IL CROLLO DI UNA NAZIONE.
IL CROLLO DI UNA NAZIONE.
Il
Crollo Inesorabile
degli
Usa in 3 Dati.
ConoscenzealConfine.it-
(16 Settembre 2022) - Pasquale Cicalese – ci dice:
L’
“inflazione core” Usa (un particolare tipo di inflazione calcolata senza tenere
conto dei beni soggetti a forte volatilità, ovvero generi alimentari e i costi
dell’energia) è aumentata dal 5.9 al 6.3%. Wall Street martedì sera perdeva il
5%. Ah, il vostro tanto temuto Blackrock, “padrone” di tutto, ieri ha perso il
7.5%.
L’inflazione
non solo porta ad aumenti del tasso Fed Fund ma anche alla corrosione
dell’asset inflation. Blackrock, che non è altro che gestore di soldi di altri,
teme che i suoi sottoscrittori mondiali ritirino i soldi.
Gli
Usa, che da 60 anni campano di soldi altrui, cercano di attirare capitali, cosa
che gli riesce con i fessi europei, che ci stanno perdendo da un anno e mezzo,
ma altri parti del mondo, vedi la Cina, non si lasciano abbindolare.
Inoltre,
la mancanza di manifattura, cosa di cui scrive nei giorni scorsi Il sole, e il
differenziale inflazionistico con la Cina, portano al massacro economico
statunitense, così come quello europeo.
L’asset
inflation, a cui da sempre si contrappone la “lotta di barricata” della Pboc,
la banca centrale cinese, si sgonfia.
La
conseguente distruzione di capitale fittizio, unita ad un’economia reale
inesistente, modello che sta per imporsi anche da noi, porta alla perdita
egemonica statunitense.
Il
toro ferito dà le cornate a tutti, è pericolosissimo e c’è chi, come i
maggiordomi inglesi, parlano della necessità di una guerra atomica. Ma dietro c’è lo sgonfiamento del
capitale fittizio, su cui si è retta la nazione americana per 60 anni.
La
lotta di barricata porta la Cina a rivolgersi all’interno; essa vede il
collasso dell’Occidente. E c’è poi chi vorrebbe l’autonomia differenziata, nel mentre
il suo mondo di carta va a pezzi.
Paolo
Bricco scrive su Il sole 24 ore: “Nel 1950 la quota di occupati americani
nell’industria era pari al 30%, ora all’8%; la quota di commercio mondiale
riferito agli Usa nel 2000 era pari al 25,3% ora al 16.9%; la quota di beni
intermedi, che rispecchiano le intersezioni tra sistemi produttivi, è scesa in
maniera ancora più accentuata, dal 24,5 al 16.1%; la quota di beni
manifatturieri riferiti agli Usa fra il 2000 e il 2008 dal 23.2 al 15,7 % “.
Non mi
dilungo oltre, parlano i numeri. Questo è il paese di riferimento della classe
dirigente europea, da cui noi dovremmo prendere spunto. Un declino
inarrestabile. Sarei curioso di sapere quanti di quell’8% di addetti all’industria siano
occupati nell’industria degli armamenti.
Un
paese che non produce niente, con centinaia di milioni di cittadini a cui si dà
la carità e qualche decina di milioni impegnati nel Fire (immobili, finanza
assicurazioni). Stiamo facendo la stessa fine.
Se
monta la protesta, ad ora sottaciuta, di piccoli imprenditori, di
professionisti, di commercianti non l’addossate alla lamentela dei “bottegai”,
semplicemente loro sono la spia di quanto sta succedendo da decenni.
(Pasquale
Cicalese – Economista)
(lantidiplomatico.it/dettnews-il_crollo_inesorabile_degli_usa_in_3_dati/29785_47325/)
Le
Nazioni Unite possono essere
salvate dalla “nazione indispensabile”.
Lavocedinewyork.com-
Stefano Vaccara- (14 settembre 2022) – ci dice:
UNGA77:
Si apre al Palazzo di Vetro l'Assemblea Generale con l'invasione dell'Ucraina e
il futuro della Carta al centro dei dibattiti.
La
77esima Assemblea Generale dell’Onu che dalla prossima settimana vedrà
confluire i capi di stato o di governo di 193 nazioni, potrebbe diventare la
più rischiosa della storia. Potrebbe infatti segnare il destino della più
grande organizzazione internazionale, determinando se possa avere ancora un
futuro autorevole e più credibile, oppure se dovrà rassegnarsi al declino e al
totale fallimento così come toccò all’alba della Seconda Guerra Mondiale alla
Società delle Nazioni.
Tra le
problematiche e le crisi internazionali che da alcuni anni scuotono l’ONU e ne
mettono alla prova l’efficacia d’intervento – clima e sviluppo sostenibile, difesa
dei diritti umani, rifugiati e migranti, pandemia covid, fame – l’ultima crisi scatenata
dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, paese fondatore e membro
permanente del Consiglio di Sicurezza, rappresenta la scossa potenzialmente in
grado di far crollare tutto il sistema onusiano.
La
decisione di Vladimir Putin di invadere un paese membro delle Nazioni Unite –
lo aveva già fatto otto anni prima in Crimea senza scatenare la guerra, ma
riparandosi dietro un seppur contestato referendum sull’autodeterminazione – ha
calpestato il principio fondante della Carta delle Nazioni Unite:
la
sovranità di uno stato e il suo territorio, a meno di un diritto di autodifesa
da precedente aggressione, non possono essere violati da attacchi militari non
autorizzati da una risoluzione ONU.
Che
poi a violare questo principio sia stato un membro permanente del Consiglio di
Sicurezza, che con il suo diritto di veto annulla ogni reazione ONU – ma non quella dell’Assemblea
Generale, che ha approvato risoluzioni di condanna a larghissima maggioranza – ha dato l’ulteriore spallata al
sistema onusiano basato su una Carta – leggi Costituzione o Trattato – che,
doveroso a questo punto ricordare, era stata già violata anni prima e con
modalità simili.
Quella
volta a macchiarsi dell’infamia di calpestare la Carta con attacchi militari
non autorizzati (in Kosovo nel 1999 e, peggio, in Iraq nel 2003) era stata la
superpotenza che più di ogni altra aveva contribuito alla nascita e
rafforzamento delle Nazioni Unite: gli Stati Uniti d’America.
La
rappresentante permanente USA all’ONU, l’ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield,
proprio la scorsa settimana ha tenuto un discorso a San Francisco, intitolato
sul “Futuro delle Nazioni Unite”.
Pronunciato
nella stessa sala di quel Fairmont Hotel dove, il 25 aprile del 1945 – lo
stesso giorno in cui l’Italia festeggia la liberazione dal nazi-fascismo! – i delegati di cinquanta paesi si
riunirono per iniziare i lavori che porteranno due mesi dopo all’approvazione
della Carta delle Nazioni Unite, l’ambasciatrice Thomas-Greenfield ha ribadito:
“Anche
se il mondo stava affrontando la minaccia del cambiamento climatico, una
pandemia e una crisi alimentare globale, uno dei membri permanenti del
Consiglio di sicurezza ha invaso il suo vicino. La Russia ha violato la sovranità
nazionale e l’integrità territoriale. Ha violato i diritti umani e ha
perseguito una guerra aperta invece di negoziare la pace. Un membro permanente del Consiglio di
sicurezza ha colpito al cuore la Carta delle Nazioni Unite.
I
membri del Consiglio di sicurezza, e in particolare i membri permanenti, hanno
quella che il presidente Truman ha definito una “responsabilità speciale”.
In quello stesso discorso ai delegati di San
Francisco, il presidente Truman ha affermato che, cito: “La responsabilità dei grandi stati è
servire, e non dominare, i popoli del mondo”.
Servire,
non dominare.
La
guerra della Russia contro l’Ucraina è un tentativo di dominio nelle sue forme
più pure. Questa guerra mette alla prova i principi fondamentali su cui sono
state fondate le Nazioni Unite, forgiate qui al Fairmont: che l’aggressione
totale non è mai, mai accettabile.
E
così, la nostra risposta alla crisi di fiducia è stata quella di difendere la
Carta e ritenere la Russia responsabile. (…)
Gli
analisti di politica estera hanno deriso la dottrina della “nazione
indispensabile” riferita agli USA e coniata negli anni Novanta dall’allora
prima donna segretario di Stato, Madeleine Albright, che era stata in precedenza
rappresentanze permanente degli USA al Palazzo di Vetro.
Eppure
gli Stati Uniti, a guardare il loro contributo al budget delle Nazioni Unite,
appaiono sì indispensabili: il contributo di Washington al sistema ONU per il 2020, è
stato di 11,6 miliardi di dollari: oltre cinque volte di più di quello della
Cina (2 miliardi di $) e venti volte di più di quello della Russia!
Mentre
scriviamo, all’Assemblea Generale il Presidente della UNGA76, il diplomatico
maldiviano Abdullah Shahid, dopo aver condotto in porto l’Assemblea durante la
tempesta del 2022, ha dato lo scettro al nuovo presidente della 77esima AG,
l’ungherese Csaba Kőrösi, che si è presentato con il motto “Solutions Through
Solidarity, Sustainability and Science”.
Già
questa settimana apre un grande summit sull’Education (Istruzione), che avrebbe
dovuto vedere anche la partecipazione, lunedì 19, dei grandi leader incluso il
presidente Joe Biden.
I
funerali della Regina Elisabetta a Londra invece porteranno i big mondiali a
New York solo a partire da martedì, quando Kőrösi lascerà la parola al
Segretario Generale Antonio Guterres che dovrà riuscire nell’impossibile
impresa di mettere a fuoco tutte le maggiori sfide dell’ONU senza scontentare
nessuno. Guterres,
che nelle settimane precedenti all’attacco russo in Ucraina, si era
ostinatamente rifiutato di contemplare la possibilità di una invasione “in
fragrante violazione della carta Onu”, ha quindi aggiustato l’eccessiva
“prudenza” diplomatica, accusando Mosca e il suo regime di avere messo in crisi
tutto il sistema di legge internazionale basato sulla UN Charter.
Sul
podio della AG si alterneranno molti leader che sembrano fare a gara nel tenere
in tensione un mondo già scosso dalle crisi ambientali e sanitarie.
Così
Jair Bolsonaro, che come tradizione aprirà per il Brasile i discorsi dei capi
di stato e di governo, si annuncia carico dei suoi tic trumpiani, soprattutto
nel ritenere valide le elezioni solo quando si vincono.
O l’iraniano Ebrahim Raisi che avrebbe potuto
annunciare un avvenuto accordo sul nucleare e invece – almeno a quanto riferito
dal Segretario di Stato Anthony Blinken – rinnoverà l’immagine aggressiva di un
Iran che non vorrebbe rinunciare alle sue ambizioni strategiche sul nucleare ma
che né gli USA, né soprattutto Israele, hanno intenzione di concedergli.
La
Cina, che fino a qualche giorno credeva di poter imporre il “silenzio”
all’organizzazione cresciuta sul pilastro della Dichiarazione universale dei
diritti umani, grazie all’ormai ex Commissario Michelle Bachelet ha visto
invece i suoi crimini messi in vetrina al Palazzo di Vetro: è stato pubblicato
il rapporto che l’accusa di aver abusato dei diritti umani della popolazione
musulmana nella regione dello Xinjiang. La Cina di Xi, che si appresta alla
vigilia dell’UNGA77 a stringere relazioni pericolose con la Russia di Putin, si
trova al bivio: contribuire al salvataggio dell’ONU imponendo a sé stessa e
agli altri il rispetto della UN Charter, o essere determinante per il suo
definitivo crollo.
Da
altri interventi, ci si aspetta solo ulteriore confusione e incertezza, come
quando si vedrà apparire un leader libico parlare, ma non si capirà a nome di
quale nazione, dato che la Libia, che continua a dondolare sull’abisso della
guerra civile, continua ad avere due governi che si sfidano e, paradossalmente,
sono entrambi in un certo modo riconosciuti dall’ONU!
L”Ambasciatore
Maurizio Massari, è il rappresentante permanente dell’Italia alle Nazioni Unite.
E
l’Italia? Il nostro Paese, che ricordiamo è uno dei maggiori contribuenti del
sistema ONU ed il primo tra quelli occidentali nella fornitura di caschi blu
per le missioni di pace, avrà il capo del governo “dimissionario” Mario Draghi
che parteciperà ai lavori e pronuncerà il discorso all’AG – per ora previsto
per il 22 settembre, giovedì pomeriggio – proprio alla vigilia delle elezioni
del 25 settembre. Draghi a New York riceverà anche un prestigioso premio.
Non si
prevede al momento l’arrivo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio (impegnato
nella campagna elettorale), al suo posto la Sottosegretaria Marina Sereni. Ci
sarà anche la delegazione della Commissioni Esteri del Parlamento, molto
ridotta a causa delle elezioni, finora sarebbe composta da Alessandra Ermellino
(ex M5S), Ricky Olgiati (M5S) e Alberto Pagani (PD).
Alla
fine, da tutti i partecipanti all’UNGA77, ci si aspetta almeno di ricordare il
miracolo di San Francisco, quando la Carta dell’ONU nacque sulle macerie della
Seconda Guerra Mondiale e soprattutto grazie agli Stati Uniti, nazione madre
dell’ONU.
Vi
invitiamo quindi a leggere altri passaggi del discorso tenuto a San Francisco
dell’Ambasciatrice Linda Thomas Greenfield ; si nota grande differenza non solo
nei toni, ma soprattutto nella sostanza, rispetto agli anni bui di Bush figlio
e poi di Trump.
Che le
parole pronunciate da Thomas Greenfield a San Francisco siano il preludio a
quelle che pronuncerà il presidente Joe Biden a New York: solo ammettendo le
proprie colpe, si può iniziare a ristabilirne credibilità, autorevolezza, e
soprattutto forza alla UN Charter:
“Si
tratta di difendere la Carta delle Nazioni Unite. Si tratta di pace per la
prossima generazione. Si tratta di proteggere i principi delle Nazioni Unite.
Si tratta di servire, non di dominare, i popoli del mondo.
Alcuni
hanno chiesto se ci impegniamo a rispettare questi principi. Useremo la Carta
delle Nazioni Unite quando ci serve, e poi la abbandoneremo quando non lo fa? Per rispondere a questa domanda e per
dimostrare la nostra sincerità e il nostro fervido impegno nei confronti della
Carta delle Nazioni Unite, oggi sono orgogliosa di annunciare che gli Stati
Uniti aderiranno a sei chiari principi per un comportamento responsabile dei
membri del Consiglio di sicurezza.
Questi
sono standard che ci stiamo impostando e che diamo il benvenuto a tutti coloro
che ci si attengono.
Non
siamo sempre stati all’altezza di loro in passato, ma ci stiamo impegnando per
loro andando avanti. Riteniamo inoltre che questi sarebbero gli standard giusti
per tutti gli altri membri del Consiglio di sicurezza a cui impegnarsi, in
particolare i membri permanenti.
Quindi,
prima di tutto, ci impegniamo a difendere e ad agire rigorosamente in conformità con la
Carta delle Nazioni Unite. Nessun membro del Consiglio può vantare un record
perfetto su questo negli ultimi otto decenni, ma questo momento eccezionale
richiede una rinnovata leadership nella difesa della Carta.
Mireremo
a rafforzare la fede dell’appartenenza alle Nazioni Unite e l’adesione alla
Carta delle Nazioni Unite, non solo nel Consiglio di sicurezza, ma durante le
nostre azioni nelle Nazioni Unite e persino nelle nostre politiche nazionali…
In
secondo luogo, ci impegneremo pragmaticamente con tutti i membri del Consiglio per
affrontare le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali.
Le
controversie bilaterali non devono mai essere una scusa per ostacolare il
mandato del Consiglio o per rinunciare alle proprie responsabilità. Ad esempio,
per quanto non siamo d’accordo con la Cina su una serie di questioni, dobbiamo
ancora lavorare insieme per compiere progressi sul cambiamento climatico.
Terzo, ci asterremo dall’uso del veto
tranne che in situazioni rare e straordinarie. [Applausi]. In particolare,
qualsiasi membro permanente che eserciti il veto per difendere i propri atti
di aggressione perde autorità morale e dovrebbe essere ritenuto responsabile. E
noterò che dal 2009 la Russia ha posto 26 veti, 12 dei quali sono stati
raggiunti dalla Cina, mentre gli Stati Uniti hanno usato il veto solo quattro
volte.
Quarto, dimostreremo la leadership nella
difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali. In quanto difensori
della Carta e del diritto internazionale, i membri del Consiglio di sicurezza
dovrebbero essere leader mondiali nella difesa dei diritti umani, sia in patria
che all’estero. E dovremmo usare le nostre posizioni in seno al Consiglio di
sicurezza, nell’ambito del suo mandato, per fare lo stesso”.
“… E infine, come sto facendo oggi, ci
impegneremo nuovamente a sostenere la Carta delle Nazioni Unite e cercheremo di
plasmare il futuro delle Nazioni Unite. La nostra risposta alle flagranti
violazioni della Russia non può essere quella di abbandonare quei principi
fondanti. Invece, dobbiamo raddoppiare: dobbiamo raddoppiare il nostro impegno
per un mondo pacifico e mantenere ancora più stretti i nostri principi
profondamente radicati di sovranità, integrità territoriale, pace e sicurezza.
Fortunatamente,
non siamo soli in questo. Lontano da esso. Per noi, questo è l’inizio di un
dialogo, quello che il presidente Biden, il segretario Blinken e io, e tanti
altri raccoglieremo e porteremo nelle nostre conversazioni durante la settimana
ad alto livello e le settimane a venire. La nostra speranza è di radunare il
mondo dietro la Carta in cui tutti ci siamo impegnati, proprio qui, 77 anni fa.
E insieme lavoreremo per plasmarlo e riformarlo, e il sistema che ha creato,
per il futuro.
Come
ha detto Truman ai delegati di San Francisco quel primo giorno: “Per avere
buoni vicini, dobbiamo anche essere buoni vicini”.
Per
avere un buon vicino, sii tale.
Questo
è il nostro obiettivo in questa prossima Assemblea Generale delle Nazioni
Unite. Ed è ciò a cui ci impegniamo come processo inclusivo. Quindi uniamoci.
Costruiamo quel futuro pacifico e di vicinato per tutti.
Grazie”.
Lo
"Spirito di Samarcanda" sarà guidato
da
"potenze responsabili" Russia e Cina.
Thecradle.co
- Pepe Escobar – (16 settembre 2022) – Ci dice:
(media.thecradle.co/wp-content/uploads/2022/09/Samarkand-SCO-2022.jpg)
Il
vertice SCO degli attori energetici asiatici ha delineato una road map per
rafforzare il mondo multipolare.
In
mezzo a gravi scosse nel mondo della geopolitica, è così appropriato che il
vertice dei capi di stato dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) di quest'anno si sia svolto a
Samarcanda – l'ultimo crocevia della Via della Seta per 2.500 anni.
Quando
nel 329 a.C. Alessandro Magno raggiunse l'allora città sogdiana di Marakanda,
parte dell'impero achemenide, rimase sbalordito: "Tutto ciò che ho sentito su
Samarcanda è vero, tranne che è ancora più bello di quanto avessi
immaginato".
Avanti
veloce a un editoriale del presidente dell'Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev pubblicato prima del vertice della
SCO, dove sottolinea come Samarcanda ora "può diventare una piattaforma in
grado di unire e riconciliare gli Stati con varie priorità di politica
estera".
Del
resto, storicamente, il mondo dal punto di vista del landmark della Via della Seta è sempre stato "percepito come uno e indivisibile,
non diviso. Questa è l'essenza di un fenomeno unico: lo 'spirito di
Samarcanda'".
E qui
Mirziyoyev lega lo "Spirito di Samarcanda" all'originale SCO
"Shanghai Spirit" istituito all'inizio del 2001, pochi mesi prima
degli eventi dell'11 settembre, quando il mondo fu costretto a conflitti e
guerre senza fine, quasi da un giorno all'altro.
In
tutti questi anni, la cultura della SCO si è evoluta in un modo cinese
distintivo. Inizialmente, i Cinque di Shanghai erano concentrati sulla lotta al
terrorismo – mesi prima che la guerra del terrore degli Stati Uniti (corsivo
mio) metastatizzasse dall'Afghanistan all'Iraq e oltre.
Nel
corso degli anni, i "tre no" iniziali – nessuna alleanza, nessun
confronto, nessuna presa di mira da terze parti – hanno finito per equipaggiare
un veicolo ibrido veloce le cui "quattro ruote" sono "politica, sicurezza, economia e
scienze umane", complete di un'iniziativa di sviluppo globale, che contrastano
nettamente con le priorità di un Occidente egemonico e conflittuale.
Probabilmente
il più
grande takeaway del vertice di Samarcanda di questa settimana è che il
presidente cinese Xi Jinping ha presentato Cina e Russia, insieme, come "potenze globali responsabili" intenzionate a garantire l'emergere del
multipolarismo e a rifiutare l'arbitrario "ordine" imposto dagli
Stati Uniti e dalla sua visione del mondo unipolare.
Il
ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha definito "eccellente" la
conversazione bilaterale di Xi con il presidente Vladimir Putin.
Xi
Jinping, prima del loro incontro, e rivolgendosi direttamente a Putin, aveva
già sottolineato gli obiettivi comuni Russia-Cina:
"Di
fronte ai colossali cambiamenti del nostro tempo su scala globale, senza
precedenti nella storia, siamo pronti con i nostri colleghi russi a dare
l'esempio di una potenza mondiale responsabile e svolgere un ruolo di primo
piano al fine di mettere un mondo in così rapida evoluzione sulla traiettoria
di uno sviluppo sostenibile e positivo".
Più
tardi, nel preambolo della riunione dei capi di stato, Xi è andato dritto al
punto: è
importante "prevenire i tentativi da parte di forze esterne di organizzare
'rivoluzioni
colorate' nei paesi della SCO". Beh, l'Europa non sarebbe in grado di dirlo, perché
è stata rivoluzionata a colori ininterrottamente dal 1945.
Putin,
da parte sua, ha inviato un messaggio che risuonerà in tutto il Sud del mondo: "Le trasformazioni fondamentali
sono state delineate nella politica e nell'economia mondiale e sono
irreversibili".
Iran:
è show-time.
L'Iran
è stata la guest star dello show di Samarcanda, ufficialmente abbracciato come
il 9esimo membro della SCO. Il presidente Ebrahim Raisi,
significativamente, ha sottolineato prima di incontrare Putin che "l'Iran
non riconosce le sanzioni contro la Russia".
Il loro partenariato strategico sarà rafforzato. Sul fronte degli affari, una folta
delegazione composta da leader di 80 grandi aziende russe visiterà Teheran la
prossima settimana.
La
crescente interpolazione Russia-Cina-Iran – i tre principali motori
dell'integrazione eurasiatica – spaventa l'inferno dei soliti sospetti, che
potrebbero iniziare a capire come la SCO rappresenti, a lungo termine, una
seria sfida al loro gioco geoeconomico. Quindi, come ogni granello di sabbia
in ogni deserto dell'Heartland è già consapevole, la pressione geopolitica
contro il trio aumenterà esponenzialmente.
E poi
c'era il trilaterale mega-cruciale di Samarcanda: Russia-Cina-Mongolia. Non ci
sono state perdite ufficiali, ma questo trio ha probabilmente discusso del
gasdotto Power of Siberia-2 – l'inter-connettore da costruire in tutta la
Mongolia; e il ruolo rafforzato della Mongolia in un cruciale corridoio di
connettività della Belt and Road Initiative (BRI), ora che la Cina non sta
utilizzando la rotta Transiberiana per le esportazioni verso l'Europa a causa
delle sanzioni.
Putin
ha informato Xi su tutti gli aspetti dell'operazione militare speciale della Russia (SMO) in Ucraina, e
probabilmente ha risposto ad alcune domande davvero difficili, molte delle
quali circolano selvaggiamente sul web cinese da mesi.
Il che
ci porta al presser di Putin alla fine del vertice – con praticamente tutte le
domande che prevedibilmente ruotano attorno al teatro militare in Ucraina.
Il
punto chiave del presidente russo: "Non ci sono cambiamenti nel piano SMO. I compiti
principali sono in fase di attuazione". Sulle prospettive di pace, è l'Ucraina
che "non è pronta a parlare con la Russia". E nel complesso, "è
deplorevole che l'Occidente abbia avuto l'idea di usare l'Ucraina per cercare
di far crollare la Russia".
Sulla
soap opera dei fertilizzanti, Putin ha osservato: "L'approvvigionamento
alimentare, l'approvvigionamento energetico, loro (l'Occidente) hanno creato
questi problemi, e ora stanno cercando di risolverli a spese di qualcun
altro" – intendendo le nazioni più povere. "I paesi europei sono ex potenze
coloniali e hanno ancora questo paradigma della filosofia coloniale. È giunto
il momento di cambiare il loro comportamento, di diventare più civili".
Sul
suo incontro con Xi Jinping: "È stato solo un incontro regolare, è passato un bel pò
di tempo che non abbiamo avuto un incontro faccia a faccia". Hanno parlato
di come "espandere il fatturato commerciale" e aggirare le "guerre
commerciali causate dai nostri cosiddetti partner", con "l'espansione degli
insediamenti in valute nazionali che non progredisce alla velocità che
vogliamo".
Rafforzare
il multipolarismo.
Il
bilaterale di Putin con il primo ministro indiano Narendra Modi non avrebbe
potuto essere più cordiale – su un registro di "amicizia molto speciale" – con Modi che chiedeva
soluzioni serie alle crisi alimentari e dei carburanti, rivolgendosi in realtà
all'Occidente. Nel frattempo, la State Bank of India aprirà conti speciali in rupie per
gestire il commercio legato alla Russia.
Questo
è il primo viaggio all'estero di Xi dalla pandemia di Covid. Potrebbe farlo perché è totalmente
fiducioso di ricevere un terzo mandato durante il Congresso del Partito
Comunista il mese prossimo a Pechino. Xi ora controlla o ha alleati
collocati in almeno il 90% del Politburo.
L'altra
seria ragione era quella di ricaricare l'appello della BRI in stretta
connessione con la SCO. L'ambizioso progetto BRI cinese è stato ufficialmente
lanciato da Xi ad Astana (ora Nur-Sultan) nove anni fa. Rimarrà il concetto
generale di politica estera cinese per i decenni a venire.
L'enfasi
della BRI sul commercio e la connettività si lega ai meccanismi di cooperazione
multilaterale in evoluzione della SCO, riunendo le nazioni che si concentrano
sullo sviluppo economico indipendente dall'nebuloso ed egemonico "ordine
basato sulle regole". Anche l'India sotto Modi sta avendo ripensamenti
sull'affidarsi ai blocchi occidentali, dove Nuova Delhi è nel migliore dei casi
un "partner" neo-colonizzato.
Così
Xi e Putin, a Samarcanda, hanno delineato a tutti gli effetti una road map per
rafforzare il multipolarismo – come sottolineato dalla dichiarazione finale di
Samarcanda firmata da tutti i membri della SCO.
Il
puzzle kazako.
Ci
saranno dossi sulla strada in abbondanza. Non è un caso che Xi abbia iniziato
il suo viaggio in Kazakistan, la mega-strategica retroguardia occidentale della
Cina, condividendo un confine molto lungo con lo Xinjiang. Il tri-confine nel porto asciutto
di Khorgos – per camion, autobus e treni, separatamente – è piuttosto qualcosa,
un nodo BRI assolutamente chiave.
L'amministrazione
del presidente Kassym-Jomart Tokayev a Nur-Sultan (che presto sarà ribattezzata di nuovo
Astana) è
piuttosto complicata, oscilla tra orientamenti politici orientali e occidentali
e infiltrata dagli americani tanto quanto durante l'era del predecessore
Nursultan Nazarbayev, il primo presidente post-URSS del Kazakistan.
All'inizio
di questo mese, ad esempio, Nur-Sultan, in collaborazione con Ankara e British
Petroleum (BP) – che praticamente governa l'Azerbaigian – ha accettato di
aumentare il volume di petrolio sull'oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan (BTC) fino a
4 milioni di tonnellate al mese entro la fine di quest'anno. Chevron ed
ExxonMobil, molto attive in Kazakistan, fanno parte dell'accordo.
L'agenda
dichiarata dei soliti sospetti è quella di "disconnettere in ultima
analisi le economie dei paesi dell'Asia centrale dall'economia russa".
Poiché
il Kazakistan è membro non solo dell'Unione economica eurasiatica (UEE) a guida
russa, ma anche della BRI, è giusto supporre che Xi – così come Putin – abbia
discusso alcune questioni piuttosto serie con Tokayev, gli abbia detto di
capire da che parte soffia il vento e gli abbia consigliato di tenere sotto
controllo la situazione politica interna (vedi il colpo di stato abortito a
gennaio, quando Tokayev è stato di fatto salvato dall'Organizzazione del Trattato di
Sicurezza Collettiva [CSTO] a guida russa).
Non
c'è dubbio che l'Asia centrale, storicamente conosciuta come una "scatola di gemme" al
centro dell'Heartland, che percorre le antiche vie della seta e benedetta da
immense ricchezze naturali – combustibili fossili, metalli delle terre rare,
fertili terre agrarie – sarà usata dai soliti sospetti come un vaso di Pandora,
rilasciando ogni sorta di trucchi tossici contro la legittima integrazione
eurasiatica.
Ciò è
in netto contrasto con l'Asia occidentale, dove l'Iran nella SCO metterà il
turbo al suo ruolo chiave di connettività crocevia tra Eurasia e Africa, in
connessione con la BRI e l'International North-South Transportation Corridor
(INSTC).
Quindi
non c'è da meravigliarsi che gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e il Kuwait,
tutti in Asia occidentale, riconoscano da che parte soffia il vento. I tre
stati del Golfo Persico hanno ricevuto lo "status di partner" ufficiale
della SCO a Samarcanda, insieme alle Maldive e al Myanmar.
Una
coesione di obiettivi.
Samarcanda
ha anche dato un ulteriore impulso all'integrazione lungo il partenariato della
Grande Eurasia concettualizzato dalla Russia – che include l'Unione economica eurasiatica (EAEU)
– e
questo, solo due settimane dopo il rivoluzionario Eastern Economic Forum (EEF)
tenutosi a Vladivostok, sulla costa strategica del Pacifico della Russia.
La
priorità di Mosca all'EAEU è quella di attuare uno stato-unione con la
Bielorussia (che sembra destinata a diventare un nuovo membro della SCO prima
del 2024), fianco a fianco con una più stretta integrazione con la BRI. Anche
Serbia, Singapore e Iran hanno accordi commerciali con l'UEE.
La
Greater Eurasian Partnership è stata proposta da Putin nel 2015 – e sta diventando più
acuta man mano che la commissione EAEU, guidata da Sergey Glazyev, progetta
attivamente un nuovo sistema finanziario, basato sull'oro e sulle risorse
naturali e contro-agisce il sistema di Bretton Woods. Una volta che il nuovo framework è
pronto per essere testato, è probabile che il diffusore chiave sia la SCO.
Quindi
qui vediamo in gioco la piena coesione degli obiettivi – e i meccanismi di
interazione – dispiegati dal Greater Eurasia Partnership, BRI, EAEU, SCO, BRICS+ e INSTC. È una lotta titanica unire tutte
queste organizzazioni e tenere conto delle priorità geoeconomiche di ogni
membro e partner associato, ma è esattamente ciò che sta accadendo, a rotta di
collo.
In
questa festa della connettività, gli imperativi pratici vanno dalla lotta
contro i colli di bottiglia locali alla creazione di complessi corridoi
multipartitici - dal Caucaso all'Asia centrale, dall'Iran all'India, tutto
discusso in più tavole rotonde.
I
successi sono già notevoli: dalla Russia e dall'Iran che introducono
insediamenti diretti in rubli e rial, alla Russia e alla Cina che aumentano il
loro commercio di rubli e yuan al 20% – e il conteggio. Una Eastern Commodity
Exchange potrebbe essere presto istituita a Vladivostok per facilitare il
commercio di futures e derivati con l'Asia-Pacifico.
La
Cina è il principale creditore/investitore indiscusso nelle infrastrutture in
tutta l'Asia centrale. Le priorità di Pechino potrebbero essere l'importazione
di gas dal Turkmenistan e dall'Uzbekistan e di petrolio dal Kazakistan, ma la
connettività non è da meno.
La
costruzione da 5 miliardi di dollari della ferrovia
Pakistan-Afghanistan-Uzbekistan (Pakafuz), lunga 600 km, consegnerà merci
dall'Asia centrale all'Oceano Indiano in soli tre giorni invece di 30. E quella
ferrovia sarà collegata al Kazakistan e alla ferrovia già in corso di 4.380 km
di lunghezza costruita in Cina da Lanzhou a Tashkent, un progetto BRI.
Nur-Sultan
è anche
interessato a una ferrovia Turkmenistan-Iran-Türkiye, che collegherebbe il suo
porto di Aktau sul Mar Caspio con il Golfo Persico e il Mar Mediterraneo.
Türkiye,
nel frattempo, ancora osservatore della SCO e costantemente a copertura delle
sue scommesse, lentamente ma inesorabilmente sta cercando di far avanzare
strategicamente la propria Pax Turcica, dallo sviluppo tecnologico alla
cooperazione per la difesa, il tutto sotto una sorta di pacchetto
politico-economico-di sicurezza. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ne ha
discusso a Samarcanda con Putin, poiché quest'ultimo ha successivamente
annunciato che il 25% del gas russo acquistato da Ankara sarà pagato in
rubli.
Benvenuti
in Great Game 2.0
La
Russia, ancor più della Cina, sa che i soliti sospetti stanno andando per il verde. Solo nel 2022, c'è stato un fallito
colpo di stato in Kazakistan a gennaio; problemi a Badakhshan, in Tagikistan, a
maggio; problemi in Karakalpakstan in Uzbekistan a giugno; gli scontri di
confine non-stop tra Tagikistan e Kirghizistan (entrambi i presidenti, a
Samarcanda, hanno almeno concordato un cessate il fuoco e di rimuovere le
truppe dai loro confini).
E poi
c'è l'Afghanistan recentemente liberato – con non meno di 11 province
attraversate dall'ISIS-Khorasan e dai suoi associati tagiki e uzbeki.
Migliaia di aspiranti jihadisti di Heartland
hanno fatto il viaggio a Idlib in Siria e poi di nuovo in Afghanistan –
"incoraggiati" dai soliti sospetti, che useranno ogni trucco sotto il
sole per molestare e "isolare" la Russia dall'Asia centrale.
Quindi
la Russia e la Cina dovrebbero essere pronte ad essere coinvolte in una sorta
di Immensamente complesso, rotolando Grande Gioco 2.0 sotto steroidi, con gli
Stati Uniti / NATO che combattono l'Eurasia unita e la Turchia nel mezzo.
Su una
nota più brillante, Samarcanda ha dimostrato che esiste almeno un consenso tra
tutti gli attori delle diverse organizzazioni istituzionali che: la sovranità
tecnologica determinerà la sovranità; e che la regionalizzazione – in
questo caso eurasiatica – è destinata a sostituire la globalizzazione governata
dagli Stati Uniti.
Questi
giocatori capiscono anche che l'era Mackinder e Spykman sta volgendo al termine
– quando l'Eurasia era "contenuta" in una forma semi-smontata in modo
che le potenze marittime occidentali potessero esercitare il dominio totale,
contrariamente agli interessi nazionali degli attori del Sud globale.
Ora è
un gioco di palla completamente diverso. Per quanto la Greater Eurasia
Partnership sia pienamente supportata dalla Cina, entrambi favoriscono l'interconnessione
dei progetti BRI e EAEU, mentre la SCO modella un ambiente comune.
Sì,
questo è un progetto di civiltà eurasiatica per il 21San secolo e oltre. Sotto
l'egida dello "Spirito di Samarcanda".
Il
punto di svolta di Kharkov.
Unz.com-
PEPE ESCOBAR – ( SETTEMBRE 13, 2022) – ci dice:
Le
guerre non si vincono con le psyops. Chiedete alla Germania nazista. Tuttavia,
è stato un urlo guardare i media NATOstan su Kharkov, gongolando all'unisono
per "il colpo di martello che mette fuori combattimento Putin",
"i russi sono nei guai" e inanità assortite.
Fatti:
le forze russe si sono ritirate dal territorio di Kharkov sulla riva sinistra
del fiume Oskol, dove ora sono trincerate. Una linea Kharkov-Donetsk-Lugansk
sembra essere stabile. Krasny Liman è minacciato, assediato dalle forze ucraine
superiori, ma non in modo letale.
Nessuno
– nemmeno Maria Zakharova, l'equivalente femminile contemporaneo di Hermes, la
messaggera degli Dei – sa cosa progetta lo Stato Maggiore russo (RGS), in
questo caso e in tutti gli altri. Se dicono di sì, stanno mentendo.
Allo
stato attuale, ciò che si può dedurre con un ragionevole grado di certezza è
che una linea – Svyatogorsk-Krasny Liman-Yampol-Belogorovka – può resistere abbastanza a lungo
con le loro attuali guarnigioni fino a quando le nuove forze russe non saranno
in grado di piombare e costringere gli ucraini a tornare oltre la linea
Seversky Donets.
Si è
scatenato l'inferno – virtualmente – sul perché Kharkov è successo.
Le repubbliche popolari e la Russia non hanno
mai avuto abbastanza uomini per difendere una linea del fronte lunga 1.000 km. Tutte le capacità di intelligence
della NATO se ne sono accorte – e ne hanno tratto profitto.
Non
c'erano forze armate russe in quegli insediamenti: solo Rosgvardia, e queste non sono
addestrate a combattere le forze militari.
Kiev
ha attaccato con un vantaggio di circa 5 a 1. Le forze alleate si ritirarono per
evitare l'accerchiamento. Non ci sono perdite di truppe russe perché non
c'erano truppe russe nella regione.
Probabilmente
questo potrebbe essere stato un caso isolato. Le forze di Kiev gestite dalla NATO
semplicemente non possono fare un replay da nessuna parte nel Donbass, o a
Kherson, o a Mariupol. Questi sono tutti protetti da unità forti e regolari
dell'esercito russo.
È
praticamente un dato di fatto che se gli ucraini rimangono intorno a Kharkov e
Izyum saranno polverizzati dalla massiccia artiglieria russa.
L'analista
militare Konstantin Sivkov sostiene che "la maggior parte delle
formazioni pronte al combattimento delle forze armate dell'Ucraina sono ora a
terra (...) siamo riusciti ad attirarli allo scoperto e ora li stiamo
sistematicamente distruggendo".
Le
forze ucraine gestite dalla NATO, stipate di mercenari della NATO, avevano
trascorso 6 mesi ad accumulare attrezzature e riservare risorse addestrate
esattamente per questo momento di Kharkov – mentre spedivano oggetti usa e
getta in un enorme tritacarne. Sarà molto difficile sostenere una catena di
montaggio di asset primari sostanziali per realizzare di nuovo qualcosa di
simile.
I
prossimi giorni mostreranno se Kharkov e Izyum sono collegati a una spinta
della NATO molto più ampia.
L'umore nell'UE controllata dalla NATO si sta
avvicinando alla Desperation Row.
C'è
una forte possibilità che questa controffensiva significhi che la NATO entra in
guerra per sempre, mentre mostra una negazione plausibile piuttosto tenue: il
loro velo di – falsa – segretezza non può mascherare la presenza di
"consiglieri" e mercenari in tutto lo spettro.
La
decommunizzazione come de-energizzazione.
L'Operazione
Militare Speciale (SMO), concettualmente, non riguarda la conquista del territorio
di per sé: è, o lo era, finora, la protezione dei cittadini russofoni nei
territori occupati, quindi la smilitarizzazione e la denazificazione.
Questo
concetto potrebbe essere sul punto di essere modificato. Ed è qui che si
inserisce il dibattito tortuoso e complicato sulla mobilitazione della Russia.
Tuttavia, anche una mobilitazione parziale potrebbe non essere necessaria: ciò
che è necessario sono riserve per consentire adeguatamente alle forze alleate
di coprire le linee posteriori / difensive. I combattenti hardcore del tipo del
contingente Kadyrov avrebbero continuato a giocare in attacco.
È
innegabile che le truppe russe abbiano perso un nodo strategicamente importante
a Izyum. Senza di essa, la completa liberazione del Donbass diventa
significativamente più difficile.
Eppure
per l'Occidente collettivo, la cui carcassa si insinua all'interno di una vasta
bolla di simulacri, sono i pysops che contano molto più di una piccola avanzata
militare: quindi tutto ciò che gongola sull'Ucraina che è in grado di cacciare
i russi da tutta Kharkov in soli quattro giorni – mentre avevano 6 mesi per
liberare il Donbass, e non l'hanno fatto.
Quindi,
in tutto l'Occidente, la percezione dominante – freneticamente fomentata dagli
esperti di psyops – è che l'esercito russo sia stato colpito da quel
"colpo di martello" e difficilmente si riprenderà.
Kharkov
è stato preziosamente cronometrato – poiché il generale Winter è dietro
l'angolo; la questione ucraina soffriva già della stanchezza dell'opinione
pubblica; e la macchina della propaganda aveva bisogno di una spinta per
lubrificare la linea di ratti armatori multimiliardaria.
Eppure
Kharkov potrebbe aver forzato la mano di Mosca per aumentare il quadrante del
dolore. Ciò è avvenuto attraverso alcuni Mr. Kinzhals ben posizionati che hanno
lasciato il Mar Nero e il Caspio per presentare i loro biglietti da visita alle
più grandi centrali termiche nel nord-est e nell'Ucraina centrale (la maggior
parte delle infrastrutture energetiche si trova nel sud-est).
Metà
dell'Ucraina ha improvvisamente perso energia e acqua. I treni si fermarono. Se Mosca decide di eliminare tutte
le principali sottostazioni ucraine contemporaneamente, bastano pochi missili
per distruggere completamente la rete energetica ucraina – aggiungendo un nuovo
significato alla "decommunizzazione": de-energizzazione.
Secondo
un'analisi di esperti, "se i trasformatori di 110-330 kV sono danneggiati,
allora non sarà quasi mai possibile metterlo in funzione (...) E se questo
accade almeno in 5 sottostazioni contemporaneamente, allora tutto è kaput. Età
della pietra per sempre."
Il
funzionario del governo russo Marat Bashirov era molto più colorato: "L'Ucraina si sta immergendo nel
19 ° secolo. Se non c'è un sistema energetico, non ci sarà un esercito ucraino.
Il dato di fatto è che il generale Volt è venuto in guerra, seguito dal
generale Moroz ("gelo").
Ed è
così che potremmo finalmente entrare nel territorio della "vera
guerra" – come nella famigerata battuta di Putin che "non abbiamo
ancora iniziato nulla".
Una
risposta definitiva arriverà dalla RSG nei prossimi giorni.
Ancora
una volta, infuria un dibattito infuocato su ciò che la Russia farà dopo
(l'RGS, dopo tutto, è imperscrutabile, ad eccezione di Yoda Patrushev).
L'RGS
potrebbe optare per un serio attacco strategico del tipo decapitante altrove –
come nel cambiare argomento in peggio (per la NATO).
Potrebbe
optare per l'invio di più truppe per proteggere la linea del fronte (senza
mobilitazione parziale).
E
soprattutto potrebbe allargare il mandato SMO – andando alla distruzione totale
delle infrastrutture di trasporto - energetiche ucraine, dai giacimenti di gas
alle centrali termiche, alle sottostazioni e alla chiusura delle centrali
nucleari.
Bene,
potrebbe sempre essere un mix di tutto quanto sopra: una versione russa di
Shock and Awe – che genera una catastrofe socio-economica senza precedenti.
Questo è già stato telegrafato da Mosca: possiamo riportarvi all'età della
pietra in qualsiasi momento e nel giro di poche ore . Le tue città
accoglieranno General Winter con zero riscaldamento, acqua gelata, interruzioni
di corrente e nessuna connettività.
Un'operazione
antiterrorismo.
Tutti
gli occhi sono puntati sul fatto che i "centri decisionali" – come a
Kiev – possano presto ottenere una visita Kinzhal. Ciò significherebbe che
Mosca ne ha avuto abbastanza. I siloviki certamente lo fecero. Ma non ci siamo
– ancora. Perché per un Putin eminentemente diplomatico il vero gioco ruota
attorno a quelle forniture di gas all'UE, quel piccolo giocattolo della
politica estera americana.
Putin
è certamente consapevole che il fronte interno è sotto pressione. Rifiuta anche
una mobilitazione parziale. Un indicatore perfetto di ciò che può accadere in
inverno sono i referendum nei territori liberati. La data limite è il 4
novembre – il Giorno dell'Unità Nazionale, una commemorazione introdotta nel
2004 per sostituire la celebrazione della rivoluzione d'Ottobre.
Con
l'adesione di questi territori alla Russia, qualsiasi controffensiva ucraina si
qualificherebbe come un atto di guerra contro le regioni incorporate nella
Federazione Russa. Tutti sanno cosa significa.
Ora
può essere dolorosamente ovvio che quando l'Occidente collettivo sta conducendo
una guerra – ibrida e cinetica, con tutto, dalle massicce informazioni ai dati
satellitari e orde di mercenari – contro di te, e tu insisti nel condurre
un'operazione militare speciale (SMO) definita in modo vago, potresti essere
pronto per alcune brutte sorprese.
Quindi
lo status di SMO potrebbe essere in procinto di cambiare: è destinato a
diventare un'operazione antiterrorismo.
Questa
è una guerra esistenziale. Un affare da fare o morire. L'obiettivo
geopolitico/geoeconomico americano, per dirla senza mezzi termini, è
distruggere l'unità russa, imporre un cambio di regime e saccheggiare tutte
quelle immense risorse naturali. Gli ucraini non sono altro che carne da
cannone: in una sorta di contorto remake della Storia, gli equivalenti moderni
della piramide dei teschi Timur cementò in 120 torri quando rase al suolo
Baghdad nel 1401.
Se può
prendere un "colpo di martello" per l'RSG per svegliarsi. Prima o
poi, i guanti – di velluto e altro – saranno spenti.
Esci
da SMO. Entra in guerra.
L’India
chiede a Putin
di
fermare la guerra, lo Zar:
“Io
voglio fermarla, Zelensky no”
msn.com-il
Riformista - Umberto De Giovannangeli – (17-9-2022) - ci dice:
Le
sconfitte sul campo pesano. Le vecchie certezze vacillano. I toni cambiano e le
granitiche certezze iniziali cominciano a incrinarsi. Come già nel colloquio
col collega cinese, Xi Jinping, Vladimir Putin, ha riconosciuto le
“preoccupazioni” dell’India per il conflitto in Ucraina incontrando il premier
Narendra Modi, a margine del vertice Sco a Samarcanda.
“Conosco
la tua posizione sul conflitto in Ucraina, le tue preoccupazioni che esprimi
costantemente. Faremo di tutto per garantire che finisca il prima possibile.
Sfortunatamente, la leadership dell’Ucraina ha annunciato il suo rifiuto di
negoziare e ha annunciato che vuole raggiungere i suoi obiettivi con mezzi
militari, come si suol dire, sul campo di battaglia”, ha detto Putin,
assicurando Modi di tenerlo “informato su quanto accade lì”.
Poche
ore dopo ecco la correzione di tiro: Mosca ha dato finora una risposta
contenuta ai “tentativi dell’Ucraina di danneggiare le infrastrutture russe, ma
la risposta sarà più seria se essi continueranno”, dice Putin, citato dalle
agenzie russe.
Il presidente russo fa riferimento agli “attacchi
terroristici alle centrali nucleari russe”, precisando che Mosca “farà tutto
per prevenire” tali azioni.
Inoltre,
aggiunge che il piano per l’operazione militare speciale in Ucraina “non subirà
correzioni”. E poi un cavallo di battaglia dello zar: l’attacco all’Occidente.
Per decenni “l’Occidente ha coltivato l’idea di un collasso della Russia”.
Mosca, quindi, ha lanciato l’operazione militare speciale in Ucraina per impedire
che venisse creata una enclave “da usare per fare vacillare” la stessa Russia,
sentenzia Putin, citato dalla Tass.
Da
Mosca a Washington. L’Amministrazione Biden, scrive il Washington Post, prevede
mesi di combattimenti intensi, di vittorie e sconfitte per entrambe le parti.
Un periodo di scontri intensi per tutto l’autunno, con
entrambe le parti che tentano di arrivare nella miglior posizione possibile
prima che l’inverno complichi tutto in quella che è una guerra con conseguenze
globali.
I funzionari Usa prevedono una traiettoria
“non lineare” della guerra. Finora gli Stati Uniti hanno assicurato all’Ucraina
aiuti per la sicurezza per 15 miliardi di dollari.
Il giornale scrive di una strategia Usa che
cerca di tenere insieme il sostegno internazionale e di espandere gli aiuti
militari americani senza armi ancor più pensati nell’immediato per evitare una
guerra più ampia, mentre appare remota la possibilità di un negoziato per
fermare i combattimenti e l’obiettivo Usa resta aiutare le forze di Kiev ad avanzare
per rafforzare la posizione dell’Ucraina in caso di difficili trattative, complicate per Volodymyr Zelensky
perché anche dopo i denunciati abusi l’opinione pubblica ucraina è sempre più
contraria a eventuali concessioni e Mosca resta inaffidabile.
Dalle
schermaglie dialettiche all’orrore quotidiano di una guerra giunta al 205simo
giorno.
Diversi corpi trovati nel sito della fossa comune di Izyum avevano corde
intorno al collo e le mani legate, secondo quanto riportato sul sito della Reuters.
Una circostanza che fa pensare che potrebbero non essere rimasti uccisi in
bombardamenti e attacchi aerei. Ma anche segni di tortura sono stati rinvenuti
su alcuni dei cadaveri.
Lo ha
detto a Radio Liberty il commissario della Verkhovna Rada per i diritti umani,
Dmitry Lubinets, secondo cui alcuni cadaveri sono stati rinvenuti “con le mani
legate” e sono stati uccisi “a bruciapelo”.
Lubinets
ha denunciato che nella fossa comune sono state sepolte “intere famiglie,
comprese quelle con bambini”. Più di 400 corpi sono stati trovati in una fossa
comune a Izyum. Con segni di tortura, fra questi bambini, alcune vittime di
attacchi missilistici, combattenti delle forze armate ucraine”.
Lo ha scritto su Telegram Volodymyr Zelensky,
aggiungendo che “la Russia lascia solo morte e sofferenza dietro di sé. Non
scapperete. Non riuscirete a nascondervi. La punizione sarà giustamente
terribile”. Al messaggio Zelensky ha allegato le foto dell’esumazione dei corpi
che è iniziata ieri. “Il mondo intero dovrebbe vederlo — ha precisato —. Un
mondo in cui non dovrebbero esserci crudeltà e terrorismo. Ma tutto questo è
lì. E il suo nome è Russia”.
Di
guerra e sanzioni è tornato a parlare Mario Draghi. “Le sanzioni funzionano. Bisogna
capire questo, altrimenti non si capirebbero certi comportamenti recenti del
presidente Putin e bisogna continuare su quel fronte. E continuare sul fronte
di sostegno all’Ucraina per la guerra di liberazione da chi ha invaso il paese.
Questa è
stata la linea del mio governo. All’interno del centrodestra ci sono tanti
punti di vista. Quello di Salvini prevale? Non lo posso dire questo. È una
visione (quella
di Salvini ndr) che il governo attuale non condivide”. Così il presidente del Consiglio
durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi. “Bisogna continuare sul fronte delle
sanzioni” contro la Russia, “questa è la linea politica che il governo ha
seguito. E bisogna continuare con il sostegno all’Ucraina fino a che non vinca
la guerra di liberazione perché tale è, da chi ha invaso il suo Paese”.
INQUIETUDINI
ESISTENZIALI:
LA
GUERRA FINANZIARIA CONTRO
L’OCCIDENTE
INIZIA A MORDERE.
Comedonchisciotte.org-
Alastair Crooke- strategic-culture.org- (17 Settembre 2022) – ci dice:
L’Europa
sta diventando una lontana provincia arretrata di una “Roma imperiale” in
declino, scrive Alastair Crooke.
Il
Club di Roma, fondato nel 1968 come collettivo di pensatori di spicco che
riflettevano su questioni globali, ha assunto come leitmotiv la dottrina
secondo cui considerare i problemi dell’umanità individualmente, in modo
isolato o come “problemi in grado di essere risolti nei propri termini”, era destinato al
fallimento: “tutti sono interconnessi”. Oggi, a distanza di cinquant’anni,
questa è diventata una “verità rivelata” indiscussa per un segmento chiave
delle popolazioni occidentali.
Il
Club di Roma ha poi attirato immediatamente l’attenzione del pubblico con il
suo primo rapporto, “I limiti dello sviluppo”. Pubblicato nel 1972, le simulazioni
al computer del Club suggerivano che la crescita economica non poteva
continuare all’infinito a causa dell’esaurimento delle risorse.
La crisi petrolifera del 1973 aumentò la
preoccupazione dell’opinione pubblica per questo problema. Il rapporto divenne
“virale”.
Conosciamo
la storia. Ad
un gruppo di pensatori occidentali furono poste tre domande:
il
pianeta può sostenere un livello di consumo di tipo europeo che si diffonde
ovunque, in tutto il mondo? La risposta di questi pensatori è stata “chiaramente no”.
Seconda
domanda: riuscite ad immaginare gli Stati occidentali che rinunciano
volontariamente al loro tenore di vita con la deindustrializzazione? Risposta: “decisamente no”.
Bisogna
quindi imporre alle popolazioni riluttanti un livello inferiore di consumo e di
utilizzo di energia e risorse? Risposta: “decisamente sì”.
La
seconda “grande riflessione” del Club risale al 1991, con la pubblicazione di
“La prima grande rivoluzione”. In esso si osserva che, storicamente, l’unità sociale o politica è stata
comunemente motivata dall’immaginazione di nemici comuni:
“Nel
cercare un nemico comune contro cui unirci, ci è venuta l’idea che
l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la
carestia e simili, facessero al caso nostro.
Nella loro totalità e nelle loro interazioni,
questi fenomeni costituiscono una minaccia comune… [e] tutti questi pericoli
sono causati dall’intervento umano nei processi naturali. È solo attraverso un cambiamento di
atteggiamento e di comportamento che possono essere superati. Il vero nemico è quindi l’umanità
stessa. “
Non si
tratta di discutere se l’“emergenza clima” sia fondata o meno su basi scientifiche non
politicizzate. Ma piuttosto di sottolineare che: “È, ciò che è”.
La sua
iconografia psichica è stata catturata dal culto di Greta.
(Laverita.info
del 14 settembre 2022-Franco Battaglia ci dice -tramite il geofisico ungherese
Laszlo Szarka-che “l’emergenza è l’energia non il clima: questo errore può causare
disastri”, ndr).
A
prescindere dai suoi meriti – o dai suoi difetti – uno strato significativo
della società occidentale è giunto alla convinzione – di cui è convinto
intellettualmente e in cui crede – che l’“Emergenza Climatica” sia così evidentemente corretta che
qualsiasi prova e argomentazione contraddittoria dovrebbe essere respinta con
forza.
Questa
è diventata la paura esistenziale dell’Occidente: la crescita della
popolazione, la limitatezza delle risorse e il consumo eccessivo sono il segno della
fine del nostro pianeta. Dobbiamo salvarlo.
Non
sorprende che attorno a questo “modo di pensare” si siano sviluppati i
precedenti temi occidentali della politica dell’identità, dell’eugenetica,
della sopravvivenza
darwiniana degli eletti (e dell’eliminazione delle iterazioni “inferiori” della vita)
e del nichilismo europeo (il vero nemico siamo “noi”, noi stessi).
Naturalmente,
l’“altra” sfaccettatura di questa proiezione occidentale della “realtà”, che
sta diventando evidente, è il fatto che l’Europa semplicemente non ha forniture
di energia o di materie prime pronte a cui attingere (avendo voltato le spalle
alla fonte più ovvia).
E come ha osservato Elon Musk, “per far sì che la civiltà continui a
funzionare, abbiamo bisogno di petrolio e gas”; aggiungendo che “qualsiasi persona ragionevole ne
trarrebbe la conclusione”. Non solo il petrolio e il gas dovrebbero continuare a
essere utilizzati per far funzionare la civiltà, ma Musk ha affermato che ulteriori esplorazioni “sono
giustificate in questo momento”.
I
governi occidentali, quindi, devono o invitare alla miseria economica su una
scala che metterebbe a dura prova il tessuto politico democratico di qualsiasi
Paese, oppure affrontare la realtà che i
problemi di approvvigionamento energetico pongono effettivamente un limite alla
possibilità di portare avanti il progetto “Salva Ucraina” (senza provocare la
rivolta popolare per i conseguenti aumenti dei prezzi).
Questa
“realtà” reale, ovviamente, limita per estensione anche l’obiettivo geostrategico
occidentale derivato associato all’Ucraina, che è il salvataggio dell’“ordine
delle regole liberali” (così centrale per le cure occidentali).
La
“faccia” opposta a questo timore centrale è quindi la preoccupazione che
l’ordine mondiale sia già così rotto – perché la fiducia è venuta meno – che
l’ordine mondiale emergente non sarà affatto modellato dalla visione liberale
occidentale, ma da un’alleanza di economie sempre più vicine economicamente e
militarmente – la cui fiducia negli Stati Uniti e in Europa è venuta meno.
Nel
nostro mondo un tempo interconnesso, dove Zoltan Pozsar suggerisce che quelle
che lui chiama Chimerica (il termine per la manifattura cinese, comodamente sposata con la
società consumistica statunitense) ed Eurussia (dove l’energia e le materie prime
russe facevano leva sul valore della base manifatturiera europea) non esistono
più – sono state sostituite da “Chussia”.
Se la
Chimerica non funziona più, e nemmeno l’Eurussia, inesorabilmente le placche
tettoniche globali si riposizionano intorno alla relazione speciale tra Russia
e Cina (“Chussia”) – che, insieme alle economie di base del blocco BRICS che agiscono
in alleanza con il “Re” e la “Regina” sulla scacchiera eurasiatica, una nuova “partita celeste” è
forgiata dal divorzio della Chimerica e dell’Eurussia…
In
breve, la struttura globale è cambiata e, con la scomparsa della fiducia,
“il commercio come lo conosciamo non tornerà ed è per questo che nemmeno
l’inflazione alle stelle sarà domata a breve… Le catene di approvvigionamento
globali funzionano solo in tempo di pace, ma non quando il mondo è in guerra,
sia essa una guerra calda o una guerra economica”, osserva Pozsar, il
principale guru dell’idraulica finanziaria occidentale.
Oggi
stiamo assistendo all’implosione delle lunghe catene di approvvigionamento “just in time” dell’ordine mondiale
globalizzato, in cui le aziende presumono di potersi procurare sempre ciò di cui
hanno bisogno, senza spostare il prezzo:
“I
fattori scatenanti [dell’implosione] non sono la mancanza di liquidità e di
capitale nel sistema bancario e nel sistema bancario ombra. Ma la mancanza di scorte e di
protezione nel sistema produttivo globalizzato, in cui progettiamo a casa
nostra e gestiamo da casa nostra, ma ci riforniamo, produciamo e spediamo tutto
dall’estero – e
dove le materie prime, le fabbriche e le flotte di navi sono dominate da Stati
– Russia e Cina – che sono in conflitto con l’Occidente”. (Pozsar)
Ma
ancora più significativo è il “quadro generale”: l’interconnessione e la
fiducia che si sono verificate sono state ciò che – molto semplicemente – ha
sostenuto la bassa inflazione (i prodotti cinesi a basso costo e l’energia
russa a basso costo). E dalla bassa inflazione è scaturito l’elemento di
accompagnamento dei bassi tassi di interesse. L’insieme di questi elementi
costituisce la “materia” stessa del progetto globale occidentale.
Pozsar
spiega che:
Gli
Stati Uniti si sono arricchiti molto grazie al QE. Ma la licenza per il QE è
arrivata dal regime di ‘bassa inflazione’ consentito dalle esportazioni a basso
costo provenienti da Russia e Cina. Naturalmente, gli Stati Uniti, che si
trovano in cima alla catena alimentare dell’economia globale, non vogliono che
il regime di ‘bassa inflazione’ finisca, ma se la Chimerica e l’Eurussia
finiscono come sindacati, il regime di bassa inflazione dovrà finire, punto.
Queste
rappresentano essenzialmente le inquietudini esistenziali orientaliste. Anche la Russia e la Cina, tuttavia,
hanno una propria inquietudine esistenziale, separata. Essa deriva da una
diversa fonte di ansia.
È che
le guerre infinite ed eterne dell’America, intraprese per giustificare il suo
espansionismo politico e finanziario predatorio e la sua ossessione di stendere
una coperta NATO che avvolga l’intero pianeta, finiranno – inevitabilmente – un
giorno in una guerra, una guerra che diventerà nucleare e rischierà di porre
fine al nostro pianeta.
Abbiamo
quindi due ansie, entrambe potenzialmente esistenziali. E scollegate, che si
passano l’un l’altra inascoltate. L’Occidente insiste sul fatto che l’emergenza climatica è
primordiale, mentre la Russia, la Cina e gli Stati “dell’isola mondo di Mackinder” cercano di costringere l’Occidente
ad abbandonare
la sua presunzione di missione globale, la sua visione egemonica e il suo
rischioso militarismo.
La
questione per la Russia-Cina è quindi come (parafrasando Lord Keynes) cambiare
atteggiamenti di lungo periodo, che risalgono a secoli fa, nel breve termine,
senza entrare in guerra. Quest’ultima affermazione è particolarmente
pertinente, poiché un egemone che si indebolisce è tanto più incline a sfogare la sua
rabbia e la sua frustrazione.
La
risposta di Lord Keynes è stata che era necessario un “colpo” à outrance alle
percezioni di lunga data. Per compiere questa “operazione”, la Russia ha sfruttato in
primo luogo il tallone d’Achille di un’economia occidentale sovralimentata, che
consuma molto di più di quanto produce come output, come mezzo per colpire le
percezioni radicate attraverso il dolore economico.
In
secondo luogo, appropriandosi dell’emergenza climatica, la Russia sottrae all’Occidente
l’ex sfera globale occidentale, come mezzo per minare la percezione di sé stessa –
godendo di un’immaginaria approvazione globale.
La
prima strada è stata aperta dall’imposizione di sanzioni alla Russia da parte
dell’Europa. È probabile che il Cremlino abbia ampiamente previsto la risposta
occidentale alle sanzioni quando ha deciso di lanciare l’Operazione militare
speciale il 24 febbraio (dopo tutto, c’era il precedente del 1998). E quindi,
probabilmente, la leadership russa ha anche calcolato che le sanzioni si
sarebbero ritorte contro l’Europa – imponendo una miseria economica di
dimensioni tali da mettere alla prova il tessuto della politica democratica,
lasciando i suoi leader a fare i conti con un’opinione pubblica arrabbiata.
Il
secondo percorso è stato escogitato attraverso un’estensione concertata del
potere russo attraverso partenariati asiatici e africani su cui sta costruendo
relazioni politiche – basate sul controllo delle forniture globali di
combustibili fossili e di gran parte del cibo e delle materie prime del mondo.Mentre l’Occidente esorta il “resto
del mondo” ad abbracciare gli obiettivi Net Zero, Putin si offre di liberarlo
dall’ideologia radicale dell’Occidente sul cambiamento climatico.
L’argomentazione
russa ha anche una certa bellezza estetica: l’Occidente ha voltato le spalle ai
combustibili fossili, pianificando di eliminarli del tutto in un decennio o
poco più. E
vuole che voi (il non Occidente) facciate lo stesso. Il messaggio della Russia ai suoi
partner è che capiamo bene che questo non è possibile; le vostre popolazioni
vogliono elettricità, acqua pulita e industrializzazione. Potete avere petrolio e gas naturale,
dicono, e a prezzi scontati rispetto a quelli che l’Europa deve pagare (rendendo le vostre esportazioni più
competitive).
L’asse
Russia-Cina sta spingendo verso una porta aperta. I non occidentali pensano che
l’Occidente abbia la sua alta modernità e che ora gli voglia togliere via la
scala di sotto, in modo che altri non gli si possano unire. Ritengono che questi “obiettivi”
occidentali, come le norme ESG (Environment, Social and Governance), non siano altro che un’altra forma
di imperialismo economico. Inoltre, i valori proclamati dai Non Allineati di
autodeterminazione, autonomia e non interferenza esterna sono oggi molto più
interessanti dei valori occidentali, che hanno poca presa in gran parte del
mondo.
La
“bellezza” di questo audace “furto” dell’ex sfera occidentale sta nel fatto che
i produttori di materie prime producono meno energia, ma intascano maggiori entrate e
godono del beneficio dell’aumento dei prezzi delle materie prime che aumenta le
valutazioni delle valute nazionali, mentre i consumatori ottengono energia e
pagano in valute nazionali.
Eppure…
questo approccio russo-cinese sarà sufficiente a trasformare lo spirito
occidentale? Un Occidente malconcio inizierà ad ascoltare? È possibile, ma ciò che sembra aver
scosso tutti, e che potrebbe essere stato inaspettato, è stata l’esplosione di
russofobia viscerale emanata dall’Europa sulla scia del conflitto in Ucraina e,
in secondo luogo, il modo in cui la propaganda è stata elevata a un livello
tale da precludere qualsiasi “marcia indietro”.
Questa
metamorfosi potrebbe durare ancora a lungo, mentre l’Europa sprofonda
nell’essere una lontana provincia arretrata di una “Roma imperiale” in declino.
(Alastair
Crooke, strategic-culture.org)
(Alastair
Crooke. Ex diplomatico britannico, fondatore e direttore del “Forum sui
conflitti” con sede a Beirut.)
PERCHÉ
LA RUSSIA VINCERÀ
COMUNQUE,
NONOSTANTE
I
VANTAGGI DELL’UCRAINA.
Comedonchisciotte.org-Scott
Ritter-Consortium News-(16 settembre 2022) -ci dice:
La
Russia non sta più combattendo contro un esercito ucraino equipaggiato dalla
NATO, ma contro un esercito della NATO presidiato da ucraini. Tuttavia, la
Russia ha ancora il sopravvento nonostante la battuta d'arresto di Kharkiv.
Il 1°
settembre l’esercito ucraino ha iniziato una grande offensiva contro le forze
russe schierate nella regione a nord della città meridionale di Kherson. Dieci
giorni dopo, gli ucraini hanno ampliato la portata e l’entità delle operazioni
offensive per includere la regione intorno alla città settentrionale di
Kharkov.
Mentre
l’offensiva di Kherson è stata respinta dai russi, con le forze ucraine che
hanno subito pesanti perdite sia in termini di uomini che di materiali, l’offensiva di Kharkov si è rivelata
un grande successo, con migliaia di chilometri quadrati di territorio
precedentemente occupato dalle truppe russe riportati sotto il controllo del
governo ucraino.
Invece
di lanciare la propria controffensiva contro gli ucraini che operavano nella
regione di Kharkov, il Ministero della Difesa russo (MOD) fece un annuncio che
molti trovarono scioccante: “Per raggiungere gli obiettivi dichiarati di un’operazione
militare speciale per liberare il Donbass “, hanno annunciato i russi via
Telegram, “è
stato deciso di raggruppare le truppe russe… per aumentare gli sforzi in
direzione di Donetsk “.
Sminuendo
l’idea di una ritirata, il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che “a tal fine, entro tre giorni, è
stata condotta un’operazione per limitare e organizzare il trasferimento delle
truppe [russe] nel territorio della Repubblica Popolare di Donetsk”.
“Durante
questa operazione “, si legge nel rapporto, “sono state effettuate diverse
operazioni diversive e dimostrative, indicando le reali azioni delle truppe”
che, hanno dichiarato i russi, hanno portato alla “eliminazione di oltre
duemila combattenti ucraini e stranieri, nonché di più di cento unità di
veicoli blindati e artiglieria “.
Per
citare l’immortale Yogi Berra, si trattava di un “déjà vu”.
Fasi
della guerra.
Il 25
marzo, il colonnello generale Sergei Rudskoy, capo della Direzione Operativa
Principale dello Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione Russa, ha
tenuto un briefing in cui ha annunciato la fine di quella che ha definito la
Fase Uno dell'”operazione militare speciale” (SMO) della Russia in Ucraina.
Gli
obiettivi dell’operazione, iniziata il 24 febbraio quando le truppe russe hanno
attraversato il confine con l’Ucraina, erano quelli di provocare “danni tali
alle infrastrutture militari, alle attrezzature e al personale delle Forze
armate ucraine” da immobilizzarle e impedire qualsiasi rafforzamento
significativo delle forze ucraine schierate nella regione del Donbass.
Rudskoy
aveva poi annunciato che le truppe russe si sarebbero ritirate e riorganizzate
per potersi “concentrare sull’obiettivo principale: la completa liberazione del
Donbass “.
Così è
iniziata la Fase Due.
Il 30
maggio ho pubblicato un articolo su Consortium News in cui discutevo della
necessità di una Fase Tre. Ho notato che
“Sia
la Fase Uno che la Fase Due dell’operazione russa sono state specificamente
adattate ai requisiti militari necessari per eliminare la minaccia posta a
Lugansk e Donetsk dall’accumulo di potenza militare ucraina nell’Ucraina
orientale. … Ad un certo punto, presto, la Russia annuncerà di aver sconfitto
le forze militari ucraine schierate a est e, così facendo, porrà fine alla nozione
di minaccia imminente che ha dato alla Russia la giustificazione legale per
intraprendere la sua operazione”.
Un
tale risultato, scrivevo, “lascerebbe la Russia con una serie di obiettivi
politici non raggiunti, tra cui la denazificazione, la smilitarizzazione, la
neutralità permanente dell’Ucraina e l’adesione della NATO a un nuovo quadro di
sicurezza europeo secondo le linee tracciate dalla Russia nelle sue proposte di
trattato del dicembre 2021. Se la Russia dovesse fermare le sue operazioni militari in
questo momento “, affermavo, “cederebbe la vittoria politica all’Ucraina, che
‘vince’ non perdendo “.
Questa
linea di pensiero si basava sulla mia convinzione che “se in passato si poteva sostenere che
una minaccia imminente sarebbe continuata ad esistere finché le forze ucraine
avessero avuto una potenza di combattimento sufficiente a riconquistare la
regione del Donbass, oggi una simile argomentazione non può essere proposta “.
In
breve, ritenevo che l’impeto per l’espansione della Russia in una terza fase
sarebbe sorto solo dopo aver completato la sua missione di liberazione del
Donbass nella fase due. “ l’ Ucraina “, scrivevo, “anche con la massiccia infusione
di assistenza militare da parte della NATO, non sarebbe mai stata in grado di
minacciare una conquista russa della regione del Donbass“.
Mi
sbagliavo.
Anne
Applebaum, scrittrice neoconservatrice di The Atlantic, ha recentemente
intervistato il tenente generale Yevhen Moisiuk, vice comandante in capo delle
forze armate ucraine, in merito al successo dell’operazione offensiva ucraina.
“Ciò che
ci sorprende davvero “, ha detto Moisiuk, “è che le truppe russe non stanno
reagendo “.
La
Applebaum ha dato una sua interpretazione alle parole del generale. “Se gli si
offre la scelta di combattere o di fuggire “, ha scritto dei soldati russi,
“molti di loro sembrano fuggire il più velocemente possibile “.
Secondo
la Applebaum, il successo ucraino sul campo di battaglia ha creato una nuova
realtà, in cui gli ucraini, conclude, “potrebbero vincere questa guerra” e,
così facendo, portare “alla fine del regime di Putin “.
Non mi
sbagliavo così tanto.
Dottrina
sovietica e NATO.
Veicoli
militari russi bombardati dalle forze ucraine, 8 marzo 2022.
La guerra è un affare complicato. La Applebaum sembra ignorare questo
aspetto. Sia l’esercito ucraino che quello russo sono grandi organizzazioni
professionali sostenute da istituzioni progettate per produrre guerrieri
qualificati.
Entrambi i militari sono ben guidati, ben equipaggiati e ben preparati a
svolgere le missioni loro assegnate. Sono tra le più grandi organizzazioni
militari d’Europa.
Le
forze armate russe, inoltre, sono composte da ufficiali di altissimo livello,
che hanno seguito una formazione approfondita nelle arti militari. Sono esperti di strategia, operazioni
e tattiche. Conoscono il loro mestiere.
Da
parte sua, l’esercito ucraino ha subito una trasformazione radicale negli anni
successivi al 2014, dove la dottrina dell’era sovietica è stata sostituita da
una dottrina ibrida che incorpora la dottrina e le metodologie della NATO.
Questa
trasformazione ha subito una forte accelerazione dopo l’invasione russa, con la
transizione delle forze armate ucraine da un equipaggiamento pesante più
vecchio, di epoca sovietica, a un arsenale che rispecchia più da vicino
l’organizzazione e l’equipaggiamento delle nazioni della NATO, che stanno
fornendo miliardi di dollari in equipaggiamento e addestramento.
Gli
ucraini, come le loro controparti russe, sono professionisti militari esperti
nella necessità di adattarsi alla realtà del campo di battaglia.
L’esperienza
ucraina, tuttavia, è complicata dal tentativo di fondere due approcci
dottrinali alla guerra eterogenei (l’era sovietica e la moderna NATO) in
condizioni di combattimento. Questa complessità crea opportunità di errore, e
gli errori sul campo di battaglia spesso si traducono in perdite – perdite
significative.
La
Russia ha combattuto tre diversi stili di guerra nei sei mesi successivi al suo
ingresso in Ucraina. La prima è stata una guerra di manovra, progettata per
impadronirsi di quanto più territorio possibile per modellare il campo di
battaglia militarmente e politicamente.
L’operazione
è stata condotta con circa 200.000 militari russi e alleati, che si sono
scontrati con un esercito ucraino in servizio attivo di circa 260.000 uomini,
sostenuto da 600.000 riservisti.
Il rapporto standard di 3:1 tra attaccante e difensore
non è stato applicato: i russi hanno cercato di usare la velocità, la sorpresa
e l’audacia per minimizzare il vantaggio numerico dell’Ucraina, sperando in un
rapido collasso politico in Ucraina che avrebbe impedito qualsiasi
combattimento importante tra le forze armate russe e ucraine.
Questo
piano ha avuto successo in alcune aree (nel sud, ad esempio, intorno a Kherson),
e ha bloccato le truppe ucraine nelle loro posizioni e ha causato il
dirottamento dei rinforzi lontano dalle zone critiche di operazione. Ma ha
fallito dal punto di vista strategico: gli ucraini non sono crollati, ma si
sono solidificati, assicurando una lunga e dura battaglia.
La
seconda fase dell’operazione russa ha visto i russi riorganizzarsi per
concentrarsi sulla liberazione del Donbass. Qui, la Russia ha adattato la sua
metodologia operativa, utilizzando la sua superiorità di fuoco per condurre
un’avanzata lenta e deliberata contro le forze ucraine, trincerate in vaste
reti difensive e, così facendo, ha raggiunto rapporti di perdite inauditi, con
dieci o più ucraini uccisi o feriti per ogni vittima russa.
Mentre
la Russia avanzava lentamente contro le forze ucraine, gli Stati Uniti e la
NATO hanno fornito all’Ucraina miliardi di dollari in equipaggiamento militare,
tra cui l’equivalente di diverse divisioni corazzate (carri armati, veicoli da
combattimento corazzati, artiglieria e veicoli di supporto), insieme a un’ampia
formazione operativa su questo equipaggiamento presso installazioni militari al
di fuori dell’Ucraina.
In
breve, mentre la Russia era impegnata a distruggere l’esercito ucraino sul
campo di battaglia, l’Ucraina era impegnata a ricostituire quell’esercito,
sostituendo le unità distrutte con forze fresche estremamente ben equipaggiate,
ben addestrate e ben guidate.
La
seconda fase del conflitto ha visto la Russia distruggere il vecchio esercito
ucraino. Al suo posto, la Russia ha affrontato unità territoriali e nazionali
mobilitate, sostenute da forze ricostituite addestrate dalla NATO. Ma il grosso
delle forze addestrate dalla NATO è stato tenuto in riserva.
La
terza fase – NATO vs. Russia.
Ritirata
dei russi da Kharkiv domenica.
Queste
sono le forze che sono state impegnate negli attuali combattimenti. La Russia
si trova in una vera e propria guerra per procura con la NATO, di fronte a una
forza militare di tipo NATO che viene sostenuta logisticamente dalla NATO, addestrata
dalla NATO, dotata di intelligence NATO e che lavora in armonia con i
pianificatori militari della NATO.
Ciò
significa che l’attuale controffensiva ucraina non dovrebbe essere vista come
un’estensione della seconda fase della battaglia, ma piuttosto come l’inizio di una
nuova terza fase che non è un conflitto ucraino-russo, ma un conflitto
NATO-russo.
Il
piano di battaglia ucraino ha il marchio “Made in Bruxelles”. La composizione delle forze è stata
determinata dalla NATO, così come i tempi e la direzione degli attacchi.
L’intelligence della NATO ha individuato con
cura le falle nelle difese russe e ha identificato i nodi critici di comando e
controllo, di logistica e di concentrazione delle riserve che sono stati presi
di mira dall’artiglieria ucraina, che opera sulla base di un piano di controllo
del fuoco creato dalla NATO.
In
breve, l’esercito ucraino che la Russia ha affrontato a Kherson e nei dintorni
di Kharkov era diverso da qualsiasi avversario ucraino affrontato in
precedenza. La Russia non stava più combattendo contro un esercito ucraino
equipaggiato dalla NATO, ma piuttosto contro un esercito della NATO armato da
ucraini.
L’Ucraina
continua a ricevere miliardi di dollari in assistenza militare e attualmente ha
decine di migliaia di militari in fase di addestramento intensivo nei Paesi
della NATO.
Ci
sarà una quarta fase, e una quinta fase… tutte le fasi necessarie prima che
l’Ucraina esaurisca la sua volontà di combattere e morire, che la NATO
esaurisca la sua capacità di continuare a rifornire l’esercito ucraino, o che
la Russia esaurisca la sua volontà di combattere un conflitto inconcludente in
Ucraina. A maggio ho definito la decisione degli Stati Uniti di fornire
miliardi di dollari in assistenza militare all’Ucraina “una svolta epocale “.
Fallimento
massiccio dell’intelligence.
Quello
che stiamo vedendo oggi in Ucraina è come questo denaro abbia cambiato le carte
in tavola. Il
risultato è un maggior numero di morti tra le forze ucraine e russe, di civili
e di attrezzature distrutte.
Se la
Russia vuole prevalere, tuttavia, dovrà identificare i suoi numerosi fallimenti
che hanno portato al successo dell’offensiva ucraina e adattarsi di
conseguenza. Innanzitutto, l’offensiva ucraina intorno a Kharkov rappresenta uno dei più
gravi fallimenti di intelligence da parte di una forza militare professionale dopo l’incapacità israeliana di
prevedere l’assalto egiziano al Canale di Suez che diede il via alla Guerra dello
Yom Kippur del 1973.
Gli
ucraini avevano segnalato la loro intenzione di condurre un’offensiva nella
regione di Kherson già da molte settimane. Sembra che quando l’Ucraina ha
iniziato i suoi attacchi lungo la linea di Kherson, la Russia abbia pensato che
si trattasse della tanto attesa offensiva e abbia fatto affluire riserve e
rinforzi su questo fronte.
Gli
ucraini sono stati respinti con gravi perdite, ma non prima che la Russia
avesse impegnato le sue riserve di teatro. Quando pochi giorni dopo l’esercito
ucraino attaccò nella regione di Kharkov, la Russia fu colta di sorpresa.
E poi
c’è la misura in cui la NATO si è integrata in ogni aspetto delle operazioni
militari ucraine.
Come è
potuto accadere? Un fallimento dell’intelligence di questa portata suggerisce
carenze sia nella capacità della Russia di raccogliere dati di intelligence,
sia nell’incapacità di produrre valutazioni tempestive e accurate per la
leadership russa. Per essere affrontato in modo adeguato, questo richiederà una
revisione da cima a fondo. In breve, le teste rotoleranno – e presto. Questa
guerra non si fermerà presto e l’Ucraina continua a prepararsi per future
azioni offensive.
Perché
la Russia vincerà comunque.
Alla
fine, credo ancora che il gioco finale rimanga lo stesso: la Russia vincerà. Ma
il costo del prolungamento di questa guerra è diventato molto più alto per
tutte le parti coinvolte.
Il
successo della controffensiva ucraina deve essere messo nella giusta
prospettiva.
Le
perdite che l’Ucraina ha subito, e sta ancora subendo, per ottenere questa
vittoria sono insostenibili. L’Ucraina ha esaurito le sue riserve strategiche,
che dovranno essere ricostituite se l’Ucraina vuole continuare ad avanzare su
questa linea. Ci vorranno mesi.
La
Russia, nel frattempo, non ha perso altro che uno spazio indifendibile. Le
vittime russe sono state minime e le perdite di equipaggiamento sono state
prontamente sostituite.
La
Russia ha in realtà rafforzato la sua posizione militare creando forti linee
difensive nel nord in grado di resistere a qualsiasi attacco ucraino,
aumentando al contempo la potenza di combattimento disponibile per completare
il compito di liberare il resto della Repubblica Popolare di Donetsk sotto il
controllo ucraino.
La
Russia ha una profondità strategica di gran lunga superiore a quella
dell’Ucraina. La Russia sta iniziando a colpire obiettivi infrastrutturali critici,
come le centrali elettriche, che non solo paralizzeranno l’economia ucraina, ma
anche la sua capacità di spostare rapidamente grandi quantità di truppe via
treno.
La
Russia trarrà insegnamento dalla sconfitta di Kharkov e continuerà a perseguire
gli obiettivi dichiarati della sua missione.
In
conclusione, l’offensiva di Kharkov è stata il massimo per l’Ucraina, mentre la
Russia non ha ancora toccato il fondo. La Russia deve operare dei
cambiamenti per risolvere i problemi identificati con la sconfitta di Kharkov.
Vincere una battaglia è una cosa, vincere una guerra un’altra.
Per
l’Ucraina, le enormi perdite subite dalle proprie forze, combinate con i danni
limitati inflitti alla Russia, significano che l’offensiva di Kharkov è, nella
migliore delle ipotesi, una vittoria di Pirro, che non cambia la realtà
fondamentale che la Russia sta vincendo, e vincerà, il conflitto in Ucraina.
(consortiumnews.com/2022/09/12/scott-ritter-why-russia-will-still-win-despite-ukraines-gains/)
(Scott Ritter è un ex ufficiale dei
servizi segreti del Corpo dei Marines degli Stati Uniti che ha prestato
servizio nell’ex Unione Sovietica per l’attuazione dei trattati sul controllo
degli armamenti, nel Golfo Persico durante l’operazione Desert Storm e in Iraq
per supervisionare il disarmo delle armi di distruzione di massa.)
Italians.
Italians.corriere.it-(16-9-2022)
- risponde Beppe Severgnini – ci dice:
Da
Alex Conforti:
Dear
Mr. Severgnini, qui 'down under' si ha l'impressione che in caso 'of an Italian
election' a maggioranza conservatrice o populista, le sinistre aspettino il fatidico annuncio
di una marcia su Roma.
E visto il pessimismo, o invero il terrore generale di
un'elezione vincente a furor di fiamma patriotica, c'è già chi pensa ad una
guerra civile.
Chi
fermerà i nuovi federali correre attraverso i vicoli e le strade di un'Italia
dichiarata nera, con il manganello alla cintola e la boccetta d'olio di ricino
in mano?
Ma
l'Ue naturalmente, ruler incontrastata di una nazione bluff, di uno stato
vassallo, 'of a puppet state' senza una vera e propria autonomia. Interverrà
con le sue direttive, non servirà il manganello o l'olio di ricino. Ma si sa, queste mie sopra indicate
fantasmagorie della sinistra son solo 'cheap' propaganda, favole di partito per
manipolare le masse. Le stesse identiche esagerazioni e propaganda usata continuamente
dalla destra.
'Any
way', sia
quel che sia, sarà i burocratici europei a dirvi cosa fare, quando e come.
Sceglieranno anche i colori da potere usare e non: stendardi, logos, motti e
aneddoti.
E
Giorgia Meloni o chi per lei, sempre se otterrà la maggioranza ubbidirà,
rispettosa ed in silenzio.
Shoosh
ed in riga! Tutti questi teatrini mediatici, chat show televisivi, a cosa
mirano veramente? A cercare di convincere gli elettori che l'Italia è ancora
una nazione indipendente e in pieno possesso dei suoi incerti destini?
Severgnini:
“L’Italia
è una nazione indipendente, una democrazia inserita in un sano contesto
internazionale: Unione Europea, Nato e non solo. Qualunque governo uscirà dalle
urne dopo il 25 settembre dovrà tenerne conto, e per fortuna. Guerra civile in
Italia? Impensabile: siamo una nazione antica e tutt’altro che stupida. Il
resto sono solo fantasie sovraniste…
Non mi
dica che le piacciono, Alex d'Australia!”
Sfogliamondo:
le difficoltà di Mosca
dopo
la controffensiva di Kiev.
Agi.it-
Carmelo Rapisarda – (12 settembre 2022) - ci dice:
Sulle
prime pagine dei giornali internazionali gli sviluppi della guerra condividono
lo spazio con l'addio alla regina Elisabetta II.
AGI -
Le vittorie delle truppe ucraine che hanno riconquistato le regioni
nordorientali del Paese mettendo in fuga gli invasori russi trovano ampio
spazio sulle prime pagine internazionali, che offrono una varietà di
riflessioni sulle prospettive del conflitto e sulle conseguenze che la disfatta
può avere sulla solidità del potere di Putin.
Resta tra le notizie in evidenza anche il
lutto della Gran Bretagna per la morte della regina Elisabetta, con fotografie
e cronache del corteo funebre che ha attraversato ieri la Scozia fino a
Edinburgo.
Washington
Post.
La
ritirata delle truppe russe d’invasione di fronte all’avanzata degli ucraini è
la notizia principale sulla prima pagina del Washington Post, che in un
reportage da Zaliznychne, località nei pressi di Kharkiv, descrive la fuga
scomposta di militari travestiti da civili ucraini, che pedalano su biciclette
rubate nei cortili delle case lasciando dietro di sé carri armati abbandonati e
fucili sparpagliati dappertutto.
Gli
abitanti raccontano l’angosciosa occupazione, con un coprifuoco severissimo
alle 18 e l’obbligo di tenere le luci di casa spente: chi trasgrediva, veniva
ucciso.
“L'apparente
crollo delle forze russe ha provocato onde d'urto a Mosca”, assicura il Post,
che mette in luce le dichiarazioni del leader ceceno, Ramzan Kadyrov,
intenzionato a “Informare la leadership russa della reale situazione sul
campo”, se non ci saranno cambiamenti immediati nella strategia”.
In evidenza anche la quasi paralisi degli uffici
elettorali che dovrebbero preparare le elezioni di midterm di novembre ma sono
ingolfati da richieste, presentate da sostenitori dell'ex presidente Donald
Trump, di documenti ufficiale sulla gestione delle presidenziali del 2020:
molti funzionari, secondo il giornale, temono che si tratti di una campagna
coordinata per paralizzare lo svolgimento delle necessarie attività
pre-elettorali.
Al
tema si collega un approfondimento sull’arresto, in Florida, di molti
pregiudicati accusati di frode elettorale per aver votato nel 2020 malgrado i
loro precedenti penali. Spazio anche alla commemorazione delle vittime dell’11
settembre e al corteo funebre della regina Elisabetta attraverso la Scozia.
New
York Times.
“Mosca stupita ammette di aver perso
la maggior parte di Kharkiv”: così titola il New York Times che riserva tutta
la fascia alta della sua prima pagina all’avanzata degli ucraini e la ritirata
dei russi.
Una
disfatta sul campo che, sottolinea il Nyt, “mina l'immagine di competenza e
forza che Putin ha lavorato per due decenni per costruire” e rappresenta per
lui “una sfida politica”.
Perché
per quanto i media russi si limitino a parlare di “riposizionamento” delle
truppe, la propaganda non può “oscurare la situazione difficile in cui si trova
ora Putin, a capo di una guerra di sei mesi contro un nemico sempre più
energico e con la popolazione russa che non sembra essere preparata per i
sacrifici che potrebbero derivare dall’aggravarsi del conflitto”.
Per il
momento, la reazione Putin è stata di intensificare “la brutalità della sua
campagna, una concessione alle voci favorevoli alla guerra”, con attacchi
missilistici alle infrastrutture in tutta l'Ucraina orientale e centrale, che
hanno fatto precipitare nell'oscurità parti del Paese.
Ma,
secondo il Nyt, “non è chiaro fino a che punto la Russia - con i suoi arsenali
informatici, chimici e nucleari - potesse essere disposta ad arrivare per
fermare lo slancio dell'Ucraina”, mentre “emergono diverse prove del disordine
all'interno della classe dirigente russa”.
Tra
gli altri argomenti in primo piano, la riduzione della povertà infantile negli
Usa, con un calo de 59% rispetto al 1993, la mancanza di aiuti ai Paesi in via
di sviluppo per il contrasto del vaiolo delle scimmie, e la vittoria di Alcaraz
agli open Usa di tennis.
Wall
Street Journal.
Truppe
russe “in rotta” nella regione di Kharkiv e Ucraina che riprende l’iniziativa
infliggendo agli invasori uno dei peggiori rovesci dall’inizio della guerra:
così descrive la situazione sul campo il Wall Street Journal, che al successo
dell’avanzata ucraina dedica il titolo principale della sua prima pagina.
Le
conquiste da un lato galvanizzano le forze armate di Kiev, mentre dal punto di
vista pratico ne rimpolpano l’arsenale perché gli ucraini di impadroniscono di
blindati e mitragliatori abbandonati dai russi in fuga.
Dunque,
sottolinea il Wsj, “sebbene l'Ucraina sia ancora lontana dalla vittoria, la sua
migliorata posizione sul terreno la rafforza in eventuali negoziati di pace con
la Russia”.
Per
contro, è un interrogativo come reagirà Putin: “Resta una questione aperta se le
sconfitte lo rendano più o meno minaccioso per l'Ucraina e l'Occidente”,
secondo il giornale, che cita analisti convinti che “l’ultima buona arma” in
mano al Cremlino resti adesso il gas e che se l’Occidente riuscirà a resistere
a questo inverno di penuria “le cose si metteranno male” per il leader russo.
Ma
l’Europa soffre molto per crisi energetica, nota il quotidiano in un
approfondimento sul tema: la chiusura delle forniture russe di gas ha spinto il
continente “sull'orlo della recessione e minaccia di infliggere danni
permanenti alle sue attività manifatturiere”, con poche imprese rimaste indenne
e produzione in affanno dalla siderurgia alla chimica, dall’alimentare all’auto.
Tanto
che si pone la domanda se non si tratti dell'inizio “di una nuova era di
deindustrializzazione in Europa”.
Nota il Wsj che “il continente potrebbe non avere mai
più accesso al gas russo a basso costo che lo ha aiutato a competere con gli Stati
Uniti ricchi di risorse e a compensare gli alti costi del lavoro, le rigorose
regole sul lavoro e le rigide normative ambientali”. In evidenza anche la presa di
posizione dell'investitore di hedge fund Dan Loeb contro l’intenzione di Disney
di cedere il canale televisivo di sport Espn, e il lutto della Gran Bretagna
per la regina, illustrato da due grandi fotografie.
Financial
Times.
L’apertura
del Financial Times ancora sul lungo addio del Regno Unito alla regina
Elisabetta, e sul viaggio che il nuovo re Carlo III si appresta a intraprendere
in Scozia, Galles e Irlanda del Nord per ribadire l’unità della Gran Bretagna
di fronte all’emergere di spinte separatiste.
Ma il titolo forte della prima pagina è per i
“significativi guadagni” territoriali dell’offensiva ucraina contro gli
invasori russi, in quella che finora è “la più grave sconfitta” per Putin.
Il
primo obiettivo delle forze di Kiev, scrive il giornale, è adesso quello di
mettere le regioni riconquistate al riparto da un possibile contrattacco delle
truppe di Mosca. Il quotidiano ha parlato col ministro ucraino della Difesa,
Oleksij Reznikov, molto cauto:
“Certamente dobbiamo essere preoccupati, è da anni che
siamo preoccupati di questa guerra”, ha affermato. Reznikov ha sottolineato che
mentre nella regione di Khrakiv gli ucraini hanno sfondato, stanno invece
facendo progressi molto più lentamente in quella di Kherson, dove è stata
lanciata una controffensiva simultanea ma i russi stanno opponendo una maggiore
resistenza perché, ha spiegato il ministro, si tratta di una regione agricola e
gli invasori possono usare come trincee i molti e ramificati canali di
irrigazione.
Insomma,
conclude Ft, gli ultimi successi sul campo “non significano che gli ucraini
stiano per ricacciare i russi oltre confine”.
Un titolo è infine dedicato al crescente attivismo
della Cina nel salvataggio, con generosi prestiti, di Paesi che rischiano il
tracollo finanziario a causa del loro alto debito: Pechino è diventata un
competitore del Fondo monetario internazionale e ha erogato dal 2017 a oggi
crediti per 33 miliardi di dollari, i cui maggiori beneficiari sono stati
Argentina, Pakistan e Sri Lanka.
Il timore degli analisti è che i finanziamenti
cinesi finiscano con l’aggravare le crisi di questi Paesi, che senza dover
ricorrere all’Fmi possono evitare di intraprendere le dolorose riforme cui il
Fondo condiziona i propri prestiti.
The
Times.
Interamente
dedicata al corteo funebre della regina Elisabetta la prima pagina del Times,
che titola sulla grande partecipazione dei sudditi: sono previste code di
cinque miglia (circa 8 chilometri) a Westminster dove si calcola che almeno
750.000 persone accoreranno per rendere l’ultimo omaggio al feretro della
sovrana. Saranno dispiegati almeno 10.000 agenti di polizia per garantire
l’ordine e il governo ha diffuso linee guida rivolte a chi vorrà andare a
Westminster, con l’invito a portare con sé acqua e cibo sufficienti e a
prepararsi a un’attesa che potrebbe anche durare oltre 24 ore. Il giornale, che
offre ben 15 pagine di cronaca, racconta anche il corteo funebre che ha
attraversato la Scozia tra ali di folla, ed evidenzia “lo straordinario
rispetto” mostrato dagli scozzesi per la regina scomparsa.
Le
Monde.
“Vladimir
Putin indebolito dalla debacle militare in Ucraina”, afferma Le Monde su suo
sito web, cui bisogna fare riferimento visto che il lunedì non esce l’edizione
cartacea del quotidiano francese.
Un
servizio richiamato in home page mette l’accento sui primi segnali di aperto
dissenso con Putin che affiorano nelle istituzioni russe. La notizia è che due gruppi di
consiglieri comunali di San Pietroburgo e di Mosca, hanno chiesto a Vladimir
Putin di lasciare il potere, perché ha fallito.
Gli
eletti di Smolninskoye (un distretto di San Pietroburgo), in particolare, hanno inviato una lettera ufficiale
alla Duma, la camera bassa del Parlamento, per chiedere la destituzione del
capo dello Stato per “tradimento”.
Motivazione:
le ostilità in Ucraina "danneggiano la sicurezza della Russia e dei suoi
cittadini", così come l'economia, e non sono riuscite a fermare l'avanzata
della Nato verso i confini russi.
Iniziative, nota Le Monde, “che, pur senza possibilità di
successo, riflettono la stanchezza della popolazione di fronte a una campagna
militare che dura da più di sei mesi” e che sembra destinata alla
sconfitta. Più in basso il titolo sulla “spettacolare controffensiva” degli
ucraini contro le truppe russe.
Le
Figaro.
Invece
che sull’addio alla regina, come la maggioranza dei giornali, Le Figaro punta
il suo obiettivo sul nuovo re, Carlo III, definito in apertura come un sovrano
che vuole riformare la monarchia. Ma che dovrà anche fronteggiare “le sfide
all’unità del suo regno”, contenendo le spinte indipendentiste di Scozia e
Irlanda del Nord.
Il
giornale, che parla dell’inizio di “una nuova era”, prevede che il re “non
esprimerà le proprie idee sugli argomenti più spinosi”, ma regnerà con “saggezza,
competenza e compassione”.
Non
sarà “un re militante ma attivo”, che “si spingere al limite delle sue
prerogative per far avanzare le proprie idee”.
Sono
l’ecologia, l’agricoltura biologica, la lotta contro il cambiamento climatico i
temi “ai quali ha consacrato la vita”, ricorda il giornale, e sottolinea che
sono “in sintonia con l’attualità e con le attese dell’opinione pubblica”,
tanto che “molti vedono già in lui un unificatore”.
Insomma,
secondo Le Figaro, Carlo non sarà quel “re di transizione” col solo compito di
passare lo scettro al figlio William: è vero che è il più anziano a salire sul
trono britannico. Ma è anche quello che si è preparato più a lungo a regnare, e
questa è la sua carta vincente.
El Pais.
La
notizia del giorno per El Pais è la morte dello scrittore spagnolo Javier
Marias, che il quotidiano omaggia non solo come uno dei maggiori romanzieri
contemporanei, ma anche come suo editorialista.
Il
giornale lo ricorda come “il migliore a scrivere in Spagna e il migliore nel
trattare le donne”, ossia i personaggi femminili.
“Marias
ha trovato una voce, un tema e uno stile così unici da renderlo un fenomeno
eccentrico, all'interno della letteratura spagnola e forse anche per sé stesso” e la sua scrittura “è diversa
dalle altre.
È
facile parodiare, è impossibile da imitare”, si legge sul quotidiano, che
rievoca la peculiare tecnica dello scrittore “che se aveva il primo paragrafo,
aveva già un romanzo intero”. Il suo merito è stato “inserire la letteratura spagnola
contemporanea nella letteratura internazionale”.
Spazio
anche alla “diada”, la giornata in cui i catalani celebrano la loro “festa
nazionale”, appuntamento partecipatissimo dagli indipendentisti, che quest’anno
ne hanno l’occasione per un attacco contro il governo regionale, accusato di
non impegnarsi abbastanza per la secessione dalla Spagna. Solo un piccolo richiamo per la
guerra in Ucraina rinvia a un approfondimento nelle pagine interne su un
particolare aspetto del conflitto: la sua importanza vitale per l’industria
bellica russa.
Frankfurter
Allgemeine Zeitung.
Le
truppe russe sono in ritirata dalla regione di Kharkiv e l’Ucraina prevede “un
effetto valanga”, titola la Frankfurter Allgemeine Zeitung che apre con
l’avanzata delle truppe di Kiev e la fuga di quelle di Mosca dai territori
occupati.
Sull’onda
di questa disfatta, rileva la Faz, a Mosca si torna a parlare di colloqui con
l'Ucraina e il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha affermato che la Russia
non rifiuta i negoziati.
Ma
forte dei successi il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha respinto
l’approccio, dichiarando che i negoziati con la Russia sono attualmente
"impossibili".
Mentre
il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov ha detto che "il secondo
esercito più grande del mondo scapperà presto" dall’Ucraina e che non ci si
può più accontentare del ritiro della Russia sulle sue posizioni all'inizio
dell'anno.
Il
giornale nota che “il crollo del fronte russo nella regione di Kharkiv è
tutt'altro che una vittoria, ma potrebbe cambiare le sorti di questa guerra” ed esorta, in un editoriale,
l'Occidente a “rafforzare lo slancio in favore dell'Ucraina” con un “chiaro ed eloquente aumento delle
consegne di armi” che “in questo momento rafforzerebbe lo spirito combattivo
degli ucraini e, come è appena apparso chiaro, causerebbe un ulteriore calo del
già scarso morale delle forze armate russe”.
Dunque,
per la Faz, “è giunto il momento che la Germania, in particolare, non dica più solo
ciò che non è possibile, ma mostri determinazione”. Tra gli altri argomenti, l’anno di
servizio sociale obbligatorio che la Cdu propone per i giovani tedeschi,
l’addio dei sudditi alla regina Elisabetta, la scomparsa dello scrittore
spagnolo Javier Marias.
China
Daily.
Il
messaggio di congratulazioni inviato da Xi Jinping a Carlo III per la sua ascesa
al trono britannico è in primo piano sul China Daily, che evidenzia la volontà
del presidente cinese di “lavorare con il nuovo re per rafforzare la
comunicazione su questioni globali al fine di fornire benefici ai due paesi e
ai loro popoli e contribuire alla pace e allo sviluppo mondiale”.
Xi ha
sottolineato che quest'anno ricorre il 50esimo anniversario dell'instaurazione
di rapporti diplomatici a livello di ambasciatori tra Cina e Regno Unito, e si
è disponibile a “compiere sforzi congiunti per migliorare la comprensione
reciproca e l'amicizia tra i due popoli ed espandere gli scambi amichevoli e la
cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra i Paesi”.
Resta
il fatto che la nuova premier britannica Liz Truss ha in programma una
revisione della politica estera nei confronti della Cina, declassandola dallo
stato di nazione “competitrice” a quello di “minaccia” per la sicurezza
nazionale.
Quotidiano
del Popolo.
Due
interviste, entrambe in chiave anti Usa, sono in evidenza sul People’s Daily,
edizione in inglese dell’organo del Partito comunista cinese.
La
prima è con l’ex ammiraglio della Marina militare turca Cihat Yayci, oggi a
riposo, l’altra con Wichai Kinchong Choi, vicepresidente della banca
thailandese Kasikornbank.
La
tesi di Yayci, nella sintesi del quotidiano, è che “la questione
dell'insicurezza alimentare globale è stata consapevolmente inventata e
ipotizzata dagli Stati Uniti per perseguire le proprie politiche egemoniche”.
L’ex
ammiraglio cita la nota frase di Kissinger “controlla il petrolio e controllerai
gli Stati, controlla il cibo e controllerai i popoli”, per argomentare che se l'Ucraina ha
smesso di esportare grano, mais, olio di girasole e fertilizzanti “lo ha fatto sotto l'influenza degli
Stati Uniti e dell'Occidente”, sicché questi vengano acquistati “principalmente
in Stati Uniti e Canada, anche con prezzi più elevati".
Il banchiere thailandese esplicita un monito
contro il “disaccoppiamento” economico dalla Cina perseguito dagli Usa e dall’Occidente:
“Data la
resilienza economica e la posizione fondamentale della Cina nell'economia
globale e nelle catene di approvvigionamento, coloro che parlano del
disaccoppiamento dalla Cina stanno solo facendo un sogno irrealizzabile”,
assicura.
Inondazioni
in Pakistan. Per le Nazioni
Unite
è una carneficina
climatica.
Lifegate.it
- Andrea Barolini- (16 settembre 2022) – ci dice:
Il
Pakistan è ancora sott’acqua, le case distrutte sono 1,6 milioni. Per le
Nazioni Unite la colpa è dei cambiamenti climatici.
Un
terzo del territorio del Pakistan è ancora sommerso dalle inondazioni: un’area
ampia come il Regno Unito. Dopo le piogge torrenziali che si sono abbattute
sulla nazione asiatica, il bilancio risulta catastrofico. Non solo in termini
di vite umane – sono circa 1.500 i morti accertati – ma anche di distruzione di
infrastrutture, economie locali e mezzi di sussistenza.
Milioni
di profughi. A rischio la tenuta del sistema agricolo.
In
vaste aree del paese le case ancora oggi faticano ad emergere dagli immensi
laghi formati dalle precipitazioni. Basti pensare che due bacini distanti 160
chilometri l’uno dall’altro ormai formano un unico invaso, che ha inghiottito
numerosi villaggi. Il totale degli edifici che risultano distrutti è di 1,6
milioni. Decine di migliaia di persone sono ancora in fuga e milioni di
abitanti sono costretti a dormire in tenda. In attesa della stagione fredda.
E la
situazione rischia di aggravarsi ulteriormente, poiché la diga di Sukkur sul
fiume Indo, che conserva la più grande riserva di acqua dolce nazionale,
rischia di cedere. In caso di crollo, non si tratterebbe unicamente di una
minaccia immediata per chi abita nelle zone circostanti, ma di un problema che
potrebbe mettere letteralmente in ginocchio ciò che resta dell’economia del
Pakistan. Dalla diga dipende infatti
l’approvvigionamento idrico di quasi l’intero sistema agricolo del paese:
l’acqua è infatti distribuita in quasi 10mila chilometri di canali.
Si
tratta, insomma, di una situazione che non accenna a migliorare, dopo le
peggiori inondazioni della storia del Pakistan, direttamente legate al
riscaldamento globale, che non fa che aumentare la frequenza e l’intensità
degli eventi meteorologici estremi.
“Non
ho mai visto una carneficina climatica di questa portata”, ha commentato il
segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel corso di una
visita nel paese asiatico. “Fermate questa follia”, ha quindi aggiunto.
“Semplicemente – ha scritto quindi in
un tweet il diplomatico portoghese – non ho parole per descrivere ciò che ho
visto oggi. Il Pakistan e altre nazioni in via di sviluppo pagano un prezzo
terribile per l’intransigenza di chi continua ad emettere gas ad effetto serra,
di chi continua a puntare sulle energie fossili. Questa è una crisi mondiale ed
esige una risposta mondiale”.
In
Pakistan, in precedenza, mega-incendi e 50 gradi all’ombra.
Secondo
l’agenzia meteorologica pakistana, nel 2022 le precipitazioni sono già state
cinque volte superiori rispetto alla media annuale. E durante i giorni più
caldi nelle stesse aree sono stati superati i 50 gradi centigradi, con vasti
incendi divampati nelle foreste e piene improvvise dei fiumi causate dalla
fusione rapida dei ghiacciai.
Per
portare gli aiuti necessari, riparare o ricostruire le infrastrutture vitali
per il paese, è stato stimato che saranno necessari almeno 10 miliardi di
dollari. Per
questo si moltiplicano gli appelli affinché vengano concessi aiuti straordinari
da parte della comunità internazionale.
Gli
ultimi giorni della regina
raccontati
da chi era con lei.
I
sorrisi poi il crollo.
Quotidiano.net-
redazione- (9 settembre 2022) – ci dice:
"Fragile
ma dalla memoria prodigiosa". Quell'ultimo dono. L'arcivescovo di
Canterbury: "Non aveva paura di morire"
Londra,
9 settembre 2022 - Ma che cosa sappiamo degli ultimi giorni della regina
Elisabetta? La sovrana più longeva, morta a 96 anni giovedì 8 settembre
nell'amato castello di Balmoral, in Scozia, il luogo che più di tutti le dava
pace? Tra i visitatori delle ultime settimane, c'è una testimonianza speciale
che fa luce sulle ultime ore della sovrana più amata. E ci porta idealmente in
quelle stanze che hanno accompagnato i momenti più luminosi - e più critici -
della sua vita. Come rivelato dalla stampa inglese, solo i figli Carlo - il re
Carlo III - e Anna hanno fatto in tempo a salutarla prima che morisse.
"Elisabetta
non aveva paura di morire."
Mentre
colpiscono le parole dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby che confida:
"Elisabetta non aveva paura di morire". L'arcivescovo aveva
incontrato la regina per l’ultima volta a giugno: “Sono venuto via pensando che
c’è qualcuno che non ha paura della morte, ha speranza nel futuro, conosce la
roccia su cui si trova e questo le dà forza”. Parlando con la Bbc, Welby ha
aggiunto: “Sentivi
di avere la storia davanti a te, ma era la storia con quei penetranti occhi blu
che scintillavano, quel sorriso straordinario e il gusto di un commento secco
rapido”.
Secondo l’arcivescovo di Canterbury, l’atteggiamento della regina - che è capo
della Chiesa anglicana - era: “Non si tratta di me, ma di ciò che sono stata
chiamata... da Dio a fare”.
Collane,
tiare e spille: i gioielli preferiti della regina.
"Sorrisi
e memoria prodigiosa."
Ma è
il racconto del reverendo Iain Greenshields, moderatore dell’assemblea generale
della chiesa di Scozia, a fare luce sugli ultimi giorni della sovrana. Il
reverendo ha trascorso l'ultimo fine settimana a Balmoral. Ha descritto la
regina come una persona fragile sì ma piena di gioia, sorridente. Fragile ma
vivace, brillante, dalla memoria prodigiosa. Una persona completamente a
proprio agio nel castello che amava di più, il luogo delle vacanze con
l'adorato Filippo.
Greenshields
ha cenato con lei sabato ed è tornato a pranzo domenica. Confida: "Una
visita fantastica, la sua memoria era assolutamente incredibile. Sorrideva,
l'ho trovata di ottimo umore".
La
fede della regina.
Con la
sovrana, racconta il reverendo, hanno parlato di tutto, anche di quanto sia
stata importante la fede nella sua vita. Greenshields si è detto scioccato
dall'improvviso peggioramento delle condizioni di salute, fino alla morte.
Perché ha ancora davanti a sé l'immagine di lei che parla del suo passato, di
suo padre, di sua madre, del principe Filippo, dei cavalli, molto molto
coinvolta in ciò che stava accadendo nella chiesa.
L'ultimo
dono.
Poi il
reverendo ha confidato un ricordo davvero speciale, la sovrana lo ha portato
alla finestra, ad ammirare i giardini di Balmoral, mostrandoglieli con grande
orgoglio e affetto. E in quel momento lui ha pensato che proprio lì 'The Queen'
avrebbe voluto trascorrere i suoi ultimi giorni. Un pensiero sicuramente di conforto
per tutta la famiglia reale.
Dopo
essersi chiesto cosa portare in dono a chi ha tutto, il reverendo ha regalato
alla regina Elisabetta una croce di legno. "Lei mi ha augurato tutto il
meglio - svela -. Il suo lasciare la stanza con quella croce in mano sarà un
ricordo che mi porterò dietro per sempre".
AL
VOTO PER LA LEGA,
IL
CENTRODESTRA E LA LIBERTÀ.
Opinione.it-
Giuseppe Basini- (14 settembre 2022) – ci dice:
Il 25
settembre si decide davvero molto del nostro futuro. Si decide se continueremo
a essere una società aperta e libera, se riprenderemo un cammino di sviluppo
economico, se saremo una Nazione profondamente inserita nell’Occidente e in
Europa, ma orgogliosa nell’azione e indipendente nei giudizi.
Resteremo
una società aperta e libera, se sapremo combattere la pericolosissima tendenza
delle sinistre a introdurre sempre nuovi reati d’opinione, nuove regole di
comportamenti obbligatori, nuovi e talvolta perfino stravaganti divieti, che
stanno facendo degli italiani dei cittadini in semilibertà vigilata.
Riprenderemo
la via dello sviluppo economico se la pesante bardatura burocratica fatta di
lacci e lacciuoli, che appesantiscono la vita e la nascita delle aziende, verrà
drasticamente ridotta; se la politica energetica segnerà una svolta verso
l’indipendenza e l’efficienza con un ricorso a un vero mix di fonti alternative, tra cui
in primo luogo l’energia nucleare; se, infine, la tassazione verrà anzitutto
fortemente ridotta, poi semplificata e infine resa meno progressiva per
favorire l’accumulo di capitale necessario all’industria.
Saremo
un Paese davvero autorevole, se le forze di tutto il centrodestra, da sempre
realmente occidentali ed europeiste e che dunque non devono dire sempre sì per
far dimenticare un passato filo-sovietico e terzomondista, saranno al Governo e
in condizione di difendere gli interessi italiani credibilmente e a viso aperto.
Alla
nostra Nazione serve, insomma, una rivoluzione liberale, capace di rimettere in
moto le sue grandi energie, oggi mortificate da uno Stato padrone, inefficiente
e autoritario.
E questa rivoluzione solo il centrodestra – da
Maurizio Lupi a Giorgia Meloni – può farla, perché, pur con tutti i suoi
limiti, errori e deviazioni, la lezione del liberalismo l’ha almeno in parte
introiettata da sempre, da Alcide De Gasperi a Silvio Berlusconi, dal partito
di Giovanni Malagodi a quello di Matteo Salvini.
La
sinistra (soprattutto quella italiana) no. Nata nel nome di una palingenesi
comunista, la sinistra italiana, anche a tanti anni dall’inevitabile crollo del
comunismo originario della Russia bolscevica, è incapace di liberarsi anche
solo in parte del mito dell’egualitarismo e dello Stato onnipresente.
E,
come qualcuno cerca di riprendere la via di un accettabile riformismo, si
scatenano delle forze che accusano di tradimento i socialdemocratici
protagonisti del tentativo di svolta (ieri Giuseppe Saragat e Bettino Craxi,
oggi Matteo Renzi) e si cerca invece di salvare in ogni modo il mito fondante
con i succedanei più disparati.
Lo
Stato per loro è sempre e comunque onnipotente, solo formalmente democratico,
ma nel pieno diritto di fare leggi contro le opinioni sgradite, di sospendere
diritti costituzionali con semplici decreti governativi, di garantire
l’arbitrio delle procure distruggendo i diritti della difesa.
L’egualitarismo fideistico, che ha ormai
rinunciato del tutto all’uguaglianza sociale (la Russia comunista era molto più
gerarchica di qualunque altro stato, proprio come oggi la Cina) cerca di sopravvivere con altre forme
mutuate dai “radical” americani, una tendenziale uguaglianza tra gli onesti e i
disonesti se per necessità, tra i profughi perseguitati e quelli poveri, tra i
naufraghi per casuale disgrazia e quelli invece postisi in quella condizione,
tra migranti legali o illegali. Così pure in materia di “diritti” sessuali, dove un
problema di libertà – per cui ognuno deve certamente potersi esprimere secondo
la sua natura – viene trasformato in un assurdo problema di eguaglianza dato che, se
l’omosessualità fosse davvero uguale e sostitutiva del rapporto uomo donna,
saremmo estinti.
È
sempre il problema di comprendere realmente la Libertà, che affligge il
complesso della sinistra italiana, che non crede che i cittadini possano
autogovernarsi, che ritiene di doverli guidare per il loro bene, anche se è
ormai composta da uomini mediocri e in nome di principi sbagliati e questo
ancor più oggi, che il loro Stato hegeliano è un pericolo di dimensioni ben
maggiori in epoca di schedature elettroniche e armamenti atomici.
Questa
sinistra che, orfana della distopia marxista, non è riuscita a darsi un
credibile cammino di sviluppo da sinistra socialdemocratica e anzi, sottoposta
alla prova, ha finito per scegliere l’estrema sinistra in luogo dei suoi
riformatori, Nicola Fratoianni e Roberto Speranza invece di Ettore Rosato ed
Enrico Costa.
Insomma,
sembra essersi affidata al peggior nichilismo verde ed è ormai incapace di
sviluppare una credibile agenda di sviluppo economico e civile. Dalla scelta
giustizialista in materia di diritto, a quella antindustriale in materia di
energia, la sinistra italiana sembra ormai senza bussola e senza rotta, contagiata da un politically correct,
che,
rifiutando a priori ogni tradizione, sembra voler destrutturare completamente
la società, in una sorta di “cupio dissolvi”, che neanche Mario Draghi,
nonostante il consapevole sacrificio di Lega e Forza Italia, è riuscito ad
arrestare se non per un momento.
Enrico
Letta, che non ha certo la capacità di leadership di Romano Prodi, non si sa se
sia vittima o complice delle pulsioni profonde del suo partito, se sia
trascinato dagli estremisti o lucidamente consenziente con i nuovi
“massimalisti senza programma”, che non hanno alcuna idea sul modello di Paese
che vorrebbero, ma solo un ottuso rancore contro i cittadini che vogliono
vivere e lavorare nell’ordine democratico e restare liberi. Ho aspettato per anni una Bad
Godesberg italiana, ormai purtroppo non ci credo più.
Il 25
settembre non è più neanche soltanto una scelta tra il buon Governo delle
destre, con i bilanci in ordine, l’economia di mercato in ripresa, la
tassazione in diminuzione.
È ben
di più: è una scelta tra una efficiente democrazia e il caos sprovveduto e
prepotente di uno Stato divenuto destrutturato e autoritario.
L’incompetenza
elevata a sistema del complesso delle forze di sinistra ci assicurerebbe il
sottosviluppo, il degrado delle istituzioni, la fine definitiva dello Stato di
diritto.
Pur con tutte le sue insufficienze (e le sue ingenuità)
il centrodestra – e in particolare la Lega come suo elemento centrale – è
l’unico strumento a disposizione di noi elettori per invertire la rotta, per
riprendere la via della liberal-democrazia occidentale e della ripresa
economica e per garantire la continuità di quella “tradizione Italiana” che ha
fatto grande nei secoli il nostro Paese.
E quando parlo di noi elettori, descrivo
sostanzialmente la verità perché, dato l’ordine di lista, non sarò nel prossimo
Parlamento ma, se pure mi spiace di perdere la condizione di parlamentare, ho
accettato lo stesso la candidatura per contribuire, per quanto posso, a non
perdere ciò a cui non sono assolutamente disposto a rinunciare.
E cioè
i miei diritti di cittadino di una Nazione libera. Tutti al voto il 25
settembre: per la Lega, il centrodestra e, soprattutto, la Libertà.
La
concordia di una nazione
non si
crea con gli "anti".
Ilgiornale.it
- Giannino della Frattina- (25 Aprile 2022) – ci dice:
Dopo
aver per lustri diviso il Paese tra destra e manca, ora il 25 aprile sta
balcanizzando la stessa sinistra in una gara a chi è più antifascista.
Dimostrando la sua ignoranza della storia e la
solo presunta superiorità morale smascherate da un evento epocale come la
guerra che è tornata a insanguinare l'Europa.
Perché
sarebbe bastato leggere un po' di storici (anche progressisti) per capire che
su una guerra civile non si può edificare la concordia di una nazione.
Perché se ci sono dei vinti, a guerra finita si può
pretendere di imporre loro un diverso assetto della res pubblica, ma non di
rinnegare il sangue versato.
Così come non si può immaginare di imporre per
legge la storiografia dei vincitori, bollando come «fascista» qualunque
tentativo di ricostruzione che voglia far luce su quelle pagine inevitabilmente
oscure, piene di storie terribili dove il bene non stava tutto da una parte e
il male dall'altra.
Lo
sapevano bene i grandi padri costituenti che, forti di grandi impianti
ideologici come il comunismo, il cattolicesimo, il socialismo e il liberalismo,
erano talmente convinti delle loro idee che impiegavano le loro forze nel
diffonderle per fare proseliti, più che nell'impedire al campo avverso di
coltivare le sue. Altri tempi e altri politici.
E non
a caso c'è molta più tolleranza nei terribili anni del Dopoguerra che in questi
miserabili tempi nei quali il crollo del comunismo, la crisi del cattolicesimo
in politica e perfino del liberalismo producono schiere di pseudo politici che
fanno dell'antifascismo l'unica loro minima ragione ideologica.
Diventando,
in questa povertà di idee, molto più violenti nell'impedire le voci di
dissenso.
Fino a
scoprire che perfino il 25 aprile, presunta data fondatrice della Repubblica,
va in pezzi se si risolve in uno sterile anti(fascismo) senza alcuna proposta
credibile.
La
fine del mondo medievale
e il crollo delle certezze: come teatro
e
letteratura hanno raccontato lo
smarrimento
degli uomini di fronte all’ignoto.
Lacittaimmagianaria.com
- Adele Porzia – (26 Agosto 2021) -ci dice:
I
momenti maggiormente creativi della letteratura, di qualunque letteratura, sono
quelli di incertezza, di drammatico buio, di inconsapevolezza del futuro.
Si è appena concluso un periodo di crisi, vi è
stata una rottura con tutto quello che ci ha preceduti, e il passato pare
essere lontano e in alcun modo legato al presente, come se vi fosse stato un
incidente nel percorso evolutivo di un secolo. Ciò che è stato, quindi, ha
perso la sua funzione interpretativa e le sue formule appaiono improvvisamente
inefficaci, antiquate, inadatte ai tempi correnti. E lì, proprio in quel
frangente, quando si cerca di descrivere il cambiamento in atto e questo nuovo
presente, si comprende la necessità di rinnovare le forme di comunicazione del
passato.
C’è bisogno di nuovi paradigmi, di novità che aiutino
a reinventare e spiegare la realtà. Si deve fornire una chiave di lettura a quello che
accade, ma le modalità devono necessariamente cambiare, perché sia possibile
comunicare quel groviglio di emozioni e sensazioni del presente.
A
cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, si assiste al crollo di ogni
incertezza. In seguito alle numerose scoperte scientifiche, il mondo medievale
era destinato a dissolversi: la Terra, non più piatta, si appresta ad assumere
una forma rotonda; non è fissa, ma gira, e il sole – al contrario – è fermo,
immobile, per nulla dipendente dalla Terra. A questa consapevolezza, si
accompagnano le tante scoperte geografiche, le nuove terre ritrovate nei punti
più remoti del pianeta: interi continenti pronti a entrare nell’immaginario
dell’uomo europeo.
A
farsi strada nell’animo degli abitanti di questo periodo – a cavallo tra il
Cinquecento e il Seicento – è un sentimento di incertezza, di inquietudine;
stati d’animo in qualche modo necessari alla crescita di un individuo, di una
nazione e di una letteratura.
Emerge,
in questi decenni, un continuo e incessante dubitare; ed è lì, quando
l’inquietudine diventa preponderante, che avanza in quell’uomo di fine
Cinquecento un testardo desiderio – che segue sempre a un iniziale turbamento,
a quella deformante perdita di ogni certezza – di indagare con ancor più
determinazione la realtà, oramai privata dalle sicurezze del passato, volgendo
lo sguardo da quanto si è perso a quanto ancora si debba conoscere.
E, così, a queste tante scoperte astronomiche e
geografiche, si uniscono le acquisizioni in ambito medico, biologico, chimico,
che esasperano questi sentimenti – angoscianti e stimolanti al tempo stesso – e
costringono i poeti a trovare forme nuove per interpretare e rappresentare il
mondo nuovo che hanno davanti a loro.
I
sentimenti di insicurezza e irrequietezza necessitavano di nuove forme
espressive, che rendessero anche stilisticamente le emozioni del nuovo secolo.
La letteratura doveva perciò essere scevra dell’ordine e della pacatezza del
classicismo rinascimentale; si rendeva necessaria una forma d’arte che
rappresentasse l’ansia e l’incertezza dell’epoca.
Il
Manierismo e il Barocco, per l’appunto. Molti tralasciano le forme precise, le
regole prospettiche e l’oggettiva perfezione del classicismo, nonché
l’imitazione delle forme antiche e della loro bellezza estetica. Ad essere
privilegiate sono forme soggettive, bizzarre, che vogliono indicare proprio
quel sentimento di disagio e di angoscia, un senso di precarietà e di morte.
L’artista, più che offrire una chiave di lettura al lettore del presente,
sembra volerla fornire allo spettatore del futuro, garantendo a noi posteri la
possibilità di intendere quanto stesse avvenendo nel cuore di quell’epoca di
mezzo.
Lo
scopo, allora, diviene colpire il lettore e farlo meravigliare. Si sviluppa,
quindi, un’arte che non imita più la natura, ma che vuol dilettare il pubblico
e distrarlo dal presente ignoto e dall’incertezza del domani. Farlo pacificare
con i suoi demoni, senza però relegarli completamente nell’ombra. È un atto di
ammaestramento, di manipolazione, non di soppressione dei sentimenti. E,
infatti, ne abbiamo un chiaro esempio nel teatro, di cui il Seicento è il
periodo per eccellenza. Il teatro si rivela essere la sola forma letteraria, la
sola formula d’intrattenimento, che riesca davvero a cogliere i dubbi e i
timori di chi vive quel periodo, il senso di futilità che lo pervade, che si
identifica nella maschera dell’attore.
Diviene
materia letteraria la vita stessa in quanto illusione, spettacolo destinato a
concludersi, in cui tutti recitano una parte, destinata a finire, insieme alla
chiusura del sipario, all’approssimarsi della fine di tutto. L’uomo del secolo
non riesce a imporsi sul reale e questo si intravede nello sforzo dell’artista
di incasellare la sua soggettività in forme eccessive, celebrali, artificiose e
incompiute. Un secolo pieno di dubbi, che si serve dell’allegoria per indicare
la fugacità della vita, destinata a finire come un sogno.
Esattamente
come accade nelle opere teatrali di Pedro Calderón de la Barca, in William
Shakespeare o in Molière. Distrarre, sì, ma senza far dimenticare completamente
al lettore quello che sta vivendo e quanto possa essere costruttivo per il
futuro questo incessante dubitare, non fermarsi al certo, al noto, ma varcarne
i così ben definiti confini, per accedere a quello che ancora non si conosce.
AFRICA-NIGERIA
- “Insicurezza e cattiva
gestione
economica minacciano la nazione”.
Fides.org
– Redazione- (16 settembre 2022) – ci dice:
“Abbiamo
perso tanti sacerdoti vittime di violenza, ma il male non prevarrà” dice il
Vescovo di Abakaliki.
Abuja
(Agenzia Fides) - “I troppo frequenti attacchi ai viandanti nelle strade e ai
fedeli nelle chiese e in altri luoghi di culto, non hanno ancora ricevuto una
risposta adeguata da parte delle autorità”. È l’ennesima denuncia dei Vescovi
della Nigeria sulla situazione della sicurezza nel più popoloso Paese africano
(circa 200 milioni di abitanti), contenute nel comunicato finale pubblicato al
termine della Seconda Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale Nigeriana.
“Purtroppo
il governo non ha rispettato i suoi doveri in materia di sicurezza. Osserviamo
che anche quando i sospetti vengono arrestati, non c'è un diligente
perseguimento dei colpevoli di questi atti nefasti, lasciando così la
cittadinanza impotente e disperata” affermano nel documento pervenuto
all’Agenzia Fides.
“Mentre
continuiamo a chiedere alle autorità civili di adempiere alla loro
responsabilità costituzionale di salvaguardare le vite e le proprietà dei
nigeriani, invitiamo tutti a rafforzare le misure di sicurezza nelle loro case
e istituzioni. Chiediamo a tutti i cittadini di essere rispettosi della legge,
vigili e di evitare ogni forma di violenza e criminalità”.
Sul
piano economico la Conferenza Episcopale nota che “a causa della cattiva
gestione e di un'economia in crisi con un carico di debiti sempre crescente,
c'è povertà e fame nella nostra terra, nonostante le nostre enormi risorse
umane e naturali”.
“L'inflazione vertiginosa, gli alti costi di
beni e servizi, l'aumento della disoccupazione, il furto di petrolio greggio e
le raffinerie non funzionanti, hanno inflitto ai cittadini disagi indicibili.
Inoltre i governi hanno fatto ricorso a prestiti inutili, mettendo a
repentaglio il benessere delle generazioni presenti e future”.
“Il
cattivo stato della nostra economia ha portato alla migrazione di massa del
nostro capitale umano, in particolare di lavoratori professionisti e
qualificati, in fuga dalla nazione in cerca opportunità di lavoro”.
I
Vescovi ribadiscono che “la Chiesa non si identifica né è vincolata a nessun
partito politico”, “tuttavia, essa non è indifferente o neutrale nei confronti
delle attività della comunità politica”, richiamando la responsabilità di tutti
alla ricerca e al perseguimento del bene comune.
Un
appello rivolto ai fedeli laici cattolici “specialmente coloro che hanno
talento per la difficile, ma nobile arte della politica, o i cui talenti in
questa materia possono essere sviluppati per impegnarsi in attività politiche
per il bene comune”.
Il
nuovo ordine mondiale
dopo
il crollo del muro di Berlino.
La
pace sempre rinviata,
che
ancora non arriva .
farodiroma.it-
Andrea Puccio – (10/11/2019) – ci dice:
Il
crollo del muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre 1989, ha segnato lo
spartiacque nella politica mondiale decretando di fatto il momento in cui il
blocco comunista veniva sconfitto dal capitalismo. Dopo mezzo secolo di guerra fredda
il bene aveva trionfato sul male come si sentiva dire in tutti i telegiornali
trasmessi in quei giorni.
Mezzo
secolo di guerra fredda, in cui i due blocchi non avevano perso tempo
nell’accusare l’altro di non essere democratico, non aveva cancellato le
disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri. Il capitalismo si era atteggiato
quale soluzione per appianare queste differenze ma non c’era riuscito dando la
colpa al comunismo di enfatizzarle. Con la sconfitta del comunismo e con la
cessazione, almeno formalmente, della guerra fredda sembrava si fossero aperte
le porte del paradiso per l’umanità mondiale, avremmo finalmente vissuto in un
mondo senza guerre, la prosperità economica sarebbe stata a portata di mano per
tutti.
La
fine della guerra fredda che aveva accompagnato la vita di milioni di persone
per oltre cinquanta anni aveva fatto sì che il capitalismo fosse riconosciuto
quale unico sistema economico globale, dato che il modello socialista era
scomparso. Se fino a quel momento il modello capitalista aveva tenuto, possiamo
dire, un profilo non eccessivamente alto, con l’uscita di scena del suo nemico
giurato, il socialismo sovietico, aveva a disposizione tutti i mezzi per
svilupparsi nella sua essenza più avanzata, non aveva più un competitore da cui
guardarsi. Nel periodo della contrapposizione tra capitalismo e socialismo il
sistema economico liberale non poteva adottare soluzioni estreme pena il
rischio di essere considerato ingiusto ed iniquo agli occhi di chi non era
ancora convinto della sua validità, oppure essere ripudiato da chi invece
appoggiandolo lo avesse visto per quello che realmente era.
Essere
riusciti a far credere che da quel momento in avanti tutto sarebbe stato
diverso, che le idee socialiste e comuniste fossero finite con il crollo
dell’Unione Sovietica e dei paesi satelliti dell’Europa dell’est, è stata,
grazie ai mezzi di informazioni debitamente ammaestrati, un’operazione
mediatica, che a distanza di anni, va riconosciuto, ha ottenuto gli effetti
desiderati. Si ripeteva in continuazione il nuovo mantra che, appunto, tutto
sarebbe stato diverso, la popolazione ci credeva, la politica pure. In quegli
anni alla velocità di un battito di ciglia tutti i partiti dichiaratamente
comunisti furono sciolti. Le idee che fino ad allora erano state i capisaldi di
una vita vengono ripudiate con la stessa velocità con cui in una notte di
novembre venne smantellato a Berlino il muro che aveva diviso l’Europa per
quasi trenta anni.
Ma
quel mantra ripetuto all’esasperazione da tutti i mezzi di informazione in un
certo senso era una, purtroppo, tragica verità. Se per la maggior parte
dell’opinione pubblica eccitata per la fine di un’ epoca equivaleva alla
speranza o certezza, a seconda dei casi, che il futuro sarebbe stato migliore e
più giusto, per chi invece lo propinava significava che da quel momento in poi
avrebbe avuto le mani libere di mettere in pratica un capitalismo selvaggio,
privo di regole e libero di attuare le politiche economiche senza che nessuno
lo controllasse o lo contraddicesse.
Il
mondo sarebbe stato diverso da quello precedente perché non c’era più il blocco
sovietico che fungeva da contrappeso al capitalismo. I falchi avevano tutte le
possibilità aperte per sfoderare gli artigli, cosa che poi faranno negli anni
successivi.
Il
nuovo ordine economico mondiale uscito prevede che uno stato, gli Stati Uniti,
cioè coloro che di fatto hanno vinto la guerra al comunismo, sia a capo del
mondo, una serie di stati amici o alleati appoggino le scelte del socio
americano le altre nazioni del mondo devono sottostare a tali decisioni senza
fiatare.
Una
piccola cerchia di stati, quelli del primo mondo, si spartiscono le risorse di
tutti quei paesi del terzo mondo in una logica prettamente neocoloniale. Se poi
una nazione si ribella al re allora va riportata subito sulla retta via magari
usando i diritti umani come scusa.
Con la
dissoluzione dell’Unione Sovietica questo progetto da anni accarezzato ma
sempre sfuggito si poteva realizzare. Si apriva un mercato immenso con la
conversione dell’Urss in un paese capitalistico. Il petrolio, il gas e tutte le
materie prime che il paese disponeva erano lì a portata di mano per essere
sfruttate dalle numerose industrie multinazionali statunitensi. I 250 milioni
di abitanti rappresentavano un grandissimo mercato per i prodotti americani. Essere in Russia significava poi
avvicinarsi alla Cina, altro immenso mercato da tutti i punti di vista,
all’India e all’estremo oriente. C’era davvero da sfregarsi le mani.
Negli
anni successivi il progetto americano è andato avanti con relativa
tranquillità. I soci europei, legati anche dalla Nato che nel frattempo aveva iniziato
ad incorporare i paesi del vecchio Patto di Varsavia, avevano di buon grado
accettato di stare nel nuovo ordine. La politica iniziava il suo
inesorabile cammino verso il fondo che gli avrebbe fatto perdere nel corso di
pochi anni qualunque credibilità agli occhi dell’opinione pubblica.
La
politica ed i partiti maggiori si erano assuefatti alla velocità della luce al
mantra del nuovo corso della storia. Destra e sinistra iniziavano da quel
momento ad essere intercambiabili nelle politiche, la destra un po’ più
conservatrice, la sinistra che scimmiottava da lontano le ricette neoliberiste.
La
mancanza di una alternativa reale come negli anni precedenti il crollo del muro
trasforma le elezioni in un’alternanza tra destra e sinistra che di fatto si
discostano nelle proposte politiche solo per alcuni cavalli di battaglia
effimeri e privi di qualunque importanza.
L’alternanza
destra sinistra al governo è stata fatto passare per una maturazione della
democrazia, ma in pratica è servita solo a far considerare, negli anni, i
politici e di conseguenza i partiti da loro rappresentati come tutti uguali,
visto che le politiche poi messe in atto dagli esecutivi usciti dalle elezioni
non si discostano molto.
Salta
chiaramente agli occhi di tutti che il modello economico sviluppatosi dopo il
crollo del muro di Berlino ha miseramente fallito, non ha aumentato la
giustizia sociale, non ha appianato le differenze tra ricchi e poveri, anzi le
ha aumentate. Un po’ ingenuamente si potrebbe pensare che qualche ingranaggio della
nuova macchina economica si sia inceppato e che le conseguenze che stiamo
vivendo siano frutto del caso o della disattenzione nella programmazione
economica, ma guardando in profondità le cose stanno sicuramente diversamente.
Non credo al fato cattivo e maligno, le conseguenze sono sempre frutto delle
scelte fatte dagli uomini. Non sono sicuro del fallimento di questo modello, credo
piuttosto che ciò che oggi viviamo faccia parte di un disegno politico e
strategico ben preciso.
Un
disegno che prevede il controllo globale che arricchisca poche persone che
detengono il potere. Non credo sia un caso che, nonostante gli effetti della
crisi del 2008 continuano a farsi sentire nelle tasche e sulle condizioni di
vita di milioni di persone, chi prima della crisi era considerato ricco abbia
aumentato la sua ricchezza e chi era povero continui ad impoverirsi.
In tutto questo discorso il rispetto dei diritti umani
entra prepotentemente quale mezzo per portare avanti le politiche predatorie
verso i paesi del terzo mondo e quale mezzo di pressione verso quelle nazioni
che sono considerate amiche. Le intenzioni erano proprio quelle di creare un
sistema che, dietro un’apparente cortina fumogena che mette la democrazia e i
diritti umani come valori non negoziabili ed assoluti, nascondesse al suo
interno i desideri di ricchezza e potere di un ristretto gruppo di individui.
Alla
base di questo nuovo ordine, che ancora oggi vige, sta la concezione di un
mondo unipolare. Questa concezione prevede, appunto, un paese al comando, gli Stati Uniti,
e tutti gli altri che accettano a testa bassa le decisioni del sultano.
Ogni
tentativo da parte di una nazione di uscire da questa logica cercando di creare
un proprio spazio politico ed economico indipendente è visto come una minaccia
agli interessi o alla sicurezza nazionale da parte degli Stati Uniti.
La
possibilità che un paese esca dal controllo nordamericano pone due problemi
fondamentali: la perdita dello sfruttamento delle sue risorse economiche ed il rischio
di intaccare la gestione unipolare del mondo.
Perché
il sistema unipolare funzioni egregiamente occorre, come già visto, il
controllo delle risorse energetiche da parte di un ristretto gruppo di nazioni.
Avere a disposizione risorse illimitate e costanti nel tempo agevola
notevolmente lo sviluppo capitalistico della società perché così si riducono al
minimo le possibili tensioni sui mercati.
Bisogna,
inoltre, stroncare ogni tentativo da parte di un paese di intraprendere un suo
cammino indipendente che potrebbe mettere in discussione il sistema unipolare.
Ecco
quindi che da un giorno all’altro un paese diventa una minaccia improvvisa alla
sicurezza nazionale degli Stati Uniti perché ha deciso di non accettare questo
sistema.
I
diritti umani violati diventano allora il mezzo per applicare sanzioni
economiche al paese disubbidiente. Se le sanzioni non ottengono il risultato
voluto, cioè far desistere il bambino cattivo dal suo progetto di indipendenza,
la guerra umanitaria è inevitabile.
Le guerre in Iraq e Libia, solo per citarne due, sono
state combattute per il controllo del petrolio e per stroncare ogni velleità da
parte delle due nazioni di creare un ambiente di influenza geopolitica
regionale.
La
Cina diventa un pericolo per gli Stati Uniti perché sta da tempo costruendo un
polo politico ed economico indipendente e minaccia la supremazia statunitense,
La Russia invece minaccia la pace mondiale perché segue le orme cinesi
diventando giorno dopo giorno una potenza a livello globale.
Tornando
al mantra che da questo momento niente sarà più come prima, chi ha buona
memoria ricorderà chi, a seguito di un avvenimento che, appunto, a cambiato la
visione del mondo, ha pronunciato a reti unificate questa affermazione. Per chi
non ricorda la persona lo aiuto io: George W. Bush all’indomani del crollo
delle torri gemelle dell’11 settembre 2001. In questa sede non voglio entrare
nelle mille ipotesi sulle responsabilità del governo statunitense
sull’attentato perché è stato già scritto molto senza arrivare ad una soluzione
dei mille interrogativi che ancora accompagnano questo evento. Mi limiterò solo
a fare alcune valutazioni su come sia stato usato o creato apposta. Ognuno è libero di seguire la teoria
dei fatti che crede più vicina alle sue convinzioni, per portare avanti il
nuovo ordine mondiale.
Nessuno
credo possa affermare che il crollo delle torri gemelle, come il crollo del
muro di Berlino, non abbiano segnato le sorti del mondo. Se il crollo del muro ha
rappresentato il momento in cui il capitalismo si è trovato con le mani libere
per attuare tutte quelle politiche liberiste che in passato non poteva attuare,
il crollo delle torri gemelle a New York ha segnato il momento in cui le
politiche liberiste si sono arricchite di una brutalità mai, prima di allora,
raggiunta. L’evento
segna l’inizio della guerra infinita al terrorismo, come affermato in più
occasione dall’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush.
La
guerra infinita era al terrorismo o a tutti quei paesi che non erano allineati
alle politiche statunitensi? Questa è la domanda, a mio modo di vedere, a cui
bisogna dare una risposta.
Ovviamente
penso che l’occasione data dall’11 settembre per stringere il cappio attorno ai
paesi, ricchi di risorse naturali indispensabili, non poteva non essere captata
dai falchi che volevano appropriarsene. Occorreva un evento di caratura
mondiale che legittimasse qualunque opzione. La guerra infinita è continuata fino
ad oggi ma i terroristi non sono stati sconfitti anche perché, di volta in
volta, sono stati prima creati e poi finanziati dagli Stati Uniti e dai loro
soci, Israele in testa.
L’attacco,
l’attentato o come lo vogliamo chiamare ha segnato anche una svolta nella
comunicazione e nella creazione del consenso verso l’accettazione da parte
dell’opinione pubblica della necessità della guerra quale mezzo per riportare
la democrazia. Si è fatto credere a miliardi di persone che il terrorismo prima di tutto
metteva in pericolo il livello di benessere raggiunto fino a quel momento dalla
popolazione. Metteva in pericolo il pieno di benzina al distributore, la settimana
bianca o le ferie estive, l’aperitivo prima di cena, la nuova auto, insomma
tutta quella paccottiglia di beni tipici del capitalismo e che rappresentano il
benessere. La guerra non era solo un vezzo di una serie di paesi che voleva
portare la democrazia e, guarda caso, i diritti umani calpestati dal Saddam
Hussein di turno in quella nazione, ma era una vera e propria crociata verso
chi cercava di riportare il mondo indietro nel tempo, all’epoca medioevale,
ledendo i diritti, ma soprattutto, il benessere di interi continenti.
Mentre
si combattevano le guerre al terrorismo in Afganistan, in Iraq, in Libia, in
Siria in nome della democrazia e dei diritti umani i nostri governi intanto
riducevano davvero i diritti dei lavoratori, dei pensionati, tagliavano i fondi
alla sanità, alla scuola, alle politiche sociali facendo credere alla
popolazione che erano inevitabili. Riducevano parallelamente gli spazi
democratici ed aumentavano le misure di sicurezza spacciandoli come il prezzo
giusto da pagare per il mantenimento del nostro benessere.
Ma
cosa c’entrano i tagli alla spesa pubblica con il terrorismo? Nulla. Ma il terrorismo è stato usato come
pretesto per stringere la cinghia alla vita degli ignari e poco informati
cittadini. Le
crisi finanziarie che bruciavano i risparmi dei lavoratori e dei pensionati
continuavano ciclicamente nonostante la guerra al terrorismo come le
privatizzazioni dei servizi pubblici con il conseguente aumento delle tariffe.
Il
crollo delle torri gemelle se non fosse accaduto andava inventato o, meglio
ancora, non bisognava fare nulla per evitare che succedesse.
(Andrea
Puccio)
PERCHÉ
PUTIN HA GIÀ PERSO.
Pietroichino.it-
Pietro Ichino- (16 febbraio 2022) – ci dice:
Nell’Europa
del XXI secolo l’egemonia non si ottiene più con i carri armati e i bombardieri:
la sola pretesa di una nazione di imporsi a un’altra con questi mezzi è il
segno di una sua grave debolezza politica; e la destina alla sconfitta.
Il
capo del Cremlino ha certificato la grave debolezza politica e culturale della
Russia nel momento stesso in cui ha pensato bene di mostrare i muscoli ai
confini con l’Ucraina per impedire una possibile libera adesione di questo
Paese all’alleanza atlantica.
L’evoluzione
culturale irreversibile dell’Europa del XXI secolo ha archiviato definitivamente
l’idea che un Paese possa far valere i propri interessi schiacciandone un altro
con la forza delle armi: il crollo dell’Unione Sovietica e del Patto di
Varsavia, nel 1989, è avvenuto in conseguenza non di un confronto militare con
l’Occidente, ma dell’incapacità di quel sistema politico-militare di mantenersi
in piedi con la sola forza delle armi, avendo perso il confronto con
l’Occidente sul piano del benessere, dell’equità, dell’efficienza delle
amministrazioni, della libertà delle persone.
Nell’Europa
del XXI secolo l’egemonia non è più conseguibile con i carri armati e i
bombardieri: la sola pretesa di una nazione di imporsi a un’altra con questi
mezzi certifica la sua inferiorità politico-culturale, la sua inettitudine a
essere egemone; e la destina alla sconfitta.
Vladimir Putin oggi pretende di nascondere
sotto una pretesa preoccupazione per la sicurezza del suo Paese nei confronti
di inesistenti minacce esterne il senso di frustrazione di tanti nazionalisti
russi per la clamorosa quanto repentina perdita dell’egemonia su Estonia,
Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Romania, tutti Paesi
“conquistati” dall’Occidente senza sparare un colpo.
Egli mostra di non aver ancora capito bene che
quella vera e propria débacle geo-politica, verificatasi alla fine del secolo
scorso, è
la conseguenza di una ben visibile migliore qualità dei sistemi democratici
rispetto al sistema sovietico, i cui gravissimi difetti strutturali, dopo la caduta del
Muro, sono stati corretti male e solo parzialmente.
Ora
l’epigono degli zar pagherà questo difetto di intelligenza con un ulteriore
pesante arretramento socio-economico della Russia e, sul piano internazionale,
con il suo declassamento a Paese fuori-legge.
Dopo
il “crollo di Terra”, le autorità
cinesi
impongono una maggiore
regolamentazione
sugli asset digitali.
Lamiafinanza.it-
Redazione- (15/06/2022) – ci dice:
Uno
dei reporter del media, Li Hualin, ha scritto: “La mia nazione ha messo al bando il
trading di asset digitali e diverse piattaforme di trading”. Hualin ha poi aggiunto: “La Cina è riuscita a evitare le
conseguenze dei rischi associati a questo settore. Inoltre, i rischi di
investimento per i cinesi sono quasi nulli”. Ha aggiunto che “molte altre
autorità stanno usando il “Terra crash “per regolamentare il settore delle
stablecoin”.
Citando
Zhou Maouhua per dimostrare il suo punto di vista Hualin ha detto:
le
nostre autorità aggiorneranno presto la nostra politica sulle criptovalute per
coprire tutti gli aspetti del settore.
Stabiliranno
anche misure aggiuntive per ridurre l’esposizione al rischio delle stablecoin. In questo modo, ci sarà una
possibilità pressoché nulla di frode in criptovalute, operazioni finanziarie
fraudolente e altri crimini finanziari. Di conseguenza, i nostri cittadini
saranno più protetti e sicuri”.
(Zhou
Maouhua è uno dei principali analisti della banca cinese Everbright.)
Il
giro di vite della Cina sull’industria delle criptovalute.
I
cinesi hanno vietato gli scambi di criptovalute cinque anni fa. Poi, l’anno
scorso, ha annunciato un divieto totale sulle attività di criptovaluta. La
mossa di vietare tutte le attività cripto nel Paese è iniziata con ripetuti
avvertimenti da parte delle agenzie sui rischi degli investimenti in cripto.
Anche se i progetti sono interessanti come Tesla Coin e tanti altri.
Poi,
il governo ha emesso avvisi a tutte le province cinesi per avviare un massiccio
giro di vite sul crypto mining. In seguito, le province hanno esteso il giro di
vite a tutte le operazioni di criptovaluta. Tuttavia, il famoso giornalista
cinese di criptovalute Colin Wu ha dichiarato che ci sono diverse dichiarazioni
false riguardo al divieto. Wu è conosciuto su Twitter come Wu blockchain.
Secondo
Wu, il divieto di criptovaluta riguarda esclusivamente i fornitori di servizi
legati alla criptovaluta. Ha affermato che qualsiasi individuo può detenere o
investire in criptovalute. Ha spiegato che “la Cina ha vietato solo alle istituzioni e
alle imprese di commerciare o detenere cripto. Tuttavia, chiunque può detenere o
effettuare transazioni in cripto; non è contro la legge. Anche alcuni tribunali locali
considerano questi beni digitali come proprietà virtuale. Pertanto, i singoli
detentori sono protetti dalla legge”.
All’inizio
di questo mese, un tribunale di Shanghai ha chiarito che, in base alla
definizione di proprietà virtuale, il BTC è una di queste. Inoltre, il valore, la scarsità e la
disponibilità del BTC lo rendono soggetto a diritti di proprietà, leggi e
regolamenti.
Il
tribunale non ha detto nulla sul fatto che i possessori ottengano le loro
criptovalute con mezzi legali o illegali. Tuttavia, diversi dati confermano che
molti trader cinesi di criptovalute effettuano le loro transazioni tramite VPN.
Le recenti operazioni di repressione aumentano il volume delle transazioni di
criptovalute attraverso le borse offshore e le piattaforme peer-to-peer da
parte dei trader cinesi.
In arrivo
una regolamentazione più severa per le criptovalute – Wu
Secondo
Wu, è probabile che le autorità cinesi estendano le restrizioni sulle
criptovalute alle monete stabili. Potrebbero addirittura vietarle del tutto. La mossa impedirà il trasferimento di
proprietà delle monete stabili, in particolare di Tether. Wu ha inoltre
affermato che la Cina si muoverà anche per incoraggiare altre nazioni ad
adottare misure simili.
Il
quotidiano economico ha inoltre affermato che la Cina vorrebbe che gli altri
Paesi sviluppassero regolamenti più uniformi per aumentare le sanzioni
normative sulle criptovalute. Nelle conclusioni del rapporto, l’organo di informazione con
sede a Pechino ha affermato che una regolamentazione globale uniforme delle
criptovalute impedirebbe l’uso degli asset digitali per scopi illegali, in
particolare per le frodi finanziarie.
L’eredità
Gorbačëv secondo Pechino.
Treccani.it-
Barbara Onnis- ( 5 settembre 2022) – ci dice:
La
morte dell’ultimo leader sovietico, lo scorso 30 agosto, non poteva avvenire in
un momento peggiore per la Cina di Xi Jinping, alle prese con crescenti gravi
tensioni internazionali e con una complessa situazione interna da gestire in
vista dell’imminente XX Congresso del Partito comunista cinese (PCC), che
dovrebbe assegnare al leader cinese il suo terzo mandato.
Oltre alla delicata tensione nello Stretto di
Taiwan e alle conseguenze legate al protrarsi della crisi ucraina, internamente
la leadership di Pechino si trova a dover affrontare sfide quali l’aumento
della disoccupazione, l’indebolimento del mercato immobiliare, la siccità e una
severa politica “zero Covid” che continua a mettere città e distretti in
isolamenti improvvisi, a grave discapito dell’economia.
Per
quanto la morte di Michail Gorbačëv rappresenti pochi rischi per la reputazione
del Partito prima del Congresso, si teme, tuttavia, che qualcuno possa
sfruttare la commemorazione della sua morte per criticare direttamente o
indirettamente Xi Jinping.
In effetti, al di là del cordoglio ufficiale,
espresso con toni freddi e laconici, per bocca di uno dei più noti portavoce
del ministero degli Affari esteri, Zhao Lijian – «Il signor Gorbačëv ha dato un
contributo positivo alla normalizzazione delle relazioni sino-sovietiche.
Esprimiamo il nostro cordoglio per la sua scomparsa e porgiamo le nostre
condoglianze alla famiglia» – la stampa cinese ha fatto emergere in toni
inequivocabili la visione tutt’altro che positiva che del leader sovietico si
ha nel Paese, sia in seno al Partito, sia tra gli osservatori e buona parte del
mondo accademico.
In
effetti, gli storici cinesi hanno discusso a lungo se siano state le questioni
strutturali o le decisioni individuali di leader come Gorbačëv ad aver causato
il crollo dell’ex Unione Sovietica.
All’indomani
della sua ascesa al potere, Xi non aveva avuto remore nel propendere per la
seconda ipotesi e in un discorso pronunciato nel dicembre del 2012, fatto
circolare tra i quadri, ma non riportato dai media statali, aveva dichiarato
come fosse bastata una parola di Gorbačëv per dichiarare lo scioglimento
dell’Unione Sovietica, mettere fine alla parabola di un grande partito e come,
alla fine, «nessuno si fosse rivelato abbastanza uomo da alzarsi e resistere».
A fine
luglio 2022 ai quadri è stato riproposto un documentario in sei parti dedicato
al crollo dell’Unione Sovietica, con un focus sulle “amare lezioni” della
leadership di Gorbačëv.
Un
altro documentario sulla sua figura è stato riportato sui social media il 30
agosto, a seguito dell’annuncio della sua morte, e le critiche non sono mancate
tra i tanti commentatori, che ne hanno parlato in termini di «governante di una
nazione distrutta» e di «un personaggio pubblico storico che è finalmente
diventato lui stesso la storia».
Per Shi Yinhong, docente di relazioni
internazionali presso l’Università del Popolo di Pechino, il Partito comunista cinese è molto
critico nei confronti dell’ex leader sovietico in quanto «ritiene che abbia
tradito l’Unione Sovietica», avendone avviato il declino come grande potenza
mondiale e determinandone poi la fine.
Vale
la pena riportare il fatto che in alcuni documenti interni al Partito che
circolarono prima della visita ufficiale dell’allora primo ministro Li Peng a
Mosca, nell’aprile del 1990, Gorbačëv veniva descritto come un revisionista che
aveva completamente tradito i principi base del marxismo-leninismo, negando
sostanzialmente la lotta di classe nella sfera internazionale, e favorendo la
democrazia parlamentare di stile occidentale.
I toni
denigratori sono quelli che emergono da alcuni articoli comparsi nella stampa
cinese all’indomani dell’annuncio della morte di Gorbačëv. Tra tutti, quello
pubblicato il 31 agosto dal Global Times – tabloid in lingua inglese pubblicato
dal Quotidiano del Popolo – dal titolo emblematico Chinese observers express
mixed feelings about Gorbachev, draw lessons from his immature policy of coxing
up with West, ampiamente ripreso anche dalla stampa italiana, che riporta il
punto di vista di osservatori, analisti, accademici, ma anche “semplici”
internauti.
L’articolo bolla l’ex leader sovietico come «una
figura tragica, senza principi e compiacente con gli Stati Uniti e
l’Occidente», che ha commesso «gravi errori» nel valutare la situazione
internazionale, e «ha provocato il caos nell’ordine economico interno» con
conseguenze catastrofiche per il Paese.
Con il
senno di poi, si legge, Gorbačëv è stato «ingenuo e immaturo», colui che ha
rappresentato per un certo periodo storico l’Unione Sovietica, oscillando tra
«la ricerca di una via indipendente» e «l’abbraccio all’Occidente».
In
particolare, il fatto di «venerare ciecamente il sistema occidentale ha fatto
perdere indipendenza all’Unione Sovietica, e il popolo russo ha sofferto di
instabilità politica e di gravi pressioni economiche, che la Cina ha
considerato come un grande avvertimento e una lezione da cui trarre esperienza
per la propria governance».
Per
Wang Yiwei, direttore dell’Istituto per gli Affari internazionali della già
citata Università del Popolo, «Gorbačëv è stato ingannato dall’Occidente» e «in
un momento critico non ha potuto salvare l’Unione Sovietica, né il Partito
comunista dell’Unione Sovietica».
Qui
risiede la differenza di approccio del PCC che, secondo Wang, si fonda sulla
leadership del Partito e sul principio di autonomia e indipendenza «piuttosto
che sulla ricerca dell’occidentalizzazione».
L’opinione
unanime degli osservatori citati nell’articolo è che la Cina dovrebbe trarre
una lezione importante da tale tragedia, ossia rimanere vigile nei confronti
delle forze occidentali che conducono «evoluzioni pacifiche» in altri Paesi,
poiché indipendentemente dalle idee o dai piani occidentali, Gorbačëv si era
rivolto all’Occidente senza saldi principi a cui appellarsi, contribuendo a
indebolire l’influenza e la forza dell’Unione Sovietica negli affari
internazionali.
In
altre parole, nel racconto ammonitore di una leadership fallita che i
funzionari del Partito comunista cinese hanno studiato ossessivamente per
decenni, al fine di evitare di compiere errori analoghi, Gorbačëv è denigrato
per aver causato disastri al suo stesso popolo e smantellato a cuor leggero una
grande nazione socialista.
È
interessante osservare come la scomparsa dell’ex leader sovietico abbia
attirato un’enorme attenzione pubblica anche sui social media, con un totale di
770 milioni di visualizzazioni di post su Weibo (il Twitter cinese). In
generale, la reazione è stata altrettanto dura e gli utenti di Internet non
hanno esitato a includere Gorbačëv nella lista dei «cattivi della storia».
Per
gli uni «Gorbačëv ha portato disastri non solo al popolo dell’Unione Sovietica,
ma al mondo intero»; per gli altri «ha ottenuto ampi consensi in Occidente
svendendo gli interessi della sua patria».
In questo senso, viene percepito come «uno dei leader
più controversi al mondo». Ed è soprattutto da uno dei suoi più grandi errori (forse
il più grande) che, agli occhi dell’attuale leadership comunista, bisogna
prendere le distanze, ossia il fatto di aver aperto le porte alla democrazia
occidentale senza aver posto le basi per garantire la prosperità al Paese.
Qui
risiede, per Pechino, la forza del Partito comunista cinese e del modello
socialista cinese – il cosiddetto socialismo con caratteristiche cinesi – che
rappresenta un perfetto connubio tra liberismo economico e autoritarismo
politico.
Il
ruolo delle sanzioni
nel
nuovo ordine mondiale.
Affarinternazionali.it
- Emanuele Lorenzetti- (12 Settembre 2022)- ci dice:
Con il
crollo del Muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre 1989, si aprì una fase di
conflitti in Europa che si spostarono dalla sfera politico-militare a quella
economico-finanziaria. La globalizzazione dell’economia ha generato una forte spinta
al processo di liberalizzazione dei commerci, instaurando un confronto
inter-governativo prevalentemente basato sulla discussione di interessi
economici.
Queste
trattative di tipo settoriale sono impiegate tra i Paesi avanzati, sviluppati,
in via di sviluppo e terzomondisti per la definizione dei loro rapporti di
forza nel ‘Grande Gioco’.
L’interesse
economico, posto al centro delle trattative bi-multilaterali, viene oggi usato
in modo strumentale dai governi nazionali, gettando così le radici per un
processo di ‘weaponizzazione’ dell’economia internazionale.
Gli
attori della politica estera.
La
guerra moderna si combatte fra aziende, Stati e collettività nella definizione
di una geografia del cambiamento che intende instaurare un nuovo equilibrio socio-economico
dell’ordine mondiale.
Da qui
la supposta tesi, che il futuro ordine mondiale non sarà dettato tanto sulla
base della dicotomia tra sistemi aperti e sistemi chiusi, e la relativa lotta
per la predominanza dell’uno o dell’altro sistema, quanto invece da quei Paesi
che sapranno meglio coniugare i plurimi e differenti interessi tra aziende,
Stati e persone presenti entro ciascun confine nazionale.
Per
questo motivo, l’analisi della politica estera deve passare, oggi più che ieri,
attraverso lo studio della geopolitica delle sanzioni che attualmente si
presenta sullo scenario internazionale e domina i rapporti di forza tra le
nazioni, nelle sue plurime dimensioni di sicurezza economico-finanziaria
(economic warfare), di politiche di import-export control, di guerre
commerciali, di adozione di regole di trade compliance, di procedure
restrittive e di controllo (screening) sugli investimenti diretti esteri.
Da
Stato vestfaliano a Stato mercato.
Le
alleanze politiche inter-governative, a differenza del passato, si fanno e
disfano in funzione del gioco di triangolazione dei regimi sanzionatori, che
colpiscono la società, l’economia e il commercio di una nazione.
Gli
interessi nazionali sono sempre più legati alle logiche di mercato, dove i
governi spostano l’attività cruciale dalla sicurezza militare a quello della
competitività economica, la cui tutela assume una priorità strategica e detta
le linee di politica estera e di difesa.
Le
grandi aziende entrano nella sfera pubblica e giocano un ruolo, non secondario,
all’interno del processo decisionale di un governo nazionale.
In
questo modo, il tradizionale Stato vestfaliano ha subito alcune trasformazioni
di carattere, di priorità politiche e di ricerca informativa, assumendo,
secondo una felice definizione del francese Treverton, la forma di
Stato-mercato.
L’informazione economica, dunque, costituisce
oggi il principale fabbisogno informativo per qualsiasi governo nazionale che
opera in un contesto geopolitico mondiale dominato dal nuovo multilateralismo
sanzionatorio.
La
nuova disciplina sanzionatoria.
La
condotta degli Stati ha conosciuto nel tempo una maggiore e più ricca
riflessione sulla formulazione di adeguate politiche sanzionatorie, che
dall’essere generalizzate sono andate sempre più a definire gli specifici spazi
applicativi.
Si
parla, a tal proposito, di sanzioni mirate che differiscono dalle sanzioni
generalizzate, in quanto le prime traggono la loro essenza nell’affermazione
del principio di responsabilità dell’individuo, nato sul finire del Novecento
con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei Diritti Umani.
Si
compì, in questo modo, un notevole salto di qualità giuridico che riconobbe,
quali soggetti alla disciplina sanzionatoria, non più solamente gli Stati ma
accanto a loro anche singoli individui, gruppi di persone, realtà aziendali e
partiti politici che, d’ora in avanti, avrebbero dovuto rispondere in caso di
mancato rispetto dei suddetti principi e diritti umani universalmente
riconosciuti.
La
peculiarità sulla quale bisogna concentrare maggiore attenzione risiede sulla funzione
prescrittiva della sanzione economica, in quanto la coercizione economica non
rappresenta uno strumento aleatorio o ristretto all’ambito economico, ma è un
elemento giuridicamente necessario affinché l’Onu possa essere legittimata a
intervenire nei teatri di crisi, al fine di ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale.
È quanto emerge da una combinata analisi delle
disposizioni contenute negli Artt. 41 e 42 della Carta delle Nazioni Unite,
dove si evince che l’uso della forza può essere considerato e applicato dal
Consiglio di sicurezza solamente dopo che ne siano stati verificati tutti gli
effetti prodotti dall’impiego dello strumento sanzionatorio verso il Paese
target. Ne deriva l’importanza strategica, nonché normativa, dello strumento delle
sanzioni nella politica estera e nel diritto internazionale.
Il
multipolarismo sanzionatorio.
Nella
politica estera dominata dal nuovo multipolarismo sanzionatorio si è rafforzata
la competizione per la sicurezza economica che vede coinvolte, anzitutto, le
due superpotenze globali, Stati Uniti d’America e Repubblica Popolare Cinese.
Si è
poi registrata un’accresciuta instabilità negli equilibri internazionali tra
gli attori statali di rilevanza geopolitica regionale, tra i quali spiccano
Iran, Russia, India, Pakistan, Turchia, Israele ed Egitto.
Anche
gli strumenti sanzionatori a disposizione dei governi si sono evoluti e hanno
conosciuto un’adeguata rimodulazione verso le nuove frontiere del
multipolarismo sanzionatorio.
Il
sistema di interdipendenza economica tra gli Stati, venutosi a creare con la
pratica diffusa del commercio estero quale modello di sviluppo e competitività
nazionale impone, tuttavia, alle misure restrittive, alcuni limiti al moderno
modello di economia industriale, mostrando una prima caratteristica
fondamentale dell’arma-sanzione.
La
scelta di adottare una politica sanzionatoria per un governo, infatti, non ha
mai alla base motivazioni economiche, ma solo e sempre motivazioni
geopolitiche, che riflettono la natura degli equilibri di forza presenti nel
sistema internazionale, dentro i quali e per i quali un governo nazionale è chiamato
a muoversi, al fine di massimizzare la rispettiva area di influenza regionale.
Le
nuove sfide securitarie dal cyber-spazio.
Nel
2022, con lo scoppio della guerra in Ucraina, il quadro geopolitico
internazionale ha conosciuto un ulteriore livello di frammentazione delle
minacce, dove il cyber-spazio ha incontrato ed abbracciato anche le sanzioni
economiche.
La
dimensione multi-livello della conflittualità (militare, ecofin, cibernetica)
presente nell’Est dell’Europa, in Ucraina, ha reso più perniciosa la
possibilità di difesa degli interessi strategici nazionali e maggiormente
improbabile la stessa efficacia di risposta del blocco occidentale nei
confronti della Federazione Russa.
Motivo
per cui le sanzioni occidentali contro Mosca potrebbero non sortire il generale
effetto desiderato verso il governo target perché potenzialmente aggirate
attraverso l’impiego di strumenti propri del quinto dominio di conflittualità
contemporanea.
Il
Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN) del Dipartimento del Tesoro degli
Stati Uniti ha segnalato la possibilità di minacce provenienti dai cyber-attack
e ha allertato, quindi, tutte le istituzioni finanziarie, anche di Paesi
alleati, ad essere vigili contro le intenzioni russe.
Gli
Stati Uniti, impegnati a sostenere l’Ucraina insieme ai principali partner
europei, hanno emanato importanti misure di restrizione economica nei confronti
di personalità, istituzioni e privati russi.
Per
questo motivo, stando all’allerta FinCEN, taluni esponenti russi sarebbero impegnati
nello studio e nella predisposizione di metodi di aggiramento delle misure
restrittive economiche attraverso l’utilizzo di cyber-attack, principalmente
per via della metodologia ransomware.
Le red
flags, contenute dalla FIN-2022-Alert001, corrispondono a precisi indicatori
che consentono di identificare le potenziali attività usate per evitare le
sanzioni occidentali.
Il
bivio energetico dell’Europa.
Affarntrenazionali.it-
Margherita Bianchi- Pier Paolo Raimondi- (15 Settembre 2022) -ci dice:
La
storia dell’Unione Europa è una storia di associazione e collaborazione che ha
avuto il suo principale motore nell’energia: l’integrazione europea, avviatasi
con la fusione di sei stati nella Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio
(CECA) e nata nel 1951 al fine di promuovere la crescita economica e prevenire
i conflitti, ha visto una crescente collaborazione nel campo energetico che ha
portato poi gli stessi paesi a creare nel 1957 la Comunità Europea dell’Energia
Atomica (CEEA) in seguito alla Crisi del Canale di Suez.
Sembra,
però, essere proprio la più recente sfida lanciata dalla Russia di Putin, con
l’invasione dell’Ucraina e il susseguirsi di sanzioni, a porre l’Unione Europea
definitivamente di fronte a un bivio: continuare a lavorare di concerto tra
paesi membri al fine di sormontare e risolvere collegialmente l’ennesima sfida
a sfondo energetico o essere testimoni inermi dello sbriciolarsi dell’Unione?
Divide
et impera.
I
primi passi compiuti dall’Unione al fine di fronteggiare la negazione di
ulteriori forniture di gas da parte della Russia, suggeriscono uno sforzo
corale e di solidarietà europea: l’Unione ha infatti lanciato il piano
REPowerEU, con l’obiettivo di eliminare gradualmente le importazioni di gas
russo entro il 2027.
Il
piano mira a ridurre la dipendenza europea dall’energia russa attraverso la
diversificazione, in particolare sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL),
e promuovere la decarbonizzazione attraverso le energie rinnovabili e
l’efficienza energetica.
Tuttavia,
il piano, per essere effettivo, richiede estrema coordinazione tra gli Stati
Membri e l’accettazione della guida unitaria della Commissione Europea.
La
sfida diventa, quindi, riuscire a promuovere una integrazione e collaborazione
tali da non lasciare che gli Stati membri si facciano risucchiare dall’aspra
competizione presentata dal mercato internazionale del gas, con il solo scopo di garantire una
quantità di gas sufficiente per i propri cittadini e le proprie imprese in
vista dell’inverno, dando così priorità agli interessi nazionali e minando
inevitabilmente l’unità e la solidarietà dell’UE.
L’Unione
è già riuscita a introdurre azioni
coesive di successo per affrontare problematiche globali mettendo da parte lo
stimolo ad agire singolarmente e per tutelare i propri interessi nazionali: la stessa sfida climatica ha visto un
generale accordo europeo tendere verso un’azione univoca e congiunta.
Gli
Stati membri, infatti, hanno da tempo deciso di combattere il cambiamento
climatico insieme: la sostenibilità è diventata una missione cruciale
dell’Europa, perfettamente rappresentata dal Green Deal europeo.
L’alternativa – già sperimentata – alla
solidarietà europea sono politiche di “beggar-thy-neighbour” viste in occasione di altre crisi,
come la crisi dei rifugiati nel 2015, quando gli Stati membri hanno
momentaneamente sospeso le regole di Schengen, o subito dopo lo scoppio della
pandemia di Covid-19 nel 2020, quando gli Stati si sono contesi l’accesso ai
dispositivi di protezione sospendendo i viaggi.
Rafforzare
l’architettura europea.
L’attuale
crisi energetica può collateralmente essere interpretata come un’occasione per
rafforzare l’architettura europea. L’energia è una materia di competenza
comune, secondo quanto prescritto dall’articolo 194 TFUE, e l’attuale crisi del
gas dovrebbe fungere da stimolo per i governi europei al fine di migliorare la
propria integrazione energetica sulla base di tre concetti: sicurezza
energetica, accessibilità economica e sostenibilità.
L’organo
europeo che più di tutti dovrebbe occuparsi di guidare un processo di
definitiva integrazione energetica è la Commissione Europea, la quale sta
lavorando al piano “Save gas for a safe winter” al fine di stimolare gli stati membri
a ridurre le proprie domande di gas del 15%.
La Commissione dovrebbe, però, sicuramente iniziare a
lavorare anche a una riforma strutturale del mercato dell’elettricità al fine
di incitare gli Stati membri alla massima solidarietà e applicando gli
insegnamenti tratti dal Recovery plan europeo approvato in tempo di pandemia.
L’attuale
crisi conferma che i paesi e le istituzioni europee sono chiamati a rinnovare e
migliorare l’integrazione politica ed energetica del blocco. Questo è
fondamentale per aumentare l’interconnettività, per spostare l’energia dagli
Stati meno vulnerabili a quelli più vulnerabili, oltre che per rafforzare la
solidarietà tra gli Stati membri in caso di interruzioni delle forniture. Tali misure contribuiranno inoltre ad
armonizzare le norme e i piani intra-UE per proteggere le famiglie e le
imprese, rafforzando così anche le istituzioni e i quadri europei, come il
mercato interno dell’energia dell’UE.
Il
futuro dell’unione energetica.
L’unità
europea non dovrebbe essere applicata solo alle priorità energetiche più
urgenti di oggi, come il gas. L’Ue dovrebbe iniziare a considerare in modo
proattivo misure comuni per proteggersi dai futuri e potenziali rischi per la
sicurezza nel lungo cammino verso la transizione energetica come, ad esempio,
la creazione di uno stock europeo comune per le materie prime critiche e altri
prodotti di base essenziali per le tecnologie di decarbonizzazione.
L’unità
e la solidarietà sono risposte fondamentali alla luce della guerra di Putin. È
in gioco il progetto europeo. Un coordinamento rafforzato ed efficace tra gli
Stati membri dell’UE determinerà non solo il futuro panorama energetico
europeo, ma anche il peso politico dell’UE sulla scena internazionale.
Le
proposte della Conferenza
sul
futuro dell’Europa per il clima.
Affarinternazionali.it-
Giulia Sofia Sarno – (14 Settembre 2022)- ci dice:
Lo
scorso maggio si è conclusa la Conferenza sul futuro dell’Europa, un esercizio
inedito di democrazia partecipativa in cui i cittadini europei sono stati
chiamati a discutere e formulare delle raccomandazioni per affrontare le sfide
del futuro dell’Unione europea.
Conferenza,
crisi energetica, cambiamento climatico.
Dopo
un anno di lavoro, sono state formulate 49 proposte, relative a 9 temi di
discussione, che includono più di 300 misure specifiche su come realizzarle.
Queste proposte si basano sulle 178 raccomandazioni emerse dalle discussioni
dei tre principali organi della Conferenza: i panel di cittadini europei,
composti in totale da 800 cittadini selezionati casualmente e rappresentativi
della composizione geografica e sociale dell’Ue, la piattaforma digitale
multilingue aperta a tutti dove sono stati raccolti oltre 50.000 contributi, e
infine i panel nazionali che molti stati membri hanno organizzato in parallelo
alla Conferenza.
Le 49
proposte sono state adottate dalla Plenaria della Conferenza, composta da
membri del Parlamento europeo, rappresentati dei Parlamenti nazionali,
rappresentati del Consiglio, della Commissione europea, del Comitato delle
Regioni, del Comitato economico e sociale, e da rappresentati dei cittadini e
della società civile.
L’ambiente
e il cambiamento climatico sono stati tra le tematiche protagoniste della
Conferenza, risultando tra le più cliccate sulla piattaforma digitale e le
maggiormente discusse all’interno dei panel di cittadini.
Le
posizioni più progressiste su questi temi sono state portate avanti dai giovani
tra i 16 e i 25 anni, che, come stabilito dalle regole della Conferenza,
dovevano corrispondere a un terzo di ciascun panel.
I
lavori della Conferenza si sono svolti in un momento storico molto particolare,
tra la pandemia di Covid-19, che ne ha ritardato il lancio, e lo scoppio del
conflitto in Ucraina. Le discussioni su ambiente e cambiamenti climatici sono state
fortemente influenzate dallo stravolgimento del sistema energetico europeo a
seguito del conflitto. Nei dibattiti è stata infatti espressa forte preoccupazione
riguardo la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili e dai loro paesi
esportatori, prima fra tutti la Russia.
Nel
dibattito pubblico in materia di energia di molti paesi europei, già a partire
da fine 2021 con l’aumento dei prezzi dell’energia e ancora di più dopo
l’attacco di Putin all’Ucraina, le questioni di sostenibilità ambientale sono
state messe in secondo piano, dopo esserne state protagoniste negli ultimi
anni, per lasciare spazio a nuove preoccupazioni legate alla sicurezza degli
approvvigionamenti e alla loro sostenibilità economica. Si è quindi temuto che la drammatica
crisi energetica e geopolitica potesse allontanare i governi e la cittadinanza
europea dagli obiettivi della transizione energetica.
Al
contrario, quantomeno nel contesto della Conferenza, la risposta dei cittadini
europei è stata molto chiara nell’identificare la transizione energetica come
uno strumento chiave per affrontare l’attuale crisi. Infatti, tra le 49
proposte finali vi è quella di accelerare la transizione energetica al fine di
rafforzare la sicurezza energetica dell’UE e ridurre la sua dipendenza
dall’estero. Questo obiettivo, si legge nel rapporto finale della Conferenza,
deve essere raggiunto attraverso l’aumento di investimenti nelle energie
rinnovabili e in altre tecnologie verdi, il potenziamento di misure di
efficienza energetica e di servizi come il trasporto pubblico a prezzi
accessibili. Altre misure proposte riguardano il taglio dei sussidi ai combustibili
fossili, l’adozione di tasse sul carbonio alle frontiere come strumento per finanziare innovazione e
tecnologie verdi, mentre forte enfasi è stata posta sulla necessità di
conseguire una transizione giusta che tuteli i lavoratori.
Le
critiche e la fase di follow-up.
Nonostante
l’innegabile successo della Conferenza come primo esercizio di democrazia
partecipativa di questa portata, sono state mosse diverse critiche sul suo
funzionamento. I
l
metodo di selezione casuale dei cittadini è stato criticato in quanto non del
tutto in grado di riflettere la composizione sociale dell’Ue (in particolare
per livello di istruzione e rappresentatività delle minoranze).
Inoltre,
le discussioni dei panel riguardavano materie spesso molto tecniche – in
particolare riguardo i temi energetici e ambientali – sulle quali i cittadini
venivano informati con dei briefing da parte di esperti.
Alcuni
osservatori hanno sollevato dei dubbi riguardo la consapevolezza dei cittadini
nel formulare proposte su materie così complesse sulle quali avevano
informazioni limitate, e inoltre il criterio di scelta degli esperti avrebbe
necessitato di maggiore trasparenza.
Con
l’adozione delle 49 proposte finali e la chiusura dei lavori della Conferenza
si è conclusa la prima fase di questo processo, che è tutt’altro che ultimato.
Si è infatti ora aperta la fase di follow-up in cui le istituzioni europee
dovranno decidere come dare seguito alle proposte emerse, una fase decisiva per
non lasciare che il lavoro svolto resti lettera morta e che l’impegno di includere
più direttamente i cittadini nella costruzione del futuro dell’Unione venga
disatteso.
Il 17
giungo la Commissione ha pubblicato una valutazione dettagliata delle prossime
tappe, comunicando che nuove proposte legislative verranno elaborate sulla base
di quanto emerso dalla Conferenza e nuovi panel di cittadini verranno
costituititi per discutere le future iniziative legislative più importanti. Le
nuove proposte della Commissione e il nuovo ciclo di panel di cittadini
verranno annunciati il prossimo 14 settembre dalla presidente Ursula von de
Leyen in occasione del discorso sullo stato dell’Unione. In autunno inoltre si terrà un evento
di feedback per fare il punto sui progressi fatti.
La
leadership climatica dell’UE.
Un’altra
proposta chiave sul dossier clima emersa dai lavori della Conferenza è quella
di mantenere e accrescere la leadership dell’UE sui cambiamenti climatici,
mantenendo fede agli impegni presi nel contesto internazionale.
Questo
aspetto risulta particolarmente rilevante nel contesto attuale. Infatti, una
delle sfide più complesse che gli Stati membri dell’Unione si trovano ad
affrontare è quella di conciliare bisogni energetici di breve periodo – legati
soprattutto a identificare fornitori di combustibili fossili alternativi alla
Russia – con il mantenimento della rotta verso gli obiettivi di
decarbonizzazione.
Firmare
accordi con fornitori alternativi è essenziale in questa fase, tuttavia essi
devono essere formulati in modo da non rallentare la transizione energetica dei
paesi coinvolti, soprattutto se si tratta di economie in via di sviluppo,
spesso particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici e con scarse
risorse per contrastarli.
Questo
significa per esempio limitare le espansioni dei settori di gas e petrolio nei
loro territori, investimenti che rischiano di legare il futuro di questi paesi
ai combustibili fossili e di non essere ripagati, dato che la domanda europea è
destinata a ridursi rapidamente come conseguenza delle politiche di
decarbonizzazione.
Per
mantenere un ruolo di leadership globale nella lotta ai cambiamenti climatici e
non disattendere l’impegno di sostenere i paesi più vulnerabili, sarà quindi
fondamentale che i bisogni energetici di breve periodo dell’Unione non
ostacolino la transizione verde sia all’interno dei propri confini sia
all’estero.
Le
sfide per l’Italia.
In
Italia la strategia messa a punto dal governo Draghi per fronteggiare la crisi
energetica si basa in buona parte sul rafforzamento del corridoio africano, con
l’obiettivo di sostituire le forniture di gas russo con quelle provenienti da
paesi del nord Africa e Africa subsahariana – regioni che non possono subire
ulteriori ritardi nella lotta ai cambiamenti climatici, anche per prevenire un
rischioso deterioramento della loro stabilità interna. L’attenta pianificazione
di queste partnership energetiche sarà dunque fondamentale.
A due
settimane dalle elezioni politiche, l’Italia si trova inoltre alle porte di una
stagione invernale molto complessa, soprattutto per la gestione della crisi
energetica e le sue conseguenze economiche. Il nuovo governo si troverà davanti
sfide importanti, molte delle quali legate alle tematiche energetiche e
ambientali, dove scelte non orientate a mantenere una rotta decisa verso la
transizione energetica genererebbero gravi costi economici e sociali.
Consapevole
di queste sfide, la comunità scientifica italiana si è mobilitata attraverso
una lettera aperta indirizzata al mondo della politica, chiedendo di inserire
la crisi climatica al vertice dell’agenda. Le istanze espresse nella lettera,
firmata da più di 200 000 persone, fanno eco a quelle espresse dai cittadini
europei nel contesto della Conferenza sul Futuro dell’Europa sui temi di
ambiente e clima. Infatti, ricalcando le discussioni avvenute in sede europea,
anche in Italia la società civile chiede alla politica di agire per limitare gli
impatti dei cambiamenti climatici “sulla società, relativamente al suo
benessere, alla sua sicurezza, alla sua salute e alle sue attività produttive”,
in quanto questi “minano alla base tutto il nostro futuro”.
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