L’USO DELL’ ATOMICA.

 L’USO DELL’ ATOMICA.

 

 

Liz Truss, la Guerrafondaia

Fautrice dell’Uso dell’Atomica,

è il nuovo Premier britannico!

Conoscenzealconfine.it- Redazione-( 7 Settembre 2022) -ci dice:

 

Liz Truss, quella che non conosce la geografia, è ufficialmente la nuova premier del Regno Unito, terza donna a guidare il governo britannico dopo la Tacher e la May.

Fino ad oggi era la ministra degli Esteri, ricordata con ironia per alcune perle frutto della sua “preparazione” in storia e geografia: “l’Ucraina – aveva dichiarato in febbraio – è un paese orgoglioso con una grande storia, che ha dovuto subire diverse invasioni dai mongoli ai tartari (mai visti da quelle parti…, ndr).

All’Ucraina noi forniamo e inviamo armamenti difensivi, altrettanto forniamo sostegno ai nostri amici alleati baltici attraverso il Mar Nero” (semplicemente Lituania, Estonia e Lettonia non affacciano sul Mar Nero, ndr).

Poi in un colloquio con Lavrov ha fornito un’altra sua “perla”. Rispondendo all’insistenza della Truss, secondo la quale la Russia deve assolutamente ritirare i suoi soldati dalla frontiera con l’Ucraina, Lavrov ha detto che i soldati russi si trovano dentro il proprio paese: “Voi riconoscete la sovranità della Russia sulle regioni di Rostov sul Don e Voronezh?”

 La signora Truss, dopo essere rimasta in silenzio un po’ di tempo, ha risposto:

“la Gran Bretagna non riconoscerà mai la sovranità della Russia su queste regioni”. Insomma non ha idea dei confini della Russia (e nemmeno dell’Ucraina).

La ministra ha forgiato la sua immagine su Margaret Thatcher. Sono stati diversi i richiami alla ex premier:

dalla foto scattata a bordo di un carro armato dell’esercito britannico in Europa orientale (simile a quella della “Lady di ferro” durante la Guerra Fredda), alla camicetta con un fiocco, in stile Thatcher, indossata dalla ministra durante un dibattito televisivo.

 Truss, 46 anni, è la preferita di molti conservatori, che venerano la Lady di ferro più di ogni altro leader. Mentre, secondo i critici, la ministra degli Esteri non avrebbe lo spessore necessario per guidare il Paese tra le turbolenze economiche e la guerra in Ucraina.

Ma non sempre Truss è stata una fervente thatcheriana. Nata a Oxford nel 1975 da un professore di matematica e un’infermiera, la ministra da piccola veniva portata alle proteste anti-nucleare e anti-Thatcher, dove ricorda di aver gridato: “Maggie fuori!”.

La Truss ha frequentato un liceo pubblico a Leeds, nel nord dell’Inghilterra, e ha poi studiato filosofia, politica ed economia all’Università di Oxford, dove per un breve periodo ha fatto parte dei liberaldemocratici centristi e ha chiesto l’abolizione della monarchia.

 Sposata e con due figlie adolescenti, Truss ha lavorato come economista per il gigante dell’energia Shell e per l’azienda di telecomunicazioni Cable and Wireless, e per un think tank di destra, mentre si è impegnata nella politica conservatrice e ha quindi sposato le idee thatcheriane del libero mercato.

Si è candidata due volte senza successo al Parlamento, prima di essere eletta nel 2010 nel seggio di Southwest Norfolk, nell’Inghilterra orientale.

 Al referendum del 2016 sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, Truss si è schierata per il “remain”.

Ma poi ha fatto parte del governo Johnson, fortemente pro-Brexit, prima come segretaria al Commercio e poi agli Esteri, guadagnandosi le simpatie dei Brexiteers del partito conservatore.

Come ministra degli Esteri, la Truss è stata in prima linea nel sostegno all’Ucraina e alle sanzioni occidentali contro la Russia e non ha escluso l’utilizzo di armi atomiche in un prevedibile allargamento del conflitto.

A dir poco inquietante la sua recente affermazione: “Se la situazione mi richiederà di premere il pulsante nucleare, lo farò immediatamente. E non importa che moriranno milioni di cittadini, per me la cosa principale è la democrazia e i nostri ideali. I leader occidentali, per come la vediamo, sono pronti per una guerra nucleare e competono per vedere chi sarà il primo a ricevere l’onore di premere il pulsante”. (farodiroma.it/liz-truss-la-guerrafondaia-fautrice-delluso-dellatomica-quella-che-non-conosce-la-geografia-e-il-nuovo-premier-britannico/).

Brigata Bastardi: a caccia

dell'atomica nazista.

Doppiozero.com- Claudio Castellacci-(17 Luglio 2022) - ci dice:

 

Die Stunde Null, l’ora zero, che segnò la fine della Seconda guerra mondiale in Europa, e la dissoluzione del Terzo Reich, era scattata alle 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 con la firma, avvenuta nel Quartier generale supremo della forza di spedizione alleata a Reims, in Francia, apposta sulla dichiarazione di resa incondizionata della Germania dal generale Alfred Jodl, capo di stato maggiore dell’Oberkommando der Wehrmacht.

 La totale cessazione delle attività belliche tedesche fu stabilita dai generali Walter Bedell Smith, Ivan Susloparov e François Sevez, in rappresentanza delle potenze vincitrici, per le 23:01 del giorno successivo.

La cerimonia della firma – sarà ratificata a Berlino l’8 maggio, da ufficiali tedeschi di più alto rango, quando, secondo il fuso orario di Mosca, era già il giorno dopo (per questo, in Russia, l’anniversario della vittoria viene celebrato il 9 maggio). Questa volta a firmare l’atto di resa definitivo saranno, da parte tedesca, il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, il generale Hans-Jürgen Stumpff e l’ammiraglio Hans Georg von Friedeburg, alla presenza del generale sovietico Georgij Zhukov e del vice del Comandante della forza di spedizione alleata, il Maresciallo dell’aria britannico Arthur W. Tedder.

È così che, da allora, nei libri di storia – che siano sussidiari illustrati o pregnanti tomi universitari – saranno analizzate e celebrate soprattutto le grandi battaglie (dallo sbarco in Normandia a Stalingrado, passando per la sanguinosa offensiva delle Ardenne) che hanno portato, sul campo, alla vittoria degli Alleati. Ma cosa accadeva dietro le quinte? Poco si sapeva delle battaglie combattute nell’ombra dai servizi di intelligence, fin quando gli storici non hanno potuto mettere le mani su importanti, talvolta inquietanti, documenti de-secretati, nel tempo, col contagocce.

Una delle più drammatiche e audaci operazioni della Seconda guerra mondiale, di cui oggi abbiamo conoscenza, fu quella relativa al frenetico tentativo di bloccare lo sviluppo degli studi sulla bomba atomica che gli scienziati tedeschi avevano intrapreso ben prima che gli Alleati si rendessero conto di quanto i nazisti fossero avanti nelle loro ricerche, e il cui uso avrebbe potuto non solo costare perdite enormi di vite umane, ma soprattutto avrebbe contribuito alla sicura vittoria delle forze dell’Asse.

Per questo venne creata una speciale squadra scientifica, battezzata “Unità Alsos”, il cui obiettivo era quello di bloccare, con ogni mezzo, lo sviluppo del progetto della bomba atomica nazista.

 La storia avventurosa dell’Operazione Alsos è oggi raccontata da Sam Kean, fisico e letterato, autore di La brigata dei bastardi (editore Adelphi, traduzione di Luigi Civalleri), in cui ricostruisce il contesto strategico e scientifico in cui si muoveva il team, una brigata eterogenea composta da militari, scienziati, premi Nobel, figli di papà, persino una star del baseball, il cui mandato non escludeva il ricorso a mezzi estremi quali sabatoggi, rapimenti, omicidi.

Il Grifone e l’inverno della Terra.

Se dovessimo indicare una data in cui tutto cominciò, dovremmo probabilmente parlare del 6 gennaio 1939 – giorno del solstizio d’inverno, quello in cui, come qualcuno fece notare, «iniziava l’inverno della Terra» – quando Paul Rosbaud, l’editore della rivista scientifica Die Naturwissenschaften, fece saltare dal numero in stampa un articolo già composto in bozze sostituendolo, in fretta e furia, con un contributo del professor Otto Hahn, direttore dell’Istituto Kaiser Wilhelm a Berlino, futuro Premio Nobel per la chimica, in cui descriveva i risultati di uno studio del dicembre 1938 sulla fissione dell’uranio, alla cui stesura avevano partecipato l’assistente Fritz Strassmann, ma soprattutto la sua più stretta collaboratrice, Lise Meitner, una delle più brillanti e visionarie menti della fisica nucleare – definita da Einstein «la Marie Curie tedesca» – che, però a causa delle sue origini ebraiche, non solo non aveva potuto ricevere il credito per quella ricerca, anzi aveva dovuto emigrare e rifugiarsi in Svezia per sfuggire alla cattura da parte della Gestapo.

Se la notizia dello studio di Hahn fu accolta con emozione dalla maggior parte della comunità internazionale dei fisici, ci fu anche chi, fra loro, cominciò ad avere brutti presentimenti. Tutti sapevano, ovviamente, come l’uranio fosse un materiale abbondante in natura e non fosse difficile ottenerne grandi quantità, così come sapevano, grazie ai lavori di ricerca iniziati nel 1934 da Enrico Fermi, che la sua fissione avrebbe liberato enormi quantità di energia, più di quanto l’umanità potesse, all’epoca, maneggiare in sicurezza. E non era una notizia rassicurante.

Comunque sia, per Hahn quello non fu solo un momento di gloria: alcuni fisici nazisti accusarono lo scienziato e il suo editore di tradimento.

 La fretta con cui l’articolo era stato stampato si prestava a allertare i nemici del Reich, impedendo che il segreto sulla fissione dell’uranio rimanesse in mani tedesche. In effetti, non avevano tutti i torti.

 Già, perché Paul Rosbaud non era solo un giornalista e editore, ma era anche un informatore degli inglesi, il cui nome in codice era “Grifone”. E, sì, aveva proprio voluto allertare la comunità scientifica internazionale del pericolo che si profilava all’orizzonte.

Nella sua veste di informatore sarà ancora lui ad allertare gli Alleati che, a fine settembre 1939, uno scienziato esperto di aerodinamica, tale Wernher von Braun – colui che, nel dopoguerra, passato armi e bagagli agli americani, grazie ai suoi studi sui razzi, diverrà l’ispiratore di quel Programma Apollo che permetterà alla Nasa di sbarcare sulla Luna – aveva “stranamente” convocato numerosi colleghi a Peenemünde, una località sulla punta settentrionale di una sperduta isola del Mar Baltico che, dal 1937, ospitava una base di sperimentazione missilistica.

Non solo, informava anche che, da qualche tempo, i locali osservavano la formazione di strane scie di vapore nel cielo, seguite da improvvise esplosioni. Non potevano saperlo, scrive Kean, ma erano testimoni della nascita delle Vergeltungswaffen, le “armi della vendetta”, meglio note con le sigle V1 e V2, che di lì a poco avrebbero terrorizzato Londra, ma non solo.

Come quando il 16 dicembre 1944, in concomitanza con il primo giorno dell’offensiva delle Ardenne, una V2 centrò in pieno il tetto del cinema Rex, ad Anversa, in Belgio, dove 1100 persone stavano assistendo alla proiezione del film western The Plainsman, uccidendo 567 spettatori, di cui 296 militari, e distruggendo 11 palazzi adiacenti. Ci volle più di una settimana per recuperare i corpi delle vittime dalle macerie. Fu il più devastante singolo attacco missilistico di tutta la guerra.

Il Progetto Manhattan e la fine dello splendido isolamento.

 

Cosa sarebbe dunque accaduto se i nazisti avessero installato una testata nucleare su una V2 o, peggio, su una V3, la bomba volante che, all’epoca, era ancora in fase di studio? Probabilmente quello che ipotizzeranno due romanzi, capolavori di ucronia: La svastica sul sole di Philip K. Dick, ma soprattutto Fatherland di Robert Harris, in cui lo scrittore inglese ipotizza che la Germania nazista abbia vinto la Seconda guerra mondiale, che Joseph Kennedy (il padre di John e Bob), di note simpatie non proprio democratiche, fosse diventato Presidente degli Stati Uniti, e che sul trono d’Inghilterra sedesse il sovrano filo tedesco Edoardo VIII (che non avrebbe abdicato), sposato con quella Wallis Simpson che era stata intima, prima di Galeazzo Ciano e poi, per par condicio, di Joachim von Ribbentrop, futuro Ministro degli Esteri del Reich, all’epoca in cui era ambasciatore a Londra, e ricopriva la signora di rose rosse.

Il fatto era che, praticamente, fino al 1942 gli americani, nel loro splendido, ricorrente isolazionismo, avevano preso sottogamba il problema.

 Di ricerca nucleare ne discutevano, sì, già dal 1939, da prima dell’attacco a Pearl Harbor e, a questo proposito avevano creato un programma di sperimentazione e sviluppo battezzato Progetto Manhattan che, però, fino a quel 1942 si era trascinato in una serie di conferenze e rapporti ufficiali in cui si giungeva alla conclusione che sarebbero stati necessari altri incontri e altri studi. Il fatto che i politici (attenti più al loro elettorato isolazionista) non capissero quanto fosse urgente mettersi seriamente al lavoro, faceva infuriare i fisici nucleari, soprattutto, nota Kean, quelli scappati dall’Europa nazificata, i quali ben sapevano che i tedeschi del “Club dell’Uranio”, stavano lavorando alla fissione ormai da almeno tre anni e potevano contare sul supporto tecnico delle migliori industrie del mondo. «Nessun altro paese poteva competere con la potenza intellettuale e industriale della Germania, senza parlare della sua diabolica volontà di scatenare una guerra».

Solo in seguito all’attacco a Pearl Harbor del 6 dicembre 1941 – che “sveglierà il gigante che dormiva” – gli americani si renderanno conto che fino a quel momento avevano scherzato e che, da allora in avanti, non potevano più permetterselo. Ciononostante trascorse ancora quasi un anno prima che, nel settembre del 1942, venisse nominato a capo del progetto di costruzione della bomba atomica il generale Leslie Groves, uno dal carattere difficile, conosciuto come il miglior gestore di progetti e il peggior rompiscatole di tutto l’esercito. E niente sarà più come prima.

Werner Heisenberg deve morire.

L’obiettivo numero uno dell’Operazione Alsos si chiamava Werner Heisenberg, uno dei più brillanti fisici dell’epoca, precursore, nel 1925, della meccanica quantistica e del conseguente “principio d’indeterminazione” (enunciato nel 1927), studi che gli varranno il premio Nobel per la fisica nel 1932. A ondate successive i comandi alleati prendevano in considerazione l’ipotesi di rapire lo scienziato, ma ogni volta il progetto veniva accantonato per obiettive difficoltà militari o politiche.

 Fino al 1944, quando con le notizie dell’accelerazione del programma atomico tedesco che giravano sempre di più negli ambienti scientifici, gli americani decisero che era ora di finirla con le indecisioni e di passare alle maniere forti.

Fu così che il generale Groves e Wild Bill Donovan, il leggendario capo dell’OSS, il servizio segreto antenato della CIA, si misero a studiare un metodo per catturare Heisenberg, andando a prelevarlo con un commando nel suo laboratorio, a 80 chilometri dal confine svizzero.

 La missione doveva essere affidata a Carl Eifler, uno che aveva combattuto i giapponesi nella giungla birmana, conosciuto come “l’uomo più duro e spietato di quella gabbia di matti dell’OSS”.

Eifler chiese istruzioni: e se ci prendono? La risposta fu chiara: fai in modo che la Germania non abbia più a disposizione quel cervello. D’accordo, ma se mi prendono? Noi non ti abbiamo mai visto, né conosciuto. Perfetto. Mettiamoci al lavoro.

Ma poi arrivarono i dubbi. Persino per quei matti dell’OSS il piano era quanto meno strampalato. La Germania non era la giungla birmana da cui si poteva uscire ammazzando la gente a colpi di machete se ci si trovava alle strette. Il rapimento di Heisenberg richiedeva cautela e astuzia, meno violenza e più intelligenza, come ricorda Kean nel suo libro. L’occasione arrivò grazie a un invito che Paul Sherrer, fisico del Politecnico di Zurigo, l’ateneo dove si era laureato Einstein, aveva fatto a Heisenberg per tenere una conferenza, invito che lo scienziato tedesco aveva accettato ben volentieri perché ormai si sentiva sempre più isolato dalla comunità scientifica internazionale.

Così, a Zurigo, gli americani invieranno una strana coppia formata dal fisico di origine olandese Samuel Goudsmit, anch’egli membro dei “cacciatori” del gruppo Alsos, e da Moe Berg, apparentemente improbabile quanto efficace spia atomica, stella del baseball, ex ricevitore della Major League, laurea in lingue, magna cum laude, a Princeton, (parlava correntemente italiano, francese, greco, spagnolo, tedesco, e aveva grande dimestichezza con il latino, il greco antico e il sanscrito: la sua storia sarà oggetto di una dettagliata biografia scritta da Nicholas Dawidoff, The Catcher was a Spy, “Il ricevitore era una spia”, che sarà anche trasposta in un film dal titolo omonimo).

Berg aveva il compito di assistere alla lezione facendo finta di essere un dottorando svizzero interessato alla meccanica quantistica, e doveva valutare se dalle parole di Heisenberg fosse trapelata una qualche indicazione sul fatto che la Germania fosse vicina a realizzare la bomba atomica.

 In quel caso, Berg, a cui avevano affidato una Beretta calibro 9 Parabellum, avrebbe dovuto mettere Heisenberg hors de combat, il che voleva dire una cosa sola: ucciderlo.

Per sua fortuna, Berg valutò che i tedeschi non erano vicini allo scopo e non passò all’azione. E Heisenberg, ignaro del pericolo che aveva corso, ripartì da Zurigo per passare il Natale in famiglia portando con sé giocattoli per i bambini, una crema di bellezza e un maglione per la moglie, articolo quest’ultimo che era vietato importare in Germania, così per farlo passare alla dogana dovette indossarlo facendo finta che fosse suo.

Farm Hall e l’Operazione Epsilon.

Nella primavera del 1945, alla fine della guerra, ricorda Kean, Alsos aveva messo le mani su decine di fisici nucleari tedeschi, ma alla fine fu deciso di tenerne in custodia solo dieci, catturati tra il primo maggio e il 30 giugno 1945. Saranno internati dal 3 luglio 1945 al 3 gennaio 1946. Si trattava di Walther Gerlach, Paul Harteck, Kurt Diebner, Carl Friedrich von Weizsäcker, Karl Wirtz, Erich Bagge, Horst Korsching, i premi Nobel per la fisica Max von Laue, Otto Hahn e, naturalmente, Werner Heisenberg.

Quest’ultimo era stato rintracciato dal colonnello Boris Pash, il comandante della missione Alsos (un militare temerario, di radici russe, che aveva combattuto nell’Armata bianca contro i comunisti durante la Rivoluzione d’ottobre) nel suo chalet sulle Alpi bavaresi dove sapeva che, prima o poi, qualcuno sarebbe andato a prenderlo. La sua grande speranza era che gli americani arrivassero prima dei sovietici.

Tutti quegli scienziati erano convinti che gli americani avrebbero cercato di carpire i loro segreti atomici, mentre, in verità, da loro non avevano ormai più molto da imparare: volevano solo toglierli dalla circolazione perché non finissero nelle mani dei russi.

Ma il fatto era che non sapevano bene dove “parcheggiarli”. Alla fine decisero di darli in custodia agli inglesi che li alloggiarono a Farm Hall, un’elegante villa a nord di Londra, dove Heisenberg passava il tempo al piano suonando Beethoven, e Hahn potava le rose del giardino, mentre, come racconta Kean, un militare britannico leggeva Dickens a alta voce per aiutarli a migliorare il loro inglese.

Quello che i dieci scienziati ignoravano, era che i servizi segreti inglesi avevano tappezzato la villa di microfoni per capire cosa si sarebbero detti in quella loro apparente libertà di comunicare, quali fossero le loro eventuali responsabilità nel regime nazista, e soprattutto quali sarebbero state le loro future intenzioni (le trascrizioni delle registrazioni segrete di Farm Hall e dell’Operazione Epsilon, sono state de-secretate nel 1992). 

Gli scienziati non ebbero mai alcun sentore dell’esperimento che si consumava alle loro spalle. Significativo questo dialogo che si trova nelle trascrizioni: Diebner: «Mi chiedo se ci sono dei microfoni istallati qui». Heisenberg: «Microfoni istallati? Ma no, gli inglesi non sono così astuti dopo tutto. Non credo conoscano i veri metodi della Gestapo. Sono un po’ arretrati sotto questo punto di vista».

Epilogo.

La notizia dello sgancio della prima bomba atomica il 6 agosto 1945, prese gli scienziati tedeschi alla sprovvista. Furono informati dell’attacco, intorno alle 19:45 circa, da un ufficiale britannico. La reazione di Heinsenberg fu che si trattasse di semplice propaganda: se la Germania non era riuscita a costruire la bomba atomica, nessun altro ci poteva riuscire; sicuramente gli Alleati avevano appiccicato l’etichetta “nucleare” a un’arma convenzionale molto potente.

Le conversazioni feroci registrate dagli inglesi andarono avanti fino alle nove, quando andò in onda il radiogiornale della BBC. Il conduttore, ricorda Kean, entrò nel dettaglio in modo convincente, parlando anche di fissione dell’uranio. All’improvviso, a Heisenberg e agli altri scienziati tedeschi fu finalmente chiaro che la Germania aveva, veramente, perso la guerra. «Prima di quel giorno», ebbe a scrivere Samuel Goudsmit, «credevano di avere almeno vinto la guerra dei laboratori». Ora anche quell’illusione era finita.

 

 

 

 

Come sarebbe una guerra

nucleare nel 2022?

Swissonfo.ch- Sara Ibrahim-(7-3-2022) -ci dice:

 

Oltre a uccidere centinaia di migliaia di persone all'istante, un'esplosione nucleare creerebbe delle onde di luce visibile, infrarossa e ultravioletta che, combinandosi, produrrebbero una sorta di grande palla di fuoco molto calda capace di bruciare qualsiasi cosa e di creare ustioni di terzo grado in un raggio molto esteso.                                  (Copyright 2016 The Associated Press.)

Le armi nucleari odierne sono molto più compatte, precise e potenti di quelle utilizzate nella Seconda guerra mondiale. Ciò significa che una guerra nucleare avrebbe effetti devastanti ben oltre i confini dell'Ucraina.

Il presidente russo Vladimir Putin è stato chiaro: chiunque cercherà di ostacolare l’azione militare in Ucraina dovrà fare i conti con “conseguenze mai sperimentate nella storia”. Il rischio di un conflitto nucleare mette in allerta il mondo intero e riporta l'orologio indietro di sessant'anni, quando l'Unione Sovietica minacciava di avviare una guerra nucleare armando Cuba con missili balistici.

I successivi tentativi di disarmo non hanno impedito alla Russia di continuare a sviluppare la sua tecnologia. Oggi, il Paese possiede il più grande arsenale nucleare del mondo, con circa 6’000 testate, che corrispondono a quasi la metà di tutte le armi nucleari esistenti a livello globale.

Dal lancio delle prime bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nel 1945, la tecnologia nucleare si è notevolmente evoluta, diventando più complessa. Inoltre, la varietà di ordigni permette di eseguire attacchi sia su larga scala che mirati, con una gittata maggiore e una forza distruttiva molto superiore.

Come si è evoluta la tecnologia delle armi nucleari dal 1945 a oggi?

La bomba lanciata su Hiroshima nel 1945 pesava circa 4’500 chilogrammi e uccise oltre 100’000 persone. Nel tempo, sono stati fatti passi avanti significativi nella miniaturizzazione della tecnologia: le armi nucleari odierne sono più compatte e di solito pesano solo poche centinaia di chilogrammi, ma hanno il potenziale di uccidere milioni di persone. Queste caratteristiche rendono possibile effettuare un attacco atomico utilizzando una varietà di mezzi diversi, dai missili balistici a quelli da crociera, raggiungendo ogni parte del globo.

“Molte di queste armi sono molto più piccole, leggere e facilmente utilizzabili di un tempo. Inoltre, la loro potenza esplosiva è molto più grande” spiega Stephen Herzog, ricercatore presso il Centro di studi sulla sicurezza del Politecnico federale di Zurigo. Alcune delle armi nucleari di cui la Russia dispone oggi, infatti, sono oltre 50 volte più potenti di quelle sganciate su Hiroshima e Nagasaki.

Come si presenta l’arsenale atomico russo?

La Russia possiede un arsenale atomico molto variegato, che le consente di sferrare attacchi servendosi di piattaforme di lancio via terra, via mare e via aria: si tratta della cosiddetta “triade nucleare”, prerogativa anche di Stati Uniti e Cina. Le armi terrestri sono missili balistici o da crociera, alcuni dei quali hanno una portata intercontinentale: sono quindi in grado di raggiungere obiettivi molto distanti. Altre hanno un raggio più corto e sono destinate al continente europeo.

I missili lanciati via mare, invece, vengono sganciati da sottomarini difficili da localizzare, poiché possono nascondersi sott'acqua in qualsiasi parte del mondo. Le bombe più pesanti sono ancora trasportate via aerea attraverso bombardieri strategici che volano su grandi distanze.

Il vantaggio della triade è quello di garantire una maggiore deterrenza, oltre che una capacità strategica e una flessibilità superiori. Queste piattaforme dislocate rendono anche l’arsenale più "difendibile", ovvero più difficile da distruggere completamente in caso di conflitto.

Come possono essere utilizzate le diverse tipologie di armi?

Le armi nucleari “strategiche” sono generalmente impiegate per colpire le città.

"Ma possono anche essere usate per colpire risorse militari molto grandi e importanti come basi e gruppi di attacco navale in mare", dice Herzog. Le armi “tattiche o non strategiche”, invece, sono armi a basso rendimento progettate per l’uso sul campo di battaglia come “equalizzatore di forze” e cioè per ribaltare a proprio favore un conflitto che si vuole assolutamente vincere. La Russia possiede circa 1'900 armi nucleari tattiche.

Le armi nucleari sono davvero diventate illegali?

Quali scenari di conflitto sono possibili?

Se la Russia dovesse decidere di sferrare un attacco nucleare contro l’Ucraina o contro qualsiasi altro Paese che interviene per sostenere il governo ucraino, è più probabile che utilizzi delle armi nucleari tattiche da battaglia piuttosto che delle grandi testate strategiche che gli Stati Uniti potrebbero interpretare come un attacco diretto alla NATO, sostiene il ricercatore Alexander Bollfrass del Centro di studi sulla sicurezza del Politecnico federale di Zurigo.

Un attacco su larga scala, infatti, rischierebbe di attivare le forze di deterrenza degli Alleati. Mentre l’utilizzo di armi nucleari di tipo tattico consentirebbe all’esercito russo di distruggere punti militarmente strategici in Ucraina, come aerodromi, o di lanciare un messaggio politico forte al governo ucraino, montando le testate direttamente sui missili che già sta impiegando nel conflitto, afferma Bollfrass.

Oltre agli attacchi premeditati, bisogna considerare il rischio di incidenti, che aumenta durante il trasporto delle testate nucleari o i combattimenti vicino alle centrali nucleari, come sta già accadendo dalle parti di Zaporizhzhia, dove si trova la più grande centrale nucleare d'Europa.

L'esercito russo è stato recentemente accusato di aver bombardato e danneggiato alcuni edifici dell'impianto prima di prenderne il controllo. Questo atto rappresenta una grave minaccia per la sicurezza di tutta l'Europa.

Inoltre, le tensioni nucleari e le armi in stato di allerta aumentano il rischio di percezione errata e l'escalation del conflitto.

Che danni potrebbero provocare le armi atomiche odierne?

Se la Russia dispiegasse tutto il suo arsenale atomico, una parte della Terra diventerebbe inabitabile e il mondo che conosciamo oggi non esisterebbe più, dice Herzog.

Ma anche solo l’utilizzo di una piccola parte di questo arsenale avrebbe conseguenze devastanti e a lungo termine.

 “La sovrapressione atmosferica causata dall’onda d’urto dell’esplosione nucleare sarebbe in grado di distruggere interi edifici fino a decine di chilometri di distanza, a parte quelli in cemento armato rinforzato”, spiega il ricercatore.

Centinaia di migliaia di persone potrebbero rimanere uccise istantaneamente o ferite da detriti o edifici collassanti. Inoltre, l’esplosione creerebbe delle onde di luce visibile, infrarossa e ultravioletta che, combinandosi, produrrebbero una sorta di grande palla di fuoco molto calda capace di bruciare qualsiasi cosa e di provocare ustioni di terzo grado in un raggio ancora più esteso rispetto a quello dei danni da esplosione.

Per finire, bisognerebbe fare i conti con la successiva pioggia radioattiva, che provoca tumori e malformazioni congenite.

Church Nagasaki.

 La chiesa di Urakami era la più grande chiesa cattolica della regione asiatica-pacifica fino alla sua completa distruzione a causa della bomba atomica sganciata dagli Stati Uniti su Nagasaki nel 1945. Ci sono stati appelli per preservare la chiesa bombardata come risorsa storica, ma è stata demolita nel 1958.

Quali rischi ci sono per il resto del mondo?

La tecnologia delle armi atomiche attuali rende possibile spazzare via intere metropoli anche a grandi distanze. “Ogni grande città negli Stati Uniti è potenzialmente a mezz’ora dalla distruzione e ogni grande città della NATO in Europa è circa a venti minuti dall’essere distrutta da uno di questi missili balistici”, afferma Herzog.

La Svizzera e l’Austria sono meno a rischio per via della loro neutralità, ma gli effetti delle radiazioni potrebbero essere enormi su tutta l’Europa continentale, Svizzera compresa, e sarebbero simili a quelli provocati dalla fusione di una centrale nucleare, “anche nel caso in cui venissero utilizzate armi nucleari da campo di battaglia”, sostiene il ricercatore.

Quanto è probabile un attacco nucleare?

Attualmente, la probabilità che la Russia utilizzi le armi nucleari è ancora remota ma il rischio non è zero.

È più probabile, invece, che Putin decida di impiegare le armi chimiche prima di quelle nucleari.

 Queste armi, oltre ad essere considerate meno un “tabù” dal presidente russo, consentono più facilmente di negare l’evidenza, perché “in caso di offensiva è più facile incolpare le forze ucraine, mentre un attacco nucleare non lascia alcun dubbio su chi è il responsabile”, aggiunge Herzog.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che la guerra in corso non è solo tra la Russia e l’Ucraina, ma tra la Russia e l’Ucraina con i rifornimenti e l’intelligence occidentale. Non si può escludere un'escalation. Ecco perché la minaccia nucleare fa così paura, concordano Bollfrass e Herzog.

La Svizzera e il Trattato per la proibizione delle armi nucleari.

Il trattato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), adottato nel 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021, mette al bando per la prima volta in maniera vincolante l’uso o la minaccia d’uso, lo sviluppo, la sperimentazione e lo stoccaggio di armi nucleari.

 Il documento è stato finora firmato da 86 Paesi, ma non dalla Svizzera – nonostante abbia votato a favore della sua creazione – né da alcun Paese che possiede armi atomiche.

 

 

 

GUERRA NUCLEARE: EFFETTI E RISCHI

SULLA SALUTE DI UNA BOMBA ATOMICA.

Healthy.thewom.it- Dr. Roberto Gindro- (01-03-2022) - ci dice:

 

 COS’È UN’ESPLOSIONE NUCLEARE?

Un’esplosione nucleare, prodotta ad esempio da una bomba nucleare, consiste sostanzialmente nella liberazione di un’enorme quantità di energia in seguito ad una reazione a catena che coinvolge scissione ed unione di atomi: il risultato consiste in una drammatica ondata di calore, di luce, di pressione dell’aria e di radiazioni.

 

Le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, alla fine della seconda guerra mondiale hanno prodotto esplosioni nucleari.

Quando un ordigno nucleare viene fatto esplodere, e abbiamo tutti negli occhi le terribili ricostruzioni cinematografiche di questo tipo di attacco, quello che si crea è una grande palla di fuoco. Tutto ciò che si trova all’interno di questa immensa palla di fuoco vaporizza, si trasforma istantaneamente in vapore e viene trasportato verso l’alto, compreso suolo ed ovviamente l’acqua. Questo movimento crea il cosiddetto fungo atomico che associamo a un’esplosione nucleare.

Gli elementi radioattivi costituenti l’ordigno si mescolano con il materiale vaporizzato nel fungo atomico e vengono scagliati ad altezze incredibili, fino ad oltre 10 km di quota, per poi raffreddarsi, condensarsi, ovvero acquisire nuovamente una consistenza solida, e formare piccole particelle che, come una polvere letale, ricade come una pioggia di morte sulla terra.

Questo è definito fallout e, poiché il materiale è fine e leggero, viene facilmente trasportato su lunghe distanze dalle correnti del vento e dai corsi d’acqua, causando la contaminazione di qualsiasi cosa con cui venga a contatto, compresi ovviamente piantagioni, animali domestici e d’allevamento e scorte d’acqua.

La ricaduta del materiale nella zona dell’esplosione (fallout primario) inizia già entro pochi minuti con i detriti e le polveri più pesanti, mentre il materiale più fine, quello che viene scagliato in aria e trasportato dal vento, inizia a ricadere non prima di 1-2 ore dopo (fallout secondario). La coda del fallout secondario può allungarsi per decine di chilometri per le esplosioni più potenti e questa pioggia venefica può continuare a cadere anche per due giorni e più.

Un’esplosione in ucraina interesserebbe direttamente l’Italia? Non voglio entrare in materie su cui non ho competenze, anche perché ancora oggi il dibattito è vivace sugli effetti del disastro di Černobyl, che si trova proprio nell’attuale Ucraina: le nubi radioattive raggiunsero effettivamente in pochi giorni anche l’Europa orientale, Italia inclusa, ma tieni conto che i primi materiali a ricadere sono anche i più radioattivi, i più pericolosi. Dopo circa un paio di giorni il livello di radioattività dei materiali raggiunge un valore stabile e smette di diminuire, quindi dopo un’esplosione nucleare le prime 48 ore sono quelle più delicate per chi vive nei pressi dell’evento.

 Come vedremo meglio tra poco il consiglio è quello di abbandonare il più rapidamente possibile la zona sottovento all’esplosione, magari cercando un rifugio che idealmente dovrebbe essere un bunker sotterraneo, dove trascorrere almeno i due giorni successivi.

QUALI SONO GLI EFFETTI DI UN’ESPLOSIONE NUCLEARE?

Un’arma nucleare causa distruzione e morte su un’area potenzialmente molto estesa. Chi si trova suo malgrado nelle vicinanze può rischiare lesioni fisiche, traumi ed anche morte immediata a causa della travolgente onda d’ urto,ustioni, causate dal calore sprigionato e dagli incendi innescati, cecità, temporanea o permanente, causata dalla luce liberata con l’esplosione, avvelenamento da radiazione, che in termini medici si chiama malattia acuta da radiazione.

Quest’ultima può avere effetti tanto lampanti ed immediati, quanto subdoli perché silenziosi ed a lungo termine:

un’immediata degenerazione dei tessuti, visibile nell’arco di pochi minuti, come una sorta di ustione solare, un aumento della probabilità di sviluppare tumori nel tempo, anche a distanza di anni, danni genetici che potrebbero fare la loro drammatica comparsa nelle generazioni successive, ovvero nei figli non ancora nati ed anche non ancora concepiti.

Altrettanto pericolosa è poi l’esposizione interna a fonti radioattive, ad esempio consumando acqua o alimenti contaminati, o respirando aria contenente pulviscolo radioattivo. Se dosi molto elevate di radiazioni subite direttamente possono causare la morte entro pochi giorni o mesi, l’esposizione esterna a dosi più basse di radiazioni, così come quella interna, possono aumentare il rischio di sviluppare tumori ed altri problemi di salute nel tempo.

COSA FARE IN CASO DI ESPLOSIONE NUCLEARE?

Quelli che seguono sono alcuni dei comportamenti raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in caso di esplosione nucleare:

Se ti trovi nei pressi dell’esplosione.

Voltati, chiudi e copri gli occhi per evitare lesioni alla retina e quindi alla vista. Sdraiati a terra, a faccia in giù, con le mani sotto il corpo per non lasciarle esposte. Mantieni questa posizione finché il calore e le due onde d’urto non siano passate.

A questo punto le indicazioni sono leggermente differenti a seconda che uno si trovi all’aria aperta o già al chiuso.

Se sei all’aperto.

Trova qualcosa per coprire bocca e naso, ad esempio una mascherina, ma in mancanza di meglio vanno bene anche una sciarpa, un fazzoletto od un panno qualsiasi.

Rimuovi la polvere posatasi sui vestiti spazzolandoli, scuotendoli e strofinandoli in un’area ventilata; è molto, molto importante proteggere naso e bocca durante quest’operazione.

Trova un rifugio, possibilmente un seminterrato o un’altra area sotterranea, preferibilmente lontana dalla direzione in cui soffia il vento. Il materiale radioattivo si deposita all’esterno degli edifici, e le aree sotto terra sono quelle più lontano dalle pareti esposte.

Se possibile liberati degli indumenti perché potrebbero essere contaminati, idealmente facendosi una doccia prima di chiudersi, per lavare dalla pelle e dai capelli il pulviscolo radioattivo. Anche se contaminata, l’acqua usata per la doccia è comunque utile a diluire la concentrazione radioattiva. Usa abbondante sapone, senza sfregare eccessivamente per evitare irritazioni sulla cute, shampoo per i capelli, ma evita il balsamo, che potrebbe trattenere le particelle che invece vogliamo lavare via. Dopodiché indossa abiti puliti.

Una volta al chiuso.

 

Proteggi comunque naso e bocca durante tutta la fase di fallout.

Spegni eventuali sistemi di ventilazione e sigilla porte e finestre, fino a che non sia terminata la caduta del pulviscolo.

Rimani dentro fino a che le autorità non suggeriranno altrimenti.

Se devi uscire, copri bocca e naso con un asciugamano umido.

Utilizzare cibo e acqua potabile confezionati ed evita il consumo di acqua od alimenti potenzialmente esposti. Bollire l’acqua purtroppo in questo caso sarebbe inutile.

Detergi, medica e copri tutte le eventuali ferite.

Se ti trovi in auto, autobus o altro veicolo durante un’emergenza radioattiva cerca immediatamente di entrare al chiuso di una casa, perché i veicoli non forniscono una protezione sufficiente. Idealmente un sotterraneo, ma comunque un qualsiasi edificio è più sicuro che stare all’esterno.

Se hai animali domestici anche per loro valgono le stesse precauzioni, doccia compresa, che è importante tanto per te quanto per lui.

EFFETTI SULLA SALUTE.

Gli effetti delle radiazioni sulla salute dipendono da:

dose e tempo, ovvero la quantità di radiazione assorbita dall’organismo

tipo di materiale radioattivo cui si viene esposti

modalità di esposizione, ad esempio un contatto esterno o la respirazione di particelle.

L’esposizione a grandi quantità di radiazioni per un breve periodo di tempo può causare la malattia acuta da radiazione, che si manifesta inizialmente con

nausea e vomito, mal di testa e diarrea.

Questi sintomi iniziano da pochi minuti ad alcuni giorni dopo l’esposizione, a seconda della dose cui si viene esposti; allo stesso modo la durata, variabile da minuti a giorni, con i disturbi che nel frattempo possono mostrare un andamento intermittente.

Dopo una fase iniziale è possibile osservare un certo miglioramento, un recupero che apparentemente sembra sostanziale quando non addirittura quasi sorprendente, ma che in realtà purtroppo spesso nasconde un nuovo peggioramento con sintomi di gravità variabile in base alla dose di radiazioni subite.

Ai sintomi già visti possono associarsi anche perdita di appetito, affaticamento, febbre, ma in casi gravi anche sintomi neurologici, come convulsioni e coma.

Questa fase può durare da poche ore a diversi mesi.

Il trattamento si concentra sul contenimento e trattamento delle infezioni, sul mantenimento dell’idratazione dell’organismo e sulla gestione di lesioni e ustioni.

Il midollo osseo, un tessuto spugnoso presente nella maggior parte delle ossa dell’organismo, è la sede della produzione degli elementi cellulari del sangue: globuli rossi, bianchi e piastrine. Una grande attenzione è posta alle terapie in grado di supportare la funzione del midollo osseo, la cui distruzione è tipicamente la vera causa della morte del soggetto interessato, ti ricordo che stiamo parlando di conseguenze a breve termine, a causa delle complicazioni che si manifestano in forma di

infezioni, provocate dalla riduzione dei globuli bianchi circolanti,

emorragie interne, a causa della riduzione delle piastrine.

Più bassa è la dose di radiazioni, più è probabile che la persona si riprenda dalla malattia acuta da radiazione, che tuttavia può richiedere anche anni.

Tra le altre lesioni immediatamente visibili in seguito ad un’esposizione a radiazioni ci sono le ustioni, caratterizzate anche in questo caso da uno spettro di manifestazioni variabile a seconda della dose cui si viene esposti: da un semplice gonfiore, prurito e arrossamento, al pari di un eritema solare, fino alla formazione di vesciche ed ulcere aperte. La completa guarigione della pelle può richiedere da alcune settimane ad alcuni anni. Il discorso è sostanzialmente sovrapponibile per i capelli, che potrebbero cadere.

I danni sul lungo periodo hanno ripercussioni in termini emotivi e psicologici, ma purtroppo anche un aumento del rischio di sviluppare tumori; da questo punto di vista i bambini e gli adolescenti sono più sensibili agli effetti cancerogeni delle radiazioni rispetto agli adulti, per almeno due ragioni:

il loro organismo sta ancora crescendo, si sta ancora sviluppando, e quindi la proliferazione delle cellule è molto più intensa; ogni riproduzione cellulare è un’occasione in cui un danno genetico può manifestarsi in forma di cellula tumorale.

Bambini e adolescenti, inoltre, hanno in media una durata di vita maggiore avanti a loro, e quindi un periodo di tempo superiore in cui possa manifestarsi il tumore, in seguito all’esposizione alle radiazioni.

Lo stesso discorso vale anche per le donne in gravidanza; in questo caso il rischio maggior per il feto è quello del primo trimestre.

POTASSIO IODURO.

Farmaci ed integratori a base di potassio ioduro sono quelli in assoluto più nominati quando si parla di incidenti atomici; il razionale è quello di assumere elevate quantità di iodio non radioattivo, perché si tratta del minerale più voracemente consumato dalla tiroide, il cui tessuto è uno dei più esposti al rischio di tumore.

L’idea è di diluire l’eventuale iodio radioattivo assorbito con una marea di iodio sicuro, per evitare la captazione di quello contaminato.

 Immagina di dover essere obbligato a bere da una bottiglia un sorso di acqua. Se all’interno della bottiglia c’è poca acqua ed è contaminata ti esporrai ad un’alta dose di radiazioni, ma se la bottiglia la riempissi prima con acqua sicura la frazione contaminata verrebbe diluita moltissimo e la stessa sorsata che ti serve sarà molto meno concentrata, meno pericolosa.

Attenzione però:

l’assunzione di potassio ioduro non è necessariamente scevra da effetti indesiderati, può peggiorare o addirittura innescare disturbi del metabolismo della tiroide,

la presenza di iodio contaminato nell’ambiente è legata al tipo di ordigno esploso, non è cioè necessariamente presente, quindi prima di assumere qualcosa aspetta indicazioni dagli organismi di controllo.

 

 

 

 

CHI HA RECLUTATO KLAUS SCHWAB E

VOLUTO IL WORLD ECONOMIC FORUM?

Nogeoingegneria.com- (1° MAGGIO 2022) -Redazione-Johnny Vedmore- ci dice:

 

Pare che ci siano 109 nuovi tirocinanti del Forum d’élite quest’anno, 20 dal Nord America, 18 dall’Europa (compresa l’Ucraina), 16 dalla penisola araba e dal Nord Africa, 11 dal resto dell’Africa e 12 dalla Cina.

Ogni anno, una fondazione molto ben finanziata del World Economic Forum seleziona individui di successo sotto i 40 anni dal settore politico, aziendale, culturale e dei media per essere formati come top leader in un programma pluriennale, che include un corso speciale di dieci giorni all’Università di Harvard e incontri congiunti con l’élite politica degli Stati Uniti e di altri paesi.

Il capo del World Economic Forum “Klaus Schwab” è molto orgoglioso della “penetrazione” dei governi con questo sistema di selezione e formazione.

Ma diamo un’occhiata agli inizi del WEF. Schwab stesso è stato selezionato come Young Global Leader, ad Harvard, ieri come oggi un centro di intelligence. Schwab ha avuto incontri decisivi negli anni sessanta, ha attirato l’attenzione, le cui ragioni possono essere solo intuite.

 

Dr. Klaus Schwab o: Come il CFR mi ha insegnato a smettere di preoccuparmi e ad amare la bomba.

Il Forum Economico Mondiale non fu semplicemente un’idea di Klaus Schwab, ma nacque da un programma di Harvard finanziato dalla CIA e diretto da Henry Kissinger e portato a compimento da John Kenneth Galbraith e dal “vero” dottor Stranamore, Herman Kahn.

Questa è dunque alla base della storia degli uomini reali che reclutarono Klaus Schwab, che lo aiutarono a creare il World Economic Forum, e che gli insegnarono a smettere di preoccuparsi e ad amare la bomba.

(Johnny Vedmore)

La storia registrata del Forum Economico Mondiale è stata fabbricata per apparire come se l’organizzazione fosse una creazione strettamente europea, ma non è così.

Infatti, Klaus Schwab aveva un team politico americano d’élite che lavorava nell’ombra e che lo ha aiutato a creare l’organizzazione globalista con base in Europa.

Se avete una conoscenza discreta della storia di Klaus Schwab, saprete che ha frequentato Harvard negli anni ’60, dove avrebbe incontrato l’allora professore Henry A. Kissinger, un uomo con cui Schwab avrebbe stretto un’amicizia per tutta la vita.

 Ma, come per la maggior parte delle informazioni degli annali di storia del World Economic Forum, quello che vi è stato detto non è la storia completa.

 Infatti, Kissinger avrebbe reclutato Schwab al seminario internazionale di Harvard, che era stato finanziato dalla Central Intelligence Agency degli Stati Uniti.

 Anche se questo finanziamento è stato esposto l’anno in cui Klaus Schwab ha lasciato Harvard, la connessione è passata in gran parte inosservata – fino ad ora.

La mia ricerca indica che il Forum economico mondiale non è una creazione europea.

 In realtà, è invece un’operazione che proviene dai grandi della politica pubblica delle epoche Kennedy, Johnson e Nixon della politica americana; tutti loro avevano legami con il Council on Foreign Relations e il movimento associato “Round Table”, con un ruolo di supporto giocato dalla Central Intelligence Agency.

C’erano tre uomini estremamente potenti e influenti, tra cui Kissinger, che avrebbero guidato Klaus Schwab verso il loro obiettivo finale del completo dominio globale guidato dall’impero americano attraverso la creazione di politiche sociali ed economiche.

 Inoltre, due di questi uomini erano al centro della produzione della sempre presente minaccia di una guerra termonucleare globale.

Esaminando questi uomini attraverso il più ampio contesto della geopolitica del periodo, mostrerò come le loro strade si incrociarono e coalizzarono durante gli anni ’60, come reclutarono Klaus Schwab attraverso un programma finanziato dalla CIA, e come furono la vera forza trainante dietro la creazione del World Economic Forum.

(Henry A. Kissinger)

Heinz Alfred Kissinger è nato il 27 maggio 1923 in Baviera, Germania, da Paula e Louis Kissinger. La famiglia era una delle tante famiglie ebree che fuggirono dalle persecuzioni in Germania e vennero in America nel 1938. Kissinger cambiò il suo nome di battesimo in Henry all’età di 15 anni, quando arrivò in America attraverso una breve emigrazione a Londra. La sua famiglia si stabilì inizialmente nell’Upper Manhattan e il giovane Henry Kissinger frequentò la George Washington High School. Nel 1942 Kissinger si iscrisse al City College di New York, ma fu arruolato nell’esercito americano all’inizio del 1943. Il 19 giugno 1943, Kissinger divenne cittadino statunitense naturalizzato. Fu presto assegnato alla 84a Divisione di Fanteria, dove fu reclutato dal leggendario Fritz Kraemer per lavorare nell’unità di intelligence militare della divisione. Kraemer combatté a fianco di Kissinger durante la battaglia del Bulge e in seguito divenne estremamente influente nella politica americana del dopoguerra, influenzando futuri politici come Donald Rumsfeld. Henry Kissinger ha descritto Kraemer come “la più grande influenza individuale sui miei anni formativi” in un articolo del New Yorker del 2020 intitolato The Myth of Henry Kissinger.

L’autore dell’articolo, Thomas Meaney, descrive Kraemer come:

“Un fanatico nietzschiano fino all’autoparodia – portava un monocolo nell’occhio buono per far lavorare di più il suo occhio debole – Kraemer sosteneva di aver passato gli ultimi anni di Weimar a combattere per strada sia i comunisti che le camicie brune naziste. Aveva dottorati in scienze politiche e diritto internazionale, e perseguì una promettente carriera alla Società delle Nazioni prima di fuggire negli Stati Uniti nel 1939. Ha avvertito Kissinger di non cercare di emulare gli intellettuali “furbi” e le loro analisi costi-benefici incruenti. Credendo che Kissinger fosse “musicalmente in sintonia con la storia”, gli disse: “Solo se non ‘calcoli’ avrai davvero la libertà che ti distingue dal piccolo popolo””.

(Henry Kissinger, Klaus Schwab e Ted Heath erano alla riunione annuale del Forum economico mondiale del 1980.)

Durante la seconda guerra mondiale, Kissinger servì nel Corpo di controspionaggio degli Stati Uniti, fu promosso sergente e servì nella riserva dell’intelligence militare per molti anni dopo che fu dichiarata la pace. Durante questo periodo, Kissinger guidò una squadra che cacciava gli ufficiali della Gestapo e altri funzionari nazisti che erano stati classificati come “sabotatori”. Dopo la guerra, nel 1946, Kissinger fu riassegnato come docente alla European Command Intelligence School, una posizione che continuò a tenere anche dopo aver lasciato ufficialmente l’esercito come civile.

Nel 1950, Kissinger si è laureato in scienze politiche ad Harvard, dove ha studiato sotto William Yandell Elliott, che è diventato consigliere politico di sei presidenti degli Stati Uniti e mentore di Zbigniew Brzezinski e Pierre Trudeau, tra gli altri. Yandell Elliott e molti dei suoi studenti famosi divennero punti di collegamento fondamentali tra l’establishment americano della sicurezza nazionale e il movimento britannico della “tavola rotonda” incarnato da organizzazioni come Chatham House nel Regno Unito e il Council on Foreign Relations negli Stati Uniti. Cercheranno anche di imporre strutture di potere globale condivise dalle grandi imprese, dall’élite politica e dal mondo accademico. Kissinger continuò i suoi studi ad Harvard, dove ottenne il suo MA e PhD, ma stava già cercando di perseguire una carriera nell’intelligence e si dice che abbia cercato di essere reclutato come spia dell’FBI durante questo periodo.

Nel 1951, Kissinger fu assunto come consulente per l’Operations Research Office dell’esercito, dove venne addestrato in varie forme di guerra psicologica. Questa consapevolezza di psyops si riflette nel suo lavoro di dottorato durante quel periodo. Il suo lavoro sul Congresso di Vienna e le sue conseguenze invocava le armi termonucleari come gioco d’apertura, il che rese anche un lavoro altrimenti noioso un po’ più interessante. Nel 1954, Kissinger sperava di diventare un professore junior ad Harvard, ma, invece, il preside di Harvard di allora, McGeorge Bundy – un altro allievo di William Yandell Elliott, raccomandò Kissinger al Council on Foreign Relations (CFR). Al CFR, Kissinger iniziò a gestire un gruppo di studio sulle armi nucleari. Dal 1956 al 1958, Kissinger divenne anche il direttore degli studi speciali per il Rockefeller Brothers Fund (David Rockefeller era vice-presidente del CFR in questo periodo), oltre a dirigere diversi gruppi per produrre relazioni sulla difesa nazionale, che ottennero l’attenzione internazionale. Nel 1957, Kissinger rafforzò il suo posto come figura di spicco dell’Establishment sulla guerra termonucleare dopo aver pubblicato Nuclear Weapons and Foreign Policy, un libro pubblicato per il Council on Foreign Relations da Harper & Brothers.

Nel dicembre del 1966, l’Assistente Segretario di Stato per gli Affari Europei, John M Leddy, annunciò la formazione di un gruppo di 22 consiglieri per aiutare a “dare forma alla politica europea”. I cinque attori più importanti di questo pannello di consiglieri includevano: Henry A Kissinger in rappresentanza di Harvard, Robert Osgood del Washington Center of Foreign Policy Research (finanziato dal denaro di Ford, Rockefeller e Carnegie), Melvin Conant della Standard Oil di Rockefeller, Warner R Schilling della Columbia University, e Raymond Vernon anche lui di Harvard. Le altre persone del panel includevano quattro membri del Council on Foreign Relations, Shepard Stone della Ford Foundation, e il resto era un mix di rappresentanti delle principali università americane. La formazione di questo panel potrebbe essere considerata la posa della proverbiale prima pietra che segna l’intento del ramo americano dell’establishment della “Tavola Rotonda” di creare un’organizzazione come il Forum Economico Mondiale, con cui gli imperialisti anglo-americani avrebbero plasmato le politiche europee come ritenevano opportuno.

L’Europa del dopoguerra era in una fase vitale del suo sviluppo e il potente impero americano iniziò a vedere opportunità nella rinascita dell’Europa e nell’identità emergente della sua giovane generazione. Alla fine di dicembre del 1966, Kissinger sarebbe stato una delle ventinove “autorità americane per la Germania” a firmare una dichiarazione che proclamava che “le recenti elezioni statali nella Germania occidentale non indicano una rinascita del nazismo”. Il documento, firmato anche da personaggi del calibro di Dwight Eisenhower, doveva segnalare che l’Europa stava ricominciando da capo e doveva incominciare a mettere gli orrori delle guerre europee da parte. Alcune delle persone coinvolte nella creazione del suddetto documento erano quelle che avevano già influenzato la politica europea dall’estero. In particolare, fra le firme, accanto a Kissinger e Eisenhower, c’era il professor Hans J. Morgenthau, che all’epoca rappresentava anche il Council on Foreign Relations. Morgenthau aveva scritto un famoso documento intitolato, L’uomo scientifico contro la politica di potere, e si opponeva a un “eccessivo affidamento alla scienza e alla tecnologia come soluzioni ai problemi politici e sociali”.

Nel febbraio 1967, Henry Kissinger avrebbe preso di mira la politica europea come la causa di un secolo di guerre e disordini politici nel continente. In un pezzo intitolato, Fuller Investigation, stampato sul New York Times, Kissinger avrebbe dichiarato che un lavoro scritto da Raymond Aron, Peace and War: A Theory of International Relations, aveva rimediato ad alcuni di questi problemi.

In questo articolo, Kissinger avrebbe scritto:

“Negli Stati Uniti lo stile nazionale è pragmatico; la tradizione fino alla seconda guerra mondiale era in gran parte isolazionista; l’approccio alla pace e alla guerra tendeva ad essere assoluto e legalista. Gli scritti americani sulla politica estera tendono generalmente a rientrare in tre categorie: analisi di casi specifici o episodi storici, esortazioni che giustificano o resistono a una maggiore partecipazione agli affari internazionali, e indagini sulle basi giuridiche dell’ordine mondiale.”

Era chiaro che il professor Henry A. Kissinger aveva identificato il coinvolgimento americano nella creazione della politica europea come vitale per la futura pace e stabilità del mondo. A quel tempo, Kissinger aveva sede all’Università di Harvard a Cambridge, Massachusetts. Qui, un giovane Klaus Schwab, futuro fondatore del World Economic Forum, avrebbe catturato l’attenzione di Henry A. Kissinger.

Kissinger era il direttore esecutivo del seminario internazionale, che Schwab menziona spesso quando ricorda il suo periodo trascorso ad Harvard. Il 16 aprile 1967, fu riportato che vari programmi di Harvard avevano ricevuto finanziamenti dalla Central Intelligence Agency (CIA). Questo includeva 135.000 dollari di finanziamento per il Seminario Internazionale di Henry Kissinger, finanziamento che Kissinger ha dichiarato di non essere a conoscenza che provenisse dall’agenzia di intelligence degli Stati Uniti. Il coinvolgimento della CIA nel finanziamento del seminario internazionale di Kissinger fu esposto in un rapporto di Humphrey Doermann, l’assistente di Franklin L. Ford, che era preside della Facoltà di Arti e Scienze. Il rapporto di Humphrey Doermann, scritto nel 1967, si concentrava solo sui finanziamenti della CIA dal 1961 al 1966, ma il seminario internazionale di Kissinger, che aveva ricevuto il maggior numero di finanziamenti tra tutti i programmi di Harvard finanziati dalla CIA, continuava fino al 1967. Klaus Schwab arrivò ad Harvard nel 1965.

 

Il 15 aprile 1967, The Harvard Crimson pubblicò un articolo sul rapporto di Doermann, attribuito a nessun autore, affermando: “L’aiuto non aveva vincoli, quindi il governo non poteva influenzare direttamente la ricerca o impedire la pubblicazione dei suoi risultati”. L’articolo presuntuoso, intitolato CIA Financial Links, conclude con nonchalance: “Se l’università si rifiutasse di accettare i fondi di ricerca della CIA, allora l’oscura agenzia avrebbe pochi problemi a canalizzare le sue offerte attraverso un altro agrecy (accordo)”. (agrecy è un gioco di parole e significa una forma di agenzia di intelligence).

 

Le prove indicano che Klaus Schwab è stato reclutato da Kissinger nella sua cerchia di imperialisti della “Tavola rotonda” attraverso un programma finanziato dalla CIA all’Università di Harvard. Oltretutto, l’anno in cui si è laureato sarebbe anche l’anno in cui è stato rivelato che si trattava di un programma finanziato dalla CIA. Questo seminario finanziato dalla CIA avrebbe introdotto Schwab ai politici americani estremamente ben collegati che lo avrebbero aiutato a creare quello che sarebbe diventato il più potente istituto europeo di politica pubblica, il World Economic Forum.

Nel 1969, Kissinger sarebbe stato a capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, di cui il presidente in carica, Richard Nixon avrebbe “aumentato l’importanza” durante la sua amministrazione. Kissinger fu assistente del presidente per gli affari di sicurezza nazionale dal 2 dicembre 1968 al 3 novembre 1975, servendo contemporaneamente come segretario di Stato di Richard Nixon dal 22 settembre 1973. Kissinger avrebbe dominato la creazione della politica estera degli Stati Uniti durante l’era Nixon e il sistema che avrebbe portato al Consiglio di Sicurezza Nazionale avrebbe cercato di combinare le caratteristiche dei sistemi precedentemente implementati da Eisenhower e Johnson.

Henry Kissinger, che era stato uno degli artefici delle tensioni tra potenze termonucleari nei due decenni precedenti, doveva ora agire come “paciere” durante il periodo Nixon. Si sarebbe concentrato sullo stallo europeo e avrebbe cercato di allentare le tensioni tra l’Occidente e la Russia. Negoziò i colloqui per la limitazione delle armi strategiche (che culminarono nel trattato SALT I) e il Kissinger stava tentando di ridiventare uno statista e un diplomatico di fiducia.

Nel secondo mandato dell’amministrazione del presidente Richard Nixon, l’attenzione si sarebbe rivolta alle relazioni con l’Europa occidentale. Richard Nixon avrebbe descritto il 1973 come “l’anno dell’Europa”. L’attenzione degli Stati Uniti sarebbe stata rivolta a sostenere gli stati della Comunità Economica Europea (CEE) che erano diventati rivali economici degli Stati Uniti all’inizio degli anni ’70. Kissinger afferrò il concetto di “Anno dell’Europa” e spinse un’agenda, non solo di riforma economica, ma anche sostenendo di rafforzare e rivitalizzare quella che considerava la “forza decadente,” l’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO). Durante questo periodo, Kissinger avrebbe anche promosso la governance globale.

Anni dopo, Henry Kissinger avrebbe fatto il discorso di apertura della conferenza del Forum economico mondiale del 1980, dicendo alle élite di Davos: “Per la prima volta nella storia, la politica estera è veramente globale”.

(John K. Galbraith)

 

John Kenneth Galbraith (spesso chiamato Ken Galbraith) è stato un economista canadese-americano, diplomatico, creatore di politiche pubbliche e intellettuale di Harvard. Il suo impatto sulla storia americana è straordinario e le conseguenze delle sue azioni alla fine degli anni ’60 si sentono ancora oggi in tutto il mondo. Nel settembre del 1934, Galbraith entrò inizialmente nella facoltà dell’Università di Harvard come istruttore con uno stipendio di 2.400 dollari all’anno. Nel 1935, sarebbe stato nominato tutor alla John Winthrop House (comunemente nota come Winthrop House), una delle dodici case residenziali per studenti dell’Università di Harvard. In quello stesso anno, uno dei suoi primi studenti sarebbe stato Joseph P. Kennedy Jr, e John F. Kennedy sarebbe arrivato due anni dopo, nel 1937. Il 14 settembre 1937, il canadese Galbraith sarebbe stato naturalizzato cittadino statunitense. Tre giorni dopo avrebbe sposato la sua compagna, Catherine Merriam Atwater, una donna che qualche anno prima aveva studiato all’Università di Monaco. Lì, aveva vissuto nella stessa casa-dormitorio di Unity Mitford, ed era amica di Adolf Hitler. Dopo il matrimonio, Galbraith viaggiò molto nell’Europa dell’Est, in Scandinavia, in Italia, in Francia, ma anche in Germania. Galbraith ha dovuto trascorrere un anno come ricercatore all’Università di Cambridge sotto il famoso economista John Maynard Keynes, ma l’improvviso attacco di cuore di Keynes ha convinto la nuova moglie di Galbraith a studiare in Germania. Durante l’estate del 1938, Galbraith studiò la politica agraria tedesca sotto il governo di Hitler.

L’anno seguente, Galbraith si trovò coinvolto in quello che all’epoca era chiamato “l’affare Walsh-Sweezy”, uno scandalo nazionale statunitense che coinvolgeva due istruttori radicali che erano stati licenziati da Harvard. Le connessioni di Galbraith con l’affare avrebbero portato al mancato rinnovo della sua nomina ad Harvard.

Galbraith prese una deviazione per lavorare a Princeton, dove poco dopo avrebbe accettato un invito dal National Resource Planning Board per far parte di un gruppo di revisione della spesa del New Deal e dei programmi di occupazione. È questo progetto che lo avrebbe visto incontrare per la prima volta Franklin D. Roosevelt. Nel 1940, quando la Francia cadde in mano alle forze naziste, Galbraith entrò nello staff del National Defense Advisory Committee, su richiesta del consigliere economico di FDR, Lauchlin Curry. Anche se quel comitato sarebbe stato rapidamente sciolto, Galbraith si trovò presto nominato all’Office of Price Administration (OPA), a capo della divisione incaricata del controllo dei prezzi. Sarebbe stato licenziato dall’OPA il 31 maggio 1943. La rivista Fortune aveva già cercato di dare la caccia a Galbraith fin dal 1941, e presto lo avrebbe accaparrato per unirsi al loro staff come scrittore.

Il più grande passaggio di attenzione per Galbraith avvenne nel 1945, il giorno dopo la morte di Roosevelt. Galbraith lasciò New York per Washington, da dove sarebbe stato debitamente inviato a Londra per assumere la direzione di una divisione dello United States Strategic Bombing Survey, incaricata di valutare gli effetti economici complessivi dei bombardamenti di guerra. Quando arrivò a Flensburg, la Germania si era già formalmente arresa alle forze alleate e il compito iniziale di Galbraith cambiò. Doveva accompagnare George Ball e far parte dell’interrogatorio con Albert Speer. In questa sola mossa, Galbraith era passato dall’essere un consigliere politico che si occupava di statistiche e proiezioni relative ai prezzi, al co-interrogatore di un criminale di guerra nazista di alto livello. Speer era stato in varie posizioni importanti durante la guerra, tra cui quella di ministro degli armamenti e della produzione bellica del Reich, uno degli uomini chiave dietro l’organizzazione, il mantenimento e l’armamento di ogni parte della Wermacht nazista.

Poco dopo, Galbraith sarebbe stato inviato a Hiroshima e Nagasaki per valutare gli effetti del bombardamento. Nel gennaio 1946, John Kenneth Galbraith fu coinvolto in uno dei momenti cruciali della storia economica americana. Partecipò alle riunioni dell’American Economic Association a Cleveland, dove, insieme a Edward Chamberlin di Harvard e Clarence Ayres del Texas, avrebbe discusso con Frank Knight e altri importanti sostenitori dell’economia classica. Questo evento segnò il coming out dell’economia keynesiana, la quale sarebbe arrivata a dominare l’America del dopoguerra.

Nel febbraio 1946, Galbraith sarebbe tornato a Washington, dove sarebbe stato nominato direttore dell’Office of Economic Security Policy. Qui, nel settembre del 1946, Galbraith fu incaricato di redigere un discorso per il Segretario di Stato, William Byrnes, che delineava la politica americana per la ricostruzione tedesca, la democratizzazione e l’eventuale ammissione alle Nazioni Unite. Galbraith, che si opponeva al gruppo di politici dell’epoca chiamati “i guerrieri del freddo”, si sarebbe dimesso dal suo incarico nell’ottobre del 1946, tornando alla rivista Fortune. Lo stesso anno gli sarebbe stata conferita la Medaglia presidenziale della libertà. Nel 1947, Galbraith avrebbe co-fondato l’organizzazione Americans for Democratic Action, insieme ad altri come Eleanor Roosevelt, Arthur Schlesinger Jr. e Ronald Reagan. Nel 1948, Galbraith sarebbe tornato ad Harvard come docente di Politica Agricola Forestale e di Uso del Suolo. Poco dopo, sarebbe stato insediato come professore ad Harvard.

Dal 1957, Galbraith stava cominciando a formare una relazione più stretta con il suo ex studente John F. Kennedy, che era ormai senatore del Massachusetts. L’anno seguente, JFK avrebbe dichiarato pubblicamente Galbraith come il “Phileas Fogg del mondo accademico” dopo aver ricevuto una copia del libro di Galbraith, un viaggio in Polonia e Jugoslavia, dove ha esaminato da vicino la pianificazione socialista. È anche nel 1958 che Galbraith ha pubblicato “The Affluent Society” con successo di critica, dove ha coniato termini come “saggezza convenzionale” e “effetto dipendenza”. È in questo periodo che Galbraith diventa la cattedra di economia di Paul M. Warburg ad Harvard. Questa è la stessa posizione che ricopriva quando venne presentato per la prima volta a un giovane Klaus Schwab.

Nel 1960, John Kenneth Galbraith era diventato un consigliere economico della campagna di Kennedy. Dopo che Kennedy fu eletto presidente, Galbraith iniziò a fornire personale alla nuova amministrazione, ed era noto per essere l’uomo che raccomandò Robert S. McNamara come segretario della difesa. Nel 1961, Kennedy avrebbe nominato Galbraith ambasciatore in India e, più tardi nell’anno, Galbraith si sarebbe recato in Vietnam, su richiesta del presidente, per dare una seconda opinione sul rapporto Taylor-Rostow. Su consiglio di Galbraith, Kennedy avrebbe iniziato a ritirare le truppe dal Vietnam.

Nel 1963, Galbraith tornò negli Stati Uniti, rifiutando l’offerta di Kennedy di assumere un posto di ambasciatore a Mosca, per tornare ad Harvard. Il giorno in cui Kennedy fu assassinato, Galbraith era a New York con l’editore del Washington Post, Katharine Graham. Galbraith andò direttamente a Washington e fu l’uomo che redasse la versione originale del discorso del nuovo presidente alla sessione congiunta del Congresso. L’anno dopo l’assassinio di JFK, Galbraith sarebbe tornato ad Harvard per sviluppare un famoso e molto popolare corso di Scienze Sociali che avrebbe insegnato per il decennio successivo. Mantenne la sua posizione di consigliere del presidente Johnson, ma passò il resto dell’anno a scrivere le sue ultime riviste accademiche esclusivamente in economia.

Dal 1965, Galbraith era diventato sempre più forte nella sua opposizione alla guerra in Vietnam, scrivendo discorsi e lettere al presidente. Questa spaccatura sarebbe persistita tra Galbraith e Johnson, con Galbraith che alla fine assunse la presidenza di Americans for Democratic Action e lanciò una campagna nazionale contro la guerra del Vietnam intitolata “Negotiations Now!”. Nel 1967, la frattura tra Galbraith e Johnson si sarebbe solo allargata quando il senatore Eugene McCarthy fu convinto da Galbraith a candidarsi contro Johnson alle prossime elezioni primarie. Anche Robert F. Kennedy sperava di reclutare Galbraith per la propria campagna ma, sebbene Galbraith avesse formato uno stretto legame con il defunto JFK, non era stato così entusiasta dello stile peculiare di Robert F. Kennedy.

Alla fine degli anni ’60, John K. Galbraith e Henry A. Kissinger erano entrambi considerati due dei più importanti conferenzieri, autori ed educatori in America. Erano anche entrambi pezzi grossi ad Harvard, Galbraith come professore di economia Paul M. Warburg e Kissinger come professore di governo, e i due uomini erano concentrati sulla creazione della politica estera sia per l’America che per la nuova Europa emergente. Il 20 marzo 1968 fu annunciato che Kissinger e Galbraith sarebbero stati i primi oratori della sessione primaverile di quella che fu definita la “serie di conferenze Mandeville”, che si sarebbe tenuta all’Università della California, San Diego. Il discorso di Galbraith sarebbe stato intitolato “Foreign Policy: The Cool Dissent”, mentre il discorso di Kissinger era intitolato “America ed Europa: Una nuova relazione”.

Kissinger avrebbe presentato Klaus Schwab a John Kenneth Galbraith ad Harvard e, alla fine degli anni ’60, lo stesso Galbraith avrebbe aiutato Schwab a realizzare il World Economic Forum. Galbraith sarebbe volato in Europa, insieme a Herman Kahn, per aiutare Schwab a convincere l’élite europea a sostenere il progetto.

 Al primo European Management Symposium/Forum (il nome originale del WEF), John Kenneth Galbraith sarebbe stato l’oratore principale.

(Herman Kahn)

Herman Kahn è nato a Bayonne, New Jersey, il 15 febbraio 1922 da Yetta e Abraham Kahn. È stato cresciuto nel Bronx con un’educazione ebraica, ma in seguito sarebbe diventato ateo nelle sue convinzioni. Durante gli anni ’50, Khan scrisse vari rapporti all’Hudson Institute sul concetto e la praticità della deterrenza nucleare, che sarebbe poi diventata la politica militare ufficiale. Compilava anche rapporti per audizioni ufficiali, come la Sottocommissione per le radiazioni. È durante l’isteria primordiale dei primi anni della Guerra Fredda che Kahn avrebbe avuto lo spazio intellettuale, e alcuni potrebbero dire etico e morale, per “pensare l’impensabile”. Khan avrebbe applicato la Teoria dei Giochi – lo studio dei modelli matematici delle interazioni strategiche tra agenti razionali – per giocare al wargame i potenziali scenari ed esiti della guerra termonucleare.

Nel 1960, Kahn avrebbe pubblicato “The Nature and Feasibility of War and Deterrence”, che studiava i rischi e il successivo impatto di una guerra termonucleare.

 La Rand Corporation riassume i tipi di deterrenti discussi nel lavoro di Kahn come: la deterrenza di un attacco diretto, l’uso di minacce strategiche per dissuadere un nemico dal compiere atti decisamente provocatori diversi da un attacco diretto agli Stati Uniti, e, infine, gli atti che vengono dissuasi perché il potenziale aggressore ha paura che il difensore o altri intraprendano azioni limitate, militari o non militari, per rendere l’aggressione non vantaggiosa.

L’anno seguente, la Princeton University Press avrebbe pubblicato per la prima volta l’opera fondamentale di Herman Kahn, “On Thermonuclear War”. Questo libro avrebbe avuto un enorme impatto sul futuro prossimo e lontano della politica globale e avrebbe spinto i politici dell’establishment americano a creare una politica estera specificamente progettata per contrastare il potenziale scenario termonucleare peggiore.

All’uscita della terrificante opera di Kahn, il sociologo e “comunitarista” israelo-americano Amitai Etzioni avrebbe detto: “Kahn fa per le armi nucleari ciò che i sostenitori dell’amore libero hanno fatto per il sesso: parla candidamente di atti di cui altri sussurrano a porte chiuse”.

Le complesse teorie di Khan sono state spesso erroneamente parafrasate, e la maggior parte del suo lavoro è impossibile da riassumere in una frase o due, e questo è emblematico delle sue idee sulla guerra termonucleare. Il team di ricerca di Kahn stava studiando una moltitudine di scenari diversi, un mondo in continua evoluzione, dinamico e multipolare, con molte incognite.

La guerra termonucleare ebbe un impatto immediato e duraturo, non solo sulla geopolitica, ma anche sulla cultura, esprimendosi pochi anni dopo con un film molto famoso. Il 1964 vide l’uscita del classico di Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore, e dal momento della sua uscita, e da allora, Khan è stato indicato come il vero dottor Stranamore. Interrogato sul confronto, Khan avrebbe detto a Newsweek: “Kubrick è un mio amico. Mi ha detto che il dottor Stranamore non doveva essere me”. Ma altri avrebbero sottolineato le molte affinità tra il personaggio classico di Stanley Kubrick e la vita reale di Herman Kahn.

In un saggio scritto per il Council on Foreign Relations nel luglio 1966, intitolato Our Alternatives in Europe, Kahn afferma:

“L’attuale politica degli Stati Uniti è stata generalmente diretta all’integrazione e all’ unificazione politica ed economica e militare dell’Europa occidentale come mezzo per la sicurezza europea. Alcuni hanno visto l’unificazione come un passo verso l’unità politica dell’Occidente nel suo complesso, o addirittura del mondo. Così, il raggiungimento di qualche forma più qualificata di integrazione o federazione dell’Europa, e dell’Europa con l’America, è stato anche ritenuto un obiettivo intrinsecamente desiderabile, soprattutto perché le rivalità nazionali in Europa sono state viste come una forza fondamentalmente disgregante nella storia moderna; perciò la loro soppressione, o sistemazione in un quadro politico più ampio, risulta indispensabile per la futura stabilità del mondo”.

Questa affermazione implica che la soluzione preferita per le future relazioni europee/americane sarebbe la creazione di un’unione europea. Ancora più preferibile per Kahn era l’idea di creare un superstato americano ed europeo unificato.

Nel 1967, Herman Kahn scriveva una delle più importanti opere futuriste del XX secolo, The Year 2000: A Framework for Speculation on the Next Thirty-Three Years. In questo libro, di cui era coautore Anthony J Wiener, Khan e compagnia prevedevano dove saremmo stati tecnologicamente alla fine del millennio. Ma c’era un altro documento pubblicato poco dopo The Year 2000 di Kahn, che era stato scritto simultaneamente. Quel documento, intitolato Ancillary Pilot Study for the Educational Policy Research Program: Final Report, doveva delineare come realizzare la società futura che il lavoro di Kahn in The Year 2000 aveva previsto.

 

In una sezione intitolata “Bisogni educativi speciali dei decisori”, il documento afferma: “L’opportunità di educare esplicitamente i decisori in modo che siano meglio in grado, in effetti, di pianificare il destino della nazione, o di portare avanti i piani formulati attraverso un processo più democratico, dovrebbe essere considerata molto seriamente. Un aspetto di questa procedura sarebbe la creazione di un insieme condiviso di concetti, un linguaggio condiviso, analogie condivise, riferimenti condivisi…”. Continua affermando nella stessa sezione che: “Un re-insegnamento universale nello spirito della tradizione umanistica dell’Europa – almeno per il suo gruppo dirigente comprensivo – potrebbe essere utile in molti modi.”

In una sezione intitolata” Necessità educative speciali di coloro che prendono le decisioni”, il documento afferma: “L’opportunità di educare esplicitamente i decisori in modo che siano meglio in grado, in effetti, di pianificare il destino della nazione, o di portare avanti i piani formulati attraverso un processo più democratico, dovrebbe essere considerata molto seriamente. Un aspetto di questa procedura sarebbe la creazione di un insieme condiviso di concetti, un linguaggio condiviso, analogie condivise, riferimenti condivisi…”. Prosegue nella stessa sezione affermando che: “Un re-insegnamento universale nello spirito della tradizione umanistica dell’Europa – almeno per il suo gruppo dirigente comprensivo – potrebbe essere utile in molti modi.”

Quando si studia la retorica precedentemente menzionata e si decifra ciò che significa, in questo documento Herman Kahn suggerisce di sovvertire la democrazia formando solo un certo gruppo nella società come potenziali leader, con quei pochi pre-selezionati che sono preparati per il potere in grado di definire quali dovrebbero essere i nostri valori condivisi come società. Forse Herman Kahn sarebbe d’accordo con lo schema Young Global Leader del World Economic Forum, che è l’esatta manifestazione del suo suggerimento originale.

Nel 1968, un giornalista chiese a Herman Kahn cosa facessero all’Hudson Institute. Diceva: “Prendiamo il punto di vista di Dio. Il punto di vista del presidente. Grande. Aerea. Globale. Galattico. Etereo. Spaziale. Globale. La megalomania è il rischio professionale standard”. Questo fu seguito da Herman Kahn che si alzò dalla sedia, puntò il dito verso il cielo e improvvisamente gridò: ‘Megalomania, zoom!'”.

Nel 1970, Kahn andò in Europa con Galbraith per sostenere il reclutamento di Klaus Schwab per il primo Simposio Europeo di Management. Nel 1971, Kahn sarebbe stato seduto al centro del palco per assistere al discorso chiave di John Kenneth Galbraith alla storica prima sessione dell’organizzazione politica che sarebbe poi diventata il World Economic Forum.

Nel 1972, il Club di Roma pubblicò “I limiti della crescita”, che avvertiva che i bisogni della popolazione mondiale avrebbero superato le risorse disponibili entro l’anno 2000.

Kahn ha trascorso gran parte del suo ultimo decennio discutendo contro questa idea. Nel 1976, Khan avrebbe pubblicato una visione più ottimistica del futuro.

The Next 200 Years, affermava che le potenzialità del capitalismo, della scienza, della tecnologia, della ragione umana e dell’autodisciplina erano illimitate. The Next 200 Years respingeva anche la malsana ideologia malthusiana predicendo che le risorse del pianeta non ponevano limiti alla crescita economica, ma piuttosto gli esseri umani avrebbero “creato tali società ovunque nel sistema solare e forse anche sulle stelle”.

 

I tre mentori di Schwab.

 

Kahn, Kissinger e Galbraith erano diventati tre delle persone più influenti in America per quanto riguarda la deterrenza termonucleare, la creazione della politica estera e l’elaborazione delle politiche pubbliche, rispettivamente. La maggior parte dell’attenzione durante la carriera di questi uomini era stata rivolta all’Europa e alla guerra fredda. Tuttavia, i loro ruoli diversi in eventi importanti del periodo hanno tutti il potenziale per distrarre facilmente gli studiosi da altri eventi più sovversivi e ben nascosti.

Questi tre potenti americani erano tutti legati tra loro in diversi modi, ma un filo interessante e notevole in particolare lega questi uomini durante il periodo tra il 1966, con la creazione del pannello di 22 consiglieri guidato da Kissinger per aiutare a “plasmare la politica europea”, fino al 1971, e la fondazione del World Economic Forum.

Tutti e tre gli uomini erano membri del Council on Foreign Relations, il ramo americano del movimento imperialista anglo-americano “Round Table”. Kissinger aveva già profondi legami con il CFR, essendo stato reclutato da loro subito dopo la laurea. Galbraith avrebbe dato le dimissioni dal CFR in un “modo molto pubblico” nel 1972, affermando che il CFR era noioso e dicendo a un giornalista: “La maggior parte delle procedure coinvolgono un livello di banalità così profondo che l’unica domanda che sorge è se uno dovrebbe stare seduto in mezzo a loro”. Anche se non c’è una data pubblica di quando Galbraith divenne un membro del CFR, aveva scritto per le loro pubblicazioni fin dal luglio 1958 con “Rival Economic Theories in India”, stampato in Foreign Affairs, la rivista ufficiale del CFR. Khan poteva anche avere pubblicato alcuni dei suoi saggi attraverso il CFR, avendo scritto il pezzo “Our Alternatives in Europe” nel luglio 1966, e “If Negotiations Fail” nel luglio 1968, entrambi mentre lavorava come consigliere ufficiale del Dipartimento di Stato.

Prima degli anni ’60, questi tre intellettuali americani estremamente influenti erano stati entrambi profondamente coinvolti nel cercare di capire i problemi dell’Europa del dopoguerra e nel tracciare il futuro del continente devastato dalla guerra. Galbraith aveva viaggiato molto in tutta Europa, includendo lo studio delle politiche in Germania durante il Terzo Reich, e, dopo il crollo della Germania di Hitler, Galbraith continuò a studiare i sistemi sovietici allo stesso modo. L’influenza di Galbraith sul futuro presidente, John F. Kennedy, fin dalla più tenera età, non può essere sottovalutata, e Galbraith era abbastanza potente per convincere JFK a ritirare le truppe dal Vietnam su sua raccomandazione. Quando Kennedy fu assassinato a Dallas, Galbraith era l’uomo che avrebbe redatto il discorso iniziale del presidente entrante alla nazione, ma Galbraith venne presto messo in disparte. Durante i disordini degli anni ’60, Galbraith era vicino a Henry Kissinger, essendo entrambi professori di Harvard, membri del CFR, e avendo entrambi lo stesso obiettivo di rendere l’Europa stabile in modo che il continente fosse ben difeso da qualsiasi potenziale aggressione sovietica.

Per Galbraith e Kissinger, e anche per il più esteso establishment politico americano, l’Europa era la principale minaccia non solo alla stabilità globale, ma anche alla prevalente egemonia americana in generale. La relativa stabilità in Europa durante il dopoguerra era percepita come dovuta allo stallo termonucleare e, fin dall’inizio, Kissinger identificò questa dinamica e iniziò a manipolare la situazione a vantaggio della supremazia americana. Henry Kissinger non fu il solo a cercare di capire le complesse dinamiche in gioco in relazione alla deterrenza termonucleare e come queste influenzassero il processo decisionale. Herman Kahn era la figura di spicco della pianificazione strategica termonucleare nello stesso periodo e il lavoro di Kissinger sullo stesso argomento, dalla metà degli anni ’50 in poi, lo avrebbe visto incrociare Kahn in molte occasioni.

Kahn offrì a Kissinger qualcosa che tutti i politici e i responsabili politici desiderano, la capacità di prevedere gli eventi futuri con relativa accuratezza. Kahn era un vero e proprio profeta dei progressi tecnologici di un futuro non così lontano, e il suo lavoro, anche se spesso stoico e privo di emozioni umane, ha resistito molto bene alla prova del tempo. Gli obiettivi di Kahn e Kissinger si sovrapposero durante la metà e la fine degli anni ’60, e quando le valutazioni delle minacce fatte da Kahn in questo periodo divennero più ottimistiche, Kissinger vide il lavoro di Kahn come fondamentale per offrire un nuovo futuro alla gente del mondo.

Tuttavia, la visione del futuro di Henry Kissinger non era quella di una società libera ed equa che avanza verso un “coraggioso nuovo mondo” insieme, ma piuttosto, Kissinger intendeva creare un’immagine del mondo che è stata distorta dalla sua propria prospettiva dell’ Establishment guidata dalla CFR. Anche se cercava di ribattezzarsi come un vero statista, Kissinger continuava a sovvertire non solo i processi democratici stranieri, ma anche a compromettere il sistema americano a beneficio di un’agenda globalista. Quando Schwab fu riconosciuto da Kissinger come un potenziale futuro leader globalista, il relativamente giovane tedesco fu presto presentato a Galbraith e Kahn. Questo coincideva con il lavoro di Kahn che identificava la necessità di formare specificamente individui con potenziale di leadership separatamente da quelli che frequentano i modelli educativi standard prevalenti.

Nell’anno in cui Klaus Schwab lasciò Harvard, fu avvicinato da Peter Schmidheiny, che aveva appena venduto Escher Wyss al gruppo Sulzer.

 La fabbrica Escher Wyss di Ravensberg durante la seconda guerra mondiale era stata gestita dal padre di Schwab, Eugen Schwab, ed era stata coinvolta nella produzione di turbine ad acqua pesante per lo sforzo segreto della bomba atomica nazista.

Schwab ha parlato in un’intervista del momento in cui Schmidheiny lo ha chiamato, dicendo: “Ora vieni da Harvard e conosci i moderni metodi di gestione, aiuta a rendere l’integrazione un successo”. Quello che Klaus non menzionava in quell’intervista è che lui aiutava Sulzer e Escher Wyss a fondersi, dando vita a una nuova società chiamata Sulzer AG. Quella società, in cui Schwab era direttore, e che avrebbe infranto il diritto internazionale aiutando il regime sudafricano dell’apartheid nel suo programma illegale di bombe termonucleari.

 

Klaus Schwab era appena uscito dalla sfera d’influenza di alcuni dei più importanti esperti di guerra termonucleare, e nello stesso anno in cui aveva lasciato Harvard, avrebbe diretto la fusione di una società che si occupava della propagazione della tecnologia della bomba termonucleare destinata a regimi dispotici.

Per molti di noi che non fanno mappe di terrificanti scenari di estinzione, potremmo essere lasciati a credere che il Sudafrica dell’apartheid che ottiene la bomba atomica a questo punto della storia sarebbe una delle cose peggiori che sarebbero potute accadere. Ma gli scenari di disastro termonucleare di Herman Kahn avevano portato il genio rotondo a credere che, salvo un disastro, un sabotaggio o un incidente, nessuna grande potenza nucleare avrebbe osato sparare un’arma termonucleare come atto di aggressione nel prossimo futuro. In realtà, il pensiero dell’Establishment era cambiato significativamente, al punto che Herman Kahn e altri consigliavano che, in certi scenari, fare di un paese come la Francia una potenza nucleare poteva avere benefici significativi per la sicurezza sia a livello regionale che globale, aiutando anche a ridurre la spesa per la difesa degli Stati Uniti.

La guerra termonucleare non era più il fine ultimo della politica di difesa strategica, e fu alla fine degli anni ’60 che le stesse persone che avevano causato tutta la paura di un’apocalisse termonucleare, smisero davvero di preoccuparsi e impararono ad amare la bomba.

Umani fallibili in vista.

Klaus Schwab è la vera mente dietro la formazione del World Economic Forum?

Cosa dobbiamo pensare del coinvolgimento della CIA nel seminario che ha usato Kissinger per reclutare Schwab?

 I potenti che si nascondono dietro organizzazioni come il CFR sono stati i veri fondatori dell’organizzazione politica globalista? Il Forum economico mondiale aveva lo scopo di unire semplicemente l’Europa? O era in realtà destinato ad unire l’Europa con l’America, seguita dai restanti superstati, in un Nuovo Ordine Mondiale progettato da potenti grandi del CFR come Kissinger, Khan e Galbraith?

Questi tre uomini potenti vedevano ciascuno in Schwab un riflesso dei propri desideri intellettuali. Klaus era nato nella seconda metà dello stesso decennio in cui era iniziato il movimento tecnocratico e sarebbe venuto dalla prima generazione ad avere i loro anni formativi in un mondo post-bellico.

Le previsioni di Kahn per il futuro non erano state solo un esercizio di meraviglia umana, ma anche un progetto per rendere queste previsioni una realtà il più velocemente possibile e senza badare alle conseguenze.

Nel 1964, Klaus Schwab stava cercando di decidere cosa avrebbe fatto nella sua carriera. Aveva 26 anni e cercava una direzione e l’avrebbe trovata attraverso una fonte familiare. Suo padre, Eugen Schwab, era stato dalla parte sbagliata della storia durante la seconda guerra mondiale, ed era stato coinvolto nello sforzo nazista per la bomba atomica. Eugen Schwab diceva a suo figlio che solo ad Harvard sarebbe stato in grado di fiorire veramente.

In una Germania divisa del dopoguerra, l’intensa paura che veniva dalla minaccia sempre incombente e ben drammatizzata della guerra termonucleare era diventata una parte quotidiana della psiche della gente.

Harvard era ben nota all’epoca per aver giocato un ruolo centrale nel processo decisionale della Guerra Fredda che mirava agli affari europei e Klaus Schwab si metteva proprio tra i principali promotori e agitatori della scenografia relativa al disastro termonucleare.

Mentre era ad Harvard, Schwab frequentava il “seminario internazionale” di Kissinger, che era finanziato dalla CIA attraverso un canale conosciuto. Attraverso questo processo, Klaus Schwab veniva introdotto in un gruppo di uomini che cercavano attivamente di influenzare la politica pubblica europea con ogni e qualsiasi metodo, compreso l’uso della paura dell’imminente rovina nucleare.

Riconosceranno subito il suo potenziale, tanto che saranno al fianco di Schwab per tutta la durata della fondazione del Forum Economico Mondiale, con Kahn, Kissinger e Galbraith che conferiscono credibilità al progetto.

 Non era facile per Schwab, da solo, spiegare alle élite europee ciò che intendeva fare, così portava Kahn e Galbraith in Europa per convincere altri importanti attori a far parte del progetto.

Galbraith fu il primo Keynote Speaker del forum, e anche la presenza di Kahn attirò un notevole interesse, ma il secondo Forum Economico Mondiale si sarebbe impantanato senza la presenza dei grandi nomi e Klaus Schwab sapeva che aveva bisogno di qualcosa per attirare le folle per la terza puntata dell’incontro annuale del suo forum.

Nel 1972, il fondatore del Club di Roma Aurelio Peccei aveva pubblicato il suo controverso libro “I limiti della crescita”, un libro che era stato commissionato dal Club di Roma e che aveva un approccio malthusiano alla sovrappopolazione.

 Il libro avrebbe messo in discussione la sostenibilità della crescita economica globale e Peccei sarebbe stato invitato da Schwab a fare il discorso principale al World Economic Forum del 1973. Questa rischiosa strategia di pubbliche relazioni pagò i dividendi per Schwab e la sua organizzazione. Da quel momento in poi, il forum sarebbe cresciuto in dimensioni, scala e potere. Ma tutto iniziò con un corso finanziato dalla CIA e tenuto da Henry Kissinger ad Harvard.

Schwab è diventato più di un semplice tecnocrate. È stato molto esplicito sulla sua intenzione di fondere la propria identità fisica e biologica con la tecnologia del futuro.

È diventato la caricatura vivente di un cattivo che tiene riunioni segrete con le élite in alte baite della Svizzera. Non credo che l’immagine che abbiamo di Schwab sia casuale. Nel dopoguerra, è successo qualcosa di unico nella cultura occidentale, quando il governo ha cominciato a usare i media tradizionali come strumento per raggiungere il pubblico con operazioni psicologiche di tipo militare.

L’establishment dominante scoprì che era estremamente utile combinare la drammaticità degli scenari di conflitto con media come il cinema, che talvolta equivaleva praticamente a una propaganda che si auto-propaga. Film come Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick sono stati fantastici per mostrare alla gente l’assurdità di pianificare scenari di disastri termonucleari.

 

Se la gente ti percepisce come un cattivo onnipotente, allora potresti non ottenere il sostegno dell’uomo comune, ma otterrai l’attenzione di coloro che cercano potere e ricchezza, o, come li chiamerebbe Klaus Schwab, gli “stakeholder” della società.

Questo è molto importante da capire – la proiezione di estrema ricchezza e potere attirerà e porterà gli “stakeholders” della società al tavolo del World Economic Forum.

 Con questi “stakeholder” a bordo, il principale prodotto ideologico di Klaus Schwab, il “capitalismo degli stakeholder”, vedrà il trasferimento del potere lontano dai veri processi democratici e verso un sistema di governo gestito da un piccolo gruppo dirigente preselezionato, che sarà addestrato a continuare l’agenda stabilita per loro a partire dalla generazione precedente, come predetto da Herman Kahn.

 Loro avranno tutte le carte in mano, mentre alla gente comune resteranno solo processi pseudo-democratici illusori, povertà, e continue assurde operazioni psicologiche per distrarre tutti noi costantemente.

 Klaus Schwab divenne presto tutto ciò che Herman Kahn aveva temuto nelle sue previsioni più pessimistiche. Quando il Club di Roma pubblicò il rapporto “I limiti della crescita”, Herman Kahn ne confutò i risultati e si mobilitò contro il suo pessimismo, mentre, allo stesso tempo, Klaus Schwab ne faceva il fulcro delle sue macchinazioni e faceva del loro fondatore il relatore principale del suo forum a Davos.

La nostra attuale situazione geopolitica sta apparentemente regredendo verso la dinamica Est contro Ovest dell’era della guerra fredda. Ancora una volta, con i recenti eventi in Ucraina, i media mainstream stanno rigurgitando discorsi nucleari che sono completamente paragonabili a quelli di 60-70 anni fa.

Credo che ci sia una ragione molto ovvia per il nostro ritorno alla retorica della guerra fredda – è un segno molto evidente che Klaus Schwab e i suoi sostenitori sono a corto di idee.

Sembra che stiano tornando a un paradigma geopolitico in cui si sentono più sicuri e, soprattutto, che provoca la paura di massa della guerra termonucleare.

Questo ciclo” rimescola e ripeti” accadrà sempre quando un movimento ideologico è a corto di idee originali. Dalla fine degli anni ’60, Klaus Schwab ha cercato di creare il mondo previsto da Herman Kahn. Ma la visione del futuro di Kahn, anche se piuttosto accurata, è vecchia di oltre mezzo secolo.

Il movimento tecnocratico di Schwab dipende dal successo dello sviluppo di tecnologie innovative che ci faranno avanzare verso una visione in gran parte fabbricata nel 1967. Basta studiare un elenco più dettagliato delle previsioni di Kahn per vedere che ogni idea che Schwab promuove è quasi interamente basata sull'”Anno 2000″ di Kahn e su quella visione documentata di come potrebbe essere il nostro futuro, previsioni che risalgono alla fine degli anni ’60.

Ma ciò che Schwab sembra ignorare, mentre impone a tutti noi questa agenda futuristica, è che molte delle previsioni di Kahn venivano anche accompagnate da avvertimenti sui pericoli che verranno creati dai futuri progressi tecnologici.

Mentre Schwab arriva alla fine della sua vita, sembra essere disperato nel portare avanti un’agenda futurista radicale con l’ovvio potenziale di un disastro globale.

Credo che il Forum Economico Mondiale stia raggiungendo il suo massimo livello di espansione prima del suo inevitabile collasso, perché alla fine le persone che amano le loro identità nazionali si alzeranno contro la minaccia immediata alle loro specifiche culture e combatteranno contro il dominio globalista.

 Molto semplicemente, non si può fare di tutti un globalista, non importa quanto lavaggio del cervello venga applicato. C’è una contraddizione naturale tra la libertà nazionale e il dominio globalista, che rende le due cose completamente incompatibili.

Come pensiero finale molto pertinente, Herman Kahn scrisse qualcosa di estremamente significativo durante lo stesso anno in cui Schwab lasciò Harvard. Nel già citato documento dell’Hudson Institute del 1967 intitolato, “Ancillary Pilot Study for the Educational Policy Research Program: Relazione finale”, Kahn scrive:

“Sta diventando sempre più evidente che le nostre conquiste tecnologiche e persino economiche sono una benedizione ambivalente. Il progresso crea problemi come l’accumulo, la moltiplicazione e la proliferazione delle armi di distruzione di massa, la perdita della privacy o della solitudine, l’aumento del potere statale e/o privato sull’individuo, la perdita della dimensione e della prospettiva umana e la disumanizzazione della vita sociale o addirittura dell’essere psicobiologico; la crescita di accentramenti pericolosi, vulnerabili, ingannevoli o degenerativi di sistemi amministrativi o tecnologici; la creazione di altre nuove capacità che sono intrinsecamente pericolose in modo tale da comportare un serio rischio di abuso catastrofico; e l’accelerazione di cambiamenti troppo rapidi o catastrofici per permettere un soddisfacente adattamento. Forse la cosa più importante sono le decisioni che sono troppo vaste, complesse, importanti, incerte o complete da lasciare agli umani inclini all’errore.

(unlimitedhangout.com/2022/03/investigative-reports/dr-klaus-schwab-or-how-the-cfr-taught-me-to-stop-worrying-and-love-the-bomb/)

 

 

 

 

Il fondatore del World Economic Forum

Klaus Schwab non ha detto di

avere «in tasca» politici, media e scienziati.

Openonline- Antonio Di Noto-(23 MAGGIO 2022) - ci dice:

 

Il professore di Ravensburg Klaus Schwab nomina tutte gli stakeholder menzionati nel video su Facebook, ma non dichiara mai di averli «in tasca».

Circola su Facebook un video che ritrae Klaus Schwab, il fondatore del World Economic Forum (Wef) parlare di «business, stakeholders, politici, governi e Ong». Le scritte sopra il filmato informano gli spettatori che la citazione sarebbe solo parziale, in quanto mancherebbe la parte in cui Schwab confessa di avere questi enti «in tasca». Inoltre, il video sarebbe stato girato di nascosto e Schwab sarebbe «il minion di Kissinger e Rothschild» e il creatore del Great Reset.

In sovraimpressione al video si legge: «KLAUS SCHWAB, il creatore del Great Reset e il minion di Kissinger/Rothschild – “Li abbiamo tutti in tasca, i politici, i media e soprattutto gli esperti, gli scienziati e i leader religiosi” – ripresa nascosta, dialogo privato».

Il video è stato pubblicato sul canale ufficiale del World Economic Forum il 17 luglio 2007, e come si legge nella descrizione, è stato girato al quartiere generale dell’organizzazione, a Ginevra, dove il fondatore ha parlato del meeting annuale di Davos e i suoi differenti stakeholders [portatori di interesse].

Come si può leggere nella trascrizione della domanda e della risposta, Schwab non fa mai riferimento all’«avere in tasca» nessuno degli enti che nomina, ma stila semplicemente un elenco dei portatori di interesse che partecipano agli incontri del Wef che ogni anno si tengono a Davos.

Le accuse di essere al servizio di Rothschild e Kissinger.

Non è la prima volta che Schwab viene accusato di essere imparentato o di avere a che fare con la famiglia Rothschild.

Sebbene la figlia di Louis Rothschild (1882-1955) fosse effettivamente chiamata Marianne Schwab, il fondatore del Wef ha negato di avere qualsiasi legame con lei:

«Non conosco Marianne Schwab. Non fa parte della nostra famiglia», ha dichiarato Klaus Schwab all’agenzia stampa tedesca Dpa.

Similmente, non ci sono prove che Schwab sia al servizio dell’ex segretario di stato statunitense Henry Kissinger.

Il Great Reset.

Tutto nasce da un libro di Klaus Schwab intitolato, appunto, “Covid-19 The Great Reset “.

Una guida che spiega in che maniera la pandemia si è ripercossa sul sistema economico mondiale e quali cambiamenti il mondo dovrà affrontare per diventare più inclusivo, resiliente e sostenibile.

I complottisti hanno spesso tirato in ballo questo libro per sostenere che la pandemia sia stata creata ad hoc o comunque gonfiata per permettere alle élite perseguire i loro interessi economici.

Come Open aveva già dimostrato, in questa teoria del complotto non c’è nulla di vero, e si è diffusa principalmente a causa di presunte citazioni dal libro, che si sono però dimostrate inventate.

Conclusioni:

Schwab nel passaggio in questione del video originale non pronuncia mai la parola «tasca», né esprime di avere il controllo sugli stakeholder che menziona in nessun altro modo. Si fa riferimento poi ad altre teorie del complotto il cui fondamento non è mai stato provato: il suo essere al servizio di Henry Kissinger e della famiglia Rothschild, e l’aver creato la pandemia per perseguire interessi economici.

 

 

 

Il presidente russo Vladimir Putin

incontra il presidente del

Forum economico mondiale Klaus Schwab.

Forumspb.com.translate.goog- Redazione- (18 giugno 2022) - ci dice:

Il russo Vladimir Putin ha incontrato il presidente del World Economic Forum Executive Klaus Schwab a San Pietroburgo.

Durante l'incontro, Putin ha sottolineato l'importanza e i vantaggi significativi del “World Economic Forum di Davos” come piattaforma internazionale che sostiene le persone nei loro sforzi per lavorare apertamente nel quadro del diritto internazionale esistente e stabilendo contatti tra uomini d'affari e funzionari governativi.

“Abbiamo sempre mantenuto i rapporti con il tuo forum che hai fondato e continuiamo a supportarlo. E, naturalmente, i rappresentanti russi hanno sempre preso parte e prenderanno parte agli eventi che organizzate. Da parte nostra, stiamo organizzando eventi simili, che, ovviamente, soprattutto mirano stabilire a contatti commerciali con i partner russi. Sai che stiamo tenendo il Forum economico di San Pietroburgo qui a Pietroburgo San, così come in Estremo Oriente, in Siberia e nella Russia meridionale", ha detto Putin.

Schwab ha osservato che il World Economic Forum e la Russia hanno avuto un alto livello di cooperazione per molti anni:

“Per me è sempre stato importante che i rappresentanti russi prendessero parte ai nostri eventi a Davos. Questo è sempre stato di particolare importanza per me [...]. Il nostro obiettivo, come hai già detto, è rafforzare la cooperazione tra uomini d'affari e agenzie governative. Siamo convinti che le sfide significative che dobbiamo affrontare oggi, siano esse problemi climatici e ambientali o problemi di crescita economica, possono essere risolte attraverso solo la cooperazione, in particolare a livello globale”.

(kremlin.ru)

 

Durante lo SPIEF 2017, la Roscongress Foundation e il World Economic Forum (WEF) hanno firmato un memorandum di cooperazione. La Fondazione Roscongress ospita dal 2018 la Russian House, la residenza ufficiale russa, durante il World Economic Forum di Davos.

La Russian House di Davos è un luogo multifunzionale per incontri d'affari, negoziazioni e comunicazioni informali tra leader aziendali, politici, economisti, attori durante l'annuale World Economic Forum (WEF).

Nel 2019, la Casa Russa non è stata solo un tradizionale luogo di incontro per rappresentanti della comunità imprenditoriale internazionale e funzionari, ma è stata anche un'importante piattaforma di discussione sulla mappa di Davos con un formato e un'immagine distinti.

Nei cinque giorni di apertura, la residenza ufficiale russa ha ricevuto oltre 1.500 ospiti provenienti da 70 paesi. Più di 150 rappresentanti dei media hanno lavorato al sito. I membri della delegazione ufficiale russa, importanti imprenditori russi e stranieri, esperti e opinion leader sono stati tutti coinvolti nei lavori della Casa russa.

(houserussia.com)

 

 

 

 

Klaus Schwab spiega come

risolvere la crisi di fiducia globale.

Time-com.translate.goog- Redazione- EDWARD FELSENTHAL-( 19-1-2022) -ci dice:

 

Il caporedattore di TIME Edward Felsenthal parla con Klaus Schwab, il fondatore del World Economic Forum, della collaborazione, delle speranze per il clima e del potere dei giovani. Questa intervista è stata modificata e condensata.

Di recente ho sentito un'intervista che hai fatto con Sundar Pichai [CEO di Alphabet] e gli hai chiesto del lavoro a distanza. Hai detto che stiamo vivendo in tempo preso in prestito. Come pensi a quella frase "Viviamo in un tempo preso in prestito" e alla necessità di stare insieme di persona?

Penso che in realtà sia molto efficace, creare uno scambio di informazioni per imparare gli uni dagli altri, ma non può davvero instaurare fiducia nelle relazioni interumane; hai bisogno dell'incontro di persona.

Devi avere alcuni momenti sul lato dello schermo video. Quindi, negli ultimi due anni, [il World Economic Forum] ha fatto notevoli progressi, perché abbiamo sempre pensato che non dovessimo essere solo orientati agli eventi.

Oggi, infatti, la maggior parte dei nostri partner è impegnata in almeno una delle nostre iniziative. Sono molto orgoglioso di dire che, Abbiamo oltre 50 iniziative, piattaforme per la cooperazione pubblico-privato.

Dall'inizio della crisi, abbiamo conquistato oltre 200 partner in più che si sono uniti a noi senza sapere quando potrebbe andare a Davos o meno. Ma penso che sia giunto il momento di riunire le persone, perché vediamo un degrado della fiducia nel mondo, e la fiducia si costruisce solo attraverso le relazioni personali.

 E il World Economic Forum, in un senso più ampio, è una comunità di multistakeholder, imprese, governi, società civili, giovani generazioni, per lavorare insieme.

Qual è stato il tuo asporto dalla COP26?

Tre commenti. Il primo è che penso che l'intera discussione sulla COP26 abbia creato una consapevolezza globale di quanto sia grave la questione del cambiamento climatico, e che concentrarsi su questo tema sia già un discreto successo.

In secondo luogo, la COP26 non ha soddisfatto tutte le aspettative, ma penso l'importanza significativa di Glasgow fosse che mostrare come le aziende stanno prendendo il comando.

Quindi le iniziative sono numerose, e alcune sono state create o catalizzate dal World Economic Forum.

Sto citando “Mission Possible Partnership”, che oltre 400 aziende di alluminio, acciaio e così via.

È qualcosa che abbiamo spinto molto da quando Biden ha annunciato la “First Movers Coalition” per impegnarsi ad acquistare navi, o aerei, che sono alimentati da carburante verde, e impegnandosi ad acquistare così prodotti innovativi, portando avanti l'innovazione, perché ci sono anche persone che direi che il 50% dell'innovazione, di cui abbiamo bisogno per diventare “carbon neutral”, non esiste ancora.

E il terzo direi è nell'area delle soluzioni basate sulla natura. È l'iniziativa One Trillion Trees per piantare 1 trilion di alberi nei prossimi 10 anni. [Marc e Lynne Benioff, proprietari e co-presidenti del TIME, sono tra i sostenitori della One Trillion Trees Initiative.] O in senso più ampio, è l'intera rigenerazione della biodiversità agricola, di cui abbiamo bisogno di industrie.

Qual è il tema di Davos quest'anno? Come pensa al ruolo del clima a Davos?

Ho tenuto numerosi incontri qui, solo per avere un'idea di cosa si aspettano i nostri elettori politici ed economici, ma abbiamo bisogno di uno slogan. Lo slogan è “Lavorare insieme, restaurare la fiducia” perché riteniamo che l'accento dovrebbe essere sul lavorare insieme, generando un impatto. E solo la credibilità del vostro lavoro insieme deriva dal raggiungimento dei risultati.

Eravamo ovviamente in una sorta di crisi di fiducia globale prima della pandemia. Pensi che la pandemia possa aggravare quella crisi?

Sì, sicuramente. Voglio dire, guarda, anche su base nazionale, direi, la cooperazione globale è notevolmente rallentata. Vedo due ragioni per questo. Il primo è che la pandemia ha polarizzato le società.

 E in una società polarizzata, è molto più difficile prendere decisioni perché le decisioni di solito, in particolare le decisioni politiche, si basano su un compromesso. Il secondo fattore è che i governi sono molto assorbiti dalla gestione delle crisi. Manovrando giorno per giorno, non si vedono più prospettive a lungo termine, tranne che in alcuni paesi più australiani.

La critica di Davos nel corso degli anni è stata la sua natura d'élite. Come pensi e come affronti la mancanza di fiducia tra le parti interessate che potrebbero non essere a “Da affronti”?

Abbiamo aperto le porte ai media. È ancora più importante che mai. Il secondo è che praticamente tutte le sessioni sono trasmesse in streaming in modo che possa partecipare e le nostre capacità mediatiche.

Cerchiamo di spingere fuori per coinvolgere il pubblico. E l'ultimo elemento è che il forum ha creato un'organizzazione giovanile molto potente.

Credo fermamente nella necessità di integrare la voce giovane perché oltre il 50% della popolazione mondiale ha meno di 30 anni e non è integrata.

Quindi, quando parliamo di coloro che sono rimasti indietro, penso in particolare alle giovani.

Come vede l'impatto della pandemia sulla quarta rivoluzione industriale?

Penso che la pandemia abbia molto accelerato alcune tecnologie della quarta rivoluzione industriale. Lo vediamo nell'area dell'intelligenza artificiale, ovviamente; lo vediamo nell'area medica, nell'area genetica.

Penso che una delle aree a cui sono particolarmente interessato sia l'informatica quantistica; vediamo un bel po' di progressi.

 La prima che queste è che sono che tecnologie, sono necessarie così le nostre tecnologie, sono anche politiche per le persone e della società necessarie.

E l'intera discussione che abbiamo ora sui social media e così via ci mostra che dobbiamo regolare questo progresso tecnologico.

Il pericolo di questa pandemia è che i governi sono così assorbiti dalla contro la pandemia, quindi è rimasta davvero poca energia da raccogliere per creare i confini necessari, per tutto il tempo che le nuove tecnologie sono davvero incentrate sull'uomo.

Non abbiamo parlato di rilasciare.

La mia è un brevissimo termine. Non conosciamo alcuni fattori importanti. Il primo è quanto le nuove varianti possono portare a, diciamo, arresti. Il secondo è che non sappiamo quali saranno le conseguenze se la Fed metterà dei freni. Quindi abbiamo alcune incertezze relative al prossimo anno. Ora a lungo termine: come manteniamo la nostra responsabilità intergenerazionale?

 

 

 

 

Klaus Schwab: "Mai più profitti senza un'etica."

Repubblica.it- Ettore Livini-(17 DICEMBRE 2019) - ci dice:

 

Per la serie "Capitalismo che fare" l'intervista al fondatore e direttore del World Economic Forum di Davos. Secondo il quale è finito il tempo del neo-liberismo selvaggio. Ed è ora che le aziende diventino veicolo di giustizia sociale.

Ginevra. I populismi europei e le rivolte in Sud America sono "una contro-reazione al neo-liberismo estremo e alla spinta ai massimi profitti" che hanno lasciato dietro di sé "un senso di mancanza di giustizia sociale".

E per combattere le disuguaglianze è necessario aprire l'era del "capitalismo responsabile".

Un sistema dove le aziende "non sono solo un fattore economico ma organismi sociali". Giudicate non solo dai loro utili ma anche "misurando gli effetti negativi e i costi esterni dei loro prodotti per incoraggiare investimenti responsabili, rispettosi dell'ambiente e della coesione sociale".

Le parole di Klaus Schwab hanno un peso specifico importante.

 L'81enne ingegnere tedesco è fondatore e direttore del World Economic Forum. E da mezzo secolo è l'organizzatore e l'anima del "Forum di Davos" dove ogni anno convergono politici e imprenditori più potenti del mondo per fare il punto sullo stato di salute del globo.

Come è cambiato il mondo da quando, 50 anni fa, è partito l'appuntamento di Davos?

"Oggi è molto più pericoloso e imprevedibile. Nel 1971 convivevamo con la Guerra fredda e un sistema bipolare in una sorta di conflitto congelato. Ora viviamo in un pianeta fragile, con molte tensioni dove piccoli centri di potere - stati e non solo - sono in grado di usare la forza in modo più asimmetrico, facendo molti più danni con mezzi relativamente limitati. Basta pensare agli ultimi missili lanciati dall'Iran sull'Arabia Saudita".

È un mondo caratterizzato anche da forti tensioni sociali, dal ritorno dei populismi e delle proteste di piazza come in Francia e Sud America. Quanto pesa su questi fenomeni il problema delle disuguaglianze?

"C'è un evidente senso di mancanza di giustizia sociale, accentuato dal boom dei social media. È una reazione al liberismo estremo e alla spinta alla massimizzazione dei profitti.

Nel passato si poteva giustificare la globalizzazione senza limiti sostenendo che produceva più vincitori che vinti. E in effetti, va detto, ha strappato milioni di persone dalla povertà.

Ma oggi il pendolo sta tornando indietro.

 Grazie al web c'è la nuova consapevolezza per cui l'accesso a salute, scuole e condizioni di vita decenti per tutti è fondamentale. Nessuno può essere lasciato indietro. E chi resta indietro ha la capacità di mobilitarsi con facilità, come dimostrano i gilet gialli".

Quale è la vostra risposta a queste tensioni?

"È lo "stakeholder capitalism" di cui parliamo nel nuovo manifesto di Davos.

Le aziende non sono solo realtà economiche ma anche organismi sociali. Non vanno giudicate solo dai profitti, ma anche misurando effetti negativi e costi esterni dei loro prodotti. Calcolando i danni ambientali che creano o quanto promuovono inclusione e giustizia sociale".

È possibile trovare una formula contabile per distinguere le aziende "buone" da quelle meno attente al mondo che le circonda?

"Ci stiamo provando. Non sarà facile, ci vorranno anni. Ma l'obiettivo è avere questo strumento per consentire agli investitori di supportare solo società e progetti che si comportano in modo socialmente responsabile. Anche i singoli paesi non dovrebbero essere giudicati solo dal Pil, Per capire meglio la performance di una nazione è necessario aggiungere parametri che considerino il benessere dei suoi cittadini".

Il mondo ha imparato la lezione della crisi del 2008?

"No ed è una delle mie principali preoccupazioni. Dagli anni '70 banche e finanza hanno perso ogni contatto con l'economia reale.

Abbiamo evitato il peggio ma non abbiamo ancora pagato del tutto la bolletta per il salvataggio del mondo dal crac globale. I debiti mondiali sono raddoppiati, abbiamo tassi negativi. E non sappiamo come uscire da questa trappola.

Se aumentiamo i tassi rischiamo di far saltare una valanga di bond societari. La pioggia di liquidità delle banche centrali non ha fatto aumentare la redditività, rimasta piatta. Stesso discorso vale per gli stimoli fiscali del Giappone o per le tasse più basse di Donald Trump che non hanno spinto gli investimenti ma hanno fatto crescere i buy-back in Borsa. Stiamo camminando verso un futuro nebuloso per le politiche economiche".

Il World Economic Forum è considerato il tempio della globalizzazione. Cosa pensa della guerra dei dazi?

"Io non sono mai stato favorevole a una globalizzazione aperta e senza cuore.

Dobbiamo trovare un equilibrio tra l'apertura dei mercati e la necessità di salvaguardare la coesione sociale. Senza coesione sociale non c'è democrazia".

Davos festeggerà nel 2020 i suoi 50 anni. Il motto del World Economic Forum è "fare del mondo un posto migliore". Ci siete riusciti?

"È importante avere obiettivi ideali per affrontare situazioni specifiche. Lavoriamo per ridurre la plastica negli oceani, per promuovere la parità di genere. E abbiamo un impatto. Gavi Alliance, ad esempio, nata 20 anni fa a Davos ha consentito di vaccinare 700 milioni di bambini salvando 14 milioni di vite".

L'intervista è stata realizzata con Holger Zschaepitz e Pierre Veya, in collaborazione con Lena (Leading European Newspaper Alliance, l’alleanza di otto giornali europei di cui “Repubblica” fa parte insieme a “Die Welt”, “El País”, “Gazeta Wyborcza”, “Le Figaro”, “Le Soir”, “Tribune de Genève” e “Tages-Anzeiger”)

 

 

 

Meteo: Entro Metà Settembre

per la Prima Volta nella Storia

avverrà qualcosa di eclatante in Europa.

Conoscenzealconfine.it- Mattia Gussoni – (8 Settembre 2022) – ci dice:

 

Entro la metà di settembre per la prima volta nella storia avverrà qualcosa di eclatante a livello atmosferico in Europa, con possibili rischi anche per l’Italia.

Dopo un avvio caratterizzato da un ritorno dell’alta pressione sub-tropicale, specialmente al Centro-Sud, successivamente è atteso un deciso ribaltone sul fronte meteo.

Come spesso capita nelle settimane di passaggio tra una stagione e l’altra, l’Italia si trova di fatto tra l’incudine e il martello: sono due le grandi figure meteorologiche che hanno iniziato a sfidarsi in una cruda lotta, in un braccio di ferro che per il momento non ha vincitori né vinti; da una parte, abbiamo le fresche e instabili correnti dal Nord Europa, dove l’Autunno ha già iniziato a galoppare; dall’altra, ci sono le roventi fiammate africane che tentano ancora di salire verso Nord, attraversando il Mediterraneo e dirigendosi dritte verso il nostro Stivale.

Quest’anno, tuttavia, si sta delineando una configurazione mai vista prima (almeno da quando ci sono le registrazioni) in pieno oceano Atlantico, con un uragano potrebbe raggiungere le coste dell’Europa occidentale.

La particolarità di questo evento risiede nella zona dove è “nato” il ciclone, ovvero i 38° di latitudine Nord, cioè più a settentrione del solito (latitudini tropicali), in un’area dove le acque superficiali oceaniche risultano particolarmente calde, fino a + 5º C sopra i normali valori, una conseguenza degli ultimi mesi davvero anomali.

Questa immensa macchina atmosferica, al cui centro la pressione scenderà fino a 975 hPa, è in grado di scatenare venti violentissimi ad oltre 140-150 km/h. Secondo gli ultimi aggiornamenti della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration, l’ente americano che si occupa di Oceani e Atmosfera), l’Uragano Danielle, così è stato chiamato, potrebbe raggiungere il Vecchio Continente entro la metà di settembre.

Alcuni modelli stimano che Danielle, o ciò che ne rimarrà, possa riuscire a transitare vicino all’Europa occidentale, influenzando le condizioni meteo in Spagna, Francia, Regno Unito e anche sull’Italia. Tuttavia, queste simulazioni sono ancora molto incerte e serviranno giorni per poter avere più certezze sulla sua traiettoria.

 

A prescindere dalla forza con cui impatterà questa depressione, gli effetti si faranno sentire in particolare in Portogallo, Spagna (settori a Nord), Irlanda, Scozia e Inghilterra, dove oltre alle piogge torrenziali le raffiche di vento potrebbero raggiungere i 130 km/h. Lungo le coste le onde potrebbero raggiungere l’altezza di 8 metri, come un palazzo di 2 due piani.

E l’Italia? Anche il nostro Paese potrebbe rischiare grosso. Potremmo infatti venire sfiorati dalla coda di questa immensa perturbazione, ed ecco servito il nuovo ribaltone: l’ingresso di queste correnti sul bacino del Mediterraneo potrebbe infatti innescare la formazione di un vortice ciclonico dal 13/14 settembre, favorendo di conseguenza una fase climatica piuttosto perturbata, temporalesca e foriera di un clima decisamente autunnale.

Come ricordiamo sempre, le tendenze sul lungo periodo servono a fornire un’idea generale sul tempo atteso e non vanno dunque intese come le classiche previsioni meteo, ovvero non sono utili per pianificare eventi della propria vita quotidiana.

Fatta questa doverosa premessa, possiamo dire che l’Autunno 2022 si annuncia movimentato.

(Mattia Gussoni – Meteorologo- ilmeteo.it/notizie/meteo-entro-met-settembre-per-la-prima-volta-nella-storia-avverr-qualcosa-di-eclatante-i-dettagli-202642)

 

 

 

 

Ucraina, l'uso dell'atomica può

scatenare un golpe contro Putin.

Quotidiano.net- Redazione - (1°marzo 2022) - ci dice:

Due scenari tuttora improbabili, ma non impossibili per un cambio di guida a Mosca. Uno riguarda l'uso di armi nucleari tattiche.

Roma, 1° marzo 2022 - Il desiderio inconfessabile di molte cancellerie occidentali, se non tutte, è quello di un cambio di regime a Mosca. Ovviamente, uno sviluppo del genere, se portasse al potere una leadership più dialogante, risolverebbe molti problemi e consentirebbe di superare la fase bellica riallacciando i legami tra la Russia e il resto del mondo, ora recisi. Ma è credibile una aspettativa del genere? Putin è ben saldo nel palazzo del potere, ha emarginato tutti i suoi avversari, controlla la larghissima maggioranza della Duma (320 su 450 deputati sono di Russia Unita, il partito di Putin, altri 27 deputati danno appoggio esterno al governo), le Forze armate gli sono fedeli, l'appartato economico legato allo stato è di sua nomina, gli oligarchi o stanno con lui o han dovuto riparare all'estero. Apparentemente, non ci sono speranze per chi in occidente vuole togliere Putin dal potere.

"Terza guerra mondiale sarà nucleare". Mosca insiste e fa volare jet sulla Svezia.

Putin, l'ultima follia: "La famiglia nascosta in un bunker, città sotterranea in Siberia"

I russi colpiscono la torre della tv di Kiev.

Gli scenari per un golpe.

Ma secondo qualificati analisti occidentali ci sono due scenari da considerare. Il primo scenario è l'eventualità secondo la quale Putin possa decidere di utilizzare una arma nucleare tattica, anche di piccolissima taglia, 1 KT, ad esempio su una base militare Ucraina. In questo caso esiste la possibilità che per evitare una ritorsione nucleare occidentale con consistente rischio di escalation, il ministro della Difesa o il Capo di Stato Maggiore russo possa decidere di non eseguire l'ordine, ponendosi di fronte a una opzione secca: o essere accusato di alto tradimento o tentare un colpo di stato militare come quello (fallito) contro Gorbaciov. Da notare che l'ordine di lancio di ordigni nucleari in Russia ha un triplice approvazione: Presidente, ministro della Difesa e Capo Stato Maggiore della Difesa. Sarebbe su questi ultimi due, l'onere della scelta di un clamoroso no al lancio. L'ipotesi che Putin possa decidere l'uso dell'arma nucleare è molto bassa, e ancora più bassa quella che qualcuno abbia l'ardire di rifiutarsi di eseguirla. Ma non è a zero.

 

"Con la guerra rischio nuova Chernobyl". In Ucraina 15 reattori nucleari.

Il secondo scenario è di medio periodo. Putin accetta in qualche modo di porre fine alla guerra firmando una tregua, mantenendo però il controllo del Donbass e della striscia di terreno tra il Donbass e la Crimea, più il territorio conquistato a nord di Kiev. L'occidente continuerebbe con le durissime sanzioni che stanno colpendo a fondo la finanza e l'economia russa. Questo accrescerebbe nel tempo il malcontento della popolazione - inflazione, perdita di posti di lavoro - che inscenerebbe vaste manifestazioni di piazza dando vita a un movimento di opposizione che potrebbe essere finanziato dall'Occidente (come per la Maidan e la rivoluzione arancione in Ucraina) ma anche da molti oligarchi, duramente colpiti dalle sanzioni. Questo potrebbe portare ad un golpe parlamentare d'intesa con le Forze armate. Ancora, le probabilità al momento sono basse, anche se le variabili in gioco sono parecchie e complessivamente questa eventualità ha un grado di credibilità maggiore.

La strada del passo indietro in Ucraina.

Per Putin probabilmente la strada migliore è un passo indietro in Ucraina per continuare a guidare incontrastato la Russia. Se accetterà il ritiro delle truppe in cambio di Crimea e Donbass (nei confini delle province, non nel territorio attualmente controllato dai separatisti) e della promessa di non ingresso dell'Ucraina nella Nato (tre punti che costituiscono la sua linea rossa, oltre la quale per lui c' è solo sconfitta) ne uscirà, dal suo punto di vista, con un guadagno strategico e avendo dimostrato che la Russia è ancora temibile, e potrà continuare a governare il suo Paese. Ma il Putin visto in queste settimane non è affatto detto che usi saggezza e furbizia. Anzi.

 

 

 

 

 

La legalità delle armi nucleari.

Dirittoconsenso.it-Redazione-(19 GIUGNO 2020) - ci dice:

L’uso delle armi nucleari è contrario al diritto internazionale umanitario?

 Il confronto tra Corea del Nord e Stati Uniti rappresenta uno dei principali rischi per la sicurezza globale al giorno d’oggi. La schermaglia tra i due Paesi ha infatti visto la minaccia da entrambe le parti dell’uso di armi nucleari. Come notato da Thakur, l’Asia nordorientale rappresenta il teatro di battaglia più pericoloso per una guerra nucleare, che potrebbe coinvolgere ben quattro Stati dotati di tali armamenti.

Tralasciando il fatto che la posizione della Corea del Nord è probabilmente illegale, in quanto rifiutandosi di concludere negoziati sul disarmo nucleare e non avendolo portato a termine ha infranto delle norme consuetudinarie a riguardo, la questione della legalità dell’uso o della minaccia dell’uso dell’arma atomica rimane di grande attualità.

Questo articolo vuole analizzare se le armi nucleari, il loro utilizzo e la minaccia del loro utilizzo siano contrari al diritto internazionale umanitario. In questo senso, le nozioni di “minaccia” e “utilizzo” verranno incorporate nella seconda, in quanto per la Corte Internazionale di Giustizia esse lavorano in “tandem” poiché l’uso illegale della forza in un dato contesto renderà parimenti illegale la minaccia di tale uso.

Il parere consultivo del 1996 della Corte Internazionale di Giustizia sulla legalità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari.

Il punto di partenza è, evidentemente, il parere consultivo sulla legalità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari reso dalla CIG. Tale parere è stato criticato per non essere abbastanza chiaro; tuttavia, esso va visto nel contesto degli sforzi di proibire tutti i test nucleari, come risulta dalla risposta F del parere stesso, dal crescente numero di trattati che proibiscono armamenti nucleari e dall’impegno dato nel 1995 dai cinque Stati “ufficialmente” nucleari a non utilizzare i loro arsenali contro gli Stati non-nucleari parte del NPT.

Ad ogni modo, la Corte ha messo in chiaro che il diritto internazionale umanitario è applicabile alle armi nucleari. La Corte ha dichiarato che l’utilizzo di queste armi non è né autorizzato né proibito dal diritto internazionale consuetudinario o convenzionale. Per essere legale, tale utilizzo dovrebbe rispettare le disposizioni dell’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, se in contravvenzione all’Art. 2, ed allo stesso tempo essere compatibile con i requisiti del diritto internazionale umanitario. Perciò, la Corte ha stabilito che, in linea di principio, l’utilizzo di un’arma nucleare sia generalmente contrario alle norme di diritto internazionale dei conflitti armati; ma, allo stesso tempo, ha riconosciuto che il dubbio sulla legalità rimarrebbe in un’estrema circostanza di autodifesa, in cui l’esistenza stessa di uno Stato sia in gioco.

Il diritto internazionale umanitario pattizio applicabile alle armi nucleari.

Il diritto internazionale umanitario trova le sue fondamenta sia in norme consuetudinarie che convenzionali. Dal momento che le armi nucleari sono considerate armi di distruzione di massa, vale la pena considerare l’applicabilità ad essa dei trattati relativi alle altre armi di distruzione di massa, ossia armi chimiche e batteriologiche.

 Sia la BWC che la CWC hanno messo ben in chiaro che le categorie di armi di cui si occupano sono assolutamente proibite, sia in termini di utilizzo che di immagazzinamento. Nonostante alcuni degli effetti causati da tali armi e da quello delle armi nucleari possano essere considerati affini, il diritto convenzionale applicabile non presenta alcuna specifica proibizione nei confronti delle seconde.

Altri trattati che sembrano presentare prima face disposizioni contrarie all’uso delle armi nucleari sono il I Protocollo Addizionale del 1977, la ENMOD ed i vari trattati riguardanti l’uso di gas ed armi avvelenate.

Per quanto riguarda questi ultimi due, la CIG ha stabilito che non v’è alcuna prova che le relative convenzioni, quali la II Dichiarazione dell’Aja 1899, la IV Convenzione dell’Aja 1907 ed il Protocollo di Ginevra del 1925 contengano alcuna provvisione che sia applicabile alle armi nucleari Il I Protocollo addizionale del 1977 è, in sostanza, una codificazione di norme consuetudinarie preesistenti; tuttavia, al tempo della firma, molti Stati, sia nucleari (come gli USA o il Regno Unito) che non (per esempio Canada, Germania e Italia) emisero delle dichiarazioni che mettevano in chiaro che non si ritenevano impegnati dalle disposizioni del Protocollo per ciò che riguardava le armi atomiche.

La ENMOD, invece, proibisce modificazioni “deliberate” dell’ambiente e dei processi naturali. Perciò, un seppur devastante attacco nucleare non ricadrebbe automaticamente nel suo campo di applicazione, in quanto sarebbe alquanto difficile provare che tali armi siano usate con lo scopo primario di modificare l’ambiente invece che per la “semplice” distruzione del bersaglio. Non vi è perciò alcuna norma convenzionale che copra i danni ambientali causati da un’esplosione nucleare.

Nonostante le obiezioni sollevate dagli Stati che detengono armi nucleari e dai loro alleati, sembra esserci una maggioranza nella comunità internazionale che punta ad un mondo libero dalla minaccia nucleare.

Ciò è ben esemplificato dal numero di trattati che mettono fuorilegge le armi nucleari in alcune regioni. Ed ultimamente dalla redazione e adozione in seno alle Nazioni Unite del Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Ciò rafforza la posizione della CIG che, nel 1996, ha affermato che tali trattati potrebbero prefigurare la futura messa al bando generale dell’uso di tali armi, sebbene, ad oggi, non costituiscano una proibizione di per sé.

Il diritto internazionale umanitario consuetudinario applicabile alle armi nucleari.

I principii base del diritto umanitario sono proporzionalità, distinzione, umanità e necessità militare. Sembra lampante, prima face, che l’uso delle armi nucleari sia contrario ai primi due. Come notato da Izmir, però, la classificazione dell’arma atomica non è stata fatta propriamente, usando metodi scientifici: argomentazioni esagerate, immaginarie e retoriche sono invece state proposte.

Alcune delle conseguenze dell’utilizzo delle armi nucleari soni descritte in un report dell’ONU, che ha identificato tre effetti principali: una potente esplosione, un’intensa radiazione termica e nucleare derivante dallo scoppio ed il fallout radioattivo.

Tuttavia, il report afferma che il risultato di un’esplosione nucleare dipenda in modo significativo dalle dimensioni dall’arma e dell’area colpita e, perciò, una chiara valutazione richiederebbe accertamenti caso per caso.

Green ha fatto notare che i principi e gli standard in questione si basano tutti sull’idea di un equilibrio tra gli interessi umanitari e quelli militari in gioco: in tale equazione, non è possibile affermare che i primi prevalgano sempre e comunque.

Come affermato da Rogers, il diritto bellico è infatti un tentativo di bilanciare i principi contrastanti di necessità militare ed umanità.

Danni collaterali e vittime civili vanno quindi valutati in base al principio di proporzionalità. Comunque, Vail afferma che il principio di umanità è incorporato nei concetti di proporzionalità e distinzione; quindi, la difesa di un attacco nucleare sulla semplice base del principio di necessità militare sembra alquanto debole.

Il diritto internazionale umanitario proibisce altresì l’utilizzo di mezzi e metodi di guerra che causino lesioni superflue e sofferenze inutili. Il causare perdite eccessive è considerato parte di tale principio consuetudinario. Nel suo parere consultivo, la CIG ha rimarcato il fatto che questo principio limiti la scelta delle armi disponibili per i belligeranti. Come notato da Maresca e Mitchell, la sua applicabilità pratica è controversa. Ma se si presta attenzione agli effetti causati da un’esplosione nucleare, sembra abbastanza chiaro che essi cozzino con tale principio. L’esplosione e l’ondata termica causerebbero immediatamente delle perdite facilmente definibili eccessive, mentre le conseguenti radiazioni provocherebbero malattie a lungo termine ed una lenta morte nei sopravvissuti. La conseguenza, perciò, è chiaramente inaccettabile alla luce delle disposizioni di diritto internazionale umanitario. Numerosi Stati ed il CICR condividono tale posizione. Ciò fornirebbe quindi delle solide basi per sostenere che le armi nucleari siano contrarie al diritto internazionale umanitario, anche nel caso di un dispositivo di dimensioni ridotte.

Un’altra particolare regola di diritto umanitario è la cosiddetta Clausola Martens, enunciata per la prima volta nella II Convenzione dell’Aia 1899 e dimostratasi un efficace strumento per affrontare la rapida evoluzione della tecnologia militare.

La Clausola è stata poi riportata in molti altri trattati successivi e gode di uno status consuetudinario. Ticehurst spiega che essa ha tre possibili interpretazioni.

La prima, più limitata, prevede che le norme consuetudinarie si continuino ad applicare anche dopo l’entrata in vigore di uno specifico trattato. La seconda prevede che ciò che non è espressamente proibito da un trattato non è ipso facto autorizzato.

Nella sua opinione dissenziente sul parere consultivo della CIG, Shahabuddeen sposa tale interpretazione, spiegando che, dato il riferimento ai “dettami della coscienza pubblica”, le disposizioni della Clausola Martens prevarrebbero sul Principio Lotus, che essenzialmente afferma il contrario. L’interpretazione più ampia, invece, afferma che i conflitti armati debbano obbedire non soltanto al diritto internazionale consuetudinario e pattizio, ma anche ai principii stessi invocati dalla Clausola. Ticehurst afferma che tali principi facciano riferimento al diritto naturale, che al contrario del diritto positivo impone degli obblighi erga omnes, e che la Clausola identifichi proprio nei “dettami della coscienza pubblica” il mezzo per accertare il diritto naturale.

Tale interpretazione potrebbe, potenzialmente, costituire un’argomentazione molto forte nel vietare le armi nucleari, specialmente considerando la posizione di Shahabuddeen. Egli identifica tale coscienza pubblica contraria alle armi atomiche nella posizione degli Stati, espressa attraverso le risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU e dall’aderenza al NPT. Greenwood offre una visione contraria, affermando che tale concetto è troppo vago per essere usato come base per una norma di legge. Tuttavia, se come affermato da Raimondi alcune delle opinioni dissenzienti di oggi saranno le sentenze di domani, opinioni come quelle di Shahabuddeen potrebbero anticipare degli obblighi legali più stringenti in merito agli armamenti nucleari.

Conclusioni.

La funzione principale del diritto internazionale umanitario è proteggere le vittime dei conflitti armati. Gli effetti dell’impiego di un’arma nucleare sembrano essere chiaramente contrari a questo scopo. Tuttavia, va evidenziato il fatto che, allo stato attuale del diritto internazionale, non c’è alcuna disposizione di alcun trattato che vieti espressamente l’utilizzo di armi nucleari. Ciò era stato messo ben in chiaro dalla CIG nel suo parere consultivo del 1996. Nonostante ciò, è possibile individuare delle solide basi per dichiarare illegali le armi nucleari nel diritto internazionale consuetudinario, in quanto contrarie ai principi di distinzione, umanità, proporzionalità ed alla norma che vieta armi che causino lesioni superflue, sofferenze inutili e perdite eccesive. Inoltre, la Clausola Martens, persino nella sua interpretazione più limitata, provvede ad applicare in toto il diritto consuetudinario all’arma nucleare.

Infine, un altro argomento in favore del divieto delle armi nucleari è quello che ne vede l’uso come mezzo per perpetrare un genocidio.

Dato l’enorme ed indiscriminato numero di morti provocati da un’esplosione nucleare e l’inerente intenzionalità nel lanciare l’attacco, si potrebbe infatti sostenere di essere dinanzi ad un genocidio.

Visto che la norma che proibisce il genocidio ha rango di” jus cogens” ed è quindi inderogabile, ciò costituirebbe uno degli strumenti più potenti per il divieto di utilizzo delle armi nucleari.

 

 

 

Quando si viveva con

la paura dell’atomica.

Iklpost.it-Redazione-(6-3-2022) - ci dice:

 

La minaccia che oggi appare poco plausibile era assai più concreta durante la Guerra fredda, e le precauzioni entrarono in alcuni pezzi della quotidianità.

In questi giorni di preoccupazione generale causata dall’aggressione militare della Russia ai danni dell’Ucraina, avvenuta ormai più di una settimana fa, molte persone temono scenari di guerra ancora più gravi e soprattutto estesi di quelli a cui stiamo assistendo. Per quanto la situazione sia imprevedibile, è umano e comprensibile prepararsi al peggio, anche se viene ritenuto assai improbabile un eventuale impiego di armi nucleari nella guerra in corso. È però vero che sia la Russia che gli Stati Uniti e alcuni paesi europei sono tra le più grandi potenze nucleari al mondo, e che Putin ha minacciato gravi ritorsioni in caso di intervento occidentale, facendo riferimenti impliciti alla bomba atomica.

La minaccia nucleare non è però una cosa nuova. L’umanità ci ha convissuto per diversi decenni, durante i quali l’eventualità di una guerra nucleare era considerata molto meno lontana di oggi. C’era la Guerra fredda, la lunga fase di ostilità tra Unione Sovietica e Stati Uniti successiva alla Seconda guerra mondiale, e nei momenti di tensione più acuta – come l’invasione alla Baia dei Porci e la crisi dei missili a Cuba – le persone si abituarono all’eventualità e vennero educate a prendere le contromisure necessarie.

La cosiddetta era atomica iniziò di fatto con le bombe sganciate dall’esercito americano su Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, alla fine della Seconda guerra mondiale. La fissione dell’atomo, che aveva permesso la produzione delle due bombe, era stata scoperta anni prima, nel 1938. Fin da subito vennero intuite le grandi potenzialità di questo processo, che può liberare quantità enormi di energia.

Vennero ipotizzati vari impieghi, tra cui quello militare, poiché si intuì immediatamente il vantaggio competitivo che si poteva acquisire con una tecnologia di tale potenza.

E infatti, durante la Seconda guerra mondiale, gli stati maggiori dei vari paesi cercarono in tutti i modi di sviluppare un’arma nucleare prima dei rispettivi nemici. Ci riuscirono gli Stati Uniti grazie al progetto Manhattan, ma dopo la guerra il processo non si arrestò: tanto l’Unione Sovietica quanto Francia e Regno Unito svilupparono le proprie armi nucleari, che vennero affinate e rese ancora più potenti di quelle già devastanti usate in Giappone.

Questo nuovo contesto internazionale in cui comparvero per la prima volta nella storia armi di distruzione di massa portò a un clima mai sperimentato prima, in cui ciascuna potenza mondiale sapeva di rischiare la distruzione totale. Ma paradossalmente proprio questa consapevolezza servì in certe fasi a placare le tensioni per via di quella che è stata chiamata deterrenza nucleare: da un lato le armi nucleari costituivano una minaccia costante, dall’altro però il piazzamento di testate missilistiche ai confini dei due blocchi – occidentale e sovietico – servirono a mostrare il proprio potenziale distruttivo ed evitare lo scontro diretto.

L’efficacia della deterrenza può essere ritenuta ovvia guardandola con gli occhi di oggi, ma allora, specie nei momenti di crisi diplomatica e militare più gravi, non lo era affatto. Negli anni Sessanta per esempio le tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica si acuirono moltissimo, dopo il tentativo fallito da parte degli americani di rovesciare il regime comunista di Fidel Castro, a Cuba, con l’invasione della Baia dei Porci. All’epoca il leader sovietico era Nikita Kruscev, il quale nel 1962, dopo il fallimento dell’invasione americana, costruì a Cuba delle basi per lanciare missili nucleari verso gli Stati Uniti.

Questo periodo fu forse il più teso in assoluto della Guerra fredda, il momento in cui si arrivò più vicini a una guerra nucleare, poi sventata dopo giorni di intensa attività diplomatica.

In quel periodo negli Stati Uniti e in tutto il mondo si diffuse una paura generalizzata. Il 6 ottobre 1961 il presidente americano John Kennedy invitò la popolazione a costruirsi rifugi antiatomici, promettendo che poi il programma di difesa civile avrebbe provveduto a metterli a disposizione per tutta la cittadinanza. Nei giorni della crisi dei missili molti americani si costruirono in breve un rifugio nel giardino di casa e soprattutto fecero una gran scorta di cibo in scatola, per fronteggiare eventuali scarsità di risorse provocate da una guerra nucleare.

Ma già negli anni precedenti, negli Stati Uniti, era stato creato un programma di educazione e propaganda per sensibilizzare la popolazione, insegnando buone pratiche di protezione in caso di attacco. È rimasta celebre per esempio la campagna “Duck and Cover” degli anni Cinquanta, voluta dal presidente Truman, con cui si consigliava ai cittadini ad abbassarsi (duck) e cercare riparo (cover) in caso di attacco.

Fu una pratica un po’ presa in giro, perché nascondersi sotto un tavolo o coprirsi con le braccia serve a poco se l’attacco avviene nelle immediate vicinanze. Ma il governo americano ci investì molto, creando persino un cortometraggio commissionato dalla Difesa, con protagonista Bert la tartaruga che in caso di pericolo «ducks and covers», ritirandosi nel guscio.

Un pericolo simile era avvertito negli stessi anni anche in Europa, che con ogni probabilità sarebbepotuta essere terreno di scontro nucleare, trovandosi al confine tra blocco occidentale e sovietico. La Svizzera, per esempio, nel 1963 introdusse una legge che costringeva case e condomìni a costruire un bunker abbastanza ampio da ospitare tutte le persone residenti.

Nel 1976 fu costruito quello che all’epoca era il bunker civile più grande al mondo, a Lucerna, capace di ospitare 20mila persone.

Anche il Regno Unito, che aveva cominciato a costruire rifugi soprattutto a Londra durante i bombardamenti nella Seconda guerra mondiale, avviò una campagna simile a quella statunitense, con produzione di film informativi sul nucleare.

In Italia, un paese considerato particolarmente importante e delicato nell’equilibrio tra i due blocchi, la NATO collaborò strettamente con il governo per istituire piani di emergenza in caso di attacco nucleare.

In particolare, in caso di attacco a Roma, il governo doveva essere trasferito immediatamente nel rifugio del monte Soratte, a circa 40 chilometri dalla capitale, che venne attrezzato appositamente.

Come molti altri sparsi sul territorio, il rifugio – una lunghissima galleria scavata a 300 metri di profondità – risale al periodo bellico, tra gli anni Trenta e Quaranta. L’Italia, come gli altri paesi europei interessati dai combattimenti della Seconda guerra mondiale, aveva già una rete di rifugi antiaerei che vennero riadattati a bunker antiatomici nel periodo della Guerra fredda.

Tra quelli che furono costruiti appositamente per il rischio nucleare c’è invece il rifugio “West Star”, vicino al lago di Garda, nei pressi del monte Moscal di Affi.

 

 

 

 

“La minaccia nucleare mette

 tutto il mondo a rischio”.

  Altreconomia.it- Ilaria Sesana - (26 Febbraio 2022) -ci dice:

 

In questi giorni abbiamo assistito a un’escalation della retorica e delle minacce di un possibile uso delle armi nucleari. Per Susi Snyder, coordinatrice del settore finanziario di ICAN, la sola soluzione possibile è il disarmo e l’adesione di tutti i Paesi al Trattato per la proibizione delle armi nucleari.

Quella che si sta consumando in queste ore è una tragedia per il popolo ucraino. Le persone stanno perdendo la vita a causa di una guerra di aggressione che per la legge internazionale è vietata. Questo tipo di invasione è illegale e deve essere fermata. Noi possiamo solo sperare che prevalga la ragionevolezza e che la diplomazia si metta al lavoro perché le persone stanno soffrendo, si sta sparando ed è stato minacciato l’uso delle armi nucleari in un modo che mette tutto il nostro mondo a rischio”.

Susi Snyder è la coordinatrice del settore finanziario dell’International campaign to abolish nuclear weapons (ICAN), associazione che nel 2017 è stata insignita del Premio Nobel per la Pace. Snyder è una delle massime esperte internazionali sul disarmo nucleare ed è la coordinatrice della campagna “Don’t bank on the bomb” che pubblica periodicamente un rapporto di ricerca sul coinvolgimento degli istituti di credito e finanziari alla produzione di armi nucleari.

Nella serata di venerdì 25 febbraio ha partecipato all’incontro intitolato “Il trattato TPNW contro le armi nucleari: risultati raggiunti e prossimi passi” organizzato nell’ambito della mobilitazione “Italia, ripensaci” promossa da Senzatomica e Rete italiana pace e disarmo e con la collaborazione di Etica sgr, le Acli milanes e il Coordinamento milanese pace in comune.

Snyder riguardo alla situazione in Ucraina vede il rischio di un’escalation nucleare?

 Abbiamo già visto un’escalation della retorica, delle parole che minacciano l’uso delle armi nucleari. E questo è estremamente pericoloso. La Russia ha uno dei più grandi arsenali nucleari al mondo così come la Nato: nel mezzo c’è l’Ucraina. E questo non è giusto per l’Ucraina. Non è giusto per nessuno. Se le armi nucleari verranno impiegate le ripercussioni saranno globali, le conseguenze dell’esplosione andranno ben oltre i confini dei singoli Paesi e l’impatto economico sarà peggiore delle più dure delle sanzioni possibili. L’uso delle armi nucleari è catastrofico e per questo motivo l’opzione nucleare deve essere esclusa categoricamente.

Gli avvenimenti di questi ultimi giorni hanno mostrato che il rischio di una guerra nucleare è sempre possibile, che cosa può essere fatto per evitare questa possibilità?

 In base a quanto previsto dal Trattato per la proibizione delle armi nucleari (entrato in vigore il 20 gennaio 2021, ndr) la minaccia dell’utilizzo di armi nucleari è illegale.

I Paesi che hanno a cuore il mantenimento della pace dovrebbero aderire al Trattato: si tratta dell’unico trattato multilaterale sulle armi nucleari che prevede un disarmo reale e verificato. E che permette di eliminare la minaccia di una guerra nucleare. Non succederà immediatamente, ma se tutti i Paesi aderiranno al Trattato potremo evitare che questo tipo di minacce si ripetano in futuro.

Pensa che l’opinione pubblica mondiale sia consapevole dei rischi e delle conseguenze di una guerra nucleare?

 Penso che alcune persone ne siano estremamente consapevoli. Tutte le guerre sono sbagliate e non importa se la bomba che cade sulla tua casa è una convenzionale o nucleare: è sempre una bomba. Tutte le guerre sono sbagliate, ma la guerra nucleare ha un’eredità catastrofica per le future generazioni e questo è qualcosa a cui molte persone forse non pensano. Quello che mi preoccupa è il modo in cui i leader di alcuni Paesi minacciano l’uso di armi nucleari senza pensare a quello che questo significa. Ed è chiaro che non ci pensano perché significherebbe devastazione anche per loro.

Perché è importante continuare a lavorare per il disarmo?

 Le persone saranno sempre in disaccordo tra loro e questo non è un male: le controversie ci aiutano a fare incredibili scoperte e trovare nuove soluzioni a vecchi problemi. Il disarmo significa togliere di mezzo le opzioni peggiori che possono essere adottate per cercare di risolvere una controversia. Dobbiamo lavorare sul disarmo nucleare e su quello convenzionale, perché sono le persone comuni a soffrire quando queste armi vengono usate. Gli unici a trarre beneficio dalle armi sono coloro che le costruiscono, o meglio: chi siede nei consigli di amministrazione delle società che producono armi. (E Klaus Schwab-il re dei globalisti- produce armi atomiche in Sud Africa illegalmente. Ndr)

Sono loro gli unici a trarne profitto, tutti gli altri sono a rischio. E più sono numerose le armi in circolazione, più è probabile che le usiamo. E questo significa che le persone comuni soffriranno e moriranno.

È passato un anno dall’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Quali risultati ha ottenuto?

 Migliaia di parlamentari di tutto il mondo si sono impegnati a convincere i loro governi ad aderire al Trattato. Centinaia di città hanno chiesto ai loro governi di aderire: Washington, New York, Parigi vogliono mettere la parola fine alle armi nucleari perché sanno che nel caso di un conflitto nucleare potrebbero essere i principali. Inoltre, più di cento banche, fondi pensione e altre istituzioni finanziarie hanno detto che non finanzieranno più compagnie che producono bombe nucleari o componenti necessari a realizzarle. Tra queste, ad esempio c’è il fondo sovrano dell’Irlanda: quando il governo di Dublino ha ratificato il Trattato, contestualmente ha deciso il disinvestimento. Lo scorso dicembre il City Council di New York ha adottato nel dicembre 2021 una legislazione che impegna i fondi pensione dei dipendenti pubblici della città a disinvestire dal settore della produzione di armi nucleari. Stiamo parlando di circa 500 milioni di dollari.

In merito alla campagna “Don’t Bank on the bomb” quali risultati sono stati raggiunti?

 

 Il Trattato ha reso illegali tutte le attività connesse alle armi nucleari, comprese la produzione e lo sviluppo. Da quando è entrato in vigore abbiamo visto molte istituzioni finanziarie indicare esplicitamente il Trattato quale ragione per il proprio disinvestimento dalle aziende che producono armi nucleari o componenti necessarie per il loro sviluppo: stiamo parlando di 3.900 miliardi di dollari.

Inoltre, come ricordavo prima ci sono più di cento realtà tra banche, fondi pensione e asset manager che hanno detto di “no” alle armi nucleari. Ed è interessante notare che queste istituzioni finanziarie hanno sede in Paesi che non hanno aderito al Trattato. Grazie a questa forma di pressione sono già due le società che hanno deciso di interrompere le loro produzioni legate agli armamenti nucleari.

Quali sono i prossimi obiettivi della campagna contro le armi nucleari?

 Quest’anno, a Vienna, si terrà la prima riunione degli Stati che hanno firmato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Vogliamo che tutti i Paesi si riuniscano e contribuiscano a questo strumento globale che non solo rende illegali le armi nucleari, ma prevede anche un disarmo verificato degli arsenali oltre a assistenza a coloro che in passato hanno subito in prima persona le conseguenze delle esplosioni di armi nucleari o di test nucleari.

 Il nostro obiettivo è questa riunione sia un successo e che affermo con forza che il mondo non può più convivere con la deterrenza nucleare: è troppo rischioso per tutti. Dobbiamo spostare il focus: dobbiamo concentrarci sulle conseguenze e i danni che queste armi provocano, per fare in modo che le persone capiscano che le armi nucleari devono essere abolite. (E chi glielo dice a Klaus Schwab? ndr.)

 

 

 

Guerra Russia-Ucraina, l’uso dell’atomica?

Un incubo da considerare.

Affaritaliani.it-Gianni Pardo-( 9-4-2022) -ci dice:

L’ottimismo delle parole è stupido, la realtà non ha nessuna remora morale.

Guerra Russia-Ucraina, al Cremlino c’è un signore che parla tutti i giorni della possibilità di una guerra nucleare.

Chi vive una crisi religiosa si trova a decidere se il Cristianesimo sia una religione valida, o una favola come le altre religioni. E soprattutto – per cominciare - se Dio esista o no. Soppesare queste visioni del mondo è come affacciarsi su un abisso e chiedersi se sia il caso di saltare giù.

Non si tratta di un semplice problema metafisico. Il dualismo, cioè la contemporanea esistenza di spirito e materia, prima ancora di essere una dottrina religiosa, promette quanto meno che si possa sperare in qualcosa al di là della piatta, prosaica esistenza del mondo quale appare. Il monismo materialistico, invece, ci costringe a rinunciare alla speranza di una realtà che abbia un senso e di un mondo guidato dall’alto. Ci obbliga ad accettare un mondo all’insegna del caos, con la coscienza che non esiste nulla al di là di ciò che constatiamo con i nostri sensi.

Decidere fra questi estremi è come essere obbligati a tuffarsi nell’acqua ghiacciata. Pensare sul serio è uno sport talmente pericoloso che molti, per prudenza, se ne astengono.

Non è strano che Nietzsche abbia chiesto: “Fin dove osi pensare?” Infatti per concepire realmente il monismo materialistico con tutte le sue implicazioni, ci vuole coraggio. Molto coraggio. E non tutti lo hanno.

Basti dire che la maggior parte degli uomini, e persino dei vecchi, pur essendo stata informata che non è immortale, preferisce dire: “Morire? Certo, certo. Ma poi”.

 Un poi che vorrebbe essere un mai. E non lo è.

Mentre Socrate ha praticamente scelto di morire piuttosto che fuggire, perché da sempre – anche quando combatteva da coraggiosissimo oplita – aveva messo la morte in conto e l’aveva accettata, gli uomini normali preferiscono immaginarsi immortali.

Ma pochi somigliano a Socrate. Benché le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki appartengano alla storia, benché sappiamo tutti che esiste il problema della guerra nucleare, preferiamo non pensarci. “Se ne parlerà sempre e non ci sarà mai, perché è troppo devastante per tutti”. Come se ciò che è “troppo brutto per essere vero” fosse veramente impossibile. E invece l’Olocausto è stato possibile.

L’ottimismo delle parole è stupido. La realtà non ha nessuna remora morale. Diversamente non ci sarebbero le cliniche oncologiche per i bambini. Dunque il problema della possibile guerra nucleare va affrontato da adulti. Senza nemmeno aggiungere: “Avendo fatto testamento” perché, probabilmente, non ci sarebbero eredi.

Al Cremlino c’è un signore che un giorno sì e l’altro pure ventila la possibilità di una guerra nucleare, come se lui e il suo popolo non dovessero temerla quanto la temiamo noi. Dunque non dobbiamo rispondergli: “Se ci minacci questa guerra, cederemo su qualunque punto”. Dobbiamo dirgli: “Se voi russi volete suicidarvi insieme con tutti noi, non possiamo impedirvelo. E comunque una volta o l’altra tutti dobbiamo morire. Ma la prospettiva della morte non ci farà preferire la schiavitù”.

La guerra nucleare è talmente devastante da cancellare dalla faccia della Terra i Paesi belligeranti ed uccidere, col fall out, anche centinaia di milioni di terzi non belligeranti. Soprattutto ad est, dal momento che in Europa i venti prevalenti sono da ovest. Qualcuno parla perfino dell’estinzione dell’umanità.

Ma il realismo ci insegna che, mentre sarebbe normale che nessuno mai, nei secoli dei secoli, premesse quel dannato pulsante rosso, è anche possibile che una volta o l’altra un pazzo scateni questo tipo di guerra.

È la famosa “legge di Murphy”: "Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo".

Od anche, più semplicemente: “Se qualcosa può andare storto, lo farà”. E allora, bisogna inchinarsi a chiunque minacci la guerra nucleare? Certamente no.

Bisogna piuttosto fare il possibile perché il disastro non si verifichi. Per esempio facendo sì che tutti capiscano fino alla feccia che significa “Mutual Assured Destruction” e si calmino. Traduzione:

“Come tu cercherai di uccidere tutti i miei connazionali, anch’io ucciderò tutti i tuoi connazionali, tutti i tuoi alleati e chiunque vi somigli. Tu stesso morirai comunque, anche se uscirai dal bunker mesi dopo la bomba, perché l’aria sarà avvelenata per i decenni avvenire. Vuoi che moriamo tutti? E sia. Ma moriremo da uomini liberi e tu non l’avrai vinta”.

Questo è guardare in faccia la Medusa senza rimanerne pietrificati. Avere il coraggio della realtà senza per questo piegarsi. Del resto, chi si piega può subire lo stesso il destino che temeva: e morire da vile.

 

 

 

L'allarme degli Usa sull'attacco nucleare.

Mosca: "L'atomica? Se ci minacciate"

Ilgiornale.it-Gaia Cesare-( 23 Marzo 2022) -ci dice:

 

Washington: possibile uso di armi chimiche e ordigni tattici. Il Pentagono: "Russia in difficoltà". La replica: "Tutto secondo i piani".

La guerra va male ai russi sul campo di battaglia. «Sono confusi, frustrati. Hanno mancato quasi tutti i loro obiettivi», spiega il portavoce del Pentagono, John Kirby, alla Cnn. «Stanno finendo cibo e carburante». E gli «ucraini stanno contrattaccando».

Eppure lo stallo militare in cui si trova l'esercito di Mosca in Ucraina rischia di trasformarsi in triste presagio per il futuro del conflitto, anche se Mosca continua a negare il flop: «L'operazione procede secondo i piani - spiega il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov - Nessuno ha mai pensato a un paio di giorni».

Cresce infatti nell'Amministrazione americana e fra gli analisti militari, la preoccupazione che Mosca decida di usare armi chimiche e biologiche. Vladimir Putin è con «le spalle al muro» e «per questo potrebbe anche ricorrervi», lancia l'allarme Joe Biden. E il timore peggiore è che, come ha già minacciato con l'allerta delle forze di deterrenza nucleare un mese fa, il leader del Cremlino possa spingersi persino oltre, fino ad attuare la dottrina russa della guerra atomica: escalation per la de-escalation. Cioè uso dell'arma nucleare per costringere il nemico a ritirarsi o per annientarlo del tutto.

 

Il Cremlino precisa sibillino: la Russia prevede l'uso di armi nucleari «solo in caso di minaccia alla sua stessa esistenza».

Ma come ha spiegato al New York Times Ulrich Kühn, esperto di armi nucleari dell'Università di Amburgo: «L'opzione sta diventando una possibilità. Le chance che sia utilizzata sono basse ma in aumento».

Per Kühn è possibile che la Russia cominci sferrando un attacco nucleare contro un'area disabitata invece che contro le truppe ucraine, anche solo per mandare un segnale. Mosca non sfodererebbe una bomba atomica potente come quella su Hiroshima o Nagasaki ma piccoli ordigni nucleari che non sono neppure regolati da un trattato sugli armamenti.                   E l'uso del cosiddetto «nucleare tattico» potrebbe dare il via a una nuova fase del conflitto. Perché si tratterebbe di mettere in azione missili balistici la cui potenza sarebbe un terzo di quella usata contro il Giappone durante la Seconda Guerra mondiale ma pur sempre capace di uccidere o ferire mezzo milione di persone con una sola azione.

La Russia ne possiederebbe almeno 2mila, secondo quanto riferito al Nyt da Hans M. Kristensen, direttore del Nuclear Information Project dell'organizzazione Federation of American Scientists. Degli Stati Uniti, si sa invece che ce ne sono un centinaio in Europa, anche a causa delle resistenze dell'opinione pubblica al dispiegamento di armi e delle diatribe politiche interne ai Paesi europei.

Il generale Scott Berrier, il direttore dell'Agenzia militare americana di intelligence per l'estero, è stato chiaro di fronte alla Commissione per i Servizi armati della Camera: è probabile che Mosca «farà sempre più affidamento sul suo deterrente nucleare per intimidire l'Occidente e dare una prova di forza».                      

E al centro del suo arsenale c'è Iskander-M, il sistema balistico ad alta precisione, con capacità nucleare, schierato per la prima volta nel 2005. Le immagini satellitari provano che Mosca, prima della guerra in Ucraina, aveva già dispiegato alcune batterie in Bielorussia e a est, in territorio russo.

Ma non c'è certezza che siano state armate con testate nucleari. Il timore - lo spiega Nikolai Sokov, ex diplomatico russo che ha negoziato trattati sul controllo degli armamenti in epoca sovietica - è che testate nucleari possano essere posizionate anche sui missili da crociera, che percorrono traiettorie guidate.

 Le armi a bassa quota, lanciate da aerei, da navi o da terra, possono sfuggire ai radar nemici. «E dall'interno del territorio russo - avverte Sokov - possono raggiungere tutta l'Europa».

È la paura estrema, che si aggiunge ai timori di un conflitto con armi non convenzionali. Mosca parla di «insinuazioni maligne»: «Non abbiamo armi chimiche e biologiche».

Ma Joe Biden, arrivato in Europa, affronterà l'allarme al vertice Nato di domani e nell'incontro in Polonia con il presidente Andrzej Duda. D'altra parte una simulazione dell'Università di Princeton immagina un colpo di avvertimento nucleare sparato da Mosca, con la Nato che risponde con un piccolo attacco. La guerra che ne segue provoca oltre 90 milioni di vittime in poche ore.

 

 

 

Non solo l’uso dell’atomica

è immorale, ma lo è anche il possesso.

Interris.it- Alex Zanotelli-(03Agosto 8, 2021) - ci dice:

 

In questi giorni ricorre il settantaseiesimo anniversario dei bombardamenti sulle città giapponesi Hiroshima e Nagasaki. Oggi a livello storico possiamo dire che non è corretta la motivazione che per anni è stata addotta, ovvero che si è dovuti ricorrere a quelle bombe per evitare altre morti con il prosieguo del secondo conflitto mondiale. Molti storici concordano oggi che le testate sono state sganciate come dimostrazione di fronte all’avanzata delle truppe russe. è stata una delle mosse che hanno poi portato alla Cortina di ferro.

Da allora, viviamo nell’era del nucleare e siamo sotto questa costante minaccia. Oggi il pianeta terra vacilla tra l’inverno nucleare, che si verificherebbe qualora scoppiasse la guerra atomica, e la torrida estate incandescente che brucia il pianeta. Sono due possibilità che dobbiamo tenere presenti, anche se quella atomica sembra spaventare di meno.

Purtroppo abbiamo accumulato molto ritardo prima di parlar chiaro sulla bomba atomica. Riguardo la posizione della Chiesa, durante il Concilio Vaticano II si è tentato ma non si è arrivati a nessuna condanna formale nei confronti dell’ordigno nucleare.

Ci è voluto un passaggio fondamentale di Papa Francesco, nel corso del suo viaggio a Hiroshima e Nagasaki, quando, per la prima volta, ha detto che non solo l’uso dell’atomica è peccato, è immorale, ma lo è anche il possesso. (quindi, Klaus Schwab è immorale! Ndr)

 Dobbiamo fare un salto di qualità e convincerci tutti che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel vivere con questo costante terrore.

Della produzione delle bombe atomiche ne risentono anche i Paesi da cui provengono le risorse, quali l’uranio, come il Congo negli anni Sessanta e il Niger oggi. è incredibile l’inquinamento che causano questi scavi.

Abbiamo tra le 15mila e le 20mila bombe atomiche. Come abbiamo fatto a non inorridire, a non avere una reazione umana di fronte a una cosa del genere? Invece abbiamo accettato tutto. Per questo l’intervento di Papa Francesco è formidabile.

(Allora è immorale anche Francesco che frequenta Davos e Klaus Schwab il costruttore di Bombe atomiche! Ndr)

Di quelle parole dobbiamo ricordarcene anche noi in Italia, dove abbiamo una settantina di testate stoccate tra Ghedi, nel bresciano, e Aviano, in provincia di Udine. E adesso ne stanno arrivando di nuove, ancora più pericolose. Gli Stati Uniti aveva cominciato già con Obama a stanziare risorse economiche per rinnovare il loro arsenale atomico. Le nuove bombe B61-12 sono ancora più terribili e il nostro Paese ancora non ha firmato il Trattato delle Nazioni unite che vieta l’arma atomica.

Il sentire di Papa Francesco dovrebbe entrare nei cuori, si dovrebbe scendere in piazza. Ci sono tanti modi per dire il proprio “no”, come la campagna “Don’t bank on the bomb”.

Oggi sappiamo quali banche investono sull’ammodernamento delle bombe atomiche e quindi non si dovrebbero tenere i propri soldi in quelle banche. Il sistema va avanti sostenuto dai nostri soldi.

Il mio augurio forte alla Chiesa e alle comunità cristiane è che ci sia davvero un impegno serio in questo settore.

 

 

 

L'atomica resta una minaccia.

Italiaoggi.it- Domenico Cacopardo- (3-6-2022) - ci dice:

 

Vladimir Putin continua a esibirne l'utilizzazione anche se il suo uso è oggi improbabile.

Aumenta il numero di testate e dei paesi che ce le hanno.

L'atomica resta una minaccia

Portiamo l'attenzione su un tema di cui in Italia si parla poco e senza alcuna visione critica o realistica: le bombe atomiche, di cui nel mondo dispongono molti stati.

Noi non abbiamo bombe atomiche nostre, anche se nel nostro territorio ce ne sono diverse americane in siti immaginabili e in numeri segreti.

Qualche decennio fa, c'era stato un tentativo, sospinto dalle autorità militari, per realizzare l'atomica italiana.

Prima che diventasse l'ennesima occasione di polemiche furiose, venne accantonato per vari motivi come la possibile rivolta di un'opinione pubblica largamente condizionata dal Pci e il costo di realizzazione e di gestione. Nel concreto ci avrebbe accomunati alla Francia in una primazia strategica all'interno dell'Unione e poco altro, ammettendoci a un club un tempo esclusivo, oggi sovraffollato.

(Oggi è presente nell’ affollato club dei bombaroli il capo globalista Klaus Schwab! Ndr)

La questione atomica alla quale era stata impressa una decisa svolta dopo il crollo dell'Unione sovietica, con un trattato di limitazione delle armi in base al quale la repubblica ucraina consegnò il suo arsenale nucleare ai russi che s'erano impegnati alla distruzione degli armamenti in eccesso, è tornata di attualità.

Il primo colpo alle intese faticosamente realizzate, lo ha dato Donald Trump che ha rimosso gli Usa dagli stati aderenti al trattato di non proliferazione, e ha quindi ottenuto una sorta di «libera atomica» in un modo tornato alla legge «Homo homini lupus» («l'uomo è lupo per l'uomo»), derivata dall'Asinaria di Plauto e ripresa dal filosofo inglese Thomas Hobbes in «De cive»: insomma, il sistema delle relazioni internazionali è stato terremotato dalle evoluzioni della politica internazionale americana non meno che da quelle della Russia e della Cina.

Ora, della questione nucleare s'è occupato in modo approfondito, proprio ieri, il New York Times.

Riteniamo utile proporre le sue considerazioni (ripeto, in materia e in questo momento c'è poco da leggere in Italia). C'è un allarme diffuso nel mondo per i frequenti accenni di Vladimir Putin all'arma atomica, presentata come il passo risolutivo che è pronto a compiere nel caso che la sacra madre Russia sia minacciata.

Informazioni di intelligence, rese pubbliche a Londra dall'Institute for studies of war, avevano nei giorni scorsi rivelato il piano del despota del Cremlino: integrare nel territorio della repubblica russa alcuni dei territori ucraini conquistati dell'Armata, in modo che se l'Ucraina tentasse di riprenderli potrebbe essere “legalmente” (un “legalmente” strettamente) accusata da Mosca di attentare al sacro territorio.

 Cosa che comporterebbe il costituirsi di un presunto titolo legittimo al lancio di bombe nucleari tattiche (il cui effetto non è molto lontano da quello che già producono le bombe termobariche). Il 31 maggio, Joe Biden, in un suo intervento sul NYT, ha scritto che «al momento non osserviamo alcun elemento che indichi che la Russia abbia intenzione di usare armi atomiche in Ucraina, ma sottolineiamo come lo scuotere la sciabola nucleare è di per sé pericoloso e irresponsabile …».

La questione che le minacce pongono all'Occidente è quella di stabilire in modo inequivoco quali conseguenze avrebbe l'utilizzo da parte russa di armi nucleari. Armi nucleari tout court, non tattiche o strategiche, anche perché se c'è una distinzione tra di esse, per gli esperti è labile visto che è anche la quantità a determinare l'adeguatezza della reazione.

Rispetto ai tempi della guerra fredda, quando era pacifico che le potenze egemoni, Usa e Russia, nel caso in cui una delle due utilizzasse l'arma atomica, avrebbero reagito con lo stesso strumento di guerra.

Oggi, questo non è detto. Anzi è escluso, visto che la reazione immaginata negli Usa sarebbe forte, dura e distruttiva senza il ricorso ad armi nucleari di alcun genere.

Un tema, questo, che riguarda anche la Cina (che sta arricchendo i suoi depositi di bombe di ultima generazione), la Corea del Nord (rispetto alla quale è definitivamente svanita ogni speranza di una limitazione al proprio arsenale, a dispetto della convinzione di Donald Trump di averla indotta con la diplomazia a desistere) e gli stati-soglia come a esempio l'Iran che forse non l’hanno, ma che potrebbero averla in breve.

A essi, va aggiunta in waiting list, la Corea del Sud, le cui pressioni potrebbero determinare gli Usa a dare disco verde alla realizzazione di una sua arma atomica.

Prima che iniziasse l'aggressione all'Ucraina, erano in corso complessi colloqui tra Usa e Russia per definire un nuovo trattato di non proliferazione, visto che era rimasto in essere l'impegno a non superare il numero di 1.550 bombe strategiche (limiti probabilmente ampiamente violati). Del resto, i colloqui per il nuovo trattato sono stati interrotti dalla guerra ucraina e chissà se se ne riparlerà prima della fine del 2025, quando scadranno i limiti di cui sopra.

Quello che è certo che (Andrew F. Krepinevich su Foreing Affairs) che l'inizio di questo millennio presenta un rischio di una corsa agli armamenti nucleari non solo da parte degli stati che li posseggono.

E qui si imporrà presto la necessità che i 3 grandi (Usa, Cina e Russia) diano il via a trattative per la definizione di un nuovo trattato nucleare, realistico e cogente. Sarà naturale che la Cina tenti orecchie da mercante, visto che ha stabilito il 2027 come data limite per impadronirsi di Formosa. E sarà impossibile aprire un discorso del genere con questo occupante del Cremlino, all'inseguimento di disegni illusori.

In ogni caso, questa rimane una strada obbligata, prima di tutto per la Russia, almeno il giorno in cui l'inquilino del Cremlino, chiunque esso sia, realizzerà che il suo nemico non sono gli Stati Uniti, ma la Cina e che l'attuale alleanza diventerà presto, a meno, appunto, di un cambio di rotta, sudditanza.

Qualcosa, comunque, maturerà e sarà la guerra ucraina a farlo maturare soprattutto se le mire di Putin saranno frustrate.

(cacopardo.it)

 

 

 

 

Gli 007 Usa svelano il piano russo.

Cosa può fare Mosca.

Errore di calcolo possibile.

Notizie.virgilio.it-Redazione- (30-6-2022) -ci dice:

 

Il direttore dell’intelligence nazionale Avril Haines ha avvertito la commissione per i servizi armati del Senato che i prossimi mesi di guerra saranno significativi, poiché il presidente Vladimir Putin deve fare i conti con la “mancata corrispondenza tra le sue ambizioni” e le sue capacità militari.

Per Haines la guerra in Ucraina potrebbe assumere traiettorie “imprevedibili” e non è esclusa una potenziale escalation del conflitto fra Mosca e l’Occidente.

Cosa può fare Mosca.

Secondo il direttore dell’intelligence nazionale statunitense, crescono le probabilità che il presidente russo Vladimir Putin usi mezzi “drastici”, soprattutto se percepirà che la Russia “sta perdendo la guerra in Ucraina”.

Il Cremlino, molto probabilmente, continuerà a usare la “retorica nucleare” per dissuadere gli Stati Uniti e l’Occidente dall’aiutare l’Ucraina. Le spie statunitensi attualmente credono che Putin probabilmente autorizzerebbe l’uso di armi nucleari “solo se percepisse una minaccia esistenziale per lo stato o il regime russo”.

Errore di calcolo possibile. In guerra l’escalation “involontaria” è sempre possibile. Ne è consapevole anche l’intelligence Usa, secondo la quale anche un errore di calcolo potrebbe allargare il conflitto in Ucraina a uno scontro diretto fra Occidente e Russia.

La relazione di Avril Haines al Senato Usa.

Nel suo rapporto annuale di valutazione delle minacce, l’ufficio di Haines ha sottolineato che la Russia rimarrà “il più grande e capace rivale degli Stati Uniti” quando si tratta di armi di distruzione di massa.

L’intelligence Usa afferma infatti che Mosca continua a sviluppare missili a lungo raggio con capacità nucleari e sistemi subacquei destinati a “penetrare o aggirare” le difese missilistiche statunitensi.

Putin ha un altro alleato: 20 navi da guerra russe e cinesi hanno circondato il Giappone.

Nel mese di giugno navi russe e cinesi hanno navigato circumnavigato il Giappone più volte: Tensione altissima fra le due superpotenze e Tokyo.

Il Cremlino ha dichiarato che entro l’autunno sarà in grado di schierare i suoi missili balistici intercontinentali Sarmat, appena testati, soprannominati Satan 2, in grado di effettuare attacchi nucleari contro gli Stati Uniti.

 

 

 

Fermare lo “spettro nucleare”

agitato da Putin.

 Affarinternazionali.it- Cesare Merlini- (24 Marzo 2022) - ci dice:

Nel 2005 Thomas Schelling fu insignito del premio Nobel (per l’economia) anche “per aver fatto avanzare la nostra comprensione dei conflitti e della cooperazione tramite la Teoria dei giochi”, come si diceva nella motivazione. Ecco le parole con cui aprì il suo discorso di accettazione a Oslo: “L’evento più straordinario del passato mezzo secolo è un evento che non si è verificato. Abbiamo beneficiato di sessant’anni senza che una sola arma nucleare sia esplosa in conflitto”.

La logica della deterrenza contro l’escalation.

Fino a ieri abbiamo potuto estendere alle prime due decadi del secolo presente la costatazione di Schelling. E tuttavia proprio mentre scatenava il suo attacco all’Ucraina, 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha messo in stato di allerta il sistema strategico nucleare russo, senza apparentemente averne alcuna motivazione, salvo quella di ricordare all’Europa e agli Stati Uniti l’esistenza della cosiddetta escalation, cioè il passaggio a uno scontro maggiore per l’andata fuori di controllo di uno minore, fino allo stadio finale nel quale si colloca l’uso dell’atomica.

Quel che blocca il meccanismo dell’escalation è la logica della deterrenza, che nella sua dimensione nucleare, dissuade l’aggressore con la prospettiva di subire un danno così massiccio da svalutare il vantaggio dell’attacco.

È la logica che ingabbiò l’equilibrio del terrore fra Stati Uniti e Unione Sovietica e che poi ha funzionato nel post-bipolarismo e nella globalizzazione, reggendo – finora – alla crescita del multipolarismo delle potenze, propria dell’inizio del presente secolo.

Durante la Guerra Fredda fra le ipotesi negoziali di “arms control” (che noi chiamiamo ottimisticamente di “disarmo”) ci fu quella di un’intesa per cui le parti si impegnavano a non ricorrere per primi all’arma nucleare, il cosiddetto “no first use”. Furono gli Stati Uniti a opporvisi (con il sostanziale consenso degli europei, più esposti a un primo scambio locale) alla luce della preponderanza convenzionale dell’Unione sovietica, allora. Susseguentemente, anche la Federazione russa ha lasciato cadere l’ipotesi in questione dalla sua dottrina strategica, dato che aveva perso detta “preponderanza”.

Oggi saremmo rassicurati dall’essere in vigore un tale impegno (a favore del quale peraltro si era espresso Joe Biden quando era senatore). In sua assenza assumono ancor più rilevanza gli stadi intermedi dell’escalation, rispetto ai quali l’Occidente democratico è svantaggiato a seguito alla sua riluttanza a percorrerli, come si è visto per esempio nel difficile “no” opposto alle ripetute invocazioni del Presidente Zelensky di imporre la no-fly zone nei cieli dell’Ucraina.

Per contro, sta crescendo il sospetto che il Cremlino, alla luce delle difficoltà di un’offensiva militare che si era prevista veloce ed efficace, stia invece contemplando stadi più elevati, come l’uso di armi chimiche (magari camuffato, attribuendone l’origine ai resistenti ucraini, secondo una formula già usata).

Tenere i nervi ben saldi contro la paura del nucleare.

Attenzione. Tanto più si innestasse un circolo vizioso fra l’intollerabilità di una sconfitta potenziale da parte del personaggio Putin ed il suo ricorso ad armi più micidiali, tanto più prenderebbe forma lo spettro che si arrivi allo stadio finale, quello dell’arma nucleare – foss’anche nella versione della testata a corto raggio d’azione.

E magari con la benedizione di san Fëdor Ušakov, l’ammiraglio che nella guerra russo-ottomana “non perse una sola battaglia”, come venerdì scorso il nuovo zar ha ricordato ai suoi sudditi nello stadio di Mosca. Non è solo la chiesa ortodossa russa ad avere i suoi santi guerrieri. La novità qui è che l’icona in questione è stato poi nominato patrono dei bombardieri atomici della marina russa.

Insomma, si parla della possibilità che venga a cadere nel nostro secolo ventunesimo il grande non-evento di Thomas Schelling (del quale, sia detto per inciso, lo IAI curò il volume “La diplomazia della violenza” in edizione italiana). Ora, a fronte di tale minaccia, è bene tenere i nervi a posto, rifiutare la “sfumatura” della bomba nucleare tattica ribadendo la sua natura di arma atipica, indipendentemente dal raggio d’azione. Da qui, il sussistere della logica della deterrenza.

E nello stesso tempo continuare ad operare conciliando un supporto militare sempre più efficace alla resistenza del popolo di Zelensky con la cautela di frenare quanto più possibile il meccanismo dell’escalation.

E infine mantenere saldo l’intento di riprendere e di rilanciare i negoziati con la Repubblica russa per il controllo degli armamenti, innanzitutto di quelli nucleari e degli altri cosiddetti di distruzione di massa. E ciò indipendentemente dalla durata, dagli esiti e dalle conseguenze della vile guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina europea.

 

 

 

La cyber-governance oltre l’Occidente.

Affarinternazionali.it- Leo Goretti- (5 Settembre 2022) -ci dice:

 

Hackeraggio, compromissione o furto di dati e informazioni personali, cyberspionaggio e attacchi informatici a infrastrutture critiche sono tra le minacce non convenzionali più pressanti a cui stati e governi devono far fronte. La porosità dei confini ai cyberattacchi rende urgente la definizione a livello internazionale di principi, norme, istituzioni e processi che vadano a tracciare una cornice condivisa per il cyberspazio. Negli ultimi vent’anni, tuttavia, il dibattito sulla cyber-governance globale si è arenato a più riprese a causa di divergenze di vedute, rivalità e tensioni geopolitiche.

Il modello di cyber-governance promosso dagli Stati Uniti, cosiddetto multi-stakeholder, centrato sul coinvolgimento di tutti gli attori interessati (inclusi il settore privato e le organizzazioni non governative), è stato progressivamente messo in discussione da un gruppo di paesi non occidentali, Russia e Cina in testa, fautori di un approccio multilaterale strettamente intergovernativo.

Queste tensioni, in parte riprodottesi anche all’interno delle Nazioni Unite con la costituzione di due separati gruppi di lavoro (il GGE e l’OEWG), hanno portato a una sostanziale impasse e alla conseguente frammentazione dei quadri normativi adottati a livello nazionale e regionale in materia di cyber-governance.

Oltre la dicotomia Occidente-resto del mondo.

A un primo sguardo, questa frattura sembrerebbe riproporre anche nel cyberspazio una più generale contrapposizione geopolitica tra due ‘blocchi’ – quello occidentale e quello non-occidentale.

Si tratta, in realtà, di una lettura semplicistica, che non tiene conto né delle differenze di approccio all’interno di ciascuno dei due blocchi, né tantomeno delle possibili direttrici di convergenza, come ben mette in evidenza lo special core “Contesting Western and Non-Western Approaches to Global Cyber Governance beyond Westlessness” curato da Xuechen Chen and Yifan Yang sul fascicolo 3/2022 di The International Spectator.

Secondo i curatori, non vi è dubbio che, dal volgere del millennio, un numero crescente di attori non-occidentali – dalla Cina ai paesi del Sud-est asiatico a quelli dell’America latina – abbia dimostrato un crescente protagonismo in materia di cyber-governance, mettendo in discussione i paradigmi in essere sulla base dei propri interessi, valori, storie e sensibilità.

In questo senso, stiamo assistendo a un processo di diffusione di conoscenza e di redistribuzione di potere a relativo svantaggio del Nord globale. Allo stesso tempo, tuttavia, nuovi attori sono emersi anche all’interno del mondo occidentale: primo fra tutti, l’Unione Europea, che ha saputo delineare una propria visione di cyber-governance capace di suscitare attenzione e interesse anche fuori dall’Occidente.

Ue, Cina e Asean.

Uno dei concetti emergenti nel dibattito europeo sulla cyber-governance è quello di “sovranità digitale”:

un’espressione che rimanda alla capacità dell’Unione di agire in maniera indipendente nel mondo digitale, sia nell’ottica di garantire ai cittadini europei il controllo sui loro dati anche quando questi siano forniti ad aziende non europee, sia per promuovere innovazione digitale e colmare così il crescente gap nei confronti di Usa e Cina.

In questo senso, come evidenzia Xinchuchu Gao, l’approccio europeo potrebbe essere il punto di partenza per una mediazione tra il modello statunitense e quello cinese, quest’ultimo anch’esso fortemente centrato sul principio di sovranità, declinato però soprattutto in termini di sicurezza nazionale e controllo governativo sul cyberspazio.

Un processo di scambio di conoscenza e diffusione di best practice è già ben rodato tra l’Ue e un’altra importante organizzazione regionale, l’Asean, anche attraverso meccanismi dedicati, quali l’Eu–Asean Regional Dialogue Instrument.

L’associazione dei paesi del Sud-est asiatico ha mostrato particolare attenzione non solo per gli indicatori di misurazione dell’economia digitale introdotti dall’Ue, ma anche per le policy adottate da Bruxelles in materia di protezione dei dati. L’Unione, per parte sua, ha manifestato interesse verso i forum dell’Asean specificamente dedicati alla cybersicurezza, come gli Asean Regional Forum’s Inter-Sessional Meetings on ICT Security.

A detta di Chen e Yang, queste forme di cooperazione interregionale tra Ue e Asean potrebbero rappresentare un ponte per superare le tensioni e le incomprensioni in ambito cyber tra paesi occidentali e non.

Nuovi attori, vecchi paradigmi.

Oltre alle organizzazioni regionali, anche alcuni paesi classificabili come medie potenze possono contribuire a far procedere il dialogo sulla cyber-governance globale oltre gli steccati esistenti.

 È questo il caso, secondo Saeme Kim, della Corea del sud e di Singapore. In linea di principio, entrambi i paesi sostengono un approccio inclusivo e multi-stakeholder, senza però che questo si traduca in un’adesione acritica alle posizioni statunitensi. Singapore, in particolare, ha contribuito in maniera costante a stimolare il dibattito su principi, norme e standard di cyber-governance all’interno dell’Asean, promuovendo un maggior coordinamento tra gli stati membri. La Corea del sud ha dimostrato un approccio flessibile e pragmatico all’interno dei forum internazionali, focalizzando i propri sforzi su iniziative volte a superare il digital divide e a favorire il capacity-building digitale nei paesi emergenti.

 

L’approccio tradizionale centrato sul capacity-building, in ogni caso, non è scevro di aspetti problematici, come scrive Louise-Marie Hurel. Anche in materia di cybersicurezza, il concetto di ‘capacity’ spesso si associa all’adozione di modelli e indici di ‘maturità’ definiti nel Nord globale e trasferiti e riprodotti acriticamente nei paesi del Sud del mondo.

Dietro a forme di assistenza apparentemente ‘tecniche’ e ‘neutrali’ si celano in realtà precisi paradigmi politico-economici: la priorità finisce così per essere attribuita a quelle che sono considerate le minacce principali dalle – e per le – cyber-potenze più avanzate, ignorando le specificità dei paesi emergenti.

Una possibile alternativa è quella di individuare nuove forme di cooperazione, che prevedano il coinvolgimento delle organizzazioni regionali e forme di scambio Sud-Sud o secondo una logica triangolare, in modo da elaborare strategie e modelli di cybersicurezza più adeguati ai bisogni delle ‘non-cyber-potenze’ del Sud globale.

 

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