IL CROLLO DI UNA NAZIONE.

 IL CROLLO DI UNA NAZIONE.

 

Il Crollo Inesorabile

degli Usa in 3 Dati.

 

ConoscenzealConfine.it- (16 Settembre 2022) - Pasquale Cicalese – ci dice:

 

L’ “inflazione core” Usa (un particolare tipo di inflazione calcolata senza tenere conto dei beni soggetti a forte volatilità, ovvero generi alimentari e i costi dell’energia) è aumentata dal 5.9 al 6.3%. Wall Street martedì sera perdeva il 5%. Ah, il vostro tanto temuto Blackrock, “padrone” di tutto, ieri ha perso il 7.5%.

L’inflazione non solo porta ad aumenti del tasso Fed Fund ma anche alla corrosione dell’asset inflation. Blackrock, che non è altro che gestore di soldi di altri, teme che i suoi sottoscrittori mondiali ritirino i soldi.

Gli Usa, che da 60 anni campano di soldi altrui, cercano di attirare capitali, cosa che gli riesce con i fessi europei, che ci stanno perdendo da un anno e mezzo, ma altri parti del mondo, vedi la Cina, non si lasciano abbindolare.

Inoltre, la mancanza di manifattura, cosa di cui scrive nei giorni scorsi Il sole, e il differenziale inflazionistico con la Cina, portano al massacro economico statunitense, così come quello europeo.

L’asset inflation, a cui da sempre si contrappone la “lotta di barricata” della Pboc, la banca centrale cinese, si sgonfia.

La conseguente distruzione di capitale fittizio, unita ad un’economia reale inesistente, modello che sta per imporsi anche da noi, porta alla perdita egemonica statunitense.

Il toro ferito dà le cornate a tutti, è pericolosissimo e c’è chi, come i maggiordomi inglesi, parlano della necessità di una guerra atomica. Ma dietro c’è lo sgonfiamento del capitale fittizio, su cui si è retta la nazione americana per 60 anni.

La lotta di barricata porta la Cina a rivolgersi all’interno; essa vede il collasso dell’Occidente. E c’è poi chi vorrebbe l’autonomia differenziata, nel mentre il suo mondo di carta va a pezzi.

Paolo Bricco scrive su Il sole 24 ore: “Nel 1950 la quota di occupati americani nell’industria era pari al 30%, ora all’8%; la quota di commercio mondiale riferito agli Usa nel 2000 era pari al 25,3% ora al 16.9%; la quota di beni intermedi, che rispecchiano le intersezioni tra sistemi produttivi, è scesa in maniera ancora più accentuata, dal 24,5 al 16.1%; la quota di beni manifatturieri riferiti agli Usa fra il 2000 e il 2008 dal 23.2 al 15,7 % “.

Non mi dilungo oltre, parlano i numeri. Questo è il paese di riferimento della classe dirigente europea, da cui noi dovremmo prendere spunto. Un declino inarrestabile. Sarei curioso di sapere quanti di quell’8% di addetti all’industria siano occupati nell’industria degli armamenti.

Un paese che non produce niente, con centinaia di milioni di cittadini a cui si dà la carità e qualche decina di milioni impegnati nel Fire (immobili, finanza assicurazioni). Stiamo facendo la stessa fine.

Se monta la protesta, ad ora sottaciuta, di piccoli imprenditori, di professionisti, di commercianti non l’addossate alla lamentela dei “bottegai”, semplicemente loro sono la spia di quanto sta succedendo da decenni.

(Pasquale Cicalese – Economista)

(lantidiplomatico.it/dettnews-il_crollo_inesorabile_degli_usa_in_3_dati/29785_47325/)

 

 

 

Le Nazioni Unite possono essere

salvate dalla “nazione indispensabile”.

Lavocedinewyork.com- Stefano Vaccara- (14 settembre 2022) – ci dice:

 

 

UNGA77: Si apre al Palazzo di Vetro l'Assemblea Generale con l'invasione dell'Ucraina e il futuro della Carta al centro dei dibattiti.

La 77esima Assemblea Generale dell’Onu che dalla prossima settimana vedrà confluire i capi di stato o di governo di 193 nazioni, potrebbe diventare la più rischiosa della storia. Potrebbe infatti segnare il destino della più grande organizzazione internazionale, determinando se possa avere ancora un futuro autorevole e più credibile, oppure se dovrà rassegnarsi al declino e al totale fallimento così come toccò all’alba della Seconda Guerra Mondiale alla Società delle Nazioni.

 

Tra le problematiche e le crisi internazionali che da alcuni anni scuotono l’ONU e ne mettono alla prova l’efficacia d’intervento – clima e sviluppo sostenibile, difesa dei diritti umani, rifugiati e migranti, pandemia covid, fame – l’ultima crisi scatenata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, paese fondatore e membro permanente del Consiglio di Sicurezza, rappresenta la scossa potenzialmente in grado di far crollare tutto il sistema onusiano.

La decisione di Vladimir Putin di invadere un paese membro delle Nazioni Unite – lo aveva già fatto otto anni prima in Crimea senza scatenare la guerra, ma riparandosi dietro un seppur contestato referendum sull’autodeterminazione – ha calpestato il principio fondante della Carta delle Nazioni Unite:

la sovranità di uno stato e il suo territorio, a meno di un diritto di autodifesa da precedente aggressione, non possono essere violati da attacchi militari non autorizzati da una risoluzione ONU.

Che poi a violare questo principio sia stato un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, che con il suo diritto di veto annulla ogni reazione ONU – ma non quella dell’Assemblea Generale, che ha approvato risoluzioni di condanna a larghissima maggioranza – ha dato l’ulteriore spallata al sistema onusiano basato su una Carta – leggi Costituzione o Trattato – che, doveroso a questo punto ricordare, era stata già violata anni prima e con modalità simili. 

Quella volta a macchiarsi dell’infamia di calpestare la Carta con attacchi militari non autorizzati (in Kosovo nel 1999 e, peggio, in Iraq nel 2003) era stata la superpotenza che più di ogni altra aveva contribuito alla nascita e rafforzamento delle Nazioni Unite: gli Stati Uniti d’America.

La rappresentante permanente USA all’ONU, l’ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield, proprio la scorsa settimana ha tenuto un discorso a San Francisco, intitolato sul “Futuro delle Nazioni Unite”.

Pronunciato nella stessa sala di quel Fairmont Hotel dove, il 25 aprile del 1945 – lo stesso giorno in cui l’Italia festeggia la liberazione dal nazi-fascismo! – i delegati di cinquanta paesi si riunirono per iniziare i lavori che porteranno due mesi dopo all’approvazione della Carta delle Nazioni Unite, l’ambasciatrice Thomas-Greenfield ha ribadito:

 

“Anche se il mondo stava affrontando la minaccia del cambiamento climatico, una pandemia e una crisi alimentare globale, uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza ha invaso il suo vicino. La Russia ha violato la sovranità nazionale e l’integrità territoriale. Ha violato i diritti umani e ha perseguito una guerra aperta invece di negoziare la pace. Un membro permanente del Consiglio di sicurezza ha colpito al cuore la Carta delle Nazioni Unite.

I membri del Consiglio di sicurezza, e in particolare i membri permanenti, hanno quella che il presidente Truman ha definito una “responsabilità speciale”.

 In quello stesso discorso ai delegati di San Francisco, il presidente Truman ha affermato che, cito: “La responsabilità dei grandi stati è servire, e non dominare, i popoli del mondo”.

Servire, non dominare.

La guerra della Russia contro l’Ucraina è un tentativo di dominio nelle sue forme più pure. Questa guerra mette alla prova i principi fondamentali su cui sono state fondate le Nazioni Unite, forgiate qui al Fairmont: che l’aggressione totale non è mai, mai accettabile.

E così, la nostra risposta alla crisi di fiducia è stata quella di difendere la Carta e ritenere la Russia responsabile. (…)

Gli analisti di politica estera hanno deriso la dottrina della “nazione indispensabile” riferita agli USA e coniata negli anni Novanta dall’allora prima donna segretario di Stato, Madeleine Albright, che era stata in precedenza rappresentanze permanente degli USA al Palazzo di Vetro.

Eppure gli Stati Uniti, a guardare il loro contributo al budget delle Nazioni Unite, appaiono sì indispensabili: il contributo di Washington al sistema ONU per il 2020, è stato di 11,6 miliardi di dollari: oltre cinque volte di più di quello della Cina (2 miliardi di $) e venti volte di più di quello della Russia!

Mentre scriviamo, all’Assemblea Generale il Presidente della UNGA76, il diplomatico maldiviano Abdullah Shahid, dopo aver condotto in porto l’Assemblea durante la tempesta del 2022, ha dato lo scettro al nuovo presidente della 77esima AG, l’ungherese Csaba Kőrösi, che si è presentato con il motto “Solutions Through Solidarity, Sustainability and Science”.

Già questa settimana apre un grande summit sull’Education (Istruzione), che avrebbe dovuto vedere anche la partecipazione, lunedì 19, dei grandi leader incluso il presidente Joe Biden.

I funerali della Regina Elisabetta a Londra invece porteranno i big mondiali a New York solo a partire da martedì, quando Kőrösi lascerà la parola al Segretario Generale Antonio Guterres che dovrà riuscire nell’impossibile impresa di mettere a fuoco tutte le maggiori sfide dell’ONU senza scontentare nessuno. Guterres, che nelle settimane precedenti all’attacco russo in Ucraina, si era ostinatamente rifiutato di contemplare la possibilità di una invasione “in fragrante violazione della carta Onu”, ha quindi aggiustato l’eccessiva “prudenza” diplomatica, accusando Mosca e il suo regime di avere messo in crisi tutto il sistema di legge internazionale basato sulla UN Charter.

Sul podio della AG si alterneranno molti leader che sembrano fare a gara nel tenere in tensione un mondo già scosso dalle crisi ambientali e sanitarie.

Così Jair Bolsonaro, che come tradizione aprirà per il Brasile i discorsi dei capi di stato e di governo, si annuncia carico dei suoi tic trumpiani, soprattutto nel ritenere valide le elezioni solo quando si vincono.

 O l’iraniano Ebrahim Raisi che avrebbe potuto annunciare un avvenuto accordo sul nucleare e invece – almeno a quanto riferito dal Segretario di Stato Anthony Blinken – rinnoverà l’immagine aggressiva di un Iran che non vorrebbe rinunciare alle sue ambizioni strategiche sul nucleare ma che né gli USA, né soprattutto Israele, hanno intenzione di concedergli.

 

La Cina, che fino a qualche giorno credeva di poter imporre il “silenzio” all’organizzazione cresciuta sul pilastro della Dichiarazione universale dei diritti umani, grazie all’ormai ex Commissario Michelle Bachelet ha visto invece i suoi crimini messi in vetrina al Palazzo di Vetro: è stato pubblicato il rapporto che l’accusa di aver abusato dei diritti umani della popolazione musulmana nella regione dello Xinjiang. La Cina di Xi, che si appresta alla vigilia dell’UNGA77 a stringere relazioni pericolose con la Russia di Putin, si trova al bivio: contribuire al salvataggio dell’ONU imponendo a sé stessa e agli altri il rispetto della UN Charter, o essere determinante per il suo definitivo crollo.

Da altri interventi, ci si aspetta solo ulteriore confusione e incertezza, come quando si vedrà apparire un leader libico parlare, ma non si capirà a nome di quale nazione, dato che la Libia, che continua a dondolare sull’abisso della guerra civile, continua ad avere due governi che si sfidano e, paradossalmente, sono entrambi in un certo modo riconosciuti dall’ONU!

L”Ambasciatore Maurizio Massari, è il rappresentante permanente dell’Italia alle Nazioni Unite.

E l’Italia? Il nostro Paese, che ricordiamo è uno dei maggiori contribuenti del sistema ONU ed il primo tra quelli occidentali nella fornitura di caschi blu per le missioni di pace, avrà il capo del governo “dimissionario” Mario Draghi che parteciperà ai lavori e pronuncerà il discorso all’AG – per ora previsto per il 22 settembre, giovedì pomeriggio – proprio alla vigilia delle elezioni del 25 settembre. Draghi a New York riceverà anche un prestigioso premio.

Non si prevede al momento l’arrivo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio (impegnato nella campagna elettorale), al suo posto la Sottosegretaria Marina Sereni. Ci sarà anche la delegazione della Commissioni Esteri del Parlamento, molto ridotta a causa delle elezioni, finora sarebbe composta da Alessandra Ermellino (ex M5S), Ricky Olgiati (M5S) e Alberto Pagani (PD).

Alla fine, da tutti i partecipanti all’UNGA77, ci si aspetta almeno di ricordare il miracolo di San Francisco, quando la Carta dell’ONU nacque sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale e soprattutto grazie agli Stati Uniti, nazione madre dell’ONU.

 

Vi invitiamo quindi a leggere altri passaggi del discorso tenuto a San Francisco dell’Ambasciatrice Linda Thomas Greenfield ; si nota grande differenza non solo nei toni, ma soprattutto nella sostanza, rispetto agli anni bui di Bush figlio e poi di Trump.

Che le parole pronunciate da Thomas Greenfield a San Francisco siano il preludio a quelle che pronuncerà il presidente Joe Biden a New York: solo ammettendo le proprie colpe, si può iniziare a ristabilirne credibilità, autorevolezza, e soprattutto forza alla UN Charter:

“Si tratta di difendere la Carta delle Nazioni Unite. Si tratta di pace per la prossima generazione. Si tratta di proteggere i principi delle Nazioni Unite. Si tratta di servire, non di dominare, i popoli del mondo.

Alcuni hanno chiesto se ci impegniamo a rispettare questi principi. Useremo la Carta delle Nazioni Unite quando ci serve, e poi la abbandoneremo quando non lo fa? Per rispondere a questa domanda e per dimostrare la nostra sincerità e il nostro fervido impegno nei confronti della Carta delle Nazioni Unite, oggi sono orgogliosa di annunciare che gli Stati Uniti aderiranno a sei chiari principi per un comportamento responsabile dei membri del Consiglio di sicurezza.

Questi sono standard che ci stiamo impostando e che diamo il benvenuto a tutti coloro che ci si attengono.

Non siamo sempre stati all’altezza di loro in passato, ma ci stiamo impegnando per loro andando avanti. Riteniamo inoltre che questi sarebbero gli standard giusti per tutti gli altri membri del Consiglio di sicurezza a cui impegnarsi, in particolare i membri permanenti.

Quindi, prima di tutto, ci impegniamo a difendere e ad agire rigorosamente in conformità con la Carta delle Nazioni Unite. Nessun membro del Consiglio può vantare un record perfetto su questo negli ultimi otto decenni, ma questo momento eccezionale richiede una rinnovata leadership nella difesa della Carta.

Mireremo a rafforzare la fede dell’appartenenza alle Nazioni Unite e l’adesione alla Carta delle Nazioni Unite, non solo nel Consiglio di sicurezza, ma durante le nostre azioni nelle Nazioni Unite e persino nelle nostre politiche nazionali…

In secondo luogo, ci impegneremo pragmaticamente con tutti i membri del Consiglio per affrontare le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali.

Le controversie bilaterali non devono mai essere una scusa per ostacolare il mandato del Consiglio o per rinunciare alle proprie responsabilità. Ad esempio, per quanto non siamo d’accordo con la Cina su una serie di questioni, dobbiamo ancora lavorare insieme per compiere progressi sul cambiamento climatico.

Terzo, ci asterremo dall’uso del veto tranne che in situazioni rare e straordinarie. [Applausi]. In particolare, qualsiasi membro permanente che eserciti il ​​veto per difendere i propri atti di aggressione perde autorità morale e dovrebbe essere ritenuto responsabile. E noterò che dal 2009 la Russia ha posto 26 veti, 12 dei quali sono stati raggiunti dalla Cina, mentre gli Stati Uniti hanno usato il veto solo quattro volte.

Quarto, dimostreremo la leadership nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali. In quanto difensori della Carta e del diritto internazionale, i membri del Consiglio di sicurezza dovrebbero essere leader mondiali nella difesa dei diritti umani, sia in patria che all’estero. E dovremmo usare le nostre posizioni in seno al Consiglio di sicurezza, nell’ambito del suo mandato, per fare lo stesso”.

 

“… E infine, come sto facendo oggi, ci impegneremo nuovamente a sostenere la Carta delle Nazioni Unite e cercheremo di plasmare il futuro delle Nazioni Unite. La nostra risposta alle flagranti violazioni della Russia non può essere quella di abbandonare quei principi fondanti. Invece, dobbiamo raddoppiare: dobbiamo raddoppiare il nostro impegno per un mondo pacifico e mantenere ancora più stretti i nostri principi profondamente radicati di sovranità, integrità territoriale, pace e sicurezza.

Fortunatamente, non siamo soli in questo. Lontano da esso. Per noi, questo è l’inizio di un dialogo, quello che il presidente Biden, il segretario Blinken e io, e tanti altri raccoglieremo e porteremo nelle nostre conversazioni durante la settimana ad alto livello e le settimane a venire. La nostra speranza è di radunare il mondo dietro la Carta in cui tutti ci siamo impegnati, proprio qui, 77 anni fa. E insieme lavoreremo per plasmarlo e riformarlo, e il sistema che ha creato, per il futuro.

Come ha detto Truman ai delegati di San Francisco quel primo giorno: “Per avere buoni vicini, dobbiamo anche essere buoni vicini”.

Per avere un buon vicino, sii tale.

Questo è il nostro obiettivo in questa prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ed è ciò a cui ci impegniamo come processo inclusivo. Quindi uniamoci. Costruiamo quel futuro pacifico e di vicinato per tutti.

Grazie”.

 

 

 

Lo "Spirito di Samarcanda" sarà guidato

da "potenze responsabili" Russia e Cina.

Thecradle.co - Pepe Escobar – (16 settembre 2022) – Ci dice:

(media.thecradle.co/wp-content/uploads/2022/09/Samarkand-SCO-2022.jpg)

Il vertice SCO degli attori energetici asiatici ha delineato una road map per rafforzare il mondo multipolare.

In mezzo a gravi scosse nel mondo della geopolitica, è così appropriato che il vertice dei capi di stato dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) di quest'anno si sia svolto a Samarcanda – l'ultimo crocevia della Via della Seta per 2.500 anni.

Quando nel 329 a.C. Alessandro Magno raggiunse l'allora città sogdiana di Marakanda, parte dell'impero achemenide, rimase sbalordito: "Tutto ciò che ho sentito su Samarcanda è vero, tranne che è ancora più bello di quanto avessi immaginato".

Avanti veloce a un editoriale del presidente dell'Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev pubblicato prima del vertice della SCO, dove sottolinea come Samarcanda ora "può diventare una piattaforma in grado di unire e riconciliare gli Stati con varie priorità di politica estera".

Del resto, storicamente, il mondo dal punto di vista del landmark della Via della Seta è sempre stato "percepito come uno e indivisibile, non diviso. Questa è l'essenza di un fenomeno unico: lo 'spirito di Samarcanda'".

E qui Mirziyoyev lega lo "Spirito di Samarcanda" all'originale SCO "Shanghai Spirit" istituito all'inizio del 2001, pochi mesi prima degli eventi dell'11 settembre, quando il mondo fu costretto a conflitti e guerre senza fine, quasi da un giorno all'altro.

In tutti questi anni, la cultura della SCO si è evoluta in un modo cinese distintivo. Inizialmente, i Cinque di Shanghai erano concentrati sulla lotta al terrorismo – mesi prima che la guerra del terrore degli Stati Uniti (corsivo mio) metastatizzasse dall'Afghanistan all'Iraq e oltre.

 

Nel corso degli anni, i "tre no" iniziali – nessuna alleanza, nessun confronto, nessuna presa di mira da terze parti – hanno finito per equipaggiare un veicolo ibrido veloce le cui "quattro ruote" sono "politica, sicurezza, economia e scienze umane", complete di un'iniziativa di sviluppo globale, che contrastano nettamente con le priorità di un Occidente egemonico e conflittuale.

Probabilmente il più grande takeaway del vertice di Samarcanda di questa settimana è che il presidente cinese Xi Jinping ha presentato Cina e Russia, insieme, come "potenze globali responsabili" intenzionate a garantire l'emergere del multipolarismo e a rifiutare l'arbitrario "ordine" imposto dagli Stati Uniti e dalla sua visione del mondo unipolare.

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha definito "eccellente" la conversazione bilaterale di Xi con il presidente Vladimir Putin.

Xi Jinping, prima del loro incontro, e rivolgendosi direttamente a Putin, aveva già sottolineato gli obiettivi comuni Russia-Cina:

"Di fronte ai colossali cambiamenti del nostro tempo su scala globale, senza precedenti nella storia, siamo pronti con i nostri colleghi russi a dare l'esempio di una potenza mondiale responsabile e svolgere un ruolo di primo piano al fine di mettere un mondo in così rapida evoluzione sulla traiettoria di uno sviluppo sostenibile e positivo".

Più tardi, nel preambolo della riunione dei capi di stato, Xi è andato dritto al punto: è importante "prevenire i tentativi da parte di forze esterne di organizzare 'rivoluzioni colorate' nei paesi della SCO". Beh, l'Europa non sarebbe in grado di dirlo, perché è stata rivoluzionata a colori ininterrottamente dal 1945.

Putin, da parte sua, ha inviato un messaggio che risuonerà in tutto il Sud del mondo: "Le trasformazioni fondamentali sono state delineate nella politica e nell'economia mondiale e sono irreversibili".

Iran: è show-time.

L'Iran è stata la guest star dello show di Samarcanda, ufficialmente abbracciato come il 9esimo membro della SCO.                             Il presidente Ebrahim Raisi, significativamente, ha sottolineato prima di incontrare Putin che "l'Iran non riconosce le sanzioni contro la Russia".

 Il loro partenariato strategico sarà rafforzato. Sul fronte degli affari, una folta delegazione composta da leader di 80 grandi aziende russe visiterà Teheran la prossima settimana.

La crescente interpolazione Russia-Cina-Iran – i tre principali motori dell'integrazione eurasiatica – spaventa l'inferno dei soliti sospetti, che potrebbero iniziare a capire come la SCO rappresenti, a lungo termine, una seria sfida al loro gioco geoeconomico. Quindi, come ogni granello di sabbia in ogni deserto dell'Heartland è già consapevole, la pressione geopolitica contro il trio aumenterà esponenzialmente.

E poi c'era il trilaterale mega-cruciale di Samarcanda: Russia-Cina-Mongolia. Non ci sono state perdite ufficiali, ma questo trio ha probabilmente discusso del gasdotto Power of Siberia-2 – l'inter-connettore da costruire in tutta la Mongolia; e il ruolo rafforzato della Mongolia in un cruciale corridoio di connettività della Belt and Road Initiative (BRI), ora che la Cina non sta utilizzando la rotta Transiberiana per le esportazioni verso l'Europa a causa delle sanzioni.

Putin ha informato Xi su tutti gli aspetti dell'operazione militare speciale della Russia (SMO) in Ucraina, e probabilmente ha risposto ad alcune domande davvero difficili, molte delle quali circolano selvaggiamente sul web cinese da mesi.

Il che ci porta al presser di Putin alla fine del vertice – con praticamente tutte le domande che prevedibilmente ruotano attorno al teatro militare in Ucraina.

Il punto chiave del presidente russo: "Non ci sono cambiamenti nel piano SMO. I compiti principali sono in fase di attuazione". Sulle prospettive di pace, è l'Ucraina che "non è pronta a parlare con la Russia". E nel complesso, "è deplorevole che l'Occidente abbia avuto l'idea di usare l'Ucraina per cercare di far crollare la Russia".

Sulla soap opera dei fertilizzanti, Putin ha osservato: "L'approvvigionamento alimentare, l'approvvigionamento energetico, loro (l'Occidente) hanno creato questi problemi, e ora stanno cercando di risolverli a spese di qualcun altro" – intendendo le nazioni più povere. "I paesi europei sono ex potenze coloniali e hanno ancora questo paradigma della filosofia coloniale. È giunto il momento di cambiare il loro comportamento, di diventare più civili".

Sul suo incontro con Xi Jinping: "È stato solo un incontro regolare, è passato un bel pò di tempo che non abbiamo avuto un incontro faccia a faccia". Hanno parlato di come "espandere il fatturato commerciale" e aggirare le "guerre commerciali causate dai nostri cosiddetti partner", con "l'espansione degli insediamenti in valute nazionali che non progredisce alla velocità che vogliamo".

Rafforzare il multipolarismo.

Il bilaterale di Putin con il primo ministro indiano Narendra Modi non avrebbe potuto essere più cordiale – su un registro di "amicizia molto speciale" – con Modi che chiedeva soluzioni serie alle crisi alimentari e dei carburanti, rivolgendosi in realtà all'Occidente. Nel frattempo, la State Bank of India aprirà conti speciali in rupie per gestire il commercio legato alla Russia.

Questo è il primo viaggio all'estero di Xi dalla pandemia di Covid. Potrebbe farlo perché è totalmente fiducioso di ricevere un terzo mandato durante il Congresso del Partito Comunista il mese prossimo a Pechino. Xi ora controlla o ha alleati collocati in almeno il 90% del Politburo.

L'altra seria ragione era quella di ricaricare l'appello della BRI in stretta connessione con la SCO. L'ambizioso progetto BRI cinese è stato ufficialmente lanciato da Xi ad Astana (ora Nur-Sultan) nove anni fa. Rimarrà il concetto generale di politica estera cinese per i decenni a venire.

L'enfasi della BRI sul commercio e la connettività si lega ai meccanismi di cooperazione multilaterale in evoluzione della SCO, riunendo le nazioni che si concentrano sullo sviluppo economico indipendente dall'nebuloso ed egemonico "ordine basato sulle regole". Anche l'India sotto Modi sta avendo ripensamenti sull'affidarsi ai blocchi occidentali, dove Nuova Delhi è nel migliore dei casi un "partner" neo-colonizzato.

Così Xi e Putin, a Samarcanda, hanno delineato a tutti gli effetti una road map per rafforzare il multipolarismo – come sottolineato dalla dichiarazione finale di Samarcanda firmata da tutti i membri della SCO.

Il puzzle kazako.

Ci saranno dossi sulla strada in abbondanza. Non è un caso che Xi abbia iniziato il suo viaggio in Kazakistan, la mega-strategica retroguardia occidentale della Cina, condividendo un confine molto lungo con lo Xinjiang. Il tri-confine nel porto asciutto di Khorgos – per camion, autobus e treni, separatamente – è piuttosto qualcosa, un nodo BRI assolutamente chiave.

L'amministrazione del presidente Kassym-Jomart Tokayev a Nur-Sultan (che presto sarà ribattezzata di nuovo Astana) è piuttosto complicata, oscilla tra orientamenti politici orientali e occidentali e infiltrata dagli americani tanto quanto durante l'era del predecessore Nursultan Nazarbayev, il primo presidente post-URSS del Kazakistan.

All'inizio di questo mese, ad esempio, Nur-Sultan, in collaborazione con Ankara e British Petroleum (BP) – che praticamente governa l'Azerbaigian – ha accettato di aumentare il volume di petrolio sull'oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan (BTC) fino a 4 milioni di tonnellate al mese entro la fine di quest'anno. Chevron ed ExxonMobil, molto attive in Kazakistan, fanno parte dell'accordo.

L'agenda dichiarata dei soliti sospetti è quella di "disconnettere in ultima analisi le economie dei paesi dell'Asia centrale dall'economia russa".

Poiché il Kazakistan è membro non solo dell'Unione economica eurasiatica (UEE) a guida russa, ma anche della BRI, è giusto supporre che Xi – così come Putin – abbia discusso alcune questioni piuttosto serie con Tokayev, gli abbia detto di capire da che parte soffia il vento e gli abbia consigliato di tenere sotto controllo la situazione politica interna (vedi il colpo di stato abortito a gennaio, quando Tokayev è stato di fatto salvato dall'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva [CSTO] a guida russa).

Non c'è dubbio che l'Asia centrale, storicamente conosciuta come una "scatola di gemme" al centro dell'Heartland, che percorre le antiche vie della seta e benedetta da immense ricchezze naturali – combustibili fossili, metalli delle terre rare, fertili terre agrarie – sarà usata dai soliti sospetti come un vaso di Pandora, rilasciando ogni sorta di trucchi tossici contro la legittima integrazione eurasiatica.

 

Ciò è in netto contrasto con l'Asia occidentale, dove l'Iran nella SCO metterà il turbo al suo ruolo chiave di connettività crocevia tra Eurasia e Africa, in connessione con la BRI e l'International North-South Transportation Corridor (INSTC).

Quindi non c'è da meravigliarsi che gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e il Kuwait, tutti in Asia occidentale, riconoscano da che parte soffia il vento. I tre stati del Golfo Persico hanno ricevuto lo "status di partner" ufficiale della SCO a Samarcanda, insieme alle Maldive e al Myanmar.

Una coesione di obiettivi.

Samarcanda ha anche dato un ulteriore impulso all'integrazione lungo il partenariato della Grande Eurasia concettualizzato dalla Russia – che include l'Unione economica eurasiatica (EAEU) – e questo, solo due settimane dopo il rivoluzionario Eastern Economic Forum (EEF) tenutosi a Vladivostok, sulla costa strategica del Pacifico della Russia.

La priorità di Mosca all'EAEU è quella di attuare uno stato-unione con la Bielorussia (che sembra destinata a diventare un nuovo membro della SCO prima del 2024), fianco a fianco con una più stretta integrazione con la BRI. Anche Serbia, Singapore e Iran hanno accordi commerciali con l'UEE.

La Greater Eurasian Partnership è stata proposta da Putin nel 2015 – e sta diventando più acuta man mano che la commissione EAEU, guidata da Sergey Glazyev, progetta attivamente un nuovo sistema finanziario, basato sull'oro e sulle risorse naturali e contro-agisce il sistema di Bretton Woods. Una volta che il nuovo framework è pronto per essere testato, è probabile che il diffusore chiave sia la SCO.

 

Quindi qui vediamo in gioco la piena coesione degli obiettivi – e i meccanismi di interazione – dispiegati dal Greater Eurasia Partnership, BRI, EAEU, SCO, BRICS+ e INSTC. È una lotta titanica unire tutte queste organizzazioni e tenere conto delle priorità geoeconomiche di ogni membro e partner associato, ma è esattamente ciò che sta accadendo, a rotta di collo.

In questa festa della connettività, gli imperativi pratici vanno dalla lotta contro i colli di bottiglia locali alla creazione di complessi corridoi multipartitici - dal Caucaso all'Asia centrale, dall'Iran all'India, tutto discusso in più tavole rotonde.

I successi sono già notevoli: dalla Russia e dall'Iran che introducono insediamenti diretti in rubli e rial, alla Russia e alla Cina che aumentano il loro commercio di rubli e yuan al 20% – e il conteggio. Una Eastern Commodity Exchange potrebbe essere presto istituita a Vladivostok per facilitare il commercio di futures e derivati con l'Asia-Pacifico.

La Cina è il principale creditore/investitore indiscusso nelle infrastrutture in tutta l'Asia centrale. Le priorità di Pechino potrebbero essere l'importazione di gas dal Turkmenistan e dall'Uzbekistan e di petrolio dal Kazakistan, ma la connettività non è da meno.

La costruzione da 5 miliardi di dollari della ferrovia Pakistan-Afghanistan-Uzbekistan (Pakafuz), lunga 600 km, consegnerà merci dall'Asia centrale all'Oceano Indiano in soli tre giorni invece di 30. E quella ferrovia sarà collegata al Kazakistan e alla ferrovia già in corso di 4.380 km di lunghezza costruita in Cina da Lanzhou a Tashkent, un progetto BRI.

Nur-Sultan è anche interessato a una ferrovia Turkmenistan-Iran-Türkiye, che collegherebbe il suo porto di Aktau sul Mar Caspio con il Golfo Persico e il Mar Mediterraneo.

Türkiye, nel frattempo, ancora osservatore della SCO e costantemente a copertura delle sue scommesse, lentamente ma inesorabilmente sta cercando di far avanzare strategicamente la propria Pax Turcica, dallo sviluppo tecnologico alla cooperazione per la difesa, il tutto sotto una sorta di pacchetto politico-economico-di sicurezza. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ne ha discusso a Samarcanda con Putin, poiché quest'ultimo ha successivamente annunciato che il 25% del gas russo acquistato da Ankara sarà pagato in rubli. 

Benvenuti in Great Game 2.0

La Russia, ancor più della Cina, sa che i soliti sospetti stanno andando per il verde. Solo nel 2022, c'è stato un fallito colpo di stato in Kazakistan a gennaio; problemi a Badakhshan, in Tagikistan, a maggio; problemi in Karakalpakstan in Uzbekistan a giugno; gli scontri di confine non-stop tra Tagikistan e Kirghizistan (entrambi i presidenti, a Samarcanda, hanno almeno concordato un cessate il fuoco e di rimuovere le truppe dai loro confini).

E poi c'è l'Afghanistan recentemente liberato – con non meno di 11 province attraversate dall'ISIS-Khorasan e dai suoi associati tagiki e uzbeki.

 Migliaia di aspiranti jihadisti di Heartland hanno fatto il viaggio a Idlib in Siria e poi di nuovo in Afghanistan – "incoraggiati" dai soliti sospetti, che useranno ogni trucco sotto il sole per molestare e "isolare" la Russia dall'Asia centrale.

Quindi la Russia e la Cina dovrebbero essere pronte ad essere coinvolte in una sorta di Immensamente complesso, rotolando Grande Gioco 2.0 sotto steroidi, con gli Stati Uniti / NATO che combattono l'Eurasia unita e la Turchia nel mezzo.

Su una nota più brillante, Samarcanda ha dimostrato che esiste almeno un consenso tra tutti gli attori delle diverse organizzazioni istituzionali che: la sovranità tecnologica determinerà la sovranità; e che la regionalizzazione – in questo caso eurasiatica – è destinata a sostituire la globalizzazione governata dagli Stati Uniti.

Questi giocatori capiscono anche che l'era Mackinder e Spykman sta volgendo al termine – quando l'Eurasia era "contenuta" in una forma semi-smontata in modo che le potenze marittime occidentali potessero esercitare il dominio totale, contrariamente agli interessi nazionali degli attori del Sud globale.

Ora è un gioco di palla completamente diverso. Per quanto la Greater Eurasia Partnership sia pienamente supportata dalla Cina, entrambi favoriscono l'interconnessione dei progetti BRI e EAEU, mentre la SCO modella un ambiente comune.

Sì, questo è un progetto di civiltà eurasiatica per il 21San secolo e oltre. Sotto l'egida dello "Spirito di Samarcanda".

 

 

 

Il punto di svolta di Kharkov.

Unz.com- PEPE ESCOBAR – ( SETTEMBRE 13, 2022) – ci dice:

 

Le guerre non si vincono con le psyops. Chiedete alla Germania nazista. Tuttavia, è stato un urlo guardare i media NATOstan su Kharkov, gongolando all'unisono per "il colpo di martello che mette fuori combattimento Putin", "i russi sono nei guai" e inanità assortite.

Fatti: le forze russe si sono ritirate dal territorio di Kharkov sulla riva sinistra del fiume Oskol, dove ora sono trincerate. Una linea Kharkov-Donetsk-Lugansk sembra essere stabile. Krasny Liman è minacciato, assediato dalle forze ucraine superiori, ma non in modo letale.

Nessuno – nemmeno Maria Zakharova, l'equivalente femminile contemporaneo di Hermes, la messaggera degli Dei – sa cosa progetta lo Stato Maggiore russo (RGS), in questo caso e in tutti gli altri. Se dicono di sì, stanno mentendo.

Allo stato attuale, ciò che si può dedurre con un ragionevole grado di certezza è che una linea – Svyatogorsk-Krasny Liman-Yampol-Belogorovka – può resistere abbastanza a lungo con le loro attuali guarnigioni fino a quando le nuove forze russe non saranno in grado di piombare e costringere gli ucraini a tornare oltre la linea Seversky Donets.

Si è scatenato l'inferno – virtualmente – sul perché Kharkov è successo.

 Le repubbliche popolari e la Russia non hanno mai avuto abbastanza uomini per difendere una linea del fronte lunga 1.000 km. Tutte le capacità di intelligence della NATO se ne sono accorte – e ne hanno tratto profitto.

Non c'erano forze armate russe in quegli insediamenti: solo Rosgvardia, e queste non sono addestrate a combattere le forze militari.

Kiev ha attaccato con un vantaggio di circa 5 a 1. Le forze alleate si ritirarono per evitare l'accerchiamento. Non ci sono perdite di truppe russe perché non c'erano truppe russe nella regione.

Probabilmente questo potrebbe essere stato un caso isolato. Le forze di Kiev gestite dalla NATO semplicemente non possono fare un replay da nessuna parte nel Donbass, o a Kherson, o a Mariupol. Questi sono tutti protetti da unità forti e regolari dell'esercito russo.

È praticamente un dato di fatto che se gli ucraini rimangono intorno a Kharkov e Izyum saranno polverizzati dalla massiccia artiglieria russa.

L'analista militare Konstantin Sivkov sostiene che "la maggior parte delle formazioni pronte al combattimento delle forze armate dell'Ucraina sono ora a terra (...) siamo riusciti ad attirarli allo scoperto e ora li stiamo sistematicamente distruggendo".

Le forze ucraine gestite dalla NATO, stipate di mercenari della NATO, avevano trascorso 6 mesi ad accumulare attrezzature e riservare risorse addestrate esattamente per questo momento di Kharkov – mentre spedivano oggetti usa e getta in un enorme tritacarne. Sarà molto difficile sostenere una catena di montaggio di asset primari sostanziali per realizzare di nuovo qualcosa di simile.

I prossimi giorni mostreranno se Kharkov e Izyum sono collegati a una spinta della NATO molto più ampia.

 L'umore nell'UE controllata dalla NATO si sta avvicinando alla Desperation Row.

C'è una forte possibilità che questa controffensiva significhi che la NATO entra in guerra per sempre, mentre mostra una negazione plausibile piuttosto tenue: il loro velo di – falsa – segretezza non può mascherare la presenza di "consiglieri" e mercenari in tutto lo spettro.

La decommunizzazione come de-energizzazione.

L'Operazione Militare Speciale (SMO), concettualmente, non riguarda la conquista del territorio di per sé: è, o lo era, finora, la protezione dei cittadini russofoni nei territori occupati, quindi la smilitarizzazione e la denazificazione.

Questo concetto potrebbe essere sul punto di essere modificato. Ed è qui che si inserisce il dibattito tortuoso e complicato sulla mobilitazione della Russia. Tuttavia, anche una mobilitazione parziale potrebbe non essere necessaria: ciò che è necessario sono riserve per consentire adeguatamente alle forze alleate di coprire le linee posteriori / difensive. I combattenti hardcore del tipo del contingente Kadyrov avrebbero continuato a giocare in attacco.

È innegabile che le truppe russe abbiano perso un nodo strategicamente importante a Izyum. Senza di essa, la completa liberazione del Donbass diventa significativamente più difficile.

Eppure per l'Occidente collettivo, la cui carcassa si insinua all'interno di una vasta bolla di simulacri, sono i pysops che contano molto più di una piccola avanzata militare: quindi tutto ciò che gongola sull'Ucraina che è in grado di cacciare i russi da tutta Kharkov in soli quattro giorni – mentre avevano 6 mesi per liberare il Donbass, e non l'hanno fatto.

Quindi, in tutto l'Occidente, la percezione dominante – freneticamente fomentata dagli esperti di psyops – è che l'esercito russo sia stato colpito da quel "colpo di martello" e difficilmente si riprenderà.

Kharkov è stato preziosamente cronometrato – poiché il generale Winter è dietro l'angolo; la questione ucraina soffriva già della stanchezza dell'opinione pubblica; e la macchina della propaganda aveva bisogno di una spinta per lubrificare la linea di ratti armatori multimiliardaria.

Eppure Kharkov potrebbe aver forzato la mano di Mosca per aumentare il quadrante del dolore. Ciò è avvenuto attraverso alcuni Mr. Kinzhals ben posizionati che hanno lasciato il Mar Nero e il Caspio per presentare i loro biglietti da visita alle più grandi centrali termiche nel nord-est e nell'Ucraina centrale (la maggior parte delle infrastrutture energetiche si trova nel sud-est).

Metà dell'Ucraina ha improvvisamente perso energia e acqua. I treni si fermarono. Se Mosca decide di eliminare tutte le principali sottostazioni ucraine contemporaneamente, bastano pochi missili per distruggere completamente la rete energetica ucraina – aggiungendo un nuovo significato alla "decommunizzazione": de-energizzazione.

 

Secondo un'analisi di esperti, "se i trasformatori di 110-330 kV sono danneggiati, allora non sarà quasi mai possibile metterlo in funzione (...) E se questo accade almeno in 5 sottostazioni contemporaneamente, allora tutto è kaput. Età della pietra per sempre."

Il funzionario del governo russo Marat Bashirov era molto più colorato: "L'Ucraina si sta immergendo nel 19 ° secolo. Se non c'è un sistema energetico, non ci sarà un esercito ucraino. Il dato di fatto è che il generale Volt è venuto in guerra, seguito dal generale Moroz ("gelo").

Ed è così che potremmo finalmente entrare nel territorio della "vera guerra" – come nella famigerata battuta di Putin che "non abbiamo ancora iniziato nulla".

Una risposta definitiva arriverà dalla RSG nei prossimi giorni.

Ancora una volta, infuria un dibattito infuocato su ciò che la Russia farà dopo (l'RGS, dopo tutto, è imperscrutabile, ad eccezione di Yoda Patrushev).

L'RGS potrebbe optare per un serio attacco strategico del tipo decapitante altrove – come nel cambiare argomento in peggio (per la NATO).

Potrebbe optare per l'invio di più truppe per proteggere la linea del fronte (senza mobilitazione parziale).

E soprattutto potrebbe allargare il mandato SMO – andando alla distruzione totale delle infrastrutture di trasporto - energetiche ucraine, dai giacimenti di gas alle centrali termiche, alle sottostazioni e alla chiusura delle centrali nucleari.

Bene, potrebbe sempre essere un mix di tutto quanto sopra: una versione russa di Shock and Awe – che genera una catastrofe socio-economica senza precedenti. Questo è già stato telegrafato da Mosca: possiamo riportarvi all'età della pietra in qualsiasi momento e nel giro di poche ore . Le tue città accoglieranno General Winter con zero riscaldamento, acqua gelata, interruzioni di corrente e nessuna connettività.

Un'operazione antiterrorismo.

Tutti gli occhi sono puntati sul fatto che i "centri decisionali" – come a Kiev – possano presto ottenere una visita Kinzhal. Ciò significherebbe che Mosca ne ha avuto abbastanza. I siloviki certamente lo fecero. Ma non ci siamo – ancora. Perché per un Putin eminentemente diplomatico il vero gioco ruota attorno a quelle forniture di gas all'UE, quel piccolo giocattolo della politica estera americana.

Putin è certamente consapevole che il fronte interno è sotto pressione. Rifiuta anche una mobilitazione parziale. Un indicatore perfetto di ciò che può accadere in inverno sono i referendum nei territori liberati. La data limite è il 4 novembre – il Giorno dell'Unità Nazionale, una commemorazione introdotta nel 2004 per sostituire la celebrazione della rivoluzione d'Ottobre.

Con l'adesione di questi territori alla Russia, qualsiasi controffensiva ucraina si qualificherebbe come un atto di guerra contro le regioni incorporate nella Federazione Russa. Tutti sanno cosa significa.

Ora può essere dolorosamente ovvio che quando l'Occidente collettivo sta conducendo una guerra – ibrida e cinetica, con tutto, dalle massicce informazioni ai dati satellitari e orde di mercenari – contro di te, e tu insisti nel condurre un'operazione militare speciale (SMO) definita in modo vago, potresti essere pronto per alcune brutte sorprese.

Quindi lo status di SMO potrebbe essere in procinto di cambiare: è destinato a diventare un'operazione antiterrorismo.

Questa è una guerra esistenziale. Un affare da fare o morire. L'obiettivo geopolitico/geoeconomico americano, per dirla senza mezzi termini, è distruggere l'unità russa, imporre un cambio di regime e saccheggiare tutte quelle immense risorse naturali. Gli ucraini non sono altro che carne da cannone: in una sorta di contorto remake della Storia, gli equivalenti moderni della piramide dei teschi Timur cementò in 120 torri quando rase al suolo Baghdad nel 1401.

Se può prendere un "colpo di martello" per l'RSG per svegliarsi. Prima o poi, i guanti – di velluto e altro – saranno spenti.

Esci da SMO. Entra in guerra.

 

 

 

L’India chiede a Putin

di fermare la guerra, lo Zar:

“Io voglio fermarla, Zelensky no”

msn.com-il Riformista - Umberto De Giovannangeli – (17-9-2022) - ci dice:

 

Le sconfitte sul campo pesano. Le vecchie certezze vacillano. I toni cambiano e le granitiche certezze iniziali cominciano a incrinarsi. Come già nel colloquio col collega cinese, Xi Jinping, Vladimir Putin, ha riconosciuto le “preoccupazioni” dell’India per il conflitto in Ucraina incontrando il premier Narendra Modi, a margine del vertice Sco a Samarcanda.

“Conosco la tua posizione sul conflitto in Ucraina, le tue preoccupazioni che esprimi costantemente. Faremo di tutto per garantire che finisca il prima possibile. Sfortunatamente, la leadership dell’Ucraina ha annunciato il suo rifiuto di negoziare e ha annunciato che vuole raggiungere i suoi obiettivi con mezzi militari, come si suol dire, sul campo di battaglia”, ha detto Putin, assicurando Modi di tenerlo “informato su quanto accade lì”.

Poche ore dopo ecco la correzione di tiro: Mosca ha dato finora una risposta contenuta ai “tentativi dell’Ucraina di danneggiare le infrastrutture russe, ma la risposta sarà più seria se essi continueranno”, dice Putin, citato dalle agenzie russe.

 Il presidente russo fa riferimento agli “attacchi terroristici alle centrali nucleari russe”, precisando che Mosca “farà tutto per prevenire” tali azioni.

Inoltre, aggiunge che il piano per l’operazione militare speciale in Ucraina “non subirà correzioni”. E poi un cavallo di battaglia dello zar: l’attacco all’Occidente. Per decenni “l’Occidente ha coltivato l’idea di un collasso della Russia”. Mosca, quindi, ha lanciato l’operazione militare speciale in Ucraina per impedire che venisse creata una enclave “da usare per fare vacillare” la stessa Russia, sentenzia Putin, citato dalla Tass.

Da Mosca a Washington. L’Amministrazione Biden, scrive il Washington Post, prevede mesi di combattimenti intensi, di vittorie e sconfitte per entrambe le parti.

 Un periodo di scontri intensi per tutto l’autunno, con entrambe le parti che tentano di arrivare nella miglior posizione possibile prima che l’inverno complichi tutto in quella che è una guerra con conseguenze globali.

 I funzionari Usa prevedono una traiettoria “non lineare” della guerra. Finora gli Stati Uniti hanno assicurato all’Ucraina aiuti per la sicurezza per 15 miliardi di dollari.

 Il giornale scrive di una strategia Usa che cerca di tenere insieme il sostegno internazionale e di espandere gli aiuti militari americani senza armi ancor più pensati nell’immediato per evitare una guerra più ampia, mentre appare remota la possibilità di un negoziato per fermare i combattimenti e l’obiettivo Usa resta aiutare le forze di Kiev ad avanzare per rafforzare la posizione dell’Ucraina in caso di difficili trattative, complicate per Volodymyr Zelensky perché anche dopo i denunciati abusi l’opinione pubblica ucraina è sempre più contraria a eventuali concessioni e Mosca resta inaffidabile.

Dalle schermaglie dialettiche all’orrore quotidiano di una guerra giunta al 205simo giorno. Diversi corpi trovati nel sito della fossa comune di Izyum avevano corde intorno al collo e le mani legate, secondo quanto riportato sul sito della Reuters. Una circostanza che fa pensare che potrebbero non essere rimasti uccisi in bombardamenti e attacchi aerei. Ma anche segni di tortura sono stati rinvenuti su alcuni dei cadaveri.

Lo ha detto a Radio Liberty il commissario della Verkhovna Rada per i diritti umani, Dmitry Lubinets, secondo cui alcuni cadaveri sono stati rinvenuti “con le mani legate” e sono stati uccisi “a bruciapelo”.

Lubinets ha denunciato che nella fossa comune sono state sepolte “intere famiglie, comprese quelle con bambini”. Più di 400 corpi sono stati trovati in una fossa comune a Izyum. Con segni di tortura, fra questi bambini, alcune vittime di attacchi missilistici, combattenti delle forze armate ucraine”.

 Lo ha scritto su Telegram Volodymyr Zelensky, aggiungendo che “la Russia lascia solo morte e sofferenza dietro di sé. Non scapperete. Non riuscirete a nascondervi. La punizione sarà giustamente terribile”. Al messaggio Zelensky ha allegato le foto dell’esumazione dei corpi che è iniziata ieri. “Il mondo intero dovrebbe vederlo — ha precisato —. Un mondo in cui non dovrebbero esserci crudeltà e terrorismo. Ma tutto questo è lì. E il suo nome è Russia”.

Di guerra e sanzioni è tornato a parlare Mario Draghi. “Le sanzioni funzionano. Bisogna capire questo, altrimenti non si capirebbero certi comportamenti recenti del presidente Putin e bisogna continuare su quel fronte. E continuare sul fronte di sostegno all’Ucraina per la guerra di liberazione da chi ha invaso il paese. Questa è stata la linea del mio governo. All’interno del centrodestra ci sono tanti punti di vista. Quello di Salvini prevale? Non lo posso dire questo. È una visione (quella di Salvini ndr) che il governo attuale non condivide”. Così il presidente del Consiglio durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi. “Bisogna continuare sul fronte delle sanzioni” contro la Russia, “questa è la linea politica che il governo ha seguito. E bisogna continuare con il sostegno all’Ucraina fino a che non vinca la guerra di liberazione perché tale è, da chi ha invaso il suo Paese”.

 

INQUIETUDINI ESISTENZIALI:

LA GUERRA FINANZIARIA CONTRO

L’OCCIDENTE INIZIA A MORDERE.

Comedonchisciotte.org- Alastair Crooke- strategic-culture.org- (17 Settembre 2022) – ci dice: 

 

L’Europa sta diventando una lontana provincia arretrata di una “Roma imperiale” in declino, scrive Alastair Crooke.

Il Club di Roma, fondato nel 1968 come collettivo di pensatori di spicco che riflettevano su questioni globali, ha assunto come leitmotiv la dottrina secondo cui considerare i problemi dell’umanità individualmente, in modo isolato o come “problemi in grado di essere risolti nei propri termini”, era destinato al fallimento: “tutti sono interconnessi”. Oggi, a distanza di cinquant’anni, questa è diventata una “verità rivelata” indiscussa per un segmento chiave delle popolazioni occidentali.

Il Club di Roma ha poi attirato immediatamente l’attenzione del pubblico con il suo primo rapporto, “I limiti dello sviluppo”. Pubblicato nel 1972, le simulazioni al computer del Club suggerivano che la crescita economica non poteva continuare all’infinito a causa dell’esaurimento delle risorse.

 La crisi petrolifera del 1973 aumentò la preoccupazione dell’opinione pubblica per questo problema. Il rapporto divenne “virale”.

Conosciamo la storia. Ad un gruppo di pensatori occidentali furono poste tre domande:

il pianeta può sostenere un livello di consumo di tipo europeo che si diffonde ovunque, in tutto il mondo? La risposta di questi pensatori è stata “chiaramente no”.

Seconda domanda: riuscite ad immaginare gli Stati occidentali che rinunciano volontariamente al loro tenore di vita con la deindustrializzazione? Risposta: “decisamente no”.

Bisogna quindi imporre alle popolazioni riluttanti un livello inferiore di consumo e di utilizzo di energia e risorse? Risposta: “decisamente sì”.

La seconda “grande riflessione” del Club risale al 1991, con la pubblicazione di “La prima grande rivoluzione”. In esso si osserva che, storicamente, l’unità sociale o politica è stata comunemente motivata dall’immaginazione di nemici comuni:

“Nel cercare un nemico comune contro cui unirci, ci è venuta l’idea che l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la carestia e simili, facessero al caso nostro.

 Nella loro totalità e nelle loro interazioni, questi fenomeni costituiscono una minaccia comune… [e] tutti questi pericoli sono causati dall’intervento umano nei processi naturali. È solo attraverso un cambiamento di atteggiamento e di comportamento che possono essere superati. Il vero nemico è quindi l’umanità stessa. “

Non si tratta di discutere se l’“emergenza clima” sia fondata o meno su basi scientifiche non politicizzate. Ma piuttosto di sottolineare che: “È, ciò che è”.

La sua iconografia psichica è stata catturata dal culto di Greta.

(Laverita.info del 14 settembre 2022-Franco Battaglia ci dice -tramite il geofisico ungherese Laszlo Szarka-che “l’emergenza è l’energia non il clima: questo errore può causare disastri”, ndr).

A prescindere dai suoi meriti – o dai suoi difetti – uno strato significativo della società occidentale è giunto alla convinzione – di cui è convinto intellettualmente e in cui crede – che l’“Emergenza Climatica” sia così evidentemente corretta che qualsiasi prova e argomentazione contraddittoria dovrebbe essere respinta con forza.

Questa è diventata la paura esistenziale dell’Occidente: la crescita della popolazione, la limitatezza delle risorse e il consumo eccessivo sono il segno della fine del nostro pianeta. Dobbiamo salvarlo.

Non sorprende che attorno a questo “modo di pensare” si siano sviluppati i precedenti temi occidentali della politica dell’identità, dell’eugenetica, della sopravvivenza darwiniana degli eletti (e dell’eliminazione delle iterazioni “inferiori” della vita) e del nichilismo europeo (il vero nemico siamo “noi”, noi stessi).

Naturalmente, l’“altra” sfaccettatura di questa proiezione occidentale della “realtà”, che sta diventando evidente, è il fatto che l’Europa semplicemente non ha forniture di energia o di materie prime pronte a cui attingere (avendo voltato le spalle alla fonte più ovvia).

 E come ha osservato Elon Musk, “per far sì che la civiltà continui a funzionare, abbiamo bisogno di petrolio e gas”; aggiungendo che “qualsiasi persona ragionevole ne trarrebbe la conclusione”. Non solo il petrolio e il gas dovrebbero continuare a essere utilizzati per far funzionare la civiltà, ma Musk ha affermato che ulteriori esplorazioni “sono giustificate in questo momento”.

I governi occidentali, quindi, devono o invitare alla miseria economica su una scala che metterebbe a dura prova il tessuto politico democratico di qualsiasi Paese, oppure affrontare la realtà che i problemi di approvvigionamento energetico pongono effettivamente un limite alla possibilità di portare avanti il progetto “Salva Ucraina” (senza provocare la rivolta popolare per i conseguenti aumenti dei prezzi).

Questa “realtà” reale, ovviamente, limita per estensione anche l’obiettivo geostrategico occidentale derivato associato all’Ucraina, che è il salvataggio dell’“ordine delle regole liberali” (così centrale per le cure occidentali).

La “faccia” opposta a questo timore centrale è quindi la preoccupazione che l’ordine mondiale sia già così rotto – perché la fiducia è venuta meno – che l’ordine mondiale emergente non sarà affatto modellato dalla visione liberale occidentale, ma da un’alleanza di economie sempre più vicine economicamente e militarmente – la cui fiducia negli Stati Uniti e in Europa è venuta meno.

Nel nostro mondo un tempo interconnesso, dove Zoltan Pozsar suggerisce che quelle che lui chiama Chimerica (il termine per la manifattura cinese, comodamente sposata con la società consumistica statunitense) ed Eurussia (dove l’energia e le materie prime russe facevano leva sul valore della base manifatturiera europea) non esistono più – sono state sostituite da “Chussia.

Se la Chimerica non funziona più, e nemmeno l’Eurussia, inesorabilmente le placche tettoniche globali si riposizionano intorno alla relazione speciale tra Russia e Cina (“Chussia”) – che, insieme alle economie di base del blocco BRICS che agiscono in alleanza con il “Re” e la “Regina” sulla scacchiera eurasiatica, una nuova “partita celeste” è forgiata dal divorzio della Chimerica e dell’Eurussia

In breve, la struttura globale è cambiata e, con la scomparsa della fiducia, “il commercio come lo conosciamo non tornerà ed è per questo che nemmeno l’inflazione alle stelle sarà domata a breve… Le catene di approvvigionamento globali funzionano solo in tempo di pace, ma non quando il mondo è in guerra, sia essa una guerra calda o una guerra economica”, osserva Pozsar, il principale guru dell’idraulica finanziaria occidentale.

Oggi stiamo assistendo all’implosione delle lunghe catene di approvvigionamento “just in time” dell’ordine mondiale globalizzato, in cui le aziende presumono di potersi procurare sempre ciò di cui hanno bisogno, senza spostare il prezzo:

“I fattori scatenanti [dell’implosione] non sono la mancanza di liquidità e di capitale nel sistema bancario e nel sistema bancario ombra. Ma la mancanza di scorte e di protezione nel sistema produttivo globalizzato, in cui progettiamo a casa nostra e gestiamo da casa nostra, ma ci riforniamo, produciamo e spediamo tutto dall’estero e dove le materie prime, le fabbriche e le flotte di navi sono dominate da Stati – Russia e Cina – che sono in conflitto con l’Occidente”. (Pozsar)

Ma ancora più significativo è il “quadro generale”: l’interconnessione e la fiducia che si sono verificate sono state ciò che – molto semplicemente – ha sostenuto la bassa inflazione (i prodotti cinesi a basso costo e l’energia russa a basso costo). E dalla bassa inflazione è scaturito l’elemento di accompagnamento dei bassi tassi di interesse. L’insieme di questi elementi costituisce la “materia” stessa del progetto globale occidentale.

Pozsar spiega che:

Gli Stati Uniti si sono arricchiti molto grazie al QE. Ma la licenza per il QE è arrivata dal regime di ‘bassa inflazione’ consentito dalle esportazioni a basso costo provenienti da Russia e Cina. Naturalmente, gli Stati Uniti, che si trovano in cima alla catena alimentare dell’economia globale, non vogliono che il regime di ‘bassa inflazione’ finisca, ma se la Chimerica e l’Eurussia finiscono come sindacati, il regime di bassa inflazione dovrà finire, punto.

Queste rappresentano essenzialmente le inquietudini esistenziali orientaliste. Anche la Russia e la Cina, tuttavia, hanno una propria inquietudine esistenziale, separata. Essa deriva da una diversa fonte di ansia.

È che le guerre infinite ed eterne dell’America, intraprese per giustificare il suo espansionismo politico e finanziario predatorio e la sua ossessione di stendere una coperta NATO che avvolga l’intero pianeta, finiranno – inevitabilmente – un giorno in una guerra, una guerra che diventerà nucleare e rischierà di porre fine al nostro pianeta.

Abbiamo quindi due ansie, entrambe potenzialmente esistenziali. E scollegate, che si passano l’un l’altra inascoltate. L’Occidente insiste sul fatto che l’emergenza climatica è primordiale, mentre la Russia, la Cina e gli Stati “dell’isola mondo di Mackinder” cercano di costringere l’Occidente ad abbandonare la sua presunzione di missione globale, la sua visione egemonica e il suo rischioso militarismo.

La questione per la Russia-Cina è quindi come (parafrasando Lord Keynes) cambiare atteggiamenti di lungo periodo, che risalgono a secoli fa, nel breve termine, senza entrare in guerra. Quest’ultima affermazione è particolarmente pertinente, poiché un egemone che si indebolisce è tanto più incline a sfogare la sua rabbia e la sua frustrazione.

La risposta di Lord Keynes è stata che era necessario un “colpo” à outrance alle percezioni di lunga data. Per compiere questa “operazione”, la Russia ha sfruttato in primo luogo il tallone d’Achille di un’economia occidentale sovralimentata, che consuma molto di più di quanto produce come output, come mezzo per colpire le percezioni radicate attraverso il dolore economico.

In secondo luogo, appropriandosi dell’emergenza climatica, la Russia sottrae all’Occidente l’ex sfera globale occidentale, come mezzo per minare la percezione di sé stessa – godendo di un’immaginaria approvazione globale.

La prima strada è stata aperta dall’imposizione di sanzioni alla Russia da parte dell’Europa. È probabile che il Cremlino abbia ampiamente previsto la risposta occidentale alle sanzioni quando ha deciso di lanciare l’Operazione militare speciale il 24 febbraio (dopo tutto, c’era il precedente del 1998). E quindi, probabilmente, la leadership russa ha anche calcolato che le sanzioni si sarebbero ritorte contro l’Europa – imponendo una miseria economica di dimensioni tali da mettere alla prova il tessuto della politica democratica, lasciando i suoi leader a fare i conti con un’opinione pubblica arrabbiata.

Il secondo percorso è stato escogitato attraverso un’estensione concertata del potere russo attraverso partenariati asiatici e africani su cui sta costruendo relazioni politiche – basate sul controllo delle forniture globali di combustibili fossili e di gran parte del cibo e delle materie prime del mondo.Mentre l’Occidente esorta il “resto del mondo” ad abbracciare gli obiettivi Net Zero, Putin si offre di liberarlo dall’ideologia radicale dell’Occidente sul cambiamento climatico.

L’argomentazione russa ha anche una certa bellezza estetica: l’Occidente ha voltato le spalle ai combustibili fossili, pianificando di eliminarli del tutto in un decennio o poco più. E vuole che voi (il non Occidente) facciate lo stesso. Il messaggio della Russia ai suoi partner è che capiamo bene che questo non è possibile; le vostre popolazioni vogliono elettricità, acqua pulita e industrializzazione. Potete avere petrolio e gas naturale, dicono, e a prezzi scontati rispetto a quelli che l’Europa deve pagare (rendendo le vostre esportazioni più competitive).

L’asse Russia-Cina sta spingendo verso una porta aperta. I non occidentali pensano che l’Occidente abbia la sua alta modernità e che ora gli voglia togliere via la scala di sotto, in modo che altri non gli si possano unire. Ritengono che questi “obiettivi” occidentali, come le norme ESG (Environment, Social and Governance), non siano altro che un’altra forma di imperialismo economico. Inoltre, i valori proclamati dai Non Allineati di autodeterminazione, autonomia e non interferenza esterna sono oggi molto più interessanti dei valori occidentali, che hanno poca presa in gran parte del mondo.

La “bellezza” di questo audace “furto” dell’ex sfera occidentale sta nel fatto che i produttori di materie prime producono meno energia, ma intascano maggiori entrate e godono del beneficio dell’aumento dei prezzi delle materie prime che aumenta le valutazioni delle valute nazionali, mentre i consumatori ottengono energia e pagano in valute nazionali.

Eppure… questo approccio russo-cinese sarà sufficiente a trasformare lo spirito occidentale? Un Occidente malconcio inizierà ad ascoltare? È possibile, ma ciò che sembra aver scosso tutti, e che potrebbe essere stato inaspettato, è stata l’esplosione di russofobia viscerale emanata dall’Europa sulla scia del conflitto in Ucraina e, in secondo luogo, il modo in cui la propaganda è stata elevata a un livello tale da precludere qualsiasi “marcia indietro”.

Questa metamorfosi potrebbe durare ancora a lungo, mentre l’Europa sprofonda nell’essere una lontana provincia arretrata di una “Roma imperiale” in declino.

(Alastair Crooke, strategic-culture.org)

(Alastair Crooke. Ex diplomatico britannico, fondatore e direttore del “Forum sui conflitti” con sede a Beirut.)

 

 

 

 

PERCHÉ LA RUSSIA VINCERÀ

COMUNQUE, NONOSTANTE

I VANTAGGI DELL’UCRAINA.

 

Comedonchisciotte.org-Scott Ritter-Consortium News-(16 settembre 2022) -ci dice:

La Russia non sta più combattendo contro un esercito ucraino equipaggiato dalla NATO, ma contro un esercito della NATO presidiato da ucraini. Tuttavia, la Russia ha ancora il sopravvento nonostante la battuta d'arresto di Kharkiv.

Il 1° settembre l’esercito ucraino ha iniziato una grande offensiva contro le forze russe schierate nella regione a nord della città meridionale di Kherson. Dieci giorni dopo, gli ucraini hanno ampliato la portata e l’entità delle operazioni offensive per includere la regione intorno alla città settentrionale di Kharkov.

Mentre l’offensiva di Kherson è stata respinta dai russi, con le forze ucraine che hanno subito pesanti perdite sia in termini di uomini che di materiali, l’offensiva di Kharkov si è rivelata un grande successo, con migliaia di chilometri quadrati di territorio precedentemente occupato dalle truppe russe riportati sotto il controllo del governo ucraino.

Invece di lanciare la propria controffensiva contro gli ucraini che operavano nella regione di Kharkov, il Ministero della Difesa russo (MOD) fece un annuncio che molti trovarono scioccante: “Per raggiungere gli obiettivi dichiarati di un’operazione militare speciale per liberare il Donbass “, hanno annunciato i russi via Telegram, “è stato deciso di raggruppare le truppe russe… per aumentare gli sforzi in direzione di Donetsk “.

Sminuendo l’idea di una ritirata, il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che “a tal fine, entro tre giorni, è stata condotta un’operazione per limitare e organizzare il trasferimento delle truppe [russe] nel territorio della Repubblica Popolare di Donetsk”.

“Durante questa operazione “, si legge nel rapporto, “sono state effettuate diverse operazioni diversive e dimostrative, indicando le reali azioni delle truppe” che, hanno dichiarato i russi, hanno portato alla “eliminazione di oltre duemila combattenti ucraini e stranieri, nonché di più di cento unità di veicoli blindati e artiglieria “.

Per citare l’immortale Yogi Berra, si trattava di un “déjà vu”.

Fasi della guerra.

Il 25 marzo, il colonnello generale Sergei Rudskoy, capo della Direzione Operativa Principale dello Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione Russa, ha tenuto un briefing in cui ha annunciato la fine di quella che ha definito la Fase Uno dell'”operazione militare speciale” (SMO) della Russia in Ucraina.

Gli obiettivi dell’operazione, iniziata il 24 febbraio quando le truppe russe hanno attraversato il confine con l’Ucraina, erano quelli di provocare “danni tali alle infrastrutture militari, alle attrezzature e al personale delle Forze armate ucraine” da immobilizzarle e impedire qualsiasi rafforzamento significativo delle forze ucraine schierate nella regione del Donbass.

Rudskoy aveva poi annunciato che le truppe russe si sarebbero ritirate e riorganizzate per potersi “concentrare sull’obiettivo principale: la completa liberazione del Donbass “.

Così è iniziata la Fase Due.

Il 30 maggio ho pubblicato un articolo su Consortium News in cui discutevo della necessità di una Fase Tre. Ho notato che

“Sia la Fase Uno che la Fase Due dell’operazione russa sono state specificamente adattate ai requisiti militari necessari per eliminare la minaccia posta a Lugansk e Donetsk dall’accumulo di potenza militare ucraina nell’Ucraina orientale. … Ad un certo punto, presto, la Russia annuncerà di aver sconfitto le forze militari ucraine schierate a est e, così facendo, porrà fine alla nozione di minaccia imminente che ha dato alla Russia la giustificazione legale per intraprendere la sua operazione”.

Un tale risultato, scrivevo, “lascerebbe la Russia con una serie di obiettivi politici non raggiunti, tra cui la denazificazione, la smilitarizzazione, la neutralità permanente dell’Ucraina e l’adesione della NATO a un nuovo quadro di sicurezza europeo secondo le linee tracciate dalla Russia nelle sue proposte di trattato del dicembre 2021. Se la Russia dovesse fermare le sue operazioni militari in questo momento “, affermavo, “cederebbe la vittoria politica all’Ucraina, che ‘vince’ non perdendo “.

Questa linea di pensiero si basava sulla mia convinzione che “se in passato si poteva sostenere che una minaccia imminente sarebbe continuata ad esistere finché le forze ucraine avessero avuto una potenza di combattimento sufficiente a riconquistare la regione del Donbass, oggi una simile argomentazione non può essere proposta “.

In breve, ritenevo che l’impeto per l’espansione della Russia in una terza fase sarebbe sorto solo dopo aver completato la sua missione di liberazione del Donbass nella fase due. “ l’ Ucraina “, scrivevo, “anche con la massiccia infusione di assistenza militare da parte della NATO, non sarebbe mai stata in grado di minacciare una conquista russa della regione del Donbass“.

Mi sbagliavo.

Anne Applebaum, scrittrice neoconservatrice di The Atlantic, ha recentemente intervistato il tenente generale Yevhen Moisiuk, vice comandante in capo delle forze armate ucraine, in merito al successo dell’operazione offensiva ucraina. “Ciò che ci sorprende davvero “, ha detto Moisiuk, “è che le truppe russe non stanno reagendo “.

La Applebaum ha dato una sua interpretazione alle parole del generale. “Se gli si offre la scelta di combattere o di fuggire “, ha scritto dei soldati russi, “molti di loro sembrano fuggire il più velocemente possibile “.

Secondo la Applebaum, il successo ucraino sul campo di battaglia ha creato una nuova realtà, in cui gli ucraini, conclude, “potrebbero vincere questa guerra” e, così facendo, portare “alla fine del regime di Putin “.

Non mi sbagliavo così tanto.

Dottrina sovietica e NATO.

Veicoli militari russi bombardati dalle forze ucraine, 8 marzo 2022.

 La guerra è un affare complicato. La Applebaum sembra ignorare questo aspetto. Sia l’esercito ucraino che quello russo sono grandi organizzazioni professionali sostenute da istituzioni progettate per produrre guerrieri qualificati. Entrambi i militari sono ben guidati, ben equipaggiati e ben preparati a svolgere le missioni loro assegnate. Sono tra le più grandi organizzazioni militari d’Europa.

Le forze armate russe, inoltre, sono composte da ufficiali di altissimo livello, che hanno seguito una formazione approfondita nelle arti militari. Sono esperti di strategia, operazioni e tattiche. Conoscono il loro mestiere.

Da parte sua, l’esercito ucraino ha subito una trasformazione radicale negli anni successivi al 2014, dove la dottrina dell’era sovietica è stata sostituita da una dottrina ibrida che incorpora la dottrina e le metodologie della NATO.

Questa trasformazione ha subito una forte accelerazione dopo l’invasione russa, con la transizione delle forze armate ucraine da un equipaggiamento pesante più vecchio, di epoca sovietica, a un arsenale che rispecchia più da vicino l’organizzazione e l’equipaggiamento delle nazioni della NATO, che stanno fornendo miliardi di dollari in equipaggiamento e addestramento.

Gli ucraini, come le loro controparti russe, sono professionisti militari esperti nella necessità di adattarsi alla realtà del campo di battaglia.

L’esperienza ucraina, tuttavia, è complicata dal tentativo di fondere due approcci dottrinali alla guerra eterogenei (l’era sovietica e la moderna NATO) in condizioni di combattimento. Questa complessità crea opportunità di errore, e gli errori sul campo di battaglia spesso si traducono in perdite – perdite significative.

La Russia ha combattuto tre diversi stili di guerra nei sei mesi successivi al suo ingresso in Ucraina. La prima è stata una guerra di manovra, progettata per impadronirsi di quanto più territorio possibile per modellare il campo di battaglia militarmente e politicamente.

L’operazione è stata condotta con circa 200.000 militari russi e alleati, che si sono scontrati con un esercito ucraino in servizio attivo di circa 260.000 uomini, sostenuto da 600.000 riservisti.

 Il rapporto standard di 3:1 tra attaccante e difensore non è stato applicato: i russi hanno cercato di usare la velocità, la sorpresa e l’audacia per minimizzare il vantaggio numerico dell’Ucraina, sperando in un rapido collasso politico in Ucraina che avrebbe impedito qualsiasi combattimento importante tra le forze armate russe e ucraine.

Questo piano ha avuto successo in alcune aree (nel sud, ad esempio, intorno a Kherson), e ha bloccato le truppe ucraine nelle loro posizioni e ha causato il dirottamento dei rinforzi lontano dalle zone critiche di operazione. Ma ha fallito dal punto di vista strategico: gli ucraini non sono crollati, ma si sono solidificati, assicurando una lunga e dura battaglia.

La seconda fase dell’operazione russa ha visto i russi riorganizzarsi per concentrarsi sulla liberazione del Donbass. Qui, la Russia ha adattato la sua metodologia operativa, utilizzando la sua superiorità di fuoco per condurre un’avanzata lenta e deliberata contro le forze ucraine, trincerate in vaste reti difensive e, così facendo, ha raggiunto rapporti di perdite inauditi, con dieci o più ucraini uccisi o feriti per ogni vittima russa.

Mentre la Russia avanzava lentamente contro le forze ucraine, gli Stati Uniti e la NATO hanno fornito all’Ucraina miliardi di dollari in equipaggiamento militare, tra cui l’equivalente di diverse divisioni corazzate (carri armati, veicoli da combattimento corazzati, artiglieria e veicoli di supporto), insieme a un’ampia formazione operativa su questo equipaggiamento presso installazioni militari al di fuori dell’Ucraina.

In breve, mentre la Russia era impegnata a distruggere l’esercito ucraino sul campo di battaglia, l’Ucraina era impegnata a ricostituire quell’esercito, sostituendo le unità distrutte con forze fresche estremamente ben equipaggiate, ben addestrate e ben guidate.

La seconda fase del conflitto ha visto la Russia distruggere il vecchio esercito ucraino. Al suo posto, la Russia ha affrontato unità territoriali e nazionali mobilitate, sostenute da forze ricostituite addestrate dalla NATO. Ma il grosso delle forze addestrate dalla NATO è stato tenuto in riserva.

La terza fase – NATO vs. Russia.

Ritirata dei russi da Kharkiv domenica.

 

Queste sono le forze che sono state impegnate negli attuali combattimenti. La Russia si trova in una vera e propria guerra per procura con la NATO, di fronte a una forza militare di tipo NATO che viene sostenuta logisticamente dalla NATO, addestrata dalla NATO, dotata di intelligence NATO e che lavora in armonia con i pianificatori militari della NATO.

Ciò significa che l’attuale controffensiva ucraina non dovrebbe essere vista come un’estensione della seconda fase della battaglia, ma piuttosto come l’inizio di una nuova terza fase che non è un conflitto ucraino-russo, ma un conflitto NATO-russo.

Il piano di battaglia ucraino ha il marchio “Made in Bruxelles”. La composizione delle forze è stata determinata dalla NATO, così come i tempi e la direzione degli attacchi.

 L’intelligence della NATO ha individuato con cura le falle nelle difese russe e ha identificato i nodi critici di comando e controllo, di logistica e di concentrazione delle riserve che sono stati presi di mira dall’artiglieria ucraina, che opera sulla base di un piano di controllo del fuoco creato dalla NATO.

In breve, l’esercito ucraino che la Russia ha affrontato a Kherson e nei dintorni di Kharkov era diverso da qualsiasi avversario ucraino affrontato in precedenza. La Russia non stava più combattendo contro un esercito ucraino equipaggiato dalla NATO, ma piuttosto contro un esercito della NATO armato da ucraini.

L’Ucraina continua a ricevere miliardi di dollari in assistenza militare e attualmente ha decine di migliaia di militari in fase di addestramento intensivo nei Paesi della NATO.

 

Ci sarà una quarta fase, e una quinta fase… tutte le fasi necessarie prima che l’Ucraina esaurisca la sua volontà di combattere e morire, che la NATO esaurisca la sua capacità di continuare a rifornire l’esercito ucraino, o che la Russia esaurisca la sua volontà di combattere un conflitto inconcludente in Ucraina. A maggio ho definito la decisione degli Stati Uniti di fornire miliardi di dollari in assistenza militare all’Ucraina “una svolta epocale “.

Fallimento massiccio dell’intelligence.

Quello che stiamo vedendo oggi in Ucraina è come questo denaro abbia cambiato le carte in tavola. Il risultato è un maggior numero di morti tra le forze ucraine e russe, di civili e di attrezzature distrutte.

Se la Russia vuole prevalere, tuttavia, dovrà identificare i suoi numerosi fallimenti che hanno portato al successo dell’offensiva ucraina e adattarsi di conseguenza. Innanzitutto, l’offensiva ucraina intorno a Kharkov rappresenta uno dei più gravi fallimenti di intelligence da parte di una forza militare professionale dopo l’incapacità israeliana di prevedere l’assalto egiziano al Canale di Suez che diede il via alla Guerra dello Yom Kippur del 1973.

Gli ucraini avevano segnalato la loro intenzione di condurre un’offensiva nella regione di Kherson già da molte settimane. Sembra che quando l’Ucraina ha iniziato i suoi attacchi lungo la linea di Kherson, la Russia abbia pensato che si trattasse della tanto attesa offensiva e abbia fatto affluire riserve e rinforzi su questo fronte.

Gli ucraini sono stati respinti con gravi perdite, ma non prima che la Russia avesse impegnato le sue riserve di teatro. Quando pochi giorni dopo l’esercito ucraino attaccò nella regione di Kharkov, la Russia fu colta di sorpresa.

E poi c’è la misura in cui la NATO si è integrata in ogni aspetto delle operazioni militari ucraine.

Come è potuto accadere? Un fallimento dell’intelligence di questa portata suggerisce carenze sia nella capacità della Russia di raccogliere dati di intelligence, sia nell’incapacità di produrre valutazioni tempestive e accurate per la leadership russa. Per essere affrontato in modo adeguato, questo richiederà una revisione da cima a fondo. In breve, le teste rotoleranno – e presto. Questa guerra non si fermerà presto e l’Ucraina continua a prepararsi per future azioni offensive.

Perché la Russia vincerà comunque.

Alla fine, credo ancora che il gioco finale rimanga lo stesso: la Russia vincerà. Ma il costo del prolungamento di questa guerra è diventato molto più alto per tutte le parti coinvolte.

Il successo della controffensiva ucraina deve essere messo nella giusta prospettiva.

Le perdite che l’Ucraina ha subito, e sta ancora subendo, per ottenere questa vittoria sono insostenibili. L’Ucraina ha esaurito le sue riserve strategiche, che dovranno essere ricostituite se l’Ucraina vuole continuare ad avanzare su questa linea. Ci vorranno mesi.

La Russia, nel frattempo, non ha perso altro che uno spazio indifendibile. Le vittime russe sono state minime e le perdite di equipaggiamento sono state prontamente sostituite.

La Russia ha in realtà rafforzato la sua posizione militare creando forti linee difensive nel nord in grado di resistere a qualsiasi attacco ucraino, aumentando al contempo la potenza di combattimento disponibile per completare il compito di liberare il resto della Repubblica Popolare di Donetsk sotto il controllo ucraino.

La Russia ha una profondità strategica di gran lunga superiore a quella dell’Ucraina. La Russia sta iniziando a colpire obiettivi infrastrutturali critici, come le centrali elettriche, che non solo paralizzeranno l’economia ucraina, ma anche la sua capacità di spostare rapidamente grandi quantità di truppe via treno.

La Russia trarrà insegnamento dalla sconfitta di Kharkov e continuerà a perseguire gli obiettivi dichiarati della sua missione.

In conclusione, l’offensiva di Kharkov è stata il massimo per l’Ucraina, mentre la Russia non ha ancora toccato il fondo. La Russia deve operare dei cambiamenti per risolvere i problemi identificati con la sconfitta di Kharkov. Vincere una battaglia è una cosa, vincere una guerra un’altra.

Per l’Ucraina, le enormi perdite subite dalle proprie forze, combinate con i danni limitati inflitti alla Russia, significano che l’offensiva di Kharkov è, nella migliore delle ipotesi, una vittoria di Pirro, che non cambia la realtà fondamentale che la Russia sta vincendo, e vincerà, il conflitto in Ucraina.

(consortiumnews.com/2022/09/12/scott-ritter-why-russia-will-still-win-despite-ukraines-gains/)

(Scott Ritter è un ex ufficiale dei servizi segreti del Corpo dei Marines degli Stati Uniti che ha prestato servizio nell’ex Unione Sovietica per l’attuazione dei trattati sul controllo degli armamenti, nel Golfo Persico durante l’operazione Desert Storm e in Iraq per supervisionare il disarmo delle armi di distruzione di massa.)

 

 

 

Italians.

Italians.corriere.it-(16-9-2022) - risponde Beppe Severgnini – ci dice:

 

Da Alex Conforti:

Dear Mr. Severgnini, qui 'down under' si ha l'impressione che in caso 'of an Italian election' a maggioranza conservatrice o populista, le sinistre aspettino il fatidico annuncio di una marcia su Roma.

 E visto il pessimismo, o invero il terrore generale di un'elezione vincente a furor di fiamma patriotica, c'è già chi pensa ad una guerra civile.

Chi fermerà i nuovi federali correre attraverso i vicoli e le strade di un'Italia dichiarata nera, con il manganello alla cintola e la boccetta d'olio di ricino in mano?

Ma l'Ue naturalmente, ruler incontrastata di una nazione bluff, di uno stato vassallo, 'of a puppet state' senza una vera e propria autonomia. Interverrà con le sue direttive, non servirà il manganello o l'olio di ricino. Ma si sa, queste mie sopra indicate fantasmagorie della sinistra son solo 'cheap' propaganda, favole di partito per manipolare le masse. Le stesse identiche esagerazioni e propaganda usata continuamente dalla destra.

'Any way', sia quel che sia, sarà i burocratici europei a dirvi cosa fare, quando e come. Sceglieranno anche i colori da potere usare e non: stendardi, logos, motti e aneddoti.

E Giorgia Meloni o chi per lei, sempre se otterrà la maggioranza ubbidirà, rispettosa ed in silenzio.

Shoosh ed in riga! Tutti questi teatrini mediatici, chat show televisivi, a cosa mirano veramente? A cercare di convincere gli elettori che l'Italia è ancora una nazione indipendente e in pieno possesso dei suoi incerti destini?

Severgnini:

“L’Italia è una nazione indipendente, una democrazia inserita in un sano contesto internazionale: Unione Europea, Nato e non solo. Qualunque governo uscirà dalle urne dopo il 25 settembre dovrà tenerne conto, e per fortuna. Guerra civile in Italia? Impensabile: siamo una nazione antica e tutt’altro che stupida. Il resto sono solo fantasie sovraniste…

Non mi dica che le piacciono, Alex d'Australia!”

 

 

 

 

Sfogliamondo: le difficoltà di Mosca

dopo la controffensiva di Kiev.

Agi.it- Carmelo Rapisarda – (12 settembre 2022) - ci dice:

 

Sulle prime pagine dei giornali internazionali gli sviluppi della guerra condividono lo spazio con l'addio alla regina Elisabetta II.

AGI - Le vittorie delle truppe ucraine che hanno riconquistato le regioni nordorientali del Paese mettendo in fuga gli invasori russi trovano ampio spazio sulle prime pagine internazionali, che offrono una varietà di riflessioni sulle prospettive del conflitto e sulle conseguenze che la disfatta può avere sulla solidità del potere di Putin.

 Resta tra le notizie in evidenza anche il lutto della Gran Bretagna per la morte della regina Elisabetta, con fotografie e cronache del corteo funebre che ha attraversato ieri la Scozia fino a Edinburgo.

Washington Post.

La ritirata delle truppe russe d’invasione di fronte all’avanzata degli ucraini è la notizia principale sulla prima pagina del Washington Post, che in un reportage da Zaliznychne, località nei pressi di Kharkiv, descrive la fuga scomposta di militari travestiti da civili ucraini, che pedalano su biciclette rubate nei cortili delle case lasciando dietro di sé carri armati abbandonati e fucili sparpagliati dappertutto.

Gli abitanti raccontano l’angosciosa occupazione, con un coprifuoco severissimo alle 18 e l’obbligo di tenere le luci di casa spente: chi trasgrediva, veniva ucciso.

“L'apparente crollo delle forze russe ha provocato onde d'urto a Mosca”, assicura il Post, che mette in luce le dichiarazioni del leader ceceno, Ramzan Kadyrov, intenzionato a “Informare la leadership russa della reale situazione sul campo”, se non ci saranno cambiamenti immediati nella strategia”.

 In evidenza anche la quasi paralisi degli uffici elettorali che dovrebbero preparare le elezioni di midterm di novembre ma sono ingolfati da richieste, presentate da sostenitori dell'ex presidente Donald Trump, di documenti ufficiale sulla gestione delle presidenziali del 2020: molti funzionari, secondo il giornale, temono che si tratti di una campagna coordinata per paralizzare lo svolgimento delle necessarie attività pre-elettorali.

Al tema si collega un approfondimento sull’arresto, in Florida, di molti pregiudicati accusati di frode elettorale per aver votato nel 2020 malgrado i loro precedenti penali. Spazio anche alla commemorazione delle vittime dell’11 settembre e al corteo funebre della regina Elisabetta attraverso la Scozia.

 

New York Times.

Mosca stupita ammette di aver perso la maggior parte di Kharkiv”: così titola il New York Times che riserva tutta la fascia alta della sua prima pagina all’avanzata degli ucraini e la ritirata dei russi.

Una disfatta sul campo che, sottolinea il Nyt, “mina l'immagine di competenza e forza che Putin ha lavorato per due decenni per costruire” e rappresenta per lui “una sfida politica”.

Perché per quanto i media russi si limitino a parlare di “riposizionamento” delle truppe, la propaganda non può “oscurare la situazione difficile in cui si trova ora Putin, a capo di una guerra di sei mesi contro un nemico sempre più energico e con la popolazione russa che non sembra essere preparata per i sacrifici che potrebbero derivare dall’aggravarsi del conflitto”.

Per il momento, la reazione Putin è stata di intensificare “la brutalità della sua campagna, una concessione alle voci favorevoli alla guerra”, con attacchi missilistici alle infrastrutture in tutta l'Ucraina orientale e centrale, che hanno fatto precipitare nell'oscurità parti del Paese.

Ma, secondo il Nyt, “non è chiaro fino a che punto la Russia - con i suoi arsenali informatici, chimici e nucleari - potesse essere disposta ad arrivare per fermare lo slancio dell'Ucraina”, mentre “emergono diverse prove del disordine all'interno della classe dirigente russa”.

Tra gli altri argomenti in primo piano, la riduzione della povertà infantile negli Usa, con un calo de 59% rispetto al 1993, la mancanza di aiuti ai Paesi in via di sviluppo per il contrasto del vaiolo delle scimmie, e la vittoria di Alcaraz agli open Usa di tennis. 

Wall Street Journal.

Truppe russe “in rotta” nella regione di Kharkiv e Ucraina che riprende l’iniziativa infliggendo agli invasori uno dei peggiori rovesci dall’inizio della guerra: così descrive la situazione sul campo il Wall Street Journal, che al successo dell’avanzata ucraina dedica il titolo principale della sua prima pagina.

Le conquiste da un lato galvanizzano le forze armate di Kiev, mentre dal punto di vista pratico ne rimpolpano l’arsenale perché gli ucraini di impadroniscono di blindati e mitragliatori abbandonati dai russi in fuga.

Dunque, sottolinea il Wsj, “sebbene l'Ucraina sia ancora lontana dalla vittoria, la sua migliorata posizione sul terreno la rafforza in eventuali negoziati di pace con la Russia”.

Per contro, è un interrogativo come reagirà Putin: “Resta una questione aperta se le sconfitte lo rendano più o meno minaccioso per l'Ucraina e l'Occidente”, secondo il giornale, che cita analisti convinti che “l’ultima buona arma” in mano al Cremlino resti adesso il gas e che se l’Occidente riuscirà a resistere a questo inverno di penuria “le cose si metteranno male” per il leader russo.

Ma l’Europa soffre molto per crisi energetica, nota il quotidiano in un approfondimento sul tema: la chiusura delle forniture russe di gas ha spinto il continente “sull'orlo della recessione e minaccia di infliggere danni permanenti alle sue attività manifatturiere”, con poche imprese rimaste indenne e produzione in affanno dalla siderurgia alla chimica, dall’alimentare all’auto.

Tanto che si pone la domanda se non si tratti dell'inizio “di una nuova era di deindustrializzazione in Europa”.

 Nota il Wsj che “il continente potrebbe non avere mai più accesso al gas russo a basso costo che lo ha aiutato a competere con gli Stati Uniti ricchi di risorse e a compensare gli alti costi del lavoro, le rigorose regole sul lavoro e le rigide normative ambientali”. In evidenza anche la presa di posizione dell'investitore di hedge fund Dan Loeb contro l’intenzione di Disney di cedere il canale televisivo di sport Espn, e il lutto della Gran Bretagna per la regina, illustrato da due grandi fotografie.

Financial Times.

L’apertura del Financial Times ancora sul lungo addio del Regno Unito alla regina Elisabetta, e sul viaggio che il nuovo re Carlo III si appresta a intraprendere in Scozia, Galles e Irlanda del Nord per ribadire l’unità della Gran Bretagna di fronte all’emergere di spinte separatiste.

 Ma il titolo forte della prima pagina è per i “significativi guadagni” territoriali dell’offensiva ucraina contro gli invasori russi, in quella che finora è “la più grave sconfitta” per Putin.

Il primo obiettivo delle forze di Kiev, scrive il giornale, è adesso quello di mettere le regioni riconquistate al riparto da un possibile contrattacco delle truppe di Mosca. Il quotidiano ha parlato col ministro ucraino della Difesa, Oleksij Reznikov, molto cauto:

 “Certamente dobbiamo essere preoccupati, è da anni che siamo preoccupati di questa guerra”, ha affermato. Reznikov ha sottolineato che mentre nella regione di Khrakiv gli ucraini hanno sfondato, stanno invece facendo progressi molto più lentamente in quella di Kherson, dove è stata lanciata una controffensiva simultanea ma i russi stanno opponendo una maggiore resistenza perché, ha spiegato il ministro, si tratta di una regione agricola e gli invasori possono usare come trincee i molti e ramificati canali di irrigazione.

Insomma, conclude Ft, gli ultimi successi sul campo “non significano che gli ucraini stiano per ricacciare i russi oltre confine”.

 Un titolo è infine dedicato al crescente attivismo della Cina nel salvataggio, con generosi prestiti, di Paesi che rischiano il tracollo finanziario a causa del loro alto debito: Pechino è diventata un competitore del Fondo monetario internazionale e ha erogato dal 2017 a oggi crediti per 33 miliardi di dollari, i cui maggiori beneficiari sono stati Argentina, Pakistan e Sri Lanka.

 Il timore degli analisti è che i finanziamenti cinesi finiscano con l’aggravare le crisi di questi Paesi, che senza dover ricorrere all’Fmi possono evitare di intraprendere le dolorose riforme cui il Fondo condiziona i propri prestiti.

The Times.

Interamente dedicata al corteo funebre della regina Elisabetta la prima pagina del Times, che titola sulla grande partecipazione dei sudditi: sono previste code di cinque miglia (circa 8 chilometri) a Westminster dove si calcola che almeno 750.000 persone accoreranno per rendere l’ultimo omaggio al feretro della sovrana. Saranno dispiegati almeno 10.000 agenti di polizia per garantire l’ordine e il governo ha diffuso linee guida rivolte a chi vorrà andare a Westminster, con l’invito a portare con sé acqua e cibo sufficienti e a prepararsi a un’attesa che potrebbe anche durare oltre 24 ore. Il giornale, che offre ben 15 pagine di cronaca, racconta anche il corteo funebre che ha attraversato la Scozia tra ali di folla, ed evidenzia “lo straordinario rispetto” mostrato dagli scozzesi per la regina scomparsa. 

Le Monde.

“Vladimir Putin indebolito dalla debacle militare in Ucraina”, afferma Le Monde su suo sito web, cui bisogna fare riferimento visto che il lunedì non esce l’edizione cartacea del quotidiano francese.

Un servizio richiamato in home page mette l’accento sui primi segnali di aperto dissenso con Putin che affiorano nelle istituzioni russe. La notizia è che due gruppi di consiglieri comunali di San Pietroburgo e di Mosca, hanno chiesto a Vladimir Putin di lasciare il potere, perché ha fallito.

Gli eletti di Smolninskoye (un distretto di San Pietroburgo), in particolare, hanno inviato una lettera ufficiale alla Duma, la camera bassa del Parlamento, per chiedere la destituzione del capo dello Stato per “tradimento”.

Motivazione: le ostilità in Ucraina "danneggiano la sicurezza della Russia e dei suoi cittadini", così come l'economia, e non sono riuscite a fermare l'avanzata della Nato verso i confini russi.

 Iniziative, nota Le Monde, “che, pur senza possibilità di successo, riflettono la stanchezza della popolazione di fronte a una campagna militare che dura da più di sei mesi” e che sembra destinata alla sconfitta. Più in basso il titolo sulla “spettacolare controffensiva” degli ucraini contro le truppe russe. 

Le Figaro.

Invece che sull’addio alla regina, come la maggioranza dei giornali, Le Figaro punta il suo obiettivo sul nuovo re, Carlo III, definito in apertura come un sovrano che vuole riformare la monarchia. Ma che dovrà anche fronteggiare “le sfide all’unità del suo regno”, contenendo le spinte indipendentiste di Scozia e Irlanda del Nord.

Il giornale, che parla dell’inizio di “una nuova era”, prevede che il re “non esprimerà le proprie idee sugli argomenti più spinosi”, ma regnerà con “saggezza, competenza e compassione”.

Non sarà “un re militante ma attivo”, che “si spingere al limite delle sue prerogative per far avanzare le proprie idee”.

Sono l’ecologia, l’agricoltura biologica, la lotta contro il cambiamento climatico i temi “ai quali ha consacrato la vita”, ricorda il giornale, e sottolinea che sono “in sintonia con l’attualità e con le attese dell’opinione pubblica”, tanto che “molti vedono già in lui un unificatore”.

Insomma, secondo Le Figaro, Carlo non sarà quel “re di transizione” col solo compito di passare lo scettro al figlio William: è vero che è il più anziano a salire sul trono britannico. Ma è anche quello che si è preparato più a lungo a regnare, e questa è la sua carta vincente.

 

El Pais.

La notizia del giorno per El Pais è la morte dello scrittore spagnolo Javier Marias, che il quotidiano omaggia non solo come uno dei maggiori romanzieri contemporanei, ma anche come suo editorialista.

Il giornale lo ricorda come “il migliore a scrivere in Spagna e il migliore nel trattare le donne”, ossia i personaggi femminili.

“Marias ha trovato una voce, un tema e uno stile così unici da renderlo un fenomeno eccentrico, all'interno della letteratura spagnola e forse anche per        sé stesso” e la sua scrittura “è diversa dalle altre.

È facile parodiare, è impossibile da imitare”, si legge sul quotidiano, che rievoca la peculiare tecnica dello scrittore “che se aveva il primo paragrafo, aveva già un romanzo intero”. Il suo merito è stato “inserire la letteratura spagnola contemporanea nella letteratura internazionale”.

Spazio anche alla “diada”, la giornata in cui i catalani celebrano la loro “festa nazionale”, appuntamento partecipatissimo dagli indipendentisti, che quest’anno ne hanno l’occasione per un attacco contro il governo regionale, accusato di non impegnarsi abbastanza per la secessione dalla Spagna. Solo un piccolo richiamo per la guerra in Ucraina rinvia a un approfondimento nelle pagine interne su un particolare aspetto del conflitto: la sua importanza vitale per l’industria bellica russa. 

Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Le truppe russe sono in ritirata dalla regione di Kharkiv e l’Ucraina prevede “un effetto valanga”, titola la Frankfurter Allgemeine Zeitung che apre con l’avanzata delle truppe di Kiev e la fuga di quelle di Mosca dai territori occupati.

Sull’onda di questa disfatta, rileva la Faz, a Mosca si torna a parlare di colloqui con l'Ucraina e il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha affermato che la Russia non rifiuta i negoziati.

Ma forte dei successi il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha respinto l’approccio, dichiarando che i negoziati con la Russia sono attualmente "impossibili".

Mentre il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov ha detto che "il secondo esercito più grande del mondo scapperà presto" dall’Ucraina e che non ci si può più accontentare del ritiro della Russia sulle sue posizioni all'inizio dell'anno.

Il giornale nota che “il crollo del fronte russo nella regione di Kharkiv è tutt'altro che una vittoria, ma potrebbe cambiare le sorti di questa guerra” ed esorta, in un editoriale, l'Occidente a “rafforzare lo slancio in favore dell'Ucraina” con un “chiaro ed eloquente aumento delle consegne di armi” che “in questo momento rafforzerebbe lo spirito combattivo degli ucraini e, come è appena apparso chiaro, causerebbe un ulteriore calo del già scarso morale delle forze armate russe”.

Dunque, per la Faz, “è giunto il momento che la Germania, in particolare, non dica più solo ciò che non è possibile, ma mostri determinazione”. Tra gli altri argomenti, l’anno di servizio sociale obbligatorio che la Cdu propone per i giovani tedeschi, l’addio dei sudditi alla regina Elisabetta, la scomparsa dello scrittore spagnolo Javier Marias. 

China Daily.

Il messaggio di congratulazioni inviato da Xi Jinping a Carlo III per la sua ascesa al trono britannico è in primo piano sul China Daily, che evidenzia la volontà del presidente cinese di “lavorare con il nuovo re per rafforzare la comunicazione su questioni globali al fine di fornire benefici ai due paesi e ai loro popoli e contribuire alla pace e allo sviluppo mondiale”.

Xi ha sottolineato che quest'anno ricorre il 50esimo anniversario dell'instaurazione di rapporti diplomatici a livello di ambasciatori tra Cina e Regno Unito, e si è disponibile a “compiere sforzi congiunti per migliorare la comprensione reciproca e l'amicizia tra i due popoli ed espandere gli scambi amichevoli e la cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra i Paesi”.

Resta il fatto che la nuova premier britannica Liz Truss ha in programma una revisione della politica estera nei confronti della Cina, declassandola dallo stato di nazione “competitrice” a quello di “minaccia” per la sicurezza nazionale.

Quotidiano del Popolo.

Due interviste, entrambe in chiave anti Usa, sono in evidenza sul People’s Daily, edizione in inglese dell’organo del Partito comunista cinese.

La prima è con l’ex ammiraglio della Marina militare turca Cihat Yayci, oggi a riposo, l’altra con Wichai Kinchong Choi, vicepresidente della banca thailandese Kasikornbank.

La tesi di Yayci, nella sintesi del quotidiano, è che “la questione dell'insicurezza alimentare globale è stata consapevolmente inventata e ipotizzata dagli Stati Uniti per perseguire le proprie politiche egemoniche”.

L’ex ammiraglio cita la nota frase di Kissinger “controlla il petrolio e controllerai gli Stati, controlla il cibo e controllerai i popoli”, per argomentare che se l'Ucraina ha smesso di esportare grano, mais, olio di girasole e fertilizzanti “lo ha fatto sotto l'influenza degli Stati Uniti e dell'Occidente”, sicché questi vengano acquistati “principalmente in Stati Uniti e Canada, anche con prezzi più elevati".

 Il banchiere thailandese esplicita un monito contro il “disaccoppiamento” economico dalla Cina perseguito dagli Usa e dall’Occidente: “Data la resilienza economica e la posizione fondamentale della Cina nell'economia globale e nelle catene di approvvigionamento, coloro che parlano del disaccoppiamento dalla Cina stanno solo facendo un sogno irrealizzabile”, assicura.

 

 

 

Inondazioni in Pakistan. Per le Nazioni

Unite è una carneficina climatica.

Lifegate.it - Andrea Barolini- (16 settembre 2022) – ci dice:

 

Il Pakistan è ancora sott’acqua, le case distrutte sono 1,6 milioni. Per le Nazioni Unite la colpa è dei cambiamenti climatici.

Un terzo del territorio del Pakistan è ancora sommerso dalle inondazioni: un’area ampia come il Regno Unito. Dopo le piogge torrenziali che si sono abbattute sulla nazione asiatica, il bilancio risulta catastrofico. Non solo in termini di vite umane – sono circa 1.500 i morti accertati – ma anche di distruzione di infrastrutture, economie locali e mezzi di sussistenza.

Milioni di profughi. A rischio la tenuta del sistema agricolo.

In vaste aree del paese le case ancora oggi faticano ad emergere dagli immensi laghi formati dalle precipitazioni. Basti pensare che due bacini distanti 160 chilometri l’uno dall’altro ormai formano un unico invaso, che ha inghiottito numerosi villaggi. Il totale degli edifici che risultano distrutti è di 1,6 milioni. Decine di migliaia di persone sono ancora in fuga e milioni di abitanti sono costretti a dormire in tenda. In attesa della stagione fredda.

E la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente, poiché la diga di Sukkur sul fiume Indo, che conserva la più grande riserva di acqua dolce nazionale, rischia di cedere. In caso di crollo, non si tratterebbe unicamente di una minaccia immediata per chi abita nelle zone circostanti, ma di un problema che potrebbe mettere letteralmente in ginocchio ciò che resta dell’economia del Pakistan. Dalla diga dipende infatti l’approvvigionamento idrico di quasi l’intero sistema agricolo del paese: l’acqua è infatti distribuita in quasi 10mila chilometri di canali.

Si tratta, insomma, di una situazione che non accenna a migliorare, dopo le peggiori inondazioni della storia del Pakistan, direttamente legate al riscaldamento globale, che non fa che aumentare la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi.

“Non ho mai visto una carneficina climatica di questa portata”, ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel corso di una visita nel paese asiatico. “Fermate questa follia”, ha quindi aggiunto.

Semplicemente – ha scritto quindi in un tweet il diplomatico portoghese – non ho parole per descrivere ciò che ho visto oggi. Il Pakistan e altre nazioni in via di sviluppo pagano un prezzo terribile per l’intransigenza di chi continua ad emettere gas ad effetto serra, di chi continua a puntare sulle energie fossili. Questa è una crisi mondiale ed esige una risposta mondiale”.

In Pakistan, in precedenza, mega-incendi e 50 gradi all’ombra.

Secondo l’agenzia meteorologica pakistana, nel 2022 le precipitazioni sono già state cinque volte superiori rispetto alla media annuale. E durante i giorni più caldi nelle stesse aree sono stati superati i 50 gradi centigradi, con vasti incendi divampati nelle foreste e piene improvvise dei fiumi causate dalla fusione rapida dei ghiacciai.

Per portare gli aiuti necessari, riparare o ricostruire le infrastrutture vitali per il paese, è stato stimato che saranno necessari almeno 10 miliardi di dollari. Per questo si moltiplicano gli appelli affinché vengano concessi aiuti straordinari da parte della comunità internazionale.

 

 

 

Gli ultimi giorni della regina

raccontati da chi era con lei.

I sorrisi poi il crollo.

Quotidiano.net- redazione- (9 settembre 2022) – ci dice:

 

"Fragile ma dalla memoria prodigiosa". Quell'ultimo dono. L'arcivescovo di Canterbury: "Non aveva paura di morire"

Londra, 9 settembre 2022 - Ma che cosa sappiamo degli ultimi giorni della regina Elisabetta? La sovrana più longeva, morta a 96 anni giovedì 8 settembre nell'amato castello di Balmoral, in Scozia, il luogo che più di tutti le dava pace? Tra i visitatori delle ultime settimane, c'è una testimonianza speciale che fa luce sulle ultime ore della sovrana più amata. E ci porta idealmente in quelle stanze che hanno accompagnato i momenti più luminosi - e più critici - della sua vita. Come rivelato dalla stampa inglese, solo i figli Carlo - il re Carlo III - e Anna hanno fatto in tempo a salutarla prima che morisse.

"Elisabetta non aveva paura di morire."

Mentre colpiscono le parole dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby che confida: "Elisabetta non aveva paura di morire". L'arcivescovo aveva incontrato la regina per l’ultima volta a giugno: “Sono venuto via pensando che c’è qualcuno che non ha paura della morte, ha speranza nel futuro, conosce la roccia su cui si trova e questo le dà forza”. Parlando con la Bbc, Welby ha aggiunto: “Sentivi di avere la storia davanti a te, ma era la storia con quei penetranti occhi blu che scintillavano, quel sorriso straordinario e il gusto di un commento secco rapido”. Secondo l’arcivescovo di Canterbury, l’atteggiamento della regina - che è capo della Chiesa anglicana - era: “Non si tratta di me, ma di ciò che sono stata chiamata... da Dio a fare”.

Collane, tiare e spille: i gioielli preferiti della regina.

"Sorrisi e memoria prodigiosa."

Ma è il racconto del reverendo Iain Greenshields, moderatore dell’assemblea generale della chiesa di Scozia, a fare luce sugli ultimi giorni della sovrana. Il reverendo ha trascorso l'ultimo fine settimana a Balmoral. Ha descritto la regina come una persona fragile sì ma piena di gioia, sorridente. Fragile ma vivace, brillante, dalla memoria prodigiosa. Una persona completamente a proprio agio nel castello che amava di più, il luogo delle vacanze con l'adorato Filippo.

Greenshields ha cenato con lei sabato ed è tornato a pranzo domenica. Confida: "Una visita fantastica, la sua memoria era assolutamente incredibile. Sorrideva, l'ho trovata di ottimo umore".

La fede della regina.

Con la sovrana, racconta il reverendo, hanno parlato di tutto, anche di quanto sia stata importante la fede nella sua vita. Greenshields si è detto scioccato dall'improvviso peggioramento delle condizioni di salute, fino alla morte. Perché ha ancora davanti a sé l'immagine di lei che parla del suo passato, di suo padre, di sua madre, del principe Filippo, dei cavalli, molto molto coinvolta in ciò che stava accadendo nella chiesa.

L'ultimo dono.

Poi il reverendo ha confidato un ricordo davvero speciale, la sovrana lo ha portato alla finestra, ad ammirare i giardini di Balmoral, mostrandoglieli con grande orgoglio e affetto. E in quel momento lui ha pensato che proprio lì 'The Queen' avrebbe voluto trascorrere i suoi ultimi giorni. Un pensiero sicuramente di conforto per tutta la famiglia reale.

Dopo essersi chiesto cosa portare in dono a chi ha tutto, il reverendo ha regalato alla regina Elisabetta una croce di legno. "Lei mi ha augurato tutto il meglio - svela -. Il suo lasciare la stanza con quella croce in mano sarà un ricordo che mi porterò dietro per sempre".

 

 

 

AL VOTO PER LA LEGA,

IL CENTRODESTRA E LA LIBERTÀ.

Opinione.it- Giuseppe Basini- (14 settembre 2022) – ci dice:

 

Il 25 settembre si decide davvero molto del nostro futuro. Si decide se continueremo a essere una società aperta e libera, se riprenderemo un cammino di sviluppo economico, se saremo una Nazione profondamente inserita nell’Occidente e in Europa, ma orgogliosa nell’azione e indipendente nei giudizi.

Resteremo una società aperta e libera, se sapremo combattere la pericolosissima tendenza delle sinistre a introdurre sempre nuovi reati d’opinione, nuove regole di comportamenti obbligatori, nuovi e talvolta perfino stravaganti divieti, che stanno facendo degli italiani dei cittadini in semilibertà vigilata.

Riprenderemo la via dello sviluppo economico se la pesante bardatura burocratica fatta di lacci e lacciuoli, che appesantiscono la vita e la nascita delle aziende, verrà drasticamente ridotta; se la politica energetica segnerà una svolta verso l’indipendenza e l’efficienza con un ricorso a un vero mix di fonti alternative, tra cui in primo luogo l’energia nucleare; se, infine, la tassazione verrà anzitutto fortemente ridotta, poi semplificata e infine resa meno progressiva per favorire l’accumulo di capitale necessario all’industria.

Saremo un Paese davvero autorevole, se le forze di tutto il centrodestra, da sempre realmente occidentali ed europeiste e che dunque non devono dire sempre sì per far dimenticare un passato filo-sovietico e terzomondista, saranno al Governo e in condizione di difendere gli interessi italiani credibilmente e a viso aperto.

Alla nostra Nazione serve, insomma, una rivoluzione liberale, capace di rimettere in moto le sue grandi energie, oggi mortificate da uno Stato padrone, inefficiente e autoritario.

 E questa rivoluzione solo il centrodestra – da Maurizio Lupi a Giorgia Meloni – può farla, perché, pur con tutti i suoi limiti, errori e deviazioni, la lezione del liberalismo l’ha almeno in parte introiettata da sempre, da Alcide De Gasperi a Silvio Berlusconi, dal partito di Giovanni Malagodi a quello di Matteo Salvini.

La sinistra (soprattutto quella italiana) no. Nata nel nome di una palingenesi comunista, la sinistra italiana, anche a tanti anni dall’inevitabile crollo del comunismo originario della Russia bolscevica, è incapace di liberarsi anche solo in parte del mito dell’egualitarismo e dello Stato onnipresente.

E, come qualcuno cerca di riprendere la via di un accettabile riformismo, si scatenano delle forze che accusano di tradimento i socialdemocratici protagonisti del tentativo di svolta (ieri Giuseppe Saragat e Bettino Craxi, oggi Matteo Renzi) e si cerca invece di salvare in ogni modo il mito fondante con i succedanei più disparati.

Lo Stato per loro è sempre e comunque onnipotente, solo formalmente democratico, ma nel pieno diritto di fare leggi contro le opinioni sgradite, di sospendere diritti costituzionali con semplici decreti governativi, di garantire l’arbitrio delle procure distruggendo i diritti della difesa.

 L’egualitarismo fideistico, che ha ormai rinunciato del tutto all’uguaglianza sociale (la Russia comunista era molto più gerarchica di qualunque altro stato, proprio come oggi la Cina) cerca di sopravvivere con altre forme mutuate dai “radical” americani, una tendenziale uguaglianza tra gli onesti e i disonesti se per necessità, tra i profughi perseguitati e quelli poveri, tra i naufraghi per casuale disgrazia e quelli invece postisi in quella condizione, tra migranti legali o illegali. Così pure in materia di “diritti” sessuali, dove un problema di libertà – per cui ognuno deve certamente potersi esprimere secondo la sua natura – viene trasformato in un assurdo problema di eguaglianza dato che, se l’omosessualità fosse davvero uguale e sostitutiva del rapporto uomo donna, saremmo estinti.

 

È sempre il problema di comprendere realmente la Libertà, che affligge il complesso della sinistra italiana, che non crede che i cittadini possano autogovernarsi, che ritiene di doverli guidare per il loro bene, anche se è ormai composta da uomini mediocri e in nome di principi sbagliati e questo ancor più oggi, che il loro Stato hegeliano è un pericolo di dimensioni ben maggiori in epoca di schedature elettroniche e armamenti atomici.

Questa sinistra che, orfana della distopia marxista, non è riuscita a darsi un credibile cammino di sviluppo da sinistra socialdemocratica e anzi, sottoposta alla prova, ha finito per scegliere l’estrema sinistra in luogo dei suoi riformatori, Nicola Fratoianni e Roberto Speranza invece di Ettore Rosato ed Enrico Costa.

Insomma, sembra essersi affidata al peggior nichilismo verde ed è ormai incapace di sviluppare una credibile agenda di sviluppo economico e civile. Dalla scelta giustizialista in materia di diritto, a quella antindustriale in materia di energia, la sinistra italiana sembra ormai senza bussola e senza rotta, contagiata da un politically correct, che, rifiutando a priori ogni tradizione, sembra voler destrutturare completamente la società, in una sorta di “cupio dissolvi”, che neanche Mario Draghi, nonostante il consapevole sacrificio di Lega e Forza Italia, è riuscito ad arrestare se non per un momento.

Enrico Letta, che non ha certo la capacità di leadership di Romano Prodi, non si sa se sia vittima o complice delle pulsioni profonde del suo partito, se sia trascinato dagli estremisti o lucidamente consenziente con i nuovi “massimalisti senza programma”, che non hanno alcuna idea sul modello di Paese che vorrebbero, ma solo un ottuso rancore contro i cittadini che vogliono vivere e lavorare nell’ordine democratico e restare liberi. Ho aspettato per anni una Bad Godesberg italiana, ormai purtroppo non ci credo più.

 

Il 25 settembre non è più neanche soltanto una scelta tra il buon Governo delle destre, con i bilanci in ordine, l’economia di mercato in ripresa, la tassazione in diminuzione.

È ben di più: è una scelta tra una efficiente democrazia e il caos sprovveduto e prepotente di uno Stato divenuto destrutturato e autoritario.

L’incompetenza elevata a sistema del complesso delle forze di sinistra ci assicurerebbe il sottosviluppo, il degrado delle istituzioni, la fine definitiva dello Stato di diritto.

 Pur con tutte le sue insufficienze (e le sue ingenuità) il centrodestra – e in particolare la Lega come suo elemento centrale – è l’unico strumento a disposizione di noi elettori per invertire la rotta, per riprendere la via della liberal-democrazia occidentale e della ripresa economica e per garantire la continuità di quella “tradizione Italiana” che ha fatto grande nei secoli il nostro Paese.

 E quando parlo di noi elettori, descrivo sostanzialmente la verità perché, dato l’ordine di lista, non sarò nel prossimo Parlamento ma, se pure mi spiace di perdere la condizione di parlamentare, ho accettato lo stesso la candidatura per contribuire, per quanto posso, a non perdere ciò a cui non sono assolutamente disposto a rinunciare.

E cioè i miei diritti di cittadino di una Nazione libera. Tutti al voto il 25 settembre: per la Lega, il centrodestra e, soprattutto, la Libertà.

 

 

 

 

 

La concordia di una nazione

non si crea con gli "anti".

Ilgiornale.it - Giannino della Frattina- (25 Aprile 2022) – ci dice:

 

Dopo aver per lustri diviso il Paese tra destra e manca, ora il 25 aprile sta balcanizzando la stessa sinistra in una gara a chi è più antifascista.

 Dimostrando la sua ignoranza della storia e la solo presunta superiorità morale smascherate da un evento epocale come la guerra che è tornata a insanguinare l'Europa.

Perché sarebbe bastato leggere un po' di storici (anche progressisti) per capire che su una guerra civile non si può edificare la concordia di una nazione.

 Perché se ci sono dei vinti, a guerra finita si può pretendere di imporre loro un diverso assetto della res pubblica, ma non di rinnegare il sangue versato.

 Così come non si può immaginare di imporre per legge la storiografia dei vincitori, bollando come «fascista» qualunque tentativo di ricostruzione che voglia far luce su quelle pagine inevitabilmente oscure, piene di storie terribili dove il bene non stava tutto da una parte e il male dall'altra.

Lo sapevano bene i grandi padri costituenti che, forti di grandi impianti ideologici come il comunismo, il cattolicesimo, il socialismo e il liberalismo, erano talmente convinti delle loro idee che impiegavano le loro forze nel diffonderle per fare proseliti, più che nell'impedire al campo avverso di coltivare le sue. Altri tempi e altri politici.

E non a caso c'è molta più tolleranza nei terribili anni del Dopoguerra che in questi miserabili tempi nei quali il crollo del comunismo, la crisi del cattolicesimo in politica e perfino del liberalismo producono schiere di pseudo politici che fanno dell'antifascismo l'unica loro minima ragione ideologica.

Diventando, in questa povertà di idee, molto più violenti nell'impedire le voci di dissenso.

Fino a scoprire che perfino il 25 aprile, presunta data fondatrice della Repubblica, va in pezzi se si risolve in uno sterile anti(fascismo) senza alcuna proposta credibile.

 

 

 

 

La fine del mondo medievale

e il crollo delle certezze: come teatro

e letteratura hanno raccontato lo

smarrimento degli uomini di fronte all’ignoto.

Lacittaimmagianaria.com - Adele Porzia – (26 Agosto 2021) -ci dice:

 

I momenti maggiormente creativi della letteratura, di qualunque letteratura, sono quelli di incertezza, di drammatico buio, di inconsapevolezza del futuro.

 Si è appena concluso un periodo di crisi, vi è stata una rottura con tutto quello che ci ha preceduti, e il passato pare essere lontano e in alcun modo legato al presente, come se vi fosse stato un incidente nel percorso evolutivo di un secolo. Ciò che è stato, quindi, ha perso la sua funzione interpretativa e le sue formule appaiono improvvisamente inefficaci, antiquate, inadatte ai tempi correnti. E lì, proprio in quel frangente, quando si cerca di descrivere il cambiamento in atto e questo nuovo presente, si comprende la necessità di rinnovare le forme di comunicazione del passato.

 C’è bisogno di nuovi paradigmi, di novità che aiutino a reinventare e spiegare la realtà. Si deve fornire una chiave di lettura a quello che accade, ma le modalità devono necessariamente cambiare, perché sia possibile comunicare quel groviglio di emozioni e sensazioni del presente.

A cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, si assiste al crollo di ogni incertezza. In seguito alle numerose scoperte scientifiche, il mondo medievale era destinato a dissolversi: la Terra, non più piatta, si appresta ad assumere una forma rotonda; non è fissa, ma gira, e il sole – al contrario – è fermo, immobile, per nulla dipendente dalla Terra. A questa consapevolezza, si accompagnano le tante scoperte geografiche, le nuove terre ritrovate nei punti più remoti del pianeta: interi continenti pronti a entrare nell’immaginario dell’uomo europeo.

A farsi strada nell’animo degli abitanti di questo periodo – a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento – è un sentimento di incertezza, di inquietudine; stati d’animo in qualche modo necessari alla crescita di un individuo, di una nazione e di una letteratura.

Emerge, in questi decenni, un continuo e incessante dubitare; ed è lì, quando l’inquietudine diventa preponderante, che avanza in quell’uomo di fine Cinquecento un testardo desiderio – che segue sempre a un iniziale turbamento, a quella deformante perdita di ogni certezza – di indagare con ancor più determinazione la realtà, oramai privata dalle sicurezze del passato, volgendo lo sguardo da quanto si è perso a quanto ancora si debba conoscere.

 E, così, a queste tante scoperte astronomiche e geografiche, si uniscono le acquisizioni in ambito medico, biologico, chimico, che esasperano questi sentimenti – angoscianti e stimolanti al tempo stesso – e costringono i poeti a trovare forme nuove per interpretare e rappresentare il mondo nuovo che hanno davanti a loro.

I sentimenti di insicurezza e irrequietezza necessitavano di nuove forme espressive, che rendessero anche stilisticamente le emozioni del nuovo secolo. La letteratura doveva perciò essere scevra dell’ordine e della pacatezza del classicismo rinascimentale; si rendeva necessaria una forma d’arte che rappresentasse l’ansia e l’incertezza dell’epoca.

Il Manierismo e il Barocco, per l’appunto. Molti tralasciano le forme precise, le regole prospettiche e l’oggettiva perfezione del classicismo, nonché l’imitazione delle forme antiche e della loro bellezza estetica. Ad essere privilegiate sono forme soggettive, bizzarre, che vogliono indicare proprio quel sentimento di disagio e di angoscia, un senso di precarietà e di morte. L’artista, più che offrire una chiave di lettura al lettore del presente, sembra volerla fornire allo spettatore del futuro, garantendo a noi posteri la possibilità di intendere quanto stesse avvenendo nel cuore di quell’epoca di mezzo.

Lo scopo, allora, diviene colpire il lettore e farlo meravigliare. Si sviluppa, quindi, un’arte che non imita più la natura, ma che vuol dilettare il pubblico e distrarlo dal presente ignoto e dall’incertezza del domani. Farlo pacificare con i suoi demoni, senza però relegarli completamente nell’ombra. È un atto di ammaestramento, di manipolazione, non di soppressione dei sentimenti. E, infatti, ne abbiamo un chiaro esempio nel teatro, di cui il Seicento è il periodo per eccellenza. Il teatro si rivela essere la sola forma letteraria, la sola formula d’intrattenimento, che riesca davvero a cogliere i dubbi e i timori di chi vive quel periodo, il senso di futilità che lo pervade, che si identifica nella maschera dell’attore.

Diviene materia letteraria la vita stessa in quanto illusione, spettacolo destinato a concludersi, in cui tutti recitano una parte, destinata a finire, insieme alla chiusura del sipario, all’approssimarsi della fine di tutto. L’uomo del secolo non riesce a imporsi sul reale e questo si intravede nello sforzo dell’artista di incasellare la sua soggettività in forme eccessive, celebrali, artificiose e incompiute. Un secolo pieno di dubbi, che si serve dell’allegoria per indicare la fugacità della vita, destinata a finire come un sogno.

Esattamente come accade nelle opere teatrali di Pedro Calderón de la Barca, in William Shakespeare o in Molière. Distrarre, sì, ma senza far dimenticare completamente al lettore quello che sta vivendo e quanto possa essere costruttivo per il futuro questo incessante dubitare, non fermarsi al certo, al noto, ma varcarne i così ben definiti confini, per accedere a quello che ancora non si conosce.

 

 

 

AFRICA-NIGERIA - “Insicurezza e cattiva

gestione economica minacciano la nazione”.

Fides.org – Redazione- (16 settembre 2022) – ci dice:

 

“Abbiamo perso tanti sacerdoti vittime di violenza, ma il male non prevarrà” dice il Vescovo di Abakaliki.

Abuja (Agenzia Fides) - “I troppo frequenti attacchi ai viandanti nelle strade e ai fedeli nelle chiese e in altri luoghi di culto, non hanno ancora ricevuto una risposta adeguata da parte delle autorità”. È l’ennesima denuncia dei Vescovi della Nigeria sulla situazione della sicurezza nel più popoloso Paese africano (circa 200 milioni di abitanti), contenute nel comunicato finale pubblicato al termine della Seconda Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale Nigeriana.

“Purtroppo il governo non ha rispettato i suoi doveri in materia di sicurezza. Osserviamo che anche quando i sospetti vengono arrestati, non c'è un diligente perseguimento dei colpevoli di questi atti nefasti, lasciando così la cittadinanza impotente e disperata” affermano nel documento pervenuto all’Agenzia Fides.

“Mentre continuiamo a chiedere alle autorità civili di adempiere alla loro responsabilità costituzionale di salvaguardare le vite e le proprietà dei nigeriani, invitiamo tutti a rafforzare le misure di sicurezza nelle loro case e istituzioni. Chiediamo a tutti i cittadini di essere rispettosi della legge, vigili e di evitare ogni forma di violenza e criminalità”.

Sul piano economico la Conferenza Episcopale nota che “a causa della cattiva gestione e di un'economia in crisi con un carico di debiti sempre crescente, c'è povertà e fame nella nostra terra, nonostante le nostre enormi risorse umane e naturali”.

 “L'inflazione vertiginosa, gli alti costi di beni e servizi, l'aumento della disoccupazione, il furto di petrolio greggio e le raffinerie non funzionanti, hanno inflitto ai cittadini disagi indicibili. Inoltre i governi hanno fatto ricorso a prestiti inutili, mettendo a repentaglio il benessere delle generazioni presenti e future”.

“Il cattivo stato della nostra economia ha portato alla migrazione di massa del nostro capitale umano, in particolare di lavoratori professionisti e qualificati, in fuga dalla nazione in cerca opportunità di lavoro”.

I Vescovi ribadiscono che “la Chiesa non si identifica né è vincolata a nessun partito politico”, “tuttavia, essa non è indifferente o neutrale nei confronti delle attività della comunità politica”, richiamando la responsabilità di tutti alla ricerca e al perseguimento del bene comune.

Un appello rivolto ai fedeli laici cattolici “specialmente coloro che hanno talento per la difficile, ma nobile arte della politica, o i cui talenti in questa materia possono essere sviluppati per impegnarsi in attività politiche per il bene comune”.

 

 

 

Il nuovo ordine mondiale

dopo il crollo del muro di Berlino.

La pace sempre rinviata,

che ancora non arriva .

farodiroma.it- Andrea Puccio – (10/11/2019) – ci dice:

 

Il crollo del muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre 1989, ha segnato lo spartiacque nella politica mondiale decretando di fatto il momento in cui il blocco comunista veniva sconfitto dal capitalismo. Dopo mezzo secolo di guerra fredda il bene aveva trionfato sul male come si sentiva dire in tutti i telegiornali trasmessi in quei giorni.

Mezzo secolo di guerra fredda, in cui i due blocchi non avevano perso tempo nell’accusare l’altro di non essere democratico, non aveva cancellato le disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri. Il capitalismo si era atteggiato quale soluzione per appianare queste differenze ma non c’era riuscito dando la colpa al comunismo di enfatizzarle. Con la sconfitta del comunismo e con la cessazione, almeno formalmente, della guerra fredda sembrava si fossero aperte le porte del paradiso per l’umanità mondiale, avremmo finalmente vissuto in un mondo senza guerre, la prosperità economica sarebbe stata a portata di mano per tutti.

La fine della guerra fredda che aveva accompagnato la vita di milioni di persone per oltre cinquanta anni aveva fatto sì che il capitalismo fosse riconosciuto quale unico sistema economico globale, dato che il modello socialista era scomparso. Se fino a quel momento il modello capitalista aveva tenuto, possiamo dire, un profilo non eccessivamente alto, con l’uscita di scena del suo nemico giurato, il socialismo sovietico, aveva a disposizione tutti i mezzi per svilupparsi nella sua essenza più avanzata, non aveva più un competitore da cui guardarsi. Nel periodo della contrapposizione tra capitalismo e socialismo il sistema economico liberale non poteva adottare soluzioni estreme pena il rischio di essere considerato ingiusto ed iniquo agli occhi di chi non era ancora convinto della sua validità, oppure essere ripudiato da chi invece appoggiandolo lo avesse visto per quello che realmente era.

 

Essere riusciti a far credere che da quel momento in avanti tutto sarebbe stato diverso, che le idee socialiste e comuniste fossero finite con il crollo dell’Unione Sovietica e dei paesi satelliti dell’Europa dell’est, è stata, grazie ai mezzi di informazioni debitamente ammaestrati, un’operazione mediatica, che a distanza di anni, va riconosciuto, ha ottenuto gli effetti desiderati. Si ripeteva in continuazione il nuovo mantra che, appunto, tutto sarebbe stato diverso, la popolazione ci credeva, la politica pure. In quegli anni alla velocità di un battito di ciglia tutti i partiti dichiaratamente comunisti furono sciolti. Le idee che fino ad allora erano state i capisaldi di una vita vengono ripudiate con la stessa velocità con cui in una notte di novembre venne smantellato a Berlino il muro che aveva diviso l’Europa per quasi trenta anni.

Ma quel mantra ripetuto all’esasperazione da tutti i mezzi di informazione in un certo senso era una, purtroppo, tragica verità. Se per la maggior parte dell’opinione pubblica eccitata per la fine di un’ epoca equivaleva alla speranza o certezza, a seconda dei casi, che il futuro sarebbe stato migliore e più giusto, per chi invece lo propinava significava che da quel momento in poi avrebbe avuto le mani libere di mettere in pratica un capitalismo selvaggio, privo di regole e libero di attuare le politiche economiche senza che nessuno lo controllasse o lo contraddicesse.

Il mondo sarebbe stato diverso da quello precedente perché non c’era più il blocco sovietico che fungeva da contrappeso al capitalismo. I falchi avevano tutte le possibilità aperte per sfoderare gli artigli, cosa che poi faranno negli anni successivi.

Il nuovo ordine economico mondiale uscito prevede che uno stato, gli Stati Uniti, cioè coloro che di fatto hanno vinto la guerra al comunismo, sia a capo del mondo, una serie di stati amici o alleati appoggino le scelte del socio americano le altre nazioni del mondo devono sottostare a tali decisioni senza fiatare.

Una piccola cerchia di stati, quelli del primo mondo, si spartiscono le risorse di tutti quei paesi del terzo mondo in una logica prettamente neocoloniale. Se poi una nazione si ribella al re allora va riportata subito sulla retta via magari usando i diritti umani come scusa.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica questo progetto da anni accarezzato ma sempre sfuggito si poteva realizzare. Si apriva un mercato immenso con la conversione dell’Urss in un paese capitalistico. Il petrolio, il gas e tutte le materie prime che il paese disponeva erano lì a portata di mano per essere sfruttate dalle numerose industrie multinazionali statunitensi. I 250 milioni di abitanti rappresentavano un grandissimo mercato per i prodotti americani. Essere in Russia significava poi avvicinarsi alla Cina, altro immenso mercato da tutti i punti di vista, all’India e all’estremo oriente. C’era davvero da sfregarsi le mani.

Negli anni successivi il progetto americano è andato avanti con relativa tranquillità. I soci europei, legati anche dalla Nato che nel frattempo aveva iniziato ad incorporare i paesi del vecchio Patto di Varsavia, avevano di buon grado accettato di stare nel nuovo ordine. La politica iniziava il suo inesorabile cammino verso il fondo che gli avrebbe fatto perdere nel corso di pochi anni qualunque credibilità agli occhi dell’opinione pubblica.

La politica ed i partiti maggiori si erano assuefatti alla velocità della luce al mantra del nuovo corso della storia. Destra e sinistra iniziavano da quel momento ad essere intercambiabili nelle politiche, la destra un po’ più conservatrice, la sinistra che scimmiottava da lontano le ricette neoliberiste. La mancanza di una alternativa reale come negli anni precedenti il crollo del muro trasforma le elezioni in un’alternanza tra destra e sinistra che di fatto si discostano nelle proposte politiche solo per alcuni cavalli di battaglia effimeri e privi di qualunque importanza.

L’alternanza destra sinistra al governo è stata fatto passare per una maturazione della democrazia, ma in pratica è servita solo a far considerare, negli anni, i politici e di conseguenza i partiti da loro rappresentati come tutti uguali, visto che le politiche poi messe in atto dagli esecutivi usciti dalle elezioni non si discostano molto.

Salta chiaramente agli occhi di tutti che il modello economico sviluppatosi dopo il crollo del muro di Berlino ha miseramente fallito, non ha aumentato la giustizia sociale, non ha appianato le differenze tra ricchi e poveri, anzi le ha aumentate. Un po’ ingenuamente si potrebbe pensare che qualche ingranaggio della nuova macchina economica si sia inceppato e che le conseguenze che stiamo vivendo siano frutto del caso o della disattenzione nella programmazione economica, ma guardando in profondità le cose stanno sicuramente diversamente. Non credo al fato cattivo e maligno, le conseguenze sono sempre frutto delle scelte fatte dagli uomini. Non sono sicuro del fallimento di questo modello, credo piuttosto che ciò che oggi viviamo faccia parte di un disegno politico e strategico ben preciso.

Un disegno che prevede il controllo globale che arricchisca poche persone che detengono il potere. Non credo sia un caso che, nonostante gli effetti della crisi del 2008 continuano a farsi sentire nelle tasche e sulle condizioni di vita di milioni di persone, chi prima della crisi era considerato ricco abbia aumentato la sua ricchezza e chi era povero continui ad impoverirsi.

 In tutto questo discorso il rispetto dei diritti umani entra prepotentemente quale mezzo per portare avanti le politiche predatorie verso i paesi del terzo mondo e quale mezzo di pressione verso quelle nazioni che sono considerate amiche. Le intenzioni erano proprio quelle di creare un sistema che, dietro un’apparente cortina fumogena che mette la democrazia e i diritti umani come valori non negoziabili ed assoluti, nascondesse al suo interno i desideri di ricchezza e potere di un ristretto gruppo di individui.

Alla base di questo nuovo ordine, che ancora oggi vige, sta la concezione di un mondo unipolare. Questa concezione prevede, appunto, un paese al comando, gli Stati Uniti, e tutti gli altri che accettano a testa bassa le decisioni del sultano.

Ogni tentativo da parte di una nazione di uscire da questa logica cercando di creare un proprio spazio politico ed economico indipendente è visto come una minaccia agli interessi o alla sicurezza nazionale da parte degli Stati Uniti.

La possibilità che un paese esca dal controllo nordamericano pone due problemi fondamentali: la perdita dello sfruttamento delle sue risorse economiche ed il rischio di intaccare la gestione unipolare del mondo.

Perché il sistema unipolare funzioni egregiamente occorre, come già visto, il controllo delle risorse energetiche da parte di un ristretto gruppo di nazioni. Avere a disposizione risorse illimitate e costanti nel tempo agevola notevolmente lo sviluppo capitalistico della società perché così si riducono al minimo le possibili tensioni sui mercati.

Bisogna, inoltre, stroncare ogni tentativo da parte di un paese di intraprendere un suo cammino indipendente che potrebbe mettere in discussione il sistema unipolare.

Ecco quindi che da un giorno all’altro un paese diventa una minaccia improvvisa alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti perché ha deciso di non accettare questo sistema.

I diritti umani violati diventano allora il mezzo per applicare sanzioni economiche al paese disubbidiente. Se le sanzioni non ottengono il risultato voluto, cioè far desistere il bambino cattivo dal suo progetto di indipendenza, la guerra umanitaria è inevitabile.

 Le guerre in Iraq e Libia, solo per citarne due, sono state combattute per il controllo del petrolio e per stroncare ogni velleità da parte delle due nazioni di creare un ambiente di influenza geopolitica regionale.

La Cina diventa un pericolo per gli Stati Uniti perché sta da tempo costruendo un polo politico ed economico indipendente e minaccia la supremazia statunitense, La Russia invece minaccia la pace mondiale perché segue le orme cinesi diventando giorno dopo giorno una potenza a livello globale.

Tornando al mantra che da questo momento niente sarà più come prima, chi ha buona memoria ricorderà chi, a seguito di un avvenimento che, appunto, a cambiato la visione del mondo, ha pronunciato a reti unificate questa affermazione. Per chi non ricorda la persona lo aiuto io: George W. Bush all’indomani del crollo delle torri gemelle dell’11 settembre 2001. In questa sede non voglio entrare nelle mille ipotesi sulle responsabilità del governo statunitense sull’attentato perché è stato già scritto molto senza arrivare ad una soluzione dei mille interrogativi che ancora accompagnano questo evento. Mi limiterò solo a fare alcune valutazioni su come sia stato usato o creato apposta. Ognuno è libero di seguire la teoria dei fatti che crede più vicina alle sue convinzioni, per portare avanti il nuovo ordine mondiale.

Nessuno credo possa affermare che il crollo delle torri gemelle, come il crollo del muro di Berlino, non abbiano segnato le sorti del mondo. Se il crollo del muro ha rappresentato il momento in cui il capitalismo si è trovato con le mani libere per attuare tutte quelle politiche liberiste che in passato non poteva attuare, il crollo delle torri gemelle a New York ha segnato il momento in cui le politiche liberiste si sono arricchite di una brutalità mai, prima di allora, raggiunta. L’evento segna l’inizio della guerra infinita al terrorismo, come affermato in più occasione dall’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush.

La guerra infinita era al terrorismo o a tutti quei paesi che non erano allineati alle politiche statunitensi? Questa è la domanda, a mio modo di vedere, a cui bisogna dare una risposta.

Ovviamente penso che l’occasione data dall’11 settembre per stringere il cappio attorno ai paesi, ricchi di risorse naturali indispensabili, non poteva non essere captata dai falchi che volevano appropriarsene. Occorreva un evento di caratura mondiale che legittimasse qualunque opzione. La guerra infinita è continuata fino ad oggi ma i terroristi non sono stati sconfitti anche perché, di volta in volta, sono stati prima creati e poi finanziati dagli Stati Uniti e dai loro soci, Israele in testa.

L’attacco, l’attentato o come lo vogliamo chiamare ha segnato anche una svolta nella comunicazione e nella creazione del consenso verso l’accettazione da parte dell’opinione pubblica della necessità della guerra quale mezzo per riportare la democrazia. Si è fatto credere a miliardi di persone che il terrorismo prima di tutto metteva in pericolo il livello di benessere raggiunto fino a quel momento dalla popolazione. Metteva in pericolo il pieno di benzina al distributore, la settimana bianca o le ferie estive, l’aperitivo prima di cena, la nuova auto, insomma tutta quella paccottiglia di beni tipici del capitalismo e che rappresentano il benessere. La guerra non era solo un vezzo di una serie di paesi che voleva portare la democrazia e, guarda caso, i diritti umani calpestati dal Saddam Hussein di turno in quella nazione, ma era una vera e propria crociata verso chi cercava di riportare il mondo indietro nel tempo, all’epoca medioevale, ledendo i diritti, ma soprattutto, il benessere di interi continenti.

Mentre si combattevano le guerre al terrorismo in Afganistan, in Iraq, in Libia, in Siria in nome della democrazia e dei diritti umani i nostri governi intanto riducevano davvero i diritti dei lavoratori, dei pensionati, tagliavano i fondi alla sanità, alla scuola, alle politiche sociali facendo credere alla popolazione che erano inevitabili. Riducevano parallelamente gli spazi democratici ed aumentavano le misure di sicurezza spacciandoli come il prezzo giusto da pagare per il mantenimento del nostro benessere.

Ma cosa c’entrano i tagli alla spesa pubblica con il terrorismo? Nulla. Ma il terrorismo è stato usato come pretesto per stringere la cinghia alla vita degli ignari e poco informati cittadini. Le crisi finanziarie che bruciavano i risparmi dei lavoratori e dei pensionati continuavano ciclicamente nonostante la guerra al terrorismo come le privatizzazioni dei servizi pubblici con il conseguente aumento delle tariffe.

Il crollo delle torri gemelle se non fosse accaduto andava inventato o, meglio ancora, non bisognava fare nulla per evitare che succedesse.

(Andrea Puccio)

 

 

 

 

PERCHÉ PUTIN HA GIÀ PERSO.

Pietroichino.it- Pietro Ichino- (16 febbraio 2022) – ci dice:

 

Nell’Europa del XXI secolo l’egemonia non si ottiene più con i carri armati e i bombardieri: la sola pretesa di una nazione di imporsi a un’altra con questi mezzi è il segno di una sua grave debolezza politica; e la destina alla sconfitta.

Il capo del Cremlino ha certificato la grave debolezza politica e culturale della Russia nel momento stesso in cui ha pensato bene di mostrare i muscoli ai confini con l’Ucraina per impedire una possibile libera adesione di questo Paese all’alleanza atlantica.

L’evoluzione culturale irreversibile dell’Europa del XXI secolo ha archiviato definitivamente l’idea che un Paese possa far valere i propri interessi schiacciandone un altro con la forza delle armi: il crollo dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia, nel 1989, è avvenuto in conseguenza non di un confronto militare con l’Occidente, ma dell’incapacità di quel sistema politico-militare di mantenersi in piedi con la sola forza delle armi, avendo perso il confronto con l’Occidente sul piano del benessere, dell’equità, dell’efficienza delle amministrazioni, della libertà delle persone.

Nell’Europa del XXI secolo l’egemonia non è più conseguibile con i carri armati e i bombardieri: la sola pretesa di una nazione di imporsi a un’altra con questi mezzi certifica la sua inferiorità politico-culturale, la sua inettitudine a essere egemone; e la destina alla sconfitta.

 Vladimir Putin oggi pretende di nascondere sotto una pretesa preoccupazione per la sicurezza del suo Paese nei confronti di inesistenti minacce esterne il senso di frustrazione di tanti nazionalisti russi per la clamorosa quanto repentina perdita dell’egemonia su Estonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Romania, tutti Paesi “conquistati” dall’Occidente senza sparare un colpo.

 Egli mostra di non aver ancora capito bene che quella vera e propria débacle geo-politica, verificatasi alla fine del secolo scorso, è la conseguenza di una ben visibile migliore qualità dei sistemi democratici rispetto al sistema sovietico, i cui gravissimi difetti strutturali, dopo la caduta del Muro, sono stati corretti male e solo parzialmente.

Ora l’epigono degli zar pagherà questo difetto di intelligenza con un ulteriore pesante arretramento socio-economico della Russia e, sul piano internazionale, con il suo declassamento a Paese fuori-legge.

 

 

 

Dopo il “crollo di Terra”, le autorità

cinesi impongono una maggiore

regolamentazione sugli asset digitali.

Lamiafinanza.it- Redazione- (15/06/2022) – ci dice:

 

Uno dei reporter del media, Li Hualin, ha scritto: “La mia nazione ha messo al bando il trading di asset digitali e diverse piattaforme di trading”. Hualin ha poi aggiunto: “La Cina è riuscita a evitare le conseguenze dei rischi associati a questo settore. Inoltre, i rischi di investimento per i cinesi sono quasi nulli”. Ha aggiunto che “molte altre autorità stanno usando il “Terra crash “per regolamentare il settore delle stablecoin”.

Citando Zhou Maouhua per dimostrare il suo punto di vista Hualin ha detto:

le nostre autorità aggiorneranno presto la nostra politica sulle criptovalute per coprire tutti gli aspetti del settore.

Stabiliranno anche misure aggiuntive per ridurre l’esposizione al rischio delle stablecoin. In questo modo, ci sarà una possibilità pressoché nulla di frode in criptovalute, operazioni finanziarie fraudolente e altri crimini finanziari. Di conseguenza, i nostri cittadini saranno più protetti e sicuri”.

(Zhou Maouhua è uno dei principali analisti della banca cinese Everbright.)

Il giro di vite della Cina sull’industria delle criptovalute.

I cinesi hanno vietato gli scambi di criptovalute cinque anni fa. Poi, l’anno scorso, ha annunciato un divieto totale sulle attività di criptovaluta. La mossa di vietare tutte le attività cripto nel Paese è iniziata con ripetuti avvertimenti da parte delle agenzie sui rischi degli investimenti in cripto. Anche se i progetti sono interessanti come Tesla Coin e tanti altri.

Poi, il governo ha emesso avvisi a tutte le province cinesi per avviare un massiccio giro di vite sul crypto mining. In seguito, le province hanno esteso il giro di vite a tutte le operazioni di criptovaluta. Tuttavia, il famoso giornalista cinese di criptovalute Colin Wu ha dichiarato che ci sono diverse dichiarazioni false riguardo al divieto. Wu è conosciuto su Twitter come Wu blockchain.

Secondo Wu, il divieto di criptovaluta riguarda esclusivamente i fornitori di servizi legati alla criptovaluta. Ha affermato che qualsiasi individuo può detenere o investire in criptovalute. Ha spiegato che “la Cina ha vietato solo alle istituzioni e alle imprese di commerciare o detenere cripto. Tuttavia, chiunque può detenere o effettuare transazioni in cripto; non è contro la legge. Anche alcuni tribunali locali considerano questi beni digitali come proprietà virtuale. Pertanto, i singoli detentori sono protetti dalla legge”.

All’inizio di questo mese, un tribunale di Shanghai ha chiarito che, in base alla definizione di proprietà virtuale, il BTC è una di queste. Inoltre, il valore, la scarsità e la disponibilità del BTC lo rendono soggetto a diritti di proprietà, leggi e regolamenti.

Il tribunale non ha detto nulla sul fatto che i possessori ottengano le loro criptovalute con mezzi legali o illegali. Tuttavia, diversi dati confermano che molti trader cinesi di criptovalute effettuano le loro transazioni tramite VPN. Le recenti operazioni di repressione aumentano il volume delle transazioni di criptovalute attraverso le borse offshore e le piattaforme peer-to-peer da parte dei trader cinesi.

In arrivo una regolamentazione più severa per le criptovalute – Wu

Secondo Wu, è probabile che le autorità cinesi estendano le restrizioni sulle criptovalute alle monete stabili. Potrebbero addirittura vietarle del tutto. La mossa impedirà il trasferimento di proprietà delle monete stabili, in particolare di Tether. Wu ha inoltre affermato che la Cina si muoverà anche per incoraggiare altre nazioni ad adottare misure simili.

Il quotidiano economico ha inoltre affermato che la Cina vorrebbe che gli altri Paesi sviluppassero regolamenti più uniformi per aumentare le sanzioni normative sulle criptovalute. Nelle conclusioni del rapporto, l’organo di informazione con sede a Pechino ha affermato che una regolamentazione globale uniforme delle criptovalute impedirebbe l’uso degli asset digitali per scopi illegali, in particolare per le frodi finanziarie.

 

 

 

L’eredità Gorbačëv secondo Pechino.

 

Treccani.it- Barbara Onnis- ( 5 settembre 2022) – ci dice:

La morte dell’ultimo leader sovietico, lo scorso 30 agosto, non poteva avvenire in un momento peggiore per la Cina di Xi Jinping, alle prese con crescenti gravi tensioni internazionali e con una complessa situazione interna da gestire in vista dell’imminente XX Congresso del Partito comunista cinese (PCC), che dovrebbe assegnare al leader cinese il suo terzo mandato.

 Oltre alla delicata tensione nello Stretto di Taiwan e alle conseguenze legate al protrarsi della crisi ucraina, internamente la leadership di Pechino si trova a dover affrontare sfide quali l’aumento della disoccupazione, l’indebolimento del mercato immobiliare, la siccità e una severa politica “zero Covid” che continua a mettere città e distretti in isolamenti improvvisi, a grave discapito dell’economia.

Per quanto la morte di Michail Gorbačëv rappresenti pochi rischi per la reputazione del Partito prima del Congresso, si teme, tuttavia, che qualcuno possa sfruttare la commemorazione della sua morte per criticare direttamente o indirettamente Xi Jinping.

 In effetti, al di là del cordoglio ufficiale, espresso con toni freddi e laconici, per bocca di uno dei più noti portavoce del ministero degli Affari esteri, Zhao Lijian – «Il signor Gorbačëv ha dato un contributo positivo alla normalizzazione delle relazioni sino-sovietiche. Esprimiamo il nostro cordoglio per la sua scomparsa e porgiamo le nostre condoglianze alla famiglia» – la stampa cinese ha fatto emergere in toni inequivocabili la visione tutt’altro che positiva che del leader sovietico si ha nel Paese, sia in seno al Partito, sia tra gli osservatori e buona parte del mondo accademico.

In effetti, gli storici cinesi hanno discusso a lungo se siano state le questioni strutturali o le decisioni individuali di leader come Gorbačëv ad aver causato il crollo dell’ex Unione Sovietica.

All’indomani della sua ascesa al potere, Xi non aveva avuto remore nel propendere per la seconda ipotesi e in un discorso pronunciato nel dicembre del 2012, fatto circolare tra i quadri, ma non riportato dai media statali, aveva dichiarato come fosse bastata una parola di Gorbačëv per dichiarare lo scioglimento dell’Unione Sovietica, mettere fine alla parabola di un grande partito e come, alla fine, «nessuno si fosse rivelato abbastanza uomo da alzarsi e resistere».

A fine luglio 2022 ai quadri è stato riproposto un documentario in sei parti dedicato al crollo dell’Unione Sovietica, con un focus sulle “amare lezioni” della leadership di Gorbačëv.

Un altro documentario sulla sua figura è stato riportato sui social media il 30 agosto, a seguito dell’annuncio della sua morte, e le critiche non sono mancate tra i tanti commentatori, che ne hanno parlato in termini di «governante di una nazione distrutta» e di «un personaggio pubblico storico che è finalmente diventato lui stesso la storia».

 Per Shi Yinhong, docente di relazioni internazionali presso l’Università del Popolo di Pechino, il Partito comunista cinese è molto critico nei confronti dell’ex leader sovietico in quanto «ritiene che abbia tradito l’Unione Sovietica», avendone avviato il declino come grande potenza mondiale e determinandone poi la fine.

Vale la pena riportare il fatto che in alcuni documenti interni al Partito che circolarono prima della visita ufficiale dell’allora primo ministro Li Peng a Mosca, nell’aprile del 1990, Gorbačëv veniva descritto come un revisionista che aveva completamente tradito i principi base del marxismo-leninismo, negando sostanzialmente la lotta di classe nella sfera internazionale, e favorendo la democrazia parlamentare di stile occidentale.  

I toni denigratori sono quelli che emergono da alcuni articoli comparsi nella stampa cinese all’indomani dell’annuncio della morte di Gorbačëv. Tra tutti, quello pubblicato il 31 agosto dal Global Times – tabloid in lingua inglese pubblicato dal Quotidiano del Popolo – dal titolo emblematico Chinese observers express mixed feelings about Gorbachev, draw lessons from his immature policy of coxing up with West, ampiamente ripreso anche dalla stampa italiana, che riporta il punto di vista di osservatori, analisti, accademici, ma anche “semplici” internauti.

 L’articolo bolla l’ex leader sovietico come «una figura tragica, senza principi e compiacente con gli Stati Uniti e l’Occidente», che ha commesso «gravi errori» nel valutare la situazione internazionale, e «ha provocato il caos nell’ordine economico interno» con conseguenze catastrofiche per il Paese.

Con il senno di poi, si legge, Gorbačëv è stato «ingenuo e immaturo», colui che ha rappresentato per un certo periodo storico l’Unione Sovietica, oscillando tra «la ricerca di una via indipendente» e «l’abbraccio all’Occidente».

In particolare, il fatto di «venerare ciecamente il sistema occidentale ha fatto perdere indipendenza all’Unione Sovietica, e il popolo russo ha sofferto di instabilità politica e di gravi pressioni economiche, che la Cina ha considerato come un grande avvertimento e una lezione da cui trarre esperienza per la propria governance».

Per Wang Yiwei, direttore dell’Istituto per gli Affari internazionali della già citata Università del Popolo, «Gorbačëv è stato ingannato dall’Occidente» e «in un momento critico non ha potuto salvare l’Unione Sovietica, né il Partito comunista dell’Unione Sovietica».

Qui risiede la differenza di approccio del PCC che, secondo Wang, si fonda sulla leadership del Partito e sul principio di autonomia e indipendenza «piuttosto che sulla ricerca dell’occidentalizzazione».

L’opinione unanime degli osservatori citati nell’articolo è che la Cina dovrebbe trarre una lezione importante da tale tragedia, ossia rimanere vigile nei confronti delle forze occidentali che conducono «evoluzioni pacifiche» in altri Paesi, poiché indipendentemente dalle idee o dai piani occidentali, Gorbačëv si era rivolto all’Occidente senza saldi principi a cui appellarsi, contribuendo a indebolire l’influenza e la forza dell’Unione Sovietica negli affari internazionali.

In altre parole, nel racconto ammonitore di una leadership fallita che i funzionari del Partito comunista cinese hanno studiato ossessivamente per decenni, al fine di evitare di compiere errori analoghi, Gorbačëv è denigrato per aver causato disastri al suo stesso popolo e smantellato a cuor leggero una grande nazione socialista.

È interessante osservare come la scomparsa dell’ex leader sovietico abbia attirato un’enorme attenzione pubblica anche sui social media, con un totale di 770 milioni di visualizzazioni di post su Weibo (il Twitter cinese). In generale, la reazione è stata altrettanto dura e gli utenti di Internet non hanno esitato a includere Gorbačëv nella lista dei «cattivi della storia».

Per gli uni «Gorbačëv ha portato disastri non solo al popolo dell’Unione Sovietica, ma al mondo intero»; per gli altri «ha ottenuto ampi consensi in Occidente svendendo gli interessi della sua patria».

 In questo senso, viene percepito come «uno dei leader più controversi al mondo». Ed è soprattutto da uno dei suoi più grandi errori (forse il più grande) che, agli occhi dell’attuale leadership comunista, bisogna prendere le distanze, ossia il fatto di aver aperto le porte alla democrazia occidentale senza aver posto le basi per garantire la prosperità al Paese.

Qui risiede, per Pechino, la forza del Partito comunista cinese e del modello socialista cinese – il cosiddetto socialismo con caratteristiche cinesi – che rappresenta un perfetto connubio tra liberismo economico e autoritarismo politico.

 

 

 

 

 

Il ruolo delle sanzioni

nel nuovo ordine mondiale.

Affarinternazionali.it - Emanuele Lorenzetti- (12 Settembre 2022)- ci dice:

Con il crollo del Muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre 1989, si aprì una fase di conflitti in Europa che si spostarono dalla sfera politico-militare a quella economico-finanziaria. La globalizzazione dell’economia ha generato una forte spinta al processo di liberalizzazione dei commerci, instaurando un confronto inter-governativo prevalentemente basato sulla discussione di interessi economici.

Queste trattative di tipo settoriale sono impiegate tra i Paesi avanzati, sviluppati, in via di sviluppo e terzomondisti per la definizione dei loro rapporti di forza nel ‘Grande Gioco’.

L’interesse economico, posto al centro delle trattative bi-multilaterali, viene oggi usato in modo strumentale dai governi nazionali, gettando così le radici per un processo di ‘weaponizzazione’ dell’economia internazionale.

Gli attori della politica estera.

La guerra moderna si combatte fra aziende, Stati e collettività nella definizione di una geografia del cambiamento che intende instaurare un nuovo equilibrio socio-economico dell’ordine mondiale.

Da qui la supposta tesi, che il futuro ordine mondiale non sarà dettato tanto sulla base della dicotomia tra sistemi aperti e sistemi chiusi, e la relativa lotta per la predominanza dell’uno o dell’altro sistema, quanto invece da quei Paesi che sapranno meglio coniugare i plurimi e differenti interessi tra aziende, Stati e persone presenti entro ciascun confine nazionale.

Per questo motivo, l’analisi della politica estera deve passare, oggi più che ieri, attraverso lo studio della geopolitica delle sanzioni che attualmente si presenta sullo scenario internazionale e domina i rapporti di forza tra le nazioni, nelle sue plurime dimensioni di sicurezza economico-finanziaria (economic warfare), di politiche di import-export control, di guerre commerciali, di adozione di regole di trade compliance, di procedure restrittive e di controllo (screening) sugli investimenti diretti esteri.

Da Stato vestfaliano a Stato mercato.

Le alleanze politiche inter-governative, a differenza del passato, si fanno e disfano in funzione del gioco di triangolazione dei regimi sanzionatori, che colpiscono la società, l’economia e il commercio di una nazione.

Gli interessi nazionali sono sempre più legati alle logiche di mercato, dove i governi spostano l’attività cruciale dalla sicurezza militare a quello della competitività economica, la cui tutela assume una priorità strategica e detta le linee di politica estera e di difesa.

Le grandi aziende entrano nella sfera pubblica e giocano un ruolo, non secondario, all’interno del processo decisionale di un governo nazionale.

In questo modo, il tradizionale Stato vestfaliano ha subito alcune trasformazioni di carattere, di priorità politiche e di ricerca informativa, assumendo, secondo una felice definizione del francese Treverton, la forma di Stato-mercato.

 L’informazione economica, dunque, costituisce oggi il principale fabbisogno informativo per qualsiasi governo nazionale che opera in un contesto geopolitico mondiale dominato dal nuovo multilateralismo sanzionatorio.

 

La nuova disciplina sanzionatoria.

La condotta degli Stati ha conosciuto nel tempo una maggiore e più ricca riflessione sulla formulazione di adeguate politiche sanzionatorie, che dall’essere generalizzate sono andate sempre più a definire gli specifici spazi applicativi.

Si parla, a tal proposito, di sanzioni mirate che differiscono dalle sanzioni generalizzate, in quanto le prime traggono la loro essenza nell’affermazione del principio di responsabilità dell’individuo, nato sul finire del Novecento con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei Diritti Umani.

Si compì, in questo modo, un notevole salto di qualità giuridico che riconobbe, quali soggetti alla disciplina sanzionatoria, non più solamente gli Stati ma accanto a loro anche singoli individui, gruppi di persone, realtà aziendali e partiti politici che, d’ora in avanti, avrebbero dovuto rispondere in caso di mancato rispetto dei suddetti principi e diritti umani universalmente riconosciuti.

La peculiarità sulla quale bisogna concentrare maggiore attenzione risiede sulla funzione prescrittiva della sanzione economica, in quanto la coercizione economica non rappresenta uno strumento aleatorio o ristretto all’ambito economico, ma è un elemento giuridicamente necessario affinché l’Onu possa essere legittimata a intervenire nei teatri di crisi, al fine di ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

 È quanto emerge da una combinata analisi delle disposizioni contenute negli Artt. 41 e 42 della Carta delle Nazioni Unite, dove si evince che l’uso della forza può essere considerato e applicato dal Consiglio di sicurezza solamente dopo che ne siano stati verificati tutti gli effetti prodotti dall’impiego dello strumento sanzionatorio verso il Paese target. Ne deriva l’importanza strategica, nonché normativa, dello strumento delle sanzioni nella politica estera e nel diritto internazionale.

Il multipolarismo sanzionatorio.

Nella politica estera dominata dal nuovo multipolarismo sanzionatorio si è rafforzata la competizione per la sicurezza economica che vede coinvolte, anzitutto, le due superpotenze globali, Stati Uniti d’America e Repubblica Popolare Cinese.

Si è poi registrata un’accresciuta instabilità negli equilibri internazionali tra gli attori statali di rilevanza geopolitica regionale, tra i quali spiccano Iran, Russia, India, Pakistan, Turchia, Israele ed Egitto.

Anche gli strumenti sanzionatori a disposizione dei governi si sono evoluti e hanno conosciuto un’adeguata rimodulazione verso le nuove frontiere del multipolarismo sanzionatorio.

Il sistema di interdipendenza economica tra gli Stati, venutosi a creare con la pratica diffusa del commercio estero quale modello di sviluppo e competitività nazionale impone, tuttavia, alle misure restrittive, alcuni limiti al moderno modello di economia industriale, mostrando una prima caratteristica fondamentale dell’arma-sanzione.

La scelta di adottare una politica sanzionatoria per un governo, infatti, non ha mai alla base motivazioni economiche, ma solo e sempre motivazioni geopolitiche, che riflettono la natura degli equilibri di forza presenti nel sistema internazionale, dentro i quali e per i quali un governo nazionale è chiamato a muoversi, al fine di massimizzare la rispettiva area di influenza regionale.

Le nuove sfide securitarie dal cyber-spazio.

Nel 2022, con lo scoppio della guerra in Ucraina, il quadro geopolitico internazionale ha conosciuto un ulteriore livello di frammentazione delle minacce, dove il cyber-spazio ha incontrato ed abbracciato anche le sanzioni economiche.

La dimensione multi-livello della conflittualità (militare, ecofin, cibernetica) presente nell’Est dell’Europa, in Ucraina, ha reso più perniciosa la possibilità di difesa degli interessi strategici nazionali e maggiormente improbabile la stessa efficacia di risposta del blocco occidentale nei confronti della Federazione Russa.

Motivo per cui le sanzioni occidentali contro Mosca potrebbero non sortire il generale effetto desiderato verso il governo target perché potenzialmente aggirate attraverso l’impiego di strumenti propri del quinto dominio di conflittualità contemporanea.

Il Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha segnalato la possibilità di minacce provenienti dai cyber-attack e ha allertato, quindi, tutte le istituzioni finanziarie, anche di Paesi alleati, ad essere vigili contro le intenzioni russe.

Gli Stati Uniti, impegnati a sostenere l’Ucraina insieme ai principali partner europei, hanno emanato importanti misure di restrizione economica nei confronti di personalità, istituzioni e privati russi.

Per questo motivo, stando all’allerta FinCEN, taluni esponenti russi sarebbero impegnati nello studio e nella predisposizione di metodi di aggiramento delle misure restrittive economiche attraverso l’utilizzo di cyber-attack, principalmente per via della metodologia ransomware.

Le red flags, contenute dalla FIN-2022-Alert001, corrispondono a precisi indicatori che consentono di identificare le potenziali attività usate per evitare le sanzioni occidentali.

 

 

 

Il bivio energetico dell’Europa.

Affarntrenazionali.it- Margherita Bianchi- Pier Paolo Raimondi- (15 Settembre 2022) -ci dice:

La storia dell’Unione Europa è una storia di associazione e collaborazione che ha avuto il suo principale motore nell’energia: l’integrazione europea, avviatasi con la fusione di sei stati nella Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) e nata nel 1951 al fine di promuovere la crescita economica e prevenire i conflitti, ha visto una crescente collaborazione nel campo energetico che ha portato poi gli stessi paesi a creare nel 1957 la Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA) in seguito alla Crisi del Canale di Suez.

Sembra, però, essere proprio la più recente sfida lanciata dalla Russia di Putin, con l’invasione dell’Ucraina e il susseguirsi di sanzioni, a porre l’Unione Europea definitivamente di fronte a un bivio: continuare a lavorare di concerto tra paesi membri al fine di sormontare e risolvere collegialmente l’ennesima sfida a sfondo energetico o essere testimoni inermi dello sbriciolarsi dell’Unione?

Divide et impera.

I primi passi compiuti dall’Unione al fine di fronteggiare la negazione di ulteriori forniture di gas da parte della Russia, suggeriscono uno sforzo corale e di solidarietà europea: l’Unione ha infatti lanciato il piano REPowerEU, con l’obiettivo di eliminare gradualmente le importazioni di gas russo entro il 2027.

Il piano mira a ridurre la dipendenza europea dall’energia russa attraverso la diversificazione, in particolare sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL), e promuovere la decarbonizzazione attraverso le energie rinnovabili e l’efficienza energetica.

Tuttavia, il piano, per essere effettivo, richiede estrema coordinazione tra gli Stati Membri e l’accettazione della guida unitaria della Commissione Europea.

La sfida diventa, quindi, riuscire a promuovere una integrazione e collaborazione tali da non lasciare che gli Stati membri si facciano risucchiare dall’aspra competizione presentata dal mercato internazionale del gas, con il solo scopo di garantire una quantità di gas sufficiente per i propri cittadini e le proprie imprese in vista dell’inverno, dando così priorità agli interessi nazionali e minando inevitabilmente l’unità e la solidarietà dell’UE.

L’Unione è già riuscita a introdurre  azioni coesive di successo per affrontare problematiche globali mettendo da parte lo stimolo ad agire singolarmente e per tutelare i propri interessi nazionali: la stessa sfida climatica ha visto un generale accordo europeo tendere verso un’azione univoca e congiunta.

Gli Stati membri, infatti, hanno da tempo deciso di combattere il cambiamento climatico insieme: la sostenibilità è diventata una missione cruciale dell’Europa, perfettamente rappresentata dal Green Deal europeo.

 L’alternativa – già sperimentata – alla solidarietà europea sono politiche di “beggar-thy-neighbour” viste in occasione di altre crisi, come la crisi dei rifugiati nel 2015, quando gli Stati membri hanno momentaneamente sospeso le regole di Schengen, o subito dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19 nel 2020, quando gli Stati si sono contesi l’accesso ai dispositivi di protezione sospendendo i viaggi.

Rafforzare l’architettura europea.

L’attuale crisi energetica può collateralmente essere interpretata come un’occasione per rafforzare l’architettura europea. L’energia è una materia di competenza comune, secondo quanto prescritto dall’articolo 194 TFUE, e l’attuale crisi del gas dovrebbe fungere da stimolo per i governi europei al fine di migliorare la propria integrazione energetica sulla base di tre concetti: sicurezza energetica, accessibilità economica e sostenibilità.

 

L’organo europeo che più di tutti dovrebbe occuparsi di guidare un processo di definitiva integrazione energetica è la Commissione Europea, la quale sta lavorando al piano “Save gas for a safe winter” al fine di stimolare gli stati membri a ridurre le proprie domande di gas del 15%.

 La Commissione dovrebbe, però, sicuramente iniziare a lavorare anche a una riforma strutturale del mercato dell’elettricità al fine di incitare gli Stati membri alla massima solidarietà e applicando gli insegnamenti tratti dal Recovery plan europeo approvato in tempo di pandemia.

 

L’attuale crisi conferma che i paesi e le istituzioni europee sono chiamati a rinnovare e migliorare l’integrazione politica ed energetica del blocco. Questo è fondamentale per aumentare l’interconnettività, per spostare l’energia dagli Stati meno vulnerabili a quelli più vulnerabili, oltre che per rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri in caso di interruzioni delle forniture. Tali misure contribuiranno inoltre ad armonizzare le norme e i piani intra-UE per proteggere le famiglie e le imprese, rafforzando così anche le istituzioni e i quadri europei, come il mercato interno dell’energia dell’UE.

Il futuro dell’unione energetica.

L’unità europea non dovrebbe essere applicata solo alle priorità energetiche più urgenti di oggi, come il gas. L’Ue dovrebbe iniziare a considerare in modo proattivo misure comuni per proteggersi dai futuri e potenziali rischi per la sicurezza nel lungo cammino verso la transizione energetica come, ad esempio, la creazione di uno stock europeo comune per le materie prime critiche e altri prodotti di base essenziali per le tecnologie di decarbonizzazione.

L’unità e la solidarietà sono risposte fondamentali alla luce della guerra di Putin. È in gioco il progetto europeo. Un coordinamento rafforzato ed efficace tra gli Stati membri dell’UE determinerà non solo il futuro panorama energetico europeo, ma anche il peso politico dell’UE sulla scena internazionale.

 

 

 

Le proposte della Conferenza

sul futuro dell’Europa per il clima.

Affarinternazionali.it- Giulia Sofia Sarno – (14 Settembre 2022)- ci dice:

 

Lo scorso maggio si è conclusa la Conferenza sul futuro dell’Europa, un esercizio inedito di democrazia partecipativa in cui i cittadini europei sono stati chiamati a discutere e formulare delle raccomandazioni per affrontare le sfide del futuro dell’Unione europea.

Conferenza, crisi energetica, cambiamento climatico.

Dopo un anno di lavoro, sono state formulate 49 proposte, relative a 9 temi di discussione, che includono più di 300 misure specifiche su come realizzarle. Queste proposte si basano sulle 178 raccomandazioni emerse dalle discussioni dei tre principali organi della Conferenza: i panel di cittadini europei, composti in totale da 800 cittadini selezionati casualmente e rappresentativi della composizione geografica e sociale dell’Ue, la piattaforma digitale multilingue aperta a tutti dove sono stati raccolti oltre 50.000 contributi, e infine i panel nazionali che molti stati membri hanno organizzato in parallelo alla Conferenza.

Le 49 proposte sono state adottate dalla Plenaria della Conferenza, composta da membri del Parlamento europeo, rappresentati dei Parlamenti nazionali, rappresentati del Consiglio, della Commissione europea, del Comitato delle Regioni, del Comitato economico e sociale, e da rappresentati dei cittadini e della società civile.

L’ambiente e il cambiamento climatico sono stati tra le tematiche protagoniste della Conferenza, risultando tra le più cliccate sulla piattaforma digitale e le maggiormente discusse all’interno dei panel di cittadini.

Le posizioni più progressiste su questi temi sono state portate avanti dai giovani tra i 16 e i 25 anni, che, come stabilito dalle regole della Conferenza, dovevano corrispondere a un terzo di ciascun panel.

I lavori della Conferenza si sono svolti in un momento storico molto particolare, tra la pandemia di Covid-19, che ne ha ritardato il lancio, e lo scoppio del conflitto in Ucraina. Le discussioni su ambiente e cambiamenti climatici sono state fortemente influenzate dallo stravolgimento del sistema energetico europeo a seguito del conflitto. Nei dibattiti è stata infatti espressa forte preoccupazione riguardo la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili e dai loro paesi esportatori, prima fra tutti la Russia.

Nel dibattito pubblico in materia di energia di molti paesi europei, già a partire da fine 2021 con l’aumento dei prezzi dell’energia e ancora di più dopo l’attacco di Putin all’Ucraina, le questioni di sostenibilità ambientale sono state messe in secondo piano, dopo esserne state protagoniste negli ultimi anni, per lasciare spazio a nuove preoccupazioni legate alla sicurezza degli approvvigionamenti e alla loro sostenibilità economica. Si è quindi temuto che la drammatica crisi energetica e geopolitica potesse allontanare i governi e la cittadinanza europea dagli obiettivi della transizione energetica.

Al contrario, quantomeno nel contesto della Conferenza, la risposta dei cittadini europei è stata molto chiara nell’identificare la transizione energetica come uno strumento chiave per affrontare l’attuale crisi. Infatti, tra le 49 proposte finali vi è quella di accelerare la transizione energetica al fine di rafforzare la sicurezza energetica dell’UE e ridurre la sua dipendenza dall’estero. Questo obiettivo, si legge nel rapporto finale della Conferenza, deve essere raggiunto attraverso l’aumento di investimenti nelle energie rinnovabili e in altre tecnologie verdi, il potenziamento di misure di efficienza energetica e di servizi come il trasporto pubblico a prezzi accessibili. Altre misure proposte riguardano il taglio dei sussidi ai combustibili fossili, l’adozione di tasse sul carbonio alle frontiere come strumento per finanziare innovazione e tecnologie verdi, mentre forte enfasi è stata posta sulla necessità di conseguire una transizione giusta che tuteli i lavoratori.

Le critiche e la fase di follow-up.

Nonostante l’innegabile successo della Conferenza come primo esercizio di democrazia partecipativa di questa portata, sono state mosse diverse critiche sul suo funzionamento. I

l metodo di selezione casuale dei cittadini è stato criticato in quanto non del tutto in grado di riflettere la composizione sociale dell’Ue (in particolare per livello di istruzione e rappresentatività delle minoranze).

Inoltre, le discussioni dei panel riguardavano materie spesso molto tecniche – in particolare riguardo i temi energetici e ambientali – sulle quali i cittadini venivano informati con dei briefing da parte di esperti.

Alcuni osservatori hanno sollevato dei dubbi riguardo la consapevolezza dei cittadini nel formulare proposte su materie così complesse sulle quali avevano informazioni limitate, e inoltre il criterio di scelta degli esperti avrebbe necessitato di maggiore trasparenza.

Con l’adozione delle 49 proposte finali e la chiusura dei lavori della Conferenza si è conclusa la prima fase di questo processo, che è tutt’altro che ultimato. Si è infatti ora aperta la fase di follow-up in cui le istituzioni europee dovranno decidere come dare seguito alle proposte emerse, una fase decisiva per non lasciare che il lavoro svolto resti lettera morta e che l’impegno di includere più direttamente i cittadini nella costruzione del futuro dell’Unione venga disatteso.

Il 17 giungo la Commissione ha pubblicato una valutazione dettagliata delle prossime tappe, comunicando che nuove proposte legislative verranno elaborate sulla base di quanto emerso dalla Conferenza e nuovi panel di cittadini verranno costituititi per discutere le future iniziative legislative più importanti. Le nuove proposte della Commissione e il nuovo ciclo di panel di cittadini verranno annunciati il prossimo 14 settembre dalla presidente Ursula von de Leyen in occasione del discorso sullo stato dell’Unione. In autunno inoltre si terrà un evento di feedback per fare il punto sui progressi fatti.

La leadership climatica dell’UE.

Un’altra proposta chiave sul dossier clima emersa dai lavori della Conferenza è quella di mantenere e accrescere la leadership dell’UE sui cambiamenti climatici, mantenendo fede agli impegni presi nel contesto internazionale.

Questo aspetto risulta particolarmente rilevante nel contesto attuale. Infatti, una delle sfide più complesse che gli Stati membri dell’Unione si trovano ad affrontare è quella di conciliare bisogni energetici di breve periodo – legati soprattutto a identificare fornitori di combustibili fossili alternativi alla Russia – con il mantenimento della rotta verso gli obiettivi di decarbonizzazione.

Firmare accordi con fornitori alternativi è essenziale in questa fase, tuttavia essi devono essere formulati in modo da non rallentare la transizione energetica dei paesi coinvolti, soprattutto se si tratta di economie in via di sviluppo, spesso particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici e con scarse risorse per contrastarli.

Questo significa per esempio limitare le espansioni dei settori di gas e petrolio nei loro territori, investimenti che rischiano di legare il futuro di questi paesi ai combustibili fossili e di non essere ripagati, dato che la domanda europea è destinata a ridursi rapidamente come conseguenza delle politiche di decarbonizzazione.

Per mantenere un ruolo di leadership globale nella lotta ai cambiamenti climatici e non disattendere l’impegno di sostenere i paesi più vulnerabili, sarà quindi fondamentale che i bisogni energetici di breve periodo dell’Unione non ostacolino la transizione verde sia all’interno dei propri confini sia all’estero.

Le sfide per l’Italia.

In Italia la strategia messa a punto dal governo Draghi per fronteggiare la crisi energetica si basa in buona parte sul rafforzamento del corridoio africano, con l’obiettivo di sostituire le forniture di gas russo con quelle provenienti da paesi del nord Africa e Africa subsahariana – regioni che non possono subire ulteriori ritardi nella lotta ai cambiamenti climatici, anche per prevenire un rischioso deterioramento della loro stabilità interna. L’attenta pianificazione di queste partnership energetiche sarà dunque fondamentale.

A due settimane dalle elezioni politiche, l’Italia si trova inoltre alle porte di una stagione invernale molto complessa, soprattutto per la gestione della crisi energetica e le sue conseguenze economiche. Il nuovo governo si troverà davanti sfide importanti, molte delle quali legate alle tematiche energetiche e ambientali, dove scelte non orientate a mantenere una rotta decisa verso la transizione energetica genererebbero gravi costi economici e sociali.

Consapevole di queste sfide, la comunità scientifica italiana si è mobilitata attraverso una lettera aperta indirizzata al mondo della politica, chiedendo di inserire la crisi climatica al vertice dell’agenda. Le istanze espresse nella lettera, firmata da più di 200 000 persone, fanno eco a quelle espresse dai cittadini europei nel contesto della Conferenza sul Futuro dell’Europa sui temi di ambiente e clima. Infatti, ricalcando le discussioni avvenute in sede europea, anche in Italia la società civile chiede alla politica di agire per limitare gli impatti dei cambiamenti climatici “sulla società, relativamente al suo benessere, alla sua sicurezza, alla sua salute e alle sue attività produttive”, in quanto questi “minano alla base tutto il nostro futuro”.

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