La realtà non può essere sconfitta dall’ideologia.
La realtà non può essere sconfitta dall’ideologia.
PERCHE’
IL COMUNISMO
E’DURO
A MORIRE.
Ilpiacenza.it-Carlo
Giarelli –(31-5-2021)- ci dice :
Sembrerebbe
morto il comunismo, ma è solo una morte apparente.
Infatti
esiste ancora un partito comunista non solo in Italia, ma in tanti altri paesi
e addirittura una nazione come la Cina che si definisce comunista. E’ comunque vero rispetto al passato
che non c’è più il comunismo, quello vero, di marca staliniana.
Ma pur
sotto mentite spoglie e con altrettanti stravolgimenti rispetto al carattere
originario, esiste ancora un comunismo che anche se in difficoltà non muore
nelle coscienze.
E non solo da parte dei vecchi sostenitori che
un tempo affollavano i festival dell’Unità e che erano disposti a fare
qualunque cosa pur di rivendicare la loro fede politica, ma anche nei giovani
che del comunismo storico sanno poco o se sanno qualcosa sono disposti a
rinverdire la vecchia ideologia.
Il
perché del mantenimento in vita di una ideologia sconfitta dalla storia è
presto detto. Perché non si tratta tanto di ideologia.
O
meglio perché l’ideologia, se mai ancora esiste, è solo una parte del credo
comunista. Oltre a questa il comunismo ha molte altre componenti. Esso è
infatti un insieme di concezioni del pensiero con risvolti psicologici e quindi
emozionali in cui si trovano un insieme di valori che hanno la capacità di
mistificare l’apparenza al fine di non apparire mai semplici e banali,
nonostante la loro tragica e sempre criminale realizzazione in tutte le forme
di regime che purtroppo si sono storicamente avvicendate.
Ribadisco allora che l’ideologia è solo una
sua componente neppure prioritaria. In sostanza prevale nel comunismo una
componente utopica che appunto in quanto irrealizzabile stimola la mente a
credere possibile quello che possibile non è.
A questo punto la deviazione utopica verso una
concezione teologica e teogonica, diventa un processo conseguenziale. E con questa il senso di una nuova
religione che si sostituisce a quella cristiana, pone il comunismo a
manifestare un atto di fede verso l’umanità.
Ci
ricorda molto bene questa condizione il filosofo tedesco Feuerbach, che può
essere considerato l’iniziatore della dottrina comunista. Nel suo saggio: L’essenza del cristianesimo egli
contesta la filosofia di Hegel, un altro filosofo comunista, dichiarandola con
un certo disprezzo, una teologia filosofica che guarda al passato, ma che non
ha futuro per mancanza di validi presupposti.
Alla
scienza della logica di Hegel preferisce contrapporre la sua teologia riducendo
la religione a pura antropologia.
Con
questa scopriamo un’altra componente di questa nefasta dottrina, che spinge a
credere come l’unica verità sia solo l’uomo e non la ragione astratta.
Dunque
è l’uomo che volendo ma non potendo essere e divenire onnisciente ed immortale,
deve inventarsi un Dio che rappresenti la soddisfazione di un desiderio.
In
questo modo una nuova religione sostituisce quella cristiana. L’uomo allora non
è l’immagine creata a somiglianza di Dio, ma è quest’ultimo che diventa
immagine dell’uomo. Il capovolgimento dei valori si è attuato.
Tutto
deve essere fatto per l’uomo, come poi dirà più compiutamente un certo Karl
Marx ampliando la teoria dall’uomo per estenderla a tutta l’umanità. La quale
deve ristabilire una equità fra la forza lavoro della maggioranza del popolo
sfruttato rispetto alla minoranza che possedendo i mezzi di produzione, trae
vantaggio da questo sfruttamento.
Con
Marx un altro valore si aggiunge a quello da lui auspicato come comunismo. La
trasformazione della teologia e della conseguente filosofia in sociologia. L’impatto sulla gente è pienamente
coinvolgente. E pensare ad una società più giusta attraverso l’abolizione delle
disuguaglianze alletta al punto la
coscienza, da rendere possibile un paradiso in terra.
Con queste premesse si capisce bene come
questa vocazione comunitaria non sia isolata. Perché già aveva indotto un
giovane domenicano, poi condannato e imprigionato per eresia e mi riferisco ad un certo Tommaso
Campanella ad ipotizzare, siamo nel XVI secolo, nella sua Città del sole un governo dove tutto sia in comune.
Beni
materiali e perfino beni sessuali in particolare le donne (degli uomini non si
fa menzione). Anche se ancora mancava il giusto lessico nel nominarlo, più
comunismo di così era difficile immaginare.
Dunque
come già detto il comunismo attrae le menti, specie quelle che ambiscono ad un
nuovo ordine basato su quella utopia rivestita di religione e sociologia che
appaga quegli spiriti (liberi?) che vagheggiano una umanità del tutti uguali
dove non esistono soprusi e privilegi.
Detto
così la teoria comunista vanta il suo fascino, ammettiamolo, tanto che molti
almeno all’inizio della propria formazione intellettuale, hanno subito pesanti
condizionamenti. Reinventare la parola democrazia è stata allora il punto cardine di tali
condizionamenti.
La
cosiddetta egemonia culturale di marca gramsciana ha fatto il resto arrivando
addirittura ad ipotizzare una netta separazione fra i suoi seguaci e tutti gli altri. Attribuendo ai primi una virtù
inventata al bisogno, che poi verrà chiamata dal segretario del Pci Berlinguer
superiorità morale.
E
tutto questo in riferimento agli oppositori, considerati biechi conservatori,
poco propensi agli allettamenti del pensiero progressista e impegnati solo a
soddisfare i propri privilegi.
L’intellighentia
ed il mondo culturale in genere sono la prova di quanto detto. Vale a dire di
questo stato di fatto. Destra e sinistra sul piano pratico, ancora più che su quello
politico, hanno creato un solco difficilmente valicabile. Da una parte i buoni e dall’altra gli incolti detti
anche antidemocratici e per giunta nemici da combattere.
Ecco allora il punto. Nonostante lo stravolgimento dei
fatti storici che come spesso accade per chi crede nell’utopia, trasforma la
fantasia creativa in un evento criminale causa l’impossibilità di poterla
realizzare.
Cosi nonostante
le stragi compiute dai regimi comunisti che vantano il triste primato delle
deportazioni e dello sterminio di intere popolazioni all’insegna del loro
sbandierato e falso concetto di democrazia, onde riconoscere che ancora oggi il
comunismo non è morto, una qualche ragione, come cerco di dimostrare, deve pur
esserci.
Per
questo dopo averlo tanto criticato, una qualche ragione, dobbiamo allo stesso
Hegel. Secondo
il quale non è la realtà a produrre le coscienze, ma sono queste ultime che
sottoposte ad infiniti condizionamenti formano la realtà. Al punto che la coscienza si
identifica con la realtà stessa.
Tali
influenze veicolate con subdola intelligenza fra la gente, rappresentano allora
le cause di un pensiero morto nei fatti e nella ragione, ma non nella fantasia. Per fare tutto questo processo di
falsificazione, bisognava abolire la realtà storica nefasta e subdola,
costruendo dei fantasmi.
In
sostanza dimenticando il passato criminale inventando la paura di un nemico che
nonostante sia stato già condannato dalla storia, lui sì, era nei fatti già
scomparso o ridotto ai minimi termini da parte di un piccolo gruppo di fanatici.
Dunque bisognava farlo ritornare in vita. Lo imponeva e lo impone lo spirito
democratico di tutti coloro che al posto di vergognarsi delle loro attuali e
superate idee, sono disposti ad usare l’arte del trasformismo.
Contrapponendo al loro pensiero di menti cosiddette
colte, ancora irretite nella mai dimenticata utopia e che hanno ormai occupato
i vari gangli del potere, il nero volto antidemocratico di un nuovo pericolo
pubblico rappresentato dal fascismo.
Tramite
questo espediente i sinceri democratici possono continuare ad essere tali. Non importa se poi la loro concezione
democratica sia a senso unico.
E se,
come succede, diventa intollerante verso gli avversari, considerati non
democratici e quindi non in diritto o di esistere, o comunque ancora in grado
di manifestare le loro idee, che sono da condannare a priori.
Ritornando
al titolo ecco allora perché il comunismo non muore, anche se rivela un certo pudore a definirsi tale,
preferendo adottare un lessico annacquato quale definirsi socialisti o
addirittura “liberal alla moda americana”.
E forse, per le ragioni dette, non morirà mai.
Troppo abile nel travestirsi e troppo capace di modificare le coscienze. La sua
forma di fede infatti oggi, invece di essere condannata, addirittura esorbita
verso quell’altra che noi chiamiamo cristianesimo.
Ma noi
siamo i soliti retrivi, ignoranti e biechi conservatori. Liberali e non liberal che fra poco
verremo chiamati fascisti. Così è anche se non vi pare.
(Ndr. Oggi
il “globalismo liberal Dem Usa e Ue” nasconde il suo “comunismo” negli
insegnamenti Ideologici di Klaus Schwab, il nuovo Dio terreno!)
Covid-19: Pubblicate le
Indicazioni
Operative per le Scuole.
Conoscenzealconfine.it
-WI – (10 Agosto 2022) -ci dice:
Le
avete lette le indicazioni dell’Iss per settembre? Tutto si basa sull’andamento
della “curva epidemiologica”. Come abbiamo sempre detto, hanno normalizzato
l’emergenza.
La
rieducazione delle nuove generazioni a suon di distanziamenti e nascondimenti
dei volti prosegue. Ma voi vi ricordate le assurdità inferte ai vostri figli
nelle scuole?
Il
metro di distanza tra le “rime buccali” , la quarantena dei fogli protocollo, i
plexiglass e la segnaletica per circolare nei corridoi, il divieto assoluto di
scambiarsi una gomma o una matita, la pezza fetente da togliersi al banco e poi
da tenersi sempre, le misurazioni ossessive della temperatura, il gel
idroalcolico obbligatorio, l’ “addetto Covid”, la camera sterile, gli ingressi
scaglionati, le quarantene per tutta la classe in presenza di uno starnuto, le
insegnanti psicolabili e schizo-patiche assurte al ruolo di secondini, le
bidelle sadiche, i dirigenti inzuppati di ossequienza burocratica, l’incubo
della didattica a distanza, e così via?
Io li
ho tolti dal primo minuto, e non me ne pento. Ora qualcuno esulta perché non è
stato rinnovato il protocollo, e quindi “in classe senza la mascherina”. Ma non avete capito che l’innesto è
ormai irreparabile… infatti è tutto riattivabile se la “curva epidemiologica”
lo richiede.
Ormai
la scuola è fatta. È andata. È un campo di rieducazione per i vostri figli, che
tra una manciata di anni saranno adulti per i quali queste aberrazioni saranno
normali. Toglieteli da lì.
Quando
però si parla di togliere i figli dalle scuole molti storcono il naso e,
giustamente, fanno notare i costi spropositati di scuole parentali e affini.
Cari
amici, noi invitiamo ad agire in tal senso perché i tempi lo richiedono ma non
pensiate che non conosciamo le difficoltà che ci citate. Avete ragione anche voi, anzi
magari diciamo anche qualcosa di scomodo. Io, da genitore, proprio di recente,
mi sto imbattendo in strutture dai costi elevatissimi. È per me davvero
difficoltoso trovare una quadra.
In
questi anni si è parlato tanto, nei “nostri” ambienti, di trovare alternative
ma a conti fatti quel che si nota è che non vi è solidarietà reale.
Anche
in questo ambito si cerca di fare più soldi possibile sapendo che una fetta di
genitori non ha intenzione di mandare i propri figli nei lager attuali. Solite
logiche insomma.
Invece
di blaterare di resistenza ed elezioni a vanvera, sarebbe magari utile
impegnarsi nel trovare soluzioni concrete, accessibili a tutti ed evitare
speculazioni. Che ne dite?
(WI-
t.me/weltanschauungitaliaofficial)
Trump
Raid: questa è
probabilmente
la fine, amici.
Unz.com-
ANDREW ANGLIN –( 9 AGOSTO 2022)- ci dice :
La
casa di Mar-a-Lago di Donald Trump è appena stata perquisita.
Questa
è.. probabilmente la fine, francamente.
Notizie
Fox :
L'ex
presidente Trump lunedì ha affermato che la sua casa di Mar-a-Lago in Florida
era "assediata" da un "grande gruppo" di agenti dell'FBI
che stavano conducendo un mandato di perquisizione.
“Niente
di simile è mai successo a un presidente degli Stati Uniti prima d'ora. Dopo
aver lavorato e collaborato con le agenzie governative competenti, questo raid
senza preavviso a casa mia non era necessario o appropriato", ha affermato
Trump. “È
una cattiva condotta dell'accusa, l'armamento del sistema giudiziario e un
attacco dei Democratici di sinistra radicale che disperatamente non vogliono
che mi candidi alla presidenza nel 2024, soprattutto sulla base dei recenti
sondaggi, e che allo stesso modo faranno di tutto per fermare i repubblicani e
I conservatori alle prossime elezioni di medio termine".
“Un
simile assalto potrebbe aver luogo solo in paesi del Terzo Mondo distrutti. Purtroppo, l'America è ora diventata
uno di quei Paesi, corrotto a un livello mai visto prima", ha detto Trump,
sostenendo che gli agenti dell'FBI hanno fatto irruzione nella sua cassaforte.
"Qual
è la differenza tra questo e il Watergate, dove gli agenti hanno fatto
irruzione nel Comitato Nazionale Democratico?" Egli ha detto. “Qui, al contrario, i Democratici
hanno fatto irruzione nella casa del 45° Presidente degli Stati Uniti”.
Trump
ha fatto un vago riferimento agli eventi di lunedì durante un tele-rally per
Sarah Palin, l'ex governatore dell'Alaska che ora si candida al Congresso.
"Un
altro giorno in paradiso", ha detto Trump. "Questo è un giorno strano
- probabilmente lo avrete letto tutti, ma molto importante", ha aggiunto
prima di continuare con le sue osservazioni.
Quindi...
questo è molto brutto.
Esaminiamo
solo la mia serie di pensieri su questo problema (non riesco a trovare tutti i
collegamenti, ma i lettori di lunga data ricordano e qualcuno potrebbe trovare
tutti questi articoli):
Ho
ipotizzato a metà del 2020, durante la bufala del coronavirus, quando hanno iniziato
a parlare di votazioni di massa per corrispondenza, che fosse impossibile per
Trump vincere.
Ho
ipotizzato che se avesse perso, avrebbero portato tutti questi casi contro di
lui, e sarebbe finito completamente al verde o in prigione.
È
successo il 6 gennaio.
Dopo
il 6 gennaio, si sono concentrati sui manifestanti e su questa strana bufala di
"insurrezione"; Trump non è stato messo al centro di nulla,
legalmente.
Trump
è rimasto il presunto candidato, ma lo spettro di un'accusa incombeva ancora su
di lui.
Quando
le udienze di Liz Cheney del 6 gennaio si sono concluse, il procuratore
generale ebreo Merrick Garland è uscito e ha rilasciato un'intervista dicendo
che Trump è ora l'obiettivo chiave.
Ho
detto che si sarebbero assicurati che questa indagine fosse sospesa sulla sua
testa durante la campagna del 2024, in modo che i conservatori potessero
spingere Ron Desantis, dicendo che Trump non è praticabile perché è sotto
inchiesta e potrebbe essere incriminato.
Ora
Trump viene perquisito.
Fondamentalmente,
questo significa che è fuori dal gioco, a meno che qualche cosa seria cambi.
Che lo incrimino o meno non importa. È sotto indagine seria, che lo paralizzerà
alle primarie.
Probabilmente:
durante la
corsa alle primarie, avrà attacchi senza sosta da parte del personale di Ro Desantis.
Saranno in grado di convincere abbastanza persone che Trump non è fattibile a
causa dell'incombente atto d'accusa. Desantis, nel frattempo, diventerà
hardcore, si comporterà come se fosse Trump, ricevendo supporto da persone che
dicono "beh, immagino che non sia così male".
E
questo se non lo incriminano apertamente. Un raid come questo implica che
potrebbe esserci un atto d'accusa in arrivo. Potevano fare qualsiasi cosa in
questo raid. Avrebbero potuto persino piantargli merda finta.
Potrebbe
ovviamente succedere qualcos'altro. non so cosa. Ad esempio, non riesco a pensare a
nessun percorso da questo tipo di escalation da parte dei federali a Trump che
vince le primarie del GOP.
Non
importa molto nello schema più ampio delle cose, perché quasi sicuramente
fallirà alle elezioni generali a prescindere, poiché sarà totalmente truccato
come nel 2020. Quindi, questa non è una grande perdita. Fondamentalmente quello che abbiamo
perso è che Trump è stato divertente durante le primarie e il generale. Mi
conosci: sceglierò "divertente" su qualsiasi altra cosa in qualsiasi
situazione. Quindi, è una sorta di perdita.
Fox
News sta difendendo Trump, più o meno.
Ma non
lo difenderanno a lungo termine. A lungo termine, Fox e tutti questi altri
stronzi - l'ebreo Breitbart, l'ebreo Daily Wire e l'intera squadra - hanno
tirato per Desantis. Si muoveranno tutti in quella direzione, spudoratamente,
non appena sarà possibile farlo.
Ma nello
schema più ampio: siamo stati condannati per molto tempo qui. Siamo stati
praticamente completamente condannati da quando Trump non ha respinto la bufala
del coronavirus, che ha portato alla bufala elettorale, che ha portato al 6
gennaio, che ha portato all'illegalità dei bianchi.
Ovviamente,
francamente, anche quando Trump ha vinto nel 2016, eravamo ancora praticamente
condannati. Se Trump fosse stato più competente e non avesse permesso a tutte quelle
persone schifose di circondarlo, le cose sarebbero potute andare meglio,
sicuramente. Ma non so quanto sia meglio.
Fondamentalmente,
siamo praticamente condannati da quando Adolf Hitler perse la seconda guerra
mondiale.
Stiamo solo guardando tutto questo svolgersi ora, un disastro ferroviario al
rallentatore.
Detto
questo: la buona notizia è che la situazione geopolitica sembra fantastica. Gli USA/ZOG hanno appena perso una
guerra con la Russia nel modo più umiliante possibile. Ora stanno cercando di
iniziare una guerra con la Cina per nascondere il fatto che hanno perso una
guerra con la Russia. Stanno cancellando i documentari e tutto il resto.
Sì,
questo è il Terzo Mondo.
Spesso
mi sento frustrato dall'uso del termine "terzo mondo". Le persone in TV che non sono mai
state in un paese del terzo mondo diranno che il crimine in America, o le
tendopoli al centro delle aree urbane, sono "il terzo mondo".
Sono
tipo “negro, non sei mai stato in un paese del terzo mondo – non permettono
questo tipo di merda, tipo, per niente. La maggior parte dei paesi del terzo
mondo ha una bassa criminalità e di certo non permette ai senzatetto drogati di
accamparsi nel centro delle loro città”. Tuttavia, questa roba con l'arresto
dell'opposizione – che sicuramente accade nel terzo mondo. Capita.
Il
fatto fondamentale è che i paesi del terzo mondo sono meno vincolati dai
confini della "legge e dell'ordine". A volte ciò può avere dei
vantaggi.
I
governi del terzo mondo sono corrotti, ma non sono così terribilmente corrotti
come i governi occidentali. Quindi nel terzo mondo, se la gente del governo sta
scremando un po' la cima, c'è ancora molto da fare per la popolazione. In
America, si assicurano che la popolazione non riceva letteralmente nulla. Se rimane qualcosa
dopo che il governo è stato saccheggiato, invierà il denaro in eccesso a
Israele o all'Ucraina invece di darlo a te. La maggior parte di ciò è che nel
terzo mondo i governi devono preoccuparsi costantemente delle masse di persone
che si sollevano.
In
America, è un fatto provato che nessuno si alzerà. Se le persone non si sono sollevate per la bufala del
virus e non si stanno attualmente sollevando per le molestie su minori
transessuali su scala industriale, non si solleveranno per nulla, mai.
Non
sono d'accordo con queste teorie secondo cui il governo sta bruciando le scorte
di cibo perché vogliono che milioni di persone muoiano di fame.
Gli
"incidenti" nell'approvvigionamento alimentare sono sospetti e
potrebbero volere che le persone siano in crisi, ma non vogliono la fame di
massa. Le persone avranno da mangiare e non faranno nulla.
Ma sì:
siamo in uno stato di totale illegalità, ufficialmente, in cui l'opposizione
viene perquisita dal governo.
Fondamentalmente,
sei condannato.
Stanno
dicendo che Trump è già ufficialmente bandito dalla corsa alla presidenza a
causa della trattenuta di documenti.
Non so
se è vero, ma anche se non lo è, non può vincere le primarie con tutti i media
che dicono che gli è stato vietato di candidarsi.
Non
vedo altra via d'uscita se non attraverso il crollo del governo degli Stati
Uniti a causa di eventi sulla scena mondiale.
Nessuno
farà niente.
La
gente è fuori a protestare a Mar-A-Lago.
Ma non
faranno niente.
Ben
Shapiro sta dicendo che l'FBI è cattivo e che dovrebbe esserci "l'inferno
da pagare".
Chi
pagherà diavolo? Nessuno, ovviamente. L'intero sistema è completamente marcito.
Shapiro supporta Desantis, come fanno tutti.
Candace
Owens si sta agitando.
Ai
democratici non interessa, Candace. A loro non importa. E hanno tutto il potere.
Posodiec
sta dicendo il fatto, almeno.
Sì,
stanno progettando di incriminare Trump. Ecco cosa significa un raid come
questo.
Una
volta incriminato, possono semplicemente fare qualsiasi cosa.
Se
solo Trump avesse avuto generali più simili a quelli di Hitler.
LA
TRASPARENZA DEI DATI PERSONALI (PATRIMONIALI) E IL TRACCIAMENTO INDIVIDUALE IN
NOME DELL’INTERESSE PUBBLICO
DIRITTO
By
Redazione CDC On 10 Agosto 2022 4,912
La
trasparenza dei dati personali
(patrimoniali)
e il
tracciamento
individuale
in nome dell’interesse pubblico.
Comedonchisciotte.org-
Avv. Maurizio Lucca- (10 agosto 2022)- ci dice :
(1. In
punto di diritto. 2. La trasparenza FOIA e prevenzione della corruzione. 3.
Fatti (in parte noti). 4. La decisione della Corte Cost. e del Consiglio di
Stato. 5. Gli effetti e il vuoto normativo. 6. Un bilanciamento tra diritto e
trasparenza, tra riservatezza e pubblicità. 7. Qualche perplessità sulla
raccolta (uso) di dati personali. 8. Trasparenza e riservatezza. 9. Gli specchi
ciechi del diritto. 10. Prospettive di salvezza dall’oppressione del controllo
dei dati personali.)
1. In
punto di diritto
La
sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6654 del 28 luglio 2022,
interviene sull’obbligatorietà per i dirigenti – posti ai vertici della
macchina amministrativa – della pubblicazione dei redditi, ai sensi del comma
1, lettera f), dell’art. 14, Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari
di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i
titolari di incarichi dirigenziali, del d.lgs. n. 33/2013, da includere coloro
che ricoprono «cariche di amministrazione, di direzione o di governo», obbligo
privo di sanzione per l’inerzia del legislatore nell’integrare la norma, a
seguito della dichiarata illegittimità costituzionale di una parte .
2. La
trasparenza FOIA e prevenzione della corruzione.
È noto che l’art. 1,
Principio generale di trasparenza, del citato d.lgs. n. 33/2013 (ai più noto
come modello FOIA) affida alla trasparenza:
l’accessibilità
totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni;
promuovere la
partecipazione degli interessati all’attività amministrativa;
favorire forme
diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e
sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
Concorre ad attuare
il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di
imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza
nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla
nazione;
condizione di
garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili,
politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione;
concorre alla
realizzazione di una Amministrazione aperta, al servizio del cittadino.
Segue,
tra i molti articoli, l’art. 7 bis, Riutilizzo dei dati pubblicati, dove al
comma secondo, del cit. d.lgs. 33/2013, tiene a chiarire che la “trasparenza
pubblica” avviene mediante la pubblicazione nei siti istituzionali (nelle home
page) «di
dati relativi a titolari di organi di indirizzo politico e di uffici o
incarichi di diretta collaborazione, nonché a dirigenti titolari degli organi
amministrativi», integrando «una finalità di rilevante interesse pubblico» (ossia,
collettivo) che non può prescindere dall’avvenire – la pubblicazione dei dati,
documenti e informazione «nel rispetto della disciplina in materia di
protezione dei dati personali».
Pare
giusto rammentare che per “dato personale” si intende, secondo le indicazioni
del Garante privacy «le informazioni che identificano o rendono identificabile,
direttamente o indirettamente, una persona fisica e che possono fornire
informazioni sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita,
le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione
economica, ecc..» .
Secondo
il Piano Nazionale Anticorruzione 2022 (in consultazione), predisposto
dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), la “trasparenza” viene
identificata come dimensione del “valore pubblico”, come misura di prevenzione
della corruzione, riducendo gli sprechi e orientando correttamente l’azione
amministrativa, per il miglior funzionamento dell’Amministrazione al servizio
dei cittadini e delle imprese.
La
lotta alla corruzione, mediante il modello FOIA, comporta l’acquisizione di una
moltitudine di dati personali, molto spesso fine a sé stessi e privi di
effettivo valore se finalizzati agli scopi (c.d. ratio) della norma, alterando
il rapporto con la tutela della riservatezza personale: un’esposizione abnorme.
3.
Fatti (in parte noti).
La
questione affrontata dal Consiglio di Stato nella sua essenzialità ruota
attorno ad una richiesta, sulla base delle Linee guida ANAC non vincolanti n.
241/2017, rivolta ai componenti del Consiglio di Amministrazione di una
Università, di acquisire i dati patrimoniali (dichiarazione dei redditi, mentre
i compensi percepiti, quelli erogati dalla PA sono già oggetto di pubblicazione
in varie parti della disciplina FOIA), equiparando i componenti dei CdA agli
«organi di indirizzo politico», ossia quelli deputati a governare le
istituzioni, in generale (e in parte, non è qui il caso di indugiare oltre) a
volte eletti, come nei Comuni, a volte nominati, come nello Stato.
La
richiesta veniva considerata da un componente del CdA illegittima per
violazione del diritto alla vita privata ed alla protezione dei dati personali,
nonché, dei principi sanciti in materia dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, dal Trattato UE, dalla Convenzione EDU, dalla direttiva n.
95/46/CE e dal Regolamento del Parlamento e del Consiglio europei n. 2016/679,
donde il ricorso al giudice.
Si
deduceva l’illegittimità derivata, facendo riferimento al pronunciamento della
Corte Costituzionale, con sentenza n. 20 del 23 febbraio 2019, che dichiarava
«l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto
legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il
diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nella
parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui
all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo anche per
tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi
inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico
senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli
incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)»: il riferimento è agli
«incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici
dirigenziali generali e quelli di livello equivalente» e agli «incarichi di
funzione dirigenziale di livello generale» .
Si
annotava, altresì, il vuoto normativo, venutosi a creare per effetto della
pronunzia, che determinava un intervento del legislatore, il quale nelle more
della sua definizione mediante apposito decreto, da adottarsi «entro il 30
aprile 2021» (non ancora avvenuta), sospendeva l’efficacia della sanzione per
la mancata pubblicazione.
Ciò
posto, in primo grado (al TAR), con sentenza n. 6033 del 24 maggio 2021, si
accoglieva il ricorso sul duplice presupposto che la sentenza della Corte Cost.
avrebbe «ritenuto
non applicabile la disciplina contestata a chi non fosse titolare di un
incarico dirigenziale pubblico ai sensi dell’art. 19 D. Lgs. 165/2001 e quindi
anche al ricorrente che è stato semplicemente designato nel consiglio di
amministrazione dell’Università senza assumere alcun incarico dirigenziale» e
che la designazione nel Consiglio di Amministrazione dell’Università non
potesse essere assimilata ad «alcun incarico dirigenziale».
Seguiva
appello dell’Università, dell’ANAC e della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, ove si eccepiva (questione dirimente) che «il perimetro della decisione della
Corte ha riguardato cioè i soli titolari di incarichi dirigenziali» e non i componenti del CdA,
assimilabile agli organi di indirizzo politico.
4. La
decisione della Corte Cost. e del Consiglio di Stato.
Il
Consiglio di Stato, rilevava che la questione posta alla Corte Cost. era in parte
similare ma non sovrapponibile, stabilendo che la disciplina era stata ritenuta
incostituzionale poiché l’obbligo di pubblicazione dei redditi era esteso
indistintamente a tutti i dirigenti, e non solo a quelli apicali (ex art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs.
n. 165 del 2001) come (invece) ritenuto dalla Corte, in violazione dell’art. 3
Cost.: vi è una distinzione di funzioni e competenze che non giustifica una
così penetrante misura nella vita individuale e familiare (ossia, la
pubblicazione dei redditi indistintamente di tutti): non veniva tenuto conto del diverso
«grado di esposizione dell’incarico pubblico al rischio di corruzione e
all’ambito di esercizio delle relative funzioni, prevedendo coerentemente
livelli differenziati di pervasività e completezza delle informazioni
reddituali e patrimoniali da pubblicare».
Da
queste premesse, i giudici di Palazzo Spada, stabiliscono che la sentenza della
Corte Cost.,
esplica i propri effetti unicamente in ordine alla posizione di “titolari di
incarichi dirigenziali” e non anche su quelle dei “titolari di incarichi di
indirizzo politico”, come possono essere assimilate le posizioni dei componenti
del CdA dell’Università, sia in relazione al sistema di nomina che dei poteri
esercitati.
In
termini diversi, i componenti del CdA vengono attratti nell’ambito di
applicazione dell’originario testo dell’art. 14 che, al comma 1, già imponeva
obblighi di pubblicazione ai «titolari di incarichi politici, di carattere
elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico» per evidenti
ragioni di sostanziale omogeneità: di funzioni e competenze.
5. Gli
effetti e il vuoto normativo.
Ne
consegue che viene acclarato il vuoto (adeguamento) normativo a seguito del
pronunciamento della Corte Cost. (sentenza n. 20/2018), peraltro, collegato
all’esigenza di definire le distinzioni all’interno delle figure dirigenziali,
non, dunque, con riferimento alle definizioni di incarichi di «titolari di
incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo», indicati al
comma 1 bis dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 che restano quelli previsti
dall’art. 14, comma 1 (con le successive precisazioni).
A
rafforzare la motivazione, viene tracciato il flusso normativo dal quale si può
pervenire alla conclusione che la presenza di un vuoto normativo (manca il
regolamento applicativo) impedisce l’applicazione delle sanzioni (sospese) in
caso di violazione del precetto (pubblicazioni dei dati reddituali) che
sussiste.
In
termini più espressivi: manca di effetti la norma dispositiva dell’obbligo di
pubblicazione dei redditi non avendo ancora il legislatore legiferato sulla
violazione (“affare”, alquanto suggestivo, visto il ciclone di decreti – legge
succedutesi con voti di fiducia, tranne l’ultimo): è noto che in assenza di sanzione
la norma rimane pura astrazione.
Si
determina così un effetto loop: l’assenza della norma secondaria (quella
sanzionatoria) della violazione della norma primaria (di condotta):
un’imperfezione del sistema FOIA.
L’approdo
formale e del diritto positivo ammette la permanenza dell’obbligo «di
pubblicazione dei dati ma che, per effetto della disposizione appena richiamata
(la cui dichiarata transitorietà consiglierebbe che il legislatore procedesse
con sollecitudine al riordino della materia, adeguandosi puntualmente alla
decisione della Corte costituzionale), tale obbligo non è attualmente provvisto
di sanzione in caso di sua violazione».
Dunque,
la lotta alla corruzione, che esige la pubblicazione dei dati reddituali, quasi
a voler significare che la loro pubblicazione sui portali della PA rende
trasparente anche quelli di illecita provenienza (sarebbe troppo semplice se
non banale il principio) in mancanza di pena si proietta a creare un vulnus al
sistema, consentendo di violare il precetto senza subire le conseguenze (sempre
ammesso che vengano pubblicati anche i redditi da fonte incerta, quelli frutto
del mercimonio della parzialità di chi svolge funzioni pubbliche, ex comma 2,
dell’art. 54 Cost. in coordinamento con l’art. 97 e 98 Cost.): «i denari rubati
non fanno mai frutto. Addio, mascherine!».
Invero,
pretendere di esporre in chiaro, i dati presenti nelle dichiarazioni dei
redditi (con una forte esposizione on line della vita privata e familiare
dell’interessato rispetto alle esigenze di protezione dei dati personali) e
pensare, allo stesso tempo, che possa costituire un deterrente alla
maladministration (cattiva amministrazione in linguaggio corrente) è una questione ancora dibattuta e non sempre
comprensibile (pur utilizzando il metodo baconiano), con effetti che si avrà
modo di approfondire (ma non troppo, ex art. 21 Cost.).
6. Un
bilanciamento tra diritto e trasparenza, tra riservatezza e pubblicità
La
sentenza apre un panorama che va ben oltre, dando spazio ad una serie di considerazioni
che alimentano i disagi e le contraddizioni del momento, consente, inoltre,
valutazioni metagiuridiche su fenomeni che, pur avendo affondi nel diritto
positivo, traggono il loro impulso al di fuori delle norme.
Un
bilanciamento tra riservatezza e trasparenza dovrebbe trovare altri parametri
di riferimento, se lo scopo è prevenire la corruzione, d’altronde in epoca di fragrante
pandemia ed emergenza bellica l’abuso del trattamento dei dati personali, e la
loro dispersione (rectius diffusione), non ha trovato confine, con risultati non edificanti e a
costi elevati (anche sociali), soprattutto in termini di rapporti spezzati e di
vite perse.
I
fenomeni legati alla produzione di dati personali (specie sanitari) hanno
alimentato molto di più di quello che sarebbe stato concedibile ma è stato
concesso (pur senza un apparato minino di dati confrontabili), oltre ad
alimentare la paura, hanno alimentato divieti ed espulsioni, senza alcuna base
statistica, di confronto (senza studi), di dati personali (scientifici ed
epidemiologici), senza contare l’infranto quadro normativo e costituzionale con
obblighi, confinamenti, sospensioni, licenziamenti .
7.
Qualche perplessità sulla raccolta (uso) di dati personali.
Se
tutte queste misure – fondate sulla sistematica raccolta di dati personali –
non hanno giovato alla diminuzione dei contagi, la c.d. immunità di gregge, con
persone vaccinate che continuano, nuovamente, ad ammalarsi nonostante più
booster (segnando il fallimento dell’obiettivo della vaccinazione di massa),
allora quale potrebbe essere il significato della “sorveglianza” sanitaria,
ovvero di questa esigenza di somministrare e richiedere dati e di pubblicare
l’andamento dei contagi quotidiani: vi è (invero) qualche attinenza che possa
coinvolgere anche la riservatezza del dato, oppure la questione è del tutto
ininfluente, neutra (?).
In
dipendenza di ciò, anche l’impossibilità di esprimere liberamente il “consenso
informato” (c.d. diritto all’autodeterminazione), ai sensi della legge n.
219/2017, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate
di trattamento, a fronte dell’obbligatorietà vaccinale può avvallare (rendere
legittimo) l’acquisizione dei dati personali o spiegarne l’utilizzo, se
l’interessato non può sottrarsi, pena una sanzione posta dall’ordinamento,
senza considerare le connotazioni etiche dell’imposizione di un TSO
(trattamento sanitario obbligatorio) con sieri sperimentali che potenzialmente
possono causare danni irreversibili, anche a lungo termine (come è stato
dimostrato) .
Per
questo ultimo aspetto, onde evitare il rallentamento delle vaccinazioni e i
rischi di responsabilità risarcitorie (non solo civili) è stato riconosciuto
(ammettendo, in modo non indiretto, la possibilità di effetti avversi gravi) lo
“scudo penale” per gli operatori sanitari (salvo i casi di colpa grave), con
l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 3, Responsabilità penale da
somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, del D.L. n. 44/2021, Misure
urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di
vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici, convertito
con modificazioni in legge n. 76/2021, «Per i fatti di cui agli articoli
589 (Omicidio colposo) e 590 (Lesioni personali colpose) del codice penale
verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione
delle infezioni da SARS-CoV -2, effettuata nel corso della campagna vaccinale
straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della
legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del
vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di
autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e
alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della
salute relative alle attività di vaccinazione» (dando una equiparazione di
legge anche agli atti amministrativi, quali le circolari, fatto alquanto
insolito se non unico).
Non si
può non ammettere che la sistematica ed endemica (oltre che abusiva) richiesta
di dati personali incide sulle libertà individuali e collettive, senza
considerare il rischio effettivo di sostituzione e furti d’identità, mancando
un sistema adeguato di sicurezza informatica (cybersecurity), mascherando
fenomeni che non si collegano con la lotta alla corruzione e (aggiungiamo) alla
salute.
La
“trasparenza”, diranno in molti, non ammette intralci, divenendo un valore ex
se, disancorato da ogni valutazione tra costi e benefici, tra diritti
individuali ed esigenze collettive, tra consenso informato e consenso imposto.
8.
Trasparenza e riservatezza.
Il
Consiglio di Stato, nella sentenza in parola, interviene sul rapporto – “riservatezza” e “trasparenza” – esprimendo una tendenza secondo
la quale «l’adempimento
agli obblighi di cui si discute» (ossia la pubblicazione dei redditi, che è il
tema centrale di questo dibattito) «interferisce sia con il diritto alla
riservatezza dei dati personali, quanto con quello della collettività al libero
accesso alle informazioni detenute dalle amministrazioni, deve rilevarsi che i
diritti invocati dall’appellato non sono incomprimibili essendo le loro
limitazioni pacificamente ammesse in vista del conseguimento di obiettivi di
trasparenza e pubblicità, sia pur nel rispetto dei principi proporzionalità,
pertinenza, e non eccedenza rispetto alle finalità perseguite».
In
queste parole, viene legittimato una limitazione della propria sfera
individuale in virtù di un interesse generale, nel rispetto di una serie di
principi che dovrebbero essere soppesati tra loro per non andare oltre ai
limiti funzionali allo scopo: in concreto si dovrebbe agire nel “giusto”, di
chi opera e giudica secondo giustizia.
Questo
bilanciamento viene confermato, si annota nella sentenza, dallo stesso
Regolamento UE 679/2016 (c.d. General Data Protection Regulation – GDPR) che al
quarto considerato, precisa che «il diritto alla protezione dei dati di carattere
personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua
funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio
al principio di proporzionalità», in aderenza con il pronunciamento della Corte
Costituzionale (sentenza n. 20/2019) che «pur censurando l’obbligo di
pubblicazione dei dati di cui alla lett. f) del comma 1 dell’art. 14,
riconduceva il profilo di illegittimità rilevato, come ampiamente esposto, alla
sola operata estensione indiscriminata degli obblighi di trasparenza a tutti i
Dirigenti senza distinzioni di sorta, senza, tuttavia, rilevare profili di
eccedenza degli obblighi di cui all’art. 14, comma 1, rispetto alle sottese
ragione di interesse pubblico alla pubblicità dei dati».
In
definitiva, la «compressione del proprio diritto alla riservatezza deve, quindi,
ritenersi giustificata in ragione della delicatezza dell’incarico attribuito e
della natura pubblica dello stesso, e quindi della possibilità di assicurare un
controllo diffuso quanto all’esercizio delle funzioni attribuite, nel quadro di
un’Amministrazione democratica»: l’acquisizione dei dati personali e la pubblicazione dei
dati reddituali come misura per contrastare la corruzione.
Il
cono visuale direbbe che la pubblicazione dei dati personali reddituali non
comprime la vita privata ma combatte la corruzione.
È
proprio possibile che sia sufficiente una pubblicazione del dato personale per
sconfiggere una male secolare? O forse è troppo riduttivo, o che altro? Questo
dovrebbe essere il disputare.
9. Gli
specchi ciechi del diritto.
Ed in
effetti, in epoca della Covid-19 anche la “trasparenza” dei “dati sanitari”
(contagi, vaccinazioni, effetti avversi/collaterali, ad esempio) ha subito una
diversa “misura del rischio”: la loro pubblicazione (il termine più recente, si
esprime in accountability) è divenuta questione di “sicurezza nazionale”, quasi
un segreto di stato, inaccessibile, mentre di fatto è un segreto industriale e
militare: la trasparenza FOIA, nata proprio con lo scopo di far conoscere ai
cittadini le informazioni detenute dal Governo o, in generale, dalle Autorità
pubbliche (l’AIFA, ad esempio è un ente pubblico, posto sotto la direzione del
Ministero della Salute e la vigilanza del Ministero della Salute e del
Ministero dell’Economia) ha subito un inatteso, quanto spiegabile, arresto. Proprio nel momento del massimo
bisogno il FOIA perde di effettività, di efficacia, quasi come le vaccinazioni
che richiedono un costante richiamo, se bastasse (puntini di sospensione).
La
raccolta dei dati personali per la profilazione/tracciamento (il c.d.
monitoraggio) dell’intera popolazione (è stato nominato, anche, un gruppo di 74
esperti in diverse discipline, il c.d. Gruppo di lavoro data driven,
finalizzato a trovare le migliori soluzioni ITC per mappare i contagi), con
un’inversione di scopo: dall’apertura all’isolamento (del green pass, documento di
“libertà” contenente una serie di dati personali).
(Il
green pass è un documento di “schiavitù” perenne. Ndr)
Il
tutto (osservano, i più accreditati) per giustificare una forma di “Governo
Digitale”, non anteposto all’“Uomo Digitale”, un avvenire dove il patrimonio di
dati personali incamerati (o pubblicati) non è del tutto incerto, non mancando
punti di riferimento sullo scenario globale, ossia in quei ordinamenti che con le
armi portano la pace e la democrazia, dove il dato biometrico è un diritto di
libertà (per poter circolare e vivere nella società): in occidente, questo
sistema democratico, viene chiamato “regime”.
Il
PNRR dedica
la Componente 1, della Missione 1, relativa a Digitalizzazione, Innovazione e
Sicurezza nella PA per favorire l’interoperabilità tra le banche dati pubbliche
(il c.d. incrocio dei dati personali) con la digitalizzazione di ogni processo,
operazione e movimento, creando un’espansione dell’identità digitale per la
piena trasparenza (e controllo) della popolazione nei rapporti con le
istituzioni (e altro).
Una
nuova dimensione della tutela del dato personale, recessiva delle tutele
(protezioni) personali e della riservatezza, in nome di una sorveglianza
sanitaria (il diritto alla salute) o esattoriale, dove il “consenso informato”
è stato dilapidato e frustrato nella sua essenza di protezione e
autodeterminazione della persona (umana): l’obbligatorietà dei trattamenti
sanitari erga omnes ha tradito il diritto naturale prima, quello vivente dopo.
Andando
oltre (e siamo sempre sul tema) i sacerdoti della trasparenza hanno dimenticato
la trasparenza, come visivamente pensata dal primo comma, dell’art. 1, del
d.lgs. n. 33/2013: «allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini»,
pubblicando (e acquisendo) dati personali non coerenti con lo scopo della
citata cangiante fonte del diritto.
Ed
allora, come sia possibile lottare contro la corruzione (o la pandemia), con
tale compressione/compromissione di riservatezza (libertà privata) a favore
della pubblicità, dell’interesse generale alla conoscenza, quasi che la
“cattiva amministrazione” sia più importante del “bene della vita”,
quell’aspirazione del privato ad avere il riconoscimento dei propri diritti,
“ad essere lasciato solo” (to be let alone).
Siamo
di fronte (al fronte) ad un massiccio reperimento di dati personali,
riproducendo e aggiungendo adempimenti e pubblicazioni FOIA, in un crescendo di
dati (privati e pubblici) da inserire nelle migliaia di sez. di “Amministrazione
Trasparente” delle pagine internet della PA, con il rischio di essere
sanzionati per un eccesso o eccedenza di dati personali in rete , in vista
dell’integrità del sistema pubblico, perdendo di vista lo scopo primo della
trasparenza (la conoscenza utile) con un’eccessiva pubblicazione (e richieste)
di dati.
Non è
(forse) un caso che leggendo (ancora) il PNRR si incontrino dei periodi ove si
annota «occorre evitare che alcune norme nate per contrastare la corruzione
impongano alle amministrazioni pubbliche e a soggetti privati di rilevanza
pubblica oneri e adempimenti troppo pesanti», citando «il caso delle
disposizioni sulla trasparenza che prevedono … obblighi di pubblicazione di
numerosi atti, obblighi non sempre giustificati da effettive esigenze di
conoscibilità dei cittadini e assai onerosi per gli uffici, soprattutto degli
enti minori», segno di un bisogno di cambiare approccio, in una prospettiva di
semplificazione e razionalizzazione delle fonti (“c’è lo chiede l’Europa”).
Ridurre
all’essenziale la richiesta dei dati, valutare i c.d. open data e i c.d. big
data prima di assistere al tramonto della sfera personale, oggi in nome della
prevenzione della corruzione, già ieri in nome dell’emergenza pandemica, domani
per assicurare la sicurezza dai domini stranieri o perché lo esige la
transizione ecologica, perdendo pezzi di libertà e diritti acquisiti in nome
della nostra (e collettiva) tutela: «ma l’autorità … presenta anche un’altra
faccia, nel senso che non sembra voler rafforzare la nostra volontà, ma
talvolta sembra anzi volerla mortificare e opprimere» .
10.
Prospettive di salvezza dall’oppressione del controllo dei dati personali.
In
questa endiadi di valori, da una parte, un modello di accesso civico –
generalizzato finalizzato ad una conoscenza dell’attività della PA, in chiave
di controllo della spesa pubblica e dell’organizzazione (ex art. 1, del d.lgs.
n. 33/2013), dall’altra parte, un’ingerenza sistematica nella vita privata del singolo
impiegato in nome di questa trasparenza che si disperde (per il singolo
cittadino) in una moltitudine di dati incomprensibili, oltre che di difficile
lettura, rispetto ad altri (i decisori e venditori, non solo pubblici o
nazionali), capaci di selezionare e di profilare, grazie ai sistemi IA
(intelligenza artificiale), il singolo o la massa, rispetto ai bisogni del
momento, in spregio alle regole decantate della c.d. privacy, la disciplina
comunitaria del Regolamento UE 679/2016 (Regolamento generale sulla protezione
dei dati) e del d.lgs. n. 196/2013 (Codice della protezione dei dati), ovvero,
della privazione della propria riservatezza.
Una
nuova concezione dell’“interesse pubblico” che motivato dal beneficio
ricavabile per la comunità, in uno spirito di indubbia solidarietà sociale, un arcano
esoterico per la moltitudine degli influencer pubblicitari, si è asservito al metodo democratico
utilizzato, con parsimonia, per togliere quella democrazia (governo del popolo)
che le élite dei benpensanti, dalle fredde vene blu e dai danari ricolmi (le
lobby o logge), concedono per sottrarre alla moltitudine dei lavoratori,
assicurando un salario minimo (o reddito di cittadinanza) ai bisognosi e
aiutini/bonus economici alle imprese e alle famiglie (le c.d. mance), piuttosto che incidere sui fattori produttivi
e sull’occupazione (a basso costo) per il trionfo della finanza, quelle
celebrate scommesse, con derivati o future, sui fallimenti di un mercato o di
un paese, con estrema ed omogenea indifferenza.
Ed in
effetti, questa
formula del “pubblico interesse” è la chiave per il “trattamento” dei dati
personali senza il consenso dell’interessato, un passepartout lecito “alla
bisogna”, senza interferenze esterne, senza alcuna informazione
all’interessato, in piena discrezionalità, come previsto dall’art. 9,
Disposizioni in materia di protezione dei dati personali, comma 1, lettera a),
punto 2) del D.L. 8 ottobre 2021, n. 139, Disposizioni urgenti per l’accesso
alle attività culturali, sportive e ricreative, nonché per l’organizzazione di
pubbliche amministrazioni e in materia di protezione dei dati personali,
convertito con sostituzione dalla legge n. 205/2021, che postula la possibilità
per la PA, da includere una serie di soggetti che esercitano funzioni
pubbliche, di trattare dati personali «se necessario per l’adempimento di un
compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri ad
esse attribuiti».
Così
facendo, è stata rispettata la norma comunitaria, quella GDPR (Regolamento UE
679/2016), dando
“base giuridica” al trattamento dei dati personali, secondo il principio di
tassatività normativa, ai sensi dell’art. 2 ter, Base giuridica per il
trattamento di dati personali effettuato per l’esecuzione di un compito di
interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, del d.lgs. n.
196/2003:
ma tutto questo (forse) non è un eccesso in controtendenza con i principi di tutela
della vita privata, frutto di anni di lavoro e di rivendicazioni sui diritti
primari?
Non è
innegabile che la trasparenza è un valore, consentendo di estrarre – documenti,
dati e informazioni – importanti per conoscere i segreti intenti di chi governa
una Nazione, un’Istituzione pubblica, un’Amministrazione periferica, un’Azienda
di servizi partecipata, in sua assenza anche questa visione (minima possibilità
di partecipazione) sarebbe tolta, ma assurgere la trasparenza a sistema, caso
per caso, per imporre selvagge privazioni, per sostenere un controllo capillare
delle persone, alias correlate opinioni (i social sono un esempio di censura
senza contraddittorio), giungendo (quasi) a comprendere l’orientamento al voto,
in funzione della permanenza ai posti di comando, è un fatto che dovrebbe
indurre più di qualche riflessione sulla sistematicità e pervasività di
acquisizione di dati personali.
Sorprende
che l’intellighenzia nostrana, i baroni del sapere (di generazione in
generazione, da padri a figli), i fautori del liberismo, i liberatori della
patria, i sepolcri imbiancati dell’informazione, rispondano agli impulsi di questa
impresa, di questa manipolazione delle coscienze, di questo virtuosismo della
resilienza.
A ben
vedere si tratta (invece) di un’attività svolta motu proprio, non imposta
coattivamente da norme o precetti, ma da un’adesione spontanea, una loro
persuasione spirituale, consacrata – in un giuramento visivo – senza riserva,
un inginocchiarsi alla dea (ieri) ragione, poi scienza, oggi “interesse generale” che tale
non copre né quello collettivo, né quello individuale, in una trasfigurazione
di negazione dei valori primari: il rispetto della vita e della pietas (in
lirica pagana, quella concessa nei miti, da Achille ad Enea).
Assistiamo,
in nome di tante tutele (termine indifferente al contenuto) ed emergenze (nelle
loro infinite catalogazioni), alla perdita di sovranità, alla cessione di
diritti senza controprestazione alcuna: le motivazioni di questa deriva
sono imputabili sempre a qualcosa di indefinito, a qualcosa di
incontrovertibile, a qualche pericolo imminente.
Fino
ad oggi, il rischio dei contagi senza, tuttavia fornire dati attendibili se non
spillare bollettini dei picchi (non andiamo oltre), domani per controllare il rischio
climatico (o west nile o vaiolo delle scimmie) e i consumi energetici (i cui
costi, solo con i numeri primi, sono graficamente esplosi), non tralasciando di
investire in armi per aiutare la diplomazia della pace.
L’isolamento
patito, l’abbandono dei nostri cari nel momento del trapasso, l’iperbolico
consumo di dati personali, la cura dei sani con i virus, l’inganno fatto mestiere, non
ci deve portare alla disperazione, serve invocare la “grazia” della parola: la
grazia risiede nel dubbio: nel dubbio che tutto questo non sia per il nostro
bene, per la nostra salute, per il nostro futuro.
(…è la
via che porta alla schiavitù totale della parte ancora in vita dell’umanità!
Ndr)
Vi è il
bisogno di vivere, di osare, di abbandonare le facili certezze del pensiero
unico (quello servito e farcito dai network digitali delle grandi corporate
governance), del positivismo insensibile all’umana debolezza, di credere ancora
nella possibilità di avere un’opinione (anche critica), capace di pensare in
proprio, di differenziarsi senza affidarsi ai campioni del “non si può”, del
“non lo prevede il protocollo”, di coloro che predicano e non praticano.
Dobbiamo
tenere sveglio il cuore, coltivare la speranza, la possibilità di cambiare: «Non abbiate paura degli uomini,
poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà
conosciuto… non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno
potere di uccidere l’anima».
Alziamo
il capo !
(Avvocato
Maurizio Lucca).
(Maurizio
Lucca, avvocato e Segretario Generale presso Amministrazioni Locali. Ha svolto
le funzioni di Direttore Generale in diversi Enti locali.)
COVID, MOSCA CONTRO GLI USA:
“HANNO
SCATENATO E ALIMENTATO
ARTIFICIALMENTE LA PANDEMIA,
ABBIAMO LE PROVE”.
Comedonchisciotte.org-
Markus –( 06 Agosto 2022 )- ci dice :
(mil.ru).
Il
Ministero della Difesa russo accusa ufficialmente Usaid e Pentagono di aver
sperimentato in Ucraina armi biologiche. Il Nuovo Coronavirus sarebbe una
creazione americana.
Il
Ministero della Difesa della Federazione Russa continua ad analizzare le attività
militari e biologiche degli Stati Uniti e dei loro alleati in Ucraina e in
altre parti del mondo alla luce delle nuove informazioni ottenute nei territori
liberati.
Prosegue
lo studio dei campioni biologici provenienti da soldati ucraini che hanno volontariamente
deposto le armi. Come avevamo già osservato in precedenza, nel loro sangue sono state
trovate alte concentrazioni di antibiotici, oltre a marcatori immunologici
indicativi dell’esposizione alla sindrome renale e agli agenti patogeni
responsabili della febbre del Nilo Occidentale, studiati dal Pentagono
nell’ambito dei progetti UP-4 e UP-8 ucraini.
Particolare
attenzione va prestata al ritrovamento nelle postazioni abbandonate dal
personale militare ucraino di sostanze stupefacenti, tra cui oppioidi, come il
metadone, la codepsina, il codeterp, nonché sostanze di tipo efedrina:
t-fedrina e tri-fedrina.
La
droga sintetica metadone è utilizzata nel trattamento della tossicodipendenza
come terapia sostitutiva.
Giova
ricordare che nella Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale,
soprattutto tra il 1943 e il 1945, le compresse di pervitin, un derivato
dell’anfetamina, venivano somministrate ai soldati per ridurre il carico psico-emotivo,
principalmente alle truppe delle SS.
Il
farmaco era stato utilizzato in modo massiccio anche dalle truppe statunitensi
nelle guerre di Corea e del Vietnam.
Un
effetto collaterale di queste droghe che creano dipendenza è principalmente
l’eccessiva aggressività, il che spiegherebbe l’estrema crudeltà verso i civili
mostrata da alcuni militari ucraini, nonché il bombardamento delle città nel
Donbass.
Alla
luce delle informazioni disponibili sull’uso di potenti stimolanti da parte dei
militari dell’AFU, stiamo studiando i campioni in arrivo per verificare la
presenza di questa classe di composti. Le loro tracce persistono negli
organi e nei tessuti umani per molto tempo (ad esempio, nei capelli – fino a
sei mesi).
I
risultati saranno consegnati al Comitato investigativo e utilizzati come prova
nelle indagini sui crimini di guerra commessi dal regime di Kiev.
Qualche
settimana fa, durante l’operazione militare speciale, è stata liberata Rubezhnoye, nella
Repubblica Popolare di Lugansk. Nel laboratorio del centro medico Pharmbiotest,
situato in via Pochaivska 9, sono stati trovati documenti che confermano che,
per diversi anni, sono state condotte ricerche in Ucraina per conto della
cosiddetta Big Pharma. Test clinici di farmaci non registrati con effetti
collaterali potenzialmente gravi sono stati condotti su residenti locali.
Abbiamo
esaminato i locali del centro responsabile delle sperimentazioni cliniche dei
farmaci su volontari. In essi sono state trovate prove del fatto che i clienti
occidentali visitavano regolarmente Pharmbiotest e potevano accedere a tutte le
fasi del processo di ricerca. Per comodità di lavoro, le scritte sulle apparecchiature, i nomi delle stanze e la
documentazione di lavoro erano stati duplicati in inglese.
Per
non rovinarsi la reputazione ed evitare i costi legali in caso di fallimento
delle sperimentazioni dei nuovi farmaci, le aziende statunitensi ed europee
hanno condotto test clinici sui cittadini ucraini. La retribuzione dei volontari era
minima e gli incidenti mortali potevano essere facilmente nascosti. Non ci sono state nemmeno ispezioni o
controlli seri da parte delle autorità locali.
Ciò è
in linea con il concetto occidentale di delocalizzare a livello internazionale
la ricerca più controversa. In Ucraina sono stati utilizzati a questo scopo personale
militare, cittadini a basso reddito e una delle categorie più vulnerabili della
popolazione, i pazienti degli ospedali psichiatrici.
Continuiamo
ad analizzare il materiale documentario scoperto nel laboratorio
dell’insediamento di Rubezhnoye.
Avevamo
già informato che più di 16.000 campioni biologici, tra cui campioni di sangue
e di siero, erano stati trasferiti dall’Ucraina verso gli Stati Uniti, la
Georgia e i Paesi europei.
Sullo
sfondo delle assicurazioni dell’amministrazione statunitense che le informazioni
genetiche ottenute dai cittadini ucraini saranno utilizzate “…esclusivamente per scopi
pacifici…”, vorrei citare una dichiarazione di Jason Crowo del Comitato per
l’Intelligence della Camera degli Stati Uniti alla Conferenza sulla Sicurezza
del Nord America nel mese di luglio.
Crow
aveva messo in guardia gli Americani sui pericoli connessi al concedere il
proprio DNA a società private per i test perché: “… c’è la possibilità che i
risultati dei test vengano venduti a terzi… e le informazioni ottenute
potrebbero essere utilizzate per sviluppare armi biologiche destinate a gruppi
specifici… o a singoli individui.”
Dato
l’interesse dell’amministrazione statunitense per lo studio di agenti biologici
“mirati,” tali dichiarazioni costringono a rivedere le cause della nuova
pandemia di coronavirus e il ruolo dei biologi militari statunitensi nella comparsa e
nella diffusione dell’agente patogeno COVID-19.
Nel
maggio 2022, Jeffrey Sachs – uno dei maggiori esperti della rispettata rivista medica
The Lancet e professore alla Columbia University, la principale istituzione
accademica per la biosicurezza globale – aveva dichiarato durante una
conferenza in Spagna che “… il coronavirus è stato creato artificialmente ed è molto
probabile che sia stato creato utilizzando i progressi americani nella
biotecnologia…”
Secondo
i nostri esperti, ciò è dimostrato dalla mutevolezza non caratteristica delle
geno-varianti che causano diversi picchi di incidenza dei coronavirus, dalle
differenze significative in termini di letalità e contagiosità, dalla
distribuzione geografica non uniforme e dalla natura imprevedibile del processo
epidemico nel suo complesso. Sembra che, nonostante gli sforzi per contenere e isolare la
malattia, la pandemia sia alimentata artificialmente dall’introduzione di nuove
varianti del virus in una particolare regione.
Stiamo
valutando la possibilità che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo
internazionale (USAID) sia coinvolta nella comparsa del nuovo coronavirus. Dal
2009, l’agenzia ha finanziato il programma Predict, che ha studiato nuove
specie di coronavirus tramite la cattura di pipistrelli portatori dei virus. Uno degli appaltatori del progetto è
Metabiota, una società nota per le sue attività militari-biologiche in Ucraina.
È
assai sospetto che, nel 2019, prima della comparsa dei primi casi di COVID-19, l’istituto statunitense Johns Hopkins
avesse ospitato una simulazione denominata “Event-201,” in cui ci si esercitava a gestire
un’epidemia di un coronavirus precedentemente sconosciuto che, secondo il piano
dell’esercitazione, veniva trasmesso dai pipistrelli all’uomo attraverso un
ospite intermedio, i maiali. È in questo modo che il virus dell’influenza spagnola, che
aveva ucciso decine di milioni di persone, era diventato pandemico.
L’attuazione
dello scenario COVID-19 e la rapida chiusura del programma Predict da parte
dell’USAID nel 2019 suggeriscono la natura deliberata della pandemia e il
coinvolgimento degli Stati Uniti nella sua comparsa.
Durante
l’operazione militare speciale, sono stati sequestrati documenti che indicano
che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e il suo
principale appaltatore, Labyrinth Ukraine, partecipano al programma militare
statunitense sulle armi biologiche dal 2019.
Si
noti la lettera del capo del Dipartimento sanitario ed epidemiologico dell’AFU
alla direttrice di Labyrinth Ukraine, Karen Saylors. In essa, il comando delle Forze
Armate ucraine si dichiara pronto a collaborare con l’USAID per la
somministrazione di vaccini al personale militare e per la raccolta,
l’elaborazione e la trasmissione di informazioni di interesse per la
controparte statunitense.
La
scelta dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale come
coordinatrice dei lavori potrebbe essere stata dettata dalla crescente
preoccupazione russa per le attività dei laboratori biologici ucraini, un
tentativo di “mettere fuori gioco” l’agenzia di difesa statunitense ed evitare
accuse di sviluppo di armi biologiche.
È
stato accertato che Labyrinth Ukraine è una divisione della società
statunitense Labyrinth Global Health e i suoi fondatori sono ex dipendenti di Metabiota, un
appaltatore chiave del Pentagono nel settore biologico-militare.
Labyrinth
Ukraine ha partecipato ai progetti UP-9 e UP-10, che hanno studiato la
diffusione della peste suina africana in Ucraina e nell’Europa orientale.
Vorrei
sottolineare che, nell’ambito del programma di riduzione della minaccia
biologica del Dipartimento della Difesa statunitense, una delle aree di ricerca
di Labyrinth
Global Health è stata lo studio dei coronavirus e del virus del vaiolo delle scimmie.
Il 23
luglio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’epidemia di
vaiolo delle scimmie un’emergenza sanitaria internazionale e, fino ad oggi, la
malattia è stata segnalata in 76 Paesi, con oltre 26.000 casi.
Vediamo
quindi una chiara tendenza: gli agenti infettivi che raggiungono la zona di interesse del
Pentagono diventano successivamente pandemici, con le aziende farmaceutiche
statunitensi e i loro patroni, i leader del Partito Democratico degli Stati
Uniti, come beneficiari.
Abbiamo
già documentato l’uso di armi biologiche da parte degli Stati Uniti a Cuba. Si trattava della diffusione
deliberata della Dengue, della peste suina africana e di patogeni destinati a
colture economicamente importanti sull’isola. Vorrei fornire un altro esempio
tratto dal dossier biologico militare statunitense.
Nel
1997, il governo cubano aveva portato all’attenzione della comunità mondiale il
fatto che gli Stati Uniti avevano violato i requisiti della Convenzione sulle
armi biologiche e tossiche. L’accusa si basava sulla testimonianza di un pilota
cubano che aveva registrato l’irrorazione da parte di un aereo statunitense di
un agente biologico da quarantena, il tripide della palma, che avrebbe potuto
danneggiare una delle industrie agricole chiave di Cuba.
Sebbene
fosse stato possibile avviare una riunione straordinaria degli Stati facenti
parte della Convenzione sulle armi biologiche e tossiche sulla questione, l’incidente
non era stato indagato a causa della mancanza di un meccanismo di verifica
della Convenzione, che la Federazione Russa insiste a voler istituire.
Tale
impunità ha contribuito al continuo utilizzo della tecnologia delle armi
biologiche da parte di Washington in America Latina, compreso l’assassinio di
politici indesiderati.
Il 18
luglio 2022, il presidente della Repubblica del Venezuela, Nicolas Maduro,
aveva denunciato pubblicamente il coinvolgimento degli Stati Uniti
nell’assassinio dell’ex capo di Stato Hugo Chávez.
Secondo
le informazioni di cui dispone il Venezuela, i servizi di sicurezza
statunitensi lavoravano fin dal 2002 sui possibili modi per eliminare il leader
venezuelano, che aveva perseguito un’attiva politica antiamericana. Erano stati scoperti e sventati
numerosi tentativi di assassinio che coinvolgevano membri dell’ambasciata
statunitense a Caracas.
In
violazione del diritto internazionale, gli Stati Uniti sono stati coinvolti
nello sviluppo di farmaci che, se somministrati a breve termine, causano
malattie croniche e sviluppano varie forme di cancro. Secondo la parte venezuelana, un
farmaco simile sarebbe stato usato per avvelenare Chávez da Claudia Díaz, un
membro dell’entourage presidenziale. La donna era fuggita dal Venezuela con l’assistenza
delle agenzie di intelligence statunitensi ed era stata successivamente accolta
negli Stati Uniti per evitare una possibile pubblicità sui dettagli della sua
collaborazione con le agenzie di intelligence statunitensi.
Il
nesso causale tra la morte del leader venezuelano e lo sviluppo di armi
biologiche è confermato dalle prove forensi e dalle testimonianze dei medici
cubani che avevano curato Chavez sul decorso atipico della malattia e sulla sua
resistenza all’uso dei farmaci.
Grazie
all’operazione militare speciale, le minacce poste dai bio-oggetti statunitensi
sono state portate all’attenzione di molte organizzazioni internazionali e
governative.
In
diversi Paesi del mondo si sono svolte manifestazioni di massa contro i bio-laboratori
finanziati dal Pentagono. Le organizzazioni della società civile dell’Unione Economica
Eurasiatica hanno approvato una risoluzione per la chiusura di tali bio-laboratori.
In
questo contesto, in altri Paesi stiamo già assistendo ad un cambiamento
nell’approccio dell’esercito statunitense alle attività di tipo biologico. Ad
esempio, agli Stati in cui gli USA conducono ricerche a doppio bersaglio è
stato chiesto di firmare una dichiarazione collettiva di cooperazione con gli
USA al solo scopo di “…migliorare la sicurezza sanitaria globale e ridurre
l’impatto delle malattie infettive sulle popolazioni…” È la parola “globale” e
il resto del testo ad attirare l’attenzione: “guidato dagli Stati Uniti”.
In
ogni caso, per i Paesi fedeli all’iniziativa statunitense saranno disponibili
ulteriori finanziamenti attraverso il Programma di riduzione del rischio
biologico.
Il
Ministero della Difesa russo continuerà ad analizzare le prove documentali del
programma statunitense di armi biologiche in Ucraina e vi terrà informati sui
risultati.
Sentinelle
del mattino con
“coraggio
della Verità”, contro
“ideologia
della banalità” e stolti
“annunciatori
della parola che cambi
il
Vangelo con la scusa di adattarlo al nostro tempo”
korazym.org-
Vik van Brantegem-(8 Febbraio 2022)- ci dice:
La
cultura dello scarto e della sciatteria, che domina nostro tempo, si fonda
sull’ideologia della banalità e dell’effimero. Questa osservazione ci porta ad una
riflessione, pensando al profilarsi dei salottini e dei talkshow che cercano la
benedizione (share si dice) di Sant’Auditel, non con lo stupore per il bello,
per il sacro e per il bene, ma stimolando l’attrazione per tutte la possibile banalità
dei temi di questo mondo e la provocazione della dissacrazione con le volgarità
come sistema di marketing.
Mentre
cresce sempre di più l’ideologia della banalità, già da anni si lavora allo
sviluppo dell’intelligenza artificiale. E contemporaneamente l’Homo sapiens sapiens diventa sempre
più stupido.
Sempre
più vero è l’antico proverbio stultorum mater sempiter gravida (la madre degli stolti è sempre
incinta) e, quindi, secondo le leggi della natura, stultorum infinitus est numerus (infinito è il numero degli stolti)
che nascono, come ricorda San Tommaso al numero 651 del suo “Commento al
Vangelo secondo Matteo Capitoli 1-14”.
Il
riferimento è a Qoélet 1,15, secondo la Vulgata. Nella traduzione contemporanea si
leggono invece, conforme all’originale ebraico, due proverbi: «Ciò che è storto non si può raddrizzare
e quel che manca non si può contare».
Secondo
il teologo Luca Mazzinghi, il primo proverbio viene forse dall’ambiente
agricolo: ce
ne sono di analoghi in Egitto, dove si legge che un legno storto non può essere
raddrizzato neppure dal più abile artigiano.
Il secondo proverbio è proprio dell’ambito
commerciale: un contabile non può fare i conti con cose che non esistono.
Questi
due proverbi vogliono far capire che l’uomo è impotente di fronte ad una realtà
che lo sovrasta, non può raddrizzare ciò che è storto e contare ciò che manca,
ovvero l’essere umano è limitato.
San
Girolamo traducendo cambiò il testo, forse perché gli pareva troppo difficile,
come ipotizza tra altro Mazzinghi.
Quale
che sia la causa dell’errore, Mazzinghi invita a prenderla con filosofia e
ricorda “Della stupidità” di Dietrich Bonhoeffer, di una attualità
sconcertante, da cui citiamo un brano: «La stupidità è un nemico del bene
più pericoloso che la malvagità. Contro il male si può protestare, si può
smascherarlo, se necessario ci si può opporre con la forza; il male porta
sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, mentre lascia perlomeno un senso
di malessere nell’uomo. Ma contro la stupidità siamo disarmati. Qui non c’è nulla da fare, né con
proteste né con la forza; le ragioni non contano nulla; ai fatti che
contraddicono il proprio pregiudizio basta non credere (in casi come questi lo stupido
diventa perfino un essere critico), e se i fatti sono ineliminabili, basta
semplicemente metterli da parte come episodi isolati privi di significato. In questo, lo stupido, a differenza
del malvagio, è completamente in pace con sé stesso; anzi, diventa perfino
pericoloso nella misura in cui, appena provocato, passa all’attacco. Perciò va usata maggior prudenza
verso lo stupido che verso il malvagio. Non tenteremo mai più di convincere
lo stupido con argomenti motivati; è assurdo e pericoloso».
In un
articolo apparso oggi, 8 febbraio 2022 su La Verità (Se l’uomo affida la
propria coscienza alla tecnologia perde logica e morale) [il testo è stato
ripreso da Marco Tosatto su Stilum Curiae , Ettore Gotti Tedeschi parla della
tentazione dell’intelligenza umana di rafforzarsi con quella artificiale, con
il rischio di erodere istinto e ragione, con la sempre più grande difficoltà a
distinguere tra il bene e il male e di perdere la logica e la morale.
L’economista, banchiere e accademico denuncia il rischio
del “Grande Reset” (la proposta del World Economic Forum di Davos di Klaus Schwab per ricostruire l’economia in
modo sostenibile dopo la pandemia di COVID-19), che si baserà sull’intelligenza
artificiale.
Gotti Tedeschi ritiene che l’intelligenza artificiale
contiene «un potenziale tale da poter arrivare a modificare la nostra
percezione del concetto di realtà, rendendola ben superiore a quella finora
percepita», ma avverte che «potrà modificare il concetto di bene-male, di
responsabilità e pertanto di libero arbitrio».
Nel
rapporto tra fede e ragione, sul quale si è generato e implementato il mondo
nelle precedenti ere, ci sarà presto un terzo “incomodo”: l’intelligenza artificiale «destinato
a ridisegnare la stessa ragione umana, convincendo l’uomo che è possibile
migliorarla e rafforzarla con una partnership, appunto con l’IA. Ciò potrà
avvenire in pratica accompagnando la ragione umana con un sistema logico
azionato dalla macchina».
«Come
l’IA può senza dubbio crescere le facoltà umane, può anche ridurle», assorbendo
e di fatto sostituendo alcune funzioni cerebrali fondamentali per l’umanità.
«Erodendo la ragione umana, riducendo la capacità di riflessione, la volontà,
l’istinto creativo, la capacità di riconoscere e correggere l’errore, l’umiltà
di riconoscerlo, la capacità di distinguere bene e male, decidendo solo tra
efficiente e inefficiente, utile non utile».
Per Gotti Tedeschi esiste il rischio dell’illusione di
trovare, con l’intelligenza delle macchine, le “risposte” ai dubbi e le crisi
irrisolte è sempre più vicino: non solo, la tecnologia davvero sarà in grado di
permettere all’uomo di creare «una forma logica non umana che superi quella di
chi l’ha creata?».
Teme
che «la macchina potrebbe non essere più solo uno strumento, ma potrebbe diventare
partner indispensabile della ragione umana, che cesserebbe perciò di
comprendere e descrivere da sola tutta la famosa realtà».
Ed
ecco la vecchia profezia di San Giovanni Paolo II, riaffermata successivamente
anche dal Papa emerito Benedetto XVI, che «l’uomo ha molto investito in
scienza e conoscenza ma poco in sapienza».
Dello
stesso tema si è occupato Markus Krienke, Docente di Storia della Filosofia moderna e
di Etica sociale presso la Facoltà Teologica di Lugano e di Antropologia
filosofica presso la Pontificia Università Lateranense, in un articolo del 15
aprile 2020 apparso su Aggiornamenti Sociali (I robot distinguono tra bene e
male? Aspetti etici dell’intelligenza artificiale).
L’etica
e la dottrina sociale della Chiesa si confrontano con le sfide
dell’intelligenza artificiale.
La
responsabilità umana nel progettare i nuovi dispositivi resta al centro della
riflessione: si tratta infatti di incorporare dei criteri etici nei parametri
decisionali delle “macchine intelligenti”.
Gli
scenari aperti dal progresso tecnologico nell’ambito dell’intelligenza
artificiale e dall’impatto che esso avrà sulla società sollevano questioni
etiche e antropologiche con cui la riflessione filosofica e teologica e la
dottrina sociale della Chiesa sono chiamate a misurarsi.
Le
macchine intelligenti acquisteranno anche la capacità di distinguere il bene
dal male? Dovremo quindi considerarle soggetti con una propria responsabilità?
O la
responsabilità morale resterà una caratteristica peculiare dell’essere umano?
Sono le domande di cui si è occupato il Prof. Krienke nell’articolo.
«La
fede ci mette dinanzi alla visione dell’uomo più impegnativa che possa
esistere. Dobbiamo ricordarci di questa nostra pretesa; essa si scontra con
tutte le parvenze di libertà che vengono proposte e che, di fatto, limitano la
formazione della persona perché ne impediscono il suo vero sviluppo. È per
questo che stiamo sotto il fuoco incrociato perché ciò che proponiamo è
scomodo, controcorrente e impedisce di ridurre l’uomo a un puro oggetto di
mercato e l’amore a un puro fatto transeunte di un fine settimana. Nessuno di
noi, tuttavia, potrebbe prendere sul serio la consegna di Cristo se non
comprendesse che questa comporta l’essere trascinati con lui in un’offerta di
amore che sa consegnarsi a ciò che agli occhi del mondo appare come sconfitta e
fallimento. Possiamo esser emarginati, ma questo può essere anche la nostra
forza. Certamente
ci saranno molti che comprenderanno che dinanzi all’ideologia della banalità e
dell’effimero che sa solo offrire concerti dell’ultima ora o divertimento
sfrenato senza più regole, è necessaria un’opposizione profetica, tipica delle sentinelle
che siamo chiamati ad essere e che ci rende non solo davvero moderni dinanzi al
decadimento attuale, ma lungimiranti nel saper rispondere agli interrogativi
che sorgono in tanti coetanei al termine di un lugubre fine settimana (cfr
J.Ratzinger, Sale della terra, 271). Saremo veramente «sentinelle del mattino» se avremo
in noi il coraggio per la Verità» (Rino Fisichella, 3 maggio 2006).
«L’”inattualità”
della Chiesa, è, da un lato, la sua debolezza – essa viene emarginata – ma può
essere la sua forza. Forse gli uomini possono percepire che contro l’ideologia
della banalità, che domina il mondo, è necessaria un’opposizione, e che la
Chiesa può essere moderna, proprio essendo antimoderna, opponendosi a ciò che
dicono tutti. Alla Chiesa tocca il ruolo di opposizione profetica ed essa deve anche
averne il coraggio. Proprio il coraggio della verità è in realtà la sua grande
forza – anche se questo, all’inizio, sembra danneggiarla, togliendole
popolarità e spingendola in una sorta di ghetto» (Joseph Ratzinger, Il sale della
terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella svolta del millennio, San Paolo
Edizioni 1997).
A
proposito di opposizione profetica, incontrando i giornalisti ammessi al Volo
Papale in viaggio verso Praga il 26 settembre 2009, alla domanda posta da un
giornalista: «Santità, la Repubblica Ceca è un Paese molto secolarizzato in cui la
Chiesa cattolica è una minoranza. In tale situazione, come può contribuire la
Chiesa effettivamente al bene comune del Paese?», Papa Benedetto rispondeva: «Direi che normalmente sono le
minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa
cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori
che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere
presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di
libertà e di pace. Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo
è proprio il dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno dell’altro:
l’agnostico non può essere contento di non sapere se Dio esiste o no, ma deve
essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il cattolico non può
accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio, ancora di
più, e nel dialogo con gli altri ri-imparare Dio in modo più profondo. Questo è
il primo livello: il grande dialogo intellettuale, etico ed umano. Poi, nel settore educativo, la Chiesa
ha molto da fare e da dare, per quanto riguarda la formazione. In Italia
parliamo del problema dell’emergenza educativa. È un problema comune a tutto
l’Occidente: qui la Chiesa deve di nuovo attualizzare, concretizzare, aprire
per il futuro la sua grande eredità. Un terzo settore è la “Caritas”. La Chiesa
ha sempre avuto questo come segno della sua identità: quello di venire in aiuto
ai poveri, di essere strumento della carità. La Caritas nella Repubblica Ceca fa
moltissimo nelle diverse comunità, nelle situazioni di bisogno, e offre molto
anche all’umanità sofferente nei diversi continenti, dando così un esempio di
responsabilità per gli altri, di solidarietà internazionale, che è anche
condizione della pace».
«Noi
non abbiamo bisogno di annunciatori della parola che cambino il Vangelo con la
scusa di adattarlo al nostro tempo, ma di annunciatori che tentino ogni giorno,
magari riuscendoci poco, di cambiare se stessi per essere ogni giorno più
conformi al Vangelo che non cambia» (Cardinale Giacomo Biffi, Lettere a
una carmelitana scalza (1960-2013), Edizioni Itaca 2017).
LA PIÙ
GRAVE MANIPOLAZIONE DI PUTIN
“Contro
i nazisti si può essere bastardi.”
It.gariwo.net - Vassilij Grossman -Gabriele
Nissim-(22 giugno 2022)- ci dicono :
La
messa in discussione dell’identità ucraina, da cui è nata l’aggressione
dell’esercito di Putin, ci dovrebbe spingere a ragionare non solo sul piano
politico, ma anche sui meccanismi dei genocidi, sull’uso distorto della storia
e sull’utilizzo sbagliato delle parole stesse. Prima di tutto, sul concetto
stesso di nazismo così in voga oggi nei media dell'autocrazia russa.
La
sconfitta dell’aggressione russa non è solo una questione politica e nemmeno
diplomatica, come alcuni ritengono, come se ci fosse la necessità di trovare
delle mediazioni possibili tra le ragioni degli uni e degli altri, ma è anche
una grande questione culturale da esaminare in profondità.
Non si
tratta solo di vincere Putin sul piano della resistenza sul campo, ma di
vincere la battaglia culturale sull’abuso dei termini.
Ci
sentiremo più forti se comprenderemo meglio la lezione che ci viene da una
vicenda che la maggior parte di noi non aveva previsto e probabilmente aveva
sottovalutato.
Per
prima cosa, dovremmo capire a fondo il meccanismo dei genocidi e delle atrocità
di massa, su cui ha ragionato come nessun altro Vassilij Grossman, il grande
scrittore ebreo russo di Vita e destino e Tutto scorre.
Come è
possibile che gli uomini diventino protagonisti delle azioni più efferate e non
abbiano pietà, come vediamo dalla distruzione sistematica delle città e dagli
atti di violenza gratuiti nei confronti di un popolo che si rifiuta di venire
cancellato nella sua identità e sovranità.
Grossman
sosteneva che il male politico, dal nazismo al comunismo, si presenta sempre
come un bene in nome di una supposta nuova civiltà, per cui annientare l’altro fino
alla sua distruzione è una opera di igiene politica e sociale che dovrebbe
portare a chi se ne fa carico un futuro radioso, se non addirittura la
felicità. Annientando
gli altri, come se fossero delle erbacce, si renderebbe il giardino più
rigoglioso.
Per i
nazisti, liberarsi degli ebrei significava rendere la Germania migliore, come
se la loro stessa esistenza sulla terra fosse la causa di tutti i mali del
mondo e della propria infelicità.
Pur
con tutte le differenze, perché nulla è mai uguale nella storia degli uomini,
il paradigma di un bene superiore che giustifica guerre e atrocità di massa è
sempre lo stesso.
Così
Putin sostiene che la Russia deve tornare ai confini del vecchio impero
sovietico;
che la sua missione è quella di imporre un nuovo ordine internazionale in
alternativa a quello delle democrazie liberali che considera decadenti; che alcuni Stati, come l’Ucraina, non
hanno diritto di esistere come entità nazionali separate dalla Russia ed altri
invece, come i Paesi baltici, non hanno il diritto di decidere la propria
collocazione internazionale.
E,
contemporaneamente, il capo della chiesa ortodossa dichiara che è in gioco la
difesa della famiglia tradizionale contro quella che definisce la depravazione
dei gruppi Lgbtq+.
Così
come osservava Vasilij Grossman spiegando il fascino delle narrazioni
ideologiche, molti oggi, in nome del distorto sogno putiniano, non sanno
comprendere la realtà in Russia e pensano di essere dalla parte giusta;
altri nell’establishment politico, nonostante
abbiano qualche dubbio, mettono a tacere la loro coscienza in nome degli
interessi della nazione; altri ancora, che invece pensano con la propria testa, sono
accusati di essere traditori e messi fuori legge, come è accaduto ai dissidenti
del comunismo. Per
portare a termine una guerra ingiusta ci vuole una autocrazia illiberale che
impedisce la libertà di pensiero, è quello che è avvenuto con la repressione
sistematica dei giornalisti.
È poco
rassicurante, ma il Male nella storia si presenta sempre come Bene, per questo bisogna saper leggere in
anticipo i meccanismi ideologici da cui inevitabilmente nascono l’odio e
l’indifferenza che portano alle atrocità di massa.
La
prevenzione dei genocidi passa sempre dalla comprensione del pensiero che forma
i carnefici.
Ecco allora perché non dobbiamo stupirci, come osservava lo scrittore russo
in Vita e Destino, che tante persone per bene si facciano trascinare dal
fascino delle ideologie sofisticate come quella sovietica o rozze come quella
putiniana.
Un
punto su cui poco si è ragionato è l’uso distorto del termine nazista fatto da
Putin per giustificare l’aggressione all’Ucraina. Pensiamo ai soldati russi chiamati
a combattere in Ucraina per liberarla dalla morsa del nazismo.
Il
termine evoca il male peggiore della storia, la sopraffazione del diverso e
dell’ebreo, un ordine terribile che crea una gerarchia tra gli uomini di serie
a e di serie b.
Così,
chi è mandato da Putin infarcito dalla propaganda di una crociata anti-nazista
non può dimostrare pietas perché è convinto di avere a che fare con i peggiori
nemici dell’umanità. Si spiegano così le stragi di civili in Ucraina, non dovute
solo a sentimenti di disumanità e a operazioni belliche dove la vita non conta
nulla, ma
alla convinzione creata ad arte che sia in atto una giusta guerra contro i
nazisti.Mi
viene in mente il film di Tarantino Bastardi “senza gloria”, dove i protagonisti della
resistenza se vogliono vincere e sopravvivere di fronte alle orde naziste
devono per forza essere più bastardi di loro. Non c’è una via di mezzo.
Anche
io quando ero ragazzo nel ‘68 e militavo nelle organizzazioni studentesche, ero
disponibile a discutere con tutti, di destra o di sinistra, ma se fossi venuto
a conoscenza che da qualche parte c’era un nazista tatuato che inneggiava ad
Hitler e alla soluzione finale non avrei esitato minimamente a partecipare ad
una spedizione punitiva, perché si trattava della mia salvezza di ebreo di
fronte a un potenziale carnefice.
È
questa la gravissima responsabilità di Putin.
Avere
mandato al fronte migliaia di giovani facendo loro credere che al potere in Ucraina ci fossero
dei nazisti
che volevano liberarsi dei russi come avevano fatto durante la Seconda guerra
mondiale con gli ebrei.
(Gabriele
Nissim, presidente di Gariwo).
La
sconfitta di Macron
è
quella dell’Europa,
ma la
colpa non è del popolo.
Ilriformista.it-
Astolfo Di Amato - (24 Giugno 2022 )- ci dice :
La sconfitta
di Macron è quella dell’Europa, ma la colpa non è del popolo.
L’esito
delle elezioni francesi è stato visto da molti commentatori come un pericolo
per l’Europa.
L’affermazione di Mélenchon e, ancora di più,
di Marine Le Pen viene interpretata come un fattore di disgregazione
dell’Europa e, in questa prospettiva, indicato come un significativo segnale
dell’avveramento della profezia di Putin, secondo cui le élite europee
sarebbero destinate ad essere scardinate da un’ondata di nuovi radicalismi.
Quanto avviene in Francia è, poi, messo in relazione
con il successo che, stando ai sondaggi, avrebbe ormai consolidato in Italia il
partito di Giorgia Meloni.
A
prescindere dalle differenze ideologiche e dalla distanza, anche personale, tra
Giorgia Meloni e Marine Le Pen, la loro affermazione sarebbe la diretta
conseguenza dell’espansione di un radicalismo capace di divorare il progetto
europeo, come tale tanto più pernicioso in un momento come questo, segnato
dalla guerra in Ucraina e dalla contrapposizione, mai così netta, tra Russia e
mondo occidentale.
Si
tratta di una prospettiva certamente consolatoria, per chi ritiene di potersi
collocare nella schiera dei buoni e dei benpensanti, i quali si sentono
aggrediti da un voto popolare che non rispetta le loro “sagge” indicazioni.
Ma che
ha, tra l’altro, l’evidente difetto di non dare per il futuro una prospettiva
diversa da una vaga speranza che, a seguito del rimprovero di chi ne sa di più,
il popolo di chi vota cambi opinione.
Se si
prova a portare un rispetto autentico, e non di facciata, al popolo che vota ci
si rende conto, tuttavia, che la prospettiva va rovesciata.
Il
punto non è affatto quello di ricondurre il popolo che vota sulla retta strada,
bensì quello di dare una prospettiva di soluzione ai problemi, che segnano la
vita quotidiana, togliendo l’impressione, oggi fortissima, che la volontà degli
elettori non conti nulla e che l’unica cosa che è loro concessa è quella di
esprimere il proprio dissenso, per quel poco che vale, attraverso il voto.
In
questa diversa prospettiva, diventa, innanzitutto, inevitabile registrare che
l’inadeguatezza dell’Europa non può più essere occultata da una narrazione di
un europeismo tanto assoluto, quanto privo di contenuti.
Sarà
per la inadeguatezza della regola dell’unanimità o per il predominio, che nelle
istituzioni europee, hanno gli uffici burocratici, fatto sta che l’Europa è
troppo spesso lontana dai problemi dei cittadini. Lasciando da parte la tragicomica
questione, che pure esiste, di un potere che si manifesta nella determinazione
della lunghezza dei piselli, resta il fatto che di fronte a questioni vitali,
quali quelle sulle fonti energetiche o sulla organizzazione del mercato, le
decisioni appaiono prese da una distanza siderale, che nessuna relazione ha con
i cittadini.
Non ci
si chiede, ad esempio, quale impatto possa aver avuto nella votazione francese la decisione, assunta in sede
europea, di vietare, a partire dal 2035, la vendita di autovetture a benzina.
Anche
in quel paese, come in Italia, l’industria automobilistica gioca un ruolo
determinante nell’occupazione e nell’economia.
(Con le elezioni in
Francia è nata una nuova sinistra, ma in Italia nessuno se ne accorge.
Macron chiude
all’unità nazionale dopo il terremoto delle legislative: “Coalizione o
maggioranza caso per caso”
Flop del modello
francese, il semipresidenzialismo non fa per noi.
Quello di Macron non
è un vero flop: tra compromessi ed effetti collaterali, lo scenario del dopo
voto in Francia.)
Una
decisione del genere, gravida di conseguenze sull’occupazione e sull’economia,
è stata presa tenendo conto di tutti gli interessi coinvolti o solo della
ideologia di quei paesi che, non avendo una industria automobilistica, nulla
hanno da temere da una decisione del genere?
Basta
questo esempio per rendersi conto che è l’Europa, che deve rendersi
riconoscibile ai propri cittadini come soggetto politico rappresentativo dei
loro interessi, invece che pretendere cieca osservanza.
Del
resto, la stessa vicenda dei fondi del Pnrr, che sono in corso di elargizione
all’Italia, presenta non solo luci, ma anche ombre. In alcuni momenti si avverte il
sussiego con cui il ricco elargisce al povero, accompagnato dalla occhiuta
determinazione di revocare tutto se non ci si comporta bene. E sullo sfondo c’è sempre la minaccia
di ripetere quanto già fatto con la Grecia.
A
questo rapporto insoddisfacente con l’Europa si affianca, poi, per gli
elettori, la frustrazione che accompagna la presa d’atto che il voto non è più strumento
di scelta politica.
Se si
guarda alle elezioni presidenziali francesi, che hanno visto la vittoria di
Macron, sia la prima e sia la seconda volta, il voto non è stato “per”, ma
“contro”. Nessuno spazio ha avuto un dibattito serio sulle istanze avvertite
dagli elettori di Marine Le Pen.
Il che
ha fatto sì che programmi, disegno del futuro, aspettative di un nuovo ordine
sono passate in ultimo piano, essendo l’unico obiettivo perseguito quello di
sconfiggere chi viene rappresentato come un pericolo per la democrazia.
Del
resto, la stessa logica comincia a manifestarsi anche in Italia, ove si
consideri il fuoco di sbarramento che inizia ad investire Giorgia Meloni,
ignorando le istanze sociali che attraverso di lei cercano rappresentanza.
Se continua
così, il voto del 2023 non sarà un voto su un programma di società, ma solo
“contro” il preteso pericolo nero rappresentato da Giorgia Meloni.
Già
questa situazione è sufficiente a dare conto di quanto profondo sia diventato
il fosso che divide corpo elettorale ed élite che governano.
In
Italia, peraltro, esso è scavato ancora di più dalla consapevolezza, ormai
granitica, che il voto popolare non conta niente di fronte alla volontà del
palazzo. Avere
un presidente del consiglio non eletto dai cittadini è divenuta una prassi
negli ultimi settennati presidenziali.
Ormai le elezioni sono considerate un pericolo per le
istituzioni, con la conseguenza che la pratica democratica del voto invece di
essere incentivata è ostacolata.
Di fronte a tutto questo, ridurre le elezioni ad una
battaglia contro il pericolo nero e per il mantenimento di un’Europa, la cui
distanza dai cittadini è sempre più profonda, mette a rischio la tenuta
democratica.
Il
tasso di astensione registrato nelle recenti elezioni politiche francesi e
nelle recenti elezioni amministrative italiane è un segnale inequivocabile di
un cattivo stato di salute della democrazia.
Rifugiarsi
in una lamentosa constatazione del rischio di disgregazione dell’Europa
significa volere sfuggire ad un serio confronto con la realtà.
(Astolfo
Di Amato).
Canfora
e il cinismo degli intellettuali
che
non vedono oltre l’ideologia.
Linkiesta.it-
Carmelo Palma- (18-3- 2022) - ci dice:
La
posizione “neneista” non è solo criticabile in sé, vista la mancanza di
fondamenti nella realtà, ma è anche pericolosa. Spinge gli studiosi infatuati
dei propri schemi a normalizzare la tragedia fino a esprimere indifferenza, se
non disprezzo, per la sofferenza delle vittime.
C’è un
punto oggettivo di incontro e di unità tra il partito di Canfora, Montanari, De Cesare e dei pacifisti
“neneisti”
(né con Putin, né con Zelensky) e quello dei Cardini, Veneziani e Borgonovo, che, dall’estremo apparentemente
opposto dello spettro ideologico tradizionale, accusano l’Occidente di avventurismo
per il suo sostegno alla causa ucraina: è la persuasione che della vicenda
ci si stia occupando con troppo generoso volontarismo e senza coscienza delle
leggi storiche, che guidano gli eventi e che condannano Kiev e i suoi amici a
una sicura e pure provvidenziale sconfitta.
Negli
studi strategici abbondano i fautori di un ferreo determinismo geopolitico,
convinti di potere vaticinare il corso della storia dei popoli e degli stati
come i climatologi possono prevedere se farà sole o pioverà.
In
loro soccorso, a proposito di questa guerra, che credevano sarebbe scoppiata
solo «quelli
che non capiscono niente» – come disse uno dei più gettonati aruspici televisivi, Lucio Caracciolo – oggi accorrono anche fior di
storici e filosofi, pure molto lontani da un approccio positivista, che censurano le semplificazioni
binarie (ad esempio: “aggressori e aggrediti”) e invitano a leggere gli eventi
in termini più freddamente scientifici.
Il che
vuol dire, all’atto pratico, fottersene di chi bombarda e di chi è bombardato e
di qualunque questione di diritto in ordine al campare degli uni e al crepare
degli altri, per capire invece in che direzione, tra le cataste dei cadaveri e
le macerie della guerra, soffi lo Spirito del mondo, che Hegel vedeva incarnato in
Napoleone seduto a cavallo e qualcuno può anche volenterosamente pensare di riconoscere
oggi nelle divise dei tagliagole siriani e ceceni, chiamati a riportare
l’ordine di Mosca in Ucraina.
Nel
secondo dopoguerra con “Miseria dello storicismo” Karl Popper irrise la pretesa metodologica di
fare di quella storica una disciplina spirituale olistica, sottratta alle
verifiche del metodo scientifico, e contestò per tutta la vita la conseguenza politicamente
totalitaria di questa pretesa: la presunzione di usare il potere per compiere
il destino della storia.
La
necessità storica diventava così la grande scriminante, anzi esimente di
qualunque nefandezza compiuta contro la vita e la libertà umana.
Oggi i
cosiddetti neutralisti di destra e di sinistra – che per fortuna non hanno il
potere politico, ma ne esercitano uno contro-politico di ragguardevole impatto
– invitano
a guardare alla mattanza ucraina come a una vendetta della storia contro la
hybris occidentale, che da una parte conferma i loro pregiudizi sulla
inevitabile entropia dell’ordine economico e sociale liberal-capitalistico e
dall’altro affretta
l’esito auspicato del Big Bang dell’ordine politico liberal-democratico.
In
questo, com’è inevitabile, la loro pretenziosa filosofia della storia incrocia i più
banali wishful thinking e la teoria, per così dire, oggettiva che vede il
mondo andare in una direzione riflette il loro desiderio soggettivo che in
quella direzione così agognata il mondo davvero ci vada. E chissà che non tocchi proprio al
macellaio del Cremlino vendicare i torti dell’imperialismo americano.
Al che
si potrebbe concludere che lo storicismo, che tanto ha imperversato nella
storia della filosofia e della politica, suscitando fanatiche idolatrie in un
presente o in un futuro ideologizzato, andrebbe forse letto più con gli
strumenti della psicologia cognitiva e clinica che con quelli della metafisica
delle idee.
Rimane
però il fatto che questo approccio fazioso, dissimulato nel gelido sussiego
accademico-scientifico, porta a una disumanizzazione contagiosa del dibattito sulla
guerra e all’educazione al cinismo e al disprezzo come strategie di
normalizzazione ideologica della tragedia.
Esemplare,
da questo punto di vista, è il tono con cui Luciano Canfora ha spiegato altezzosamente che «la storia di una Irina che perde il
bambino è un caso particolare e basta», cioè un puro accidente al cospetto
della sostanza, che questo apologeta dello stalinismo indaga dalla sua immaginaria cattedra
di storia universale.
Allo
stesso modo non bisogna farsi distrarre da «pianti e urla dei popoli», né farsi
accorare dalle «interviste ai passanti» (cioè dalle testimonianze dei
profughi), che non dicono niente del significato e della responsabilità della
guerra, che è della «potenza che vuole prevaricare», cioè ovviamente dell’Ucraina.
Canfora
ha particolare amore, come tutti gli storiografi speculativi, per le teorie che
non sono messe alla prova dalla realtà, ma che al contrario la riscrivono, cioè la ricacciano dentro uno schema
prefissato, deformandola in modo grottesco.
Insomma,
anche la guerra di Putin dimostra che, accanto alla miseria dello storicismo, c’è una più personale miseria degli
storicisti, con la loro idea che gli uomini siano solo legno che brucia nella fornace
della Storia (con la maiuscola) e che i custodi del suo fuoco sacro non possano
preoccuparsi della sorte della cenere.
Il
ritorno, non richiesto,
degli
aziendalisti in sanità.
Quotidianosanita.it-Ivan
Cavicchi-(31-5- 2021) - ci dice :
Ora
che, con il Recovery plan, il profumo del business si è fatto forte, la
razionalità aziendale si rifà sotto, e uscendo dall’ombra della pandemia, ci
ripropone la sua brava ideologia, la sua immancabile retorica le sue ricette ma
soprattutto il suo indiscutibile amore per la gestione del potere.
Premessa.
E’
noto che tra me e alcuni economisti che si occupano di sanità non è mai corso
buon sangue. Nei confronti dei discepoli di Arrow (Nobel per l’economia nel
1972 considerato il padre dell’economia sanitaria) ho sempre avuto, un debito
culturale quindi ovviamente ottimi rapporti (ricordo per tutti il mio amico e
maestro Antonio renna) non posso dire altrettanto per i teorici
dell’aziendalismo in sanità. Quelli che dagli anni ‘90 in poi diventarono di
fatto i padroni della sanità.
Se per Brenna il problema dell’economia
sanitaria era soprattutto la “gestione razionale delle risorse” per gli
aziendalisti era la “gestione della gestione”. Uno smisurato quanto
spregiudicato business a danno della sanità. Nulla di più.
Ideologia, retorica e razionalità senza morale.
Quando
nel 2005 scrissi “Sanità un libro bianco per discutere” dedicai un intero capitolo alla
comprensione della “razionalità aziendale” di Borgonovi pagg. 72/122).
Setacciai
tutti suoi editoriali pubblicati su Mecosan (Management e economia sanitaria) e
attraverso una accurata meta analisi dimostrai che il suo “pensiero sull’azienda”
in realtà era una ideologia, una retorica e alla fine una razionalità
molto opinabile.
Dopo
tanti anni, siccome il tempo è galantuomo, i fatti mi hanno dato ragione,
quella razionalità aziendale ha mostrato tutti i suoi limiti ideologici creando più contraddizioni che
soluzioni e oggi a parte la Fiaso e il ministro Speranza e
ovviamente il Cergas della Bocconi, non c’è una sola persona assennata
che in sanità è disposta a tenersi le aziende.
Dopo le elezioni politiche del 2018, che
segnarono la sconfitta del PD, il primo partito degli aziendalisti, gli
aziendalisti di fatto in sanità si eclissarono. Coloro che per anni avevano
teorizzato il compatibilismo sanitario
massacrando la sanità in ogni senso davanti al partito prima del
definanziamento poi del rifinanziamento non avevano più nulla da dire.
Dopo quella sconfitta politica
la ben nota “razionalità aziendale” sposò le tesi della spesa che quasi
per magia aveva perso la sua natura incrementale. Poi la pandemia ha fatto il
resto.
Scent of money.
Ora
però che, con il recovery plan, il profumo del business si è fatto forte, la
razionalità aziendale si rifà sotto, e
uscendo dall’ombra della pandemia, ci ripropone la sua brava ideologia, la sua
immancabile retorica le sue ricette ma soprattutto il suo indiscutibile amore per la
gestione del potere.
“Proposte per l’attuazione del PNRR in sanità: governance, riparto, fattori
abilitanti e linee realizzative delle missioni” è il titolo di un documento elaborato
da 16 ricercatori appartenenti a sei atenei diversi (quasi tutti economisti con
ovviamente una significativa presenza della Bocconi).
Questo
documento (QS, 28 maggio 2021), non merita una disamina analitica perché il suo
valore aggiunto risulta molto scarso.
In
esso non ci sono particolari nuove idee da segnalare. Non dico che siamo alla
minestra riscaldata ma gli argomenti sono quelli di sempre: health technololgy assessment,
riequilibrare e riqualificare la rete delle cure intermedie, rafforzare la
medicina generale, razionalizzare la rete ambulatoriale territoriale,
potenziare la presa in carico della cronicità, dm 70, ricerca e innovazione,
ecc.
Devo dire che mi aspettavo da sei atenei e da tanti
illustri esperti ricercatori qualcosa di più, cioè di più nuovo e originale. Ma
le proposte avanzate sono sostanzialmente quelle del senso comune pre-pandemico.
L’impressione è che il documento serva come bandierina
quindi a segnalare al governo una presenza politica più che un pensiero da
esprimere.
Non so da chi è partita l’iniziativa ma so di
sicuro che in altri tempi per la Bocconi non ci sarebbe stato bisogno di
chiamare a raccolta gli economisti per marcare il territorio con i propri
interessi.
Le 10 proposte per prima cosa sostengono gli indirizzi
del PNRR, cioè le scelte politiche di Speranza, quindi sono molto in linea con il
basso profilo riformatore soprattutto della missione 6 verso la quale nessuna
riserva è stata avanzata anche laddove esiste il pericolo reale di un
indebolimento del servizio sanitario pubblico, e di una delega eccessiva al privato
e al privato sociale di competenze pubbliche.
Quelle degli esperti sono tutte proposte di
attuazione di quello che il governo propone. Questa volta gestione vale come
attuazione.
Deludente (mi dispiace per il mio amico Geppo
Costa) la proposta sulla prevenzione. Da una pandemia con così ’ tanti
morti mi sarei aspettato il famoso “cambio di passo”. La pandemia ha disconfermato un’idea
vecchia di prevenzione primaria che con qualche lustrino alla fine viene
comunque riproposta.
Nel documento prevale ovviamente in modo
prepotente il tema della governance, della formazione, dell’ottimizzazione di questo e di quello, ma
a parte i malcelati interessi che dietro si intravedono, ripeto, di valore aggiunto anche in questo caso ne vedo poco.
Skill mix e
task shifting
Invece
e con mia grande sorpresa il documento a testa bassa e all’unanimità, propone
senza alcuna remora una vera e propria controriforma delle geografie
professionali.
Dico con sorpresa perché a questi rispettabili
colleghi non riconosco né la titolarità per occuparsi di questioni tanto
complesse e meno che mai le conoscenze multidisciplinari adeguate per farlo.
Sarebbe
come affidare al palafreniere l’organizzazione di un torneo.
Non si tratta solo di giocare con le competenze delle
professioni come pensa la Bocconi ma di ridefinire prassi e relazioni quindi
metodi, modi di essere, questioni epistemiche, questioni contrattuali,
titolarità giuridiche, responsabilità operazionali, autonomie decisionali di
prima grandezza, ecc.
Non credo che gli economisti con tutto il
rispetto che essi meritano siano in grado di occuparsi di tanta complessità.
Oltre
le competenze ci sono le prassi che come
primo vero referente hanno il malato i
suoi bisogni le sue singolarità e le sue complessità roba sulla quale agli economisti quale consiglio caldamente di non impicciarsi. I malati non sono bilanci.
La mia, voglio chiarire non è una obiezione
pregiudiziale nei confronti di una professione ma è una obiezione epistemica
nei confronti di un certo tipo di razionalità riduzionista, quindi di un certo
modo banale di ragionare sulla sanità.
Le problematiche delle prassi professionali non sono
riducibili alla razionalità aziendale della Bocconi.
Ma a parte questo siccome nessuno di noi viene
giù dalla montagna con la piena è evidente che la proposta 10 del documento (cambiare lo skill-mix tra medici e
professioni sanitarie) è null’altro che la riproposizione delle note strategie
della Bocconi che da anni sta spalleggiando il corporativismo di certe
professioni contro altre professioni, fomentando così un conflitto al letto del
malato e a suo totale danno sempre più insanabile.
Trovo
deludente che valenti docenti appartenenti ad atenei di tanto prestigio si
conformino in modo tanto superficiale assecondando precisi interessi corporativi.
Chi teorizza il task shifting in modo così
superficiale come fanno alcuni professori della Bocconi è un
irresponsabile che non si rende conto
dei rischi che si corrono a destabilizzare gli equilibri tra professioni.
Detto
ciò sia chiaro non sono io che nego la
necessità di ridefinire i percorsi di
formazione e di valutare le competenze professionali
alla luce delle novità introdotte dal PNRR
e perfino di aprire una
riflessione sulla divisione del lavoro in medicina e in sanità e sulle forme storiche di
cooperazione tra professioni complementari, ma trovo fortemente regressivo, come
ho detto tante volte, che la discussione
della Bocconi riguardi non le prassi nella loro complessa realtà operazionale giuridica sociale e culturale
ma
solo la definizione burocratica di compiti mansioni e ruoli cioè la riproposizione della vecchia
logica del mansionario.
Il lavoro di ridefinire le geografie professionali è
molto delicato e complesso e alla fine non può che essere fatto se non
attraverso un accordo interprofessionale che per sua natura ha bisogno di esperti di medicina, di
operatori vari, giuristi, epistemologi,
società scientifiche, ma non degli
ideologi del corporativismo cioè di coloro
che parlano di fungibilità dei
ruoli e indicano il mercato come il terreno su cui gli infermieri possono avere
successo contro altre professioni, o chi teorizza che gli infermieri devono
“saturare un nuovo perimetro”, o chi parla di professioni come se fossero
pannocchie di granoturco da “sgranare”, ecc. (QS, 1 agosto 2018)
Conclusione.
Con il
documento dei 16 esperti, gli economisti della sanità chiamati a raccolta, si
sono messi di fatto al servizio del governo proponendosi come nel 1992 , quando nacquero le aziende, come coloro che unici possono gestire al meglio i 20 mld del recovery plan.
In questo documento essi avanzano su un tema
cruciale come quello della divisione del lavoro in sanità proposte molto poco meditate e quindi pericolose che se applicate
potrebbero recare danno prima di ogni altra cosa ai cittadini, ai malati ai
loro diritti.
Queste proposte, muovono da un assunto ideologico
inaccettabile quello che secondo una certa razionalità aziendale in sanità si
dovrebbe preferire la competitività tra professioni alla loro cooperazione.
Von Hayek (premio Nobel per l’economia), diceva che un “economista che è solo
un economista non è un economista” per cui ne deduco che solo un economista che non è un
economista, può pensare una follia simile.
(Ivan Cavicchi).
Grigory
Yudin: “La guerra contro
l’Ucraina
è catastrofica
anche
per la società russa”
affariinternazionali.it-
Nona Mikhelidze -(27 Giugno 2022)- ci dice :
Grigory
Yudin è uno scienziato politico e sociologo russo, un esperto di opinione
pubblica e sondaggi in Russia. Il podcast dell’intervista realizzata da Nona
Mikhelidze, ricercatrice senior dell’Istituto Affari Internazionali, è disponibile.
Vorrei
iniziare con una domanda sul 24 febbraio. Si aspettava lo scoppio della guerra
su larga scala? E cosa significa questa guerra per la Russia e per il suo
futuro?
Sì,
purtroppo me l’aspettavo! Avevo capito già nel 2020 che ci sarebbe stata una
grande guerra contro l’Ucraina. E credo che dalla metà del 2021 tutto sia
diventato ancora più chiaro.
Voglio
dire, era chiaro che ci sarebbe stato un grande scontro tra la Russia e la
Nato. E
dal 2021 era ovvio che la prima fase di questa guerra sarebbe avvenuta in
Ucraina.
Penso che fosse abbastanza ovvio soprattutto
dopo la comparsa del famoso articolo del presidente Putin sull’Ucraina, al
quale hanno fatto seguito molte analisi militari. Parlavano dell’imminente invasione,
quindi aspettavo ogni giorno che la guerra scoppiasse. Questo, ovviamente, non
ha reso la vicenda meno dolorosa!
Ho
cominciato ad avvertire la gente di questa guerra imminente, sia in Europa,
parlando con i politici europei, sia in Russia. Cercavo di far capire loro
l’inevitabilità della guerra. Praticamente senza successo però, tutti erano
scettici al riguardo.
Così
siamo arrivati al 24 febbraio. Ora, parlando di cosa significa questa guerra
per il futuro del Paese, la diagnosi generale è che a lungo termine tutto questo sarà
devastante per la Russia. È una guerra suicida. La Russia ha avuto
guerre ingloriose nel suo passato, ma questa è la guerra più stupida, la più
catastrofica per il Paese stesso, perché fondamentalmente distrugge i legami che la
Russia ha con quasi tutti i Paesi.
La
Russia è davvero legata e culturalmente vicina agli ucraini, ovviamente, ma
anche ai bielorussi che sono molto, molto coinvolti in questa guerra.
Questo
è il primo aspetto. Il secondo aspetto è la cosiddetta fratellanza slava, che ora
si sta distruggendo. E poi l’appartenenza più ampia all’Europa, che è anche,
ovviamente, assolutamente cruciale per la Russia.
La
Russia è un Paese molto speciale. Ha un posto speciale nella storia europea e non può
essere separata dall’Europa. È assurdo che le persone ora parlino
dell’avvicinamento alla Cina. Voglio dire, non capiscono nemmeno di cosa stiano parlando. La Russia è sempre stata un Paese
europeo, da Kaliningrad a Vladivostok. E questo è estremamente evidente quando
si esce per strada. Si tratta quindi di un suicidio, di un colpo di testa!
E poi
come se non bastasse, è una guerra che non si può vincere. Non può essere
vinta, non c’è nessuno scenario in cui la Russia possa avere successo a lungo
termine. Quindi
le conseguenze per la Russia saranno totalmente devastanti. Onestamente penso che questa sia
una delle decisioni peggiori di tutta la storia russa… e la storia russa è
ricca di decisioni non ponderate. Questa probabilmente è la peggiore.
E
allora perché è stata presa questa decisione?
Beh,
la decisione è stata presa da Putin e probabilmente anche da alcune persone a
lui molto vicine.
Ma ora
dobbiamo rivalutare anche questo aspetto, perché prima pensavamo almeno che ci
fosse un’élite di potere dietro di lui, ma dopo questa famosa riunione del
Consiglio di sicurezza abbiamo dovuto riconsiderare questa assunzione perché
molte delle persone che si pensavano molto, molto vicine al processo
decisionale, si sono rivelate dei burattini, come tutti hanno avuto modo di
vedere.
Quindi
la decisione è stata presa dal Presidente stesso e per lui si tratta di una
guerra difensiva. Si sta difendendo, si sente minacciato esistenzialmente.
Pensa di essere molto vicino a essere ucciso e vuole proteggere la sua vita. E
l’unico modo per proteggere la sua vita è rimanere al potere.
Stiamo
parlando di due cose inseparabili: deve rimanere al potere per proteggere la sua vita e
la sua posizione. La situazione negli ultimi anni si è lentamente deteriorata, sia
internamente che esternamente. C’era un crescente senso di stanchezza per il governo
di Putin, anche tra le persone che generalmente gli sono grate, era abbastanza
evidente che c’era un significativo distacco dei giovani dal regime.
Soprattutto negli ultimi quattro o cinque anni abbiamo assistito a una netta
spaccatura negli atteggiamenti della popolazione tra gli anziani e i giovani.
Questa era una parte del problema.
L’altra
parte del problema era rappresentata dal fatto che l’Ucraina, in quanto Paese
culturalmente molto vicino alla Russia, per lui era sul punto di ottenere
un’alleanza militare con gli Stati Uniti. E questo avrebbe trasformato
l’Ucraina in una roccaforte per le forze di opposizione contro Putin. Credo che
il modo migliore per capire questo sia il paragone con il colonnello Gheddafi
che ha affrontato il movimento di resistenza in Libia. Era pronto a
schiacciarlo, a uccidere le persone, probabilmente centinaia di migliaia. Gli è stato impedito dalla Nato e alla
fine è stato rovesciato e ucciso. E sappiamo che impressione ha avuto la morte di
Gheddafi su Vladimir Putin. Ne è rimasto assolutamente scioccato, terribilmente
scioccato.
Queste
due cose di cui parlavo, le cause interne e le cause esterne, non vanno
distinte perché qualsiasi tipo di opposizione o malcontento in Russia, Putin lo percepisce immediatamente
come un complotto contro di lui orchestrato dall’Occidente.
E
anche questi atteggiamenti critici dei giovani sono intesi come il risultato
della propaganda occidentale. Quindi per lui l’unico motivo per cui la gente potrebbe
essere scontenta del regime è perché c’è una propaganda occidentale che opera
per distorcere i valori russi che per lui sono importanti.
È così
che si è arrivati all’idea di condurre una guerra inevitabile contro
l’Occidente, contro la Nato e contro gli americani. Questi termini sono usati in modo
intercambiabile e l’Ucraina è diventata solo il primo campo di battaglia, come
dice lui, che la vede come anti-Russia. L’ha ripetuto molte volte, e questo è
il significato: in sostanza da qui si può vedere che l’esistenza stessa dell’Ucraina è
sentita come una minaccia per la Russia. E per Russia, ovviamente, intende sé
stesso.
Quindi l’esistenza stessa dell’Ucraina è già una minaccia mortale per la sua
vita. Ecco
come siamo arrivati all’inevitabilità di questa guerra.
Prima
ha detto che per lei era chiaro che doveva esserci uno scontro con la Nato, e
poi ha parlato delle cause interne ed esterne, delle ragioni che hanno portato
Putin a invadere Ucraina. In tanti pensano che una delle cause per scatenare questa
guerra fosse anche o soprattutto l’allargamento della Nato.
Sono
d’accordo, ma solo con riserva. La stessa esistenza della Nato sarà sempre un
fattore provocatorio per Putin per iniziare una guerra, a meno che non venga
sciolta. Negli
anni Novanta si era creata una chiara prospettiva di scioglimento della Nato
dopo la fine della guerra e del Patto di Varsavia. Se il Patto di Varsavia non
esisteva più, perché la Nato non avrebbe dovuto sciogliersi? O almeno rimodellare o riformulare in
modo significativo i suoi obiettivi?
Oppure
si poteva parlare di inclusione della Russia in un sistema di sicurezza più
ampio in Europa. Beh, questo è stato fatto, in una certa misura, con il
consiglio Russia-Nato, ma dopotutto, forse ci si aspettava proprio il suo
scioglimento. Non si è sciolta anche per ragioni comprensibili, perché c’erano i paesi
dell’Europa orientale che giustamente si sentivano minacciati dalla Russia e
facevano pressione per unirvisi.
È così
che la Nato, forse anche non intenzionalmente, si è estesa a est, nonostante le
promesse di non farlo. Promesse che non sono mai state formalizzate: non c’è mai stato un obbligo formale
da parte della Nato di non espandersi, ma per la Russia si è trattato di un
abuso della sua fiducia.
Ma in
realtà, basta parlare della Nato… il vero problema è che la Russia, e in particolare
Putin, non hanno mai considerato i vicini come paesi sovrani con i quali
cercare un linguaggio comune dopo la dolorosa esperienza sovietica di
coesistenza. La Russia non si è mai preoccupata di fornire le garanzie di sicurezza a
quei Paesi, le garanzie che li avrebbero dissuasi dall’entrare nella Nato. Anzi, la Russia ha fatto di tutto per
incoraggiarli a entrarci e sotto il governo di Putin la Nato si è espansa in
modo significativo verso est.
Quindi,
in pratica, ora Putin con questa guerra sta cercando di coprire il completo
fallimento della sua politica estera. Lui non è stato in grado di impedire ai
paesi vicini di entrare in questo blocco militare. Perché non li ha mai trattati come
partner, li
ha sempre considerati come nazioni inesistenti, paesi inesistenti. E questa è la vera radice del
problema. Si può quindi parlare dello scioglimento o non scioglimento della
Nato, ma poi la colpa è solo della folle politica estera di Putin.
Ripeto,
non è stata la Nato ad espandersi. Sono stati i Paesi realmente, genuinamente
volenterosi ad entrare in questo blocco. E questo è un problema enorme per la
Russia, perché significa che quei Paesi hanno paura della Russia. Una politica ragionevole,
ovviamente, sarebbe stata quella di renderli meno timorosi, di offrire loro
qualcosa, di
includerli in un sistema di sicurezza diverso, invece di ricattarli con il gas
o con le armi, come ha sempre fatto Putin. Questo, secondo me, è vero
fallimento per Putin.
Passando
alla parte ideologica di questa guerra e all’idea di Putin di creare Ruskyi
Mir, il mondo russo:
il
concetto, da come è stato disegnato, ha sempre riguardato un mondo fatto da
popoli ma non da cittadini con senso civico, non dalla società civile. Insomma,
un concetto che rispecchiava la Russia dove i russi sono sottomessi al sistema
autoritario.
Quindi
stiamo parlando di un modello completamente opposto a quello Ucraino dove,
soprattutto dal 2014, dopo la rivoluzione di Euromaidan, stiamo assistendo alla
creazione di una società civile vibrante e di una governance liberale. Due cose che il Cremlino ha sempre
impedito che accadessero in Russia. Non pensa che questa guerra sia anche
lo scontro fra questi due mondi diversi?
Credo
sia giusto descrivere questa guerra come una lotta tra due sistemi politici
molto diversi, visioni politiche molto diverse di ciò che costituisce lo spazio
post-sovietico. Una può essere sommariamente descritta come il sistema imperiale, non
necessariamente nel senso espansionistico, nonostante abbia anche questa
caratteristica, ma piuttosto il modo di strutturare il sistema politico, che è
monarchico in Russia.
Non so
se la gente ne sia consapevole, ma in realtà la concentrazione di potere in
Russia è quasi senza precedenti per il nostro Paese. Non è vero che la Russia è
sempre stata così. Ci sono probabilmente episodi nella storia
russa in cui abbiamo avuto questa concentrazione di potere politico, ma non
spesso.
Probabilmente
è successo con Stalin ad un certo punto. Probabilmente, anche se il paragone
non è esatto, con Ivan il Terribile e, in una certa misura, con Pietro il
grande.
Altri,
come Nicola I, hanno cercato di farlo, ma in realtà non ci sono mai riusciti. Quindi ora stiamo assistendo a
qualcosa di quasi senza precedenti nella storia. Si tratta di uno Stato
ultra-monarchico. Questa è l’immagine della struttura dello spazio politico.
E
questo vale per tutta la Russia, perché ovunque, a ogni livello, ci sono quei
piccoli Putin che pensano fondamentalmente che usare la violenza e la forza sia
l’unico modo per governare nel servizio pubblico e nelle imprese. Questa è
l’intera filosofia.
E poi
c’è la filosofia repubblicana, che è il caso dell’Ucraina, che si contrappone
ad essa con una posizione molto più pluralistica e con una maggiore fiducia in
alcune fazioni indipendenti del potere. Perciò nel sistema politico ucraino
l’élite è molto meno consolidata attorno ad un unico leader. Il sistema è
oligarchico, ma ha anche un significativo elemento democratico, perché sappiamo
che gli ucraini hanno sviluppato una cultura politica che ha sempre il
potenziale per una rivolta, per una rivoluzione.
Si
tratta quindi di due visioni molto, molto diverse ed è importante vedere come
queste visioni si riflettono in ciascuno di questi Paesi. Guardate cosa sta
succedendo in Ucraina. C’è la prevalenza di questo punto di vista repubblicano, ma
ci sono anche persone che sono felici di essere, diciamo così, liberate da
Putin, perché hanno questo atteggiamento imperiale, si sentono più naturali nel
ripristinare l’impero.
Si
pensi alla Bielorussia: lì c’è una situazione molto interessante. Abbiamo il presidente che appoggia
questa visione imperiale e più o meno tutta la popolazione è contraria e viene
terrorizzata per questo. I bielorussi sono ovviamente per la maggior parte dei
repubblicani.
E poi ci sono i russi, ma c’è lo stesso problema: la
stessa lotta tra coloro che sostengono Putin e quelli che cercano
un’impostazione repubblicana nel Paese. Quindi, in sostanza, in questi Paesi
c’è la stessa, identica lotta. E
questo spiega, ovviamente, perché alcune persone in Russia provano maggiore
simpatia per gli ucraini, non perché siano grandi fan dell’Ucraina o della
cultura ucraina o di qualsiasi altra cosa, o del nazionalismo ucraino, ma solo perché vedono la situazione
come uno scontro tra la visione repubblicana e imperialista. Lo stesso vale per
la Bielorussia e il Kazakistan in una certa misura.
Questo
è ciò che stiamo vedendo. Ed è per questo che penso che etichettare questa
guerra come guerra russo-ucraina sia in realtà fuorviante. Non si tratta di russi contro
ucraini. Si tratta di una guerra fra due modelli politici molto diversi.
Come
viene percepita oggi la guerra dalla società russa? E che dire dell’indice di
gradimento del presidente Putin? Se non sbaglio, il centro di Levada lo dava
intorno all’82% ad aprile… Ora, capisco che non possiamo prendere sul serio i sondaggi
condotti in sistemi autoritari, specialmente in tempo di guerra, ma forse
possiamo comunque spiegare qualcosa sui sentimenti dei russi e della società
nei confronti della guerra.
Permettetemi
di introdurre il concetto. La Russia è un sistema plebiscitario, il che significa che il
potere dell’imperatore si basa sul ricevere il sostegno popolare attraverso i
plebisciti.
Quindi l’imperatore sovrasta l’intero sistema
politico, sostenendo di avere una legittimità popolare e per lui anche
democratica!
E
questo è fondamentalmente il bastone con cui minaccia la sua élite, la sua
burocrazia, ma anche il popolo stesso, perché la Russia è un Paese molto
depoliticizzato. L’unico modo per i russi di sapere cosa pensano i russi è guardare la
televisione e osservare i numeri dei sondaggi, perché normalmente i russi non
comunicano tra di loro. Quindi il modo più
semplice per sapere cosa pensa il tuo vicino è accendere la TV e guardare gli
ultimi numeri dei sondaggi.
Dialogare,
comunicare con il prossimo non è usuale per molte persone in Russia.
Si
tratta quindi di un sistema plebiscitario in cui il leader riceve la cosiddetta
“acclamazione” da parte del popolo. Ora abbiamo diverse istituzioni per
l’“acclamazione”. Abbiamo, naturalmente, le elezioni, che sono di carattere
plebiscitario e “acclamazione” significa che coloro che partecipano alle
elezioni o a qualsiasi tipo di votazione non le vedono come un meccanismo per
fare una scelta tra vari candidati, ma piuttosto come una convalida di una
decisione già presa.
Quindi
c’è il leader che prende la decisione e il popolo che acclama questa decisione.
Questa è
l’idea delle elezioni in Russia sia durante il voto nazionale o presidenziale
che alle amministrative.
Questo
è anche il caso dei veri e propri plebisciti. Nel 2020 abbiamo avuto una sorta di
gioco costituzionale, quando a Putin si è data la possibilità di rimanere al
potere fino al 2036. Dico gioco costituzionale perché ha costituito una convalida
di una decisione già presa ed era anche inquadrata in questo modo, perché
tecnicamente il plebiscito non era necessario dal punto di vista
costituzionale, era superfluo, ma doveva essere convalidato dalla popolazione.
La
stessa cosa accade con i sondaggi d’opinione che funzionano anch’essi in questo
modo, in modo che la gente capisca che le si chiede di acclamare il leader.
E questo è ancora più vero durante i periodi di
emergenza come questo, perché fondamentalmente tutti coloro che vengono
contattati con il sondaggio capiscono che gli viene chiesto di acclamare il
leader.
Probabilmente le persone reagirebbero in modo diverso.
Alcuni
direbbero: “no, non acclamerei, odio Putin”, ma questo non cambia il quadro
generale. Il
quadro di base è che viene chiesto di acclamare. Ovviamente è possibile
sfidarlo, ma è comunque inteso come una richiesta di acclamazione.
Non
tutti i russi sono disposti a giocare a questo gioco. E quindi il segreto che viene
nascosto è che i tassi di risposta sulle domande poste dai sondaggi sono molto,
molto bassi.
Questi
dati di solito non vengono riportati ma, dall’esperienza che abbiamo avuto
sappiamo che sono, in qualche modo, a seconda della metodologia, tra il 7 e il
15% del campione iniziale. Cosa pensa il resto della gente non lo sappiamo, perché le
persone tendono a non rispondere. Piuttosto che sfidarlo o acclamarlo, tendono
fondamentalmente a non rispondere.
Questo
ci dice molto sui russi, perché i russi non vogliono avere a che fare con la
politica. Vivono
la loro vita privata. Ed è così che è stato costruito questo regime.
Gli è
stato chiesto di non occuparsi della politica, quindi alla gente non interessa
la politica e non importa dell’Ucraina. L’unica cosa di cui si preoccupano è
la loro vita privata orientata al consumismo. Ai russi interessa pagare i mutui e
forse fare carriera. Quindi questo è ciò di cui si preoccupano. Il resto può
essere delegato al Putin di turno. Putin è lì, pensa lui a tutto. Se lui pensa
che gli ucraini siano nazisti, beh, saprà lui come affrontarli.
Quindi
la popolazione è molto depoliticizzata. E credo che il modo migliore per spiegare
questo, per spiegare questi indici di gradimento, sia di immaginare il 24
febbraio in un modo diverso. Immaginiamo che Putin avesse detto che per motivi di
sicurezza la Russia dovesse restituire Donetsk e Lugansk all’Ucraina. Il tasso
di approvazione sarebbe stato esattamente lo stesso di oggi. Assolutamente lo
stesso, perché l’approccio è questo: Putin sa meglio di noi.
Allora
questo vuol dire che in realtà c’è una via d’uscita da questa guerra per Putin,
perché
qualsiasi tipo di risultato può essere descritto come una vittoria e verrà
accettato dalla società.
Credo
che questo sia vero solo fino ad un certo punto. Voglio dire, se si sottolinea la sua
capacità di imporre ogni tipo di decisione alla popolazione e di ottenere
l’acclamazione, penso che allora lei abbia ragione. Ma dal momento che la posta in gioco
è alta e ovviamente richiede alcuni sacrifici da parte della popolazione russa
– ed è molto, molto chiaro che ci saranno sacrifici – allora penso che ci sia
un’aspettativa generale di una vittoria significativa.
Ormai
questa guerra è stata inquadrata come la lotta esistenziale per la Russia.
Questa
non è una lotta per il Donbass. Non so perché le persone in Europa abbiano
questa idea folle che si tratti di una lotta per il Donbass. No, questa è una lotta esistenziale
per la Russia, con la quale la Russia deve sconfiggere l’Occidente.
Questa
è la missione e non quella di prendere Kramatorsk. Questo aspetto è così
secondario rispetto a ciò che sta accadendo. Il 99% dei russi non sa neanche dove
si trovi Kramatorsk. Quindi questa è una lotta esistenziale e conquistare
Kramatorsk è solo il primo passo.
Ma se
l’esercito russo dovesse davvero fallire in Ucraina, cedendo, ad esempio, i
territori controllati prima del 24 febbraio, sarebbe davvero difficile per
Putin venderla come una vittoria.
Il problema non sono tanto i numeri dei
sondaggi, ma alcuni strati della società russa, che si renderebbero
improvvisamente conto che Putin può anche fallire, perché l’intero potere
politico si regge sulla forte convinzione che Putin vince sempre. Se lui non vince, se qualcuno
comincia a dubitare della sua vittoria, la situazione cambierebbe.
Il
cambiamento, però, non si rifletterebbe subito nei sondaggi d’opinione, perché
lì funziona al contrario: ci sarà per primo un vero e proprio cambio di potere, e poi
si vedrà come questo si rifletterà nei sondaggi d’opinione, e non il contrario. Non vincere questa guerra, credo,
potrebbe significare la fine di questo regime.
Ma
nella realtà russa che sta descrivendo, cosa potrebbe essere percepito come un
fallimento dell’operazione militare e cosa come una vittoria? Cioè, qual è il
minimo che dovrebbe essere raggiunto per dichiarare la vittoria?
È
difficile a dirsi. Beh, per quanto riguarda il fallimento, è abbastanza facile:
in realtà
dovrebbe essere una sconfitta militare, una vera e propria sconfitta, che non
lascia spazio per le interpretazioni. Quindi…
…
quindi lo status quo prima del 24 febbraio?
Si, ma
ormai il 24 febbraio è militarmente impossibile perché se l’Ucraina riuscisse a
respingere le forze armate russe fino alle posizioni pre-24 febbraio, perché
dovrebbe fermarsi lì?
Voglio dire, in Donbass non ci sono confini naturali.
La Crimea è una questione diversa, forse lì ci sono confini naturali, ma, per
quanto riguarda il Donbass, il pre-24 febbraio è andato per sempre. Non sarà
mai ripristinata quella linea di separazione delle forze. Quindi questa sarebbe
una vera e propria sconfitta.
Per
quanto riguarda la vittoria, come ho detto, la conquista e l’annessione delle
quattro regioni – Zaporizhia, Kherson e dell’intero Lugansk e Donetsk – sarebbe
la prima tappa.
Questa
sarebbe una sorta di vittoria, visto che Putin non controllava tutte le quattro
regioni prima.
Si
tratterebbe quindi di un’acquisizione e credo che sarebbe un passo preliminare
per un’ulteriore espansione, che includerebbe sicuramente Transnistria e
presumo anche l’intera Moldavia.
Ora
abbiamo questo limbo con il sud Ossezia. L’Abkhazia è forse più difficile, ma
il sud Ossezia sicuramente verrebbe incluso in Russia. Quindi questo sarebbe un
passo preliminare verso ulteriori annessioni. E poi si andrà sempre più avanti
perché, ancora una volta, qua non si tratta di ripristinare l’appartenenza
imperiale all’Unione Sovietica, no, si tratta di spezzare la schiena
all’Occidente. Per questo motivo mi aspetto che il prossimo passo avvenga molto
presto dopo questa sorta di vittoria.
Quindi
non ci sarà nessun negoziato fra Russia e Ucraina in un futuro vicino?
Assolutamente
no!
La
maggior parte delle sanzioni occidentali prende di mira l’economia e
l’establishment politico della Russia, mentre altre mirano specificamente
all’arte e alla cultura russa. Questo sta causando molte discussioni e speculazioni
qui in Occidente sulla “cancel culture”. Qual è la sua opinione in merito?
A dire
il vero, credo che sia un fenomeno enormemente esagerato. Voglio dire, a parte
alcuni casi spiegabili di reazione eccessiva, personalmente non ne sono stato
colpito. Nessuna
persona che conosco è stata colpita da una sorta di boicottaggio immeritato o
qualcosa del genere.
Ammetto
che ci siano stati casi di reazione eccessiva, ma sono abbastanza comprensibili. E dietro c’è una lobby ucraina. Posso capirli.
Ad
essere onesti, penso che stiano facendo qualcosa di controproducente per loro
stessi, perché fondamentalmente dicendo: “beh, guardate che tutti i russi sono
come Putin”, stanno rendendo il miglior servizio a Putin stesso, perché in
questo modo trasmettono questo tipo di messaggio agli italiani, per esempio, o
ai tedeschi… E come vuoi che reagiscano gli Europei?
Diranno che se tutta la Russia è così, allora è meglio
negoziare con Putin, tanto non si può fare la guerra e sconfiggere l’intera
Russia. Quindi forse gli ucraini sbagliano quando
promuovono la narrazione che tutti i russi sono uguali, anche se capisco
perfettamente la loro rabbia. E penso che questa reazione sia in misura significativa
giustificata.
In
generale penso che, anziché lamentarsi di un trattamento immeritato, si
dovrebbe far sentire la propria voce e esprimersi contro la guerra. Altrimenti è un’ipocrisia.
Se si
sostiene questa enorme guerra fondamentalmente contro l’intera Europa, cosa ci
si può aspettare? Un’accoglienza di benvenuto da parte degli europei? Questa è
ipocrisia.
Perché qua non si chiede di sostenere gli
ucraini. La questione è diversa, perché ovviamente i soldati russi stanno
morendo e questo crea naturalmente un problema morale per i russi. Bisogna semplicemente dire “non in
mio nome! questa guerra non in mio nome!”. Penso che questo sarebbe sufficiente
per far capire che si è contrari alla guerra.
Non
credo che si tratti veramente di cancel culture o come la chiamate ora. Ovviamente ci sono misure che
colpiscono tutti e, ad essere onesti, personalmente subisco un danno
collaterale. Viaggiare in Europa è diventato complicato. Proprio ieri sera stavo
pensando a come viaggiare in Germania. È logisticamente molto difficile. E poi non posso pagare il biglietto
per il viaggio perché le mie carte sono bloccate. Quindi è davvero difficile, ma c’è
poco da lamentarsi. È la guerra. Voglio
dire, gli ucraini sono stati e continuano ad essere bombardati quindi perché
dobbiamo sorprenderci che le sanzioni ci portino dei danni collaterali? Ci sono
alcune misure o azioni alle quali non dobbiamo opporci e lamentarci.
Non
penso che siano moralmente sbagliate, penso solo che sanzioni contro le
strutture di istruzione e cultura siano controproducenti. Non me ne lamento: gli europei sono
liberi di imporle. Penso solo che siano controproducenti. Voglio dire, guardate
per esempio, all’università di Tartu in Estonia: ora non sono più disposti ad
accettare gli studenti russi… Ripeto, non mi lamento, ma credo solo che azioni simili
siano controproducenti perché in pratica fanno il gioco di Putin consolidando la sua
immagine come rappresentante di tutti i russi, il che non è assolutamente vero.
Lei ha
detto che alcune persone appoggiano questa guerra mentre altri forse dicono
“non in mio nome”. Fino a che punto è responsabile la società russa di questa
guerra? E, in termini generali, cosa pensa della colpa collettiva e della
responsabilità collettiva?
Perché
la società russa sia responsabile della guerra, dovremmo avere chiaro cosa sia
la società russa. Ma non esiste nulla che possa esser definito come “la società
russa”. Si pensa che sia la collettività a prendere questa decisione, ma non è
vero.
Ancora
una volta, l’intero regime politico è stato costruito sulla distruzione di
qualsiasi tipo di soggettività politica.
È
difficile, credo, per molte persone in Europa capire fino a che punto sia stata
distrutta la concezione di essere soggetti, attori in politica. Qualsiasi discorso su qualsiasi tipo
di azione politica, qualsiasi tipo di pensiero normativo, tutto è diventato
illegittimo in Russia. Tanto per fare un esempio: anche solo pensare di discutere
di migliorare qualcosa nelle nostre vite è già percepito come un’assurdità
perché, per come è strutturato il mondo, le cose non possono essere migliorate.
Questo è
come i russi si approcciano alla vita e al loro posto nella vita politica.
I
russi pensano che il mondo sia fondamentalmente un brutto posto. Lo ha detto anche Putin: durante la
conferenza stampa dopo l’incontro con Biden, è stato abbastanza chiaro nel
dichiarare che “nel mondo non esiste la felicità”. Perché mi chiedete di
migliorare il mondo? Il mondo non può essere migliore di quello che è. È solo
un luogo in cui gli esseri umani si uccidono a vicenda. Questo è normale.
Questo è ciò che gli esseri umani fanno normalmente”.
E
questo è un pensiero abbastanza diffuso in Russia. Un pensiero notevolmente
sottovalutato ma che preclude qualsiasi possibilità di azione politica
collettiva. Se non ti fidi di nessuno, perché dovresti impegnarti in qualcosa
con il prossimo? Così uno finisce a preoccuparsi solo di sé stesso, dei suoi soldi, dei
suoi affari personali. Quindi, credo, che l’intera questione della responsabilità
della società russa sia del tutto irrilevante.
Naturalmente
questo non esime i russi dalla responsabilità individuale, ma credo che la
responsabilità stia nell’altro… Dobbiamo distinguere due cose: non si tratta dei russi
che sostengono davvero questa guerra, non è questo il caso finora, ma si tratta
della loro indifferenza. Vedo una sorta di fascistizzazione della società e
questo è molto pericoloso.
Questa completa indifferenza alla sofferenza umana è
un problema importante. Ma questo è sempre stato un problema in Russia: i russi sono
indifferenti non solo nei confronti degli ucraini ma anche verso i propri
compaesani.
Per
esempio, lei pensa che la gente si preoccupi davvero delle sofferenze della
gente di, non so, Krasnodar? No, per niente! Finché non è un mio problema non
mi interessa! Quindi questo è il vero problema: la totale mancanza di idea di
responsabilità per i problemi politici e sociali, e questo è ciò che rende le
cose terribilmente pericolose.
Implica, infatti, che qualsiasi azione da parte del
governo venga percepita come qualcosa al di fuori del controllo del singolo,
che quindi non ha alcuna responsabilità su qualsiasi cosa stia accadendo in
Russia.
Questo
credo sia terribile e qui sta il problema, perché la gente dice: “Non mi piace
questa guerra, ma cosa ha a che fare con me? Non è affar mio, non potrei cambiare
nulla, come potete chiedermi di oppormi a questa guerra? Potrei oppormi, ma in
quel caso probabilmente perderei il lavoro”.
Questo
senso di impotenza diffusa nella società è stato alimentato e poi
strategicamente usato da Putin.
E in
questo e, voglio sottolineare questo punto, Putin è stato aiutato in modo
significativo dagli europei, dalle élite globali in generale, ma soprattutto
dagli europei.
Perché
ogni volta che i russi cercavano di trovare una soggettività politica, di
condurre qualche azione politica, di resistere, di impedire che accadessero le
cose peggiori, ogni volta Putin riceveva un enorme sostegno dall’Europa, enormi
contratti finanziari, enormi investimenti… Insomma, si è creata inevitabilmente
una situazione strana.
Beh,
voglio dire, non stiamo chiedendo aiuto per risolvere i nostri problemi, ma potreste per favore non aiutare
Putin almeno in modo massiccio?
Ogni
volta che c’è un movimento di resistenza, lui ottiene immediatamente un grande
accordo che porta milioni in Russia e che viene poi investito nell’esercito per
sopprimere la protesta… Beh, questo ovviamente fa sentire la gente disperata.
Questo
sentimento di disperazione può essere spiegato, ma non esime la Russia dalla
responsabilità politica della propria posizione. Questo è, a mio avviso, un grosso,
grosso problema, un pericolo terribile per l’Europa e ovviamente un problema
con terribili conseguenze per la Russia nei prossimi decenni.
Quindi
lei pensa che l’Occidente abbia tradito la società russa aiutando Putin?
Beh,
pensando all’Occidente… chi è l’Occidente? Chi è responsabile di questo, non
saprei fino in fondo.
Ma, sapete, una cosa che vorrei davvero
respingere è l’idea di Putin come un orso russo che esce dalla Taiga e
all’improvviso, di punto in bianco, scatena questa guerra contro l’Ucraina.
Ecco, questo non è vero. Putin sa come funzionano le cose nel capitalismo
contemporaneo.
Non è un caso che sia riuscito a corrompere le élite
finanziarie e politiche in tutta Europa e anche in Italia. Ha semplicemente
capito come funzionano le cose, in una certa misura è un maestro di questo
sistema capitalistico.
Non
parlo quindi di una responsabilità dell’Occidente, ma di élite politiche ed economiche
molto specifiche.
E questa élite occidentale corrotta, proprio ora che
stiamo parlando, sta ancora facendo pressioni sui propri governi, stanno
facendo lobbying per promuovere fondamentalmente l’idea del “bene, lasciamogli
un pezzo di Ucraina e così otteniamo la pace perché vogliamo tornare a fare
affari come prima”.
E gli uomini d’affari italiani sono ancora qua
in Russia a fare business anche se ci sono delle sanzioni perché a loro non
interessa nulla dell’Ucraina, vogliono fare soldi e basta. E per loro Putin va bene finché
possono fare soldi in Russia. Qui ci sono ottime condizioni per fare affari.
Perché
dovrebbero occuparsi dell’Ucraina? Questo è il problema. Non darei la colpa all’Occidente, ma
se siamo arrivati fino a questo punto è colpa anche dell’élite politica ed
economica corrotta di alcuni Paesi occidentali, e l’Italia è certamente tra
questi.
(Articolo
realizzato nell’ambito del progetto dell’IAI – “L’impegno selettivo dell’Ue con
la Russia”, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
internazionale).
La
Gestapo americana
A.K.A. FBI.
Unz.com-
PAUL CRAIG ROBERTS – (AGOSTO 11, 2022)- ci dice :
Che
tipo di funzionario del Dipartimento di Giustizia firmerebbe un raid dell'FBI
nella casa di un ex presidente degli Stati Uniti quando il presidente sta
cooperando pienamente con la falsa "indagine" su di lui?
Che
tipo di giudice emetterebbe il mandato e poi lo nasconderebbe alla vista
sigillandolo?
Che
tipo di agente dell'FBI invaderebbe la casa di un presidente invece di
dimettersi per l'incarico?
Chiaramente,
nessuna di queste persone è brava gente. Non sono persone in cui possiamo avere
fiducia. Queste non sono persone che lasceremmo sposare dai nostri figli e
figlie. Queste
sono persone molto cattive. Eppure queste persone molto cattive hanno il
controllo delle nostre vite.
(theepochtimes.com/us-judge-in-florida-approved-search-warrants-before-fbi-raid-of-trumps-resort_4652659.html).
L'FBI e il
regime di Biden sono le organizzazioni più corrotte sulla faccia della terra. Il presidente corrotto e il
direttore dell'FBI – lo stesso incaricato di Donald Trump – sono riusciti a
creare l'impressione che l'ex presidente sia un sospetto criminale, o Biden e
l'FBI si sono screditati agli occhi della gente. Ecco uno degli avvocati di Trump che
spiega che nessuno conosce una ragione legittima per l'invasione armata della
casa di Trump. (theepochtimes.com/real-story-of-fbis-10-hour-raid-on-trumps-home-interview-with-president-trumps-lawyer_4653734.html).
L'FBI
corrotto ha avuto un giudice corrotto che ha sigillato la giustificazione
della "causa probabile" per il mandato di perquisizione, il che
probabilmente significa che non c'è una causa probabile. Perché altrimenti sigillare la
giustificazione per un evento senza precedenti che fa sembrare il governo degli
Stati Uniti esattamente uno stato gangster del terzo mondo?
Marc
Ruskin, un veterano di 27 anni dell'FBI ed ex procuratore federale, ha
dichiarato a Epoch Times di essere sbalordito e costernato dal "disprezzo
dell'FBI per le norme tradizionali e dall'apparente mancanza di preoccupazione
per l'apparenza di scorrettezza".
Che
l'FBI si sia permesso di essere usato così palesemente politicamente "è
indicativo di un abbandono anche di una patina di indipendenza e obiettività". (theepochtimes.com/fbi-trump-home-raid-improperly-intrusive-circumstances-indicate_4653940.html).
L'FBI
si è chiaramente trasformato in una Gestapo nazista. Sottolineando ulteriormente la loro
totale mancanza di rispetto per la legge e il processo, la Gestapo di Biden ha avvicinato un
rappresentante degli Stati Uniti, Scott Perry (R, PA) mentre era in viaggio con
la sua famiglia e gli ha portato via il cellulare.
"Questa
mattina, mentre viaggiavo con la mia famiglia, 3 agenti dell'FBI mi hanno fatto
visita e hanno sequestrato il mio cellulare. Non hanno fatto alcun tentativo di
contattare il mio avvocato, che avrebbe preso accordi per loro di avere il mio
telefono se questo era il loro desiderio. Sono indignato – anche se non
sorpreso – che l'FBI, sotto la direzione del DIPARTIMENTO di giustizia di
Merrick Garland, abbia sequestrato il telefono di un membro del Congresso in
carica", ha detto Perry nella sua dichiarazione.
"Il
mio telefono contiene informazioni sulle mie attività legislative e politiche e
discussioni personali / private con mia moglie, la famiglia, gli elettori e gli
amici. Niente di tutto questo è affare del governo". (thegatewaypundit.com/2022/08/breaking-joe-bidens-fbi-apprehends-gop-rep-traveling-family-seizes-phone-raiding-president-trumps-home-last-night/)
Il
regime di Biden e la sua Gestapo FBI hanno commesso così tanti crimini che non
hanno altra alternativa che impedire le elezioni di novembre. È una semplice
questione di autoconservazione.
Guardate
che il regime di Biden inventa un evento per giustificare il controllo federale
sulle elezioni di novembre.
L'assenza
di realismo significa
che
tutto può accadere.
Unz.com- PAUL CRAIG ROBERTS – (AGOSTO 11, 2022) -ci
dice:
Ecco i
russi che sprecano di nuovo il loro tempo e le loro energie nelle
organizzazioni internazionali dominate dagli Stati Uniti portando la loro
preoccupazione per gli attacchi militari dell'Ucraina alla centrale nucleare di
Zaporozhye alle Nazioni Unite.
Perché
il Cremlino pensa che Washington o l'ONU se ne preoccupino?
Perché
i russi non eliminano semplicemente l'artiglieria ucraina o le posizioni
missilistiche che stanno attaccando la centrale nucleare?
È straordinario quanto il Cremlino sia capace di
lamentarsi e quanto sia incapace di agire. Una persona di un altro mondo che
guarda questo potrebbe concludere che la Russia intende perdere.
Spero
che la scommessa del Cremlino che il ritardo nello sgombero delle forze ucraine
dal Donbass causato dal sostegno dell'Occidente all'Ucraina logori l'Occidente
con le sue richieste piuttosto che la Russia.
Ma la
mia preoccupazione rimane che più tempo ci vuole per completare il compito, più
opportunità ci sono per la guerra di allargarsi. Poiché gli Stati Uniti e la NATO non
hanno la capacità di opporsi a un esercito russo, la guerra allargata
diventerebbe nucleare, che è l'ultima cosa di cui un mondo minacciato da molte
altre minacce ha bisogno.
Dopo
sei mesi di quella che avrebbe dovuto essere una guerra di tre giorni, sembra
improbabile che il Cremlino pensi ancora che sia possibile porre fine alla
guerra con la liberazione russa del Donbass.
Sembra
certamente vero che gli Stati Uniti e il loro burattino Zelensky non hanno tale
intenzione di permettere che la guerra finisca.
La
Russia sarà in guerra in Ucraina fino a quando il Cremlino non si renderà conto
di non avere alternative alla conquista dell'intero paese artificiale e
all'installazione di un governo fantoccio russo invece di un governo fantoccio
americano.
Ciò
che Washington sta realmente ottenendo è imporre a un riluttante Putin la
ricostruzione dell'Impero russo. La sua rottura è stata il modo di Washington di
destabilizzare la Russia, un obiettivo che Putin non accetterà.
I miei
rapporti fattuali e veritieri mi rendono sgradito sia a Mosca che a Washington. Abbiamo raggiunto il punto
nell'esistenza umana in cui l'analisi veritiera è considerata un attacco
nemico. Il
Cremlino potrebbe fermare istantaneamente la guerra ucraina e rompere la NATO e
l'UE fornendo energia solo ai paesi che si allineano con la Russia. Ma questo richiederebbe al Cremlino
di scartare la sua "limitata operazione militare" come un errore, ed
è difficile per i governi ammettere gli errori.
Quindi
il mondo è intrappolato. I governi contendenti hanno un interesse nei loro
errori di calcolo. Si aggrappano agli errori di calcolo e la situazione si
deteriora.
Il
lato oscuro della
rivoluzione
digitale.
Unz.com-
PAUL CRAIG ROBERTS-( AGOSTO 10, 2022)- ci dice :
Le
persone amano la rivoluzione digitale. Permette loro di lavorare da casa
ed evitare spostamenti stressanti e politiche d'ufficio. I giovani amano i loro telefoni
cellulari che li collegano al mondo.
Per gli scrittori Internet offre, per ora, un pubblico
molto più ampio di quello che un editorialista sindacato potrebbe ottenere. Ma mentre godiamo e ci dilettiamo
nei suoi vantaggi, la tirannia insita nella rivoluzione digitale sta lentamente
chiudendo la sua presa sulle nostre vite.
Usa un
pronome di genere o dubita di una narrazione ufficiale e sei bloccato dai
social media.
Le
stesse società che sono tenute dalla legge federale a inviarci dichiarazioni
annuali su come proteggono la nostra privacy tracciano anche il nostro utilizzo
di Internet al fine di costruire profili di marketing di noi.
L'FBI,
la CIA e la NSA tracciano il nostro uso di Internet per identificare possibili
terroristi, tiratori scolastici, operazioni antidroga e agenti stranieri.
Le
telecamere di identificazione facciale ora esistono per le strade di alcune
città. Si
stanno costruendo banche dati sul DNA. Va avanti all'infinito.
In
Cina la rivoluzione digitale ha reso possibile un sistema di credito sociale.
Le
persone sono monitorate su ciò che dicono, ciò che leggono online, come si
comportano, dove vanno.
Il
profilo risultante determina i diritti o i privilegi della persona. A una persona che esce con la folla
sbagliata, critica il governo, si comporta male, guida troppo velocemente, beve
troppo, ha un record di frequenza scolastica o lavorativa scadente potrebbe
essere negata una patente di guida, un passaporto, l'ammissione all'università
o potrebbe avere accesso al conto bancario limitato o bloccato.
Il
denaro digitale è il potere ultimo della tirannia. In un sistema in cui c'è solo
denaro digitale del governo, non c'è modo di pagare uno spacciatore, una
prostituta o salari fuori dai libri.
Non esiste una forma di denaro digitale in
contanti che possa essere messa in tasca e utilizzata per il pagamento anonimo. I sostenitori del denaro digitale fanno gran parte
della sua capacità di chiudere la criminalità e l'elusione fiscale.
Il
denaro digitale consente un blocco messo sul conto bancario di un alcolizzato
per impedirne l'uso per l'acquisto di alcol, e gli acquisti di cibo di una
persona in sovrappeso potrebbero essere controllati da come il suo denaro
digitale può essere utilizzato. Queste restrizioni imposte alla scelta individuale
sono pubblicizzate come misure sanitarie. (In Italia tutto avviene sotto
l’egida del Green Pass. Ndr)
Ma
dopo tutto questo, rimane il fatto crudo che lo stesso potere trasmesso alle
autorità dal denaro digitale può essere utilizzato per controllare totalmente
la persona.
Supponiamo che tu ti opponga all'evaporazione
della libertà, o esponga una corruzione, o sfidi una narrazione ufficiale. Il governo può bloccare il tuo
accesso al tuo account o bloccarne l'uso per pagare l'alloggio o il cibo e
metterti in ginocchio.
Una volta
che ci sarà solo denaro digitale del governo, nessuno sarà in grado di
sostenere siti web come questo o di organizzare un nuovo movimento politico per
sfidare il monopolio dominante. I movimenti di protesta diventano impossibili. Camionisti e
agricoltori non sarebbero in grado di acquistare carburante per i loro veicoli. Una volta che c'è solo denaro
digitale della banca centrale, il governo può controllare tutti gli
investimenti. La libertà è impossibile in un mondo digitale. Ti conformi o
muori.
Si potrebbe
dire, sì, tutto questo è possibile, ma il nostro impegno per la libertà lo
impedirà. Ci sono due cose sbagliate in questa risposta. Uno è che i nostri
leader non sono impegnati per la libertà (vedi:
paulcraigroberts.org/2022/08/06/the-worlds-business-political-leadership-rejects-freedom/).
L'altro
è che sta già accadendo. In un recente numero di The
International Economy, Andreas Dombret e Oliver Wunsch fanno di "The Case for Central Bank Digital
Currencies".
È tempo di
"andare in grassetto", dicono, e di andare avanti con il lavoro.
Per
prima cosa capisci che questi due sono operativi dell'élite dominante.
Dombret è stato membro del consiglio di
amministrazione sia della Deutsche Bundesbank (la banca centrale tedesca) che
della Banca centrale europea. Wunsch era il capo missione del Fondo Monetario Internazionale in
Grecia e Cipro e il rappresentante del FMI presso la Banca dei Regolamenti
Internazionali e il Consiglio per la Stabilità Finanziaria.
Come
forse non ricorderete, o mai saputo, alcuni anni fa la Grecia e Cipro sono
state sottoposte a crisi finanziarie ingegnerizzate.
A
Cipro alle persone è stato negato l'accesso ai loro conti bancari. In Grecia la
storia è che il governo è stato corrotto per contrarre prestiti che non
potevano essere serviti o rimborsati.
La Banca centrale europea sostenuta dal FMI ha chiesto
alla Grecia di trovare i soldi spostando denaro dall'istruzione e dalla spesa
sanitaria al servizio di prestito, liberando più fondi governativi licenziando
dipendenti pubblici e svendendo beni pubblici come i porti greci e le utility
municipali a investitori privati stranieri, e per consegnare le sue isole
protette agli sviluppatori immobiliari.
L'economia greca crollò. La disoccupazione costrinse molti
greci a lasciare il paese. Il Times di Londra ha riferito che così tante donne sono
state costrette a prostituirsi che il prezzo è sceso al costo di un panino al
formaggio.
La
Grecia ha perso la sua sovranità ed è stata posta sotto un governo non eletto.
Ora
agli agenti associati al saccheggio della Grecia e alla rovina delle sue donne
è stato assegnato il compito di separare ognuno di noi dal controllo del
proprio denaro.
Il problema del contante è che fornisce
sovranità agli individui. Le persone possono avere denaro contante in loro possesso
al di fuori del sistema bancario. Possono effettuare pagamenti anonimi. Se il governo
tirannico sequestra il loro conto in banca, possono sopravvivere fuori dal
libro nell'economia di cassa. Ma quando non c'è denaro, perdono la sovranità
economica.
Dombret
e Wunsch non affrontano il problema in questo modo in quanto ciò darebbe
via il loro gioco. Sottolineano l'inconveniente del contante:
"Per
i consumatori, immagazzinare la giusta quantità di denaro allo sportello
bancario o al bancomat e giocare fisicamente al fornaio o alla macelleria non è
conveniente".
Naturalmente,
la maggior parte delle persone non paga più in contanti.
Scrivono
assegni e usano carte di credito che restituiscono loro parte delle commissioni
addebitate al commerciante o danno loro miglia aeree come fa la carta American
Express di Delta.
Ma
resta il fatto che possono ancora costruire una riserva di cassa per proteggere
la loro indipendenza. Una volta che il denaro è sparito, lo è anche
l'indipendenza.
(il
denaro contante è la libertà. Ndr )
La
valuta digitale esiste già in Bitcoin e nei suoi rivali.
Ma
queste criptovalute sono private e non forniscono le opportunità di controllo. Dombret e Wunsch scrivono che "bisogna essere scettici sulle
iniziative del settore privato" nel denaro digitale, perché gli interessi
privati "potrebbero entrare in conflitto con il bene pubblico". In altre parole, Dombret e Wunsch
associano "il bene pubblico" al monopolio di tutti i potenti governi
che è l'obiettivo del World Economic Forum (la creatura diabolica del demonio Klaus
Schwab! Ndr.)
La
valuta digitale della banca centrale non esiste ancora. Tuttavia, Dombret e Wunsch lo hanno
creato come un concetto in essere dandogli un nome: CBDC. Una volta nominato,
ora può apparire.
Spingono la sua apparizione sottolineando che
"la
disponibilità di uno strumento monetario che non si basa completamente sulle
infrastrutture del settore privato è un importante bene pubblico".
In
altre parole, la loro posizione è quella del World Economic Forum, che un
sistema controllato da un governo dell'élite è il modello per il Nuovo Ordine
Mondiale. Noi
peoni dovremmo semplicemente accettare la convenienza del denaro digitale e
rinunciare al nostro controllo sui nostri affari.
La mia
conclusione è che qualsiasi persona abbastanza stupida da fidarsi del governo
con la valuta digitale della banca centrale merita di essere gli schiavi che
saranno.
William
Engdahl ci dice che il passaggio della Federal Reserve e di altre banche
centrali dal Quantitative Easing al Quantitative Tightening scatenerà uno tsunami di distruzione della
ricchezza e
che la paura che la perdita di ricchezza causerà sarà usata per introdurci in
un mondo in cui c'è solo denaro digitale della banca centrale.
Senza
alcun dubbio questo significa la fine della libertà e della libertà. La
tirannia sopprimerà ogni indipendenza di pensiero, espressione e azione.
Questa
volta, come hanno notato tre anni fa l'ex capo della Banca d'Inghilterra Mark
Carney, la crisi sarà usata per costringere il mondo ad accettare una nuova
valuta digitale della Banca Centrale, un mondo in cui tutto il denaro sarà
emesso e controllato centralmente.
Questo
è anche ciò che le persone del WEF di Davos di Klaus Schwab intendono con il
loro Grande Reset.
Non sarà buono.
Uno tsunami finanziario pianificato globale è appena
iniziato."
– (F.
William Engdahl -globalresearch.ca/global-planned-financial-tsunami-has-just-begun/5784217).
Il
nichilismo come elaborazione
del
lutto ideologico.
Publicpolicy.it-
(14 Marzo
2022) - Pietro Monsurrò- ci dice :
“Dato
che la politica non incentiva la razionalità, spesso diventa una fuga dalla
realtà. L’ideologia è un mondo virtuale dove tutto è chiaro, le scelte sono
semplici, i problemi hanno sempre soluzione: l’idea stessa che il mondo sia
così è una fuga dalla realtà.” (da Potere senza responsabilità).
ROMA
(Public Policy) – Il XX secolo ha ucciso numerose ideologie. Molti hanno
investito tempo ed energie emotive nel convincersi della loro veridicità, e la
loro sconfitta storica ha quindi avuto un notevole costo psicologico.
Ci sono molti modi per elaborare il lutto
della sconfitta delle proprie idee: il modo sano è cambiarle con idee
migliori, ma questo richiede una intelligenza, una forza d’animo e una
dirittura morale non alla portata di tutti.
I
grandi sconfitti del XX secolo sono stati il marxismo e il fascismo.
Si è
inoltre avuto un arretramento del ruolo della religione, che pesa soprattutto
sui più tradizionalisti e conservatori.
C’è
infine un altro parziale sconfitto: il liberalismo classico, dato che
l’idea di Stato minimo non è sopravvissuta alla pressione della democrazia (ciò
vale soprattutto per il libertarismo, più astratto e ideologizzato).
L’adulto
correttamente integrato, che supera i suoi sogni adolescenziali e si adegua alle
responsabilità della realtà in cui vive, finisce presto o tardi con
l’abbandonare certe idee, oppure modificarle, moderarle e arricchirle.
È
possibile rimanere di sinistra anche senza credere alle favolette della
pianificazione socialista; essere di destra senza volere un impero d’Oltremare;
essere liberali senza sperare che esista una strategia efficace per tenere
sotto controllo le tendenze degenerative della politica; essere cattolici senza
desiderare il ritorno del Papa Re.
Ma
questo non accade sempre. Quando non accade, l’ideologia sopravvive allo scontro con la
realtà, col risultato di perdere il contatto con quest’ultima.
Ci si chiude in un mondo di valori, idee e teorie
prive di rilevanza e validità, che però proteggono dal dover fare i conti con la
realtà.
Il
risultato è che l’ideologia, non potendosi aprire al mondo perché ne verrebbe distrutta,
sfocia nel risentimento e nel nichilismo: la fine di un’ideologia inadeguata è
confusa con la fine del mondo.
Ne
risulta una narrazione millenarista e apocalittica: se le mie idee non valgono
nulla, tutte le idee e i valori non valgono nulla.
(Così
pensano i seguaci del nuovo Dio terreno Klaus Schwab! Ndr )
Una
volta abituata la mente ad arrampicarsi sugli specchi, l’improbabile diventa
verosimile e l’evidente diventa imperscrutabile. La miseria diventa preferibile
alla prosperità; la repressione poliziesca diventa auspicabile rispetto alla
libertà personale; l’invasione di uno Stato sovrano diventa una guerra alla
degenerazione morale dell’Occidente; il terrorismo islamico una forma di
resistenza anti-imperialista; il Covid una banale influenza e il vaccino un
farmaco inefficace e pericoloso; l’incapacità di gestire una relazione un
complotto contro il genere maschile (incel) o del patriarcato (femministe); le
atrocità di regimi disumani una invenzione della propaganda.
“L’uomo”, diceva André Glusksmann, “è l’unico animale capace di farsi
stupido”.
Per
molti, questo è un costo ragionevole da pagare per non passare all’età adulta. E non capita soltanto su Facebook, ma
anche a importanti intellettuali: Noam Chomsky o Carl Schmitt che siano, il lutto per la morte delle
ideologie porta molti a negare l’evidente e a difendere l’abietto, e servono
notevoli risorse morali e intellettuali per evitarlo. (Public Policy).
La
realtà della negazione
e la
negazione della realtà.
Info.aut.org-(
27 DICEMBRE 2021) -IN PRECARIATO SOCIALE- ci dice:
Questo
testo è stato scritto e pubblicato in greco nel settembre 2021. Nasce come
intervento polemico nel dibattito intorno alle questioni del virus Sars-CoV-2,
delle misure e degli strumenti messe in campo per contrastarlo e
dell'autoritarismo del governo greco.
Nasce, soprattutto, dalla sorpresa (e
tristezza) per il fatto che molti dei nostri compagni e amici all'interno
dell'ambiente radicale abbiano abbracciato un approccio negazionista nei
confronti della pandemia, mentre non pochi di loro sono gradualmente scivolati
nel pensiero cospirazionista e in assurdità sconvolgenti.
Quello
che abbiamo cercato di fare con il testo, quindi, non è stato semplicemente
criticare e denunciare tali irrazionalità, ma cercare di capire le diverse
ragioni dietro tale regressione.
Così,
anche se il testo cerca di rispondere alla domanda su cosa la pandemia di Covid
(e la sua gestione) ci dica sul capitalismo contemporaneo e sullo stato, pone
anche la difficile domanda su cosa essa ci dica sulle soggettività della fase
attuale e sulle condizioni materiali del pensiero e della lotta collettiva.
Poiché
questo testo è stato scritto con uno sguardo rivolto al pubblico greco, alcuni
passaggi con riferimenti diretti a questioni rilevanti solo per tale contesto
sono stati rimossi dalla traduzione.
Allo stesso tempo, è emerso chiaramente come
molti dei punti sollevati possano essere facilmente allargati ad altri paesi.
Rispetto all'abbraccio del negazionismo da parte di ambienti radicali, per
esempio, i casi in Francia - e forse anche in Italia - sembrano muoversi in
traiettorie simili. Le similitudini emerse hanno reso la traduzione del testo
uno sforzo meritevole, e ringraziamo i nostri compagni in Francia, Spagna,
Germania, Svizzera e Italia per aver espresso il proprio interesse. Tra
l'altro, le somiglianze che vengono a galla tra i vari paesi indicano come
approcciarsi alla situazione attuale con uno sguardo agli sviluppi storici
specifici all'interno della Grecia (come le conseguenze della prolungata
austerità e la sconfitta dei movimenti sociali emersi contro di essa), anche se
significativo per molti aspetti, può risultare fuorviante se utilizzato per
dare priorità ad alcune specificità della situazione greca. Gli effetti combinati della
propagazione senza precedenti (su un piano esistenziale e materiale) di un
virus contagioso, quasi simultaneamente a livello globale, della paura e
dell'incertezza generate da questo evento, così come le diverse modalità
attraverso le quali lo stato e il capitale hanno scelto di rispondervi, ci permettono
di estendere le nostre osservazioni al di là della Grecia.
Poiché
tradurre significa essenzialmente interpretare (e a volte riscrivere), la
struttura è stata leggermente modificata per fornire al testo una maggiore
fluidità. E sebbene esso sia stato pubblicato quasi due mesi fa, abbiamo scelto
di non apporre troppe postille ed aggiornamenti, a parte alcuni commenti che
indicano come alcune delle spaventose previsioni ipotizzate si siano purtroppo
concretizzate. Abbiamo anche aggiunto alcune frasi o paragrafi chiarificatori
per rendere il testo più comprensibile ad un pubblico non greco.
"Non
riconoscevo ancora davanti a me stesso la complicità in cui incorre chi, di
fronte all'indicibile che è accaduto collettivamente, parla dell'individuale in
generale."
-
Adorno, Minima Moralia.
La
comparsa del virus SARS-CoV-2 non ha semplicemente portato ad un arresto
dell'economia mondiale per diversi mesi, rivelando un senso di panico tra le
fila dei dirigenti di questo mondo.
Né si
è limitata ad un insieme di contromisure contraddittorie, di volta in volta
attuate o ignorate con uguale zelo. Tra le altre cose, e come ogni grande
crisi, la pandemia ha portato alla luce forze e tendenze all'opera nella fase
precedente, in maniera evidente o ancora sotto traccia, tanto a livello dei
rapporti capitalistici di (ri)produzione, quanto nelle sfere più ristrette
della vita sociale, come gli spazi politici radicali.
Prendendo
l'esempio della Grecia, la crisi generata dal Coronavirus non solo ha messo in
luce la decisione dello stato di agire come meccanismo di smistamento piuttosto
che di integrazione, nonché il livello di miseria del sistema sanitario dopo
anni di tagli e austerità; ha anche portato in superficie le mutazioni occorse
all'interno degli ambienti di estrema sinistra/radicali dopo un decennio di
sconfitta e riflusso.
Come
abbiamo avuto modo di scoprire, ad essere minati durante il periodo di
austerità non sono stati solo i salari, le pensioni e i servizi, ma il concetto
stesso di collettivo. Le conseguenze di un tale sviluppo sono oggi ben
visibili: di
fronte ad un governo di estrema destra che consolida il suo percorso
autoritario attraverso la distruzione irreversibile della natura, gli abusi e
gli omicidi di immigrati e la gestione disastrosa del Coronavirus, frazioni del
movimento radicale hanno visto nella negazione della pandemia un campo d'azione
e resistenza.
Il
fatto eccezionale che una percentuale senza precedenti della popolazione
mondiale fosse costretta nello stesso momento a confrontarsi con la crisi in
corso, non ha contribuito che in minima parte a ridimensionare l'orizzonte
limitato di molti radicali.
Così,
in una situazione in cui i governi di tutto il mondo, nel promuovere la
"responsabilità individuale", facevano del loro meglio per mantenere
aperta l'economia e tentavano di distrarre l'attenzione dall'ovvio collasso dei
sistemi sanitari pubblici, dopo decenni di "razionalizzazione" (cioè
asfissia fiscale), molti radicali hanno reagito mettendo in discussione la
nozione stessa di salute pubblica.
In una situazione di mala gestione criminale che ha
condotto a centinaia di morti evitabili, molti radicali hanno pensato fosse
preferibile mettere in discussione l'esistenza stessa della pandemia. Di fronte
all'orrore continuo di persone in lotta per respirare, molti radicali continuano
a negare i pericoli associati al virus.
Le
malattie contagiose differiscono dalle altre malattie in modo sostanziale: sono
per definizione, sociali. Presuppongono il contatto, la coesistenza, una
comunità – per quanto alienata. Tuttavia, quello che la pandemia SARS-CoV-2 ci ha
mostrato è come, nel periodo storico in cui ci troviamo, le relazioni sociali
siano percepite come vuoto opprimente tra individui solidi, chiusi e
inviolabili. Individualità autodeterminate, non negoziabili, non contagiose. A
questo punto, fa poca differenza che questa difficile situazione venga
interpretata come espressione maggioritaria di un carattere narcisista, o di un
immaginario (neo)liberale che mistifica il carattere sociale delle relazioni
capitaliste e dei soggetti che le riproducono.
La
critica radicale punta a smascherare il vuoto reale, in questo caso costituito
proprio da questa individualità. La critica radicale percepisce le relazioni sociali
come relazioni, cioè come connessioni tra persone, indipendentemente dal fatto
che queste non siano prodotte e riprodotte liberamente e consapevolmente. Questo non impedisce loro di essere
relazioni. Né dà credito all'idea che il nucleo centrale della realtà sociale
sia l'individuo.
Nessuno
ha una relazione individuale con una malattia contagiosa. Ne consegue che nessuno può entrare
in relazione con essa sulla base di decisioni puramente personali. Questo è ciò
che ci permette di parlare di negazionisti, un termine utilizzato per
descrivere tanto coloro che negano l'esistenza della pandemia o il pericolo che
essa rappresenta, quanto coloro che rifiutano di riconoscere il carattere
sociale della nostra esistenza all'interno della società capitalista. Il più delle volte, come
mostreremo, queste due forme di negazione risultano interconnesse.
Non è
un caso che, indipendentemente da come la crisi attuale venga tradotta
politicamente, queste forme di negazione siano onnipresenti, e determinino il
quadro fondamentale in cui si svolgono tutte le obiezioni contemporanee. Tuttavia, esse non vengono mai
espresse con franchezza. Al contrario, la maggior parte dei negazionisti finge
che la loro critica riguardi la gestione della pandemia. E mentre va da sé che questa
gestione sia stata (e continui ad essere) catastrofica, rimanere in questo
quadro risulta fuorviante. Criticare la gestione della pandemia negando la sua esistenza
o il pericolo che comporta è esso stesso, a dir poco, un approccio catastrofico. Questo non è solo visibile
nell'adozione acritica (e a volte inconscia) di cospirazioni reazionarie
proto-fasciste; più importante forse, è come essa rifletta e promuova una
comprensione estremamente distorta del capitale, dello stato e del concetto di
esistenza collettiva. Questo, di per sé, non rappresenta certo una novità all'interno
della sinistra e degli ambienti radicali. Ma questa è forse la prima volta che
queste distorsioni generano tali fratture esistenziali all'interno delle sue
file.
Per
tutte queste ragioni, e prima di procedere con un'analisi delle ragioni più
profonde di tale negazione, vale la pena dare un'occhiata più da vicino a ciò che è
stata (e non è stata) esattamente questa gestione della pandemia SARS-CoV-2,
soprattutto in relazione alla nuova fase rappresentata dalla campagna
vaccinale.
(Mala)Gestione
della pandemia.
Nel
bel mezzo della stagione turistica estiva 2021, e dopo aver sostanzialmente
abbandonato molte delle misure di contenimento della pandemia (tracciamento,
distanziamento sociale, quarantena) che, nel periodo precedente, erano state
imposte con un fervore repressivo senza precedenti, il governo greco ha seguito l'esempio
di molti altri paesi, concentrando la sua attenzione sulle vaccinazioni. Ciò
significava imporre una serie di nuove disposizioni da attuare gradualmente
dall'inizio di settembre.
La più
significativa è stata l'introduzione della vaccinazione obbligatoria per gli
operatori sanitari, sia nel settore pubblico che in quello privato, con la
sospensione (senza stipendio né copertura assicurativa) dei non-vaccinati.
Negli
altri settori (come la ristorazione, il turismo, l'educazione, lo spettacolo e
il mondo accademico) per coloro senza copertura vaccinale è stato reso
obbligatorio un test negativo una o due volte a settimana, il cui costo è stato
trasferito a carico del soggetto stesso (invece di essere sovvenzionato dallo
stato, come accadeva prima delle nuove disposizioni).
Inoltre, i test negativi sono stati resi
obbligatori anche per i viaggi sulla lunga distanza sui trasporti pubblici e
per l'ingresso nei luoghi pubblici, ad eccezione di ristoranti, luoghi di svago
e centri sportivi, dove solo vaccinati o i guariti dal Covid sono autorizzati
ad entrare.
Gli
alunni non vaccinati devono sottoporsi a due autotest a settimana, disponibili
gratuitamente. Allo stesso tempo, il governo ha permesso ai datori di lavoro di
richiedere la prova delle vaccinazioni (o test negativi) ai loro dipendenti, la
cui inadempienza comporta una multa con importi variabili a seconda della
portata e del campo di attività dell'azienda. In questo modo, una parte importante
dell'applicazione delle misure è stata essenzialmente trasferita al settore
privato, ad indicare un ritiro indiretto dello Stato dalla cosiddetta
"campagna vaccinale".
La
propaganda di stato ufficiale utilizzata per giustificare queste nuove misure è
stata, come al solito, piuttosto fuorviante. Ponendo l'accento sul calo, senza
dubbio significativo, del tasso di vaccinazioni durante il periodo estivo,
senza tuttavia ammettere alcuna responsabilità per la sua ridicola gestione, è
emerso chiaramente come il governo sperasse di attribuire il significativo
aumento dei nuovi casi (così come il conseguente aumento dei ricoveri e dei
decessi) esclusivamente ai non vaccinati (una categoria confusa, che raramente
fa distinzione fra coloro che rifiutano consapevolmente la profilassi e quelli
non idonei alla somministrazione).
In questo modo, la decisione criminalmente
stupida di abbandonare di fatto tutte le altre contromisure durante il periodo
turistico è sparita dalla scena. V'erano pochi dubbi che questa stessa
"strategia" avrebbe caratterizzato anche la gestione della pandemia
dopo il periodo turistico.
Basato
sull'irresponsabile diffusione della percezione del vaccino come lasciapassare
e sull'abolizione di tutte le restrizioni (in barba a tutte le più affidabili
evidenze scientifiche), il principio guida del governo è stato quello di
cercare di evitare, a tutti i costi, un nuovo lockdown generale. Di fronte al tasso di
trasmissibilità più elevato della mutazione Delta, così come al fatto che le
vaccinazioni proteggano significativamente dalla malattia grave o dalla morte
ma non eliminino la contagiosità, è più che certo che l'inverno in arrivo sarà
devastante.
La combinazione di una nuova mutazione, di un'alta percentuale di non vaccinati
(la Grecia ha il tasso di vaccinazione più basso dell'Eurozona) e di un
ulteriore indebolimento (attraverso, tra l'altro, le sospensioni del personale
sanitario non vaccinato) di un sistema sanitario già sovraccarico nell'ultimo
anno e mezzo, rende inevitabile prospettare uno scenario da incubo.
Il
fatto che il governo, trasferendo tutta la responsabilità ai non vaccinati,
sembri convinto di poter eludere le critiche per questa catastrofe
preannunciata, dimostra ancora una volta come la preoccupazione principale di
questa cricca si limiti ad una mera questione di comunicazione e di limitazione
del danno, senza alcuna strategia significativa o a lungo termine.
In
risposta alle nuove disposizioni statali e alla continua gestione
contraddittoria della pandemia, ha preso piede, con più forza rispetto alla
fase precedente, un movimento di stampo negazionista. Utilizzando la vaccinazione
obbligatoria degli operatori sanitari come base di partenza, questo movimento
risulta tutt'altro che omogeneo. Come altrove, spazia dall'estrema destra ai
preti ortodossi, e dalla sinistra/anarchici agli stessi operatori sanitari. Ciò che collega affiliazioni
politiche così divergenti non è, come alcuni amano far credere, il loro comune
rifiuto delle politiche autoritarie del governo. È piuttosto la negazione della
pandemia e/o del pericolo rappresentato dal virus, l'invocazione della libertà
individuale contro le misure esistenti o disponibili, e la rappresentazione
della pandemia come un pretesto per l'imposizione di una moderna distopia da
parte delle élite (identificate alternativamente come Big Pharma, Big Tech, la
classe politica in qualità di "venditori cinici e senza vincoli
morali", un nuovo ordine mondiale o il "globalismo" diretto dal
satanico Klaus Schwab). Alla base di queste tendenze, troviamo un profondo
fraintendimento tanto della relazione capitalista quanto del ruolo dello stato
all'interno di essa.
Una
riproduzione contraddittoria.
Da una
certa prospettiva, per comprendere appieno le cause più profonde della gestione
della pandemia, appare necessario sottolineare come lo stato rappresenti la forma
politica dei rapporti sociali di produzione capitalista.
Dato che questi rapporti sono per definizione
contraddittori, tali contraddizioni si manifestano anche a livello della
politica statale. Nel contesto del dispiegarsi di una pandemia senza
precedenti, per esempio, la necessità di riprodurre una forza lavoro sana e
produttiva può entrare in conflitto con l'esigenza di una prosecuzione senza
interruzioni dello sfruttamento capitalista. Detto diversamente, la necessità della
riproduzione materiale di tutti gli elementi costituenti il rapporto
capitalista può contraddire l'esigenza di incrementare la creazione di valore e
la redditività. In base a questo criterio, la redditività diretta e a breve termine
delle imprese capitaliste (anche di quelle dominanti) può entrare in conflitto
con il mantenimento a lungo termine del rapporto che le sottende. Questa contraddizione è emersa
rapidamente sia nei termini di un conflitto sulla linea politica da assumere
sia nella natura contraddittoria delle politiche perseguite.
Lo
stato è responsabile dell'attuazione di una serie di politiche per sostenere
l'accumulazione capitalista, come l'aumento della produttività del lavoro,
l'adattamento della forza lavoro ai bisogni del capitale, il perfezionamento
della divisione del lavoro e la riduzione dei costi di riproduzione. Ma si preoccupa anche della propria
legittimità, e di quella dei rapporti sociali di sfruttamento che sorregge. La coesistenza di queste tendenze è
diventata, durante la pandemia, esplosiva. In ultima istanza, le politiche che
hanno prevalso non hanno rappresentato altro che un temporaneo bilanciamento di
queste contraddizioni, senza mai essere in grado di superarle.
Al
momento, non c'è dubbio che ogni governo voglia evitare a tutti i costi nuove
misure restrittive generali che danneggino ulteriormente un'attività economica
già vacillante. Questa tendenza era già stata evidente durante il secondo lockdown greco,
nel novembre 2020, quando, nel tentativo di creare il minor danno possibile al
processo lavorativo e all'accumulazione, soprattutto in quei settori ritenuti
vitali per l'economia greca (come il turismo), le misure erano risultate già
meno restrittive che nel primo lockdown.
Mirando
invece alle attività non direttamente produttive della popolazione, la seconda
serrata si era concentrata quasi esclusivamente sulle attività del tempo
libero, reprimendo anche qualunque mobilitazione collettiva.
La
contraddizione intrinseca tra il bisogno di isolamento sociale e quello di
concentrazione del lavoro per il mantenimento della produzione e della
distribuzione economica, ha determinato fin dall'inizio la forma organizzativa
del lato (non clinico) della gestione pandemica. Infatti, è ormai abbastanza ovvio
come l'iniziale sospetto e indifferenza mostrata dai paesi occidentali verso
l'allerta sull'arrivo di un nuovo virus contagioso possa essere spiegata con le
drammatiche previsioni di crollo del PIL globale, di blocco delle catene di
approvvigionamento, di sospensione del commercio e tutte le altre difficoltà
inerenti all'interruzione della produzione di lavoro e valore.
Un
approccio simile può essere utile anche per spiegare l'adozione finale di mezze
misure contraddittorie, la cui potenziale efficacia risultava minata fin dall'inizio:
il mantenimento dell'apertura della maggior parte dei
luoghi di lavoro con controlli essenzialmente inesistenti e l'indifferenza
(pseudo-scientificamente giustificata) verso i trasporti pubblici come evidenti
cluster di contagio (mentre venivano pesantemente sorvegliati gli spazi
pubblici all'aperto), sono tutte prove chiare a supporto di questo.
Ciò
che risulta altrettanto preoccupante, tuttavia, è come questa contraddizione
piuttosto diretta tra diversi aspetti della relazione capitalista e lo stato
sembri aver messo a dura prova le capacità concettuali di alcuni radicali,
portando ad interpretazioni centrifughe di rifiuto sia delle (semi)misure del
governo che della pandemia stessa. Dal loro punto di vista, il fatto che i governi usino
la pandemia come scusa per intensificare la propria stretta autoritaria sulla
società è indicativo del fatto che non esista alcuna pandemia.
In
alternativa, ammettendo che questa esista, essa risulterebbe pericolosa solo
per una ristretta e già vulnerabile percentuale della popolazione. Il più delle
volte, questa categoria è correlata costantemente (ed erroneamente) all'età. In base a questo approccio, non
esisterebbe alcuna ragione discernibile per l'imposizione di una qualunque
misura generale, se non l'autoritarismo.
L'alta trasmissibilità, il rischio e la significativa
mortalità del nuovo virus vengono così trasformati concettualmente in un
problema semplice e gestibile, facilmente risolvibile con una “protezione”
degli anziani vulnerabili (già strutturalmente messi da parte), ovvero con una
loro rimozione dal nostro campo visivo. Qualsiasi altra misura, sostengono i
negazionisti, avrebbe il solo scopo di estendere il controllo e la disciplina
dello stato.
Nei
primi giorni della pandemia, la combinazione di una mancanza di dati
affidabili, di un'incredulità esitante rispetto alla distopia in corso, e di
raccomandazioni elargite da parte di organizzazioni ed istituzioni già
delegittimate, hanno giocato un ruolo cruciale nella creazione di tali
narrazioni. Più critica, tuttavia, si è rivelata la loro adozione da parte di
soggetti con una pretesa "autorità" scientifica. Già nel marzo 2020,
per fare un chiaro esempio, in un frangente nel quale la maggior parte della
popolazione non era ancora al corrente dell'esistenza del virus Sars-Cov-2 e
della minaccia in arrivo, John Ioannidis pubblicò un articolo che metteva in
guardia contro misure esagerate di contrasto alla pandemia, non efficaci e
potenzialmente disastrose.
L'argomento
centrale era quello apparentemente ovvio, che non esistessero abbastanza prove
per giustificare misure drastiche come l'isolamento, le mascherine e il
distanziamento sociale. In maniera un po' sconcertante, questa
mancanza di dati non impediva a Ioannidis di suggerire come nessuna misura
significativa dovesse essere presa. Pur con la parvenza di solide
argomentazioni scientifiche, le affermazioni di Ioannidis in realtà
rappresentavano un rifiuto specifico (e politicamente discernibile) dei
protocolli esistenti di gestione della pandemia.
Appurato come le mutazioni dei virus
influenzali avvengano più o meno ogni decennio, i protocolli di salute pubblica
esistenti negli Stati Uniti (e, per estensione, in altri paesi) sono stati
largamente strutturati su un approccio che privilegia misure drastiche nei
primi giorni di contagio, piuttosto che permettere ai virus di diffondersi,
spesso con tassi di crescita esponenziali, fino a renderne impossibile la
gestione.
Non
serve particolare intuito per immaginare gli effetti economici dell'attuazione
di un tale protocollo. Per questo motivo, obiezioni come quelle sollevate da
Ioannidis non rappresentano solo semplici disaccordi tecnici o scientifici con
i protocolli esistenti. Piuttosto, la riluttanza verso l'applicazione di tali
misure viaggia in parallelo con la contraddizione centrale prima identificata,
cioè quel compromesso fra attività economica e redditività diretta (colpita
dalle chiusure) da un lato e la riproduzione allargata degli elementi chiave
del rapporto di capitale dall'altro. Ioannidis, e altri come lui, hanno sposato
una parte specifica di questa contraddizione.
Eppure,
nonostante la graduale consapevolezza della necessità di un blocco delle
attività economiche per prevenire l'ulteriore diffusione del virus e le sue
disastrose conseguenze per la totalità dell'economia capitalista, argomenti come quelli di Ioannidis
hanno da allora definito il quadro centrale del negazionismo: la
rappresentazione persistente (e contraria ai dati reali) del SARS-CoV-2 come
semplice influenza; la messa in discussione cospiratoria del suo tasso di
mortalità; l'uso selettivo, male interpretato o addirittura falsificato dei
dati statistici, volto a minimizzarne i rischi; la promozione dell'idea che
solo le persone anziane con un sistema immunitario compromesso siano in
pericolo.
Tutti questi argomenti, che da allora sono stati
ripetuti all'infinito dai negazionisti di tutto il mondo, sono tutti presenti
nell'articolo di Ioannidis del marzo 2020.
Nel
panorama greco, tali approcci sono stati ulteriormente rafforzati dalle
particolari circostanze della prima ondata della pandemia. All'epoca, la rapida
imposizione di misure rigorose da parte del governo, quasi in preda al panico,
il fatto che l'epidemia fosse scoppiata in un periodo non turistico dell'anno,
con limitati viaggi internazionali, e la preoccupazione generalizzata della
popolazione sulla tenuta di un sistema sanitario pubblico già decimato da un
decennio di austerità (fatto che ha favorito una prudenza auto-imposta), hanno
fatto sì che la Grecia abbia superato i primi mesi con un numero piuttosto
limitato di casi, ricoveri o morti (rispetto all'Italia, per esempio).
Questo
successo (temporaneo) si è poi trasformato in un peculiare “bias” di conferma,
generando la falsa impressione che la pericolosità del virus fosse gonfiata, e
alimentando le argomentazioni dei negazionisti, che, comunque, continuano ad
insistere sul fatto che il loro sia un rifiuto della gestione governativa.
In
ogni caso, questi bassi tassi iniziali hanno portato ad un conseguente
allentamento delle misure, facilitato dalla volontà del governo di riaprire
durante la stagione turistica 2020, e che ha condotto direttamente alla seconda
ondata di fine ottobre 2020. Quando fu chiaro che un atteggiamento così
disinvolto non fosse solo sbagliato ma disastroso, era già troppo tardi; non
solo per le migliaia di persone che si sono ammalate e le centinaia di persone
che sono morte a causa di un virus ancora presentato come una semplice
influenza, ma anche per tutti i negazionisti, che hanno continuato a
interpretare la situazione sulla base dell'esperienza della prima ondata,
innalzando saldamente i loro paraocchi ideologici e approcciandosi ai
successivi sviluppi attraverso il filtro del rifiuto.
Le
realtà divergenti della gestione pandemica.
L'illusione
comune che approcci come quello di Ioannidis o la ampiamente diffusa Dichiarazione
di Great Barrington siano stati "messi a tacere" o ignorati,
presuppone un livello sconcertante di negazione, visto e considerato come tali
posizioni abbiano chiaramente condizionato il quadro d'azione di capi di stato
come Trump, Bolsonaro e Johnson.
Fino a
un certo momento, almeno. La costante minimizzazione della necessità di misure
anti-Covid e della realtà e pericolosità del Sars-Cov-2 alla fine è entrata in
conflitto diretto con il tremendo aumento dei casi e il conseguente numero di
ricoveri e di morti, costringendo anche questi governi ad adottare una qualche
forma di chiusura e distanziamento sociale, e portando anche al blocco delle
catene di approvvigionamento internazionale.
Il
ragionamento è abbastanza semplice: la promozione della redditività diretta e
la difesa più ampia del rapporto di capitale non sono mai stati obiettivi
identici. L'inclinazione dell'equilibrio tra i due riflette, tra le altre cose,
il livello e l'intensità delle lotte sociali e le questioni di legittimità. Ma
l'abbandono assoluto e consapevole della possibilità di una riproduzione più
ampia del rapporto capitalista per favorire una parte del capitale privato, o,
peggio ancora, un qualche astratto proposito di disciplinamento, non è mai
stato in discussione.
Allo
stesso tempo, l'approccio inverso, promosso da molte componenti della sinistra,
risulta altrettanto errato. Lo stato non costituisce un meccanismo neutrale che, alle
giuste condizioni o con un diverso governo, possa essere messo al servizio dei
lavoratori. La critica radicale non glorifica un polo statale ansioso di
riprodurre complessivamente il rapporto capitalista, né si illude che un rafforzamento del
meccanismo statale possa rappresentare una qualsivoglia vittoria per "il
popolo", concetto condensato e congruente come mai ce n'è stato uno.
Quando
lo Stato erige barriere all'accumulazione di capitale privato, non lo fa per
difendere il proletariato dallo sfruttamento selvaggio. Lo fa perché il suo ruolo consiste
anche nel garantire la sopravvivenza a lungo termine del rapporto
capitalistico, e questo spesso si scontra con i piani a breve termine del
(singolo) capitalista privato, indipendentemente dalla quota di surplus da esso
prodotto.
Lo stato interviene per alleviare la pressione sociale
o, in sua assenza, si adopera di fronte ad una percepita incapacità di
risolvere le rivalità intra-capitalistiche, per evitare che queste finiscano
per minacciare il relativo equilibrio tra l'accumulazione del capitale privato
ed una riproduzione più ampia. Non abolisce questa relazione.
Tuttavia,
né le leggi che regolano il funzionamento del capitale privato (l'aumento perpetuo
della redditività a tutti i costi), né il difficile equilibrio che la
mediazione statale è chiamata a mantenere, sono preparati o adatti ad
affrontare una grave crisi. Il capitale privato che non riesce ad ottenere
benefici (nonostante l'assistenza comune garantita dal quadro giuridico e
politico dello stato) sarà sacrificato sull'altare della competitività, mentre
esistono molti esempi di come l'incapacità di uno stato a mantenere questo
necessario equilibrio abbia minato le sue basi stesse, trasformandolo in uno
stato fallito. In ogni caso, il tentativo di mantenere l'economia aperta, e di dare così
la priorità ad un lato del rapporto di capitale, alla fine ha mostrato i suoi
limiti, rendendo necessaria la protezione della sua riproduzione ad un livello
più ampio.
Di
fronte a questi sviluppi, ci si aspetterebbe che gli ostinati riduzionisti del
Coronavirus a semplice influenza, una minaccia solo per gli anziani, si
fermassero a pensare e riflettere.
Se non
altro, un tale approccio parrebbe già minato dal semplice fatto che i dirigenti
dell'economia mondiale siano stati costretti (per quanto a malincuore e
tardivamente) a bloccare l'attività economica per mesi e a sconvolgere i
meccanismi di produzione, distribuzione e redditività, arrivando ad approvare
anche l'innalzamento (fino a quel momento fatto impensabile) del debito
pubblico come arma necessaria per affrontare le conseguenze di un tale
disordine economico senza precedenti. Orientata al sostegno finanziario per
i disoccupati o i licenziati, così come ai considerevoli investimenti
(pubblici) per la ricerca sui vaccini, questa demolizione dell'ortodossia
economica è avvenuta in un periodo in cui anche le economie più dinamiche (come
Stati Uniti o Germania) risultavano già alle prese con una prolungata
stagnazione economica e con bassi tassi di crescita. Il punto centrale del
perché esattamente una chiusura così drammatica dell'economia mondiale fosse
necessaria per far avanzare l'autoritarismo resta una questione ancora elusa
dalle posizioni negazioniste.
Quello
cui abbiamo assistito, invece, è stato un notevole incaponirsi, interpretabile
solo come l'ennesima espressione di confusione che regna riguardo al
funzionamento dell'economia capitalista e dello stato, questa volta sposata ad
un quasi incontrastato individualismo. Al posto della riflessione, si è
cominciato a produrre tutta una serie di teorie complementari, che vanno dalle
cospirazioni di estrema destra/antisemite intorno al 5G e a Bill Gates, fino
alle narrazioni di sinistra o anarchiche su Big Pharma, Big Tech, nuovi
totalitarismi, "apartheid sanitari" e sull'imperativo di
"disciplinare" il proletariato.
Nonostante
le differenze di contenuto ed enfasi, tutte queste teorie mantengono lo stesso
punto di partenza: l'insistenza su come il virus non sia altro che un pretesto
e, come tale, non rappresenti in sé una vera minaccia. Le differenze fra esse risiedono al
massimo nel ragionamento su cosa rappresenti realmente questo
"pretesto".
L'emergere
della pandemia di SARS-CoV-2 non ha costituito uno shock esogeno per una
altrimenti stabile normalità. Essa rappresenta sia la logica conseguenza
dell'economia capitalista e dei vari modi con cui "la produzione capitalistica si
rapporta al mondo non umano a un livello più fondamentale: in breve, come il
“mondo naturale”, compresi i suoi substrati microbiologici, non possa essere
compreso senza fare riferimento al modo in cui la società organizza la
produzione"; sia un evento verificatosi in un periodo storico già caratterizzato dal
difficile superamento di una prolungata crisi economica, esacerbata, in casi
come la Grecia, dai già devastanti effetti di un decennio di austerità.
Soprattutto
in luoghi come la Grecia, tali effetti emergono su più livelli. Da un lato, bisogna ricordare come la
giustificazione ideologica per la dura fase di austerità, che nessuna rivolta
proletaria è stata in grado di contenere, sia stata inquadrata in nome
dell'interesse generale.
La
sconfitta finale dei movimenti sociali che tentarono di opporvisi sta ad
indicare come la politica unilaterale di classe di questo "interesse
generale" non ha prodotto un rafforzamento delle lotte proletarie contro
il capitale e lo stato. L'impossibilità a mantenere una comunità di lotta contro le
misure di austerità, dopo l'effettiva sconfitta delle mobilitazioni contro i
memorandum nell'inverno del 2021, ha giocato un ruolo decisivo. Ciò a cui abbiamo assistito è stato
invece il consolidamento di un ripiegamento su forme (preesistenti e
socialmente filtrate) piccolo-borghesi di associazione e socializzazione fisica
ristretta (la famiglia, le piccole cerchie di amici, il caffè locale) sulle
quali, in contrasto con l'esplosione di esperienze collettive del periodo
precedente, è più facile mantenere una forma di controllo sociale orizzontale,
e dove l'emergere aggressivo dell'identità individuale, segregata ma
glorificata, è quasi ineluttabile.
Lo
sfondo sociale della pandemia.
In
questo contesto, le sconfitte accumulate e la perdita di prospettiva hanno
minato significativamente la nozione di collettivo, sia come realtà sociale che
come condizione necessaria per la resistenza alla macchina capitalista. Questo
non vuol dire, naturalmente, che prima della crisi il concetto di esistenza e
mobilitazione collettiva non fosse spesso tradotto e vissuto come sostegno a
partiti/organizzazioni politiche (per la sinistra extraparlamentare e
parlamentare), o riferito al concetto vago, temporalmente ricorrente ma
costantemente fugace di
"insorti" (per il milieu anarchico/anti-autoritario).
Ma
sebbene la ritirata dei movimenti sociali sia servita a rafforzare tali
separazioni, vale la pena notare come il sentimento generalizzato di riflusso
seguito alle sconfitte abbia condotto ad ulteriori frammentazioni. Se questo è diventato ovvio a
sinistra con l'elezione di Syriza nel 2015, con la sua serie infinita di
spaccature e divisioni legate alla vicinanza al nuovo apparato statale, parti
significative del milieu anarchico hanno utilizzato questo sviluppo come
un'arma a conferma dell'isolamento antisociale, e della convinzione che non
esista, di fatto, una posta in gioco collettiva, ma solo individui ribelli che
si muovono in piccole forme organizzative o attraverso reti informali di
amicizia.
C'è
una certa inevitabilità storica a tali riflussi e ritorni al privato dopo una
grande crisi ed una sconfitta cruciale delle rivendicazioni collettive. Ma i
suoi effetti negativi possono anche essere in qualche modo mitigati: in primo
luogo con un riconoscimento delle sue cause di fondo e della loro contingenza
e, in secondo luogo, con un tentativo cosciente di resistere al radicamento di
questa marginalizzazione come unica posizione possibile di contemplazione del
sociale. In ogni caso, la resistenza a tali tendenze verso posizioni di
debolezza ed isolamento può essere confermata (o smentita) solo all'interno del
successivo ciclo di lotte. In questo senso, se il periodo della pandemia ci
offre qualche indicazione, essa è di carattere negativo.
Per
una parte significativa del movimento antagonista, il graduale abbandono di una
visione collettiva ha lasciato il posto o ad un consolidamento ed una difesa
essenziale dell'autonomia (individuale) e dell'autodeterminazione, o
all'attivismo segregato della setta politica.
In questo ambiente, il sociale è stato visto
come un intervento esogeno o, peggio ancora, un'invenzione ideologica in tandem
con l'autoritarismo statale. Come reso ben chiaro nei propri focus ed
interventi, gran parte del movimento antagonista non riconosce alcun reale problema
di salute pubblica – fermo restando che esista, nei fatti, un qualche
significato praticabile del concetto stesso di "salute pubblica". Al contrario, essi
identificano solo un tentativo di disciplinamento "biopolitico" e, a
ruota, una serie di esagerazioni di stampo statale, o determinate dall'industria
farmaceutica, volte a trasformare una questione riguardante solo una categoria
ristretta di anziani e vulnerabili in un campo di prova per trasformazioni
durature a livello sociale.
Nel
dipingere coloro che prendono sul serio la pandemia come accaniti (o ingenui)
sostenitori dell'autoritarismo statale strisciante, tuttavia, i negazionisti
hanno essenzialmente consentito allo Stato di presentarsi come esponente
responsabile e razionale dell’"interesse generale" di fronte
all'individualismo irrazionale.
L'estensione
infinita della libertà individuale come punto di opposizione ad un malessere
collettivo come la pandemia, rafforza il quadro di una guerra di tutti contro
tutti, permettendo allo stato di apparire come un mediatore (più) razionale; e
questo in un periodo di crescente insoddisfazione e rabbia per gli scandalosi
fallimenti dell'apparato statale e per la sua gestione della pandemia.
Invece
che un movimento sociale che lotti tanto contro una gestione orientata a
minimizzare il blocco della produzione economica, quanto per un accesso
universale e incondizionato alle opzioni protettive esistenti (dai vaccini
all'astensione remunerata dal lavoro) e ad un'assistenza sanitaria più estesa, assistiamo allo sviluppo di tendenze
che rivendicano, in nome della "libertà" e dell'autodeterminazione,
il diritto di fingere che la Sars-CoV-2 non esista.
Un
ammasso di individualità.
Dietro
l'uso di concetti come "autodeterminazione del corpo" e difesa del
diritto di scelta individuale, scorgiamo l'antropologia disperata di
un'individualità soggiogata, perennemente in balia di forze oggettive, e di
fatto incapace persino di costruire un'apparenza di esistenza collettiva al di
là dell'illusoria aggregazione di individualità.
La
libertà individuale non riesce a sfidare il quadro fondante della sua
impotenza, estromettendo anche ogni obbligo, impegno, responsabilità e
conseguenze legate all'esistenza collettiva.
Se è
vero che i legami sociali possono diventare un ostacolo, essi esprimono
comunque delle connessioni tra le persone e sono quindi, potenzialmente, un
campo di emancipazione.
C'è
un'ulteriore ambiguità dialettica dietro al concetto stesso di libertà
individuale. Per quanto sia arrivato a rappresentare, storicamente parlando, un
rifugio sicuro contro l'autoritarismo clericale e feudale, ha rappresentato
ugualmente un veicolo per l'incorporazione delle relazioni sociali
capitalistiche di separazione, mediate non dalla religione o dal diritto divino
dei re, ma attraverso le categorie astratte della legge e del mercato.
Nella
misura in cui il contenuto del negazionismo radicale contemporaneo non finge
neppure l'implicazione di un impegno o di un riconoscimento delle sue
conseguenze sociali, i suoi limiti e il suo orizzonte impoverito appaiano
chiari, emergendo come schlechte Aufhebung dell'individualismo borghese.
Se il liberalismo si sforza almeno di
conciliare il vuoto dell'individuo isolato facendo appello alle sue
universalizzazioni astratte (la legge e il mercato), nessun tentativo del
genere viene fatto oggi.
All'interno
di questa cornice, possiamo scorgere anche la forma mentale dell'individuo
narcisistico moderno, con i suoi tentativi istintivi di mantenere la propria
integrità contro le incessanti minacce di disintegrazione prodotte dalle
pressioni del mondo contemporaneo, di cui egli è, ovviamente, un prodotto
diretto.
Proprio perché il narcisismo rappresenta la perdita
del sé e non la sua autoaffermazione, esso è accompagnato da un'apatia
selettiva verso la vita collettiva, che punta ad un'abolizione pratica
dell'empatia.
Allo
stesso tempo, il contraddittorio senso di impotenza dell'individuo porta anche
alla formazione di una difesa reattiva che genera sentimenti di superiorità
sugli altri. In modo apparentemente paradossale, la discolpa e il predominio della
libertà individuale come contrappesi all'autoritarismo statale portano
all'eclissamento della soggettività individuale.
Le
persone possono funzionare come soggetti individuali (e non come astratte unità
reificate) solo all'interno di processi e di relazioni collettive non mediate
dal denaro, dal mercato e dallo stato, barlumi dei quali abbiamo fatto
esperienza negli antagonismi di classe e nelle comunità di lotta sconfitte e
dissolte nel decennio precedente.
Nonostante
le affermazioni dei negazionisti e gli appelli alla "libertà", se il
concetto di realtà, ed il significato che esso ricerca, risultano in definitiva
questioni personali e soggettive, senza alcun riferimento a qualcosa al di
fuori dell'immediata esperienza personale, esse falliranno miseramente nl
tentativo di offrire un rifugio o un supporto.
La
costituzione del sé e della libertà individuale come vettore di resistenza
produce un sé tormentato da sentimenti di umiliazione e perdita di controllo,
che cerca una "restaurazione della giustizia" con ogni mezzo, e si
scaglia contro tutto ciò che sta al di fuori del suo esteso senso d'identità. In questo processo, essa produce
anche un'immagine distorta dello stato, del mondo capitalista e di coloro che
percepisce come alleati o nemici.
Legato
al linguaggio dei diritti e alla richiesta di autonomia tipico di
un'individualità intesa come proprietà privata inviolabile, il punto di vista
dell'emancipazione sociale attraverso l'abolizione della società di classe e
della proprietà capitalista viene abbandonato, precludendo così un attacco
collettivo contro la combinazione di pericoli rappresentata da un virus
infettivo e dal costo umano delle contraddizioni capitaliste.
Inoltre,
coloro che inveiscono contro le restrizioni e le conseguenze negative
dell'isolamento, rifiutando allo stesso tempo la realtà della pandemia,
distolgono anche l'attenzione dal fatto che la libertà individuale, all'interno
della società capitalista, è già qualcosa di formale e limitato.
Nessuno
sceglie liberamente e consapevolmente, dopo attenta riflessione, di andare a
lavorare ogni mattina, né ha accesso diretto al modo in cui questo processo è
organizzato. Le persone sono costrette a farlo per sopravvivere, e sono solo le
loro lotte collettive a determinare i margini entro cui questa coercizione
risulterà più o meno diretta e violenta. In questo contesto, il negazionismo
non è (e non può essere) un campo di antagonismo contro la forma statale o i
rapporti capitalistici in sé, ma un tentativo di proteggere una certa normalità
contro un'oscura disarmonia (la pandemia globale). Per i negazionisti, la pandemia viene
a rappresentare il brutto sogno di una società già incatenata, che lotta per il
suo diritto al sonno.
Prima
dell'emergere della pandemia di SARS-CoV-2, solo una manciata di
anti-vaccinisti militanti con salde opinioni, già estremamente confuse, avrebbe
considerato la vaccinazione obbligatoria degli operatori sanitari come
espressione di un nuovo ordine autoritario emergente.
Se si togliesse di mezzo la SARS-CoV-2,
infatti, risulterebbe subito evidente come solo degli sciocchi ottusi
potrebbero sostenere per davvero che l'adozione di misure protettive contro le
malattie infettive debba essere delegata al campo delle scelte personali,
soprattutto considerando come tali "scelte", anche tra i
professionisti della salute, tendano a essere plasmate dalla cloaca dei social
media, gonfiate da ideologie reazionarie e inquadrate attraverso il caleidoscopio
dello sterile individualismo.
Sullo
sfondo dell'istituzione immaginaria di una tale autonomia dell'io e di un
approccio al corpo attraverso la terminologia dei diritti, riconosciamo,
insieme a Dauvé, le tracce di "una rivoluzione borghese che si tenta
di completare, di perfezionare indefinitamente invitando la democrazia a
cessare di essere “formale".
La critica radicale non rifiuta questi tentativi: ne
indica solo i limiti. Quando è impossibile affrontare le cause dell'oppressione, è
inevitabile per gli oppressi lottare contro i suoi effetti. In questo caso, la rivendicazione
del possesso del proprio corpo viene vissuta come una protezione contro la sua
appropriazione [...] Purtroppo questa salvaguardia si rivela un'illusione. La proprietà individuale non è una
protezione contro l'espropriazione. [...] La riappropriazione del sé non può
che essere collettiva."(Così spiegano i seguaci di Klaus Schwab nella loro demenziale
pretesa di essere nel giusto nel cercare la distruzione dell’umanità! Ndr.)
Una
difesa radicale dei diritti individuali non è possibile se non riconosciuta
come limite, tanto meno quando lavora a scapito della nostra esperienza
collettiva. La costituzione estrema (e astratta) dell'individuo prodotta
dall'immaginario liberale o, analogamente, l'incapacità di comprendere il
carattere sociale di una malattia contagiosa, sono i presupposti perché una
tale concettualizzazione possa prosperare.
Tutti
sanno che le percezioni dei falsi sé che ci connettono ad un'azienda, alla
famiglia, ad una tradizione, alla nazionalità, alla nazione o alla società in
generale, producono oppressioni in nome di un "noi" collettivo, che
non fa che perpetuare il dominio esistente.
Ma la
risposta, come nota Dauvé, "non è l'aggiunta di nuovi ego, ma la creazione
di sé non fittizi [...] Tutto ciò che si conquista e tutto ciò che è positivo,
'più umano', è il risultato di azioni comuni [...] Il nostro corpo è di quelli
che ci amano, e ciò non in virtù di un “diritto” giuridicamente garantito, ma
perché, carne ed emozione, noi viviamo e ci muoviamo grazie ad essi. E, nella misura in cui noi sappiamo e
possiamo amare la specie umana, il nostro corpo è di quest’ultima".
La
preoccupazione e la cura per coloro che ci circondano, piuttosto che minare una
qualunque nozione di esistenza collettiva, o persino il concetto stesso di
salute pubblica, sono caratteristiche non negoziabile della critica radicale,
proprio perché concepire le relazioni sociali come ostacoli all'individuo è
ciò che annulla la vera ricchezza
dell'esperienza umana.
Questa
preoccupazione per gli altri non è mai stata limitata al grado di vulnerabilità
dell'altro, né è mai dipesa da una valutazione approfondita della ricerca
scientifica. L'assenza o l'ambiguità di tali ricerche potrebbe mai essere una
ragione valida per sospendere una tale cura o preoccupazione?
Resta
sconcertante e profondamente avvilente vedere persone (specialmente compagni a
noi vicini) disposte a negoziare tale cura o tale preoccupazione in nome di una
critica del "totalitarismo scientifico" o perché queste impongono
limiti all'ego personale e alle libertà individuali.
Non
vediamo in queste posizioni una critica sistematica del discorso scientifico,
né un'eroica disobbedienza all'autoritarismo dell'apparato statale o
capitalista. Ciò che vediamo invece è un atteggiamento che riflette una lettura
selettiva o confusa dei dati disponibili sulla pandemia e le sue più ampie
implicazioni sociali, guidato, soprattutto, da un tentativo di razionalizzare
(e rifiutare) il pesante fardello psicologico che il riconoscimento della
distopia in cui viviamo richiede, nonché la gamma di responsabilità che ci è
stata improvvisamente imposta.
Identità
politica della negazione.
L'egemonia
dell'estrema destra all'interno del movimento negazionista a livello globale
non è certamente una coincidenza.
Essa
rappresenta uno spazio ideologico particolarmente suscettibile alle
cospirazioni, intese come razionalizzazione di un'estesa perdita di controllo,
con una sottostante propensione alla disciplina autoritaria.
Allo
stesso tempo, le tendenze fasciste hanno una ricca storia di rapporti con la
politica del Thanatos, diretta tanto contro coloro che "contaminano"
il tessuto sociale quanto contro coloro che ne sono membri improduttivi. Il fatto che queste stesse forze
politiche siano state in maggioranza a favore della riapertura totale
dell'economia e del riavvio del processo produttivo a tutti i costi non è
naturalmente un caso. Né lo è stata l'adozione entusiasta di narrazioni
sull'immunità di gregge, dietro la quale si mal celava il loro darwinismo
sociale ed un'eugenetica di ritorno.
L'ascesa
di tali tendenze post-fasciste è, certamente, un fenomeno globale.
(il nuovo mondo previsto da Klaus
Schwab dovrà essere governato da poche persone con a disposizione la ricchezza
delle loro multinazionali senza la presenza disturbante di alcun Stato
nazionale. Ndr.)
Nel
caso della Grecia, tale tendenza è stata favorita dalle proteste nazionaliste
di massa contro la Macedonia ed i pogrom razzisti contro i migranti nelle isole
greche (e nelle regioni di confine), attività che hanno trasformato tali
tendenze in un blocco sociale significativo, che alla fine si è riversato ed
integrato nell'apparato statale.
In un
contesto generale caratterizzato dalla separazione fra individui, una certa
ricerca di universalizzazione è destinata a legarsi ad astrazioni come una
rinforzata appartenenza religiosa, o ai contorni dell'identità nazionale.
Come
affermato da alcuni compagni di Salonicco, "le comunità basate su nazione e
religione [acquistano significato] come spazi di rifugio che promettono
stabilità, un senso di protezione e un recupero del controllo individuale/collettivo,
[in un momento] in cui tutti gli altri potenti riferimenti simbolici o
materiali (l'affetto patriarcale dello stato, le sue politiche di welfare,
etc.) sembrano crollare".
Nel
tentativo di riconfigurare questa struttura patriarcale dello stato (ovvero
fornire obbedienza in cambio di protezione), queste prospettive fasciste-nazi-bolsceviche
hanno trovato nella pandemia un terreno fertile per l'opposizione, sia
attraverso il copia-incolla di cospirazioni ampiamente note (ebrei-massoni, 5G,
Bill Gates, Soros,ecc.) che attraverso l'introduzione di varianti
greco-centriche (la fede ortodossa come scudo contro il virus, deliri su un DNA
greco resistente al contagio, ecc).
Per
questa folla coordinata, "l'invocazione della patria e dell'ortodossia [...] e le
esortazioni ad una rivolta nazionale cercano di costruire ossessivamente un
immaginario in grado di affrontare un nemico invisibile, le cui origini possono
rimanere oscure, ma i cui obiettivi sembrano chiari: la frammentazione del
territorio greco, l'impedimento dei suoi riti religiosi, lo strangolamento
economico dei suoi settori più redditizi, la sottomissione e la disciplina di
un popolo intrinsecamente impotente".
Accanto
alle tendenze fasciste, si può anche osservare un flusso costante dall'ambiente
libertariano (la cui preoccupazione ossessiva è proprio la difesa incondizionata della
proprietà privata e dell'individuo oltre quella della ricchezza delle multinazionali
private ,contro ogni nozione di
interesse collettivo e/o di bene comune) e, per la prima volta in maniera
così pubblica, una coalizione negazionista (spesso descritta con l'etichetta
Querdenken) formata da fanatici di Q-Anon, mistici omeopati o antirazionalisti
spiritualmente sensibili, che hanno trovato nelle mobilitazioni anti-lockdown,
anti-mascherine e anti-vaccino un'opportunità per diffondere le proprie
superstizioni new age, per vendere ricette di "guarigione"
alternative e per promuovere chiacchiere senza senso sull'astrologia.
Baldassarre
denuncia: «Risoluzione
su aborto
assurdità
ideologica.
Vogliono
tappare la bocca ai pro-life».
Provitaefamiglia.it-
Luca Marcolivio -(7-7-2022)- ci dice :
Il
Parlamento Europeo si è fatto portavoce delle istanze mortifere degli abortisti.
È la
drammatica verità che arriva dalla votazione, di pochi minuti, fa, sulla
proposta di risoluzione “sulla decisione della Corte suprema degli Stati Uniti di
revocare il diritto all'aborto negli Stati Uniti e sulla necessità di
salvaguardare il diritto all'aborto e la salute delle donne nell'UE”.
Una
proposta, appunto, di morte, che vorrebbe portare l’Europea a inserire l’aborto come
diritto fondamentale, oltre a togliere libertà di parola (tramite
l’annullamento dei finanziamenti) alle realtà pro life.
La
proposta di Risoluzione, infatti, presentata da Socialisti&Democratici,
RenewEurope, Verdi e La Sinistra, è stata votata favorevolmente con 324 voti
favorevoli, 155 contrari e 38 astenuti.
L’europarlamentare
Simona Baldassarre (Lega – Identità & Democrazia) ha espresso a caldo tutto
il suo sconcerto.
Onorevole
Baldassarre, a Strasburgo è stata votata una nuova risoluzione sull’aborto.
Cosa c’è in ballo e quale pericolo si corre?
«La risoluzione votata oggi
rappresenta l’assurdità ideologica delle sinistre al Parlamento Europeo che,
per la seconda volta nel giro di solo un mese, presentano un testo in Plenaria
sull’aborto.
Non si danno pace. Si consuma un altro insopportabile tentativo di ingerenza nei
confronti degli Stati Uniti e dei Paesi Membri dell’UE. La competenza sull’aborto è e
rimane in capo agli Stati Membri, per questo non ha senso la proposta avanzata
per inserirlo all’interno della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Ue.
Come
se non bastasse, in un periodo di recessione, hanno chiesto che l’UE compensi
economicamente l’eventuale riduzione dei finanziamenti per la promozione
dell’aborto nel mondo da parte degli Stati Uniti.
Da
Roma a Bruxelles, la sinistra continua a strumentalizzare la crisi per imporre
la propria agenda ideologica. Il testo, pur approvato dalla maggioranza, è solo
l’ennesima rappresaglia per la dura sconfitta che hanno subito con la legittima sentenza della Corte
Suprema degli Stati Uniti sul caso Roe v. Wade.
A
questo punto, mi chiedo, cosa fa l’Unione Europea per aiutare una ragazza madre
o una famiglia in difficoltà ad evitare l’aborto? Forse, invece di seguire le ideologie
del momento, sarebbe meglio lavorare a tutela delle donne, affinché di fronte
al bivio dell’aborto possano scegliere per la Vita».
La
scorsa settimana un’europarlamentare olandese ha fatto un appello alla
presidente Metsola, affinché non ammetta le “lobby” pro-life nel Parlamento
Europeo. Nel concreto di cosa si tratta?
«Si
tratta dell’ennesimo tentativo di tappare la bocca a chi racconta una realtà
differente da quella del mainstream di Bruxelles. E non sarebbe la prima volta!
Già a
giugno dello scorso anno, in occasione del voto in Plenaria sulla risoluzione
per il 25⁰ anniversario della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo
sviluppo, un
deputato della sinistra aveva presentato un emendamento citando per nome e
cognome alcune organizzazioni pro-life e pro-family, ed esprimendo
preoccupazione per la loro inclusione nel registro per la trasparenza dell’UE -
ovvero l’elenco delle organizzazioni ammesse nelle Istituzioni europee - perché
in tal modo sarebbero “autorizzate a lavorare apertamente con le istituzioni pubbliche
per il declino dei diritti delle donne nonché della salute sessuale e
riproduttiva e dei relativi diritti”.
In
quel caso, anche grazie al nostro contributo, l’emendamento fu bocciato con 257
voti a favore, 30 astenuti e 407 voti contrari. Non solo, agli inizi di quest’anno,
come ebbi modo di denunciare, Pro Vita & Famiglia e la memoria di Carlo
Casini furono attaccate durante un’audizione in Commissione per i Diritti delle
donne perché pro-life.
Ora,
la lettera che l’Eurodeputata di Renew Samira Rafaela ha recapitato alla
Presidente Metsola suona come un altro campanello d’allarme, di fronte al quale
non si può restare più indifferenti.
Parliamoci
chiaro: più indizi fanno una prova. É evidente che le forze di sinistra puntano
a compiere un atto di prepotenza al fine di bandire le organizzazioni che
difendono la Vita dal Parlamento Europeo.
Siamo arrivati alla caccia alle streghe, ed in
ballo c’è la libertà di parola, di pensiero e di opinione in quella che
dovrebbe essere la casa della democrazia Europea.
Forse
le sinistre hanno in mente di farne casa propria e del proprio pensiero unico? Noi non ci stiamo, e continueremo a
denunciare questi attacchi impropri dentro e fuori il Parlamento Europeo».
La
presidente Metsola è nota per le sue posizioni anti-abortiste: ritiene che
questo possa aiutare la causa pro-life all’interno dell’Europarlamento?
«Non
so dirle cosa farà la Presidente Metsola. Sicuramente, in passato ha espresso
posizioni pro-life e ritengo che prenderà provvedimenti per garantire la democraticità
del Parlamento.
Tuttavia,
dobbiamo ravvisare che il suo stesso Gruppo politico è profondamente diviso sul
tema. Da
parte mia, anche durante la scorsa Plenaria a Strasburgo ho avuto modo di
ribadire come non vi sia trattato internazionale che riconosca l’aborto come un
diritto umano. Anzi, il Programma d’azione della Conferenza del Cairo del 1994,
firmato da 179 paesi al mondo, sostiene che tutti i governi e le organizzazioni
internazionali, come l’UE, devono “far diminuire il ricorso all’aborto” e che
qualsiasi misura relativa all’aborto può essere decisa solo “a livello
nazionale o locale in accordo con le legislazioni nazionali”.
Esiste,
piuttosto, un diritto fondamentale alla Vita, come affermato da varie
Convenzioni internazionali ed Europee. Ed è per questo diritto che dobbiamo
batterci convintamente».
Se i
pro-life fossero alla fine messi alla porta, cosa si rischia?
«Si
rischia un precedente molto pericoloso. Oggi i pro-life, domani chi bandiranno
perché non si piega al volere della maggioranza?
Non
solo, si rischia il paradosso, con l’UE che pretende di difendere la democrazia
in Ucraina mentre imbavaglia la libertà di opinione a casa propria.
Stiamo
parlando di un fatto grave: dall’inizio del mandato gli unici a cui sia stato
interdetto l’accesso al Parlamento Europeo sono stati i diplomatici Russi e
Bielorussi dallo scoppio della guerra.
Vogliono
forse affiancargli le organizzazioni pro-Vita?
Va da sé che solo pensare una cosa del genere sia
assurdo. Come
ha detto anche Matteo Salvini, ci troviamo di fronte ad un’Europa monopolizzata
dalle forze di sinistra.
Pochi
giorni fa abbiamo preso atto di un incontro tra Alessandro Zan ed il
Commissario europeo per l’uguaglianza Helena Dalli, in cui quest’ultima ha
pubblicamente appoggiato il progetto di legge liberticida del deputato del PD.
Ora
l’appello della deputata di Renew, che si basa su interpretazioni mistificanti,
come il
fatto che le organizzazioni pro-life diffondano narrazioni false e tossiche,
che la loro ‘ideologia distruttiva’ non appartenga al ‘regno della libertà di
parola’ e che danneggino la reputazione delle Istituzioni europee.
Vi rendete conto con chi abbiamo a che fare nel
Parlamento Europeo?
Forse
i colleghi non ricordano che secondo lo stesso Trattato sull’Unione, le
istituzioni garantiscono alle organizzazioni della società civile la
possibilità di diffondere e scambiare pubblicamente le proprie opinioni, e
devono mantenere con loro un dialogo aperto, trasparente e regolare.
Ad una
certa sinistra piacerebbe chiudersi nei palazzoni per imporre la propria agenda
ideologica senza che i cittadini aprano bocca o mettano il naso. Io continuo a
sostenere che il Parlamento Europeo deve essere aperto alla dialettica
democratica, senza cordoni sanitari.
Non
serve ‘aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno’, come dicevano altri,
serve
mantenere il contatto con la realtà, con i cittadini che ad oggi stanno vivendo
una crisi ben più grave delle stravaganti idee della sinistra».
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