PATRIOTTISMO E’ OPPORSI ALLA CRISI
PATRIOTTISMO
E’ OPPORSI ALLA CRISI ECONOMICA E SOCIALE.
Specificità,
drammaticità e patriottismo.
Ecco
come funziona l’effetto adunata del Cremlino?
Infodata.ilsole24ore.com-
Luca Delvecchio –(29 aprile 2022)-ci dice :
Il
Cremlino ha trascinato la Russia in uno scontro militare, politico ed
economico, che segna una cesura storica rispetto ai suoi rapporti con
l’Occidente e minaccia duramente la stabilità e lo sviluppo futuri della sua
economia.
E,
nonostante le evidenti incertezze di quella che la propaganda moscovita
definisce «azione
militare speciale», già costata numerose vite umane non solo tra i civili ucraini, ma
anche nelle fila dell’esercito russo, l’appoggio popolare al Cremlino si è
consolidato, come rivelano gli ultimi dati prodotti dall’istituto demoscopico
indipendente Levada-Center.
Il sostegno a Putin ha, infatti, raggiunto la
ragguardevole soglia dell’83%.
Si
stima che il 53% dei russi esprima un
«deciso» appoggio alla guerra e che il 43% di loro creda che le operazioni
militari siano necessarie a «proteggere i russi delle repubbliche autonome».
Per il
25% la guerra in Ucraina risponde a esigenze di difesa; per il 21%
l’invasione russa «combatte il
nazionalismo».
È
l’esito della propaganda, si dirà, e della repressione di un dissenso che pure
serpeggia nell’opinione pubblica russa.
Ma
secondo Alexey Levinson, direttore del dipartimento socio-culturale del Levada
Center, ciò non basta a spiegare una così larga adesione alla politica del
Cremlino, poiché, come dichiarato in una recente intervista al Corriere della
Sera, «quando ci sono pressioni governative sulle opinioni, come oggi in
Russia, aumentano le risposte “non sa, non risponde”, che significa in genere
“risponderei ma ho paura”.
In questo caso no.
Molte
persone sembrano aver aderito convintamente alla versione diffusa dalla propaganda
e rispondono orgogliose a favore della “operazione militare”».
Non
solo. Esistono
leggi che impediscono ai media di diffondere immagini come quelle di Bucha, e
tuttavia, anche se i cittadini russi avessero consapevolezza dello scempio
commesso dal loro esercito in Ucraina, «penserebbero che la Russia ha ragione
di comportarsi così», sostiene Levinson.
Si
tratta di un fenomeno ben noto, che prende il nome di rally ‘round the flag effect (letteralmente, l’effetto dello stringersi attorno
alla bandiera) e che caratterizza tipicamente le fasi di conflitto internazionale,
tanto nei contesti democratici quanto in quelli autoritari.
I
gruppi sperimentano, infatti, una maggiore coesione interna, qualora si trovino
sotto la pressione di minacce, siano esse reali o meramente percepite,
provenienti dall’esterno del loro cerchio.
E quando il gruppo si estende fino a
raggiungere la dimensione di un intero popolo, lo stato di conflitto eccita non
di rado un sentimento di appartenenza nazionale che sfocia in un maggiore
sostegno al leader ritenuto simbolo di unità patriottica.
I
regimi autoritari come quello russo non fondano il proprio potere
esclusivamente sul consenso popolare, ma l’appoggio dell’opinione pubblica può contribuire in modo decisivo alla loro
stabilità politica.
È
questa la ragione per cui il Cremlino ha sollecitamente limitato, fino a
ridurre al minimo, il margine di libertà delle testate indipendenti, tacitando
le voci d’opposizione e oscurando i resoconti non allineati alla narrazione
della guerra come atto di liberazione patriottica dal «nazismo» ucraino.
Gli
avvenimenti che, tipicamente, determinano l’adunata intorno alla bandiera
possiedono questi attributi distintivi:
1) hanno rilievo internazionale;
2) coinvolgono direttamente la nazione e i
suoi vertici politici;
3) possiedono un
carattere drammatico, molto specifico e perfettamente chiaro per l’opinione
pubblica.
Si
tratta di eventi internazionali, poiché le questioni esclusivamente interne, che non
riguardino la nazione nel suo insieme, tendono a esacerbare conflitti e
divisioni tra fazioni politiche, ma non producono un sostegno unitario
alla leadership.
La
specificità, l’estrema focalizzazione e la chiarezza (ovvero l’individuazione
di un nemico dai contorni ben delineati e di una precisa missione spesso caricata
di significati eroici) generano, poi, un maggiore coinvolgimento emotivo e sono
in grado di attrarre l’attenzione del cittadino medio più a lungo.
L’annessione
della Crimea ricalca gli stessi meccanismi di crescita del consenso interno che
osserviamo oggi in seguito all’intervento militare iniziato lo scorso 24
febbraio.
Il
Levada Center dava il capo del governo russo al 79% nel dicembre del 2010,
consenso ridottosi fino al 60% nel 2013.
Dopo
la Crimea, grazie a una imponente copertura mediatica di carattere
propagandistico, che dipinse l’operazione come un intervento in difesa della popolazione
russofona contro il riaffermarsi del fascismo in Ucraina, il gradimento di
Putin balzò di quasi 20 punti, restando al di sopra dell’80% per circa quattro
anni fino al 2018.
Anche in quel caso la propaganda aveva
chiaramente individuato un nemico (il fascismo ucraino) e una missione (la riconquista di un territorio
perduto)
su cui, si disse, poggiavano i destini della nazione russa.
Il
grafico rappresenta l’andamento del tasso di approvazione di Putin, che ha
rivestito, nella sua lunga permanenza al potere, sia il ruolo di Primo
Ministro, sia quello di Presidente della Federazione Russa, sua attuale carica.
La curva raggiunge alcuni picchi in corrispondenza della seconda guerra in
Ossezia del Sud (2008), dell’annessione della Crimea alla Russia (2014) e della
invasione dell’Ucraina (2022). (Fonte: Levada Center).
Un
tratto distintivo dell’effetto adunata è che esso trasforma i cittadini da
passivi fruitori di propaganda e falsa informazione in sostenitori attivi della
leadership e delle sue decisioni.
Gli
spiriti nazionalistici risvegliati dal battage mediatico, si accompagnano
infatti a un vero e proprio riorientamento emotivo che, come sottolinea questo
studio, rendono più ottimistica la percezione dei cittadini rispetto al loro
contesto economico, sociale e politico.
La
propaganda non solo motiva il nazionalismo, ma è in grado di generare fiducia,
entusiasmo e orgoglio verso il presente, il futuro e persino il passato.
L’andamento
del social sentimenti index, esprime la valutazione dei cittadini russi
rispetto alla loro situazione familiare, alle condizioni economiche e politiche
del Paese, all’azione del Presidente e del Governo e al futuro personale e
della nazione (nota metodologica).
Il
grafico mostra, anche in questo caso, picchi in coincidenza con la seconda
guerra in Ossezia del Sud (2008), l’annessione della Crimea alla Russia (2014)
e l’invasione dell’Ucraina (2022). (Fonte: Levada Center).
Si
tratta paradossalmente, di un fenomeno che riguarda in misura maggiore chi, in
tempi normali, consuma informazione meno sorvegliata dal regime. La sensibilità
di chi si approvvigiona esclusivamente presso la TV di Stato e altri media
governativi è, infatti, già saturata dalla propaganda incessante, mentre la
platea di coloro che fruiscono di stampa e televisione non completamente
allineate fornisce alla retorica di regime un nuovo margine sui cui fare presa
in caso di eventi eccezionali .
Stando
alle più recenti dichiarazioni di Putin, il principale scopo dell’invasione
militare, oltre alla ineludibile difesa degli interessi nazionali compendiati
nel simbolo della bandiera, è la «protezione» del Donbass per la difesa della
Russia. «Gli
obiettivi sono perfettamente nobili e sono chiari», ha affermato durante una cerimonia
al cosmodromo di Vostochny. Si tratta di una retorica confezionata secondo gli
esatti criteri del rally ‘round effect: specificità, drammaticità e
patriottismo.
“I tempi sono maturi per
un nuovo patriottismo europeo.”
Voxeurop.eu-Gian
Paolo Accardo - euobserver.com-(6 aprile 2020)- ci dice :
In
questa lettera aperta pubblicata per primo da "EUobserver" diversi
universitari europei chiedono all'Ue di mostrare che può avere un ruolo
decisivo nella crisi e aiutare concretamente i cittadini ad affrontare le sfide
poste dal Covid-19 alle nostre società.
Il 26
marzo, dal Consiglio europeo dedicato alla risposta all'epidemia di coronavirus
è emersa una Ue completamente divisa, dedicata alle misure europee volte a
gestire la crisi più grave dal 1929.
La
pandemia di coronavirus e le crisi economiche e sociali che si stanno
manifestando offrono all'Europa una straordinaria opportunità: decidere di
andare verso un'unità più profonda, o, in alternativa, declinare
irrevocabilmente.
La
strada da percorrere dipenderà naturalmente dalle decisioni dei governi in seno
al Consiglio europeo e alle altre istituzioni dell'Ue, ma anche e soprattutto dalla
mobilitazione dei cittadini e dell'opinione pubblica di ciascuno Stato membro.
La
domanda rivolta all'Europa è la seguente: l'Ue è una comunità di aspirazioni,
una “Schicksalsgemeinschaft”, o non è altro che un'associazione strumentale di
egoismi nazionali?
Le
forze disintegratrici della destra e dell'estrema destra, uscite vittoriose con
la Brexit ma temporaneamente sconfitte alle elezioni europee del 26 maggio
2019, sono sempre qui, pronte per un nuovo, inesorabile attacco sia all'euro
che all'Ue.
E questa volta queste forze potrebbero anche rivelarsi
vittoriose, approfittando cinicamente della disconnessione tra i cittadini e
l'Ue, causata in parte dalle enormi sofferenze subite durante questa crisi
sanitaria e dalla tragedia sociale ed economica che ci attende, ma anche
dall'inazione politica e morale delle élite filoeuropee.
Il
parlamento europeo si è pronunciato chiaramente a favore di un salto di qualità
nell'integrazione europea. La commissione europea ha però una grande responsabilità
nell'attuale stagnazione. Questo è dovuto alla sua mancanza di leadership, sia
in termini di bilancio pluriennale, sia nell'emanazione di misure per gestire
questa crisi sanitaria e le sue conseguenze economiche.
A
differenza di altri shock, questo non è asimmetrico, ma simmetrico, e colpisce
tutti i paesi, anche se attualmente a patirne sono soprattutto i paesi del sud,
che hanno già sofferto di più durante la crisi migratoria. Una situazione di emergenza
eccezionale richiede rimedi eccezionali. La decisione della Banca centrale
europea di impegnare 750 miliardi di euro nel mercato obbligazionario è
importante, ma non è decisiva. È imperativo che l'Ue combini le dimostrazioni
di solidarietà anti-virus con una concreta solidarietà finanziaria. Oggi questo
manca.
Le
accuse reciproche fra le capitali europee sono più dure che mai. Da un lato, i governi olandese e
tedesco rivendicano il diritto di opporsi all'"azzardo morale": le
eurobbligazioni o "eurobond", ovvero la mutualizzazione dei debiti
nazionali, incoraggerebbero pratiche immorali e lassismo di bilancio nei paesi
indebitati, che approfitterebbero della solidarietà europea per lasciar correre
la spesa.
Dall'altro
lato, i paesi del nord sono accusati di mancanza di solidarietà in una
situazione che vede quasi mille morti al giorno in Italia e Spagna, disordini
sociali in aumento e una significativa svolta nella pandemia in Francia e
Belgio. Ma
forse, ancora peggio, sono anche accusati di voler approfittare dell'incombente
crisi finanziaria per arricchirsi e cambiare gli equilibri di potere in Europa.
Queste
reciproche accuse tramite i mezzi d'informazione, questo crollo della fiducia,
stanno sconvolgendo anche gli europei più convinti, stanno erodendo il nucleo
stesso del consenso europeo che è stato costruito con cura negli ultimi 70
anni. Il danno alle nostre democrazie potrebbe presto diventare irreparabile.
Coronabond.
Nove
stati membri hanno inviato una lettera al presidente del Consiglio europeo
Charles Michel per chiedere che vengano creati i "coronabond", dei
titoli di debito europei. Un'idea che si sta facendo strada anche nell'opinione
pubblica in Germania, nei Paesi Bassi, in Austria e in Finlandia. Siamo quindi
convinti che ci sia un ampio consenso per:
a) una
rinegoziazione delle condizioni per l'accesso in caso di crisi/emergenza al
Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che comprende 430 miliardi di euro;
b) la
creazione di un gruppo europeo di esperti qualificati, in grado di proporre con
urgenza nuovi strumenti con tutti i aspetti tecnici necessari.
Sebbene
gli "eurobond" non siano l'unica soluzione praticabile, è una buona
idea in termini di efficienza (unità di fronte ai mercati mondiali) e di
simbolismo (di fronte ai cittadini).
In
ogni caso, l'Ue deve inviare con urgenza due importanti messaggi:
Il
primo messaggio, quello della speranza, deve parlare davvero al cittadino comune, ai
popoli d'Europa che sono sconvolti dalla crisi del coronavirus e preoccupati
per il loro futuro: l'Ue è qui per aiutare. Sta affrontando lancia in resta
questa crisi sanitaria, sociale ed economica, con una maggiore unità e un
grande progetto di ripresa economica e sociale.
Il
secondo messaggio deve essere rivolto al mondo intero: l'Ue garantisce l'unità, la forza e
la stabilità dell'eurozona, assicurando la nostra "sovranità comune"
di fronte ai mercati globali e alle potenze che cercano di dividere e
distruggere l'Unione.
Gli
Stati Uniti hanno sottovalutato l'attuale pandemia e il loro governo ha
dimostrato di non avere più l'autorità politica e morale necessaria per
coordinare efficacemente la battaglia contro il coronavirus globale. Solo l'Ue, in un contesto di
cooperazione multilaterale, può intervenire con successo e preparare la strada
per la gestione di questa crisi sanitaria senza precedenti e delle sue
conseguenze sociali ed economiche.
È
giunto il momento di un nuovo patriottismo europeo. Nuovo, perché deve
assolutamente essere radicato sia nelle comunità nazionali ri-mobilizzate sul
tema della solidarietà, sia nelle reti transnazionali.
I
milioni di cittadini impegnati, volontari, operatori sanitari e associazioni
della società civile offrono una solida base umana per una nuova fase dell'idea
di Europa. È tempo di collegare i valori fondamentali dell'Europa alla capacità
tecnica e politica in modo innovativo e di offrire al mondo un messaggio di
speranza e di forza contro questa crisi senza precedenti.
UNA
FESTA DELLA REPUBBLICA DIVERSA:
IL
NUOVO SIGNIFICATO DELLA DEMOCRAZIA IN ITALIA.
Eurobull.it-(
2 giugno 2021)- Giulia Sulpizi-ci dice :
Personalmente
sono sempre stata molto legata alla ricorrenza del 2 giugno. Ritengo, infatti,
che essa sia il momento per eccellenza per celebrare il nostro Paese e per
sentirci, in questa circostanza, ancora più orgogliosamente italiani. Non c’è
retorica in queste parole, né nazionalismo.
Ciò
che voglio esprimere è un forte senso di patriottismo.
L’amore
per la mia cultura, le mie origini, la mia storia fanno parte di me e le ho
sempre custodite come importanti tesori.
Non mi
sono mai vergognata di essere italiana. Il nostro Paese – con tutti i suoi
difetti macroscopici – mi ha permesso di vivere in una condizione di libertà e di
uguaglianza, al riparo dalla dittatura e dalle costrizioni.
Mi è stata data la possibilità di crescere, di
studiare e di accedere – almeno sulla carta – a qualsiasi professione io
desideri. E tutto ciò proprio a partire da quel 2 giugno 1946, quando si andò a
votare per scegliere tra monarchia e Repubblica, facendo, altresì, accedere al
voto, per la prima volta senza distinzione alcuna, anche le donne.
È una
data importante e significativa. Ha mutato i contorni di un’epoca e ha influenzato
profondamente l’esistenza mia e di tutti noi concittadini. La scelta della
forma di Governo repubblicana ha, poi, dato la possibilità all’Italia di cambiare
il proprio destino e di aderire alle allora Comunità europee, che poi hanno
dato vita all’Unione in cui oggi ci troviamo a vivere.
Non
sono cambiamenti di poco conto. Per questo ritengo che il discorso che
pronuncerà questa sera il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
risulterà particolarmente significativo, trattandosi di un’analisi su cosa
abbia rappresentato il 2 giugno 1946 per il nostro Paese, con l’invito a
coltivare la memoria e le radici di quest’importante avvenimento.
Tali
riflessioni sono ancora più rilevanti se consideriamo il difficile periodo
storico che l’Italia – e il mondo tutto – ha attraversato e sta attraversando. A più di un anno dallo scoppio della
pandemia Covid-19 molte sono le incertezze, le ansie e i dubbi che assalgono
gli italiani e, in particolare, noi giovani.
Ci
siamo visti, per la prima volta, privare delle libertà e dei diritti che davamo
per scontati e ci siamo ritrovati a sperimentare, seppure a causa di
un’emergenza gravissima, cosa voglia dire non avere il pieno controllo delle
proprie attività e dei propri progetti per il futuro.
Da qui
sorge, quindi, un pensiero nostalgico in me: rifletto su quante cose sono
cambiate, da quel 2 giugno 1946 – giorno di vera e propria festa – ad oggi.
È una
realtà diversa quella in cui ci troviamo, in cui la democrazia che conoscevamo
sta iniziando a sgretolarsi sotto i nostri occhi.
Come abbiamo rinunciato in fretta a far valere
le nostre prerogative e a scendere in piazza quando dei “semplici” DPCM ci
hanno chiusi in casa! Come ci siamo dimenticati in fretta del dettato
costituzionale! Come non abbiamo criticato i nostri politici che, rinunciando alla loro
funzione all’interno del nostro Parlamento nazionale, non hanno contribuito –
soprattutto nella fase iniziale della lotta al Coronavirus – a stendere alcun
testo legislativo!
Ci
siamo dimenticati, dunque, dei sacrifici compiuti dai nostri padri per arrivare
a quel 2 giugno 1946?
Ci
siamo dimenticati dell’impegno civile, della militanza, del reale significato
della parità e del contrasto alle disuguaglianze, economiche, sociali e
politiche? Ci
siamo dimenticati di cosa voglia dire lottare per ciò in cui si crede e
sacrificarsi per i propri ideali?
Forse
sì. Ce ne siamo dimenticati noi giovani soprattutto. Chiusi in gusci vuoti, in molti hanno
smarrito la strada.
Badate
bene, non sto incoraggiando le nuove generazioni a scendere in piazza con i
forconi o a protestare in maniera violenta e visibile. Non sono stata – e non lo sono
tutt’ora – una sostenitrice delle “sardine”. L’opposizione politica, a mio modo di
vedere, è fatta di contenuti e non di vuoti declami e di lotte oppositive e
dicotomiche: questa è la vera debolezza di questo movimento che, non a caso, è,
ad oggi, praticamente scomparso dal dibattito pubblico.
Non è
nulla di tutto questo ciò che intendo. Mi riferisco, piuttosto, alla
necessità di tornare a studiare, anche e soprattutto la nostra Costituzione.
Sarà
perché sono una laureata in Giurisprudenza e un’appassionata di diritto
pubblico, ma
per me sapere che vi sono dei miei coetanei che si recano alle urne senza
neanche comprendere perché o per cosa votare mi riempie di profonda tristezza
ed amarezza.
Il 2
giugno ci dovrebbe ricordare, non a caso, che il voto è sì un diritto, ma anche
e soprattutto un dovere. Esercitare tale prerogativa, dunque, costituisce un
connotato essenziale del nostro essere cittadini fieri e consapevoli. Non conoscere, al contrario, il
significato e la storia delle istituzioni repubblicane non può che
rappresentare un vulnus per lo stesso concetto di democrazia.
La
democrazia, infatti, muore senza nessuno che la preservi dalle storture e che
la accudisca costantemente, con impegno, serietà e dedizione, anche e
soprattutto nelle piccole cose e nei gesti di tutti i giorni.
Dedicarsi,
dunque, al proprio lavoro, studiare e conoscere il diritto costituzionale,
tenersi aggiornati sugli avvenimenti di maggior rilievo della politica
nazionale ed internazionale, adempiere ai propri doveri di contribuente
responsabile, aiutare il prossimo – in una dimensione di solidarietà – ,
sostenere chi non ha i mezzi per far fronte alle più basilari necessità sono
compiti che ogni buon cittadino, nei limiti delle sue capacità e possibilità,
dovrebbe imporsi.
In un
momento difficile come questo si potrebbe obiettare che “l’uomo medio della strada” evocato dallo stesso codice civile
abbia altre preoccupazioni: il lavoro, la salute, la famiglia, gli affetti sono
solo alcuni degli ambiti della vita di ciascuno di noi che sono stati impattati
dalla crisi pandemica. Come si può pretendere, quindi, un’attenzione focalizzata su
uno Stato – e una classe dirigente – in cui si fatica a credere? Come
fare per ricostituire quell’antico e prezioso legame che è stato forgiato
dapprima dalla lotta al fascismo e, poi, dal sorgere della Repubblica italiana?
Come ricucire quest’antico strappo?
La
risposta non è – e non può essere – univoca. Credo, però, che un buon punto di
partenza possa consistere in una rinnovata attenzione alle istituzioni del
nostro Paese e in una maggiore educazione delle nuove generazioni ad
interessarsi ai fatti di attualità, sospingendo queste ultime a non lasciarsi
trascinare dagli eventi, ma spingendole ad esserne protagonisti.
È un
percorso lungo e accidentato, che si basa, soprattutto, su inputs che devono
provenire, innanzitutto, dalle famiglie e dalla scuola, i principali agenti in
questa rivoluzione copernicana di mentalità.
Nel
mio caso è stato così. La mia famiglia mi ha insegnato a studiare e a documentarmi
sempre e mi ha incoraggiata a non avere timore nell’esprimere le mie posizioni.
Una giovane donna forte deve sapere di poter argomentare le sue idee come
preferisce, nel rispetto degli interlocutori, ma con fermezza e coraggio.
La
scuola, poi, soprattutto il liceo classico che ho frequentato a Parma, mi ha
spronata a guardare oltre la mia dimensione locale e nazionale. Mi ha spinta, prima ancora
dell’Università, a muovermi in un mondo fatto di contrasti e ingiustizie, ma
anche di sogni e di speranze. Mi ha dato la possibilità di crescere e di vivere le
assemblee di istituto non come semplici “ricreazioni prolungate”, ma come veri
e propri momenti di arricchimento personale.
Rammento,
in particolare, le diverse tematiche politiche – e scottanti – che si
affrontavano in quelle aule, sotto la spinta degli stessi professori, che ci
incoraggiavano a discutere e a pensare con la nostra testa. Un insegnamento,
quest’ultimo, non di poco conto e, purtroppo, spesso non condiviso dalle
istituzioni scolastiche italiane.
Questi
due ingredienti, se uniti e combinati tra loro, potrebbero portare le nuove
generazioni a vivere con maggiore consapevolezza la festa della Repubblica.
Solo così, infatti, i giovani comprenderebbero che tale ricorrenza è
soprattutto dedicata a loro, le nuove leve del Paese, le speranze per il
futuro.
Se non
siamo consci di tale – fondamentale – rilievo, allora la crisi, umanitaria, sociale ed
economica che stiamo vivendo, ci ha già sopraffatti e ha vinto su di noi.
Mi
rifiuto di credere che sia così e che sia tutto perduto. Per questo, le parole
di Mattarella di oggi saranno fondamentali. Credo che rammenterà l’importanza di
sentirsi italiani e, ancor di più, europei, non più soli nelle avversità.
Ed io
sono consapevole che ciò è il punto di partenza per costruire la nostra
identità, con la consapevolezza di quali diritti si possa e si debba tutelare,
come uomini e donne, oltre che come cittadini.
E
sono, altresì, consapevole che questa forza e questa determinazione – di
crescita personale e valoriale – nessuno me la potrà portare via. Nemmeno il
Coronavirus, che tutto ha cambiato, anche per me.
Un
triumvirato di garanzia
per le
oligarchie internazionali.
Lindipendente.online- Giorgia Audiello-
(1
FEBBRAIO 2022 )-ci dice :
Con le
attenzioni della stampa nazionale tutte concentrate sulla rielezione di
Mattarella a capo dello Stato e sulle beghe partitiche che ne sono derivate
un’altra notizia degna di attenzione è passata in sordina.
Lo
scorso 29 gennaio, Giuliano Amato – professore emerito di diritto pubblico
comparato e per due volte presidente del Consiglio – è stato eletto
all’unanimità presidente della Corte costituzionale.
Con la sua elezione a capo del più importante
organo di garanzia costituzionale – insieme alla rielezione di Mattarella alla
presidenza della Repubblica e a Draghi presidente del Consiglio – ci troviamo
di fronte a quello che può essere considerato a tutti gli effetti un
“triumvirato” che avrà, tra le altre, la funzione di rassicurare le oligarchie
finanziarie transnazionali sul fatto che l’Italia non si allontanerà di un
millimetro dallo status quo desiderato.
Non è
un caso che le potenti banche d’affari americane come Goldman Sachs, i grandi
fondi d’investimento quali Black Rock, ma anche le organizzazioni di categoria
finanziaria e industriale come la Trilateral, nonché l’impalcatura burocratica
di Bruxelles abbiano tutte quante salutato con giubilo le nomine italiane.
La
biografia politica di Giuliano Amato merita di essere rinfrescata: il governo
da lui guidato come presidente del Consiglio nel 1992, fu quello che mise in
campo la svendita del patrimonio pubblico italiano, proprio nel periodo in cui,
sotto i colpi dell’operazione giudiziaria “Mani pulite”, l’Italia transitava
dalla prima alla seconda Repubblica, quella che nei fatti si sarebbe mossa come
“curatrice fallimentare” dell’industria italiana e rappresentante degli
interessi dei grandi potentati economici. A portare avanti la privatizzazione
degli asset pubblici nazionali sul famigerato panfilo Britannia c’era proprio
lui, l’uomo dei mercati, delle banche e dell’euro: Mario Draghi, allora
Direttore generale del Tesoro. Incarico che avrebbe ricoperto dal 1991 al 2001,
naturalmente anche per conto del governo Amato. L’azione dei due ebbe il
risultato di devastare l’ascesa industriale italiane che proprio nel 1991 era
diventata la quarta potenza economica globale scavalcando Germania e Francia.
La
svendita del patrimonio pubblico attraverso le privatizzazioni e la
sottoscrizione del trattato sull’Unione Europea nel 1992 ebbero la conseguenza
di deindustrializzare il Paese e a rallentarne la crescita, incatenandolo a
rigide politiche di austerità fiscale come previsto dai famigerati parametri di
Maastricht.
Nel
contesto di questo “disegno” vanno anche inserite due nefaste decisioni
politiche intraprese dal governo Amato I: l’abolizione della scala mobile che
permetteva di indicizzare automaticamente i salari in funzione dell’inflazione
e il prelievo forzoso notturno del 13 settembre 1992, in seguito all’attacco
speculativo alla lira da parte del noto finanziere, oggi definito “filantropo”,
George Soros.
Dal
canto suo, in Sergio Mattarella – come in tutti i presidenti della Repubblica
degli ultimi decenni – le istituzioni globali cercano il garante dell’impianto
eurocratico, liberista e atlantista in Italia, riflesso degli interessi
plutocratici internazionali.
Prova ne è il fatto che nel suo settennato
egli abbia avallato tutti i governi e le iniziative politiche di stampo
europeista, dando il suo aperto appoggio a organizzazioni sovranazionali come
la Commissione Trilaterale, organizzazione delle élite economiche che esercita
grande influenza sulle politiche dei Paesi occidentali e la cui dottrina è
riassunta nel rapporto del 1975 “La crisi della democrazia”.
Solo
in un’occasione, il presidente è intervenuto risolutamente nelle vicende
politiche nazionali, non per difenderle, ma per scongiurare un pericolo,
peraltro inesistente, di uscita dall’euro: si oppose, infatti, alla nomina di
Paolo Savona a ministro dell’economia nel primo governo Conte, in quanto
colpevole di sostenere tesi euro-scettiche.
Dunque,
dopo la breve e inconcludente parentesi dei (finti) partiti antisistema eletti
nel 2018, la politica italiana completa la giravolta che – tradendo il voto
popolare che alle urne premiò partiti che si erano presentati come anti-sistema
ed euro-scettici – in appena tre anni ha riportato l’Italia non solo nel novero
delle politiche liberali propugnate da Bruxelles, ma l’ha collocata addirittura
all’avanguardia della governance globale, come palesato con compiacimento dal fondatore del World Economic
Forum, Klaus Schwab, che in occasione dell’ultimo vertice di Davos ha definito
il nostro Paese un’avanguardia della cosiddetta governance 4.0, ovvero quella in cui élite
politiche nazionali ed élite economico-finanziarie globali governano a
braccetto.
O se
preferite, mantenendo la prolissa sintassi del documento di Schwab, quella in cui il governo nazionale
non agisce più “come se da solo avesse tutte le risposte”, accettando una verticalizzazione e una concentrazione dei processi
decisionali che si pone al di fuori del perimetro delle istituzioni
democratiche nazionali.
Tornando
alla nomina di Amato a presidente della Corte costituzionale, infine, utile
notare come egli, nelle sue prime esternazioni, abbia specificato che «il compito
della giurisprudenza della Corte costituzionale, nelle materie in cui la
scienza ha un peso, è di ascoltare le ragioni della scienza».
Affermazione
che lascia intendere come non vi sia alcuna intenzione di valutare la
preminenza di altri diritti costituzionalmente garantiti nella fase storica in
cui le big Pharma e i comitati tecnici scientifici governativi si sono
autoeletti a unici depositari della disciplina.
(Giorgia
Audiello).
Zelensky
apre all'accordo con la Russia:
status
neutrale e
non nucleare dell'Ucraina.
Italiaoggi.it-Redazione-(28-3-2022)-
ci dice:
Gas
russo in rubli, dal G7 arriva il no: «Inaccettabile».
Mosca:
non faremo beneficenza. Colloquio telefonico con Zelensky, Draghi ribadisce
fermo sostegno.
Per il capo dell'Agenzia di intelligence per
la difesa dell'Ucraina: Putin sta valutando uno scenario 'coreano' per
l'Ucraina. Le forze russe cercheranno di imporre una linea di demarcazione tra
le regioni non occupate e quelle occupate del nostro paese.
Nuovi
colloqui sono previsti a Istanbul, in Turchia, tra le delegazioni di Russia e
Ucraina in vista di una soluzione negoziata della guerra. Ma non è ancora
chiaro se le due parti si ritroveranno già oggi o domani. Se infatti uno dei negoziatori
ucraini ha precisato che i team negoziali si vedranno in giornata, la
presidenza turca ha fatto sapere che il dialogo russo-ucraino non avrà luogo
prima di domani.
L'Ucraina
è pronta ad accettare uno status neutrale, come parte di un accordo di pace con
la Russia.
Lo ha
affermato domenica il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un'intervista
con giornalisti indipendenti russi, riportata dalla Cnn. "Garanzie di
sicurezza e lo status neutrale e non nucleare del nostro stato. Siamo pronti ad
accettarlo. Questo è il punto più importante", ha detto Zelensky,
riferendo ai giornalisti che "questo era il primo punto di principio per
la Federazione Russa, per quanto ricordo. E per quanto ricordo, hanno iniziato
la guerra per questo".
Qualsiasi
accordo dovrebbe essere sottoposto al popolo ucraino in un referendum, ha
affermato.
Ma
Zelensky ha sottolineato ancora una volta il suo desiderio di raggiungere un
accordo di pace concreto: "Quindi questa clausola è una clausola di
garanzia di sicurezza per l'Ucraina. E poiché dicono che è anche per loro"
una garanzia di sicurezza, "è comprensibile per me e se ne sta discutendo.
È approfondita, ma mi interessa assicurarmi che sia non solo un altro pezzo di
carta", ha aggiunto.
"Quindi
siamo interessati a trasformare quel documento in un trattato serio da
firmare", ha concluso il presidente, affermando che "le questioni del
Donbass e della Crimea devono essere discusse e risolte" nei colloqui di
pace.
Il
presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha avuto oggi pomeriggio una nuova conversazione
telefonica con il presidente dell'Ucraina, Volodymyr Zelensky. Lo riferisce
Palazzo Chigi in una nota. "Al centro dei colloqui - si riferisce - vi
sono stati gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina e della crisi
umanitaria in atto. Il presidente Zelensky ha lamentato il blocco
da parte russa dei corridoi umanitari e la prosecuzione dell'assedio e dei
bombardamenti delle citta', comprese le scuole, con conseguenti perdite civili,
tra cui anche bambini.
Il
presidente Draghi ha ribadito il fermo sostegno del Governo italiano alle
autorita' e al popolo ucraini e la piena disponibilita' dell'Italia a
contribuire all'azione internazionale per porre fine alla guerra e promuovere
una soluzione durevole della crisi in Ucraina".
Il
presidente russo Vladimir Putin ha ordinato al governo, alla Banca Centrale e a
Gazprom di attuare entro il 31 marzo le disposizioni che prevedono l'uso del
rublo per i pagamenti delle forniture di gas ai “Paesi ostili”.
Lo ha
riferito il Cremlino. La definizione di Paesi ostili riguarda quei paesi che hanno
adottato sanzioni verso la Russia per la guerra con l'Ucraina. Secondo il presidente russo,
riferiva nei giorni scorsi il sito di Kommersant, fornire merci russe all'Ue e
agli Stati Uniti e ricevere pagamenti in dollari ed euro «non ha alcun senso
per noi». Dopo
la notizia, il rublo ha recuperato valore alla Borsa di Mosca. La Russia, ha
detto Putin, continuerà a fornire gas «in base ai volumi e secondo i principi
di tariffazione conclusi nei contratti».
Ma dal
G7 arriva unanime un no secco. Il G7 ritiene che chiedere il pagamento del gas
russo in rubli non sia "accettabile". Lo afferma il G7 in una
dichiarazione resa nota da Berlino in quanto presidente di turno.
L'oligarca
russo Roman Abramovich e i negoziatori ucraini hanno sofferto sintomi di
sospetto avvelenamento dopo un incontro a Kiev all'inizio del mese. Lo riporta
il Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali il sospetto
attacco potrebbe essere stato commesso da alcuni a Mosca che volevano sabotare
le trattative per mettere fine alla guerra.
"Un
nuovo giro di negoziati è in arrivo, perché cerchiamo la pace. Veramente. Senza
indugio. Come mi è stato detto, c'è un'opportunità e la necessità di un
incontro faccia a faccia già in Turchia. Questo non è male. Diamo un'occhiata
al risultato", ha poi detto il presidente ucraino nel suo ultimo messaggio
sui social.
"Le nostre priorità nei negoziati sono
note. La sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina sono fuori dubbio.
Efficaci garanzie di sicurezza per il nostro Stato sono obbligatorie.
Il nostro obiettivo è ovvio: la pace e il
ripristino di una vita normale nel nostro stato natale il prima
possibile", ha aggiunto. Il presidente ucraino ha quindi ringraziato il
"numero impressionante di persone nelle piazze d'Europa, e in altri
continenti" che protesta contro l'aggressione russa in Ucraina.
"Questo
è estremamente importante. Perché quando le persone sono in piazza, i politici
non faranno più finta di non sentire noi e voi, di non sentire l'Ucraina",
ha spiegato nel suo ultimo messaggio sui social. "Non permetteremo a
nessuno di dimenticare le nostre città, Mariupol e altre città ucraine che le
forze armate russe stanno distruggendo", ha aggiunto. "Sempre più
persone nel mondo sono dalla parte dell'Ucraina, dalla parte del bene in questa
battaglia contro il male. E se i politici non sanno seguire le persone, noi gli
insegneremo. Questa è la base della democrazia e del nostro carattere
nazionale", ha detto.
Il
ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha affermato - citato dalla Ria
Novosti - che ci sono possibilità per un accordo tra Russia e Ucraina.
"Vedo
ancora che ci sono possibilità per un accordo, perché la comprensione degli
errori più grossolani a lungo termine dei nostri partner occidentali è ora
presente, anche se per ovvi motivi è improbabile che lo dicano ad alta
voce"
"La Russia è interessata al successo dei
negoziati con l'Ucraina, che riprendono in presenza a Istanbul, in
Turchia", ha detto Lavrov. "Siamo interessati a garantire che questi
negoziati producano un risultato, in modo tale da far avanzare i nostri obiettivi
critici, che sono, prima di tutto, porre fine alle vittime civili nel Donbass,
che durano da 10 lunghi anni, mentre l'intera comunità progressista
dell'Occidente è rimasta in silenzio, senza fare un solo commento critico,
anche se tutti hanno guardato come le infrastrutture civili, gli ospedali, gli
asili, le cliniche e gli edifici residenziali venivano bombardati nel
Donbass", ha detto Lavrov ai media serbi. Il ministro ha poi sottolineato
che il presidente russo Vladimir Putin "non si è mai rifiuto di incontrare
il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, ma è importante che l'incontro tra i
due presidenti sia ben preparato. Un incontro tra il presidente russo Vladimir
Putin e quello ucraino Volodymyr Zelensky è necessario non appena ci sarà
chiarezza nella risoluzione di problemi chiave su Donbass, demilitarizzazione e
denazificazione dell'Ucraina".
Per Lavrov un incontro tra il Putin e Zelensky
per discutere della guerra in Ucraina in questo momento sarebbe
"controproducente". Parlando ai media serbi, Lavrov ha aggiunto che
qualsiasi incontro tra i due leader dovrà avvenire una volta che le due parti
saranno più vicine a un accordo su questioni chiave".
Comunque
il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha detto che la Russia è pronta
a considerare anche altre città, come Belgrado, per tenere i negoziati con
l'Ucraina.
"Il
luogo dei negoziati deve essere accettabile per entrambi i team. Abbiamo tenuto
tre round di colloqui faccia a faccia in Bielorussia, poi c'è stata una pausa
per motivi tecnici ed è stato difficile incontrarsi direttamente", ha
detto. "Ora
è stato raggiunto un accordo su un incontro a Istanbul anche se saremo
ovviamente pronti a considerare altre località, compresa Belgrado, ha aggiunto.
Lavrov
ha affermato che durante i negoziati in corso con l'Ucraina, "la Russia è
obbligata a fare in modo che il popolo del Donbass non soffra mai più a causa
del regime di Kiev e che l'Ucraina cessi di essere un paese costantemente
militarizzato" nel tentativo di minacciare la Russia.
"Sia
la smilitarizzazione che la denazificazione dell'Ucraina sono una componente
indispensabile di quegli accordi su cui stiamo lavorando", ha affermato
Lavrov. "L'incontro" dei due presidenti "è necessario non appena
avremo chiarezza sull'esito di tutte queste questioni chiave", ha
aggiunto, lasciando intendere che prima sarebbe controproducente. "Sono
molti anni che portiamo l'attenzione su questi problemi. L'Occidente non ci ha
ascoltato, ora ci ha sentito. Bene, almeno è qualcosa", ha commentato
Lavrov. Il ministro ha poi affermato che "le relazioni del suo Paese con
la Cina non sono mai state così forti. Mentre le Nazioni occidentali hanno
cercato di isolare la Russia con dure sanzioni, la Cina si è rifiutata di
condannare l'invasione e ha anche mantenuto normali scambi economici e
commerciali con Mosca. La Russia spera di creare un fronte orientale unificato
mantenendo stretti legami con la Cina".
Il
portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, citato dalla Ria Novosti, ha affermato
comunque che dopo i colloqui tra le delegazioni russa e ucraina a Istanbul non
ci sarà un incontro tra Putin e Zelensky.
"No, non ci sono progressi", ha
detto Peskov che ha anche affermato che le parti non discuteranno lo scambio di
prigionieri di guerra ed ha detto che è probabile che i colloqui inizino oggi e
che le delegazioni si incontrino domani. "Finora non possiamo parlare e
non parleremo di progresso. Il fatto stesso che sia stato deciso di continuare
i colloqui di persona è importante, ovviamente. Ma per ora, continuiamo ad
aderire alla politica di non divulgare alcun dettaglio relativo ai negoziati.
Riteniamo che questo possa solo danneggiare il processo negoziale", ha
affermato Peskov.
Il
capo dell'Agenzia di intelligence per la difesa dell'Ucraina, generale Kyrylo
Budanov, ha affermato - come riporta la CNN - che le operazioni della Russia
intorno a Kiev sono fallite e che ora è impossibile per l'esercito russo
rovesciare il governo ucraino. La guerra di Putin era ora concentrata nel sud e
nell'est del paese, ha detto. "C'è motivo di credere che stia valutando
uno scenario 'coreano' per l'Ucraina.
Cioè" le forze russe "cercheranno di imporre
una linea di demarcazione tra le regioni non occupate e quelle occupate del
nostro paese. In realtà, è un tentativo di creare la Corea del Nord e del Sud
in Ucraina", ha affermato Budanov.
Secondo
Budanov la Russia è rimasta intenzionata a stabilire un corridoio terrestre dal
confine russo alla Crimea e ha affermato di aspettarsi un tentativo di unire i
territori occupati dalla Russia in un'unica entità: "Stiamo già assistendo
a tentativi di creare autorità 'parallele' nei territori occupati e di costringere
le persone a rinunciare alla valuta" ucraina, ha detto Budanov,
aggiungendo che si aspettava che gli ucraini resistessero agli sforzi politici
della Russia.
Secondo
i report con le "informazioni operative" sullo stato dei
combattimenti in Ucraina rilasciati nelle ultime ore dal ministero della Difesa
e dallo Stato Maggiore Generale delle Forze Armate di Kiev, una parte delle
truppe russe "si sta spostando nel territorio della Repubblica di
Bielorussia. Queste misure - si spiega - vengono attuate per ruotare le unità
che hanno subito perdite significative, rafforzare i gruppi esistenti,
rifornire di cibo, carburante e munizioni, organizzare l'evacuazione del
personale ferito e malato".
Lo
Stato Maggiore ha riferito che unità russe "che hanno subito perdite
significative nel processo di azioni offensive vengono di solito portate sul
territorio della Bielorussia per il ripristino delle milizie", informando
di un "ritiro dal territorio della regione di Kiev" dei russi
"al territorio della Repubblica di Bielorussia".
Inoltre
"si registra il trasporto di razzi Iskander (9K720Iskander (SS-26 Stone) -
un sistema di missili balistici a corto raggio - sulla strada di trasporto
verso l'area dell'insediamento di Kalinkovichi", città della Bielorussia
vicina al confine con l'Ucraina.
Nel
loro aggiornamento operativo quotidiano, le forze ucraine hanno inoltre
spiegato che continuano a fronteggiare i militari russi che hanno l'obiettivo
di ottenere il controllo delle strade e degli insediamenti chiave nella città
di Kiev, cercando di sfondare le difese ucraine da nord-ovest e da est.
In un
precedente rapporto pubblicato dal ministero della Difesa ucraino si affermava
che la Russia era stata costretta a ritirare le truppe che circondavano Kiev
dopo aver subito perdite significative. Le forze di difesa ucraine hanno
anche affermato che cinque attacchi delle forze russe nelle regioni di Donetsk
e Lugansk sono stati respinti. Nel bollettino quotidiano sull'andamento della
guerra si spiega che a Donetsk e Lugansk gli ucraini hanno distrutto due carri
armati, un veicolo di fanteria e un'auto. Mentre le forze aeree hanno distrutto
4 aerei, 1 elicottero e 2 velivoli senza pilota.
Nuovi
incendi sono scoppiati nell'area della centrale nucleare di Chernobyl, occupata
dalle forze russe, secondo le autorità ucraine che hanno chiesto
la"smilitarizzazione" del settore sotto l'egida dell'Onu.
"Sono
scoppiati incendi significativi nella zona di esclusione, che possono avere
conseguenze molto gravi", ha scritto ieri sera la vice premier ucraina
Iryna Vereshchuk sul suo account Telegram.
"Tuttavia, ora è impossibile controllare
ed estinguere completamente gli incendi a causa della cattura della zona di
esclusione da parte delle forze occupanti russe", ha aggiunto.
"Pertanto, chiediamo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di
adottare misure immediate per smilitarizzare la zona di esclusione di
Chernobyl", ha continuato la funzionaria del governo di Kiev.
Circa
160.000 persone sono ancora nella città assediata di Mariupol senza
riscaldamento, ha detto il sindaco, Vadym Boichenko, chiedendo l'evacuazione
completa della città. Alcuni residenti sono riusciti a scappare attraverso i
corridoi umanitari aperti nei giorni scorsi ma molti restano intrappolati.
Mariupol, che è un obiettivo chiave per le forze russe grazie alla sua
posizione strategica, è sotto assedio quasi dall'inizio dell'invasione e tutti
gli edifici della città sono stati danneggiati dai bombardamenti russi.
Gli
studenti della capitale ucraina Kiev riprendono oggi la scuola con la didattica
a distanza. Lo ha annunciato su Telegram il sindaco di Kiev Vitali Klitschko.
"Il 28 marzo riprenderà il percorso educativo nella capitale - online.
Sarà più adattato alle condizioni attuali. E utilizzando diverse piattaforme
educative per gli studenti", ha affermato. "Importante oggi è che la città
viva e lavori anche in condizioni così difficili di legge marziale. Stanno
cercando di intimidirci. Non funzionerà! Non ci arrenderemo!" ha
commentato Klitschko.
Secondo
il ministro dell'Economia ucraino, Yulia Svyrydenko, la guerra finora è costata
all'Ucraina 564,9 miliardi di dollari (429,3 miliardi di sterline) in termini
di danni alle infrastrutture, perdita di crescita economica e altri fattori.
Circa 8.000 km (4.970 miglia) di strade e 10 milioni di metri quadrati di
alloggi sono stati danneggiati o distrutti a causa dei combattimenti.
Il
presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto che nelle sue osservazioni a
braccio non stava chiedendo un cambio di regime in Russia: "No", ha
detto Biden - come riporta la Cnn - in risposta a una domanda gridata da un
giornalista nella sala stampa, che chiedeva al presidente stesse chiedendo un
cambio di regime.
Secondo
la Bbc, la Germania sta valutando l'acquisto di un sistema di difesa
missilistica per proteggersi da un potenziale attacco russo, ha affermato il
cancelliere Olaf Scholz: "Questo è certamente uno dei problemi di cui stiamo
discutendo e per una buona ragione", ha detto all'emittente pubblica ARD
quando gli è stato chiesto se la Germania potrebbe acquistare un sistema come
l'Israel's Iron Dome. Non ha specificato quale tipo di sistema di difesa
missilistica stesse prendendo in considerazione Berlino. Alla domanda se la
Germania volesse acquistarne uno con una portata maggiore rispetto alle
batterie Patriot esistenti, Scholz ha risposto: "Dobbiamo essere
consapevoli del fatto che abbiamo un vicino pronto a usare la violenza per far
valere i propri interessi".
L’Occidente
ha un concetto del tutto
strumentale
dei crimini di guerra.
Lindipendente.online-Valeria
Casolaro- ( 5 MARZO 2022)- ci dice :
Il
ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba vorrebbe che fosse istituito un
tribunale speciale per poter processare la Russia in seguito all’invasione
dell’Ucraina. Kuleba avrebbe infatti affermato che la Russia si è macchiata di
“crimini di aggressione” contro l’Ucraina, motivo per il quale andrebbe portata
davanti ad un Tribunale internazionale.
Un processo in stile Norimberga, come ha affermato
l’ex premier inglese Gordon Brown, che ha appoggiato l’idea. Affermazioni del
genere suscitano di certo una immediata eco politica e mediatica, ma la fattibilità
è ancora tutta da verificare.
Ciò
che sta emergendo con maggiore forza in seguito allo scoppio del conflitto
russo-ucraino è come le nozioni di “crimini di guerra” e “crimini contro
l’umanità” siano usati in modo del tutto strumentale da parte degli Stati e
delle istituzioni occidentali, andando a servire più gli interessi geopolitici
che i criteri di giustizia.
Cerchiamo
di essere chiari sin da subito: la guerra va ripudiata con ogni mezzo e in ogni caso,
ed è giusto che qualcuno condanni Putin per le proprie azioni criminali.
Tuttavia, il sentimento antirusso scaturito in seguito allo scoppio della
guerra in Ucraina ha portato l’Occidente a calpestare alcuni dei propri
principi fondamentali, quale per esempio la libertà di informazione (con la
censura di diversi media russi).
Nel
contesto di caos e tripudio mediatico che ne è scaturito, inoltre, distinguere
i fatti dalla propaganda diventa un’operazione ostica. Evocare il processo di Norimberga, in
questo caso, ha sicuramente una eco mediatica e politica di rilievo. Riporta la
mente all’atto conclusivo di un sanguinoso squarcio nella nostra storia
contemporanea, una ferita che ha impiegato decenni a risanarsi e forse ancora
non è guarita del tutto. La fattibilità di tale procedimento, tuttavia, è
ancora tutta da verificare.
I
crimini di guerra, contro l’umanità e il genocidio sono infatti di competenza
della Corte Penale Internazionale (CPI), la quale ha potere complementare a
quello degli Stati membri e ha sede a L’Aia. Nel giudicare tali crimini, la CPI
ha giurisdizione limitatamente al territorio dei propri Stati membri anche nel
caso in cui il crimine sia commesso da uno Stato non membro.
Né la Russia né l’Ucraina hanno mai ratificato
lo Statuto su cui si basa la CPI e non ne sono quindi parte, tuttavia nel 2014
l’Ucraina è riuscita ad aggirare l’ostacolo attivando una procedura speciale
prevista dallo stesso Statuto. Il problema della giurisdizione, in tal caso,
potrebbe così essere aggirato, ma rimane il fatto che i processi presso la CPI non
possano essere svolti in contumacia.
Nel
2018 a questi tre crimini è stato aggiunto quello di aggressione, ovvero “la
pianificazione, la preparazione, l’inizio o l’esecuzione, da parte di una
persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere
l’azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che per
carattere, gravità e portata costituisce una manifesta violazione della Carta
delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945”.
Per
quanto riguarda questo tipo di reato, la CPI può intervenire solamente se a
commettere l’aggressione è uno degli Stati membri. Per tale motivo, secondo
l’analisi di ISPI, intervenire per i crimini di aggressione nel caso della
Russia rimane di fatto impossibile anche tramite la riforma dell’impianto
normativo, in ragione del principio della irretroattività. Il fatto che la CPI abbia deciso di
istituire un’indagine è ad ogni modo un forte segno della volontà di far
rispettare il diritto internazionale.
A
questo punto, tuttavia, pare naturale porsi il quesito: in quante altre
occasioni i crimini di guerra sono stati invece ignorati, proprio in virtù di
giochi di forza geopolitici? Secondo alcune stime, le “vittime collaterali” dei raid
americani nei principali teatri di guerra in Medio Oriente e Africa si
avvicinerebbero a un minimo di 23 mila, numero che potenzialmente potrebbe
anche raddoppiare. Tuttavia, a seguito delle pressioni da parte degli Stati
Uniti, nel dicembre del 2021 la CPI ha annunciato di aver sospeso le indagini a
carico dei soldati statunitensi per i crimini di guerra avvenuti nel contesto
del conflitto in Afghanistan.
Lo
ribadiamo: quanto sta accadendo in Ucraina è disumano e va condannato con
forza. Ma proprio lo scoppio di questa guerra ha mostrato come la coscienza occidentale
disponga di due pesi e due misure nel valutare l’impatto e la reazione a
disgrazie di questo tipo.
Pesi e
misure che dipendono per lo più da criteri geopolitici di convenienza.
Un’ipocrisia suggellata dalla decisione dell’Unione europea di qualche giorno
fa di concedere due tipi di protezioni differenti ai profughi della guerra in
Ucraina in base al tipo di passaporto del quale dispongono. Come a dire, per l’ennesima volta,
che uguaglianza e diritti hanno validità solo sulla carta.
(Valeria
Casolaro).
Con o
contro Putin? L'America
Latina
divisa sulla guerra in Ucraina.
Ispionline.it-
Emiliano Guanella-(01 marzo 2022)- ci dice :
Mentre
nei paesi dell’Unione Europea (più la Gran Bretagna) si registra una posizione
unanime nel condannare l’invasione militare russa in Ucraina, in altre parti
del mondo le posizioni sono più eterogenee.
Succede
così in Asia, ad iniziare dalla Cina, in Africa e soprattutto in America
Latina, regione dove Mosca ha aumentato negli ultimi anni la sua presenza in
termini di interscambi commerciali, interessi politici e collaborazione
militare.
Tra i
paesi schierati apertamente con Vladimir Putin c’è il Venezuela di Nicolas
Maduro, il Nicaragua di Daniel Ortega e Cuba, storico alleato di Mosca sin dai
tempi dell’Unione Sovietica.
Da
Caracas c’è stato il primo riconoscimento delle repubbliche indipendenti
filorusse, sia Maduro che il suo braccio destro Diosdado Cabello, eminenza
grigia del potere militare, hanno lodato l’azione di Putin, definito un bastione
nella lotta globale contro l’imperialismo nordamericano ed europeo.
“La
Nato, gli Stati Uniti e l’Unione Europa – ha detto Maduro - vogliono
distruggere la Russia e, con essa, questo mondo multipolare che si è formato
grazie allo sforzo di un grande leader come Vladimir Putin. Noi siamo al suo
fianco, ora e sempre!”.
Il
Venezuela ha ottenuto negli ultimi anni delle importanti linee di credito
internazionali dalla Russia, oltre che una partnership militare con l’invio di
uomini e mezzi russi per le esercitazioni e gli addestramenti delle forze
armate bolivariane.
Stesso
scenario a Managua, con il presidente autoritario Daniel Ortega che si è
definito un “hermano de lucha” (fratello di lotta) del suo collego russo. Cuba
non ha certo bisogno di ricordare la fedeltà a Mosca, rimasta pressoché intatta
da mezzo secolo, anche se oggi gli aiuti scarseggiano.
Sul
fronte opposto ci sono i governi che si sono schierati apertamente contro
l’attacco russo unendosi al coro di condanne visto in Europa e negli Stati Uniti. La Colombia del presidente
Ivan Duque, partner strategico (per molti ormai l’unico) di Washington in
Sudamerica, l’Uruguay del conservatore Luis Lacalle e anche il Cile, con
posizioni sostanzialmente simili da parte del presidente uscente Sebastian
Piñera e dal suo successore Gabriel Boric, che si insedierà il prossimo 11
marzo. “La Russia – ha scritto Boric - ha scelto la via della guerra per
risolvere un conflitto, la nostra solidarietà va alle vittime innocenti”.
Il
quadro è meno lineare, con posizioni al limite dell’ambiguità, quando si passa
a tre paesi rilevanti della regione come l’Argentina, il Messico e il Brasile.
“La
nostra posizione – ha detto il presidente messicano Andrés Manuel Lopez Obrador
– è di condanna all’aggressione militare e all’invasione russa, ma voglio
lasciare in chiaro che faremmo lo stesso per qualsiasi altra invasione, anche
se si trattasse, ad esempio, della Cina o degli Stati Uniti”.
Parole che non hanno convinto la comunità
ucraina in Messico, che avrebbe voluto una posizione più forte e “dedicata”
sull’azione di Putin.
Il
Messico, va detto, ha poi comunque votato a favore della risoluzione di
condanna a Mosca da parte del Consiglio di sicurezza ONU di cui è membro non
permanente. La stessa cosa ha fatto il Brasile, anche se a
Brasilia le posizioni a livello ufficiale sono state molto divergenti.
Il primo giorno dell’attacco il vicepresidente
Hamilton Mourao, che è un ex generale dell’esercito, ha condannato con forza
l’azione russa affermando anche che la via delle sanzioni non è quella giusta
per fermarla.
“Le
sanzioni non servono a nulla, di fronte ad un’azione del genere si deve
rispondere a livello militare”.
Dichiarazioni
che hanno fatto scattare l’immediata risposta del suo “capo”, il presidente
Jair Bolsonaro, che pochi giorni prima (il 16 febbraio) aveva incontrato Putin
al Cremlino. Si è trattato di un meeting non centrato sull’Ucraina, ma sulle relazioni
commerciali fra i due paesi, con la Russia principale fornitore di
fertilizzanti per l’importante settore dell’agro business brasiliano. “Il presidente della repubblica
sono io – ha detto Bolsonaro zittendo di fatto il suo vice - e sono l’unico
autorizzato a parlare in queste situazioni. Il Brasile è contro la guerra in ogni
caso, ma noi vogliamo essere neutrali perché crediamo che solo così si aiuta a
raggiungere la pace”.
Bolsonaro ha ricevuto pesanti critiche per la
sua visita a Putin anche da parte della Casa Bianca, che si è espressa con un
comunicato della segreteria di Stato. “Visitando il leader russo mentre
questo Paese sta preparando un’aggressione militare, il Brasile mette a rischio
gli sforzi globali per evitare un conflitto. Una postura che contraddice la sua
enfasi storica a favore de progresso e della pace”.
Curiosamente,
la posizione di Bolsonaro è simile a quella dell’ex presidente e suo principale
avversario politico Lula da Silva. “Trovo inconcepibile – ha detto Lula - che nel 2022 si
arrivi ancora a delle guerre di questo tipo. Condanno questa invasione, che è
simile a tante altre viste da parte degli Stati Uniti e di altre potenze
coloniali europee. Dovete negoziare e trovare la pace”.
Il suo
partito dei lavoratori (PT) si è spinto oltre. Nel primo giorno di conflitto,
quando i carrarmati russi entravano in territorio ucraino, i senatori del PT
hanno diffuso una lettera di ripudio all’aggressione degli Stati Uniti e della
Nato, considerandola come la ragione principale della guerra in corso.
“Gli USA non vogliono una Russia forte
militarmente e una Cina potente economicamente”. La lettera è stata tolta poco dopo
dal sito del partito, ma è stata ripresa da buona parte della sinistra
brasiliana e di altri paesi della regione. La tesi che Putin sia stato costretto
ad agire per impedire l’ennesimo colpo di mano dell’imperialismo americano fa
capolino in diversi giornali e site.
Contraddizioni
evidenti segnano anche la posizione dell’Argentina. Buenos Aires ha chiesto la
fine del conflitto, ma in sede di Organizzazione degli Stati americani non ha
voluto condannare apertamente l’invasione russa.
Il presidente peronista Alberto Fernandez è stato
fortemente criticato per la sua visita di Stato a Mosca ad inizio febbraio,
quando ha definito Putin un amico dell’Argentina e un alleato fondamentale nella
vertenza aperta per il debito ancora da pagare al Fondo Monetario
Internazionale. Un amico che oggi appare scomodo, ma che non è possibile scaricare da un
momento all’altro.
La
Svizzera rimarrà neutrale
fino
in caso di emergenza.
Swissinfo.ch-
Sibilla Bondolfi – (17 marzo 2022)- ci dice :
Rimanere
neutrale fino all'attacco: la Svizzera tenta di collaborare militarmente con altri
Paesi solo per esercitarsi in caso di emergenza.
La
Svizzera è ufficialmente neutrale. Eppure, collabora da anni con la NATO e l'UE nel
campo della sicurezza. Questo è davvero compatibile con la neutralità? E
soprattutto: perché la Svizzera agisce in questo modo?
La
Svizzera è neutrale. Questo significa che non partecipa a conflitti armati e
non sostiene alcuna parte in guerra. Il mercenarismo - un ramo importante
dell'economia svizzera fino al XVIII secolo - è tabù.
Ma,
per la Svizzera, essere neutrale non significa andare avanti ciecamente da
sola. Al contrario, da tempo Berna collabora con la NATO e i Paesi vicini in
ambito militare.
Cooperazione
con l'UE.
L'UE
non ha ancora un esercito comune. Alcuni stati dell'UE collaborano a livello militare
nel quadro della Cooperazione strutturata permanente (PESCO). Finora, però, si
è trattato soprattutto di progetti di armamento e di addestramento non
vincolanti.
Da
poco, anche i Paesi terzi possono unirsi ai progetti PESCO. Finora l'hanno
fatto Canada, Norvegia e Stati Uniti.
Anche
la Svizzera sta valutando la sua partecipazione alla PESCO. "Il
Dipartimento federale della difesa (DDPS) ha valutato vari progetti",
indica per iscritto la portavoce del DDPS Carolina Bohren. "Dal punto di
vista della Svizzera, al momento c'è un potenziale interesse, in particolare
nel settore informatico".
Cooperazioni
della Svizzera.
Per la
Confederazione, questo tipo di cooperazione non comporta alcun obbligo
incompatibile con la neutralità, secondo il DDPS.
L'anno
scorso, la ministra della difesa Viola Amherd ha affermato che non ci sarebbe
stato nessuno dispiegamento di truppe nel quadro della PESCO. La partecipazione
della Svizzera non metterebbe quindi in discussione il principio di neutralità.
Cooperazione
con la NATO
Dopo
la fine della Guerra fredda, la NATO ha proposto ai Paesi dell'ex Patto di
Varsavia - l'ex avversario - di collaborare. A partire dal 1994, il Partenariato
per la pace (PfP) è stato uno strumento di cooperazione con i Paesi partner che
non sono membri della NATO.
Altri
sviluppi.
"La
neutralità della Svizzera è uno dei fondamenti del nostro partenariato con la
NATO".
Questo
contenuto è stato pubblicato il 11 mar 2022 .L'ambasciatore svizzero alla NATO
Philippe Brandt spiega l'importanza del partenariato con l'Alleanza nel
contesto della guerra in Ucraina.
"Dopo la fine della Guerra fredda, la
Svizzera si è avvicinata alla NATO nel quadro del Partenariato per la
pace", spiega Lea Schaad, ricercatrice del Politecnico di Zurigo che si
occupa di questioni legate alla sicurezza.
In
quel periodo di distensione, dice, la NATO è stata in grado di perseguire
obiettivi che andavano oltre la difesa collettiva, e questo è stato
interessante per entrambe le parti.
Il
DDPS non vede alcun problema nel Partenariato per la pace, dal momento che
prevede soltanto di esercitare la cooperazione militare con altri Stati. Il PfP non prevede obblighi legali
o automatismi ed è quindi compatibile con la neutralità svizzera.
Anche
altri Stati neutrali quali Finlandia, Irlanda, Malta, Austria e Svezia hanno
sottoscritto il documento quadro.
Poiché
il PfP non è esplicitamente un'alleanza di difesa e quindi non vi è alcun
obbligo di fornire assistenza, il partenariato è ritenuto in linea con la
neutralità.
Nella loro collaborazione con la NATO, Svezia, Finlandia, Austria e Irlanda si
spingono persino più in là della Svizzera.
Contenuto
esterno.
Lea
Schaad intravvede comunque una divergenza di interessi: "Dopo gli attacchi
terroristici dell'11 settembre e l'annessione della Crimea nel 2014, gli
interessi della NATO e della Svizzera hanno preso direzioni diverse",
afferma.
Da quando la NATO ha iniziato a concentrarsi nuovamente sulla difesa
collettiva, è diventata meno attrattiva agli occhi di Berna. "La Svizzera non vuole scivolare
in una zona grigia dal punto di vista del diritto della neutralità".
La
guerra in Ucraina rilancia la questione dell'adesione.
L'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia ha dimostrato quanto sia cruciale
l'appartenenza o meno alla NATO. Se l'Ucraina ne fosse stata membro, la NATO avrebbe
avuto il dovere di fornire assistenza e avrebbe dovuto entrare in guerra - e
ciò avrebbe dissuaso la Russia dal lanciare l'attacco in primo luogo.
La guerra
in Ucraina ha così rilanciato il dibattito di un avvicinamento, se non di
un'adesione, alla NATO degli Stati neutrali dell'UE, e cioè di Irlanda,
Austria, Svezia e Finlandia. Secondo il DDPS, è fuori discussione che anche la
Svizzera debba mettersi sotto l'ombrello protettivo della NATO. "L'adesione alla NATO non è
compatibile con la neutralità svizzera", puntualizza Carolina Bohren.
Finlandia
e Svezia interpretano la loro neutralità in modo meno rigido, definendosi dei
Paesi "senza alleanze". Ciò che distingue ulteriormente la Svizzera
dai due Paesi scandinavi è la sua posizione geografica al centro dell'Europa. Difficile immaginare che uno Stato
attacchi la Svizzera - e soltanto la Svizzera.
"Se
la Svizzera diventasse l'obiettivo di un attacco armato, la neutralità verrebbe
meno", afferma Bohren. La Confederazione non solo sarebbe autorizzata a difendersi
militarmente, ma potrebbe anche cooperare con altri Paesi - per esempio le
nazioni vicine. "La Svizzera vuole assicurarsi questa libertà
d'azione", dice la portavoce del DDPS.
È
quindi chiaro il motivo per cui la Svizzera sta cercando di avvicinarsi alla
NATO e alla PESCO. Secondo l'esercito svizzero, queste collaborazioni hanno il vantaggio
di permettere di "esercitare la capacità di cooperazione militare con gli
Stati a noi affini". La Svizzera si sta dunque esercitando per un'emergenza. Fino
ad allora rimarrà, ovviamente, strettamente neutrale.
Zelensky:
“Ucraina rifiuta l'idea
di un
modello austriaco o
svedese
di neutralità, vuole sicurezza."
Rainews.it-redazione-
(16-3-2022)- ci dice:
Il
presidente ucraino ha parlato al Congresso americano in un video collegamento da
Kiev: "La nostra guerra è come il vostro Pearl Harbour e il vostro 11
settembre", in mattinata scrive un messaggio su Telegram.
Il
presidente ucraino è intervenuto oggi a Washington in un videocollegamento
davanti al Congresso americano, alla presenza del presidente Joe Biden.
"Sono
otto anni che resistiamo alle aggressioni russe, non abbiamo mai pensato di
arrenderci, la nostra popolazione sta dando i loro figli e le loro figlie per
combattere, le forze migliori del paese sono in campo.
La
Russia non ha attaccato solo noi e le nostre città, ma ha attaccato anche i
nostri valori, le bombe e gli aerei sono contro il nostro stile di vita, la
nostra libertà, contro i nostri sogni nazionali, che sono gli stessi valori
vostri, valori americani, valori di un paese democratico e libero, dove si
rispettano le leggi e spero che possa succedere la stessa cosa in
Ucraina".
In un
accorato discorso rivolto ai deputati del Congresso, ha paragonato le guerre
americane recenti a quella che sta vivendo il suo paese in questi giorni:
“Nella vostra grandiosa storia avete vissuto
la stessa cosa, potete capire che abbiamo bisogno di aiuto, come a Pearl
Harbour che ha lasciato cicatrici nella vostra storia, come l'11 settembre,
quando il male ha invaso il vostro territorio, quando sono state attaccate
persone innocenti dal cielo, quando nessuno se lo aspettava, adesso succede a
noi, di giorni e di notte, sono tre settimane che succede, Odessa, Mariupol
Kharciv, dal cielo arriva la morte, mille missili russi sono stati sganciati
contro l'Ucraina, bombe a grappolo, terrore che l'Europa non vedeva da 80
anni”, ha spiegato.
E ha
ribadito anche oggi la stessa richiesta formulata per giorni: “È troppo chiedere una no-fly zone
umanitaria? Stiamo chiedendo troppo?”.
Nello
specifico dice : “Abbiamo bisogno, di aerei forti, solidi, aerei che possano aiutare
l'Ucraina e l'Europa, sapete che esistono questi aerei e li avete ma in questo
momento non sono in Ucraina”. “Ho bisogno di proteggere i nostri cieli, ho
bisogno del vostro aiuto, l'Ucraina è grata agli Usa del sostegno senza pari
che ci avete dato, dei cittadini americani che ci hanno fornito armi,
leadership, formazione”.
Il
presidente mostra un video al Congresso a testimonianza di tutte le città
colpite dai bombardamenti e dalla violenza russa.
Zelensky
parla al Congresso americano.
E
ringraziando personalmente il presidente Biden per il suo "onesto
sostegno", chiede di fare di più: "Nuove sanzioni sono necessarie,
restrizioni a chi ha imposto questo regime, contro la Federazione russa con cui
dobbiamo tagliare i legami, tagliare con la Duma, per la loro azione immorale. Tutti devono lasciare il mercato
russo perchè il nostro territorio è intriso di sangue.
Il
leader ucraino si rivolge a tutti quelli che fanno affari con la Russia,
affinché “non
arrivi più un singolo centesimo, per fermare questo sangue, tutti i porti
devono essere chiusi, vogliamo difenderci dalla guerra, chiediamo che i paesi
possano reagire contro quest'aggressione e rispondere rapidamente a questa
aggressione su vasta scala da parte russa. Sarebbe bello se finisse in 2
ore", aggiunge.
Zelensky con un pizzico di critica verso gli
alleati afferma che “oggi il mondo non ha gli strumenti necessari a questa
soluzione, purtroppo queste istituzioni non funzionano, dobbiamo creare nuovi
strumenti, un nuovo gruppo di paesi che fermi questo conflitto, sono necessarie
armi o sanzioni affinchè si trovi la pace in modo rapido, e soprattutto per
l'assistenza alle persone, alla crisi umanitaria. È stato fatto per i vaccini
contro la pandemia da Coronavirus, possiamo farlo ora per fermare i russi” e
dice "quelli che commettono crimini devono essere considerati criminali di
guerra".
“Cari
americani”, conclude, “se un'alleanza del genere esistesse saremmo uniti, ci
sono altri paesi che stanno soffrendo a causa di una distruzione disumana. Oggi
dobbiamo essere leader del mondo, essere forti significa essere coraggiosi e
pronti a lottare, per i diritti umani, oggi il popolo ucraino sta difendendo
anche l'Europa”, ribadisce.
Il
Congresso americano con Joe Biden, Nancy Pelosi e i democratici in prima fila,
si lasciano andare a una standing ovation finale.
Oggi il mondo non ha gli strumenti necessari a questa
soluzione, purtroppo queste istituzioni non funzionano, dobbiamo creare nuovi
strumenti, un nuovo gruppo di paesi che fermi questo conflitto, sono necessarie
armi o sanzioni affinchè si trovi la pace in modo rapido, e soprattutto per
l'assistenza alle persone, alla crisi umanitaria.
Ieri
Zelensky, aveva fornito una visione più ottimistica dei colloqui di pace,
affermando che i negoziati suonano "più realistici". “Ci vuole pazienza, dobbiamo
ancora combattere e lavorare. Ognuno al proprio posto. Ogni guerra termina con
un accordo. Gli incontri continuano, ma ora le posizioni suonano in modo più
realistico”.
Ma dai
negoziati trapela il rifiuto da parte ucraina di “un modello austriaco o
svedese di neutralità del paese” a favore di "assolute garanzie di
sicurezza”. La spiegazione starebbe nel fatto che "L'Ucraina è ora in uno
stato di guerra diretta con la Russia. Pertanto, il modello può essere solo
"ucraino"", ha dichiarato uno dei negoziatori ucraini Mykhailo
Podoliak nei commenti pubblicati dalla presidenza.
Precedentemente
il ministro degli Affari esteri russo Sergei Lavrov aveva annunciato di essere
vicini ad alcuni accordi con l'Ucraina basati sulla neutralità del Paese. Un altro funzionario russo aveva
parlato di uno status per l'Ucraina paragonabile a quello di Svezia e Austria,
due Paesi rispettivamente neutrali e non allineati ma ancorati alla sfera
geopolitica occidentale.
E
aggiunge oggi il presidente in un messaggio su Telegram che “Tutti i rapporti commerciali con la
Russia devono essere interrotti. In questo modo si fermerebbe la
”sponsorizzazione delle uccisioni dei bambini" ucraini e che quindi
dollari o euro non siano pagati col sangue, si legge.
L'Ucraina
non ha la prospettiva di un'adesione alla Nato nel prossimo futuro ha detto
ieri il presidente ucraino ieri, rilanciato anche dal premier britannico Boris
Johnson: "Ho parlato con Zelensky, di nuovo, ieri. E voi sapete,
naturalmente, che capisco cosa sta dicendo sulla Nato e sulla realtà della sua
posizione. E tutti hanno sempre detto, e lo abbiamo detto chiaramente a Putin,
che l'Ucraina non entrerà nella Nato nel prossimo futuro. Ma la decisione sul
futuro dell'Ucraina spetta al popolo ucraino e al presidente Zelensky, loro
leader eletto. E noi lo sosterremo".
In un
discorso alla nazione della notte, Zelenskiy ha detto: "Gli incontri
continuano. Mi è stato detto che le posizioni nei negoziati sembrano più
realistiche. Tuttavia, è necessario ancora più tempo affinché le decisioni
siano nell'interesse dell'Ucraina". Ieri Zelensky ha incontrato i premier
di Polonia, Slovenia e Repubblica Ceca nell'ottica di una "missione di
pace" della Nato "protetta dalle forze armate" sotto il
coprifuoco dopo un lungo viaggio in treno, per garantire l'arrivo degli aiuti
umanitari all'Ucraina. A chiederla il vicepremier polacco, Jaroslaw Kaczynski.
Un incontro senz'altro importante per rinsaldare "l'alleanza" verso i
valori europei, contro la persistente minaccia russa.
Dopo
nel video messaggio lanciato nella notte il presidente ucraino ha detto “Invito
tutti gli amici dell'Ucraina a visitare Kyiv. Può essere pericoloso qui. Perché
il nostro cielo non è ancora chiuso ai missili e agli aerei russi. La decisione
di rafforzare il nostro arsenale in aria non è ancora stata presa. Non abbiamo
ricevuto aerei. Ma... Si sa per certo che gli occhi di tutti i popoli del mondo sono ora
puntati sulla nostra capitale, sugli ucraini. Così tutti quelli che sono con
noi riceveranno gratitudine. Non solo nostra, ma anche di altre nazioni del
mondo.”
L'insostenibile
leggerezza
della
neutralità.
Puntoinformatico.it-Redazione-
(11-3-2022)- ci dice :
In
tempo di guerra la neutralità è un concetto astratto e complesso che necessita
di trovare una nuova definizione, anche e soprattutto online.
Improvvisamente
gli spazi della Neutralità si sono fatti angusti. Improvvisamente, dopo decenni
di sofismi sulla necessità di mantenere alcuni ambiti al di fuori del
posizionamento (politico, ideale, religioso), ecco che gli spazi non bastano
più, le argomentazioni tracimano e le verità cerca di farsi largo con maggior
violenza rispetto ad una propaganda sempre più invadente.
Non
c’è più spazio per la neutralità, perché quando le bombe cadono viene a crearsi
una situazione nuova, senza comfort zone da cui filosofeggiare sugli equilibri
e sull’equidistanza.
Nel
giro di poche settimane sono caduti come foglie secche alcuni pilastri sui
quali una certa generazione è cresciuta (quella che ha visto il muro di Berlino
cadere e che ora teme di vederlo ricostruito).
“La
Svizzera è neutrale” era diventato una sorta di proverbio, un dogma
indiscutibile che invece è stato spazzato via alla prima votazione all’ONU.
Google
ha iniziato a punire i siti di propaganda russi e promette di estendere la
portata di questo giro di vite.
Facebook fa cadere le ultime resistenze e
lascia che ci si sfoghi con maggior libertà contro l’invasore. Perfino DuckDuckGo, motore di ricerca che
aveva costruito il proprio nome su neutralità e algoritmi bias-free, ha ceduto
ed ha iniziato a punire l’informazione proveniente dalla Russia.
Ripensare
la neutralità.
Ma del
resto il problema è diventato più ampio e profondo rispetto al solo rispetto
della neutralità come modo di fare: in ballo v’è l’appartenenza ad un certo
modo di essere, semmai, e tornare a distinguere più nettamente la Verità dalla
non-verità diventa fondamentale.
Il ministro degli esteri russo, Lavrov, ha
spiegato di fronte alle telecamere di tutto il mondo che la Russia non ha
invaso l’Ucraina. Nelle stesse ore la Russia ha dapprima negato che l’ospedale
bombardato a Mariupol fosse pieno di civili, quindi che fosse stato attaccato
del tutto, infine ha addirittura fatto trapelare dubbi circa le ricostruzioni
ucraine partendo da social-rumor invece che dalle testimonianze dell’Associated
Press.
Di
fronte a circostanze di questo tipo, dove sta la neutralità? A cosa può
appigliarsi? Su che basi di principio può essere costruita?
Una neutralità immaginata sul superficiale concetto di
equidistanza, infatti, premia sempre e comunque l’audacia della menzogna
rispetto all’intelligenza della Verità: questa regola è impressa a fuoco sulle
regole dei social network, dove una mezza bugia fa ben più strada di una
complessa verità.
Mentre
la prima vola sulle ali dell’engagement di pancia, infatti, la seconda è
gravata dal peso delle argomentazioni, del dubbio critico, della messa in
discussione propria di quel metodo scientifico che già la pandemia ha
fortemente messo in crisi.
L’Europa
sta ora affannandosi per frenare l’indebita invasione di campo che la Russia ha
sottilmente perpetrato nell’economia, nella politica, nei social media, nella
pubblica opinione: questa rincorsa rischia di atterrare anche su improbabili
compromessi, trascinandosi dietro errori anche grossolani, ma i consigli della
fretta non sono del resto mai stati i migliori.
La
cosa più importante – anzi, del tutto prioritaria – è che il concetto di
neutralità possa trovare nuova e più profonda definizione perché non calza più
bene né sui falchi, né sulle colombe. Il pacifismo è diventato di maniera e
questo dovrebbe preoccupare più di ogni altra cosa, ma è l’effetto collaterale
di uno schiaffo che l’Occidente ha subito risvegliandosi improvvisamente da un
decennale torpore.
La
risposta c’è stata e ci si sta specchiando nella propria storia per cercare un
nuovo punto da cui partire: rinnegare la guerra e armare la resistenza è un
dovere che tutti sentono, ma che trafigge principi ormai secolarizzati.
Una cosa è certa: occorre costruire una nuova
Neutralità, basata però su un concetto di equilibrio dinamico e non soltanto
come una Babele di regole marmoree che non sanno rispondere ad una attualità in
continuo mutamento.
Il
modo in cui ci si rapporterà con i social media, la neutralità che si
pretenderà dagli attori del Web ed il ruolo che le Big Tech assumeranno in questo
conflitto saranno elementi preponderanti in questa riscrittura della filosofia
occidentale: tweet dopo tweet, like dopo like, ognuno di noi farà la propria
parte.
NO
ALLA NUOVA EMERGENZA E
ALLA
DICHIARAZIONE DELLO STATO DI GUERRA.
Generazionifuture.org-
Ugo Mattei- Redazione- (25-2-2022)- ci dice :
A nome
del CLN condivido questo comunicato con preghiera di massima diffusione. Prego
tutti i cittadini che vogliono restare critici e liberi a non credere per un
secondo alla propaganda di guerra disgustosa e insopportabile che ci verrà
propinata nelle prossime settimane.
È in
corso un evidente tentativo dell’ asse angloamericana di impedire amichevoli
rapporti fra Europa e Russia.
Ovviamente
gli stessi interessi guerrafondai dei democratici di Biden sono quelli del
regime draghista. Essi nulla hanno a che fare con quelli del popolo italiano
che, a causa di questa irresponsabile e incostituzionale follia guerrafondaia,
si ritroverà ulteriormente impoverito e depredato del patrimonio storico dei
suoi ottimi rapporti con la grande cultura russa.
Sappiano
gli italiani che ad oggi per stare nella NATO spendiamo quasi 80 milioni di
Euro al giorno che il complesso militare industriale USA vuole farci portare a
100. Questi interessi spiegano la situazione in Ucraina.
( Ugo
Mattei) .
ALLARMANTE
LA NOTIZIA DELLA CONVOCAZIONE DEL CONSIGLIO SUPREMO DI DIFESA DA PARTE DEL
PRESIDENTE MATTARELLA.
Gridiamo
il nostro no a una nuova terribile emergenza e alla dichiarazione dello stato
di guerra.
Il CLN
(Comitato di Liberazione Nazionale) chiede al Parlamento italiano, cui
spetta pronunciarsi al riguardo, di adottare una posizione neutrale da parte
dell’Italia nell’attuale conflitto russo-ucraino, preferendo la via diplomatica
alla guerra.
Si
richiede pertanto di attenersi a quanto sancito dall’articolo 11 della nostra
Costituzione:
«L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in
condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo».
Lungi dalle ricostruzioni parziali dei media
di massa, si precisa inoltre che l’attuale crisi ucraina va inquadrata
nell’attacco lanciato dalla NATO contro la Federazione Russa, mirato a
smembrarla per il controllo egemonico dell’Eurasia.
È
questo il contesto nel quale va inserito il colpo di Stato del 2014 nella
Euromaidan, teatro di un’ennesima operazione di regime-change, che ha visto in
azione formazioni paramilitari neonaziste e cecchini georgiani che sparavano
contemporaneamente su polizia e manifestanti per infiammare la rivolta e
inglobare l’Ucraina nella sfera di appartenenza occidentale.
Le
vessazioni contro la popolazione russa del Donbass, presto degenerate in veri e
propri scontri, sono sfociate in un’offensiva che negli ultimi mesi ha visto
l’impiego di sistemi missilistici a lancio multiplo BM-21 Grad posizionati
lungo la linea di contatto in aperta violazione ai Protocolli di Minsk I e
Minsk II. Un’ennesima provocazione, alla quale Vladimir Putin questa volta ha
risposto.
Al di
là delle ragioni e dei reciproci interessi dei protagonisti sulla scacchiera
geopolitica, il conflitto, che ora rischia di trascinare il mondo nel caos, non vedrà né vinti e né vincitori e
colpirà pesantemente l’Europa che solo ora si sta lentamente lasciando alle
spalle l’emergenza pandemica.
Per
questo, il CLN chiede al Governo di riferire in Parlamento e di attenersi al
rispetto dell’articolo 11 della Costituzione italiana.
ANTE
DRAGHI
POST
DRAGHI.
Generazionifuture.org-Davide
Sabatino –(21 luglio 2022)- ci dice :
Se
qualcuno pensa che la caduta(fuga) di Mario Draghi sia qualcosa di inaspettato,
si sbaglia di grosso.
Nessun
analista politico degno di questo nome può far finta di non vedere quanto il
gioco sia truccato.
Infatti
prima Draghi incontra Mattarella, poi annuncia le dimissioni, poi ritira le
dimissioni, poi incontra solo Letta e il Centrodestra in via riservata, poi va
in Parlamento e con tono arrogante (peggio del solito) si scaglia contro Lega e
M5S (salvo chiedergli due minuti dopo la fiducia).
Insomma un tira e molla ben architettato. Per non parlare dell’autoelogio
(quello sì populista) di ieri al Senato, dove Draghi ha detto, commosso, che
avrebbe riscontrato un sostegno al suo governo e una “mobilitazione senza
precedenti” della maggioranza degli italiani nelle piazza e nei comuni d’Italia
al grido “ti prego resta con noi” (un bluff che se non fosse tragico sarebbe
ridicolo).
Dopo
questa ridda creata ad arte per far vedere quanto la sua volontà “tecnica” di
salvare il paese fosse veritiera, e quanto invece la risposta “politica” fosse
così poco etica e responsabile, è presto giunto in Parlamento con le idee
chiare:
provocare
tre quarti del Senato affinché fossero loro a cacciarlo via e non lui a dover
rassegnare le dimissioni, salvando in un colpo solo — così crede lui — la sua
bella faccia da tecno-statista e levandosi di mano la patata bollente di un autunno
economicamente esiziale per il nostro Paese .
Capito
la furbata?
Prima
Draghi ha preparato il terreno per un default in stile Grecia 2009, inviando
armi a oltranza in Ucraina e distruggendo la società con strette manovre
antidemocratiche, e poi si defila indignato, facendo pure la vittima del
sistema politico italiano. Chiunque conosca anche solo in minima parte la carriera
elitista di Mario Draghi sa benissimo che:
1)
nulla di ciò che fa è frutto di un’ingenuità strategica; 2) non esiste la parola perdente nel suo
freddo vocabolario.
Sono
mesi che alcuni di noi dicono che quest’ulteriore fase di gestione delle
emergenze sarà tremenda.
E non
è per fare gli uccelli del malaugurio.
Con la
notizia di ieri si segna un’accelerazione dell’attacco speculativo che ci
porterà ad un autunno anticipato.
Già
“l’Italia è destinata a essere il paese membro che crescerà di meno l’anno
prossimo” perché — come scrive sempre il Sole 24 ore — il “rallentamento del
commercio internazionale, una frenata dei consumi per via del forte aumento
dell’inflazione e l’incremento dei costi di finanziamento” sono tutti segni
prodromici di una catastrofe economica imminente.
Ma, inoltre, il fatto di ritrovarci in un
certo senso spiazzati da questo ennesimo gesto d’azzardo del Sistema potrebbe
creare una sorta di entusiasmo controproducente che favorirebbe, in un secondo
momento, il Sistema stesso.
La retorica binaria del populismo vs
tecnicismo è già iniziata a ricomparire sui giornaloni nostrani, e considerando
che avremo circa due mesi di campagna elettorale (Mattarella permettendo), dove
ci si scornerà come mai fino ad ora, credo che occorra individuare
immediatamente una strategia politica che eviti da una parte di perdersi dietro
inutili quisquilie elettoralistiche, e dell’altra che provi a partorire dal
basso una rete di rapporti civili e democratici che siano radicalmente in
opposizione a ciò che abbiamo visto al governo, soprattutto negli ultimi 2
anni.
Se non
saremo in grado di contrattaccare in modo estremamente compatto e lucido,
evitando di esultare quando ancora la partita è tutta da giocare, ritorneremo
presto nelle mani di un dragone, forse ancora più subdolo e spregevole
dell’uomo di Goldman Sachs.
Ma se
viceversa avremo il coraggio di non cascare nelle logiche del potere dominante
e di costruire nel frattempo delle forme autentiche e inedite di comunità, allora potremmo finalmente
festeggiare la nascita di una nuova, reale, possibilità politica per la
liberazione del Paese. Liberazione che, come sappiamo, non potrà che partire
innanzitutto da noi stessi.
Alla
fine è successo davvero:
la
Svizzera non è più neutrale.
Rollingston.it-
Redazione- (28-2-2022)- ci dice :
La
repubblica elvetica ha scelto di allinearsi alle sanzioni dell'Unione Europea,
ponendo fine a una tradizione che affonda le radici in cinque secoli di storia.
L’inizio
delle ostilità al confine tra Russia e Ucraina sta sfatando alcuni tabù che
hanno tenuto banco per lunghi anni: per la prima volta nella sua storia,
l’Unione Europea ha deciso di sostenere un Paese – l’ex repubblica sovietica –
attraverso la fornitura di armi e attrezzature utili per combattere contro la
Russia di Putin.
Una decisione
a suo modo storica, che ha fatto da apripista a un altro precedente: la
Svizzera ha scelto, de facto, di abbandonare la sua secolare neutralità e di
allinearsi “integralmente” alle sanzioni imposte dall’Unione Europea nei
confronti della Russia, ponendo fine a un tratto costitutivo del metodo
elvetico di gestione degli affari internazionali, un valore radicato nella
coscienza dei cittadini svizzeri e talmente connotante da aver fatto breccia
nel lessico comune (chiunque, almeno una volta nella vita, si sarà sentito
richiamare all’ordine per la sua indifferenza rispetto a una determinata
questione al grido di «Sei come la Svizzera!»).
Ad
annunciare la svolta è stato il presidente della Confederazione, Ignazio
Cassis, che ha annunciato che nel breve termine la Svizzera congelerà una serie
di beni posseduti dai cittadini russi.
La
tradizione della neutralità elvetica affonda le radici in ben cinque secoli di
storia: risale infatti al 1516, quando a un anno di distanza dalla battaglia di
Marignano – l’ultimo conflitto armato combattuto dalle truppe della
Confederazione dei XIII e conclusosi con una cocente sconfitta a opera
dell’esercito francese – la Svizzera stipulò con l’allora re di Francia,
Francesco I, un trattato di pace destinato a fare scuola.
Soltanto
nel 1815, però, questa posizione fu riconosciuta ufficialmente: il Trattato di Parigi del 1815,
infatti, sancì l’impegno da parte di Austria, Gran Bretagna, Portogallo,
Prussia e Russia a rispettare la volontà della Svizzera di non immischiarsi
nelle future operazioni militari e, nel contempo, le garantirono
l’inviolabilità territoriale.
La
decisione Svizzera rappresenta un passo in avanti importante per il
contenimento della Russia, privandola di una possibile via di fuga finanziaria
che avrebbe finito per indebolire le sanzioni di Unione Europea e Stati Uniti.
'In
Ucraina si combatte dal 2014,
non
dallo scorso 24 febbraio.
L'Italia
resti neutrale'.
Spoletoonline.com-
Redazione- Daniele Ubaldi- Yuri Di Benedetto –(2-3-2022)- ci dicono:
Intervista a Yuri Di Benedetto, presidente
dell'Associazione Aurora ed esperto della questione Donbass. 'Non dobbiamo essere il campo di
battaglia dello scontro tra americani e russi'.
Trent'anni
ancora da compiere ma già una lunga esperienza nel mondo dell'associazionismo e
dell'impegno politico. Spoletonline ha incontrato Yuri di Benedetto, da anni
attivo con la sua associazione, Aurora, anche nella questione Donbass.
Yuri,
la tua associazione ha tenuto aperta fino a poco tempo fa una libreria in
centro a Spoleto. Presidio di cultura ma anche spazio per offrire un punto di
vista diverso?
"Innanzitutto
grazie Daniele per l’opportunità che il tuo giornale mi sta dando, e che sta
dando anche a tutti i cittadini umbri, di avere in questo momento un punto di
vista differente da quello che sta succedendo in questi giorni.
Tornando a noi sì, sono molti anni che mi
spendo senza paura, sia politicamente che a livello sociale e culturale.
Devo
inoltre precisare che attualmente il mio impegno è esclusivamente collegato ad
una visione delle cose non a-politica, quanto semplicemente a-partitica.
Con
l’Associazione Aurora stiamo portando avanti un progetto di carattere nazionale
che sia propedeutico ad una formazione umana più profonda possibile; oggi non
bisogna fare programmi politici, ma uomini, perché gli uomini così come sono
rovinerebbero anche il programma più splendido.
Diciamo
che è un approccio pre-politico e metapolitico allo stesso tempo. Questa
riflessione, molto più articolata di queste poche parole, è maturata in
risposta alla mia precedente esperienza politica e anche alla necessità di
ripensare il progetto dell’associazione dopo la chiusura della nostra Libreria a
causa della Pandemia e delle restrizioni collegate ad essa.
Il nostro iniziale progetto era quello di
creare un punto dove trovare contenuti e approfondimenti che raccontassero il
mondo oltre la semplice narrazione ufficiale, cosa che manteniamo tutt’ora
attivamente, avendo potenziato il tutto con molte attività differenti".
Da
sempre l'Associazione Aurora si prefigge l'obiettivo di guardare la realtà da
un punto di vista "terzo" rispetto alla moda attuale, amplificata dai
social, di creare "tifoserie" di pro o contro qualsiasi tipo di
argomento.
Allo stesso tempo vi siete sempre spesi in
prima linea per le popolazioni del Donbass colpite dalla guerra civile dopo i
fatti di piazza Maidan, a Kiev, nel 2014. Qual è adesso la vostra posizione
sulla guerra russo-ucraina?
"Assolutamente
sì. Noi cerchiamo sempre di superare la divisione, o meglio l’atomizzazione che
vediamo in giro. La questione la pongo in termini estremamente semplici: oggi
il bombardamento mediatico che subiamo da anni ha raggiunto il risultato finale
di impedire una interiorizzazione delle notizie e della loro complessità. La
velocità impedisce l’analisi, l’assenza di analisi impedisce una comprensione
reale dei vari fenomeni che accadono. Paradossalmente, essere informati oggi
(nel senso che ha assunto questo concetto nel nostro tempo) equivale nella
migliore delle ipotesi ad essere molto confusi, nella peggiore ad essere usati
per interessi terzi, cioè non i propri.
Non c’è un ragionamento che parli di una
visione del mondo precisa e articolata, esiste solo una concezione
giornalistica e settorializzata delle cose, una corsa frenetica a dire la
propria opinione.
Ma una
singola opinione, su un singolo fatto, non basta per comprendere il mondo.
Anzi.
Quello
che cerchiamo di fare è di unire i vari aspetti, il mondo non può essere letto
con un solo filtro. Come sta accadendo esattamente in questi giorni. Noi
abbiamo sempre sostenuto la necessità di impegnarci in prima persona in quelle
che consideriamo le battaglie del nostro tempo.
La decisione nel 2014, a pochi mesi dallo scoppio
della guerra civile in Ucraina, di aiutare le Repubbliche del Donbass e la
popolazione civile fu innanzitutto dovuta ad una preoccupazione che tale
conflitto potesse allargarsi (come è poi accaduto), trascinando tutta l’Europa
sul bordo di un baratro.
Inoltre volevamo aiutare delle popolazioni che
subivano delle persecuzioni per il semplice fatto di essere di etnia e cultura
russa, e denunciare le colpe dell’Unione Europea e degli Stati Uniti e della
Nato per il sostegno ad un governo come quello di Kiev, impiantatosi per via di
un colpo di stato.
La nostra posizione è estremamente chiara, non
fraintendibile e priva di qualsiasi strumentalizzazione; se c’è una parte con
cui schierarsi ora, è quella dell’Italia e degli Italiani che pagheranno più di
altri la follia di questa storia.
Tradotto
in termini politici, l’Italia deve smettere di avallare ogni incremento e
coinvolgimento nel conflitto, essere neutrale e cercare di mediare tra le parti.
Ripeto,
essere neutrale (Che non vuole dire per qualcuno essere filo-Russi). Il popolo italiano e la nostra
nazione non devono andare in guerra per interessi altrui. C’è ancora spazio in
questo paese per un po' di razionalità?".
Questa
posizione è diretta conseguenza della pratica quotidiana antifascista che
ponete in essere da quando siete nati, oppure è frutto di una riflessione a
mente fredda e con tutti gli elementi a disposizione? O forse entrambe le cose?
"Ti
ringrazio anche per aver specificato nella domanda un esempio di quello che noi
intendiamo quando parliamo di superare le divisioni, liberiamo il campo
definitivamente da tante ambiguità e ipocrisia. Noi non siamo anti-qualcosa.
Siamo Per-qualcosa.
Nella
nostra azione quotidiana e nelle nostre riflessioni, non ci interessa la storia
delle persone che incontriamo, ci interessa solamente cosa vogliono essere e
dove vogliono andare.
Gli schemi sono definitivamente saltati. Se
poi dovessimo per forza di cose definire qualcosa con l’appellativo di
“fascismo”, di certo non potremmo che pensare alla riflessione di Pasolini che
nei suoi ultimi scritti affermava che il nuovo fascismo avrebbe assunto pose
progressiste, tolleranti e nondimeno repressive e violente.
E quanta ragione aveva!
Pensiamo
ai tanti “sinceri democratici” che scendono in piazza questi giorni sostenendo
nei fatti organizzazioni ucraine ultra nazionaliste se non dichiaratamente
naziste, con parole e retoriche del tipo: “Difendiamo la libertà!” ecc. ecc.
So che ci vuole il coraggio delle proprie idee per
dire quel che sto dicendo, ma qualcuno deve pur farlo. Anche perché è evidente che per
pigrizia ci siamo innamorati di quel che ha funzionato per settant’anni, non
capendo che occorre innamorarsi di quel che occorre nei prossimi settant’anni… sempre se ci arriviamo (risata
amara, ndr).
In
questo senso, ancora più vero è l’ormai totalmente assurda frattura tra
“destra/sinistra” se non per motivi simbolici, identitari, di riconoscimento:
in definitiva realmente impolitici e, in quanto impolitici, reazionari, perché
non operanti e dunque propedeutici al mantenimento e al rafforzamento dello
status quo. Quindi la nostra posizione attuale è una conseguenza di una serie
di riflessioni, studi, esperienze e analisi degli ultimi due anni, che hanno
definitivamente rovesciato e chiuso ogni esperienza precedente".
Fa
bene l'Italia a inviare le armi e l'equipaggiamento a Kiev? E perché fa o non
fa bene?
"L’atteggiamento italiano, come quello di
altri paesi europei, è totalmente irresponsabile. Scendere in piazza per la
pace, chiedendo l’intervento NATO e inviando armi letali ad una parte delle due
in conflitto è un’ipocrisia bella e buona.
Fossero
aiuti umanitari il discorso sarebbe differente, ma qui parliamo di armi atte ad
offendere e che non venga qualcuno a fare improbabili distinguo tra armi atte
ad offendere o per difesa: inviarle significa essere direttamente coinvolti nel
conflitto.
Questa
rimane una decisione scellerata, che significa una cosa soltanto: siamo
ufficialmente in guerra con la Russia. Una guerra che entrambi gli schieramenti preparavano
da anni e che ci trasforma, che ci piaccia oppure no, anche in obiettivi di
guerra.
L’impatto, per quanto inizialmente
insignificante, potrebbe essere enorme e totalizzante. Militarizzazione dell’economia,
dell’industria, della politica e della società, peggioramento delle condizioni
di vita, azzeramento del residuale spazio democratico, censura, propaganda e
tante altre cose. Uno stravolgimento ancora più profondo (e peggiore) rispetto
alla pandemia.
L’unica
cosa che so è che questo è un momento fragilissimo e delicatissimo, un
passaggio storico epocale che, come sempre avvenuto in ogni guerra di tale
portata, recherà inevitabilmente con sé stravolgimenti profondissimi per
vincitori e vinti. La situazione si sta facendo davvero rischiosa per tutta
l’Europa: siamo il vaso di coccio tra le incudini rappresentate dalle due super
potenze: USA – RUSSIA.
Perché
l’Europa rappresenta il campo dì battaglia dove si darebbero battaglia. Bisogna esserne consapevoli e capire
dove vogliono arrivare i vari politici con le loro dichiarazioni".
Prima
ancora: cosa è accaduto, anzi cosa accade e cosa continua ad accadere in
Donbass dal 2014 ad oggi?
"La guerra attuale è una guerra
ingiusta, assurda e doppiamente drammatica perché è una guerra civile che è
degenerata in una guerra aperta ed è essenzialmente combattuta tra popoli
fratelli. Il 24 febbraio 2022 il mondo si è svegliato scoprendo la guerra in
Ucraina, ma la guerra in Ucraina c’è dal 2014: le repubbliche del Donbass,
volgarmente chiamate filorusse o separatiste, sono sotto bombardamento da parte
dell’esercito ucraino da otto anni, con più di 14.000 morti.
Sono
otto anni che si combatte nel Donbass: otto anni di vittime civili, otto anni
di bambini orfani, otto anni di violenze e repressioni su base
etnico-culturale. Otto anni di voluta superficialità informativa.
Evidentemente non sono bastati questi otto
anni, come non sono bastate le recenti esperienze dell’Afghanistan, come della
Siria e della Libia, per capire cosa sta succedendo. Uno potrebbe chiedersi cosa passava
nelle menti della maggioranza degli occidentali quando, otto anni fa, accadeva
tutto questo e a cos'altro pensavano quelle stesse menti quando gli accordi di
Minsk non venivano rispettati o quando la Federazione Russa chiedeva, nelle
ultime settimane, attraverso la diplomazia, la fine del pericoloso
accerchiamento della NATO e la cessazione dell'attività militare nelle
Repubbliche ex sovietiche. Nulla, perché le persone non venivano informate.
Questo
è il fatto. Il terribile e drammatico fatto. Noi dell’Associazione Aurora tramite
i nostri canali social stiamo portando avanti, da anni, questo lavoro di
informazione, anche pochi giorni fa abbiamo pubblicato un riepilogo a
testimonianza delle nostre iniziative nel corso degli anni".
Perché
l'Italia farebbe bene a mantenersi neutrale?
"Permettimi
una nota ironica: sapresti dove rimediare una maschera antigas nelle prossime
48 ore? Non stiamo parlando di mascherine chirurgiche. Come già detto bisogna
essere neutrali.
È la
nostra posizione, anche se già superata e aggravata dalle decisioni di una
classe politica che non si rende conto di ciò che sta facendo (o forse lo sa
fin troppo bene).
Dovrebbe
essere nostro interesse evitare il più possibile conflitti o situazioni di
tensione commerciale, con i nostri vicini territoriali (vedi Russia, come vedi
Libia ecc).
Dovrebbe
essere nostro interesse lavorare per una posizione indipendente dalle parti e
neutrale, fuori dalle logiche della guerra fredda.
Ed
evitare di continuare a fare il gioco degli americani. Le sanzioni che facciamo
in nome della nostra fedeltà al patto atlantico sono il colpo di grazia per la
nostra economia e il nostro Paese.
Con la
nostra miopia e sudditanza ci rendiamo succubi di una contesa commerciale che
subiamo sul nostro territorio, di una guerra asimmetrica combattuta sul terreno
dell'informazione in primo luogo e successivamente commerciale e adesso siamo
ad un passo dal conflitto vero e proprio.
Senza avere minimamente in testa una propria
politica nazionale, che tuteli e rafforzi il nostro paese nello scenario
internazionale.
Quando ci arriverà la bolletta del gas chi la
pagherà? Il congresso americano? Quanti sanno che nel nostro paese esistono 111
basi americane Nato e un deposito di armi nucleari americane?
Ci
vogliamo rendere conto del pericolo? Nessun italiano deve morire per Kiev, né
nella sciagurata ipotesi di un coinvolgimento diretto, né di fame per le
conseguenze economiche delle nostre scelte di campo.
Il
nostro Paese non deve essere sacrificato agli interessi altrui. La nostra
politica nei confronti della Russia è totalmente irrazionale.
Il
susseguirsi di otto anni di sanzioni che si pongono al di fuori del diritto
internazionale, si ripercuotono sull’economia dei paesi europei e specialmente
nei confronti della nostra economia, arrecando un danno a noi stessi prima che
alla Russia.
Dobbiamo comprendere obiettivamente, e con
estrema onestà intellettuale, le profonde ragioni che hanno portato una potenza
mondiale a fare quello che ha fatto. Accusare la Russia di una politica aggressiva volta
a destabilizzare il contesto internazionale, senza menzionare i trent’anni di
interventi dal Kosovo alla Siria e di avanzamento della Nato verso est, riducendo tutta la narrazione ad un
approccio infantile di buoni contro cattivi significa andare a schiantarsi
contro un muro.
Permettimi
anche di aggiungere una nota personale a tutto ciò: personalmente ho sempre
riconosciuto un valore strategico fondamentale allo studio teorico e alla
formazione in campo militare, sia individualmente che come fondamento per la
vita di uno stato che voglia definirsi libero.
In
virtù di ciò vedo persone, giornalisti, opinionisti della domenica, politici
ecc. che non sanno assolutamente niente di guerra, che non hanno mai voluto
affrontare il tema neanche dal punto di vista teorico e concettuale e che si
sono posti sempre in una posizione morale nei confronti di tutto ciò.
Uscirsene
oggi, parlandone come se fosse una cosa semplice e facile, è francamente
allucinante.
Queste
persone sono le stesse che fino a ieri si ponevano come alfieri del pacifismo e
contro ogni violenza, che stigmatizzavano, deridevano e disprezzavano ogni
marzialità e adesso li troviamo in prima fila nel richiedere a gran voce uno
scontro diretto con la Russia.
Ho
molti amici nelle forze armate, chiunque sano di mente eviterebbe di gettare
benzina sul fuoco.
Ma la
follia alberga ormai in questo paese".
Vladimir
Putin: Prima di tutto,
Gazprom ha sempre onorato e
continuerà a onorare i suoi impegni.
Progettoalternativo.com
– Redazione-(21 luglio 2022)- ci dice :
Perché
Nord Stream II deve essere aperto immediatamente.
Il
prossimo inverno la Germania, e altri paesi europei, avranno una crisi
energetica. Questa crisi, ci viene detto, è causata dalla guerra per procura
tra Stati Uniti e Russia in Europa. Dicono che la Russia ci ha tagliato fuori
dalle sue consegne di gas naturale.
Questa
è una bugia.
L'Ucraina
e la Polonia hanno chiuso alcuni gasdotti che portano il gas dalla Russia
all'Europa occidentale. La Germania non ha fornito la manutenzione contrattata
necessaria per mantenere il gasdotto Nord Stream I a piena capacità. Il governo tedesco ha bloccato la
certificazione del gasdotto Nord Stream II che è tecnicamente pronto al 100%
per funzionare a pieno regime.
La
crisi energetica che l'Europa vivrà è stata creata dai governi di quei paesi
europei che fermano il flusso di gasdotti dalla Russia e i cui cittadini
dovranno sopportarne le conseguenze.
Spetta
solo a loro fermare quella catastrofe in arrivo.
Ecco
come un uomo, noto per la sua attenzione ai dettagli, ritrae correttamente il
problema:
Domanda:
Signor
Presidente, in Europa si sta sviluppando una grave crisi energetica, che sta
discutendo la possibilità che Gazprom interrompa le forniture di gas. La società avrebbe emesso una
notifica ufficiale a uno dei suoi clienti tedeschi, citando circostanze di
forza maggiore.
Ci
sono motivi per accusare la Russia di causare questa crisi energetica? Gazprom
continuerà a onorare i suoi obblighi.
Vladimir
Putin: Prima di tutto, Gazprom ha sempre onorato e continuerà a onorare i suoi
impegni.
Non vi
è alcun motivo per i tentativi dei nostri partner di spostare o cercare di
scaricare la colpa dei propri errori sulla Russia e su Gazprom.
Qual è
la situazione delle consegne di energia? Nel 2020, nella prima metà del 2020,
il gas è costato 100 euro per 1.000 metri cubi in Europa. Il prezzo è salito a
250 euro nella prima metà del 2021. Oggi è di 1.700 euro per 1.000 metri
cubi di gas.
Cosa
sta succedendo? Ne ho parlato in numerose occasioni, e non so se non sia il caso di
entrare nei dettagli delle politiche energetiche dei paesi europei, che
sottovalutano l'importanza delle fonti energetiche tradizionali e hanno
investito denaro su fonti energetiche non tradizionali. Sono grandi esperti di relazioni non
tradizionali e hanno anche deciso di fare un'offerta per fonti di energia non
tradizionali come il sole e il vento.
L'inverno
scorso è stato lungo, non c'era vento, e così è stato. Gli investimenti nelle
immobilizzazioni dei produttori di energia tradizionali sono diminuiti a causa
di precedenti decisioni politiche: le banche non li finanziano, le compagnie di
assicurazione non li assicurano, i governi locali non assegnano appezzamenti di
terreno per nuovi progetti e le condutture e altre forme di trasporto non si
stanno sviluppando. Questo è il risultato di molti anni, probabilmente un
decennio di questa politica. Questa è la causa principale degli aumenti dei
prezzi piuttosto che di qualsiasi azione da parte della Russia o di Gazprom.
Cosa
sta succedendo oggi? Fino a poco tempo fa, fornivamo gas all'Europa senza
Turkiye: fornivamo circa 30 miliardi di metri cubi all'anno a Turkiye, e 170
miliardi all'Europa, 55 miliardi tramite Nord Stream 1, e, se la memoria mi
serve, 33 miliardi venivano forniti via Yamal-Europe, attraverso le due
stringhe che attraversano l'Ucraina. Circa 12 miliardi sono stati consegnati in
Europa attraverso Turkiye tramite TurkStream.
L'Ucraina
ha improvvisamente annunciato che avrebbe chiuso una delle due rotte sul suo
territorio. Presumibilmente perché la stazione di pompaggio del gas non è sotto il
suo controllo ma sul territorio della Repubblica popolare di Lugansk. Ma si è trovata sotto il controllo
della Repubblica popolare di Lugansk diversi mesi prima, e l'hanno chiusa solo
di recente senza alcun motivo. Tutto funzionava normalmente lì, nessuno interferiva.
A mio parere, l'hanno chiusa semplicemente per motivi politici.
Cosa è
successo dopo? La Polonia ha imposto sanzioni a Yamal-Europe, che ha fornito 33 miliardi
di metri cubi di gas. Erano soliti prenderci 34, credo, 33-34 milioni di metri
cubi al giorno. Lo hanno chiuso completamente. Ma poi abbiamo visto che hanno acceso il
gasdotto Yamal-Europe in modalità inversa, e hanno iniziato a prendere circa 32
milioni al giorno dalla Germania. Da dove viene il gas dalla Germania? È il nostro gas
russo. Perché dalla Germania? Perché si è rivelato più economico per i
polacchi. Lo
prendevano da noi a un prezzo molto alto, più vicino al prezzo di mercato,
mentre la Germania lo ottiene da noi 3-4 volte più economico del prezzo di
mercato con contratti a lungo termine.
È
redditizio per le aziende tedesche venderlo ai polacchi a un piccolo premio. È
redditizio per i polacchi acquistarlo perché è più economico che acquistarlo
direttamente da noi. Ma il volume di gas nel mercato europeo è diminuito e il
prezzo totale di mercato è salito. Chi ha vinto? Tutti gli europei hanno solo
perso. Questo è il secondo punto: Yamal-Europe.
Quindi,
prima una delle rotte in Ucraina è stata chiusa, poi Yamal-Europe è stata
chiusa, ora Nord Stream 1, che è una delle rotte principali – pompiamo 55
miliardi di metri cubi all'anno attraverso di essa. Ci sono cinque stazioni di
compressione del gas Siemens che lavorano lì, e una è in standby. Un
compressore doveva essere inviato per le riparazioni. Un compressore riparato
doveva provenire dal Canada, dallo stabilimento Siemens in Canada, per
sostituirlo. Ma è finito sotto sanzioni in Canada. Quindi, una stazione di
pompaggio, solo un pezzo di attrezzatura era fuori servizio a causa di lavori
di manutenzione programmata e non è stato restituito dal Canada.
Ora ci
viene detto che l'unità sarà consegnata presto dal Canada, ma Gazprom non ha
ancora documenti ufficiali. Dobbiamo certamente ottenerli, perché questa è una
nostra proprietà, è di proprietà di Gazprom. Gazprom dovrebbe ricevere non solo
l'hardware, non solo l'unità di pompaggio del gas, ma anche i documenti di
accompagnamento, sia la documentazione legale che tecnica. Dobbiamo essere in
grado di vedere cosa sta prendendo Gazprom – le condizioni attuali della
turbina e il suo status giuridico, se è sotto sanzioni o meno, cosa possiamo
fare con essa, o forse la stanno riprendendo domani. Ma non è tutto.
Il
problema è che a fine luglio, il 26 luglio, penso – possiamo chiedere a Gazprom
– che un'altra turbina dovrebbe essere inviata per la manutenzione ordinaria,
per le riparazioni. E da dove otterremo un sostituto? Non lo sappiamo.
Un'altra
turbina è in realtà fuori servizio a causa di qualche sgretolamento del suo
rivestimento interno. Siemens lo ha confermato. Ciò lascia due unità operative,
che stanno pompando 60 milioni al giorno. Quindi, se ne viene consegnato un
altro, bene, ne avremo due in funzione. Ma se non lo è, ne rimarrà solo uno e
pomperà solo 30 milioni di metri cubi al giorno. Puoi contare quanto tempo ci
vorrà per pompare il resto. Com'è questa responsabilità di Gazprom? Cosa
c'entra Gazprom con questo? Hanno tagliato una via, poi un'altra, e sanzionato
questa attrezzatura di pompaggio del gas. Gazprom è pronta a pompare tutto il
gas necessario. Ma hanno chiuso tutto.
E sono
caduti nella stessa trappola con l'importazione di petrolio e prodotti
petroliferi. Sentiamo ogni sorta di idee folli sul tetto al volume delle
importazioni di petrolio russo o al prezzo del petrolio russo. Questo porterà
alla stessa situazione del gas. Il risultato (sono sorpreso di sentire persone
con titoli universitari che dicono questo) sarà lo stesso: l'aumento dei
prezzi. I prezzi del petrolio saliranno a spirale.
Per
quanto riguarda il gas, c'è un'altra rotta che siamo pronti ad aprire, che è
Nord Stream 2. È pronto per essere lanciato, ma non lo stanno lanciando. Ci
sono problemi anche qui, ne ho discusso con il Cancelliere circa sei o forse
otto settimane fa. Ho sollevato la questione; Ho detto che Gazprom aveva
riservato la capacità, e che questa capacità doveva essere utilizzata, e non
può essere sospesa a mezz'aria a tempo indeterminato.
La
risposta è stata che c'erano altre questioni all'ordine del giorno, cose più
importanti, quindi è difficile per loro affrontarle in questo momento. Ma ho dovuto avvertirli che allora
avremmo dovuto reindirizzare metà del volume destinato a Nord Stream per il
consumo domestico e la lavorazione. Ho sollevato la questione su
richiesta di Gazprom, e Gazprom in realtà lo ha già fatto. Pertanto, anche se
domani lanceremo Nord Stream 2, non pomperà 55 miliardi di metri cubi, ma
esattamente la metà di tale importo. E dato che siamo già a metà di quest'anno,
sarebbe solo un quarto. Tale è la situazione dell'offerta.
Ma –
l'ho detto all'inizio della mia risposta alla sua domanda e voglio concludere
con questo – Gazprom ha sempre adempiuto e adempirà sempre a tutti i suoi
obblighi, fintanto che, ovviamente, chiunque ne ha bisogno. In primo luogo,
loro stessi chiudono tutto, e poi cercano qualcuno da incolpare – sarebbe
comico se non fosse così triste.
Questi
sono fatti.
I
governi tedesco e altri governi europei si sono impegnati a suicidare
l'economia tedesca e la ricchezza dei loro cittadini solo per dispetto per
l'azione del governo russo in Ucraina. Negano che sia la LORO azione a causare
la crisi.
Ecco
una fonte neutrale, un diplomatico indiano, che spiega le basi del business ai
deboli che governano l'Europa:
La
Russia insegna all'Europa l'ABC del commercio del gas.
Loro,
e i loro media, ignorano che la Russia ha avuto, e ha, valide ragioni per
difendere le repubbliche del Donbass. Non vi dicono che l'Ucraina, a fine
febbraio, aveva pianificato ed era pronta ad attaccare i cittadini di Donetzk e
Luhansk con forza schiacciante.
Ecco
ulteriori prove per questo:
I
rapporti dell'OSCE rivelano che l'Ucraina ha iniziato a bombardare il Donbas
nove giorni prima dell'"operazione militare speciale" della Russia.
Negano
che l'Ucraina sia controllata da elementi di estrema destra. Negano che ci
siano formazioni naziste a tutti gli effetti che controllano l'Ucraina, anche
se i loro stessi media hanno per anni avvertito di quelli.
Ti
stanno mentendo.
Tutti
i siti di stoccaggio del gas naturale tedesco possono essere riempiti fino
all'orlo tramite Nord Stream II se il governo tedesco lo consente. Non lo fa. Questo è il
motivo per cui in Europa dovrete pagare molto di più per il riscaldamento e
l'elettricità nei mesi e negli anni a venire.
La
Russia vincerà la guerra. E' solo una questione di tempo. Intanto le sanzioni
impoveriranno l'Europa:
[C]an
l'attesa del pubblico europeo? Prima che le sanzioni abbiano un "effetto
desiderato", è la gente comune che soffrirà. L'economia russa è ancora in
piedi, ma la crisi ha gettato una lunga ombra sulle economie europee. I leader
dei paesi dell'UE devono affrontare una crescita bassa e un'inflazione record.
L'euro è alla pari con il dollaro. Secondo un rapporto di Bloomberg, la
Commissione europea è pronta ad avvertire che un arresto delle forniture di gas
russo all'UE potrebbe potenzialmente ridurre il suo PIL fino all'1,5%.
L'Unione
europea è in grado di scoprire che non è che la Russia non possa vivere senza
l'Europa, ma l'Europa non possa vivere senza la Russia. Le sanzioni dell'UE contro la
Russia fungono da boomerang. Dopo tutto, è l'opinione pubblica europea che sta pagando il
prezzo per la decisione dei responsabili politici. I politici europei parlano di buon
umore su quali tipi di sanzioni danneggerebbero maggiormente la Russia e che
allinearsi con gli Stati Uniti li rende più sicuri. Ma quando il pubblico non ha gas
nemmeno per fare la doccia o non può comprare olio e farina al supermercato,
qual è il significato della "sicurezza" che i politici europei
propagandano?
Spetta
a voi smascherare i politici dietro queste sanzioni e costringerli a cambiare
rotta. Il tuo benessere dipende da questo.
(moonofalabama.org/2022/07/why-nord-stream-ii-must-be-opened-immediately.html#more).
Ucraina:
salta la partecipazione
di Zelensky
al vertice Mercosur.
Agenzianova.com-Redazione-
(20 luglio 2022)- ci dice :
Il
viceministro degli Esteri del Paraguay, Raul Cano, non ha chiarito quali sono
stati i Paesi che si sono opposti ad una partecipazione del capo dello Stato
ucraino al summit, anche se indiscrezioni che circolavano da alcune ore
indicano che a frustrare l'iniziativa sia stato il Brasile di Jair Bolsonaro.
Il
viceministro degli Esteri del Paraguay, Raul Cano, ha annunciato oggi che non è
stato raggiunto un accordo tra i membri del Mercato comune dell’America del Sud
(Mercosur) sulla partecipazione del presidente dell’Ucraina, Volodymyr
Zelensky, al vertice dei capi di Stato che si terrà giovedì ad Assunzione.
“Non c’è stato consenso sulla partecipazione
(di Zelensky) per cui abbiamo informato la controparte ucraina che in tali
circostanza non ci sono le condizioni per poter dialogare come Mercosur con il
presidente”, ha detto Cano in dichiarazioni raccolte dall’agenzia di stampa
ufficiale “Ip”.
Il
viceministro ha quindi sottolineato che il blocco regionale decide per statuto
all’unanimità e non essendosi data tale condizione non è stato possibile
accogliere la richiesta di partecipazione di Zelensky che era stata elevata
dall’ambasciata di Kiev a Buenos Aires.
Cano
non ha chiarito quali sono stati i Paesi che si sono opposti ad una
partecipazione del capo dello Stato ucraino al vertice di domani, anche se indiscrezioni
che circolavano da alcune ore indicano che a frustrare l’iniziativa sia stato
il Brasile di Jair Bolsonaro.
Zelensky
in un’intervista rilasciata oggi aveva d’altra parte criticato il governo
brasiliano per la sua pretesa di neutralità.
“Non è
possibile rimanere neutrali quando c’è una guerra in corso, non posso
condividere la neutralità del Brasile sul conflitto in Ucraina voluta dal
presidente Jair Bolsonaro”, ha detto il presidente ucraino nel corso di
un’intervista in esclusiva al telegiornale di Tv Globo.
“Ho
parlato a telefono con il presidente Bolsonaro e gli sono grato per questa
conversazione. Gli ho detto che non condivido la sua posizione di neutralità”,
ha detto il capo dello Stato ucraino.
“Ho
detto al presidente che vogliamo il sostegno del Brasile. Gli ho garantito che
se qualcuno attaccasse il Brasile domani, noi di certo non saremo neutrali, a
prescindere dalla storia del nostro rapporto con il Paese che ne viola la
sovranità. Se
qualcuno invade la tua terra, uccide la tua gente, violenta le tue donne,
tortura i tuoi figli, come posso dire di essere neutrale? Scegliendo la
neutralità, permettiamo al presidente Putin di pensare di non essere solo al
mondo, ecco tutto. Le altre cose, le relazioni d’affari, sono secondarie.
Ma ci
deve essere rispetto per le persone, di un Paese per un altro, di un leader per
un altro”, ha detto. Il capo dello stato ucraino ha poi paragonato la posizione di
Bolsonaro a quella dei leader rimasti neutrali durante l’inizio della seconda
guerra mondiale. “La neutralità di molti paesi permise ai fascisti di ingoiare
mezza Europa e di espandersi sempre di più”, ha affermato.
Il
governo Bolsonaro ha da sempre sostenuto una posizione prudente nei confronti
del conflitto. Pur avendo criticato “l’aggressione” del Cremlino, Brasilia ha sempre
chiesto di non escludere Mosca dalla rete delle relazioni internazionali
denunciando al contempo “l’inutilità” delle sanzioni contro il Cremlino.
Già
alle riunioni di primavera di Washington, in aprile, il governo brasiliano
aveva sostenuto la necessità di mantenere aperti i “ponti” con la Russia. Il ministro degli Esteri Franca
aveva a sua volta spinto per la non esclusione della Russia dal G20 di Bali.
Lo stesso Bolsonaro, tra lo scetticismo di
buona parte della comunità internazionale, si era recato a Mosca pochi giorni
prima dell’avvio dell’azione militare in Ucraina. Una missione, avrebbe rivendicato
nelle settimane successive, che ha permesso di sbloccare le forniture di
fertilizzanti, asset fondamentale per il comparto agroalimentare, motore
economico del paese.
D’altra
parte il Brasile sta negoziando con la Russia l’acquisto di diesel ad un prezzo
inferiore a quello di mercato, come confermato dallo stesso presidente Bolsonaro.
“L’accordo
per l’acquisto di diesel dalla Russia è quasi certo”, ha affermato lo scorso 11
luglio, annunciando che il carburante dovrebbe arrivare nel Paese entro due
mesi.
Per il
presidente si tratta di un ennesimo sforzo dell’esecutivo per cercare di
ridurre i prezzi del carburante. Bolsonaro ha poi affermato che le sanzioni economiche
contro la Russia dai paesi occidentali “non hanno funzionato”.
“La
Russia continua a fare affari con il mondo intero e sembra che le sanzioni
economiche non abbiano funzionato”, ha detto ai giornalisti.
DEMOCRAZIA
E GIUSTIZIA.
Nazionalismo
e populismo:
Qual è
la differenza?
Come
sono collegati?
Liberties.eu-Redazione-(12
agosto 2021)- ci dice :
Populismo
e nazionalismo sono spesso visti come se andassero di pari passo.
Ma sono idee diverse e significano cose
diverse.
I
governi populisti autoritari di oggi hanno qualcosa in comune: il nazionalismo
è un ingrediente chiave della visione che stanno vendendo. Infatti, è difficile
immaginare un governo populista che non si appoggi pesantemente al nazionalismo
per alimentare l'orgoglio, la paura e la furia che usano per mantenere il
potere. Ma il nazionalismo e il populismo, sebbene simili in molti modi, non
sono la stessa cosa.
Cos'è
il nazionalismo?
Il
nazionalismo è una credenza e un'ideologia politica secondo cui la sovranità, gli
interessi e l'identità della propria nazione hanno la precedenza su altri stati
e gruppi di persone.
Di per
sé, il nazionalismo può essere difficile da definire sia perché il termine ha
cambiato significato nel tempo e nel contesto, sia perché è spesso legato a
movimenti politici disparati.
Per
esempio, il termine si adatta abbastanza bene alle piattaforme di Viktor Orban
in Ungheria o di Jarosław Kaczyński in Polonia, ma potrebbe anche essere
applicato alle forti, orgogliose e democratiche monarchie del Regno Unito o dei
Paesi Bassi.
In
pratica, tuttavia, il nazionalismo si adatta più naturalmente a un movimento
politico populista, conservatore o di destra. Questi movimenti mantengono
la loro presa sul potere radunando le persone intorno a una comune identità
(nazionale) che è minacciata da "altri" - gruppi esterni che stanno
erodendo l'identità della nazione e minacciando la sua sovranità.
La società civile, i media tradizionali, i
giudici, gli accademici e la comunità LGBTQI, tra gli altri, sono capri
espiatori abituali. E questo mantra del "raduno intorno alla bandiera" alimenta necessariamente i
sentimenti nazionalisti.
Il
nazionalismo non è sempre stato una politica insulare, noi contro loro. Le sue radici risalgono alla fine
del XIX secolo e alle Rivoluzioni Francese e Americana, entrambe guidate da un
sentimento indipendente o nazionalista che avrebbe rimodellato l'Europa. L'incorporazione del nazionalismo in
un'ideologia politica fu un motore chiave dei movimenti di sovranità popolare
che causarono rivoluzioni e guerre in Europa per tutto il secolo, portando
infine alla prima guerra mondiale.
In
tempi moderni, le spinte nazionaliste hanno plasmato l'Asia, anche in Cina e
nella penisola coreana, e gli stati europei prima, tra e dopo le guerre
mondiali.
Le
tensioni nazionaliste sono spesso citate come una delle cause della prima
guerra mondiale, e il nazionalismo fu la ragione principale per cui Hitler fu
in grado di prendere il potere - la Germania non aveva perso la guerra, ma
piuttosto era stata pugnalata alle spalle da politici ebrei e di sinistra, e
poi da altri paesi a Versailles.
Più recentemente, il nazionalismo è stato un
elemento importante, se non la spina dorsale, della campagna pro-Brexit nel
Regno Unito.
Ed è usato proprio ora dal partito ungherese
Fidesz -
in una campagna che dipinge Bruxelles (cioè l'UE) e Soros (cioè la società
civile, i liberali e gli stranieri) - per attirare gli elettori prima delle
elezioni del prossimo anno.
Cos'è il
populismo?
Il
populismo è una strategia politica che fa appello al "popolo" in
opposizione alle "élite" globaliste che stanno rendendo la vita del
"popolo" peggiore.
Come
il nazionalismo, il populismo non è intrinsecamente legato a una certa
ideologia politica. Ma a differenza del progressismo, che abbiamo già
contrapposto al populismo, il nazionalismo si sovrappone abbastanza al populismo, e specialmente al populismo
autoritario.
Come menzionato sopra, il potere dei populisti autoritari deriva dall'alimentare il
sentimento nazionalista e creare una divisione tra i "veri" polacchi,
ungheresi, sloveni, ecc. e gli "altri".
Il
populismo è più antico del nazionalismo, con le sue origini che risalgono
alla Repubblica Romana. I Populares (latino per "favorire il popolo") erano
una fazione politica che sosteneva le cause dei plebei (comuni) rispetto alla
classe dirigente.
Da
allora il termine è stato dato a politici e movimenti di tutte le parti dello
spettro politico.
Ma il
populismo dell'Europa di oggi è più evidente nei populisti autoritari - leader
che mantengono il potere attraverso messaggi populisti e promettono di
proteggere "il popolo" e la nazione dalle minacce percepite.
È ironico ma non molto sorprendente che in
realtà governino in un modo che favorisce loro stessi e i loro amici - le vere
élite - ma destabilizza le istituzioni stesse, come i tribunali liberi, che
proteggono i diritti del "popolo".
I
populisti europei autoritari dividono la società lungo linee etniche o
religiose: i bianchi sono "il popolo" mentre le ONG, i media
mainstream e i giudici sono ritratti come le élite.
E i populisti autoritari ritraggono queste
"élite" come se si preoccupassero soprattutto del benessere dei
"gruppi esterni" a spese della "gente comune".
Tali
gruppi includono i migranti, le persone LGBTQI, gli immigrati, i disabili e
persino le donne.
Qual è
la differenza tra nazionalismo e populismo?
In
teoria, si può avere un nazionalismo senza populismo. Per esempio, quando una monarchia o un
dittatore ha consumato ed è indivisibile dall'identità della nazione stessa, un
certo nazionalismo può esistere senza i contorni del populismo. E il populismo - fare appello ai
bisogni e ai valori del "popolo" - non equivale per definizione a
fare appello agli interessi nazionali. Ma in pratica è confezionato in
questo modo dai populisti autoritari. Questo perché i populisti autoritari
tendono a credere nel patriottismo cieco - la nazione non può sbagliare, e la
loro nazione è migliore delle altre.
Questo
li rende più propensi ad essere aggressivi verso altre nazioni e verso certi
gruppi di persone che si presume minaccino o danneggino la nazione. Naturalmente, queste minacce sono il
più delle volte creazioni dei populisti autoritari, ed esistono solo per
aumentare la loro presa sul potere.
Questo li rende anche molto protettivi nei
confronti dei simboli nazionali, come la bandiera, e sensibili alle questioni
di sicurezza nazionale.
E
queste sono cose che si associano al nazionalismo.
Altri aspetti dell'autoritarismo, come il
sostegno alla punizione dura dei criminali, la discriminazione contro gruppi
storicamente emarginati, la repressione delle proteste pacifiche e la
concentrazione del potere nelle mani di un leader forte, si vedono nei
populisti più importanti di oggi - Orban, Kaczyński, Janez Janša in Slovenia e
Jair Bolsonaro in Brasile, per citarne alcuni.
È
anche importante distinguere tra nazionalismo e patriottismo. I due termini sono spesso confusi, e infatti i nazionalisti spesso
cercano di appropriarsi dei simboli nazionali e della storia nazionale. Essere orgogliosi delle lotte
storiche o delle conquiste del paese è deformato in un amore patriottico e in
una fedeltà allo stato moderno e al governo.
Ma
quel patriottismo non è in realtà legato a nessun movimento politico o governo,
e può
invece essere l'orgoglio che si prova per i valori progressisti o le conquiste
storiche del proprio paese.
Così
il patriottismo e il nazionalismo non sono la stessa cosa, e le persone possono essere
patriottiche senza essere devote alla politica attuale o alle politiche del
proprio paese.
Esempi
di nazionalismo e populismo dal mondo.
Il
nazionalismo è stato in mostra per secoli. Abbiamo discusso la sua storia
sopra, ma può essere visto ancora oggi. Nel corso della storia recente, i
governi di destra hanno promosso il nazionalismo, dagli stati fascisti come la
Germania nazista e l'Italia di Mussolini alla Cina comunista.
E, naturalmente, il nazionalismo è un
ingrediente importante negli attuali governi di Ungheria, Slovenia, Polonia,
Brasile, e il Partito Repubblicano negli Stati Uniti.
Non
sorprende che in questi esempi vediamo anche buoni esempi di populismo di oggi.
Storicamente,
tuttavia, la relazione del populismo con la politica di destra non è stata così
stretta; i governi di Franklin Roosevelt negli Stati Uniti o Hugo Chavez in
Venezuela sono due esempi di populisti dall'altra parte dello spettro politico.
Cosa
significa populismo nazionale?
Molti
degli esempi che abbiamo dato sopra si qualificherebbero come "populismo
nazionale", che è un altro termine per il populismo di destra. È un'ideologia
politica che combina la politica di destra e le tendenze populiste.
Gli attuali governi in Ungheria, Polonia,
Slovenia, e i partiti politici della Lega in Italia, il Rally Nazionale
francese e il Partito della Libertà nei Paesi Bassi sono tutti esempi di
movimenti politici radicati nel populismo nazionale.
L'ascesa
e la forza di questi partiti sono dovuti a numerosi fattori che possono variare
da paese a paese. Ma in generale, l'ansia economica che è nata dopo la
recessione del 2008-2009, l'afflusso di migranti a seguito della guerra e della
carestia in Medio Oriente e Nord Africa, e l'aiuto finanziario della Russia
sono tutti visti come motori del populismo nazionale in tutta l'UE.
Il
diritto iperbolico
dello
stato di emergenza.
Questionegiustizia.it-
Enrico Scoditti-( 15-1-2022)- ci dice :
Il
diritto dello stato di emergenza, in quanto iperproduzione di doveri e di
diritti, pone il problema della sostenibilità del diritto per la società.
L’analisi dell’effettività del diritto comporta una teoria della società e
dell’azione sociale. La società è all’altezza della straordinaria domanda di
tutela di diritti che lo stato di emergenza rilascia se persegue gli ideali
regolativi che il moderno processo di civilizzazione ha insediato in essa.
1.
Stato di eccezione e stato di emergenza: sospensione o intensificazione del
diritto / 2. Cosa significa effettività del diritto? / 3. Una società
all’altezza del diritto.
1.
Stato di eccezione e stato di emergenza: sospensione o intensificazione del
diritto.
Lo
stato di emergenza produce l’intensificazione del diritto. Lungi dall’essere
una condizione di vuoto del diritto, l’emergenza è il luogo di emersione del
diritto iperbolico. Si misura qui la differenza fra lo stato di emergenza e lo
stato di eccezione secondo Carl Schmitt. All’eccezione, come con solennità
ricordano le celebri pagine di Schmitt, corrisponde uno stato di sospensione
dell’intero ordinamento. Nel vuoto del diritto irrompe la nuda forza della
politica perché «la decisione si rende libera da ogni vincolo normativo e
diventa assoluta in senso proprio». Non è questa la sede per discutere la
questione se al principio di un ordinamento vi sia la norma giuridica (sia pure
quale presupposto trascendentale nella forma della norma fondamentale di Kelsen)
o la decisione politica (Schmitt). È sufficiente osservare come qui non si dia
un paradosso, in base al quale, come è stato scritto, sarebbe il diritto ad
auto-sospendersi nello stato di eccezione, per cui sarebbe ancora «la norma che
si applica all’eccezione disapplicandosi, ritirandosi da essa». La prospettiva
di Schmitt è più radicale: lo stato di eccezione precede il diritto, perché
«l’autorità dimostra di non avere bisogno di diritto per creare diritto».
Piuttosto l’eccezione, per la sua carica di originarietà ed emancipazione da
vincoli che la precedano, può essere non meramente sospensiva del diritto, e
ambire ad essere eccezione costituente, fondativa di un nuovo ordinamento.
Sotto quest’aspetto lo stato di eccezione confluisce nella complessa
problematica del potere costituente.
Nulla
di tutto questo accade nello stato di emergenza. È vero che Schmitt parla a
proposito dello stato di eccezione come di «caso estremo di emergenza», ma si
tratta di una «emergenza esterna, come pericolo per l’esistenza dello Stato o
qualcosa di simile». Fra lo stato di eccezione e lo stato di emergenza la
soluzione di continuità non può essere più netta. Lo stato di emergenza, come
ha rivelato la pandemia da Covid-19, è dominato fino all’estremo dal diritto,
nei termini che saranno illustrati a breve. Perché il dominio del diritto non
sia espressione di una volontà tutta politica, come nello stato di eccezione
delineato da Schmitt, è però necessario che non ricorra ciò che, al contrario,
connota lo stato di eccezione, la sospensione di quel diritto che rende
legittima la produzione di diritto. A differenza degli atti di eccezione del
sovrano schmittiano, nello stato di emergenza l’autorità politica ha bisogno di
diritto per creare diritto. L’eccezione è ciò che è fuori della regola,
l’emergenza presuppone invece una regola che la definisca. L’eccezione
schmittiana è l’assolutamente altro rispetto al diritto, l’emergenza implica
una norma che ne fissi i presupposti di ricorrenza e le modalità normative mediante
cui disciplinarla. Insomma, l’eccezione è un fatto che fuoriesce dalla regola,
l’emergenza è un fatto cui la regola collega determinate conseguenze
giuridiche.
Lo
stato di emergenza nell’età del costituzionalismo democratico non deve mai
mettere da parte gli istituti di garanzia costituzionale e il principio di
proporzionalità quale metodologia di coordinamento dei principi nel moderno
pluralismo costituzionale. Le limitazioni al diritto di circolare e soggiornare
liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale devono essere
proporzionate ai motivi di sanità o di sicurezza, che le giustificano secondo
l’art. 16 della Costituzione, e devono sempre essere sindacabili davanti a un
giudice, non solo sul piano sostanziale dell’esistenza del presupposto dello
stato di emergenza e del rispetto del criterio di proporzionalità, ma anche sul
piano formale della conformità all’ordinamento del tipo di provvedimento che
stabilisca quelle limitazioni. La produzione di diritto a mezzo di diritto è la
prima cesura fra lo stato di eccezione schmittiano e lo stato di emergenza che
le democrazie costituzionali hanno conosciuto con l’esplosione della pandemia.
In
questo quadro non sembra ingiustificata la scelta dell’Italia e di altri Paesi
di non esercitare il diritto di deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo contemplato dall’art. 15 della medesima
Convenzione (salvo il rispetto del diritto alla vita, i divieti di tortura e di
schiavitù, il principio “nessuna pena senza legge”). L’iperproduzione di
doveri, se avviene nel rispetto delle garanzie e della proporzione, resta
estranea alla sospensione del diritto, che la Cedu autorizza «in caso guerra o
in caso di altre pubbliche calamità che minacciano la vita della nazione (…) nello
stretto limite richiesto dalla situazione». È per l’art. 15 della Cedu che può
valere il paradosso del diritto che si auto-sospende e della norma che si
applica disapplicandosi, di cui si è detto sopra.
Una
volta che questo decisivo paletto sia stato fissato, viene in primo piano la
caratteristica morfologica del diritto al tempo dell’emergenza. Abbiamo
definito iperbolico questo diritto perché le figure soggettive che
caratterizzano l’ordinamento giuridico, doveri e diritti, conoscono nello stato
di emergenza un’intensificazione e accelerazione che è ignota allo stato di
vita ordinaria di un ordinamento. C’è un eccesso e una dismisura nella
produzione dei doveri nel tempo dell’emergenza e un’altrettanta
intensificazione dei diritti durante e soprattutto nel tempo immediatamente
successivo all’emergenza, come dimostra la straordinaria crisi sociale che la
pandemia ha aperto. Il graduale ritiro dei doveri, al venir meno dei motivi di
sanità, lascia sul campo una massa di domande di tutela di beni della vita e di
giustizia di un’intensità non inferiore al grado di penetrazione e diffusione
dei doveri che hanno contraddistinto lo stato di emergenza. Si tratta di
domande che invocano la tutela dei diritti sia in senso verticale, nella
direzione dei poteri pubblici, che in senso orizzontale, nei rapporti privati.
Il diritto civile, diritto per eccellenza dell’individuo, è chiamato a
misurarsi in modo straordinario con il valore della solidarietà. Doveri e
diritti accelerano la loro corsa in un modo impensato prima dello stato di
emergenza. Il carattere circoscritto nel tempo della pandemia ha creato una
sfasatura temporale in quella corsa: prima i doveri, poi i diritti. Dio non
voglia che in un nuovo stato di emergenza, oggi, doveri e diritti si
intensifichino simultaneamente. Il senso di paura che avvertiamo rispetto a un
esito di questo tipo rende manifesta un’altra caratteristica del diritto
dell’emergenza.
L’iperproduzione
di doveri e diritti, che lo stato di emergenza reca con sé, comporta un
sovraccarico giuridico che la società, se non fosse dotata di propri meccanismi
di auto-regolazione, non potrebbe sopportare. Nello stato di emergenza si apre
una questione di sostenibilità del diritto. La società non potrebbe stare al
passo di un diritto accelerato se il suo hardware non fosse consentaneo a quel
software che il diritto le vorrebbe applicare. Non dobbiamo soltanto richiamare
il senso di responsabilità di una popolazione che rispetta i doveri che le
vengono imposti in un tempo di pandemia, ma anche, e si tratta di una questione
decisiva dell’oggi, la capacità di un popolo e dei singoli individui di
rispondere alle istanze di tutela di diritti che lo stato di emergenza accresce
in modo esponenziale. È questa la vera natura del problema dell’effettività di
un ordinamento giuridico, nel suo duplice volto di dispensatore di doveri e di
diritti.
È a
quest’altezza che si incontra un’analogia con lo stato di eccezione. Scrive
Schmitt che «l’eccezione è più interessante del caso normale» perché «il caso
d’eccezione rende palese nel modo più chiaro l’essenza dell’autorità statale».
È nello stato di eccezione che, secondo Schmitt, emerge il titolare effettivo
della sovranità e si manifesta la vera natura dei rapporti fra diritto e
politica. È nello stato di emergenza, aggiungiamo noi, che diritto e società
rendono evidente la loro essenza e il tipo di relazione che intrattengono. Il
diritto dello stato di emergenza, con tutta la sua tonalità iperbolica, è
dunque decisamente più interessante del diritto del tempo ordinario perché
consente di capire di più di quanto si intenderebbe in un regime ordinario. È
attraverso la radicalizzazione di un concetto che ne cogliamo la vera essenza.
2.
Cosa significa effettività del diritto?
La
questione dell’effettività dell’ordinamento giuridico apre la teoria del
diritto alla teoria della società e dell’azione sociale. Si tratta di
un’apertura che va ben oltre il piano di una semplice sociologia del diritto.
Lo stato di emergenza rende palese come diritto e azione sociale non siano
separabili. La teoria del diritto è andata però in direzione esattamente
contraria.
Con il
normativismo kelseniano si è compiuto un processo di formalizzazione della
ragione giuridica che ha condotto alla piena identificazione di diritto e norma
giuridica. Dopo Kelsen la teoria del diritto è esclusivamente teoria del
diritto positivo, anche laddove quest’ultimo sia oggetto di relativizzazione,
come nelle correnti neo-giusnaturalistiche, che hanno pur sempre il diritto
positivo quale termine di riferimento critico. Non poteva poi essere più netto
il contrasto con Schmitt: purezza e politicità del diritto sono i termini di
una polarizzazione che vede da una parte la norma, dall’altra la decisione
politica. La stagione del realismo giuridico, che si snoda in opposizione al
normativismo e più in generale al positivismo giuridico, mantiene come punto di
riferimento sempre la norma, della quale ciò che viene stavolta predicata non è
la validità, ma l’effettività. Una declinazione del realismo giuridico è stata
anche quella dell’identificazione del diritto con ciò che i giudici dicono che
esso sia. In tal modo l’effettività resta il volto esterno del diritto, ma ciò
che si muove all’interno della società, in quanto tale, è un tema estraneo alla
teoria giuridica. Con l’integrazione di positivismo giuridico e
costituzionalismo che Luigi Ferrajoli elabora, si introduce addirittura il
parametro dell’effettività all’interno del sistema giuridico, quale
ineffettività della norma costituzionale violata, al fine esplicito di
ricomporre il conflitto fra normativismo e realismo giuridico. L’incorporazione
entro il diritto della coppia validità/effettività realizza il programma di un
sistema interamente formalizzato e artificiale, che divarica del tutto diritto
e società, coerentemente del resto al disegno kelseniano (che Ferrajoli combina
al paradigma costituzionalista).
L’intero
dibattito teorico nella seconda metà del secolo scorso è segnato dalla
distinzione che Herbert L. H. Hart delinea fra il punto di vista interno di
colui che adotta la norma di riconoscimento del diritto valido in un
determinato ordinamento e il punto di vista esterno di colui che osserva il
comportamento degli attori di quell’ordinamento: l’uso della norma di
riconoscimento, quale prassi di identificazione del diritto valido (e non norma
presupposta à la Kelsen), è ciò che rende effettivo l’ordinamento. Lo sguardo
dell’osservatore esterno constata una prassi, ma non legge il diritto con gli
occhi di una teoria dell’azione sociale. L’effettività resta una qualifica
della norma, non dell’azione. L’ultimo tentativo teorico di interpretare il
sistema giuridico alla luce di un principio di organizzazione della società è
stato probabilmente il marxismo, se si esclude la più recente teoria dei sistemi
di Niklas Luhmann (nell’ambito di una sociologia filosoficamente orientata). Al
marxismo sfuggì però la teoria del diritto, avendo ridotto quest’ultimo a mera
astrazione riproduttiva della forma di merce, senza considerare il livello
dell’autonoma legittimazione del diritto, che invece costituì l’oggetto della
sociologia giuridica di Max Weber. Quanto a Luhmann, questi, come ha visto
Habermas, si è occupato dell’organizzazione mediante sistemi specializzati, ma
non della società (che per Habermas è dal lato della cosiddetta ragione
comunicativa, contrapposta alla ragione strumentale che connota i diversi
sottosistemi, fra cui il diritto).
Che la
teoria del diritto debba articolarsi a una teoria della società e dell’azione
sociale vuol dire che il punto di vista sociale non può limitarsi alla
constatazione del dato empirico dell’effettività di un ordinamento, ma deve
esprimere un pensiero sulla società. Questo pensiero sociale non condiziona
l’indagine sul diritto, che è connotato dalle specificità su cui riflette la
scienza giuridica, ma dà conto del perché un sistema giuridico possa essere
efficace e soprattutto è attivamente impegnato affinché quell’efficacia sia
raggiunta sulla base di un modello ideale di diritto. È un pensiero moralmente
impegnato.
Il
sovraccarico di diritto per la società che lo stato di emergenza produce è lì a
dimostrare che un corpo sociale non potrebbe sopportare, come abbiamo detto,
questo straordinario peso giuridico se non fosse dotato di una struttura che a
quel diritto possa articolarsi, rendendolo effettivo. Soprattutto la domanda di
diritti e di giustizia sociale che la pandemia rilascia, fa comprendere come
quella domanda sia destinata a restare inevasa ove diritto e società non
procedano su binari paralleli. Il diritto efficace presuppone una società che
sia alla sua altezza, ma anche, per quel che può valere, una teoria della
società che sia solidale a questa impresa e attivamente impegnata in questa
direzione. La stessa teoria del diritto del resto, ha scritto Ronald Dworkin,
non può non essere moralmente impegnata se il suo oggetto è quello del
miglioramento della prassi giuridica – e in particolare la prassi di coloro (in
primo luogo i giudici) che danno attuazione al diritto.
3. Una società all’altezza del diritto.
«Per
il pensiero moderno, non vi è morale possibile; a partire dal XIX secolo,
infatti, il pensiero è già “uscito” di sé entro il suo essere proprio; esso non
è più teoria; non appena pensa, esso ferisce o riconcilia, avvicina o
allontana, rompe, dissocia, allaccia o riallaccia; non può fare a meno di
liberare e di asservire (…) il pensiero, al livello della sua esistenza, fin
dalla sua forma più aurorale, è in se stesso un’azione, un atto rischioso».
Benché in questa pagina de Le parole e le cose Michel Foucault guardi alla
svolta moderna sull’etica fra il XVIII e il XIX secolo, non più prescrizione
esterna ma pensiero che si fa direttamente azione, il testo foucaultiano
rappresenta un lampo di luce su modernità e azione sociale. È su quest’ultima
che bisogna intendersi per comprendere quanto un diritto possa essere effettivo
ed è una determinata accezione di azione sociale quella per cui battersi perché
la convergenza di diritto e società possa svilupparsi.
In quello
straordinario crogiolo di future produzioni teoriche che fu l’Hegel-Renaissance
nella Francia degli anni trenta del secolo scorso, Alexandre Kojève delinea il
venire ad esistenza dell’azione sociale, alla luce delle coordinate
spazio-temporali della modernità occidentale, attraverso una determinata
progressione filosofica. Al centro vi è il rapporto fra mondo e ideale.
All’ideale proiettato verso l’alto, nella dimensione contemplativa
dell’eternità propria dell’universo platonico, succede con Kant, ed è l’atto di
nascita del moderno, la curvatura verso il basso dell’ideale, in funzione
regolativa del mondano. L’ideale kantiano, a differenza di quello platonico,
entra in relazione con il mondo e la temporalità, anche se quale schema
puramente astratto e in quanto tale irraggiungibile. La svolta si compie con
Hegel: dall’idealità, in quanto tale irraggiungibile, si passa alla struttura
del mondo, il quale appare dall’interno regolato da una finalità declinabile
tuttavia solo mediante le modalità, imperfette e contingenti, attraverso cui si
manifesta. L’età delle rivoluzioni, a partire da quella fondamentale del 1789,
inaugura il nuovo tempo dell’attivazione dell’agire sociale, non più condizione
passiva in un mondo del quale non si può disporre, ma forza trasformatrice per
via dell’introiezione pratica dell’ideale. L’azione sociale è ormai governata
da un’intima struttura regolativa perché il pensiero, per riprendere le parole
di Foucault, si è fatto azione: pensare vuol dire cambiare lo stato di cose.
L’interiorizzazione
dei criteri di governo delle azioni umane è in realtà il segno del processo di
civilizzazione in Occidente nel grande affresco sociologico di Norbert Elias,
il cui esito è la formazione di una sorta di super-io sociale mediante l’intreccio
sempre più diffuso di interdipendenze che avviluppa il singolo. Il
riconoscimento dell’altro e la conseguente assunzione di responsabilità non
restano un astratto precetto, ma diventano un’istituzione socialmente operante.
L’archetipo della civilizzazione come interiorizzazione è nei vertiginosi passi
delle Lettere di Paolo di Tarso: da una parte, «(…) se vi fate guidare dallo
spirito, non siete più sotto la legge» (Lettera ai Galati, 5, 18); dall’altra,
«aboliamo dunque la legge per mezzo della fede? No certamente, anzi la
confermiamo» (Lettera ai Romani, 3, 31). In questa oscillazione, fra il
superare e il conservare il diritto mosaico, c’è il senso per l’Occidente
moderno del rapporto fra diritto e azione sociale. Esso trova così le proprie
radici nel contrasto fra cristianesimo ed ebraismo sul tema della legge: mentre
per il primo la legge è da superare una volta che sia stata portata a
compimento con la conversione, per il secondo l’interiorizzazione della legge è
la premessa del suo esautoramento «negli abissi nichilistici dell’interiorità,
dove puro e impuro si confondono». Se è vero, come ha scritto Franz Rosenzweig
su cristianesimo ed ebraismo, che la verità intera non appartiene né all’uno né
all’altro, l’incorporazione del criterio di giustizia nell’azione sociale non
esclude la necessità del diritto quale oggettività ed esteriorità della regola
(necessità dunque che va ben al di là del profilo della mera coercibilità del
giusto). Seguendo la combinazione di cristianesimo ed ebraismo, diremmo nel
linguaggio filosofico che, benché reso immanente (Hegel), l’ideale regolativo
non perde la sua natura trascendentale (Kant). Il rinvenire l’origine di una
civiltà in una polemica teologica comprova il famoso incipit di Politische
Theologie di Schmitt: «tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina
dello Stato sono concetti teologici secolarizzati».
Il
Novecento, non a caso definito “il secolo breve”, è stato una sorta di redde
rationem del processo di civilizzazione. La brevità del secolo è nella sua
intensità. Esso ha introdotto il principio della democrazia costituzionale e
allo stesso tempo ha conosciuto il totalitarismo di massa, ha scritto nelle
costituzioni l’eguaglianza in senso sostanziale e l’ha inverata come mai prima
si era visto in Occidente e allo stesso tempo ha sperimentato, con l’Olocausto,
l’applicazione allo sterminio di tecnica e razionalità burocratica. Le
contraddizioni del secolo breve si sono manifestate nelle filosofie europee, le
quali, all’ombra di nichilismo e disincanto, hanno acquistato direzioni
distanti dal progetto illuministico che, con i suoi imperativi di eguaglianza,
libertà e fraternità, a partire dal XVIII secolo aveva preso le redini del
processo di civilizzazione. La Francia ancora, stavolta della seconda metà del
secolo scorso, è il luogo di emersione della discussione. Due linee sono
altamente significative dell’epoca: a) l’immanenza all’azione sociale dei
criteri di governo diventa con Foucault la microfisica di un potere diffuso, in
base al quale nella società non vi sono che rapporti di dominazione; b)
quell’immanenza diventa invece, con Gilles Deleuze, capacità dell’azione
sociale di produrre ordini senza vincoli di valore che non sia la propria
potenza produttiva (una sorta di potere costituente assoluto e permanente, come
è stato scritto di recente).
Si
tratta di vie senza uscita se il tema è quello di una società all’altezza del
diritto. La ricomposizione di azione sociale e diritto, in un tempo in cui le
domande sui diritti e la giustizia sociale acquistano un’accelerazione
straordinaria, non può non passare attraverso la ripresa del progetto
illuministico di eguaglianza, libertà e fraternità. È noto che protagonista
della ripresa di questo progetto nel dibattito europeo è stato Jürgen Habermas.
Come ha osservato un critico attento di Habermas, il perseguimento
dell’universalismo egualitario può procedere non attraverso il richiamo a un
astratto dover essere, cui pare rinviare l’etica habermasiana del discorso, ma
attraverso la riattivazione di quel nucleo di ideali regolativi che la
civilizzazione ha incorporato nell’azione sociale e che sono quindi immanenti
alle comunità del moderno Occidente. Si tratta di riprendere «the best lessons
we can draw from the history and tradition we are able to discern» La teoria,
come insegna l’intera opera di Habermas, non è neutrale, ma è attivamente e
moralmente impegnata in questa direzione. Riprendendo le parole di Foucault, il
pensiero nel moderno, non appena pensa, «non può fare a meno di liberare e di
asservire».
Le
costituzioni moderne sono proiezioni di ideali regolativi che il processo di
civilizzazione ha insediato nel corpo sociale. L’eguaglianza in quanto ideale
è, per dirla con Derrida, sempre a venire, non sarà mai compiuta. Essa è
tuttavia radicata nella storia e nella tradizione di un popolo.
Qui
risiede l’autentica fonte del patriottismo costituzionale, di cui parlò Habermas nella famosa
intervista su Die Zeit nel 1986. Il conflitto vero non è allora fra diritto e società,
ma all’interno della stessa società. L’azione sociale è divisa fra la non
effettività dei principi di giustizia e la critica delle distorsioni, la quale,
proprio perché consentita dall’interiorizzazione di un patrimonio di ideali
regolativi, costituisce in realtà un’autocritica della società. L’alternativa è
fra la regressione del legame sociale e la promozione dell’interazione
cooperativa e solidale fra individui. L’iperbole dei diritti e delle
domande di giustizia che la pandemia ha prodotto richiama ancora di più
l’azione sociale ai principi che, dall’interno, la costituiscono.
Benché siamo il risultato di un’opera di
civilizzazione e dell’immanentizzazione di un ideale, non c’è alcun finalismo o
movimento della storia su cui confidare, ma solo un conflitto e un fronte di
battaglia. Più che mai il futuro è ora nelle nostre mani.
Il
patriottismo costituzionale
della
Buona Destra.
Buonadestra.it-
Nicola Iuvinale-(28 Febbraio 2021)- ci dice:
Il
“Patriottismo Costituzionale” non è di proprietà della sinistra.
Nel
1988, studente delle scuole superiori, venne distribuito dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri un opuscolo che conteneva la nostra Costituzione, a
ricordo dei quarant’anni dalla sua entrata in vigore.
Mi ha
accompagnato durante gli studi di Giurisprudenza e lo conservo ancora oggi.
Nei
miei viaggi ai confini dell’Italia del nord-est ho visitato vari cimiteri della
prima guerra e ho sempre pensato, a ricordo, che c’è stata un’intera
generazione di giovani italiani e non, che hanno dato la vita per darci la
libertà di cui oggi godiamo.
Poi, è
seguita la “seconda grande guerra civile europea”.
Vorrei
simbolicamente consegnare quello scritto ai miei figli, ma volgendo lo sguardo
agli ultimi anni della politica italiana me ne vergogno.
Perché?
Come
già ho avuto modo di dire, “lo scadimento politico unito alla raminga solitudine
autoassolutoria partitica espressa negli ultimi trent’anni, ha portato alla
totale degenerazione del “sistema” paese facendogli accumulare un debito
pubblico divenuto, ormai, insostenibile, costruito sul ricorso
all’assistenzialismo di Stato che ha surrogato la crescita economica. Questa è la tipica manifestazione
del populismo: l’assistenzialismo ai gruppi di pressione che muovono le marionette della
politica dalla sinistra alla destra”.
Tutto
ciò ha generato quel moderno nichilismo e oscurantismo di destra e di sinistra
che viviamo in questi tempi bui.
E di
ciò, a pagare il prezzo più caro sono i nostri figli e, poi i loro, perché
vivono senza una speranza di lavoro, con studi inadeguati, con scarsa
possibilità di raggiungere quella realizzazione sociale, economica, che
dovrebbe, invece, vederli già protagonisti nello scrivere il loro futuro.
Il
medio evo fu il tempo de secoli bui.
Oggi,
mi sembra di rivedere quei trascorsi.
Si,
bui politicamente, socialmente, moralmente perché, oltre alla mancata soluzione
degli atavici problemi economici, non si è scritto un “patto generazionale”, non c’è
stata una visione politica rivolta al futuro dei giovani e dell’Italia, ma solo
espressione di “individualismo opportunista” tipico della “visione monoculare
del presente”.
Gli
“ideali del comunismo e della sinistra italiana in genere” che portano
all’annientamento dell’uomo, all’omologazione verso il basso, alla decrescita
infelice, alla tassazione finalizzata all’assistenzialismo, anziché alla spesa
buona e produttiva, sono alla base della loro azione politica.
Eppure,
la sinistra si è sempre appropriata “ingiustamente” della cultura, della difesa
dei diritti sociali, dell’uomo, delle libertà, dei diritti dei giovani, del cosiddetto “Patriottismo
costituzionale” ritenendolo roba loro.
Per
“Patriottismo costituzionale” intendo il rispetto non solo della “carta”, ma il
perseguimento di quei valori che ne stanno a base.
Non è
di proprietà della sinistra non solo perché quei valori appartengono a tutti,
ma sono a fondamento della “nostra Costituzione”; intendo “nostra” perché, come
diremo, contiene valori millenari, della nostra storia, dei nostri sacrifici,
del nostro patrimonio culturale, espressione di quei diritti e doveri scritti
sulla “carta”.
Si,
proprio quella Costituzione dimenticata sia dalla sinistra, oggi dilaniata da
perenni conflitti interni e priva di identità, che da quella brutta destra
sovranista, antieuropeista, divisiva e antisociale che, invece, li contraddice.
Qui,
risiede il concetto della mancata “osservanza” della Costituzione che accomuna
la politica italiana di destra e di sinistra.
Il
“Patriottismo costituzionale”, allora, in cosa dobbiamo concretamente itenderlo.
Mi
piace ricordare le parole, il pensiero del maestro e giurista Calamandrei: “La nostra costituzione è in parte
una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma,
un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete
da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!” a voi giovani.
C’è
una parte della nostra costituzione che, ancora oggi, è una polemica contro il
presente, contro la società presente; un giudizio negativo contro
l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo
strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo
a disposizione dei cittadini italiani.
Quindi,
la si può intendere come una “polemica contro il presente in cui viviamo e
impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente. Però, vedete, la costituzione non è
una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un
pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove.
Perché
si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna
metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse,
la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione
è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico”.
Si,
l’indifferentismo politico oggi è anche rappresentato da quel moderno
nichilismo e oscurantismo che caratterizza l’azione politica dagli ultimi
trenta anni.
L’indecisionismo.
E’,
quindi, una delle più grandi offese che si fanno alla Costituzione e ai
cittadini perché non si persegue “il bene comune”.
Però
la libertà è come l’aria, diceva il Giurista: ci si accorge di quanto vale quando
comincia a mancare.
E oggi
l’aria manca; manca a tanti, ai giovani.
La
Costituzione non è “carta” essa è viva, è il diritto vivente perché contiene
“l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana,
della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti. E’ la carta della
propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo”.
Bisogna
essere padroni di noi, del nostro paese, della nostra patria, della nostra
terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.(Ma i seguaci del nuovo DIO terreno
globalista -ossia Klaus Schwab -non sono
d’accordo !Ndr.)
Ai
valori della Costituzione va ridato in nostro spirito, “la gioventù, farla vivere, sentirla
come cosa nostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica,
rendersi conto – questa è una delle gioie della vita – rendersi conto che
ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un
tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo”.
Lo
spirito che deve animare la politica, quella con la “P” maiuscola.E nella Costituzione c’è dentro tutta
la nostra storia millenaria, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le
nostre sciagure, le nostre glorie.
I
grandi ideali della Patria italiana in mezzo alle alte Patrie (Mazzini),
l’eguaglianza delle confessioni religiose (Cavour), l’ordinamento delle forze
armate informato allo spirito democratico della Repubblica (l’esercito di
popolo di Garibaldi), il ripudio della pena di morte (Beccaria) e tutto il
sangue e il dolore versato dagli Italiani.
Il
“Patriottismo Costituzionale” è un patrimonio di tutti che, va alimentato e
messo a fondamento della nuova azione politica.
Tutto
questo lo si ritrova oggi nel pensiero di Filippo Rossi espresso nel suo libro
“Dalla parte di Jekyll. Manifesto per una buona destra” Marsilio 2019.
La
visione di una “destra nuova”, moderata, liberale, legata ai valori
costituzionali, fortemente europeista.
Una
destra che esprime una politica rivolta anche al futuro, ai giovani,
all’abbandono della spesa improduttiva e a vantaggio di quella “buona”; una
visione anche fortemente culturale e rivolta alla riaffermazione del “bello”
nella modernità e nel divenire.
Un
nuovo “rinascimento” della società attraverso l’affermazione e l’attuazione
anche dei valori Costituzionali.
Una
nuova destra, buona, lontana da quella attuale.
Come
scrive Carlo Marsonet nella sua recensione “La destra che sembra emergere dalla
penna di Rossi è conservatrice e liberale a un tempo sebbene qualche
espressione sembri più riconducibile al pensiero liberal (non però a quello “Liberal Dem Usa”
fatto proprio dai globalisti elitari seguaci
di Klaus Schwab.Ndr) , lontano dunque dalla commistione tra liberalismo classico
e conservatorismo.
Essa
non vede le tradizioni come monoliti a cui aggrapparsi e da cui non ci si può
in alcun modo muovere, bensì come bagagli culturali e identitari che
«assicurano una continuità morale, proteggendo gli individui dalla solitudine e
la società dall’anarchia» (sono parole dello stesso Aron). Per usare le parole di
Campi nell’introduzione al volume aroniano, si tratta di «un’opzione
politico-esistenziale tesa a salvaguardare, difendere e perpetuare la
tradizione liberale europea-anti globalista - e le “istituzioni” che essa ha
prodotto nel corso dei secoli». Evidentemente, un’operazione di questo tipo richiede una
maturità intellettuale non solo da parte di chi fa proprio tale paradigma ma,
soprattutto, da parte di chi, da posizione avversa, considera la destra aprioristicamente
lo schieramento politico moralmente inferiore, e dunque abietto, oppure, rinchiuso
in steccati ideologici soffocanti, come una posizione ideologica
ineluttabilmente fascista”.
In
questo pensiero si ritrova la storia che ha scritto la nostra Costituzione.
La
Buona Destra è aperta a tutti quelli che credono nella Costituzione, nei suoi
valori, nel futuro dei giovani e dell’Italia proiettata verso la riaffermazione
del suo importante ruolo europeo.
Un
Intero Sistema Politico
sta
affondando…
Conoscenzealconfine.it
–( 22 Luglio 2022)- Cesare Sacchetti-ci dice :
Siamo
entrati in una fase storica diversa. Il tempo delle promesse al vento nelle
campagne elettorali è finito. C’è un intero sistema politico che sta affondando
qui.
Brunetta
e Gelmini hanno lasciato Forza Italia. È soltanto l’inizio delle scissioni che
dilanieranno ogni singolo partito. Il meglio deve ancora arrivare.
Alcuni
credono che adesso si va a votare e si riportano le lancette dell’orologio al
2018. Credo
che tali persone non abbiano minimamente compreso quale cambiamento storico
rappresenti la fine della globalizzazione e la sconfitta di Davos di Klaus
Schwab.
Temo
che tali persone non abbiano capito che questa classe politica si è seduta
dalla parte di chi voleva smembrare e uccidere l’Italia.
Temo che tali persone non abbiano minimamente
compreso che questa classe politica oggi si è seduta dalla parte di chi ha
perso, e che ora costoro sono soli, isolati, senza la protezione dei loro
garanti a Washington e Londra. Gli argini sono crollati. La piena è in arrivo e
travolgerà i resti delle élite liberali italiane.
Adesso
il prossimo passo è l’astensionismo totale. Se riusciamo a raggiungere una ondata
di astensione tale da non raggiungere nemmeno il 50% più 1, diamo il colpo di
grazia definitivo a questa autoreferenziale classe dirigente che non
rappresenta l’Italia, e che ha portato il Paese nel “tritacarne” di Davos.
Se
riusciamo a raggiungere tale obbiettivo, la fine della democrazia liberale sarà
ad un passo.
Salvini
condivide lo stesso problema del M5S. Il suo partito non ha più elettori.
Il 20 luglio il Carroccio ha fatto ciò che ha fatto
non perché ha ritrovato un minimo di dignità e di interesse per le sorti del
Paese. A via Bellerio sono interessati solo e soltanto alle sorti delle loro
terga e delle poltrone sulle quali sono seduti. A via Bellerio sono abituati a
prendere in giro le persone che avevano rimesso nella Lega le loro ultime
speranze di poter uscire dalla gabbia dell’eurocrazia globalista . Ieri la Lega non aveva altra scelta.
Doveva aiutare Draghi a far cadere il suo governo per poter poi giocarsi il
tutto per tutto alle urne e preservare le ultime sacche clientelari rimastegli.
La
scelta della Lega, così come quella del M5S, era obbligata. Ciò che però forse nessuno dei due
partiti ha compreso è che siamo entrati in una fase storica diversa.
Il
tempo delle promesse al vento nelle campagne elettorali è finito. C’è un intero sistema politico che
sta affondando qui, e loro sono a bordo di quel sistema.
(Cesare
Sacchetti- t.me/cesaresacchetti).
Speranza:
Arresto per chi
non
indossa la Mascherina?
Conoscenzealconfine.it-(
21 Luglio 2022)- Franz Becchi- ci dice :
Il
ministro della Salute Roberto Speranza starebbe sondando il terreno per
riportare in auge le misure anti-Covid in vista del prossimo autunno.
Non si
parla soltanto di quarte dosi di vaccino, ma anche della reintroduzione
dell’obbligo di indossare la mascherina, per altro ancora in vigore sui mezzi
di trasporto. A quanto si apprende, sarebbe in arrivo l’ennesima circolare di
Speranza.
Il documento prevederebbe un accorciamento della quarantena obbligatoria in
caso di positività al Sars-Cov-2, e una ulteriore stretta sulle mascherine.
Sanzioni
e… Arresto?
Chi
verrà “beccato” senza mascherina, va incontro a un’ammenda da 500 a 5000 euro,
ma anche a possibili conseguenze penali.
L’idea è quella di fare rientrare
l’inadempienza all’obbligo di mascherina tra i motivi passibili di arresto, a
quanto si apprende, per i soggetti risultati positivi, ma asintomatici.
Non è
chiaro quanto tale misura sia praticabile, soprattutto considerando il fatto
che il ministro Speranza non si può pronunciare sul piano giudiziario.
L’intenzione
sarebbe inoltre quella di revocare l’isolamento per coloro che non hanno più
sintomi da 48 ore e risultano negativi al tampone. Del resto, diversi Paesi
europei, come Spagna e Regno Unito hanno già direttamente rimosso l’isolamento
forzato per i positivi.
Mascherine:
stesso Copione anche in Germania.
E
anche la Germania procede sulla falsa riga dell’Italia. A metà luglio, il ministro della
Giustizia Marco Buschmann ha annunciato che i tedeschi dovranno indossare di
nuovo la mascherina in autunno negli spazi al chiuso. Il ministro dei liberali dell’FDP ha
fatto intendere che la misura perdurerà per tutto l’inverno. Un annuncio che viene fatto ancor
prima di conoscere il quadro epidemiologico del Paese in quel momento, lasciando intuire come dietro
all’imposizione dei dispositivi di protezione individuali si celi ben altro che
la tutela della salute delle persone.
L’Affaire
Mascherine: il Business dei DPI.
Proprio
in Germania era infatti scoppiato lo scandalo dei milioni di mascherine
acquistate dall’allora ministro della Salute, Jens Spahn (CDU), senza la dovuta
trasparenza. Con il cambio di Governo passato alla coalizione semaforo, a prender
il posto di Spahn è stato Karl Lauterbach (SPD), calando un velo di omertà su
una spesa di 6,4 miliardi di euro, mai chiarita del tutto.
Una
situazione analoga si è verificata anche in Italia, dove a finire nell’occhio
del ciclone è stato l’ex Commissario straordinario in carica durante il Governo
Conte II, Domenico Arcuri.
Anche
in questo caso erano spuntate incertezze sui flussi miliardari di fondi
pubblici destinati alle mascherine, ritrovati poi in conti in paradisi fiscali
come le isole Cayman. L’uscita di scena di Arcuri è stata seguita da un certo
silenzio, mediatico e giudiziario, riguardo all’affaire mascherine.
Le
Mascherine servono?
Ma
oltre al business della compravendita di mascherine, si celano grandi domande,
rimaste tutt’ora senza risposta.
Quanto
incidono le mascherine sulla diffusione del virus? Indossare più volte
mascherine destinate a uso singolo, può comportare problemi di salute? Stando a
uno studio (uno dei tanti) condotto a novembre del 2020 in Danimarca, non è
stata riscontrata una “differenza significativa nei contagi tra chi ha
indossato mascherine e chi no”.
Conseguenze
sull’Apprendimento dei Bambini.
Un
altro studio tedesco portato avanti dalla TU di Dortmund, ha invece messo in
luce i gravi problemi di apprendimento del linguaggio nei più piccoli. La bocca perennemente coperta degli
adulti potrebbe infatti essere indicatore dei problemi di apprendimento
crescenti nei bambini. Questo quanto si deduce dalla comparazione dei dati,
prima e dopo, lo scoppio della “pandemia”.
Funghi
e Batteri sulle Mascherine.
Il 18
luglio 2022, nella sezione Scientific Reports della rivista scientifica Nature
è stato invece pubblicato uno studio giapponese che ha osservato la presenza di
funghi e batteri sulle mascherine in commercio.
Secondo
un campione di 109 volontari osservato dai ricercatori, un utilizzo frequente della stessa
mascherina, senza corrette procedure di igienizzazione, comporterebbe un
incremento di colonie fungine.
Il
consiglio degli scienziati (quelli veri) è quello di evitare l’utilizzo
prolungato di mascherine nei soggetti immunocompromessi, in modo da impedire
infezioni microbiche. Ma mentre prosegue il dibattitto sull’efficacia e le
conseguenze delle mascherine, le amministrazioni tornano alla carica con le
imposizioni.
Se non
ci si tappa la bocca, si rischierà il carcere?
(Franz
Becchi- byoblu.com/2022/07/19/roberto-speranza-arresto-chi-non-indossa-mascherina/).
Adiòs
Lagàrto.
Conoscenzealconfine.it-(
21 Luglio 2022 )-Massimo Mazzucco- ci
dice :
Il
Lucertolone nazionale se n’è andato. L’uomo che a febbraio si crogiolava nella
lussuriosa posizione di poter scegliere addirittura se fare il primo ministro
oppure il presidente della repubblica, a soli 5 mesi di distanza si ritrova con
il culo per terra, a non fare né l’uno né l’altro. Fingendosi umile, il
presuntuoso Draghi diceva “sono solo un nonno prestato alla politica”. Bene,
che ritorni a fare il nonno, una volta per tutte.
Ne
abbiamo abbastanza di dover sopportare mostruose imbecillità come “se non ti
vaccini muori”, oppure “dobbiamo scegliere fra la pace e i condizionatori.”
Ma soprattutto, ne abbiamo abbastanza di
quell’aria di superiorità dell’uomo calato dall’alto, che mal sopporta le
procedure democratiche, che mostra fastidio di fronte a qualunque critica, e
che va raccontando a sé stesso che “gli italiani mi vogliono” quando nessuno lo
ha mai votato.
Sia
chiaro, Draghi se ne va ma i nostri problemi rimangono. Ma quelli sono endemici. Li abbiamo
causati noi, con la nostra storica incapacità di unirci come popolo nel momento
in cui veniamo calpestati, con la nostra eterna cecità nel credere che “basta
che non tocchino il mio orticello, e io sono a posto. Degli altri chissenefrega.”
Però,
ripeto, questi sono problemi che fanno parte della nostra natura, e solo il
tempo e una profonda mutazione culturale potranno risolvere. Ma nel frattempo per favore
toglieteci di mezzo questo lucertolone insopportabile, che sa esprimere di
tutto meno che umanità, intelligenza e senso di empatia.
(Massimo
Mazzucco -luogocomune.net/17-politica-italiana/6038-adi%C3%B2s-lag%C3%A0rto).
Endocrinologi:
Prudenza
su
Prodotti
naturali per Colesterolo!
Conoscenzealconfine.it-(
22 Luglio 2022)- Marcello Pamio-ci dice :
Attenzione
agli Integratori naturali per il Colesterolo: possono avere Effetti
collaterali. Non preoccupatevi invece del “Napalm” genico sperimentale… (lì si
può stare davvero tranquilli!).
Il
warming arriva dall’Ame, l’Associazione Medici Endocrinologi che invita a fare
attenzione agli integratori naturali per il colesterolo.
Il
tutto è partito da una recente circolare del Ministero della Salute che mette
fuori commercio tutti i supplementi alimentari utilizzati per ridurre i valori
del colesterolo contenenti la Monacolina in dosi uguali o superiori a 3
milligrammi per capsula. Il motivo?
Semplice: gli integratori naturali possono avere
effetti collaterali e vanno assunti con prudenza.
Mi
sembra più che doveroso. Il problema è una molecola naturale come la “monacolina k”
che si trova nel riso rosso fermentato da parte del fungo Monascus Purpureus,
non certo i “diserbanti genici” sperimentali protetti da segreto militare,
vero?
Quanti
italiani sono morti o hanno subito un danno grave dal riso rosso e quanti invece dai sieri?
(Marcello
Pamio- t.me/marcellopamio)-(ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2022/07/21/endocrinologi-prudenza-su-prodotti-naturali-per-colesterolo_72ec1e29-79f9-4795-9c97-523ca6d08b09.html).
Ad
Agosto, oltre al Caldo africano
avremo
anche focosi Cambiamenti
nel
Conflitto bellico ucraino?
Conoscenzealconfine.it-(
20 Luglio 2022)- Claudio Martinotti Doria-ci dice :
Come
avrete capito, lo scopo dei miei articoli è esclusivamente divulgativo, per
fornire una visione realistica alternativa alla narrazione mainstream che si
basa sulla propaganda, disinformazione e mistificazione.
Motivo
per cui evito noiosi dettagli tecnici limitandomi a esporre solo la mia
valutazione della situazione generale che se ne può trarre dall’esame delle
condizioni oggettive rilevate dai vari analisti militari che seguo
abitualmente, da me selezionati per la loro serietà e indipendenza. Chi
desidera i dettagli tecnici può eseguire ricerche mirate e specialistiche,
oppure fidarsi e approfittare di quanto riporto.
Prendiamo
l’esempio di Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO (ancora per poco)
che le spara sempre più grosse per fare propaganda con il patetico intento di
intimidire o addirittura minacciare l’avversario, recentemente ha affermato
l’intenzione di portare a 300mila effettivi l’unità d’intervento rapido della
NATO. Fantozzi avrebbe quasi certamente commentato: una cagata pazzesca!
La
NATO in questo momento di particolare difficoltà e debolezza non sarebbe in
grado neppure di mettere insieme 300mila soldati perfettamente abbigliati e
armati per farli sfilare in una parata militare.
Basterebbe
analizzare in quali penose condizioni versa l’esercito della prima potenza
continentale, il Regno Unito, ormai ridotto a esercito da media potenza
regionale (similmente all’Italia, per intenderci e di molto inferiore a quello
ucraino). Se avesse dovuto affrontare le forze armate russe sul campo di
battaglia al posto di quello ucraino, gli analisti seri e indipendenti gli
avrebbero dato al massimo tre settimane di durata prima della completa
disfatta.
Il
fatto che sia una potenza nucleare è irrilevante in una guerra convenzionale (e
comunque lo è anche la Russia, e molto di più), non potendo ricorrere alle armi
nucleari, neppure quelle tattiche di limitata potenza e fallout; conta
soprattutto l’artiglieria, i mezzi corazzati e l’aviazione, e i britannici in
proposito sono messi male e il budget per la Difesa si riduce ogni anno e si
tagliano progressivamente gli organici.
Se ne
deduce che più si è deboli e più si ricorre alla propaganda e si assumono atteggiamenti
guerrafondai da sbruffone come faceva Boris Johnson prima di essere silurato
politicamente. A differenza dei russi, che di propaganda ne
fanno pochissima, il bluff sanno a malapena cosa sia e quando fanno qualche
affermazione sarebbe meglio ascoltarli, prima di finire sotto i loro
schiacciasassi.
Veniamo
ora alle condizioni in cui versano le forze armate ucraine. E’ ormai risaputo
per loro stessa ammissione (non del Comando Supremo che continua a omettere e
fare propaganda ma dei comandanti locali) che molti reparti al fronte hanno
subito perdite tra il 60 e l’80%, cioè parecchie brigate sono ridotte a meno di
un battaglione di effettivi, ergo non sono più pienamente operativi.
Questo
spiega il perché nelle ultime settimane la resistenza ucraina si è indebolita e
di molto abbreviata; città che prima avrebbero difeso per due o tre settimane
vengono abbandonate dopo tre o quattro giorni di combattimenti.
Le
perdite sono state eccessive e adesso preferiscono far ripiegare i superstiti
su posizione arretrate meglio difendibili, dove cercare di ricomporre i reparti
e renderli ancora parzialmente operativi.
Impresa
ardua, in quanto le forze armate russe incalzano senza tregua, lentamente ma
inesorabilmente.
Se
vogliamo fare un confronto di come siano i rapporti di forza, se a livello
numerico inizialmente il rapporto era a favore degli ucraini per 3 a 1 ora sono
pressappoco alla pari, non perché siano aumentati i soldati russi o
donbassiani, ma perché sono diminuiti quelli ucraini, con perdite che si stimano
tra i 1000 e i 1500 soldati al giorno, tra morti, feriti e catturati.
Per
quanto riguarda l’artiglieria gli ucraini sparano circa 5-6mila proiettili al
giorno sull’intero fronte di guerra mentre i russi ne sparano circa 60mila.
Secondo i cosiddetti esperti occidentali da
salotto mediatico, i russi avrebbero dovuto esaurire le munizioni di
artiglieria già da mesi… forse si erano consultati con la casalinga di Voghera,
nota esperta di analisi militare e di storia della Russia.
Le
testimonianze dei soldati ucraini e anche di alcuni mercenari dal fronte
riferiscono di un vero e proprio fuoco d’inferno, una cosa mai vista, motivo
per cui molti mercenari rinunciano all’ingaggio e soldati ucraini disertano o
si arrendono o quantomeno ripiegano in posizioni più arretrate e difendibili.
In molti casi si giunge persino a scontri a
fuoco tra gli stessi militari ucraini, tra ufficiali che impongono di
combattere e soldati che si rifiutano di continuare a farsi massacrare.
In
questi casi, dal punto di vista tecnico, mi domando se tali caduti devono
essere annoverati tra le perdite per “fuoco amico” o altra catalogazione.
A
proposito dei mercenari, avevo già accennato che ne sono rimasti pochi rispetto
all’inizio del conflitto, sia perché morti o perché se ne sono tornati ai
luoghi di provenienza, alcuni catturati rischiano la pena di morte perché non
sono protetti dalla Convenzione di Ginevra e sono considerati dai donbassiani
criminali di guerra.
Alcune
testimonianze rilasciate da alcuni di loro accennano al fatto che non sono
assolutamente preparati ad affrontare una guerra di questo tipo, essendo privi
di copertura aerea, di tecnologia di supporto adeguata, ed essendo sottoposti a
un fuoco infernale di artiglieria. Un conto è combattere in Iraq e Afghanistan,
contro gente armata di AK-47 Kalashnikov e tuttalpiù di RPG (lanciarazzi),
tutt’altra esperienza è dover affrontare l’esercito russo, uno dei più potenti
e meglio addestrati al mondo.
Gli
unici mercenari veramente preparati e in grado di sostenere lo scontro sul
terreno con i russi sono i soldati finlandesi, per esperienza storica
accumulata e relativo addestramento ricevuto in patria.
Ogni
soldato è dotato di tutto il supporto tecnico tattico necessario alla
sopravvivenza per lungo tempo in zona di guerra, dovendo combattere da solo o
in piccoli gruppi affiatati, applicando soprattutto tattiche di guerriglia,
esplorazione, cecchinaggio, incursione, sabotaggio, ecc., senza poter contare
sulla copertura aerea e su nessun rinforzo e appoggio logistico. Ma sono gli
unici con tali competenze e sono troppo pochi.
Da
quanto s’intuisce dalle manovre politiche in corso tra il governo ucraino e
quello polacco, nel preparare la tanto sbandierata controffensiva di agosto,
che secondo i deliri della leadership ucraina dovrebbe respingere i russi fino
al punto di partenza di fine febbraio, devono poter liberare i numerosi reparti
militari ucraini attualmente impegnati a presidiare gli oblast occidentali. Per farlo dovrebbe intervenire
l’esercito polacco per sostituirli.
A
parte il fatto che è una palese cessione di sovranità, e questo la dice lunga
sulla coerenza e serietà della leadership ucraina, legittimando anche il
sospetto che siano d’accordo fin nelle intenzioni, cioè che sappiano benissimo
che l’intervento delle forze armate polacche significa cedere la sovranità
dell’Ucraina Occidentale alla Polonia, divenendone un Protettorato.
Alla
faccia del nazionalismo e amor patrio. Ma il secondo punto fondamentale che
pare sfuggire agli esperti da salotto televisivo, è che l’intervento polacco in
Ucraina si potrebbe legittimamente interpretare come una discesa in guerra
contro la Russia, seppur non avvenga per ora direttamente nelle zone di
combattimento, la Polonia sarebbe considerato dai russi un paese cobelligerante.
A
questo punto se la Russia attaccasse (come già avvenuto numerose volte)
obiettivi militari nell’Ucraina Occidentale con missili ad alta precisione e
uccidesse soldati polacchi, anche in grande numero, non si potrebbe in alcun
modo invocare il famoso articolo 5 del Trattato costitutivo della NATO, in
quanto la Polonia non sarebbe affatto aggredita dalla Russia, in primis perché
il suolo è ucraino e non polacco, e in seguito perché semmai è la Polonia che
ha preso l’iniziativa divenendo cobelligerante a fianco dell’Ucraina. In ogni
caso molti paesi aderenti alla NATO si rifiuterebbero di intervenire e
l’alleanza rischierebbe la disgregazione definitiva.
Il
governo polacco dovrebbe essere più prudente e sondare bene la propria opinione
pubblica prima di correre simili rischi, solo per appagare le sue mire
espansionistiche e manie di grandezza da potenza regionale.
A meno
che, siano talmente smaliziati da anticipare
e attuare un calcolo cinico e spietato, dando per scontata la sconfitta
militare e lo smembramento territoriale dell’Ucraina, volendo partecipare fin
da subito alla spartizione prendendosi la fetta che gli spetterebbe di diritto
per motivi storici (cioè la Galizia e le aree contigue).
Avere
decine di migliaia di soldati già sul posto agevolerebbe tale espansione
territoriale, divenendo in pratica un dato di fatto non facilmente
contestabile.
La
Polonia di fatto si sta anche privando di gran parte del suo armamento pesante
per appoggiare quella che sarà la controffensiva ucraina di agosto, parliamo di
centinaia di carri armati assemblati e modificati in Polonia, che peraltro,
considerando che sono modelli che gli ucraini non conoscono e ci vorrebbero
mesi per imparare a utilizzarli al meglio, mi domando se non saranno impiegati
direttamente da soldati polacchi contro i russi, palesando un’implicita
cobelligeranza di fatto. Anche se ho dei dubbi che vi sia un sufficiente numero
di carristi polacchi disposti a rischiare la pelle in una battaglia persa in
partenza, mi
riferisco alla potenza di fuoco dell’artiglieria e aviazione russa, che
lascerebbe ben pochi carri armati intatti dopo una battaglia sul campo.
Da
quanto finora enunciato emerge abbastanza chiaramente una grave difficoltà da
parte della leadership occidentale nella percezione della realtà oggettiva.
Una
dissonanza cognitiva che distorce la realtà fondandosi su presupposti
inesistenti e che conduce inevitabilmente a scelte errate e dannose. Vedremo probabilmente entro il mese
di agosto quanto saranno dannose, e non solo per l’Ucraina.
Una
cosa è certa, per quanto possiamo essere messi male noi italiani, io per tutto
l’oro del mondo non vorrei essere al posto degli ucraini, dei polacchi e dei
baltici.
(Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria- cavalieredimonferrato.it).
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