La realtà non può essere sconfitta dall’ideologia.

 La realtà non può essere sconfitta dall’ideologia.

 

PERCHE’ IL COMUNISMO

E’DURO A MORIRE.

Ilpiacenza.it-Carlo Giarelli –(31-5-2021)- ci dice :

Sembrerebbe morto il comunismo, ma è solo una morte apparente.

Infatti esiste ancora un partito comunista non solo in Italia, ma in tanti altri paesi e addirittura una nazione come la Cina che si definisce comunista. E’ comunque vero rispetto al passato che non c’è più il comunismo, quello vero, di marca staliniana.

Ma pur sotto mentite spoglie e con altrettanti stravolgimenti rispetto al carattere originario, esiste ancora un comunismo che anche se in difficoltà non muore nelle coscienze.

 E non solo da parte dei vecchi sostenitori che un tempo affollavano i festival dell’Unità e che erano disposti a fare qualunque cosa pur di rivendicare la loro fede politica, ma anche nei giovani che del comunismo storico sanno poco o se sanno qualcosa sono disposti a rinverdire la vecchia ideologia.

Il perché del mantenimento in vita di una ideologia sconfitta dalla storia è presto detto. Perché non si tratta tanto di ideologia.

O meglio perché l’ideologia, se mai ancora esiste, è solo una parte del credo comunista. Oltre a questa il comunismo ha molte altre componenti. Esso è infatti un insieme di concezioni del pensiero con risvolti psicologici e quindi emozionali in cui si trovano un insieme di valori che hanno la capacità di mistificare l’apparenza al fine di non apparire mai semplici e banali, nonostante la loro tragica e sempre criminale realizzazione in tutte le forme di regime che purtroppo si sono storicamente avvicendate.

 Ribadisco allora che l’ideologia è solo una sua componente neppure prioritaria. In sostanza prevale nel comunismo una componente utopica che appunto in quanto irrealizzabile stimola la mente a credere possibile quello che possibile non è.

 A questo punto la deviazione utopica verso una concezione teologica e teogonica, diventa un processo conseguenziale. E con questa il senso di una nuova religione che si sostituisce a quella cristiana, pone il comunismo a manifestare un atto di fede verso l’umanità.

Ci ricorda molto bene questa condizione il filosofo tedesco Feuerbach, che può essere considerato l’iniziatore della dottrina comunista. Nel suo saggio: L’essenza del cristianesimo egli contesta la filosofia di Hegel, un altro filosofo comunista, dichiarandola con un certo disprezzo, una teologia filosofica che guarda al passato, ma che non ha futuro per mancanza di validi presupposti.

Alla scienza della logica di Hegel preferisce contrapporre la sua teologia riducendo la religione a pura antropologia.

Con questa scopriamo un’altra componente di questa nefasta dottrina, che spinge a credere come l’unica verità sia solo l’uomo e non la ragione astratta.

Dunque è l’uomo che volendo ma non potendo essere e divenire onnisciente ed immortale, deve inventarsi un Dio che rappresenti la soddisfazione di un desiderio.

In questo modo una nuova religione sostituisce quella cristiana. L’uomo allora non è l’immagine creata a somiglianza di Dio, ma è quest’ultimo che diventa immagine dell’uomo. Il capovolgimento dei valori si è attuato.

Tutto deve essere fatto per l’uomo, come poi dirà più compiutamente un certo Karl Marx ampliando la teoria dall’uomo per estenderla a tutta l’umanità. La quale deve ristabilire una equità fra la forza lavoro della maggioranza del popolo sfruttato rispetto alla minoranza che possedendo i mezzi di produzione, trae vantaggio da questo sfruttamento.

Con Marx un altro valore si aggiunge a quello da lui auspicato come comunismo. La trasformazione della teologia e della conseguente filosofia in sociologia.  L’impatto sulla gente è pienamente coinvolgente. E pensare ad una società più giusta attraverso l’abolizione delle disuguaglianze alletta al punto  la coscienza, da rendere possibile un paradiso in terra.

 Con queste premesse si capisce bene come questa vocazione comunitaria non sia isolata. Perché già aveva indotto un giovane domenicano, poi condannato e imprigionato per eresia e mi riferisco ad un certo Tommaso Campanella ad ipotizzare, siamo nel XVI secolo, nella sua Città del sole un governo dove tutto sia in comune.

Beni materiali e perfino beni sessuali in particolare le donne (degli uomini non si fa menzione). Anche se ancora mancava il giusto lessico nel nominarlo, più comunismo di così era difficile immaginare.

Dunque come già detto il comunismo attrae le menti, specie quelle che ambiscono ad un nuovo ordine basato su quella utopia rivestita di religione e sociologia che appaga quegli spiriti (liberi?) che vagheggiano una umanità del tutti uguali dove non esistono soprusi e privilegi.

Detto così la teoria comunista vanta il suo fascino, ammettiamolo, tanto che molti almeno all’inizio della propria formazione intellettuale, hanno subito pesanti condizionamenti. Reinventare la parola democrazia è stata allora il punto cardine di tali condizionamenti.

La cosiddetta egemonia culturale di marca gramsciana ha fatto il resto arrivando addirittura ad ipotizzare una netta separazione fra i suoi   seguaci e tutti gli altri. Attribuendo ai primi una virtù inventata al bisogno, che poi verrà chiamata dal segretario del Pci Berlinguer superiorità morale. 

E tutto questo in riferimento agli oppositori, considerati biechi conservatori, poco propensi agli allettamenti del pensiero progressista e impegnati solo a soddisfare i propri privilegi.

L’intellighentia ed il mondo culturale in genere sono la prova di quanto detto. Vale a dire di questo stato di fatto. Destra e sinistra sul piano pratico, ancora più che su quello politico, hanno creato un solco difficilmente valicabile.                             Da una parte i buoni e dall’altra gli incolti detti anche antidemocratici e per giunta nemici da combattere.

 Ecco allora il punto. Nonostante lo stravolgimento dei fatti storici che come spesso accade per chi crede nell’utopia, trasforma la fantasia creativa in un evento criminale causa l’impossibilità di poterla realizzare. 

Cosi nonostante le stragi compiute dai regimi comunisti che vantano il triste primato delle deportazioni e dello sterminio di intere popolazioni all’insegna del loro sbandierato e falso concetto di democrazia, onde riconoscere che ancora oggi il comunismo non è morto, una qualche ragione, come cerco di dimostrare, deve pur esserci.

Per questo dopo averlo tanto criticato, una qualche ragione, dobbiamo allo stesso Hegel. Secondo il quale non è la realtà a produrre le coscienze, ma sono queste ultime che sottoposte ad infiniti condizionamenti formano la realtà. Al punto che la coscienza si identifica con la realtà stessa.

Tali influenze veicolate con subdola intelligenza fra la gente, rappresentano allora le cause di un pensiero morto nei fatti e nella ragione, ma non nella fantasia. Per fare tutto questo processo di falsificazione, bisognava abolire la realtà storica nefasta e subdola, costruendo dei fantasmi.

In sostanza dimenticando il passato criminale inventando la paura di un nemico che nonostante sia stato già condannato dalla storia, lui sì, era nei fatti già scomparso o ridotto ai minimi termini da parte di un piccolo gruppo di fanatici.

 Dunque bisognava farlo ritornare in vita. Lo imponeva e lo impone lo spirito democratico di tutti coloro che al posto di vergognarsi delle loro attuali e superate idee, sono disposti ad usare l’arte del trasformismo.

 Contrapponendo al loro pensiero di menti cosiddette colte, ancora irretite nella mai dimenticata utopia e che hanno ormai occupato i vari gangli del potere, il nero volto antidemocratico di un nuovo pericolo pubblico rappresentato dal fascismo. 

Tramite questo espediente i sinceri democratici possono continuare ad essere tali. Non importa se poi la loro concezione democratica sia a senso unico. 

E se, come succede, diventa intollerante verso gli avversari, considerati non democratici e quindi non in diritto o di esistere, o comunque ancora in grado di manifestare le loro idee, che sono da condannare a priori.

Ritornando al titolo ecco allora perché il comunismo non muore, anche se   rivela un certo pudore a definirsi tale, preferendo adottare un lessico annacquato quale definirsi socialisti o addirittura “liberal alla moda americana”.

 E forse, per le ragioni dette, non morirà mai. Troppo abile nel travestirsi e troppo capace di modificare le coscienze. La sua forma di fede infatti oggi, invece di essere condannata, addirittura esorbita verso quell’altra che noi chiamiamo cristianesimo.

Ma noi siamo i soliti retrivi, ignoranti e biechi conservatori. Liberali e non liberal che fra poco verremo chiamati fascisti. Così è anche se non vi pare. 

(Ndr. Oggi il “globalismo liberal Dem Usa e Ue” nasconde il suo “comunismo” negli insegnamenti Ideologici di Klaus Schwab, il nuovo Dio terreno!)

 

 

 

 

Covid-19: Pubblicate le

Indicazioni Operative per le Scuole.

Conoscenzealconfine.it -WI – (10 Agosto 2022) -ci dice:

 

Le avete lette le indicazioni dell’Iss per settembre? Tutto si basa sull’andamento della “curva epidemiologica”. Come abbiamo sempre detto, hanno normalizzato l’emergenza.

La rieducazione delle nuove generazioni a suon di distanziamenti e nascondimenti dei volti prosegue. Ma voi vi ricordate le assurdità inferte ai vostri figli nelle scuole?

Il metro di distanza tra le “rime buccali” , la quarantena dei fogli protocollo, i plexiglass e la segnaletica per circolare nei corridoi, il divieto assoluto di scambiarsi una gomma o una matita, la pezza fetente da togliersi al banco e poi da tenersi sempre, le misurazioni ossessive della temperatura, il gel idroalcolico obbligatorio, l’ “addetto Covid”, la camera sterile, gli ingressi scaglionati, le quarantene per tutta la classe in presenza di uno starnuto, le insegnanti psicolabili e schizo-patiche assurte al ruolo di secondini, le bidelle sadiche, i dirigenti inzuppati di ossequienza burocratica, l’incubo della didattica a distanza, e così via?

Io li ho tolti dal primo minuto, e non me ne pento. Ora qualcuno esulta perché non è stato rinnovato il protocollo, e quindi “in classe senza la mascherina”. Ma non avete capito che l’innesto è ormai irreparabile… infatti è tutto riattivabile se la “curva epidemiologica” lo richiede.

Ormai la scuola è fatta. È andata. È un campo di rieducazione per i vostri figli, che tra una manciata di anni saranno adulti per i quali queste aberrazioni saranno normali. Toglieteli da lì.

Quando però si parla di togliere i figli dalle scuole molti storcono il naso e, giustamente, fanno notare i costi spropositati di scuole parentali e affini.

Cari amici, noi invitiamo ad agire in tal senso perché i tempi lo richiedono ma non pensiate che non conosciamo le difficoltà che ci citate. Avete ragione anche voi, anzi magari diciamo anche qualcosa di scomodo. Io, da genitore, proprio di recente, mi sto imbattendo in strutture dai costi elevatissimi. È per me davvero difficoltoso trovare una quadra.

In questi anni si è parlato tanto, nei “nostri” ambienti, di trovare alternative ma a conti fatti quel che si nota è che non vi è solidarietà reale.

Anche in questo ambito si cerca di fare più soldi possibile sapendo che una fetta di genitori non ha intenzione di mandare i propri figli nei lager attuali. Solite logiche insomma.

Invece di blaterare di resistenza ed elezioni a vanvera, sarebbe magari utile impegnarsi nel trovare soluzioni concrete, accessibili a tutti ed evitare speculazioni. Che ne dite?

(WI- t.me/weltanschauungitaliaofficial)

Trump Raid: questa è

probabilmente la fine, amici.

Unz.com- ANDREW ANGLIN –( 9 AGOSTO 2022)- ci dice :

 

La casa di Mar-a-Lago di Donald Trump è appena stata perquisita.

Questa è.. probabilmente la fine, francamente.

Notizie Fox :

L'ex presidente Trump lunedì ha affermato che la sua casa di Mar-a-Lago in Florida era "assediata" da un "grande gruppo" di agenti dell'FBI che stavano conducendo un mandato di perquisizione.

“Niente di simile è mai successo a un presidente degli Stati Uniti prima d'ora. Dopo aver lavorato e collaborato con le agenzie governative competenti, questo raid senza preavviso a casa mia non era necessario o appropriato", ha affermato Trump. “È una cattiva condotta dell'accusa, l'armamento del sistema giudiziario e un attacco dei Democratici di sinistra radicale che disperatamente non vogliono che mi candidi alla presidenza nel 2024, soprattutto sulla base dei recenti sondaggi, e che allo stesso modo faranno di tutto per fermare i repubblicani e I conservatori alle prossime elezioni di medio termine".

“Un simile assalto potrebbe aver luogo solo in paesi del Terzo Mondo distrutti. Purtroppo, l'America è ora diventata uno di quei Paesi, corrotto a un livello mai visto prima", ha detto Trump, sostenendo che gli agenti dell'FBI hanno fatto irruzione nella sua cassaforte.

"Qual è la differenza tra questo e il Watergate, dove gli agenti hanno fatto irruzione nel Comitato Nazionale Democratico?"           Egli ha detto. “Qui, al contrario, i Democratici hanno fatto irruzione nella casa del 45° Presidente degli Stati Uniti”.

Trump ha fatto un vago riferimento agli eventi di lunedì durante un tele-rally per Sarah Palin, l'ex governatore dell'Alaska che ora si candida al Congresso.

"Un altro giorno in paradiso", ha detto Trump. "Questo è un giorno strano - probabilmente lo avrete letto tutti, ma molto importante", ha aggiunto prima di continuare con le sue osservazioni.

Quindi... questo è molto brutto.

Esaminiamo solo la mia serie di pensieri su questo problema (non riesco a trovare tutti i collegamenti, ma i lettori di lunga data ricordano e qualcuno potrebbe trovare tutti questi articoli):

Ho ipotizzato a metà del 2020, durante la bufala del coronavirus, quando hanno iniziato a parlare di votazioni di massa per corrispondenza, che fosse impossibile per Trump vincere.

Ho ipotizzato che se avesse perso, avrebbero portato tutti questi casi contro di lui, e sarebbe finito completamente al verde o in prigione.

È successo il 6 gennaio.

Dopo il 6 gennaio, si sono concentrati sui manifestanti e su questa strana bufala di "insurrezione"; Trump non è stato messo al centro di nulla, legalmente.

Trump è rimasto il presunto candidato, ma lo spettro di un'accusa incombeva ancora su di lui.

Quando le udienze di Liz Cheney del 6 gennaio si sono concluse, il procuratore generale ebreo Merrick Garland è uscito e ha rilasciato un'intervista dicendo che Trump è ora l'obiettivo chiave.

Ho detto che si sarebbero assicurati che questa indagine fosse sospesa sulla sua testa durante la campagna del 2024, in modo che i conservatori potessero spingere Ron Desantis, dicendo che Trump non è praticabile perché è sotto inchiesta e potrebbe essere incriminato.

Ora Trump viene perquisito.

Fondamentalmente, questo significa che è fuori dal gioco, a meno che qualche cosa seria cambi. Che lo incrimino o meno non importa. È sotto indagine seria, che lo paralizzerà alle primarie.

Probabilmente: durante la corsa alle primarie, avrà attacchi senza sosta da parte del personale di Ro Desantis. Saranno in grado di convincere abbastanza persone che Trump non è fattibile a causa dell'incombente atto d'accusa. Desantis, nel frattempo, diventerà hardcore, si comporterà come se fosse Trump, ricevendo supporto da persone che dicono "beh, immagino che non sia così male".

E questo se non lo incriminano apertamente. Un raid come questo implica che potrebbe esserci un atto d'accusa in arrivo. Potevano fare qualsiasi cosa in questo raid. Avrebbero potuto persino piantargli merda finta.

Potrebbe ovviamente succedere qualcos'altro. non so cosa. Ad esempio, non riesco a pensare a nessun percorso da questo tipo di escalation da parte dei federali a Trump che vince le primarie del GOP.

Non importa molto nello schema più ampio delle cose, perché quasi sicuramente fallirà alle elezioni generali a prescindere, poiché sarà totalmente truccato come nel 2020. Quindi, questa non è una grande perdita. Fondamentalmente quello che abbiamo perso è che Trump è stato divertente durante le primarie e il generale. Mi conosci: sceglierò "divertente" su qualsiasi altra cosa in qualsiasi situazione. Quindi, è una sorta di perdita.

Fox News sta difendendo Trump, più o meno.

Ma non lo difenderanno a lungo termine. A lungo termine, Fox e tutti questi altri stronzi - l'ebreo Breitbart, l'ebreo Daily Wire e l'intera squadra - hanno tirato per Desantis. Si muoveranno tutti in quella direzione, spudoratamente, non appena sarà possibile farlo.

Ma nello schema più ampio: siamo stati condannati per molto tempo qui. Siamo stati praticamente completamente condannati da quando Trump non ha respinto la bufala del coronavirus, che ha portato alla bufala elettorale, che ha portato al 6 gennaio, che ha portato all'illegalità dei bianchi.

Ovviamente, francamente, anche quando Trump ha vinto nel 2016, eravamo ancora praticamente condannati. Se Trump fosse stato più competente e non avesse permesso a tutte quelle persone schifose di circondarlo, le cose sarebbero potute andare meglio, sicuramente. Ma non so quanto sia meglio.

Fondamentalmente, siamo praticamente condannati da quando Adolf Hitler perse la seconda guerra mondiale. Stiamo solo guardando tutto questo svolgersi ora, un disastro ferroviario al rallentatore.

Detto questo: la buona notizia è che la situazione geopolitica sembra fantastica. Gli USA/ZOG hanno appena perso una guerra con la Russia nel modo più umiliante possibile. Ora stanno cercando di iniziare una guerra con la Cina per nascondere il fatto che hanno perso una guerra con la Russia. Stanno cancellando i documentari e tutto il resto.

Sì, questo è il Terzo Mondo.

Spesso mi sento frustrato dall'uso del termine "terzo mondo". Le persone in TV che non sono mai state in un paese del terzo mondo diranno che il crimine in America, o le tendopoli al centro delle aree urbane, sono "il terzo mondo".

Sono tipo “negro, non sei mai stato in un paese del terzo mondo – non permettono questo tipo di merda, tipo, per niente. La maggior parte dei paesi del terzo mondo ha una bassa criminalità e di certo non permette ai senzatetto drogati di accamparsi nel centro delle loro città”. Tuttavia, questa roba con l'arresto dell'opposizione – che sicuramente accade nel terzo mondo. Capita.

Il fatto fondamentale è che i paesi del terzo mondo sono meno vincolati dai confini della "legge e dell'ordine". A volte ciò può avere dei vantaggi.

I governi del terzo mondo sono corrotti, ma non sono così terribilmente corrotti come i governi occidentali. Quindi nel terzo mondo, se la gente del governo sta scremando un po' la cima, c'è ancora molto da fare per la popolazione. In America, si assicurano che la popolazione non riceva letteralmente nulla.                              Se rimane qualcosa dopo che il governo è stato saccheggiato, invierà il denaro in eccesso a Israele o all'Ucraina invece di darlo a te. La maggior parte di ciò è che nel terzo mondo i governi devono preoccuparsi costantemente delle masse di persone che si sollevano.

In America, è un fatto provato che nessuno si alzerà.                                    Se le persone non si sono sollevate per la bufala del virus e non si stanno attualmente sollevando per le molestie su minori transessuali su scala industriale, non si solleveranno per nulla, mai.

Non sono d'accordo con queste teorie secondo cui il governo sta bruciando le scorte di cibo perché vogliono che milioni di persone muoiano di fame.

Gli "incidenti" nell'approvvigionamento alimentare sono sospetti e potrebbero volere che le persone siano in crisi, ma non vogliono la fame di massa. Le persone avranno da mangiare e non faranno nulla.

Ma sì: siamo in uno stato di totale illegalità, ufficialmente, in cui l'opposizione viene perquisita dal governo.

Fondamentalmente, sei condannato.

Stanno dicendo che Trump è già ufficialmente bandito dalla corsa alla presidenza a causa della trattenuta di documenti.

Non so se è vero, ma anche se non lo è, non può vincere le primarie con tutti i media che dicono che gli è stato vietato di candidarsi.

Non vedo altra via d'uscita se non attraverso il crollo del governo degli Stati Uniti a causa di eventi sulla scena mondiale.

Nessuno farà niente.

La gente è fuori a protestare a Mar-A-Lago.

Ma non faranno niente.

Ben Shapiro sta dicendo che l'FBI è cattivo e che dovrebbe esserci "l'inferno da pagare".

Chi pagherà diavolo? Nessuno, ovviamente. L'intero sistema è completamente marcito. Shapiro supporta Desantis, come fanno tutti.

Candace Owens si sta agitando.

Ai democratici non interessa, Candace. A loro non importa. E hanno tutto il potere.

Posodiec sta dicendo il fatto, almeno.

Sì, stanno progettando di incriminare Trump. Ecco cosa significa un raid come questo.

Una volta incriminato, possono semplicemente fare qualsiasi cosa.

Se solo Trump avesse avuto generali più simili a quelli di Hitler.

 

 

 

LA TRASPARENZA DEI DATI PERSONALI (PATRIMONIALI) E IL TRACCIAMENTO INDIVIDUALE IN NOME DELL’INTERESSE PUBBLICO

DIRITTO

By Redazione CDC On 10 Agosto 2022  4,912

La trasparenza dei dati personali

(patrimoniali) e il tracciamento

individuale in nome dell’interesse pubblico.

Comedonchisciotte.org- Avv. Maurizio Lucca- (10 agosto 2022)- ci dice :

 

(1. In punto di diritto. 2. La trasparenza FOIA e prevenzione della corruzione. 3. Fatti (in parte noti). 4. La decisione della Corte Cost. e del Consiglio di Stato. 5. Gli effetti e il vuoto normativo. 6. Un bilanciamento tra diritto e trasparenza, tra riservatezza e pubblicità. 7. Qualche perplessità sulla raccolta (uso) di dati personali. 8. Trasparenza e riservatezza. 9. Gli specchi ciechi del diritto. 10. Prospettive di salvezza dall’oppressione del controllo dei dati personali.)

 

1. In punto di diritto

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6654 del 28 luglio 2022, interviene sull’obbligatorietà per i dirigenti – posti ai vertici della macchina amministrativa – della pubblicazione dei redditi, ai sensi del comma 1, lettera f), dell’art. 14, Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali, del d.lgs. n. 33/2013, da includere coloro che ricoprono «cariche di amministrazione, di direzione o di governo», obbligo privo di sanzione per l’inerzia del legislatore nell’integrare la norma, a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale di una parte .

2. La trasparenza FOIA e prevenzione della corruzione.

È noto che l’art. 1, Principio generale di trasparenza, del citato d.lgs. n. 33/2013 (ai più noto come modello FOIA) affida alla trasparenza:

l’accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni;

promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa;

favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

Concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione;

condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione;

concorre alla realizzazione di una Amministrazione aperta, al servizio del cittadino.

 

Segue, tra i molti articoli, l’art. 7 bis, Riutilizzo dei dati pubblicati, dove al comma secondo, del cit. d.lgs. 33/2013, tiene a chiarire che la “trasparenza pubblica” avviene mediante la pubblicazione nei siti istituzionali (nelle home page) «di dati relativi a titolari di organi di indirizzo politico e di uffici o incarichi di diretta collaborazione, nonché a dirigenti titolari degli organi amministrativi», integrando «una finalità di rilevante interesse pubblico» (ossia, collettivo) che non può prescindere dall’avvenire – la pubblicazione dei dati, documenti e informazione «nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali».

Pare giusto rammentare che per “dato personale” si intende, secondo le indicazioni del Garante privacy «le informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente o indirettamente, una persona fisica e che possono fornire informazioni sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica, ecc..» .

Secondo il Piano Nazionale Anticorruzione 2022 (in consultazione), predisposto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), la “trasparenza” viene identificata come dimensione del “valore pubblico”, come misura di prevenzione della corruzione, riducendo gli sprechi e orientando correttamente l’azione amministrativa, per il miglior funzionamento dell’Amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese.

La lotta alla corruzione, mediante il modello FOIA, comporta l’acquisizione di una moltitudine di dati personali, molto spesso fine a sé stessi e privi di effettivo valore se finalizzati agli scopi (c.d. ratio) della norma, alterando il rapporto con la tutela della riservatezza personale: un’esposizione abnorme.

3. Fatti (in parte noti).

La questione affrontata dal Consiglio di Stato nella sua essenzialità ruota attorno ad una richiesta, sulla base delle Linee guida ANAC non vincolanti n. 241/2017, rivolta ai componenti del Consiglio di Amministrazione di una Università, di acquisire i dati patrimoniali (dichiarazione dei redditi, mentre i compensi percepiti, quelli erogati dalla PA sono già oggetto di pubblicazione in varie parti della disciplina FOIA), equiparando i componenti dei CdA agli «organi di indirizzo politico», ossia quelli deputati a governare le istituzioni, in generale (e in parte, non è qui il caso di indugiare oltre) a volte eletti, come nei Comuni, a volte nominati, come nello Stato.

La richiesta veniva considerata da un componente del CdA illegittima per violazione del diritto alla vita privata ed alla protezione dei dati personali, nonché, dei principi sanciti in materia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dal Trattato UE, dalla Convenzione EDU, dalla direttiva n. 95/46/CE e dal Regolamento del Parlamento e del Consiglio europei n. 2016/679, donde il ricorso al giudice.

Si deduceva l’illegittimità derivata, facendo riferimento al pronunciamento della Corte Costituzionale, con sentenza n. 20 del 23 febbraio 2019, che dichiarava «l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)»: il riferimento è agli «incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente» e agli «incarichi di funzione dirigenziale di livello generale» .

 

Si annotava, altresì, il vuoto normativo, venutosi a creare per effetto della pronunzia, che determinava un intervento del legislatore, il quale nelle more della sua definizione mediante apposito decreto, da adottarsi «entro il 30 aprile 2021» (non ancora avvenuta), sospendeva l’efficacia della sanzione per la mancata pubblicazione.

Ciò posto, in primo grado (al TAR), con sentenza n. 6033 del 24 maggio 2021, si accoglieva il ricorso sul duplice presupposto che la sentenza della Corte Cost. avrebbe «ritenuto non applicabile la disciplina contestata a chi non fosse titolare di un incarico dirigenziale pubblico ai sensi dell’art. 19 D. Lgs. 165/2001 e quindi anche al ricorrente che è stato semplicemente designato nel consiglio di amministrazione dell’Università senza assumere alcun incarico dirigenziale» e che la designazione nel Consiglio di Amministrazione dell’Università non potesse essere assimilata ad «alcun incarico dirigenziale».

Seguiva appello dell’Università, dell’ANAC e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ove si eccepiva (questione dirimente) che «il perimetro della decisione della Corte ha riguardato cioè i soli titolari di incarichi dirigenziali» e non i componenti del CdA, assimilabile agli organi di indirizzo politico.

4. La decisione della Corte Cost. e del Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato, rilevava che la questione posta alla Corte Cost. era in parte similare ma non sovrapponibile, stabilendo che la disciplina era stata ritenuta incostituzionale poiché l’obbligo di pubblicazione dei redditi era esteso indistintamente a tutti i dirigenti, e non solo a quelli apicali (ex art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001) come (invece) ritenuto dalla Corte, in violazione dell’art. 3 Cost.: vi è una distinzione di funzioni e competenze che non giustifica una così penetrante misura nella vita individuale e familiare (ossia, la pubblicazione dei redditi indistintamente di tutti): non veniva tenuto conto del diverso «grado di esposizione dell’incarico pubblico al rischio di corruzione e all’ambito di esercizio delle relative funzioni, prevedendo coerentemente livelli differenziati di pervasività e completezza delle informazioni reddituali e patrimoniali da pubblicare».

Da queste premesse, i giudici di Palazzo Spada, stabiliscono che la sentenza della Corte Cost., esplica i propri effetti unicamente in ordine alla posizione di “titolari di incarichi dirigenziali” e non anche su quelle dei “titolari di incarichi di indirizzo politico”, come possono essere assimilate le posizioni dei componenti del CdA dell’Università, sia in relazione al sistema di nomina che dei poteri esercitati.

In termini diversi, i componenti del CdA vengono attratti nell’ambito di applicazione dell’originario testo dell’art. 14 che, al comma 1, già imponeva obblighi di pubblicazione ai «titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico» per evidenti ragioni di sostanziale omogeneità: di funzioni e competenze.

 

5. Gli effetti e il vuoto normativo.

Ne consegue che viene acclarato il vuoto (adeguamento) normativo a seguito del pronunciamento della Corte Cost. (sentenza n. 20/2018), peraltro, collegato all’esigenza di definire le distinzioni all’interno delle figure dirigenziali, non, dunque, con riferimento alle definizioni di incarichi di «titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo», indicati al comma 1 bis dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 che restano quelli previsti dall’art. 14, comma 1 (con le successive precisazioni).

A rafforzare la motivazione, viene tracciato il flusso normativo dal quale si può pervenire alla conclusione che la presenza di un vuoto normativo (manca il regolamento applicativo) impedisce l’applicazione delle sanzioni (sospese) in caso di violazione del precetto (pubblicazioni dei dati reddituali) che sussiste.

In termini più espressivi: manca di effetti la norma dispositiva dell’obbligo di pubblicazione dei redditi non avendo ancora il legislatore legiferato sulla violazione (“affare”, alquanto suggestivo, visto il ciclone di decreti – legge succedutesi con voti di fiducia, tranne l’ultimo): è noto che in assenza di sanzione la norma rimane pura astrazione.

Si determina così un effetto loop: l’assenza della norma secondaria (quella sanzionatoria) della violazione della norma primaria (di condotta): un’imperfezione del sistema FOIA.

 

L’approdo formale e del diritto positivo ammette la permanenza dell’obbligo «di pubblicazione dei dati ma che, per effetto della disposizione appena richiamata (la cui dichiarata transitorietà consiglierebbe che il legislatore procedesse con sollecitudine al riordino della materia, adeguandosi puntualmente alla decisione della Corte costituzionale), tale obbligo non è attualmente provvisto di sanzione in caso di sua violazione».

Dunque, la lotta alla corruzione, che esige la pubblicazione dei dati reddituali, quasi a voler significare che la loro pubblicazione sui portali della PA rende trasparente anche quelli di illecita provenienza (sarebbe troppo semplice se non banale il principio) in mancanza di pena si proietta a creare un vulnus al sistema, consentendo di violare il precetto senza subire le conseguenze (sempre ammesso che vengano pubblicati anche i redditi da fonte incerta, quelli frutto del mercimonio della parzialità di chi svolge funzioni pubbliche, ex comma 2, dell’art. 54 Cost. in coordinamento con l’art. 97 e 98 Cost.): «i denari rubati non fanno mai frutto. Addio, mascherine!».

 

Invero, pretendere di esporre in chiaro, i dati presenti nelle dichiarazioni dei redditi (con una forte esposizione on line della vita privata e familiare dell’interessato rispetto alle esigenze di protezione dei dati personali) e pensare, allo stesso tempo, che possa costituire un deterrente alla maladministration (cattiva amministrazione in linguaggio corrente)  è una questione ancora dibattuta e non sempre comprensibile (pur utilizzando il metodo baconiano), con effetti che si avrà modo di approfondire (ma non troppo, ex art. 21 Cost.).

6. Un bilanciamento tra diritto e trasparenza, tra riservatezza e pubblicità

La sentenza apre un panorama che va ben oltre, dando spazio ad una serie di considerazioni che alimentano i disagi e le contraddizioni del momento, consente, inoltre, valutazioni metagiuridiche su fenomeni che, pur avendo affondi nel diritto positivo, traggono il loro impulso al di fuori delle norme.

Un bilanciamento tra riservatezza e trasparenza dovrebbe trovare altri parametri di riferimento, se lo scopo è prevenire la corruzione, d’altronde in epoca di fragrante pandemia ed emergenza bellica l’abuso del trattamento dei dati personali, e la loro dispersione (rectius diffusione), non ha trovato confine, con risultati non edificanti e a costi elevati (anche sociali), soprattutto in termini di rapporti spezzati e di vite perse.

I fenomeni legati alla produzione di dati personali (specie sanitari) hanno alimentato molto di più di quello che sarebbe stato concedibile ma è stato concesso (pur senza un apparato minino di dati confrontabili), oltre ad alimentare la paura, hanno alimentato divieti ed espulsioni, senza alcuna base statistica, di confronto (senza studi), di dati personali (scientifici ed epidemiologici), senza contare l’infranto quadro normativo e costituzionale con obblighi, confinamenti, sospensioni, licenziamenti .

7. Qualche perplessità sulla raccolta (uso) di dati personali.

Se tutte queste misure – fondate sulla sistematica raccolta di dati personali – non hanno giovato alla diminuzione dei contagi, la c.d. immunità di gregge, con persone vaccinate che continuano, nuovamente, ad ammalarsi nonostante più booster (segnando il fallimento dell’obiettivo della vaccinazione di massa), allora quale potrebbe essere il significato della “sorveglianza” sanitaria, ovvero di questa esigenza di somministrare e richiedere dati e di pubblicare l’andamento dei contagi quotidiani: vi è (invero) qualche attinenza che possa coinvolgere anche la riservatezza del dato, oppure la questione è del tutto ininfluente, neutra (?).

In dipendenza di ciò, anche l’impossibilità di esprimere liberamente il “consenso informato” (c.d. diritto all’autodeterminazione), ai sensi della legge n. 219/2017, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, a fronte dell’obbligatorietà vaccinale può avvallare (rendere legittimo) l’acquisizione dei dati personali o spiegarne l’utilizzo, se l’interessato non può sottrarsi, pena una sanzione posta dall’ordinamento, senza considerare le connotazioni etiche dell’imposizione di un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) con sieri sperimentali che potenzialmente possono causare danni irreversibili, anche a lungo termine (come è stato dimostrato) .

Per questo ultimo aspetto, onde evitare il rallentamento delle vaccinazioni e i rischi di responsabilità risarcitorie (non solo civili) è stato riconosciuto (ammettendo, in modo non indiretto, la possibilità di effetti avversi gravi) lo “scudo penale” per gli operatori sanitari (salvo i casi di colpa grave), con l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 3, Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, del D.L. n. 44/2021, Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici, convertito con modificazioni in legge n. 76/2021, «Per i fatti di cui agli articoli 589 (Omicidio colposo) e 590 (Lesioni personali colpose) del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV -2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione» (dando una equiparazione di legge anche agli atti amministrativi, quali le circolari, fatto alquanto insolito se non unico).

Non si può non ammettere che la sistematica ed endemica (oltre che abusiva) richiesta di dati personali incide sulle libertà individuali e collettive, senza considerare il rischio effettivo di sostituzione e furti d’identità, mancando un sistema adeguato di sicurezza informatica (cybersecurity), mascherando fenomeni che non si collegano con la lotta alla corruzione e (aggiungiamo) alla salute.

La “trasparenza”, diranno in molti, non ammette intralci, divenendo un valore ex se, disancorato da ogni valutazione tra costi e benefici, tra diritti individuali ed esigenze collettive, tra consenso informato e consenso imposto.

8. Trasparenza e riservatezza.

Il Consiglio di Stato, nella sentenza in parola, interviene sul rapporto – “riservatezza” e “trasparenza” – esprimendo una tendenza secondo la quale «l’adempimento agli obblighi di cui si discute» (ossia la pubblicazione dei redditi, che è il tema centrale di questo dibattito) «interferisce sia con il diritto alla riservatezza dei dati personali, quanto con quello della collettività al libero accesso alle informazioni detenute dalle amministrazioni, deve rilevarsi che i diritti invocati dall’appellato non sono incomprimibili essendo le loro limitazioni pacificamente ammesse in vista del conseguimento di obiettivi di trasparenza e pubblicità, sia pur nel rispetto dei principi proporzionalità, pertinenza, e non eccedenza rispetto alle finalità perseguite».

In queste parole, viene legittimato una limitazione della propria sfera individuale in virtù di un interesse generale, nel rispetto di una serie di principi che dovrebbero essere soppesati tra loro per non andare oltre ai limiti funzionali allo scopo: in concreto si dovrebbe agire nel “giusto”, di chi opera e giudica secondo giustizia.

Questo bilanciamento viene confermato, si annota nella sentenza, dallo stesso Regolamento UE 679/2016 (c.d. General Data Protection Regulation – GDPR) che al quarto considerato, precisa che «il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità», in aderenza con il pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 20/2019) che «pur censurando l’obbligo di pubblicazione dei dati di cui alla lett. f) del comma 1 dell’art. 14, riconduceva il profilo di illegittimità rilevato, come ampiamente esposto, alla sola operata estensione indiscriminata degli obblighi di trasparenza a tutti i Dirigenti senza distinzioni di sorta, senza, tuttavia, rilevare profili di eccedenza degli obblighi di cui all’art. 14, comma 1, rispetto alle sottese ragione di interesse pubblico alla pubblicità dei dati».

In definitiva, la «compressione del proprio diritto alla riservatezza deve, quindi, ritenersi giustificata in ragione della delicatezza dell’incarico attribuito e della natura pubblica dello stesso, e quindi della possibilità di assicurare un controllo diffuso quanto all’esercizio delle funzioni attribuite, nel quadro di un’Amministrazione democratica»: l’acquisizione dei dati personali e la pubblicazione dei dati reddituali come misura per contrastare la corruzione.

Il cono visuale direbbe che la pubblicazione dei dati personali reddituali non comprime la vita privata ma combatte la corruzione.

È proprio possibile che sia sufficiente una pubblicazione del dato personale per sconfiggere una male secolare? O forse è troppo riduttivo, o che altro? Questo dovrebbe essere il disputare.

9. Gli specchi ciechi del diritto.

Ed in effetti, in epoca della Covid-19 anche la “trasparenza” dei “dati sanitari” (contagi, vaccinazioni, effetti avversi/collaterali, ad esempio) ha subito una diversa “misura del rischio”: la loro pubblicazione (il termine più recente, si esprime in accountability) è divenuta questione di “sicurezza nazionale”, quasi un segreto di stato, inaccessibile, mentre di fatto è un segreto industriale e militare: la trasparenza FOIA, nata proprio con lo scopo di far conoscere ai cittadini le informazioni detenute dal Governo o, in generale, dalle Autorità pubbliche (l’AIFA, ad esempio è un ente pubblico, posto sotto la direzione del Ministero della Salute e la vigilanza del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia) ha subito un inatteso, quanto spiegabile, arresto. Proprio nel momento del massimo bisogno il FOIA perde di effettività, di efficacia, quasi come le vaccinazioni che richiedono un costante richiamo, se bastasse (puntini di sospensione).

La raccolta dei dati personali per la profilazione/tracciamento (il c.d. monitoraggio) dell’intera popolazione (è stato nominato, anche, un gruppo di 74 esperti in diverse discipline, il c.d. Gruppo di lavoro data driven, finalizzato a trovare le migliori soluzioni ITC per mappare i contagi), con un’inversione di scopo: dall’apertura all’isolamento (del green pass, documento di “libertà” contenente una serie di dati personali).

(Il green pass è un documento di “schiavitù” perenne. Ndr)

Il tutto (osservano, i più accreditati) per giustificare una forma di “Governo Digitale”, non anteposto all’“Uomo Digitale”, un avvenire dove il patrimonio di dati personali incamerati (o pubblicati) non è del tutto incerto, non mancando punti di riferimento sullo scenario globale, ossia in quei ordinamenti che con le armi portano la pace e la democrazia, dove il dato biometrico è un diritto di libertà (per poter circolare e vivere nella società): in occidente, questo sistema democratico, viene chiamato “regime”.

Il PNRR dedica la Componente 1, della Missione 1, relativa a Digitalizzazione, Innovazione e Sicurezza nella PA per favorire l’interoperabilità tra le banche dati pubbliche (il c.d. incrocio dei dati personali) con la digitalizzazione di ogni processo, operazione e movimento, creando un’espansione dell’identità digitale per la piena trasparenza (e controllo) della popolazione nei rapporti con le istituzioni (e altro).

Una nuova dimensione della tutela del dato personale, recessiva delle tutele (protezioni) personali e della riservatezza, in nome di una sorveglianza sanitaria (il diritto alla salute) o esattoriale, dove il “consenso informato” è stato dilapidato e frustrato nella sua essenza di protezione e autodeterminazione della persona (umana): l’obbligatorietà dei trattamenti sanitari erga omnes ha tradito il diritto naturale prima, quello vivente dopo.

 

Andando oltre (e siamo sempre sul tema) i sacerdoti della trasparenza hanno dimenticato la trasparenza, come visivamente pensata dal primo comma, dell’art. 1, del d.lgs. n. 33/2013: «allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini», pubblicando (e acquisendo) dati personali non coerenti con lo scopo della citata cangiante fonte del diritto.

Ed allora, come sia possibile lottare contro la corruzione (o la pandemia), con tale compressione/compromissione di riservatezza (libertà privata) a favore della pubblicità, dell’interesse generale alla conoscenza, quasi che la “cattiva amministrazione” sia più importante del “bene della vita”, quell’aspirazione del privato ad avere il riconoscimento dei propri diritti, “ad essere lasciato solo” (to be let alone).

Siamo di fronte (al fronte) ad un massiccio reperimento di dati personali, riproducendo e aggiungendo adempimenti e pubblicazioni FOIA, in un crescendo di dati (privati e pubblici) da inserire nelle migliaia di sez. di “Amministrazione Trasparente” delle pagine internet della PA, con il rischio di essere sanzionati per un eccesso o eccedenza di dati personali in rete , in vista dell’integrità del sistema pubblico, perdendo di vista lo scopo primo della trasparenza (la conoscenza utile) con un’eccessiva pubblicazione (e richieste) di dati.

Non è (forse) un caso che leggendo (ancora) il PNRR si incontrino dei periodi ove si annota «occorre evitare che alcune norme nate per contrastare la corruzione impongano alle amministrazioni pubbliche e a soggetti privati di rilevanza pubblica oneri e adempimenti troppo pesanti», citando «il caso delle disposizioni sulla trasparenza che prevedono … obblighi di pubblicazione di numerosi atti, obblighi non sempre giustificati da effettive esigenze di conoscibilità dei cittadini e assai onerosi per gli uffici, soprattutto degli enti minori», segno di un bisogno di cambiare approccio, in una prospettiva di semplificazione e razionalizzazione delle fonti (“c’è lo chiede l’Europa”).

Ridurre all’essenziale la richiesta dei dati, valutare i c.d. open data e i c.d. big data prima di assistere al tramonto della sfera personale, oggi in nome della prevenzione della corruzione, già ieri in nome dell’emergenza pandemica, domani per assicurare la sicurezza dai domini stranieri o perché lo esige la transizione ecologica, perdendo pezzi di libertà e diritti acquisiti in nome della nostra (e collettiva) tutela: «ma l’autorità … presenta anche un’altra faccia, nel senso che non sembra voler rafforzare la nostra volontà, ma talvolta sembra anzi volerla mortificare e opprimere» .

10. Prospettive di salvezza dall’oppressione del controllo dei dati personali.

In questa endiadi di valori, da una parte, un modello di accesso civico – generalizzato finalizzato ad una conoscenza dell’attività della PA, in chiave di controllo della spesa pubblica e dell’organizzazione (ex art. 1, del d.lgs. n. 33/2013), dall’altra parte, un’ingerenza sistematica nella vita privata del singolo impiegato in nome di questa trasparenza che si disperde (per il singolo cittadino) in una moltitudine di dati incomprensibili, oltre che di difficile lettura, rispetto ad altri (i decisori e venditori, non solo pubblici o nazionali), capaci di selezionare e di profilare, grazie ai sistemi IA (intelligenza artificiale), il singolo o la massa, rispetto ai bisogni del momento, in spregio alle regole decantate della c.d. privacy, la disciplina comunitaria del Regolamento UE 679/2016 (Regolamento generale sulla protezione dei dati) e del d.lgs. n. 196/2013 (Codice della protezione dei dati), ovvero, della privazione della propria riservatezza.

Una nuova concezione dell’“interesse pubblico” che motivato dal beneficio ricavabile per la comunità, in uno spirito di indubbia solidarietà sociale, un arcano esoterico per la moltitudine degli influencer pubblicitari, si è asservito al metodo democratico utilizzato, con parsimonia, per togliere quella democrazia (governo del popolo) che le élite dei benpensanti, dalle fredde vene blu e dai danari ricolmi (le lobby o logge), concedono per sottrarre alla moltitudine dei lavoratori, assicurando un salario minimo (o reddito di cittadinanza) ai bisognosi e aiutini/bonus economici alle imprese e alle famiglie (le c.d. mance), piuttosto che incidere sui fattori produttivi e sull’occupazione (a basso costo) per il trionfo della finanza, quelle celebrate scommesse, con derivati o future, sui fallimenti di un mercato o di un paese, con estrema ed omogenea indifferenza.

Ed in effetti, questa formula del “pubblico interesse” è la chiave per il “trattamento” dei dati personali senza il consenso dell’interessato, un passepartout lecito “alla bisogna”, senza interferenze esterne, senza alcuna informazione all’interessato, in piena discrezionalità, come previsto dall’art. 9, Disposizioni in materia di protezione dei dati personali, comma 1, lettera a), punto 2) del D.L. 8 ottobre 2021, n. 139, Disposizioni urgenti per l’accesso alle attività culturali, sportive e ricreative, nonché per l’organizzazione di pubbliche amministrazioni e in materia di protezione dei dati personali, convertito con sostituzione dalla legge n. 205/2021, che postula la possibilità per la PA, da includere una serie di soggetti che esercitano funzioni pubbliche, di trattare dati personali «se necessario per l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri ad esse attribuiti».

Così facendo, è stata rispettata la norma comunitaria, quella GDPR (Regolamento UE 679/2016), dando “base giuridica” al trattamento dei dati personali, secondo il principio di tassatività normativa, ai sensi dell’art. 2 ter, Base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, del d.lgs. n. 196/2003: ma tutto questo (forse) non è un eccesso in controtendenza con i principi di tutela della vita privata, frutto di anni di lavoro e di rivendicazioni sui diritti primari?

 

Non è innegabile che la trasparenza è un valore, consentendo di estrarre – documenti, dati e informazioni – importanti per conoscere i segreti intenti di chi governa una Nazione, un’Istituzione pubblica, un’Amministrazione periferica, un’Azienda di servizi partecipata, in sua assenza anche questa visione (minima possibilità di partecipazione) sarebbe tolta, ma assurgere la trasparenza a sistema, caso per caso, per imporre selvagge privazioni, per sostenere un controllo capillare delle persone, alias correlate opinioni (i social sono un esempio di censura senza contraddittorio), giungendo (quasi) a comprendere l’orientamento al voto, in funzione della permanenza ai posti di comando, è un fatto che dovrebbe indurre più di qualche riflessione sulla sistematicità e pervasività di acquisizione di dati personali.

Sorprende che l’intellighenzia nostrana, i baroni del sapere (di generazione in generazione, da padri a figli), i fautori del liberismo, i liberatori della patria, i sepolcri imbiancati dell’informazione, rispondano agli impulsi di questa impresa, di questa manipolazione delle coscienze, di questo virtuosismo della resilienza.

A ben vedere si tratta (invece) di un’attività svolta motu proprio, non imposta coattivamente da norme o precetti, ma da un’adesione spontanea, una loro persuasione spirituale, consacrata – in un giuramento visivo – senza riserva, un inginocchiarsi alla dea (ieri) ragione, poi scienza, oggi “interesse generale” che tale non copre né quello collettivo, né quello individuale, in una trasfigurazione di negazione dei valori primari: il rispetto della vita e della pietas (in lirica pagana, quella concessa nei miti, da Achille ad Enea).

Assistiamo, in nome di tante tutele (termine indifferente al contenuto) ed emergenze (nelle loro infinite catalogazioni), alla perdita di sovranità, alla cessione di diritti senza controprestazione alcuna: le motivazioni di questa deriva sono imputabili sempre a qualcosa di indefinito, a qualcosa di incontrovertibile, a qualche pericolo imminente.

Fino ad oggi, il rischio dei contagi senza, tuttavia fornire dati attendibili se non spillare bollettini dei picchi (non andiamo oltre), domani per controllare il rischio climatico (o west nile o vaiolo delle scimmie) e i consumi energetici (i cui costi, solo con i numeri primi, sono graficamente esplosi), non tralasciando di investire in armi per aiutare la diplomazia della pace.

L’isolamento patito, l’abbandono dei nostri cari nel momento del trapasso, l’iperbolico consumo di dati personali, la cura dei sani con i virus, l’inganno fatto mestiere, non ci deve portare alla disperazione, serve invocare la “grazia” della parola: la grazia risiede nel dubbio: nel dubbio che tutto questo non sia per il nostro bene, per la nostra salute, per il nostro futuro.

(…è la via che porta alla schiavitù totale della parte ancora in vita dell’umanità! Ndr)

Vi è il bisogno di vivere, di osare, di abbandonare le facili certezze del pensiero unico (quello servito e farcito dai network digitali delle grandi corporate governance), del positivismo insensibile all’umana debolezza, di credere ancora nella possibilità di avere un’opinione (anche critica), capace di pensare in proprio, di differenziarsi senza affidarsi ai campioni del “non si può”, del “non lo prevede il protocollo”, di coloro che predicano e non praticano.

Dobbiamo tenere sveglio il cuore, coltivare la speranza, la possibilità di cambiare: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto… non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima».

Alziamo il capo !

(Avvocato Maurizio Lucca).

(Maurizio Lucca, avvocato e Segretario Generale presso Amministrazioni Locali. Ha svolto le funzioni di Direttore Generale in diversi Enti locali.)

 

COVID, MOSCA CONTRO GLI USA:

“HANNO SCATENATO E ALIMENTATO

 ARTIFICIALMENTE LA PANDEMIA,

 ABBIAMO LE PROVE”.

Comedonchisciotte.org- Markus –( 06 Agosto 2022  )- ci dice :

(mil.ru).

Il Ministero della Difesa russo accusa ufficialmente Usaid e Pentagono di aver sperimentato in Ucraina armi biologiche. Il Nuovo Coronavirus sarebbe una creazione americana.

Il Ministero della Difesa della Federazione Russa continua ad analizzare le attività militari e biologiche degli Stati Uniti e dei loro alleati in Ucraina e in altre parti del mondo alla luce delle nuove informazioni ottenute nei territori liberati.

Prosegue lo studio dei campioni biologici provenienti da soldati ucraini che hanno volontariamente deposto le armi. Come avevamo già osservato in precedenza, nel loro sangue sono state trovate alte concentrazioni di antibiotici, oltre a marcatori immunologici indicativi dell’esposizione alla sindrome renale e agli agenti patogeni responsabili della febbre del Nilo Occidentale, studiati dal Pentagono nell’ambito dei progetti UP-4 e UP-8 ucraini.

Particolare attenzione va prestata al ritrovamento nelle postazioni abbandonate dal personale militare ucraino di sostanze stupefacenti, tra cui oppioidi, come il metadone, la codepsina, il codeterp, nonché sostanze di tipo efedrina: t-fedrina e tri-fedrina.

La droga sintetica metadone è utilizzata nel trattamento della tossicodipendenza come terapia sostitutiva.

Giova ricordare che nella Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto tra il 1943 e il 1945, le compresse di pervitin, un derivato dell’anfetamina, venivano somministrate ai soldati per ridurre il carico psico-emotivo, principalmente alle truppe delle SS.

Il farmaco era stato utilizzato in modo massiccio anche dalle truppe statunitensi nelle guerre di Corea e del Vietnam.

Un effetto collaterale di queste droghe che creano dipendenza è principalmente l’eccessiva aggressività, il che spiegherebbe l’estrema crudeltà verso i civili mostrata da alcuni militari ucraini, nonché il bombardamento delle città nel Donbass.

Alla luce delle informazioni disponibili sull’uso di potenti stimolanti da parte dei militari dell’AFU, stiamo studiando i campioni in arrivo per verificare la presenza di questa classe di composti. Le loro tracce persistono negli organi e nei tessuti umani per molto tempo (ad esempio, nei capelli – fino a sei mesi).

I risultati saranno consegnati al Comitato investigativo e utilizzati come prova nelle indagini sui crimini di guerra commessi dal regime di Kiev.

Qualche settimana fa, durante l’operazione militare speciale, è stata liberata Rubezhnoye, nella Repubblica Popolare di Lugansk. Nel laboratorio del centro medico Pharmbiotest, situato in via Pochaivska 9, sono stati trovati documenti che confermano che, per diversi anni, sono state condotte ricerche in Ucraina per conto della cosiddetta Big Pharma. Test clinici di farmaci non registrati con effetti collaterali potenzialmente gravi sono stati condotti su residenti locali.

Abbiamo esaminato i locali del centro responsabile delle sperimentazioni cliniche dei farmaci su volontari. In essi sono state trovate prove del fatto che i clienti occidentali visitavano regolarmente Pharmbiotest e potevano accedere a tutte le fasi del processo di ricerca. Per comodità di lavoro, le scritte sulle apparecchiature, i nomi delle stanze e la documentazione di lavoro erano stati duplicati in inglese.

Per non rovinarsi la reputazione ed evitare i costi legali in caso di fallimento delle sperimentazioni dei nuovi farmaci, le aziende statunitensi ed europee hanno condotto test clinici sui cittadini ucraini. La retribuzione dei volontari era minima e gli incidenti mortali potevano essere facilmente nascosti. Non ci sono state nemmeno ispezioni o controlli seri da parte delle autorità locali.

Ciò è in linea con il concetto occidentale di delocalizzare a livello internazionale la ricerca più controversa. In Ucraina sono stati utilizzati a questo scopo personale militare, cittadini a basso reddito e una delle categorie più vulnerabili della popolazione, i pazienti degli ospedali psichiatrici.

Continuiamo ad analizzare il materiale documentario scoperto nel laboratorio dell’insediamento di Rubezhnoye.

Avevamo già informato che più di 16.000 campioni biologici, tra cui campioni di sangue e di siero, erano stati trasferiti dall’Ucraina verso gli Stati Uniti, la Georgia e i Paesi europei.

Sullo sfondo delle assicurazioni dell’amministrazione statunitense che le informazioni genetiche ottenute dai cittadini ucraini saranno utilizzate “…esclusivamente per scopi pacifici…”, vorrei citare una dichiarazione di Jason Crowo del Comitato per l’Intelligence della Camera degli Stati Uniti alla Conferenza sulla Sicurezza del Nord America nel mese di luglio.

Crow aveva messo in guardia gli Americani sui pericoli connessi al concedere il proprio DNA a società private per i test perché: “… c’è la possibilità che i risultati dei test vengano venduti a terzi… e le informazioni ottenute potrebbero essere utilizzate per sviluppare armi biologiche destinate a gruppi specifici… o a singoli individui.”

Dato l’interesse dell’amministrazione statunitense per lo studio di agenti biologici “mirati,” tali dichiarazioni costringono a rivedere le cause della nuova pandemia di coronavirus e il ruolo dei biologi militari statunitensi nella comparsa e nella diffusione dell’agente patogeno COVID-19.

Nel maggio 2022, Jeffrey Sachs – uno dei maggiori esperti della rispettata rivista medica The Lancet e professore alla Columbia University, la principale istituzione accademica per la biosicurezza globale – aveva dichiarato durante una conferenza in Spagna che “… il coronavirus è stato creato artificialmente ed è molto probabile che sia stato creato utilizzando i progressi americani nella biotecnologia…”

Secondo i nostri esperti, ciò è dimostrato dalla mutevolezza non caratteristica delle geno-varianti che causano diversi picchi di incidenza dei coronavirus, dalle differenze significative in termini di letalità e contagiosità, dalla distribuzione geografica non uniforme e dalla natura imprevedibile del processo epidemico nel suo complesso. Sembra che, nonostante gli sforzi per contenere e isolare la malattia, la pandemia sia alimentata artificialmente dall’introduzione di nuove varianti del virus in una particolare regione.

Stiamo valutando la possibilità che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) sia coinvolta nella comparsa del nuovo coronavirus. Dal 2009, l’agenzia ha finanziato il programma Predict, che ha studiato nuove specie di coronavirus tramite la cattura di pipistrelli portatori dei virus. Uno degli appaltatori del progetto è Metabiota, una società nota per le sue attività militari-biologiche in Ucraina.

È assai sospetto che, nel 2019, prima della comparsa dei primi casi di COVID-19, l’istituto statunitense Johns Hopkins avesse ospitato una simulazione denominata “Event-201,” in cui ci si esercitava a gestire un’epidemia di un coronavirus precedentemente sconosciuto che, secondo il piano dell’esercitazione, veniva trasmesso dai pipistrelli all’uomo attraverso un ospite intermedio, i maiali. È in questo modo che il virus dell’influenza spagnola, che aveva ucciso decine di milioni di persone, era diventato pandemico.

L’attuazione dello scenario COVID-19 e la rapida chiusura del programma Predict da parte dell’USAID nel 2019 suggeriscono la natura deliberata della pandemia e il coinvolgimento degli Stati Uniti nella sua comparsa.

Durante l’operazione militare speciale, sono stati sequestrati documenti che indicano che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e il suo principale appaltatore, Labyrinth Ukraine, partecipano al programma militare statunitense sulle armi biologiche dal 2019.

Si noti la lettera del capo del Dipartimento sanitario ed epidemiologico dell’AFU alla direttrice di Labyrinth Ukraine, Karen Saylors. In essa, il comando delle Forze Armate ucraine si dichiara pronto a collaborare con l’USAID per la somministrazione di vaccini al personale militare e per la raccolta, l’elaborazione e la trasmissione di informazioni di interesse per la controparte statunitense.

La scelta dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale come coordinatrice dei lavori potrebbe essere stata dettata dalla crescente preoccupazione russa per le attività dei laboratori biologici ucraini, un tentativo di “mettere fuori gioco” l’agenzia di difesa statunitense ed evitare accuse di sviluppo di armi biologiche.

È stato accertato che Labyrinth Ukraine è una divisione della società statunitense Labyrinth Global Health e i suoi fondatori sono ex dipendenti di Metabiota, un appaltatore chiave del Pentagono nel settore biologico-militare.

Labyrinth Ukraine ha partecipato ai progetti UP-9 e UP-10, che hanno studiato la diffusione della peste suina africana in Ucraina e nell’Europa orientale.

Vorrei sottolineare che, nell’ambito del programma di riduzione della minaccia biologica del Dipartimento della Difesa statunitense, una delle aree di ricerca di Labyrinth Global Health è stata lo studio dei coronavirus e del virus del vaiolo delle scimmie.

Il 23 luglio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’epidemia di vaiolo delle scimmie un’emergenza sanitaria internazionale e, fino ad oggi, la malattia è stata segnalata in 76 Paesi, con oltre 26.000 casi.

Vediamo quindi una chiara tendenza: gli agenti infettivi che raggiungono la zona di interesse del Pentagono diventano successivamente pandemici, con le aziende farmaceutiche statunitensi e i loro patroni, i leader del Partito Democratico degli Stati Uniti, come beneficiari.

Abbiamo già documentato l’uso di armi biologiche da parte degli Stati Uniti a Cuba. Si trattava della diffusione deliberata della Dengue, della peste suina africana e di patogeni destinati a colture economicamente importanti sull’isola. Vorrei fornire un altro esempio tratto dal dossier biologico militare statunitense.

Nel 1997, il governo cubano aveva portato all’attenzione della comunità mondiale il fatto che gli Stati Uniti avevano violato i requisiti della Convenzione sulle armi biologiche e tossiche. L’accusa si basava sulla testimonianza di un pilota cubano che aveva registrato l’irrorazione da parte di un aereo statunitense di un agente biologico da quarantena, il tripide della palma, che avrebbe potuto danneggiare una delle industrie agricole chiave di Cuba.

Sebbene fosse stato possibile avviare una riunione straordinaria degli Stati facenti parte della Convenzione sulle armi biologiche e tossiche sulla questione, l’incidente non era stato indagato a causa della mancanza di un meccanismo di verifica della Convenzione, che la Federazione Russa insiste a voler istituire.

Tale impunità ha contribuito al continuo utilizzo della tecnologia delle armi biologiche da parte di Washington in America Latina, compreso l’assassinio di politici indesiderati.

Il 18 luglio 2022, il presidente della Repubblica del Venezuela, Nicolas Maduro, aveva denunciato pubblicamente il coinvolgimento degli Stati Uniti nell’assassinio dell’ex capo di Stato Hugo Chávez.

Secondo le informazioni di cui dispone il Venezuela, i servizi di sicurezza statunitensi lavoravano fin dal 2002 sui possibili modi per eliminare il leader venezuelano, che aveva perseguito un’attiva politica antiamericana. Erano stati scoperti e sventati numerosi tentativi di assassinio che coinvolgevano membri dell’ambasciata statunitense a Caracas.

In violazione del diritto internazionale, gli Stati Uniti sono stati coinvolti nello sviluppo di farmaci che, se somministrati a breve termine, causano malattie croniche e sviluppano varie forme di cancro. Secondo la parte venezuelana, un farmaco simile sarebbe stato usato per avvelenare Chávez da Claudia Díaz, un membro dell’entourage presidenziale. La donna era fuggita dal Venezuela con l’assistenza delle agenzie di intelligence statunitensi ed era stata successivamente accolta negli Stati Uniti per evitare una possibile pubblicità sui dettagli della sua collaborazione con le agenzie di intelligence statunitensi.

Il nesso causale tra la morte del leader venezuelano e lo sviluppo di armi biologiche è confermato dalle prove forensi e dalle testimonianze dei medici cubani che avevano curato Chavez sul decorso atipico della malattia e sulla sua resistenza all’uso dei farmaci.

Grazie all’operazione militare speciale, le minacce poste dai bio-oggetti statunitensi sono state portate all’attenzione di molte organizzazioni internazionali e governative.

In diversi Paesi del mondo si sono svolte manifestazioni di massa contro i bio-laboratori finanziati dal Pentagono. Le organizzazioni della società civile dell’Unione Economica Eurasiatica hanno approvato una risoluzione per la chiusura di tali bio-laboratori.

In questo contesto, in altri Paesi stiamo già assistendo ad un cambiamento nell’approccio dell’esercito statunitense alle attività di tipo biologico. Ad esempio, agli Stati in cui gli USA conducono ricerche a doppio bersaglio è stato chiesto di firmare una dichiarazione collettiva di cooperazione con gli USA al solo scopo di “…migliorare la sicurezza sanitaria globale e ridurre l’impatto delle malattie infettive sulle popolazioni…” È la parola “globale” e il resto del testo ad attirare l’attenzione: “guidato dagli Stati Uniti”.

In ogni caso, per i Paesi fedeli all’iniziativa statunitense saranno disponibili ulteriori finanziamenti attraverso il Programma di riduzione del rischio biologico.

Il Ministero della Difesa russo continuerà ad analizzare le prove documentali del programma statunitense di armi biologiche in Ucraina e vi terrà informati sui risultati.

Sentinelle del mattino con

“coraggio della Verità”, contro

“ideologia della banalità” e stolti

“annunciatori della parola che cambi

il Vangelo con la scusa di adattarlo al nostro tempo”

korazym.org- Vik van Brantegem-(8 Febbraio 2022)- ci dice:  

 

La cultura dello scarto e della sciatteria, che domina nostro tempo, si fonda sull’ideologia della banalità e dell’effimero. Questa osservazione ci porta ad una riflessione, pensando al profilarsi dei salottini e dei talkshow che cercano la benedizione (share si dice) di Sant’Auditel, non con lo stupore per il bello, per il sacro e per il bene, ma stimolando l’attrazione per tutte la possibile banalità dei temi di questo mondo e la provocazione della dissacrazione con le volgarità come sistema di marketing.

 

Mentre cresce sempre di più l’ideologia della banalità, già da anni si lavora allo sviluppo dell’intelligenza artificiale.      E contemporaneamente l’Homo sapiens sapiens diventa sempre più stupido.

Sempre più vero è l’antico proverbio stultorum mater sempiter gravida (la madre degli stolti è sempre incinta) e, quindi, secondo le leggi della natura, stultorum infinitus est numerus (infinito è il numero degli stolti) che nascono, come ricorda San Tommaso al numero 651 del suo “Commento al Vangelo secondo Matteo Capitoli 1-14”.

Il riferimento è a Qoélet 1,15, secondo la Vulgata. Nella traduzione contemporanea si leggono invece, conforme all’originale ebraico, due proverbi: «Ciò che è storto non si può raddrizzare e quel che manca non si può contare».

Secondo il teologo Luca Mazzinghi, il primo proverbio viene forse dall’ambiente agricolo: ce ne sono di analoghi in Egitto, dove si legge che un legno storto non può essere raddrizzato neppure dal più abile artigiano.

 Il secondo proverbio è proprio dell’ambito commerciale: un contabile non può fare i conti con cose che non esistono.

Questi due proverbi vogliono far capire che l’uomo è impotente di fronte ad una realtà che lo sovrasta, non può raddrizzare ciò che è storto e contare ciò che manca, ovvero l’essere umano è limitato.

San Girolamo traducendo cambiò il testo, forse perché gli pareva troppo difficile, come ipotizza tra altro Mazzinghi.

Quale che sia la causa dell’errore, Mazzinghi invita a prenderla con filosofia e ricorda “Della stupidità” di Dietrich Bonhoeffer, di una attualità sconcertante, da cui citiamo un brano: «La stupidità è un nemico del bene più pericoloso che la malvagità. Contro il male si può protestare, si può smascherarlo, se necessario ci si può opporre con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, mentre lascia perlomeno un senso di malessere nell’uomo. Ma contro la stupidità siamo disarmati. Qui non c’è nulla da fare, né con proteste né con la forza; le ragioni non contano nulla; ai fatti che contraddicono il proprio pregiudizio basta non credere (in casi come questi lo stupido diventa perfino un essere critico), e se i fatti sono ineliminabili, basta semplicemente metterli da parte come episodi isolati privi di significato. In questo, lo stupido, a differenza del malvagio, è completamente in pace con sé stesso; anzi, diventa perfino pericoloso nella misura in cui, appena provocato, passa all’attacco. Perciò va usata maggior prudenza verso lo stupido che verso il malvagio. Non tenteremo mai più di convincere lo stupido con argomenti motivati; è assurdo e pericoloso».

In un articolo apparso oggi, 8 febbraio 2022 su La Verità (Se l’uomo affida la propria coscienza alla tecnologia perde logica e morale) [il testo è stato ripreso da Marco Tosatto su Stilum Curiae , Ettore Gotti Tedeschi parla della tentazione dell’intelligenza umana di rafforzarsi con quella artificiale, con il rischio di erodere istinto e ragione, con la sempre più grande difficoltà a distinguere tra il bene e il male e di perdere la logica e la morale.

 L’economista, banchiere e accademico denuncia il rischio del “Grande Reset” (la proposta del World Economic Forum di Davos  di Klaus Schwab per ricostruire l’economia in modo sostenibile dopo la pandemia di COVID-19), che si baserà sull’intelligenza artificiale.

 Gotti Tedeschi ritiene che l’intelligenza artificiale contiene «un potenziale tale da poter arrivare a modificare la nostra percezione del concetto di realtà, rendendola ben superiore a quella finora percepita», ma avverte che «potrà modificare il concetto di bene-male, di responsabilità e pertanto di libero arbitrio».

Nel rapporto tra fede e ragione, sul quale si è generato e implementato il mondo nelle precedenti ere, ci sarà presto un terzo “incomodo”: l’intelligenza artificiale «destinato a ridisegnare la stessa ragione umana, convincendo l’uomo che è possibile migliorarla e rafforzarla con una partnership, appunto con l’IA. Ciò potrà avvenire in pratica accompagnando la ragione umana con un sistema logico azionato dalla macchina».

«Come l’IA può senza dubbio crescere le facoltà umane, può anche ridurle», assorbendo e di fatto sostituendo alcune funzioni cerebrali fondamentali per l’umanità. «Erodendo la ragione umana, riducendo la capacità di riflessione, la volontà, l’istinto creativo, la capacità di riconoscere e correggere l’errore, l’umiltà di riconoscerlo, la capacità di distinguere bene e male, decidendo solo tra efficiente e inefficiente, utile non utile».

 Per Gotti Tedeschi esiste il rischio dell’illusione di trovare, con l’intelligenza delle macchine, le “risposte” ai dubbi e le crisi irrisolte è sempre più vicino: non solo, la tecnologia davvero sarà in grado di permettere all’uomo di creare «una forma logica non umana che superi quella di chi l’ha creata?».

Teme che «la macchina potrebbe non essere più solo uno strumento, ma potrebbe diventare partner indispensabile della ragione umana, che cesserebbe perciò di comprendere e descrivere da sola tutta la famosa realtà».

Ed ecco la vecchia profezia di San Giovanni Paolo II, riaffermata successivamente anche dal Papa emerito Benedetto XVI, che «l’uomo ha molto investito in scienza e conoscenza ma poco in sapienza».

Dello stesso tema si è occupato Markus Krienke, Docente di Storia della Filosofia moderna e di Etica sociale presso la Facoltà Teologica di Lugano e di Antropologia filosofica presso la Pontificia Università Lateranense, in un articolo del 15 aprile 2020 apparso su Aggiornamenti Sociali (I robot distinguono tra bene e male? Aspetti etici dell’intelligenza artificiale).

L’etica e la dottrina sociale della Chiesa si confrontano con le sfide dell’intelligenza artificiale.

La responsabilità umana nel progettare i nuovi dispositivi resta al centro della riflessione: si tratta infatti di incorporare dei criteri etici nei parametri decisionali delle “macchine intelligenti”.

Gli scenari aperti dal progresso tecnologico nell’ambito dell’intelligenza artificiale e dall’impatto che esso avrà sulla società sollevano questioni etiche e antropologiche con cui la riflessione filosofica e teologica e la dottrina sociale della Chiesa sono chiamate a misurarsi.

Le macchine intelligenti acquisteranno anche la capacità di distinguere il bene dal male? Dovremo quindi considerarle soggetti con una propria responsabilità?

O la responsabilità morale resterà una caratteristica peculiare dell’essere umano? Sono le domande di cui si è occupato il Prof. Krienke nell’articolo.

 

«La fede ci mette dinanzi alla visione dell’uomo più impegnativa che possa esistere. Dobbiamo ricordarci di questa nostra pretesa; essa si scontra con tutte le parvenze di libertà che vengono proposte e che, di fatto, limitano la formazione della persona perché ne impediscono il suo vero sviluppo. È per questo che stiamo sotto il fuoco incrociato perché ciò che proponiamo è scomodo, controcorrente e impedisce di ridurre l’uomo a un puro oggetto di mercato e l’amore a un puro fatto transeunte di un fine settimana. Nessuno di noi, tuttavia, potrebbe prendere sul serio la consegna di Cristo se non comprendesse che questa comporta l’essere trascinati con lui in un’offerta di amore che sa consegnarsi a ciò che agli occhi del mondo appare come sconfitta e fallimento. Possiamo esser emarginati, ma questo può essere anche la nostra forza. Certamente ci saranno molti che comprenderanno che dinanzi all’ideologia della banalità e dell’effimero che sa solo offrire concerti dell’ultima ora o divertimento sfrenato senza più regole, è necessaria un’opposizione profetica, tipica delle sentinelle che siamo chiamati ad essere e che ci rende non solo davvero moderni dinanzi al decadimento attuale, ma lungimiranti nel saper rispondere agli interrogativi che sorgono in tanti coetanei al termine di un lugubre fine settimana (cfr J.Ratzinger, Sale della terra, 271). Saremo veramente «sentinelle del mattino» se avremo in noi il coraggio per la Verità» (Rino Fisichella, 3 maggio 2006).

 

«L’”inattualità” della Chiesa, è, da un lato, la sua debolezza – essa viene emarginata – ma può essere la sua forza. Forse gli uomini possono percepire che contro l’ideologia della banalità, che domina il mondo, è necessaria un’opposizione, e che la Chiesa può essere moderna, proprio essendo antimoderna, opponendosi a ciò che dicono tutti. Alla Chiesa tocca il ruolo di opposizione profetica ed essa deve anche averne il coraggio. Proprio il coraggio della verità è in realtà la sua grande forza – anche se questo, all’inizio, sembra danneggiarla, togliendole popolarità e spingendola in una sorta di ghetto» (Joseph Ratzinger, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella svolta del millennio, San Paolo Edizioni 1997).

 

A proposito di opposizione profetica, incontrando i giornalisti ammessi al Volo Papale in viaggio verso Praga il 26 settembre 2009, alla domanda posta da un giornalista: «Santità, la Repubblica Ceca è un Paese molto secolarizzato in cui la Chiesa cattolica è una minoranza. In tale situazione, come può contribuire la Chiesa effettivamente al bene comune del Paese?», Papa Benedetto rispondeva: «Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace. Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo è proprio il dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno dell’altro: l’agnostico non può essere contento di non sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il cattolico non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio, ancora di più, e nel dialogo con gli altri ri-imparare Dio in modo più profondo. Questo è il primo livello: il grande dialogo intellettuale, etico ed umano. Poi, nel settore educativo, la Chiesa ha molto da fare e da dare, per quanto riguarda la formazione. In Italia parliamo del problema dell’emergenza educativa. È un problema comune a tutto l’Occidente: qui la Chiesa deve di nuovo attualizzare, concretizzare, aprire per il futuro la sua grande eredità. Un terzo settore è la “Caritas”. La Chiesa ha sempre avuto questo come segno della sua identità: quello di venire in aiuto ai poveri, di essere strumento della carità. La Caritas nella Repubblica Ceca fa moltissimo nelle diverse comunità, nelle situazioni di bisogno, e offre molto anche all’umanità sofferente nei diversi continenti, dando così un esempio di responsabilità per gli altri, di solidarietà internazionale, che è anche condizione della pace».

«Noi non abbiamo bisogno di annunciatori della parola che cambino il Vangelo con la scusa di adattarlo al nostro tempo, ma di annunciatori che tentino ogni giorno, magari riuscendoci poco, di cambiare se stessi per essere ogni giorno più conformi al Vangelo che non cambia» (Cardinale Giacomo Biffi, Lettere a una carmelitana scalza (1960-2013), Edizioni Itaca 2017).

 

 

 

LA PIÙ GRAVE MANIPOLAZIONE DI PUTIN

“Contro i nazisti si può essere bastardi.”

 It.gariwo.net - Vassilij Grossman -Gabriele Nissim-(22 giugno 2022)- ci dicono :

 

La messa in discussione dell’identità ucraina, da cui è nata l’aggressione dell’esercito di Putin, ci dovrebbe spingere a ragionare non solo sul piano politico, ma anche sui meccanismi dei genocidi, sull’uso distorto della storia e sull’utilizzo sbagliato delle parole stesse. Prima di tutto, sul concetto stesso di nazismo così in voga oggi nei media dell'autocrazia russa.

La sconfitta dell’aggressione russa non è solo una questione politica e nemmeno diplomatica, come alcuni ritengono, come se ci fosse la necessità di trovare delle mediazioni possibili tra le ragioni degli uni e degli altri, ma è anche una grande questione culturale da esaminare in profondità.

Non si tratta solo di vincere Putin sul piano della resistenza sul campo, ma di vincere la battaglia culturale sull’abuso dei termini.

Ci sentiremo più forti se comprenderemo meglio la lezione che ci viene da una vicenda che la maggior parte di noi non aveva previsto e probabilmente aveva sottovalutato.

Per prima cosa, dovremmo capire a fondo il meccanismo dei genocidi e delle atrocità di massa, su cui ha ragionato come nessun altro Vassilij Grossman, il grande scrittore ebreo russo di Vita e destino e Tutto scorre.

Come è possibile che gli uomini diventino protagonisti delle azioni più efferate e non abbiano pietà, come vediamo dalla distruzione sistematica delle città e dagli atti di violenza gratuiti nei confronti di un popolo che si rifiuta di venire cancellato nella sua identità e sovranità.

Grossman sosteneva che il male politico, dal nazismo al comunismo, si presenta sempre come un bene in nome di una supposta nuova civiltà, per cui annientare l’altro fino alla sua distruzione è una opera di igiene politica e sociale che dovrebbe portare a chi se ne fa carico un futuro radioso, se non addirittura la felicità. Annientando gli altri, come se fossero delle erbacce, si renderebbe il giardino più rigoglioso.

Per i nazisti, liberarsi degli ebrei significava rendere la Germania migliore, come se la loro stessa esistenza sulla terra fosse la causa di tutti i mali del mondo e della propria infelicità.

Pur con tutte le differenze, perché nulla è mai uguale nella storia degli uomini, il paradigma di un bene superiore che giustifica guerre e atrocità di massa è sempre lo stesso.

Così Putin sostiene che la Russia deve tornare ai confini del vecchio impero sovietico; che la sua missione è quella di imporre un nuovo ordine internazionale in alternativa a quello delle democrazie liberali che considera decadenti; che alcuni Stati, come l’Ucraina, non hanno diritto di esistere come entità nazionali separate dalla Russia ed altri invece, come i Paesi baltici, non hanno il diritto di decidere la propria collocazione internazionale.

E, contemporaneamente, il capo della chiesa ortodossa dichiara che è in gioco la difesa della famiglia tradizionale contro quella che definisce la depravazione dei gruppi Lgbtq+.

Così come osservava Vasilij Grossman spiegando il fascino delle narrazioni ideologiche, molti oggi, in nome del distorto sogno putiniano, non sanno comprendere la realtà in Russia e pensano di essere dalla parte giusta;

 altri nell’establishment politico, nonostante abbiano qualche dubbio, mettono a tacere la loro coscienza in nome degli interessi della nazione; altri ancora, che invece pensano con la propria testa, sono accusati di essere traditori e messi fuori legge, come è accaduto ai dissidenti del comunismo. Per portare a termine una guerra ingiusta ci vuole una autocrazia illiberale che impedisce la libertà di pensiero, è quello che è avvenuto con la repressione sistematica dei giornalisti.

È poco rassicurante, ma il Male nella storia si presenta sempre come Bene, per questo bisogna saper leggere in anticipo i meccanismi ideologici da cui inevitabilmente nascono l’odio e l’indifferenza che portano alle atrocità di massa.

La prevenzione dei genocidi passa sempre dalla comprensione del pensiero che forma i carnefici. Ecco allora perché non dobbiamo stupirci, come osservava lo scrittore russo in Vita e Destino, che tante persone per bene si facciano trascinare dal fascino delle ideologie sofisticate come quella sovietica o rozze come quella putiniana.

Un punto su cui poco si è ragionato è l’uso distorto del termine nazista fatto da Putin per giustificare l’aggressione all’Ucraina. Pensiamo ai soldati russi chiamati a combattere in Ucraina per liberarla dalla morsa del nazismo.

Il termine evoca il male peggiore della storia, la sopraffazione del diverso e dell’ebreo, un ordine terribile che crea una gerarchia tra gli uomini di serie a e di serie b.

Così, chi è mandato da Putin infarcito dalla propaganda di una crociata anti-nazista non può dimostrare pietas perché è convinto di avere a che fare con i peggiori nemici dell’umanità. Si spiegano così le stragi di civili in Ucraina, non dovute solo a sentimenti di disumanità e a operazioni belliche dove la vita non conta nulla, ma alla convinzione creata ad arte che sia in atto una giusta guerra contro i nazisti.Mi viene in mente il film di Tarantino Bastardi “senza gloria”, dove i protagonisti della resistenza se vogliono vincere e sopravvivere di fronte alle orde naziste devono per forza essere più bastardi di loro. Non c’è una via di mezzo.

Anche io quando ero ragazzo nel ‘68 e militavo nelle organizzazioni studentesche, ero disponibile a discutere con tutti, di destra o di sinistra, ma se fossi venuto a conoscenza che da qualche parte c’era un nazista tatuato che inneggiava ad Hitler e alla soluzione finale non avrei esitato minimamente a partecipare ad una spedizione punitiva, perché si trattava della mia salvezza di ebreo di fronte a un potenziale carnefice.

È questa la gravissima responsabilità di Putin.

Avere mandato al fronte migliaia di giovani facendo loro credere che al potere in Ucraina ci fossero dei nazisti che volevano liberarsi dei russi come avevano fatto durante la Seconda guerra mondiale con gli ebrei.

(Gabriele Nissim, presidente di Gariwo).

 

 

 

 

 

La sconfitta di Macron

è quella dell’Europa,

ma la colpa non è del popolo.

Ilriformista.it- Astolfo Di Amato - (24 Giugno 2022 )- ci dice :

 

La sconfitta di Macron è quella dell’Europa, ma la colpa non è del popolo.

L’esito delle elezioni francesi è stato visto da molti commentatori come un pericolo per l’Europa.

 L’affermazione di Mélenchon e, ancora di più, di Marine Le Pen viene interpretata come un fattore di disgregazione dell’Europa e, in questa prospettiva, indicato come un significativo segnale dell’avveramento della profezia di Putin, secondo cui le élite europee sarebbero destinate ad essere scardinate da un’ondata di nuovi radicalismi.

 Quanto avviene in Francia è, poi, messo in relazione con il successo che, stando ai sondaggi, avrebbe ormai consolidato in Italia il partito di Giorgia Meloni.

A prescindere dalle differenze ideologiche e dalla distanza, anche personale, tra Giorgia Meloni e Marine Le Pen, la loro affermazione sarebbe la diretta conseguenza dell’espansione di un radicalismo capace di divorare il progetto europeo, come tale tanto più pernicioso in un momento come questo, segnato dalla guerra in Ucraina e dalla contrapposizione, mai così netta, tra Russia e mondo occidentale.

Si tratta di una prospettiva certamente consolatoria, per chi ritiene di potersi collocare nella schiera dei buoni e dei benpensanti, i quali si sentono aggrediti da un voto popolare che non rispetta le loro “sagge” indicazioni.

Ma che ha, tra l’altro, l’evidente difetto di non dare per il futuro una prospettiva diversa da una vaga speranza che, a seguito del rimprovero di chi ne sa di più, il popolo di chi vota cambi opinione.

Se si prova a portare un rispetto autentico, e non di facciata, al popolo che vota ci si rende conto, tuttavia, che la prospettiva va rovesciata.

Il punto non è affatto quello di ricondurre il popolo che vota sulla retta strada, bensì quello di dare una prospettiva di soluzione ai problemi, che segnano la vita quotidiana, togliendo l’impressione, oggi fortissima, che la volontà degli elettori non conti nulla e che l’unica cosa che è loro concessa è quella di esprimere il proprio dissenso, per quel poco che vale, attraverso il voto.

In questa diversa prospettiva, diventa, innanzitutto, inevitabile registrare che l’inadeguatezza dell’Europa non può più essere occultata da una narrazione di un europeismo tanto assoluto, quanto privo di contenuti.

Sarà per la inadeguatezza della regola dell’unanimità o per il predominio, che nelle istituzioni europee, hanno gli uffici burocratici, fatto sta che l’Europa è troppo spesso lontana dai problemi dei cittadini. Lasciando da parte la tragicomica questione, che pure esiste, di un potere che si manifesta nella determinazione della lunghezza dei piselli, resta il fatto che di fronte a questioni vitali, quali quelle sulle fonti energetiche o sulla organizzazione del mercato, le decisioni appaiono prese da una distanza siderale, che nessuna relazione ha con i cittadini.

Non ci si chiede, ad esempio, quale impatto possa aver avuto nella votazione francese la decisione, assunta in sede europea, di vietare, a partire dal 2035, la vendita di autovetture a benzina.

Anche in quel paese, come in Italia, l’industria automobilistica gioca un ruolo determinante nell’occupazione e nell’economia.

 

(Con le elezioni in Francia è nata una nuova sinistra, ma in Italia nessuno se ne accorge.

Macron chiude all’unità nazionale dopo il terremoto delle legislative: “Coalizione o maggioranza caso per caso”

Flop del modello francese, il semipresidenzialismo non fa per noi.

Quello di Macron non è un vero flop: tra compromessi ed effetti collaterali, lo scenario del dopo voto in Francia.)

Una decisione del genere, gravida di conseguenze sull’occupazione e sull’economia, è stata presa tenendo conto di tutti gli interessi coinvolti o solo della ideologia di quei paesi che, non avendo una industria automobilistica, nulla hanno da temere da una decisione del genere?

Basta questo esempio per rendersi conto che è l’Europa, che deve rendersi riconoscibile ai propri cittadini come soggetto politico rappresentativo dei loro interessi, invece che pretendere cieca osservanza.

Del resto, la stessa vicenda dei fondi del Pnrr, che sono in corso di elargizione all’Italia, presenta non solo luci, ma anche ombre. In alcuni momenti si avverte il sussiego con cui il ricco elargisce al povero, accompagnato dalla occhiuta determinazione di revocare tutto se non ci si comporta bene. E sullo sfondo c’è sempre la minaccia di ripetere quanto già fatto con la Grecia.

A questo rapporto insoddisfacente con l’Europa si affianca, poi, per gli elettori, la frustrazione che accompagna la presa d’atto che il voto non è più strumento di scelta politica.

Se si guarda alle elezioni presidenziali francesi, che hanno visto la vittoria di Macron, sia la prima e sia la seconda volta, il voto non è stato “per”, ma “contro”. Nessuno spazio ha avuto un dibattito serio sulle istanze avvertite dagli elettori di Marine Le Pen.

Il che ha fatto sì che programmi, disegno del futuro, aspettative di un nuovo ordine sono passate in ultimo piano, essendo l’unico obiettivo perseguito quello di sconfiggere chi viene rappresentato come un pericolo per la democrazia.

Del resto, la stessa logica comincia a manifestarsi anche in Italia, ove si consideri il fuoco di sbarramento che inizia ad investire Giorgia Meloni, ignorando le istanze sociali che attraverso di lei cercano rappresentanza.

Se continua così, il voto del 2023 non sarà un voto su un programma di società, ma solo “contro” il preteso pericolo nero rappresentato da Giorgia Meloni.

Già questa situazione è sufficiente a dare conto di quanto profondo sia diventato il fosso che divide corpo elettorale ed élite che governano.

In Italia, peraltro, esso è scavato ancora di più dalla consapevolezza, ormai granitica, che il voto popolare non conta niente di fronte alla volontà del palazzo. Avere un presidente del consiglio non eletto dai cittadini è divenuta una prassi negli ultimi settennati presidenziali.

 Ormai le elezioni sono considerate un pericolo per le istituzioni, con la conseguenza che la pratica democratica del voto invece di essere incentivata è ostacolata.

 Di fronte a tutto questo, ridurre le elezioni ad una battaglia contro il pericolo nero e per il mantenimento di un’Europa, la cui distanza dai cittadini è sempre più profonda, mette a rischio la tenuta democratica.    

Il tasso di astensione registrato nelle recenti elezioni politiche francesi e nelle recenti elezioni amministrative italiane è un segnale inequivocabile di un cattivo stato di salute della democrazia.

Rifugiarsi in una lamentosa constatazione del rischio di disgregazione dell’Europa significa volere sfuggire ad un serio confronto con la realtà.

(Astolfo Di Amato).

 

 

 

Canfora e il cinismo degli intellettuali

che non vedono oltre l’ideologia.

 

Linkiesta.it- Carmelo Palma- (18-3- 2022) - ci dice:

La posizione “neneista” non è solo criticabile in sé, vista la mancanza di fondamenti nella realtà, ma è anche pericolosa. Spinge gli studiosi infatuati dei propri schemi a normalizzare la tragedia fino a esprimere indifferenza, se non disprezzo, per la sofferenza delle vittime.

C’è un punto oggettivo di incontro e di unità tra il partito di Canfora, Montanari, De Cesare e dei pacifisti “neneisti” (né con Putin, né con Zelensky) e quello dei Cardini, Veneziani e Borgonovo, che, dall’estremo apparentemente opposto dello spettro ideologico tradizionale, accusano l’Occidente di avventurismo per il suo sostegno alla causa ucraina: è la persuasione che della vicenda ci si stia occupando con troppo generoso volontarismo e senza coscienza delle leggi storiche, che guidano gli eventi e che condannano Kiev e i suoi amici a una sicura e pure provvidenziale sconfitta.

Negli studi strategici abbondano i fautori di un ferreo determinismo geopolitico, convinti di potere vaticinare il corso della storia dei popoli e degli stati come i climatologi possono prevedere se farà sole o pioverà.

In loro soccorso, a proposito di questa guerra, che credevano sarebbe scoppiata solo «quelli che non capiscono niente» – come disse uno dei più gettonati aruspici televisivi, Lucio Caracciolo – oggi accorrono anche fior di storici e filosofi, pure molto lontani da un approccio positivista, che censurano le semplificazioni binarie (ad esempio: “aggressori e aggrediti”) e invitano a leggere gli eventi in termini più freddamente scientifici.

Il che vuol dire, all’atto pratico, fottersene di chi bombarda e di chi è bombardato e di qualunque questione di diritto in ordine al campare degli uni e al crepare degli altri, per capire invece in che direzione, tra le cataste dei cadaveri e le macerie della guerra, soffi lo Spirito del mondo, che Hegel vedeva incarnato in Napoleone seduto a cavallo e qualcuno può anche volenterosamente pensare di riconoscere oggi nelle divise dei tagliagole siriani e ceceni, chiamati a riportare l’ordine di Mosca in Ucraina.

Nel secondo dopoguerra con “Miseria dello storicismo” Karl Popper irrise la pretesa metodologica di fare di quella storica una disciplina spirituale olistica, sottratta alle verifiche del metodo scientifico, e contestò per tutta la vita la conseguenza politicamente totalitaria di questa pretesa: la presunzione di usare il potere per compiere il destino della storia.

La necessità storica diventava così la grande scriminante, anzi esimente di qualunque nefandezza compiuta contro la vita e la libertà umana.

Oggi i cosiddetti neutralisti di destra e di sinistra – che per fortuna non hanno il potere politico, ma ne esercitano uno contro-politico di ragguardevole impatto – invitano a guardare alla mattanza ucraina come a una vendetta della storia contro la hybris occidentale, che da una parte conferma i loro pregiudizi sulla inevitabile entropia dell’ordine economico e sociale liberal-capitalistico e dall’altro affretta l’esito auspicato del Big Bang dell’ordine politico liberal-democratico.

In questo, com’è inevitabile, la loro pretenziosa filosofia della storia incrocia i più banali wishful thinking e la teoria, per così dire, oggettiva che vede il mondo andare in una direzione riflette il loro desiderio soggettivo che in quella direzione così agognata il mondo davvero ci vada. E chissà che non tocchi proprio al macellaio del Cremlino vendicare i torti dell’imperialismo americano.

Al che si potrebbe concludere che lo storicismo, che tanto ha imperversato nella storia della filosofia e della politica, suscitando fanatiche idolatrie in un presente o in un futuro ideologizzato, andrebbe forse letto più con gli strumenti della psicologia cognitiva e clinica che con quelli della metafisica delle idee.

Rimane però il fatto che questo approccio fazioso, dissimulato nel gelido sussiego accademico-scientifico, porta a una disumanizzazione contagiosa del dibattito sulla guerra e all’educazione al cinismo e al disprezzo come strategie di normalizzazione ideologica della tragedia.

Esemplare, da questo punto di vista, è il tono con cui Luciano Canfora ha spiegato altezzosamente che «la storia di una Irina che perde il bambino è un caso particolare e basta», cioè un puro accidente al cospetto della sostanza, che questo apologeta dello stalinismo indaga dalla sua immaginaria cattedra di storia universale.

Allo stesso modo non bisogna farsi distrarre da «pianti e urla dei popoli», né farsi accorare dalle «interviste ai passanti» (cioè dalle testimonianze dei profughi), che non dicono niente del significato e della responsabilità della guerra, che è della «potenza che vuole prevaricare», cioè ovviamente dell’Ucraina.

Canfora ha particolare amore, come tutti gli storiografi speculativi, per le teorie che non sono messe alla prova dalla realtà, ma che al contrario la riscrivono, cioè la ricacciano dentro uno schema prefissato, deformandola in modo grottesco.

Insomma, anche la guerra di Putin dimostra che, accanto alla miseria dello storicismo, c’è una più personale miseria degli storicisti, con la loro idea che gli uomini siano solo legno che brucia nella fornace della Storia (con la maiuscola) e che i custodi del suo fuoco sacro non possano preoccuparsi della sorte della cenere.

 

 

 

Il ritorno, non richiesto,

degli aziendalisti in sanità.

Quotidianosanita.it-Ivan Cavicchi-(31-5- 2021)  - ci dice :

Ora che, con il Recovery plan, il profumo del business si è fatto forte, la razionalità aziendale si rifà sotto, e uscendo dall’ombra della pandemia, ci ripropone la sua brava ideologia, la sua immancabile retorica le sue ricette ma soprattutto il suo indiscutibile amore per la gestione del potere.

Premessa.

E’ noto che tra me e alcuni economisti che si occupano di sanità non è mai corso buon sangue. Nei confronti dei discepoli di Arrow (Nobel per l’economia nel 1972 considerato il padre dell’economia sanitaria) ho sempre avuto, un debito culturale quindi ovviamente ottimi rapporti (ricordo per tutti il mio amico e maestro Antonio renna) non posso dire altrettanto per i teorici dell’aziendalismo in sanità. Quelli che dagli anni ‘90 in poi diventarono di fatto i padroni della sanità.

 Se per Brenna il problema dell’economia sanitaria era soprattutto la “gestione razionale delle risorse” per gli aziendalisti era la “gestione della gestione”. Uno smisurato quanto spregiudicato business a danno della sanità. Nulla di più.

 Ideologia, retorica e razionalità senza morale.

Quando nel 2005 scrissi “Sanità un libro bianco per discutere” dedicai un intero capitolo alla comprensione della “razionalità aziendale” di Borgonovi pagg. 72/122).

Setacciai tutti suoi editoriali pubblicati su Mecosan (Management e economia sanitaria) e attraverso una accurata meta analisi dimostrai che il suo “pensiero sull’azienda” in realtà  era una ideologia,  una retorica e alla fine una razionalità molto opinabile.

Dopo tanti anni, siccome il tempo è galantuomo, i fatti mi hanno dato ragione, quella razionalità aziendale ha mostrato tutti i suoi limiti  ideologici creando più contraddizioni che soluzioni e oggi  a parte  la Fiaso e il ministro Speranza e ovviamente  il Cergas della Bocconi, non c’è una sola persona assennata che in sanità è disposta a tenersi le aziende.

 Dopo le elezioni politiche del 2018, che segnarono la sconfitta del PD, il primo partito degli aziendalisti, gli aziendalisti di fatto in sanità si eclissarono. Coloro che per anni avevano teorizzato il compatibilismo sanitario   massacrando la sanità in ogni senso davanti al partito prima del definanziamento poi del rifinanziamento non avevano più nulla da dire.

 Dopo quella sconfitta politica

 la ben nota “razionalità aziendale” sposò le tesi della spesa che quasi per magia aveva perso la sua natura incrementale. Poi la pandemia ha fatto il resto.

 Scent of money.

Ora però che, con il recovery plan, il profumo del business si è fatto forte, la razionalità aziendale   si rifà sotto, e uscendo dall’ombra della pandemia, ci ripropone la sua brava ideologia, la sua immancabile retorica le sue ricette ma soprattutto il suo indiscutibile amore per la gestione del potere.

 “Proposte per l’attuazione del PNRR in sanità: governance, riparto, fattori abilitanti e linee realizzative delle missioni” è il titolo di un documento elaborato da 16 ricercatori appartenenti a sei atenei diversi (quasi tutti economisti con ovviamente una significativa presenza della Bocconi).

Questo documento (QS, 28 maggio 2021), non merita una disamina analitica perché il suo valore aggiunto risulta molto scarso.

In esso non ci sono particolari nuove idee da segnalare. Non dico che siamo alla minestra riscaldata ma gli argomenti sono quelli di sempre: health technololgy assessment, riequilibrare e riqualificare la rete delle cure intermedie, rafforzare la medicina generale, razionalizzare la rete ambulatoriale territoriale, potenziare la presa in carico della cronicità, dm 70, ricerca e innovazione, ecc.

 Devo dire che mi aspettavo da sei atenei e da tanti illustri esperti ricercatori qualcosa di più, cioè di più nuovo e originale. Ma le proposte avanzate sono sostanzialmente quelle del senso comune pre-pandemico.

 L’impressione è che il documento serva come bandierina quindi  a segnalare al governo  una presenza politica più che un pensiero da esprimere.

 Non so da chi è partita l’iniziativa ma so di sicuro che in altri tempi per la Bocconi non ci sarebbe stato bisogno di chiamare a raccolta gli economisti per marcare il territorio con i propri interessi.

 Le 10 proposte per prima cosa sostengono gli indirizzi del PNRR, cioè le scelte politiche di Speranza, quindi sono molto in linea con il basso profilo riformatore soprattutto della missione 6 verso la quale nessuna riserva è stata avanzata anche laddove esiste il pericolo reale di un indebolimento del servizio sanitario pubblico, e di una delega eccessiva al privato e al privato sociale di competenze pubbliche.

 Quelle degli esperti sono tutte proposte di attuazione di quello che il governo propone. Questa volta gestione vale come attuazione.

 Deludente (mi dispiace per il mio amico Geppo Costa) la proposta sulla prevenzione. Da una pandemia con così ’ tanti morti mi sarei aspettato il famoso “cambio di passo”. La pandemia ha disconfermato un’idea vecchia di prevenzione primaria che con qualche lustrino alla fine viene comunque riproposta.

 Nel documento prevale ovviamente in modo prepotente il tema della governance, della formazione,  dell’ottimizzazione di questo e di quello, ma a parte i malcelati interessi che dietro si intravedono, ripeto,  di valore aggiunto anche in questo caso  ne vedo poco.

 Skill mix  e task shifting

Invece e con mia grande sorpresa il documento a testa bassa e all’unanimità, propone senza alcuna remora una vera e propria controriforma delle geografie professionali.

 Dico con sorpresa perché a questi rispettabili colleghi non riconosco né la titolarità per occuparsi di questioni tanto complesse e meno che mai le conoscenze multidisciplinari adeguate per farlo.

Sarebbe come affidare al palafreniere l’organizzazione di un torneo.

 Non si tratta solo di giocare con le competenze delle professioni come pensa la Bocconi ma di ridefinire prassi e relazioni quindi metodi, modi di essere, questioni epistemiche, questioni contrattuali, titolarità giuridiche, responsabilità operazionali, autonomie decisionali di prima grandezza, ecc.

 Non credo che gli economisti con tutto il rispetto che essi meritano siano in grado di occuparsi di tanta complessità.

Oltre le competenze ci sono le prassi  che come primo vero referente  hanno il malato i suoi bisogni le sue singolarità e le sue complessità  roba sulla quale  agli economisti quale  consiglio caldamente di non impicciarsi. I malati non sono bilanci.

 La mia, voglio chiarire non è una obiezione pregiudiziale nei confronti di una professione ma è una obiezione epistemica nei confronti di un certo tipo di razionalità riduzionista, quindi di un certo modo banale di ragionare sulla sanità.

 Le problematiche delle prassi professionali non sono riducibili alla razionalità aziendale della Bocconi.

 Ma a parte questo siccome nessuno di noi viene giù dalla montagna con la piena è evidente che la proposta 10 del documento (cambiare lo skill-mix tra medici e professioni sanitarie) è null’altro che la riproposizione delle note strategie della Bocconi che da anni sta spalleggiando il corporativismo di certe professioni contro altre professioni, fomentando così un conflitto al letto del malato e a suo totale danno sempre più insanabile.

Trovo deludente che valenti docenti appartenenti ad atenei di tanto prestigio si conformino in modo tanto superficiale assecondando precisi interessi  corporativi.

 Chi teorizza il task shifting in modo così superficiale come fanno alcuni professori della Bocconi è un irresponsabile  che non si rende conto dei rischi che si corrono a destabilizzare gli equilibri tra professioni.

Detto ciò  sia chiaro non sono io che nego la necessità di ridefinire  i percorsi di formazione e  di valutare le competenze professionali alla luce delle novità introdotte dal PNRR  e perfino  di aprire una riflessione sulla divisione del lavoro in medicina  e in sanità e sulle forme storiche di cooperazione tra professioni complementari, ma trovo fortemente regressivo, come ho detto tante volte, che  la discussione della Bocconi riguardi non le prassi nella loro complessa  realtà operazionale giuridica sociale  e culturale  ma solo la definizione burocratica di compiti mansioni  e ruoli cioè la riproposizione della vecchia logica del mansionario.

 Il lavoro di ridefinire le geografie professionali è molto delicato e complesso e alla fine non può che essere fatto se non attraverso un accordo interprofessionale che per sua natura  ha bisogno di esperti di medicina, di operatori  vari, giuristi, epistemologi, società scientifiche,  ma non degli ideologi del corporativismo cioè di coloro  che parlano  di fungibilità dei ruoli e indicano il mercato come il terreno su cui gli infermieri possono avere successo contro altre professioni, o chi teorizza che gli infermieri devono “saturare un nuovo perimetro”, o chi parla di professioni come se fossero pannocchie di granoturco da “sgranare”, ecc. (QS, 1 agosto 2018)

 Conclusione.

Con il documento dei 16 esperti, gli economisti della sanità chiamati a raccolta, si sono messi di fatto al servizio del governo proponendosi come nel 1992 , quando nacquero le aziende,  come coloro che unici possono gestire  al meglio i 20 mld del recovery plan.

 In questo documento essi avanzano su un tema cruciale  come quello  della divisione del lavoro in sanità  proposte molto poco meditate  e quindi pericolose che se applicate potrebbero recare danno prima di ogni altra cosa ai cittadini, ai malati ai loro diritti.

 Queste proposte, muovono da un assunto ideologico inaccettabile quello che secondo una certa razionalità aziendale in sanità si dovrebbe preferire la competitività tra professioni alla loro cooperazione.

 Von Hayek (premio Nobel per l’economia), diceva che un “economista che è solo un economista non è un economista” per cui ne deduco che solo un economista che non è un economista, può pensare una follia simile.

(Ivan Cavicchi).

 

 

 

 

Grigory Yudin: “La guerra contro

l’Ucraina è catastrofica

anche per la società russa”

affariinternazionali.it- Nona Mikhelidze -(27 Giugno 2022)- ci dice :

 

Grigory Yudin è uno scienziato politico e sociologo russo, un esperto di opinione pubblica e sondaggi in Russia. Il podcast dell’intervista realizzata da Nona Mikhelidze, ricercatrice senior dell’Istituto Affari Internazionali, è disponibile.

Vorrei iniziare con una domanda sul 24 febbraio. Si aspettava lo scoppio della guerra su larga scala? E cosa significa questa guerra per la Russia e per il suo futuro?

Sì, purtroppo me l’aspettavo! Avevo capito già nel 2020 che ci sarebbe stata una grande guerra contro l’Ucraina. E credo che dalla metà del 2021 tutto sia diventato ancora più chiaro.

Voglio dire, era chiaro che ci sarebbe stato un grande scontro tra la Russia e la Nato. E dal 2021 era ovvio che la prima fase di questa guerra sarebbe avvenuta in Ucraina.

 Penso che fosse abbastanza ovvio soprattutto dopo la comparsa del famoso articolo del presidente Putin sull’Ucraina, al quale hanno fatto seguito molte analisi militari. Parlavano dell’imminente invasione, quindi aspettavo ogni giorno che la guerra scoppiasse. Questo, ovviamente, non ha reso la vicenda meno dolorosa!

Ho cominciato ad avvertire la gente di questa guerra imminente, sia in Europa, parlando con i politici europei, sia in Russia. Cercavo di far capire loro l’inevitabilità della guerra. Praticamente senza successo però, tutti erano scettici al riguardo.

Così siamo arrivati al 24 febbraio. Ora, parlando di cosa significa questa guerra per il futuro del Paese, la diagnosi generale è che a lungo termine tutto questo sarà devastante per la Russia. È una guerra suicida.                          La Russia ha avuto guerre ingloriose nel suo passato, ma questa è la guerra più stupida, la più catastrofica per il Paese stesso, perché fondamentalmente distrugge i legami che la Russia ha con quasi tutti i Paesi.

La Russia è davvero legata e culturalmente vicina agli ucraini, ovviamente, ma anche ai bielorussi che sono molto, molto coinvolti in questa guerra.

Questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto è la cosiddetta fratellanza slava, che ora si sta distruggendo. E poi l’appartenenza più ampia all’Europa, che è anche, ovviamente, assolutamente cruciale per la Russia.

La Russia è un Paese molto speciale. Ha un posto speciale nella storia europea e non può essere separata dall’Europa. È assurdo che le persone ora parlino dell’avvicinamento alla Cina. Voglio dire, non capiscono nemmeno di cosa stiano parlando. La Russia è sempre stata un Paese europeo, da Kaliningrad a Vladivostok. E questo è estremamente evidente quando si esce per strada. Si tratta quindi di un suicidio, di un colpo di testa!

E poi come se non bastasse, è una guerra che non si può vincere. Non può essere vinta, non c’è nessuno scenario in cui la Russia possa avere successo a lungo termine. Quindi le conseguenze per la Russia saranno totalmente devastanti. Onestamente penso che questa sia una delle decisioni peggiori di tutta la storia russa… e la storia russa è ricca di decisioni non ponderate. Questa probabilmente è la peggiore.

E allora perché è stata presa questa decisione?

Beh, la decisione è stata presa da Putin e probabilmente anche da alcune persone a lui molto vicine.

Ma ora dobbiamo rivalutare anche questo aspetto, perché prima pensavamo almeno che ci fosse un’élite di potere dietro di lui, ma dopo questa famosa riunione del Consiglio di sicurezza abbiamo dovuto riconsiderare questa assunzione perché molte delle persone che si pensavano molto, molto vicine al processo decisionale, si sono rivelate dei burattini, come tutti hanno avuto modo di vedere.

Quindi la decisione è stata presa dal Presidente stesso e per lui si tratta di una guerra difensiva. Si sta difendendo, si sente minacciato esistenzialmente. Pensa di essere molto vicino a essere ucciso e vuole proteggere la sua vita. E l’unico modo per proteggere la sua vita è rimanere al potere.

Stiamo parlando di due cose inseparabili: deve rimanere al potere per proteggere la sua vita e la sua posizione. La situazione negli ultimi anni si è lentamente deteriorata, sia internamente che esternamente. C’era un crescente senso di stanchezza per il governo di Putin, anche tra le persone che generalmente gli sono grate, era abbastanza evidente che c’era un significativo distacco dei giovani dal regime. Soprattutto negli ultimi quattro o cinque anni abbiamo assistito a una netta spaccatura negli atteggiamenti della popolazione tra gli anziani e i giovani. Questa era una parte del problema.

L’altra parte del problema era rappresentata dal fatto che l’Ucraina, in quanto Paese culturalmente molto vicino alla Russia, per lui era sul punto di ottenere un’alleanza militare con gli Stati Uniti. E questo avrebbe trasformato l’Ucraina in una roccaforte per le forze di opposizione contro Putin. Credo che il modo migliore per capire questo sia il paragone con il colonnello Gheddafi che ha affrontato il movimento di resistenza in Libia. Era pronto a schiacciarlo, a uccidere le persone, probabilmente centinaia di migliaia. Gli è stato impedito dalla Nato e alla fine è stato rovesciato e ucciso. E sappiamo che impressione ha avuto la morte di Gheddafi su Vladimir Putin. Ne è rimasto assolutamente scioccato, terribilmente scioccato.

Queste due cose di cui parlavo, le cause interne e le cause esterne, non vanno distinte perché qualsiasi tipo di opposizione o malcontento in Russia, Putin lo percepisce immediatamente come un complotto contro di lui orchestrato dall’Occidente.

E anche questi atteggiamenti critici dei giovani sono intesi come il risultato della propaganda occidentale. Quindi per lui l’unico motivo per cui la gente potrebbe essere scontenta del regime è perché c’è una propaganda occidentale che opera per distorcere i valori russi che per lui sono importanti.

È così che si è arrivati all’idea di condurre una guerra inevitabile contro l’Occidente, contro la Nato e contro gli americani. Questi termini sono usati in modo intercambiabile e l’Ucraina è diventata solo il primo campo di battaglia, come dice lui, che la vede come anti-Russia. L’ha ripetuto molte volte, e questo è il significato: in sostanza da qui si può vedere che l’esistenza stessa dell’Ucraina è sentita come una minaccia per la Russia. E per Russia, ovviamente, intende sé stesso. Quindi l’esistenza stessa dell’Ucraina è già una minaccia mortale per la sua vita. Ecco come siamo arrivati all’inevitabilità di questa guerra.

Prima ha detto che per lei era chiaro che doveva esserci uno scontro con la Nato, e poi ha parlato delle cause interne ed esterne, delle ragioni che hanno portato Putin a invadere Ucraina. In tanti pensano che una delle cause per scatenare questa guerra fosse anche o soprattutto l’allargamento della Nato.

Sono d’accordo, ma solo con riserva. La stessa esistenza della Nato sarà sempre un fattore provocatorio per Putin per iniziare una guerra, a meno che non venga sciolta. Negli anni Novanta si era creata una chiara prospettiva di scioglimento della Nato dopo la fine della guerra e del Patto di Varsavia. Se il Patto di Varsavia non esisteva più, perché la Nato non avrebbe dovuto sciogliersi? O almeno rimodellare o riformulare in modo significativo i suoi obiettivi?

Oppure si poteva parlare di inclusione della Russia in un sistema di sicurezza più ampio in Europa. Beh, questo è stato fatto, in una certa misura, con il consiglio Russia-Nato, ma dopotutto, forse ci si aspettava proprio il suo scioglimento. Non si è sciolta anche per ragioni comprensibili, perché c’erano i paesi dell’Europa orientale che giustamente si sentivano minacciati dalla Russia e facevano pressione per unirvisi.

È così che la Nato, forse anche non intenzionalmente, si è estesa a est, nonostante le promesse di non farlo. Promesse che non sono mai state formalizzate: non c’è mai stato un obbligo formale da parte della Nato di non espandersi, ma per la Russia si è trattato di un abuso della sua fiducia.

Ma in realtà, basta parlare della Nato… il vero problema è che la Russia, e in particolare Putin, non hanno mai considerato i vicini come paesi sovrani con i quali cercare un linguaggio comune dopo la dolorosa esperienza sovietica di coesistenza. La Russia non si è mai preoccupata di fornire le garanzie di sicurezza a quei Paesi, le garanzie che li avrebbero dissuasi dall’entrare nella Nato. Anzi, la Russia ha fatto di tutto per incoraggiarli a entrarci e sotto il governo di Putin la Nato si è espansa in modo significativo verso est.

Quindi, in pratica, ora Putin con questa guerra sta cercando di coprire il completo fallimento della sua politica estera. Lui non è stato in grado di impedire ai paesi vicini di entrare in questo blocco militare. Perché non li ha mai trattati come partner, li ha sempre considerati come nazioni inesistenti, paesi inesistenti. E questa è la vera radice del problema. Si può quindi parlare dello scioglimento o non scioglimento della Nato, ma poi la colpa è solo della folle politica estera di Putin.

Ripeto, non è stata la Nato ad espandersi. Sono stati i Paesi realmente, genuinamente volenterosi ad entrare in questo blocco. E questo è un problema enorme per la Russia, perché significa che quei Paesi hanno paura della Russia. Una politica ragionevole, ovviamente, sarebbe stata quella di renderli meno timorosi, di offrire loro qualcosa, di includerli in un sistema di sicurezza diverso, invece di ricattarli con il gas o con le armi, come ha sempre fatto Putin. Questo, secondo me, è vero fallimento per Putin.

Passando alla parte ideologica di questa guerra e all’idea di Putin di creare Ruskyi Mir, il mondo russo:

il concetto, da come è stato disegnato, ha sempre riguardato un mondo fatto da popoli ma non da cittadini con senso civico, non dalla società civile. Insomma, un concetto che rispecchiava la Russia dove i russi sono sottomessi al sistema autoritario.

Quindi stiamo parlando di un modello completamente opposto a quello Ucraino dove, soprattutto dal 2014, dopo la rivoluzione di Euromaidan, stiamo assistendo alla creazione di una società civile vibrante e di una governance liberale. Due cose che il Cremlino ha sempre impedito che accadessero in Russia. Non pensa che questa guerra sia anche lo scontro fra questi due mondi diversi?

 

Credo sia giusto descrivere questa guerra come una lotta tra due sistemi politici molto diversi, visioni politiche molto diverse di ciò che costituisce lo spazio post-sovietico. Una può essere sommariamente descritta come il sistema imperiale, non necessariamente nel senso espansionistico, nonostante abbia anche questa caratteristica, ma piuttosto il modo di strutturare il sistema politico, che è monarchico in Russia.

Non so se la gente ne sia consapevole, ma in realtà la concentrazione di potere in Russia è quasi senza precedenti per il nostro Paese. Non è vero che la Russia è sempre stata così.                          Ci sono probabilmente episodi nella storia russa in cui abbiamo avuto questa concentrazione di potere politico, ma non spesso.

Probabilmente è successo con Stalin ad un certo punto. Probabilmente, anche se il paragone non è esatto, con Ivan il Terribile e, in una certa misura, con Pietro il grande.

Altri, come Nicola I, hanno cercato di farlo, ma in realtà non ci sono mai riusciti. Quindi ora stiamo assistendo a qualcosa di quasi senza precedenti nella storia. Si tratta di uno Stato ultra-monarchico. Questa è l’immagine della struttura dello spazio politico.

E questo vale per tutta la Russia, perché ovunque, a ogni livello, ci sono quei piccoli Putin che pensano fondamentalmente che usare la violenza e la forza sia l’unico modo per governare nel servizio pubblico e nelle imprese. Questa è l’intera filosofia.

E poi c’è la filosofia repubblicana, che è il caso dell’Ucraina, che si contrappone ad essa con una posizione molto più pluralistica e con una maggiore fiducia in alcune fazioni indipendenti del potere. Perciò nel sistema politico ucraino l’élite è molto meno consolidata attorno ad un unico leader. Il sistema è oligarchico, ma ha anche un significativo elemento democratico, perché sappiamo che gli ucraini hanno sviluppato una cultura politica che ha sempre il potenziale per una rivolta, per una rivoluzione.

Si tratta quindi di due visioni molto, molto diverse ed è importante vedere come queste visioni si riflettono in ciascuno di questi Paesi. Guardate cosa sta succedendo in Ucraina. C’è la prevalenza di questo punto di vista repubblicano, ma ci sono anche persone che sono felici di essere, diciamo così, liberate da Putin, perché hanno questo atteggiamento imperiale, si sentono più naturali nel ripristinare l’impero.

Si pensi alla Bielorussia: lì c’è una situazione molto interessante. Abbiamo il presidente che appoggia questa visione imperiale e più o meno tutta la popolazione è contraria e viene terrorizzata per questo. I bielorussi sono ovviamente per la maggior parte dei repubblicani.

 E poi ci sono i russi, ma c’è lo stesso problema: la stessa lotta tra coloro che sostengono Putin e quelli che cercano un’impostazione repubblicana nel Paese. Quindi, in sostanza, in questi Paesi c’è la stessa, identica lotta.                  E questo spiega, ovviamente, perché alcune persone in Russia provano maggiore simpatia per gli ucraini, non perché siano grandi fan dell’Ucraina o della cultura ucraina o di qualsiasi altra cosa, o del nazionalismo ucraino, ma solo perché vedono la situazione come uno scontro tra la visione repubblicana e imperialista. Lo stesso vale per la Bielorussia e il Kazakistan in una certa misura.

Questo è ciò che stiamo vedendo. Ed è per questo che penso che etichettare questa guerra come guerra russo-ucraina sia in realtà fuorviante. Non si tratta di russi contro ucraini. Si tratta di una guerra fra due modelli politici molto diversi.

Come viene percepita oggi la guerra dalla società russa? E che dire dell’indice di gradimento del presidente Putin? Se non sbaglio, il centro di Levada lo dava intorno all’82% ad aprile… Ora, capisco che non possiamo prendere sul serio i sondaggi condotti in sistemi autoritari, specialmente in tempo di guerra, ma forse possiamo comunque spiegare qualcosa sui sentimenti dei russi e della società nei confronti della guerra.

Permettetemi di introdurre il concetto. La Russia è un sistema plebiscitario, il che significa che il potere dell’imperatore si basa sul ricevere il sostegno popolare attraverso i plebisciti.

 Quindi l’imperatore sovrasta l’intero sistema politico, sostenendo di avere una legittimità popolare e per lui anche democratica!

E questo è fondamentalmente il bastone con cui minaccia la sua élite, la sua burocrazia, ma anche il popolo stesso, perché la Russia è un Paese molto depoliticizzato. L’unico modo per i russi di sapere cosa pensano i russi è guardare la televisione e osservare i numeri dei sondaggi, perché normalmente i russi non comunicano tra di loro.                                 Quindi il modo più semplice per sapere cosa pensa il tuo vicino è accendere la TV e guardare gli ultimi numeri dei sondaggi.

Dialogare, comunicare con il prossimo non è usuale per molte persone in Russia.

Si tratta quindi di un sistema plebiscitario in cui il leader riceve la cosiddetta “acclamazione” da parte del popolo. Ora abbiamo diverse istituzioni per l’“acclamazione”. Abbiamo, naturalmente, le elezioni, che sono di carattere plebiscitario e “acclamazione” significa che coloro che partecipano alle elezioni o a qualsiasi tipo di votazione non le vedono come un meccanismo per fare una scelta tra vari candidati, ma piuttosto come una convalida di una decisione già presa.

Quindi c’è il leader che prende la decisione e il popolo che acclama questa decisione. Questa è l’idea delle elezioni in Russia sia durante il voto nazionale o presidenziale che alle amministrative.

Questo è anche il caso dei veri e propri plebisciti. Nel 2020 abbiamo avuto una sorta di gioco costituzionale, quando a Putin si è data la possibilità di rimanere al potere fino al 2036. Dico gioco costituzionale perché ha costituito una convalida di una decisione già presa ed era anche inquadrata in questo modo, perché tecnicamente il plebiscito non era necessario dal punto di vista costituzionale, era superfluo, ma doveva essere convalidato dalla popolazione.

La stessa cosa accade con i sondaggi d’opinione che funzionano anch’essi in questo modo, in modo che la gente capisca che le si chiede di acclamare il leader.

 E questo è ancora più vero durante i periodi di emergenza come questo, perché fondamentalmente tutti coloro che vengono contattati con il sondaggio capiscono che gli viene chiesto di acclamare il leader. Probabilmente le persone reagirebbero in modo diverso.

Alcuni direbbero: “no, non acclamerei, odio Putin”, ma questo non cambia il quadro generale. Il quadro di base è che viene chiesto di acclamare. Ovviamente è possibile sfidarlo, ma è comunque inteso come una richiesta di acclamazione.

Non tutti i russi sono disposti a giocare a questo gioco. E quindi il segreto che viene nascosto è che i tassi di risposta sulle domande poste dai sondaggi sono molto, molto bassi.

Questi dati di solito non vengono riportati ma, dall’esperienza che abbiamo avuto sappiamo che sono, in qualche modo, a seconda della metodologia, tra il 7 e il 15% del campione iniziale. Cosa pensa il resto della gente non lo sappiamo, perché le persone tendono a non rispondere. Piuttosto che sfidarlo o acclamarlo, tendono fondamentalmente a non rispondere.

Questo ci dice molto sui russi, perché i russi non vogliono avere a che fare con la politica. Vivono la loro vita privata. Ed è così che è stato costruito questo regime.

Gli è stato chiesto di non occuparsi della politica, quindi alla gente non interessa la politica e non importa dell’Ucraina. L’unica cosa di cui si preoccupano è la loro vita privata orientata al consumismo. Ai russi interessa pagare i mutui e forse fare carriera. Quindi questo è ciò di cui si preoccupano. Il resto può essere delegato al Putin di turno. Putin è lì, pensa lui a tutto. Se lui pensa che gli ucraini siano nazisti, beh, saprà lui come affrontarli.

Quindi la popolazione è molto depoliticizzata. E credo che il modo migliore per spiegare questo, per spiegare questi indici di gradimento, sia di immaginare il 24 febbraio in un modo diverso. Immaginiamo che Putin avesse detto che per motivi di sicurezza la Russia dovesse restituire Donetsk e Lugansk all’Ucraina. Il tasso di approvazione sarebbe stato esattamente lo stesso di oggi. Assolutamente lo stesso, perché l’approccio è questo: Putin sa meglio di noi.

Allora questo vuol dire che in realtà c’è una via d’uscita da questa guerra per Putin, perché qualsiasi tipo di risultato può essere descritto come una vittoria e verrà accettato dalla società.

Credo che questo sia vero solo fino ad un certo punto. Voglio dire, se si sottolinea la sua capacità di imporre ogni tipo di decisione alla popolazione e di ottenere l’acclamazione, penso che allora lei abbia ragione. Ma dal momento che la posta in gioco è alta e ovviamente richiede alcuni sacrifici da parte della popolazione russa – ed è molto, molto chiaro che ci saranno sacrifici – allora penso che ci sia un’aspettativa generale di una vittoria significativa.

Ormai questa guerra è stata inquadrata come la lotta esistenziale per la Russia.

Questa non è una lotta per il Donbass. Non so perché le persone in Europa abbiano questa idea folle che si tratti di una lotta per il Donbass. No, questa è una lotta esistenziale per la Russia, con la quale la Russia deve sconfiggere l’Occidente.

Questa è la missione e non quella di prendere Kramatorsk. Questo aspetto è così secondario rispetto a ciò che sta accadendo. Il 99% dei russi non sa neanche dove si trovi Kramatorsk. Quindi questa è una lotta esistenziale e conquistare Kramatorsk è solo il primo passo.

Ma se l’esercito russo dovesse davvero fallire in Ucraina, cedendo, ad esempio, i territori controllati prima del 24 febbraio, sarebbe davvero difficile per Putin venderla come una vittoria.

 Il problema non sono tanto i numeri dei sondaggi, ma alcuni strati della società russa, che si renderebbero improvvisamente conto che Putin può anche fallire, perché l’intero potere politico si regge sulla forte convinzione che Putin vince sempre. Se lui non vince, se qualcuno comincia a dubitare della sua vittoria, la situazione cambierebbe.

Il cambiamento, però, non si rifletterebbe subito nei sondaggi d’opinione, perché lì funziona al contrario: ci sarà per primo un vero e proprio cambio di potere, e poi si vedrà come questo si rifletterà nei sondaggi d’opinione, e non il contrario. Non vincere questa guerra, credo, potrebbe significare la fine di questo regime.

Ma nella realtà russa che sta descrivendo, cosa potrebbe essere percepito come un fallimento dell’operazione militare e cosa come una vittoria? Cioè, qual è il minimo che dovrebbe essere raggiunto per dichiarare la vittoria?

È difficile a dirsi. Beh, per quanto riguarda il fallimento, è abbastanza facile: in realtà dovrebbe essere una sconfitta militare, una vera e propria sconfitta, che non lascia spazio per le interpretazioni. Quindi…

… quindi lo status quo prima del 24 febbraio?

Si, ma ormai il 24 febbraio è militarmente impossibile perché se l’Ucraina riuscisse a respingere le forze armate russe fino alle posizioni pre-24 febbraio, perché dovrebbe fermarsi lì?

 Voglio dire, in Donbass non ci sono confini naturali. La Crimea è una questione diversa, forse lì ci sono confini naturali, ma, per quanto riguarda il Donbass, il pre-24 febbraio è andato per sempre. Non sarà mai ripristinata quella linea di separazione delle forze. Quindi questa sarebbe una vera e propria sconfitta.

Per quanto riguarda la vittoria, come ho detto, la conquista e l’annessione delle quattro regioni – Zaporizhia, Kherson e dell’intero Lugansk e Donetsk – sarebbe la prima tappa.

Questa sarebbe una sorta di vittoria, visto che Putin non controllava tutte le quattro regioni prima.

Si tratterebbe quindi di un’acquisizione e credo che sarebbe un passo preliminare per un’ulteriore espansione, che includerebbe sicuramente Transnistria e presumo anche l’intera Moldavia.                   

Ora abbiamo questo limbo con il sud Ossezia. L’Abkhazia è forse più difficile, ma il sud Ossezia sicuramente verrebbe incluso in Russia. Quindi questo sarebbe un passo preliminare verso ulteriori annessioni. E poi si andrà sempre più avanti perché, ancora una volta, qua non si tratta di ripristinare l’appartenenza imperiale all’Unione Sovietica, no, si tratta di spezzare la schiena all’Occidente. Per questo motivo mi aspetto che il prossimo passo avvenga molto presto dopo questa sorta di vittoria.

Quindi non ci sarà nessun negoziato fra Russia e Ucraina in un futuro vicino?

Assolutamente no!

La maggior parte delle sanzioni occidentali prende di mira l’economia e l’establishment politico della Russia, mentre altre mirano specificamente all’arte e alla cultura russa. Questo sta causando molte discussioni e speculazioni qui in Occidente sulla “cancel culture”. Qual è la sua opinione in merito?

A dire il vero, credo che sia un fenomeno enormemente esagerato. Voglio dire, a parte alcuni casi spiegabili di reazione eccessiva, personalmente non ne sono stato colpito. Nessuna persona che conosco è stata colpita da una sorta di boicottaggio immeritato o qualcosa del genere.

Ammetto che ci siano stati casi di reazione eccessiva, ma sono abbastanza comprensibili. E dietro c’è una lobby ucraina. Posso capirli.

Ad essere onesti, penso che stiano facendo qualcosa di controproducente per loro stessi, perché fondamentalmente dicendo: “beh, guardate che tutti i russi sono come Putin”, stanno rendendo il miglior servizio a Putin stesso, perché in questo modo trasmettono questo tipo di messaggio agli italiani, per esempio, o ai tedeschi… E come vuoi che reagiscano gli Europei?

 Diranno che se tutta la Russia è così, allora è meglio negoziare con Putin, tanto non si può fare la guerra e sconfiggere l’intera Russia.      Quindi forse gli ucraini sbagliano quando promuovono la narrazione che tutti i russi sono uguali, anche se capisco perfettamente la loro rabbia. E penso che questa reazione sia in misura significativa giustificata.

In generale penso che, anziché lamentarsi di un trattamento immeritato, si dovrebbe far sentire la propria voce e esprimersi contro la guerra. Altrimenti è un’ipocrisia.

Se si sostiene questa enorme guerra fondamentalmente contro l’intera Europa, cosa ci si può aspettare? Un’accoglienza di benvenuto da parte degli europei? Questa è ipocrisia.

 Perché qua non si chiede di sostenere gli ucraini. La questione è diversa, perché ovviamente i soldati russi stanno morendo e questo crea naturalmente un problema morale per i russi. Bisogna semplicemente dire “non in mio nome! questa guerra non in mio nome!”. Penso che questo sarebbe sufficiente per far capire che si è contrari alla guerra.

Non credo che si tratti veramente di cancel culture o come la chiamate ora. Ovviamente ci sono misure che colpiscono tutti e, ad essere onesti, personalmente subisco un danno collaterale. Viaggiare in Europa è diventato complicato. Proprio ieri sera stavo pensando a come viaggiare in Germania. È logisticamente molto difficile. E poi non posso pagare il biglietto per il viaggio perché le mie carte sono bloccate. Quindi è davvero difficile, ma c’è poco da lamentarsi.  È la guerra. Voglio dire, gli ucraini sono stati e continuano ad essere bombardati quindi perché dobbiamo sorprenderci che le sanzioni ci portino dei danni collaterali? Ci sono alcune misure o azioni alle quali non dobbiamo opporci e lamentarci.

Non penso che siano moralmente sbagliate, penso solo che sanzioni contro le strutture di istruzione e cultura siano controproducenti. Non me ne lamento: gli europei sono liberi di imporle. Penso solo che siano controproducenti. Voglio dire, guardate per esempio, all’università di Tartu in Estonia: ora non sono più disposti ad accettare gli studenti russi… Ripeto, non mi lamento, ma credo solo che azioni simili siano controproducenti perché in pratica fanno il gioco di Putin consolidando la sua immagine come rappresentante di tutti i russi, il che non è assolutamente vero.

Lei ha detto che alcune persone appoggiano questa guerra mentre altri forse dicono “non in mio nome”. Fino a che punto è responsabile la società russa di questa guerra? E, in termini generali, cosa pensa della colpa collettiva e della responsabilità collettiva?

Perché la società russa sia responsabile della guerra, dovremmo avere chiaro cosa sia la società russa. Ma non esiste nulla che possa esser definito come “la società russa”. Si pensa che sia la collettività a prendere questa decisione, ma non è vero.

Ancora una volta, l’intero regime politico è stato costruito sulla distruzione di qualsiasi tipo di soggettività politica.

È difficile, credo, per molte persone in Europa capire fino a che punto sia stata distrutta la concezione di essere soggetti, attori in politica. Qualsiasi discorso su qualsiasi tipo di azione politica, qualsiasi tipo di pensiero normativo, tutto è diventato illegittimo in Russia. Tanto per fare un esempio: anche solo pensare di discutere di migliorare qualcosa nelle nostre vite è già percepito come un’assurdità perché, per come è strutturato il mondo, le cose non possono essere migliorate. Questo è come i russi si approcciano alla vita e al loro posto nella vita politica.

I russi pensano che il mondo sia fondamentalmente un brutto posto. Lo ha detto anche Putin: durante la conferenza stampa dopo l’incontro con Biden, è stato abbastanza chiaro nel dichiarare che “nel mondo non esiste la felicità”. Perché mi chiedete di migliorare il mondo? Il mondo non può essere migliore di quello che è. È solo un luogo in cui gli esseri umani si uccidono a vicenda. Questo è normale. Questo è ciò che gli esseri umani fanno normalmente”.

E questo è un pensiero abbastanza diffuso in Russia. Un pensiero notevolmente sottovalutato ma che preclude qualsiasi possibilità di azione politica collettiva. Se non ti fidi di nessuno, perché dovresti impegnarti in qualcosa con il prossimo? Così uno finisce a preoccuparsi solo di sé stesso, dei suoi soldi, dei suoi affari personali. Quindi, credo, che l’intera questione della responsabilità della società russa sia del tutto irrilevante.

Naturalmente questo non esime i russi dalla responsabilità individuale, ma credo che la responsabilità stia nell’altro… Dobbiamo distinguere due cose: non si tratta dei russi che sostengono davvero questa guerra, non è questo il caso finora, ma si tratta della loro indifferenza. Vedo una sorta di fascistizzazione della società e questo è molto pericoloso.

 Questa completa indifferenza alla sofferenza umana è un problema importante. Ma questo è sempre stato un problema in Russia: i russi sono indifferenti non solo nei confronti degli ucraini ma anche verso i propri compaesani.

Per esempio, lei pensa che la gente si preoccupi davvero delle sofferenze della gente di, non so, Krasnodar? No, per niente! Finché non è un mio problema non mi interessa! Quindi questo è il vero problema: la totale mancanza di idea di responsabilità per i problemi politici e sociali, e questo è ciò che rende le cose terribilmente pericolose.

 Implica, infatti, che qualsiasi azione da parte del governo venga percepita come qualcosa al di fuori del controllo del singolo, che quindi non ha alcuna responsabilità su qualsiasi cosa stia accadendo in Russia.

Questo credo sia terribile e qui sta il problema, perché la gente dice: “Non mi piace questa guerra, ma cosa ha a che fare con me? Non è affar mio, non potrei cambiare nulla, come potete chiedermi di oppormi a questa guerra? Potrei oppormi, ma in quel caso probabilmente perderei il lavoro”.

Questo senso di impotenza diffusa nella società è stato alimentato e poi strategicamente usato da Putin.

E in questo e, voglio sottolineare questo punto, Putin è stato aiutato in modo significativo dagli europei, dalle élite globali in generale, ma soprattutto dagli europei.

Perché ogni volta che i russi cercavano di trovare una soggettività politica, di condurre qualche azione politica, di resistere, di impedire che accadessero le cose peggiori, ogni volta Putin riceveva un enorme sostegno dall’Europa, enormi contratti finanziari, enormi investimenti… Insomma, si è creata inevitabilmente una situazione strana.

Beh, voglio dire, non stiamo chiedendo aiuto per risolvere i nostri problemi, ma potreste per favore non aiutare Putin almeno in modo massiccio?

Ogni volta che c’è un movimento di resistenza, lui ottiene immediatamente un grande accordo che porta milioni in Russia e che viene poi investito nell’esercito per sopprimere la protesta… Beh, questo ovviamente fa sentire la gente disperata.

Questo sentimento di disperazione può essere spiegato, ma non esime la Russia dalla responsabilità politica della propria posizione. Questo è, a mio avviso, un grosso, grosso problema, un pericolo terribile per l’Europa e ovviamente un problema con terribili conseguenze per la Russia nei prossimi decenni.

Quindi lei pensa che l’Occidente abbia tradito la società russa aiutando Putin?

Beh, pensando all’Occidente… chi è l’Occidente? Chi è responsabile di questo, non saprei fino in fondo.

 Ma, sapete, una cosa che vorrei davvero respingere è l’idea di Putin come un orso russo che esce dalla Taiga e all’improvviso, di punto in bianco, scatena questa guerra contro l’Ucraina. Ecco, questo non è vero. Putin sa come funzionano le cose nel capitalismo contemporaneo.

 Non è un caso che sia riuscito a corrompere le élite finanziarie e politiche in tutta Europa e anche in Italia. Ha semplicemente capito come funzionano le cose, in una certa misura è un maestro di questo sistema capitalistico.

Non parlo quindi di una responsabilità dell’Occidente, ma di élite politiche ed economiche molto specifiche.

 E questa élite occidentale corrotta, proprio ora che stiamo parlando, sta ancora facendo pressioni sui propri governi, stanno facendo lobbying per promuovere fondamentalmente l’idea del “bene, lasciamogli un pezzo di Ucraina e così otteniamo la pace perché vogliamo tornare a fare affari come prima”.

 E gli uomini d’affari italiani sono ancora qua in Russia a fare business anche se ci sono delle sanzioni perché a loro non interessa nulla dell’Ucraina, vogliono fare soldi e basta. E per loro Putin va bene finché possono fare soldi in Russia. Qui ci sono ottime condizioni per fare affari.

Perché dovrebbero occuparsi dell’Ucraina? Questo è il problema. Non darei la colpa all’Occidente, ma se siamo arrivati fino a questo punto è colpa anche dell’élite politica ed economica corrotta di alcuni Paesi occidentali, e l’Italia è certamente tra questi.

(Articolo realizzato nell’ambito del progetto dell’IAI – “L’impegno selettivo dell’Ue con la Russia”, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale).

 

 

 

 

La Gestapo americana A.K.A. FBI.

Unz.com- PAUL CRAIG ROBERTS – (AGOSTO 11, 2022)- ci dice :

 

Che tipo di funzionario del Dipartimento di Giustizia firmerebbe un raid dell'FBI nella casa di un ex presidente degli Stati Uniti quando il presidente sta cooperando pienamente con la falsa "indagine" su di lui?

Che tipo di giudice emetterebbe il mandato e poi lo nasconderebbe alla vista sigillandolo?

Che tipo di agente dell'FBI invaderebbe la casa di un presidente invece di dimettersi per l'incarico?

Chiaramente, nessuna di queste persone è brava gente. Non sono persone in cui possiamo avere fiducia. Queste non sono persone che lasceremmo sposare dai nostri figli e figlie. Queste sono persone molto cattive. Eppure queste persone molto cattive hanno il controllo delle nostre vite.

(theepochtimes.com/us-judge-in-florida-approved-search-warrants-before-fbi-raid-of-trumps-resort_4652659.html). L'FBI e il regime di Biden sono le organizzazioni più corrotte sulla faccia della terra. Il presidente corrotto e il direttore dell'FBI – lo stesso incaricato di Donald Trump – sono riusciti a creare l'impressione che l'ex presidente sia un sospetto criminale, o Biden e l'FBI si sono screditati agli occhi della gente. Ecco uno degli avvocati di Trump che spiega che nessuno conosce una ragione legittima per l'invasione armata della casa di Trump. (theepochtimes.com/real-story-of-fbis-10-hour-raid-on-trumps-home-interview-with-president-trumps-lawyer_4653734.html).

 

L'FBI corrotto ha avuto un giudice corrotto che ha sigillato la giustificazione della "causa probabile" per il mandato di perquisizione, il che probabilmente significa che non c'è una causa probabile. Perché altrimenti sigillare la giustificazione per un evento senza precedenti che fa sembrare il governo degli Stati Uniti esattamente uno stato gangster del terzo mondo?

Marc Ruskin, un veterano di 27 anni dell'FBI ed ex procuratore federale, ha dichiarato a Epoch Times di essere sbalordito e costernato dal "disprezzo dell'FBI per le norme tradizionali e dall'apparente mancanza di preoccupazione per l'apparenza di scorrettezza".

Che l'FBI si sia permesso di essere usato così palesemente politicamente "è indicativo di un abbandono anche di una patina di indipendenza e obiettività". (theepochtimes.com/fbi-trump-home-raid-improperly-intrusive-circumstances-indicate_4653940.html).

 

L'FBI si è chiaramente trasformato in una Gestapo nazista. Sottolineando ulteriormente la loro totale mancanza di rispetto per la legge e il processo, la Gestapo di Biden ha avvicinato un rappresentante degli Stati Uniti, Scott Perry (R, PA) mentre era in viaggio con la sua famiglia e gli ha portato via il cellulare.

"Questa mattina, mentre viaggiavo con la mia famiglia, 3 agenti dell'FBI mi hanno fatto visita e hanno sequestrato il mio cellulare. Non hanno fatto alcun tentativo di contattare il mio avvocato, che avrebbe preso accordi per loro di avere il mio telefono se questo era il loro desiderio. Sono indignato – anche se non sorpreso – che l'FBI, sotto la direzione del DIPARTIMENTO di giustizia di Merrick Garland, abbia sequestrato il telefono di un membro del Congresso in carica", ha detto Perry nella sua dichiarazione.

"Il mio telefono contiene informazioni sulle mie attività legislative e politiche e discussioni personali / private con mia moglie, la famiglia, gli elettori e gli amici. Niente di tutto questo è affare del governo". (thegatewaypundit.com/2022/08/breaking-joe-bidens-fbi-apprehends-gop-rep-traveling-family-seizes-phone-raiding-president-trumps-home-last-night/)

Il regime di Biden e la sua Gestapo FBI hanno commesso così tanti crimini che non hanno altra alternativa che impedire le elezioni di novembre. È una semplice questione di autoconservazione.

Guardate che il regime di Biden inventa un evento per giustificare il controllo federale sulle elezioni di novembre.

 

 

 

L'assenza di realismo significa

che tutto può accadere.

 

 Unz.com- PAUL CRAIG ROBERTS – (AGOSTO 11, 2022) -ci dice:

Ecco i russi che sprecano di nuovo il loro tempo e le loro energie nelle organizzazioni internazionali dominate dagli Stati Uniti portando la loro preoccupazione per gli attacchi militari dell'Ucraina alla centrale nucleare di Zaporozhye alle Nazioni Unite.

Perché il Cremlino pensa che Washington o l'ONU se ne preoccupino?

Perché i russi non eliminano semplicemente l'artiglieria ucraina o le posizioni missilistiche che stanno attaccando la centrale nucleare?

 È straordinario quanto il Cremlino sia capace di lamentarsi e quanto sia incapace di agire. Una persona di un altro mondo che guarda questo potrebbe concludere che la Russia intende perdere.

Spero che la scommessa del Cremlino che il ritardo nello sgombero delle forze ucraine dal Donbass causato dal sostegno dell'Occidente all'Ucraina logori l'Occidente con le sue richieste piuttosto che la Russia.

Ma la mia preoccupazione rimane che più tempo ci vuole per completare il compito, più opportunità ci sono per la guerra di allargarsi. Poiché gli Stati Uniti e la NATO non hanno la capacità di opporsi a un esercito russo, la guerra allargata diventerebbe nucleare, che è l'ultima cosa di cui un mondo minacciato da molte altre minacce ha bisogno.

Dopo sei mesi di quella che avrebbe dovuto essere una guerra di tre giorni, sembra improbabile che il Cremlino pensi ancora che sia possibile porre fine alla guerra con la liberazione russa del Donbass.

Sembra certamente vero che gli Stati Uniti e il loro burattino Zelensky non hanno tale intenzione di permettere che la guerra finisca.

La Russia sarà in guerra in Ucraina fino a quando il Cremlino non si renderà conto di non avere alternative alla conquista dell'intero paese artificiale e all'installazione di un governo fantoccio russo invece di un governo fantoccio americano.

Ciò che Washington sta realmente ottenendo è imporre a un riluttante Putin la ricostruzione dell'Impero russo. La sua rottura è stata il modo di Washington di destabilizzare la Russia, un obiettivo che Putin non accetterà.

 

I miei rapporti fattuali e veritieri mi rendono sgradito sia a Mosca che a Washington. Abbiamo raggiunto il punto nell'esistenza umana in cui l'analisi veritiera è considerata un attacco nemico. Il Cremlino potrebbe fermare istantaneamente la guerra ucraina e rompere la NATO e l'UE fornendo energia solo ai paesi che si allineano con la Russia. Ma questo richiederebbe al Cremlino di scartare la sua "limitata operazione militare" come un errore, ed è difficile per i governi ammettere gli errori.

Quindi il mondo è intrappolato. I governi contendenti hanno un interesse nei loro errori di calcolo. Si aggrappano agli errori di calcolo e la situazione si deteriora.

 

 

 

 

Il lato oscuro della

rivoluzione digitale.

Unz.com- PAUL CRAIG ROBERTS-( AGOSTO 10, 2022)- ci dice :

 

Le persone amano la rivoluzione digitale. Permette loro di lavorare da casa ed evitare spostamenti stressanti e politiche d'ufficio. I giovani amano i loro telefoni cellulari che li collegano al mondo.

 Per gli scrittori Internet offre, per ora, un pubblico molto più ampio di quello che un editorialista sindacato potrebbe ottenere. Ma mentre godiamo e ci dilettiamo nei suoi vantaggi, la tirannia insita nella rivoluzione digitale sta lentamente chiudendo la sua presa sulle nostre vite.

Usa un pronome di genere o dubita di una narrazione ufficiale e sei bloccato dai social media.

Le stesse società che sono tenute dalla legge federale a inviarci dichiarazioni annuali su come proteggono la nostra privacy tracciano anche il nostro utilizzo di Internet al fine di costruire profili di marketing di noi.

L'FBI, la CIA e la NSA tracciano il nostro uso di Internet per identificare possibili terroristi, tiratori scolastici, operazioni antidroga e agenti stranieri.

Le telecamere di identificazione facciale ora esistono per le strade di alcune città. Si stanno costruendo banche dati sul DNA. Va avanti all'infinito.

In Cina la rivoluzione digitale ha reso possibile un sistema di credito sociale.

Le persone sono monitorate su ciò che dicono, ciò che leggono online, come si comportano, dove vanno.

Il profilo risultante determina i diritti o i privilegi della persona. A una persona che esce con la folla sbagliata, critica il governo, si comporta male, guida troppo velocemente, beve troppo, ha un record di frequenza scolastica o lavorativa scadente potrebbe essere negata una patente di guida, un passaporto, l'ammissione all'università o potrebbe avere accesso al conto bancario limitato o bloccato.

Il denaro digitale è il potere ultimo della tirannia. In un sistema in cui c'è solo denaro digitale del governo, non c'è modo di pagare uno spacciatore, una prostituta o salari fuori dai libri.

 Non esiste una forma di denaro digitale in contanti che possa essere messa in tasca e utilizzata per il pagamento anonimo.                       I sostenitori del denaro digitale fanno gran parte della sua capacità di chiudere la criminalità e l'elusione fiscale.

Il denaro digitale consente un blocco messo sul conto bancario di un alcolizzato per impedirne l'uso per l'acquisto di alcol, e gli acquisti di cibo di una persona in sovrappeso potrebbero essere controllati da come il suo denaro digitale può essere utilizzato. Queste restrizioni imposte alla scelta individuale sono pubblicizzate come misure sanitarie. (In Italia tutto avviene sotto l’egida del Green Pass. Ndr)

Ma dopo tutto questo, rimane il fatto crudo che lo stesso potere trasmesso alle autorità dal denaro digitale può essere utilizzato per controllare totalmente la persona.

 Supponiamo che tu ti opponga all'evaporazione della libertà, o esponga una corruzione, o sfidi una narrazione ufficiale. Il governo può bloccare il tuo accesso al tuo account o bloccarne l'uso per pagare l'alloggio o il cibo e metterti in ginocchio.

Una volta che ci sarà solo denaro digitale del governo, nessuno sarà in grado di sostenere siti web come questo o di organizzare un nuovo movimento politico per sfidare il monopolio dominante. I movimenti di protesta diventano impossibili. Camionisti e agricoltori non sarebbero in grado di acquistare carburante per i loro veicoli. Una volta che c'è solo denaro digitale della banca centrale, il governo può controllare tutti gli investimenti. La libertà è impossibile in un mondo digitale. Ti conformi o muori.

Si potrebbe dire, sì, tutto questo è possibile, ma il nostro impegno per la libertà lo impedirà. Ci sono due cose sbagliate in questa risposta. Uno è che i nostri leader non sono impegnati per la libertà (vedi: paulcraigroberts.org/2022/08/06/the-worlds-business-political-leadership-rejects-freedom/).

L'altro è che sta già accadendo.  In un recente numero di The International Economy, Andreas Dombret e Oliver Wunsch fanno di "The Case for Central Bank Digital Currencies". È tempo di "andare in grassetto", dicono, e di andare avanti con il lavoro.

Per prima cosa capisci che questi due sono operativi dell'élite dominante.

Dombret è stato membro del consiglio di amministrazione sia della Deutsche Bundesbank (la banca centrale tedesca) che della Banca centrale europea. Wunsch era il capo missione del Fondo Monetario Internazionale in Grecia e Cipro e il rappresentante del FMI presso la Banca dei Regolamenti Internazionali e il Consiglio per la Stabilità Finanziaria.

 

Come forse non ricorderete, o mai saputo, alcuni anni fa la Grecia e Cipro sono state sottoposte a crisi finanziarie ingegnerizzate.

A Cipro alle persone è stato negato l'accesso ai loro conti bancari. In Grecia la storia è che il governo è stato corrotto per contrarre prestiti che non potevano essere serviti o rimborsati.

 La Banca centrale europea sostenuta dal FMI ha chiesto alla Grecia di trovare i soldi spostando denaro dall'istruzione e dalla spesa sanitaria al servizio di prestito, liberando più fondi governativi licenziando dipendenti pubblici e svendendo beni pubblici come i porti greci e le utility municipali a investitori privati stranieri, e per consegnare le sue isole protette agli sviluppatori immobiliari.

 L'economia greca crollò. La disoccupazione costrinse molti greci a lasciare il paese. Il Times di Londra ha riferito che così tante donne sono state costrette a prostituirsi che il prezzo è sceso al costo di un panino al formaggio.

La Grecia ha perso la sua sovranità ed è stata posta sotto un governo non eletto.

Ora agli agenti associati al saccheggio della Grecia e alla rovina delle sue donne è stato assegnato il compito di separare ognuno di noi dal controllo del proprio denaro.

 Il problema del contante è che fornisce sovranità agli individui. Le persone possono avere denaro contante in loro possesso al di fuori del sistema bancario. Possono effettuare pagamenti anonimi. Se il governo tirannico sequestra il loro conto in banca, possono sopravvivere fuori dal libro nell'economia di cassa. Ma quando non c'è denaro, perdono la sovranità economica.

Dombret e Wunsch non affrontano il problema in questo modo in quanto ciò darebbe via il loro gioco. Sottolineano l'inconveniente del contante:

"Per i consumatori, immagazzinare la giusta quantità di denaro allo sportello bancario o al bancomat e giocare fisicamente al fornaio o alla macelleria non è conveniente".

Naturalmente, la maggior parte delle persone non paga più in contanti.

Scrivono assegni e usano carte di credito che restituiscono loro parte delle commissioni addebitate al commerciante o danno loro miglia aeree come fa la carta American Express di Delta.

Ma resta il fatto che possono ancora costruire una riserva di cassa per proteggere la loro indipendenza. Una volta che il denaro è sparito, lo è anche l'indipendenza.

(il denaro contante è la libertà. Ndr )

La valuta digitale esiste già in Bitcoin e nei suoi rivali.

Ma queste criptovalute sono private e non forniscono le opportunità di controllo. Dombret e Wunsch scrivono che "bisogna essere scettici sulle iniziative del settore privato" nel denaro digitale, perché gli interessi privati "potrebbero entrare in conflitto con il bene pubblico". In altre parole, Dombret e Wunsch associano "il bene pubblico" al monopolio di tutti i potenti governi che è l'obiettivo del World Economic Forum (la creatura diabolica del demonio Klaus Schwab! Ndr.)

La valuta digitale della banca centrale non esiste ancora. Tuttavia, Dombret e Wunsch lo hanno creato come un concetto in essere dandogli un nome: CBDC. Una volta nominato, ora può apparire.

 Spingono la sua apparizione sottolineando che "la disponibilità di uno strumento monetario che non si basa completamente sulle infrastrutture del settore privato è un importante bene pubblico".

In altre parole, la loro posizione è quella del World Economic Forum, che un sistema controllato da un governo dell'élite è il modello per il Nuovo Ordine Mondiale. Noi peoni dovremmo semplicemente accettare la convenienza del denaro digitale e rinunciare al nostro controllo sui nostri affari.

La mia conclusione è che qualsiasi persona abbastanza stupida da fidarsi del governo con la valuta digitale della banca centrale merita di essere gli schiavi che saranno.

William Engdahl ci dice che il passaggio della Federal Reserve e di altre banche centrali dal Quantitative Easing al Quantitative Tightening scatenerà uno tsunami di distruzione della ricchezza e che la paura che la perdita di ricchezza causerà sarà usata per introdurci in un mondo in cui c'è solo denaro digitale della banca centrale.

Senza alcun dubbio questo significa la fine della libertà e della libertà. La tirannia sopprimerà ogni indipendenza di pensiero, espressione e azione.

Questa volta, come hanno notato tre anni fa l'ex capo della Banca d'Inghilterra Mark Carney, la crisi sarà usata per costringere il mondo ad accettare una nuova valuta digitale della Banca Centrale, un mondo in cui tutto il denaro sarà emesso e controllato centralmente.

Questo è anche ciò che le persone del WEF di Davos di Klaus Schwab intendono con il loro Grande Reset.

 Non sarà buono.

 Uno tsunami finanziario pianificato globale è appena iniziato." – (F. William Engdahl -globalresearch.ca/global-planned-financial-tsunami-has-just-begun/5784217).

 

 

 

 

Il nichilismo come elaborazione

del lutto ideologico.

Publicpolicy.it- (14 Marzo 2022) - Pietro Monsurrò- ci dice :

 

“Dato che la politica non incentiva la razionalità, spesso diventa una fuga dalla realtà. L’ideologia è un mondo virtuale dove tutto è chiaro, le scelte sono semplici, i problemi hanno sempre soluzione: l’idea stessa che il mondo sia così è una fuga dalla realtà.” (da Potere senza responsabilità).

ROMA (Public Policy) – Il XX secolo ha ucciso numerose ideologie. Molti hanno investito tempo ed energie emotive nel convincersi della loro veridicità, e la loro sconfitta storica ha quindi avuto un notevole costo psicologico.

 Ci sono molti modi per elaborare il lutto della sconfitta delle proprie idee: il modo sano è cambiarle con idee migliori, ma questo richiede una intelligenza, una forza d’animo e una dirittura morale non alla portata di tutti.

I grandi sconfitti del XX secolo sono stati il marxismo e il fascismo.

Si è inoltre avuto un arretramento del ruolo della religione, che pesa soprattutto sui più tradizionalisti e conservatori.

C’è infine un altro parziale sconfitto: il liberalismo classico, dato che l’idea di Stato minimo non è sopravvissuta alla pressione della democrazia (ciò vale soprattutto per il libertarismo, più astratto e ideologizzato).

L’adulto correttamente integrato, che supera i suoi sogni adolescenziali e si adegua alle responsabilità della realtà in cui vive, finisce presto o tardi con l’abbandonare certe idee, oppure modificarle, moderarle e arricchirle.

È possibile rimanere di sinistra anche senza credere alle favolette della pianificazione socialista; essere di destra senza volere un impero d’Oltremare; essere liberali senza sperare che esista una strategia efficace per tenere sotto controllo le tendenze degenerative della politica; essere cattolici senza desiderare il ritorno del Papa Re.

Ma questo non accade sempre. Quando non accade, l’ideologia sopravvive allo scontro con la realtà, col risultato di perdere il contatto con quest’ultima.

 Ci si chiude in un mondo di valori, idee e teorie prive di rilevanza e validità, che però proteggono dal dover fare i conti con la realtà.

Il risultato è che l’ideologia, non potendosi aprire al mondo perché ne verrebbe distrutta, sfocia nel risentimento e nel nichilismo: la fine di un’ideologia inadeguata è confusa con la fine del mondo.

Ne risulta una narrazione millenarista e apocalittica: se le mie idee non valgono nulla, tutte le idee e i valori non valgono nulla.

(Così pensano i seguaci del nuovo Dio terreno Klaus Schwab! Ndr )

Una volta abituata la mente ad arrampicarsi sugli specchi, l’improbabile diventa verosimile e l’evidente diventa imperscrutabile. La miseria diventa preferibile alla prosperità; la repressione poliziesca diventa auspicabile rispetto alla libertà personale; l’invasione di uno Stato sovrano diventa una guerra alla degenerazione morale dell’Occidente; il terrorismo islamico una forma di resistenza anti-imperialista; il Covid una banale influenza e il vaccino un farmaco inefficace e pericoloso; l’incapacità di gestire una relazione un complotto contro il genere maschile (incel) o del patriarcato (femministe); le atrocità di regimi disumani una invenzione della propaganda.

“L’uomo”, diceva André Glusksmann, “è l’unico animale capace di farsi stupido”.

Per molti, questo è un costo ragionevole da pagare per non passare all’età adulta. E non capita soltanto su Facebook, ma anche a importanti intellettuali: Noam Chomsky o Carl Schmitt che siano, il lutto per la morte delle ideologie porta molti a negare l’evidente e a difendere l’abietto, e servono notevoli risorse morali e intellettuali per evitarlo. (Public Policy).

 

 

 

La realtà della negazione

e la negazione della realtà.

 

Info.aut.org-( 27 DICEMBRE 2021) -IN PRECARIATO SOCIALE- ci dice:

 

Questo testo è stato scritto e pubblicato in greco nel settembre 2021. Nasce come intervento polemico nel dibattito intorno alle questioni del virus Sars-CoV-2, delle misure e degli strumenti messe in campo per contrastarlo e dell'autoritarismo del governo greco.

 Nasce, soprattutto, dalla sorpresa (e tristezza) per il fatto che molti dei nostri compagni e amici all'interno dell'ambiente radicale abbiano abbracciato un approccio negazionista nei confronti della pandemia, mentre non pochi di loro sono gradualmente scivolati nel pensiero cospirazionista e in assurdità sconvolgenti.

Quello che abbiamo cercato di fare con il testo, quindi, non è stato semplicemente criticare e denunciare tali irrazionalità, ma cercare di capire le diverse ragioni dietro tale regressione.

Così, anche se il testo cerca di rispondere alla domanda su cosa la pandemia di Covid (e la sua gestione) ci dica sul capitalismo contemporaneo e sullo stato, pone anche la difficile domanda su cosa essa ci dica sulle soggettività della fase attuale e sulle condizioni materiali del pensiero e della lotta collettiva.

Poiché questo testo è stato scritto con uno sguardo rivolto al pubblico greco, alcuni passaggi con riferimenti diretti a questioni rilevanti solo per tale contesto sono stati rimossi dalla traduzione.

 Allo stesso tempo, è emerso chiaramente come molti dei punti sollevati possano essere facilmente allargati ad altri paesi. Rispetto all'abbraccio del negazionismo da parte di ambienti radicali, per esempio, i casi in Francia - e forse anche in Italia - sembrano muoversi in traiettorie simili. Le similitudini emerse hanno reso la traduzione del testo uno sforzo meritevole, e ringraziamo i nostri compagni in Francia, Spagna, Germania, Svizzera e Italia per aver espresso il proprio interesse. Tra l'altro, le somiglianze che vengono a galla tra i vari paesi indicano come approcciarsi alla situazione attuale con uno sguardo agli sviluppi storici specifici all'interno della Grecia (come le conseguenze della prolungata austerità e la sconfitta dei movimenti sociali emersi contro di essa), anche se significativo per molti aspetti, può risultare fuorviante se utilizzato per dare priorità ad alcune specificità della situazione greca. Gli effetti combinati della propagazione senza precedenti (su un piano esistenziale e materiale) di un virus contagioso, quasi simultaneamente a livello globale, della paura e dell'incertezza generate da questo evento, così come le diverse modalità attraverso le quali lo stato e il capitale hanno scelto di rispondervi, ci permettono di estendere le nostre osservazioni al di là della Grecia.

Poiché tradurre significa essenzialmente interpretare (e a volte riscrivere), la struttura è stata leggermente modificata per fornire al testo una maggiore fluidità. E sebbene esso sia stato pubblicato quasi due mesi fa, abbiamo scelto di non apporre troppe postille ed aggiornamenti, a parte alcuni commenti che indicano come alcune delle spaventose previsioni ipotizzate si siano purtroppo concretizzate. Abbiamo anche aggiunto alcune frasi o paragrafi chiarificatori per rendere il testo più comprensibile ad un pubblico non greco.

"Non riconoscevo ancora davanti a me stesso la complicità in cui incorre chi, di fronte all'indicibile che è accaduto collettivamente, parla dell'individuale in generale."

- Adorno, Minima Moralia.

 

La comparsa del virus SARS-CoV-2 non ha semplicemente portato ad un arresto dell'economia mondiale per diversi mesi, rivelando un senso di panico tra le fila dei dirigenti di questo mondo.

Né si è limitata ad un insieme di contromisure contraddittorie, di volta in volta attuate o ignorate con uguale zelo. Tra le altre cose, e come ogni grande crisi, la pandemia ha portato alla luce forze e tendenze all'opera nella fase precedente, in maniera evidente o ancora sotto traccia, tanto a livello dei rapporti capitalistici di (ri)produzione, quanto nelle sfere più ristrette della vita sociale, come gli spazi politici radicali.

Prendendo l'esempio della Grecia, la crisi generata dal Coronavirus non solo ha messo in luce la decisione dello stato di agire come meccanismo di smistamento piuttosto che di integrazione, nonché il livello di miseria del sistema sanitario dopo anni di tagli e austerità; ha anche portato in superficie le mutazioni occorse all'interno degli ambienti di estrema sinistra/radicali dopo un decennio di sconfitta e riflusso.

Come abbiamo avuto modo di scoprire, ad essere minati durante il periodo di austerità non sono stati solo i salari, le pensioni e i servizi, ma il concetto stesso di collettivo. Le conseguenze di un tale sviluppo sono oggi ben visibili: di fronte ad un governo di estrema destra che consolida il suo percorso autoritario attraverso la distruzione irreversibile della natura, gli abusi e gli omicidi di immigrati e la gestione disastrosa del Coronavirus, frazioni del movimento radicale hanno visto nella negazione della pandemia un campo d'azione e resistenza.

Il fatto eccezionale che una percentuale senza precedenti della popolazione mondiale fosse costretta nello stesso momento a confrontarsi con la crisi in corso, non ha contribuito che in minima parte a ridimensionare l'orizzonte limitato di molti radicali.

Così, in una situazione in cui i governi di tutto il mondo, nel promuovere la "responsabilità individuale", facevano del loro meglio per mantenere aperta l'economia e tentavano di distrarre l'attenzione dall'ovvio collasso dei sistemi sanitari pubblici, dopo decenni di "razionalizzazione" (cioè asfissia fiscale), molti radicali hanno reagito mettendo in discussione la nozione stessa di salute pubblica.

 In una situazione di mala gestione criminale che ha condotto a centinaia di morti evitabili, molti radicali hanno pensato fosse preferibile mettere in discussione l'esistenza stessa della pandemia. Di fronte all'orrore continuo di persone in lotta per respirare, molti radicali continuano a negare i pericoli associati al virus.

Le malattie contagiose differiscono dalle altre malattie in modo sostanziale: sono per definizione, sociali. Presuppongono il contatto, la coesistenza, una comunità – per quanto alienata. Tuttavia, quello che la pandemia SARS-CoV-2 ci ha mostrato è come, nel periodo storico in cui ci troviamo, le relazioni sociali siano percepite come vuoto opprimente tra individui solidi, chiusi e inviolabili. Individualità autodeterminate, non negoziabili, non contagiose. A questo punto, fa poca differenza che questa difficile situazione venga interpretata come espressione maggioritaria di un carattere narcisista, o di un immaginario (neo)liberale che mistifica il carattere sociale delle relazioni capitaliste e dei soggetti che le riproducono.

La critica radicale punta a smascherare il vuoto reale, in questo caso costituito proprio da questa individualità. La critica radicale percepisce le relazioni sociali come relazioni, cioè come connessioni tra persone, indipendentemente dal fatto che queste non siano prodotte e riprodotte liberamente e consapevolmente. Questo non impedisce loro di essere relazioni. Né dà credito all'idea che il nucleo centrale della realtà sociale sia l'individuo.

Nessuno ha una relazione individuale con una malattia contagiosa. Ne consegue che nessuno può entrare in relazione con essa sulla base di decisioni puramente personali. Questo è ciò che ci permette di parlare di negazionisti, un termine utilizzato per descrivere tanto coloro che negano l'esistenza della pandemia o il pericolo che essa rappresenta, quanto coloro che rifiutano di riconoscere il carattere sociale della nostra esistenza all'interno della società capitalista. Il più delle volte, come mostreremo, queste due forme di negazione risultano interconnesse.

Non è un caso che, indipendentemente da come la crisi attuale venga tradotta politicamente, queste forme di negazione siano onnipresenti, e determinino il quadro fondamentale in cui si svolgono tutte le obiezioni contemporanee. Tuttavia, esse non vengono mai espresse con franchezza. Al contrario, la maggior parte dei negazionisti finge che la loro critica riguardi la gestione della pandemia. E mentre va da sé che questa gestione sia stata (e continui ad essere) catastrofica, rimanere in questo quadro risulta fuorviante. Criticare la gestione della pandemia negando la sua esistenza o il pericolo che comporta è esso stesso, a dir poco, un approccio catastrofico. Questo non è solo visibile nell'adozione acritica (e a volte inconscia) di cospirazioni reazionarie proto-fasciste; più importante forse, è come essa rifletta e promuova una comprensione estremamente distorta del capitale, dello stato e del concetto di esistenza collettiva. Questo, di per sé, non rappresenta certo una novità all'interno della sinistra e degli ambienti radicali. Ma questa è forse la prima volta che queste distorsioni generano tali fratture esistenziali all'interno delle sue file.

Per tutte queste ragioni, e prima di procedere con un'analisi delle ragioni più profonde di tale negazione, vale la pena dare un'occhiata più da vicino a ciò che è stata (e non è stata) esattamente questa gestione della pandemia SARS-CoV-2, soprattutto in relazione alla nuova fase rappresentata dalla campagna vaccinale.

(Mala)Gestione della pandemia.

Nel bel mezzo della stagione turistica estiva 2021, e dopo aver sostanzialmente abbandonato molte delle misure di contenimento della pandemia (tracciamento, distanziamento sociale, quarantena) che, nel periodo precedente, erano state imposte con un fervore repressivo senza precedenti, il governo greco ha seguito l'esempio di molti altri paesi, concentrando la sua attenzione sulle vaccinazioni. Ciò significava imporre una serie di nuove disposizioni da attuare gradualmente dall'inizio di settembre.

La più significativa è stata l'introduzione della vaccinazione obbligatoria per gli operatori sanitari, sia nel settore pubblico che in quello privato, con la sospensione (senza stipendio né copertura assicurativa) dei non-vaccinati.

Negli altri settori (come la ristorazione, il turismo, l'educazione, lo spettacolo e il mondo accademico) per coloro senza copertura vaccinale è stato reso obbligatorio un test negativo una o due volte a settimana, il cui costo è stato trasferito a carico del soggetto stesso (invece di essere sovvenzionato dallo stato, come accadeva prima delle nuove disposizioni).

 Inoltre, i test negativi sono stati resi obbligatori anche per i viaggi sulla lunga distanza sui trasporti pubblici e per l'ingresso nei luoghi pubblici, ad eccezione di ristoranti, luoghi di svago e centri sportivi, dove solo vaccinati o i guariti dal Covid sono autorizzati ad entrare.

Gli alunni non vaccinati devono sottoporsi a due autotest a settimana, disponibili gratuitamente. Allo stesso tempo, il governo ha permesso ai datori di lavoro di richiedere la prova delle vaccinazioni (o test negativi) ai loro dipendenti, la cui inadempienza comporta una multa con importi variabili a seconda della portata e del campo di attività dell'azienda. In questo modo, una parte importante dell'applicazione delle misure è stata essenzialmente trasferita al settore privato, ad indicare un ritiro indiretto dello Stato dalla cosiddetta "campagna vaccinale".

 

La propaganda di stato ufficiale utilizzata per giustificare queste nuove misure è stata, come al solito, piuttosto fuorviante. Ponendo l'accento sul calo, senza dubbio significativo, del tasso di vaccinazioni durante il periodo estivo, senza tuttavia ammettere alcuna responsabilità per la sua ridicola gestione, è emerso chiaramente come il governo sperasse di attribuire il significativo aumento dei nuovi casi (così come il conseguente aumento dei ricoveri e dei decessi) esclusivamente ai non vaccinati (una categoria confusa, che raramente fa distinzione fra coloro che rifiutano consapevolmente la profilassi e quelli non idonei alla somministrazione).

 In questo modo, la decisione criminalmente stupida di abbandonare di fatto tutte le altre contromisure durante il periodo turistico è sparita dalla scena. V'erano pochi dubbi che questa stessa "strategia" avrebbe caratterizzato anche la gestione della pandemia dopo il periodo turistico.

Basato sull'irresponsabile diffusione della percezione del vaccino come lasciapassare e sull'abolizione di tutte le restrizioni (in barba a tutte le più affidabili evidenze scientifiche), il principio guida del governo è stato quello di cercare di evitare, a tutti i costi, un nuovo lockdown generale. Di fronte al tasso di trasmissibilità più elevato della mutazione Delta, così come al fatto che le vaccinazioni proteggano significativamente dalla malattia grave o dalla morte ma non eliminino la contagiosità, è più che certo che l'inverno in arrivo sarà devastante. La combinazione di una nuova mutazione, di un'alta percentuale di non vaccinati (la Grecia ha il tasso di vaccinazione più basso dell'Eurozona) e di un ulteriore indebolimento (attraverso, tra l'altro, le sospensioni del personale sanitario non vaccinato) di un sistema sanitario già sovraccarico nell'ultimo anno e mezzo, rende inevitabile prospettare uno scenario da incubo.

Il fatto che il governo, trasferendo tutta la responsabilità ai non vaccinati, sembri convinto di poter eludere le critiche per questa catastrofe preannunciata, dimostra ancora una volta come la preoccupazione principale di questa cricca si limiti ad una mera questione di comunicazione e di limitazione del danno, senza alcuna strategia significativa o a lungo termine.

In risposta alle nuove disposizioni statali e alla continua gestione contraddittoria della pandemia, ha preso piede, con più forza rispetto alla fase precedente, un movimento di stampo negazionista. Utilizzando la vaccinazione obbligatoria degli operatori sanitari come base di partenza, questo movimento risulta tutt'altro che omogeneo. Come altrove, spazia dall'estrema destra ai preti ortodossi, e dalla sinistra/anarchici agli stessi operatori sanitari. Ciò che collega affiliazioni politiche così divergenti non è, come alcuni amano far credere, il loro comune rifiuto delle politiche autoritarie del governo. È piuttosto la negazione della pandemia e/o del pericolo rappresentato dal virus, l'invocazione della libertà individuale contro le misure esistenti o disponibili, e la rappresentazione della pandemia come un pretesto per l'imposizione di una moderna distopia da parte delle élite (identificate alternativamente come Big Pharma, Big Tech, la classe politica in qualità di "venditori cinici e senza vincoli morali", un nuovo ordine mondiale o il "globalismo" diretto dal satanico Klaus Schwab). Alla base di queste tendenze, troviamo un profondo fraintendimento tanto della relazione capitalista quanto del ruolo dello stato all'interno di essa.

Una riproduzione contraddittoria.

Da una certa prospettiva, per comprendere appieno le cause più profonde della gestione della pandemia, appare necessario sottolineare come lo stato rappresenti la forma politica dei rapporti sociali di produzione capitalista.

 Dato che questi rapporti sono per definizione contraddittori, tali contraddizioni si manifestano anche a livello della politica statale. Nel contesto del dispiegarsi di una pandemia senza precedenti, per esempio, la necessità di riprodurre una forza lavoro sana e produttiva può entrare in conflitto con l'esigenza di una prosecuzione senza interruzioni dello sfruttamento capitalista. Detto diversamente, la necessità della riproduzione materiale di tutti gli elementi costituenti il rapporto capitalista può contraddire l'esigenza di incrementare la creazione di valore e la redditività. In base a questo criterio, la redditività diretta e a breve termine delle imprese capitaliste (anche di quelle dominanti) può entrare in conflitto con il mantenimento a lungo termine del rapporto che le sottende. Questa contraddizione è emersa rapidamente sia nei termini di un conflitto sulla linea politica da assumere sia nella natura contraddittoria delle politiche perseguite.

Lo stato è responsabile dell'attuazione di una serie di politiche per sostenere l'accumulazione capitalista, come l'aumento della produttività del lavoro, l'adattamento della forza lavoro ai bisogni del capitale, il perfezionamento della divisione del lavoro e la riduzione dei costi di riproduzione. Ma si preoccupa anche della propria legittimità, e di quella dei rapporti sociali di sfruttamento che sorregge. La coesistenza di queste tendenze è diventata, durante la pandemia, esplosiva. In ultima istanza, le politiche che hanno prevalso non hanno rappresentato altro che un temporaneo bilanciamento di queste contraddizioni, senza mai essere in grado di superarle.

Al momento, non c'è dubbio che ogni governo voglia evitare a tutti i costi nuove misure restrittive generali che danneggino ulteriormente un'attività economica già vacillante. Questa tendenza era già stata evidente durante il secondo lockdown greco, nel novembre 2020, quando, nel tentativo di creare il minor danno possibile al processo lavorativo e all'accumulazione, soprattutto in quei settori ritenuti vitali per l'economia greca (come il turismo), le misure erano risultate già meno restrittive che nel primo lockdown.

Mirando invece alle attività non direttamente produttive della popolazione, la seconda serrata si era concentrata quasi esclusivamente sulle attività del tempo libero, reprimendo anche qualunque mobilitazione collettiva.

La contraddizione intrinseca tra il bisogno di isolamento sociale e quello di concentrazione del lavoro per il mantenimento della produzione e della distribuzione economica, ha determinato fin dall'inizio la forma organizzativa del lato (non clinico) della gestione pandemica. Infatti, è ormai abbastanza ovvio come l'iniziale sospetto e indifferenza mostrata dai paesi occidentali verso l'allerta sull'arrivo di un nuovo virus contagioso possa essere spiegata con le drammatiche previsioni di crollo del PIL globale, di blocco delle catene di approvvigionamento, di sospensione del commercio e tutte le altre difficoltà inerenti all'interruzione della produzione di lavoro e valore.

Un approccio simile può essere utile anche per spiegare l'adozione finale di mezze misure contraddittorie, la cui potenziale efficacia risultava minata fin dall'inizio:

 il mantenimento dell'apertura della maggior parte dei luoghi di lavoro con controlli essenzialmente inesistenti e l'indifferenza (pseudo-scientificamente giustificata) verso i trasporti pubblici come evidenti cluster di contagio (mentre venivano pesantemente sorvegliati gli spazi pubblici all'aperto), sono tutte prove chiare a supporto di questo.

Ciò che risulta altrettanto preoccupante, tuttavia, è come questa contraddizione piuttosto diretta tra diversi aspetti della relazione capitalista e lo stato sembri aver messo a dura prova le capacità concettuali di alcuni radicali, portando ad interpretazioni centrifughe di rifiuto sia delle (semi)misure del governo che della pandemia stessa. Dal loro punto di vista, il fatto che i governi usino la pandemia come scusa per intensificare la propria stretta autoritaria sulla società è indicativo del fatto che non esista alcuna pandemia.

In alternativa, ammettendo che questa esista, essa risulterebbe pericolosa solo per una ristretta e già vulnerabile percentuale della popolazione. Il più delle volte, questa categoria è correlata costantemente (ed erroneamente) all'età. In base a questo approccio, non esisterebbe alcuna ragione discernibile per l'imposizione di una qualunque misura generale, se non l'autoritarismo.

 L'alta trasmissibilità, il rischio e la significativa mortalità del nuovo virus vengono così trasformati concettualmente in un problema semplice e gestibile, facilmente risolvibile con una “protezione” degli anziani vulnerabili (già strutturalmente messi da parte), ovvero con una loro rimozione dal nostro campo visivo. Qualsiasi altra misura, sostengono i negazionisti, avrebbe il solo scopo di estendere il controllo e la disciplina dello stato.

Nei primi giorni della pandemia, la combinazione di una mancanza di dati affidabili, di un'incredulità esitante rispetto alla distopia in corso, e di raccomandazioni elargite da parte di organizzazioni ed istituzioni già delegittimate, hanno giocato un ruolo cruciale nella creazione di tali narrazioni. Più critica, tuttavia, si è rivelata la loro adozione da parte di soggetti con una pretesa "autorità" scientifica. Già nel marzo 2020, per fare un chiaro esempio, in un frangente nel quale la maggior parte della popolazione non era ancora al corrente dell'esistenza del virus Sars-Cov-2 e della minaccia in arrivo, John Ioannidis pubblicò un articolo che metteva in guardia contro misure esagerate di contrasto alla pandemia, non efficaci e potenzialmente disastrose.

L'argomento centrale era quello apparentemente ovvio, che non esistessero abbastanza prove per giustificare misure drastiche come l'isolamento, le mascherine e il distanziamento sociale.                                             In maniera un po' sconcertante, questa mancanza di dati non impediva a Ioannidis di suggerire come nessuna misura significativa dovesse essere presa. Pur con la parvenza di solide argomentazioni scientifiche, le affermazioni di Ioannidis in realtà rappresentavano un rifiuto specifico (e politicamente discernibile) dei protocolli esistenti di gestione della pandemia.

 Appurato come le mutazioni dei virus influenzali avvengano più o meno ogni decennio, i protocolli di salute pubblica esistenti negli Stati Uniti (e, per estensione, in altri paesi) sono stati largamente strutturati su un approccio che privilegia misure drastiche nei primi giorni di contagio, piuttosto che permettere ai virus di diffondersi, spesso con tassi di crescita esponenziali, fino a renderne impossibile la gestione.

Non serve particolare intuito per immaginare gli effetti economici dell'attuazione di un tale protocollo. Per questo motivo, obiezioni come quelle sollevate da Ioannidis non rappresentano solo semplici disaccordi tecnici o scientifici con i protocolli esistenti. Piuttosto, la riluttanza verso l'applicazione di tali misure viaggia in parallelo con la contraddizione centrale prima identificata, cioè quel compromesso fra attività economica e redditività diretta (colpita dalle chiusure) da un lato e la riproduzione allargata degli elementi chiave del rapporto di capitale dall'altro. Ioannidis, e altri come lui, hanno sposato una parte specifica di questa contraddizione.

Eppure, nonostante la graduale consapevolezza della necessità di un blocco delle attività economiche per prevenire l'ulteriore diffusione del virus e le sue disastrose conseguenze per la totalità dell'economia capitalista, argomenti come quelli di Ioannidis hanno da allora definito il quadro centrale del negazionismo: la rappresentazione persistente (e contraria ai dati reali) del SARS-CoV-2 come semplice influenza; la messa in discussione cospiratoria del suo tasso di mortalità; l'uso selettivo, male interpretato o addirittura falsificato dei dati statistici, volto a minimizzarne i rischi; la promozione dell'idea che solo le persone anziane con un sistema immunitario compromesso siano in pericolo.

 Tutti questi argomenti, che da allora sono stati ripetuti all'infinito dai negazionisti di tutto il mondo, sono tutti presenti nell'articolo di Ioannidis del marzo 2020.

Nel panorama greco, tali approcci sono stati ulteriormente rafforzati dalle particolari circostanze della prima ondata della pandemia. All'epoca, la rapida imposizione di misure rigorose da parte del governo, quasi in preda al panico, il fatto che l'epidemia fosse scoppiata in un periodo non turistico dell'anno, con limitati viaggi internazionali, e la preoccupazione generalizzata della popolazione sulla tenuta di un sistema sanitario pubblico già decimato da un decennio di austerità (fatto che ha favorito una prudenza auto-imposta), hanno fatto sì che la Grecia abbia superato i primi mesi con un numero piuttosto limitato di casi, ricoveri o morti (rispetto all'Italia, per esempio).

Questo successo (temporaneo) si è poi trasformato in un peculiare “bias” di conferma, generando la falsa impressione che la pericolosità del virus fosse gonfiata, e alimentando le argomentazioni dei negazionisti, che, comunque, continuano ad insistere sul fatto che il loro sia un rifiuto della gestione governativa.

In ogni caso, questi bassi tassi iniziali hanno portato ad un conseguente allentamento delle misure, facilitato dalla volontà del governo di riaprire durante la stagione turistica 2020, e che ha condotto direttamente alla seconda ondata di fine ottobre 2020. Quando fu chiaro che un atteggiamento così disinvolto non fosse solo sbagliato ma disastroso, era già troppo tardi; non solo per le migliaia di persone che si sono ammalate e le centinaia di persone che sono morte a causa di un virus ancora presentato come una semplice influenza, ma anche per tutti i negazionisti, che hanno continuato a interpretare la situazione sulla base dell'esperienza della prima ondata, innalzando saldamente i loro paraocchi ideologici e approcciandosi ai successivi sviluppi attraverso il filtro del rifiuto.

Le realtà divergenti della gestione pandemica.

L'illusione comune che approcci come quello di Ioannidis o la ampiamente diffusa Dichiarazione di Great Barrington siano stati "messi a tacere" o ignorati, presuppone un livello sconcertante di negazione, visto e considerato come tali posizioni abbiano chiaramente condizionato il quadro d'azione di capi di stato come Trump, Bolsonaro e Johnson.

Fino a un certo momento, almeno. La costante minimizzazione della necessità di misure anti-Covid e della realtà e pericolosità del Sars-Cov-2 alla fine è entrata in conflitto diretto con il tremendo aumento dei casi e il conseguente numero di ricoveri e di morti, costringendo anche questi governi ad adottare una qualche forma di chiusura e distanziamento sociale, e portando anche al blocco delle catene di approvvigionamento internazionale.

Il ragionamento è abbastanza semplice: la promozione della redditività diretta e la difesa più ampia del rapporto di capitale non sono mai stati obiettivi identici. L'inclinazione dell'equilibrio tra i due riflette, tra le altre cose, il livello e l'intensità delle lotte sociali e le questioni di legittimità. Ma l'abbandono assoluto e consapevole della possibilità di una riproduzione più ampia del rapporto capitalista per favorire una parte del capitale privato, o, peggio ancora, un qualche astratto proposito di disciplinamento, non è mai stato in discussione.

Allo stesso tempo, l'approccio inverso, promosso da molte componenti della sinistra, risulta altrettanto errato. Lo stato non costituisce un meccanismo neutrale che, alle giuste condizioni o con un diverso governo, possa essere messo al servizio dei lavoratori. La critica radicale non glorifica un polo statale ansioso di riprodurre complessivamente il rapporto capitalista, né si illude che un rafforzamento del meccanismo statale possa rappresentare una qualsivoglia vittoria per "il popolo", concetto condensato e congruente come mai ce n'è stato uno.

Quando lo Stato erige barriere all'accumulazione di capitale privato, non lo fa per difendere il proletariato dallo sfruttamento selvaggio. Lo fa perché il suo ruolo consiste anche nel garantire la sopravvivenza a lungo termine del rapporto capitalistico, e questo spesso si scontra con i piani a breve termine del (singolo) capitalista privato, indipendentemente dalla quota di surplus da esso prodotto.

 Lo stato interviene per alleviare la pressione sociale o, in sua assenza, si adopera di fronte ad una percepita incapacità di risolvere le rivalità intra-capitalistiche, per evitare che queste finiscano per minacciare il relativo equilibrio tra l'accumulazione del capitale privato ed una riproduzione più ampia. Non abolisce questa relazione.

Tuttavia, né le leggi che regolano il funzionamento del capitale privato (l'aumento perpetuo della redditività a tutti i costi), né il difficile equilibrio che la mediazione statale è chiamata a mantenere, sono preparati o adatti ad affrontare una grave crisi. Il capitale privato che non riesce ad ottenere benefici (nonostante l'assistenza comune garantita dal quadro giuridico e politico dello stato) sarà sacrificato sull'altare della competitività, mentre esistono molti esempi di come l'incapacità di uno stato a mantenere questo necessario equilibrio abbia minato le sue basi stesse, trasformandolo in uno stato fallito. In ogni caso, il tentativo di mantenere l'economia aperta, e di dare così la priorità ad un lato del rapporto di capitale, alla fine ha mostrato i suoi limiti, rendendo necessaria la protezione della sua riproduzione ad un livello più ampio.

Di fronte a questi sviluppi, ci si aspetterebbe che gli ostinati riduzionisti del Coronavirus a semplice influenza, una minaccia solo per gli anziani, si fermassero a pensare e riflettere.

Se non altro, un tale approccio parrebbe già minato dal semplice fatto che i dirigenti dell'economia mondiale siano stati costretti (per quanto a malincuore e tardivamente) a bloccare l'attività economica per mesi e a sconvolgere i meccanismi di produzione, distribuzione e redditività, arrivando ad approvare anche l'innalzamento (fino a quel momento fatto impensabile) del debito pubblico come arma necessaria per affrontare le conseguenze di un tale disordine economico senza precedenti. Orientata al sostegno finanziario per i disoccupati o i licenziati, così come ai considerevoli investimenti (pubblici) per la ricerca sui vaccini, questa demolizione dell'ortodossia economica è avvenuta in un periodo in cui anche le economie più dinamiche (come Stati Uniti o Germania) risultavano già alle prese con una prolungata stagnazione economica e con bassi tassi di crescita. Il punto centrale del perché esattamente una chiusura così drammatica dell'economia mondiale fosse necessaria per far avanzare l'autoritarismo resta una questione ancora elusa dalle posizioni negazioniste.

Quello cui abbiamo assistito, invece, è stato un notevole incaponirsi, interpretabile solo come l'ennesima espressione di confusione che regna riguardo al funzionamento dell'economia capitalista e dello stato, questa volta sposata ad un quasi incontrastato individualismo. Al posto della riflessione, si è cominciato a produrre tutta una serie di teorie complementari, che vanno dalle cospirazioni di estrema destra/antisemite intorno al 5G e a Bill Gates, fino alle narrazioni di sinistra o anarchiche su Big Pharma, Big Tech, nuovi totalitarismi, "apartheid sanitari" e sull'imperativo di "disciplinare" il proletariato.

Nonostante le differenze di contenuto ed enfasi, tutte queste teorie mantengono lo stesso punto di partenza: l'insistenza su come il virus non sia altro che un pretesto e, come tale, non rappresenti in sé una vera minaccia. Le differenze fra esse risiedono al massimo nel ragionamento su cosa rappresenti realmente questo "pretesto".

L'emergere della pandemia di SARS-CoV-2 non ha costituito uno shock esogeno per una altrimenti stabile normalità. Essa rappresenta sia la logica conseguenza dell'economia capitalista e dei vari modi con cui "la produzione capitalistica si rapporta al mondo non umano a un livello più fondamentale: in breve, come il “mondo naturale”, compresi i suoi substrati microbiologici, non possa essere compreso senza fare riferimento al modo in cui la società organizza la produzione"; sia un evento verificatosi in un periodo storico già caratterizzato dal difficile superamento di una prolungata crisi economica, esacerbata, in casi come la Grecia, dai già devastanti effetti di un decennio di austerità.

Soprattutto in luoghi come la Grecia, tali effetti emergono su più livelli. Da un lato, bisogna ricordare come la giustificazione ideologica per la dura fase di austerità, che nessuna rivolta proletaria è stata in grado di contenere, sia stata inquadrata in nome dell'interesse generale.

La sconfitta finale dei movimenti sociali che tentarono di opporvisi sta ad indicare come la politica unilaterale di classe di questo "interesse generale" non ha prodotto un rafforzamento delle lotte proletarie contro il capitale e lo stato. L'impossibilità a mantenere una comunità di lotta contro le misure di austerità, dopo l'effettiva sconfitta delle mobilitazioni contro i memorandum nell'inverno del 2021, ha giocato un ruolo decisivo. Ciò a cui abbiamo assistito è stato invece il consolidamento di un ripiegamento su forme (preesistenti e socialmente filtrate) piccolo-borghesi di associazione e socializzazione fisica ristretta (la famiglia, le piccole cerchie di amici, il caffè locale) sulle quali, in contrasto con l'esplosione di esperienze collettive del periodo precedente, è più facile mantenere una forma di controllo sociale orizzontale, e dove l'emergere aggressivo dell'identità individuale, segregata ma glorificata, è quasi ineluttabile.

Lo sfondo sociale della pandemia.

In questo contesto, le sconfitte accumulate e la perdita di prospettiva hanno minato significativamente la nozione di collettivo, sia come realtà sociale che come condizione necessaria per la resistenza alla macchina capitalista. Questo non vuol dire, naturalmente, che prima della crisi il concetto di esistenza e mobilitazione collettiva non fosse spesso tradotto e vissuto come sostegno a partiti/organizzazioni politiche (per la sinistra extraparlamentare e parlamentare), o riferito al concetto vago, temporalmente ricorrente ma costantemente fugace di  "insorti" (per il milieu anarchico/anti-autoritario).

Ma sebbene la ritirata dei movimenti sociali sia servita a rafforzare tali separazioni, vale la pena notare come il sentimento generalizzato di riflusso seguito alle sconfitte abbia condotto ad ulteriori frammentazioni. Se questo è diventato ovvio a sinistra con l'elezione di Syriza nel 2015, con la sua serie infinita di spaccature e divisioni legate alla vicinanza al nuovo apparato statale, parti significative del milieu anarchico hanno utilizzato questo sviluppo come un'arma a conferma dell'isolamento antisociale, e della convinzione che non esista, di fatto, una posta in gioco collettiva, ma solo individui ribelli che si muovono in piccole forme organizzative o attraverso reti informali di amicizia.

C'è una certa inevitabilità storica a tali riflussi e ritorni al privato dopo una grande crisi ed una sconfitta cruciale delle rivendicazioni collettive. Ma i suoi effetti negativi possono anche essere in qualche modo mitigati: in primo luogo con un riconoscimento delle sue cause di fondo e della loro contingenza e, in secondo luogo, con un tentativo cosciente di resistere al radicamento di questa marginalizzazione come unica posizione possibile di contemplazione del sociale. In ogni caso, la resistenza a tali tendenze verso posizioni di debolezza ed isolamento può essere confermata (o smentita) solo all'interno del successivo ciclo di lotte. In questo senso, se il periodo della pandemia ci offre qualche indicazione, essa è di carattere negativo.

Per una parte significativa del movimento antagonista, il graduale abbandono di una visione collettiva ha lasciato il posto o ad un consolidamento ed una difesa essenziale dell'autonomia (individuale) e dell'autodeterminazione, o all'attivismo segregato della setta politica.

 In questo ambiente, il sociale è stato visto come un intervento esogeno o, peggio ancora, un'invenzione ideologica in tandem con l'autoritarismo statale. Come reso ben chiaro nei propri focus ed interventi, gran parte del movimento antagonista non riconosce alcun reale problema di salute pubblica – fermo restando che esista, nei fatti, un qualche significato praticabile del concetto stesso di "salute pubblica". Al contrario, essi identificano solo un tentativo di disciplinamento "biopolitico" e, a ruota, una serie di esagerazioni di stampo statale, o determinate dall'industria farmaceutica, volte a trasformare una questione riguardante solo una categoria ristretta di anziani e vulnerabili in un campo di prova per trasformazioni durature a livello sociale.

Nel dipingere coloro che prendono sul serio la pandemia come accaniti (o ingenui) sostenitori dell'autoritarismo statale strisciante, tuttavia, i negazionisti hanno essenzialmente consentito allo Stato di presentarsi come esponente responsabile e razionale dell’"interesse generale" di fronte all'individualismo irrazionale.

L'estensione infinita della libertà individuale come punto di opposizione ad un malessere collettivo come la pandemia, rafforza il quadro di una guerra di tutti contro tutti, permettendo allo stato di apparire come un mediatore (più) razionale; e questo in un periodo di crescente insoddisfazione e rabbia per gli scandalosi fallimenti dell'apparato statale e per la sua gestione della pandemia.

Invece che un movimento sociale che lotti tanto contro una gestione orientata a minimizzare il blocco della produzione economica, quanto per un accesso universale e incondizionato alle opzioni protettive esistenti (dai vaccini all'astensione remunerata dal lavoro) e ad un'assistenza sanitaria più estesa, assistiamo allo sviluppo di tendenze che rivendicano, in nome della "libertà" e dell'autodeterminazione, il diritto di fingere che la Sars-CoV-2 non esista.

Un ammasso di individualità.

Dietro l'uso di concetti come "autodeterminazione del corpo" e difesa del diritto di scelta individuale, scorgiamo l'antropologia disperata di un'individualità soggiogata, perennemente in balia di forze oggettive, e di fatto incapace persino di costruire un'apparenza di esistenza collettiva al di là dell'illusoria aggregazione di individualità.

La libertà individuale non riesce a sfidare il quadro fondante della sua impotenza, estromettendo anche ogni obbligo, impegno, responsabilità e conseguenze legate all'esistenza collettiva.

Se è vero che i legami sociali possono diventare un ostacolo, essi esprimono comunque delle connessioni tra le persone e sono quindi, potenzialmente, un campo di emancipazione.

C'è un'ulteriore ambiguità dialettica dietro al concetto stesso di libertà individuale. Per quanto sia arrivato a rappresentare, storicamente parlando, un rifugio sicuro contro l'autoritarismo clericale e feudale, ha rappresentato ugualmente un veicolo per l'incorporazione delle relazioni sociali capitalistiche di separazione, mediate non dalla religione o dal diritto divino dei re, ma attraverso le categorie astratte della legge e del mercato.

Nella misura in cui il contenuto del negazionismo radicale contemporaneo non finge neppure l'implicazione di un impegno o di un riconoscimento delle sue conseguenze sociali, i suoi limiti e il suo orizzonte impoverito appaiano chiari, emergendo come schlechte Aufhebung dell'individualismo borghese.

 Se il liberalismo si sforza almeno di conciliare il vuoto dell'individuo isolato facendo appello alle sue universalizzazioni astratte (la legge e il mercato), nessun tentativo del genere viene fatto oggi.

All'interno di questa cornice, possiamo scorgere anche la forma mentale dell'individuo narcisistico moderno, con i suoi tentativi istintivi di mantenere la propria integrità contro le incessanti minacce di disintegrazione prodotte dalle pressioni del mondo contemporaneo, di cui egli è, ovviamente, un prodotto diretto.

 Proprio perché il narcisismo rappresenta la perdita del sé e non la sua autoaffermazione, esso è accompagnato da un'apatia selettiva verso la vita collettiva, che punta ad un'abolizione pratica dell'empatia.

Allo stesso tempo, il contraddittorio senso di impotenza dell'individuo porta anche alla formazione di una difesa reattiva che genera sentimenti di superiorità sugli altri. In modo apparentemente paradossale, la discolpa e il predominio della libertà individuale come contrappesi all'autoritarismo statale portano all'eclissamento della soggettività individuale.

Le persone possono funzionare come soggetti individuali (e non come astratte unità reificate) solo all'interno di processi e di relazioni collettive non mediate dal denaro, dal mercato e dallo stato, barlumi dei quali abbiamo fatto esperienza negli antagonismi di classe e nelle comunità di lotta sconfitte e dissolte nel decennio precedente.

Nonostante le affermazioni dei negazionisti e gli appelli alla "libertà", se il concetto di realtà, ed il significato che esso ricerca, risultano in definitiva questioni personali e soggettive, senza alcun riferimento a qualcosa al di fuori dell'immediata esperienza personale, esse falliranno miseramente nl tentativo di offrire un rifugio o un supporto.

La costituzione del sé e della libertà individuale come vettore di resistenza produce un sé tormentato da sentimenti di umiliazione e perdita di controllo, che cerca una "restaurazione della giustizia" con ogni mezzo, e si scaglia contro tutto ciò che sta al di fuori del suo esteso senso d'identità. In questo processo, essa produce anche un'immagine distorta dello stato, del mondo capitalista e di coloro che percepisce come alleati o nemici.

Legato al linguaggio dei diritti e alla richiesta di autonomia tipico di un'individualità intesa come proprietà privata inviolabile, il punto di vista dell'emancipazione sociale attraverso l'abolizione della società di classe e della proprietà capitalista viene abbandonato, precludendo così un attacco collettivo contro la combinazione di pericoli rappresentata da un virus infettivo e dal costo umano delle contraddizioni capitaliste.

Inoltre, coloro che inveiscono contro le restrizioni e le conseguenze negative dell'isolamento, rifiutando allo stesso tempo la realtà della pandemia, distolgono anche l'attenzione dal fatto che la libertà individuale, all'interno della società capitalista, è già qualcosa di formale e limitato.

Nessuno sceglie liberamente e consapevolmente, dopo attenta riflessione, di andare a lavorare ogni mattina, né ha accesso diretto al modo in cui questo processo è organizzato. Le persone sono costrette a farlo per sopravvivere, e sono solo le loro lotte collettive a determinare i margini entro cui questa coercizione risulterà più o meno diretta e violenta. In questo contesto, il negazionismo non è (e non può essere) un campo di antagonismo contro la forma statale o i rapporti capitalistici in sé, ma un tentativo di proteggere una certa normalità contro un'oscura disarmonia (la pandemia globale). Per i negazionisti, la pandemia viene a rappresentare il brutto sogno di una società già incatenata, che lotta per il suo diritto al sonno.

Prima dell'emergere della pandemia di SARS-CoV-2, solo una manciata di anti-vaccinisti militanti con salde opinioni, già estremamente confuse, avrebbe considerato la vaccinazione obbligatoria degli operatori sanitari come espressione di un nuovo ordine autoritario emergente.

 Se si togliesse di mezzo la SARS-CoV-2, infatti, risulterebbe subito evidente come solo degli sciocchi ottusi potrebbero sostenere per davvero che l'adozione di misure protettive contro le malattie infettive debba essere delegata al campo delle scelte personali, soprattutto considerando come tali "scelte", anche tra i professionisti della salute, tendano a essere plasmate dalla cloaca dei social media, gonfiate da ideologie reazionarie e inquadrate attraverso il caleidoscopio dello sterile individualismo.

Sullo sfondo dell'istituzione immaginaria di una tale autonomia dell'io e di un approccio al corpo attraverso la terminologia dei diritti, riconosciamo, insieme a Dauvé, le tracce di "una rivoluzione borghese che si tenta di completare, di perfezionare indefinitamente invitando la democrazia a cessare di essere “formale".

 La critica radicale non rifiuta questi tentativi: ne indica solo i limiti. Quando è impossibile affrontare le cause dell'oppressione, è inevitabile per gli oppressi lottare contro i suoi effetti. In questo caso, la rivendicazione del possesso del proprio corpo viene vissuta come una protezione contro la sua appropriazione [...] Purtroppo questa salvaguardia si rivela un'illusione. La proprietà individuale non è una protezione contro l'espropriazione. [...] La riappropriazione del sé non può che essere collettiva."(Così spiegano i seguaci di Klaus Schwab nella loro demenziale pretesa di essere nel giusto nel cercare la distruzione dell’umanità! Ndr.)

Una difesa radicale dei diritti individuali non è possibile se non riconosciuta come limite, tanto meno quando lavora a scapito della nostra esperienza collettiva. La costituzione estrema (e astratta) dell'individuo prodotta dall'immaginario liberale o, analogamente, l'incapacità di comprendere il carattere sociale di una malattia contagiosa, sono i presupposti perché una tale concettualizzazione possa prosperare. 

Tutti sanno che le percezioni dei falsi sé che ci connettono ad un'azienda, alla famiglia, ad una tradizione, alla nazionalità, alla nazione o alla società in generale, producono oppressioni in nome di un "noi" collettivo, che non fa che perpetuare il dominio esistente.

Ma la risposta, come nota Dauvé, "non è l'aggiunta di nuovi ego, ma la creazione di sé non fittizi [...] Tutto ciò che si conquista e tutto ciò che è positivo, 'più umano', è il risultato di azioni comuni [...] Il nostro corpo è di quelli che ci amano, e ciò non in virtù di un “diritto” giuridicamente garantito, ma perché, carne ed emozione, noi viviamo e ci muoviamo grazie ad essi. E, nella misura in cui noi sappiamo e possiamo amare la specie umana, il nostro corpo è di quest’ultima".

La preoccupazione e la cura per coloro che ci circondano, piuttosto che minare una qualunque nozione di esistenza collettiva, o persino il concetto stesso di salute pubblica, sono caratteristiche non negoziabile della critica radicale, proprio perché concepire le relazioni sociali come ostacoli all'individuo è ciò  che annulla la vera ricchezza dell'esperienza umana.

Questa preoccupazione per gli altri non è mai stata limitata al grado di vulnerabilità dell'altro, né è mai dipesa da una valutazione approfondita della ricerca scientifica. L'assenza o l'ambiguità di tali ricerche potrebbe mai essere una ragione valida per sospendere una tale cura o preoccupazione?

Resta sconcertante e profondamente avvilente vedere persone (specialmente compagni a noi vicini) disposte a negoziare tale cura o tale preoccupazione in nome di una critica del "totalitarismo scientifico" o perché queste impongono limiti all'ego personale e alle libertà individuali.

Non vediamo in queste posizioni una critica sistematica del discorso scientifico, né un'eroica disobbedienza all'autoritarismo dell'apparato statale o capitalista. Ciò che vediamo invece è un atteggiamento che riflette una lettura selettiva o confusa dei dati disponibili sulla pandemia e le sue più ampie implicazioni sociali, guidato, soprattutto, da un tentativo di razionalizzare (e rifiutare) il pesante fardello psicologico che il riconoscimento della distopia in cui viviamo richiede, nonché la gamma di responsabilità che ci è stata improvvisamente imposta.

Identità politica della negazione.

L'egemonia dell'estrema destra all'interno del movimento negazionista a livello globale non è certamente  una coincidenza.

Essa rappresenta uno spazio ideologico particolarmente suscettibile alle cospirazioni, intese come razionalizzazione di un'estesa perdita di controllo, con una sottostante propensione alla disciplina autoritaria.

Allo stesso tempo, le tendenze fasciste hanno una ricca storia di rapporti con la politica del Thanatos, diretta tanto contro coloro che "contaminano" il tessuto sociale quanto contro coloro che ne sono membri improduttivi. Il fatto che queste stesse forze politiche siano state in maggioranza a favore della riapertura totale dell'economia e del riavvio del processo produttivo a tutti i costi non è naturalmente un caso. Né lo è stata l'adozione entusiasta di narrazioni sull'immunità di gregge, dietro la quale si mal celava il loro darwinismo sociale ed un'eugenetica di ritorno.

 

L'ascesa di tali tendenze post-fasciste è, certamente, un fenomeno globale.

(il nuovo mondo previsto da Klaus Schwab dovrà essere governato da poche persone con a disposizione la ricchezza delle loro multinazionali senza la presenza disturbante di alcun Stato nazionale. Ndr.)

Nel caso della Grecia, tale tendenza è stata favorita dalle proteste nazionaliste di massa contro la Macedonia ed i pogrom razzisti contro i migranti nelle isole greche (e nelle regioni di confine), attività che hanno trasformato tali tendenze in un blocco sociale significativo, che alla fine si è riversato ed integrato nell'apparato statale.

In un contesto generale caratterizzato dalla separazione fra individui, una certa ricerca di universalizzazione è destinata a legarsi ad astrazioni come una rinforzata appartenenza religiosa, o ai contorni dell'identità nazionale.

Come affermato da alcuni compagni di Salonicco, "le comunità basate su nazione e religione [acquistano significato] come spazi di rifugio che promettono stabilità, un senso di protezione e un recupero del controllo individuale/collettivo, [in un momento] in cui tutti gli altri potenti riferimenti simbolici o materiali (l'affetto patriarcale dello stato, le sue politiche di welfare, etc.) sembrano crollare".

Nel tentativo di riconfigurare questa struttura patriarcale dello stato (ovvero fornire obbedienza in cambio di protezione), queste prospettive fasciste-nazi-bolsceviche hanno trovato nella pandemia un terreno fertile per l'opposizione, sia attraverso il copia-incolla di cospirazioni ampiamente note (ebrei-massoni, 5G, Bill Gates, Soros,ecc.) che attraverso l'introduzione di varianti greco-centriche (la fede ortodossa come scudo contro il virus, deliri su un DNA greco resistente al contagio, ecc).

Per questa folla coordinata, "l'invocazione della patria e dell'ortodossia [...] e le esortazioni ad una rivolta nazionale cercano di costruire ossessivamente un immaginario in grado di affrontare un nemico invisibile, le cui origini possono rimanere oscure, ma i cui obiettivi sembrano chiari: la frammentazione del territorio greco, l'impedimento dei suoi riti religiosi, lo strangolamento economico dei suoi settori più redditizi, la sottomissione e la disciplina di un popolo intrinsecamente impotente".

Accanto alle tendenze fasciste, si può anche osservare un flusso costante dall'ambiente libertariano (la cui preoccupazione ossessiva è proprio la difesa incondizionata della proprietà privata e dell'individuo oltre quella della ricchezza delle multinazionali  private ,contro ogni nozione di interesse collettivo e/o di bene comune) e, per la prima volta in maniera così pubblica, una coalizione negazionista (spesso descritta con l'etichetta Querdenken) formata da fanatici di Q-Anon, mistici omeopati o antirazionalisti spiritualmente sensibili, che hanno trovato nelle mobilitazioni anti-lockdown, anti-mascherine e anti-vaccino un'opportunità per diffondere le proprie superstizioni new age, per vendere ricette di "guarigione" alternative e per promuovere chiacchiere senza senso sull'astrologia.

 

 

 

 

 

 

Baldassarre denuncia: «Risoluzione su aborto

assurdità ideologica.

Vogliono tappare la bocca ai pro-life».

Provitaefamiglia.it- Luca Marcolivio -(7-7-2022)- ci dice :

 

Il Parlamento Europeo si è fatto portavoce delle istanze mortifere degli abortisti.

È la drammatica verità che arriva dalla votazione, di pochi minuti, fa, sulla proposta di risoluzione “sulla decisione della Corte suprema degli Stati Uniti di revocare il diritto all'aborto negli Stati Uniti e sulla necessità di salvaguardare il diritto all'aborto e la salute delle donne nell'UE”.

Una proposta, appunto, di morte, che vorrebbe portare l’Europea a inserire l’aborto come diritto fondamentale, oltre a togliere libertà di parola (tramite l’annullamento dei finanziamenti) alle realtà pro life.

La proposta di Risoluzione, infatti, presentata da Socialisti&Democratici, RenewEurope, Verdi e La Sinistra, è stata votata favorevolmente con 324 voti favorevoli, 155 contrari e 38 astenuti.

L’europarlamentare Simona Baldassarre (Lega – Identità & Democrazia) ha espresso a caldo tutto il suo sconcerto.

Onorevole Baldassarre, a Strasburgo è stata votata una nuova risoluzione sull’aborto. Cosa c’è in ballo e quale pericolo si corre?

«La risoluzione votata oggi rappresenta l’assurdità ideologica delle sinistre al Parlamento Europeo che, per la seconda volta nel giro di solo un mese, presentano un testo in Plenaria sull’aborto. Non si danno pace. Si consuma un altro insopportabile tentativo di ingerenza nei confronti degli Stati Uniti e dei Paesi Membri dell’UE. La competenza sull’aborto è e rimane in capo agli Stati Membri, per questo non ha senso la proposta avanzata per inserirlo all’interno della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Ue.

Come se non bastasse, in un periodo di recessione, hanno chiesto che l’UE compensi economicamente l’eventuale riduzione dei finanziamenti per la promozione dell’aborto nel mondo da parte degli Stati Uniti.

Da Roma a Bruxelles, la sinistra continua a strumentalizzare la crisi per imporre la propria agenda ideologica. Il testo, pur approvato dalla maggioranza, è solo l’ennesima rappresaglia per la dura sconfitta che hanno subito con la legittima sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso Roe v. Wade.

A questo punto, mi chiedo, cosa fa l’Unione Europea per aiutare una ragazza madre o una famiglia in difficoltà ad evitare l’aborto? Forse, invece di seguire le ideologie del momento, sarebbe meglio lavorare a tutela delle donne, affinché di fronte al bivio dell’aborto possano scegliere per la Vita».

La scorsa settimana un’europarlamentare olandese ha fatto un appello alla presidente Metsola, affinché non ammetta le “lobby” pro-life nel Parlamento Europeo. Nel concreto di cosa si tratta?

«Si tratta dell’ennesimo tentativo di tappare la bocca a chi racconta una realtà differente da quella del mainstream di Bruxelles. E non sarebbe la prima volta!

Già a giugno dello scorso anno, in occasione del voto in Plenaria sulla risoluzione per il 25⁰ anniversario della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo, un deputato della sinistra aveva presentato un emendamento citando per nome e cognome alcune organizzazioni pro-life e pro-family, ed esprimendo preoccupazione per la loro inclusione nel registro per la trasparenza dell’UE - ovvero l’elenco delle organizzazioni ammesse nelle Istituzioni europee - perché in tal modo sarebbero “autorizzate a lavorare apertamente con le istituzioni pubbliche per il declino dei diritti delle donne nonché della salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti”.

In quel caso, anche grazie al nostro contributo, l’emendamento fu bocciato con 257 voti a favore, 30 astenuti e 407 voti contrari. Non solo, agli inizi di quest’anno, come ebbi modo di denunciare, Pro Vita & Famiglia e la memoria di Carlo Casini furono attaccate durante un’audizione in Commissione per i Diritti delle donne perché pro-life.

Ora, la lettera che l’Eurodeputata di Renew Samira Rafaela ha recapitato alla Presidente Metsola suona come un altro campanello d’allarme, di fronte al quale non si può restare più indifferenti.

Parliamoci chiaro: più indizi fanno una prova. É evidente che le forze di sinistra puntano a compiere un atto di prepotenza al fine di bandire le organizzazioni che difendono la Vita dal Parlamento Europeo.

 Siamo arrivati alla caccia alle streghe, ed in ballo c’è la libertà di parola, di pensiero e di opinione in quella che dovrebbe essere la casa della democrazia Europea.

Forse le sinistre hanno in mente di farne casa propria e del proprio pensiero unico? Noi non ci stiamo, e continueremo a denunciare questi attacchi impropri dentro e fuori il Parlamento Europeo».

La presidente Metsola è nota per le sue posizioni anti-abortiste: ritiene che questo possa aiutare la causa pro-life all’interno dell’Europarlamento?

«Non so dirle cosa farà la Presidente Metsola. Sicuramente, in passato ha espresso posizioni pro-life e ritengo che prenderà provvedimenti per garantire la democraticità del Parlamento.

Tuttavia, dobbiamo ravvisare che il suo stesso Gruppo politico è profondamente diviso sul tema. Da parte mia, anche durante la scorsa Plenaria a Strasburgo ho avuto modo di ribadire come non vi sia trattato internazionale che riconosca l’aborto come un diritto umano. Anzi, il Programma d’azione della Conferenza del Cairo del 1994, firmato da 179 paesi al mondo, sostiene che tutti i governi e le organizzazioni internazionali, come l’UE, devono “far diminuire il ricorso all’aborto” e che qualsiasi misura relativa all’aborto può essere decisa solo “a livello nazionale o locale in accordo con le legislazioni nazionali”.

Esiste, piuttosto, un diritto fondamentale alla Vita, come affermato da varie Convenzioni internazionali ed Europee. Ed è per questo diritto che dobbiamo batterci convintamente».

Se i pro-life fossero alla fine messi alla porta, cosa si rischia?

«Si rischia un precedente molto pericoloso. Oggi i pro-life, domani chi bandiranno perché non si piega al volere della maggioranza?

Non solo, si rischia il paradosso, con l’UE che pretende di difendere la democrazia in Ucraina mentre imbavaglia la libertà di opinione a casa propria.

Stiamo parlando di un fatto grave: dall’inizio del mandato gli unici a cui sia stato interdetto l’accesso al Parlamento Europeo sono stati i diplomatici Russi e Bielorussi dallo scoppio della guerra.

Vogliono forse affiancargli le organizzazioni pro-Vita?

 Va da sé che solo pensare una cosa del genere sia assurdo. Come ha detto anche Matteo Salvini, ci troviamo di fronte ad un’Europa monopolizzata dalle forze di sinistra.

Pochi giorni fa abbiamo preso atto di un incontro tra Alessandro Zan ed il Commissario europeo per l’uguaglianza Helena Dalli, in cui quest’ultima ha pubblicamente appoggiato il progetto di legge liberticida del deputato del PD.

Ora l’appello della deputata di Renew, che si basa su interpretazioni mistificanti, come il fatto che le organizzazioni pro-life diffondano narrazioni false e tossiche, che la loro ‘ideologia distruttiva’ non appartenga al ‘regno della libertà di parola’ e che danneggino la reputazione delle Istituzioni europee.

 Vi rendete conto con chi abbiamo a che fare nel Parlamento Europeo?

Forse i colleghi non ricordano che secondo lo stesso Trattato sull’Unione, le istituzioni garantiscono alle organizzazioni della società civile la possibilità di diffondere e scambiare pubblicamente le proprie opinioni, e devono mantenere con loro un dialogo aperto, trasparente e regolare.

Ad una certa sinistra piacerebbe chiudersi nei palazzoni per imporre la propria agenda ideologica senza che i cittadini aprano bocca o mettano il naso. Io continuo a sostenere che il Parlamento Europeo deve essere aperto alla dialettica democratica, senza cordoni sanitari.

Non serve ‘aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno’, come dicevano altri, serve mantenere il contatto con la realtà, con i cittadini che ad oggi stanno vivendo una crisi ben più grave delle stravaganti idee della sinistra».

 

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