LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO ENERGETICO.

 LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO ENERGETICO.

 

Antitrust: evitare proroghe

liberalizzazione mercato energia.

Ilsole24ore.com- Andrea Carli-(18 luglio 2022) - ci dice:

 

Tra 2021 e metà 2022 sanzioni per oltre 1,4 miliardi.

Un intervento che si è sviluppato su un duplice binario. Da una parte i messaggi lanciati alla politica, dalla necessità di evitare proroghe alla liberalizzazione del mercato dell’energia - sulla base della formula “più concorrenza contro l’inflazione” - a una visione della politica pubblica che sia più orientata alle «reali dinamiche concorrenziali», alla necessità di approvare il ddl Concorrenza, attualmente congelato in commissione Attività produttive alla Camera dopo il primo ok del Senato, e fortemente minacciato dalla crisi di governo. Dall’altra, i numeri che raccontano un anno di attività per la tutela della concorrenza.

Partiamo dai messaggi. «Occorre concludere il processo di liberalizzazione dei mercati energetici entro i termini previsti, evitando ulteriori proroghe», ha sottolineato il presidente dell’Antitrust Roberto Rustichelli, in occasione della presentazione della relazione annuale sull’attività svolta nel 2021 presso l’Aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio. «L’Autorità - ha continuato - ha più volte ribadito che i vantaggi della liberalizzazione per i consumatori finali, anche in termini di prezzi più bassi e conseguenti risparmi, potranno pienamente dispiegarsi solo in un contesto di effettiva concorrenza tra gli operatori». Al contempo, «solo se i consumatori si fanno parte consapevole e attiva nello scegliere le offerte più convenienti nel mercato si possono innescare reali dinamiche concorrenziali».

Politica pubblica abbia visione aperta mercato.

Di qui il secondo messaggio. La politica pubblica deve avere una visione aperta del mercato. «La concorrenza - ha ricordato il presidente dell’Antitrust - affonda le sue radici nei principi della democrazia e della libertà complessiva del sistema. Per la promozione di uno sviluppo economico e sociale lungo queste direttrici, non basta tuttavia l’azione dell’Autorità Antitrust: occorre una politica pubblica volenterosa di riconoscersi in una visione del mercato monocratica e aperta, consapevole che la concorrenza può avere iniziali costi per alcuni ma genera certamente benefici per tutti». Secondo Rustichelli «la concorrenza deve continuare ad essere centrale anche nell’attuale contesto economico».

 

Approvazione ddl concorrenza è strategica.

Infine, il terzo messaggio. Il ddl Concorrenza. L’Antitrust ha colto «il rilievo del lavoro che, in questi mesi, Governo e Parlamento stanno facendo sulla legge annuale per la concorrenza, proprio sulla base della segnalazione inviata dall'Autorità lo scorso anno». «L’approvazione del disegno costituisce un passaggio strategico per il sistema Paese - ha aggiunto - non soltanto perché con esso l’Italia si conforma a precisi impegni assunti in sede europea con il Pnrr, ma anche per dare i giusti segnali ai mercati e agli investitori internazionali». «È in corso una stagione di grandi mutamenti legislativi che vede rafforzati anche gli strumenti e i poteri di intervento dell'Autorità. - ha detto - in particolare la legge n. 238 del 2021, colmando una lacuna dell’ordinamento, ha attribuito finalmente all’Autorità, in materia di accertamento e sanzione delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, i medesimi poteri già previsti per la repressione delle pratiche commerciali scorrette. Promuovere la concorrenza significa investire nel futuro del Paese» ha concluso Rustichelli.

Quindi, i numeri. Dal 1°gennaio 2021 al 30 giugno 2022 l’Antitrust ha irrogato sanzioni in materia di tutela della concorrenza per oltre 1,4 miliardi di euro (pesa su questo importo la multa ad Amazon da oltre 1,2 miliardi). È quanto ha messo in evidenza il presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato illustrando la relazione annuale. Secondo Rustichelli, inoltre, «da una stima effettuata secondo la metodologia suggerita dall’Ocse emerge che gli interventi dell’AGCM in materia di concorrenza nel periodo 2015-2020 hanno generato benefici a favore delle imprese e dei consumatori superiori a 5 miliardi di euro».

Concentrazioni, sono state avviate 8 istruttorie.

Nel periodo gennaio 2021-giugno 2022, in materia di concentrazioni l’Autorità ha esaminato 123 operazioni, avviando l’istruttoria in 8 casi potenzialmente problematici. L’Autorità ha poi concluso 13 istruttorie in materia di intese e 11 in materia di abusi, definendo 11 procedimenti con accertamento dell’illecito e 10 con accoglimento degli impegni.

Prodotti terapeutici anti Covid.

Stando da quello che emerge dalla Relazione, l'Autorità ha continuato a intervenire per interrompere la promozione e la commercializzazione online di varie tipologie di prodotti, con asserite caratteristiche terapeutiche o protettive nei confronti del Coronavirus, in assenza di ogni riscontro di natura scientifica. In particolare, su questo terreno, l'Autorità ha svolto un'intensa attività di moral suasion nei confronti di numerosi professionisti operanti nella produzione e commercializzazione di sanificatori d'aria e/o di mascherine protettive, invitandoli a rimuovere alcuni profili di ingannevolezza e aggressività presenti nella promozione dei rispettivi prodotti, suscettibili di rappresentare un potenziale pericolo per la salute dei consumatori.

Costo energia.

Nel settore dell'energia, l'Autorità ha continuato a svolgere la sua azione di repressione delle pratiche commerciali scorrette nella fase propedeutica alla prossima liberalizzazione del servizio di fornitura di energia elettrica. L'Autorità ha chiuso tredici istruttorie, svolto quattordici interventi di moral suasion e avviato altri sette procedimenti aventi ad oggetto l'insufficiente o incompleta indicazione del prezzo di offerta da parte dei fornitori di energia elettrica e gas sul mercato libero, al fine di assicurare la trasparenza delle relative proposte commerciali e la non imposizione di oneri impropri, nonché per consentire ai consumatori di scegliere le migliori condizioni di offerta.

Turismo, rimborsi per viaggi e voli cancellati.

L'eliminazione di inutili vincoli alla fruizione libera dei servizi offerti dagli operatori ha caratterizzato anche l'attività di enforcement nel settore del turismo ove l'Autorità è intervenuta contro pratiche commerciali scorrette, consistenti nel frapporre ostacoli all'esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori acquirenti di pacchetti turistici successivamente annullati. In tale contesto, sono stati conclusi due procedimenti istruttori relativi alle modalità con cui gli operatori hanno gestito le richieste di rimborso pervenute dai consumatori per voli e viaggi cancellati a causa della situazione pandemica.

 

 

 

Siamo masochisti abbiamo

il gas ma non lo estraiamo.

Laverita.info-Mario Giordano-(28 agosto 2022) - ci dice:

 

Da una lettera a Mario Giordano da parte di Roberto Bellia:

“Leggo che si teme la chiusura, da qui ai primi sei mesi del 2023, di circa 120.000 imprese del terziario e la perdita di 370.000 posti di lavoro “, a causa dell’aumento del costo dell’energia. La causa è la riduzione degli approvvigionamenti di gas proveniente dalla Russia.

In Italia abbiamo gas in abbondanza, ma non vogliamo estrarlo. Ogni tanto si sente qualche opinionista che, sventolando la bandiera del “primato della politica”, dichiara che la politica non è una azienda.

Bene, in quale azienda si rischierebbe il fallimento pur di non aprire la cassaforte che contiene i soldi? “

 

IL DISASTRO DEL GAS ALLE STELLE

E ‘ SIMBOLO DELL’UE INCAPACE.

Laverita.info-Carlo Pelanda- (28-8-2022) – ci dice:

 

Per fermare il caro energia serve un fondo d’emergenza paneuropeo.

L’Ue ha lasciato soli gli Stati nella guerra economica alla Russia. La soluzione più rapida è creare uno strumento ad hoc da finanziare con almeno 200 miliardi che dia aiuti extra rispetto ai bilanci aziendali.

L’UE ha scagliato la lancia della guerra economica contro la Russia senza organizzare uno scudo per proteggere gli stati membri da effetti controproducenti e contromosse.

Ha creduto che la sospensione del divieto ad aiuti di Stato fino al 2023 più altri finanziamenti decisi in periodo pandemico permettesse agli Stati stessi di sostenere i costi bellici diretti ed indiretti, in particolare l’inflazione energetica, sbagliando.

Ha perfino annunciato il distacco a breve termine di gran parte dei rifornimenti dalla Russia e quello totale entro il 2027 non valutando che Mosca vedesse in questa mossa parcellizzata una vulnerabilità. In particolare della Germania, da utilizzare per ricatto.

E ora la sta utilizzando con la speranza strategica di destabilizzare la Ue, grazie al danno economico crescente per famiglie e imprese nell’ Europa quasi tutta.   

Prossimamente ci sarà una valutazione comunitaria per correggere l’inconsistenza strategica che finora ha caratterizzato il complesso delle nazioni europee.

Ma sembrano prevalere soluzioni di risparmio energetico, ipotesi di razionamento nel caso peggiore e concetti molto vaghi di tetto al costo del gas. Il punto: non si sente  nel linguaggio europeo la soluzione più semplice ed efficace in tempi brevissimi di creare rapidamente un fondo di emergenza paneuropeo a debito comune che copra i costi dell’emergenza la cui durata è calcolabile come tempo di sostituzione delle forniture dalla Russia con altre fonti e importazioni. Chi scrive, con l’aiuto del suo gruppo di ricerca, ha simulato un primo scenario grezzo di configurazione di un tale fondo per capirne la fattibilità.

I tempi di sostituzione del gas sono stati stimati tra due e tre anni, ma con effetti calmieranti già attorno ai 20 mesi.  Quanti soldi servirebbero per questo periodo di gap energetico? A livello europeo, nel migliore dei casi, circa 200 miliardi, nel peggiore 800 (problemi di contratto-prezzo nei flussi alternativi), nell’intermedio attorno ai 500.Tale variabilità suggerisce un fondo “a fisarmonica” caricabile in base al fabbisogno, e svuotabile i casi di situazioni migliori a partire da 200 miliardi immediati.

Il soggetto gestore dovrebbe essere la Commissione. La formula: ogni singolo Stato definisce un fabbisogno controllabile e riceve i soldi a pronta cassa per coprire la propria politica nazionale di copertura dello stress per famiglie e imprese. Per finanziare tale fondo ci sono varie opzioni.

Quella preferita dallo scrivente è la trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità (con 400 miliardi circa di potenziale) in fondo senza condizioni e flessibile d’emergenza dichiarata a livello Ue. Altre centinaia di miliardi, in caso, sono reperibili sul mercato da un’emittente europea la cui scala può ridurre il costo dell’indebitamento. I soldi erogati agli Stati, poiché di emergenza comunitaria non vanno computati nei bilanci nazionali.

Pur da studiare, in caso di dichiarazione di emergenza, la Bce potrebbe comprare tutto il debito di emergenza sterilizzandolo nel lungo termine, generando una massa monetaria specifica e ad autoriduzione nel proprio bilancio.

Tante varianti sono possibili, ma allo scrivente preme capire se questo tipo di fondo sia fattibile. Lo è. E poiché lo è, sono ipotizzabili tre vantaggi oltre a quello di evitare gravi guai economici per famiglie e imprese:  

1)-La presenza di un fondo di emergenza ridurrebbe di molto la necessità per la Bce di combattere l’inflazione e in attesa che cresca, mandando in recessione il sistema per ridurre la domanda di energia: l’inflazione sarebbe calmierata dal fondo d’emergenza.

2)- I tecnici che accettano la recessione, alzando il costo del denaro, come soluzione a un problema di inflazione da scarsità dell’offerta (bel diversa da quella da domanda) non calcolano che il capitale utilizzato dalle imprese per coprire costi crescenti combinato con una recessione vien tolto agli investimenti, competitivi e di sviluppo, indebolendo tutta la struttura produttiva del continente, il fondo di emergenza Ue, invece, la rafforzerebbe;

3)- il tetto ai prezzi del gas in Europa verrebbe raggiunto proprio attivando un fondo di emergenza, evitando formule strambe o distorsioni di mercato.

Cosa sta bloccando questa soluzione, essendoci evidenze che fin da marzo era oggetto di discussione entro la Ue?

Il blocco è dovuto a un gap nell’architettura europea: manca un trattato che definisca la configurazione d’emergenza dell’Ue da cui derivare costruzioni rapide di misure come quella detta. Si potrebbe obiettare che c’è una moltitudine di accordi e procedure anticrisi nelle procedure europee. Ma va fatto notare che la concentrazione rapida delle risorse di reattività in una alleanza tra nazioni che è molto lontana dall’essere una confederazione richiede un atto pre-costituzionale comune e una dottrina ora inesistenti.

Il primo dovrebbe definire i termini per la dichiarazione dello stato di emergenza. Non essendoci, l’Ue scarica la gestione agli Stati, allo stesso tempo imponendo loro una rigida disciplina fiscale.

Aberrazione sarebbe un termine gentile per descrivere questa incompletezza.

La dottrina che è precursore   del trattato, al momento non può realisticamente puntare alla confederazione perché ne Francia e Germania, né altri, vogliono cedere sovranità fino a questo punto. Pertanto la dottrina dovrebbe individuare un modello di “sovranità nazionali convergenti e reciprocamente contributive” in caso di emergenza paneuropea.

Ora c’è emergenza evidente per tutti i Paesi e questi hanno un chiaro interesse nazionale a montare rapidamente una tale aggiunta. Lo faranno?   

 

 

 

Liberalizzazione del mercato elettrico,

la Corte Ue precisa i criteri per qualificare

come abusiva una posizione dominante.

Casa e clima.com-Redazione-(12-marzo-2022)- ci dice:

La causa affrontata dalla Corte di giustizia europea si inserisce nel contesto della progressiva liberalizzazione del mercato della vendita di energia elettrica in Italia.

Con la sentenza del 12 maggio 2022, causa C 377/20, la Corte di giustizia UE precisa i criteri per qualificare come abusiva una posizione dominante in materia di pratiche escludenti, sulla base degli effetti anticoncorrenziali del comportamento di un operatore storico nel contesto della liberalizzazione del mercato elettrico.

La causa si inserisce nel contesto della progressiva liberalizzazione del mercato della vendita di energia elettrica in Italia.

Sebbene, dal 1° luglio 2007, tutti gli utenti della rete elettrica italiana, comprese le famiglie e le piccole e medie imprese (PMI), possano scegliere il loro fornitore, in un primo momento, è stata effettuata una distinzione tra clienti ammessi a scegliere un fornitore su un mercato libero e clienti del mercato tutelato, composti dai clienti domestici e dalle piccole imprese, i quali continuavano a essere soggetti a un regime regolato, ossia il «servizio di maggior tutela», che comportava, in particolare, speciali tutele in materia di prezzi. Solo in un secondo momento questi ultimi sono stati ammessi al mercato libero.

Ai fini di tale liberalizzazione del mercato, l’ENEL, un’impresa fino ad allora verticalmente integrata, monopolista della produzione di energia elettrica in Italia e operante nella distribuzione di quest’ultima, è stata sottoposta a una procedura di separazione delle attività di distribuzione e di vendita, nonché dei marchi (unbundling). Al termine di tale procedura, le varie fasi del processo di distribuzione sono state attribuite a società figlie distinte. Così, alla E-Distribuzione è stato affidato il servizio di distribuzione, la Enel Energia è stata incaricata della fornitura di elettricità nel mercato libero e al Servizio Elettrico Nazionale (SEN) è stata attribuita la gestione del servizio di maggior tutela.

Al termine di un’istruttoria condotta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), nella sua qualità di autorità nazionale garante della concorrenza, la medesima ha adottato, il 20 dicembre 2018, una decisione con la quale ha constatato che il SEN e la Enel Energia, con il coordinamento della loro società madre ENEL, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al maggio 2017, un abuso di posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 TFUE, e, di conseguenza, ha inflitto loro, in solido, una sanzione pecuniaria pari a oltre 93 milioni di euro. La condotta contestata è consistita nell’attuazione di una strategia escludente volta a trasferire la clientela del SEN, in quanto gestore storico del mercato tutelato, alla Enel Energia, la quale opera sul mercato libero, al fine di scongiurare il rischio di un passaggio in massa dei clienti del SEN verso nuovi fornitori al momento della successiva apertura del mercato in questione alla concorrenza. A tale scopo, secondo la decisione dell’AGCM, i clienti del mercato tutelato sarebbero stati in particolare invitati dal SEN a prestare il loro consenso a ricevere offerte commerciali relative al mercato libero, con modalità discriminatorie per le offerte dei concorrenti del gruppo ENEL.

L’importo della sanzione pecuniaria è stato ridotto alla somma di EUR 27,5 milioni circa in esecuzione delle decisioni giurisdizionali pronunciate in primo grado nell’ambito di ricorsi presentati dall’ENEL e dalle sue due società figlie contro la decisione dell’AGCM. Adito in appello da queste stesse società, il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte Ue questioni pregiudiziali relative all’interpretazione e all’applicazione dell’articolo 102 TFUE in materia di pratiche escludenti.

Con la sua sentenza, la Corte di giustizia europea fornisce precisazioni sulle condizioni in cui il comportamento di un’impresa può essere considerato, sulla base dei suoi effetti anticoncorrenziali, costitutivo di un abuso di posizione dominante, qualora un simile comportamento si basi sullo sfruttamento di risorse o di mezzi propri di una tale posizione nel contesto della liberalizzazione di un mercato. In tale occasione, la Corte delimita i criteri di valutazione rilevanti e la portata dell’onere della prova gravante sull’autorità nazionale garante della concorrenza che ha adottato una decisione sulla base dell’articolo 102 TFUE.

GIUDIZIO DELLA CORTE UE.

Rispondendo alle questioni relative all’interesse tutelato dall’articolo 102 TFUE, la Corte precisa, in primo luogo, gli elementi idonei a caratterizzare lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante. A tal fine, essa osserva, da un lato, che il benessere dei consumatori, sia intermedi sia finali, deve essere considerato l’obiettivo ultimo che giustifica l’intervento del diritto della concorrenza per reprimere lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale del medesimo. Tuttavia, un’autorità garante della concorrenza assolve l’onere della prova a suo carico se dimostra che una pratica di un’impresa in posizione dominante è idonea a pregiudicare, ricorrendo a risorse o a mezzi diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, una struttura di effettiva concorrenza, senza che sia necessario che la medesima dimostri che detta pratica ha, in aggiunta, la capacità di arrecare un danno diretto ai consumatori. L’impresa dominante in questione può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE dimostrando che l’effetto escludente che può derivare dalla pratica di cui trattasi è controbilanciato, se non superato, da effetti positivi per i consumatori.

Dall’altro lato, la Corte ricorda che il carattere abusivo di un comportamento di un’impresa in posizione dominante può essere constatato solo a condizione di aver dimostrato la sua capacità di restringere la concorrenza e, nel caso di specie, di produrre gli effetti escludenti addebitati. Tale qualificazione non impone invece di dimostrare che il risultato atteso di un simile comportamento diretto a escludere i propri concorrenti dal mercato in questione sia stato raggiunto. Ciò premesso, la prova addotta da un’impresa in posizione dominante dell’assenza di effetti escludenti concreti non può essere considerata sufficiente, di per sé, a escludere l’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Tale elemento può tuttavia costituire un indizio dell’incapacità del comportamento in questione di produrre gli effetti escludenti dedotti, purché sia corroborato da altri elementi di prova volti a dimostrare tale incapacità.

In secondo luogo, quanto ai dubbi del giudice del rinvio relativamente alla questione se occorra tener conto di un eventuale intento dell’impresa di cui trattasi, la Corte ricorda che l’esistenza di una pratica escludente abusiva da parte di un’impresa in posizione dominante dev’essere valutata sulla base della capacità di tale pratica di produrre effetti anticoncorrenziali. Ne consegue che un’autorità garante della concorrenza non è tenuta a dimostrare l’intento dell’impresa in questione di escludere i propri concorrenti ricorrendo a mezzi o risorse diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza basata sui meriti. La Corte precisa tuttavia che la prova di un simile intento costituisce nondimeno una circostanza di fatto che può essere presa in considerazione ai fini della determinazione di un abuso di posizione dominante.

In terzo luogo, la Corte fornisce gli elementi di interpretazione richiesti dal giudice del rinvio per l’applicazione dell’articolo 102 TFUE al fine di distinguere, tra le pratiche attuate da un’impresa in posizione dominante che si basano sullo sfruttamento lecito al di fuori del diritto della concorrenza di risorse o mezzi propri di una tale posizione, quelle che potrebbero sottrarsi al divieto posto da tale articolo, in quanto sarebbero proprie di una concorrenza normale, e quelle che, al contrario, dovrebbero essere considerate «abusive» ai sensi di tale disposizione.

A tale riguardo, la Corte Ue ricorda, anzitutto, che il carattere abusivo di tali pratiche presuppone che esse abbiano avuto la capacità di produrre gli effetti escludenti descritti nella decisione impugnata. Le imprese in posizione dominante, indipendentemente dalle cause di una tale posizione, possono senz’altro difendersi dai loro concorrenti, ma devono farlo ricorrendo ai soli mezzi propri di una concorrenza «normale», vale a dire basata sui meriti. Orbene, una pratica che non può essere adottata da un ipotetico concorrente altrettanto efficiente sul mercato in questione, in quanto essa si basa sullo sfruttamento di risorse o mezzi propri di una posizione dominante, non può essere considerata propria di una concorrenza basata sui meriti. Ciò posto, quando perde il monopolio legale che prima deteneva su un mercato, un’impresa deve astenersi, durante tutta la fase di liberalizzazione di tale mercato, dal ricorrere ai mezzi di cui disponeva in forza del suo precedente monopolio e che, a tal titolo, non sono disponibili ai suoi concorrenti, al fine di conservare, con modalità che esulano dai suoi stessi meriti, una posizione dominante sul mercato in questione recentemente liberalizzato.

Ciò detto, una simile pratica può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE se l’impresa in posizione dominante in questione dimostra che essa era obiettivamente giustificata da circostanze esterne all’impresa e proporzionata a tale giustificazione oppure controbilanciata, se non superata, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori.

In quarto luogo, invitata dal giudice nazionale a precisare le condizioni che consentono di imputare la responsabilità del comportamento di una società figlia alla società madre, la Corte dichiara che, quando una posizione dominante è sfruttata in modo abusivo da una o più società figlie appartenenti a un’unità economica, l’esistenza di tale unità è sufficiente per ritenere che la società madre sia anch’essa responsabile di tale abuso. L’esistenza di una simile unità deve essere presunta qualora, all’epoca dei fatti, almeno la quasi totalità del capitale di tali società figlie fosse detenuta, direttamente o indirettamente, dalla società madre. A fronte di simili circostanze, l’autorità garante della concorrenza non è tenuta a fornire alcuna prova aggiuntiva, a meno che la società madre non dimostri che, nonostante la detenzione di una tale percentuale del capitale sociale, essa non aveva il potere di definire i comportamenti delle società figlie, le quali agivano autonomamente.

(La sentenza è disponibile in allegato).     

 

 

 

 

 

 

L'autunno che verrà: misure

concrete contro il caro energia.

eunews.it-Antonio Gozzi- (25-8-2022) - ci dice:

La crisi creatasi con la dipendenza di molti Paesi Ue dal gas russo dimostra che le economie europee non possono fare a meno di energie di base stabili.

Il mio amico Chicco Testa, in un recente intervento sul ‘Foglio’, dice giustamente che la drammatica crisi energetica che il nostro continente sta vivendo dimostra come “l’Europa si trovi davanti al fallimento della sua politica energetica tutta fondata sul green deal e su una speranza eccessiva nelle fonti rinnovabili, dimenticando completamente le ragioni di sicurezza che dovrebbero essere al primo posto nelle scelte energetiche”.

Da queste pagine tante volte abbiamo denunciato l’ideologismo, per non dire il messianismo, di un ambientalismo estremo nutrito da un pregiudizio anti-impresa, anti-industria, anti-tecnologia che, senza porsi problemi concreti e soluzioni praticabili per perseguire l’obiettivo giusto della decarbonizzazione delle nostre economie, si è limitato a urlare slogan senza curarsi della implementazione e delle concrete ripercussioni delle scelte fatte.

E così la transizione energetica invece che terreno di cooperazione e condivisioni tra famiglie, imprese e Stati si è trasformata troppo spesso in un’inconcludente scontro ideologico tra i ‘sacerdoti’ delle rinnovabili e dell’elettrificazione di tutto e a ogni costo e i fautori di posizioni più pragmatiche e razionali, che sostengono l’esigenza di neutralità tecnologica dell’approccio alla decarbonizzazione, che significa che tutte le tecnologie vanno bene (compreso il nucleare di quarta generazione) se abbattono la CO2.

Lo stesso dibattito europeo (Commissione e Consiglio), lunghissimo e faticosissimo, sulla cosiddetta ‘tassonomia’ e cioè sull’elenco delle tecnologie energetiche ammissibili per i finanziamenti europei, letto alla luce di ciò che sta accadendo oggi, ha del surreale.

 

Il nucleare di nuova generazione vi è ammesso solo grazie al peso della Francia in seno all’Unione, ma il gas vi rientra con limiti così stretti da rendere quasi impossibile la pratica applicazione, così come non vengono inserite le tecnologie di cattura delle CO2 che consentirebbero di avere generazione elettrica a turbogas senza emissione di CO2, con ciò negando di fatto il ruolo del gas come energia della transizione.

Quasi contemporaneamente la Germania, in una sorta di teatro dell’assurdo, è costretta a un ricorso massiccio al carbone, a fortissimi investimenti nella realizzazione di rigassificatori nel mare del Nord, alla riapertura di attività estrattive di gas e carbone, al prolungamento della vita utile delle centrali nucleari.

La crisi creatasi con l’insensata dipendenza di molti Paesi europei dal gas russo dimostra che le economie europee, così come tutte le economie del mondo, non possono fare a meno di energie di base stabili.

Non ci stancheremo mai di ripetere che le energie rinnovabili, per quanto potenziate e ampliate, non sono sufficienti. Esse sono intermittenti e vanno complementate appunto con la produzione di energia di base stabile (base load) che solo i turbogas con cattura di CO2 o il nucleare di nuova generazione possono produrre senza emissioni di CO2. L’energia di base è indispensabile per il funzionamento delle industrie, degli ospedali, dei treni, di moltissimi servizi ecc.

A questa questione, molto semplice e chiara, l’estremismo ambientalista non dà risposte se non facendo un generico riferimento agli accumuli e alle batterie, che sono una tecnologia per ora poco più che agli esordi, molto costosa e che crea nuove dipendenze strategiche per i materiali da cui sono fatte (litio, terre rare, vanadio ecc.).

Ma accanto alla prospettiva strategica, che andrà probabilmente rivista non nel senso di rimettere in discussione l’obiettivo della decarbonizzazione ma piuttosto dei percorsi per attuarla, c’è il tema dell’emergenza.

L’Italia ha la seconda industria d’Europa dopo la Germania. Un asset di importanza vitale per il nostro Paese e senza il quale saremmo relegati all’insignificanza economica e quindi anche politica.

Ebbene la bolletta energetica (elettricità più gas) di tutta l’industria manifatturiera italiana è stata nel 2019, ultimo anno pre-Covid, di circa 11 miliardi di euro. Quest’anno supererà abbondantemente i 60 miliardi di euro. 50 miliardi di euro di differenza che stanno mettendo in crisi tutti i settori energivori e che si tradurranno in perdite, minori investimenti, minore occupazione.

L’industria da sola non ce la fa ad attraversare questa tempesta. Ha bisogno di interventi mirati che in altri Stati sono stati assunti pur in presenza di sistemi molto meno importanti di quello italiano.

Il Governo Draghi da un lato ha rapidamente ed efficacemente adottato una politica di diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas che ci libererà completamente dalla parziale dipendenza dal gas russo, ma solo nel 2024; e dall’altro è intervenuto con provvedimenti emergenziali del valore di più di 35 miliardi a favore di famiglie e imprese che certamente per la prima metà dell’anno hanno alleviato l’impatto della crisi energetica.

Ma nelle ultime settimane la crisi si è, se possibile, ancor più indurita, con nuove drammatiche esplosioni del prezzo del gas che si trascina dietro il prezzo dell’energia elettrica.

La situazione non cambierà nei prossimi mesi fino a quando, come detto, ci sarà la dipendenza dal gas russo; e quindi il prezzo europeo del gas dipenderà da decisioni del Cremlino dettate esclusivamente da fattori geopolitici, in particolare dalle convenienze e dalla pressione russa sull’occidente con riferimento al conflitto in Ucraina.

Bisogna quindi prepararsi allo scenario peggiore e passeremo un inverno difficile.

Siamo in campagna elettorale e come già denunciato da queste pagine il tema energetico, sia nella sua accezione congiunturale che in quella più strutturale e prospettica, occupa assai poco spazio nei programmi delle varie forze politiche.

Solo negli ultimi giorni si sono sentite, da parte di alcuni leader, proposte per affrontare l’emergenza; nella maggior parte dei casi si è trattato di idee generiche e un po’ demagogiche di cui non si sono chiariti gli aspetti tecnici, e soprattutto chi paga. Solo Carlo Calenda, sia nel programma dettagliato sul punto del Terzo Polo sia con un recente intervento sull’argomento, ci pare abbia detto cose serie e concrete.

Ci sono poche e semplici cose da ricordare a proposito di indispensabili misure di emergenza.

Non si può fare un price cap nazionale. Serve un price cap europeo anche se da mesi la proposta di Draghi non incontra consenso in Europa. Con il livello di interconnessioni con l’estero che abbiamo, una misura nazionale rischia di avvantaggiare concorrenti di altri paesi europei, che verrebbero in Italia a comprare l’energia a basso prezzo. La Spagna ha potuto fare il price cap per il livello bassissimo delle sue interconnessioni con l’estero;

Si può fare il decoupling, e cioè distinguere il prezzo dell’elettricità in base a come essa viene prodotta. A questi prezzi i rinnovabilisti che non hanno venduto a lungo termine l’energia prodotta dai loro campi fotovoltaici o eolici o con l’idroelettrico stanno guadagnando un sacco di soldi. Ebbene, se questa energia venisse comprata da un Acquirente Unico Pubblico a un prezzo fisso comunque remunerativo per i produttori rinnovabili (70-80euro per MWh) e miscelata poi con l’energia assai più cara prodotta dai turbogas si potrebbe ottenere una riduzione significativa del prezzo medio.

Questo intervento pubblico dovrebbe non ammazzare quel poco di mercato dell’energia che c’è, fatto soprattutto da grossisti e rivenditori oggi in grande difficoltà a servire i loro clienti a questi prezzi. Se il prezzo dell’energia elettrica e del gas è decuplicato in un anno anche i fabbisogni di circolante di queste imprese sono decuplicati, e senza un intervento di prestazione di garanzie pubbliche i grossisti non ce la fanno, e il peso delle forniture mancate ai loro clienti rischia di riversarsi integralmente sulle spalle dello Stato con il meccanismo chiamato di ‘salvaguardia’;

Per le industrie energivore occorre assumere provvedimenti ad hoc con prezzi temporaneamente amministrati. Questi provvedimenti ovviamente costano. Il costo è la differenza tra il prezzo amministrato e il costo di mercato dell’approvvigionamento di quella stessa energia. Il costo dell’intervento sarebbe però certamente inferiore ai costi economici e sociali di chiusure generalizzate e prolungate di molti settori come acciaio, carta, ceramica, vetro, fonderie, vari comparti della chimica.

Bisogna facilitare l’accesso a garanzie pubbliche per le imprese energivore che non riescono più a ottenere forniture di gas dai grandi fornitori a meno di non fare pagamenti anticipati per molte mensilità o di prestare costose fideiussioni bancarie.

Le industrie energivore sono disposte ad attuare misure di contenimento dei consumi di gas e di energia elettrica su base volontaria, così come indicato dalla direttiva europea, ma chiedono che vengano esplicitati gli indennizzi per la copertura dei costi fissi delle chiusure e che vengano loro consentite programmabilità e flessibilità degli interventi di fermata e quindi di riduzione dei consumi.

L’adozione di queste misure emergenziali è difficile sempre, ma lo è in particolare con un governo non nella pienezza dei suoi poteri come l’attuale. E ancora una volta emerge l’irresponsabilità di chi, in un momento così difficile, ha privato l’Italia del Governo Draghi e del suo leader.

 

 

 

 

PNRR e Transizione Ecologica:

Cosa Prevede.

Luni4innovation.it- Laura Baronchelli-(31 Maggio 2022) -ci dice:

Efficienza energetica -Scenario.

La transizione ecologica è uno dei pilastri del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e del progetto Next Generation EU.

Rappresenta infatti, insieme a digitalizzazione e inclusione sociale, uno degli assi portanti dei finanziamenti stanziati dalla Commissione Europea per supportare la ripresa in un’ottica di sviluppo sostenibile e di basso impatto ambientale.

Gli obiettivi della transizione ecologica nel PNRR.

La Missione 2 del Pnrr, denominata Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica, si concentra su alcune tematiche chiave della green transition, quali:

L’economia circolare.

La transizione energetica.

L’efficienza energetica degli edifici.

L’inquinamento atmosferico.

La gestione dei rifiuti.

La gestione delle risorse idriche.

La mobilità sostenibile.

 

Obiettivo della missione è quello di accompagnare la società, dagli enti locali alle varie attività produttive, verso la decarbonizzazione e una maggiore sostenibilità ambientale. Molti degli investimenti e delle risorse dipendono direttamente dal MiTE (Ministero per la Transizione Ecologica) che ha anche il compito di monitorare e fare il punto della situazione rispetto al raggiungimento di target e milestone.

È bene ricordare come il PNRR includa misure fondamentali per la transizione verde ma faccia in realtà parte di una gamma di incentivi e riforme ancora più ampia promosse dal Ministero per il raggiungimento degli obiettivi 2030 e 2050 e ai target del Pniec.

Pnrr: gli obiettivi del MiTE per la transizione ecologica.

La roadmap.

La Missione 2 del Pnrr sul tema della rivoluzione verde prevede le seguenti componenti con i relativi stanziamenti di fondi:

 

M2C1 – Agricoltura sostenibile ed economia circolare, per un totale di 6,47 miliardi di euro (inclusi i fondi del Pnrr, del React EU e del Fondo Complementare)

M2C2 – Transizione energetica e mobilità sostenibile, con uno stanziamento importante di 25,36 miliardi di euro.

M2C3 – Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, con un ingente somma stanziata pari a 22,24 miliardi.

M2C4 – Tutela del territorio e della risorsa idrico, con 15,37 miliardi di euro di finanziamento.

Complessivamente, si sta parlando di un valore di 69,94 miliardi di euro, pari 37% dei fondi totali messi a disposizione dal Pnrr. Per un arco temporale che va dal 2021 al 2026.

Transizione ecologica e rivoluzione verde nel Pnrr – Roadmap Fonte: MiTE (Ministero per la Transizione Ecologica).

Transizione ecologica: le componenti della Missione 2

M2C1 – Agricoltura sostenibile ed economia circolare.

La prima componente prevede una serie di investimenti e riforme per favorire l’adozione dell’economia circolare. In particolare, prevede la definizione di una strategia per l’economia circolare che include, oltre ai principi di riciclo e riuso, anche il ruolo chiave dell’ecodesign, ovvero della progettazione sostenibile, e di altri aspetti come la bioeconomia, la blue economy e l’uso di materie prime critiche. La strategia introdurrà anche una serie di indicatori e strumenti per il monitoraggio.

Sempre in tema di circular economy, il Pnrr stanzia 600 milioni di euro per alcuni progetti “faro” che puntano a realizzare progetti innovativi in tema di gestione e trattamento dei rifiuti in alcune filiere strategiche, come quella dei RAEE (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), del tessile e delle plastiche. Progetti che includono sistemi di monitoraggio ambientale, anche attraverso l’uso di droni e di tecnologie di intelligenza artificiale, per combattere e prevenire gli scarichi illegali.

Per migliorare la gestione dei rifiuti e la raccolta differenziata, questa componente mira a rafforzare le infrastrutture per la raccolta differenziata e ad ammodernare o sviluppare nuovi impianti di trattamento rifiuti, con una attenzione alle aree del Sud Italia.

L’ulteriore obiettivo della M1C1 è quello di sviluppare una filiera agricola e alimentare più intelligente e sostenibile, riducendone l’impatto ambientale.

M2C2 – Transizione energetica e mobilità sostenibile

La Componente 2 della Missione 2 del Piano Nazionale di ripresa e resilienza in tema di transizione ecologica e rivoluzione verde, si concentra sulla transizione energetica e quindi su “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile”. Obiettivo prioritario di questa sezione è quello di perseguire obiettivi di decarbonizzazione attraverso cinque linee di riforme e investimenti.

Rinnovabili e agro-voltaico.

Il primo punto chiave riguarda l’aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili, come eolico (anche off-shore) e fotovoltaico. L’incentivo a usare fonti di energia pulita arriva sia attraverso investimenti diretti sia, soprattutto, attraverso azioni di semplificazione delle procedure di autorizzazione per l’avvio di nuovi impianti di produzione. Inoltre, in quest’area sono preventivati fondi a supporto della promozione dell’agri-voltaico e del biometano.

Reti intelligenti e comunità energetiche.

Il secondo focus concerne il potenziamento e la digitalizzazione delle infrastrutture di rete per aumentarne il livello di resilienza, flessibilità, capacità, sicurezza e robustezza della rete. Qui entra in gioco il tema, fondamentale delle smart grid e il ruolo di nuove configurazioni, quali sistemi di autoconsumo collettivo e di comunità energetiche.

Produzione e uso dell’idrogeno.

L’idrogeno rappresenta un altro aspetto cruciale su cui si gioca un futuro di sostenibilità e zero emissioni. In questo caso, i fondi stanziati dal Pnrr puntano a promuoverne la produzione, la distribuzione e l’utilizzo di questa fonte di energia rinnovabile in ottica di filiera. Si focalizza inoltre sulla ricerca di frontiera e quindi sulla produzione e l’uso dell’idrogeno nell’industria e nel trasporto, con la creazione di circa 40 stazioni di rifornimento.

Per la produzione di idrogeno, viene particolarmente spinta quella in siti dismessi (si parla di Hydrogen Valleys).

Trasporto locale e mobilità sostenibile.

La mobilità sostenibile è un tema portante della Missione 2. Si parla di trasporto locale, di elettrificazione e di mobilità dolce. Un obiettivo strettamente legato al miglioramento della qualità della vita delle persone in ambito urbano e alla trasformazione delle città in sustainable e smart city (con target di riduzione dell’inquinamento e del traffico e miglioramento dei servizi).

In quest’area rientrano in particolare:

La realizzazione di 1.820 km di piste ciclabili urbane e turistiche in ambito regionale, urbano e metropolitano.

La realizzazione di 240 km di rete attrezzata per le infrastrutture del trasporto rapido di massa, come tram, filovie e funivie. L’obiettivo è quello di spostare almeno il 10% delle auto al trasporto pubblico.

L’investimento in punti di ricarica per arrivare a realizzarne 7.500 in autostrada e 13.755 nei centri urbani, oltre a 100 stazioni di ricarica sperimentali basati su tecnologie per l’energy storage.

Il rinnovo del parco mezzi per il trasporto urbano con veicoli a basso impatto ambientale. L’intervento prevede l’acquisto entro il 2026 di 3.360 bus e autobus elettrici o a basse emissioni.

Supply Chain e competitività.

La quinta linea strategica riguardalo sviluppo in Italia di supply chain (catene di fornitura) competitive con il fine di ridurre la dipendenza da importazioni di tecnologie e materiali e, anzi, trasformarle in un punto di forza e di crescita.

M2C3 – Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici.

La componente 3 della Missione 2 riguarda l’efficientamento energetico degli edifici. Sia quelli residenziali, con il rafforzamento del Superbonus 110%, sia quelli pubblici (dalle scuole agli istituti giudiziari agli altri building Comunali).

Le misure puntano alla riqualificazione energetica di circa 50.000 edifici l’anno con un risparmio energetico pari a 209 Ktep l’anno e la conseguente riduzione delle emission di CO2 nell’aria.

In questa componente rientrano tre linee specifiche d’azione:

1.) Efficientamento energetico degli edifici pubblici con focus su riqualificazione energetica nell’edilizia scolastica e negli edifici giudiziari;

2.) Efficientamento energetico negli edifici residenziali;

3.) Reti e sistemi di Teleriscaldamento.

 

M2C4 – Tutela del territorio e della risorsa idrica.

Gli investimenti riguardanti le infrastrutture idriche hanno l’obiettivo prioritario di ridurre di almeno il 15% le perdite nelle reti per l’acqua potabile. Se pensiamo che la rete nazionale ha una percentuale media di perdita del 39%, quindi che si perdono 39 litri d’acqua ogni 100 litri immessi, capiamo bene come questo intervento sia cruciale.

I fondi stanziati dal Pnrr in questo ambito puntano anche a prevenire rischi idrogeologici, a salvaguardare le aree verdi e le biodiversità e a eliminare l’inquinamento delle acque e del terreno.

 

Pnrr: investimenti e riforme della green transition – Fonte: MiTE (Ministero della Transizione Ecologica)

Pnrr e Transizione ecologica: Investimenti per Missione e per Componente.

1. Economia circolare e Agricoltura sostenibile        Tot 6,47

1.1 Impianti di gestione dei rifiuti        1,5 mld

1.2 Progetti innovativi di economia circolare      0,6 mld

1.3 Sviluppo della logistica per il settore agroalimentare, pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo   0,8 mld

1.4 Pannelli a energia solare nei settori agricolo, zootecnico e agroindustriale     1,5 mld

1.5 Tecnologie di agricoltura 4.0              0,5 mld

1.6 Sviluppo di modelli 100% green e auto-sufficienti in 19 piccole isole               0,2 mld

1.7 Sfruttamento delle risorse a disposizione dei territori rurali e di montagna   0,14 mld

1.8 Cultura e consapevolezza su temi e sfide ambientali                0,03 mld

 

Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile    Tot 25,36.

2.1 Impianti agro-voltaici di medie e grandi dimensioni per ridurre i costi di approvvigionamento energetico 1,1 mld

2.2 Sostegno alle comunità energetiche e alle strutture collettive di autoproduzione       2,2 mld

2.3 Sistemi di generazione di energia rinnovabile off-shore         0,68 mld

2.4 Impianti di biogas    1,92 mld

2.5 Affidabilità, sicurezza e flessibilità del sistema energetico nazionale 3,61 mld

2.6 Interventi sulla resilienza climatica delle reti               0,5 mld

2.7 Produzione locale e uso di idrogeno nell’industria e nel trasporto locale        0,5 mld

2.8 Utilizzo dell’idrogeno in settori hard-to-abate            2 mld

2.9 Sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto stradale         0,23 mld

2.1.0 Sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto ferroviario 0,3 mld

2.1.1 Ricerca e sviluppo sull’idrogeno     0,16 mld

2.1.2 Rafforzamento mobilità ciclistica   0,6 mld

2.1.3 Sviluppo di trasporto rapido di massa         3,6 mld

2.1.4 Sviluppo infrastrutture di ricarica elettrica                              0,74 mld

2.1.5 Rinnovo flotte bus, treni verdi        3,64 mld

2.1.6 Energie rinnovabili e batterie          1 mld

2.1.7 Mercato dell’idrogeno                      0,45 mld

2.1.8 Bus elettrici            0,3 mld

2.1.9 Supporto a start-up e venture capital attivi nella transizione ecologica        0,25 mld

3. Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici      Tot 22, 24

3.1 Piano di sostituzione degli edifici scolastici e riqualificazione energetica         0,8 mld

3.2 efficientamento degli edifici giudiziari            0,41 mld

3.3 Ecobonus e Sismabonus fino al 110% per l’efficienza energetica e la sicurezza degli edifici               13,95 mld

3.4 Sviluppo di sistemi di teleriscaldamento        0,2 mld

 

Tutela del territorio e della risorsa idrico     Tot 15,37.

4.1 Realizzazione di un sistema avanzato e integrato di monitoraggio e previsione         0,5 mld

4.2 Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico    2,49 mld

4.3 Interventi eterogenei per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni                 6 mld

4.4 Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano     0,33 mld

4.5 Digitalizzazione dei parchi nazionali               0,10 mld

4.6 Rinaturazione dell’area del Po          0,36 mld

4.7 Bonifica dei siti orfani, ovvero potenzialmente contaminati               0,5 mld

4.8 Ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini               0,4 mld

4.9 Infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico       2 mld

4.1.0 Riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti        0,9 mld

4.1.1 Investimenti nella resilienza dell’agrosistema irriguo per una migliore gestione delle risorse idriche    0,6 mld

4.1.2 Investimenti in fognatura e depurazione      0,88 mld

A che punto siamo.

Tramite il Pnrr, il MiTE intende accelerare la transizione ecologica rendendo l’Italia più resiliente ai cambiamenti climatici e più sostenibile e competitiva sul panorama internazionale, ma anche sviluppando una leadership a livello industriale e scientifico nelle principali filiere della green transition. Inoltre, punta ad assicurare una trasformazione inclusiva ed equa, aumentando consapevolezza e cultura sui temi ambientali.

Rispetto agli 89 milestone e target (M&T) definiti sul tema della green transition, il Ministero per la Transizione Ecologica ha dichiarato “di aver pienamente conseguito tutti gli impegni del 2021” ovvero i 7 M&T da rendicontare alla Commissione europea.

Tra le principali misure conseguite:

Sono stati avviati i bandi per l’ammodernamento e la realizzazione di impianti di gestione rifiuti e per i progetti “faro” di economia circolare. Un intervento che mira anche ridurre il divario tra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud.

Il superbonus 110% per l’efficientamento energetico degli edifici è stato prorogato spingendo la riqualificazione del settore immobiliare.

È entrato in vigore il decreto legislativo per la promozione dell’uso del biometano.

Il Piano Operativo per il sistema di monitoraggio integrato, volto alla tutela del territorio, è stato approvato e sulla sua base si sta ipotizzando uno schema di PPP (partenariato pubblico privato) per identificare e sviluppare progetti dedicati.

È stato approvato il Piano di forestazione urbana ed extraurbana.

L’introduzione di una riforma sui servizi idrici consentirà di ridurre le perdite e aumentare la sicurezza e la digitalizzazione della rete.

Il programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico è entrato finalmente in vigore.

 

 

 

 

Il Pnrr e l’attività del ministero

della transizione ecologica nel 2022.

Openpolis.it- Roberto Cingolani- (14-2-2022)- ci dice:

Tra i ministeri maggiormente coinvolti nell’attuazione delle misure contenute nel piano nazionale di ripresa e resilienza vi è quello dalla transizione ecologica. Il dicastero guidato da Roberto Cingolani ha recentemente rilasciato dei dati relativi all’attività prevista nel 2022.

 

POTERE POLITICO.

 

Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 l’attenzione di politica e media è stata in gran parte concentrata su 3 appuntamenti e scadenze. Dapprima l’approvazione della legge di bilancio per il 2022. In secondo luogo le nuove misure per contrastare l’emergenza Covid. Infine l’elezione per il presidente della repubblica.

Questa serie di eventi ha però distolto l’attenzione generale dalla necessità di rispettare il cronoprogramma legato all’attuazione dei progetti previsti dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Proprio per questo motivo il presidente del consiglio Mario Draghi, una volta superata la delicata fase dell’elezione del capo dello stato, ha voluto richiamare l’attenzione proprio su questo elemento.

A seguito di questa sollecitazione, il ministero della transizione ecologica (indicato da alcuni organi di stampa come uno dei dicasteri maggiormente in difficoltà nel rispetto delle scadenze) ha rilasciato una serie di informazioni relative all’attività svolta finora e ai prossimi impegni che lo attendono.

€ 12,5 mld le risorse del Pnrr messe a bando dal Mite entro giugno 2022.

Il prossimo appuntamento di grande rilievo per quanto riguarda il Pnrr sarà a giugno, quando l’Italia dovrà inviare a Bruxelles una nuova domanda per ottenere l’erogazione di un’ulteriore tranche di fondi. Entro la fine del secondo trimestre il ministero guidato da Roberto Cingolani dovrà conseguire 11 obiettivi. È stato inoltre reso noto che entro giugno saranno pubblicati nuovi bandi per un valore vicino a 10 miliardi di euro.

Il ruolo del Mite nell’attuazione del Pnrr.

Come abbiamo già visto in un precedente approfondimento, la transizione ecologica rappresenta uno degli elementi fondanti del Pnrr italiano. E in questo contesto logicamente il Mite sarà uno dei soggetti maggiormente sollecitati. A conferma di ciò possiamo osservare come il dicastero sia il secondo per quantità di risorse assegnate dopo quello delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. Come noto però, l’erogazione delle risorse europee non può essere data per scontata e sarà subordinata al rispetto delle tempistiche indicate nel piano. Per questo un attento monitoraggio sullo stato di avanzamento dei vari progetti è fondamentale per evitare l’accumulo di ritardi incolmabili.

€ 34,9 mld le risorse (all’incirca) del Pnrr gestiti dal Mite.

In base ai dati rilasciati saranno 39 le misure contenute nel Pnrr per cui sono richiesti interventi da parte del Mite nel corso del 2022. Tali misure si suddividono fra 26 investimenti e 13 riforme. Logicamente, la missione del Pnrr maggiormente interessata dall’attività del Mite è la numero 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica).

 All’interno di questa missione la componente maggiormente interessata è la 2 (Energia rinnovabile, idrogeno, reti e mobilità sostenibile) che prevede 11 investimenti e 4 riforme di competenza del Mite. Seguono le componenti 4 (Tutela del territorio e della risorsa idrica, 8 investimenti e 3 riforme) e 1 (Economia circolare e agricoltura sostenibile 4 investimenti e 3 riforme).

Nel 2022 39 misure del Pnrr vedranno un intervento del Mite.

Gli investimenti e le riforme di competenza del ministero della transizione ecologica nell'ambito del Pnrr nel 2022.

Oltre alla missione 2 il Mite ha infine competenza anche per altre due misure. Un investimento legato alla missione 3 (Infrastrutture per una mobilità sostenibile) e una riforma inserita nella missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo).

Le scadenze di competenza del Mite da completare entro giugno.

Anche perché sollecitata dalla stampa, la struttura ministeriale ha voluto ribadire i risultati sin qui conseguiti. Innanzitutto, secondo quanto riportato, tutte le scadenze da completare nel 2021 sono state raggiunte rispettando i tempi. Anche, se in generale, abbiamo visto come non siano mancate le forzature e le difficoltà.

È fondamentale conseguire tutte le scadenze previste per giugno 2022.

Il prossimo appuntamento importante per quanto riguarda il nostro paese sarà a giugno prossimo. Entro la fine del secondo trimestre infatti l’Italia dovrà inviare a Bruxelles tutta la documentazione necessaria per richiedere la prossima tranche di fondi europei. Da notare, a questo proposito, che il governo ha inviato tutta la documentazione legata all'attività svolta nel 2021 e la relativa richiesta di finanziamento. Tuttavia attualmente la commissione europea non si è ancora pronunciata.

Complessivamente le scadenze di rilevanza europea (cioè quelle previste nel Pnrr così come approvato dalle istituzioni Ue e su cui queste esprimeranno le loro valutazioni) da conseguire entro giugno sono 45, di cui 11 (circa un quarto) sono di competenza del Mite.

Sette scadenze fanno riferimento a riforme mentre 4 a investimenti. Tra gli adempimenti più significativi da completare entro giugno vi sono l’adozione della strategia nazionale per l’economia circolare. Dovranno poi essere assegnati fondi relativi alla cultura e alla consapevolezza sui temi e le sfide ambientali e quelli per la ricerca e lo sviluppo nel settore dell’idrogeno. È inoltre prevista l’introduzione di incentivi fiscali finalizzata proprio alla produzione e al consumo dell’idrogeno verde nei trasporti.

 

Le scadenze di competenza del Mite da conseguire entro giugno 2022.

Per quanto allo stato attuale nessuna di queste scadenze sia ancora stata raggiunta, il ministero dichiara di essere “perfettamente nei tempi” e di non rilevare criticità particolari che possano in qualche modo rallentare gli iter burocratici in corso. Solo in due casi sono segnalati alcuni elementi di attenzione “non critici”. Il primo riguarda l’avvio della piattaforma web relativa all’attività su cultura e consapevolezza sui temi e le sfide ambientali e la sottoscrizione degli accordi con gli autori (un investimento del valore di circa 30 milioni di euro). In questo caso la criticità risiede nel fatto che si renderà necessario un supporto specialistico per finalizzare la procedura.

Un altro elemento di difficoltà è legato al settore dell’idrogeno e in particolare all’aggiudicazione dell’appalto per costruire uno stabilimento industriale per la produzione di elettrolizzatori. In questo caso la difficoltà è dovuta al fatto che esisterebbe un rischio di sovrapposizione con un’altra misura finanziata dal Pnrr. Quella degli Ipcei (Important projects of common european interest). Tale sovrapposizione potrebbe portare una minore attrattività del bando, con il rischio che non pervengano proposte adeguate.

I bandi.

Un ultimo elemento interessante da analizzare riguarda l’assegnazione delle risorse. Una parte significativa dei fondi affidati alla gestione del Mite infatti sarà poi ricollocata, attraverso bandi pubblici, presso altri soggetti che dovranno poi "mettere a terra" concretamente le misure previste. I bandi già pubblicati dal Mite sono 4 per un valore complessivo di circa 2,6 miliardi di euro. Risultano in fase di aggiudicazione fondi per:

realizzazione di nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di impianti esistenti (1,5 miliardi);

progetti “faro” di economia circolare (600 milioni);

Interventi per la sostenibilità ambientale dei porti (270 milioni);

isole verdi (200 milioni).

Oltre a queste risorse è attesa la pubblicazione da parte del Mite di altri 7 bandi per un valore complessivo di circa 10 miliardi. La voce di spesa più consistente sarà legata al bando per il rafforzamento delle smart grid (3,6 miliardi). Si tratta di un sistema di reti "intelligenti" in grado di ottimizzare la distribuzione dell’energia elettrica, decentralizzare le centrali di produzione dell’energia e minimizzare sovraccarichi e variazioni della tensione elettrica.

Entro giugno il Mite pubblicherà bandi per circa 10 miliardi di euro.

 

 

 

 

PNRR, Missione Rivoluzione

verde e transizione ecologica.

i.com.it-Redazione-Policy Brief- (14 luglio 2022)-ci dice:

 

Il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza varato dall’UE ha messo a disposizione dell’Italia una mole considerevole di risorse finanziarie utili non solo a rilanciare l’economia, duramente provata dalla crisi pandemica, ma anche a mettere il Paese in condizione di beneficiare di trasformazioni di lungo periodo. Il PNRR italiano, su 191,5 miliardi di euro finanziati attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, ne destina 59,46 alla “Rivoluzione verde e Transizione ecologica”.

Nel primo paragrafo di questo documento si analizza lo stato di attuazione del Piano italiano, evidenziando obiettivi e traguardi nell’ambito dell’energia e della sostenibilità raggiunti nel primo semestre dell’anno e da conseguire, con particolare riguardo verso l’operato del Ministero della Transizione Ecologica.

Nella seconda parte l’attenzione viene posta sulle fonti di energia rinnovabile, analizzando il loro ruolo nel mix energetico nazionale e il possibile impatto degli interventi previsti nel PNRR al fine di incrementare la produzione di energia elettrica da FER, rafforzare le infrastrutture di rete e sviluppare idrogeno verde.

Il terzo paragrafo sposta il focus sulla mobilità sostenibile. La diffusione di veicoli elettrici, nonostante tassi di rapida crescita, risulta ancora limitata, anche a causa di carenze nelle infrastrutture di ricarica, problematica a cui il Piano italiano sta provando a porre rimedio. Oltre alla mobilità privata notevoli risorse sono destinate al potenziamento del trasporto pubblico e allo sviluppo di percorsi ciclabili.

La quarta ed ultima parte approfondisce il tema dell’efficienza energetica degli edifici, una delle principali leve per ridurre il consumo di energia nel nostro Paese. Viene analizzato il ricorso al Superbonus 110%, misura che ha l’obiettivo di promuovere le riqualificazioni nel settore residenziale. Infine, si guarda all’efficientamento energetico degli edifici pubblici.

(Policy Brief RT I-Com_PNRR, Missione Rivoluzione verde e transizione ecologica_14 luglioPolicy Brief RT I-Com_PNRR, Missione Rivoluzione verde e transizione ecologica.)

 

 

 

 

 

 

Gli Industriali si svegliano dal Coma

e iniziano a preoccuparsi per l’Energia.

Conoscenzealconfine.it-( 28 Agosto 2022)- Marcello Pamio-ci dice: 

 

Il 25 agosto il prezzo del gas chiude per la prima volta sopra i 300 euro ad Amsterdam, mercato di riferimento per il metano in Europa.

Del problema energetico ne parliamo da molto tempo e solo adesso (25 agosto 2022) il presidente di Confindustria Carlo Bonomi al Tg1 dice che “Il governo Draghi può e deve intervenire”, precisando che gli industriali hanno bisogno di interventi quali “un tetto al prezzo del gas che se non viene fatto a livello europeo deve essere fatto a livello nazionale”.

Bonomi invece di minacciare il governo con uno sciopero fiscale volto a non pagare le criminose bollette di corrente elettrica quadruplicate grazie a speculazioni (pena la chiusura di molte aziende), chiede allo stesso personaggio che ha aiutato a far sprofondare l’Italia nel baratro, Mario Draghi di intervenire per salvarli.

Ricordo che la guerra non c’entra una beata fava con l’aumento dei prezzi e infatti l’ENI solo nel primo semestre 2022 ha guadagnato 7 miliardi di euro (un bel 700% in più rispetto l’anno scorso).

E poi scusate vi svegliate a fine agosto? Cioè prendete coscienza del problema energetico pochi giorni prima che il settore industriale riapra dopo la pausa estiva?

Ci prendete per il culo? Ovvio che sì, perché Confindustria partecipa alla distruzione del loro stesso sangue: gli industriali. Gli ordini sono ordini e ovviamente gli industriali amici si salveranno e la miseria colpirà gli altri. D’altronde si chiama Grande Reset o no? Devono resettare il giochetto! Nella visione neoliberista si chiama “Distruzione creativa…”

(Marcello Pamio- ansa.it/sito/notizie/economia/2022/08/25/il-gas-vola-allarme-delle-imprese.-il-governo-studia-le-misure_6d5b0a49-55a7-4174-8468-71227f773c95.html)

 

 

 

Viganò: “La dottrina globalista

è essenzialmente satanica.

Nostro dovere è schierarci e combattere.”

Aldomariavalli.it- Aldo Maria Valli-(29 agosto 2022) -ci dice:

 

La visione “teologica” del Great Reset.

Monsignor Carlo Maria Viganò.

Quando l’essere umano agisce, per prima cosa ha uno scopo. La sua azione, ciò che compie rappresenta un mezzo ordinato a un fine, che può essere moralmente buono o cattivo. L’azione è atto della volontà, e nasce dal pensiero, che è atto dell’intelletto. Quel che facciamo, insomma, è determinato da chi siamo (l’insieme delle nostre facoltà: memoria, intelligenza e volontà): la scolastica riassume perfettamente questo concetto in tre parole: agire seguitar esse.

Nessuno agisce senza scopo, e anche quanto avviene sotto i nostri occhi da ormai più di due anni è la conseguenza di un insieme di cause concomitanti che presuppongono un pensiero iniziale, un principio informatore, per così dire. E quando ci accorgiamo che le ragioni che ci vengono date per giustificare le azioni intraprese non hanno alcuna ragionevolezza, significa che queste ragioni sono dei pretesti, dei falsi motivi che servono a nascondere una verità inconfessabile.

Questo, in realtà, è il modo di procedere del Maligno. Quando ci tenta, mente per farci credere di essere nostro amico, preoccupato di noi, del nostro bene. Proprio come un imbonitore da fiera, il demonio ci propone i suoi ritrovati miracolosi, i suoi elisir di felicità e ricchezza, alla modica somma della nostra anima immortale. Ma questo, ovviamente, lo tace, e come un truffatore scrive in piccolo le clausole del contratto. Tutto è menzogna, quando si tratta di Satana. False le premesse: il tuo Dio ti opprime con precetti gravosi. False le promesse: puoi decidere tu, e ottenere ciò che desideri. E tutto è menzogna quando i servi di Satana si organizzano per instaurare la distopia del Nuovo Ordine Mondiale.

Ora, siccome non possiamo pretendere che tutti i cospiratori del Great Reset ci dicano a chiare lettere qual è il loro scopo finale – visto che si tratta di qualcosa di inconfessabile e di criminale – possiamo comunque ricostruire la mens delle loro azioni conoscendo i principi ispiratori del loro agire e suffragandoli con le loro stesse parole. E siamo anche in grado di capire che le ragioni addotte sono solo dei pretesti. Anzi proprio i pretesti, per come vengono presentati, dimostrano il dolo e la premeditazione, dal momento che se il loro progetto fosse onesto e buono non avrebbero bisogno di dissimularlo con scuse illogiche e incoerenti.

Ma cos’è, questo Great Reset?

È l’imposizione forzata di una “quarta rivoluzione industriale” (di Klaus Schwab) che conduca l’attuale sistema economico e sociale all’implosione e consenta, tramite l’impoverimento generale e una drastica riduzione della popolazione, l’accentramento del potere nelle mani di un’élite di aspiranti all’immortalità e al dominio sul mondo. Costoro vorrebbero ridurci ad una massa amorfa di clienti/schiavi confinati in cubicoli e perpetuamente connessi alla rete.

Tramite il Great Reset costoro vogliono cancellare la società cristiana occidentale per instaurare una sinarchia liberal-comunista sul modello della dittatura cinese, in cui tutta la popolazione sia controllata e manovrabile a piacimento.

 In una società ispirata anche solo in parte ai valori del cattolicesimo, i gruppi di potere finanziario e l’élite del NWO non avrebbero spazio, ma questo non deve far pensare ad alcuni che la loro opposizione alla società cristiana abbia una motivazione essenzialmente economica e di potere. In realtà, ciò che scatena quell’odio è che possa esistere, fosse anche nel più remoto angolo del pianeta, un’alternativa possibile alla distopia globalista, un mondo in cui il datore di lavoro può pagare onestamente i propri dipendenti, in cui lo Stato chieda tasse ragionevoli ai cittadini, in cui le opere di carità svolgono gratuitamente e senza speculazioni quei servizi che oggi sono subappaltati ai privati per lucro, in cui sia rispettata l’innocenza dei bambini e non si ammetta la propaganda Lgbtq+. Un mondo in cui il Regno sociale di Cristo si mostri non solo come possibile, ma come la migliore forma di società, amministrata per il bene comune e la gloria di Dio.

 

La semplice esistenza di un termine di paragone è una sconfessione bruciante dell’inganno globalista, ne mostra il fallimento e l’orrore.

Le menzogne sulla necessità dei lockdown sono sconfessate dall’evidenza che dove non lo si è adottato i casi di malattia grave sono stati meno che dove si sono imposte chiusure e coprifuoco.

Le menzogne sull’efficacia del” siero genico sperimentale “ sono sbugiardate dai casi di reinfezione di pluri-vaccinati, dagli effetti avversi gravi, dalle morti improvvise.

 Le menzogne sul popolo sovrano e sui diritti inviolabili della persona sono state smentite da regole assurde, norme incostituzionali, leggi discriminatorie nel silenzio della magistratura.

 E, ad essere onesti, anche il termine di paragone costituito dalla Messa di sempre rende impossibile preferire la sua contraffazione montiniana: motivo per cui la chiesa bergogliana vuole impedirne la celebrazione e tenerne lontani i fedeli. Anche per imporci questo orrore si è fatto ricorso all’inganno, raccontando ai fedeli che la Messa antica era incomprensibile, e che occorreva tradurla e semplificarla per farne meglio apprezzare il significato ai fedeli.

Ma era una menzogna, e se ci avessero spiegato che il loro scopo era esattamente lo stesso che si erano prefisso gli eresiarchi protestanti – ossia distruggere il cuore della Chiesa Cattolica – saremmo andati a prenderli con i forconi.

Il mondo globalista, progressista dei Dem Liberal Usa, dunque, non tollera confronti.

Pretende quell’esclusività che denuncia con orrore appena non è lui a rivendicarla. Si straccia le vesti sul potere temporale della Chiesa – con la complicità di chierici eretici e fornicatori – per poi esigere obbedienza assoluta e irrazionale ai dogmi di Klaus Schwab & C, che proclama da Davos o da Bruxelles. Celebra la libertà di espressione e di stampa che generosamente finanzia, ma non tollera né il dissenso né la verità, che cerca di rendere semplicemente inaccessibile, invisibile.

Ancora: il mondo globalista nazi-comunista, liberal Dem Usa, non ha un passato da mostrarci a conferma della grandezza delle proprie idee, della propria filosofia, della propria fede. Viceversa, vive della falsificazione della Storia, della cancellazione del passato, della sua rimozione dalle nuove generazioni. In modo che non ci sia nessuno che, dinanzi alla cattedrale di Chartres, sia in grado di riconoscere le immagini di Cristo e dei Santi. In modo che nessuno sappia che nella Sainte Chapelle era custodita l’ampolla del Crisma portato da un Angelo per consacrare i Re di Francia.

 In modo che non ne possa conoscere le gesta, non trovi la loro tomba, non comprenda i tesori di arte e letteratura che hanno reso grandi le nazioni cattoliche. La cancellazione della cultura è rivelatrice della radicale inconsistenza ontologica del globalismo dinanzi allo splendore della Cristianità.

 

Il mondo globalista non ha un futuro. O meglio: il futuro che intende riservarci è quanto di più tetro e terrificante possa concepire la mente umana.

 Il futuro che ci prospetta, quindi, è falso e irrealizzabile. «Non ho una casa, non possiedo nulla e sono felice», cercano di convincerci Schwab e i promotori dell’Agenda 2030.

Ma il loro scopo non è di renderci felici – cosa che puntualmente non avverrà, ovviamente – ma di confiscarci la casa e i beni, mettendoceli a disposizione a pagamento.

 Quando ci parlano di pacifismo e di disarmo, non è perché vogliono la pace, ma perché essendo noi disarmati e senza ideali ci lasceremo invadere e dominare senza reagire.

 Nell’imporci l’accoglienza e la “inclusività” – adottando un lessico da iniziati – non vogliono farci realmente accogliere e integrare persone di altre culture e religioni, ma creare le premesse del disordine sociale e della conseguente cancellazione delle nostre tradizioni e della nostra Fede.

Quando ci parlano di “resilienza” non ci dicono che ci proteggeranno dagli eventi avversi, ma che dobbiamo rassegnarci ad assorbirli senza protestare.

Quando ci accusano di estremismo o di integralismo, è solo perché sanno che fedeli e cittadini con nobili e santi ideali possono resistere, organizzare un’opposizione, diffondere il dissenso.

 E quando ci impongono l’inoculazione di massa con un siero genico privo di efficacia ma pieno di effetti avversi gravi e letali, non lo fanno per la nostra salute, ma per modificare il nostro Dna e renderci malati cronici, con un sistema immunitario definitivamente compromesso e una speranza di vita inferiore alla media dei sani.

E per inserire nei nostri organi – come abbiamo appreso dalla denuncia recentemente depositata dall’avvocato Carlo Alberto Brusa – delle nanostrutture auto-assemblanti al grafene, in grado di renderci geo-localizzabili, militari inclusi.

Non aspettatevi mai la verità dai fautori del Great Reset. Perché dove non c’è Cristo, non può esservi la Verità, e sappiamo quanto essi provino odio per Nostro Signore.

Un odio che non riescono a celare, che ostentano negli spettacoli di inaugurazione degli eventi europei (pensiamo all’inaugurazione del traforo del San Gottardo, ai Giochi Olimpici di Londra e, recentemente, all’inaugurazione dei Giochi del Commonwealth a Birmingham), nelle “raccomandazioni” di non festeggiare il Natale e di non usare nomi cristiani per i nostri figli.

 Il loro odio emerge livido quando teorizzano l’aborto come un “diritto umano”, nascondendone l’atrocità dietro l’ipocrita espressione “salute riproduttiva”: perché è la vita che odiano, in cui vedono l’immagine e la somiglianza di quel Dio che hanno perduto per sempre.

Questa immagine e somiglianza, in realtà, è molto più profonda di quanto non si creda. Essa consiste nella dimensione trinitaria dell’uomo, con le sue facoltà che rimandano alle Tre Divine Persone: la memoria (il Padre), l’intelligenza (il Figlio), la volontà (lo Spirito Santo). E come nella Santissima Trinità lo Spirito è l’Amore che procede dal Padre e dal Figlio, così nell’uomo la volontà è la facoltà che origina dalla memoria delle cose passate e dalla comprensione di quelle presenti.

 Non è un caso se, nel capovolgimento infernale del mondo contemporaneo, l’uomo si trovi privato dei propri ricordi, della propria storia e delle proprie tradizioni (pensiamo alla cancel culture e alle richieste di “perdono” per azioni del nostro passato falsate o travisate), incapace di esprimere un giudizio critico (pensiamo alla dissonanza cognitiva generata dalla psico-pandemia) e di ordinare la propria volontà subordinandola all’intelletto (pensiamo alla incapacità di reagire dinanzi al male imposto o al bene di cui siamo privati).

La società moderna, con la sua favola della democrazia, ci ha insegnato a pensare che possiamo anche essere cattolici, magari anche tradizionalisti, a patto di non mettere in discussione che pari diritto vada riconosciuto a chiunque altro. Bisogna rispettare le idee altrui, ci dicono. Ma nel mondo metafisico, nell’eternità di Dio, questa battaglia tra Bene e Male non ha nulla di laico né di ecumenico: è reale, come reali sono gli eserciti schierati, quello della Civitas Dei e quello della civitas diaboli. Gli Angeli del paradiso e gli spiriti apostatici dell’inferno non sanno che farsene dei buonismi conciliari: combattono una battaglia in cui strappare all’avversario quante più anime possibile.

 I Santi che intercedono per noi non hanno letto “Fratelli tutti”, e la bilancia di San Michele non è tarata sulla morale della situazione di qualche gesuita eretico o sui contorsionismi pastorali del sentiero sinodale.

 

Smettiamola di essere politicamente corretti, sempre presi dal timore che le nostre convinzioni possano oltraggiare le sensibili coscienze di chi non esita a fare a pezzi una creatura indifesa nel ventre materno o a soffocare nel sonno l’anziano e il malato. Siamo stati troppo spesso silenziosi dinanzi a cose che non dovrebbero essere nemmeno menzionate, dalla normalizzazione dei vizi alle più degradanti trasgressioni.

Eppure come Cattolici dovremmo sapere che Dio è vivo e vero a dispetto degli atei, e che Cristo ha i titoli di sovranità su di noi in quanto nostro Creatore e Redentore a dispetto dei liberali. Se non siamo persuasi di queste realtà, non possiamo comprendere nemmeno l’azione del nemico, che di questa realtà è perfettamente consapevole.

Se non siamo persuasi di queste realtà, non daremo alcun esempio credibile a chi dalle nostre parole e dalle nostre azioni potrebbe essere reso docile alla Grazia, aprendo gli occhi. È difficile credere a chi per primo non ama ciò che professa, così com’è difficile prestare fede ai modernisti, che con il loro comportamento privo di carità sconfessano tutti i loro verbosi vaniloqui.

 E a chi ci chiede di mangiare “cavallette e scarafaggi” per salvare il pianeta, mentre non rinuncia ai pregiatissimi tagli di manzo di Kobe, o di rinunciare all’auto diesel, mentre per spostarsi usa il jet privato.

Dobbiamo ritrovare quella dimensione di realismo e di oggettività, di consapevolezza del combattimento spirituale, che passo passo ci hanno portato a perdere, o di cui ci hanno insegnato a vergognarci.

Siamo milites Christi, chiamati a combattere un nemico che vorrebbe colpirci alle spalle o farci disertare vilmente, perché sa che quando ci combatte in campo aperto, dietro di noi trova la Vergine Immacolata, terribilis ut castrorum acies ordinata. Quella Madre che il Nemico odia in tutte le madri della terra, quella Sposa dell’Agnello che vilipende nell’attaccare la santità del Matrimonio e delle virtù domestiche, quella Donna che umilia sfigurando la femminilità o facendone l’oscena parodia.

La dottrina globalista è essenzialmente satanica, perché è la diretta e più coerente applicazione sociale e globale della ribellione di Satana.

Vi troviamo quella hybris, quella sfida al Cielo che la civiltà classica – ancora pagana ma già preordinata all’avvento del messaggio di Cristo nella pienezza dei tempi – aveva saggiamente stigmatizzato e che ci riporta alla ribellione di Lucifero. La hybris, l’orgoglio folle di chi si crede come Dio e Gli usurpa gli attributi divini, porta oggi la scienza a rinnegare la propria vocazione al servizio del bene per trasformarla in serva del Nuovo Ordine, per compiere con il progresso tecnologico ciò che in passato era impensabile: cancellare la separazione tra l’uomo e la macchina, tra la sua mente e l’intelligenza artificiale.

Non ci deve quindi stupire se il transumanesimo è uno dei punti irrinunciabili dell’Agenda 2030.

 Dietro questo folle progetto di porre mano al Creato e osare addirittura manomettere il santuario della coscienza in cui solo Dio scende con la Grazia, dietro questo disegno di violare l’essere umano per “renderlo più efficiente” vi è, ancora una volta, un errore dottrinale, una menzogna opposta alla Verità di Dio.

Creare un essere immortale – come vorrebbero alcuni – è la riproposizione tecnologica di un delirio infernale, alla base del quale c’è la presunzione di poter cancellare le conseguenze sull’uomo del Peccato Originale, riportandolo allo stato di perfezione in cui si trovava prima di cedere alla tentazione del Serpente.

 Dove il peccato di Adamo ha portato la morte e la malattia, l’inganno del transumanesimo promette l’immortalità e la salute; dove ha portato l’indebolimento dell’intelletto e l’inclinazione al male della volontà, la frode dell’uomo-macchina promette l’accesso alla conoscenza e la possibilità di essere legge a sé  stessi.

Dove ha condotto alla fatica del lavoro, alla guerra e alle pestilenze, la distopia globalista promette il reddito universale, la pace e la prevenzione di tutte le malattie.

Ma la morte, la malattia, l’indebolimento dell’intelletto e l’inclinazione al male della volontà, la fatica del lavoro, la guerra e le pestilenze sono la giusta pena per l’infinita offesa che l’umanità intera, nei suoi Progenitori, ha arrecato alla Maestà di Dio disobbedendogli.

 Chi si illude che non vi siano conseguenze a quella disobbedienza, è perché non vuole né accettare di essere figlio dell’ira, né riconoscere l’opera della Redenzione di Gesù Cristo, venuto in terra “propter nos homines et propter nostram salutem” e morto sulla Croce per riscattarci dal giogo di Satana.

 

Qui sta la vera prospettiva teologica, dalla quale considerare la crisi della società e della Chiesa. Il delirio del transumanesimo non mira a rendere più veloce la corsa dell’atleta o più acuta la mira del soldato, ma a corrompere l’uomo nel corpo, dopo averlo colpito nell’anima. Satana non si rassegna alla sconfitta, tanto più tremenda quanto maggiormente in essa è apparsa l’obbedienza di Nostro Signore nei confronti del Padre Eterno, in opposizione all’orgoglio del Non serviam luciferino. E se Dio, attraverso i sentieri della Grazia, riesce a toccare le anime e ricondurle a Sé restituendole alla vita eterna, Satana si accanisce oggi anche sui corpi, per contaminare l’opera del Creatore e sfigurare la creatura.

Infatti, la sua opera devastatrice si estende anche agli animali e alle piante, con risultati abominevoli che mai potranno competere con la magnificenza di Dio.

 

Questa è l’agenda del conflitto tra Bene e Male, che dalla creazione di Adamo comprende anche gli esseri umani, che scelgono comunque uno schieramento, anche quando scelgono di non scegliere. Perché la neutralità è già un’alleanza con chi merita la sconfitta. Sappiamo quanto sia potente il nemico del Nuovo Ordine Mondiale, e quale sia la sua organizzazione. Conosciamo anche ciò che lo muove, e quel che vuole ottenere. Ma proprio per questo sappiamo che le sue vittorie sono solo apparenti e destinate al fallimento; e che il nostro dovere, in questa guerra già vinta da Cristo sulla Croce, è di schierarci e di combattere, anzitutto aprendo gli occhi sulle menzogne che ci propina l’informazione mainstream.

Comprendere che vi possono essere persone cattive, votate al male, che deliberatamente scelgono di schierarsi con Lucifero contro Dio è il primo passo da compiere per chi vuole opporre resistenza al golpe bianco in atto. Queste persone costituiscono, in un qualche modo, il “corpo mistico” di Satana, e come tali agiscono per propagare il male nel mondo e cancellare il nome di Cristo: esattamente come il Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, agisce nella Comunione dei Santi per propagare la Grazia.                      Di nuovo, civitas diaboli e Civitas Dei.

Se pensiamo che l’emergenza pandemica sia stata gestita da incompetenti e non da cinici sterminatori, siamo completamente fuori strada. Così come siamo fuori strada se crediamo che i nostri governanti non siano asserviti a questa élite di criminali, usurai ed eversori, dopo aver fatto carriera grazie a loro.

Vi fu un’epoca in cui era normale che in un regno cristiano i sudditi vivessero nel rispetto dei Comandamenti, che vi fossero proibiti l’aborto, il divorzio, la sodomia, l’usura. Quel mondo, grazie all’opera lenta e paziente dei cospiratori, è stato sostituito da questo, che ancora non è completamente loro, in cui regnano poteri che non traggono la propria legittimazione né da Dio, né dal popolo. E questi poteri impediscono tutto ciò che prima era incoraggiato e premiato, e incoraggiano quel che era proibito e punito.

Se nella Civitas Dei regna Cristo, chi regna nella civitas diaboli, se non l’Anticristo?

Così, se nella bene ordinata respublica il vero, il bene e il bello sono espressione teologica, per così dire, delle perfezioni di Dio; nella repubblica globalista il falso, il male e il brutto ne saranno la più inequivocabile manifestazione. Al punto da dover diventare norma generale, legge dello Stato, precetto morale cui conformarsi.

Anche in questo caso, se ci fate caso, si ripropone un altro inganno: quello secondo cui la tirannide dei sovrani e del clero, giustificata dalla superstizione papista, sarebbe stata definitivamente cancellata dalla società rivoluzionaria, per sostituirvi il governo del popolo sotto gli auspici della dea Regione. Oggi vediamo quanto siano ben più tirannici il Leviatano globalista e il sinedrio bergogliano, accomunati dall’aver rinnegato e tradito il proprio ruolo di governanti dello Stato e pastori della Chiesa.

Cari amici, il vostro compito – come quello che in tante altre nazioni stanno compiendo molte persone di buona volontà – è un compito sacro e importantissimo. È il compito di ricostruire, di restaurare, di edificare. Esattamente l’opposto di quanto sanno fare i seguaci della civitas diaboli, capaci solo di distruggere, di demolire, di accumulare macerie. E per ricostruire, occorre ripartire dalle fondamenta, che sono le basi dell’edificio sociale, ponendo Cristo come pietra angolare, come chiave di volta.

Ricordatevi che questa generazione perversa e corrotta non ha futuro: essa è vittima della propria cecità, della propria sterilità, della propria incapacità di generare. Perché dare la vita è opera divina, e questo vale tanto per la vita del corpo quanto per quella dell’anima; mentre il demonio è solo capace di dare la morte, e con essa la sorda disperazione dell’anima strappata al suo fine ultimo e supremo che è Dio.

Il Nuovo Ordine Mondiale non prevarrà, siatene certi.

Non prevarrà la sua furia devastatrice che vorrebbe ridurre la popolazione mondiale a mezzo miliardo di esseri umani.                                Non prevarrà il suo odio per la vita nascente e per quella che va spegnendosi. Non prevarrà il suo piano di tirannide, perché è proprio nella privazione del Bene che ci accorgiamo di ciò che ci è stato sottratto e troviamo la determinazione e la forza di combattere e resistere.

Non prevarrà nemmeno l’apostasia che affligge la Gerarchia cattolica, resasi serva del mondo: i seminatori di discordia e di errori che infestano le nostre chiese si estingueranno inesorabilmente, lasciando vuote quelle cattedrali e quelle chiese, deserti quei conventi e quei seminari che hanno occupato settant’anni fa con la falsa promessa della primavera conciliare. Perché dietro tutto ciò c’è sempre la frode e il dolo del Mentitore.

Cari amici,

Sono molto felice per l’opportunità che mi è stata offerta di partecipare a questa edizione della vostra Università d’Estate. È per me un grande onore poter porgere i miei più cordiali saluti ai militanti di Civitas, a cominciare dal vostro Presidente Alain Escada, dal Segretario Generale Léon-Pierre Durin, dal vostro caro Cappellano, Padre Joseph e i Cappuccini della Resistenza.

Nel suo combattimento per la restaurazione del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e contro l’oligarchia massonica e la setta di Davos, Civitas si trova – come Davide contro Golia – al centro della lotta dell’Alleanza Anti-Globalista che ho lanciato sotto i migliori auspici.

Non posso che rallegrarmi di sapere che anche Svizzera, Belgio, Italia, Canada, Spagna hanno ora fondato, sull’esempio della Francia, delle sedi sul loro territorio; credo sia altamente auspicabile che la stessa iniziativa si diffonda ovunque. È tempo che i Cattolici di tutto il mondo si uniscano in un fronte unito contro la tirannia globalista.

La casa costruita sulla Roccia è la Chiesa cattolica e la Civiltà cristiana. È anche la Francia battezzata a Reims da san Remigio, fondata sull’alleanza di Trono e Altare nel giorno dell’Incoronazione di Clodoveo, Re dei Franchi.

Non ci può essere rimedio ai mali del nostro tempo se non nel Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, in una società riconciliata con Dio che Lo onori e che professi pubblicamente la Fede Cattolica ricevuta dagli Apostoli e fedelmente trasmessa dalla Santa Chiesa nel corso dei secoli.

Questa è la vera controrivoluzione.

Cari amici, tenete nel cuore e nella mente l’esempio dei Martiri per preservare la Cristianità e promuovere il Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo; di questi Martiri che hanno fecondato con il loro sangue il futuro della Chiesa, della società e dei popoli! Non può esserci società giusta e prospera se non là dove regna Cristo Re e Principe della Pace. Perché la pace di Cristo può esistere solo nel Regno di Cristo: Pax Christi in regno Christi.

Il signor Durin mi ha anticipato di volermi porre alcune domande.

Domanda:

Eccellenza, il Vaticano II ebbe luogo più di 60 anni fa, la distruzione della liturgia 50 anni fa, Assisi quasi 50 anni fa; dopo 60 anni di disastro religioso e politico che tutto ha distrutto, durante il quale i fedeli cattolici sono disprezzati, perfino ingiustamente condannati, Vostra Eccellenza è diventata, a più di 80 anni, un implacabile anticonciliare. Qual è il motivo per cui Ella ha deciso solo ora di agire?

Risposta:

Ho già avuto occasione di testimoniare nei miei interventi passati il mio cammino di progressiva consapevolezza della crisi che affligge la Chiesa cattolica e delle cause profonde dell’attuale apostasia. Come ho detto allora, il mio impegno al servizio diplomatico della Santa Sede (prima come giovane segretario presso le Rappresentanze Pontificie in Iraq e Kuwait, poi a Londra; in Segreteria di Stato; e poi come Capo Missione a Strasburgo presso il Consiglio d’Europa; poi come Nunzio Apostolico in Nigeria; e ancora presso la Segreteria di Stato come Delegato per le Rappresentanze Pontificie, poi come Segretario Generale del Governatorato ed infine come Nunzio Apostolico negli Stati Uniti); il mio impegno – dicevo – al servizio della Santa Sede, che ho cercato di esercitare dedicandovi tutto il mio tempo e le mie forze, mi ha completamente assorbito, rendendo praticamente impossibile una riflessione profonda sugli eventi che si svolgevano nella Chiesa.

Questo non mi ha impedito tuttavia di nutrire forti perplessità interiori e persino critiche alle “novità” introdotte dopo il Concilio. Penso in particolare ai gravi abusi liturgici, alla crisi della vita religiosa, penso al pantheon di Assisi, alle deplorevoli richieste di perdono per le Crociate, ad esempio, durante il Giubileo dell’anno 2000. Penso anche a ciò che avevo potuto percepire da giovane studente all’Università Gregoriana di Roma. Compresi che tutto ciò derivava dai nuovi principi stabiliti dal Concilio.

Ma fu solo molto più tardi, di fronte ai gravissimi scandali dell’allora Cardinale McCarrick e di tutta la sua rete omosessuale, e di fronte agli ancor più gravi scandali di Bergoglio, che il legame intrinseco tra corruzione dottrinale e corruzione morale mi apparve in tutta la sua evidenza, così come le cause profonde della crisi che imperversa da decenni nella Chiesa, generata dalla rivoluzione conciliare.

E non ho potuto tacere.

Il disastro era prevedibile fin dall’inizio. Ma come ho spiegato, eravamo stati educati – nella nostra formazione al ministero sacerdotale e ancor più in quella al servizio diplomatico – a ritenere impensabile che il Papa e l’intera Gerarchia cattolica potessero abusare della loro autorità, esercitandola per uno scopo contrario a ciò che Nostro Signore ha voluto per la sua Chiesa. Eravamo stati formati a non mettere in discussione l’autorità dei Superiori. E questo è stato sfruttato da chi, proprio approfittando della nostra obbedienza e del nostro amore verso la Chiesa di Cristo, piano piano, passo dopo passo, ci ha condotto ad accettare nuove dottrine, estranee a quelle che la Santa Chiesa ha sempre insegnato, soprattutto riguardo all’ecumenismo e alla libertà religiosa.

Del resto, come nella Chiesa la “deep church” si è estesa per gradi verso la dissoluzione del corpo ecclesiale, così nell’ambito civile il deep state è sviluppato in modo direi simile, attraverso una progressiva infiltrazione fino alle forme tiranniche del Nuovo Ordine Mondiale, del World Economic Forum di klaus Schwab  e dell’Agenda 2030.

Anche in questo caso ci si potrebbe chiedere: perché i cittadini non si sono ribellati alla sovversione dello Stato da parte degli insorti che hanno preso il potere con lo scopo di distruggere le istituzioni che avrebbero invece dovuto servire per il bene comune?

Molti risponderebbero: Non potevamo immaginare il loro disegno malvagio, il loro piano per renderci schiavi di un sistema iniquo. Non potevamo credere che quando parlavano di democrazia o di sovranità popolare, volessero assoggettarci gradualmente a un potere totalitario radicalmente anticristiano.

Ritengo che il fatto di non aver compreso ieri la natura del processo rivoluzionario in atto, possa essere scusabile; mentre il fatto di non capire oggi è irresponsabile e ci rende complici di un colpo di stato mondiale nelle questioni temporali e dell’apostasia in ambito ecclesiale.

Ringraziamo quindi coloro che molto prima di noi, con la loro voce profetica, hanno lanciato l’allarme per la minaccia che gravava sia sulla società civile che sulla Chiesa cattolica.

Domanda:

Grazie, Monsignore. Le faccio una seconda domanda: cosa pensa di Monsignor Lefebvre e della sua lotta, in particolare nel suo atto controverso come le Consacrazioni del 1988?

Risposta:

Guardo all’arcivescovo Lefebvre con ammirazione e grande gratitudine per la sua fedeltà e il suo coraggio. Coraggio e fedeltà invincibili di fronte a tante avversità, ostilità, e persino all’accanimento da parte di una Gerarchia conquistata alle idee della modernità e infiltrata dai “massonici sostenitori di un progetto di distruzione capillare”, senza precedenti, di cui oggi realizziamo l’impatto devastante nelle sue estreme conseguenze.

Monsignor Lefebvre deve essere considerato come un sant’uomo, non come uno scismatico! Come fervente missionario e confessore della Fede, zelante difensore della Tradizione, del Sacerdozio e della Messa cattolica. Si è esposto a gravi sanzioni, fino alla scomunica, perché riteneva più giusto dover obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, mantenere e trasmettere la Tradizione piuttosto che abbracciare dottrine moderniste.

La sua vita è segnata dalla pietà, dallo spirito di sacrificio, dal senso del dovere, dalla rettitudine di coscienza e da una grande coerenza interiore. La sua è una vita donata a Dio e alla Chiesa, dedita al servizio delle anime, all’evangelizzazione, all’insegnamento e alla predicazione della sana Dottrina, alla celebrazione del Santo Sacrificio e alla formazione dei giovani chiamati al Sacerdozio.

Una vita che è tutta una testimonianza della solidità della Fede trasmessaci dagli Apostoli, dai Romani Pontefici, dai Concili e dai Santi Dottori della Fede e per la quale i Martiri hanno versato il loro sangue.

Alcuni giudicano le Consacrazioni del 1988 “un passo di troppo”; altri vi riconoscono una necessità vitale per la salvaguardia della Messa di tutti i tempi.

Monsignor Lefebvre ha colto l’urgenza dei tempi che stiamo vivendo e il dramma di una situazione che è ulteriormente peggiorata e che si è ulteriormente aggravata negli ultimi anni, rendendo più evidente lo stato di eccezione in cui ci troviamo. C’è chi parla di disobbedienza; noi parliamo di fedeltà!

Monsignor Marcel Lefebvre ha continuato a insegnare e a fare ciò che la Santa Chiesa ha sempre fatto e insegnato. Si oppose al liberalismo, alla distruzione della Messa e dell’intero edificio liturgico della Chiesa, alla rovina del Sacerdozio, della vita religiosa e della Morale cristiana.

Lo ripeto: alcuni parlano di disobbedienza, noi parliamo di fedeltà!

Domanda:

Grazie Monsignore. Ho un’ultima domanda per Lei, prima di darle la parola per un breve intervento finale. Eccellenza, potrebbe spiegarci in poche parole il progetto dell’Alleanza Anti-Globalista di cui ha parlato, e come parteciparvi concretamente?

Risposta:

L’Alleanza Anti-Globalista è un appello che ho lanciato lo scorso novembre, consapevole della gravissima minaccia senza precedenti che incombe sull’intera umanità in quest’ora della Storia. Consapevole anche dell’urgenza di formare ovunque un fronte di resistenza volto a contrastare il colpo di stato planetario orchestrato da un’élite potentissima in vista dell’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale, intrinsecamente disumano e anticristo.

Non ho mai avuto la pretesa di diventare il leader di un movimento o di assumerne l’organizzazione. Come un seminatore, ho gettato il seme ai quattro venti, perché sia raccolto con saggezza e porti frutto. Non posso misurare lo stato della sua germinazione.

La situazione attuale, tanto a livello delle varie Nazioni quanto sulla scena internazionale, è molto complessa, oscura e difficile da decifrare. Sappiamo solo che dobbiamo prepararci interiormente agli eventi che ci aspettano e implorare il Cielo per un intervento di Dio.

Solo una cosa è certa: è impossibile risolvere con mezzi umani la crisi civile ed ecclesiale in cui stiamo sprofondando. L’uomo deve prima inginocchiarsi davanti al suo Dio e al suo Re, Nostro Signore Gesù Cristo. Nazioni e Popoli devono riconoscere la sua Signoria, e la Chiesa per prima deve restituire al Re la Corona che gli usurpatori gli hanno tolto. Rimettiamo dunque Cristo al centro dei nostri cuori e al centro di tutto, Lui che è l’Alfa e l’Omega. Cerchiamo prima il Regno e la sua giustizia, e anche il resto ci sarà dato in sovrappiù.

Durin:

Grazie, Eccellenza. Peccato che non possa vedere le persone nella sala e la loro gioia di aver sentito un vero Vescovo rivolgersi a loro, ripetendo loro le verità eterne della Chiesa. Grazie ancora dai Cappuccini, dai Domenicani di Avrillé che sono qui, da padre Morgan che è qui con noi. Grazie di tutto Monsignore. Le do la parola un’ultima volta ringraziandola personalmente per tutto quello che ha fatto per noi.

Mons. Viganò:

Caro Monsieur Durin, anch’io mi rammarico molto di non aver avuto l’opportunità di vedervi e soprattutto di essere con voi in questa felice occasione di incontro, per rendere grazie, per pregare insieme la Vergine Maria in questa vigilia della festa della sua Assunzione, Lei che è la Patrona principale della Francia. Rinnoviamo dunque il nostro atto di speranza e volgiamo lo sguardo alle cose del cielo. Sostenuti dalla materna protezione e intercessione della Vergine Maria, la Donna vestita di Sole che schiaccia sotto i suoi piedi la testa del Drago infernale, possiamo perseverare nei combattimenti di quaggiù, con accresciuta forza e coraggio, ma anche con umiltà e fiducia. Di tutto cuore vi benedico tutti: Benedicat vos omnipotens Deus Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen.

 

La nostra libertà non è assoluta:

per avere senso ha bisogno degli altri.

Ristretti.org- Nadia Urbinati- Il Domani-(31 luglio 2021) - ci dice:

 

La pandemia ha catapultato la democrazia costituzionale in una realtà inedita sotto molti punti di vista, medico-sanitari, giuridico-amministrativi ed etici.

La riporta alle sue radici - la libertà e i diritti - come non accadeva dagli anni Quaranta e Cinquanta, quando su questi temi si accese una delle più ricche e importanti discussioni filosofiche e politiche del Ventesimo secolo. Allora, l'obiettivo polemico era il potere totalizzante di uno stato non democratico. Oggi, sono i limiti alla libertà nelle decisioni di democrazie costituzionali.

Nelle strategie di contenimento e prevenzione del contagio adottate dai governi democratici, i critici leggono il segno della dimensione fatalmente arbitraria del potere statale, pronto a derubarci della libertà con il pretesto di proteggere la nostra vita.

Il green pass è scomunicato come una politica di discriminazione verso chi non è vaccinato o non si vuole vaccinare - addirittura come la stella di David che i regimi nazi-fascisti imponevano agli ebrei di appuntarsi sul petto.

Si tratta di una battaglia ideologica che immagina complotti e cospirazioni da parte di poteri occulti ai danni di cittadini vulnerabili usati come cavie. La narrativa del potere invisibile e totale è irresistibile perché dogmatica; ed è capace di unire al di là di destra e sinistra, di risvegliare il dormiente "potere costituente" contro il "potere costituito" nel nome della libertà (di non vaccinarsi e di non certificare la vaccinazione).

Tornare alle radici, ai principi fondativi della nostra democrazia è quanto mai necessario e urgente.

La Costituzione - La Costituzione documenta la complessità della libertà individuale quando la collega direttamente all'uguaglianza e impegna il legislatore a rimuovere gli ostacoli che non ne permettono l'uguale godimento.

Gli "altri" - le persone che ci vivono accanto - sono l'orizzonte nel quale la Costituzione situa la libertà, che si accompagna necessariamente alla limitazione. Ciò non solo perché noi non possiamo volere tutto quel che desideriamo (non possiamo volare per esempio); non solo perché siamo "costretti" a decidere (la nostra natura non è programmata ad attivare comportamenti istintivi funzionali); non solo perché la nostra possibilità di fare scelte richiede un governo limitato (e governanti che rispettino le norme che lo limitano); ma anche perché ogni volta che scegliamo rinunciamo a qualcosa per qualcos'altro e facendo ciò incrociamo altre persone che come noi scelgono e magari scelgono le stesse cose, per cui ogni azione per essere libera concretamente presume un coordinamento, una regia - ovvero la legge. La democrazia costituzionale si è rivelata una buona regia; tiene conto di questa complessità di limiti normativi e fattuali; delinea un ordine istituzionale incentrato sulla divisione dei poteri e comanda il rispetto dei diritti fondamentali.

Il vivere democratico ci ha abituati a identificare la libertà con i diritti.

 I diritti stabiliscono una limitazione giuridica che coincida il più possibile con quella che noi daremmo a noi stessi; istigano per tanto una diffidenza naturale verso il potere costituito. L'età dei diritti è a tutti gli effetti l'età della centralità della persona e delle libere contestazioni al potere; della critica all'autoritarismo e alle tecniche di sorveglianza affinate dal potere istituzionale, politico ed economico, con lo scopo di addomesticare le volontà e rendere le persone docili; della critica al formalismo dei diritti, indifferente alle condizioni socio-economiche e culturali nelle quali la libertà è (o non è) goduta.

L'età dei diritti - Nel secondo dopoguerra, agende libertarie e agende socialdemocratiche hanno segnato buona parte dell'età dei diritti. L'esito è stato l'espansione dei diritti di libertà nel campo delle relazioni private e intime (interruzione volontaria del vincolo matrimoniale e della gravidanza); la sovversione di tradizioni ataviche (abolizione del delitto d'onore); la conquista dell'eguale opportunità di donne e uomini di accedere alle carriere nell'amministrazione pubblica; la traduzione del diritto alla salute in un sistema sanitario nazionale. Tutte queste battaglie sono state condotte nel nome della libertà. E tutte implicano limiti.

Scriveva Norberto Bobbio che la storia delle libertà è una storia di lotte volte a conquistare i diritti, a partire da quelli che chiamiamo fondamentali e poi quelli che proteggono altri beni non meno importanti come condizioni dignitose di lavoro e di vita o protezione dell'ambiente. Tutti questi diritti vogliono obblighi. Sovente ce ne dimentichiamo. La politica e la pratica dei diritti è a un tempo di contestazione e di differenziazione.

Ha anche la forza di distanziare le persone dai valori comunitari. Infine, le abitua a concepire la loro libertà in un rapporto di tensione, quando non di contrasto, con gli altri; a idealizzare la libertà come un bene esclusivamente individuale, idealmente in assenza degli altri e della società. La pandemia ha portato alla superficie questa concezione individualistica della libertà e ne ha messo in luce i problemi e i limiti.

Fare quel che ci piace - Il green pass rientra in questa concezione. Coloro che identificano il gress pass con il despotismo securitario e la discriminazione nei confronti di coloro che sono contrari alla vaccinazione ci hanno come svegliato da un sonno dogmatico. Ci han fatto vedere quel che in condizione di ordinaria vita civile non vediamo: che la libertà non è mai una dichiarazione di assolutezza, anche quando proclamata nel nome di diritti fondamentali; che, infine, i diritti hanno un necessario contraltare di obblighi legali e di doveri morali. Riposano per la loro efficacia sulla nostra individuale responsabilità, per cui averli proclamati nei codici non è bastante a renderli forti ed efficaci.

La pandemia ci fa comprendere quel che tendiamo a dimenticare: che chi sta fuori da ogni relazione umana non è né libero né non libero (non è giudicabile moralmente) e non ha quindi bisogno di diritti. La libertà vuole gli altri per essere e avere un senso. Per questo si esprime nelle forme che il diritto stabilisce e la legge detta. Scriveva John Stuart Mill che la libertà significa "fare quel che ci piace, essendo soggetti alle conseguenze che possono da ciò derivare, senza impedimento da parte degli altri fino a quando non arrechiamo loro danno".

Questa teoria trova la sua traduzione giuridica nella nostra Costituzione, la quale indica al legislatore il principio per decidere di limitare la nostra libertà di "fare quel che ci piace". Questo principio, dice Mill, "è che l'umanità è giustificata, individualmente o collettivamente, a interferire sulla libertà d'azione di chiunque soltanto al fine di proteggersi: il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri". Dice l'articolo 16 della nostra Costituzione: "Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza". Dice l'articolo 32: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".

 

Riandare ai principi ci aiuta a criticare atteggiamenti e idee a sostegno di una libertà assoluta e indifferente a quel che sta oltre il desiderio e il volere del singolo, secondo l'assunto che "fare quel che ci piace" sia un fare senza limiti. Ma la libertà assoluta è un ossimoro e il diritto che la protegge ne è la conferma. Il diritto si cura di dirci se e quando le nostre scelte sono dannose agli altri, e legittima lo stato a intervenire. Il green pass è questo intervento. Non discrimina, ma indica una condizione grazie alla quale possiamo scegliere di fare o non fare qualcosa.

 Il suo principio di riferimento è quello del danno che, secondo la Costituzione, ammette l'interferenza con le scelte individuali se queste sono comprovatamente dannose agli altri.

 

 

 

 

Hai mai sentito parlare della geotermia?

Quale informazione per

un’innovazione sostenibile.

Greenreport.it- Luca Aterini-(5 Ottobre 2018)- ci dice:

 

Pellizzone (Igg-Cnr): «C’è bisogno di favorire una reale partecipazione dei cittadini e della società tutta, fondata sulla responsabilità, sulla condivisione e sulla conoscenza. E non sulla paura e sugli slogan»

(Anna Pellizzone è una ricercatrice che collabora con l’Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr: ha partecipato a diversi progetti di ricerca sulla geotermia, sia nazionali (come Vigor e Atlante) sia europei (Geolec), con contributi orientati in particolar modo ad approfondire il rapporto tra scienza e società. Insieme ad Agnes Allansdottir e Adele Manzella è autrice del volume “Geothermal Energy and Society”, recentemente pubblicato per Springer.)

 L’abbiamo intervistata.  

A valle di due studi condotti sull’accettabilità della geotermia nell’Italia del sud e in quella centrale (qui e qui), qual è l’effettiva conoscenza dichiarata in ambito geotermico da parte dei cittadini? Hanno manifestato la necessità di maggiori informazioni al riguardo?

«In entrambi gli studi che abbiamo condotto (il primo in provincia di Palermo, nel 2012, e il secondo provincia di Viterbo, nel 2014), alla domanda “ha mai sentito parlare della geotermia” ha risposto in modo affermativo rispettivamente il 17% e il 42% degli intervistati. Si tratta di percentuali molto diverse tra loro, ma abbastanza in linea con un’indagine dell’Eurobarometro – un sondaggio condotto periodicamente a livello comunitario su vari temi – che nel 2011 ha rilevato che in Italia complessivamente circa il 25% della popolazione ha una qualche conoscenza sulla risorsa geotermica. Se paragoniamo questi dati a quelli di altri Paesi europei, come ad esempio la Finlandia (94%), o la Francia (69%), i livelli di conoscenza sembrerebbero essere più bassi, nonostante il Bel Paese sia decisamente più “caldo” da un punto di vista geotermico. In generale, rispetto ad altre fonti di energia, sia in Italia, sia in Europa, possiamo dire che la geotermia è certamente meno nota.

Oltre al questionario abbiamo condotto anche dei focus group, per avere dei dati di tipo qualitativo, in cui i cittadini hanno evidenziato che se avessero avuto una maggiore conoscenza della geotermia avrebbero potuto contribuire di più alla discussione. Ma erano contenti di essere stati interpellati e hanno partecipato in modo molto attivo.

Quando si parla di conoscenza da parte del pubblico di una tecnologia, credo sia molto importante evidenziare una cosa: qualunque innovazione, anche quella apparentemente più “buona” e innocua, ha un impatto sull’ambiente e sulla società e chiama in causa valori, punti di vista, desideri e perplessità che devono essere tenuti in considerazione. Per questo, le eventuali preoccupazioni legate all’uso di una tecnologia non sono necessariamente causate dalla mancanza di conoscenza ed è un errore oggi considerato piuttosto grave dagli esperti che studiano il rapporto tra scienza e società pensare il contrario. Perché i punti di vista critici, molto più di quelle accondiscendenti, possono contribuire a migliorare la qualità della ricerca e dell’innovazione, ad esempio aiutando la scienza a porsi le domande giuste. Sminuire le ragioni di chi dimostra perplessità o preoccupazione ha come risultato quello di generare posizioni ancora più polarizzate».

Quali sono gli elementi di maggiore preoccupazione o interesse riferiti dai cittadini rispetto a un’eventuale coltivazione geotermica sul proprio territorio?

«Per rispondere a questa domanda è necessario fare una serie di distinzioni. Prima di tutto tra tecnologie geotermiche, dagli usi del calore alle centrali per la produzione di energia elettrica, che non sono tutte uguali e che non suscitano tutte le stesse reazioni. E poi è necessario considerare territorio per territorio. Ad esempio, tra Viterbo e Palermo, abbiamo rilevato delle differenze.

A Viterbo, che ha a una lunga storia di contaminazione dell’acqua da arsenico, una delle principali preoccupazioni è il timore che i pozzi geotermici possano mettere in comunicazione falde di diverse profondità e portare a una contaminazione della risorsa idrica. Questa eventualità spaventa, e si collega anche al senso di urgenza che i viterbesi hanno rispetto al futuro del proprio territorio: i cittadini di questa provincia sembrano percepire il turismo come un’opzione economica su cui investire. In questo senso sarebbero favorevoli alla valorizzazione delle stazioni termali, ma non vedono scelte decise in tal senso da parte delle istituzioni.

Il futuro è causa di preoccupazione anche per i cittadini di Palermo, e in particolare di Termini Imerese, Comune al centro dell’indagine condotta nella provincia siciliana. In seguito alla chiusura dello stabilimento Fiat, l’urgenza sentita in questo caso è di riconvertire l’area industriale, un tempo destinata alla produzione di auto. Il territorio ha una forte vocazione manifatturiera e in questo caso la geotermia è vista come una potenziale opportunità per rilanciare l’economia e costruire nuove opportunità occupazionali.

 

Se poi ci spostiamo in altri Paesi – come abbiamo scoperto nel ruolo di editor e co-autrici del libro “Geothermal Energy and Society” – troviamo altre preoccupazioni ancora: ad esempio il rischio sismico è centrale nel dibattito in Svizzera. Mentre l’inquinamento dell’aria è fonte di preoccupazione in Grecia.

Infine, questo è stato forse il risultato più evidente del nostro lavoro sul campo, quello che più sembra preoccupare i cittadini non è la tecnologia di per sé, verso la quale abbiamo registrato complessivamente una certa apertura, seppur con delle eccezioni. A generare timore nei cittadini è l’incapacità di chi ha il potere – istituzionale o imprenditoriale – di operare nell’interesse della collettività e, quindi, di compiere scelte adeguate e di gestire in modo responsabile la tecnologia e gli impianti».

Più in generale, i risultati raccolti suggeriscono come i cittadini reputino inadeguata l’offerta di comunicazione scientifica attualmente disponibile: dove crede sarebbe più urgente migliorare, con particolare attenzione alla comunicazione sul web?

«Anche se mi occupo di comunicazione scientifica ormai da diversi anni, dalle persone che hanno partecipato ai nostri casi studio, che hanno dimostrato di avere le idee molto chiare sulle fonti e sui mezzi di comunicazione da cui vorrebbero essere informati, ho imparato moltissimo. Ovviamente prima di tutto bisogna considerare che il modo di fare informazione negli ultimi decenni è cambiato ed è tutt’ora in trasformazione. Alcune difficoltà nel fornire (da parte dei media) e scegliere (da parte degli utenti, che sempre più spesso sono anche produttori di contenuti) informazione di qualità credo siano sistemiche e non riguardino soltanto la geotermia.

Una prima questione sottolineata a chiare lettere dai cittadini coinvolti nei focus group è che la comunicazione scientifica e l’educazione vanno distinte dal marketing. Le conoscenze che abbiamo in ambito geotermico non possono arrivare soltanto da chi dalla geotermia trae profitto. Le imprese sono una delle voci in capitolo, ma garantire una pluralità di voci è certamente fondamentale per avere un’informazione aperta e trasparente. Questo i cittadini lo sanno e lo chiedono a gran voce.

Un altro punto centrale è che l’informazione scientifica ha delle proprie precise caratteristiche. Per esempio, chi comunica la scienza non può prescindere dal fatto che essa ha a che fare con l’incertezza e che ogni scoperta apre nuove domande. Per definizione, il sapere scientifico ha un carattere probabilistico e gli scienziati non sono portatori di verità assolute e inconfutabili. Per questo sono convinta che uno degli aspetti più importanti nella comunicazione scientifica sia trovare il modo di raccontare questa incertezza, che pure è molto difficile narrare e per questo servono dei giornalisti specializzati e dei ricercatori responsabili.

In altre parole, credo che i mantra del buon comunicatore scientifico dovrebbero essere la trasparenza e l’apertura, con l’obiettivo ultimo di incoraggiare un dialogo reale tra attori sociali. È banale, ma sono assolutamente da evitare le notizie gridate, quelle che urlano allo scandalo, tanto quanto quelle che incensano a scatola chiusa la tecnologia.

Venendo a internet: alcuni partecipanti ai focus group credono che sia un mezzo di informazione più libero da condizionamenti rispetto ad altri, come la televisione. Ma allo stesso tempo hanno dimostrato di essere consapevoli degli aspetti critici del web e hanno proposto una soluzione: una sorta di sistema di certificazione che attesti la qualità dei siti di informazione.

Personalmente sono convinta che per distinguere la buona informazione dalla cattiva informazione serva uno spirito critico diffuso nelle pieghe della società. E per questo credo serva educazione che – in Italia spesso ce lo dimentichiamo – è anche educazione scientifica. Altrimenti la democrazia rischia di incepparsi. E la scienza con essa».

I ricercatori (soprattutto se legati al territorio di riferimento) emergono come una delle fonti più degne di fiducia da parte dei cittadini. Come potrebbero collaborare insieme ai media, ai fini di una gestione dell’innovazione socialmente più sostenibile?

«In controtendenza rispetto a quanto oggi spesso si sente dire quando si parla di crisi di fiducia nei saperi esperti, la buona notizia per i ricercatori e gli scienziati (purché operino nel settore pubblico o comunque siano indipendenti da investitori o imprese del settore geotermico) è che essi sono percepiti come la fonte più affidabile per ricevere un’adeguata informazione sulla geotermia.

Riguardo alla “to do list” per ricercatori e media, credo che il loro ruolo vada considerato all’interno di un contesto più ampio. Oggi l’innovazione tecno-scientifica è sempre più dirompente e veloce. Per questo è necessario che ci dotiamo di nuovi strumenti e strategie per imparare ad anticipare gli effetti dell’innovazione e governarla. Tra questi, credo ci sia bisogno in particolare di favorire una reale partecipazione di tutta la società, fondata sulla responsabilità, sulla condivisione e sulla conoscenza. E non sulla paura e sugli slogan.

Credo che questo compito vada portato avanti da tutti: ricercatori, media, istituzioni, organizzazioni della società civile, imprese. Perché l’innovazione ormai non si fa solo nei centri di ricerca, basta pensare alle imprese innovative o all’innovazione bottom-up dei fablab. E il confronto tra punti di vista diversi non solo porta a risultati migliori, ma talvolta – come spiegano bene Lehman e colleghi quando parlano di carbon lock-out – è necessario per consentire e/o accelerare l’innovazione stessa».

Gli studi da lei condotti insieme ad Adele Manzella e Agnes Allansdottir sull’accettabilità sociale della geotermia mostrano che i maggiori ostacoli in proposito derivano dalla mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, come anche dei media. Come recuperare il terreno perso, e come gestire il fenomeno – da parte di media e istituzioni – mentre la fiducia scarseggia?

«Alcune esperienze europee piuttosto “turbolente” nell’ambito tecno-scientifico, la più citata è quella degli OGM, ci insegnano che recuperare il terreno perso è davvero difficile, perché la fiducia si costruisce molto più lentamente e faticosamente, ma si perde in un batter d’occhio. Ma sulla fiducia nelle tecno-scienze ci sono moltissimi studi.

 

Alcuni ricercatori l’hanno descritta come un concetto composto da due elementi, legati uno alle competenze e uno ai valori. Altri hanno evidenziato l’importanza di non considerare la fiducia come un concetto dicotomico: presente/assente, alta/bassa. Alcuni recenti lavori adottano un approccio critico alla fiducia, a mio avviso molto interessante, che si basa sull’idea che il nostro obiettivo non è quello di costruire società “ad alta fiducia”, ma ad “alta affidabilità”. Che senso avrebbe riporre fiducia in qualcosa che di fiducia non è degno? Ben vengano le critiche, in democrazia sono importantissime, e chi fa politica ha il compito di ascoltarle, purché non si trasformino in complottismo o in tifo da stadio. Il bravo cittadino non è il cittadino docile, ma il cittadino vigile, critico e partecipe.

Quindi, venendo alla risposta alla sua domanda e partendo dall’idea che l’obiettivo ultimo non è la fiducia, ma una società che funzioni, abbiamo tre strumenti a disposizione: la partecipazione pubblica, la partecipazione pubblica e la partecipazione pubblica.

Battute a parte, il coinvolgimento dei cittadini a monte del processo decisionale – soprattutto se si parla di introdurre una nuova tecnologia – è l’unico strumento che al momento abbiamo a disposizione per creare un dialogo tra i vari attori sociali, istituzioni e media compresi. A una condizione: che la partecipazione sia reale e non qualcosa di evocato per aumentare il consenso, altrimenti è meglio lasciar perdere. Oggi i metodi a disposizione per fare quello che gli esperti chiamano “public engagement” sono molti, dalle consensus conference ai focus group, ma deve essere chiaro che se si sceglie di coinvolgere i cittadini, bisogna essere disposti ad accettarne i punti di vista, compresa l’opzione zero. Anche in questo caso, lo sforzo necessario è enorme e richiede costanza da parte di tutti.

Ma come dimostrano moltissimi studi, è l’unico modo che conosciamo per rendere l’innovazione e la ricerca il più possibile aperte, trasparenti e in linea con i bisogni della società. Per questo, una delle proposte che avanziamo nel nostro libro è quella di istituire un osservatorio permanente dedicato al rapporto tra tecnologie energetiche e società, che contribuisca a sostenere un dialogo costante tra i vari attori sociali».

 

 

 

Tomaso Montanari: «Gli studenti

non sono pezzi di ricambio.

E la scuola non è al servizio del lavoro.»

Informazionisenzafiltro.it- BARBARA BENINI-(9 Giugno 2022)-ci dice:

 

Il rettore dell’Università per Stranieri di Siena, ospite di “Nobilita”, intervistato da “Senza Filtro” sui temi della formazione e del conflitto, internazionale e sociale.

La scuola come presidio di democrazia.

Il lavoro come elemento di coesione sociale, arma pacifica contro la guerra, cemento per costruire la pace.

Al centro il cittadino, soggetto capace di esercitare sovranità politica, a un tempo radice e frutto di una società libera, giusta, solidale.

Si tiene insieme tutto questo nel contributo di Tomaso Montanari all’edizione 2022 di “Nobilita”, che è stato occasione per riflettere sul ruolo della cultura, anche di quella del lavoro, sulle occasioni mancate delle democrazie occidentali e sul futuro che vogliamo costruire per noi e per le generazioni che verranno.

È dalla scuola che parte la riflessione di Montanari. Non solo perché per lui, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, questa materia è pane quotidiano, ma anche perché è dall’idea di scuola che si capisce quale tipo di società, di uomo, di cittadino si intende costruire. A volte i numeri spiegano meglio di mille parole la realtà in cui viviamo:

l’Italia si appresta a stanziare il 2% del PIL in armi, mentre l’intero nostro sistema universitario ne impegna solo lo 0,3%. La sproporzione e le sue conseguenze sono evidenti.

«Se mettiamo a confronto queste grandezze capiamo che progetto abbiamo per l’Italia», dice Montanari. «Rischiamo di dimenticarci quale fosse il disegno originario della Costituzione italiana, che metteva insieme scuola e politica. Concetto Marchesi, uno dei nostri padri costituenti, indicava la scuola, e non più l’esercito, come presidio della nazione. Non è un caso se l’articolo 9 della nostra Carta parla di sviluppo della cultura, perché allora la scommessa era formare una nazione il più possibile colta, cioè capace di esercitare sovranità politica. Una nazione di ignoranti è più governabile, ma va allo sfascio. Oppure viene guidata dai famosi “competenti”».

Già, la competenza. Quasi un totem, nella nostra società. Che, però, a leggerla in un’accezione sempre e soltanto positiva, rischia di intorbidire le acque.

«Oggi c’è un’idea teologica della competenza, come se fosse un’infusione dello Spirito Santo, per cui, per esempio, si pensa che un banchiere centrale possa governare benissimo anche una pandemia o una guerra», riflette Montanari. «In questa prospettiva, sostituire le competenze alla conoscenza, alla cultura, al pensiero critico, genera il rischio di pensare la scuola come un luogo di profilazione del “capitale umano” per il mercato del lavoro, mentre la scuola non è questo, non è al servizio di un mercato del lavoro dove la merce sono i lavoratori. Gli studenti non sono pezzi di ricambio che dovranno sostituire i loro genitori e i loro nonni quando si romperanno, ma persone che vanno messe nelle condizioni di esercitare la democrazia, la sovranità politica, che è poi quella cosa che permette a ogni cittadino, in quanto tale, di criticare le scelte dei governanti che hanno un impatto negativo sulla sua vita. Quindi io direi che ci sono luoghi in cui la competenza è fondamentale, ma questa non è la chiave universale e non può sostituire la conoscenza e la cultura, né a livello di scuola, né a livello di politica».

Tomaso Montanari: «Verso una stagione di conflitto sociale senza la politica, cioè nel peggiore dei modi»

Per approfondire questo e altri aspetti del suo discorso, abbiamo chiesto al rettore Tomaso Montanari di entrare più nel dettaglio.

Professor Montanari, come si può riportare la scuola a essere “fabbrica” di cultura e non di competenze?

Il punto è che tutto il sistema scolastico è stato brutalmente aziendalizzato, misurato su risultati che non sono quelli della quantità e della qualità delle letture. Non bisogna insegnare la scrittura creativa, bisogna mettere nelle mani degli studenti i libri, ossia la complessità, aiutare i ragazzi a sviluppare un pensiero critico.

 La sensazione, però, è che proprio lo spirito critico sia diventato un disvalore, qualcosa di cui diffidare. La guerra in Ucraina sembra imporre la necessità di un pensiero unico: in Russia chi manifesta contro una guerra fratricida è arrestato perché filo-ucraino, in Italia chi protesta contro la corsa alla guerra atomica è bollato come filorusso. È la delegittimazione del dissenso, la cancellazione del conflitto in un mondo che, secondo la ONLUS “Armed Conflict Location & Event Data Project”, conta attualmente ben 59 guerre.

Non crede che questo sia un tragico paradosso?

Sì, è vero. Penso che ci sia indubbiamente un richiamo alle armi, nel senso di un richiamo a un pensiero unico allineato e coperto, che non ammette deviazioni e che è la sindrome del nemico eterno, del “dobbiamo essere uniti”, di tutto quello che invoca uno stato di eccezione. C’è l’idea che in momenti di emergenza la democrazia sia vista come un ostacolo e che quindi vada sospesa, laddove sarebbe invece una grande arma positiva. Forse ne abbiamo paura, questo è il vero problema.

Tenendo conto che spesso le guerre nascono dalla mancanza di lavoro e dai conseguenti conflitti sociali, e che gli ultimi dati Istat dicono che la disoccupazione giovanile in Italia è al 23,8%, secondo lei esistono rischi per il nostro Paese?

Penso di sì, anche se si deve distinguere molto bene tra conflitto della guerra e conflitto sociale, che sono parenti se non molto alla lontana. In Italia il conflitto sociale è stato rimosso. Dalla pandemia in poi, ma anche prima, ci si dice che bisogna essere ottimisti, che c’è un interesse nazionale, e si è sospesa la politica.

Siamo in una fase che Gustavo Zagrebelsky chiama “democrazia dall’alto”, quella nella quale è stato il Presidente Mattarella a fare il Governo Draghi, mandando a casa il Governo Conte Due che di fatto poteva andare avanti, e che bene o male era stato eletto.

 La rimozione del conflitto e il fatto di teorizzare che limitarsi all’unità nazionale sia un valore, cancella quello che il sociologo anglosassone Tony Judt diceva in maniera brutale: “I ricchi non vogliono le stesse cose che vogliono i poveri”. Chi manda alla scuola privata i propri figli non ha le stesse esigenze di chi li manda alla scuola pubblica; chi usa l’auto con conducente non ha i problemi degli autobus. Eliminare il conflitto significa mistificare la realtà in nome di una semplificazione che fa il gioco soltanto del potere.

Come si compongono questi interessi diversi?

Attraverso la politica, attraverso il Parlamento, attraverso un confronto a viso aperto, forte, serio, pacifico. E poi nella costruzione di un interesse generale che tenga le cose insieme. Se si toglie il conflitto dalla politica poi lo si ritrova nelle piazze; questo è il problema vero, e la guerra aggraverà le cose. Inflazione, maggiore costo dell’energia, carenza di cibo: andremo verso stagioni di conflitto sociale crescente senza avere lo strumento della politica, senza la mediazione. Cioè nel peggiore dei modi.

Come si costruisce, o ricostruisce, la cultura del lavoro?

Si costruisce pensando che i lavoratori non sono “capitale umano” ma sono persone. Abbiamo bisogno di formare cittadini dotati di un pensiero critico. Sembra che il lavoro, le aziende abbiano bisogno di pezzi docili, malleabili, disciplinabili, e invece no, hanno bisogno di teste pensanti.

E su questo lei è ottimista?

Quando vedo i ragazzi sì, quando vedo gli adulti meno.

 

 

 

 

Non potrà essere Dimenticato.

 

Conoscenzealconfine.it- Saura Plesio (Nessie) – (30 Agosto 2022) – ci dice:

 

Pare impossibile che possano essere state fatte affermazioni tanto gravi…

Sembra incredibile che un giornalista di identità ebraica inviti pure a sputare nel piatto e nel cibo di chi non è vaccinato. Vi lascio immaginare cosa sarebbe accaduto a parti invertite. Sbalorditivo che nessuno dei signori della carta stampata (con l’eccezione della solita Verità) abbia preso le distanze, denunciando il vilipendio.

Sgomentevole che i partiti dell’opposizione non abbiano mostrato umana esecrazione, prendendo drasticamente le distanze da politici, giornalisti e medici palesemente discriminatori. Non è neanche mai partita una denuncia da parte delle Procure per l’istigazione all’omicidio di massa, che io sappia.

Eppure è successo, basta leggere… e continua con degli aggiornamenti di VIP candidati in liste “di destra”.

Tutto ciò, non potrà mai essere dimenticato. Io non dimentico.

Tanto per rispolverarci la memoria…

“Campi di sterminio per chi non si vaccina”, Giuseppe Gigantino, cardiologo;

“Mi divertirei a vederli morire come mosche”, Andrea Scanzi, giornalista;

“Se fosse per me costruirei anche due camere a gas”, Marianna Rubino, medico;

“I cani possono sempre entrare. Solo voi, come è giusto, resterete fuori”, Sebastiano Messina, giornalista;

“Vagoni separati per non vaccinati”, Mauro Felicori, assessore;

“Escludiamo chi non si vaccina dalla vita civile”, Stefano Feltri, giornalista;

“I no vax fuori dai luoghi pubblici”, Eugenio Giani, Presidente Regione Toscana;

“Il green-pass ha l’obiettivo di schiacciare gli opportunisti ai minimi livelli”, Renato Brunetta, ministro;

“È giusto lasciarli morire per strada”, Umberto Tognolli, medico;

“Prego Dio affinché i non vaccinati si infettino tra loro e muoiano velocemente”, Giovanni Spano, vicesindaco;

“Bisogna essere duri e discriminare chi non si vaccina, in ospedale, a scuola, nei posti di lavoro”, Filippo Maioli, medico;

“Serve Bava Beccaris, vanno sfamati col piombo”, Giuliano Cazzola, giornalista, sindacalista;

“Mandategli i Carabinieri a casa”, Luca Telese, giornalista;

“Gli renderemo la vita difficile, sono pericolosi”, Piepaolo Sileri, Viceministro, medico;

“Li andremo a prendere per il collo”, Lucia Annunziata, giornalista;

“È possibile porre a loro carico una parte delle spese mediche, perché colpevoli di non essersi vaccinati”, Sabino Cassese, costituzionalista;

“Non sarà bello augurare la morte, ma qualcuno sentirà la mancanza dei novax?”, Laura Cesaretti, giornalista;

“Se arrivi in ospedale positivo, il Covid ti sembrerà una spa rispetto a quello che ti farò io”, Vania Zaveter, infermiera;

“Potrebbe essere utile che quelli che scelgono di non vaccinarsi andassero in giro con un cartello al collo”, Angelo Giovannini, sindaco di Bomporto;

“Stiamo aspettando che i no vax si estinguano da soli”, Paolo Guzzanti, giornalista;

“Verranno messi agli arresti domiciliari, chiusi in casa come dei sorci”, Roberto Burioni, virologo;

“Non chiamateli no vax, chiamateli col loro nome: delinquenti”, Alessia Morani, deputato PD;

“Vorrei un virus che ti mangia gli organi in dieci minuti riducendoti a una poltiglia verdastra che sta in un bicchiere per vedere quanti inflessibili no-vax restano al mondo”, Selvaggia Lucarelli, giornalista;

“I rider devono sputare nel loro cibo”, David Parenzo, giornalista;

“I loro inviti a non vaccinarsi sono inviti a morire”, Mario Draghi, Presidente del Consiglio;

“Gli metterò le sonde necessarie nei soliti posti, lo farò con un pizzico di piacere in più”, Cesare Manzini, infermiere;

“Gli bucherò una decina di volte la solita vena facendo finta di non prenderla”, Francesca Bertellotti, infermiera;

Provo un pesante odio verso i no vax”, J-Ax, cantante;

“Se riempiranno le terapie intensive mi impegnerò per staccare la spina”, Carlotta Saporetti, infermiera;

“Non siete vaccinati? Toglietevi dal cazzo!”, Stefano Bonaccini, Presidente Regione Emilia Romagna;

“Li staneremo casa per casa”, Stefano Bonaccini, Presidente Regione Emilia Romagna;

“Un giorno faremo una pulizia etnica dei non vaccinati, come il governo ruandese ha sterminato i tutsi”, Alfredo Faieta, giornalista;

“Col green pass, garanzia di trovarsi tra persone non contagiose”, Mario Draghi, Presidente del Consiglio;

“È possibile porre a loro carico una parte delle spese mediche, perché colpevoli di non essersi vaccinati”, Sabino Cassese, costituzionalista;

“I novax sono i nostri talebani”, Giovanni Toti, presidente regione Liguria;

“I No-Vax? C’è lo zampino di Satana!”, Don Gazzelli, parroco di Cessalto;

“Se potessi creerei dei campi di concentramento per i Novax”, Fausto di Marco, dirigente medico degli Ospedali riuniti Villa Sofia;

“Sono dei criminali, vanno perseguitati come si fa con i mafiosi”, Matteo Bassetti, infettivologo;

“Chi non si vaccina non è un buon cristiano”, papa Francesco;

“I no vax li odio, ho nei loro confronti un rifiuto intellettuale”, Simonetta Matone, magistrato;

“Tra voi la distinzione è semplice: quelli che sono contagiati e quelli che si contageranno. Quindi vaccinatevi con le buone, o lo faremo con le cattive”, Carlo Nordio, magistrato;

(Saura Plesio (Nessie) -sauraplesio.blogspot.com/2022/08/non-potra-essere-dimenticato.html)

 

 

 

 

 

 

Mangiare Insetti fa Bene o Male?

Quello che la UE non dice…

Conoscenzealconfine.it – (28 Agosto 2022) - Stefania Guerra-ci dice:

 

Il consumo di proteine “alternative” viene sponsorizzato come salutare. Ma all’uomo mangiare insetti fa male o bene?

È da qualche anno che sentiamo parlare dei vantaggi che porterebbe il consumo di insetti. Non solo all’ambiente ma anche alla salute. Ma sarà davvero così? Ecco cosa emerge da uno studio.

L’esigenza di trovare alternative alla carne nasce soprattutto dall’impatto ambientale che hanno gli allevamenti di bestiame. L’alimentazione a base di insetti e vermi, in alcuni Paesi, è praticata da sempre. Mentre in altri l’entomofaga viene rifiutata per un tabù culturale.

Attualmente, gli insetti vengono allevati esclusivamente per nutrire animali da allevamento o da compagnia. Ma da qualche tempo l’UE cerca di incentivare anche la produzione per il consumo umano.

“Novel Food”.

Il concetto di “novel food”, ovvero alimenti digeribili e alternativi alla carne, è stato introdotto da un preciso Regolamento dell’Unione Europea, il 2015/2238, emesso dal Parlamento Europeo e dal Consiglio del 25 novembre 2015. Che poi è entrato in vigore nel 2018.

 Sono state individuate, tra i più di 1900 tipi di insetti commestibili, 4 specie che potrebbero presto diventare la nostra nuova alimentazione. Nello specifico, i vermi della farina, i grilli domestici, gli scarafaggi e le locuste.

Ma sui potenziali pericoli di questo tipo di alimentazione, sono mai stati sollevati dubbi?

Da parte della UE pare di no, e nemmeno da parte della FAO, che già da anni afferma quanto segue:

“Gli insetti sono alternative sane e nutrienti ai prodotti di base tradizionali come pollo, carne di maiale, manzo e persino pesce. Molti insetti sono ricchi di proteine ​​e grassi buoni e ricchi di calcio, ferro e zinco. Gli insetti costituiscono già una parte tradizionale di molte diete regionali e nazionali.”

Vengono enfatizzati anche i vantaggi a livello di impatto ambientale.

Allevare insetti ridurrebbe le emissioni di gas serra che invece sono altissime nel comparto dell’allevamento del bestiame. Soprattutto quello intensivo.

Ma la domanda rimane: cosa comporterebbe per la salute umana un’alimentazione di massa di insetti e larve? Uno studio del 2019 ha provato a rispondere.

Mangiare Insetti fa Male?

Un articolo del luglio 2019 pubblicato sulla rivista scientifica “Plos One” ci rivela cosa è emerso da uno studio. Lo scopo era quello di capire se gli insetti per il consumo umano potessero trasmettere malattie parassitarie.

Gli esperti hanno analizzato le specie di vermi e insetti più comunemente utilizzati e che dovrebbero entrare nell’alimentazione umana: grilli, scarafaggi, vermi della farina e cavallette. Ciò che è emerso, però, è abbastanza preoccupante.

Diversi tipi di “parassiti sono stati rilevati in 244 (81,33%) dei 300 (100%) allevamenti di insetti esaminati. In 206 (68,67%) dei casi, i parassiti identificati erano patogeni solo per gli insetti; in 106 (35,33%) casi, i parassiti erano potenzialmente parassitari per gli animali; e in 91 (30,33%) casi, i parassiti erano potenzialmente patogeni per l’uomo”.

Questi dati suggeriscono che i pericoli ci sono.

E più che altro si pone l’accento sulla mancanza di regolamentazioni che dovrebbero imporre alle aziende allevatrici controlli di sicurezza, o trattamenti preventivi per l’eliminazione dei patogeni.

In sostanza, quello che avviene adesso negli allevamenti di bestiame. Si usano antibiotici per evitare che gli animali si ammalino. Antibiotici che, tra l’altro, possono finire nel nostro piatto. Il massiccio uso di antibiotici nel comparto veterinario, lo ricordiamo, è uno dei fattori che ha portato all’insorgenza dell’antibiotico resistenza.

E sì che basterebbe diventare vegani per evitare questi (vomitevoli) problemi… (nota di conoscenzealconfine)

(Stefania Guerra- informazioneoggi.it/2022/08/25/mangiare-insetti-fa-male-o-bene-lo-studio-del-2019/)

 

 

 

 

 

Il Diritto di Non Pagare.

 

Conoscenzealconfine.it-( 29 Agosto 2022) - Giorgio Cremaschi- ci dice:

È davvero sfacciato il doppio regime informativo che viene diffuso sulla catastrofe energetica in corso. Premesso che Draghi, Cingolani e compagnia son sempre lì a dire che tutto è sotto controllo e che andrà tutto bene (vi ricorda qualcosa?), quando poi deve ammettere che rischi ci sono, il palazzo si contorce nell’assurdo.

Da un lato il “partito della guerra” dà tutta la colpa alla Russia, si badi bene non alle sanzioni, ma proprio al governo russo.

 Quando però lo stesso palazzo si accorge del rischio che questa versione produca sulla popolazione un effetto esattamente contrario a quello voluto: se è colpa della guerra alla Russia perché non la smettete? Se il potere scopre di fare involontariamente propaganda pacifista, allora cambia registro.

Il prezzo del gas aumenta perché questo vogliono i mercati e il nostro paese non ha fatto le riforme necessarie ed in tempo. Lo ha quasi urlato lo stesso Draghi al meeting di Rimini: mai più dipenderemo così dal gas!

Che vuol dire questo bla bla bla rispetto alla drammatica situazione attuale, nella quale la bolletta dell’energia in un anno è già aumenta fino a quattro volte? Nulla.

 

La realtà è che ci sono solo tre misure che nell’immediato si potrebbero prendere. La prima è trattare la pace con la Russia, fermare l’invio di armi, finirla con le sanzioni e riaprire subito tutti i gasdotti, anche quelli chiusi su ordine di Biden. Il prezzo del gas e di tutta l’energia crollerebbe subito.

La seconda è quella di colpire la speculazione e il cosiddetto mercato, riportare tutta l’energia sotto diretto controllo pubblico con prezzi bloccati e amministrati. E naturalmente tassare davvero i super profitti delle multinazionali.

La terza è finanziare con i soldi pubblici le bollette per le famiglie e per le imprese, ovviamente distinguendo tra chi è ricco e chi non lo è, non avendo alcun timore di fare uno scostamento di bilancio per realizzare l’obiettivo.

Queste sono le sole misure atte ad affrontare l’emergenza dei prossimi mesi. Poi ci vorrà la riconversione di tutta la produzione di energia verso le fonti rinnovabili, concentrando davvero le risorse su questo, sul risparmio energetico e su un altro modello sociale.

Senza inseguire sogni regressivi, che comunque nulla risolverebbero nell’immediato, come i rigassificatori, il carbone, le trivellazioni, il nucleare.

Insomma la crisi energetica andrebbe affrontata con la pace, l’intervento pianificato dello stato, la giustizia sociale e climatica. Credete davvero che una classe politica liberista e guerrafondaia, da Draghi a Letta a Meloni, possa affrontare così il disastro economico e sociale che si annuncia? Certo che no!

Continueranno a dire tutto ed il suo contrario, che la crisi è sotto controllo, ma che può anche essere molto grave e che in ogni caso è tutta colpa di Putin.

Ecco di fronte a questa classe dirigente falsa e incapace che continua a non fare niente se non la guerra, chi non ce la fa, matura il sacrosanto diritto di non pagare.

Come stanno già facendo in tanti Gran Bretagna con il più guerrafondaio e liberista dei governi.

(Giorgio Cremaschi- ancorafischiailvento.org/2022/08/28/la-crisi-che-verra-e-il-il-doppio-regime-informativo/- contropiano.org/news/politica-news/2022/08/27/il-diritto-di-non-pagare-0151999)

CITTADINI O SOLDATI? UNA RIFLESSIONE

SUL LINGUAGGIO DI PANDEMIA.

Mediterraneaonline.eu- Isotta Tonarelli-( 11 Maggio 2020 )- ci dice:

 

Si parla continuamente di guerra, soldati, campo di battaglia. Parole fuori contesto o metafora della potenza del linguaggio?

L’importanza della comunicazione e di un corretto uso del linguaggio dovrebbe essere centrale in situazioni straordinarie come quella in cui siamo immersi oggi, un’emergenza sanitaria che mette in ginocchio interi popoli e paesi.

Automatico è pensare che, su un’ipotetica scala di priorità, al vertice ci sia a pieno diritto il controllo sanitario, seguito immediatamente dalla ricerca virologica; successivamente troveremmo l’intervento politico e legislativo sulla popolazione e la conseguente applicazione delle norme volte a limitare e bloccare il contagio, unito necessariamente all’esercizio del controllo e l’imposizione delle sanzioni.

Non è una situazione completamente nuova quella che si è provato a delineare, di fatto l’Italia, così come l’Europa, ha agito in questa direzione creando una situazione densa di particolarità dalla quale difficilmente usciremo illesi, da molteplici punti di vista.

Tralasciando quello che potrebbe divenire l’ennesimo point of view sulla legittimità di tale atteggiamento politico, si vuole in questa sede porre l’attenzione sulla questione del linguaggio, la quale pare essere stata trattata troppo superficialmente, contribuendo a complicare una situazione che già da sola è di difficile gestione – materiale e psicologica – specialmente per i non addetti ai lavori, coloro i quali non prendono le decisioni ma le subiscono, il vero cuore pulsante del Paese, i cittadini.

Il potere delle parole è tale che, nell’era della comunicazione istantanea, non sempre ci si può permettere di ritrattare; questo significa che diminuisce esponenzialmente il tempo di elaborazione dei messaggi, generando risposte molto più istintive e immediate, meno elaborate per definizione, all’interno di una popolazione che, oggi molto più di prima e molto più velocemente, ha accesso alla maggior parte dei dispositivi di trasmissione.

 

Herbert Marshall McLuhan, sociologo e filosofo, era arrivato già nel secolo scorso alla conclusione che alcun messaggio fosse inscindibile dal medium da cui è trasmesso: con l’espressione “il medium è il messaggio” intendeva proprio sottolineare quanto le caratteristiche tecnologiche del dispositivo siano parte integrante del contenuto che esso stesso trasmette, e che abbiano perciò diretto impatto sulla percezione che di esso intere comunità e singoli hanno, quindi sull’immaginario collettivo e il conseguente comportamento della collettività generalmente intesa.

Egli afferma che «una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti».

Si è proposta questa frase indicativa a voler sottolineare quanto semplice sia consegnare i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi a chi i messaggi li crea e li mette in circolo, servendosi dei mezzi, degli strumenti e degli usi tipici di questo momento storico/sociale.

Viene da chiedersi dunque se la narrazione nata attorno alla pandemia sia stata attentamente valutata e ponderata prima di essere messa in atto; se si è dato il giusto spazio ad una ricerca socio-culturale in tal senso, consci della reale importanza del come le comunicazioni vengono trasmesse oltre al quando e ai loro contenuti.

Paragonare un’emergenza sanitaria ad una Guerra da parte delle più alte cariche dello stato, significa operare una precisa scelta comunicativa volta a scatenare determinati stati emotivi nella popolazione, di cui la prima conseguenza è indiscutibilmente una forte tensione all’omogeneità.

L’unità emotiva è un obiettivo possibile quanto più forti e marcati sono i messaggi che alla nazione vengono trasmessi: la paura dell’ignoto è infatti, storicamente, ciò che da sempre fa da collante nazionale.

Nell’era di smascheramento dei confini come protettori comunitari, resi platealmente inutili da una minaccia virologica, le comunità, trincerate stavolta tra le mura domestiche, sono state letteralmente bombardate per mesi da una retorica dell’allerta continua, della minaccia, costituita da bollettini giornalieri che riportano il numero dei morti e dei nuovi contagiati, da immagini di terapie intensive piene e prossime al collasso, pazienti dal viso oscurato intubati e soli, da pubblicità ad alto tasso patemico aventi colonne sonore ad hoc e da opinioni di un vero e proprio esercito – per rimanere in tema – di “esperti” le cui opinioni appaiono opposte tra loro e, perciò, responsabili di ulteriore confusione.

Daniele Cassandro, giornalista di Internazionale, sottolinea come l’utilizzo della metafora bellica renda il popolo “ubbidiente e docile”, proprio grazie al potere che tali associazioni hanno sullo stato emotivo delle persone.

Parlare di Guerra significa richiamare mentalmente specifici schemi concettuali che culturalmente vengono associati al conflitto: la necessità di trincerarsi, di combattere, di resistere e, soprattutto, di restare al sicuro, nascosti dietro alle mura domestiche; la ricerca – e il bisogno – di trovare sempre nuovi eroi e, soprattutto, nuove minacce da scongiurare.

Ecco che la popolazione, vergine di ricordi sufficientemente freschi di una situazione lontanamente simile, spaventata, risponde nell’unico modo possibile: chiudendosi nei rifugi e osservando dallo spioncino il mondo che scorre, mondo che percepisce attraversato da due nuove categorie, i salvatori e gli untori.

Non solo, una popolazione tesa aggiornata h24 sui successi e gli insuccessi del sistema sanitario, ente che oggi più non basta a rassicurarci, condivide a sua volta, istantaneamente ovviamente, tutte quelle che sono le angosce e gli incoraggiamenti che gli sono stati trasmessi, senza avere i mezzi per effettuare i dovuti controlli di veridicità, creando un circolo continuo di news e fake news che contribuisce a densificare quel mondo necessariamente mediale con cui, e attraverso cui, entriamo in contatto gli uni gli altri.

Le risposte che si creano nella popolazione oscillano tra esplosioni di solidarietà che diventano cartelli con l’arcobaleno e bandiere tricolori fuori dai balconi e, contemporaneamente, aspre cacce alle streghe che dai medesimi balconi vede persone di ogni età puntare il dito contro chi cammina in strada, magari da solo e con i dispositivi di protezione individuale addosso, ma colpevole di esercitare una libertà che “io non ho”.

Spesso si sente parlare di «pericolo di deriva autoritaria», quando l’azione del governo, condivisibile o meno, resta costituzionalmente lecita; ma il vero pericolo di deriva autoritaria lo si rende concreto nel momento in cui una comunicazione superficiale e trascurata nei suoi più profondi aspetti, possiede caratteristiche così poco chiare da rendere interpretabili le sue norme; e il carattere di interpretabilità, come sappiamo, rende difficile l’esercizio di una sovranità giusta, di una legge davvero uguale per tutti.

Nell’epoca della messaggistica istantanea l’informazione ha la possibilità di viaggiare ad una velocità senza precedenti e le informazioni distorte, le fake news, le dichiarazioni per così dire infelici hanno acquisito un enorme potere dettato proprio dalle nuove tempistiche.

In pochissimo tempo le parole sbagliate possono compromettere anni di sensibilizzazione al politically correct, così come al lavoro contro i pregiudizi e gli stereotipi, e possono creare importanti disagi ed elevata confusione a molte più persone rispetto ai tempi di una comunicazione più lenta.

Piuttosto caratteristico della comunicazione politica europea degli ultimi tre decenni è, infatti, l’uso di espressioni iperboliche quali ondata, invasione di clandestini, un lessico al quale ci siamo assuefatti che si serve di un elevatissimo numero di metafore naturali e belliche come, ancora, tsunami umano o esodo biblico, espressioni che ignorano totalmente l’individualità – necessaria – di cui sono composte.

Questo atteggiamento retorico violento altro non fa che generare consapevolmente nelle comunità specifici atteggiamenti emotivi che le rendono più facilmente manipolabili e rendono i fenomeni umani e naturali illusoriamente controllabili.

Il compito degli specialisti della comunicazione è dunque smascherare simili atteggiamenti in nome di narrazioni meno sensazionalistiche e più reali, così da sfatare ogni prepotente assunzione antropologica quando si tratta di definire l’identità di individui e popoli, e dare reale valore ai comportamenti delle comunità le quali sanno essere solidali senza il bisogno di tappezzare le finestre di Hashtag.

Le politiche massimaliste, vittime di una dittatura della statistica, o più semplicemente l’assunzione e l’uso esasperante di linguaggi di tipo massimalista, ignorano i diritti di ogni singolo essere umano di essere considerato individuo, e non semplicemente membro di una massa di persone: le parole hanno il potere di negare o restituire quella singolarità che rende ogni donna ed ogni uomo unico.

Su questa linea, sarebbe bene ricordare che non esistono gli eroi e non esistono gli untori, perlomeno non in un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo.

Le minacce non hanno sembianze umane, e devono essere fronteggiate in quanto minacce di specifica natura.

Siamo in una pandemia, non in una guerra. Abbiamo il dovere civico di proteggerci e proteggere in nome di un bene condiviso, non in risposta all’angoscia raccontata da altri; le guerre sono ferite indelebili nella storia, crimini di cui una fetta di umanità si è macchiata per la quale tutti ne portiamo le ferite ancora esposte.

Le guerre si perdono, anche quando si vincono; le pandemie, al contrario, si sconfiggono.

 

 

 

LA TRAGEDIA DI UN PARTITO

CHE NON C’È.

Opinioni.it- Mauro Mellini-(14 giugno 2019)- ci dice :

La tragedia di un partito che non c’è.

Siamo trascinati oltre l’orlo del baratro dal più gaglioffo Governo che si sia mai avuto, espressione della rissa tra le sue componenti, retto, più che su una maggioranza fasulla, sulla mancanza di una opposizione che sia veramente tale e capace di rappresentare una alternativa.

Cittadini emarginati in una Repubblica in cui non troviamo chi possa dire chi ci rappresenti, stiamo regredendo al vagheggiamento di ciò che non c’è e che vorremmo ci fosse. Del resto questa capacità, se così può chiamarsi, di identificarci in un partito che non c’è, e non c’è mai stato non è nella storia, espressione di demenza di un popolo. Potrebbe esserne invece la religione civile, la chiave di un futuro vivibile: la salvezza. Diciamo pure che, se una svolta in futuro ci sarà, se potremo tornare a godere delle nostre libertà ed a godere del frutto della ragione e dell’espressione della nostra storia, ciò non potrà venire che da questa percezione di oggi del vuoto, da ciò che la determina. Gli “accomodamenti” con quanto “passa oggi il convento”, la “correzione” dell’essenza dei partiti oggi presenti in campo non ci daranno, invece che il prolungarsi di una dolorosa agonia.

Uomini liberi quale vogliamo essere e rimanere, abbiamo però accettato fino ad oggi passivamente la mancanza di un partito liberale. Non potremo tornare a vivere dignitosamente altro che con la nascita di una grande forza liberale, che non abbia remore a dichiararsi tale e ad agire come tale. È quella di una forza liberale un vuoto che affligge l’Italia da decenni.

Da ultimo quel vuoto è stato coperto, camuffato dalla presenza di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi che, in effetti, lo concepì in un primo momento come un “partito liberale di massa”, ma che poi ripiegò su quello che gli sembrava il più facile e “digeribile” dal Paese, cioè un “partito dei moderati”. Una sorta di nuova Democrazia cristiana. Anche se a questo partito si sono cercati di dare significati diversi nel lessico della geografia politica, partito dei moderati rimane e rimarrà sempre un non senso.

Moderati: come dire non eccessivi, “non troppo”, “abbastanza ma non oltre”. Partito del non troppo! Ma che cosa dovremo essere “moderatamente” non ce lo dice Berlusconi e non e lo dirà nessuno.

Per questo credo che sia bene non dimenticare una figura che, ritenuta classificabile come appartenente all’area di Forza Italia e di Berlusconi, è la personificazione dell’antitesi della moderazione. Gli si rimprovera di non conoscere moderazione. Parlo, lo avrete capito, di Vittorio Sgarbi. Non è facile dirsi d’accordo con lui anche se è impossibile non riconoscere che il suo spirito, la sua cultura, ma anche il suo stile, apparentemente solo screanzato, sono doti essenziali perché ci si possa dire liberi e liberali. Senza un po’ di “sgarbismo” non c’è e non ci sarà una forza che possa dirsi liberale e democratica.

 Lo sta dimostrando con il modo in cui tiene testa all’andazzo di questo populismo becero al potere, di questi “Amici del Bar dello Sport”.

Giorni fa, senza falsa modestia ha dichiarato, e a mio parere ha dimostrato, di essere stato lui a sconfiggere a Ferrara, la sua città, la Sinistra da sempre al potere in quel Comune. Ha fatto così una lezione sulla forza della cultura e della ragione. Certo, se avremo finalmente un partito liberale, tale non “moderatamente”, non vi troveremo Sgarbi docile militante. Non è fatto per dar prova di spirito collaborativo. Ma la ragione e la cultura sono sempre personalissime e, al contempo, universali.

 

Non vi domandate il perché di questo mio rimuginare, di questo mio omaggio, che, poi, non è tale, ad un amico (che mi avrà dimenticato). C’è bisogno di verità e se la verità ci offre qualcosa di percepibile, quale figura concreta apprezzabile sarebbe stolto non darne atto.

 

 

 

L’ETERNO RITORNO DELLA TIRANNIDE.

DALLA REALTÀ ANALOGICA A QUELLA VIRTUALE.

Leussein.eurom.it-Angela Arsena-(13-5-2020)-ci  dice:

 

Ogni governo tirannico ha sempre preteso il controllo assoluto sin nelle stanze del privato e in questo senso appartiene ad una realtà storica primitiva, tribale e a-democratica.

Si cercherà qui in prima istanza di analizzare i caratteri tribali e violenti delle vecchie e delle nuove comunità virtuali mostrando come il villaggio-Web, ancorché globale, lontano dalle dinamiche di un’autentica Polis democratica, non sia automaticamente libero e immune dai pericoli della tirannide e del totalitarismo.

Si tratta di una riflessione sulle dinamiche educative e politiche che ruotano attorno alla consapevolezza che il villaggio globale, inteso come realtà iperconnessa, possa rivelarsi, al pari delle primitive realtà umane anteriori alla Polis, una realtà chiusa, a tratti tribale e a rischio tirannide digitale, con i nuovi provider (Facebook, Google, ecc.) che, come nuovi sovrani, autorizzano, determinano o negano l’esistenza altrui, determinando o negando la possibilità di una identità digitale: lo stare al mondo contemporaneo, infatti, coincide sempre più con lo stare in Rete e questo stare in Rete assomiglia talvolta alla condizione di una perpetua sottomissione ad un tiranno.

 

1. PRODROMI STORICI E METAFISICI DELLA TIRANNIDE.

Racconta Cicerone che il tiranno Dionigi I di Siracusa aveva adibito una latomia come carcere per prigionieri politici: questa grotta, simile ad un lungo e alto corridoio nella roccia adiacente al Teatro, sarà non a caso battezzato in seguito dal pittore Caravaggio Orecchio di Dionisio  sia per la sua arcata esterna a forma di padiglione auricolare e sia perché il tiranno pare approfittasse dell’ottima acustica delle pareti per ascoltare i discorsi sediziosi dei prigionieri, individuando così quelli più pericolosi per poter procedere subito a sentenze capitali efficaci, esemplari e, soprattutto, tempestive.

Una leggenda più tarda, ma scarsamente documentata, ci dice che il tiranno siracusano avesse anche l’anomala abitudine di graziare solo coloro che sapessero dare prova di recitare interamente una delle grandi tragedie del repertorio teatrale greco: non sapremo mai quanto fossero colti e preparati i prigionieri rinchiusi nell’Orecchio di Dionisio, ma possiamo immaginare che, data l’altissima prestazione richiesta, alla fine fossero veramente in pochi a salvarsi.

Questi aneddoti mostrano alcune caratteristiche del prototipo del tiranno che verrà descritto da Diodoro Siculo, da Aristotele e da Plutarco i quali si soffermeranno sulla figura di Dionigi come archetipo e «terribile ammonimento per i posteri», insistendo su alcuni aspetti ricorrenti nell’ideal-tipo del tiranno in generale e del tiranno greco (o delle colonie greche) in particolare.

(Oggi è stato partorito un nuovo tiranno: la globalizzazione totalizzante ha inventato Klaus Schwab, il nuovo Dio terreno! Ndr.)

Questi particolari tipici della personalità del tiranno e che pare fossero presenti in Dionigi, sono riconducibili ad un quadro d’insieme caratterizzato da atteggiamenti quali la paranoia che sfociava nel timore continuo di essere in pericolo e di essere potenziale vittima di complotti10 e la volontà di mettere in atto tecniche di sorveglianza continua e coatta dove ogni parola, anche detta a bassa a voce e in prigione, avrebbe potuto essere intercettata e diventare capo d’accusa. A questi si aggiunge l’ ansia di potere che sfociava nel desiderio di un monopolio sulla polis o su una regione intera: non a caso Platone11(nelle cui pagine tuttavia Karl Popper individuerà i prodromi di tutte le ideologie totalitarie12) assimilerà la figura del tiranno ad un animale feroce: «da buon cane pastore del popolo si trasforma in lupo spietato» egli scrive nella Repubblica e con il lupo il tiranno condivide lo schema identitario che è fondato su una sostanziale privazione di libertà in senso metafisico ed esistenziale.

 

Entrambi (il tiranno e il lupo) sono infatti schiavi delle proprie paure e delle stesse bramosie: «chi è realmente tiranno è realmente schiavo».

La schiavitù è reale, tangibile, riconducibile allo stile di vita («temere la folla ma temere anche la solitudine, temere di restare senza guardie e allo stesso tempo temere chi è di guardia, non desiderare di vedere intorno a sé persone armate ma neppure desiderare di vederle disarmate» dice il tiranno Ierone nella riflessione di Senofonte sulla tirannide ma è schiavitù anche impalpabile e morale: il tiranno, ricorda sempre Senofonte, vive (male, diremmo noi) «come se fosse stato condannato a morte dall’umanità intera a causa delle ingiustizie commesse, così vive il tiranno, notte e giorno», e questa continua tensione accompagnata dalla pleonexia, dall’eccesso, o dalla fame di eccesso, dalla fame di potere rappresentano il peccato originale della tirannide. Una miscela di paura e di ingordigia che inoculata lentamente, come un farmaco che si trasforma in veleno, viene lentamente assunta nell’organismo democratico che sembra allevare al suo interno il figlio massimamente degenere: il popolo nutre il tiranno, scrive Platone, e «il popolo che ha generato il tiranno, poi manterrà lui e la sua corte».

Si tratta di una consapevolezza che attiene la sostanza della materia politica, ovvero la sostanza della convivenza e della buona convivenza nella polis, ma attiene anche la forma, ovvero le parole, la nomenclatura diremmo: Platone è qui chiarissimo e descrive proprio questa degenerazione linguistica che permuta e muta sin nel nerbo e nei gangli le parole, inficiandone il significato, modificandole ed esautorandole di senso. La mutazione politica dalla democrazia alla tirannide è mutazione che avviene all’inizio nell’ordine linguistico e successivamente nell’ordine fattuale delle cose e della realtà. Come una lenta mutazione genetica, diremmo: del resto se la democrazia coniuga il gesto politico con il gesto verbale, essendo l’arte del discorso e se, come scrive Gustavo Zagrebelsky, le parole della politica sono parole di per sé ambigue perché strumentali, in quanto parole del potere per il potere, e dunque prestano il fianco ad ogni manipolazione, allora se seguiamo il deterioramento e lo sgretolamento del significato dei termini e dei concetti si può efficacemente registrare lo sgretolamento della democrazia e parimenti si può intravedere il suo lento scivolare nel totalitarismo globalista.

Infatti, secondo Platone quando la libertà diventa licenza, quando la tracotanza diventa buona educazione, quando l’anarchia viene detta libertà, la dissipazione del denaro pubblico viene detta liberalità e l’impudenza diventa coraggio,allora la democrazia sfocia nella tirannide per un eccesso di bene e per un desiderio smodato, per una sete insaziabile di quel bene:

a mio giudizio quando uno Stato democratico, nella sua sete di libertà, si trova ad essere accudito da cattivi coppieri, bevendo di questa libertà allo stato puro e più del lecito, se ne ubriaca.

 

La consapevolezza della potenziale degenerazione della libertà e del potere del popolo in schiavitù o in potere di uno solo, ovvero la consapevolezza di questo slittamento dalla democrazia alla tirannide, sembra sia appartenuta in particolare agli Ateniesi (maestri di democrazia) i quali pare siano stati in grado di maturare (soprattutto dopo l’esperienza della tirannide dei Pisistratidi) una vera e propria tirannofobia nei confronti di quei politici che ostentavano atteggiamenti tali da suggerire quanto «ambissero alla tirannide»:

anche se consapevoli pragmaticamente che un eccesso di paura avrebbe potuto condurre a valutazioni errate (e un eccesso di paura nei confronti di un eventuale tiranno avrebbe potuto interrompere le sorti “magnifiche e progressive” della città) tuttavia gli Ateniesi preferivano correre il rischio di un eventuale svantaggio momentaneo della polis piuttosto che inciampare nella tirannide. Essi avevano acquisito un vero e proprio “occhio clinico” nell’individuare, come un radar percepisce un lontano segnale luminoso, le avvisaglie di un atteggiamento politico potenzialmente incline alla tirannide: dell’uomo pubblico non si stancavano di analizzare ed interpretare gesti, comportamenti, atti verbali e non verbali, atteggiamenti e posture e persino intonazione del timbro e della voce, con un’attenzione e un’ acribia che oggi, forse, potrebbero confrontarsi qualitativamente con ogni analisi politica o politologa svolta nei nostri rumorosi talk show e forse farebbero impallidire ogni nostrano interesse per il gossip.

Ad esempio, sempre nel trattato sulla tirannide di Senofonte, il poeta Simonide, da privato cittadino, chiede al tiranno Ierone, come nel corso di un’intervista o di una diretta televisiva, quali siano le differenze tra un uomo qualunque e un tiranno, e l’indagine, che si dipana lungo tutto il trattato e che verte sugli aspetti caratteriali e sulle predisposizioni psicologiche, finisce col coinvolgere addirittura le predilezioni sessuali, in un quadro d’insieme che, oggi come allora, veniva continuamente esposto al pubblico giudicante nelle vesti, di volta in volta, o di opinione pubblica o di spettatore.

 

Questo universo di significati e di significanti che avvolgono il tiranno e che vanno dal bisogno di essere sempre in guerra e di avere un nemico sino alla paura di perdere il potere e sino addirittura alla strenua difesa nei confronti dei poveri a danno dei ricchi (financo imitando i modi e l’abbigliamento del popolo sebbene si intravedesse già in questo una pericolosa demagogia), rappresentava, nella riflessione filosofica e politica greca, una vera e propria specializzazione, un insieme di technai, tra le quali spiccava e svettava l’adikia intesa non solo come dis-valore (l’ingiustizia) né come divinità (laddove l’immaginario mitologico greco concepiva Adikia come divinità orrenda, portatrice di inganno, errore e ingiustizia e non a caso sempre rappresentata nell’atto di venir strangolata dalla Giustizia, da Dike) bensì come vera e propria tecnica, un’arte della tirannide e della manipolazione (dei fatti e degli artefatti) e che conduce alla manutenzione del potere asimmetrico tra popolo e capo-popolo e fondato sulla prevaricazione perniciosa e sulla comunicazione perversa e alterata e alterante di quest’ultimo.

Anzi, anche quando il tiranno o i tiranni, con eloquenza magistrale, si schieravano a favore della virtù, della religione o della giustizia e dunque incitavano alla difesa di un patrimonio di valori comuni e condivisi (in questa direzione, ad esempio, i Pisistrati, anche al fine di mantenere saldo il proprio potere, pare alimentassero il culto emozionale e devozionale, talvolta superstizioso, del dio Dioniso), la critica, soprattutto intellettuale e, diremmo oggi, elitaria, nonché minoritaria, non rinunciava ad esprimere la propria perplessità: nell’orazione Contro i tiranni, di fronte agli ambiziosi intenti programmatici dei Trenta Tiranni, comunicati, diffusi e pare approvati e applauditi dall’Intelligencija greca, compreso lo stesso Platone, il retore Lisia scrive non senza una vena di sano scetticismo e ironia poi andarono al potere i Trenta… proclamando la necessità di far piazza pulita degli ingiusti e che tutti gli altri cittadini si volgessero al valore (areté) e alla giustizia (dikaiosyne).

 

In ogni caso, come si evince dalla visone espressa nella Repubblica, l’humus di ogni tirannide sembra essere la condizione dell’eccesso in tutte le direzioni: eccesso di indulgenza, persino eccesso di libertà (una totale illegalità, scrive Platone, chiamata «dagli istigatori della tirannide totale libertà»), o eccesso di servitù nei confronti di uno solo, addirittura eccesso di bellezza, eccesso di passioni, persino eccesso di parole, eccesso di impunità laddove i giovani insultano i precettori e, diremmo addirittura, eccesso di diritti arbitrari. In questo brodo di coltura maturano e proliferano gli agenti patogeni della tirannide che vanno ad attaccare l’organismo più esposto ovvero il popolo abbandonato alla ubris dissoluta e dissolutiva della demagogia.

Questa tracotanza (quasi prometeica, come prometeico nella sua grandiosa difesa dei propri interessi appare il tiranno) comporta una sostanziale cecità, quella condizione, cioè, che porta ad ignorare, o sottovalutare o minimizzare i segnali premonitori dei primi vagiti di una dittatura, tanto da non rendersi conto che «aromi, unguenti, corone, vini e piaceri dissoluti” sono condizioni a contorno di ogni tirannide, una sorta di “paese dei balocchi” sempre luminoso e aperto e disponibile, e con l’unica funzione di anestetizzare la critica, tappare con «un bavaglio ricoperto di miele», scrive Stanilław Jerzy Lec, la bocca dell’indignazione e dell’opposizione.

Nell’ubriachezza (che ha la sua radice proprio in quella ubris intesa sempre come eccesso) nasce la tirannide di uno solo ma anche la schiavitù dei molti che soggiacciono, inermi, al suo strapotere.

Non è un caso che tutta la discussione sulla tirannide che Platone conduce nel corso dell’VIII e IX libro della Repubblica è anticipata dal racconto del mito della caverna come monito e metafora propedeutica dei rischi della cecità e dell’ignoranza e che nella descrizione plastica assomiglia tanto, ma è solo una nostra suggestione, a quell’Orecchio di Dionisio che era al contempo prigione e cassa di risonanza, contenitore ed amplificatore di ogni umore, di ogni passione umana continuamente monitorata e sorvegliata.

2. ERMENEUTICA E FENOMENOLOGIA DELLA TIRANNIDE.

Di metafora in metafora è possibile approdare ad uno sguardo sulla realtà contemporanea capace di cogliere aspetti ulteriori rispetto a quelli evidenti ad un primo approccio storico-logico-inferenziale: in questo senso allora potrebbe essere utile e vantaggioso astrarsi, anche solo momentaneamente, dal dato storiografico, dall’evidenza dei fatti realmente accaduti (a Siracusa con Dionigi e ad Atene con i Trenta) e fermarsi e sostare sulle metafore le quali, proprio perché attinenti al mondo poetico, letterario, teoretico (a quella dimensione del poieo che, dice Aristotele, è condizione umana per eccellenza) possono diventare dei varchi facilmente attraversabili e capaci di condurci all’essenza delle cose, all’essenza, in questo caso della tirannide.

La caverna (del tiranno Dionisio e di Platone), la condizione di cecità e di ignoranza, nonché la consapevolezza di essere monitorati ed osservati, e persino la religione laddove essa sfocia nella superstizione diventano allora paradigmi perpetui e sempre validi per interpretare la tirannide e sostare, usando la locuzione aristotelica, perí ermeneias, intorno alla tirannide come stato in luogo figurato, intorno all’ermeneutica della tirannide e della sua fenomenologia sempre uguale a se stessa, come caratterizzata dalla ciclicità di un eterno ritorno dell’uguale.

Se le tirannidi, ovvero ogni realtà totalitaria, rimangono un corpo estraneo alla politica e se per politica qui si intende l’arte della convivenza e della buona convivenza nella polis, allora in questa accezione forse tutte le dittature e tutte le tirannie si somigliano, pur sprigionando forze telluriche diverse come due terremoti che mai uguali nell’intensità, potrebbero tuttavia essere uguali negli effetti. Pur appellandosi a strati diversi della popolazione, infatti, pur provocando derive diverse nella società e crisi di assestamento, come accade nella tettonica a zolle da tempi geologici, le tirannidi si assomigliano. E se il Novecento ha avuto esperienza di tirannie e di sistemi totalitari, allora lo stesso Novecento può essere chiave di lettura per interpretare la tirannide di ieri e metterci in guardia da potenziali tirannie future.

È senz’altro vero in ogni caso che occorra uno sguardo storico e occorra una valutazione delle temperie culturali e sociali che hanno dato vita e forma alle tirannie politiche, tenendo conto certamente della distanza, talvolta millenaria, tra il passato e il presente e facendo uso e buon uso di una qualità ricognitiva che sappia e possa metter in chiaro i limiti di una comparazione storica. Ma qui vogliamo credere fortemente che l’interpretazione delle metafore, come varchi di conoscenza dell’umano, come condizioni per un’ermeneutica dell’inesauribilità del reale, possano diventare occasioni d’intesa ancora disponibili per una comprensione e per un’analogia tra noi e gli ateniesi, tra noi e i siracusani sotto Dionisio, nonostante le diverse condizioni culturali di partenza e di appartenenza.

Ed allora sostiamo ancora intorno all’Orecchio di Dionigi (metafora della realtà storica) e intorno alla Caverna di Platone (metafora della realtà filosofica) per avvicinarci al senso ultimo della tirannide (oggetto di realtà politica), al di là della lontananza secolare e nonostante la nostra condizione contemporanea non abbia nulla a che fare con la prigionia dei condannati di Dionigi e di Platone, e nonostante essa sia anzi una condizione molto più felice per i progressi tecnici e culturali che facilitano la nostra esistenza.

Ed allora più che la storia è forse la letteratura, labirinto e culla di metafore, il vero sismografo per registrare l’andamento delle tirannidi e per condurci, come lettori e cittadini della polis contemporanea e globale, nella direzione di un’ermeneutica della tirannide attraverso i suoi molteplici sentieri, senz’altro non interrotti, e per offrire una griglia interpretativa della realtà contemporanea facilmente paragonabile a quella condizione politica e psicologica già vissuta dall’umanità secoli addietro. Per traghettarci, in altri termini, dalla Siracusa e dall’Atene del V secolo a. C. al nostro Novecento e da qui alla realtà contemporanea.

Ad esempio, ne Il mondo nuovo (1932), Aldous Huxley prevedeva, seppur nelle more di un romanzo, la rovina dell’umanità attraverso l’intrattenimento trasformato in strumento di controllo sociale più efficace e più efficiente della coercizione e della violenza.

Nel romanzo utopico di Huxley per la nuova umanità manipolata e formattata dallo slogan “Community, Identity, Stability” è considerato conforme alle regole sociali essere molto mondani, aver cura del corpo ed essere buoni consumatori di prodotti.

 È invece inaccettabile e assolutamente pericoloso per sé e per gli altri passare del tempo in solitudine, essere monogami, astrarsi e allontanarsi dalla Community, dove “ognuno appartiene a tutti gli altri”, o meglio, ognuno è legato agli altri, connesso agli altri (anche fisicamente), interconnesso agli altri, in una prossimità fisica e logistica claustrofobica da villaggio inteso qui non con l’attributo globale ma nel significato antico di piccolo borgo, di realtà dove tutti si conoscono e tutti parlano a tutti, tutti parlano di tutti.

Ogni forma di educazione viene sostituita da forme di condizionamento (condizionamento dall’alto e condizionamento reciproco) considerato lecito e legittimo in una società programmata per negare gli affetti più intimi e dove la nomenklatura ammessa ripudia come offensivi gli epiteti tradizionali che indicano le relazioni affettive per imporre solo generici legami amicali: una società orientata alla perpetua armonia (lontana dalla sana dialettica nella quale si costruiscono gli universi affettivi, teoretici, culturali e politici) dove ognuno viene inviato ad amare la propria collocazione sociale proprio come, diremmo, la formica operaia nel formichiere ama il suo ruolo infinitesimale e mai ambirebbe al ruolo di regina, forse addirittura guardata con disprezzo come rappresentante di un’elite.

Infine, come antidoto ad ogni forma di possibile infelicità viene distribuita gratuitamente una droga al contempo euforizzante e calmante, capace di addomesticare l’uomo e renderlo più docile e disponibile alla coercizione sottile, impalpabile, ridente, ridanciana e luminosa della quale è prigioniero a sua insaputa.

Un solo individuo sembra sfuggire (per caso, per sbaglio e per errore in questo nuovo mondo di autentica ingegneria sociale) al meccanismo politico perfettissimo che come tritacarne annulla la singolarità umana a favore di un’identità collettiva alienante, e quest’uomo avverte tutta la perversione della neolingua fatta di slogan politici e sociali nella quale si viene allevati e percepisce la felicità liquida e interconnessa nella quale è immerso come artefatta e manipolata, una sorta di “Truman show” dove si sta come pesci in un acquario inconsapevoli dell’esistenza dell’oceano, e dove tuttavia la sua esistenza di singolo (“quel singolo” alla maniera di Kierkegaard), si trascina come esistenza disconnessa, asociale, disadattata, potenzialmente pericolosa o quantomeno strana, straniera, straniante.

In questo scenario la cultura, che ha o dovrebbe avere il compito di traghettarci «fuori dalla caverna di Platone non in gruppo ma ad uno ad uno», come auspicava Nicola Chiaromonte, viene fatalmente sacrificata come primo capro espiatorio ad un mobilismo universale, globale e collettivo che amalgama oggetti, informazioni e scambi senza altre preoccupazioni che non il buon funzionamento dell’ingranaggio, del processo che dirige il suo flusso e che va nella direzione di una compattezza, di una monoliticità di intenti, di volontà, di pensiero che assomiglia tanto ad una condizione totalitaria e totalizzante dove l’uno viene fagocitato nel tutto, nel continum indifferenziato e affollato.

 

Il sacrificio della cultura (intendendo con essa anche tutte le istituzioni che dovrebbero diffonderla) impedisce di sollevare spiritualmente, intellettivamente, politicamente e moralmente l’umanità; una cultura così mortificata e ridimensionata assomiglia, secondo Zygmunt Bauman, ad un mero prodotto rivolto ad una platea di consumatori, costituita da offerte e non da norme, meno che mai da norme morali o etiche. Una cultura siffatta sarebbe intrisa di seduzioni e non di regole prescrittive, di pubbliche relazioni e non di controlli, condizione solo di nuove esigenze, desideri, bisogni e capricci ma non coscienze, occasione di incontri, di ricreazione ma non di riflessione. Specchio, in altri termini, della società liquida e digitale.

 

Rinunciare a canoni ben definiti, abbandonarsi alla mancanza di discernimento, assecondare ogni gusto senza privilegiarne alcuno, incoraggiare la discontinuità e la flessibilità (termine diffuso e politicamente corretto per descrivere la mancanza di spina dorsale) e idealizzare l’instabilità e l’incoerenza […] una prerogativa encomiabile e appropriata a una società dove le reti si sono sostituite alle strutture, e il gioco di avvicinamento/distacco e una serie infinita di connessioni e disconnessioni si sono sostituiti alla capacità di determinare e stabilire.

 

La leggenda siracusana racconta che per uscire incolumi dall’Orecchio di Dionisio occorreva dimostrare di possedere una conoscenza alta, di essere in grado di recitare la poesia del tempo dopo averla evidentemente distinta da prodotti commerciali, diremmo, e dunque occorreva mostrare di essere informati, colti, padroni di un sapere non certo piegato su obiettivi minimi. La leggenda, anche se poco documentata, ha però, come tutti i miti, un fondamento universale e teoretico nella consapevolezza che solo la conoscenza può salvare l’umanità dalla tirannide e da un destino di schiavitù, o anche dal capriccio di un despota.

Ma di quale conoscenza parliamo? Si tratta di una cultura scolastica o nozionistica oppure di una coscienza e di una sapienza più alta, metafisica diremmo ed attinente all’universo esistenziale? E soprattutto: la contemporaneità rischia di finire in uno scenario da rinnovata tirannide, in una nuova caverna platonica dalla quale diventa più complicato uscire non tanto per una difficoltà intrinseca quanto piuttosto per il fascino che essa potrebbe esercitare, per un senso di piacevolezza nel sostare al suo interno, come se la caverna fosse il luogo di quell’intrattenimento che anestetizza, secondo i presagi di Huxley?

La letteratura, come fucina di metafore esistenziali, ci ricorda con Carlo Collodi, ad esempio, che Pinocchio non voleva allontanarsi dal paese dei balocchi e che questa sua ostinazione avrebbe potuto costargli la condizione perpetua di burattino e non di essere umano, e sempre la letteratura con Franz Kafka ci racconta del grande teatro di Oklahoma come di una realtà dove tutti sono felici ma alla maniera delle marionette, trascinati come automi verso un luogo imprecisato dove si viene reclutati per svolgere un lavoro poco chiaro in un’impresa dalle finalità oscure, dove viene sacrificata quella vocazione al pieno  aristotelico, al fare, al pensare e al poetare che ci umanizza, e dove l’allegria è artificiale, forzata, a tratti inquietante.

Entrambe le situazioni appaiono l’anticamera della schiavitù e della servitù, ed entrambe sono caratterizzate da una condizione preliminare imprescindibile: l’abbrutimento intellettuale. Del resto Lucignolo muore nel paese dei balocchi dopo aver subito la sua metamorfosi irreversibile in asino che nell’immaginario infantile collettivo è proprio sinonimo di una non volontà di pensiero, di ragionamento.

 

Hannah Arendt (secondo la quale proprio dalla condizione del non-pensare deriva il male) indagando la fenomenologia della tirannide nel Novecento con uno sguardo retrospettivo, ci ricorda che esiste anche un volto sorridente, ameno, ilare della tirannide dal quale occorre guardarsi per non cadere nell’antica trappola politica volta ad attirare il consenso popolare attraverso forme di distrazione le più varie per allontanare l’attenzione dai giochi di potere:

il guaio è che queste forme di governo non è tanto che sono crudeli (anzi spesso non lo sono) ma piuttosto il fatto che funzionano troppo bene.

 I tiranni, se sanno il fatto loro, possono ben essere “miti e gentili in ogni cosa” come Pisistrato, il cui governo anche nell’antichità fu paragonato all’età d’oro di Cronos;

le loro misure possono apparire veramente non tiranniche e benefiche […] Ma tutti hanno in comune l’esclusione dei cittadini dalla sfera pubblica e l’insistenza con cui li invitano a badare ai propri affari mentre solo chi governa “deve attendere agli affari pubblici” […] Sono i vantaggi a breve durata della tirannia, i vantaggi della stabilità, sicurezza e produttività, da cui ci si deve guardare se non altro perché aprono la strada a un’inevitabile perdita di potere, anche se le loro reali conseguenze disastrose possono verificarsi in un futuro relativamente lontano.

3. DALLA TIRANNIDE ANALOGICA A QUELLA DIGITALE.

Probabilmente questo futuro “relativamente lontano” è proprio sotto i nostri occhi, posti come siamo di fronte ad una mutazione tecnico-antropologica che ha invertito e trasformato, talvolta trasfigurato, sin nel profondo, tutti i processi di trasmissione, acquisizione, elaborazione della conoscenza umana, sia del pensiero teoretico (che rappresenta al contempo il solo baluardo alla tirannide e il solo antidoto per scongiurarla) e sia del pensiero pratico (la tecnica) attraverso l’hardware e il software.

 La Rete e la diffusione di infrastrutture e architetture e piattaforme digitali sempre più complesse, sempre più interconnesse, hanno modificato non solo il nostro sguardo sul mondo e il gesto ermeneutico, interpretativo dell’uomo sulla realtà, ovvero la rappresentazione del mondo, bensì hanno modificato anche il nostro modo di “stare al mondo”, il nostro abitare la polis, e dunque anche la nostra relazionalità nella polis attraverso nuove forme di socializzazione e di socialità digitale (social connection).

Tutto questo non può non avere un precipitato filosofico, esistenziale e pratico rilevantissimo nelle dinamiche politiche e di potere, nella gestione del governo o del buon governo della polis, se è vero, come spiega Aristotele, che l’uomo ricava dal suo bisogno di stare in società la sua ambizione e la sua vocazione massima di zoon politicon, di animale politico per eccellenza.

La politica non è arte che si pratica in solitudine (nello stare solo e pensoso) ma è arte, tecnica che si applica nella mediazione, nel medium della relazione e nella relazionalità, nel medium del piccolo gruppo, della tribù, del villaggio, della città, della metropoli, e nel medium delle passioni, diremmo, nel giusto mezzo, tenendo lontano la ubris e l’eccesso.

E se oggi la tribù, il villaggio e la città sono tribù, villaggio e città digitali o costruite su strutture portanti digitali e se gli spazi di relazione si ricavano nelle nuove agorà digitali, e se i luoghi di manifestazione delle proprie passioni ed emozioni sono diventate le infrastrutture digitali, di questo occorre tener conto nella riflessione politica e nell’analisi di ogni forma di autoritarismo.

In altri termini, una critica del giudizio politico, anche del giudizio politico della tirannide, passa da una critica della ragion pura digitale e da una critica della ragion pratica digitale, e da una critica del nostro nuovo modo di stare al mondo digitale, non senza chiederci se la nostra condizione di zoon politicon digitali sia quella di cittadini di una nuova Siracusa digitale (al cui centro troviamo un nuovo Orecchio di Dionisio digitale, una latomia digitale, fatta di bit, di like, di selfie e non di roccia) o piuttosto assomiglia alla condizione di cittadini di una nuova Atene digitale, che ha maturato al suo interno sane forme di tirannofobia.

 

Ma per stanare la tirannide digitale là dove essa potrebbe annidarsi, dovemmo tener conto della chiave interpretativa di Huxley e di Hannah Arend e dovremmo allora cercare una risposta non nei palazzi del potere ma nei luoghi della socializzazione e del divertissement, ancorché digitale, che oggi animano la vita sociale della nuova polis, e che possono essere di volta in volta o causa di una distrazione fatale che ci allontana dal gesto politico e democratico, o al contrario possono rivelarsi gli snodi principali, le agorà della nuova opinione pubblica che smaschera il tiranno o lo sottomette allo sguardo di quell’occhio clinico tirannofobico di cui gli Ateniesi erano portatori.

 

4. INTORNO ALLA NUOVA CAVERNA DIGITALE DI PLATONE.

Questi interrogativi scomodano problematiche di tipo ontologico e metodologico, nonché educativo, prima ancora che problematiche politiche. La connrandi monopolisti della Rete è diventata il nuovo habitat dell’umano, la condizione dell’antropocene digitale, producendo una rivoluzione copernicana nel rapporto con lo spazio e con il tempo in quanto abbatte ogni barriera fisica nella disponibilità di ogni tipo di informazione e di conoscenza in un continum qui ed ora. L’esposizione ininterrotta alle informazioni ha reso possibile quello che Douglas Rushkoff chiama «presente continuo»: la frantumazione del tempo in centinaia di frammenti convergenti verso una sola necessità, ovvero esperire tutto nello stesso momento in cui si compie, pena il non-esserci. E difatti questo tempo presente dilatato in un unico grande, infinito, totalitario istante viene attraversato dal nostro io virtuale nelle social connection, e riveste gli atti del nostro esserci virtuale.

 

Al di là delle problematiche giuridiche dovute alla manipolazione di chi gestisce la comunicazione su scala globale, e al di là del fatto che la nuova comunicazione virtuale ha preteso che ciascun essere umano si consegni ad un editor il vero dato interessante ai fini della nostra discussione è che questo spazio-tempo virtuale è popolato da realtà digitali che simulano, imitano la realtà (come le ombre proiettate sulla parete della caverna) e che vengono spacciate per verità anche quando non lo sono.

Si tratta di uno spazio attraversato da una linea che simula lo scorrere temporale ma in realtà è un tempo immobile, paralizzato, legato ad un eterno presente sempre fruibile, sempre accessibile (non esistono i siti del “giorno prima” così come potrebbe esistere un giornale del giorno prima, eppure il tempo dell’umano scorre con tutte le sue vicende, eppure l’umano cambia ogni giorno a dispetto di un profilo virtuale immobile e pietrificato, eppure il tempo dell’umano è un tempo narrativo, un tempo che ha una trama suddivisa, scandita dal divenire) e che riproduce la condizione dei prigionieri della caverna, legati e costretti a guardare le stesse immagini, a guardare in un’unica direzione. La falsa credenza che questa realtà proiettata sullo schermo digitale sia non soltanto la sola realtà possibile (buona parte della nostra relazionalità, della nostra predisposizione alla socialità e al dialogo anche politico si consuma nello spazio virtuale, come se fosse l’unico spazio disponibile) ma anche realtà più vera e verosimile deriva dal fatto che i contenuti digitali hanno acquisito una sorta di primato ontologico sui contenuti analogici dovuto alla velocità con la quale vengono prodotti, trasmessi, visualizzati, usati, fruiti e rimbalzati.

Si tratta di una credibilità fondata sulla ridondanza, sulla facile reperibilità, finanche sulla quantità di materiale a disposizione e infine, e non ultimo, sulla velocità con la quale essa viene trasmessa. Come in un gioco a quiz dove il concorrente che ha il pollice più veloce nello schiacciare il tasto di prenotazione della risposta ha priorità sull’altro concorrente più lento, ma forse anche più riflessivo, così in Rete la velocità è un valore intrinseco e garanzia di credibilità.

A questa fallacia logica si accompagna l’universo empatico che caratterizza il nostro predisporci quotidiano in Rete dove la velocità con la quale i contenuti vengono trasmessi genera un effetto giostra piacevolissimo dovuto al vortice digitale che assomiglia alla condizione di chi fluttua, sorvola, naviga a grande velocità sulla realtà: il sogno di Icaro, la realizzazione della libertà che ha come ali conoscenza e sapere digitale, spesso ci rende incuranti del fatto che, proprio come in una giostra, si sorvola in tondo sempre lo stesso frammento di spazio. La grande prateria della Rete è infatti generalmente suddivisa in piccole grandi tribù sociali, community virtuali che condividono gli stessi interessi, le stesse predisposizioni (come una moderna rappresentazione degli ideali di Community, Indentity and Stability de Il mondo nuovo) e sono rare le incursioni verso tribù sociali e virtuali completamente estranee se non per attacchi offensivo-digitali diremmo (se non per azioni riconducibili ad un cyberbullismo dei minori e degli adulti): il grande nomadismo sociale che la Rete probabilmente permetteva sin dai suoi primi vagiti si è presto trasformato in una sostanziale sedentarietà culturale, politica e teoretica (da pensiero unico) e da nomade, quale avrebbe potuto essere e rimanere, l’homo tecnologicus-digitale si è presto trasformato in un homo stanziale, anche abbastanza ostile e teso a difendere strenuamente il proprio territorio virtuale fatto di conoscenze in termini relazionali e gnoseologici, rinchiudendosi in congreghe o sette virtuali che coltivano la stessa religione (alimentare, politica, sanitaria, educativa, economica, morale), la stessa rappresentazione del mondo.

Ora, queste condizioni della comunicazione digitale sono apparentemente prossime alla libertà di parola e di espressione di cui è impregnata ogni democrazia contemporanea ma occorre che si accompagnino ad una consapevolezza fondamentale ovvero che la realtà iperconnessa potrebbe essere talvolta del tutto incompatibile con il modus operandi di una buona istituzione e di un buon governo la cui arte di amministrare è fondata su un continuo bisogno di feedback che richiedono tempi molto dilatati. Forse è questa la consapevolezza più alta alla quale pervenire e che non corrisponde ad un mero nozionismo ma ad un livello di coscienza e di conoscenza di grado superiore, perché quando si parla di lentezza non ci si riferisce ai tempi della burocrazia senz’altro lunghi ma in senso deteriore e obsoleto, bensì ai tempi della riflessione, della concentrazione, dell’attenzione, dell’elaborazione, della giusta deliberazione.

Le democrazie contemporanee sono spesso, a livello strutturale, ben pensate per favorire questa fertile lentezza e ponderatezza che serve ad una giusta mediazione tra le parti (la doppia camera di un Parlamento, ad esempio, potrebbe andare in questa direzione) ma il problema che qui ci interezza è il problema della partecipazione alla quaestio democratica, ovvero il problema educativo che investe in prima istanza la vita associata e in seconda istanza l’esperienza comunicativa.

 

5. STRATEGIE DI USCITA DALLA TIRANNIA (DIGITALE) CONTEMPORANEA.

La democrazia come condizione antitetica alla tirannide è un processo perennemente in fieri, lontano da ogni forma di pietrificazione, lento nei suoi movimenti, orientato alla mediazione tra le parti, ovvero ad un dialogo continuo e non meramente interlocutorio o limitato alla prossimità dell’interlocutore, e che va analizzato alla luce delle nuove forme di socializzazione e comunicazione virtuale, soprattutto perché queste ultime, per una curiosa forma di sineddoche (la parte per il tutto) non siano confuse con il cuore della democrazia. Il cuore della democrazia, secondo John Dewey, sta infatti nel rapporto con l’educazione e con l’accesso a quella consapevolezza più alta di cui sopra:

Qualsiasi educazione data da un gruppo tende a «socializzare» i suoi membri, ma la qualità e il valore della socializzazione dipendono dalle abitudini e dallo scopo dei gruppi […] Ora in un qualsiasi gruppo sociale, anche in una banda di ladri, troviamo qualche interesse comune, e una certa quantità di interazione e relazioni di cooperazione con altri gruppi […] Quanto vari sono gli interessi consciamente condivisi? Quanto è completo e libero lo scambio con altre forme di associazione? Se applichiamo queste considerazioni, per esempio, a una banda criminale, troviamo che i legami che tengono insieme consciamente i suoi membri sono pochi di numero, riducibili quasi al comune interesse nel bottino; e che sono di natura tale da isolare il gruppo da altri gruppi riguardo allo scambio dei valori della vita. Perciò l’educazione fornita da una simile società è parziale e deformata.

 

Per Dewey la democrazia è qualcosa di più di una forma di governo, ma è prima di tutto vita associata ed esperienza comunicata. Vita associata significa l’estensione nello spazio del maggior numero di individui che considerano l’azione degli altri non un limite alla propria azione, non uno steccato alla propria libertà, bensì un’occasione per muoversi nella direzione di una maggiore consapevolezza del vivere in comunità (che non è solo mera community, diremmo oggi, tanto più digitale) perché essi non siano sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capirebbero il significato e la connessione. Ne seguirebbe una confusione nella quale un piccolo numero di persone si impadronirebbe dei risultati delle attività altrui cieche e dirette dall’esterno.

Ne seguirebbe, in altri termini, non tanto e non solo il predominio di una tribù più forte (numericamente, ideologicamente) sulle altre tribù più deboli, ma ne seguirebbe una situazione di monopolio da parte di chi è in grado di approfittare di questa divisione.

Negli anni Sessanta, in maniera profetica, Lyotard scriveva a proposito delle condizioni della conoscenza che si intravedevano nella società contemporanea e che stavano per provocare quel capovolgimento di paradigma nelle dinamiche sociali e comunicative.

Ammettiamo, per esempio, che un’impresa come la IBM sia autorizzata ad occupare un corridoio orbitale attorno alla Terra per piazzarvi dei satelliti di comunicazione e/o delle banche di dati. Chi vi avrà accesso? Chi deciderà quali siano i canali e i dati riservati? Lo Stato? Oppure esso sarà un utente come tutti gli altri? Nascono in tal modo nuovi problemi giuridici ed attraverso di essi si pone la domanda: chi saprà?

Basterebbe sostituire il riferimento alla (longeva) IBM con una qualsiasi realtà tecnica e tecnologica oggi a nostra disposizione, con l’autostrada delle Rete occupata dai grandi Provider monopolisti, ad esempio, per cogliere in quell’interrogativo finale sul detentore di conoscenza il riproporsi dell’interrogativo filosofico ineludibile.

La democrazia (anche quella digitale) che porta al ripudio e alla fobia della tirannide (anch’essa digitale) e che vuole contrapporsi a tutte le sue forme, scongiurandone l’eterno ritorno, ci invita ad uscire dalla caverna di Platone nella quale ci siamo volontariamente rinchiusi, con forme di socializzazione digitale che simulano le vecchie tribù primitive dove la nostra persona viene recintata con le sue abitudini, i suoi interessi e consegnata alla discrezionalità di nuovi Dionigi che hanno la possibilità illimitata di vendere questi dati e queste informazioni, di ascoltare e monitorare ogni espressione comunicativa, traendone in prima istanza indubbi vantaggi economici e commerciali e forse traendone dopo anche dei vantaggi politici nella direzione di un controllo capillare, totalitario dell’esistenza.

 

La democrazia di cui parla Dewey ha infatti bisogno di una dimensione educativa che scomodi una consapevolezza esistenziale, non nozionistica né scolastica, bensì consapevolezza dell’irriducibilità della persona, della sua singolarità: quella consapevolezza, scrive Primo Levi, da cui viene la vera libertà dell’uomo, anche dell’uomo in catene.

 

Da cittadini della polis globale, interpellati dalla quotidiana, ormai imprescindibile interlocuzione “sei su Facebook?” dovremmo, con nuova consapevolezza etica ed ermeneutica, rispondere in prima istanza e in prima persona “No. Sono qui. Sono qui ed ora e sono qui di fronte a te. Sono qui con la mia irriducibilità e la mia finitudine”, e non perché non si possa o non si debba stare su Facebook, ma perché da abitanti di una nuova Atene digitale dovremmo essere consci, orgogliosamente e responsabilmente consci, che quello stare su Facebook non è e non potrà mai essere l’unico modo di stare al mondo.

Abitare la polis globale vuol dire riscattare un’identità completamente appiattita sulla sola forma e sulla sola modalità fenomenica dell’identità virtuale e ricondurre e ridimensionare quest’ultima solo a ciò che essa è o dovrebbe essere: un segmento della persona, un’appendice e non la più vitale. Abitare la polis globale vuol dire altresì recuperare la dimensione del tempo come imitazione dell’eterno, come contenitore dell’intelligenza e della volontà, come coordinata entro la quale si colloca la posizione dell’uomo che, nel suo essere intrinsecamente desituato, può trovare nel tempo la dimensione dell’autenticità dell’esserci: esperire il mondo ed esperire la realtà comporta l’impiego e l’esercizio di tutto l’essere e nell’attraversare il teatro dell’esistenza ci si ritrova a dover rivestire innumerevoli ruoli, molti di essi fortemente identitari e non comprimibili in un profilo virtuale, che come Orecchio di Dionigi virtuale ci vede rinchiusi e alle prese con il problema di come sintetizzare, zippare noi stessi. Foto e video, selfie e commenti (anche se condivisi) ma potrebbero esaurire la complessità poliedrica e l’incommensurabilità dell’umano.

Stare al mondo significa essere autenticamente presenti a noi stessi nell’esercizio del nostro variegato esserci che comporta in prima istanza un esserci nel tempo: non un impiego di tempo né uno spreco di tempo, bensì un attraversare il tempo, forse un interiorizzare il tempo, uno stare sul tempo.

Nell’attraversare i sentieri della consapevolezza dello stare al mondo senza distrazione (proprio senza quella distrazione fatale che ci disumanizza e di cui parlava Pascal) che si recupera infatti quella dimensione autenticamente umana del tempo già intravista da Agostino quando, in una delle più belle riflessioni poetiche delle Confessioni, «in te, anima mia, misuro il tempo» legherà per sempre, nella coscienza occidentale, il contenuto del tempo al contenuto esistenziale della singolarità e dell’individualità dell’uomo, rivelando così che la consapevolezza dell’abitare il tempo è consapevolezza dell’esistenza con tutto ciò che essa porta con sé con gli eventi, le scelte, gli incontri, gli amori che diversificano ogni vita da un’altra: con il filo della voluntas spesso a noi ignota, eppure profondamente nostra, che sembra determinare il nostra destino.

 

La dimensione esistenziale che caratterizza l’uomo è riconducibile alla sapienza primaria e originaria di stare e di essere in un tempo e in uno spazio: se dividessimo il tempo della giornata nei variegati segmenti della nostra identità (essere madri e padri, ma al contempo anche figli, e al contempo lavoratori, e al contempo…) e se dedicassimo ad ogni segmento l’attenzione, la presenza anche d’animo necessaria per viverlo interamente, autenticamente, vedremmo come il segmento temporale vissuto per esercitare e vivere ed aggiornare un’identità virtuale, che è solo una delle infinite identità, si ridimensionerebbe e diventerebbe un frammento di tempo analogo (o inferiore) per estensione e valore a tutti gli altri frammenti di tempo durante i quali si esercitano le diverse forme identitarie del nostro esserci.

 

Ora, nel villaggio globale l’identità virtuale non è considerata una delle tante infinite identità: essa coincide con l’intero dell’identità, ed ecco perché fagocita ed erode il tempo, s’insinua come un tarlo negli altri segmenti e non lascia spazio e non lascia scampo e chiede continua attenzione. L’identità virtuale s’impone come ladra di tempo, una sorta di catena a cui l’uomo si lega dalla testa ai piedi e, come diceva Gadamer a proposito delle schiavitù imposte dai nuovi media, «chi ha le chiavi di questa catena è una nuova élite che esiste solo per schiavizzare l’umanità con le immagini e con la sua frusta elettronica.

Che le immagini siano le proprie o siano le immagini di coloro che conosciamo e che cerchiamo nella Rete delle relazioni, poco importa: si sta sempre come prigionieri nella caverna platonica, condannati alla fruizione di un’eterna fiction.

 

 

 

I democratici hanno creato

uno stato nazista in America.

paulcraigroberts.org-(28 agosto 2022) - ci dice:

 

Paul Craig Roberts.

Il ministro della propaganda nazista Goebbels e i capi della Gestapo Goring e Himmler sono vivi e vegeti nel Partito Democratico.

 I media riportano ciò che il Partito Democratico vuole riportare e nient'altro, e l'FBI funge da polizia politica che incastra i repubblicani mentre si rifiuta di indagare sul laptop di Hunter Biden e sulle e-mail di Hillary Clinton.

L'FBI ha detto a Mark Zuckerberg di Facebook di non permettere commenti sul laptop di Hunter Biden perché si trattava di disinformazione russa.

Suckerman fece clic sui talloni e disse "Jawohl".

(redstate.com/nick-arama/2022/08/25/smoking-gun-mark-zuckerberg-makes-big-admission-to-joe-rogan-about-fbi-censorship-and-hunter-biden-n617962)

(foxnews.com/media/mark-zuckerberg-tells-joe-rogan-fbi-warned-facebook-of-russian-propaganda-before-hunter-biden-laptop-story)

 

L'FBI e il Dipartimento di Giustizia (sic) si rifiutano di rispondere alle domande del senatore repubblicano degli Stati Uniti Ron Johnson, membro di rango, sottocommissione permanente per le indagini.

 Il senatore Johnson vuole sapere perché il DOJ e l'FBI hanno approfondito le indagini sulle informazioni sul laptop di Hunter Biden, come è stato riferito al Senato degli Stati Uniti dagli informatori dell'FBI.

Il corrotto DOJ sostiene che l'indagine sulle informazioni del laptop metterebbe a repentaglio l'indagine da parte dell'ufficio del procuratore degli Stati Uniti nel Delaware sulla conformità fiscale di Hunter Biden. Questa, ovviamente, è una falsa scusa.

Alcune informazioni sul laptop aiuterebbero l'indagine fiscale se, in effetti, è in corso. Le altre informazioni sul laptop, come tutti sappiamo, riguardano questioni completamente diverse che giustificano le proprie indagini, indagini che non compromettono in alcun modo l'indagine fiscale presumibilmente in corso, che in realtà potrebbe essere solo una scusa per nessuna indagine.

(ronjohnson.senate.gov/services/files/7CD44E16-BF0B-495E-8B87-900467F69E50)

I “democratici satanici “stanno usando una nuova tattica contro coloro di cui disapprovano le opinioni. Cercano di farli uccidere dalle squadre SWAT.

La rappresentante repubblicana degli Stati Uniti Marjorie Taylor Greene dice che il 911 è stato chiamato all'1 del mattino e ha detto che stava agitando una pistola e teneva ostaggi. La polizia, sospettando una bufala, non ha sparato granate stordenti attraverso le sue finestre e non ha sfondato la sua porta. (theepochtimes.com/someone-wanted-to-get-me-killed-rep-greene-responds-to-being-swatted-2-nights-in-a-row_4689679.html?utm_source=News&utm_campaign=breaking-2022-08-26-2&utm_medium=email&est=IyhEZ%2BWShXX2Td2wl9sJnXy2QfPSedd7jqIXyOyR27MHtyLOjXnubg%3D%3D)

L'avvocato andrew Tate ha avuto un'esperienza SWAT simile. Alla polizia è stato detto che stava tenendo le donne prigioniere contro la loro volontà. Ancora una volta la polizia procedette con cautela e Tate fu scagionato dall'accusa.

Come tutti ormai dovremmo sapere, la polizia è addestrata a considerare l'interrogatorio come una forma di resistenza, che fa salire i loro problemi. La violenza della polizia con conseguenti lesioni o morte può essere il risultato. Inviare una squadra SWAT a casa di qualcuno è un modo per ucciderlo. Chiaramente, questo è ciò che i democratici intendevano per Greene e Tate. Ecco Tucker Carlson su Tate e una varietà di altri problemi trattati in questo articolo: (youtube.com/watch?v=pthh65VahmE)

Sono stati pubblicati dati medici provenienti da tutto il mondo e un numero ampio e crescente di risultati scientifici peer-reviewed che dimostrano in modo conclusivo che i vaccini contro l'mRNA Covid sono molto più mortali del Covid, contro il quale non forniscono alcuna protezione.

I democratici che hanno forzato le vaccinazioni stanno correndo ai ripari. Fauci si è rapidamente dimesso, Walensky del CDC ha ammesso gravi errori sul trattamento Covid e sui vaccini. I democratici che hanno imposto lockdown che hanno distrutto la vita economica degli americani e hanno forzato le iniezioni di un "vaccino" dannoso e mortale non testato sui bambini delle scuole, sull'esercito americano e sui dipendenti di società private e del servizio civile sono alla ricerca di qualcuno da incolpare. Indovina chi hanno trovato. Sì, Donald Trump.

Trump, consigliato da Fauci, ha stupidamente abbandonato la sua difesa di HCQ e Ivermectin come cure e ha sottolineato il suo ruolo nell'ottenere i vaccini mortali in uso. Si è preparato per i democratici che ora scaricano su di lui tutta la loro campagna di propaganda Covid.

I democratici che controllano la sottocommissione ristretta della Camera sulla crisi del coronavirus accusano Trump di aver fatto pressioni sulla Food and Drug Administration per autorizzare per "scopi politici" i "vaccini" non testati. Quindi non solo i democratici sostengono che Trump è responsabile, ma anche che lo ha fatto non per motivi di salute, ma per ragioni politiche.

Quello che Trump ha effettivamente fatto è stato lottare per il riconoscimento, ora universalmente riconosciuto tranne che dai democratici americani, dell'idrossiclorochina e dell'ivermectina come cure efficaci comprovate.

Chiunque ne sia a conoscenza ricorda la campagna democratica / puttana / Big Pharma contro le due cure stabilite che hanno impedito "l'autorizzazione all'uso di emergenza" dei vaccini che fanno soldi.

Le cure conosciute sono state soppresse in modo che Big Pharma e i suoi beneficiari, come Fauci, potessero beneficiarne finanziariamente, e in modo che i governi potessero ignorare le protezioni costituzionali e comportarsi come dittatori irresponsabili.

Il fatto è che la "pandemia" di Covid, che è stata progettata con denaro federale nei laboratori statunitensi che hanno creato il virus, e la campagna mediatica presstitute, che ha creato la paura necessaria per i soldi del "vaccino" da fare e il controllo sulla libertà da esercitare, era una produzione al 100% di Washington.

Washington ragiona che l'opinione pubblica americana e l'intero pubblico occidentale sono così stupidi che se Washington può farla franca con l'omicidio di due Kennedy, Martin Luther King, Ruby Ridge, Waco, Golfo del Tonchino, 9/11, le "armi di distruzione di massa" di Hussein, "l'uso di armi chimiche da parte di Assad", le straordinarie bugie contro Gheddafi, il Russiagate, il cancello dell'impeachment, l'insurrezione del 6 gennaio, l'invasione dell'FBI della casa del presidente Trump, Washington può anche farla franca appuntando il vaccino dannoso e mortale su Trump.

Chi deve fermarli? I democratici che rubano le elezioni sono al potere. Non permetteranno al popolo americano di votarli fuori dal potere.Quello che stiamo vivendo in America è l'ascesa di un nuovo Terzo Reich, ma molto più pericoloso grazie alla rivoluzione digitale, una manna dal cielo per i tiranni.

Un governo nazista sta rinascendo davanti ai nostri occhi. I democratici vogliono il potere, non per il popolo americano, ma per la perversione sessuale, gli invasori immigrati e i bugiardi.

Il nemico sono gli americani bianchi, specialmente gli uomini eterosessuali, che sono "gli oppressori delle donne e dell'umanità".

Le scuole pubbliche insegnano ai bambini bianchi a odiare se stessi e i loro genitori. Si laureano come colpevoli "oppressori" che meritano di essere messi da parte dagli immigrati-invasori. Il sistema educativo sta drenando tutta la forza dagli uomini esattamente come dice Andrew Tate.

E questa Torre di Babele indebolita e svuotata pensa che sia una partita militare per Russia, Cina, Iran.

Che scherzo viviamo. Apparentemente gli americani si accontentano della vita in Matrix in cui le loro menti sono intrappolate.

 

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