato per usare questa miniera di dati per migliorare la produttività.

La strategia Farm to fork.(Dalla Fattoria alla tavola).

“Tuttavia il futuro è nei big data: grazie a IoT nei grandi centri di raccolta, avremmo dati dinamici su migliaia di centri di raccolta per consentire un monitoraggio per prendere decisioni data-driven e consapevoli. Servono una crescita di consapevolezza e maturità da parte delle aziende agricole: la loro miniera di dati potrebbe migliorare la propria produzione e contribuire a progettualità di filiera in grado di offrire benefici a valle, per chi trasforma e per il consumatore finale in ambito della strategia europea Farm to Fork“, conclude Bacchetti.

Oxfam fotografa le diseguaglianze.

Partiamo dai numeri.

 All’apertura del WEF 22 di Davos, Oxfam ha presentato uno studio da cui emerge che, durante la pandemia, sono stati incoronati 573 nuovi miliardari, mente i big dei settori energetico e alimentare hanno registrato un aumento delle proprie fortune, al ritmo di un miliardo ogni due giorni.

 Intanto, ogni trentatre ore un milione di persone rischia di cadere sotto la soglia della povertà estrema. Le cause sono note: cambianti climatici, conflitti, sperequazione delle risorse, instabilità politica eccetera. Il problema vero sono le diseguaglianze globali.

Infatti la tecnologia come Agricoltura 4.0 funziona veramente solo in un contesto politico che riduca le diseguaglianze, mentre la povertà estrema nel mondo potrebbe quadruplicare.

I Paesi importatori di grano necessitano urgentemente di aiuti. La fornitura di cereali d’emergenza dovrebbe infatti raggiungere solo le nazioni più povere.

Per gli altri Paesi, invece occorre agire sul finanziamento a tassi favorevoli, forse mediante il FMI, mentre le donazioni dovrebbero aiutare i più poveri e il taglio del debito potrebbe sbloccare le risorse vitali di altri Paesi importatori. Ridurre le diseguaglianze nel mondo è la cura per risolvere alla radice i problemi.

“Il Rapporto Oxfam è l’ultima puntata di un film che va in onda da molti anni”, sottolinea Mauro Del Corno, “anni in cui si rilevano queste dinamiche in cui si osserva la divaricazione fra ricchissimi con una quota crescente di asset e persone che scivolano in povertà.

La pandemia ha amplificato questa dinamica. In pandemia infatti abbiamo visto esplodere i patrimoni dei grandi nomi delle Big Tech (da Jeff Bezos a Elon Musk) sull’onda della diffusione della digitalizzazione: il ricorso all’eCommerce con i negozi chiusi durante i lockdown.

 Inoltre, la ricchezza dei Ceo e fondatori delle Big Tech si aggira sui 200 miliardi di dollari e in genere è basata sulle partecipazioni ovvero le quote che detengono nelle società IT.

In questo momento, assistiamo al ritorno dei titoli energetici, già in aumento prima dello scoppio del conflitto, favoriti purtroppo dal conflitto in Ucraina che ha fatto esplodere la fame di petrolio e gas. Quindi, titoli energetici, Big Tech e Big Pharma – che ha beneficiato dalla ricerca di vaccini in pandemia – hanno fatto accrescere i patrimoni dei super ricchi, generando un aumento delle diseguaglianze.

Si affaccia poi la crisi alimentare, anche se c’è il tentativo di sbloccare i porti, mentre è venuta meno una parte dei raccolti.

In questo scenario domina inoltre un attore dominante, la Cargill, un colosso alimentare delle materie prime da 5 miliardi di dollari di utile netto. Non è un’azienda quotata, ma appartiene a una famiglia, i cui membri appartengono tutti al ristretto club dei miliardari.

Le ricadute del rincaro dei prezzi avvengono dunque soprattutto su Paesi già poveri: dal Nord Africa al Libano, dallo Yemen (Paese in guerra) all’Egitto, fino al Bangladesh. L’aumento dei prezzi pesa tuttavia sul portafoglio di tutti, anche nelle nostre società benestanti, già colpite dall’inflazione e dal rincaro delle bollette.

Stiamo dunque tornando alle tensioni sui prezzi del cibo del 2011, anno – non a caso – delle Primavere arabe, poche finite bene, la maggior parte male. Anche la crisi gravissima dello Sri Lanka è riconducibile a queste tensioni sui prezzi.

Inoltre, non dimentichiamo il ruolo sconvolgente dei cambiamenti climatici che hanno costretto l’India, grande produttore di grano (che in genere consuma), a bloccare l’export per evitare problematiche legate al food shortage”(scarsità di cibo), sottolinea Del Corno.

Conclusioni.

Pandemia e conflitto hanno esacerbato la dinamica di aumento delle diseguaglianze.

 “Tutti conosciamo le ricette per abbattere le diseguaglianze (dalla leva fiscale in poi), ma tutto è fermo”, evidenzia Del Corno. “Basta pensare, a livello globale, alla tassa minima globale del 15% sulle multinazionali del Big Tech: cercava di introdurre un minimo di equità, rendendo più difficile l’esportazione di capitali nei Paradisi fiscali. Invece, per adesso, è ancora tutto fermo e va per le lunghe. Anche a livello nazionale, la riforma fiscale favorisce chi guadagna di più rispetto a chi ha ricavi inferiori: un altro elemento che favorisce le diseguaglianze invece di ridurle.

Prima della rivoluzione reaganiana, le aliquote cercavano di eliminare questi squilibri, poi l’onda lunga degli anni ’80 ha cambiato tutto. Nessuno chiede di ritornare a quel livello eccessivo di tassazione, ma qui siamo andati da un eccesso all’altro, se un Warren Buffet è come se fosse un operaio che paga 20 euro al mese di tasse e basta, viste le proporzioni.

Tutti fanno appelli per ridurre le diseguaglianze, ma ancora trust e schemi fiscali aiutano i ricchissimi a pagare sempre meno tasse.

Il lato positivo del dibattito in corso è che la consapevolezza sta crescendo, ma ancora c’è molto da fare”. Ormai è dimostrato che “diseguaglianze eccessive nuocciono alla crescita economica“, ora dobbiamo passare dalle parole ai fatti.

Piccole patrimoniali sui grandi patrimoni sopra i 50 milioni di euro sono fra le proposte interessanti che circolano negli Stati Uniti fra gli economisti che si sono formati nell’ultimo decennio intorno alle idee di Thomas Piketty, fra i primi studiosi a denunciare l’ineluttabilità del meccanismo delle diseguaglianze, potrebbero fare scuola.

 Purtroppo ancora facciamo meno di quanto servirebbe. L’aspetto positivo è la presa di consapevolezza della necessità di redistribuire, dopo la pandemia e questo devastante conflitto in corso.

 

 

 

Lavrov: "Occidente dittatore, rapporto sempre più forte con la Cina. L'Eurasia deve abbandonare dollaro e Swift".

Agi.it-Redazione-( 24-5-2022)- ci dice :

 

Il ministro degli Esteri di Mosca: "Chi parla di sconfitta della Russia non conosce la storia".

E sui legami economici con Pechino: "Cresceranno ancora più velocemente".

 Putin: "Stiamo reggendo alle sanzioni, il pagamento in rubli rafforza la nostra moneta".

 Zelensky, "se perdiamo moriranno cittadini dei paesi della Nato"

UCRAINA- RUSSIA.

AGI - Quando i leader occidentali affermano che la Russia deve essere sconfitta in Ucraina dimostrano di non conoscere la storia. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, nell'ambito del progetto del Gymnasium. E. M. Primakova "100 domande al leader", riporta la Tass.

 

"La reazione dell'Occidente al conflitto in Ucraina mostra che l'unica sovranità che per esso conta è la sua". Ha affermato il ministro russo.

Durante la riunione odierna del Gruppo di Contatto sull'Ucraina "oltre 20 Paesi hanno annunciato nuovi pacchetti di aiuti militari" a favore di Kiev. Lo ha dichiarato in conferenza stampa il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, che ha parlato di un vertice "altamente costruttivo" e "di successo".

"Sono stati fatti notevoli progressi dal vertice di Ramstein", ha aggiunto Austin, il quale ha sottolineato l'impegno collettivo a "modernizzare le forze armate ucraine per scoraggiare ulteriori aggressioni russe".

Austin ha spiegato ai cronisti che le necessita' militari dell'Ucraina "rimangono grossomodo le stesse: missili a lungo raggio, carri armati e droni". "La natura della battaglia non e' cambiata", ha sottolineato il capo del Pentagono, "e' una battaglia che e' decisamente definita dall'artiglieria, si e' assistito a intensi scambi di artiglieria di recente".

"Oltre 80 mila chilometri quadrati della nostra terra vanno ripuliti da mine e ordigni" abbandonati durante il conflitto in corso con la Russia. Lo ha dichiarato Anatolii Kutsevol, vice sottosegretario dell'Ucraina, nel suo intervento al gruppo di lavoro sull'Ucraina del Comitato europeo delle regioni.

"Non c'è regione in Ucraina che non sia stata colpita dalla distruzione e dalle perdite" causate da "89 giorni di combattimenti" con le forze russe, ha aggiunto il rappresentante del governo di Kiev. "Nelle regioni più colpite il livello di distruzione è superiore al 70%" degli edifici "e a Mariupol il tasso è già superiore al 90%", ha precisato Kutsevol.

 

Lavrov, dobbiamo abbandonare il dollaro e lo Swift in Eurasia.

La Russia deve concentrarsi sullo sviluppo dell'Eurasia "senza utilizzare gli strumenti di qualcun altro come il dollaro e il sistema di comunicazione finanziaria Swift ma creando i nostri". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, riporta Tass. "Non è così difficile da fare", ha aggiunto.

 "Ora il centro dello sviluppo mondiale si è spostato in Eurasia.             Al momento, disponiamo della più ampia rete di partnership nella regione eurasiatica. Dobbiamo fare affidamento su di essa per l'ulteriore sviluppo del nostro Paese, delle sue capacità di trasporto, transito e logistica", ha proseguito Lavrov, durante un forum scolastico.

L'Eurasia "sta diventando la regione più promettente del mondo", ha proseguito il capo della diplomazia di Mosca, "stiamo gia' aumentando in modo significativo la quota di commercio servito in valute nazionali di paesi partner - Cina, India, Iran - e nel quadro dell'Unione economica eurasiatica". "Dobbiamo guardare avanti. Sì, questa è una sfida. Dobbiamo essere molto piu' attivamente impegnati nello sviluppo del nostro Paese.

Ma questo è sia un enorme vantaggio che un'opportunita'", ha concluso Lavrov.

Lavrov, i cittadini occidentali si indignano per la russofobia.

Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, in occasione di un forum scolastico, ha affermato che nei Paesi occidentali iniziano a levarsi voci di cittadini indignati per la "russofobia" dei loro governi.

"Le persone sono indignate per la decisione di vietare l'insegnamento di Dostoevsky e Tolstoj nelle scuole occidentali, di cambiare i nomi delle strade", ha affermato Lavrov.

 Lavrov, per l'Occidente l'unica sovranità che esiste è la sua.

 La reazione dell'Occidente al conflitto in Ucraina mostra che l'unica sovranità che per esso conta è la sua. Lo ha dichiarato, riporta la Tass, il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, che ha accusato le nazioni occidentali di tradire la Carta delle Nazioni Unite "che si basa sull'uguaglianza sovrana degli Stati".

 Per loro, è solo la sovranità di se stessi", ha affermato il ministro russo.

Lavrov, indipendenza dall'Occidente della Russia per le industrie critiche.

La Russia "deve smettere di dipendere in qualsiasi modo dall'Occidente per la fornitura di qualsiasi risorsa per le industrie critiche".

Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, nell'ambito del progetto del Gymnasium. E. M. Primakova "100 domande al leader", riporta la Tass.

Lavrov, vedremo se ci serve riprendere i rapporti con Occidente.

 "Se l'Occidente vuole offrirci qualcosa in termini di ripresa delle relazioni, dovremo considerare seriamente se ne abbiamo bisogno o meno". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, riporta la Tass.

 

Lavrov, chi parla di sconfitta della Russia non conosce la storia.

Quando i leader occidentali affermano che la Russia deve essere sconfitta in Ucraina dimostrano di non conoscere la storia. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, nell'ambito del progetto del Gymnasium. E. M. Primakova "100 domande al leader", riporta la Tass.

Lavrov, rapporti con l'Occidente? Se torna in sé vedremo.

La Russia farà affidamento solo su se stessa e su quei Paesi che hanno dimostrato la loro affidabilità e "non ballano sulla melodia di qualcun altro"

. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Sergehi Lavrov, nell'ambito del progetto "100 domande al leader" del Gymnasium. E. M. Primakov, riporta la Tass. "Se i paesi occidentali tornano in sé e offrono una qualche forma di cooperazione, allora decideremo", ha aggiunto Lavrov.

Il ministro ha osservato che se l'Occidente vuole offrire qualcosa alla Federazione Russa in termini di ripresa delle relazioni, Mosca valuterà seriamente se ne ha bisogno "quando supereranno la loro frenesia e capiranno che la Russia c'è, non è andata via e, ne sono convinto, si rafforza ogni anno".

Zelensky, le prossime settimane saranno difficili.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensku, in un collegamento video con la Casa ucraina di Davos ha avvertito che "le prossime settimane di guerra saranno difficili".

"Gli occupanti russi stanno cercando di dimostrare che non rinunceranno alle aree occupate della regione di Kharkiv, non rinunceranno alla regione di Kherson, al territorio occupato della regione di Zaporizhzhia e al Donbass", ha detto Zelensky, "da qualche parte stanno avanzando, da qualche parte stanno raccogliendo riserve, da qualche parte stanno cercando di rafforzare le loro posizioni. Le prossime settimane di guerra saranno difficili, e di questo dobbiamo esserne consapevoli".

 

Zelensky, solo se incontrerò Putin si potrà decidere la pace.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha dichiarato che solo un suo incontro con il suo omologo russo, Vladimir Putin, può porre fine alla guerra. In Russia, ha dichiarato Zelensky in videoconferenza alla Casa ucraina di Davos, "hanno una struttura decisionale statale tale che nessuna decisione può essere presa senza di lui. E dobbiamo esserne chiaramente consapevoli. Tutte le loro istituzioni sono legate a un'unica decisione: la decisione del Presidente della Federazione Russa.

 E se parliamo di una decisione specifica sulla cessazione della guerra, senza di lui questa decisione non ci sara'", ha affermato Zelensky, secondo quanto riportato dall'agenzia Unian.

"Quindi non si può fare a meno di un incontro con il presidente della Federazione Russa", ha detto Zelensky, "in linea di principio, non accetto alcun incontro con nessun esponente della Federazione Russa, ad eccezione del Presidente della Federazione Russa, e con una sola questione sul tavolo: la fine della guerra, non c'e' altro di cui parlare".

Zelensky, 'Recupero Crimea? Costerebbe centinaia di migliaia di morti'.

Riconquistare la Crimea costerebbe all'Ucraina "centinaia di migliaia di morti". Lo ha dichiarato in video conferenza alla Casa ucraina di Davos il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, secondo quanto riportato da Unian.

Il consigliere presidenziale ucraino Oleksiy Arestovych aveva affermato pochi giorni fa che ci fossero le condizioni per liberare la Crimea e le aree del Donbass occupate.

Zelensky, se perdiamo moriranno i cittadini dei Paesi Nato.

Se l'Ucraina verrà sconfitta, la Russia andra' avanti e moriranno cittadini di Paesi Nato. Lo ha affermato il presidente Volodymyr Zelensky durante una conversazione online alla Casa ucraina di Davos, riferisce un Ukrinform.

"Se cadiamo, se l'Ucraina non sopravvive, la Russia andrà avanti. E poi andrà negli stati baltici - in Estonia, Lituania, Lettonia. Sono piccoli Stati che da soli, anche se uniti, non potranno difendere i valori di libertà e democrazia", Zelensky, "perché certi eserciti, i cittadini statunitensi e di Paesi europei che sono membri della Nato, non muoiano e poi vedano ciò che vedono le nostre famiglie, dobbiamo sostenere l'Ucraina".

 

Kiev, tre civili uccisi dai russi nel Donetsk.

Tre civili sono stati uccisi dai russi negli insediamenti di Zora, Soledar e Adamivka, nel Donetsk. Lo riferisce su Telegram il governatore della regione, Pavlo Kyrylenko, riferisce Ukrinform.

 

Kiev, liberati 24 insediamenti nella regione di Kharkiv.

La controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv ha consentito finora la riconquista di 24 insediamenti. Lo riferisce su Facebook il comandante delle forze armate ucraine, Valeriy Zaluzhnyi.

 

Media, Berlino blocca la fornitura di veicoli da combattimento all'Ucraina

Il governo tedesco sta bloccando la fornitura di veicoli da combattimento Marder all'Ucraina. Lo riporta la Bild. Secondo il quotidiano, da un mese il Consiglio di sicurezza federale, che include alcuni ministri chiave, non ha ancora preso una decisione sull'esportazione di fino a 100 dei mezzi prodotti dalla Rheinmetall. Bild fa riferimento a un documento riservato del Ministero della Difesa tedesco, in cui si afferma che il primo lotto di Marder richiede sei settimane per poter essere reso utilizzabile sul campo. Secondo il quotidiano, se le autorità avessero approvato le consegne in Ucraina a marzo, Kiev avrebbe già potuto utilizzare i veicoli.

La richiesta di esportazione sottoposta da Rheinmetall è stata presa in considerazione dal Consiglio di sicurezza federale dal 22 aprile ma il governo tedesco ne sta bloccando l'esame, afferma il quotidiano.

In precedenza, il quotidiano Die Welt, citando fonti del governo ucraino, aveva riferito che la fornitura di cannoni antiaerei semoventi Gepard all'Ucraina, che Berlino aveva promesso a Kiev, era stata bloccata perché la Germania non era riuscita a reperire un numero sufficiente di munizioni.

Milley, non ci sono istruttori Usa sul campo.

In Ucraina non sono presenti istruttori militari statunitensi. Lo ha dichiarato in conferenza stampa il capo di stato maggiore congiunto americano, Mark Milley, sottolineando che ogni decisione in merito spetta al presidente.

Milley, telefonata con Gerasimov è stata utile.

La telefonata di pochi giorni fa tra il capo di stato maggiore congiunto Usa, Mark Milley, e l'omologo russo, Valeriy Gerasimov, è stata "utile" nell'ottica di "gestire i rischi ed evitare possibili escalation". Lo ha dichiarato Milley in conferenza stampa dopo la riunione del gruppo di contatto sull'Ucraina. Milley ha spiegato che "le comunicazioni a livello militare tra i due Paesi rimangono aperte".

 

Austin, nuovi pacchetti di aiuti da oltre 20 Paesi.

Media, a Mariupol primo processo ai militari ucraini dell'Azovstal.

Si dovrebbe svolgere a Mariupol il primo processo contro i militari ucraini che si sono arresi all'acciaieria Azovstal. Lo ha riferito una fonte a conoscenza dei preparativi per il processo.

"Le informazioni preliminari disponibili indicano che il primo processo provvisorio si svolgera' proprio qui a Mariupol", ha affermato la fonte. Sara' seguito, secondo gli autori dello statuto del tribunale, da diverse altre fasi, che potrebbero aver luogo in altre localita', ha aggiunto.

 

 Segretario alla Difesa Usa Austin, posta in gioco va ben oltre l'Europa.

 "Tutti capiscono che la posta in gioco" della guerra in Ucraina "va ben oltre l'Europa" in quanto l'invasione russa "è un affronto all'ordine internazionale basato sulle regole". Lo ha dichiarato il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, in conferenza stampa dopo la riunione del Gruppo di Contatto sull'Ucraina.

Mattarella, da esaltazione nazionalismo danni immani.

 "Il confronto, il dialogo, la cooperazione sono sempre strumenti di costruzione della pace e del benessere dei popoli. Al contrario, l'isolamento, l'esaltazione nazionalistica, le barriere frapposte all'esercizio dei diritti fondamentali, alimentano diffidenze e tensioni, generano conflitti, producono danni immani alla sorte delle persone e dei territori". Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricevendo al Quirinale l'Associazione dei Consigli di Stato e delle Corti Supreme Amministrative degli Stati membri dell'Unione europea, ACA-Europe.

Per il Capo dello Stato "ritroviamo questi due fronti, queste due visioni culturalmente e moralmente contrapposte, nella inattesa e allarmante condizione provocata dalla guerra di aggressione mossa dalla Federazione Russa all'Ucraina".

 

 Appello di Zelensky alla comunità internazionale: "aiutateci."

In collegamento video con il World Economic Forum di Davos, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha lanciato un appello alla comunità internazionale: "Vi chiedo di assistere l'Ucraina, assisterla finanziariamente. Fate presto perché molto dipende dalla velocità". Zelensky ha quindi ringraziato gli Stati Uniti per i recenti pacchetti di aiuti approvati dal Congresso e promulgati dal presidente Joe Biden.

Per l'intelligence di Kiev, Putin è scampato a un tentato omicidio 2 mesi fa.

Il presidente russo Vladimir Putin è scampato a un attentato dopo l'inizio della guerra in Ucraina. Lo sostiene Kyrylo Budanov, capo della direzione principale dell'intelligence del ministero della Difesa ucraino in un'intervista all'Ukrainska Pravda. "C'è stato un tentativo non molto tempo fa di assassinare Putin. È stato addirittura aggredito, si dice, da rappresentanti del Caucaso, ma si tratta di una informazione non pubblica; il tentativo è stato due mesi fa ed è fallito", ha detto Budanov.

La Russia ritira la candidatura a Expo 2030, Odessa tra gli aspiranti.

La Russia ha annunciato il ritiro volontario della candidatura di Mosca all'Expo Universale del 2030, cui aspira anche la citta' portuale ucraina di Odessa.

"Dobbiamo constatare che l'ultima vittima della campagna antirussa su vasta scala lanciata dall'Occidente per espellere il nostro Paese da ogni ambito di cooperazione è il movimento delle Esposizioni universali" si legge in un comunicato del Ministero degli Esteri russo.

In queste condizioni, aggiunge, "malauguratamente non si può parlare di una competizione limpida per il diritto a ospitare le Esposizioni universali. È evidente che la candidatura di Mosca per l'Expo 2030, rispetto alle altre quattro, non puo' sperare in una valorizzazione giusta e imparziale, a prescindere dai suoi pregi".

 

Berlino contraria a un Recovery dell'Ue per la ricostruzione dell'Ucraina.

"Per l'assistenza macro finanziaria di lungo termine per l'Ucraina dobbiamo considerare tutte le misure con precisione. La Germania è aperta alla discussione, preferiamo tutte le misure per i prestiti. Tutte le misure simili al Next generation Eu non saranno sostenute dal governo tedesco". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri tedesco, Christian Lindner, al suo arrivo alla riunione dell'Eurogruppo. "Al momento la preoccupazione è la liquidità dello Stato ucraino ed e' per questo che il G7 la scorsa settimana ha adottato un pacchetto per garantire la liquidità dell'Ucraina. Abbiamo raccolto 9,5 miliardi di dollari per il sostegno finanziario a breve termine per l'Ucraina", ha spiegato.

 

Harrod's, stop a vendite lusso a residenti in Russia.

Il grande magazzino britannico Harrods ha deciso di interrompere la vendita di beni di lusso costosi ai clienti residenti in Russia. L'azienda ha contattato i clienti che, in base ai loro dati, potrebbero essere interessati dal divieto del governo britannico di esportare beni di lusso in Russia, come sanzione per l'invasione ucraina, e che quindi non potrebbero fare acquisti presso il negozio di lusso.

 

Onu, con la guerra in Ucraina  superata la soglia dei 100 milioni di profughi.

Come conseguenza diretta della guerra in Ucraina, oggi nel mondo in tutto oltre 100 milioni di persone sono in fuga da conflitti, violenze e violazioni varie, segnando un record storico. A riferire del tragico bilancio di civili sradicati, che per la prima volta ha superato la quota dei 100 milioni, è l'Alto commissariato Onu per i rifugiati. In altri termini, per esplicitare concretamente l'entità del fenomeno, questi 100 milioni di persone in fuga rappresentano più dell'1% della popolazione globale e nel mondo solo 13 Paesi hanno un popolazione superiore a questa soglia.

 

Putin, l'economia russa sta reggendo al colpo delle sanzioni.

"L'economia russa resiste abbastanza bene al colpo delle sanzioni". Lo ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin, incontrando l'omologo bielorusso, Aleksandr Lukashenko. Allo stesso tempo, il leader del Cremlino ha convenuto che "non tutto è facile, quello che sta accadendo richiede un'attenzione e degli sforzi speciali da parte del blocco economico del governo". "Nel complesso, questi sforzi stanno avendo un effetto positivo", ha aggiunto Putin. Il presidente russo ha poi osservato che il passaggio ai pagamenti in valute nazionali nel commercio con i partner della Federazione russa "si sta facendo sentire". Questo, ha aggiunto, "non avviene a scapito dei nostri partner, la Russia adempie a tutti i suoi obblighi"

Putin: i pagamenti in valuta stanno rafforzando il rublo.

"Il passaggio ai pagamenti in valuta nazionale con i partner" della Russia "sta avendo effetto e aiuta a rafforzare il rublo". Lo ha dichiarato il presidente russo, Vladimir Putin, nel suo colloquio con l'omologo bielorusso, Aleksandr Lukashenko. Lo riporta Ria Novosti. "L'economia russa resiste abbastanza bene al colpo delle sanzioni". Lo ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin, incontrando l'omologo bielorusso, Aleksandr Lukashenko. "L'economia russa resiste al colpo delle sanzioni, resiste abbastanza bene", ha detto Putin, secondo il quale, lo dimostrano "tutti i principali indicatori macroeconomici".

 

Allo stesso tempo, il leader del Cremlino ha convenuto che "non tutto è facile, quello che sta accadendo richiede un'attenzione e degli sforzi speciali da parte del blocco economico del governo". "Nel complesso, questi sforzi stanno avendo un effetto positivo", ha aggiunto Putin. Il presidente russo ha poi osservato che il passaggio ai pagamenti in valute nazionali nel commercio con i partner della Federazione russa "si sta facendo sentire". Questo, ha aggiunto, "non avviene a scapito dei nostri partner, la Russia adempie a tutti i suoi obblighi".

 

Sergente russo condannato all'ergastolo da un tribunale ucraino.

Il sergente russo Vadim Shishimarin è stato condannato all'ergastolo da un tribunale ucraino. Si tratta del primo processo per crimini di guerra realizzato dall'inizio dell'invasione russa, cominciata il 24 febbraio, in Ucraina. Il 21enne si era dichiarato colpevole di aver ucciso un 62enne disarmato nell'oblast di Sumy.

 

Mosca studia il piano di pace proposto dall'Italia.

La Russia sta studiando la proposta dell'Italia per una composizione pacifica della crisi in Ucraina. Lo ha detto il viceministro degli Esteri, Andrey Rudenko. "L'abbiamo ricevuto da poco, lo stiamo valutando", ha detto Rudenko, rispondendo a chi gli chiedeva se Mosca stesse valutando le proposte del governo italiano su un accordo e come rispondeva a questo piano. Rudenko ha aggiunto che Mosca formulerà la sua risposta quando avrà finito di analizzarlo.

 

Mosca: pronti a negoziati se Kiev mostrerà un atteggiamento costruttivo

Il governo russo è pronto a riprendere i negoziati con Kiev quando l'Ucraina mostrerà un atteggiamento costruttivo: lo ha detto il viceministro degli Esteri, Andrei Rudenko. Rudenko non ha escluso la possibilità di discutere con Kiev la possibilità di uno scambio tra prigionieri russi e quelli ucraini catturati ad Azovstal, se ciò "non contraddice il buon senso". "Ammetto ogni possibilità che non contraddica il buon senso", ha detto, rispondendo a una domanda dei giornalisti che gli chiedevano se Mosca contempli la possibilità di uno scambio.

 

Dzhaparova: abbiamo dimostrato che tutto è possibile.

La resistenza dell'Ucraina all'invasione russa, iniziata 3 mesi fa, "dimostra che niente impossibile: il mio Paese è la prova che tutto è possibile". Lo ha detto, all'inizio della sua lectio magistralis all'università Luiss di Roma, la viceministra degli Esteri di Kiev, Emine Dzhaparova. Quella in corso, ha premesso introducendo un lungo intervento, la sua prima esperienza di "lecture", "non è solo una guerra per il controllo di un territorio o una regione, ma per i principi nei quali crediamo, prima di tutto la libertà". Ancora "la guerra contro il mio Paese non è cominciata il 24 febbraio, ma nel 2014 con l'invasione russa della Crimea". Per questa ragione, durante la sua lezione Dzhaparova si sofferma a lungo sulla questione della Crimea, smentendo la teoria russa che si tratti di una regione tradizionalmente appartenente alla Russia.

 

Mosca annuncia la distruzione a Zhytomyr di armi dirette nel Donbass.

La Russia ha reso noto di aver distrutto nella regione di Zhytomyr, in Ucraina nord-occidentale, le armi che dovevano essere trasferite nel Donbass, dove le truppe di Mosca continuano la loro offensiva.

Le armi che l'Ucraina intendeva inviare alle sue forze nel Donbass sono state neutralizzate con "missili a lungo raggio ad alta precisione basati sul mare", ha fatto sapere Mosca, precisando che era l'equipaggiamento della 10a brigata dell'esercito ucraino.

 

Nelle ultime 24 ore - ha continuato il portavoce del ministero della Difesa russo, il generale Igor Konashenkov - sono stati abbattuti anche tre caccia ucraini Su-25, due nella regione di Kherson e uno vicino a Kharkov, oltre a 13 droni, tra cui un Bayraktar; le forze russe hanno anche intercettato due missili tattici ucraini Tochka-U, abbattuto altri otto razzi Smerch lanciati dalle forze ucraine vicino alle città di Izyum, Topolske, Semionovka e Bitkino. Il portavoce ha sostenuto anche che gli aerei russi hanno distrutto quattro posti di comando, 48 aree di concentrazione di truppe ucraine e veicoli militari e sei depositi di armi ucraini nel Donbass.

 

Gli aumenti del prezzo del grano sono costati 90 miliardi in tre mesi.

A tre mesi dall'inizio la guerra è già costata oltre 90 miliardi di dollari a livello globale solo per l'aumento dei prezzi del grano che sono balzati del 36% ma effetti a cascata si sono fatti sentire su tutti i prodotti alimentari. È quanto emerge dal bilancio tracciato dalla Coldiretti sull'impatto dell'aumento delle quotazioni su valore della produzione mondiale al Chicago Board of Trade, in occasione dell'apertura di Davos, il World Economic Forum con il presidente ucraino Zelensky.

 

Con la guerra in Ucraina superato il numero di 100 milioni di sfollati nel mondo.

L'invasione dell'Ucraina ha spinto per la prima volta il numero di persone sfollate in tutto il mondo sopra la soglia dei 100 milioni. Lo rende noto l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in un comunicato.

"Il numero di persone costrette a fuggire da conflitti, violenze, abusi dei diritti umani e persecuzioni - si legge - ha superato per la prima volta la sconcertante soglia dei 100 milioni, a causa della guerra in Ucraina e di altri conflitti mortali".

"La cifra di 100 milioni di persone è allarmante e preoccupante. È una cifra che non avrebbe mai dovuto essere raggiunta", ha dichiarato l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi.

Secondo l'agenzia Onu, alla fine del 2021 gli sfollati nel mondo erano circa 90 milioni, soprattutto a causa delle violenze in Etiopia, Burkina Faso, Birmania, Nigeria, Afghanistan e Repubblica Democratica del Congo.

Nel caso dell'Ucraina, invasa dalle truppe russe il 24 febbraio, più di 8 milioni di persone sono dovute fuggire in altre zone del Paese e, più di sei milioni di rifugiati hanno attraversato i confini.

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