FINE DELLE SANZIONI ALLA RUSSIA.
FINE DELLE SANZIONI ALLA RUSSIA.
Spiegazione
delle sanzioni
UE nei
confronti della Russia.
Consilium.europa.eu-Redazione-
(16 agosto 2022) - ci dice:
Dopo
il riconoscimento, da parte della Russia, delle zone non controllate dal
governo delle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk il 21 febbraio 2022 e
l'invasione non provocata e ingiustificata dell'Ucraina il 24 febbraio 2022,
l'UE ha imposto alla Russia una serie di nuove sanzioni.
Esse
si aggiungono alle misure in vigore imposte alla Russia a partire dal 2014 a
seguito dell'annessione della Crimea e della mancata attuazione degli accordi
di Minsk.
Risposte
alle seguenti domande:
quali
sanzioni ha adottato finora l'UE, chi sono i destinatari delle sanzioni e in
cosa consistono in pratica le sanzioni individuali?
cosa
significano in pratica le misure restrittive contro le banche russe e la Banca
centrale nazionale russa?
in
cosa consistono le sanzioni per il trasporto aereo, stradale e marittimo?
che
effetto hanno le misure dell'UE sugli scambi commerciali dell'UE con la Russia
e che tipo di restrizioni all'importazione e all'esportazione sono in vigore?
le
sanzioni dell'UE sono conformi al diritto internazionale e sono coordinate con
altri partner?
Quali
sanzioni ha adottato finora l'UE?
Da
febbraio l'UE ha imposto alla Russia una serie di pacchetti di sanzioni, tra
cui misure restrittive mirate (sanzioni individuali), sanzioni economiche e
misure diplomatiche.
L'UE
ha inoltre adottato sanzioni nei confronti della Bielorussia in risposta al suo
coinvolgimento nell'invasione dell'Ucraina.
Le
sanzioni economiche mirano a provocare gravi conseguenze per la Russia a causa
delle sue azioni e a ostacolare efficacemente le capacità russe di proseguire
l'aggressione.
Le
sanzioni individuali riguardano le persone responsabili del sostegno, del
finanziamento o dell'attuazione di azioni che compromettono l'integrità
territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina o le persone che
traggono beneficio da tali azioni.
La
risposta dell'UE all'invasione russa dell'Ucraina.
Chi
sono i destinatari delle sanzioni?
In
totale, tenendo conto anche delle precedenti sanzioni individuali imposte dopo
l'annessione della Crimea nel 2014, l'UE ha sanzionato 108 entità e 1 214
persone. L'elenco comprende:
Vladimir
Putin e Sergey Lavrov.
Il
presidente della Russia, Vladimir Putin.
Il
ministro degli Affari esteri della Russia, Sergey Lavrov.
L'ex
presidente filorusso dell'Ucraina, Viktor Yanukovych.
Oligarchi
legati al Cremlino, come Roman Abramovich.
351
membri della Duma di Stato russa (la camera bassa del parlamento) che il 15
febbraio 2022 hanno votato a favore del riconoscimento di Donetsk e Luhansk.
Membri
del Consiglio di sicurezza nazionale.
Personalità
politiche locali come il sindaco di Mosca.
Alti
funzionari e militari.
Imprenditori
di spicco (ossia persone attive nell'industria russa dell'acciaio e altre
persone che forniscono allo Stato russo servizi finanziari, prodotti militari e
tecnologie)
Propagandisti
e attori della disinformazione.
Persone
responsabili delle atrocità commesse a Bucha e a Mariupol.
Persone
coinvolte nel reclutamento di mercenari siriani per combattere in Ucraina.
Familiari
selezionati di alcune delle suddette persone.
Elenco
delle persone ed entità oggetto delle misure restrittive dell'UE per azioni
contro l'integrità territoriale dell'Ucraina (Gazzetta ufficiale dell'UE).
In
cosa consistono in pratica le sanzioni individuali?
Le
sanzioni nei confronti delle persone consistono in divieti di viaggio e
congelamento dei beni. I divieti di viaggio impediscono alle persone inserite
in elenco di entrare o transitare nel territorio dell'UE per via terrestre,
aerea o marittima.
Il
congelamento dei beni significa che tutti i conti appartenenti alle persone ed
entità inserite in elenco nelle banche dell'UE sono congelati. È altresì
vietato mettere a loro disposizione, direttamente o indirettamente, fondi o
attività.
In questo
modo si garantisce che il loro denaro non possa più essere utilizzato per
sostenere il regime russo e che non possano cercare di trovare un rifugio
sicuro nell'UE.
Come
vengono sanzionati gli scambi commerciali dell'UE con la Russia?
Nel
quadro delle sanzioni economiche, l'UE ha imposto alla Russia una serie di
restrizioni all'importazione e all'esportazione. Ciò significa che le entità
europee non possono vendere determinati prodotti alla Russia (restrizioni
all'esportazione) e che le entità russe non sono autorizzate a vendere
determinati prodotti all'UE (restrizioni all'importazione).
L'elenco
dei prodotti vietati è concepito per massimizzare l'impatto negativo delle
sanzioni sull'economia russa, limitando allo stesso tempo le conseguenze per le
imprese e i cittadini dell'UE. Le restrizioni all'esportazione e all'importazione escludono
i prodotti destinati principalmente al consumo e i prodotti dei settori
sanitario, farmaceutico, alimentare e agricolo, al fine di non danneggiare la
popolazione russa.
I
divieti sono attuati dalle autorità doganali dell'UE.
In
collaborazione con altri partner che condividono gli stessi principi, l'UE ha
inoltre adottato una dichiarazione in cui si riserva il diritto di smettere di
considerare la Russia una nazione più favorita nel quadro dell'OMC.
L'UE ha deciso di agire in tal senso non
mediante un aumento dei dazi doganali sulle importazioni, ma attraverso una
serie di misure restrittive che comprendono il divieto di importare o esportare
determinate merci.
L'UE e
i suoi partner hanno inoltre sospeso tutti i lavori relativi all'adesione della
Bielorussia all'OMC.
Quali
merci non possono essere esportate dall'UE verso la Russia?
L'elenco
dei prodotti sottoposti a sanzioni comprende, tra l'altro:
tecnologie
d'avanguardia (ad esempio computer quantistici e semiconduttori avanzati,
elettronica e software di alta gamma);
alcuni
tipi di macchinari e attrezzature per il trasporto;
beni e
tecnologie specifici necessari per la raffinazione del petrolio;
attrezzature,
tecnologie e servizi per l'industria dell'energia;
beni e
tecnologie per i settori aeronautico e spaziale (ad esempio aeromobili, pezzi
di ricambio o qualsiasi tipo di equipaggiamento per aerei ed elicotteri,
carboturbo);
prodotti
per la navigazione marittima e tecnologie di radiocomunicazione;
una
serie di beni a duplice uso (beni che potrebbero essere utilizzati per scopi
sia civili che militari), quali droni e software per droni o dispositivi di
cifratura;
beni
di lusso (ad esempio automobili, orologi e gioielli di lusso);
Quali
merci non possono essere importate dalla Russia verso l'UE?
L'elenco
dei prodotti sottoposti a sanzioni comprende, tra l'altro:
petrolio
greggio e prodotti petroliferi raffinati, con limitate eccezioni (con eliminazione
graduale nel corso di 6-8 mesi);
carbone
e altri combustibili fossili solidi (dato che i contratti esistenti prevedono
un periodo di liquidazione, questa sanzione si applicherà a partire dall'agosto
2022);
oro,
compresi i gioielli;
prodotti
siderurgici;
legno,
cemento e alcuni fertilizzanti;
prodotti
ittici e liquori (ad esempio caviale, vodka);
In
cosa consiste in pratica il divieto sulle importazioni di petrolio?
Una
raffineria di petrolio con fuoco che fuoriesce da una tubazione. Sullo sfondo,
un cielo blu con qualche nuvola.
Le
restrizioni dell'UE riguarderanno quasi il 90% delle importazioni di petrolio
russo in Europa - © AFP.
Nel
giugno 2022 il Consiglio ha adottato un sesto pacchetto di sanzioni che, tra
l'altro, vieta l'acquisto, l'importazione o il trasferimento di petrolio
greggio e di alcuni prodotti petroliferi dalla Russia all'UE. Le restrizioni si
applicheranno gradualmente: entro sei mesi per il petrolio greggio ed entro
otto mesi per altri prodotti petroliferi raffinati.
È
prevista un'eccezione temporanea per le importazioni di petrolio greggio
fornito mediante oleodotto negli Stati membri dell'UE che, data la loro
situazione geografica, soffrono di una dipendenza specifica dagli
approvvigionamenti russi e non dispongono di opzioni alternative praticabili.
Inoltre,
la Bulgaria e la Croazia nello specifico beneficeranno di deroghe temporanee
riguardanti, rispettivamente, l'importazione di petrolio greggio russo
trasportato per via marittima e di gasolio sotto vuoto.
Poiché
la maggior parte del petrolio russo fornito all'UE è trasportato per via
marittima, entro la fine dell'anno tali restrizioni copriranno quasi il 90%
delle importazioni di petrolio russo in Europa, riducendo notevolmente i
profitti commerciali della Russia.
Quali
sono le sanzioni per il trasporto su strada?
L'UE
ha vietato agli operatori del trasporto su strada russi e bielorussi di entrare
nell'UE, anche per le merci in transito.
Tale
sanzione mira a limitare la capacità dell'industria russa di acquisire beni
chiave e a perturbare il commercio stradale da e verso la Russia. Tuttavia, i
paesi dell'UE possono concedere deroghe per:
il
trasporto di energia;
il
trasporto di prodotti farmaceutici, medici, agricoli e alimentari;
finalità
di aiuto umanitario;
trasporti
connessi al funzionamento delle rappresentanze diplomatiche e consolari dell'UE
e dei suoi paesi in Russia, o delle organizzazioni internazionali in Russia che
godono di immunità in virtù del diritto internazionale;
il
trasferimento o l'esportazione in Russia di beni culturali in prestito nel
contesto della cooperazione culturale ufficiale con la Russia
Il
divieto non riguarda i servizi postali e le merci in transito tra la regione di
Kaliningrad e la Russia.
Cosa
significano le sanzioni nel settore dell'aviazione?
Un
aereo Aeroflot atterra in un aeroporto.
A
tutti gli aeromobili russi è fatto divieto di sorvolare lo spazio aereo dell'UE
- © AFP.
Nel
febbraio 2022 l'UE ha vietato ai vettori russi di ogni tipo di accedere ai suoi
aeroporti e di sorvolare il suo spazio aereo. Di conseguenza gli aerei
immatricolati in Russia o altrove e presi a noleggio o in leasing da un
cittadino o un'entità russa non possono atterrare in nessun aeroporto dell'UE e
non possono sorvolare i paesi dell'UE. Sono inclusi nel divieto gli aerei
privati, ad esempio i jet d'affari privati.
Inoltre,
l'UE ha vietato l'esportazione verso la Russia di beni e tecnologie nei settori
aeronautico e spaziale.
Sono
vietati anche i servizi assicurativi, i servizi di manutenzione e l'assistenza
tecnica connessi a tali beni e tecnologie. Gli Stati Uniti, il Canada e il
Regno Unito hanno imposto restrizioni analoghe.
Di
conseguenza le compagnie aeree russe non possono acquistare aeromobili, pezzi
di ricambio o equipaggiamenti per la loro flotta e non possono effettuare le
necessarie riparazioni o ispezioni tecniche. Poiché l'attuale flotta aerea
commerciale russa è stata costruita per tre quarti nell'UE, negli USA o in
Canada, con il tempo il divieto comporterà probabilmente il fermo operativo di
una parte significativa della flotta russa dell'aviazione civile, anche per i
voli nazionali.
Misure
restrittive dell'UE nei confronti della Russia (Agenzia dell'Unione europea per la
sicurezza aerea).
Quali
sono le sanzioni per il trasporto marittimo?
L'UE
ha chiuso i suoi porti all'intera flotta mercantile russa di oltre 2 800 navi. Questa misura non riguarda tuttavia
le navi che trasportano:
energia;
prodotti
farmaceutici, medici, agricoli e alimentari;
aiuti
umanitari;
combustibile
nucleare e altri beni necessari al funzionamento delle capacità nucleari a uso
civile;
carbone
(fino al 10 agosto 2022, dopo di che le importazioni di carbone nell'UE saranno
vietate);
La
misura non riguarda neppure le navi che necessitano di assistenza alla ricerca
di riparo o le navi che fanno uno scalo di emergenza in un porto per motivi di
sicurezza marittima o per salvare vite in mare.
Il
divieto si applicherà invece alle navi che cercano di eludere le sanzioni
cambiando la bandiera o l'immatricolazione russa con quella di un altro Stato.
Le autorità portuali possono individuare un tentativo di cambiare bandiera o
modificare l'immatricolazione controllando il numero IMO di una nave (il numero
di identificazione unico assegnato per conto dell'Organizzazione marittima
internazionale).
Cosa
significa il blocco dell'accesso a SWIFT per le banche russe e bielorusse?
Il
blocco impedisce a dieci banche russe e a quattro banche bielorusse di
effettuare o ricevere pagamenti internazionali utilizzando SWIFT.
Simbolo
di divieto con la bandiera russa davanti a una banca. Il testo
"SWIFT" è visibile sulla facciata della banca.
Dieci
banche russe e quattro banche bielorusse sono escluse dall'utilizzo di SWIFT.
SWIFT
è un servizio di messaggistica che facilita sostanzialmente lo scambio di
informazioni tra banche e altri istituti finanziari e che collega più di 11 000
entità in tutto il mondo.
Di
conseguenza, queste banche non possono né ottenere valuta estera (poiché un trasferimento di valuta
estera tra due banche è generalmente trattato come un trasferimento all'estero
che coinvolge una banca intermediaria estera) né trasferire attività all'estero, il che si traduce in conseguenze
negative per le economie russa e bielorussa.
Dal
punto di vista tecnico, le banche potrebbero effettuare operazioni
internazionali senza SWIFT, ma si tratta di un processo costoso e complesso che
richiede fiducia reciproca tra gli istituti finanziari. Un processo di questo tipo riporta
i pagamenti all'epoca in cui venivano utilizzati telefono e fax per confermare
ogni operazione.
Cosa
significano in pratica le sanzioni contro la Banca centrale nazionale russa?
L'Unione
europea ha vietato tutte le operazioni con la Banca centrale nazionale russa
relative alla gestione delle riserve e delle attività della Banca centrale
russa. A
seguito del congelamento dei beni della Banca centrale, quest'ultima non può
più accedere alle attività detenute presso banche centrali e istituzioni
private nell'UE.
Nel
febbraio 2022 le riserve internazionali della Russia ammontavano a 643 miliardi
di USD (579 miliardi di EUR). Disporre di riserve in valuta estera
contribuisce, tra le altre cose, a mantenere stabile il tasso di cambio della
valuta di un paese.
A
causa del divieto di effettuare transazioni dall'UE e da altri paesi, si stima
che più della metà delle riserve russe siano congelate. Il divieto è stato imposto anche da
altri paesi (come gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito) che detengono
altresì una quota delle riserve estere della Russia.
Di
conseguenza, la Russia non può utilizzare questa riserva di attività estere per
fornire fondi alle sue banche e limitare così gli effetti di altre sanzioni. Anche le riserve auree detenute in
Russia sembrano ora più difficili da vendere a causa delle sanzioni
internazionali che colpiscono entità russe.
L'UE
ha inoltre vietato la vendita, la fornitura, il trasferimento e l'esportazione in
Russia di banconote denominate in euro. L'obiettivo è limitare l'accesso al
contante in euro da parte del governo russo, della sua Banca centrale e delle
persone fisiche o giuridiche in Russia al fine di evitare l'elusione delle
sanzioni.
Sanzioni
analoghe si applicano alla Bielorussia.
Perché
l'UE ha sospeso le trasmissioni di cinque emittenti russe?
Da
tempo la Federazione russa attua una sistematica campagna internazionale di
disinformazione, manipolazione delle informazioni e distorsione dei fatti,
nell'intento di rafforzare la sua strategia di destabilizzazione sia dei paesi
limitrofi, che dell'UE e dei suoi Stati membri.
Un
giornalista televisivo presenta le notizie. Il logo di Russia Today è
proiettato sullo schermo dietro di lui.
La
trasmissione nell'UE di cinque organi di informazione statali russi è sospesa -
© AFP.
Per
contrastare tale azione, l'UE ha sospeso le trasmissioni nell'Unione di cinque
emittenti statali russe:
Sputnik;
Russia
Today;
Rossiya
RTR / RTR Planeta;
Rossiya
24 / Russia 24;
TV
Centre International;
La
Russia utilizza tutti questi organi di informazione pubblici per diffondere
intenzionalmente propaganda e condurre campagne di disinformazione, anche in
merito alla sua aggressione militare nei confronti dell'Ucraina.
Le restrizioni
nei confronti di Sputnik e Russia Today (insieme alle loro controllate, quali
RT English, RT Germany, RT France e RT Spanish) sono in vigore dal 2 marzo
2022, quelle imposte alle altre tre entità dal 4 giugno 2022.
Tali
restrizioni riguardano tutti i mezzi di trasmissione e distribuzione negli
Stati membri dell'UE o ad essi rivolti, compresi il cavo, il satellite, la
televisione via Internet (IPTV), le piattaforme, i siti web e le app.
In
linea con la Carta dei diritti fondamentali, queste misure non impediranno a
tali organi di informazione e al loro personale di svolgere nell'UE altre
attività oltre alla radiodiffusione, come la ricerca e le interviste.
L'UE
coordina le sanzioni con altri partner?
Le
sanzioni sono più efficaci se è coinvolta un'ampia gamma di partner
internazionali. Nelle ultime settimane l'UE ha lavorato a stretto contatto con partner
che condividono gli stessi principi, come gli Stati Uniti, al fine di
coordinare le sanzioni.
L'UE
collabora con il Gruppo della Banca mondiale, la Banca europea per la
ricostruzione e lo sviluppo (BERS), l'Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economici (OCSE) e altri partner internazionali per impedire alla
Russia di ottenere finanziamenti da tali istituzioni.
Per
coordinare questo sforzo internazionale, la nuova task force REPO (Russian
Elites, Proxies, and Oligarchs) consente all'UE di cooperare con i paesi del G7 —
Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti — nonché
con l'Australia, al fine di garantire l'applicazione delle sanzioni.
Sebbene
l'UE collabori strettamente con molti partner, ciascuno di questi paesi terzi decide
unilateralmente quali sanzioni imporre.
Le
sanzioni dell'UE rientrano nel diritto internazionale?
Sì.
Tutte le sanzioni dell'UE sono pienamente conformi agli obblighi derivanti dal
diritto internazionale e rispettano i diritti umani e le libertà fondamentali.
Una
volta raggiunto un accordo politico tra gli Stati membri dell'UE, il servizio europeo per l'azione
esterna e/o la Commissione europea preparano i necessari atti giuridici, che
sono presentati al Consiglio per adozione.
I
regolamenti e le decisioni del Consiglio, in quanto atti giuridici di portata
generale, sono vincolanti per qualsiasi persona o entità soggetta alla giurisdizione
dell'UE, vale a dire qualsiasi persona o entità all'interno dell'UE, qualsiasi
cittadino dell'UE in qualsiasi luogo e tutte le società e organizzazioni
costituite a norma del diritto di uno Stato membro dell'UE.
Le
sanzioni alla Russia stanno
funzionando?
Cosa dicono i dati di Usa e Ue.
Europa.today.it-
Dario Prestigiacomo –(23 agosto 2022) -ci dice:
Salvini
ha messo in dubbio l'efficacia delle misure anti-Cremlino. Ma uno studio di
Yale e un'analisi della Commissione europea lo smentiscono.
Vladimir
Putin.
"Sulle
sanzioni alla Russia bisogna guardare i numeri: l'avanzo commerciale della
Russia è 70 miliardi di dollari, per la prima volta nella storia il sanzionato
ci guadagna".
Con queste parole, il leader della Lega Matteo
Salvini ha riaperto il dibattito sull'efficacia delle misure punitive varate
dai Paesi occidentali, in particolare Usa, Ue e Regno Unito, per colpire
l'economia russa. I dubbi, a dirla tutta, non sono solo del capo
del Carroccio, un tempo tra i più fieri supporter di Vladimir Putin: in questi mesi, anche media
internazionali non tacciabili di vicinanza al Cremlino e stimati economisti
hanno sollevato perplessità circa il rapporto costi-benefici di tali sanzioni.
Tanto
da spingere i fact-checker dell'Unione europea e degli Stati Uniti a difendere,
dati alla mano, le misure prese.
L'ultimo
studio che confermerebbe le gravi ripercussioni per l'economia russa delle
sanzioni occidentali porta la firma della prestigiosa Università di Yale. Ed è stato fatto circolare sui social
dall'Ambasciata Usa in Italia poco dopo le dichiarazioni di Salvini: "I fatti contro la fiction proposta
dalla disinformazione russa", si legge in un tweet dell'Ambasciata. Vediamo allora
punto per punto cosa indica lo studio di Yale.
I nodi
al pettine nel lungo termine.
"Le
sanzioni internazionali stanno avendo un potente effetto sull'economia russa -
si legge sul sito del governo Usa, che cita lo studio di Yale - I fornitori di
disinformazione del Cremlino spingono la narrativa secondo cui le sanzioni
internazionali non hanno alcun effetto significativo sull'economia russa
nonostante il fatto che anche il capo della banca centrale russa Elvira
Nabiullina abbia ammesso che 'l'attività economica è in declino' e che 'la fine delle
relazioni economiche avrà un impatto negativo a lungo termine'”.
La
Russia, scrive sempre Washington, "non ha la capacità di produrre
versioni nazionali di prodotti che una volta aveva acquistato a livello
internazionale. Per cercare di colmare questo divario, il presidente Putin ha
persino tentato di legalizzare il furto di proprietà intellettuale da 'Paesi
ostili"",
come successo per esempio con il sequestro di aerei occidentali che ha permesso
all'aviazione russa di avere ricambi per i suoi mezzi.
"Molti
dei cittadini russi più talentuosi hanno lasciato il Paese in cerca di una vita
migliore - prosegue il governo - I ricercatori stimano che centinaia di
migliaia di accademici, lavoratori tecnologici, giornalisti, artisti,
imprenditori e altri membri della forza lavoro qualificata abbiano lasciato la
Russia dall'ulteriore invasione dell'Ucraina da parte del Cremlino nel febbraio
2022. Anche se la Russia potesse ricostruire la sua economia senza materiali
provenienti dai Paesi che l'hanno sanzionata, la Russia ora non ha la forza
lavoro necessaria per promuovere una crescita economica solida e
dinamica".
Le
relazioni commerciali.
I
problemi per la Russia, secondo il governo Usa, riguardano anche le sue relazioni
commerciali alternative a quelle con l'Occidente. "La Russia sta lottando per trovare
nuovi fornitori e clienti per i beni che una volta aveva acquistato e venduto a
livello globale. Dall'invasione russa dell'Ucraina nel febbraio 2022, le
importazioni russe sono diminuite del 50%. Il Cremlino sta lottando per trovare
nuove fonti per oggetti importanti che non è in grado di produrre". Cosa
che sta avendo ripercussioni anche sul campo di battaglia poiché "la Russia utilizza microchip
prelevati da frigoriferi e lavatrici nelle sue apparecchiature militari".
E la
Cina?
"La Russia sta propagandando le sue
relazioni commerciali con la Repubblica popolare cinese per compensare le
carenze di importazioni ed esportazioni. In realtà, è una relazione ineguale
poiché la Russia ha bisogno della (Cina, ndr) molto più di quanto la (Cina,
ndr) abbia bisogno della Russia". A partire dal 2021, la Cina è diventata
la principale fonte di importazioni della Russia; tuttavia, la Russia si è
classificata solo come l'undicesimo maggior importatore di merci della Cina. Dopo la guerra, "le esportazioni
della Cina verso la Russia sono diminuite di quasi il 50% dall'inizio dell'anno
all'aprile 2022".
L'oro
del gas.
C'è
poi la questione degli enormi profitti registrati dalla Russia con la vendita
di gas e petrolio, un business che è alla base dell'avanzo commerciale record
citato da Salvini.
Lo studio di Yale ricorda come siano proprio i
Paesi Ue a garantire questo business grazie ai loro acquisti, ma i problemi per
Mosca arriveranno nel medio termine. Bruxelles ha già varato l'embargo sul
petrolio.
Se
dovesse fare lo stesso con il gas, per Mosca non sarà facile "passare ad
altri acquirenti" perché "esportare grandi quantità di gas naturale
in Paesi al di fuori dell'Europa non è un'opzione a breve o addirittura a medio
termine per la Russia".
Oltre il 90 percento del gas russo viene
trasportato tramite gasdotti e la stragrande maggioranza dei gasdotti russi si
collega ai mercati e alle raffinerie in Europa.
"La
Russia avrebbe bisogno di costruire nuovi e costosi gasdotti o strutture
marittime per aumentare significativamente le esportazioni di gas naturale in
Asia", si legge ancora.
Il
rublo.
Altro
elemento su cui vertono le perplessità circa l'effetto delle sanzioni
occidentali è il rublo: "Funzionari russi affermano che il rublo è la valuta più
forte dell'anno, senza menzionare che il suo valore relativamente alto è dovuto
agli estremi controlli sui capitali che la Russia ha emanato". Il governo
Usa ricorda che "il Cremlino ha vietato ai cittadini di inviare denaro
all'estero, sospeso le vendite di dollari delle banche, richiesto agli
esportatori di scambiare l'80% dei loro guadagni in rubli e costretto le
imprese a pagare il debito estero in rubli. Queste misure hanno sostenuto il
valore del rublo forzando gli acquisti della valuta e vietando le vendite. Queste restrizioni finanziarie
draconiane danneggiano sia le imprese che i cittadini russi".
La
qualità della vita.
Infine,
la qualità della vita dei russi, che secondo il Cremlino è rimasta la stessa
nonostante le sanzioni.
Gli
Usa sottolineano che "oltre 1.000 aziende internazionali in una vasta gamma di
settori hanno lasciato la Russia nel 2022, con il risultato che i cittadini
russi non hanno più accesso a beni e servizi di cui godevano una volta. Ad
esempio, Apple ha lasciato la Russia e i suoi prodotti non saranno più
disponibili una volta esaurite le scorte esistenti".
Vari
dati mostrano "come il terribile stato dell'economia russa abbia un impatto
negativo sulla vita dei cittadini russi medi".
L'inflazione
nei settori dipendenti dalle importazioni, come elettrodomestici e servizi
ospedalieri, è aumentata del 40-60%.
Nel
maggio 2022, le vendite di auto nuove sono diminuite dell'84%, indicando che i
consumatori in Russia non hanno la fiducia nell'economia per effettuare
acquisti importanti.
I rapporti indicano che la produzione interna
russa in molti settori è stata gravemente interrotta, con effetti reali sui
cittadini russi. Ad esempio, "le aziende russe hanno smesso di produrre airbag per
auto o sistemi di frenatura antibloccaggio a causa della carenza di componenti
necessari, mettendo a rischio i consumatori russi", conclude il governo
Usa.
La
versione dell'Ue.
Il
fact-checking statunitense è in linea con quanto emerso poco tempo fa da
un'analisi condotta dalla Commissione europea. Per Bruxelles, i 6 pacchetti di
sanzioni varati dai suoi 27 Stati membri hanno provocato un danno all'economia
russa e ai suoi oligarchi pari a circa 100 miliardi di euro. E determineranno
un calo del Pil del 10,4% già nel 2022.
Stando
a quanto hanno calcolato gli esperti della Commissione europea, in seguito alle
restrizioni commerciali imposte a Mosca, le esportazioni verso l'Ue per il 2022
raggiungeranno un valore di 73 miliardi, meno della metà rispetto al volume del
2021. La "perdita" è di 85 miliardi, e gli esperti Ue ritengono
improbabile che altri Paesi come la Cina possano compensare più di tanto tale
calo nell'export.
A
questa somma, si aggiungono i beni congelati ai russi, in particolare ai
cosiddetti oligarchi, che ammonterebbero a un valore di circa 13,8 miliardi di
euro. Anche le riserve della banca centrale russa, che valgono miliardi, non
sono più accessibili. Inoltre, bisogna anche "conteggiare" gli
effetti sulla popolazione: i sondaggi mostrano che i russi stanno cominciando a
patire i problemi con l'aumento dei prezzi e temono una nuova economia di
scarsità.
Finora,
tali problemi sono stati affrontati con spirito nazionalistico, ossia come un
sacrificio necessario per 'salvare la Patria'. Ma non è detto che il sentimento
patriottico possa resistere a lungo senza portare a disagi sociali. Anche
perché, si può fare a meno di beni di consumo occidentali, ma solo a patto che
si trovino alternative: i problemi della catena di approvvigionamento e la
mancanza di accesso a tecnologie straniere avanzate ostacoleranno sempre più
"la produzione interna, gli investimenti e la crescita della
produttività", scrive l'agenzia stampa tedesca Dpa citando lo studio della
Commissione.
Sanzioni
alla Russia,
ecco
quanto
Putin ci sta rimettendo.
Corriere.it-
Milena Gabanelli e Simona Ravizza-(11 aprile 2022) - ci dicono:
Dal 24
febbraio le sanzioni verso la Russia sono emesse per tappe.
Prima
il blocco delle transazioni con le banche, poi l’import-export strategico, poi
il petrolio e il carbone verso Usa e Uk e, da agosto, per il carbone verso la
Ue.
Infine il blocco del debito sovrano tramite le
banche americane.
Ma
quanto pesano davvero su Mosca le misure fatte scattare da Usa, Canada, Ue,
Regno Unito, Svizzera, Islanda, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Australia e
Nuova Zelanda?
Lo vediamo dopo aver consultato decine di
database, statistiche internazionali, documenti dell’Ofac (l’Office of foreign
assets control statunitense), della Commissione europea e con l’aiuto
dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e
dell’Osservatorio conti pubblici italiani (Ocpi).
I
Paesi che hanno adottato sanzioni contro la Russia sono 37, ma rappresentano il
59% del Pil mondiale.
Fra i
193 che non le applicano ci sono Cina, India, Emirati Arabi, Iran e Turchia.
Blocco
delle transazioni.
Sospesa
l’operatività con dieci banche russe su titoli, prestiti, investimenti,
pagamento dei debiti e incasso dei crediti.
Si
tratta di Sberbank, VTB, Gazprombank, Alfa Bank, Promsvyazbank, VEB, Otkritie,
Rosselkhozbank, Sovcombank e Novikombank. Tutte insieme fanno all’incirca il
70% degli attivi del sistema bancario russo. Il Tesoro Usa stima che le
banche russe effettuano transazioni in valuta estera per l’equivalente di circa
46 miliardi di dollari al giorno a livello globale, l’80% delle quali in
dollari statunitensi, e che la stragrande maggioranza di quelle transazioni sia
danneggiata dalle sanzioni. Poi c’è il blocco dello Swift, ossia la stringa
alfanumerica da 8 a 11 caratteri dov’è specificata la banca e il Paese di
provenienza, usato per velocizzare i pagamenti sui mercati internazionali.
Questo blocco colpisce Rossiya, più altre sei banche già colpite dalla
sospensione dell’operatività (VTB, Promsvyazbank, VEB, Otkritie, Sovcombank e
Novikombank).
Sono
escluse Sberbank e Gazprombank, autorizzate a incassare i pagamenti delle
esportazioni di gas, petrolio, carbone (che consente quindi di far arrivare
comunque quasi 1 miliardo di dollari al giorno).
Le
riserve della Banca Centrale.
Le
sanzioni hanno scatenato corse agli sportelli, fughe di capitali e fatto
crollare il rublo. In risposta la Banca Centrale russa ha alzato il costo del
denaro e messo mano alle riserve ufficiali che, in un mese, sono scese di 39
miliardi di dollari. Fino al 18 febbraio 2022 la Banca centrale aveva in pancia
643 miliardi di dollari, ora sono 604.
Poca roba, perché anche qui le sanzioni hanno
congelato il 60% delle riserve, e cioè la quota denominata in euro, dollari,
sterline e yen, pari a circa 350 miliardi di dollari. Dal 24 marzo gli Usa
hanno imposto lo stop anche sui 133 miliardi di riserve in oro. La Russia però
può disporre della quota di riserve nelle valute dei Paesi non sanzionatori,
tra cui la Cina con 83 miliardi in yuan. Per stringere la corda, dal 5 aprile,
il Tesoro americano ha vietato alla Russia i pagamenti del debito sovrano con i
suoi dollari presenti nelle banche Usa. Vuol dire che già il 27 maggio alla
scadenza di una cedola da 101 milioni potrebbe aprirsi la procedura di
fallimento dello Stato.
I
danni dell’embargo.
L’embargo
pesa anche sui Paesi sanzionatori che non possono più esportare in Russia
tecnologia come semiconduttori, computer, laser, sensori, apparecchiature per
la navigazione e le telecomunicazioni, ovvero tutto quello può essere
utilizzato per scopi militari, nel settore dell’aviazione e nella raffinazione
del petrolio.
Stop
anche all’esportazione di logistica e beni di lusso, dall’alta moda ai profumi,
gioielleria, dispositivi elettronici di valore superiore a 750 euro, auto sopra
i 50.000 euro, orologi e loro parti, oggetti d’arte.
Vietato dall’Ue invece l’import di ferro,
acciaio, carbone, legno, materiale per l’edilizia, gomma. Usa e Uk hanno
bloccato le loro importazioni di petrolio e carbone, che in tutto valgono
complessivamente poco più di 12 miliardi. Mentre il carbone Ue ne vale 4,3.
Quanto
pesa sulla Russia.
Dai
calcoli dell’Ispi le sanzioni bloccano il 12% dell’import russo, che nel
pre-pandemia valeva complessivamente 247 miliardi di dollari, e il 7% del suo
export, equivalente a 427 miliardi di dollari.
Da parte sua la Russia ha bloccato le
forniture di grano, mais, fertilizzanti. L’impatto maggiore, invece, dovuto al
mancato export e import lo subiscono i Paesi della Ue, anche considerando che
le stesse misure sono applicate alla Bielorussia, in quanto Paese
fiancheggiatore, e al Donbass, poiché si ritiene che gli acquisti vadano a finanziare
la guerra. I più colpiti dal mancato import di siderurgia e gomma da
Bielorussia e Donbass sono soprattutto Italia e Spagna, molto meno Francia e
Germania.
Non
mancano tentativi di raggirare l’embargo triangolando verso Paesi terzi: i dati doganali registrano ad
esempio un improvviso aumento di export verso Armenia e Kazakistan proprio dei
beni vietati.
Si possono invece esportare in Russia tutti
gli altri beni, da alimentari alla manifattura, ma l’economia di guerra ha
ridotto la domanda con un impatto globale stimato in 30 miliardi (circa il
20%).
Chi se
ne va e chi resta.
Dal
database di Yale risulta che a oggi, su 773 aziende operative in Russia, se ne
sono ritirate 252 fra cui colossi internazionali come Apple H&M, Ikea
McDonald’s, Microsoft e Netflix e le quattro italiane Assicurazioni Generali,
Eni, Ferragamo, Yoox. Hanno sospeso le attività in 237 fra cui le compagnie
internazionali di container MSC, Maersk e CMA, e le italiane Ferrari, Iveco,
Leonardo, Moncler e Prada. Hanno ridotto l’attività in 62 tra cui Enel, Ferrero
e Pirelli. In 91 prendono tempo, come Barilla, De’ Longhi e Maire Tecnimont.
Restano in 131: Acer, Auchan-Retail, Lenovo, e le 10 italiane Buzzi Unichem,
Calzedonia, Campari, Cremonini Group, De Cecco, Geox, Intesa Sanpaolo, Menarini
Group, UniCredit, Zegna Group.
I beni
degli oligarchi.
Le
liste di miliardari, politici e militari a cui congelare le proprietà sono
disallineate. L’Ue ha stilato un elenco di 1.110 nomi, la Gran Bretagna di 989
nomi, gli Usa di 407. E quindi succede che fra i 20 oligarchi e funzionari più
ricchi della Russia sanzionati da Ue e Regno Unito, ma non dagli Usa, ci sono
l’industriale di fertilizzanti Andrey Igorevich Melnichenko, Roman Abramovich,
il fondatore di Alfa-Bank Mikhail Fridman, il produttore di acciaio Viktor
Rashnikov.
Sanzionato
invece da Usa e Uk, ma non dall’Ue, c’è il produttore di materie prime Victor
Vekselberg. Mentre nessuno dei tre ha sanzionato il presidente e principale azionista
della società russa del gas Novatek Leonid Mikhelson e il magnate dell’acciaio
Vladimir Lisin. Nessuna sanzione per il presidente del gigante petrolifero
Lukoil Vagit Alekperov, considerato meno vicino a Putin del presidente di
Rosneft Igor Sechin, che mira a prendersi Lukoil per diventare il padrone assoluto
del petrolio russo (sanzionato sia da Ue e Uk che dagli Usa). Fra gli intoccati c’è infine il
magnate dei metalli Vladimir Potanin, considerato dagli Stati Uniti tra i 210
individui strettamente associati al presidente russo.
La
scelta di sanzionare alcuni e non altri è frutto di valutazioni politiche ed
economiche dei singoli Paesi poiché, secondo quanto riportato da Forbes, il «predominio della Russia nelle
esportazioni di petrolio, gas e materie prime ha collegato il destino dei
produttori e delle imprese occidentali con quello delle imprese russe e dei
loro proprietari, ovvero gli oligarchi».
Atlantic
Council stima
che oligarchi e funzionari nascondano nei paradisi fiscali circa 1 trilione di
dollari (tanti quanti ne possiede l’intera popolazione russa), per cui scovare
le loro proprietà non è facile. Nella Ue, ad oggi, sono stati congelati asset
per 29 miliardi.
Espulso
lo sport.
Sanzioni
anche per il mondo dello sport e della cultura. Fuori atleti e squadre dalle
gare olimpiche, di tennis, dal mondiale di calcio, dalla coppa del mondo di sci
e mondiali juniores di nuoto. Si terranno fuori dalla Russia la finale di
Champions League e il circuito del gran premio di Formula 1.
La
partita cruciale alla fine può giocarla solo l’Unione Europea, decidendo se a
farci più paura è la barbarie e la fine dello stato di diritto o un periodo di
forte austerità.
Fuori
dall’Eurovision 2022 e Warner Bros, Disney e Sony hanno sospeso l’uscita dei
film nelle sale russe. Tirando le somme: le sanzioni nel loro complesso stanno
isolando Mosca e provocando qualche danno alla sua economia, ma ampiamente
compensato dall’export di idrocarburi di cui la Ue, e in particolare Italia e
Germania, ha drammaticamente bisogno. La partita cruciale alla fine può
giocarla solo l’Unione Europea, decidendo se a farci più paura è la barbarie e
la fine dello stato di diritto o un periodo di forte austerità. Nella risposta
la soluzione.
GLI
EFFETTI ECONOMICI DELLE SANZIONI
IMPOSTE
ALLA RUSSIA: UNA PRIMA VALUTAZIONE.
Sidiblog.org-
Marco Lossani- (APRILE 13, 2022) -ci dice:
(Marco
Lossani -Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).
La
valutazione dell’efficacia delle sanzioni costituisce un tema assai
controverso, sia per gli economisti che per gli studiosi di relazioni
internazionali.
In
effetti le sanzioni si pongono a metà strada tra la politica e l’economia in
quanto costituiscono uno degli strumenti con cui gli stati nazione realizzano l’economic and financial statecraft, l’insieme di interventi (di natura
economico-finanziaria) utilizzati per perseguire obiettivi di politica estera
soprattutto quando si è prossimi a condizioni di belligeranza.
Ex-ante,
attraverso la minaccia credibile dell’imposizione di sanzioni – o della
realizzazione di operazioni di boicottaggio o della sospensione di aiuti – uno
o più stati-nazione (definiti sender) paventano di isolare commercialmente e/o
finanziariamente un altro stato (definito target) al fine di azzerrare la
probabilità di una sua attività bellica.
Ex-post,
l’effettiva imposizione di sanzioni determina – attraverso l’isolamento
commerciale e/o finanziario – un tale stato di deprivazione nel paese target da
impedirgli la continuazione dello sforzo bellico, una volta che questo è stato
avviato.
L’esito di tale azione di coercizione è perciò non
solo economico-finanziario, ma anche e soprattutto relativo alla sfera politica
delle relazioni interne ed internazionali. In linea di principio, sanzioni
efficaci sono in grado di alterare il capitale politico e la reputazione di cui
gode il governo in carica del paese sanzionato influenzandone il potere
negoziale sia nei confronti delle forze di opposizione interne che rispetto ai
paesi sanzionatori.
L’idea
delle sanzioni come arma per garantire la pace ovviamente non costituisce una
novità. In tempi moderni può essere fatta risalire a Woodrow Wilson che ancora
nel 1919 definiva lo stato di assoluto isolamento provocato dalle sanzioni come
«qualcosa di ancora più tremendo della guerra stessa» (Mulder).
Da quel momento le sanzioni diventano l’«arma economica»
a disposizione degli stati liberali, così come riconosciuto dall’art. 16 del
Patto della Società delle Nazioni.
La pace – e l’ordine economico-liberale che
l’accompagna – si fonderebbe infatti sul convincimento che le sanzioni
costituiscano un credibile deterrente contro la guerra: la semplice minaccia di
soffrire un profondo stato di deprivazione indotto dalle sanzioni spingerebbe
gli stati-nazione a evitare qualsiasi conflitto.
Peraltro,
lo stesso Woodrow Wilson non aveva mancato di sottolineare come la forza delle
sanzioni derivasse non solo da una condizione di deprivazione economica, ma
anche da una fondamentale sofferenza psicologica legata alla possibilità che –
per effetto delle sanzioni e del conseguente isolamento – «è l’anima ad essere più avvelenata
del corpo».
Ça va
sans dire, che la realtà ha seguito una piega ben diversa.
Le
sanzioni si sono dimostrate meno efficaci del previsto non solo ex-ante, come
deterrente, ma anche ex-post, come effettivo fattore di costo (Hufbauer et al.;
Felbermayr et al.), anche se con il trascorrere del tempo la loro capacità di
incidere è andata via via accrescendosi (Van Bergeijk).
Inoltre, persino la sofferenza psicologica risulta un
fattore poco rilevante soprattutto all’interno di contesti segnati dalla
presenza di regimi autocratici o dittatoriali.
L’uso
massiccio di informazioni distorte da parte di diversi spin dictators (tra cui Putin, Erdogan e Orbán: v.
Guriev e Treisman) ha consentito a questi di ottenere un ampio consenso
popolare – altrimenti impossibile da raggiungere in condizione di libera
informazione – generando nel contempo una percezione
distorta della realtà che può non solo contenere il disagio psicologico indotto
dalle eventuali sanzioni, ma addirittura condurre verso un sentimento di
rivalsa – il cosiddetto rally-round-the-flag effect, tale per cui i gruppi domestici
minacciati dalle sanzioni fanno fronte
compatto con il regime per opporsi alla minaccia esterna.
2.
L’efficacia delle sanzioni: il quadro teorico.
In
linea di principio, le sanzioni sono efficaci se effettivamente in grado di
creare un effetto di isolamento. Il conseguimento di tale obiettivo richiede il
soddisfacimento di almeno due condizioni. In primis una conoscenza
dettagliata del tipo di interdipendenza – reale e finanziaria – tra il paese
sanzionato e il resto del mondo. In secondo luogo, il coinvolgimento di un numero
elevato di paesi sanzionatori, che limiti la possibilità per il paese target di
aggirare le sanzioni intrattenendo relazioni economiche con paesi terzi
(diversi dal target e dal sender).
In
realtà, una corretta valutazione dell’efficacia delle sanzioni deve anche
tenere conto – soprattutto al giorno d’oggi – di una interdipendenza complessa
che rende la stima degli effetti delle sanzioni un’operazione davvero difficile
(Jenkins).
Da un
lato andrebbe valutata anche la presenza di effetti di retroazione, provocati
da tali misure sugli stessi paesi sanzionatori (il caso dell’Europa dipendente
dal gas russo è lampante).
Dall’altro,
non andrebbe dimenticata la presenza di rilevanti effetti contagio sui mercati
finanziari, che risentono della sempre maggior dimensione assunta dagli stock
di attività finanziarie.
Per di
più, va
anche considerato come la globalizzazione abbia generato – attraverso la
creazione di network reali e finanziari complessi e asimmetrici – una
condizione di weaponized interdependence molto diversa tra paese e paese.
I recenti contributi che hanno applicato la
teoria dei network allo studio dell’odierno sistema globalizzato (Goldin e
Mariathasan) dimostrano come alcuni network siano più centrali di altri.
Ciò significa che gli stati nazione che hanno
effettiva giurisdizione sui nodi più centrali dei network – come, ad esempio,
gli USA – godono di un maggior potere sanzionatorio. Infine, non va neppure esclusa la
possibilità che la stessa minaccia di sanzioni spinga alcuni paesi a perseguire
una riduzione del loro grado di interdipendenza con il resto del mondo. Una volta raggiunto un sufficiente
grado di isolamento, le sanzioni diventano evidentemente un’arma spuntata. Una
lezione che la Russia di Putin sembra aver appreso abbastanza bene a partire
dal 2014.
Dopo
l’invasione della penisola di Crimea e l’imposizione di numerose sanzioni
imposte nei suoi confronti da parte del mondo occidentale, la Russia ha avviato
un chiaro processo di introversione – con la promozione dell’autosufficienza
agricola, la riduzione del fabbisogno di finanziamenti esteri e una
straordinaria accumulazione di riserve ufficiali.
Last
but not least, una corretta valutazione dell’efficacia delle sanzioni richiede la
considerazione sia delle sanzioni primarie, vale a dire delle restrizioni realizzate
dai paesi sanzionatori (sender country) nei confronti del sanzionato (target country), che delle sanzioni secondarie.
Quanto
a queste, si tratta di restrizioni raelizzate nei confronti di paesi/individui
terzi che – pur non facendo parte né dei paesi sanzionatori né dei paesi
sanzionati (tra cui Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia,
Israele, Messico, Sud Africa e Turchia) – possono subire gli effetti delle
stesse sanzioni nel momento in cui vengono colti a realizzare con il target
transazioni/operazioni vietate.
Ad
esempio, nel caso specifico della Russia, i sanction busters potrebbero essere delle imprese
cinesi che effettuano operazioni con controparti russe. In conseguenza di ciò, queste
imprese cinesi verrebbero sanzionate attraverso l’esclusione da possibili
transazioni svolte con controparti USA o UE.
Nel
complesso, sanzioni efficaci sono in grado di impattare sul sistema
economico-finanziario del paese target attraverso il canale commerciale (minor
export e minor import di componenti, beni finiti e servizi), il canale
finanziario (minori afflussi e deflussi di capitali) e il canale delle aspettative
(diffusione di attese di deprezzamento del tasso di cambio e di fallimento di
banche, imprese e dello stato sovrano tali da scatenare delle vere e proprie
corse agli sportelli delle banche, o episodi di fire sale sui titoli emessi dalle
banche dalle imprese o dal sovrano).
Il
combinato disposto di tali effetti è dato da un sistema economico in grave
difficoltà sia per quanto riguarda lo svolgimento dell’attività produttiva sia
per quanto concerne il funzionamento dei mercati finanziari. Se le difficoltà sono estreme non è
da escludersi uno scenario fatto di una gravissima recessione, che si
accompagna a disoccupazione crescente e soprattutto a una crisi finanziaria che potrebbe
assumere una forma triplice: valutaria, bancaria e sovrana. (Italia docet!)
3. La
Russia nel sistema globale oggi.
Secondo
l’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale, la Russia ha affrontato
la pandemia in una condizione di bassa crescita, ma godendo di un quadro
macroeconomico sostanzialmente robusto – fatto di un deficit e debito pubblico
e di un debito estero a livelli minimi – e di un significativo spazio di
manovra in ambito monetario, valutario e fiscale.
La
modesta crescita russa di questi ultimi anni è il risultato sia di elementi
strutturali – quali il basso grado di diversificazione di un’offerta fortemente
incentrata sulla produzione di materie prime energetiche e l’associata scarsa
dinamica della produttività fattoriale totale – che di fattori riconducibili
alle sanzioni comminate dal blocco occidentale dopo l’invasione della Crimea.
Le sanzioni non solo hanno indotto un effetto negativo sull’andamento del PIL,
ma hanno anche contribuito ad alterare la dimensione geografica
dell’interdipendenza – commerciale e finanziaria – con il resto del mondo.
Da un
punto di vista geografico, l’insieme dei paesi dell’Unione Europea continua a
costituire la più importante area di destinazione dell’export russo, anche se a
livello di singolo paese il mercato di sbocco più importante è diventata la
Cina, seguita da Regno Unito e Olanda.
La
Cina è diventato anche il paese più rilevante come area di origine delle
importazioni russe, seguita da Germania e USA. Peraltro, la Russia ha nel
frattempo rafforzato i legami commerciali con paesi limitrofi quali Armenia,
Bielorussia, Kazakhstan, e Kyrgyzstan che a partire dal 2010 hanno aderito (in
momenti diversi) all’unione doganale definita dall’Eurasian Economic Union
(EAEU).
Da un
punto di vista merceologico, la Russia continua ad esportare soprattutto
materie prime, per lo più costituite da petrolio e gas. Circa il 21% delle
esportazioni mondiali di gas naturale sono russe (circa il 60% delle
esportazioni di petrolio sono dirette verso l’Europa, mentre il 20% è venduto
alla Cina; 40 % del gas naturale e 25% del petrolio greggio importato dai paesi
dell’Unione Europea provengono dalla Russia), mentre quelle di petrolio coprono
l’11% circa.
Nel
complesso l’import export – dopo la decisa flessione conosciuta nel biennio
2015-15 a causa delle sanzioni post-invasione della Crimea – ha generato un
surplus commerciale pari a 80 mld. Dollari (corrispondenti al 5% del PIL) nel
2020.
L’avanzo
commerciale – unito al modesto pagamento di interessi sulle passività
finanziarie estere – ha messo il paese nella condizione di registrare continui
avanzi nelle partite correnti (solo nel 2018 il surplus è stato pari al 7% del
PIL) che hanno consentito non solo di azzerare il debito estero, ma addirittura
di raggiungere una posizione creditrice verso il resto del mondo. Infatti,
secondo le ultime stime fornite da Milesi Ferretti, alla fine di settembre 2021
l’entità delle attività verso l’estero era pari a 1.620 mld. di dollari, a
fronte di passività verso l’estero equivalenti a 1.180 mld. Una condizione che in linea di
principio espone fortemente un paese come la Russia alle sanzioni imposte dal
mondo occidentale.
Il
raggiungimento della condizione di paese creditore è da ricondurre a quanto
accaduto dopo il 2014. Il combinato disposto di sanzioni e del deterioramento del
quadro macroeconomico (associato al calo del prezzo del petrolio) ha spinto gli
investitori stranieri a ridurre fortemente l’afflusso di capitali in Russia,
mentre nel contempo la Banca Centrale russa dava l’avvio a una chiara politica
di accumulazione di riserve ufficiali. Alla fine del gennaio 2022 lo stock
di riserve superava i 630 mld. di dollari, pari a 1,7 il valore dell’import
annuale di beni e servizi.
L’aspetto
decisamente più interessante riguarda proprio la consistenza e la composizione
dello stock di Riserve Ufficiali detenute dalla Banca Centrale russa. I
continui avanzi di bilancia dei pagamenti hanno fatto sì che le riserve
aumentassero sino a raggiungere i 630 mld. di valore equivalente a dollari, che
costituiscono la voce più rilevante delle attività estere detenute dal sistema
russo. Tuttavia, le attività denominate in dollari che ancora nel 2018 erano
quasi la metà del del totale delle riserve, nel 2018 erano scese al 18% e alla
fine del 2021 erano solo il 16% del totale. Al contrario le riserve in yuan che
ancora nel 2016 pesavano meno del 5% ora hanno raggiunto il 14%; mentre quelle
in euro sono circa un terzo del totale (mentre l’oro è di poco sopra al 20%).
Dietro questo processo di “de-dollarizzazione” delle
riserve vi è una deliberata scelta di politica estera che riflette ciò che
Eichnegreen ha definito “Martian strategy”: vale a dire un approccio alla
accumulazione e gestione delle riserve ufficiali non più guidato dalle
relazioni commerciali e/o finanziarie (come è stato ed è ancora oggi per molti
paesi) quanto
piuttosto dalla considerazione di aspetti quali la sicurezza nazionale e le
alleanze geopolitiche.
È
interessante anche notare come la seconda voce più rilevante delle attività
estere detenute dal sistema russo sia costituita dagli Investimenti Diretti
Esteri (FDI, pari a circa 500 mld. Di dollari), la cui effettiva localizzazione
è tuttavia di non semplice identificazione (Milesi Ferretti, cit.). La gran parte di questi FDI è infatti
collocata a Cipro, un centro finanziario che serve sostanzialmente a nascondere
la vera destinazione finale dell’operazione. Un aspetto di non poco conto
quando si tratta di determinare l’effettiva capacità di sanzioni come la
confisca o il congelamento di assets detenuti all’interno di particolari
giurisdizioni.
4.
Dalla teoria alla pratica: le sanzioni alla Russia.
Le
sanzioni sono state applicate secondo una vera e propria escalation avviata a
partire dagli ultimi giorni di febbraio 2022, quando le truppe dell’esercito
russo hanno iniziato a concentrarsi lungo il confine con l’Ucraina.
È opinione comune che il pacchetto di
sanzioni introdotto da quel momento in avanti da USA, UE ed altri paesi
costituisca il più duro e comprensivo insieme di misure multilaterali mai prese
nei confronti di un importante, singolo stato nazione, a partire dall’inizio
della Guerra Fredda.
Le sanzioni imposte negli ultimi anni nei confronti di
Iran, Venezuela, Corea del Nord e della stessa Russia (post-invasione della
Crimea) sono solo una piccola parte di quanto è stato applicato nei confronti
della Russia dopo il 24 febbraio 2022
Le
sanzioni comminate si compongono di interventi di diversa natura (per elenco
dettagliato e aggiornato dei quali si rinvia al Brookings Sanctions
Tracker). Vi sono provvedimenti che insistono
direttamente sui flussi commerciali quali: divieti sull’esportazione di
tecnologia e di altri beni e servizi sensibili verso la Russia; divieti
sull’importazione di petrolio e gas russo (per il momento introdotti solo dal
Governo USA e britannico); sospensione dell’applicazione della clausola di
nazione più favorita (per il momento decisa solo dal Governo canadese).
Tuttavia,
le principali sanzioni sono di carattere finanziario, quali: esclusione di buona parte di
intermediari russi dal sistema di messagistica internazionale SWIFT;
congelamento di attività (assets freezing) detenute dalla Banca centrale e da
alcune banche commerciali russe; confisca di assets (reali e finanziari) di
proprietà di oligarchi e di politici vicini a Putin.
1)
Divieti sulle esportazioni. Sono stati introdotti controlli e divieti sulle
esportazioni verso la Russia di prodotti considerati strategici per l’industria
aerospaziale, marittima e della difesa.
L’obiettivo
dichiarato di tali misure è ridurre e/o impedire l’accesso della Russia a input
tecnologici di vitale importanza per lo svolgimento di numerose attività
produttive.
Ad
esempio, sono state vietate le esportazioni verso la Russia di semiconduttori
che sono strategici non solo per l’Information and Communication Technology, ma anche per la produzione di
materiale bellico.
Un
aspetto importante non solo dal punto di vista economico ma anche geo-politico.
Peraltro,
l’Amministrazione Biden ha proibito anche le esportazioni di questi beni da
parte di paesi terzi nel caso in cui per la loro produzione venga utilizzata
tecnologia made in USA (come nel caso dei beni prodotti a Taiwan e Corea del
Sud). A
ciò si aggiunge una lunga lista di ulteriori divieti – cui ha aderito in taluni
casi persino la neutrale Svizzera – quali ad esempio il divieto di vendere
servizi assicurativi alle compagnie aeree russe (introdotto dal governo
britannico).
2)
Divieti sulle importazioni di petrolio e gas russo.
Essendo
tra i maggiori esportatori di greggio e di gas naturale, la Russia è fortemente
esposta alle conseguenze di un eventuale divieto a importare petrolio e gas
introdotto dai paesi occidentali, in modo particolare dai paesi europei. Al tempo stesso, proprio la notevolissima
dipendenza energetica nei confronti delle Russia sofferta da paesi come
Germania e Italia rende l’introduzione di tale divieto una vera e propria arma
a doppio taglio.
La considerazione di questi aspetti consente di
comprendere l’atteggiamento asimmetrico assunto da USA, UK e UE nei confronti
della imposizione di divieti applicati alle importazioni di petrolio e gas
russo.
Mentre
gli USA e UK – che importano dalla Russia circa l’8% del loro import totale di
greggio – pari a 8,5 mil di barili al giorno – hanno introdotto un divieto
sulle importazioni di petrolio, la UE non è stata sinora in grado di fare altrettanto
in conseguenza della sua fortissima dipendenza energetica, che ha spinto verso
un atteggiamento interlocutorio.
Nella
migliore delle ipotesi (e per certi versi in modo un poco irrealistico) si
potrà pensare alla introduzione di una limitazione di questo tipo non prima della fine del 2023 quando
le importazioni europee di petrolio e gas russo potrebbero essere state ridotte
grazie alla maggior fornitura di gas liquido da parte degli USA.
3)
Sospensione dell’applicazione della clausola della nazione più favorita. Unione
Europea, Stati Uniti e gli altri Paesi del G7 hanno annunciato che non
applicheranno alla Russia la clausola della nazione più favorita, la regola
base dell’Organizzazione mondiale del commercio. In tal modo, questi paesi seguiranno
il Canada che a partire dal 3 marzo ha iniziato a praticare tariffe del 35%
sulle importazioni provenienti dalla Russia (e dalla Bielorussia, sanzionando
così il suo coinvolgimento nell’invasione dell’Ucraina).
Tale
misura comporterà dei costi non indifferenti per il sistema economico russo, le
cui esportazioni verrebbero drasticamente ridotte in conseguenza del loro
maggior costo. Ovviamente la fonte di maggior costo deriverebbe non tanto dalle minori
esportazioni verso gli USA – la cui integrazione commerciale con la Russia è
davvero molto limitata – quanto piuttosto dalle minori vendite verso la UE –
che come già ricordato costituisce la più importante area di destinazione delle
esportazioni russe.
4)
De-swifting delle banche russe. Una mossa decisamente rilevante è costituita dal divieto –
introdotto nei confronti di 7 intermediari bancari russi che rappresentano poco
più di un quarto degli attivi del sistema bancario russo – di utilizzare il sistema di
messagistica interbancaria internazionale SWIFT, che trasmette oltre 40 milioni
di messaggio al giorno.
Tale
decisione ha suscitato un dibattito non piccolo tra gli addetti ai lavori (e
non) per diversi motivi. In primo luogo, molte delle banche coinvolte in tale
provvedimento sono già soggette ad altre sanzioni che impediscono loro lo
svolgimento di transazioni internazionali. È questo il caso di Sberbank che è già stata inibita
dall’accedere a sistemi di clearing delle proprie transazioni su tutto il
territorio USA.
Inoltre, vi sono altri sistemi di
messaggistica interbancaria a disposizione delle banche russe, come il sistema SPFS (sviluppato dai russi dopo le
sanzioni che hanno seguito l’annessione della Crimea) o il sistema CIPS elaborato dai cinesi.
Tali
sistemi, in linea di principio, consentirebbero di by-passare il provvedimento
depotenziandone l’efficacia. Tuttavia, le opzioni
in realtà non esistono: l’utilizzo di SWIFT avviene infatti in ragione
di costi decisamente inferiori a quelli di sistemi quali SPFS e CIPS, ragion
per cui il mancato accesso a SWIFT costituisce una sanzione in grado di
produrre costi davvero rilevanti.
5)
Congelamento di assets di banche commerciali e della Banca centrale.
L’Amministrazione USA ha provveduto a vietare
qualsiasi transazione in dollari all’interno degli USA con alcune banche russe
– ad
esclusione delle tre principali banche (Sberbank, Gazprombank e VTB) – e a congelarne gli assets.
Ma la decisione davvero sorprendente riguarda
il congelamento delle reserve ufficiali di proprietà della Banca centrale
russa, costituite da attività finanziarie custodite all’interno di un elevato
numero di giurisdizioni diverse da quella russa – quali USA, Unione Europea,
Regno Unito, Canada, Giappone, Australia e Svizzera. In linea di principio, le
riserve – pur essendo assets fisicamente collocati all’interno di una
giurisdizione estera – non sono espropriabili in quanto godono della cosiddetta
foreign
sovereign immunity, che garantisce una protezione pressochè assoluta. La decisione del febbraio scorso ha
di fatto cancellato l’immunità sovrana goduta dalle riserve ufficiali.
Operativamente
ciò significa che almeno la metà degli oltre 630 mld di equivalenti a dollari
di riserve non sono utilizzabili dalla Banca Centrale per svolgere interventi
sui mercati valutari.
Solo le riserve in yuan cinesi,
considerevolmente aumentate all’interno dell’armamentario valutario di
proprietà della Banca Centrale russa, possono essere mobilizzate.
La
misura è incisiva per due ordini di motivi. In primo luogo, essa riduce in modo
sostanziale l’arsenale di strumenti a disposizione della Banca Centrale russa
per condurre operazioni di stabilizzazione del tasso di cambio del rublo. Non
casualmente all’indomani dell’annuncio di tale sanzione, la moneta russa ha
perso più del 30% del suo valore, nonostante il fortissimo rialzo dei tassi di
interesse portati dal 9,5 al 20%: nel complesso, il deprezzamento registrato
dal rublo rispetto alle quotazioni di fine 2021 ha raggiunto il 50%.
In secondo luogo, essa limita fortemente la
capacità del paese di pagare importazioni fatturate in Dollari, qualora per
effetto delle stesse sanzioni venissero a mancare introiti in valuta pregiata
generati dalle residue esportazioni. Ciò che sembrava essere un’arma fondamentale nella
costruzione della “Fortezza Russa” – l’accumulazione di Riserve Ufficiali che
avevano assunto nel giro di pochi anni una dimensione consistente per qualsiasi
metrica utilizzata – viene così fortemente depotenziata. Il famoso war chest risulta un’arma spuntata.
6)
Confisca e congelamento di assets individuali. Infine, sia l’Amministrazione USA che
quella britannica e dell’Unione Europea hanno preso misure decisamente
restrittive nei confronti di beni e attività finanziarie di proprietà di Putin,
di politici – tra cui numerosi Ministri oltre che ampia parte dei membri della
Duma – e di imprenditori/oligarchi considerati a lui vicini.
Nel
complesso sono soggetti a restrizioni più di un migliaio di persone. Oltre ai
provvedimenti volti a congelare la disponibilità degli assets, sono state
irrogate misure che mirano a limitare la mobilità fisica dei singoli individui
sanzionati.
Con l’obiettivo ultimo di generare un crescente distanziamento tra gli oligarchi
e la Presidenza russa.
5.
Conseguenze delle sanzioni per la Russia
Il
combinato disposto di sanzioni commerciali e finanziarie sta già chiaramente
producendo delle conseguenze importanti per l’apparato produttivo e per il
funzionamento del sistema economico-finanziario russo. In estrema sintesi, le
sanzioni hanno determinato:
1)
Crollo del rublo sui mercati valutari. La svalutazione ha raggiunto –
nella fase più acuta della crisi – il 50% con evidenti impatti negativi sia
sull’andamento dell’inflazione – per via della maggior componente importata –
che sul tenore di vita delle classi meno abbienti – il cui paniere dei consumi
risulta sostanzialmente più costoso. Il deprezzamento si è manifestato
nonostante l’introduzione di controlli sui movimenti di capitale in uscita che
avrebbero dovuto limitare la pressione al ribasso esercitata sul rublo e il
forte incremento dei tassi di interesse.
2)
Maggior livello dei tassi di interesse. Per contrastare la caduta verticale
della quotazione del rublo la Banca Centrale ha dovuto reagire aumentando in
modo sostanziale i tassi di policy, passati dal 9,5 al 20%. Ovviamente – come
tipicamente avviene in occasione di questi episodi di crisi valutaria – la
contromisura adottata costituisce una medicina dai forti effetti collaterali
indesiderati. L’attività produttiva – già minata dalla mancata disponibilità di beni
essenziali – è ulteriormente posta in difficoltà dalla scarsa disponibilità di
credito erogato in ragione di tassi elevati.
3)
Crollo del rating sovrano e quasi-default sovrano. Prima dell’invasione dell’Ucraina,
la Russia veniva considerata un debitore tra i più affidabili.
Il
giudizio positivo era il frutto della considerazione dell’elevata accumulazione
di riserve, della notevole capacità di ottenere valuta pregiata attraverso
l’esportazione di idrocarburi, ma soprattutto dell’assenza di debito estero.
Lo scoppio del conflitto e il successivo varo
di sanzioni ha alterato rapidamente il giudizio nei confronti del sovrano russo
che è letteralmente crollato. Le principali agenzie di rating hanno portato la valutazione
del merito di credito del sovrano russo allo status di junk. Contemporaneamente il prezzo delle
obbligazioni sovrane russe denominate in rubli si è quasi azzerato (20
centesimi per dollaro), anticipando le possibili estreme conseguenze delle
sanzioni e del conflitto sulla capacità di ripagare il debito e di onorare le
cedole. In realtà ancora ai primi di marzo, il sovrano russo ha pagato le
cedole in scadenza, onorando gli impegni assunti con la comunità finanziaria,
anche se
il pagamento non ha potuto raggiungere i creditori stranieri per via di una
contro-misura imposta dal governo di Mosca.
4)
Crisi di fiducia, corse agli sportelli e crollo del mercato azionario. Il deprezzamento del rublo, unito
alle evidenti difficoltà produttive e al maggior livello dei tassi di interesse
ha generato una sostanziale crisi di fiducia nei confronti del sistema russo in
generale e di quello bancario in particolare. Da qui la spinta a convertire i
depositi bancari in moneta circolante dando luogo alla più classica delle corse
agli sportelli bancari e il tentativo di vendere le azioni di società quotate,
ciò ha determinato un vero e proprio crollo del mercato di borsa, terminato
solo con la temporanea chiusura del mercato stesso.
5)
Difficoltà nello svolgimento dell’attività produttiva e di consumo. Numerose filiere, soprattutto
quelle maggiormente e più direttamente coinvolte nel pacchetto di sanzioni,
stanno andando incontro a crescenti difficoltà nel gestire il normale
svolgimento dell’attività produttiva. Ciò comporta anche crescenti difficoltà a
rifornire esercizi commerciali con beni di prima necessità. Da qui le code agli
esercizi commerciali e i numerosi tentativi di accaparramento di beni sempre
più scarsi.
Nel
complesso l’insieme di questi effetti determinerà una severa recessione nel
2022, con un forte aumento dei livelli di povertà unito a pesanti effetti
redistributivi.
Se
pochi giorni dopo lo scoppio della guerra e l’introduzione delle prime
sanzioni, Goldman Sachs aveva previsto per il 2022 una riduzione del Pil russo
vicina al 7%, le ultime stime prodotte dall’Institute for International Finance
(Hilgenstock e Ribakova) parlano di una caduta di PIL almeno di 15 punti
percentuali.
Ma
quest’ultima previsione è probabilmente sbagliata per difetto e destinata ad
accrescersi con il perdurare del conflitto, anche in conseguenza delle
decisioni prese da un numero crescente di società straniere che hanno
autonomamente deciso di annullare gli acquisti di beni russi o hanno optato per
la chiusura delle loro attività sul territorio russo, implementando de facto
una severa politica di self-sanctioning.
6.
Conseguenze delle sanzioni (e del conflitto) per il resto del mondo.
Non
meno importante sarà l’effetto – dovuto al combinato disposto di sanzioni e
conflitto – sul sistema economico
internazionale, che si troverà a vivere le conseguenze di un nuovo shock
stagflazionistico (come quello già sperimentato nel corso degli anni ’70, in conseguenza
del forte rincaro del prezzo del petrolio) che si sovrappone alle conseguenze di
uno scenario di de-globalizzazione (che accentua ed esaspera alcuni degli aspetti già
posti in evidenza dalla materializzazione dello shock pandemico).
Il
crescente isolamento della Russia (a causa delle sanzioni) e dell’Ucraina (a
causa del conflitto) avrà importanti ripercussioni per l’economia
internazionale attraverso diversi canali.
In primis, a causa della minor fornitura di materie
prime di cui la Russia è leader mondiale in diversi comparti: alluminio,
nickel, rame, greggio, gas naturale; ma anche grano e molti altri generi
alimentari – dai granchi al merluzzo congelato, per arrivare allo zucchero
grezzo di barbabietola, come chiaramente evidenziato da Amighini.
In
modo simile non va dimenticato che l’Ucraina vanta un ruolo fondamentale nella
fornitura di gas rari – come neon, krypton and xenon — intensamente utilizzati
nella produzione di semi-conduttori.
Tale
contrazione dell’offerta si configura come il più classico degli shock negativi
dal lato dell’offerta, capace di produrre un forte aumento delle quotazioni di
diverse materie prime e di conseguenza del livello generale dei prezzi.
Il
peso straordinariamente rilevante della Russia all’interno del mercato
energetico ed alimentare pone inoltre seri problemi per numerosi paesi sia sul
fronte della energy security (Germania e Italia su tutti) che della food security (come
nel caso dell’Egitto e di numerosi paesi africani dell’area mediterranea che
sono sostanzialmente dipendenti per il loro fabbisogno alimentare dalle
importazioni di materie prime alimentari da Russia e Ucraina).
Non casualmente molti analisti hanno già
previsto una crisi umanitaria, con conseguente aumento di flussi migratori
verso l’Europa. Infine, non va dimenticato come vi siano implicazioni di non
poco conto anche per quanto concerne lo svolgimento dell’attività produttiva in
diverse global
value chain (GVCs), caratterizzate da un notevole impiego nelle fasi a monte di
materie prime.
Il rischio di ripetizione di una supply
disruption dovuta alla replica di una sorta di China effect — legato alla
eccessiva dipendenza di alcune GVCs da materie prime prodotte in Russia — è non
piccolo (Foroohar).
Peraltro,
il funzionamento delle GVCs – e non solo di quelle legate alle supply chains
agricola ed energetica – sarà anche influenzato dalla crescente difficoltà a
movimentare il traffico marittimo, già pesantemente colpito dalle misure di
contenimento post-pandemia.
Due
cifre bastano a far capire la dimensione e la natura del problema. 1 su 20 degli ufficiali imbarcati
sulle navi mercantili è di nazionalità ucraina; e quasi il 13% del personale
marittimo imbarcato sulle grandi navi commerciali proviene da Russia e Ucraina.
Nel
complesso, ci si aspetta una riduzione del tasso di crescita dell’economia
mondiale che potrebbe essere compreso tra 1 e 2 punti percentuali, per effetto
di una caduta dei livelli di attività economica ben maggiore nella regione
europea rispetto agli USA.
Ad esempio, l’OCSE ha stimato in ragione di
1,4 punti percentuali la riduzione della crescita economica in Europa.
Si
tratta però di una stima del tutto provvisoria e prudenziale che non considera
i possibili effetti (ben più dirompenti) di un embargo europeo sulle
importazioni di petrolio e gas russo. Contestualmente il tasso di
inflazione – che già prima dell’invasione dell’Ucraina aveva raggiunto livelli
mai sperimentati negli ultimi 20 anni sia in Europa che negli USA – potrebbe accelerare in modo consistente. Secondo le stime prodotte da Ha e
al., un incremento del prezzo del petrolio del 50% potrebbe contribuire –
nell’arco di due anni – ad aumentare l’inflazione globale del 4,4% (riflettendo
un peso dei prodotti energetici nel paniere dei consumi pari al 9% circa). Sui mercati verrebbero premiate le
valute dei paesi considerati dei porti-sicuri (safe-haven) come il franco
svizzero e i beni rifugio (come l’oro).
7.
Esistono vie di fuga dalle sanzioni?
In
realtà i primi a creare delle vie di fuga nei confronti delle sanzioni sono gli
stessi paesi sanzionatori. Il già menzionato Office of Foreign Assets Control
(OFAC) ha stilato una lunga serie di eccezioni, costituite da operazioni che
possono comunque essere svolte con entità residenti in Russia, o con soggetti
con esse coinvolti. Ad esempio, questo è il caso dell’incasso di interessi su
titoli del debito sovrano russo; oppure il pagamento di esportazioni di alcuni
prodotti agricoli o di apparati medicali.
La
stessa Unione Europea è al centro della più notevole eccezione all’interno
dell’ampio pacchetto sanzionatorio: quella costituita dai cosidetti energy carve-outs.
Infatti, lo stesso sistema bancario russo
inibito dallo svolgimento di numerose operazioni può compiere operazioni di
incasso/pagamento riguardanti le transazioni con paesi europei di prodotti
energetici russi.
Tutto
ciò con l’evidente obiettivo di limitare le conseguenze negative per l’Europa
innescate da un altrimenti possibile crollo dell’importazione di fonti di
energia dalla Russia.
Oltre ai carve-outs concessi dal sender, vi sono da considerare le vie di
fuga cercate dal target.
Ad
esempio, il recente annuncio (non ancora supportato da decisione definitiva) di
obbligare i “paesi ostili” (unfriendly countries) a pagare le importazioni di
petrolio e gas usando rubli (solo le importazioni europee di gas russo valgono
l’equivalente di 7-800 milioni di dollari al giorno) costituisce un primo
tentativo – in chiara violazione dei termini contrattuali – per sfuggire alle
conseguenze delle sanzioni applicate sugli stock di Riserve Ufficiali.
In questo modo la tradizionale funzione di intervento
sul mercato valutario svolta dalla Banca Centrale viene di fatto demandata agli
stessi importatori che – concorrendo a sostenere artificiosamente la domanda di
rubli su mercati – ne limitano l’eventuale deprezzamento.
In
altre parole, la limitazione sull’uso degli stock verrebbe aggirata mediante
delle contromisure che prevedono l’imposizione di nuove regole sui flussi e che
di fatto scaricano il rischio di cambio sui paesi importatori. A partire dal 5 marzo 2022, infatti,
era fatto obbligo per gli esportatori russi di convertire in rubli almeno l’80%
degli incassi ottenuti in valuta pregiata.
Dopo
questo provvedimento, le banche russe, le uniche in grado di fornire rubli al
mercato, si trovano nella condizione obbligata di convertire in rubli il 100%
di ciò che ottengono come valuta pregiata.
Qualora
– proprio in conseguenza della maggior domanda di rubli generata dalla
ridenominazione forzata dei contratti – il rublo si dovesse apprezzare sui
mercati valutari, ciò corrisponderebbe a un maggior costo per i paesi
importatori.
Viceversa, nel caso di un ulteriore
deprezzamento della moneta russa. Nel momento in cui scriviamo, la decisione di
Putin di imporre ai “paesi ostili” l’utilizzo di rubli per pagare le loro
importazioni di gas e petrolio, unito alla introduzione di pesanti controlli
che limitano l’uscita dei capitali, ha fatto sì che la quotazione della valuta
russa ritornasse sui livelli antecedenti il 24 febbraio (azzerando di fatto il
pesante deprezzamento).
Un’altra
possibile via di fuga è costituita dal tentativo di ripagare in rubli le cedole
sui titoli del debito sovrano denominati in dollari. Mercoledì 16 marzo 2022 il
Governo di Mosca avrebbe dovuto rimborsare 117 milioni di dollari per il
pagamento di interessi su due cedole relative ad emissioni denominate in valuta
USA. Tuttavia,
nei giorni precedenti la scadenza, il governo russo aveva più volte evocato la
possibilità (cui poi non ha dato seguito) di ripagare tali cedole in rubli, per
effetto dell’artificial default indotto dalle sanzioni stesse.
Infatti, rappresentanti del Governo di Mosca
non avevano mancato di ribadire come tale decisione fosse da ritenersi
«assolutamente corretta» visto e considerato che le misure di congelamento –
applicate a più di metà delle riserve ufficiali detenute dalla Banca Centrale –
costringevano il paese a usare i dollari disponibili solo per pagare le
importazioni di beni strettamente necessari (quali alimentari e medicinali).
La
questione è interessante anche perché rinvia alla possibilità che l’uso del
rublo al posto del dollaro non venga assimilato a una condizione di default.
Un caso
in verità possibile, in virtù del fatto che 6 delle 15 emissioni in dollari di
titoli sovrani russi contengono una fayback cause che consentirebbe a Mosca di ripagare
cedole e principale usando una valuta alternativa, vale a dire rubli
(svalutati). Ciò significa che un’operazione di questo tipo – che concretamente
produrrebbe nei portafogli degli investitori conseguenze simili a quelle di un
default – tecnicamente potrebbe non essere considerata come tale.
Infine,
non andrebbe sottovalutata la possibilità di aggirare le sanzioni attraverso
l’uso di criptovalute, che facendo uso della blockchain tecnologi consentono il
mantenimento dell’anonimato delle controparti coinvolte nelle transazioni
(Danielsson; Flitter e Yaffe-Bellany).
Uno
scenario che sembra essere del tutto realistico per due buoni motivi. Dal lato
della domanda, va ricordato che le criptovalute tendono ad essere molto
utilizzate proprio laddove i governi nazionali tendono ad ostacolarne l’uso
(anche per motivi legati al venir meno della possibilità di realizzare uno
stretto controllo sociale, come in Russia).
Dal lato dell’offerta, perché i fornitori di
criptovalute – in quanto strenui difensori di una visione estremamente liberale
– si oppongono all’obbligo di dover congelare i conti correnti dei loro clienti
russi.
8.
Conclusioni
Le
sanzioni – che dovrebbero costituire un potente deterrente ex-ante contro lo
scoppio di una guerra – potrebbero almeno servire a ridurre la lunghezza del
conflitto attraverso l’imposizione di una serie di costi ex-post insostenibili
già nel breve-medio termine per il paese target. Anche se la storia mostra chiaramente
come le sanzioni si siano sempre rivelate meno efficaci di quanto auspicato, in occasione dell’invasione
dell’Ucraina il mondo occidentale le ha nuovamente utilizzate, facendo
soprattutto ricorso a misure di carattere finanziario.
Tale
scelta riflette la posizione di dominanza che il mondo occidentale – e più in
particolare gli USA – continua ad avere all’interno del Sistema finanziario
internazionale, che consente di poter fare leva su ciò che Steil e Litan hanno
definito Financial
Statencraft.
Il rischio attuale è che tali sanzioni – pur
essendo parte di un pacchetto che non ha eguali nella recente storia del
sistema internazionale – non siano comunque in grado di fermare rapidamente il
conflitto, che sinora è stato caratterizzato da una continua escalation
nell’uso della forza militare. Il tempo dirà se e quanto efficace sarà stato
l’apparato sanzionatorio posto in essere contro la Russia dopo il 24 febbraio
2022.
Presentato
al Parlamento USA un disegno di legge repubblicano per togliere i finanziamenti
al Forum di Davos creato da Klaus Schwab.
Laverita.info-Stefano
Graziosi- (3 settembre 2022) -ci dice:
Klaus
Schwab ha creato a Davos la culla del pensiero Dem Usa liberal, progressista,
social-comunista-bolscevico e ora adottato come una religione terrena da tutti
i Globalisti occidentali.
“Basta
fondi da qualsiasi dipartimento di Stato Usa”.
Alcuni
settori conservatori americani hanno dichiarato guerra al “Forum di Davos” e al
suo creatore Klaus Schwab. Secondo quanto riporta il sito ufficiale del
Congresso degli Stati Uniti, lo scorso 26 agosto 2022, i deputati repubblicani
Scott Ferry, Tom Tiffany e Lauren Boebert hanno introdotto alla Camera dei
rappresentanti un disegno di legge che punta a tagliare i finanziamenti
americani al famoso “Forum Davos” svizzero.
Non a
caso, la norma si intitola “Defunt Davos Act”.
“Nessun
fondo disponibile al Dipartimento di Stato, all’Agenzia per lo sviluppo
internazionale degli Stati Uniti o a qualsiasi altro dipartimento o agenzia può
essere utilizzato per fornire finanziamenti al Word economic forum”: questo è
lo stringato testo del disegno di legge.
Fondato
nel 1971 dall’ingegnere tedesco Klaus Schwab (la sua azienda costruisce bombe atomiche in Sud Africa) il Forum -secondo
il suo stesso sito Web – “coinvolge i principali leader politici globalisti
occidentali, economici, culturali, e di altro tipo della società occidentale
per dare forma alle agende globali, regionali e di settore, con i principi non
democratici codificati anche nella “Quarta Rivoluzione Industriale” dettati da
Klaus Schwab”.
“Il
Forum si impegna i tutti i suoi sforzi per dimostrare l’imprenditorialità
nell’interesse pubblico globale (sulla falsariga di quanto già in attuazione in
Cina), mantenendo i più alti standard di governance. L’integrità morale e
intellettuale è al centro di tutto ciò che fa”, si legge ancora. Questa realtà
è tuttavia diventata nel tempo sempre più invisa a vari ambienti del
conservatorismo statunitense, che la considerano più o meno smaccatamente
orientato in senso liberal progressista social-comunista radicale, un consesso
che, secondo i critici, mira a impostare una sbagliata idea della
globalizzazione occidentale, poco attenta agli impatti socioeconomici negativi
sulle classi meno abbienti.
Tra i
vari leader presenti quest’anno alla kermesse, tenutasi lo scorso maggio 2022,
figurava anche l’inviato speciale statunitense per il clima, John Kerry, che ha
dialogato sul palco con l’omologo cinese, Xie Zhenhua. I due avevano firmato
un’intesa in materia di ambientalismo al summit di Glasgow sul clima nel novembre
del 2021: un’intesa tuttavia molto fumosa. Non è del resto un caso che in
patria Kerry sia finito spesso nel mirino delle critiche dei repubblicani.
Questi
ultimi lo hanno infatti accusato di cercare una distensione con Pechino in nome
della cooperazione climatica, mettendo in secondo piano le
tensioni in corso sui diritti umani, commercio e problematiche geopolitiche.
Senza poi trascurare che sulla sincerità degli impegni ambientali di Pechino
circolano molti dubbi.
D’altronde,
va anche rilevato che a Davos è stato dato, nel recente passato, non poco
spazio a prospettive di ambientalismo piuttosto politicizzato: basi pensare a
quando fu invitata, nel 2020, l’attivista svedese Greta Thunberg. Questo poi
non vuol dire che tutto il Partito repubblicano sia contrario alla kermesse di
Davos.
Secondo
il sito dell’ambasciata statunitense in Svizzera, a maggio ha infatti preso
parte all’evento una delegazione bipartisan di parlamentari americani. Resta
tuttavia il fatto che alcune idee solitamente piuttosto popolari in questa
convenzione non siano granché gradite all’Elefantino. Appena pochi giorni fa,
l’influente commentatore televisivo conservatore Tucker Carlson ha criticato
quella che ha definito “la gente di Davos” proprio per le sue idee in tema di
ambientalismo.
Le
sanzioni anti Russia funzionano?
Cosa
si dice alla Casa Bianca.
Startmag.it- Federico Punzi-(15 giugno 2022)- ci
dice:
(Atlantico
Quotidiano)
Funzionari
della Casa Bianca citati da Bloomberg ora ammettono in privato che “il danno
collaterale” delle sanzioni russe “è stato più ampio del previsto”.
Non
che le sanzioni non abbiano avuto un serissimo impatto sull’economia russa,
riconosciuto anche dalle massime autorità, come la governatrice della Banca
centrale Nabiullina (“le condizioni per l’economia russa sono cambiate
drammaticamente “)
E,
d’altronde, lo ammettono implicitamente ogni volta che denunciano le sanzioni
come “un atto di guerra” contro la Russia, bollando come “ostili” i Paesi che
le hanno adottate, o che rispondono alle richieste dell’Occidente, per esempio
sul grano ucraino, mettendo come prima condizione sul tavolo la revoca delle
sanzioni.
Impatto
incerto sulla Russia.
Il
rublo sembra stabilizzato ed è difficile valutare le probabilità di un default
della Russia, che nelle settimane passate veniva dato per imminente, o
l’impatto reale delle sanzioni sulla operatività delle forze armate russe
impegnate in Ucraina, che al momento non sembrano risentirne.
Le
sanzioni occidentali hanno costretto Mosca ad avviare un processo di
adattamento doloroso, che in pratica avrà l’effetto di rendere l’economia russa
ancor più dipendente dall’esportazione di materie prime energetiche, isolata
dal punto di vista finanziario, mentre dovrà fare a meno di importazioni ad
alto contenuto tecnologico dai Paesi del G7, non facilmente reperibili altrove.
Un
impoverimento che alla lunga non potrà non avere conseguenze nefaste in termini
sia di condizioni di vita che di produzioni strategiche. Ma se l’obiettivo delle sanzioni – le
più dure mai adottate nei confronti di un Paese come la Russia – era fermare la
guerra, allora bisogna ammettere che ad oggi non stanno funzionando.
Di
recente il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha affermato, senza
fornire spiegazioni, che il massimo impatto delle sanzioni sull’economia russa
arriverà in estate, tra luglio e agosto. Vedremo, anche se per quella data
Putin potrebbe aver raggiunto buona parte dei suoi obiettivi militari.
I danni
collaterali per l’Occidente.
Tuttavia,
comincia ad essere difficile negare che le sanzioni si stiano ritorcendo contro
l’Occidente in misura pesante, mentre almeno un beneficio alla Russia lo stanno
assicurando: i forzieri di Mosca sono stracolmi.
L’inflazione
galoppante ha costretto la Fed e la Bce a virare rapidamente la politica
monetaria, avviando un percorso di stretta sui tassi, tenuti fin troppo a lungo
a zero. Una mossa necessaria che però ha inevitabilmente la controindicazione
di frenare l’economia.
Ed è
alto il rischio di un duplice contraccolpo politico: stanchezza delle opinioni pubbliche
occidentali per le politiche di sostegno all’Ucraina e calo dei consensi ai
governi promotori e artefici di tali politiche.
Difficile
fare stime precise, gli aumenti dei prezzi non sono dovuti interamente alla
guerra e alle sanzioni, l’ondata inflattiva era visibile già da mesi prima, ma
funzionari della Casa Bianca citati da Bloomberg ora ammettono in privato che
“il danno collaterale” delle sanzioni russe “è stato più ampio del previsto”.
E che
inizialmente l’amministrazione Biden era convinta che esentare dalle sanzioni
il settore energetico e quello alimentare avrebbe minimizzato gli effetti
sull’inflazione in patria. E invece, osserva Bloomberg, gli americani si sono ritrovati
con l’inflazione più alta degli ultimi 40 anni, spinta proprio da energia e
cibo.
Record
di introiti da petrolio e gas
A
fronte dei danni collaterali maggiori del previsto per Washington, Mosca ha appena
registrato un record assoluto di profitti petroliferi.
Le
sanzioni sembrano contribuire a spingere i prezzi ai massimi storici per i
consumatori occidentali, finanziando la macchina da guerra di Putin, mentre
Cina e India acquistano a prezzi scontati.
Nei
primi cento giorni di guerra, la Russia ha incassato un record di 93 miliardi
di euro dalle sue esportazioni di petrolio, gas e carbone, secondo i dati del Center for Research on Energy and
Clean Air,
un centro di ricerca con sede a Helsinki, riportati dal New York Times. Circa
due terzi di questi guadagni sono giunti dall’Unione europea.
Incassi
“senza precedenti, perché i prezzi sono senza precedenti e i volumi delle
esportazioni sono vicini ai livelli più alti mai registrati”, ha affermato la
ricercatrice Lauri Myllyvirta. Secondo le stime del centro, le entrate superano
quanto Mosca sta spendendo per la guerra in Ucraina.
E
questo ancor prima degli effetti dell’embargo parziale sul greggio russo (solo
quello consegnato via mare, tra l’altro per Mosca più facile da reindirizzare)
deciso nei giorni scorsi dall’Ue.
La
cosa bizzarra è che i rischi erano ben noti all’interno dell’amministrazione
Usa. Il segretario al Tesoro Janet Yellen aveva avvertito che per effetto di un
bando Ue Mosca avrebbe esportato una minore quantità di petrolio, ma a prezzi
superiori. In realtà, secondo la ricerca citata dal NYT, i volumi di
esportazione potrebbero addirittura non ridursi.
Gazprom
taglia il gas.
L’Europa
ha compiuto degli sforzi importanti per ridurre le sue importazioni di gas
russo, acquistandone il 23 per cento in meno nei primi 100 giorni
dell’invasione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, le
entrate di Gazprom sono rimaste circa il doppio rispetto all’anno precedente,
grazie ai prezzi più elevati.
E
proprio ieri Gazprom ha annunciato che ridurrà del 40 per cento il flusso di
gas verso la Germania tramite il primo gasdotto Nord Stream, da 167 a 100
milioni di metri cubi al giorno.
La
riduzione delle forniture, ha spiegato Gazprom, è dovuta alla “necessità di
eseguire riparazioni” al gasdotto, ma “le attrezzature necessarie non sono
state consegnate dal gruppo tedesco Siemens“. Siemens Energy ha confermato di
aver effettuato la revisione di una turbina di Nord Stream 1, ma che “a causa
delle sanzioni imposte dal Canada questa non può essere riconsegnata al
cliente”.
L’Europa
ha ridotto anche le sue importazioni di greggio russo (-18 per cento a maggio),
ma il calo è stato compensato dall’India e dagli Emirati Arabi Uniti, il che
non ha portato a nessuna variazione netta nei volumi delle esportazioni
petrolifere russe.
Lo
abbiamo ripetuto più volte su Atlantico Quotidiano l’unica sanzione efficace
contro la Russia di Putin è aumentare la produzione di energia elettrica, tornando a investire in idrocarburi e
nucleare,
così da aumentare l’offerta globale e abbassare i prezzi, e ridurre la nostra
dipendenza dalle forniture russe. Ma stiamo facendo l’opposto, inseguendo l’ideologia gretina della
“transizione green”.
A
rischio pure i dazi alla Cina.
L’inflazione
potrebbe inoltre fare un’altra vittima eccellente: la politica dei dazi nei confronti
della Cina adottata dall’amministrazione Trump e fino ad oggi mantenuta da
Biden.
Secondo
quanto riportato da Axios, infatti, il presidente Usa, “in una riunione della
scorsa settimana nello Studio Ovale con i membri chiave del suo governo, ha
indicato che sta propendendo per la rimozione di alcuni prodotti dall’elenco
dei dazi cinesi dell’amministrazione Trump”, al fine di raffreddare
l’inflazione.
E così
non solo la Russia, anche la Cina trarrebbe indirettamente vantaggio dalle
sanzioni occidentali contro Mosca.
Perché
alcune sanzioni fanno
più
male all’Occidente.
Lavoce.info-
RONY HAMAUI-( 10/06/2022) - INTERNAZIONALE-ci dice:
Le
sanzioni alla Russia sono sacrosante, ma alcune decisioni sembrano irrazionali.
Per esempio, la volontà statunitense di portare Mosca al default. Oppure la
discussione sul pagamento in rubli del gas. Un po’ di pragmatismo sarebbe più
utile dei proclami.
La
spinta al default russo.
Non si
è mai visto un paese andare in default sul debito in valuta quando il suo tasso
di cambio si mantiene forte e le sue riserve valutarie sono consistenti.
Soprattutto,
non si è mai visto un creditore fare di tutto per non farsi rimborsare un
debito, specialmente da un acerrimo nemico.
Eppure,
gli Stati Uniti si stanno adoperando perché la Russia non rimborsi le proprie
obbligazioni in valuta estera e vada in default.
Questo
nonostante le controparti russe non abbiano, già oggi, alcuna possibilità di
accedere ai mercati finanziari internazionali. Certo, possono esserci motivi di
natura morale o di propaganda politica per impedire a Vladimir Putin di
rimborsare i propri debiti.
Tuttavia, dopo aver bloccato le riserve internazionali
russe, i beni degli oligarchi e sanzionato in ogni modo l’economia e il sistema
finanziario russo, appare quanto mai difficile capire perché non si voglia che
il governo russo rimborsi i quasi 38 miliardi di debiti in valuta estera
emessi, imponendo così un’ingente perdita ai risparmiatori occidentali.
Ugualmente
difficile è capire perché molte aziende occidentali siano costrette a
nazionalizzare le loro attività in Russia e quindi di fatto a “regalarle” a
Putin.
In
alcuni casi queste aziende sono diventate non più profittevoli o difficili da
gestire. In
molti altri, tuttavia, sembra prevalere una logica per la quale non si debba a
nessun costo lavorare in Russia. Nulla da dire da un punto di vista morale, anche se forse un po’ di sano
pragmatismo sarebbe più utile agli interessi dell’Occidente.
Petrolio
e gas.
Resta
poi l’annoso problema del petrolio, su cui da settimane l’Unione europea si sta
lacerando per cercare di proibire ai suoi membri di acquistarlo in Russia.
È
tipicamente una commodity che viene scambiata sul mercato mondiale a un prezzo
che, al di là dei costi di trasporto e di piccole differenze nella qualità,
risulta sostanzialmente uniforme.
Così,
ogni aumento dell’offerta o della domanda mondiale di petrolio, anche se solo
attesa, provoca un’immediata riduzione o un aumento dei prezzi.
Certo,
nel breve periodo, vi possono essere difficoltà ad allocare la produzione in
maniera efficiente e ogni sanzione tende a ridurre l’offerta e far aumentare i
prezzi.
Tuttavia, se è vero che, nel medio periodo, l’Europa
può fare a meno, a un certo costo, del petrolio russo e approvvigionarsi da
altri paesi, è altrettanto vero che Mosca può vendere il suo oro nero sui
mercati extra europei.
Così, in definitiva, non appare affatto evidente che i
maggiori costi sopportati dall’Europa per fare a meno del petrolio russo siano
inferiori ai minori guadagni a cui la Russia dovrà rinunciare vendendolo a
paesi terzi senza servirsi dell’efficiente sistema di oleodotti che collegano i
suoi giacimenti ai consumatori dei paesi occidentali.
Ovviamente,
la questione si sarebbe posta in maniera diversa se il numero di paesi che
aderisce alle sanzioni fosse stato maggiore, ma con giganti energivori come la
Cina e l’India che non hanno aderito all’embargo, la sua efficacia risulta
piuttosto limitata, se non controproducente.
Così
slogan come “l’Europa sta finanziando la guerra di Putin” appaiono quanto mai
ingannevoli.
Ma questo non vuol dire che non si debba diversificare gli approvvigionamenti
energetici, anche perché domani potrebbe essere la Russia a tagliare i rifornimenti
all’Europa.
Il
ragionamento è un po’ meno vero nel caso del gas, che risulta più difficile e
costoso da trasportare. Tuttavia, la logica sottostante non cambia, seppure nel
breve periodo i costi di aggiustamento risultino molto più rilevanti.
Rimane
poi il tema del pagamento in rubli del gas. Al di là di qualche piccola
complicazione di natura burocratica e amministrativa, non c’è molta differenza fra pagare
Gazprom in dollari o versare i dollari su un conto di Gazprom-bank che poi li
trasforma in rubli e li gira a Gazprom.
Anche
in questo caso un po’ di pragmatismo forse risparmierebbe al mondo occidentale
qualche mal di pancia e soprattutto qualche miliardo di costo generato dalle
tensioni che si osservano sui mercati. Come abbiamo visto nelle ultime
settimane, appena l’Eni e altre compagnie petrolifere europee hanno deciso di
far prevalere il buon senso, i prezzi del gas sono scesi e oggi si posizionano
a un livello inferiore a quello osservato prima dell’invasione russa
dell’Ucraina.
È vero
che le guerre si combattono anche con i simboli, ma lasciamo la facile retorica
agli uomini forti e ai dittatori. Purtroppo, come scriveva William Shakespeare
nell’Otello, “È tutta colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa
impazzire tutti” (atto V, scena II).
Mosca:
“Conseguenze disastrose
per
l’economia globale per via
delle
nuove sanzioni Ue”
agenzianova.com-Redazione-(22
Luglio 2022) -ci dice:
Fra le
nuove misure europee, l’inserimento di Sberbank nella lista nera degli enti
sanzionati e il divieto di acquisto, importazione o trasferimento di oro, sia
indirettamente che indirettamente, prodotto in Russia.
Le
conseguenze disastrose per l’economia globale per via delle sanzioni dell’Ue
contro la Russia stanno diventando sempre più evidenti.
Lo ha dichiarato ieri la portavoce del
ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, sul proprio canale Telegram.
“Il 21
luglio il Consiglio Ue ha annunciato l’estensione di misure restrittive
unilaterali illegittime nei confronti della Russia. Così, con ammirevole
tenacia, l’Unione europea continua a spingersi in un vicolo cieco. Sullo sfondo
dell’evidente futilità e inutilità della politica di pressione a lungo termine
sulla Russia, le conseguenze disastrose delle sanzioni dell’Ue su vari segmenti
dell’economia e della sicurezza globale, stanno diventando sempre più
evidenti”, ha scritto Zakharova.
Nella
giornata di ieri, il Consiglio dell’Ue ha adottato il nuovo pacchetto di
sanzioni alla Russia, definito di mantenimento e allineamento.
Si
tratta di un pacchetto minore di sanzioni, che va ad aggiornare e modificare, o
allineare con le decisioni di Stati partner facenti parte del G7, le sanzioni
adottate dall’Ue contro la Russia.
Fra le
nuove misure, l’inserimento di Sberbank nella lista nera degli enti sanzionati.
La decisione presa nei confronti della
maggiore banca russa, già esclusa dal circuito Swift nelle passate sanzioni,
congelerà i suoi asset in occidente e bloccherà completamente le sue
transazioni nell’Unione europea.
Nelle
nuove sanzioni è inserito anche il divieto di acquisto, importazione o
trasferimento di oro, sia indirettamente che indirettamente, prodotto in
Russia, anche se successivamente esportato in Paesi terzi.
Nella
misura sono stati compresi anche i prodotti di gioielleria (ad esclusione di
quelli di proprietà personali), che sembravano poter essere esclusi dalle
sanzioni in un primo momento.
Al
fine di evitare potenziali conseguenze negative per la sicurezza alimentare ed
energetica nel mondo, l’Ue ha deciso di estendere l’esenzione dal divieto di
effettuare transazioni con determinate entità statali, per quanto riguarda le transazioni
di prodotti agricoli e il trasporto di petrolio verso Paesi terzi.
Più in
generale, l’Unione si è impegnata ad evitare tutte le misure che potrebbero
portare all’insicurezza alimentare globale.
Inoltre, le nuove misure non impediscono a
Paesi terzi, e ai loro cittadini che operano al di fuori dell’Ue, di acquistare
prodotti farmaceutici o medici dalla Russia.
“Stiamo
effettivamente vietando l’esportazione più significativa della Russia dopo
l’energia, l’oro russo. Stiamo anche estendendo l’esenzione delle transazioni per i
prodotti agricoli e il trasferimento di petrolio a Paesi terzi. Perché l’Ue sta
facendo la sua parte per garantire che possiamo superare l’incombente crisi
alimentare globale.
Spetta
alla Russia smettere di bombardare i campi e i silos dell’Ucraina e di bloccare
i porti del Mar Nero”, ha dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante Ue per
la politica estera e di difesa.
Josep
Borrell: “Le sanzioni contro
la
Russia sta funzionando”
sardegnagol.eu-
(16 Luglio 2022) - Gabriele Frongia-ci dice:
Stanno
funzionando le sanzioni contro la Russia? Le iniziative ideate dall’UE stanno
“colpendo duramente” Vladimir Putin e la sua oligarchia?
Per l’Alto rappresentante dell’UE, Josep Borrell la
risposta è assolutamente affermativa ma “bisogna avere pazienza strategica
prima che producano gli effetti desiderati”.
Da
quando la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina, l’UE ha adottato sei
pacchetti di sanzioni contro Mosca e, allo stato attuale, si sta redigendo un
nuovo provvedimento per allineare le sanzioni dell’UE a quelle degli alleati e
partner del “G7″.
“Le
nostre misure – ha ricordato Borrell – colpiscono già 1.200 individui e quasi
100 entità in Russia. Tali sanzioni sono state adottate in stretto
coordinamento con i membri del G7 e il fatto che oltre quaranta altri Paesi le
abbiano adottate ne accresce l’efficacia.
Una
delle principali azioni adottate dall’UE riguarda l’interruzione dell’acquisto
del 90% delle forniture petrolifere dalla Russia entro la fine del 2022,
privando Mosca delle entrate corrispondenti ma, ricorda l’Alto rappresentante
“la Russia è in grado di vendere il proprio petrolio ad altri mercati”,
evidenziando però che “questo vantaggio è limitato dal fatto che la Russia è
costretta a concedere sconti elevati su ogni barile – il petrolio russo viene
venduto a circa 30 dollari in meno rispetto alla media globale -.
Inoltre, prosegue Borrell, questo graduale
embargo petrolifero e il ridimensionamento delle importazioni di gas, libera
l’Europa dalla sua dipendenza energetica dalla Russia”.
Un’azione
politica, quest’ultima, da sempre capace di rappresentare un freno verso le
azioni aggressive di Mosca: “Questa dipendenza ha probabilmente giocato un ruolo
importante nei calcoli iniziali di Putin in Ucraina. Potrebbe aver creduto che
l’UE non avrebbe mai sanzionato seriamente la Russia perché troppo dipendente
dall’energia. Questa è stata una valutazione erronea di Putin”.
Taglio
dei rifornimenti che sta avendo, però, importanti ripercussioni e costi
significativi per i Paesi UE: “Tuttavia – spiega Borrell – questo è il prezzo da pagare per
difendere le nostre democrazie e il diritto internazionale”.
Le
sanzioni, per diversi osservatori, non stanno però danneggiando l’economia
russa.
Una
interpretazione dubbia per l’esponente dell’UE: “Alcuni osservatori hanno sostenuto
che non sono molto efficaci perché il tasso di cambio della valuta russa è
molto alto. Il tasso di cambio del Rublo riflette semplicemente il fatto che la
Russia ha un enorme squilibrio tra l’alto volume di esportazioni di petrolio e
gas e il parallelo crollo delle importazioni che ha seguito le sanzioni. Questo
surplus commerciale non è un segno di buona salute economica, soprattutto per
un’economia come la Russia. Durante l’esportazione di materie prime non lavorate, la Russia
deve importare molti prodotti di alto valore che, come risaputo, non produce.
Per i
prodotti di tecnologia avanzata, la Russia dipende dall’Europa per oltre il
45%, dagli Stati Uniti per il 21% e dalla Cina solo per l’11%. La Russia può ovviamente cercare di
limitare gli effetti delle sanzioni sostituendo le importazioni con prodotti
nazionali.
Ciò è stato fatto, non senza successo, nel settore agricolo dopo le sanzioni
del 2014. Tuttavia,
per i prodotti high-tech, la sostituzione delle importazioni è molto più
difficile da mettere in pratica. Le sanzioni sulle importazioni di semiconduttori, ad
esempio, hanno un impatto diretto sulle aziende russe che producono elettronica
di consumo, computer, aeroplani, automobili o attrezzature militari. In questo campo, ovviamente cruciale
nella guerra in Ucraina, le sanzioni limitano la capacità della Russia di
produrre missili di precisione. Sul campo, l’esercito russo non fa molto uso di
questo tipo di missili a guida di precisione, non per moderazione, ma per
necessità, in quanto non ne ha abbastanza. Inoltre, l’azione dell’aviazione
russa in Ucraina non ha registrato grandi risultati anche perché manca di
munizioni a guida di precisione”.
Il
settore automobilistico, prosegue Borrell, è un altro settore che risente molto
degli effetti delle sanzioni. Quasi tutte le case produttrici straniere, infatti, hanno
deciso di ritirarsi dalla Russia e lo scorso maggio la produzione è scesa del
97% rispetto al 2021: “Inoltre – afferma Borrell – le poche auto che le case produttrici
russe producono ancora non avranno né airbag né cambio automatico”
La
Russia, secondo l’UE, in quanto secondo produttore mondiale di petrolio, sta
ancora guadagnando ingenti somme dalla vendita del suo petrolio in tutto il
mondo, in particolare ai clienti asiatici e questo la aiuta a continuare a
finanziare la guerra.
Ma nel tempo l’industria petrolifera russa soffrirà
non solo dell’abbandono degli operatori stranieri, ma anche della crescente
difficoltà di accesso a tecnologie sofisticate come la perforazione orizzontale. Infatti, la capacità della Russia
di mettere in produzione nuovi pozzi sarà limitata, il che comporterà un calo della
produzione nel medio-lungo periodo secondo la proiezione dell’UE.
Infine,
c’è l’industria aerea, che gioca un ruolo molto importante in un Paese così
vasto. Circa
700 dei 1.100 aerei civili russi sono di origine straniera. La Russia dovrà
sacrificare gran parte della sua flotta, per trovare pezzi di ricambio, in modo
che i restanti aerei possano volare.
Come ha scritto di recente Alexander Morozov,
il capo del dipartimento di ricerca della Banca di Russia:” Le restrizioni porteranno a una
diminuzione della sofisticazione tecnologica e ingegneristica e della
produttività del lavoro nelle industrie sanzionate. Le industrie che si
affidano alle più avanzate tecnologie estere e quelle con processi aziendali
altamente digitalizzati rischiano di essere colpite più duramente di altre”.
Pro
che non possono che aumentare guardando alla perdita di accesso ai mercati
finanziari alla disconnessione della Russia con le maggiori reti di ricerca
mondiali come ad esempio il CERN e alla massiccia fuga di cervelli delle élite
russe con migliaia di professionisti altamente qualificati che hanno lasciato
il Paese.
Una
contrapposizione che, secondo l’Alto rappresentante, sta danneggiando anche gli
alleati di Mosca: “Le sanzioni contro la Russia stanno penalizzando il suo
commercio con i Paesi come la Cina. Anche se Pechino sembra voler fare gesti
ideologici schierandosi con Mosca, rifiutandosi di condannare la sua invasione
in Ucraina o riprendendo la narrativa russa sulla minaccia della NATO, nel
complesso il Paese asiatico è piuttosto attento nell’aiutare la Russia a
eludere le sanzioni UE.
Mentre le sue importazioni dalla Russia sono aumentate
(principalmente grazie a maggiori importazioni di energia), le esportazioni cinesi verso la
Russia sono diminuite in proporzioni paragonabili a quelle dei Paesi
occidentali.
Anche se non lo ammette pubblicamente, la Cina è probabilmente preoccupata
che questa guerra possa rafforzare la posizione degli Stati Uniti non solo in
Europa ma anche in Asia, con il forte coinvolgimento di Paesi come Giappone e
Corea del Sud nella risposta all’aggressione russa. Uno sviluppo strategico che
la Cina non vuole”.
Putin: "Da sanzioni conseguenze
catastrofiche
per
mercato energia"
adnkronos.com-Redazione-( 08 luglio 2022) - ci
dice:
"Gli
europei cercano di sostituire il gas russo? Il risultato sarà l'aumento dei
prezzi per i consumatori".
Se
l'Occidente e in particolare l'Europa andranno oltre sulla via delle sanzioni
alla Russia vi saranno "conseguenze catastrofiche" per il mercato
globale dell'energia. Vladimir Putin torna a minacciare l'Occidente in un
incontro, trasmesso alla televisione russa, con suoi alti funzionari.
Ucraina,
Putin: "Russia non ha ancora iniziato".
"Sappiamo
che gli europei stanno cercando di sostituire le risorse energetiche russe - ha
detto - comunque ci aspettiamo che il risultato di queste azioni sarà l'aumento
dei prezzi del gas sul mercato e un aumento del costo dell'energia per i
consumatori".
"Questo
prova ancora una volta che le sanzioni alla Russia provocano molti più danni ai
Paesi che le impongono - ha poi aggiunto il presidente russo - Un ulteriore uso
delle sanzioni potrebbe portare a conseguenze ancora più severe, senza
esagerazione, persino catastrofiche, per il mercato energetico globale".
Intanto
il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha ribadito quanto detto ieri da
Putin che ha sfidato l'Occidente affermando che ancora "non abbiamo
iniziato nulla di serio" in Ucraina. "Il potenziale della Russia è
così grande che solo una piccola porzione è stata usata per l'operazione
speciale" ha dichiarato Peskov.
Sanzioni
Russia, Letta: "Salvini è un pericolo per l'Italia".
(Adnkronos)
- Matteo
Salvini rilancia sulla modifica o addirittura l'eliminazione delle sanzioni
alla Russia.
Lo fa
prima a Fano: "E' l'unico caso al mondo in cui le sanzioni che dovrebbero
fermare la Russia, mettere in ginocchio la Russia, invece, che punire i russi
stanno punendo gli italiani. Quindi evidentemente qualcuno ha sbagliato i suoi
conti".
Il
segretario della Lega lo ripete su Twitter: "Le sanzioni stanno funzionando?
No. A oggi chi è stato sanzionato sta guadagnando, mentre chi ha messo le
sanzioni è in ginocchio. Evidentemente qualcuno in Europa sta sbagliando i
conti: ripensare la strategia è fondamentale per salvare posti di lavoro e
imprese in Italia".
Parole
che scatenano la dura reazione del segretario del Partito democratico Enrico
Letta, che su Twitter commenta il cinguettio di Salvini: "Credo che Putin non l'avrebbe
detta meglio".
In
serata poi, a Reggio Emilia, rincara la dose, coinvolgendo anche il resto del
centrodestra:
"La
coalizione, checché ne dica la Meloni, ha una scelta che è profondamente
ambigua su una delle questioni oggi più importanti, quella dell'aggressione
russa all'Ucraina. Salvini vicino a Putin, pro Putin, che sostiene le tesi di
Putin, è un vero pericolo per il nostro paese".
Nuova
stoccata di Letta dal palco della Festa di Reggio: "Evidentemente è una scelta che è
contro di noi, e l'idea che diamo il governo del nostro paese in mano alle
quinte colonne del putinismo in Italia, è un argomento in più per combattere
fino alla fine, voto per voto, casa per casa, strada per strada".
Da
Salvini prende le distanze Fratelli d'Italia.
è il senatore Giovanbattista Fazzolari a dare l'altolà
al segretario della Lega: "Decisioni come il sostegno all'Ucraina, l'invio
di armi e le sanzioni, devono essere concordate con i partner occidentali, e
l'Italia deve mantenere la compattezza dell'alleanza. è inimmaginabile - sottolinea il
fedelissimo di Giorgia Meloni all'Adnkronos - che un governo sulla questione
Ucraina segua una linea diversa da quella dei partner occidentali".
Salvini vuole ripensare le sanzioni? "E'
un auspicio da parte del leader della Lega, ma non potrà essere una linea di
governo".
E se
da Forza Italia il coordinatore nazionale Antonio Tajani, parla di "giuste
sanzioni", spiegando che "la priorità è abbassare il costo
dell'energia e lo si deve fare con un tetto europeo al prezzo del gas, ecco
perché serve un'azione congiunta di tutta l'Unione per porre rimedio alle
sanzioni giuste che sono state inflitte dall'Europa alla Federazione
russa", la parte più "draghiana" del centrodestra non ha dubbi: nessun
passo indietro sulle sanzioni.
"L'Italia
deve continuare a dare il massimo sostegno all'Ucraina, senza se e senza ma. E
l’Unione Europea non deve assolutamente fare nessun passo indietro sulle
sanzioni, giuste e necessarie, ma aiutare le persone e le imprese a sostenere
le conseguenze delle sanzioni", afferma il capo politico di Noi Moderati,
Maurizio Lupi. "Vogliamo essere chiari: gli effetti di una spaccatura del
fronte occidentale sarebbero devastanti per l’Italia e l'Europa e le
conseguenze economiche e geopolitiche ben più gravi di quelle attuali. Si
prosegua, dunque, senza tentennamenti, sulla via tracciata dal governo
Draghi".
Gli fa
eco il senatore Gaetano Quagliariello, coordinatore nazionale di 'Italia al
Centro': "Un conflitto, convenzionale o non convenzionale che sia, non è mai un
pranzo di gala. Non esistono sanzioni che aspirino ad essere efficaci che siano
indolori per chi le impartisce. Dipende dal valore che si dà ai princìpi in cui
si crede".
Sanzioni
contro la
Russia:
Bruxelles,
abbiamo un problema.
Affarinternazionali.it-
Alessandro Gili- Matteo Villa-(10 Maggio 2022) -ci dice:
Nella
politica europea sulle sanzioni, c’è un paradosso. Un paradosso che abbiamo
potuto tralasciare fino ad oggi, ma con il quale dovremo fare i conti. Lo
illustra chiaramente un sondaggio, pubblicato la settimana scorsa, sulle
opinioni dei cittadini europei sulla guerra in Ucraina.
Secondo
la Flash Survey di Eurobarometro, l’85% degli europei si dichiara d’accordo con
l’affermazione “l’Ue dovrebbe ridurre la propria dipendenza da gas e petrolio russi il
prima possibile”. Allo stesso tempo, l’86% concorda con l’asserzione secondo
cui “i
crescenti prezzi dell’energia hanno un impatto significativo sul mio potere
d’acquisto”.
Tradotto:
Bruxelles,
abbiamo un problema. Perché l’effetto della guerra e delle sanzioni comincia a
farsi sentire in Europa. E anche se il sostegno alle sanzioni da parte dei
cittadini europei sembra essere ancora molto elevato, potrebbe bastare poco
perché cominci a diminuire; per diversi motivi.
Le
sanzioni e l’opinione pubblica: tre fattori per capire.
C’è
innanzitutto il fattore temporale. L’invasione è avvenuta oltre due mesi fa e, con il
trascorrere dei giorni, il bombardamento quotidiano di notizie sulla guerra
rischia progressivamente di sfumare in rumore di fondo. Accade sempre così, con tutti gli
shock che subiscono gli esseri umani (guerre incluse): ci si abitua, ci si
adatta, si va avanti. È difficile continuare a prestare la stessa attenzione di
prima, soprattutto quando si tratta di eventi stressanti.
Paradossalmente,
ci troviamo in questa situazione di guerra protratta (o, quantomeno, più lunga
del previsto) proprio a causa dell’inatteso successo della resistenza ucraina.
Il ritiro delle truppe russe dai dintorni di Kyiv e il loro riposizionamento
nell’est del Paese fanno apparire la situazione meno tragica di quanto
effettivamente sia, e in qualche modo più distante. Un conflitto che sembra andare verso
lo stallo, che sembra allontanarsi anziché avvicinarsi, non è adatto a
convincere i governi europei che si debba “fare presto”.
Il
secondo fattore riguarda lo stato dell’economia europea. La guerra e le sanzioni, assieme al
duro lockdown in Cina e alle politiche monetarie sempre più restrittive per
frenare l’inflazione galoppante, stanno causando una frenata dell’economia
mondiale.
Frenata
molto accentuata soprattutto in Europa: nel primo trimestre 2022 l’Eurozona
ha fatto segnare un misero +0,2% rispetto al trimestre precedente (“misero”
considerando che ci troviamo ancora in piena ripresa post-pandemia), e l’Italia
addirittura un -0,2%. Con gli effetti economici della guerra che diventano man mano
tangibili e i consumatori europei già sotto pressione da mesi anche a causa
degli alti prezzi dell’energia è sempre più difficile difendere la ratio
economica – pur sempre esistente – delle sanzioni.
Il
terzo fattore riguarda la forza delle sanzioni. Arrivati al sesto round, le sanzioni
iniziano a fare sensibilmente più male anche a chi le impone. L’Europa ha già colpito i bersagli
facili, adesso restano quelli molto complicati. Come le sanzioni sul settore
energetico, in discussione proprio in queste ore.
Mentre
sembra infatti più vicino l’accordo sul pacchetto che includerà l’embargo alle
importazioni di petrolio greggio e prodotti petroliferi russi, è sufficiente
qualche calcolo per capire che per massimizzarne l’impatto su Mosca ma
minimizzare quello sugli europei occorrerebbe un attento disegno delle sanzioni
e una gradualità che sul piano pratico sono di difficile realizzazione. La
politica deve dare un messaggio, tornare a ribadire la volontà di punire il
Cremlino per le sue azioni e per farlo non può dare l’impressione di volere
attendere, anche quando potrebbe essere preferibile farlo. E sempre la
politica, per chiarezza del messaggio e per la natura “a step” dei negoziati in
Europa, preferisce un interruttore on/off a una gradualità che implica un
costante monitoraggio e un periodico tornare sulle proprie decisioni.
L’embargo
sul petrolio russo, che rappresenta il 27% delle importazioni totali europee,
dovrebbe essere approvato nel corso dei prossimi giorni o settimane e potrebbe
determinare aumenti di prezzo non ancora scontati dai mercati. In particolare,
la previsione di sei mesi per il raggiungimento dell’indipendenza dal greggio
russo e di un anno per i prodotti raffinati potrebbe ridurre le quantità
esportate verso l’Europa ma determinare un aumento dei prezzi soprattutto in
questo periodo transitorio, con la conseguenza che la Russia potrebbe
addirittura arrivare a guadagnarci (o non perderci tanto quanto oggi, con le
auto-sanzioni) mentre l’Europa potrebbe perderci anche molto (sia in termini di
prezzo che di volumi).
Sanzioni,
inflazione, economia.
Affinché
le sanzioni siano efficaci, dovrebbero colpire in modo netto la controparte,
riducendo al minimo gli effetti “collaterali” per chi le impone. Se questo non
avvenisse, o se avvenisse il contrario, le sanzioni perderebbero la loro
giustificazione primaria. Se, inoltre, i costi per gli europei dovessero
aumentare troppo, diventando insostenibili per la società civile e per il
tessuto produttivo, non potrebbe che crescere il dissenso nei confronti di tali
misure, Si attiverebbe un circolo vizioso le cui conseguenze sono spesso
difficili da controllare soprattutto in un contesto come quello attuale in cui
la corsa dell’inflazione e i pacchetti di sostegno alle economie stanziati già
a partire dalla crisi pandemica riducono gli ulteriori spazi di manovra fiscale
a sostegno di famiglie e imprese da parte dei governi.
Questa
prospettiva sarebbe pericolosa: rischierebbe di approfondire spaccature evidenti già oggi
nel dibattito pubblico europeo, malgrado i governi abbiano invece dimostrato
un’inattesa capacità di mantenere una linea politica comune di fronte
all’aggressione russa in Ucraina. Non è inevitabile che ciò accada. Ma i governi europei dovrebbero
riconoscere la necessità di affidarsi, nel disegno delle sanzioni sul petrolio
russo, a “tecnici”. Ma, si sa, in tempi di guerra, emozioni e propaganda spesso
prevalgono sul principio di realtà.
Russia
a due velocità: l'export corre col gas
ma le sanzioni affondano la manifattura.
Repubblica.it
- Carlotta Scozzari- (19 AGOSTO 2022) -ci dice:
Dal
2023 anche le esportazioni di beni energetici cominceranno a tirare il freno.
Molti altri settori stanno già pagando dazio: i viaggi aerei domestici sono
scesi dell'83% dall'inizio della guerra mentre sono diminuiti del 70% i volumi
delle merci trasportate via aerea.
I dati
economici sulla Russia raccontano di un Paese che corre a due velocità. Se,
infatti, le esportazioni di gas e petrolio consentono al Pil, almeno per ora,
di arretrare meno delle attese, al di fuori dell'export e soprattutto a causa
delle conseguenze delle sanzioni occidentali, molti settori dell'economia
arrancano.
Nei
giorni scorsi, da un documento del ministero dell'Economia di Mosca citato da
Reuters, è emerso che quest'anno il Paese di Vladimir Putin si aspetta di incassare
dalla vendita all'estero di beni energetici, essenzialmente gas e petrolio,
337,5 miliardi di dollari, vale a dire il 38% in più del 2021.
È
proprio questa la principale leva che consentirà al Pil russo, stando alle
ultime previsioni governative, di ridursi meno del previsto quest'anno: del
4,2% rispetto al ben peggiore -7,8% stimato a maggio.
Addirittura,
a un certo punto, lo stesso Cremlino aveva messo in guardia circa un possibile
arretramento dell'economia di oltre il 12%, che avrebbe rappresentato la
maggiore discesa del Pil russo dal collasso dell'Unione Sovietica e dalle sue
conseguenze, negli anni Novanta.
Oggi, come visto, le previsioni sono molto più
rosee. La
Russia prevede, però, che il periodo più cupo per l'economia possa arrivare nel
primo trimestre del 2023, per poi ritornare ai livelli prima della guerra in
Ucraina (provocata dall'invasione di Mosca risalente al 24 febbraio) entro la
fine del 2025.
Gas, è
allarme per l'autunno: sarà il primo banco di prova del nuovo governo.
(Luca Pagni -18 Agosto 2022)
Proprio
dall'anno prossimo dovrebbe cominciare a farsi sentire l'embargo graduale
deciso lo scorso giugno dall'Unione Europea sul greggio e sugli altri prodotti
petroliferi raffinati.
Un
embargo che finora ha, tuttavia, prodotto effetti limitati, anche per la
capacità di Mosca di trovare sbocchi alternativi, come Cina, India e Turchia.
Inoltre, la chiusura dei rubinetti del gas all'Europa decisa da Putin sta già
riducendo le quantità di metano venduto dalla Russia, sebbene a prezzi maggiori.
Sempre dal documento citato da Reuters, emerge
infatti che il gas esportato dal colosso pubblico Gazprom quest'anno dovrebbe
scendere a 170,4 miliardi di metri cubi, rispetto ai 185 stimati a maggio e ai
205,6 del 2021. Mentre il prezzo medio del gas esportato, nel 2022, dovrebbe
più che raddoppiare a 730 dollari per 1.000 metri cubi, prima di scendere
gradualmente entro la fine del 2025.
Una
concomitanza di eventi che aiuta a capire perché le proiezioni russe sulle
entrate dall'export di beni energetici vedano per il 2023 una contrazione a
255,8 miliardi di dollari, dai 337,5 come visto stimati per il 2022 e dai 244,2
miliardi dell'anno scorso.
C'è
poi tutto il mondo economico al di fuori dell'export energetico.
Nell'ultima
newsletter "The overshoot", Matthew C. Klein tira alcune somme, dopo
avere letto gli ultimi dati, risalenti a fine luglio, pubblicati dall'agenzia
statistica Rosstat e dalla Banca centrale russa.
Ebbene, a giugno, la spesa al dettaglio segnala una
discesa del 10% dall'inizio della guerra, tenendo conto dell'inflazione. La manifattura russa di lavatrici e
frigoriferi ha accusato un colpo del 50% sempre da febbraio, mentre
l'assemblaggio di auto è affondato del 90%, stando ai dati riportati da Klein. I viaggi aerei domestici sono scesi
dell'83% mentre sono diminuiti del 70% i volumi delle merci trasportate via
aerea.
Gas,
Saipem tratta con la russa Novatek per uscire dai contratti del progetto Arctic
Lng 2.
(Carlotta
Scozzari-08 Agosto 2022)
Le
sanzioni già in atto impediscono, infatti, alle compagnie aeree russe di
acquistare aeromobili, pezzi di ricambio o equipaggiamenti per la loro flotta,
così come di effettuare le necessarie riparazioni o ispezioni tecniche.
Dal
momento che la flotta aerea commerciale russa è stata costruita per tre quarti
nell'Ue, negli Stati Uniti o in Canada, la stessa Unione Europea fin da subito
aveva previsto che, con il tempo, i divieti avrebbero probabilmente comportato
il fermo operativo di una parte significativa dell'aviazione civile, anche per
i voli nazionali. Più in generale, proprio nel quadro delle sanzioni, già dallo
scorso aprile, le aziende italiane che hanno deciso di continuare a operare in
Russia hanno parlato di tutta una serie di criticità ad andare avanti coi
lavori.
Il
produttore di cemento Buzzi Unicem, per esempio, aveva sottolineato le "notevoli difficoltà a reperire
in loco diverse parti di ricambio e/o servizi di assistenza tecnica essenziali
per la manutenzione e il buon funzionamento delle fabbriche".
IL
SUICIDIO ECONOMICO E SOCIALE
DELL’EUROPA,
PROVOCATO DAGLI STATI UNITI
E
FAVORITO DAI LEADER EUROPEI.
Comedonchisciotte.org-Redazione-
Markus – (02 Settembre 2022) – ci dice:
A
causa della stupidità della leadership politica europea, gli Stati Uniti sono
riusciti ad indurla a commettere un suicidio economico e sociale.
L’8
febbraio 2022 Michael Hudson, professore di economia all’Università del
Missouri, aveva scritto dell’imminente conflitto in Ucraina, che gli Stati
Uniti stavano intenzionalmente provocando.
Michael
Hudson: “I veri avversari dell’America sono gli Europei e gli altri alleati”:
Le
sanzioni commerciali che i diplomatici statunitensi chiedono insistentemente ai
loro alleati di imporre contro la Russia e la Cina mirano apparentemente a
scoraggiare un aumento della mobilitazione militare. Ma una simile mobilitazione non può
essere il principale obiettivo della Russia e della Cina.
Hanno
molto più da guadagnare offrendo reciproci vantaggi economici all’Occidente. La
questione di fondo è quindi se l’Europa si troverebbe avvantaggiata nel
sostituire le esportazioni statunitensi con le forniture russe e cinesi e i
relativi legami economici reciproci.
Ciò
che preoccupa i diplomatici americani è che la Germania, le altre nazioni della
NATO e i Paesi lungo il percorso della Belt and Road comprendano i vantaggi che
si possono ottenere aprendo il commercio e gli investimenti in un clima di
pace.
Se non c’è un piano russo o cinese per invaderli o
bombardarli, che bisogno c’è della NATO?
E se
non c’è un rapporto intrinsecamente conflittuale, perché i Paesi stranieri dovrebbero
sacrificare i propri interessi commerciali e finanziari affidandosi
esclusivamente agli esportatori e agli investitori statunitensi?
Invece
di una reale minaccia militare da parte di Russia e Cina, il problema per gli
strateghi americani è l’assenza di tale minaccia. …
…
L’unico
modo che rimane ai diplomatici statunitensi per bloccare il commercio europeo
[con la Russia] è quello di spingere la Russia ad una risposta militare e poi
sostenere che punire questa risposta è superiore a qualsiasi interesse
economico esclusivamente nazionale.
Come
aveva spiegato il sottosegretario di Stato per gli Affari politici, Victoria
Nuland, in una conferenza stampa del Dipartimento di Stato il 27 gennaio: “Se
la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro, il Nord Stream 2 non andrà
avanti.” Il problema è creare un incidente adeguatamente offensivo e dipingere
la Russia come aggressore.
Provocare
una guerra in Ucraina è stato facile, dato che la squadra dei cineasti che
gestisce l’Ucraina era disposta a sacrificare il popolo e il Paese in una
guerra senza speranza contro la Russia.
L’attore e presidente ucraino Vladimir
Zelensky aveva già annunciato che l’Ucraina avrebbe ripreso con la forza la
Crimea e le repubbliche del Donbass che erano in mano alla resistenza ucraina
allineata alla Russia.
Il 15
febbraio il professor John Mearsheimer aveva tenuto una conferenza (video) in
cui aveva documentato come gli Stati Uniti avessero causato, e fossero
responsabili, dell’intera crisi ucraina.
Fin
dall’anno scorso circa metà dell’esercito ucraino era posizionato nel sud-est
del Paese, sulla linea del cessate il fuoco con le repubbliche del Donbass. Il 17 febbraio aveva aperto un
fuoco di artiglieria preparatorio contro le posizioni della resistenza. Nei giorni successivi il fuoco di
sbarramento era aumentato costantemente.
Gli
osservatori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione (OSCE),
posizionati sulla linea del fronte, avevano contato e documentato ogni colpo di
artiglieria e avevano pubblicato una sintesi giornaliera sul proprio sito web. Dagli 80 colpi di artiglieria del
16 febbraio, gli attacchi si erano intensificati ogni giorno di più, fino a
superare i 2.000 colpi il 22 febbraio.
Gli
osservatori dell’OSCE avevano anche fornito le mappe dei luoghi in cui erano
esplose le granate ( quella del 21 febbraio):
La
maggior parte degli impatti era avvenuta in tre aree ad est della linea del
cessate il fuoco, su posizioni tenute dalla resistenza. Chiunque abbia un po’ di conoscenze
militari riconoscerà che queste intense campagne di artiglieria lungo assi distinti
sono i preparativi per un attacco generale.
I
leader delle repubbliche del Donbass e della Russia avevano dovuto reagire a
questo attacco imminente. Il 19 febbraio la Repubblica Popolare di Donetsk e la
Repubblica Popolare di Luhansk avevano chiesto aiuto al governo russo.
Da
sole non avrebbero avuto alcuna possibilità di resistere all’esercito ucraino
che gli Stati Uniti e i loro alleati avevano finanziato e potenziato fin dal
2015.
Fino a
quel momento la Russia aveva insistito sul fatto che la RPD e la LNR facevano
parte dell’Ucraina e che dovevano ricevere una sorta di autonomia, come
previsto dagli accordi di Minsk.
Ora
però doveva compiere passi necessari per rendere legale il proprio sostegno al
Donbass.
Il 21 febbraio la Russia aveva riconosciuto le Repubbliche come Stati
indipendenti. Le tre parti avevano firmato accordi di cooperazione che
includevano clausole per il supporto militare reciproco:
Il
trattato della Russia con le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk (DPR e
LPR) prevede la concessione del diritto di costruire basi militari sul loro
territorio e la fornitura di assistenza militare reciproca, ha dichiarato
martedì il viceministro degli Esteri russo Andrey Rudenko alla sessione
plenaria della Camera bassa del Parlamento.
“Un
aspetto importante: il trattato stabilisce l’intenzione delle parti di
interagire nel campo della politica estera, della protezione della sovranità e
dell’integrità territoriale e della sicurezza, in particolare, attraverso la
fornitura reciproca dell’assistenza necessaria, compresi gli aiuti militari, e
la concessione del diritto di costruire, utilizzare e migliorare le
infrastrutture militari e le basi militari sul proprio territorio,” ha
sottolineato l’alto diplomatico russo.Con l’entrata in vigore degli
accordi, l’aiuto militare russo contro l’attacco ucraino era diventato (almeno
apparentemente) legale ai sensi dell’articolo 51 (autodifesa collettiva) della
Carta delle Nazioni Unite.
Il 22
febbraio, quando nessun soldato russo aveva ancora messo piede sul suolo
ucraino, gli Stati Uniti e i loro alleati avevano imposto durissime sanzioni
economiche contro la Russia. Il Presidente Biden aveva riconosciuto che gli
Stati Uniti si erano preparati da tempo a questa eventualità.
Negli
ultimi mesi, ci siamo coordinati strettamente con i nostri alleati della NATO e
con i nostri partner in Europa e nel mondo per preparare questa risposta.
Abbiamo sempre detto, e l’ho detto in faccia a Putin un mese fa, più di un mese
fa, che avremmo agito insieme nel momento in cui la Russia si fosse mossa
contro l’Ucraina.
La
Russia ha ora innegabilmente agito contro l’Ucraina dichiarando l’indipendenza
di questi Stati.
Oggi,
quindi, annuncio la prima tranche di sanzioni per imporre costi alla Russia in
risposta alle sue azioni di ieri. Queste sanzioni sono state strettamente
coordinate con i nostri alleati e i nostri partner e le renderemo ancora più
severe se la Russia continuerà ad inasprire la situazione.
Il 24
febbraio 2022 le forze russe erano entrate in Ucraina per prevenire l’imminente
attacco alle repubbliche del Donbass. (Il piano russo A consisteva nel
fare pressione su Kiev affinché accettasse una rapida soluzione della crisi.
Questo piano era fallito all’inizio di aprile dopo l’intervento di Boris
Johnson a Kiev. La Russia era così passata al piano B, la smilitarizzazione
dell’Ucraina).
Il
governo tedesco aveva annunciato che il gasdotto Nord Stream II, tecnicamente
pronto a trasportare il gas russo in Germania, non sarebbe stato avviato. Il 27 febbraio 2022 il cancelliere
tedesco Olaf Scholz aveva tenuto davanti al Parlamento tedesco un discorso
isterico e moraleggiante. Aveva accusato la Russia di aver rotto la pace in
Europa.
L’accordo
di Minsk, in base al quale l’Ucraina si era impegnata a federalizzare e a
concedere una certa autonomia al Donbass, non era stato menzionato nemmeno una
volta. La
Germania e la Francia sono entrambe potenze garanti che, nel 2015, avevano
sottoscritto l’accordo di Minsk ma che, in sette lunghi anni, hanno fatto ben
poco per sollecitarne l’attuazione.
Invece
di lavorare per un rapido cessate il fuoco e per rinnovare le relazioni
economiche con la Russia, Scholz aveva condannato la Germania al suicidio economico.
Il 28
febbraio 2022 il professor Hudson aveva pubblicato un’altra profonda analisi
della crisi: L’America ha sconfitto la Germania per la terza volta in un secolo: MIC,
BARE e OGAM conquistano la NATO.
In un
commento al pezzo Yves Smith aveva riassunto:
Michael
Hudson approfondisce il suo punto di vista su come il conflitto in Ucraina sia
il risultato di forze molto più grandi, e non necessariamente quelle che avete
in mente. Sostiene che la vera posta in gioco è impedire ai Paesi europei, in
particolare alla Germania, di sviluppare legami economici più profondi con la
Cina e la Russia.
Qui
Hudson descrive il peso che i principali interessi degli Stati Uniti hanno
sulla politica estera e come essi vedano il conflitto come un modo per tenere a
bada una possibile caduta del loro status e del loro potere.
Il
pezzo di Hudson è piuttosto lungo e approfondito.
L’idea
degli Stati Uniti è quella di isolare l’Europa dal suo entroterra eurasiatico,
di spostare le industrie europee negli Stati Uniti e di acquistare il resto a
prezzi stracciati.
Per
eliminare il Nord Stream II e indurre i Paesi europei a boicottare l’energia
russa, gli Stati Uniti avevano promesso che avrebbero “dato una mano” vendendo
il loro gas naturale liquefatto (piuttosto costoso) all’Europa.
Ma,
quando in Europa i prezzi del gas naturale avevano iniziato a salire, le forze
del libero mercato avevano iniziato a farli aumentare anche negli Stati Uniti.
I prezzi elevati dell’energia minacciavano
così di danneggiare Biden e di affossare i Democratici alle elezioni di metà
termine.
Poi
era accaduto un misterioso incidente:
Un’esplosione
in un terminale di gas naturale liquefatto in Texas ha lasciato sconvolti i
residenti nelle vicinanze e sta togliendo dal mercato una quantità sostanziale
di carburante in un momento in cui la domanda globale è in aumento.
Freeport
LNG sarà offline per almeno tre settimane, ha dichiarato giovedì la società, a
seguito di un incendio nel suo impianto di esportazione.
…
Secondo
Rystad Energy, la maggior parte delle esportazioni di Freeport LNG era
destinata all’Europa. L’Europa potrebbe essere in grado di compensare il volume
perso aumentando le forniture da altri impianti, ha dichiarato Emily McClain,
vicepresidente di Rystad. L’Europa riceve circa il 45% del suo GNL dagli Stati
Uniti, mentre il resto proviene da Russia, Qatar e altre fonti.
Tre
settimane erano troppo poche per abbassare i prezzi del gas naturale
statunitense. L’autorità di regolamentazione statunitense per tali impianti, la U.S. Pipeline and Hazardous Materials
Safety Administration (PHMSA), era intervenuta prolungando il processo di riavvio:
Il
secondo più grande impianto di esportazione di gas naturale liquefatto degli
Stati Uniti, colpito da un incendio all’inizio del mese, non potrà essere
riparato o riavviato fino a quando non avrà risolto i rischi per la sicurezza
pubblica, ha dichiarato giovedì un funzionario dell’Amministrazione.
…
I
futures sul gas naturale statunitense sono crollati del 15% giovedì a causa
della notizia e del continuo accumulo di scorte, contribuendo ad un calo dei
prezzi del 33% a giugno, il più grande calo mensile dal 2018.
…
“Il
processo effettivo (di revisione, riparazione e approvazione) richiederà più di
tre mesi, probabilmente da sei a 12 mesi,” ha dichiarato Alex Munton, direttore
del settore gas e GNL presso la società di consulenza Rapidan Energy Group.
Si
sono avute anche notizie di “problemi” improvvisi in altri impianti di GNL.
E non
si tratta solo di gas naturale, gli Stati Uniti stanno trattenendo anche i
derivati del petrolio, proprio mentre l’Europa ne ha bisogno:
L’amministrazione
Biden sta avvertendo i raffinatori che potrebbe prendere “misure di emergenza”
per affrontare le esportazioni di carburante, dato che nel Nord-Est le scorte
di benzina e gasolio rimangono su livelli storicamente bassi.
In
Europa, gli impianti di produzione di fertilizzanti hanno chiuso a causa dei
prezzi troppo alti del gas naturale. Le fonderie di acciaio e alluminio seguono
a ruota. Anche produzione del vetro è in grave pericolo.
In un
lungo articolo di oggi Yves Smith analizza le conseguenze economiche e
politiche per l’Europa. In aperta violazione della legge sui titoli di
Betteridge scrive:
L’Europa
verrà sconfitta prima dell’Ucraina?
Saremo
così audaci da affermare che non solo la guerra delle sanzioni contro la Russia
si è ritorta contro di noi in modo spettacolare, ma che i danni per
l’Occidente, soprattutto per l’Europa, stanno aumentando rapidamente.
E
questo non è il risultato dell’adozione di misure attive da parte della Russia,
ma dei
costi dovuti alla perdita o alla riduzione delle risorse chiave russe che si
sommano nel tempo.
Quindi,
a causa dell’intensità dello shock energetico, il calendario economico si sta
muovendo più velocemente di quello militare.
A meno
che l’Europa non si impegni in una grande correzione di rotta, e non vediamo
come questo possa accadere, la crisi economica europea sembra destinata a diventare
devastante prima che l’Ucraina sia formalmente sconfitta.
…
Come
vedremo, se non si interviene (e, come spiegheremo, è difficile che possa
essere fatto qualcosa di abbastanza significativo), questo shock sarà così
grave che in Europa il risultato non sarà una recessione, ma una depressione.
…
In
teoria, l’UE potrebbe tentare di ricucire i rapporti con la Russia. Ma il tempo per farlo è passato e
non è solo per il fatto che troppi attori chiave europei, come Ursula von der Leyen e Robert
Habeck, sono troppo impegnati nell’odio per la Russia per fare un passo
indietro. Anche se a dicembre scorresse il
sangue nelle strade, non verrebbero cacciati abbastanza velocemente.
Inoltre,
l’Europa ha bruciato i ponti con la Russia ben oltre le sanzioni. Putin ha
ripetutamente offerto all’UE l’opzione di utilizzare il Nord Stream 2. Anche se
la Russia sta ora utilizzando metà della sua capacità [di pompaggio], potrebbe
ancora sostituire completamente le forniture del precedente Nord Stream 1.
Putin ha avvertito che questa opzione non
sarebbe rimasta aperta così a lungo e che la Russia avrebbe iniziato ad
utilizzare il resto dei volumi [non consegnati all’Europa].
…
L’esito
sembra quindi inevitabile: molte imprese europee falliranno, con conseguente
perdita di posti di lavoro, inadempienze nei prestiti alle imprese, perdita di
entrate statali, pignoramenti.
E, con
i governi che pensano di aver speso un po’ troppo liberamente con gli aiuti
Covid, questi rifornimenti di emergenza [per cercare di ripristinare lo
stoccaggio invernale] saranno troppo pochi per fare la differenza.
Ad un
certo punto, la contrazione economica porterà ad una crisi finanziaria. Se il crollo sarà sufficientemente
rapido, potrebbe essere il risultato sia di una perdita (ben giustificata) di
fiducia quanto delle perdite e dei default registrati finora.
Gli
Stati Uniti, per motivi puramente egoistici, hanno trascinato l’Europa, e in
particolare la Germania, in una trappola che porterà alla sua distruzione
economica e sociale.
Invece
di riconoscere il pericolo e prendere le necessarie contromisure, i “leader”
europei e tedeschi si sono impegnati a contribuire al processo.
La
cosa migliore per l’Europa e la Germania sarebbe stata ovviamente evitare la
crisi. Ciò è fallito per mancanza di intuito e di sforzi. Ma ora che l’Europa è
in fondo al buco, i politici dovrebbero almeno smettere di scavare. È
nell’ovvio interesse dell’Europa e soprattutto della Germania fare in modo che
la crisi sia la più breve possibile.
Ma i
pazzi che governano l’Europa continuano a fare il contrario:
La
Germania continuerà a sostenere Kiev “per tutto il tempo necessario,” ha
dichiarato lunedì il cancelliere Olaf Scholz, auspicando un allargamento
dell’Unione Europea che comprenda anche Ucraina, Moldavia e Georgia.
…
Negli
ultimi mesi la Germania ha subito un “cambiamento fondamentale” per quanto
riguarda il suo sostegno militare all’Ucraina.
“Continueremo
a fornire questo sostegno, in modo affidabile e, soprattutto, per tutto il
tempo necessario,” ha detto al folto pubblico universitario.
In un
discorso in Slovenia, la Presidente della Commissione europea Ursula von der
Leyen ha fatto eco alla promessa fatta a Kiev “per tutto il tempo necessario,”
invocando “un nuovo pensiero strategico” a sostegno dei valori europei.
Per
come sembrano vederla questi “leader,” energia a prezzi accessibili, case
riscaldate, cibo sufficiente, posti di lavoro e pensioni per i cittadini
europei non fanno parte dei “valori europei” che intendono difendere.
Il
crollo economico e finanziario dell’Europa sarà molto più rapido del
cambiamento politico, ovviamente necessario, della sua leadership di terza
scelta.
L’unico
settore politico che non sarà danneggiato da tutto questo, almeno in Francia e
Germania, è l’estrema destra. Anche questo è di per sé un pericolo.
(moonofalabama.org/2022/08/europes-economic-and-social-suicide-provoked-by-the-us-and-helped-along-by-europes-leaders.html#more)
LA
GUERRA IN UCRAINA SEGNA
LA
FINE DEL SECOLO AMERICANO.
Comedonchisciotte.org-Markus-(09
Giugno 2022) - Mark Whitney-unz.com- ci dice:
“La
ferocia del confronto in Ucraina dimostra che stiamo parlando di molto più che
del destino del regime di Kiev. È in gioco l’architettura dell’intero ordine
mondiale.”
Sergei
Naryshkin, Direttore dell’Intelligence Estera.
Ecco
la riflessione del giorno sulla “valuta di riserva”: ogni dollaro USA è un
assegno emesso su un conto che è scoperto di 30.000 miliardi di dollari.
È
vero. La “piena fiducia e credito” del Tesoro statunitense è in gran parte un
mito tenuto insieme da un quadro istituzionale che poggia su fondamenta fatte
solo di sabbia.
In effetti, il dollaro USA non vale la carta
su cui è stampato; è un pagherò che naviga in un oceano di inchiostro rosso.
L’unica cosa che impedisce all’USD di scomparire nell’etere è la fiducia dei
creduloni che continuano ad accettarlo come moneta legale.
Ma
perché la gente continua ad avere fiducia nel dollaro quando i suoi difetti
sono noti a tutti?
Dopo
tutto, il debito nazionale americano di 30.000 miliardi di dollari non è certo
un segreto, né lo sono gli ulteriori 9.000 miliardi di dollari accumulati nel
bilancio della Fed. Si tratta di un debito occulto di cui il popolo americano è
completamente all’oscuro, ma di cui è comunque responsabile.
Per
rispondere a questa domanda, dobbiamo esaminare come funziona il sistema e come
il dollaro viene sostenuto dalle numerose istituzioni create dopo la Seconda
Guerra Mondiale.
Queste
istituzioni hanno consentito di portare avanti la più lunga e palese truffa
della storia, lo scambio di manufatti sofisticati, materie prime e forza lavoro
con foglietti di carta verde con sopra dei presidenti morti.
Ci si può solo meravigliare della genialità
delle élite che hanno ideato questa truffa e poi l’hanno imposta alle masse di
tutto il mondo senza un minimo di protesta.
Naturalmente,
il sistema è accompagnato da vari meccanismi applicativi che eliminano
rapidamente chiunque cerchi di liberarsi dal dollaro o, Dio ci aiuti, di creare
un sistema alternativo. (Basta pensare a Saddam Hussein e a Muammar Gheddafi). Ma il fatto è che – a parte il quadro
istituzionale e lo spietato sterminio degli oppositori del dollaro – non c’è
motivo per cui l’umanità debba rimanere legata ad una moneta che è sepolta
sotto una montagna di debiti e il cui valore reale è praticamente
inconoscibile.
Non è
sempre stato così. C’è stato un tempo in cui il dollaro era la valuta più forte
del mondo e meritava il suo posto in cima al mucchio. Dopo la Prima Guerra
Mondiale, gli Stati Uniti erano i “proprietari della maggior parte dell’oro
mondiale,” motivo per cui una delegazione internazionale “aveva deciso che le
valute mondiali non sarebbero più state legate all’oro ma avrebbero potuto
essere agganciate al dollaro statunitense, “perché il biglietto verde era, esso
stesso, legato all’oro.” Ecco altre informazioni tratte da un articolo di
Investopedia:
“L’accordo
è noto come Accordo di Bretton Woods. Stabiliva l’autorità delle banche
centrali, che avrebbero mantenuto tassi di cambio fissi tra le proprie valute e
il dollaro. A loro volta, gli Stati Uniti avrebbero riscattato i dollari
statunitensi in cambio di oro su richiesta….
Grazie
all’Accordo di Bretton Woods, il dollaro statunitense era stato ufficialmente
incoronato valuta di riserva mondiale e sostenuto dalle più grandi riserve
auree del mondo. Al posto delle riserve auree, gli altri Paesi avevano accumulato
riserve di dollari americani. Avendo bisogno di un luogo dove custodire i loro dollari,
questi Paesi avevano iniziato ad acquistare titoli del Tesoro americano, che
consideravano un deposito valutario sicuro.
La
domanda di titoli del Tesoro, unita al deficit di spesa necessario per
finanziare la guerra del Vietnam e i programmi interni della Great Society,
aveva fatto sì che gli Stati Uniti inondassero il mercato di carta moneta….
La
domanda di oro era stata tale che il presidente Richard Nixon era stato
costretto ad intervenire e a svincolare il dollaro dall’oro, il che aveva
portato ai tassi di cambio fluttuanti che esistono oggi. Anche se ci sono stati
periodi di stagflazione, definita come alta inflazione e alta disoccupazione,
il dollaro statunitense è rimasto la valuta di riserva del mondo.” (“Come il
dollaro statunitense è diventato la valuta di riserva del mondo “,
Investopedia)
Ma ora
l’oro non c’è più e ciò che resta è un cumulo fumante di debiti. Allora, come
mai il dollaro è riuscito a conservare il suo status di preminente valuta
mondiale?
I
sostenitori del sistema del dollaro vi diranno che è dovuto “alle dimensioni e
alla forza dell’economia statunitense e al dominio dei mercati finanziari
americani.” Ma è un’assurdità.
La
verità è che lo status di valuta di riserva non ha nulla a che fare con “le
dimensioni e la forza” dell’economia americana post-industriale da Paese del
terzo mondo, orientata ai servizi e fondata su bolle speculative. Né ha nulla a
che fare con la presunta sicurezza dei Buoni del Tesoro statunitensi” che,
insieme al dollaro, sono la più grande truffa di Ponzi di tutti i tempi.
Il
vero motivo per cui il dollaro è rimasto la prima valuta del mondo è la
cartellizzazione delle Banche Centrali. Le Banche Centrali occidentali
sono, di fatto, un monopolio gestito da una piccola cabala di avvoltoi che si coordinano
e colludono sulla politica monetaria al fine di preservare la loro maniacale e
mortifera presa sui mercati finanziari e sull’economia globale. È una mafia monetaria
e, come aveva detto George Carlin: “Io e te non ne facciamo parte. Io e te non
siamo nel grande club.” In conclusione: sono l’incessante manipolazione dei
tassi di interesse, le indicazioni prospettiche e il Quantitative Easing (QE)
che hanno mantenuto il dollaro nella sua elevata ma immeritata posizione.
Ma
tutto questo sta per cambiare a causa della sconsiderata politica estera di
Biden, che sta costringendo gli attori critici dell’economia globale a creare
un proprio sistema alternativo.
Questa
è una vera tragedia per l’Occidente, che ha goduto di un secolo di estrazione
continua di ricchezza dal mondo in via di sviluppo.
Ora – a causa delle sanzioni economiche contro
la Russia – sta emergendo un ordine completamente nuovo, in cui il dollaro sarà
sostituito dalle valute nazionali (elaborate attraverso un sistema di
regolamento finanziario indipendente) negli accordi commerciali bilaterali,
fino a quando – più avanti nel corso dell’anno – la Russia lancerà una moneta
scambiata e sostenuta da materie prime che sarà utilizzata dai partner
commerciali in Asia e Africa.
In Aprile 2022, il furto delle riserve estere
russe da parte di Washington aveva messo il turbo al processo in corso,
ulteriormente accelerato dall’interdizione della Russia dai mercati esteri. In
breve, le sanzioni e i boicottaggi economici degli Stati Uniti hanno ampliato
di molti ordini di grandezza la zona senza il dollaro e hanno imposto la
creazione di un nuovo ordine monetario.
Ma
quanto è stupida una cosa del genere? Per decenni gli Stati Uniti hanno
messo in atto una truffa in cui scambiavano la loro moneta-carta straccia per
beni di valore reale (petrolio, manufatti e lavoro). (Ma ora la squadra di Biden ha
eliminato del tutto questo sistema e ha diviso il mondo in campi in guerra tra
loro.
Ma
perché? Per
punire la Russia, è così?
Sì, è
così.
Ma se
è così, non avremmo dovuto cercare di capire se le sanzioni avevano funzionato,
prima di cambiare incautamente il sistema?
È
troppo tardi. La guerra alla Russia è iniziata e i primi risultati si stanno
già facendo sentire. Basta guardare il modo in cui abbiamo distrutto la valuta
russa, il rublo. È scioccante!
Ecco
lo scoop tratto da un articolo della CBS:
“Il
rublo russo è la valuta che ha registrato la migliore performance al mondo
quest’anno.”
Due
mesi dopo essere scesa a meno di un centesimo di dollaro americano in seguito
alle più rapide e dure sanzioni economiche della storia moderna, la valuta
russa ha messo a segno una incredibile inversione di tendenza. Da gennaio, il rublo ha recuperato il
40% rispetto al dollaro.
Normalmente,
un Paese che si trova a dover affrontare sanzioni internazionali e un grande
conflitto militare vedrebbe la fuga degli investitori e un costante deflusso di
capitali, che provocherebbe il crollo della sua valuta….
La
capacità di resistenza del rublo significa che la Russia è in parte immune alle
sanzioni economiche punitive imposte dalle nazioni occidentali dopo l’invasione
dell’Ucraina…” (“Il rublo russo è la valuta più forte del mondo quest’anno,” CBS News).
Cosa? Vuol dire che, dopo tutto, l’attacco
al rublo non ha funzionato?
Sembra
proprio di sì. Ma questo non significa che le sanzioni siano un fallimento. Oh,
no. Basta guardare l’effetto che hanno avuto sulle materie prime russe. I
ricavi delle esportazioni sono scesi di molto, giusto? Ecco un altro estratto
dal pezzo della CBS:
“I
prezzi delle materie prime sono attualmente alle stelle e, anche se il volume
delle esportazioni russe è diminuito a causa degli embarghi e delle sanzioni,
l’aumento dei prezzi delle materie prime compensa ampiamente questi cali,” ha
dichiarato Tatiana Orlova, economista capo dei mercati emergenti presso Oxford
Economics.
La
Russia ricava quasi 20 miliardi di dollari al mese dalle esportazioni di
energia.
Dalla fine di marzo, molti acquirenti stranieri hanno aderito alla richiesta di
pagare l’energia in rubli, facendo salire il valore della valuta.” (“Il rublo
russo è la valuta più forte del mondo quest’anno,” CBS News)
Mi sta
prendendo in giro? Vuoi dire che il rublo si sta impennando e che Putin sta
rastrellando soldi sulle materie prime come non mai?
Sì, e
lo stesso vale per il surplus commerciale della Russia. Date un’occhiata a
questo estratto di un articolo dell’Economist:
“Le
esportazioni russe… hanno tenuto sorprendentemente bene, comprese quelle
dirette in Occidente. Le sanzioni permettono di continuare a vendere petrolio e
gas alla maggior parte del mondo senza interruzioni. E l’impennata dei prezzi
dell’energia ha incrementato ulteriormente le entrate.
Di
conseguenza, gli analisti prevedono che nei prossimi mesi il surplus
commerciale della Russia raggiungerà livelli record. Secondo l’IIF [Institute of
International Finance], nel 2022 l’avanzo delle partite correnti, che comprende
il commercio e alcuni flussi finanziari, potrebbe raggiungere i 250 miliardi di
dollari (il 15% del PIL dello scorso anno), più del doppio dei 120 miliardi di
dollari registrati nel 2021. Secondo Vistesen, il fatto che le sanzioni abbiano
incrementato il surplus commerciale della Russia, contribuendo così a
finanziare la guerra, è deludente. La signora Ribakova ritiene che l’efficacia
delle sanzioni finanziarie possa aver raggiunto i suoi limiti. La decisione di
inasprire le sanzioni commerciali dovrebbe seguire a breve.
Ma
tali misure potrebbero richiedere tempo per avere effetto. Anche se l’UE
mettesse in pratica la sua proposta di vietare il petrolio russo, l’embargo
verrebbe introdotto così lentamente che le importazioni di petrolio dalla
Russia quest’anno diminuirebbero solo del 19%, secondo Liam Peach della società
di consulenza Capital Economics.
Il pieno impatto delle sanzioni si farebbe
sentire solo all’inizio del 2023, quando Putin avrà accumulato miliardi per finanziare
la sua guerra.” (“La Russia è sulla buona strada per un surplus commerciale record,”
The Economist)
Mi
spiego meglio: le sanzioni stanno effettivamente danneggiando gli Stati Uniti e
aiutando la Russia, quindi gli esperti pensano che dovremmo imporre altre
sanzioni? È così?
Esattamente.
Ora che ci siamo dati la zappa su un piede gli esperti pensano che sarebbe
saggio sparare anche all’altro.
Sono
l’unico a essere colpito dalla follia di questa politica? Guardate questo pezzo
tratto da un articolo di RT:
“Nel 2022, la Russia potrebbe
guadagnare la cifra record di 100 miliardi di dollari dalle vendite di gas ai
Paesi europei a causa del forte aumento dei prezzi dell’energia, ha riportato
questa settimana il quotidiano francese “Les Echos”, citando gli analisti di
Citibank.
Secondo
il quotidiano, le entrate previste dalle vendite di gas saranno quasi il doppio
rispetto all’anno scorso. L’analisi non tiene conto dei profitti derivanti
dalla vendita di altre materie prime russe, come petrolio, carbone e altri
minerali.
Les
Echos riporta che, nonostante le sanzioni e gli avvertimenti di un embargo
totale sull’energia russa, i 27 Paesi dell’UE continuano ad inviare circa 200
milioni di dollari al giorno a Gazprom “. (“I ricavi del gas russo
dovrebbero toccare nuovi massimi,” RT)
Quindi
i ricavi delle vendite di gas e petrolio stanno letteralmente inondando le casse
di Mosca come mai prima d’ora. Nel frattempo, i prezzi dell’energia nell’UE e
in America sono saliti ai massimi da 40 anni.
Riuscite
a capire quanto sia controproducente questa politica?
L’UE
sta sprofondando nella recessione, le catene di approvvigionamento sono state
gravemente interrotte, la carenza di cibo sta lentamente emergendo e i prezzi
di gas e petrolio sono alle stelle.
Secondo
ogni standard oggettivo, le sanzioni non solo hanno fallito, ma si sono ritorte
contro di noi in modo spettacolare. Biden e la sua squadra non riescono a
vedere il danno che stanno facendo? Sono completamente avulsi dalla realtà?
Immaginate
se gli Ucraini usassero le nuove batterie missilistiche inviate da Biden
(HIMARS) per bombardare le città della Russia? E poi?
Putin
si toglierebbe i guanti e chiuderebbe immediatamente il flusso di idrocarburi
verso l’Europa. Questo è ciò che accadrà se Washington continuerà a inasprire i toni.
Potete scommetterci.
Se l'”Operazione militare speciale” della Russia
diventerà improvvisamente una guerra, le luci in Europa si spegneranno, le case
cominceranno a congelare, le fabbriche si fermeranno e il continente piomberà a
capofitto in una lunga e dolorosa depressione.
Qualcuno
a Washington pensa a queste cose o sono tutti così ubriachi dei loro ritagli di
giornale da aver perso completamente il contatto con la realtà?
Ecco
altre informazioni tratte da un altro articolo di RT:
“Anche
se l’Occidente collettivo continua ad insistere – contro ogni realtà
osservabile – che il conflitto in Ucraina sta andando bene per Kiev, i
principali media sono sempre più a disagio con la situazione sul fronte
economico. Sempre più osservatori ammettono che gli embarghi imposti dagli
Stati Uniti e dai loro alleati non stanno schiacciando l’economia russa, come
era nelle intenzioni iniziali, ma piuttosto la loro….
“La Russia sta vincendo la guerra
economica,” ha dichiarato giovedì Larry Elliott, redattore economico del
Guardian. “Sono passati tre mesi da quando l’Occidente ha lanciato la sua
guerra economica contro la Russia, e non sta andando secondo i piani. Al contrario,
le cose stanno andando davvero male,” ha scritto…
In un
saggio del 30 maggio 2022, anche l’editorialista del Guardian Simon Jenkins
aveva affermato che l’embargo era fallito…
Come
sottolinea Jenkins, le sanzioni hanno, di fatto, aumentato il prezzo delle
esportazioni russe, come il petrolio e il grano, arricchendo così Mosca,
anziché impoverirla, e lasciando gli Europei a corto di gas e gli Africani
senza cibo “. (“Mentre le sanzioni non funzionano e l’avanzata della Russia
continua, i media occidentali cambiano tono sull’Ucraina,” RT)
Avete
colto la parte in cui si dice che “la Russia ha vinto la guerra economica”? Cosa pensate che significhi in
termini pratici?
Significa
forse che il tentativo fallito di Washington di mantenere la sua egemonia globale
“indebolendo” la Russia sta, in realtà, mettendo a dura prova l’Alleanza
transatlantica e la NATO, e che tutto questo provocherà una ricalibrazione delle
relazioni che, a sua volta, porterà ad un rifiuto totale del “sistema basato
sulle regole”?
È questo
il significato? L’Europa si separerà da Washington e lascerà l’America
affondare nel suo oceano di 30.000 miliardi di dollari di inchiostro rosso?
Sì, è
esattamente questo il significato.
L’abbuffata
trentennale dello Zio Sam.
I
fautori della guerra per procura di Washington non hanno idea della portata del
loro errore o del danno che stanno infliggendo al loro stesso Paese.
La
debacle ucraina è il culmine di 30 anni di interventi sanguinosi che ci hanno
portato ad un punto di svolta in cui le sorti della nazione stanno per subire
una drammatica inversione di tendenza. Con la riduzione della zona del
dollaro, il tenore di vita precipiterà, la disoccupazione salirà alle stelle e
l’economia entrerà in una spirale negativa.
Washington
ha sottovalutato enormemente la propria vulnerabilità ad un catastrofico
contraccolpo geopolitico che sta per portare il Nuovo Secolo Americano ad una
fine rapida e straziante.
Un
leader saggio farebbe tutto ciò che è in suo potere per riportarci indietro dal
baratro.
(Mark Whitney-
unz.com)
(unz.com/mwhitney/the-war-in-ukraine-marks-the-end-of-the-american-century/)
Non c’è
transizione ecologica
senza
democrazia energetica.
Economiacircolare.com-
Samadhi Lipari- (29 Giugno 2022) -ci dice:
In un
sistema economico lineare anche l’energia è strumento di potere. Ma nel mondo
esistono già diversi modelli di produzione e distribuzione dell’energia più
giusti, equi e compatibili con la vita sul Pianeta. Ecco cos'è la democrazia
energetica e quanto è connessa con la transizione ecologica.
Resistere,
riconquistare, ristrutturare. Non è la guerra il filo rosso tra queste parole.
A tenerle insieme sono gli sforzi delle organizzazioni politiche, sindacali e
sociali che si battono per un nuovo progetto di emancipazione, quello della
democrazia energetica. Con teorizzazioni e pratiche collettive, e in contesti
molto diversi nel mondo, pianificano, e spessissimo attuano, un modello di
produzione e distribuzione dell’energia che pretendono più giusto, equo e
compatibile con la vita sul pianeta di quello dominante.
Se è
ormai lecito parlare di un movimento transnazionale ispirato alle tre parole
d’ordine, non è altrettanto facile rintracciarne le origini. Di certo, le
radici affondano nelle lotte che sin dagli ultimi decenni del ‘900 denunciano
quanto le discriminazioni di genere, razza e classe infliggano alle loro
vittime anche peggiori rischi sanitari e ambientali.
Tra
questi vi sono le contestazioni operaie contro le nocività sul posto di lavoro
in Italia o quelle per la giustizia ambientale e razziale negli USA. Con la
convinzione condivisa che il modello energetico dominante sia distruttivo, a
esse si affiancano le mobilitazioni pacifiste e antinucleari. Ed è in questo contesto che si
inizia a discutere di fonti rinnovabili.
Anche
in seguito agli shock petroliferi degli anni ’70 e alla costante minaccia
atomica della guerra fredda, le rinnovabili divengono necessarie anche perché
alternative all’ordine guerresco, incerto e pericoloso del petrolio e
dell’atomo.
Come
nasce una democrazia energetica.
Il
termine democrazia energetica è tuttavia abbastanza recente. A quanto pare, emerge nel contesto
del movimento tedesco per la giustizia climatica, al Climate Camp di Lausitz
del 2012.
Nello
stesso anno sei federazioni sindacali internazionali formano una nuova
organizzazione denominata “Sindacati per la democrazia energetica”, in seguito a una tavola rotonda
coordinata a New York dalla fondazione Rosa Luxemburg, dal Global Labour
Institute e dalla Cornell University.
“Una
transizione veramente sostenibile – spiega il report finale – sarà resa
possibile solamente se il potere [di decidere su essa] verrà tolto alle
corporation, che perseguono esclusivamente il profitto, e trasferito ai
cittadini ordinari e alle comunità”.
E ciò
implica che “i lavoratori partecipino attivamente alle decisioni sulla
produzione e l’uso dell’energia” ma anche che “l’energia sia riconosciuta come bene
pubblico e diritto di base”.
Soltanto
un’eresia nel desolante panorama di privatizzazioni, centralizzazione
amministrativa e strapotere dei colossi energetico-finanziari che attanaglia la
produzione e distribuzione di energia nonché le transizioni in giro per il
mondo? Non per tutti. Di certo, non per i molti attivisti, politici e semplici
cittadini che animano processi di cambiamento ispirandosi variamente a principi
di partecipazione, inclusione, sostenibilità e libertà dal bisogno.
Cos’è
quindi la democrazia energetica? E quanto è connessa con la transizione ecologica di
cui così tanto si parla negli ultimi anni? Iniziamo a capirlo lasciandoci
guidare dalle tre parole d’ordine.
Riconquistare
e ristrutturare il diritto all’energia.
Nel
segno del riconquistare e del ristrutturare alcune esperienze possono essere
citate subito. Tutte sono accomunate dal tentativo di ripristinare forme di
controllo pubblico – che non coincide con quello statale – sulla generazione,
sul trasporto o sulla distribuzione di energia. Nella maggior parte dei casi, ciò
coniuga l’esigenza di contrastare la povertà energetica, riducendo i costi
finali, con quella di abbattere le emissioni, sfruttando al meglio le nuove
possibilità, offerte dalle rinnovabili e da tecnologie come i sistemi di
accumulo e le reti intelligenti, di decentrare e rendere più efficienti
produzione, trasporto e distribuzione.
Tra i
tanti esempi che è possibile citare subito, troviamo quello dei gruppi d’acquisto
per l’energia attivi ormai da diversi anni in alcuni stati americani, tra cui
la California, l’Ohio o New York. A differenza dei gruppi d’acquisto consentiti
dalla legislazione nostrana, negli USA l’adesione è per lo più basata su una
clausola di opt-out. Una volta che un gruppo d’acquisto sia stato istituito in
un’area metropolitana o una contea, tramite referendum o deliberazione di
organismi rappresentativi, i consumatori vengono automaticamente iscritti,
potendo comunque decidere di uscire (opt-out) in seguito. Questo meccanismo assicura ai
gruppi una platea di partecipanti incomparabilmente più larga di quelli con
adesione volontaria (opt-in), ma anche una sostenibilità finanziaria tale da consentire di
comprimere i prezzi dell’energia al dettaglio e investire in decarbonizzazione.
Un
altro esempio calzante è l’ondata di ri-municipalizzazioni che sin dai primi
anni 2000 in Germania ha riportato sotto controllo pubblico oltre un centinaio
di contatti per il trasporto e la distribuzione di energia, sottraendoli spesso
a una delle quattro grandi compagnie che controllano il settore energetico
tedesco: E.ON, Vattenfall, RWE e EnBW.
Invertendo
la tendenza alla privatizzazione dei due decenni precedenti, questi processi
hanno interessato una grande varietà di contesti: dalle grandi città alle aree
rurali estendendosi anche a scale regionali.
Uno
dei casi più famosi è quello di Amburgo, dove nel 2009 il governo della
città-stato decise di creare un fornitore di energia interamente pubblico,
Hamburg Energie, con l’obiettivo dichiarato di produrre elettricità sempre più
a basso tenore di carbonio e attraverso infrastrutture interamente municipali. Tuttavia, qualche anno più tardi, lo
stesso governo si rifiutò di riportare sotto controllo pubblico le reti di
trasporto e distribuzione di elettricità e gas. A esso si oppose una larga coalizione
civica che nel 2013 riuscì a imporre la ri-pubblicizzazione della rete
elettrica indicendo un referendum che vinse.
Resistere:
il caso del Green New Eskom.
Venendo
ora al resistere, un esame dei casi concreti e della letteratura specializzata
indica chiaramente come oggetto ne sia principalmente il modello energetico
neoliberale, fatto di privatizzazione, accentramento dei processi decisionali
ed estrazione di profitto, consolidato con le fossili ma esteso ora alle
rinnovabili – dove sempre più spesso le aziende che si occupano di installare
pannelli fotovoltaici e parchi eolici sono aziende, quando non multinazionali,
straniere che pagano poche tasse ai territori (Imu ridotte e zero royalties),
con impianti che una volta installati necessitano di poco personale, quasi mai
locale.
Limitandoci
ai movimenti che esplicitamente si richiamano alla democrazia energetica, una
campagna importante è sicuramente quella che in Sud Africa si batte per la
riorganizzazione del fornitore pubblico di energia Eskom.
La campagna per una Green New Eskom inizia nel 2019, quando il governo, con la
giustificazione di far fronte alla pluriennale crisi finanziaria del colosso,
diede il via alla sua scorporazione (unbundling), separandone i segmenti della
produzione, trasporto e distribuzione in entità autonome. Fortemente
raccomandato dalla Banca Mondiale, tale processo è opposto dalla Climate
Justice Coalition (CJC), una larga coalizione di forze sociali e sindacali.
Secondo la CJC, infatti, una volta spezzettata, Eskom – che produce circa il
95% dell’energia consumata in Sud Africa – potrà essere ceduta ad aziende multinazionali.
Il sistema elettrico del paese sarebbe così
irrimediabilmente privatizzato, con il rischio di vedere lievitare i costi per
le fasce più deboli della popolazione, senza garantire adeguati investimenti
per raggiungere quel 16% di popolazione ancora senza energia.
Proprio
a partire dall’ambito del resistere, tuttavia, è possibile capire quanto sia
importante identificare i modelli energetici che chiaramente non favoriscono
maggiore democrazia, sia in termini distributivi che deliberativi.
L’irrompere della guerra in Europa consente di
fare qualche considerazione calzante. Lo scorso maggio la Commissione
europea ha lanciato il maxi piano REPowerEu.
Nel
tentativo di far fronte allo scenario energetico stravolto dall’invasione russa
dell’Ucraina, il piano prospetta una strategia ambiziosa basata sull’efficienza
e su una più rapida diffusione delle fonti rinnovabili.
Più
prosaicamente però, nella mancanza di una vera e propria visione di lungo
termine, il piano si concentra sul gas. Azioni e fondi sono per lo più diretti a
mettere insieme un nuovo portafoglio di fornitori e sviluppare una rete
infrastrutturale capace di trasportare primariamente GNL.
Democratizzare
il regime energetico: un obiettivo sempre più lontano.
In
questo tentativo affannato, REPower Eu sembra contrastare con le idee di color che vorrebbero
democratizzare il regime energetico della Ue o quantomeno la sua filiera di
approvvigionamento.
Da un lato, per bocca della stessa presidente
Ursula von der Leyen in un’intervista congiunta a Les Echos e Handlesblatt
dello scorso 4 febbraio, la Commissione vuole “costruire il mondo di domani” come
sistema di “democrazie che condividono le stesse idee con i loro partner”.
Dall’altro,
la Ue guarda a partenariati energetici con democrazie problematiche come gli
USA o regimi autoritari come il Qatar, l’Egitto o l’Azerbaijan. Non proprio
un’armonia di idee, men che meno di valori.
La
guerra ha reso ancor più lampante anche un’altra verità scomoda: la sovranità degli Stati è
fortemente condizionata dalla sicurezza dell’approvvigionamento energetico.
La
competizione tra superpotenze egemoni è infatti un ostacolo sostanziale alla
capacità delle istituzioni sovrane delle potenze subordinate di imporre le
proprie decisioni, anche quando queste ultime siano democraticamente
determinate.
I
n
maniera esemplare, al neoincaricato cancelliere tedesco Olaf Scholz in visita a
Washington lo scorso 7 febbraio, il presidente USA Joe Biden chiariva, senza
alcuna remora, “se la Russia invade (l’Ucraina) non ci sarà più Nord Stream 2. Noi ci
metteremo fine”. Il destino del
famigerato gasdotto è ormai arcinoto.
Oltre
alle relazioni internazionali a essere fortemente influenzato è pure il
dibattito interno. Se la sicurezza dell’approvvigionamento diviene rapidamente
l’unica cosa che conta e soppianta la mitigazione della crisi climatica nelle
priorità dei governi, appare assolutamente conseguenziale utilizzare GNL, che
comporta emissioni in medie doppia rispetto al gas consumato fino ad oggi.
O, ancora peggio dal punto di vista dei movimenti per
la giustizia climatica, risulta accettabile aprire a un ritorno in grande stile del
carbone, soprattutto in Italia e Germania, le cui economie dipendono di più
dalle forniture di Gazprom, il principale distributore russo di energia.
È su
questi temi che questa rubrica sulla democrazia energetica si svilupperà. E lo farà dialogando, attraverso
analisi e interviste, con le persone impegnate a immaginarla e costruirla
concretamente, anche opponendosi a sistemi energetici causa di sfruttamento, disparità
ed esclusione.
I
fondi del Pnrr e l’ingresso in Costituzione:
così
le isole minori provano a diventare sostenibili.
Economiacircolare.com-Redazione-(3
settembre 2022) - ci dice:
A
luglio le isole minori hanno fatto il proprio ingresso ufficiale nella Carta
Costituzionale, attraverso l’aggiunta di un comma all’art.119. E intanto il
MiTe destina loro 200 milioni di euro dal Pnrr. Basterà per risolvere gli
atavici problemi?
Nella
confusione generata dalla caduta del governo Draghi e dalla successiva (e
caotica) campagna elettorale, la notizia sulle isole minori è passata
inevitabilmente in secondo piano.
Eppure a luglio, in un Parlamento che si
accingeva a chiudere la propria esperienza, è passata in sordina la modifica
all’art.119 della Costituzione che, appunto, ha inserito un comma in più in cui
la Repubblica Italiana “riconosce le peculiarità delle Isole” e “promuove le
misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”.
Sin
dalla scelta, in verità piuttosto infelice, di definirle “minori”, le 27 isole abitate (vanno escluse ovviamente Sicilia e
Sardegna) sono da sempre considerate allo stesso tempo luogo di sperimentazioni
ambientali e possibili modelli di circolarità. Le ridotte dimensioni, infatti,
teoricamente si prestano meglio a implementare strategie virtuose che possono
poi essere replicate su larga scala.
Eppure
finora hanno prevalso i disagi, vale a dire gli “svantaggi derivanti
dall’insularità” che sono stati riconosciuti dalla recente modifica
costituzionale. Qualcosa però sembra che stia per cambiare.
Perché
le isole minori hanno le potenzialità per essere non soltanto un luogo ad
altissima densità turistica d’estate (e quasi abbandonate nel resto dell’anno)
ma possono essere portatrici di cambiamenti significativi a livello ambientale
e circolare.
Il
Pnrr e le isole minori.
Inevitabile,
anche per le isole minori, partire dai fondi del Pnrr, il più ingente
investimento degli ultimi anni.
A maggio il ministero della Transizione Ecologica ha
annunciato che “sono 140 i progetti di sviluppo sostenibile presentati dai 13 Comuni
delle 19 isole minori in risposta al bando PNRR Isole Verdi, chiuso il 22
aprile scorso. Gli interventi, per un valore complessivo di 200 milioni di
euro, saranno finanziati con le risorse dell’Investimento 3.1 (M2C1) del Piano
Nazionale di Ripresa e Resilienza”.
L’obiettivo
della misura, si apprende ancora dal MiTE, è di “superare i problemi legati
alla mancanza di connessione con la terraferma, quelli di efficientamento
energetico, lo scarso approvvigionamento idrico e il complesso processo di
gestione dei rifiuti, intervenendo in modo integrato e specifico in queste aree
caratterizzate da un elevato potenziale di miglioramento in termini ambientali
ed energetici e trasformando le piccole isole in laboratori per lo sviluppo di
modelli 100% sostenibili”.
Altri
provvedimenti più specifici sono stati poi elaborati dal Ministero delle Infrastrutture e
della Mobilità sostenibile ad agosto: si va dal “contributo straordinario volto
a compensare l’aumento dei costi del carburante” per i collegamenti con le
isole minori della Sicilia alla possibilità di installare impianti di
produzione di energia rinnovabili negli aeroporti delle isole minori “per
favorire lo sviluppo delle comunità energetiche”. Può bastare?
Il
report di Legambiente e i problemi irrisolti delle isole minori.
Ogni
anno il report “Isole sostenibili”, realizzato da Legambiente e dall’Istituto
sull’Inquinamento Atmosferico del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IIA)
analizzando diversi studi di settore, monitora la situazione ambientale delle
isole minori. Al 2022 i risultati sono ancora altalenanti: se da una parte
“cresce nel complesso la raccolta differenziata”, dall’altra la diffusione
delle rinnovabili viene giudicata “troppo lenta”, mentre “in stallo” restano
mobilità sostenibile, depurazione e comparto idrico.
Anche
il report di Legambiente e CNR si concentra dunque sul Piano Nazionale di
Ripresa e Resilienza, “che ha portato attenzione e investimenti sulle isole e
messo in moto progetti e iniziative che vanno osservati con attenzione e
approfonditi”. Oltre ai 200 milioni espressamente destinati alle isole minori –
le quali hanno concentrato le proprie attenzioni soprattutto sulla depurazione
delle acque – un’altra opportunità per l’innovazione arriva indirettamente dai
fondi del Pnrr per la digitalizzazione, gestito dal Mise.
“Next
generation EU – si legge nel report – assegna infatti 45 milioni per collegare
in banda ultra-larga le piccole isole italiane.
Dopo
il primo bando di gennaio andato deserto, la gara da 45 milioni è andata in
porto ed è stata vinta dalla società Elettra Tlc. Il piano per connettere le isole
minori di Sicilia, Sardegna, Toscana, Lazio, Campania e Puglia con la banda
ultra-larga è allo studio da anni, ma solo adesso ha trovato la ricaduta
concreta.
L’obiettivo è colmare il divario digitale con la
terraferma, dotando anche le realtà più piccole e remote di connessioni veloci,
resistenti e all’avanguardia. Tra le isole destinatarie del piano vi sono Favignana,
Lipari, Lampedusa, Pantelleria, Ustica, Ponza, le Tremiti, l’Asinara e
Ventotene”.
Leggendo
dettagliatamente il dossier, la sensazione che se ne ricava è che da solo il
Pnrr non basterà a risolvere i problemi atavici delle isole minori. L’inserimento delle stesse nella
Costituzione in questo senso è un punto di partenza, a patto che non si ragioni in termini
di interventi salvifici ma di nuovi approcci sistemici. Come può essere
l’economia circolare.
“Molti
progetti si stanno muovendo, ma come raccontano i numeri e le schede del
rapporto, i ritardi da recuperare sono rilevanti e i cambiamenti procedono
ancora troppo lentamente – si legge nel report – I problemi più rilevanti riguardano la depurazione (larga parte delle isole ancora
incredibilmente manca di impianti o quelli presenti non sono sufficienti), il passaggio da una produzione
energetica incentrata sulle fonti fossili (oggi sono vecchi e inquinanti
impianti a gasolio a garantire la produzione elettrica) alle rinnovabili (troviamo i numeri più bassi d’Italia
di diffusione e la crescita è ancora estremamente bassa), la gestione dei rifiuti (In molte isole non è ancora stato
attivato il servizio di raccolta porta a porta e non sono presenti impianti di
trattamento della frazione organica), la mobilità verso le isole (resa difficoltosa dalle condizioni
meteorologiche dei mesi invernali) e all’interno delle isole (con modalità ancora poco
sostenibili). Su tutti questi punti, i risultati sono altalenanti e i cambiamenti
hanno velocità variabile”.
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