L’USO DELL’ ATOMICA.
L’USO DELL’ ATOMICA.
Liz
Truss, la
Guerrafondaia
Fautrice
dell’Uso dell’Atomica,
è il
nuovo Premier britannico!
Conoscenzealconfine.it-
Redazione-( 7 Settembre 2022) -ci dice:
Liz
Truss, quella che non conosce la geografia, è ufficialmente la nuova premier
del Regno Unito, terza donna a guidare il governo britannico dopo la Tacher e
la May.
Fino
ad oggi era la ministra degli Esteri, ricordata con ironia per alcune perle
frutto della sua “preparazione” in storia e geografia: “l’Ucraina – aveva dichiarato in
febbraio – è un paese orgoglioso con una grande storia, che ha dovuto subire
diverse invasioni dai mongoli ai tartari (mai visti da quelle parti…, ndr).
All’Ucraina
noi forniamo e inviamo armamenti difensivi, altrettanto forniamo sostegno ai
nostri amici alleati baltici attraverso il Mar Nero” (semplicemente Lituania, Estonia e
Lettonia non affacciano sul Mar Nero, ndr).
Poi in
un colloquio con Lavrov ha fornito un’altra sua “perla”. Rispondendo all’insistenza della
Truss, secondo la quale la Russia deve assolutamente ritirare i suoi soldati
dalla frontiera con l’Ucraina, Lavrov ha detto che i soldati russi si trovano
dentro il proprio paese: “Voi riconoscete la sovranità della Russia sulle regioni di
Rostov sul Don e Voronezh?”
La signora Truss, dopo essere rimasta in silenzio un
po’ di tempo, ha risposto:
“la
Gran Bretagna non riconoscerà mai la sovranità della Russia su queste regioni”.
Insomma non
ha idea dei confini della Russia (e nemmeno dell’Ucraina).
La
ministra ha forgiato la sua immagine su Margaret Thatcher. Sono stati diversi i richiami alla
ex premier:
dalla
foto scattata a bordo di un carro armato dell’esercito britannico in Europa
orientale (simile a quella della “Lady di ferro” durante la Guerra Fredda),
alla camicetta con un fiocco, in stile Thatcher, indossata dalla ministra
durante un dibattito televisivo.
Truss, 46 anni, è la preferita di molti
conservatori, che venerano la Lady di ferro più di ogni altro leader. Mentre, secondo i critici, la
ministra degli Esteri non avrebbe lo spessore necessario per guidare il Paese
tra le turbolenze economiche e la guerra in Ucraina.
Ma non
sempre Truss è stata una fervente thatcheriana. Nata a Oxford nel 1975 da un
professore di matematica e un’infermiera, la ministra da piccola veniva portata
alle proteste anti-nucleare e anti-Thatcher, dove ricorda di aver gridato:
“Maggie fuori!”.
La
Truss ha frequentato un liceo pubblico a Leeds, nel nord dell’Inghilterra, e ha
poi studiato filosofia, politica ed economia all’Università di Oxford, dove per
un breve periodo ha fatto parte dei liberaldemocratici centristi e ha chiesto
l’abolizione della monarchia.
Sposata e con due figlie adolescenti, Truss ha
lavorato come economista per il gigante dell’energia Shell e per l’azienda di
telecomunicazioni Cable and Wireless, e per un think tank di destra, mentre si
è impegnata nella politica conservatrice e ha quindi sposato le idee
thatcheriane del libero mercato.
Si è
candidata due volte senza successo al Parlamento, prima di essere eletta nel 2010 nel
seggio di Southwest Norfolk, nell’Inghilterra orientale.
Al referendum del 2016 sull’uscita del Regno Unito
dall’Unione europea, Truss si è schierata per il “remain”.
Ma poi
ha fatto parte del governo Johnson, fortemente pro-Brexit, prima come
segretaria al Commercio e poi agli Esteri, guadagnandosi le simpatie dei
Brexiteers del partito conservatore.
Come
ministra degli Esteri, la Truss è stata in prima linea nel sostegno all’Ucraina
e alle sanzioni occidentali contro la Russia e non ha escluso l’utilizzo di
armi atomiche in un prevedibile allargamento del conflitto.
A dir
poco inquietante la sua recente affermazione: “Se la situazione mi richiederà di
premere il pulsante nucleare, lo farò immediatamente. E non importa che moriranno milioni
di cittadini, per me la cosa principale è la democrazia e i nostri ideali. I leader occidentali, per come la
vediamo, sono
pronti per una guerra nucleare e competono per vedere chi sarà il primo a
ricevere l’onore di premere il pulsante”. (farodiroma.it/liz-truss-la-guerrafondaia-fautrice-delluso-dellatomica-quella-che-non-conosce-la-geografia-e-il-nuovo-premier-britannico/).
Brigata
Bastardi: a caccia
dell'atomica
nazista.
Doppiozero.com-
Claudio Castellacci-(17 Luglio 2022) - ci dice:
Die
Stunde Null, l’ora zero, che segnò la fine della Seconda guerra mondiale in
Europa, e la dissoluzione del Terzo Reich, era scattata alle 02:41 della
mattina del 7 maggio 1945 con la firma, avvenuta nel Quartier generale supremo
della forza di spedizione alleata a Reims, in Francia, apposta sulla
dichiarazione di resa incondizionata della Germania dal generale Alfred Jodl,
capo di stato maggiore dell’Oberkommando der Wehrmacht.
La totale cessazione delle attività belliche
tedesche fu stabilita dai generali Walter Bedell Smith, Ivan Susloparov e
François Sevez, in rappresentanza delle potenze vincitrici, per le 23:01 del
giorno successivo.
La
cerimonia della firma – sarà ratificata a Berlino l’8 maggio, da ufficiali
tedeschi di più alto rango, quando, secondo il fuso orario di Mosca, era già il
giorno dopo (per questo, in Russia, l’anniversario della vittoria viene
celebrato il 9 maggio). Questa volta a firmare l’atto di resa definitivo saranno, da
parte tedesca, il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, il generale Hans-Jürgen
Stumpff e l’ammiraglio Hans Georg von Friedeburg, alla presenza del generale
sovietico Georgij Zhukov e del vice del Comandante della forza di spedizione
alleata, il Maresciallo dell’aria britannico Arthur W. Tedder.
È così
che, da allora, nei libri di storia – che siano sussidiari illustrati o
pregnanti tomi universitari – saranno analizzate e celebrate soprattutto le
grandi battaglie (dallo sbarco in Normandia a Stalingrado, passando per la
sanguinosa offensiva delle Ardenne) che hanno portato, sul campo, alla vittoria
degli Alleati. Ma cosa accadeva dietro le quinte? Poco si sapeva delle battaglie
combattute nell’ombra dai servizi di intelligence, fin quando gli storici non
hanno potuto mettere le mani su importanti, talvolta inquietanti, documenti de-secretati,
nel tempo, col contagocce.
Una
delle più drammatiche e audaci operazioni della Seconda guerra mondiale, di cui
oggi abbiamo conoscenza, fu quella relativa al frenetico tentativo di bloccare
lo sviluppo degli studi sulla bomba atomica che gli scienziati tedeschi avevano
intrapreso ben prima che gli Alleati si rendessero conto di quanto i nazisti
fossero avanti nelle loro ricerche, e il cui uso avrebbe potuto non solo
costare perdite enormi di vite umane, ma soprattutto avrebbe contribuito alla
sicura vittoria delle forze dell’Asse.
Per
questo venne creata una speciale squadra scientifica, battezzata “Unità Alsos”, il cui obiettivo era quello di
bloccare, con ogni mezzo, lo sviluppo del progetto della bomba atomica nazista.
La storia avventurosa dell’Operazione Alsos è
oggi raccontata da Sam Kean, fisico e letterato, autore di La brigata dei bastardi (editore Adelphi, traduzione di Luigi
Civalleri), in cui ricostruisce il contesto strategico e scientifico in cui si
muoveva il team, una brigata eterogenea composta da militari, scienziati, premi Nobel,
figli di papà, persino una star del baseball, il cui mandato non escludeva il
ricorso a mezzi estremi quali sabatoggi, rapimenti, omicidi.
Il
Grifone e l’inverno della Terra.
Se
dovessimo indicare una data in cui tutto cominciò, dovremmo probabilmente
parlare del 6 gennaio 1939 – giorno del solstizio d’inverno, quello in cui,
come qualcuno fece notare, «iniziava l’inverno della Terra» – quando Paul
Rosbaud, l’editore della rivista scientifica Die Naturwissenschaften, fece saltare
dal numero in stampa un articolo già composto in bozze sostituendolo, in fretta
e furia, con un contributo del professor Otto Hahn, direttore dell’Istituto
Kaiser Wilhelm a Berlino, futuro Premio Nobel per la chimica, in cui descriveva
i risultati di uno studio del dicembre 1938 sulla fissione dell’uranio, alla
cui stesura avevano partecipato l’assistente Fritz Strassmann, ma soprattutto
la sua più stretta collaboratrice, Lise Meitner, una delle più brillanti e
visionarie menti della fisica nucleare – definita da Einstein «la Marie Curie
tedesca» – che, però a causa delle sue origini ebraiche, non solo non aveva
potuto ricevere il credito per quella ricerca, anzi aveva dovuto emigrare e
rifugiarsi in Svezia per sfuggire alla cattura da parte della Gestapo.
Se la
notizia dello studio di Hahn fu accolta con emozione dalla maggior parte della
comunità internazionale dei fisici, ci fu anche chi, fra loro, cominciò ad
avere brutti presentimenti. Tutti sapevano, ovviamente, come l’uranio fosse un
materiale abbondante in natura e non fosse difficile ottenerne grandi quantità,
così come sapevano, grazie ai lavori di ricerca iniziati nel 1934 da Enrico
Fermi, che la sua fissione avrebbe liberato enormi quantità di energia, più di
quanto l’umanità potesse, all’epoca, maneggiare in sicurezza. E non era una
notizia rassicurante.
Comunque
sia, per Hahn quello non fu solo un momento di gloria: alcuni fisici nazisti
accusarono lo scienziato e il suo editore di tradimento.
La fretta con cui l’articolo era stato stampato
si prestava a allertare i nemici del Reich, impedendo che il segreto sulla
fissione dell’uranio rimanesse in mani tedesche. In effetti, non avevano tutti
i torti.
Già, perché Paul Rosbaud non era solo un
giornalista e editore, ma era anche un informatore degli inglesi, il cui nome
in codice era “Grifone”. E, sì, aveva proprio voluto allertare la comunità
scientifica internazionale del pericolo che si profilava all’orizzonte.
Nella
sua veste di informatore sarà ancora lui ad allertare gli Alleati che, a fine
settembre 1939, uno scienziato esperto di aerodinamica, tale Wernher von Braun
– colui che, nel dopoguerra, passato armi e bagagli agli americani, grazie ai
suoi studi sui razzi, diverrà l’ispiratore di quel Programma Apollo che
permetterà alla Nasa di sbarcare sulla Luna – aveva “stranamente” convocato
numerosi colleghi a Peenemünde, una località sulla punta settentrionale di una
sperduta isola del Mar Baltico che, dal 1937, ospitava una base di
sperimentazione missilistica.
Non
solo, informava anche che, da qualche tempo, i locali osservavano la formazione
di strane scie di vapore nel cielo, seguite da improvvise esplosioni. Non potevano saperlo, scrive Kean, ma
erano testimoni della nascita delle Vergeltungswaffen, le “armi della
vendetta”, meglio note con le sigle V1 e V2, che di lì a poco avrebbero
terrorizzato Londra, ma non solo.
Come
quando il 16 dicembre 1944, in concomitanza con il primo giorno dell’offensiva
delle Ardenne, una V2 centrò in pieno il tetto del cinema Rex, ad Anversa, in
Belgio, dove 1100 persone stavano assistendo alla proiezione del film western
The Plainsman, uccidendo 567 spettatori, di cui 296 militari, e distruggendo 11
palazzi adiacenti. Ci volle più di una settimana per recuperare i corpi delle
vittime dalle macerie. Fu il più devastante singolo attacco missilistico di
tutta la guerra.
Il
Progetto Manhattan e la fine dello splendido isolamento.
Cosa
sarebbe dunque accaduto se i nazisti avessero installato una testata nucleare
su una V2 o, peggio, su una V3, la bomba volante che, all’epoca, era ancora in
fase di studio? Probabilmente quello che ipotizzeranno due romanzi, capolavori
di ucronia: La svastica sul sole di Philip K. Dick, ma soprattutto Fatherland di
Robert Harris, in cui lo scrittore inglese ipotizza che la Germania nazista
abbia vinto la Seconda guerra mondiale, che Joseph Kennedy (il padre di John e
Bob), di note simpatie non proprio democratiche, fosse diventato Presidente
degli Stati Uniti, e che sul trono d’Inghilterra sedesse il sovrano filo
tedesco Edoardo VIII (che non avrebbe abdicato), sposato con quella Wallis
Simpson che era stata intima, prima di Galeazzo Ciano e poi, per par condicio,
di Joachim von Ribbentrop, futuro Ministro degli Esteri del Reich, all’epoca in
cui era ambasciatore a Londra, e ricopriva la signora di rose rosse.
Il
fatto era che, praticamente, fino al 1942 gli americani, nel loro splendido,
ricorrente isolazionismo, avevano preso sottogamba il problema.
Di ricerca nucleare ne discutevano, sì, già
dal 1939, da prima dell’attacco a Pearl Harbor e, a questo proposito avevano
creato un programma di sperimentazione e sviluppo battezzato Progetto Manhattan
che, però, fino a quel 1942 si era trascinato in una serie di conferenze e
rapporti ufficiali in cui si giungeva alla conclusione che sarebbero stati
necessari altri incontri e altri studi. Il fatto che i politici (attenti più al
loro elettorato isolazionista) non capissero quanto fosse urgente mettersi
seriamente al lavoro, faceva infuriare i fisici nucleari, soprattutto, nota
Kean, quelli scappati dall’Europa nazificata, i quali ben sapevano che i
tedeschi del “Club dell’Uranio”, stavano lavorando alla fissione ormai da
almeno tre anni e potevano contare sul supporto tecnico delle migliori
industrie del mondo. «Nessun altro paese poteva competere con la potenza
intellettuale e industriale della Germania, senza parlare della sua diabolica
volontà di scatenare una guerra».
Solo
in seguito all’attacco a Pearl Harbor del 6 dicembre 1941 – che “sveglierà il
gigante che dormiva” – gli americani si renderanno conto che fino a quel
momento avevano scherzato e che, da allora in avanti, non potevano più
permetterselo. Ciononostante trascorse ancora quasi un anno prima che, nel settembre del
1942, venisse nominato a capo del progetto di costruzione della bomba atomica
il generale Leslie Groves, uno dal carattere difficile, conosciuto come il
miglior gestore di progetti e il peggior rompiscatole di tutto l’esercito. E
niente sarà più come prima.
Werner
Heisenberg deve morire.
L’obiettivo
numero uno dell’Operazione Alsos si chiamava Werner Heisenberg, uno dei più brillanti fisici
dell’epoca, precursore, nel 1925, della meccanica quantistica e del conseguente
“principio d’indeterminazione” (enunciato nel 1927), studi che gli varranno il
premio Nobel per la fisica nel 1932. A ondate successive i comandi alleati prendevano in
considerazione l’ipotesi di rapire lo scienziato, ma ogni volta il progetto
veniva accantonato per obiettive difficoltà militari o politiche.
Fino al 1944, quando con le notizie
dell’accelerazione del programma atomico tedesco che giravano sempre di più
negli ambienti scientifici, gli americani decisero che era ora di finirla con
le indecisioni e di passare alle maniere forti.
Fu
così che il generale Groves e Wild Bill Donovan, il leggendario capo dell’OSS,
il servizio segreto antenato della CIA, si misero a studiare un metodo per
catturare Heisenberg, andando a prelevarlo con un commando nel suo laboratorio,
a 80 chilometri dal confine svizzero.
La missione doveva essere affidata a Carl
Eifler, uno che aveva combattuto i giapponesi nella giungla birmana, conosciuto
come “l’uomo
più duro e spietato di quella gabbia di matti dell’OSS”.
Eifler
chiese istruzioni: e se ci prendono? La risposta fu chiara: fai in modo che la
Germania non abbia più a disposizione quel cervello. D’accordo, ma se mi prendono? Noi non
ti abbiamo mai visto, né conosciuto. Perfetto. Mettiamoci al lavoro.
Ma poi
arrivarono i dubbi. Persino per quei matti dell’OSS il piano era quanto meno
strampalato. La Germania non era la giungla birmana da cui si poteva uscire ammazzando
la gente a colpi di machete se ci si trovava alle strette. Il rapimento di
Heisenberg richiedeva cautela e astuzia, meno violenza e più intelligenza, come
ricorda Kean nel suo libro. L’occasione arrivò grazie a un invito che Paul
Sherrer, fisico del Politecnico di Zurigo, l’ateneo dove si era laureato
Einstein, aveva fatto a Heisenberg per tenere una conferenza, invito che lo
scienziato tedesco aveva accettato ben volentieri perché ormai si sentiva
sempre più isolato dalla comunità scientifica internazionale.
Così,
a Zurigo, gli americani invieranno una strana coppia formata dal fisico di
origine olandese Samuel Goudsmit, anch’egli membro dei “cacciatori” del gruppo
Alsos, e da Moe Berg, apparentemente improbabile quanto efficace spia atomica,
stella del baseball, ex ricevitore della Major League, laurea in lingue, magna
cum laude, a Princeton, (parlava correntemente italiano, francese, greco, spagnolo,
tedesco, e aveva grande dimestichezza con il latino, il greco antico e il
sanscrito: la sua storia sarà oggetto di una dettagliata biografia scritta da
Nicholas Dawidoff, The Catcher was a Spy, “Il ricevitore era una spia”, che
sarà anche trasposta in un film dal titolo omonimo).
Berg
aveva il compito di assistere alla lezione facendo finta di essere un
dottorando svizzero interessato alla meccanica quantistica, e doveva valutare
se dalle parole di Heisenberg fosse trapelata una qualche indicazione sul fatto
che la Germania fosse vicina a realizzare la bomba atomica.
In quel caso, Berg, a cui avevano affidato una
Beretta calibro 9 Parabellum, avrebbe dovuto mettere Heisenberg hors de combat,
il che voleva dire una cosa sola: ucciderlo.
Per
sua fortuna, Berg valutò che i tedeschi non erano vicini allo scopo e non passò
all’azione. E Heisenberg, ignaro del pericolo che aveva corso, ripartì da Zurigo per
passare il Natale in famiglia portando con sé giocattoli per i bambini, una
crema di bellezza e un maglione per la moglie, articolo quest’ultimo che era
vietato importare in Germania, così per farlo passare alla dogana dovette
indossarlo facendo finta che fosse suo.
Farm
Hall e l’Operazione Epsilon.
Nella
primavera del 1945, alla fine della guerra, ricorda Kean, Alsos aveva messo le mani su decine
di fisici nucleari tedeschi, ma alla fine fu deciso di tenerne in custodia solo
dieci, catturati tra il primo maggio e il 30 giugno 1945. Saranno internati dal 3 luglio 1945
al 3 gennaio 1946. Si trattava di Walther Gerlach, Paul Harteck, Kurt Diebner,
Carl Friedrich von Weizsäcker, Karl Wirtz, Erich Bagge, Horst Korsching, i
premi Nobel per la fisica Max von Laue, Otto Hahn e, naturalmente, Werner
Heisenberg.
Quest’ultimo
era stato rintracciato dal colonnello Boris Pash, il comandante della missione
Alsos (un militare temerario, di radici russe, che aveva combattuto nell’Armata
bianca contro i comunisti durante la Rivoluzione d’ottobre) nel suo chalet
sulle Alpi bavaresi dove sapeva che, prima o poi, qualcuno sarebbe andato a prenderlo.
La sua grande speranza era che gli americani arrivassero prima dei sovietici.
Tutti
quegli scienziati erano convinti che gli americani avrebbero cercato di carpire
i loro segreti atomici, mentre, in verità, da loro non avevano ormai più molto
da imparare: volevano solo toglierli dalla circolazione perché non finissero nelle
mani dei russi.
Ma il
fatto era che non sapevano bene dove “parcheggiarli”. Alla fine decisero di
darli in custodia agli inglesi che li alloggiarono a Farm Hall, un’elegante villa
a nord di Londra, dove Heisenberg passava il tempo al piano suonando Beethoven,
e Hahn potava le rose del giardino, mentre, come racconta Kean, un militare
britannico leggeva Dickens a alta voce per aiutarli a migliorare il loro
inglese.
Quello
che i dieci scienziati ignoravano, era che i servizi segreti inglesi avevano
tappezzato la villa di microfoni per capire cosa si sarebbero detti in quella
loro apparente libertà di comunicare, quali fossero le loro eventuali
responsabilità nel regime nazista, e soprattutto quali sarebbero state le loro
future intenzioni (le trascrizioni delle registrazioni segrete di Farm Hall e
dell’Operazione Epsilon, sono state de-secretate nel 1992).
Gli
scienziati non ebbero mai alcun sentore dell’esperimento che si consumava alle
loro spalle. Significativo questo dialogo che si trova nelle trascrizioni: Diebner: «Mi chiedo se ci sono dei
microfoni istallati qui». Heisenberg: «Microfoni istallati? Ma no, gli inglesi
non sono così astuti dopo tutto. Non credo conoscano i veri metodi della
Gestapo. Sono un po’ arretrati sotto questo punto di vista».
Epilogo.
La
notizia dello sgancio della prima bomba atomica il 6 agosto 1945, prese gli
scienziati tedeschi alla sprovvista. Furono informati dell’attacco, intorno
alle 19:45 circa, da un ufficiale britannico. La reazione di Heinsenberg fu che
si trattasse di semplice propaganda: se la Germania non era riuscita a costruire
la bomba atomica, nessun altro ci poteva riuscire; sicuramente gli Alleati
avevano appiccicato l’etichetta “nucleare” a un’arma convenzionale molto
potente.
Le
conversazioni feroci registrate dagli inglesi andarono avanti fino alle nove,
quando andò in onda il radiogiornale della BBC. Il conduttore, ricorda Kean, entrò
nel dettaglio in modo convincente, parlando anche di fissione dell’uranio.
All’improvviso, a Heisenberg e agli altri scienziati tedeschi fu finalmente
chiaro che la Germania aveva, veramente, perso la guerra. «Prima di quel
giorno», ebbe a scrivere Samuel Goudsmit, «credevano di avere almeno vinto la
guerra dei laboratori». Ora anche quell’illusione era finita.
Come
sarebbe una guerra
nucleare
nel 2022?
Swissonfo.ch-
Sara Ibrahim-(7-3-2022) -ci dice:
Oltre
a uccidere centinaia di migliaia di persone all'istante, un'esplosione nucleare
creerebbe delle onde di luce visibile, infrarossa e ultravioletta che,
combinandosi, produrrebbero una sorta di grande palla di fuoco molto calda
capace di bruciare qualsiasi cosa e di creare ustioni di terzo grado in un
raggio molto esteso. (Copyright 2016 The Associated Press.)
Le
armi nucleari odierne sono molto più compatte, precise e potenti di quelle
utilizzate nella Seconda guerra mondiale. Ciò significa che una guerra nucleare
avrebbe effetti devastanti ben oltre i confini dell'Ucraina.
Il
presidente russo Vladimir Putin è stato chiaro: chiunque cercherà di ostacolare
l’azione militare in Ucraina dovrà fare i conti con “conseguenze mai
sperimentate nella storia”. Il rischio di un conflitto nucleare mette in
allerta il mondo intero e riporta l'orologio indietro di sessant'anni, quando
l'Unione Sovietica minacciava di avviare una guerra nucleare armando Cuba con
missili balistici.
I
successivi tentativi di disarmo non hanno impedito alla Russia di continuare a
sviluppare la sua tecnologia. Oggi, il Paese possiede il più grande arsenale
nucleare del mondo, con circa 6’000 testate, che corrispondono a quasi la metà
di tutte le armi nucleari esistenti a livello globale.
Dal
lancio delle prime bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nel 1945, la
tecnologia nucleare si è notevolmente evoluta, diventando più complessa. Inoltre, la varietà di ordigni
permette di eseguire attacchi sia su larga scala che mirati, con una gittata maggiore
e una forza distruttiva molto superiore.
Come
si è evoluta la tecnologia delle armi nucleari dal 1945 a oggi?
La
bomba lanciata su Hiroshima nel 1945 pesava circa 4’500 chilogrammi e uccise
oltre 100’000 persone. Nel tempo, sono stati fatti passi avanti significativi nella
miniaturizzazione della tecnologia: le armi nucleari odierne sono più compatte
e di solito pesano solo poche centinaia di chilogrammi, ma hanno il potenziale
di uccidere milioni di persone. Queste caratteristiche rendono possibile
effettuare un attacco atomico utilizzando una varietà di mezzi diversi, dai
missili balistici a quelli da crociera, raggiungendo ogni parte del globo.
“Molte
di queste armi sono molto più piccole, leggere e facilmente utilizzabili di un
tempo. Inoltre, la loro potenza esplosiva è molto più grande” spiega Stephen
Herzog, ricercatore presso il Centro di studi sulla sicurezza del Politecnico
federale di Zurigo. Alcune delle armi nucleari di cui la Russia dispone oggi,
infatti, sono oltre 50 volte più potenti di quelle sganciate su Hiroshima e
Nagasaki.
Come
si presenta l’arsenale atomico russo?
La
Russia possiede un arsenale atomico molto variegato, che le consente di
sferrare attacchi servendosi di piattaforme di lancio via terra, via mare e via
aria: si
tratta della cosiddetta “triade nucleare”, prerogativa anche di Stati Uniti e
Cina. Le
armi terrestri sono missili balistici o da crociera, alcuni dei quali hanno una
portata intercontinentale: sono quindi in grado di raggiungere obiettivi molto
distanti. Altre
hanno un raggio più corto e sono destinate al continente europeo.
I
missili lanciati via mare, invece, vengono sganciati da sottomarini difficili
da localizzare, poiché possono nascondersi sott'acqua in qualsiasi parte del
mondo. Le
bombe più pesanti sono ancora trasportate via aerea attraverso bombardieri
strategici che volano su grandi distanze.
Il
vantaggio della triade è quello di garantire una maggiore deterrenza, oltre che
una capacità strategica e una flessibilità superiori. Queste piattaforme dislocate
rendono anche l’arsenale più "difendibile", ovvero più difficile da
distruggere completamente in caso di conflitto.
Come
possono essere utilizzate le diverse tipologie di armi?
Le
armi nucleari “strategiche” sono generalmente impiegate per colpire le città.
"Ma
possono anche essere usate per colpire risorse militari molto grandi e
importanti come basi e gruppi di attacco navale in mare", dice Herzog. Le
armi “tattiche o non strategiche”, invece, sono armi a basso rendimento
progettate per l’uso sul campo di battaglia come “equalizzatore di forze” e
cioè per ribaltare a proprio favore un conflitto che si vuole assolutamente
vincere. La Russia possiede circa 1'900 armi nucleari tattiche.
Le
armi nucleari sono davvero diventate illegali?
Quali
scenari di conflitto sono possibili?
Se la
Russia dovesse decidere di sferrare un attacco nucleare contro l’Ucraina o
contro qualsiasi altro Paese che interviene per sostenere il governo ucraino, è
più probabile che utilizzi delle armi nucleari tattiche da battaglia piuttosto
che delle grandi testate strategiche che gli Stati Uniti potrebbero
interpretare come un attacco diretto alla NATO, sostiene il ricercatore
Alexander Bollfrass del Centro di studi sulla sicurezza del Politecnico
federale di Zurigo.
Un
attacco su larga scala, infatti, rischierebbe di attivare le forze di
deterrenza degli Alleati. Mentre l’utilizzo di armi nucleari di tipo tattico
consentirebbe all’esercito russo di distruggere punti militarmente strategici
in Ucraina, come aerodromi, o di lanciare un messaggio politico forte al
governo ucraino, montando le testate direttamente sui missili che già sta
impiegando nel conflitto, afferma Bollfrass.
Oltre
agli attacchi premeditati, bisogna considerare il rischio di incidenti, che
aumenta durante il trasporto delle testate nucleari o i combattimenti vicino
alle centrali nucleari, come sta già accadendo dalle parti di Zaporizhzhia,
dove si trova la più grande centrale nucleare d'Europa.
L'esercito
russo è stato recentemente accusato di aver bombardato e danneggiato alcuni
edifici dell'impianto prima di prenderne il controllo. Questo atto rappresenta una grave
minaccia per la sicurezza di tutta l'Europa.
Inoltre,
le tensioni nucleari e le armi in stato di allerta aumentano il rischio di
percezione errata e l'escalation del conflitto.
Che
danni potrebbero provocare le armi atomiche odierne?
Se la
Russia dispiegasse tutto il suo arsenale atomico, una parte della Terra
diventerebbe inabitabile e il mondo che conosciamo oggi non esisterebbe più,
dice Herzog.
Ma
anche solo l’utilizzo di una piccola parte di questo arsenale avrebbe
conseguenze devastanti e a lungo termine.
“La sovrapressione atmosferica causata
dall’onda d’urto dell’esplosione nucleare sarebbe in grado di distruggere
interi edifici fino a decine di chilometri di distanza, a parte quelli in
cemento armato rinforzato”, spiega il ricercatore.
Centinaia
di migliaia di persone potrebbero rimanere uccise istantaneamente o ferite da
detriti o edifici collassanti. Inoltre, l’esplosione creerebbe delle onde di luce
visibile, infrarossa e ultravioletta che, combinandosi, produrrebbero una sorta
di grande palla di fuoco molto calda capace di bruciare qualsiasi cosa e di
provocare ustioni di terzo grado in un raggio ancora più esteso rispetto a
quello dei danni da esplosione.
Per
finire, bisognerebbe fare i conti con la successiva pioggia radioattiva, che
provoca tumori e malformazioni congenite.
Church
Nagasaki.
La chiesa di Urakami era la più grande chiesa
cattolica della regione asiatica-pacifica fino alla sua completa distruzione a
causa della bomba atomica sganciata dagli Stati Uniti su Nagasaki nel 1945. Ci
sono stati appelli per preservare la chiesa bombardata come risorsa storica, ma
è stata demolita nel 1958.
Quali
rischi ci sono per il resto del mondo?
La
tecnologia delle armi atomiche attuali rende possibile spazzare via intere
metropoli anche a grandi distanze. “Ogni grande città negli Stati Uniti è potenzialmente
a mezz’ora dalla distruzione e ogni grande città della NATO in Europa è circa a
venti minuti dall’essere distrutta da uno di questi missili balistici”, afferma
Herzog.
La
Svizzera e l’Austria sono meno a rischio per via della loro neutralità, ma gli
effetti delle radiazioni potrebbero essere enormi su tutta l’Europa
continentale, Svizzera compresa, e sarebbero simili a quelli provocati dalla
fusione di una centrale nucleare, “anche nel caso in cui venissero utilizzate
armi nucleari da campo di battaglia”, sostiene il ricercatore.
Quanto
è probabile un attacco nucleare?
Attualmente,
la probabilità che la Russia utilizzi le armi nucleari è ancora remota ma il
rischio non è zero.
È più
probabile, invece, che Putin decida di impiegare le armi chimiche prima di
quelle nucleari.
Queste armi, oltre ad essere considerate meno
un “tabù” dal presidente russo, consentono più facilmente di negare l’evidenza,
perché “in caso di offensiva è più facile incolpare le forze ucraine, mentre un
attacco nucleare non lascia alcun dubbio su chi è il responsabile”, aggiunge
Herzog.
Tuttavia,
non bisogna dimenticare che la guerra in corso non è solo tra la Russia e
l’Ucraina, ma tra la Russia e l’Ucraina con i rifornimenti e l’intelligence
occidentale. Non si può escludere un'escalation. Ecco perché la minaccia
nucleare fa così paura, concordano Bollfrass e Herzog.
La Svizzera
e il Trattato per la proibizione delle armi nucleari.
Il
trattato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), adottato nel 2017 ed
entrato in vigore il 22 gennaio 2021, mette al bando per la prima volta in
maniera vincolante l’uso o la minaccia d’uso, lo sviluppo, la sperimentazione e
lo stoccaggio di armi nucleari.
Il documento è stato finora firmato da 86
Paesi, ma non dalla Svizzera – nonostante abbia votato a favore della sua
creazione – né da alcun Paese che possiede armi atomiche.
GUERRA
NUCLEARE: EFFETTI E RISCHI
SULLA
SALUTE DI UNA BOMBA ATOMICA.
Healthy.thewom.it-
Dr. Roberto Gindro- (01-03-2022) - ci dice:
COS’È UN’ESPLOSIONE NUCLEARE?
Un’esplosione
nucleare, prodotta ad esempio da una bomba nucleare, consiste sostanzialmente nella
liberazione di un’enorme quantità di energia in seguito ad una reazione a
catena che coinvolge scissione ed unione di atomi: il risultato consiste in una
drammatica ondata di calore, di luce, di pressione dell’aria e di radiazioni.
Le
bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, alla fine della seconda
guerra mondiale hanno prodotto esplosioni nucleari.
Quando
un ordigno nucleare viene fatto esplodere, e abbiamo tutti negli occhi le
terribili ricostruzioni cinematografiche di questo tipo di attacco, quello che
si crea è una grande palla di fuoco. Tutto ciò che si trova all’interno di
questa immensa palla di fuoco vaporizza, si trasforma istantaneamente in vapore
e viene trasportato verso l’alto, compreso suolo ed ovviamente l’acqua. Questo movimento crea il cosiddetto
fungo atomico che associamo a un’esplosione nucleare.
Gli
elementi radioattivi costituenti l’ordigno si mescolano con il materiale
vaporizzato nel fungo atomico e vengono scagliati ad altezze incredibili, fino
ad oltre 10 km di quota, per poi raffreddarsi, condensarsi, ovvero acquisire
nuovamente una consistenza solida, e formare piccole particelle che, come una
polvere letale, ricade come una pioggia di morte sulla terra.
Questo
è definito fallout e, poiché il materiale è fine e leggero, viene facilmente
trasportato su lunghe distanze dalle correnti del vento e dai corsi d’acqua,
causando la contaminazione di qualsiasi cosa con cui venga a contatto, compresi
ovviamente piantagioni, animali domestici e d’allevamento e scorte d’acqua.
La
ricaduta del materiale nella zona dell’esplosione (fallout primario) inizia già
entro pochi minuti con i detriti e le polveri più pesanti, mentre il materiale
più fine, quello che viene scagliato in aria e trasportato dal vento, inizia a
ricadere non prima di 1-2 ore dopo (fallout secondario). La coda del fallout secondario può
allungarsi per decine di chilometri per le esplosioni più potenti e questa
pioggia venefica può continuare a cadere anche per due giorni e più.
Un’esplosione
in ucraina interesserebbe direttamente l’Italia? Non voglio entrare in materie
su cui non ho competenze, anche perché ancora oggi il dibattito è vivace sugli
effetti del disastro di Černobyl, che si trova proprio nell’attuale Ucraina: le
nubi radioattive raggiunsero effettivamente in pochi giorni anche l’Europa
orientale, Italia inclusa, ma tieni conto che i primi materiali a ricadere sono
anche i più radioattivi, i più pericolosi. Dopo circa un paio di giorni il
livello di radioattività dei materiali raggiunge un valore stabile e smette di
diminuire, quindi dopo un’esplosione nucleare le prime 48 ore sono quelle più
delicate per chi vive nei pressi dell’evento.
Come vedremo meglio tra poco il consiglio è quello di
abbandonare il più rapidamente possibile la zona sottovento all’esplosione,
magari cercando un rifugio che idealmente dovrebbe essere un bunker
sotterraneo, dove trascorrere almeno i due giorni successivi.
QUALI
SONO GLI EFFETTI DI UN’ESPLOSIONE NUCLEARE?
Un’arma
nucleare causa distruzione e morte su un’area potenzialmente molto estesa. Chi
si trova suo malgrado nelle vicinanze può rischiare lesioni fisiche, traumi ed
anche morte immediata a causa della travolgente onda d’ urto,ustioni, causate
dal calore sprigionato e dagli incendi innescati, cecità, temporanea o
permanente, causata dalla luce liberata con l’esplosione, avvelenamento da
radiazione, che in termini medici si chiama malattia acuta da radiazione.
Quest’ultima
può avere effetti tanto lampanti ed immediati, quanto subdoli perché silenziosi
ed a lungo termine:
un’immediata
degenerazione dei tessuti, visibile nell’arco di pochi minuti, come una sorta
di ustione solare, un aumento della probabilità di sviluppare tumori nel tempo,
anche a distanza di anni, danni genetici che potrebbero fare la loro drammatica
comparsa nelle generazioni successive, ovvero nei figli non ancora nati ed
anche non ancora concepiti.
Altrettanto
pericolosa è poi l’esposizione interna a fonti radioattive, ad esempio
consumando acqua o alimenti contaminati, o respirando aria contenente
pulviscolo radioattivo. Se dosi molto elevate di radiazioni subite direttamente
possono causare la morte entro pochi giorni o mesi, l’esposizione esterna a
dosi più basse di radiazioni, così come quella interna, possono aumentare il
rischio di sviluppare tumori ed altri problemi di salute nel tempo.
COSA
FARE IN CASO DI ESPLOSIONE NUCLEARE?
Quelli
che seguono sono alcuni dei comportamenti raccomandati dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità in caso di esplosione nucleare:
Se ti
trovi nei pressi dell’esplosione.
Voltati,
chiudi e copri gli occhi per evitare lesioni alla retina e quindi alla vista. Sdraiati
a terra, a faccia in giù, con le mani sotto il corpo per non lasciarle esposte.
Mantieni questa posizione finché il calore e le due onde d’urto non siano
passate.
A
questo punto le indicazioni sono leggermente differenti a seconda che uno si
trovi all’aria aperta o già al chiuso.
Se sei
all’aperto.
Trova
qualcosa per coprire bocca e naso, ad esempio una mascherina, ma in mancanza di
meglio vanno bene anche una sciarpa, un fazzoletto od un panno qualsiasi.
Rimuovi
la polvere posatasi sui vestiti spazzolandoli, scuotendoli e strofinandoli in
un’area ventilata; è molto, molto importante proteggere naso e bocca durante
quest’operazione.
Trova
un rifugio, possibilmente un seminterrato o un’altra area sotterranea,
preferibilmente lontana dalla direzione in cui soffia il vento. Il materiale
radioattivo si deposita all’esterno degli edifici, e le aree sotto terra sono
quelle più lontano dalle pareti esposte.
Se
possibile liberati degli indumenti perché potrebbero essere contaminati,
idealmente facendosi una doccia prima di chiudersi, per lavare dalla pelle e
dai capelli il pulviscolo radioattivo. Anche se contaminata, l’acqua usata per
la doccia è comunque utile a diluire la concentrazione radioattiva. Usa abbondante sapone, senza sfregare
eccessivamente per evitare irritazioni sulla cute, shampoo per i capelli, ma
evita il balsamo, che potrebbe trattenere le particelle che invece vogliamo
lavare via. Dopodiché indossa abiti puliti.
Una
volta al chiuso.
Proteggi comunque
naso e bocca durante tutta la fase di fallout.
Spegni eventuali
sistemi di ventilazione e sigilla porte e finestre, fino a che non sia
terminata la caduta del pulviscolo.
Rimani dentro fino a
che le autorità non suggeriranno altrimenti.
Se devi uscire,
copri bocca e naso con un asciugamano umido.
Utilizzare
cibo e acqua potabile confezionati ed evita il consumo di acqua od alimenti
potenzialmente esposti. Bollire l’acqua purtroppo in questo caso sarebbe
inutile.
Detergi,
medica e copri tutte le eventuali ferite.
Se ti
trovi in auto, autobus o altro veicolo durante un’emergenza radioattiva cerca
immediatamente di entrare al chiuso di una casa, perché i veicoli non
forniscono una protezione sufficiente. Idealmente un sotterraneo, ma
comunque un qualsiasi edificio è più sicuro che stare all’esterno.
Se hai
animali domestici anche per loro valgono le stesse precauzioni, doccia
compresa, che è importante tanto per te quanto per lui.
EFFETTI
SULLA SALUTE.
Gli
effetti delle radiazioni sulla salute dipendono da:
dose e tempo, ovvero
la quantità di radiazione assorbita dall’organismo
tipo di materiale
radioattivo cui si viene esposti
modalità di esposizione,
ad esempio un contatto esterno o la respirazione di particelle.
L’esposizione
a grandi quantità di radiazioni per un breve periodo di tempo può causare la
malattia acuta da radiazione, che si manifesta inizialmente con
nausea
e vomito, mal di testa e diarrea.
Questi
sintomi iniziano da pochi minuti ad alcuni giorni dopo l’esposizione, a seconda
della dose cui si viene esposti; allo stesso modo la durata, variabile da
minuti a giorni, con i disturbi che nel frattempo possono mostrare un andamento
intermittente.
Dopo
una fase iniziale è possibile osservare un certo miglioramento, un recupero che
apparentemente sembra sostanziale quando non addirittura quasi sorprendente, ma
che in realtà purtroppo spesso nasconde un nuovo peggioramento con sintomi di
gravità variabile in base alla dose di radiazioni subite.
Ai
sintomi già visti possono associarsi anche perdita di appetito, affaticamento, febbre,
ma in casi gravi anche sintomi neurologici, come convulsioni e coma.
Questa
fase può durare da poche ore a diversi mesi.
Il
trattamento si concentra sul contenimento e trattamento delle infezioni, sul
mantenimento dell’idratazione dell’organismo e sulla gestione di lesioni e
ustioni.
Il
midollo osseo, un tessuto spugnoso presente nella maggior parte delle ossa
dell’organismo, è la sede della produzione degli elementi cellulari del sangue:
globuli rossi, bianchi e piastrine. Una grande attenzione è posta alle
terapie in grado di supportare la funzione del midollo osseo, la cui
distruzione è tipicamente la vera causa della morte del soggetto interessato,
ti ricordo che stiamo parlando di conseguenze a breve termine, a causa delle
complicazioni che si manifestano in forma di
infezioni,
provocate dalla riduzione dei globuli bianchi circolanti,
emorragie
interne, a causa della riduzione delle piastrine.
Più
bassa è la dose di radiazioni, più è probabile che la persona si riprenda dalla
malattia acuta da radiazione, che tuttavia può richiedere anche anni.
Tra le
altre lesioni immediatamente visibili in seguito ad un’esposizione a radiazioni
ci sono le ustioni, caratterizzate anche in questo caso da uno spettro di
manifestazioni variabile a seconda della dose cui si viene esposti: da un
semplice gonfiore, prurito e arrossamento, al pari di un eritema solare, fino
alla formazione di vesciche ed ulcere aperte. La completa guarigione della pelle
può richiedere da alcune settimane ad alcuni anni. Il discorso è
sostanzialmente sovrapponibile per i capelli, che potrebbero cadere.
I
danni sul lungo periodo hanno ripercussioni in termini emotivi e psicologici,
ma purtroppo anche un aumento del rischio di sviluppare tumori; da questo punto
di vista i bambini e gli adolescenti sono più sensibili agli effetti
cancerogeni delle radiazioni rispetto agli adulti, per almeno due ragioni:
il
loro organismo sta ancora crescendo, si sta ancora sviluppando, e quindi la
proliferazione delle cellule è molto più intensa; ogni riproduzione cellulare è
un’occasione in cui un danno genetico può manifestarsi in forma di cellula
tumorale.
Bambini
e adolescenti, inoltre, hanno in media una durata di vita maggiore avanti a
loro, e quindi un periodo di tempo superiore in cui possa manifestarsi il
tumore, in seguito all’esposizione alle radiazioni.
Lo
stesso discorso vale anche per le donne in gravidanza; in questo caso il
rischio maggior per il feto è quello del primo trimestre.
POTASSIO
IODURO.
Farmaci
ed integratori a base di potassio ioduro sono quelli in assoluto più nominati
quando si parla di incidenti atomici; il razionale è quello di assumere
elevate quantità di iodio non radioattivo, perché si tratta del minerale più
voracemente consumato dalla tiroide, il cui tessuto è uno dei più esposti al
rischio di tumore.
L’idea
è di diluire l’eventuale iodio radioattivo assorbito con una marea di iodio
sicuro, per evitare la captazione di quello contaminato.
Immagina di dover essere obbligato a bere da
una bottiglia un sorso di acqua. Se all’interno della bottiglia c’è poca acqua
ed è contaminata ti esporrai ad un’alta dose di radiazioni, ma se la bottiglia
la riempissi prima con acqua sicura la frazione contaminata verrebbe diluita
moltissimo e la stessa sorsata che ti serve sarà molto meno concentrata, meno
pericolosa.
Attenzione
però:
l’assunzione
di potassio ioduro non è necessariamente scevra da effetti indesiderati, può
peggiorare o addirittura innescare disturbi del metabolismo della tiroide,
la
presenza di iodio contaminato nell’ambiente è legata al tipo di ordigno
esploso, non è cioè necessariamente presente, quindi prima di assumere qualcosa
aspetta indicazioni dagli organismi di controllo.
CHI HA
RECLUTATO KLAUS
SCHWAB E
VOLUTO
IL WORLD ECONOMIC FORUM?
Nogeoingegneria.com-
(1° MAGGIO 2022) -Redazione-Johnny Vedmore- ci dice:
Pare
che ci siano 109 nuovi tirocinanti del Forum d’élite quest’anno, 20 dal Nord America, 18 dall’Europa
(compresa l’Ucraina), 16 dalla penisola araba e dal Nord Africa, 11 dal resto
dell’Africa e 12 dalla Cina.
Ogni
anno, una fondazione molto ben finanziata del World Economic Forum seleziona
individui di successo sotto i 40 anni dal settore politico, aziendale,
culturale e dei media per essere formati come top leader in un programma
pluriennale, che include un corso speciale di dieci giorni all’Università di
Harvard e incontri congiunti con l’élite politica degli Stati Uniti e di altri
paesi.
Il
capo del World Economic Forum “Klaus Schwab” è molto orgoglioso della
“penetrazione” dei governi con questo sistema di selezione e formazione.
Ma
diamo un’occhiata agli inizi del WEF. Schwab stesso è stato selezionato
come Young Global Leader, ad Harvard, ieri come oggi un centro di intelligence.
Schwab ha avuto incontri decisivi negli anni sessanta, ha attirato
l’attenzione, le cui ragioni possono essere solo intuite.
Dr.
Klaus Schwab o: Come il CFR mi ha insegnato a smettere di preoccuparmi e ad amare la
bomba.
Il
Forum Economico Mondiale non fu semplicemente un’idea di Klaus Schwab, ma
nacque da un programma di Harvard finanziato dalla CIA e diretto da Henry
Kissinger e portato a compimento da John Kenneth Galbraith e dal “vero” dottor
Stranamore, Herman Kahn.
Questa
è dunque alla base della storia degli uomini reali che reclutarono Klaus
Schwab, che lo aiutarono a creare il World Economic Forum, e che gli
insegnarono a smettere di preoccuparsi e ad amare la bomba.
(Johnny Vedmore)
La
storia registrata del Forum Economico Mondiale è stata fabbricata per apparire
come se l’organizzazione fosse una creazione strettamente europea, ma non è
così.
Infatti,
Klaus Schwab aveva un team politico americano d’élite che lavorava nell’ombra e
che lo ha aiutato a creare l’organizzazione globalista con base in Europa.
Se
avete una conoscenza discreta della storia di Klaus Schwab, saprete che ha
frequentato Harvard negli anni ’60, dove avrebbe incontrato l’allora professore
Henry A. Kissinger, un uomo con cui Schwab avrebbe stretto un’amicizia per
tutta la vita.
Ma, come per la maggior parte delle
informazioni degli annali di storia del World Economic Forum, quello che vi è
stato detto non è la storia completa.
Infatti, Kissinger avrebbe reclutato Schwab al
seminario internazionale di Harvard, che era stato finanziato dalla Central
Intelligence Agency degli Stati Uniti.
Anche se questo finanziamento è stato esposto
l’anno in cui Klaus Schwab ha lasciato Harvard, la connessione è passata in
gran parte inosservata – fino ad ora.
La mia
ricerca indica che il Forum economico mondiale non è una creazione europea.
In realtà, è invece un’operazione che proviene
dai grandi della politica pubblica delle epoche Kennedy, Johnson e Nixon della
politica americana; tutti loro avevano legami con il Council on Foreign Relations e il movimento associato “Round Table”, con un ruolo di supporto giocato
dalla Central
Intelligence Agency.
C’erano
tre uomini estremamente potenti e influenti, tra cui Kissinger, che avrebbero
guidato Klaus Schwab verso il loro obiettivo finale del completo dominio
globale guidato dall’impero americano attraverso la creazione di politiche
sociali ed economiche.
Inoltre, due di questi uomini erano al centro della
produzione della sempre presente minaccia di una guerra termonucleare globale.
Esaminando
questi uomini attraverso il più ampio contesto della geopolitica del periodo,
mostrerò come le loro strade si incrociarono e coalizzarono durante gli anni
’60, come reclutarono Klaus Schwab attraverso un programma finanziato dalla
CIA, e come furono la vera forza trainante dietro la creazione del World
Economic Forum.
(Henry
A. Kissinger)
Heinz
Alfred Kissinger è nato il 27 maggio 1923 in Baviera, Germania, da Paula e
Louis Kissinger. La famiglia era una delle tante famiglie ebree che fuggirono
dalle persecuzioni in Germania e vennero in America nel 1938. Kissinger cambiò
il suo nome di battesimo in Henry all’età di 15 anni, quando arrivò in America
attraverso una breve emigrazione a Londra. La sua famiglia si stabilì
inizialmente nell’Upper Manhattan e il giovane Henry Kissinger frequentò la
George Washington High School. Nel 1942 Kissinger si iscrisse al City College
di New York, ma fu arruolato nell’esercito americano all’inizio del 1943. Il 19
giugno 1943, Kissinger divenne cittadino statunitense naturalizzato. Fu presto
assegnato alla 84a Divisione di Fanteria, dove fu reclutato dal leggendario
Fritz Kraemer per lavorare nell’unità di intelligence militare della divisione.
Kraemer combatté a fianco di Kissinger durante la battaglia del Bulge e in
seguito divenne estremamente influente nella politica americana del dopoguerra,
influenzando futuri politici come Donald Rumsfeld. Henry Kissinger ha descritto
Kraemer come “la più grande influenza individuale sui miei anni formativi” in
un articolo del New Yorker del 2020 intitolato The Myth of Henry Kissinger.
L’autore
dell’articolo, Thomas Meaney, descrive Kraemer come:
“Un
fanatico nietzschiano fino all’autoparodia – portava un monocolo nell’occhio
buono per far lavorare di più il suo occhio debole – Kraemer sosteneva di aver
passato gli ultimi anni di Weimar a combattere per strada sia i comunisti che
le camicie brune naziste. Aveva dottorati in scienze politiche e diritto
internazionale, e perseguì una promettente carriera alla Società delle Nazioni
prima di fuggire negli Stati Uniti nel 1939. Ha avvertito Kissinger di non
cercare di emulare gli intellettuali “furbi” e le loro analisi costi-benefici incruenti.
Credendo che Kissinger fosse “musicalmente in sintonia con la storia”, gli
disse: “Solo se non ‘calcoli’ avrai davvero la libertà che ti distingue dal
piccolo popolo””.
(Henry
Kissinger, Klaus Schwab e Ted Heath erano alla riunione annuale del Forum
economico mondiale del 1980.)
Durante
la seconda guerra mondiale, Kissinger servì nel Corpo di controspionaggio degli
Stati Uniti, fu promosso sergente e servì nella riserva dell’intelligence
militare per molti anni dopo che fu dichiarata la pace. Durante questo periodo,
Kissinger guidò una squadra che cacciava gli ufficiali della Gestapo e altri
funzionari nazisti che erano stati classificati come “sabotatori”. Dopo la
guerra, nel 1946, Kissinger fu riassegnato come docente alla European Command Intelligence School, una posizione che continuò a tenere
anche dopo aver lasciato ufficialmente l’esercito come civile.
Nel
1950, Kissinger si è laureato in scienze politiche ad Harvard, dove ha studiato
sotto William Yandell Elliott, che è diventato consigliere politico di sei
presidenti degli Stati Uniti e mentore di Zbigniew Brzezinski e Pierre Trudeau,
tra gli altri. Yandell Elliott e molti dei suoi studenti famosi divennero punti
di collegamento fondamentali tra l’establishment americano della sicurezza nazionale
e il
movimento britannico della “tavola rotonda” incarnato da organizzazioni come Chatham House nel Regno Unito e il
Council on Foreign Relations negli Stati Uniti. Cercheranno anche di imporre
strutture di potere globale condivise dalle grandi imprese, dall’élite politica
e dal mondo accademico. Kissinger continuò i suoi studi ad Harvard, dove
ottenne il suo MA e PhD, ma stava già cercando di perseguire una carriera nell’intelligence
e si dice che abbia cercato di essere reclutato come spia dell’FBI durante
questo periodo.
Nel
1951, Kissinger fu assunto come consulente per l’Operations Research Office
dell’esercito, dove venne addestrato in varie forme di guerra psicologica.
Questa consapevolezza di psyops si riflette nel suo lavoro di dottorato durante
quel periodo. Il suo lavoro sul Congresso di Vienna e le sue conseguenze
invocava le armi termonucleari come gioco d’apertura, il che rese anche un
lavoro altrimenti noioso un po’ più interessante. Nel 1954, Kissinger sperava
di diventare un professore junior ad Harvard, ma, invece, il preside di Harvard
di allora, McGeorge Bundy – un altro allievo di William Yandell Elliott,
raccomandò Kissinger al Council on Foreign Relations (CFR). Al CFR, Kissinger iniziò a gestire un
gruppo di studio sulle armi nucleari. Dal 1956 al 1958, Kissinger divenne
anche il direttore degli studi speciali per il Rockefeller Brothers Fund (David Rockefeller era vice-presidente
del CFR in questo periodo), oltre a dirigere diversi gruppi per produrre relazioni
sulla difesa nazionale, che ottennero l’attenzione internazionale. Nel 1957, Kissinger rafforzò il suo
posto come figura di spicco dell’Establishment sulla guerra termonucleare dopo
aver pubblicato Nuclear Weapons and Foreign Policy, un libro pubblicato per il
Council on Foreign Relations da Harper & Brothers.
Nel
dicembre del 1966, l’Assistente Segretario di Stato per gli Affari Europei,
John M Leddy, annunciò la formazione di un gruppo di 22 consiglieri per aiutare
a “dare forma alla politica europea”. I cinque attori più importanti di questo
pannello di consiglieri includevano: Henry A Kissinger in rappresentanza di
Harvard, Robert Osgood del Washington Center of Foreign Policy Research (finanziato
dal denaro di Ford, Rockefeller e Carnegie), Melvin Conant della Standard Oil
di Rockefeller, Warner R Schilling della Columbia University, e Raymond Vernon
anche lui di Harvard. Le altre persone del panel includevano quattro membri del
Council on Foreign Relations, Shepard Stone della Ford Foundation, e il resto
era un mix di rappresentanti delle principali università americane. La
formazione di questo panel potrebbe essere considerata la posa della proverbiale prima
pietra che segna l’intento del ramo americano dell’establishment della “Tavola
Rotonda” di creare un’organizzazione come il Forum Economico Mondiale, con cui
gli imperialisti anglo-americani avrebbero plasmato le politiche europee come
ritenevano opportuno.
L’Europa
del dopoguerra era in una fase vitale del suo sviluppo e il potente impero
americano iniziò a vedere opportunità nella rinascita dell’Europa e
nell’identità emergente della sua giovane generazione. Alla fine di dicembre
del 1966, Kissinger sarebbe stato una delle ventinove “autorità americane per
la Germania” a firmare una dichiarazione che proclamava che “le recenti
elezioni statali nella Germania occidentale non indicano una rinascita del
nazismo”. Il documento, firmato anche da personaggi del calibro di Dwight
Eisenhower, doveva segnalare che l’Europa stava ricominciando da capo e doveva
incominciare a mettere gli orrori delle guerre europee da parte. Alcune delle
persone coinvolte nella creazione del suddetto documento erano quelle che
avevano già influenzato la politica europea dall’estero. In particolare, fra le
firme, accanto a Kissinger e Eisenhower, c’era il professor Hans J. Morgenthau,
che all’epoca rappresentava anche il Council on Foreign Relations. Morgenthau aveva scritto un famoso
documento intitolato, L’uomo scientifico contro la politica di potere, e si
opponeva a un “eccessivo affidamento alla scienza e alla tecnologia come
soluzioni ai problemi politici e sociali”.
Nel
febbraio 1967, Henry Kissinger avrebbe preso di mira la politica europea come
la causa di un secolo di guerre e disordini politici nel continente. In un
pezzo intitolato, Fuller Investigation, stampato sul New York Times, Kissinger
avrebbe dichiarato che un lavoro scritto da Raymond Aron, Peace and War: A
Theory of International Relations, aveva rimediato ad alcuni di questi
problemi.
In
questo articolo, Kissinger avrebbe scritto:
“Negli
Stati Uniti lo stile nazionale è pragmatico; la tradizione fino alla seconda
guerra mondiale era in gran parte isolazionista; l’approccio alla pace e alla
guerra tendeva ad essere assoluto e legalista. Gli scritti americani sulla
politica estera tendono generalmente a rientrare in tre categorie: analisi di
casi specifici o episodi storici, esortazioni che giustificano o resistono a
una maggiore partecipazione agli affari internazionali, e indagini sulle basi
giuridiche dell’ordine mondiale.”
Era
chiaro che il professor Henry A. Kissinger aveva identificato il coinvolgimento
americano nella creazione della politica europea come vitale per la futura pace
e stabilità del mondo. A quel tempo, Kissinger aveva sede all’Università di
Harvard a Cambridge, Massachusetts. Qui, un giovane Klaus Schwab, futuro
fondatore del World Economic Forum, avrebbe catturato l’attenzione di Henry A.
Kissinger.
Kissinger
era il direttore esecutivo del seminario internazionale, che Schwab menziona
spesso quando ricorda il suo periodo trascorso ad Harvard. Il 16 aprile 1967,
fu riportato che vari programmi di Harvard avevano ricevuto finanziamenti dalla
Central Intelligence Agency (CIA). Questo includeva 135.000 dollari di
finanziamento per il Seminario Internazionale di Henry Kissinger, finanziamento
che Kissinger ha dichiarato di non essere a conoscenza che provenisse
dall’agenzia di intelligence degli Stati Uniti. Il coinvolgimento della CIA nel
finanziamento del seminario internazionale di Kissinger fu esposto in un
rapporto di Humphrey Doermann, l’assistente di Franklin L. Ford, che era
preside della Facoltà di Arti e Scienze. Il rapporto di Humphrey Doermann,
scritto nel 1967, si concentrava solo sui finanziamenti della CIA dal 1961 al
1966, ma il seminario internazionale di Kissinger, che aveva ricevuto il
maggior numero di finanziamenti tra tutti i programmi di Harvard finanziati
dalla CIA, continuava fino al 1967. Klaus Schwab arrivò ad Harvard nel 1965.
Il 15
aprile 1967, The Harvard Crimson pubblicò un articolo sul rapporto di Doermann,
attribuito a nessun autore, affermando: “L’aiuto non aveva vincoli, quindi il
governo non poteva influenzare direttamente la ricerca o impedire la pubblicazione
dei suoi risultati”. L’articolo presuntuoso, intitolato CIA Financial Links,
conclude con nonchalance: “Se l’università si rifiutasse di accettare i fondi
di ricerca della CIA, allora l’oscura agenzia avrebbe pochi problemi a
canalizzare le sue offerte attraverso un altro agrecy (accordo)”. (agrecy è un
gioco di parole e significa una forma di agenzia di intelligence).
Le
prove indicano che Klaus Schwab è stato reclutato da Kissinger nella sua
cerchia di imperialisti della “Tavola rotonda” attraverso un programma
finanziato dalla CIA all’Università di Harvard. Oltretutto, l’anno in cui si è
laureato sarebbe anche l’anno in cui è stato rivelato che si trattava di un
programma finanziato dalla CIA. Questo seminario finanziato dalla CIA avrebbe
introdotto Schwab ai politici americani estremamente ben collegati che lo
avrebbero aiutato a creare quello che sarebbe diventato il più potente istituto europeo
di politica pubblica, il World Economic Forum.
Nel
1969, Kissinger sarebbe stato a capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli
Stati Uniti, di cui il presidente in carica, Richard Nixon avrebbe “aumentato
l’importanza” durante la sua amministrazione. Kissinger fu assistente del
presidente per gli affari di sicurezza nazionale dal 2 dicembre 1968 al 3
novembre 1975, servendo contemporaneamente come segretario di Stato di Richard
Nixon dal 22 settembre 1973. Kissinger avrebbe dominato la creazione della
politica estera degli Stati Uniti durante l’era Nixon e il sistema che avrebbe
portato al Consiglio di Sicurezza Nazionale avrebbe cercato di combinare le
caratteristiche dei sistemi precedentemente implementati da Eisenhower e
Johnson.
Henry
Kissinger, che era stato uno degli artefici delle tensioni tra potenze
termonucleari nei due decenni precedenti, doveva ora agire come “paciere”
durante il periodo Nixon. Si sarebbe concentrato sullo stallo europeo e avrebbe
cercato di allentare le tensioni tra l’Occidente e la Russia. Negoziò i
colloqui per la limitazione delle armi strategiche (che culminarono nel trattato
SALT I) e il Kissinger stava tentando di ridiventare uno statista e un
diplomatico di fiducia.
Nel
secondo mandato dell’amministrazione del presidente Richard Nixon, l’attenzione
si sarebbe rivolta alle relazioni con l’Europa occidentale. Richard Nixon
avrebbe descritto il 1973 come “l’anno dell’Europa”. L’attenzione degli Stati Uniti
sarebbe stata rivolta a sostenere gli stati della Comunità Economica Europea
(CEE) che erano diventati rivali economici degli Stati Uniti all’inizio degli
anni ’70.
Kissinger afferrò il concetto di “Anno dell’Europa” e spinse un’agenda, non
solo di riforma economica, ma anche sostenendo di rafforzare e rivitalizzare
quella che considerava la “forza decadente,” l’Organizzazione del Trattato Nord
Atlantico (NATO). Durante questo periodo, Kissinger avrebbe anche promosso la
governance globale.
Anni
dopo, Henry Kissinger avrebbe fatto il discorso di apertura della conferenza
del Forum economico mondiale del 1980, dicendo alle élite di Davos: “Per la prima volta nella storia, la
politica estera è veramente globale”.
(John
K. Galbraith)
John
Kenneth Galbraith (spesso chiamato Ken Galbraith) è stato un economista
canadese-americano, diplomatico, creatore di politiche pubbliche e
intellettuale di Harvard. Il suo impatto sulla storia americana è straordinario
e le conseguenze delle sue azioni alla fine degli anni ’60 si sentono ancora
oggi in tutto il mondo. Nel settembre del 1934, Galbraith entrò inizialmente
nella facoltà dell’Università di Harvard come istruttore con uno stipendio di
2.400 dollari all’anno. Nel 1935, sarebbe stato nominato tutor alla John
Winthrop House (comunemente nota come Winthrop House), una delle dodici case
residenziali per studenti dell’Università di Harvard. In quello stesso anno,
uno dei suoi primi studenti sarebbe stato Joseph P. Kennedy Jr, e John F.
Kennedy sarebbe arrivato due anni dopo, nel 1937. Il 14 settembre 1937, il
canadese Galbraith sarebbe stato naturalizzato cittadino statunitense. Tre
giorni dopo avrebbe sposato la sua compagna, Catherine Merriam Atwater, una
donna che qualche anno prima aveva studiato all’Università di Monaco. Lì, aveva
vissuto nella stessa casa-dormitorio di Unity Mitford, ed era amica di Adolf
Hitler. Dopo il matrimonio, Galbraith viaggiò molto nell’Europa dell’Est, in
Scandinavia, in Italia, in Francia, ma anche in Germania. Galbraith ha dovuto
trascorrere un anno come ricercatore all’Università di Cambridge sotto il
famoso economista John Maynard Keynes, ma l’improvviso attacco di cuore di
Keynes ha convinto la nuova moglie di Galbraith a studiare in Germania. Durante l’estate del 1938, Galbraith
studiò la politica agraria tedesca sotto il governo di Hitler.
L’anno
seguente, Galbraith si trovò coinvolto in quello che all’epoca era chiamato “l’affare Walsh-Sweezy”, uno scandalo nazionale
statunitense che coinvolgeva due istruttori radicali che erano stati licenziati
da Harvard. Le connessioni di Galbraith con l’affare avrebbero portato al
mancato rinnovo della sua nomina ad Harvard.
Galbraith
prese una deviazione per lavorare a Princeton, dove poco dopo avrebbe accettato
un invito dal National Resource Planning Board per far parte di un gruppo di
revisione della spesa del New Deal e dei programmi di occupazione. È questo
progetto che lo avrebbe visto incontrare per la prima volta Franklin D.
Roosevelt. Nel 1940, quando la Francia cadde in mano alle forze naziste,
Galbraith entrò nello staff del National Defense Advisory Committee, su
richiesta del consigliere economico di FDR, Lauchlin Curry. Anche se quel
comitato sarebbe stato rapidamente sciolto, Galbraith si trovò presto nominato
all’Office of Price Administration (OPA), a capo della divisione incaricata del
controllo dei prezzi. Sarebbe stato licenziato dall’OPA il 31 maggio 1943. La
rivista Fortune aveva già cercato di dare la caccia a Galbraith fin dal 1941, e
presto lo avrebbe accaparrato per unirsi al loro staff come scrittore.
Il più
grande passaggio di attenzione per Galbraith avvenne nel 1945, il giorno dopo
la morte di Roosevelt. Galbraith lasciò New York per Washington, da dove
sarebbe stato debitamente inviato a Londra per assumere la direzione di una divisione
dello United States Strategic Bombing Survey, incaricata di valutare gli effetti
economici complessivi dei bombardamenti di guerra. Quando arrivò a Flensburg,
la Germania si era già formalmente arresa alle forze alleate e il compito
iniziale di Galbraith cambiò. Doveva accompagnare George Ball e far parte
dell’interrogatorio con Albert Speer. In questa sola mossa, Galbraith era
passato dall’essere un consigliere politico che si occupava di statistiche e
proiezioni relative ai prezzi, al co-interrogatore di un criminale di guerra
nazista di alto livello. Speer era stato in varie posizioni importanti durante
la guerra, tra cui quella di ministro degli armamenti e della produzione
bellica del Reich, uno degli uomini chiave dietro l’organizzazione, il
mantenimento e l’armamento di ogni parte della Wermacht nazista.
Poco
dopo, Galbraith sarebbe stato inviato a Hiroshima e Nagasaki per valutare gli
effetti del bombardamento. Nel gennaio 1946, John Kenneth Galbraith fu coinvolto in
uno dei momenti cruciali della storia economica americana. Partecipò alle
riunioni dell’American Economic Association a Cleveland, dove, insieme a Edward
Chamberlin di Harvard e Clarence Ayres del Texas, avrebbe discusso con Frank
Knight e altri importanti sostenitori dell’economia classica. Questo evento segnò il coming out
dell’economia keynesiana, la quale sarebbe arrivata a dominare l’America del
dopoguerra.
Nel
febbraio 1946, Galbraith sarebbe tornato a Washington, dove sarebbe stato
nominato direttore dell’Office of Economic Security Policy. Qui, nel settembre
del 1946, Galbraith fu incaricato di redigere un discorso per il Segretario di
Stato, William Byrnes, che delineava la politica americana per la ricostruzione
tedesca, la democratizzazione e l’eventuale ammissione alle Nazioni Unite.
Galbraith, che si opponeva al gruppo di politici dell’epoca chiamati “i
guerrieri del freddo”, si sarebbe dimesso dal suo incarico nell’ottobre del
1946, tornando alla rivista Fortune. Lo stesso anno gli sarebbe stata conferita
la Medaglia presidenziale della libertà. Nel 1947, Galbraith avrebbe co-fondato
l’organizzazione Americans for Democratic Action, insieme ad altri come Eleanor
Roosevelt, Arthur Schlesinger Jr. e Ronald Reagan. Nel 1948, Galbraith sarebbe
tornato ad Harvard come docente di Politica Agricola Forestale e di Uso del
Suolo. Poco dopo, sarebbe stato insediato come professore ad Harvard.
Dal
1957, Galbraith stava cominciando a formare una relazione più stretta con il
suo ex studente John F. Kennedy, che era ormai senatore del Massachusetts.
L’anno seguente, JFK avrebbe dichiarato pubblicamente Galbraith come il
“Phileas Fogg del mondo accademico” dopo aver ricevuto una copia del libro di
Galbraith, un viaggio in Polonia e Jugoslavia, dove ha esaminato da vicino la
pianificazione socialista. È anche nel 1958 che Galbraith ha pubblicato “The Affluent
Society” con successo di critica, dove ha coniato termini come “saggezza
convenzionale” e “effetto dipendenza”. È in questo periodo che Galbraith
diventa la cattedra di economia di Paul M. Warburg ad Harvard. Questa è la stessa posizione che
ricopriva quando venne presentato per la prima volta a un giovane Klaus Schwab.
Nel
1960, John Kenneth Galbraith era diventato un consigliere economico della
campagna di Kennedy. Dopo che Kennedy fu eletto presidente, Galbraith iniziò a
fornire personale alla nuova amministrazione, ed era noto per essere l’uomo che
raccomandò Robert S. McNamara come segretario della difesa. Nel 1961, Kennedy
avrebbe nominato Galbraith ambasciatore in India e, più tardi nell’anno,
Galbraith si sarebbe recato in Vietnam, su richiesta del presidente, per dare
una seconda opinione sul rapporto Taylor-Rostow. Su consiglio di Galbraith,
Kennedy avrebbe iniziato a ritirare le truppe dal Vietnam.
Nel
1963, Galbraith tornò negli Stati Uniti, rifiutando l’offerta di Kennedy di
assumere un posto di ambasciatore a Mosca, per tornare ad Harvard. Il giorno in
cui Kennedy fu assassinato, Galbraith era a New York con l’editore del
Washington Post, Katharine Graham. Galbraith andò direttamente a Washington e
fu l’uomo che redasse la versione originale del discorso del nuovo presidente
alla sessione congiunta del Congresso. L’anno dopo l’assassinio di JFK,
Galbraith sarebbe tornato ad Harvard per sviluppare un famoso e molto popolare
corso di Scienze Sociali che avrebbe insegnato per il decennio successivo.
Mantenne la sua posizione di consigliere del presidente Johnson, ma passò il
resto dell’anno a scrivere le sue ultime riviste accademiche esclusivamente in
economia.
Dal
1965, Galbraith era diventato sempre più forte nella sua opposizione alla
guerra in Vietnam, scrivendo discorsi e lettere al presidente. Questa
spaccatura sarebbe persistita tra Galbraith e Johnson, con Galbraith che alla
fine assunse la presidenza di Americans for Democratic Action e lanciò una
campagna nazionale contro la guerra del Vietnam intitolata “Negotiations Now!”.
Nel 1967, la frattura tra Galbraith e Johnson si sarebbe solo allargata quando
il senatore Eugene McCarthy fu convinto da Galbraith a candidarsi contro
Johnson alle prossime elezioni primarie. Anche Robert F. Kennedy sperava di
reclutare Galbraith per la propria campagna ma, sebbene Galbraith avesse
formato uno stretto legame con il defunto JFK, non era stato così entusiasta
dello stile peculiare di Robert F. Kennedy.
Alla
fine degli anni ’60, John K. Galbraith e Henry A. Kissinger erano entrambi
considerati due dei più importanti conferenzieri, autori ed educatori in
America. Erano anche entrambi pezzi grossi ad Harvard, Galbraith come
professore di economia Paul M. Warburg e Kissinger come professore di governo,
e i due uomini erano concentrati sulla creazione della politica estera sia per
l’America che per la nuova Europa emergente. Il 20 marzo 1968 fu annunciato che
Kissinger e Galbraith sarebbero stati i primi oratori della sessione
primaverile di quella che fu definita la “serie di conferenze Mandeville”, che
si sarebbe tenuta all’Università della California, San Diego. Il discorso di
Galbraith sarebbe stato intitolato “Foreign Policy: The Cool Dissent”, mentre il discorso di Kissinger era
intitolato “America ed Europa: Una nuova relazione”.
Kissinger
avrebbe presentato Klaus Schwab a John Kenneth Galbraith ad Harvard e, alla
fine degli anni ’60, lo stesso Galbraith avrebbe aiutato Schwab a realizzare il
World Economic Forum. Galbraith sarebbe volato in Europa, insieme a Herman Kahn,
per aiutare Schwab a convincere l’élite europea a sostenere il progetto.
Al primo European Management Symposium/Forum (il nome originale del WEF), John
Kenneth Galbraith sarebbe stato l’oratore principale.
(Herman
Kahn)
Herman
Kahn è nato a Bayonne, New Jersey, il 15 febbraio 1922 da Yetta e Abraham Kahn.
È stato cresciuto nel Bronx con un’educazione ebraica, ma in seguito sarebbe
diventato ateo nelle sue convinzioni. Durante gli anni ’50, Khan scrisse vari
rapporti all’Hudson Institute sul concetto e la praticità della deterrenza
nucleare, che sarebbe poi diventata la politica militare ufficiale. Compilava
anche rapporti per audizioni ufficiali, come la Sottocommissione per le
radiazioni. È durante l’isteria primordiale dei primi anni della Guerra Fredda
che Kahn avrebbe avuto lo spazio intellettuale, e alcuni potrebbero dire etico
e morale, per “pensare l’impensabile”. Khan avrebbe applicato la Teoria dei
Giochi – lo studio dei modelli matematici delle interazioni strategiche tra
agenti razionali – per giocare al wargame i potenziali scenari ed esiti della
guerra termonucleare.
Nel
1960, Kahn avrebbe pubblicato “The Nature and Feasibility of War and Deterrence”, che studiava i rischi e il successivo
impatto di una guerra termonucleare.
La Rand Corporation riassume i tipi di
deterrenti discussi nel lavoro di Kahn come: la deterrenza di un attacco diretto,
l’uso di minacce strategiche per dissuadere un nemico dal compiere atti
decisamente provocatori diversi da un attacco diretto agli Stati Uniti, e, infine, gli atti che vengono
dissuasi perché il potenziale aggressore ha paura che il difensore o altri
intraprendano azioni limitate, militari o non militari, per rendere
l’aggressione non vantaggiosa.
L’anno
seguente, la Princeton University Press avrebbe pubblicato per la prima volta
l’opera fondamentale di Herman Kahn, “On Thermonuclear War”. Questo libro avrebbe avuto un
enorme impatto sul futuro prossimo e lontano della politica globale e avrebbe
spinto i politici dell’establishment americano a creare una politica estera
specificamente progettata per contrastare il potenziale scenario termonucleare
peggiore.
All’uscita
della terrificante opera di Kahn, il sociologo e “comunitarista”
israelo-americano Amitai Etzioni avrebbe detto: “Kahn fa per le armi nucleari ciò che
i sostenitori dell’amore libero hanno fatto per il sesso: parla candidamente di
atti di cui altri sussurrano a porte chiuse”.
Le
complesse teorie di Khan sono state spesso erroneamente parafrasate, e la
maggior parte del suo lavoro è impossibile da riassumere in una frase o due, e
questo è emblematico delle sue idee sulla guerra termonucleare. Il team di
ricerca di Kahn stava studiando una moltitudine di scenari diversi, un mondo in
continua evoluzione, dinamico e multipolare, con molte incognite.
La
guerra termonucleare ebbe un impatto immediato e duraturo, non solo sulla
geopolitica, ma anche sulla cultura, esprimendosi pochi anni dopo con un film
molto famoso. Il 1964 vide l’uscita del classico di Stanley Kubrick, Il dottor
Stranamore, e dal momento della sua uscita, e da allora, Khan è stato indicato
come il vero dottor Stranamore. Interrogato sul confronto, Khan avrebbe detto a
Newsweek: “Kubrick è un mio amico. Mi ha detto che il dottor Stranamore non
doveva essere me”. Ma altri avrebbero sottolineato le molte affinità tra il personaggio
classico di Stanley Kubrick e la vita reale di Herman Kahn.
In un
saggio scritto per il Council on Foreign Relations nel luglio 1966, intitolato
Our Alternatives in Europe, Kahn afferma:
“L’attuale
politica degli Stati Uniti è stata generalmente diretta all’integrazione e all’
unificazione politica ed economica e militare dell’Europa occidentale come
mezzo per la sicurezza europea. Alcuni hanno visto l’unificazione come un passo verso
l’unità politica dell’Occidente nel suo complesso, o addirittura del mondo. Così, il raggiungimento di qualche forma
più qualificata di integrazione o federazione dell’Europa, e dell’Europa con
l’America, è stato anche ritenuto un obiettivo intrinsecamente desiderabile,
soprattutto perché le rivalità nazionali in Europa sono state viste come una
forza fondamentalmente disgregante nella storia moderna; perciò la loro
soppressione, o sistemazione in un quadro politico più ampio, risulta
indispensabile per la futura stabilità del mondo”.
Questa
affermazione implica che la soluzione preferita per le future relazioni europee/americane
sarebbe la creazione di un’unione europea. Ancora più preferibile per Kahn era
l’idea di creare un superstato americano ed europeo unificato.
Nel
1967, Herman Kahn scriveva una delle più importanti opere futuriste del XX
secolo, The Year 2000: A Framework for Speculation on the Next Thirty-Three
Years. In questo libro, di cui era coautore Anthony J Wiener, Khan e compagnia
prevedevano dove saremmo stati tecnologicamente alla fine del millennio. Ma
c’era un altro documento pubblicato poco dopo The Year 2000 di Kahn, che era
stato scritto simultaneamente. Quel documento, intitolato Ancillary Pilot Study
for the Educational Policy Research Program: Final Report, doveva delineare
come realizzare la società futura che il lavoro di Kahn in The Year 2000 aveva
previsto.
In una
sezione intitolata “Bisogni educativi speciali dei decisori”, il documento
afferma: “L’opportunità
di educare esplicitamente i decisori in modo che siano meglio in grado, in
effetti, di pianificare il destino della nazione, o di portare avanti i piani
formulati attraverso un processo più democratico, dovrebbe essere considerata
molto seriamente. Un aspetto di questa procedura sarebbe la creazione di un
insieme condiviso di concetti, un linguaggio condiviso, analogie condivise, riferimenti
condivisi…”. Continua affermando nella stessa sezione che: “Un re-insegnamento
universale nello spirito della tradizione umanistica dell’Europa – almeno per
il suo gruppo dirigente comprensivo – potrebbe essere utile in molti modi.”
In una
sezione intitolata” Necessità educative speciali di coloro che prendono le
decisioni”, il documento afferma: “L’opportunità di educare esplicitamente i decisori in
modo che siano meglio in grado, in effetti, di pianificare il destino della
nazione, o di portare avanti i piani formulati attraverso un processo più
democratico, dovrebbe essere considerata molto seriamente. Un aspetto di questa
procedura sarebbe la creazione di un insieme condiviso di concetti, un
linguaggio condiviso, analogie condivise, riferimenti condivisi…”. Prosegue nella stessa sezione
affermando che: “Un re-insegnamento universale nello spirito della tradizione
umanistica dell’Europa – almeno per il suo gruppo dirigente comprensivo –
potrebbe essere utile in molti modi.”
Quando
si studia la retorica precedentemente menzionata e si decifra ciò che
significa, in questo documento Herman Kahn suggerisce di sovvertire la democrazia
formando solo un certo gruppo nella società come potenziali leader, con quei
pochi pre-selezionati che sono preparati per il potere in grado di definire
quali dovrebbero essere i nostri valori condivisi come società. Forse Herman Kahn sarebbe d’accordo
con lo schema Young Global Leader del World Economic Forum, che è l’esatta
manifestazione del suo suggerimento originale.
Nel
1968, un giornalista chiese a Herman Kahn cosa facessero all’Hudson Institute.
Diceva: “Prendiamo
il punto di vista di Dio. Il punto di vista del presidente. Grande. Aerea.
Globale. Galattico. Etereo. Spaziale. Globale. La megalomania è il rischio
professionale standard”. Questo fu seguito da Herman Kahn che si alzò dalla sedia,
puntò il dito verso il cielo e improvvisamente gridò: ‘Megalomania, zoom!'”.
Nel
1970, Kahn andò in Europa con Galbraith per sostenere il reclutamento di Klaus
Schwab per il primo Simposio Europeo di Management. Nel 1971, Kahn sarebbe stato seduto
al centro del palco per assistere al discorso chiave di John Kenneth Galbraith
alla storica prima sessione dell’organizzazione politica che sarebbe poi
diventata il World Economic Forum.
Nel
1972, il Club di Roma pubblicò “I limiti della crescita”, che avvertiva che i bisogni della
popolazione mondiale avrebbero superato le risorse disponibili entro l’anno
2000.
Kahn
ha trascorso gran parte del suo ultimo decennio discutendo contro questa idea.
Nel 1976, Khan avrebbe pubblicato una visione più ottimistica del futuro.
The
Next 200 Years, affermava che le potenzialità del capitalismo, della scienza,
della tecnologia, della ragione umana e dell’autodisciplina erano illimitate. The Next 200 Years respingeva anche
la malsana ideologia malthusiana predicendo che le risorse del pianeta non
ponevano limiti alla crescita economica, ma piuttosto gli esseri umani
avrebbero “creato tali società ovunque nel sistema solare e forse anche sulle
stelle”.
I tre
mentori di Schwab.
Kahn,
Kissinger e Galbraith erano diventati tre delle persone più influenti in America
per quanto riguarda la deterrenza termonucleare, la creazione della politica
estera e l’elaborazione delle politiche pubbliche, rispettivamente. La maggior parte dell’attenzione
durante la carriera di questi uomini era stata rivolta all’Europa e alla guerra
fredda. Tuttavia, i loro ruoli diversi in eventi importanti del periodo hanno
tutti il potenziale per distrarre facilmente gli studiosi da altri eventi più
sovversivi e ben nascosti.
Questi
tre potenti americani erano tutti legati tra loro in diversi modi, ma un filo
interessante e notevole in particolare lega questi uomini durante il periodo
tra il 1966, con la creazione del pannello di 22 consiglieri guidato da Kissinger per
aiutare a “plasmare la politica europea”, fino al 1971, e la fondazione del
World Economic Forum.
Tutti
e tre gli uomini erano membri del Council on Foreign Relations, il ramo americano del movimento
imperialista anglo-americano “Round Table”. Kissinger aveva già profondi legami con il CFR, essendo
stato reclutato da loro subito dopo la laurea. Galbraith avrebbe dato le
dimissioni dal CFR in un “modo molto pubblico” nel 1972, affermando che il CFR
era noioso e dicendo a un giornalista: “La maggior parte delle procedure
coinvolgono un livello di banalità così profondo che l’unica domanda che sorge
è se uno dovrebbe stare seduto in mezzo a loro”. Anche se non c’è una data pubblica
di quando Galbraith divenne un membro del CFR, aveva scritto per le loro
pubblicazioni fin dal luglio 1958 con “Rival Economic Theories in India”, stampato in Foreign Affairs, la rivista ufficiale
del CFR.
Khan poteva anche avere pubblicato alcuni dei suoi saggi attraverso il CFR,
avendo scritto il pezzo “Our Alternatives in Europe” nel luglio 1966, e “If Negotiations Fail” nel luglio 1968, entrambi mentre
lavorava come consigliere ufficiale del Dipartimento di Stato.
Prima
degli anni ’60, questi tre intellettuali americani estremamente influenti erano
stati entrambi profondamente coinvolti nel cercare di capire i problemi
dell’Europa del dopoguerra e nel tracciare il futuro del continente devastato
dalla guerra. Galbraith aveva viaggiato molto in tutta Europa, includendo lo
studio delle politiche in Germania durante il Terzo Reich, e, dopo il crollo
della Germania di Hitler, Galbraith continuò a studiare i sistemi sovietici
allo stesso modo. L’influenza di Galbraith sul futuro presidente, John F.
Kennedy, fin dalla più tenera età, non può essere sottovalutata, e Galbraith
era abbastanza potente per convincere JFK a ritirare le truppe dal Vietnam su
sua raccomandazione. Quando Kennedy fu assassinato a Dallas, Galbraith era
l’uomo che avrebbe redatto il discorso iniziale del presidente entrante alla
nazione, ma Galbraith venne presto messo in disparte. Durante i disordini degli
anni ’60, Galbraith era vicino a Henry Kissinger, essendo entrambi professori
di Harvard, membri del CFR, e avendo entrambi lo stesso obiettivo di rendere l’Europa
stabile in modo che il continente fosse ben difeso da qualsiasi potenziale
aggressione sovietica.
Per
Galbraith e Kissinger, e anche per il più esteso establishment politico
americano, l’Europa era la principale minaccia non solo alla stabilità globale,
ma anche alla prevalente egemonia americana in generale. La relativa stabilità in Europa
durante il dopoguerra era percepita come dovuta allo stallo termonucleare e,
fin dall’inizio, Kissinger identificò questa dinamica e iniziò a manipolare la
situazione a vantaggio della supremazia americana. Henry Kissinger non fu il solo a
cercare di capire le complesse dinamiche in gioco in relazione alla deterrenza
termonucleare e come queste influenzassero il processo decisionale. Herman Kahn era la figura di spicco
della pianificazione strategica termonucleare nello stesso periodo e il lavoro
di Kissinger sullo stesso argomento, dalla metà degli anni ’50 in poi, lo
avrebbe visto incrociare Kahn in molte occasioni.
Kahn
offrì a Kissinger qualcosa che tutti i politici e i responsabili politici
desiderano, la capacità di prevedere gli eventi futuri con relativa
accuratezza. Kahn era un vero e proprio profeta dei progressi tecnologici di un
futuro non così lontano, e il suo lavoro, anche se spesso stoico e privo di
emozioni umane, ha resistito molto bene alla prova del tempo. Gli obiettivi di
Kahn e Kissinger si sovrapposero durante la metà e la fine degli anni ’60, e
quando le valutazioni delle minacce fatte da Kahn in questo periodo divennero
più ottimistiche, Kissinger vide il lavoro di Kahn come fondamentale per
offrire un nuovo futuro alla gente del mondo.
Tuttavia,
la visione del futuro di Henry Kissinger non era quella di una società libera
ed equa che avanza verso un “coraggioso nuovo mondo” insieme, ma piuttosto,
Kissinger intendeva creare un’immagine del mondo che è stata distorta dalla sua
propria prospettiva dell’ Establishment guidata dalla CFR. Anche se cercava di
ribattezzarsi come un vero statista, Kissinger continuava a sovvertire non solo
i processi democratici stranieri, ma anche a compromettere il sistema americano
a beneficio di un’agenda globalista. Quando Schwab fu riconosciuto da
Kissinger come un potenziale futuro leader globalista, il relativamente giovane
tedesco fu presto presentato a Galbraith e Kahn. Questo coincideva con il lavoro di
Kahn che identificava la necessità di formare specificamente individui con
potenziale di leadership separatamente da quelli che frequentano i modelli
educativi standard prevalenti.
Nell’anno
in cui Klaus Schwab lasciò Harvard, fu avvicinato da Peter Schmidheiny, che
aveva appena venduto Escher Wyss al gruppo Sulzer.
La fabbrica Escher Wyss di Ravensberg durante
la seconda guerra mondiale era stata gestita dal padre di Schwab, Eugen Schwab,
ed era
stata coinvolta nella produzione di turbine ad acqua pesante per lo sforzo
segreto della bomba atomica nazista.
Schwab
ha parlato in un’intervista del momento in cui Schmidheiny lo ha chiamato,
dicendo: “Ora
vieni da Harvard e conosci i moderni metodi di gestione, aiuta a rendere
l’integrazione un successo”. Quello che Klaus non menzionava in quell’intervista è che lui aiutava
Sulzer e Escher Wyss a fondersi, dando vita a una nuova società chiamata Sulzer
AG. Quella società, in cui Schwab era direttore, e che avrebbe infranto il
diritto internazionale aiutando il regime sudafricano dell’apartheid nel suo programma illegale di bombe
termonucleari.
Klaus
Schwab era appena uscito dalla sfera d’influenza di alcuni dei più importanti
esperti di guerra termonucleare, e nello stesso anno in cui aveva lasciato Harvard,
avrebbe diretto la fusione di una società che si occupava della propagazione
della tecnologia della bomba termonucleare destinata a regimi dispotici.
Per
molti di noi che non fanno mappe di terrificanti scenari di estinzione,
potremmo essere lasciati a credere che il Sudafrica dell’apartheid che ottiene
la bomba atomica a questo punto della storia sarebbe una delle cose peggiori
che sarebbero potute accadere. Ma gli scenari di disastro termonucleare di Herman
Kahn avevano portato il genio rotondo a credere che, salvo un disastro, un
sabotaggio o un incidente, nessuna grande potenza nucleare avrebbe osato
sparare un’arma termonucleare come atto di aggressione nel prossimo futuro. In realtà, il pensiero
dell’Establishment era cambiato significativamente, al punto che Herman Kahn e
altri consigliavano che, in certi scenari, fare di un paese come la Francia una
potenza nucleare poteva avere benefici significativi per la sicurezza sia a
livello regionale che globale, aiutando anche a ridurre la spesa per la difesa
degli Stati Uniti.
La
guerra termonucleare non era più il fine ultimo della politica di difesa
strategica, e fu alla fine degli anni ’60 che le stesse persone che avevano
causato tutta la paura di un’apocalisse termonucleare, smisero davvero di
preoccuparsi e impararono ad amare la bomba.
Umani
fallibili in vista.
Klaus
Schwab è la vera mente dietro la formazione del World Economic Forum?
Cosa
dobbiamo pensare del coinvolgimento della CIA nel seminario che ha usato
Kissinger per reclutare Schwab?
I potenti che si nascondono dietro
organizzazioni come il CFR sono stati i veri fondatori dell’organizzazione
politica globalista? Il Forum economico mondiale aveva lo scopo di unire
semplicemente l’Europa? O era in realtà destinato ad unire l’Europa con l’America,
seguita dai restanti superstati, in un Nuovo Ordine Mondiale progettato da
potenti grandi del CFR come Kissinger, Khan e Galbraith?
Questi
tre uomini potenti vedevano ciascuno in Schwab un riflesso dei propri desideri
intellettuali. Klaus era nato nella seconda metà dello stesso decennio in cui era iniziato il movimento
tecnocratico e sarebbe venuto dalla prima generazione ad avere i loro anni formativi
in un mondo post-bellico.
Le
previsioni di Kahn per il futuro non erano state solo un esercizio di meraviglia umana,
ma anche
un progetto per rendere queste previsioni una realtà il più velocemente
possibile e senza badare alle conseguenze.
Nel
1964, Klaus Schwab stava cercando di decidere cosa avrebbe fatto nella sua
carriera. Aveva 26 anni e cercava una direzione e l’avrebbe trovata attraverso
una fonte familiare. Suo padre, Eugen Schwab, era stato dalla parte sbagliata
della storia durante la seconda guerra mondiale, ed era stato coinvolto nello
sforzo nazista per la bomba atomica. Eugen Schwab diceva a suo figlio che solo ad Harvard
sarebbe stato in grado di fiorire veramente.
In una
Germania divisa del dopoguerra, l’intensa paura che veniva dalla minaccia
sempre incombente e ben drammatizzata della guerra termonucleare era diventata
una parte quotidiana della psiche della gente.
Harvard
era ben nota all’epoca per aver giocato un ruolo centrale nel processo
decisionale della Guerra Fredda che mirava agli affari europei e Klaus Schwab si metteva proprio tra i
principali promotori e agitatori della scenografia relativa al disastro
termonucleare.
Mentre
era ad Harvard, Schwab frequentava il “seminario internazionale” di Kissinger,
che era finanziato dalla CIA attraverso un canale conosciuto. Attraverso questo
processo, Klaus
Schwab veniva introdotto in un gruppo di uomini che cercavano attivamente di
influenzare la politica pubblica europea con ogni e qualsiasi metodo, compreso
l’uso della paura dell’imminente rovina nucleare.
Riconosceranno
subito il suo potenziale, tanto che saranno al fianco di Schwab per tutta la
durata della fondazione del Forum Economico Mondiale, con Kahn, Kissinger e
Galbraith che conferiscono credibilità al progetto.
Non era facile per Schwab, da solo, spiegare
alle élite europee ciò che intendeva fare, così portava Kahn e Galbraith in
Europa per convincere altri importanti attori a far parte del progetto.
Galbraith
fu il primo Keynote Speaker del forum, e anche la presenza di Kahn attirò un notevole
interesse, ma il secondo Forum Economico Mondiale si sarebbe impantanato senza
la presenza dei grandi nomi e Klaus Schwab sapeva che aveva bisogno di qualcosa
per attirare le folle per la terza puntata dell’incontro annuale del suo forum.
Nel
1972, il fondatore del Club di Roma Aurelio Peccei aveva pubblicato il suo
controverso libro “I limiti della crescita”, un libro che era stato commissionato
dal Club di Roma e che aveva un approccio malthusiano alla sovrappopolazione.
Il libro avrebbe messo in discussione la
sostenibilità della crescita economica globale e Peccei sarebbe stato invitato da
Schwab a fare il discorso principale al World Economic Forum del 1973. Questa rischiosa strategia di
pubbliche relazioni pagò i dividendi per Schwab e la sua organizzazione. Da quel momento in poi, il forum
sarebbe cresciuto in dimensioni, scala e potere. Ma tutto iniziò con un corso
finanziato dalla CIA e tenuto da Henry Kissinger ad Harvard.
Schwab
è diventato più di un semplice tecnocrate. È stato molto esplicito sulla sua
intenzione di fondere la propria identità fisica e biologica con la tecnologia
del futuro.
È
diventato la caricatura vivente di un cattivo che tiene riunioni segrete con le
élite in alte baite della Svizzera. Non credo che l’immagine che abbiamo di Schwab sia
casuale. Nel
dopoguerra, è successo qualcosa di unico nella cultura occidentale, quando il
governo ha cominciato a usare i media tradizionali come strumento per
raggiungere il pubblico con operazioni psicologiche di tipo militare.
L’establishment
dominante scoprì che era estremamente utile combinare la drammaticità degli
scenari di conflitto con media come il cinema, che talvolta equivaleva
praticamente a una propaganda che si auto-propaga. Film come Il dottor Stranamore di
Stanley Kubrick sono stati fantastici per mostrare alla gente l’assurdità di
pianificare scenari di disastri termonucleari.
Se la
gente ti percepisce come un cattivo onnipotente, allora potresti non ottenere
il sostegno dell’uomo comune, ma otterrai l’attenzione di coloro che cercano
potere e ricchezza, o, come li chiamerebbe Klaus Schwab, gli “stakeholder”
della società.
Questo
è molto importante da capire – la proiezione di estrema ricchezza e potere
attirerà e porterà gli “stakeholders” della società al tavolo del World
Economic Forum.
Con questi “stakeholder” a bordo, il
principale prodotto ideologico di Klaus Schwab, il “capitalismo degli
stakeholder”,
vedrà il trasferimento del potere lontano dai veri processi democratici e verso
un sistema di governo gestito da un piccolo gruppo dirigente preselezionato,
che sarà addestrato a continuare l’agenda stabilita per loro a partire dalla
generazione precedente, come predetto da Herman Kahn.
Loro avranno tutte le carte in mano, mentre
alla gente comune resteranno solo processi pseudo-democratici illusori,
povertà, e continue assurde operazioni psicologiche per distrarre tutti noi
costantemente.
Klaus Schwab divenne presto tutto ciò che
Herman Kahn aveva temuto nelle sue previsioni più pessimistiche. Quando il Club di Roma pubblicò il
rapporto “I limiti della crescita”, Herman Kahn ne confutò i risultati e si
mobilitò contro il suo pessimismo, mentre, allo stesso tempo, Klaus Schwab ne faceva il fulcro
delle sue macchinazioni e faceva del loro fondatore il relatore principale del suo
forum a Davos.
La
nostra attuale situazione geopolitica sta apparentemente regredendo verso la
dinamica Est contro Ovest dell’era della guerra fredda. Ancora una volta, con i recenti
eventi in Ucraina, i media mainstream stanno rigurgitando discorsi nucleari che
sono completamente paragonabili a quelli di 60-70 anni fa.
Credo
che ci sia una ragione molto ovvia per il nostro ritorno alla retorica della
guerra fredda – è un segno molto evidente che Klaus Schwab e i suoi sostenitori
sono a corto di idee.
Sembra
che stiano tornando a un paradigma geopolitico in cui si sentono più sicuri e,
soprattutto, che provoca la paura di massa della guerra termonucleare.
Questo
ciclo” rimescola e ripeti” accadrà sempre quando un movimento ideologico è a
corto di idee originali. Dalla fine degli anni ’60, Klaus Schwab ha cercato di creare
il mondo previsto da Herman Kahn. Ma la visione del futuro di Kahn, anche se
piuttosto accurata, è vecchia di oltre mezzo secolo.
Il
movimento tecnocratico di Schwab dipende dal successo dello sviluppo di
tecnologie innovative che ci faranno avanzare verso una visione in gran parte
fabbricata nel 1967. Basta studiare un elenco più dettagliato delle previsioni di
Kahn per vedere che ogni idea che Schwab promuove è quasi interamente basata
sull'”Anno 2000″ di Kahn e su quella visione documentata di come potrebbe
essere il nostro futuro, previsioni che risalgono alla fine degli anni ’60.
Ma ciò
che Schwab sembra ignorare, mentre impone a tutti noi questa agenda
futuristica, è che molte delle previsioni di Kahn venivano anche accompagnate da
avvertimenti sui pericoli che verranno creati dai futuri progressi tecnologici.
Mentre
Schwab arriva alla fine della sua vita, sembra essere disperato nel portare
avanti un’agenda futurista radicale con l’ovvio potenziale di un disastro
globale.
Credo
che il Forum Economico Mondiale stia raggiungendo il suo massimo livello di
espansione prima del suo inevitabile collasso, perché alla fine le persone che amano
le loro identità nazionali si alzeranno contro la minaccia immediata alle loro
specifiche culture e combatteranno contro il dominio globalista.
Molto semplicemente, non si può fare di tutti
un globalista, non importa quanto lavaggio del cervello venga applicato. C’è una contraddizione naturale tra
la libertà nazionale e il dominio globalista, che rende le due cose
completamente incompatibili.
Come
pensiero finale molto pertinente, Herman Kahn scrisse qualcosa di estremamente
significativo durante lo stesso anno in cui Schwab lasciò Harvard. Nel già
citato documento dell’Hudson Institute del 1967 intitolato, “Ancillary Pilot Study for the
Educational Policy Research Program: Relazione finale”, Kahn scrive:
“Sta
diventando sempre più evidente che le nostre conquiste tecnologiche e persino
economiche sono una benedizione ambivalente. Il progresso crea problemi come
l’accumulo, la moltiplicazione e la proliferazione delle armi di distruzione di
massa, la perdita della privacy o della solitudine, l’aumento del potere
statale e/o privato sull’individuo, la perdita della dimensione e della
prospettiva umana e la disumanizzazione della vita sociale o addirittura
dell’essere psicobiologico; la crescita di accentramenti pericolosi,
vulnerabili, ingannevoli o degenerativi di sistemi amministrativi o
tecnologici; la creazione di altre nuove capacità che sono intrinsecamente
pericolose in modo tale da comportare un serio rischio di abuso catastrofico; e
l’accelerazione di cambiamenti troppo rapidi o catastrofici per permettere un
soddisfacente adattamento. Forse la cosa più importante sono le decisioni che sono
troppo vaste, complesse, importanti, incerte o complete da lasciare agli umani
inclini all’errore.
(unlimitedhangout.com/2022/03/investigative-reports/dr-klaus-schwab-or-how-the-cfr-taught-me-to-stop-worrying-and-love-the-bomb/)
Il
fondatore del World Economic Forum
Klaus
Schwab non ha detto di
avere
«in tasca» politici, media e scienziati.
Openonline-
Antonio Di Noto-(23 MAGGIO 2022) - ci dice:
Il
professore di Ravensburg Klaus Schwab nomina tutte gli stakeholder menzionati
nel video su Facebook, ma non dichiara mai di averli «in tasca».
Circola
su Facebook un video che ritrae Klaus Schwab, il fondatore del World Economic
Forum (Wef) parlare di «business, stakeholders, politici, governi e Ong». Le
scritte sopra il filmato informano gli spettatori che la citazione sarebbe solo
parziale, in quanto mancherebbe la parte in cui Schwab confessa di avere questi
enti «in tasca». Inoltre, il video sarebbe stato girato di nascosto e Schwab
sarebbe «il minion di Kissinger e Rothschild» e il creatore del Great Reset.
In
sovraimpressione al video si legge: «KLAUS SCHWAB, il creatore del Great Reset
e il minion di Kissinger/Rothschild – “Li abbiamo tutti in tasca, i politici, i
media e soprattutto gli esperti, gli scienziati e i leader religiosi” – ripresa
nascosta, dialogo privato».
Il
video è stato pubblicato sul canale ufficiale del World Economic Forum il 17
luglio 2007, e come si legge nella descrizione, è stato girato al quartiere
generale dell’organizzazione, a Ginevra, dove il fondatore ha parlato del
meeting annuale di Davos e i suoi differenti stakeholders [portatori di
interesse].
Come
si può leggere nella trascrizione della domanda e della risposta, Schwab non fa
mai riferimento all’«avere in tasca» nessuno degli enti che nomina, ma stila
semplicemente un elenco dei portatori di interesse che partecipano agli
incontri del Wef che ogni anno si tengono a Davos.
Le
accuse di essere al servizio di Rothschild e Kissinger.
Non è
la prima volta che Schwab viene accusato di essere imparentato o di avere a che
fare con la famiglia Rothschild.
Sebbene
la figlia di Louis Rothschild (1882-1955) fosse effettivamente chiamata
Marianne Schwab, il fondatore del Wef ha negato di avere qualsiasi legame con
lei:
«Non
conosco Marianne Schwab. Non fa parte della nostra famiglia», ha dichiarato
Klaus Schwab all’agenzia stampa tedesca Dpa.
Similmente,
non ci sono prove che Schwab sia al servizio dell’ex segretario di stato
statunitense Henry Kissinger.
Il
Great Reset.
Tutto
nasce da un libro di Klaus Schwab intitolato, appunto, “Covid-19 The Great Reset “.
Una
guida che spiega in che maniera la pandemia si è ripercossa sul sistema
economico mondiale e quali cambiamenti il mondo dovrà affrontare per diventare
più inclusivo, resiliente e sostenibile.
I
complottisti hanno spesso tirato in ballo questo libro per sostenere che la
pandemia sia stata creata ad hoc o comunque gonfiata per permettere alle élite
perseguire i loro interessi economici.
Come
Open aveva già dimostrato, in questa teoria del complotto non c’è nulla di
vero, e si è diffusa principalmente a causa di presunte citazioni dal libro,
che si sono però dimostrate inventate.
Conclusioni:
Schwab
nel passaggio in questione del video originale non pronuncia mai la parola
«tasca», né esprime di avere il controllo sugli stakeholder che menziona in
nessun altro modo. Si fa riferimento poi ad altre teorie del complotto il cui
fondamento non è mai stato provato: il suo essere al servizio di Henry
Kissinger e della famiglia Rothschild, e l’aver creato la pandemia per
perseguire interessi economici.
Il
presidente russo Vladimir Putin
incontra il presidente del
Forum
economico mondiale Klaus Schwab.
Forumspb.com.translate.goog-
Redazione- (18 giugno 2022) - ci dice:
Il
russo Vladimir Putin ha incontrato il presidente del World Economic Forum
Executive Klaus Schwab a San Pietroburgo.
Durante
l'incontro, Putin ha sottolineato l'importanza e i vantaggi significativi del “World Economic Forum di Davos” come piattaforma internazionale che
sostiene le persone nei loro sforzi per lavorare apertamente nel quadro del
diritto internazionale esistente e stabilendo contatti tra uomini d'affari e
funzionari governativi.
“Abbiamo
sempre mantenuto i rapporti con il tuo forum che hai fondato e continuiamo a
supportarlo. E, naturalmente, i rappresentanti russi hanno sempre preso parte e
prenderanno parte agli eventi che organizzate. Da parte nostra, stiamo
organizzando eventi simili, che, ovviamente, soprattutto mirano stabilire a
contatti commerciali con i partner russi. Sai che stiamo tenendo il Forum
economico di San Pietroburgo qui a Pietroburgo San, così come in Estremo
Oriente, in Siberia e nella Russia meridionale", ha detto Putin.
Schwab
ha osservato che il World Economic Forum e la Russia hanno avuto un alto
livello di cooperazione per molti anni:
“Per
me è sempre stato importante che i rappresentanti russi prendessero parte ai
nostri eventi a Davos. Questo è sempre stato di particolare importanza per me
[...]. Il nostro obiettivo, come hai già detto, è rafforzare la cooperazione
tra uomini d'affari e agenzie governative. Siamo convinti che le sfide
significative che dobbiamo affrontare oggi, siano esse problemi climatici e
ambientali o problemi di crescita economica, possono essere risolte attraverso
solo la cooperazione, in particolare a livello globale”.
(kremlin.ru)
Durante
lo SPIEF 2017, la Roscongress Foundation e il World Economic Forum (WEF) hanno
firmato un memorandum di cooperazione. La Fondazione Roscongress ospita dal
2018 la Russian House, la residenza ufficiale russa, durante il World Economic
Forum di Davos.
La
Russian House di Davos è un luogo multifunzionale per incontri d'affari,
negoziazioni e comunicazioni informali tra leader aziendali, politici,
economisti, attori durante l'annuale World Economic Forum (WEF).
Nel
2019, la Casa Russa non è stata solo un tradizionale luogo di incontro per
rappresentanti della comunità imprenditoriale internazionale e funzionari, ma è
stata anche un'importante piattaforma di discussione sulla mappa di Davos con
un formato e un'immagine distinti.
Nei
cinque giorni di apertura, la residenza ufficiale russa ha ricevuto oltre 1.500
ospiti provenienti da 70 paesi. Più di 150 rappresentanti dei media hanno
lavorato al sito. I membri della delegazione ufficiale russa, importanti
imprenditori russi e stranieri, esperti e opinion leader sono stati tutti coinvolti
nei lavori della Casa russa.
(houserussia.com)
Klaus
Schwab spiega come
risolvere
la crisi
di fiducia globale.
Time-com.translate.goog-
Redazione- EDWARD FELSENTHAL-( 19-1-2022) -ci dice:
Il
caporedattore di TIME Edward Felsenthal parla con Klaus Schwab, il fondatore
del World Economic Forum, della collaborazione, delle speranze per il clima e
del potere dei giovani. Questa intervista è stata modificata e condensata.
Di
recente ho sentito un'intervista che hai fatto con Sundar Pichai [CEO di
Alphabet] e gli hai chiesto del lavoro a distanza. Hai detto che stiamo vivendo
in tempo preso in prestito. Come pensi a quella frase "Viviamo in un tempo preso in
prestito" e alla necessità di stare insieme di persona?
Penso
che in realtà sia molto efficace, creare uno scambio di informazioni per
imparare gli uni dagli altri, ma non può davvero instaurare fiducia nelle
relazioni interumane; hai bisogno dell'incontro di persona.
Devi
avere alcuni momenti sul lato dello schermo video. Quindi, negli ultimi due
anni, [il World Economic Forum] ha fatto notevoli progressi, perché abbiamo
sempre pensato che non dovessimo essere solo orientati agli eventi.
Oggi,
infatti, la maggior parte dei nostri partner è impegnata in almeno una delle
nostre iniziative. Sono molto orgoglioso di dire che, Abbiamo oltre 50 iniziative,
piattaforme per la cooperazione pubblico-privato.
Dall'inizio
della crisi, abbiamo conquistato oltre 200 partner in più che si sono uniti a noi
senza sapere quando potrebbe andare a Davos o meno. Ma penso che sia giunto il
momento di riunire le persone, perché vediamo un degrado della fiducia nel
mondo, e la fiducia si costruisce solo attraverso le relazioni personali.
E il World Economic Forum, in un senso più
ampio, è una comunità di multistakeholder, imprese, governi, società civili,
giovani generazioni, per lavorare insieme.
Qual è
stato il tuo asporto dalla COP26?
Tre
commenti. Il primo è che penso che l'intera discussione
sulla COP26 abbia creato una consapevolezza globale di quanto sia grave la
questione del cambiamento climatico, e che concentrarsi su questo tema sia già
un discreto successo.
In
secondo luogo, la COP26 non ha soddisfatto tutte le aspettative, ma penso l'importanza
significativa di Glasgow fosse che mostrare come le aziende stanno prendendo il
comando.
Quindi
le iniziative sono numerose, e alcune sono state create o catalizzate dal World
Economic Forum.
Sto
citando “Mission
Possible Partnership”, che oltre 400 aziende di alluminio, acciaio e così via.
È
qualcosa che abbiamo spinto molto da quando Biden ha annunciato la “First Movers
Coalition” per
impegnarsi ad acquistare navi, o aerei, che sono alimentati da carburante
verde, e impegnandosi ad acquistare così prodotti innovativi, portando avanti
l'innovazione, perché ci sono anche persone che direi che il 50% dell'innovazione, di
cui abbiamo bisogno per diventare “carbon neutral”, non esiste ancora.
E il
terzo direi è nell'area delle soluzioni basate sulla natura. È l'iniziativa One Trillion Trees per piantare 1 trilion di alberi nei
prossimi 10 anni. [Marc e Lynne Benioff, proprietari e co-presidenti del TIME,
sono tra i sostenitori della One Trillion Trees Initiative.] O in senso più ampio, è l'intera rigenerazione
della biodiversità agricola, di cui abbiamo bisogno di industrie.
Qual è
il tema di Davos quest'anno? Come pensa al ruolo del clima a Davos?
Ho
tenuto numerosi incontri qui, solo per avere un'idea di cosa si aspettano i
nostri elettori politici ed economici, ma abbiamo bisogno di uno slogan. Lo slogan è “Lavorare insieme,
restaurare la fiducia” perché riteniamo che l'accento dovrebbe essere sul
lavorare insieme, generando un impatto. E solo la credibilità del vostro lavoro
insieme deriva dal raggiungimento dei risultati.
Eravamo
ovviamente in una sorta di crisi di fiducia globale prima della pandemia. Pensi
che la pandemia possa aggravare quella crisi?
Sì,
sicuramente. Voglio dire, guarda, anche su base nazionale, direi, la
cooperazione globale è notevolmente rallentata. Vedo due ragioni per questo. Il
primo è che la pandemia ha polarizzato le società.
E in una società polarizzata, è molto più difficile
prendere decisioni perché le decisioni di solito, in particolare le decisioni
politiche, si basano su un compromesso. Il secondo fattore è che i governi sono
molto assorbiti dalla gestione delle crisi. Manovrando giorno per giorno, non
si vedono più prospettive a lungo termine, tranne che in alcuni paesi più
australiani.
La
critica di Davos nel corso degli anni è stata la sua natura d'élite. Come pensi
e come affronti la mancanza di fiducia tra le parti interessate che potrebbero
non essere a “Da affronti”?
Abbiamo
aperto le porte ai media. È ancora più importante che mai. Il secondo è che praticamente
tutte le sessioni sono trasmesse in streaming in modo che possa partecipare e
le nostre capacità mediatiche.
Cerchiamo
di spingere fuori per coinvolgere il pubblico. E l'ultimo elemento è che il forum ha
creato un'organizzazione giovanile molto potente.
Credo
fermamente nella necessità di integrare la voce giovane perché oltre il 50%
della popolazione mondiale ha meno di 30 anni e non è integrata.
Quindi,
quando parliamo di coloro che sono rimasti indietro, penso in particolare alle
giovani.
Come
vede l'impatto della pandemia sulla quarta rivoluzione industriale?
Penso
che la pandemia abbia molto accelerato alcune tecnologie della quarta
rivoluzione industriale. Lo vediamo nell'area dell'intelligenza artificiale,
ovviamente; lo vediamo nell'area medica, nell'area genetica.
Penso
che una delle aree a cui sono particolarmente interessato sia l'informatica
quantistica; vediamo un bel po' di progressi.
La prima che queste è che sono che tecnologie,
sono necessarie così le nostre tecnologie, sono anche politiche per le persone
e della società necessarie.
E
l'intera discussione che abbiamo ora sui social media e così via ci mostra che
dobbiamo regolare questo progresso tecnologico.
Il
pericolo di questa pandemia è che i governi sono così assorbiti dalla contro la
pandemia, quindi è rimasta davvero poca energia da raccogliere per creare i
confini necessari, per tutto il tempo che le nuove tecnologie sono davvero
incentrate sull'uomo.
Non
abbiamo parlato di rilasciare.
La mia
è un brevissimo termine. Non conosciamo alcuni fattori importanti. Il primo è
quanto le nuove varianti possono portare a, diciamo, arresti. Il secondo è che non sappiamo quali
saranno le conseguenze se la Fed metterà dei freni. Quindi abbiamo alcune incertezze
relative al prossimo anno. Ora a lungo termine: come manteniamo la nostra
responsabilità intergenerazionale?
Klaus
Schwab:
"Mai più profitti senza un'etica."
Repubblica.it-
Ettore Livini-(17 DICEMBRE 2019) - ci dice:
Per la
serie "Capitalismo che fare" l'intervista al fondatore e direttore
del World Economic Forum di Davos. Secondo il quale è finito il tempo del
neo-liberismo selvaggio. Ed è ora che le aziende diventino veicolo di giustizia
sociale.
Ginevra.
I populismi europei e le rivolte in Sud America sono "una contro-reazione
al neo-liberismo estremo e alla spinta ai massimi profitti" che hanno
lasciato dietro di sé "un senso di mancanza di giustizia sociale".
E per
combattere le disuguaglianze è necessario aprire l'era del "capitalismo
responsabile".
Un
sistema dove le aziende "non sono solo un fattore economico ma organismi
sociali". Giudicate non solo dai loro utili ma anche "misurando gli
effetti negativi e i costi esterni dei loro prodotti per incoraggiare
investimenti responsabili, rispettosi dell'ambiente e della coesione sociale".
Le
parole di Klaus Schwab hanno un peso specifico importante.
L'81enne ingegnere tedesco è fondatore e direttore del
World Economic Forum. E da mezzo secolo è l'organizzatore e l'anima del
"Forum di Davos" dove ogni anno convergono politici e imprenditori
più potenti del mondo per fare il punto sullo stato di salute del globo.
Come è
cambiato il mondo da quando, 50 anni fa, è partito l'appuntamento di Davos?
"Oggi
è molto più pericoloso e imprevedibile. Nel 1971 convivevamo con la Guerra
fredda e un sistema bipolare in una sorta di conflitto congelato. Ora viviamo
in un pianeta fragile, con molte tensioni dove piccoli centri di potere - stati
e non solo - sono in grado di usare la forza in modo più asimmetrico, facendo
molti più danni con mezzi relativamente limitati. Basta pensare agli ultimi
missili lanciati dall'Iran sull'Arabia Saudita".
È un
mondo caratterizzato anche da forti tensioni sociali, dal ritorno dei populismi
e delle proteste di piazza come in Francia e Sud America. Quanto pesa su questi
fenomeni il problema delle disuguaglianze?
"C'è
un evidente senso di mancanza di giustizia sociale, accentuato dal boom dei
social media. È una reazione al liberismo estremo e alla spinta alla
massimizzazione dei profitti.
Nel
passato si poteva giustificare la globalizzazione senza limiti sostenendo che
produceva più vincitori che vinti. E in effetti, va detto, ha strappato milioni
di persone dalla povertà.
Ma
oggi il pendolo sta tornando indietro.
Grazie al web c'è la nuova consapevolezza per cui
l'accesso a salute, scuole e condizioni di vita decenti per tutti è
fondamentale. Nessuno può essere lasciato indietro. E chi resta indietro ha la
capacità di mobilitarsi con facilità, come dimostrano i gilet gialli".
Quale
è la vostra risposta a queste tensioni?
"È
lo "stakeholder
capitalism"
di cui parliamo nel nuovo manifesto di Davos.
Le
aziende non sono solo realtà economiche ma anche organismi sociali. Non vanno
giudicate solo dai profitti, ma anche misurando effetti negativi e costi
esterni dei loro prodotti. Calcolando i danni ambientali che creano o quanto
promuovono inclusione e giustizia sociale".
È
possibile trovare una formula contabile per distinguere le aziende
"buone" da quelle meno attente al mondo che le circonda?
"Ci
stiamo provando. Non sarà facile, ci vorranno anni. Ma l'obiettivo è avere
questo strumento per consentire agli investitori di supportare solo società e
progetti che si comportano in modo socialmente responsabile. Anche i singoli
paesi non dovrebbero essere giudicati solo dal Pil, Per capire meglio la
performance di una nazione è necessario aggiungere parametri che considerino il
benessere dei suoi cittadini".
Il
mondo ha imparato la lezione della crisi del 2008?
"No
ed è una delle mie principali preoccupazioni. Dagli anni '70 banche e finanza
hanno perso ogni contatto con l'economia reale.
Abbiamo
evitato il peggio ma non abbiamo ancora pagato del tutto la bolletta per il
salvataggio del mondo dal crac globale. I debiti mondiali sono raddoppiati,
abbiamo tassi negativi. E non sappiamo come uscire da questa trappola.
Se
aumentiamo i tassi rischiamo di far saltare una valanga di bond societari. La
pioggia di liquidità delle banche centrali non ha fatto aumentare la
redditività, rimasta piatta. Stesso discorso vale per gli stimoli fiscali del Giappone o
per le tasse più basse di Donald Trump che non hanno spinto gli investimenti ma
hanno fatto crescere i buy-back in Borsa. Stiamo camminando verso un futuro
nebuloso per le politiche economiche".
Il
World Economic Forum è considerato il tempio della globalizzazione. Cosa pensa
della guerra dei dazi?
"Io
non sono mai stato favorevole a una globalizzazione aperta e senza cuore.
Dobbiamo
trovare un equilibrio tra l'apertura dei mercati e la necessità di
salvaguardare la coesione sociale. Senza coesione sociale non c'è
democrazia".
Davos
festeggerà nel 2020 i suoi 50 anni. Il motto del World Economic Forum è
"fare del mondo un posto migliore". Ci siete riusciti?
"È
importante avere obiettivi ideali per affrontare situazioni specifiche.
Lavoriamo per ridurre la plastica negli oceani, per promuovere la parità di
genere. E abbiamo un impatto. Gavi Alliance, ad esempio, nata 20 anni fa a
Davos ha consentito di vaccinare 700 milioni di bambini salvando 14 milioni di
vite".
L'intervista
è stata realizzata con Holger Zschaepitz e Pierre Veya, in collaborazione con
Lena (Leading European Newspaper Alliance, l’alleanza di otto giornali europei
di cui “Repubblica” fa parte insieme a “Die Welt”, “El País”, “Gazeta
Wyborcza”, “Le Figaro”, “Le Soir”, “Tribune de Genève” e “Tages-Anzeiger”)
Meteo:
Entro Metà
Settembre
per la
Prima
Volta nella Storia
avverrà
qualcosa di eclatante in Europa.
Conoscenzealconfine.it-
Mattia Gussoni – (8 Settembre 2022) – ci dice:
Entro
la metà di settembre per la prima volta nella storia avverrà qualcosa di
eclatante a livello atmosferico in Europa, con possibili rischi anche per
l’Italia.
Dopo
un avvio caratterizzato da un ritorno dell’alta pressione sub-tropicale,
specialmente al Centro-Sud, successivamente è atteso un deciso ribaltone sul
fronte meteo.
Come
spesso capita nelle settimane di passaggio tra una stagione e l’altra, l’Italia
si trova di fatto tra l’incudine e il martello: sono due le grandi figure
meteorologiche che hanno iniziato a sfidarsi in una cruda lotta, in un braccio
di ferro che per il momento non ha vincitori né vinti; da una parte, abbiamo le
fresche e instabili correnti dal Nord Europa, dove l’Autunno ha già iniziato a
galoppare; dall’altra, ci sono le roventi fiammate africane che tentano ancora
di salire verso Nord, attraversando il Mediterraneo e dirigendosi dritte verso
il nostro Stivale.
Quest’anno,
tuttavia, si sta delineando una configurazione mai vista prima (almeno da
quando ci sono le registrazioni) in pieno oceano Atlantico, con un uragano
potrebbe raggiungere le coste dell’Europa occidentale.
La
particolarità di questo evento risiede nella zona dove è “nato” il ciclone,
ovvero i 38° di latitudine Nord, cioè più a settentrione del solito (latitudini
tropicali), in un’area dove le acque superficiali oceaniche risultano
particolarmente calde, fino a + 5º C sopra i normali valori, una conseguenza
degli ultimi mesi davvero anomali.
Questa
immensa macchina atmosferica, al cui centro la pressione scenderà fino a 975
hPa, è in grado di scatenare venti violentissimi ad oltre 140-150 km/h. Secondo
gli ultimi aggiornamenti della NOAA (National Oceanic and Atmospheric
Administration, l’ente americano che si occupa di Oceani e Atmosfera),
l’Uragano Danielle, così è stato chiamato, potrebbe raggiungere il Vecchio
Continente entro la metà di settembre.
Alcuni
modelli stimano che Danielle, o ciò che ne rimarrà, possa riuscire a transitare
vicino all’Europa occidentale, influenzando le condizioni meteo in Spagna,
Francia, Regno Unito e anche sull’Italia. Tuttavia, queste simulazioni sono
ancora molto incerte e serviranno giorni per poter avere più certezze sulla sua
traiettoria.
A
prescindere dalla forza con cui impatterà questa depressione, gli effetti si
faranno sentire in particolare in Portogallo, Spagna (settori a Nord), Irlanda,
Scozia e Inghilterra, dove oltre alle piogge torrenziali le raffiche di vento
potrebbero raggiungere i 130 km/h. Lungo le coste le onde potrebbero
raggiungere l’altezza di 8 metri, come un palazzo di 2 due piani.
E
l’Italia? Anche il nostro Paese potrebbe rischiare grosso. Potremmo infatti
venire sfiorati dalla coda di questa immensa perturbazione, ed ecco servito il
nuovo ribaltone: l’ingresso di queste correnti sul bacino del Mediterraneo potrebbe
infatti innescare la formazione di un vortice ciclonico dal 13/14 settembre,
favorendo di conseguenza una fase climatica piuttosto perturbata, temporalesca
e foriera di un clima decisamente autunnale.
Come
ricordiamo sempre, le tendenze sul lungo periodo servono a fornire un’idea
generale sul tempo atteso e non vanno dunque intese come le classiche previsioni
meteo, ovvero non sono utili per pianificare eventi della propria vita
quotidiana.
Fatta
questa doverosa premessa, possiamo dire che l’Autunno 2022 si annuncia
movimentato.
(Mattia
Gussoni – Meteorologo- ilmeteo.it/notizie/meteo-entro-met-settembre-per-la-prima-volta-nella-storia-avverr-qualcosa-di-eclatante-i-dettagli-202642)
Ucraina, l'uso dell'atomica può
scatenare
un golpe contro Putin.
Quotidiano.net-
Redazione - (1°marzo 2022) - ci dice:
Due
scenari tuttora improbabili, ma non impossibili per un cambio di guida a Mosca.
Uno riguarda l'uso di armi nucleari tattiche.
Roma,
1° marzo 2022 - Il desiderio inconfessabile di molte cancellerie occidentali,
se non tutte, è quello di un cambio di regime a Mosca. Ovviamente, uno sviluppo
del genere, se portasse al potere una leadership più dialogante, risolverebbe
molti problemi e consentirebbe di superare la fase bellica riallacciando i
legami tra la Russia e il resto del mondo, ora recisi. Ma è credibile una
aspettativa del genere? Putin è ben saldo nel palazzo del potere, ha emarginato
tutti i suoi avversari, controlla la larghissima maggioranza della Duma (320 su
450 deputati sono di Russia Unita, il partito di Putin, altri 27 deputati danno
appoggio esterno al governo), le Forze armate gli sono fedeli, l'appartato
economico legato allo stato è di sua nomina, gli oligarchi o stanno con lui o
han dovuto riparare all'estero. Apparentemente, non ci sono speranze per chi in
occidente vuole togliere Putin dal potere.
"Terza
guerra mondiale sarà nucleare". Mosca insiste e fa volare jet sulla Svezia.
Putin,
l'ultima follia: "La famiglia nascosta in un bunker, città sotterranea in
Siberia"
I
russi colpiscono la torre della tv di Kiev.
Gli
scenari per un golpe.
Ma
secondo qualificati analisti occidentali ci sono due scenari da considerare. Il
primo scenario è l'eventualità secondo la quale Putin possa decidere di
utilizzare una arma nucleare tattica, anche di piccolissima taglia, 1 KT, ad
esempio su una base militare Ucraina. In questo caso esiste la possibilità che
per evitare una ritorsione nucleare occidentale con consistente rischio di escalation,
il ministro della Difesa o il Capo di Stato Maggiore russo possa decidere di
non eseguire l'ordine, ponendosi di fronte a una opzione secca: o essere
accusato di alto tradimento o tentare un colpo di stato militare come quello
(fallito) contro Gorbaciov. Da notare che l'ordine di lancio di ordigni
nucleari in Russia ha un triplice approvazione: Presidente, ministro della
Difesa e Capo Stato Maggiore della Difesa. Sarebbe su questi ultimi due,
l'onere della scelta di un clamoroso no al lancio. L'ipotesi che Putin possa decidere
l'uso dell'arma nucleare è molto bassa, e ancora più bassa quella che qualcuno
abbia l'ardire di rifiutarsi di eseguirla. Ma non è a zero.
"Con
la guerra rischio nuova Chernobyl". In Ucraina 15 reattori nucleari.
Il
secondo scenario è di medio periodo. Putin accetta in qualche modo di porre
fine alla guerra firmando una tregua, mantenendo però il controllo del Donbass
e della striscia di terreno tra il Donbass e la Crimea, più il territorio
conquistato a nord di Kiev. L'occidente continuerebbe con le durissime sanzioni
che stanno colpendo a fondo la finanza e l'economia russa. Questo accrescerebbe
nel tempo il malcontento della popolazione - inflazione, perdita di posti di
lavoro - che inscenerebbe vaste manifestazioni di piazza dando vita a un
movimento di opposizione che potrebbe essere finanziato dall'Occidente (come
per la Maidan e la rivoluzione arancione in Ucraina) ma anche da molti
oligarchi, duramente colpiti dalle sanzioni. Questo potrebbe portare ad un
golpe parlamentare d'intesa con le Forze armate. Ancora, le probabilità al
momento sono basse, anche se le variabili in gioco sono parecchie e
complessivamente questa eventualità ha un grado di credibilità maggiore.
La
strada del passo indietro in Ucraina.
Per
Putin probabilmente la strada migliore è un passo indietro in Ucraina per
continuare a guidare incontrastato la Russia. Se accetterà il ritiro delle truppe
in cambio di Crimea e Donbass (nei confini delle province, non nel territorio
attualmente controllato dai separatisti) e della promessa di non ingresso
dell'Ucraina nella Nato (tre punti che costituiscono la sua linea rossa, oltre
la quale per lui c' è solo sconfitta) ne uscirà, dal suo punto di vista, con un
guadagno strategico e avendo dimostrato che la Russia è ancora temibile, e
potrà continuare a governare il suo Paese. Ma il Putin visto in queste settimane
non è affatto detto che usi saggezza e furbizia. Anzi.
La
legalità delle armi nucleari.
Dirittoconsenso.it-Redazione-(19
GIUGNO 2020) - ci dice:
L’uso
delle armi nucleari è contrario al diritto internazionale umanitario?
Il confronto tra Corea del Nord e Stati Uniti
rappresenta uno dei principali rischi per la sicurezza globale al giorno
d’oggi. La schermaglia tra i due Paesi ha infatti visto la minaccia da entrambe
le parti dell’uso di armi nucleari. Come notato da Thakur, l’Asia nordorientale
rappresenta il teatro di battaglia più pericoloso per una guerra nucleare, che
potrebbe coinvolgere ben quattro Stati dotati di tali armamenti.
Tralasciando
il fatto che la posizione della Corea del Nord è probabilmente illegale, in
quanto rifiutandosi di concludere negoziati sul disarmo nucleare e non avendolo
portato a termine ha infranto delle norme consuetudinarie a riguardo, la
questione della legalità dell’uso o della minaccia dell’uso dell’arma atomica
rimane di grande attualità.
Questo
articolo vuole analizzare se le armi nucleari, il loro utilizzo e la minaccia
del loro utilizzo siano contrari al diritto internazionale umanitario. In
questo senso, le nozioni di “minaccia” e “utilizzo” verranno incorporate nella
seconda, in quanto per la Corte Internazionale di Giustizia esse lavorano in
“tandem” poiché l’uso illegale della forza in un dato contesto renderà
parimenti illegale la minaccia di tale uso.
Il
parere consultivo del 1996 della Corte Internazionale di Giustizia sulla
legalità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari.
Il
punto di partenza è, evidentemente, il parere consultivo sulla legalità della
minaccia o dell’uso delle armi nucleari reso dalla CIG. Tale parere è stato
criticato per non essere abbastanza chiaro; tuttavia, esso va visto nel
contesto degli sforzi di proibire tutti i test nucleari, come risulta dalla
risposta F del parere stesso, dal crescente numero di trattati che proibiscono
armamenti nucleari e dall’impegno dato nel 1995 dai cinque Stati
“ufficialmente” nucleari a non utilizzare i loro arsenali contro gli Stati
non-nucleari parte del NPT.
Ad
ogni modo, la Corte ha messo in chiaro che il diritto internazionale umanitario
è applicabile alle armi nucleari. La Corte ha dichiarato che l’utilizzo di queste armi
non è né autorizzato né proibito dal diritto internazionale consuetudinario o
convenzionale. Per essere legale, tale utilizzo dovrebbe rispettare le
disposizioni dell’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, se in
contravvenzione all’Art. 2, ed allo stesso tempo essere compatibile con i
requisiti del diritto internazionale umanitario. Perciò, la Corte ha stabilito che, in
linea di principio, l’utilizzo di un’arma nucleare sia generalmente contrario
alle norme di diritto internazionale dei conflitti armati; ma, allo stesso
tempo, ha riconosciuto che il dubbio sulla legalità rimarrebbe in un’estrema
circostanza di autodifesa, in cui l’esistenza stessa di uno Stato sia in gioco.
Il
diritto internazionale umanitario pattizio applicabile alle armi nucleari.
Il
diritto internazionale umanitario trova le sue fondamenta sia in norme
consuetudinarie che convenzionali. Dal momento che le armi nucleari sono considerate armi
di distruzione di massa, vale la pena considerare l’applicabilità ad essa dei
trattati relativi alle altre armi di distruzione di massa, ossia armi chimiche
e batteriologiche.
Sia la BWC che la CWC hanno messo ben in chiaro che le
categorie di armi di cui si occupano sono assolutamente proibite, sia in
termini di utilizzo che di immagazzinamento. Nonostante alcuni degli effetti
causati da tali armi e da quello delle armi nucleari possano essere considerati
affini, il
diritto convenzionale applicabile non presenta alcuna specifica proibizione nei
confronti delle seconde.
Altri
trattati che sembrano presentare prima face disposizioni contrarie all’uso
delle armi nucleari sono il I Protocollo Addizionale del 1977, la ENMOD ed i
vari trattati riguardanti l’uso di gas ed armi avvelenate.
Per
quanto riguarda questi ultimi due, la CIG ha stabilito che non v’è alcuna prova
che le relative convenzioni, quali la II Dichiarazione dell’Aja 1899, la IV
Convenzione dell’Aja 1907 ed il Protocollo di Ginevra del 1925 contengano
alcuna provvisione che sia applicabile alle armi nucleari Il I Protocollo
addizionale del 1977 è, in sostanza, una codificazione di norme consuetudinarie
preesistenti; tuttavia, al tempo della firma, molti Stati, sia nucleari (come gli USA o
il Regno Unito) che non (per esempio Canada, Germania e Italia) emisero delle
dichiarazioni che mettevano in chiaro che non si ritenevano impegnati dalle
disposizioni del Protocollo per ciò che riguardava le armi atomiche.
La
ENMOD, invece, proibisce modificazioni “deliberate” dell’ambiente e dei
processi naturali. Perciò, un seppur devastante attacco nucleare non ricadrebbe
automaticamente nel suo campo di applicazione, in quanto sarebbe alquanto
difficile provare che tali armi siano usate con lo scopo primario di modificare
l’ambiente invece che per la “semplice” distruzione del bersaglio. Non vi è perciò alcuna norma
convenzionale che copra i danni ambientali causati da un’esplosione nucleare.
Nonostante
le obiezioni sollevate dagli Stati che detengono armi nucleari e dai loro
alleati, sembra esserci una maggioranza nella comunità internazionale che punta
ad un mondo libero dalla minaccia nucleare.
Ciò è
ben esemplificato dal numero di trattati che mettono fuorilegge le armi
nucleari in alcune regioni. Ed ultimamente dalla redazione e adozione in seno alle
Nazioni Unite del Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Ciò rafforza la posizione della CIG
che, nel 1996, ha affermato che tali trattati potrebbero prefigurare la futura
messa al bando generale dell’uso di tali armi, sebbene, ad oggi, non
costituiscano una proibizione di per sé.
Il
diritto internazionale umanitario consuetudinario applicabile alle armi
nucleari.
I
principii base del diritto umanitario sono proporzionalità, distinzione,
umanità e necessità militare. Sembra lampante, prima face, che l’uso delle armi
nucleari sia contrario ai primi due. Come notato da Izmir, però, la
classificazione dell’arma atomica non è stata fatta propriamente, usando metodi
scientifici: argomentazioni esagerate, immaginarie e retoriche sono invece
state proposte.
Alcune
delle conseguenze dell’utilizzo delle armi nucleari soni descritte in un report
dell’ONU, che ha identificato tre effetti principali: una potente esplosione,
un’intensa radiazione termica e nucleare derivante dallo scoppio ed il fallout
radioattivo.
Tuttavia,
il report afferma che il risultato di un’esplosione nucleare dipenda in modo
significativo dalle dimensioni dall’arma e dell’area colpita e, perciò, una
chiara valutazione richiederebbe accertamenti caso per caso.
Green
ha fatto notare che i principi e gli standard in questione si basano tutti
sull’idea di un equilibrio tra gli interessi umanitari e quelli militari in
gioco: in tale equazione, non è possibile affermare che i primi prevalgano
sempre e comunque.
Come
affermato da Rogers, il diritto bellico è infatti un tentativo di bilanciare i
principi contrastanti di necessità militare ed umanità.
Danni
collaterali e vittime civili vanno quindi valutati in base al principio di
proporzionalità. Comunque, Vail afferma che il principio di umanità è
incorporato nei concetti di proporzionalità e distinzione; quindi, la difesa di un attacco
nucleare sulla semplice base del principio di necessità militare sembra
alquanto debole.
Il
diritto internazionale umanitario proibisce altresì l’utilizzo di mezzi e
metodi di guerra che causino lesioni superflue e sofferenze inutili. Il causare perdite eccessive è
considerato parte di tale principio consuetudinario. Nel suo parere consultivo,
la CIG ha rimarcato il fatto che questo principio limiti la scelta delle armi
disponibili per i belligeranti. Come notato da Maresca e Mitchell, la sua
applicabilità pratica è controversa. Ma se si presta attenzione agli effetti
causati da un’esplosione nucleare, sembra abbastanza chiaro che essi cozzino
con tale principio. L’esplosione e l’ondata termica causerebbero immediatamente
delle perdite facilmente definibili eccessive, mentre le conseguenti radiazioni
provocherebbero malattie a lungo termine ed una lenta morte nei sopravvissuti.
La conseguenza, perciò, è chiaramente inaccettabile alla luce delle
disposizioni di diritto internazionale umanitario. Numerosi Stati ed il CICR
condividono tale posizione. Ciò fornirebbe quindi delle solide basi per
sostenere che le armi nucleari siano contrarie al diritto internazionale
umanitario, anche nel caso di un dispositivo di dimensioni ridotte.
Un’altra
particolare regola di diritto umanitario è la cosiddetta Clausola Martens,
enunciata per la prima volta nella II Convenzione dell’Aia 1899 e dimostratasi
un efficace strumento per affrontare la rapida evoluzione della tecnologia
militare.
La
Clausola è stata poi riportata in molti altri trattati successivi e gode di uno
status consuetudinario. Ticehurst spiega che essa ha tre possibili interpretazioni.
La
prima, più
limitata, prevede che le norme consuetudinarie si continuino ad applicare anche
dopo l’entrata in vigore di uno specifico trattato. La seconda prevede che ciò
che non è espressamente proibito da un trattato non è ipso facto autorizzato.
Nella
sua opinione dissenziente sul parere consultivo della CIG, Shahabuddeen sposa
tale interpretazione, spiegando che, dato il riferimento ai “dettami della
coscienza pubblica”, le disposizioni della Clausola Martens prevarrebbero sul
Principio Lotus, che essenzialmente afferma il contrario. L’interpretazione più
ampia, invece, afferma che i conflitti armati debbano obbedire non soltanto al
diritto internazionale consuetudinario e pattizio, ma anche ai principii stessi
invocati dalla Clausola. Ticehurst afferma che tali principi facciano
riferimento al diritto naturale, che al contrario del diritto positivo impone
degli obblighi erga omnes, e che la Clausola identifichi proprio nei “dettami
della coscienza pubblica” il mezzo per accertare il diritto naturale.
Tale
interpretazione potrebbe, potenzialmente, costituire un’argomentazione molto
forte nel vietare le armi nucleari, specialmente considerando la posizione di
Shahabuddeen. Egli identifica tale coscienza pubblica contraria alle armi
atomiche nella posizione degli Stati, espressa attraverso le risoluzioni
dell’Assemblea Generale dell’ONU e dall’aderenza al NPT. Greenwood offre una visione
contraria, affermando che tale concetto è troppo vago per essere usato come
base per una norma di legge. Tuttavia, se come affermato da Raimondi alcune
delle opinioni dissenzienti di oggi saranno le sentenze di domani, opinioni come quelle di Shahabuddeen
potrebbero anticipare degli obblighi legali più stringenti in merito agli
armamenti nucleari.
Conclusioni.
La
funzione principale del diritto internazionale umanitario è proteggere le
vittime dei conflitti armati. Gli effetti dell’impiego di un’arma nucleare
sembrano essere chiaramente contrari a questo scopo. Tuttavia, va evidenziato
il fatto che, allo stato attuale del diritto internazionale, non c’è alcuna
disposizione di alcun trattato che vieti espressamente l’utilizzo di armi
nucleari. Ciò era stato messo ben in chiaro dalla CIG nel suo parere consultivo
del 1996. Nonostante
ciò, è possibile individuare delle solide basi per dichiarare illegali le armi
nucleari nel diritto internazionale consuetudinario, in quanto contrarie ai
principi di distinzione, umanità, proporzionalità ed alla norma che vieta armi
che causino lesioni superflue, sofferenze inutili e perdite eccesive. Inoltre,
la Clausola Martens, persino nella sua interpretazione più limitata, provvede
ad applicare in toto il diritto consuetudinario all’arma nucleare.
Infine,
un altro argomento in favore del divieto delle armi nucleari è quello che ne
vede l’uso come mezzo per perpetrare un genocidio.
Dato
l’enorme ed indiscriminato numero di morti provocati da un’esplosione nucleare
e l’inerente intenzionalità nel lanciare l’attacco, si potrebbe infatti
sostenere di essere dinanzi ad un genocidio.
Visto
che la norma che proibisce il genocidio ha rango di” jus cogens” ed è quindi
inderogabile, ciò costituirebbe uno degli strumenti più potenti per il divieto di
utilizzo delle armi nucleari.
Quando
si viveva con
la
paura dell’atomica.
Iklpost.it-Redazione-(6-3-2022)
- ci dice:
La
minaccia che oggi appare poco plausibile era assai più concreta durante la
Guerra fredda, e le precauzioni entrarono in alcuni pezzi della quotidianità.
In
questi giorni di preoccupazione generale causata dall’aggressione militare
della Russia ai danni dell’Ucraina, avvenuta ormai più di una settimana fa,
molte persone temono scenari di guerra ancora più gravi e soprattutto estesi di
quelli a cui stiamo assistendo. Per quanto la situazione sia imprevedibile, è umano e
comprensibile prepararsi al peggio, anche se viene ritenuto assai improbabile
un eventuale impiego di armi nucleari nella guerra in corso. È però vero che
sia la Russia che gli Stati Uniti e alcuni paesi europei sono tra le più grandi
potenze nucleari al mondo, e che Putin ha minacciato gravi ritorsioni in caso
di intervento occidentale, facendo riferimenti impliciti alla bomba atomica.
La
minaccia nucleare non è però una cosa nuova. L’umanità ci ha convissuto per
diversi decenni, durante i quali l’eventualità di una guerra nucleare era
considerata molto meno lontana di oggi. C’era la Guerra fredda, la lunga fase
di ostilità tra Unione Sovietica e Stati Uniti successiva alla Seconda guerra
mondiale, e nei momenti di tensione più acuta – come l’invasione alla Baia dei
Porci e la crisi dei missili a Cuba – le persone si abituarono all’eventualità
e vennero educate a prendere le contromisure necessarie.
La
cosiddetta era atomica iniziò di fatto con le bombe sganciate dall’esercito
americano su Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, alla fine della Seconda guerra
mondiale.
La fissione dell’atomo, che aveva permesso la produzione delle due bombe, era
stata scoperta anni prima, nel 1938. Fin da subito vennero intuite le grandi
potenzialità di questo processo, che può liberare quantità enormi di energia.
Vennero
ipotizzati vari impieghi, tra cui quello militare, poiché si intuì
immediatamente il vantaggio competitivo che si poteva acquisire con una
tecnologia di tale potenza.
E
infatti, durante la Seconda guerra mondiale, gli stati maggiori dei vari paesi
cercarono in tutti i modi di sviluppare un’arma nucleare prima dei rispettivi
nemici. Ci
riuscirono gli Stati Uniti grazie al progetto Manhattan, ma dopo la guerra il
processo non si arrestò: tanto l’Unione Sovietica quanto Francia e Regno Unito
svilupparono le proprie armi nucleari, che vennero affinate e rese ancora più
potenti di quelle già devastanti usate in Giappone.
Questo
nuovo contesto internazionale in cui comparvero per la prima volta nella storia
armi di distruzione di massa portò a un clima mai sperimentato prima, in cui
ciascuna potenza mondiale sapeva di rischiare la distruzione totale. Ma paradossalmente proprio questa
consapevolezza servì in certe fasi a placare le tensioni per via di quella che
è stata chiamata deterrenza nucleare: da un lato le armi nucleari costituivano
una minaccia costante, dall’altro però il piazzamento di testate missilistiche
ai confini dei due blocchi – occidentale e sovietico – servirono a mostrare il
proprio potenziale distruttivo ed evitare lo scontro diretto.
L’efficacia
della deterrenza può essere ritenuta ovvia guardandola con gli occhi di oggi,
ma allora, specie nei momenti di crisi diplomatica e militare più gravi, non lo
era affatto. Negli anni Sessanta per esempio le tensioni tra Stati Uniti e Unione
Sovietica si acuirono moltissimo, dopo il tentativo fallito da parte degli
americani di rovesciare il regime comunista di Fidel Castro, a Cuba, con
l’invasione della Baia dei Porci. All’epoca il leader sovietico era Nikita
Kruscev, il quale nel 1962, dopo il fallimento dell’invasione americana,
costruì a Cuba delle basi per lanciare missili nucleari verso gli Stati Uniti.
Questo
periodo fu forse il più teso in assoluto della Guerra fredda, il momento in cui
si arrivò più vicini a una guerra nucleare, poi sventata dopo giorni di intensa
attività diplomatica.
In
quel periodo negli Stati Uniti e in tutto il mondo si diffuse una paura
generalizzata. Il 6 ottobre 1961 il presidente americano John Kennedy invitò la
popolazione a costruirsi rifugi antiatomici, promettendo che poi il programma
di difesa civile avrebbe provveduto a metterli a disposizione per tutta la
cittadinanza. Nei giorni della crisi dei missili molti americani si costruirono in
breve un rifugio nel giardino di casa e soprattutto fecero una gran scorta di
cibo in scatola, per fronteggiare eventuali scarsità di risorse provocate da
una guerra nucleare.
Ma già
negli anni precedenti, negli Stati Uniti, era stato creato un programma di
educazione e propaganda per sensibilizzare la popolazione, insegnando buone
pratiche di protezione in caso di attacco. È rimasta celebre per esempio la
campagna “Duck and Cover” degli anni Cinquanta, voluta dal presidente Truman, con
cui si consigliava ai cittadini ad abbassarsi (duck) e cercare riparo (cover)
in caso di attacco.
Fu una
pratica un po’ presa in giro, perché nascondersi sotto un tavolo o coprirsi con
le braccia serve a poco se l’attacco avviene nelle immediate vicinanze. Ma il governo americano ci investì
molto, creando persino un cortometraggio commissionato dalla Difesa, con
protagonista Bert la tartaruga che in caso di pericolo «ducks and covers»,
ritirandosi nel guscio.
Un
pericolo simile era avvertito negli stessi anni anche in Europa, che con ogni
probabilità sarebbepotuta essere terreno di scontro nucleare, trovandosi al
confine tra blocco occidentale e sovietico. La Svizzera, per esempio, nel 1963
introdusse una legge che costringeva case e condomìni a costruire un bunker
abbastanza ampio da ospitare tutte le persone residenti.
Nel
1976 fu costruito quello che all’epoca era il bunker civile più grande al
mondo, a Lucerna, capace di ospitare 20mila persone.
Anche
il Regno Unito, che aveva cominciato a costruire rifugi soprattutto a Londra
durante i bombardamenti nella Seconda guerra mondiale, avviò una campagna
simile a quella statunitense, con produzione di film informativi sul nucleare.
In
Italia, un paese considerato particolarmente importante e delicato
nell’equilibrio tra i due blocchi, la NATO collaborò strettamente con il
governo per istituire piani di emergenza in caso di attacco nucleare.
In
particolare, in caso di attacco a Roma, il governo doveva essere trasferito
immediatamente nel rifugio del monte Soratte, a circa 40 chilometri dalla
capitale, che venne attrezzato appositamente.
Come
molti altri sparsi sul territorio, il rifugio – una lunghissima galleria
scavata a 300 metri di profondità – risale al periodo bellico, tra gli anni
Trenta e Quaranta. L’Italia, come gli altri paesi europei interessati dai
combattimenti della Seconda guerra mondiale, aveva già una rete di rifugi
antiaerei che vennero riadattati a bunker antiatomici nel periodo della Guerra
fredda.
Tra
quelli che furono costruiti appositamente per il rischio nucleare c’è invece il
rifugio “West Star”, vicino al lago di Garda, nei pressi del monte Moscal di
Affi.
“La
minaccia nucleare mette
tutto il mondo a rischio”.
Altreconomia.it- Ilaria Sesana - (26 Febbraio
2022) -ci dice:
In
questi giorni abbiamo assistito a un’escalation della retorica e delle minacce
di un possibile uso delle armi nucleari. Per Susi Snyder, coordinatrice del
settore finanziario di ICAN, la sola soluzione possibile è il disarmo e
l’adesione di tutti i Paesi al Trattato per la proibizione delle armi nucleari.
“Quella che si sta consumando in
queste ore è una tragedia per il popolo ucraino. Le persone stanno perdendo la vita
a causa di una guerra di aggressione che per la legge internazionale è vietata.
Questo tipo di invasione è illegale e deve essere fermata. Noi possiamo solo sperare che
prevalga la ragionevolezza e che la diplomazia si metta al lavoro perché le
persone stanno soffrendo, si sta sparando ed è stato minacciato l’uso delle
armi nucleari in un modo che mette tutto il nostro mondo a rischio”.
Susi
Snyder è la coordinatrice del settore finanziario dell’International campaign
to abolish nuclear weapons (ICAN), associazione che nel 2017 è stata insignita
del Premio Nobel per la Pace. Snyder è una delle massime esperte
internazionali sul disarmo nucleare ed è la coordinatrice della campagna “Don’t
bank on the bomb” che pubblica periodicamente un rapporto di ricerca sul
coinvolgimento degli istituti di credito e finanziari alla produzione di armi
nucleari.
Nella
serata di venerdì 25 febbraio ha partecipato all’incontro intitolato “Il
trattato TPNW contro le armi nucleari: risultati raggiunti e prossimi passi”
organizzato nell’ambito della mobilitazione “Italia, ripensaci” promossa da
Senzatomica e Rete italiana pace e disarmo e con la collaborazione di Etica
sgr, le Acli milanes e il Coordinamento milanese pace in comune.
Snyder
riguardo alla situazione in Ucraina vede il rischio di un’escalation nucleare?
Abbiamo già visto un’escalation della
retorica, delle parole che minacciano l’uso delle armi nucleari. E questo è
estremamente pericoloso. La Russia ha uno dei più grandi arsenali nucleari al
mondo così come la Nato: nel mezzo c’è l’Ucraina. E questo non è giusto per l’Ucraina. Non
è giusto per nessuno. Se le armi nucleari verranno impiegate le ripercussioni
saranno globali, le conseguenze dell’esplosione andranno ben oltre i confini
dei singoli Paesi e l’impatto economico sarà peggiore delle più dure delle
sanzioni possibili. L’uso delle armi nucleari è catastrofico e per questo
motivo l’opzione nucleare deve essere esclusa categoricamente.
Gli
avvenimenti di questi ultimi giorni hanno mostrato che il rischio di una guerra
nucleare è sempre possibile, che cosa può essere fatto per evitare questa
possibilità?
In base a quanto previsto dal Trattato per la
proibizione delle armi nucleari (entrato in vigore il 20 gennaio 2021, ndr) la
minaccia dell’utilizzo di armi nucleari è illegale.
I
Paesi che hanno a cuore il mantenimento della pace dovrebbero aderire al
Trattato: si tratta dell’unico trattato multilaterale sulle armi nucleari che
prevede un disarmo reale e verificato. E che permette di eliminare la
minaccia di una guerra nucleare. Non succederà immediatamente, ma se tutti i
Paesi aderiranno al Trattato potremo evitare che questo tipo di minacce si
ripetano in futuro.
Pensa
che l’opinione pubblica mondiale sia consapevole dei rischi e delle conseguenze
di una guerra nucleare?
Penso che alcune persone ne siano estremamente
consapevoli. Tutte le guerre sono sbagliate e non importa se la bomba che cade
sulla tua casa è una convenzionale o nucleare: è sempre una bomba. Tutte le guerre sono sbagliate, ma la
guerra nucleare ha un’eredità catastrofica per le future generazioni e questo è
qualcosa a cui molte persone forse non pensano. Quello che mi preoccupa è il modo
in cui i leader di alcuni Paesi minacciano l’uso di armi nucleari senza pensare
a quello che questo significa. Ed è chiaro che non ci pensano perché significherebbe
devastazione anche per loro.
Perché
è importante continuare a lavorare per il disarmo?
Le persone saranno sempre in disaccordo tra
loro e questo non è un male: le controversie ci aiutano a fare incredibili
scoperte e trovare nuove soluzioni a vecchi problemi. Il disarmo significa togliere di
mezzo le opzioni peggiori che possono essere adottate per cercare di risolvere
una controversia. Dobbiamo lavorare sul disarmo nucleare e su quello convenzionale,
perché sono le persone comuni a soffrire quando queste armi vengono usate. Gli unici a trarre beneficio dalle
armi sono coloro che le costruiscono, o meglio: chi siede nei consigli di
amministrazione delle società che producono armi. (E Klaus Schwab-il re dei
globalisti- produce armi atomiche in Sud Africa illegalmente. Ndr)
Sono
loro gli unici a trarne profitto, tutti gli altri sono a rischio. E più sono
numerose le armi in circolazione, più è probabile che le usiamo. E questo
significa che le persone comuni soffriranno e moriranno.
È
passato un anno dall’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle
armi nucleari. Quali risultati ha ottenuto?
Migliaia di parlamentari di tutto il mondo si
sono impegnati a convincere i loro governi ad aderire al Trattato. Centinaia di
città hanno chiesto ai loro governi di aderire: Washington, New York, Parigi
vogliono mettere la parola fine alle armi nucleari perché sanno che nel caso di
un conflitto nucleare potrebbero essere i principali. Inoltre, più di cento banche, fondi pensione
e altre istituzioni finanziarie hanno detto che non finanzieranno più compagnie
che producono bombe nucleari o componenti necessari a realizzarle. Tra queste, ad esempio c’è il fondo
sovrano dell’Irlanda: quando il governo di Dublino ha ratificato il Trattato,
contestualmente ha deciso il disinvestimento. Lo scorso dicembre il City Council di
New York ha adottato nel dicembre 2021 una legislazione che impegna i fondi
pensione dei dipendenti pubblici della città a disinvestire dal settore della
produzione di armi nucleari. Stiamo parlando di circa 500 milioni di dollari.
In
merito alla campagna “Don’t Bank on the bomb” quali risultati sono stati
raggiunti?
Il Trattato ha reso illegali tutte le attività
connesse alle armi nucleari, comprese la produzione e lo sviluppo. Da quando è
entrato in vigore abbiamo visto molte istituzioni finanziarie indicare
esplicitamente il Trattato quale ragione per il proprio disinvestimento dalle
aziende che producono armi nucleari o componenti necessarie per il loro
sviluppo: stiamo parlando di 3.900 miliardi di dollari.
Inoltre,
come ricordavo prima ci sono più di cento realtà tra banche, fondi pensione e
asset manager che hanno detto di “no” alle armi nucleari. Ed è interessante
notare che queste istituzioni finanziarie hanno sede in Paesi che non hanno
aderito al Trattato. Grazie a questa forma di pressione sono già due le società
che hanno deciso di interrompere le loro produzioni legate agli armamenti
nucleari.
Quali
sono i prossimi obiettivi della campagna contro le armi nucleari?
Quest’anno, a Vienna, si terrà la prima
riunione degli Stati che hanno firmato il Trattato per la proibizione delle
armi nucleari. Vogliamo che tutti i Paesi si riuniscano e contribuiscano a
questo strumento globale che non solo rende illegali le armi nucleari, ma
prevede anche un disarmo verificato degli arsenali oltre a assistenza a coloro
che in passato hanno subito in prima persona le conseguenze delle esplosioni di
armi nucleari o di test nucleari.
Il nostro obiettivo è questa riunione sia un
successo e che affermo con forza che il mondo non può più convivere con la
deterrenza nucleare: è troppo rischioso per tutti. Dobbiamo spostare il focus: dobbiamo
concentrarci sulle conseguenze e i danni che queste armi provocano, per fare in
modo che le persone capiscano che le armi nucleari devono essere abolite. (E chi glielo dice a Klaus Schwab? ndr.)
Guerra
Russia-Ucraina, l’uso dell’atomica?
Un
incubo da considerare.
Affaritaliani.it-Gianni
Pardo-( 9-4-2022) -ci dice:
L’ottimismo
delle parole è stupido, la realtà non ha nessuna remora morale.
Guerra
Russia-Ucraina, al Cremlino c’è un signore che parla tutti i giorni della
possibilità di una guerra nucleare.
Chi
vive una crisi religiosa si trova a decidere se il Cristianesimo sia una
religione valida, o una favola come le altre religioni. E soprattutto – per
cominciare - se Dio esista o no. Soppesare queste visioni del mondo è come affacciarsi
su un abisso e chiedersi se sia il caso di saltare giù.
Non si
tratta di un semplice problema metafisico. Il dualismo, cioè la contemporanea
esistenza di spirito e materia, prima ancora di essere una dottrina religiosa,
promette quanto meno che si possa sperare in qualcosa al di là della piatta,
prosaica esistenza del mondo quale appare. Il monismo materialistico, invece, ci
costringe a rinunciare alla speranza di una realtà che abbia un senso e di un
mondo guidato dall’alto. Ci obbliga ad accettare un mondo all’insegna del caos,
con la coscienza che non esiste nulla al di là di ciò che constatiamo con i
nostri sensi.
Decidere
fra questi estremi è come essere obbligati a tuffarsi nell’acqua ghiacciata.
Pensare sul serio è uno sport talmente pericoloso che molti, per prudenza, se
ne astengono.
Non è
strano che Nietzsche abbia chiesto: “Fin dove osi pensare?” Infatti per
concepire realmente il monismo materialistico con tutte le sue implicazioni, ci
vuole coraggio. Molto coraggio. E non tutti lo hanno.
Basti
dire che la maggior parte degli uomini, e persino dei vecchi, pur essendo stata
informata che non è immortale, preferisce dire: “Morire? Certo, certo. Ma poi”.
Un poi che vorrebbe essere un mai. E non lo è.
Mentre
Socrate ha praticamente scelto di morire piuttosto che fuggire, perché da
sempre – anche quando combatteva da coraggiosissimo oplita – aveva messo la
morte in conto e l’aveva accettata, gli uomini normali preferiscono immaginarsi
immortali.
Ma
pochi somigliano a Socrate. Benché le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki appartengano
alla storia, benché sappiamo tutti che esiste il problema della guerra
nucleare, preferiamo non pensarci. “Se ne parlerà sempre e non ci sarà mai,
perché è troppo devastante per tutti”. Come se ciò che è “troppo brutto per
essere vero” fosse veramente impossibile. E invece l’Olocausto è stato
possibile.
L’ottimismo
delle parole è stupido. La realtà non ha nessuna remora morale. Diversamente
non ci sarebbero le cliniche oncologiche per i bambini. Dunque il problema della possibile
guerra nucleare va affrontato da adulti. Senza nemmeno aggiungere: “Avendo
fatto testamento” perché, probabilmente, non ci sarebbero eredi.
Al
Cremlino c’è un signore che un giorno sì e l’altro pure ventila la possibilità
di una guerra nucleare, come se lui e il suo popolo non dovessero temerla
quanto la temiamo noi. Dunque non dobbiamo rispondergli: “Se ci minacci questa
guerra, cederemo su qualunque punto”. Dobbiamo dirgli: “Se voi russi volete
suicidarvi insieme con tutti noi, non possiamo impedirvelo. E comunque una
volta o l’altra tutti dobbiamo morire. Ma la prospettiva della morte non ci
farà preferire la schiavitù”.
La
guerra nucleare è talmente devastante da cancellare dalla faccia della Terra i
Paesi belligeranti ed uccidere, col fall out, anche centinaia di milioni di
terzi non belligeranti. Soprattutto ad est, dal momento che in Europa i venti
prevalenti sono da ovest. Qualcuno parla perfino dell’estinzione dell’umanità.
Ma il
realismo ci insegna che, mentre sarebbe normale che nessuno mai, nei secoli dei
secoli, premesse quel dannato pulsante rosso, è anche possibile che una volta o
l’altra un pazzo scateni questo tipo di guerra.
È la
famosa “legge di Murphy”: "Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e
uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in
quel modo".
Od
anche, più semplicemente: “Se qualcosa può andare storto, lo farà”. E allora, bisogna
inchinarsi a chiunque minacci la guerra nucleare? Certamente no.
Bisogna
piuttosto fare il possibile perché il disastro non si verifichi. Per esempio facendo sì che tutti
capiscano fino alla feccia che significa “Mutual Assured Destruction” e si calmino. Traduzione:
“Come
tu cercherai di uccidere tutti i miei connazionali, anch’io ucciderò tutti i
tuoi connazionali, tutti i tuoi alleati e chiunque vi somigli. Tu stesso
morirai comunque, anche se uscirai dal bunker mesi dopo la bomba, perché l’aria
sarà avvelenata per i decenni avvenire. Vuoi che moriamo tutti? E sia. Ma
moriremo da uomini liberi e tu non l’avrai vinta”.
Questo
è guardare in faccia la Medusa senza rimanerne pietrificati. Avere il coraggio della realtà senza
per questo piegarsi. Del resto, chi si piega può subire lo stesso il destino
che temeva: e morire da vile.
L'allarme
degli Usa sull'attacco nucleare.
Mosca:
"L'atomica? Se ci minacciate"
Ilgiornale.it-Gaia
Cesare-( 23 Marzo 2022) -ci dice:
Washington:
possibile uso di armi chimiche e ordigni tattici. Il Pentagono: "Russia in
difficoltà". La replica: "Tutto secondo i piani".
La
guerra va male ai russi sul campo di battaglia. «Sono confusi, frustrati. Hanno
mancato quasi tutti i loro obiettivi», spiega il portavoce del Pentagono, John
Kirby, alla Cnn. «Stanno finendo cibo e carburante». E gli «ucraini stanno
contrattaccando».
Eppure
lo stallo militare in cui si trova l'esercito di Mosca in Ucraina rischia di
trasformarsi in triste presagio per il futuro del conflitto, anche se Mosca
continua a negare il flop: «L'operazione procede secondo i piani - spiega il
portavoce del Cremlino Dmitry Peskov - Nessuno ha mai pensato a un paio di
giorni».
Cresce
infatti nell'Amministrazione americana e fra gli analisti militari, la
preoccupazione che Mosca decida di usare armi chimiche e biologiche. Vladimir
Putin è con «le spalle al muro» e «per questo potrebbe anche ricorrervi»,
lancia l'allarme Joe Biden. E il timore peggiore è che, come ha già minacciato
con l'allerta delle forze di deterrenza nucleare un mese fa, il leader del
Cremlino possa spingersi persino oltre, fino ad attuare la dottrina russa della
guerra atomica: escalation per la de-escalation. Cioè uso dell'arma nucleare per
costringere il nemico a ritirarsi o per annientarlo del tutto.
Il
Cremlino precisa sibillino: la Russia prevede l'uso di armi nucleari «solo in
caso di minaccia alla sua stessa esistenza».
Ma
come ha spiegato al New York Times Ulrich Kühn, esperto di armi nucleari
dell'Università di Amburgo: «L'opzione sta diventando una possibilità. Le chance che sia
utilizzata sono basse ma in aumento».
Per
Kühn è possibile che la Russia cominci sferrando un attacco nucleare contro
un'area disabitata invece che contro le truppe ucraine, anche solo per mandare
un segnale. Mosca non sfodererebbe una bomba atomica potente come quella su Hiroshima
o Nagasaki ma piccoli ordigni nucleari che non sono neppure regolati da un
trattato sugli armamenti. E l'uso del cosiddetto «nucleare tattico» potrebbe
dare il via a una nuova fase del conflitto. Perché si tratterebbe di mettere in
azione missili balistici la cui potenza sarebbe un terzo di quella usata contro
il Giappone durante la Seconda Guerra mondiale ma pur sempre capace di uccidere
o ferire mezzo milione di persone con una sola azione.
La
Russia ne possiederebbe almeno 2mila, secondo quanto riferito al Nyt da Hans M.
Kristensen, direttore del Nuclear Information Project dell'organizzazione
Federation of American Scientists. Degli Stati Uniti, si sa invece che ce ne sono un
centinaio in Europa, anche a causa delle resistenze dell'opinione pubblica al
dispiegamento di armi e delle diatribe politiche interne ai Paesi europei.
Il
generale Scott Berrier, il direttore dell'Agenzia militare americana di
intelligence per l'estero, è stato chiaro di fronte alla Commissione per i
Servizi armati della Camera: è probabile che Mosca «farà sempre più affidamento
sul suo deterrente nucleare per intimidire l'Occidente e dare una prova di
forza».
E al
centro del suo arsenale c'è Iskander-M, il sistema balistico ad alta
precisione, con capacità nucleare, schierato per la prima volta nel 2005. Le
immagini satellitari provano che Mosca, prima della guerra in Ucraina, aveva
già dispiegato alcune batterie in Bielorussia e a est, in territorio russo.
Ma non
c'è certezza che siano state armate con testate nucleari. Il timore - lo spiega
Nikolai Sokov, ex diplomatico russo che ha negoziato trattati sul controllo
degli armamenti in epoca sovietica - è che testate nucleari possano essere
posizionate anche sui missili da crociera, che percorrono traiettorie guidate.
Le armi a bassa quota, lanciate da aerei, da navi o da
terra, possono sfuggire ai radar nemici. «E dall'interno del territorio russo -
avverte Sokov - possono raggiungere tutta l'Europa».
È la
paura estrema, che si aggiunge ai timori di un conflitto con armi non
convenzionali. Mosca parla di «insinuazioni maligne»: «Non abbiamo armi
chimiche e biologiche».
Ma Joe
Biden, arrivato in Europa, affronterà l'allarme al vertice Nato di domani e nell'incontro
in Polonia con il presidente Andrzej Duda. D'altra parte una simulazione
dell'Università di Princeton immagina un colpo di avvertimento nucleare sparato
da Mosca, con la Nato che risponde con un piccolo attacco. La guerra che ne
segue provoca oltre 90 milioni di vittime in poche ore.
Non
solo l’uso
dell’atomica
è
immorale,
ma lo è anche il possesso.
Interris.it-
Alex Zanotelli-(03Agosto 8, 2021) - ci dice:
In
questi giorni ricorre il settantaseiesimo anniversario dei bombardamenti sulle
città giapponesi Hiroshima e Nagasaki. Oggi a livello storico possiamo dire che
non è corretta la motivazione che per anni è stata addotta, ovvero che si è
dovuti ricorrere a quelle bombe per evitare altre morti con il prosieguo del
secondo conflitto mondiale. Molti storici concordano oggi che le testate sono
state sganciate come dimostrazione di fronte all’avanzata delle truppe russe. è stata una delle mosse che hanno poi
portato alla Cortina di ferro.
Da
allora, viviamo nell’era del nucleare e siamo sotto questa costante minaccia. Oggi il pianeta terra vacilla tra
l’inverno nucleare, che si verificherebbe qualora scoppiasse la guerra atomica,
e la torrida estate incandescente che brucia il pianeta. Sono due possibilità
che dobbiamo tenere presenti, anche se quella atomica sembra spaventare di
meno.
Purtroppo
abbiamo accumulato molto ritardo prima di parlar chiaro sulla bomba atomica. Riguardo la posizione della Chiesa,
durante il Concilio Vaticano II si è tentato ma non si è arrivati a nessuna
condanna formale nei confronti dell’ordigno nucleare.
Ci è
voluto un passaggio fondamentale di Papa Francesco, nel corso del suo viaggio a
Hiroshima e Nagasaki, quando, per la prima volta, ha detto che non solo l’uso
dell’atomica è peccato, è immorale, ma lo è anche il possesso. (quindi, Klaus Schwab è immorale! Ndr)
Dobbiamo fare un salto di qualità e
convincerci tutti che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel vivere con
questo costante terrore.
Della
produzione delle bombe atomiche ne risentono anche i Paesi da cui provengono le
risorse, quali l’uranio, come il Congo negli anni Sessanta e il Niger oggi. è incredibile l’inquinamento che
causano questi scavi.
Abbiamo
tra le 15mila e le 20mila bombe atomiche. Come abbiamo fatto a non
inorridire, a non avere una reazione umana di fronte a una cosa del genere?
Invece abbiamo accettato tutto. Per questo l’intervento di Papa Francesco è
formidabile.
(Allora è immorale anche Francesco che
frequenta Davos e Klaus Schwab il costruttore di Bombe atomiche! Ndr)
Di
quelle parole dobbiamo ricordarcene anche noi in Italia, dove abbiamo una
settantina di testate stoccate tra Ghedi, nel bresciano, e Aviano, in provincia
di Udine. E adesso ne stanno arrivando di nuove, ancora più pericolose. Gli
Stati Uniti aveva cominciato già con Obama a stanziare risorse economiche per
rinnovare il loro arsenale atomico. Le nuove bombe B61-12 sono ancora più
terribili e il nostro Paese ancora non ha firmato il Trattato delle Nazioni
unite che vieta l’arma atomica.
Il
sentire di Papa Francesco dovrebbe entrare nei cuori, si dovrebbe scendere in
piazza. Ci
sono tanti modi per dire il proprio “no”, come la campagna “Don’t bank on the
bomb”.
Oggi
sappiamo quali banche investono sull’ammodernamento delle bombe atomiche e
quindi non si dovrebbero tenere i propri soldi in quelle banche. Il sistema va
avanti sostenuto dai nostri soldi.
Il mio
augurio forte alla Chiesa e alle comunità cristiane è che ci sia davvero un
impegno serio in questo settore.
L'atomica
resta una minaccia.
Italiaoggi.it-
Domenico Cacopardo- (3-6-2022) - ci dice:
Vladimir
Putin continua a esibirne l'utilizzazione anche se il suo uso è oggi
improbabile.
Aumenta
il numero di testate e dei paesi che ce le hanno.
L'atomica
resta una minaccia
Portiamo
l'attenzione su un tema di cui in Italia si parla poco e senza alcuna visione
critica o realistica: le bombe atomiche, di cui nel mondo dispongono molti
stati.
Noi
non abbiamo bombe atomiche nostre, anche se nel nostro territorio ce ne sono
diverse americane in siti immaginabili e in numeri segreti.
Qualche
decennio fa, c'era stato un tentativo, sospinto dalle autorità militari, per
realizzare l'atomica italiana.
Prima
che diventasse l'ennesima occasione di polemiche furiose, venne accantonato per
vari motivi come la possibile rivolta di un'opinione pubblica largamente
condizionata dal Pci e il costo di realizzazione e di gestione. Nel concreto ci avrebbe accomunati
alla Francia in una primazia strategica all'interno dell'Unione e poco altro,
ammettendoci a un club un tempo esclusivo, oggi sovraffollato.
(Oggi è
presente nell’ affollato club dei bombaroli il capo globalista Klaus Schwab! Ndr)
La
questione atomica alla quale era stata impressa una decisa svolta dopo il
crollo dell'Unione sovietica, con un trattato di limitazione delle armi in base
al quale la repubblica ucraina consegnò il suo arsenale nucleare ai russi che
s'erano impegnati alla distruzione degli armamenti in eccesso, è tornata di
attualità.
Il
primo colpo alle intese faticosamente realizzate, lo ha dato Donald Trump che
ha rimosso gli Usa dagli stati aderenti al trattato di non proliferazione, e ha
quindi ottenuto una sorta di «libera atomica» in un modo tornato alla legge
«Homo homini lupus» («l'uomo è lupo per l'uomo»), derivata dall'Asinaria di
Plauto e ripresa dal filosofo inglese Thomas Hobbes in «De cive»: insomma, il sistema delle relazioni
internazionali è stato terremotato dalle evoluzioni della politica
internazionale americana non meno che da quelle della Russia e della Cina.
Ora,
della questione nucleare s'è occupato in modo approfondito, proprio ieri, il
New York Times.
Riteniamo
utile proporre le sue considerazioni (ripeto, in materia e in questo momento
c'è poco da leggere in Italia). C'è un allarme diffuso nel mondo per i frequenti
accenni di Vladimir Putin all'arma atomica, presentata come il passo risolutivo
che è pronto a compiere nel caso che la sacra madre Russia sia minacciata.
Informazioni
di intelligence, rese pubbliche a Londra dall'Institute for studies of war,
avevano nei giorni scorsi rivelato il piano del despota del Cremlino: integrare nel territorio della
repubblica russa alcuni dei territori ucraini conquistati dell'Armata, in modo
che se l'Ucraina tentasse di riprenderli potrebbe essere “legalmente” (un
“legalmente” strettamente) accusata da Mosca di attentare al sacro territorio.
Cosa che comporterebbe il costituirsi di un
presunto titolo legittimo al lancio di bombe nucleari tattiche (il cui effetto
non è molto lontano da quello che già producono le bombe termobariche). Il 31 maggio, Joe Biden, in un suo
intervento sul NYT, ha scritto che «al momento non osserviamo alcun elemento
che indichi che la Russia abbia intenzione di usare armi atomiche in Ucraina,
ma sottolineiamo come lo scuotere la sciabola nucleare è di per sé pericoloso e
irresponsabile …».
La
questione che le minacce pongono all'Occidente è quella di stabilire in modo
inequivoco quali conseguenze avrebbe l'utilizzo da parte russa di armi
nucleari. Armi nucleari tout court, non tattiche o strategiche, anche perché se
c'è una distinzione tra di esse, per gli esperti è labile visto che è anche la
quantità a determinare l'adeguatezza della reazione.
Rispetto
ai tempi della guerra fredda, quando era pacifico che le potenze egemoni, Usa e
Russia, nel caso in cui una delle due utilizzasse l'arma atomica, avrebbero
reagito con lo stesso strumento di guerra.
Oggi,
questo non è detto. Anzi è escluso, visto che la reazione immaginata negli Usa
sarebbe forte, dura e distruttiva senza il ricorso ad armi nucleari di alcun
genere.
Un
tema, questo, che riguarda anche la Cina (che sta arricchendo i suoi depositi
di bombe di ultima generazione), la Corea del Nord (rispetto alla quale è
definitivamente svanita ogni speranza di una limitazione al proprio arsenale, a
dispetto della convinzione di Donald Trump di averla indotta con la diplomazia
a desistere) e gli stati-soglia come a esempio l'Iran che forse non l’hanno, ma
che potrebbero averla in breve.
A
essi, va aggiunta in waiting list, la Corea del Sud, le cui pressioni
potrebbero determinare gli Usa a dare disco verde alla realizzazione di una sua
arma atomica.
Prima
che iniziasse l'aggressione all'Ucraina, erano in corso complessi colloqui tra
Usa e Russia per definire un nuovo trattato di non proliferazione, visto che
era rimasto in essere l'impegno a non superare il numero di 1.550 bombe strategiche
(limiti probabilmente ampiamente violati). Del resto, i colloqui per il nuovo
trattato sono stati interrotti dalla guerra ucraina e chissà se se ne riparlerà
prima della fine del 2025, quando scadranno i limiti di cui sopra.
Quello
che è certo che (Andrew F. Krepinevich su Foreing Affairs) che l'inizio di
questo millennio presenta un rischio di una corsa agli armamenti nucleari non
solo da parte degli stati che li posseggono.
E qui
si imporrà presto la necessità che i 3 grandi (Usa, Cina e Russia) diano il via
a trattative per la definizione di un nuovo trattato nucleare, realistico e
cogente. Sarà naturale che la Cina tenti orecchie da mercante, visto che ha
stabilito il 2027 come data limite per impadronirsi di Formosa. E sarà
impossibile aprire un discorso del genere con questo occupante del Cremlino,
all'inseguimento di disegni illusori.
In
ogni caso, questa rimane una strada obbligata, prima di tutto per la Russia,
almeno il giorno in cui l'inquilino del Cremlino, chiunque esso sia, realizzerà
che il suo nemico non sono gli Stati Uniti, ma la Cina e che l'attuale alleanza
diventerà presto, a meno, appunto, di un cambio di rotta, sudditanza.
Qualcosa,
comunque, maturerà e sarà la guerra ucraina a farlo maturare soprattutto se le
mire di Putin saranno frustrate.
(cacopardo.it)
Gli
007 Usa svelano
il piano russo.
Cosa
può fare Mosca.
Errore
di calcolo possibile.
Notizie.virgilio.it-Redazione-
(30-6-2022) -ci dice:
Il
direttore dell’intelligence nazionale Avril Haines ha avvertito la commissione
per i servizi armati del Senato che i prossimi mesi di guerra saranno
significativi, poiché il presidente Vladimir Putin deve fare i conti con la
“mancata corrispondenza tra le sue ambizioni” e le sue capacità militari.
Per
Haines la guerra in Ucraina potrebbe assumere traiettorie “imprevedibili” e non
è esclusa una potenziale escalation del conflitto fra Mosca e l’Occidente.
Cosa
può fare Mosca.
Secondo
il direttore dell’intelligence nazionale statunitense, crescono le probabilità
che il presidente russo Vladimir Putin usi mezzi “drastici”, soprattutto se
percepirà che la Russia “sta perdendo la guerra in Ucraina”.
Il
Cremlino, molto probabilmente, continuerà a usare la “retorica nucleare” per
dissuadere gli Stati Uniti e l’Occidente dall’aiutare l’Ucraina. Le spie statunitensi attualmente
credono che Putin probabilmente autorizzerebbe l’uso di armi nucleari “solo se
percepisse una minaccia esistenziale per lo stato o il regime russo”.
Errore
di calcolo possibile. In guerra l’escalation “involontaria” è sempre possibile. Ne è
consapevole anche l’intelligence Usa, secondo la quale anche un errore di
calcolo potrebbe allargare il conflitto in Ucraina a uno scontro diretto fra
Occidente e Russia.
La
relazione di Avril Haines al Senato Usa.
Nel
suo rapporto annuale di valutazione delle minacce, l’ufficio di Haines ha
sottolineato che la Russia rimarrà “il più grande e capace rivale degli Stati Uniti” quando
si tratta di armi di distruzione di massa.
L’intelligence
Usa afferma infatti che Mosca continua a sviluppare missili a lungo raggio con
capacità nucleari e sistemi subacquei destinati a “penetrare o aggirare” le
difese missilistiche statunitensi.
Putin
ha un altro alleato: 20 navi da guerra russe e cinesi hanno circondato il
Giappone.
Nel
mese di giugno navi russe e cinesi hanno navigato circumnavigato il Giappone
più volte: Tensione altissima fra le due superpotenze e Tokyo.
Il
Cremlino ha dichiarato che entro l’autunno sarà in grado di schierare i suoi
missili balistici intercontinentali Sarmat, appena testati, soprannominati Satan 2, in grado di effettuare attacchi
nucleari contro gli Stati Uniti.
Fermare
lo “spettro nucleare”
agitato
da Putin.
Affarinternazionali.it- Cesare Merlini- (24
Marzo 2022) - ci dice:
Nel
2005 Thomas Schelling fu insignito del premio Nobel (per l’economia) anche “per
aver fatto avanzare la nostra comprensione dei conflitti e della cooperazione
tramite la Teoria dei giochi”, come si diceva nella motivazione. Ecco le parole
con cui aprì il suo discorso di accettazione a Oslo: “L’evento più
straordinario del passato mezzo secolo è un evento che non si è verificato.
Abbiamo beneficiato di sessant’anni senza che una sola arma nucleare sia
esplosa in conflitto”.
La
logica della deterrenza contro l’escalation.
Fino a
ieri abbiamo potuto estendere alle prime due decadi del secolo presente la
costatazione di Schelling. E tuttavia proprio mentre scatenava il suo attacco
all’Ucraina, 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha messo in stato
di allerta il sistema strategico nucleare russo, senza apparentemente averne alcuna
motivazione, salvo quella di ricordare all’Europa e agli Stati Uniti
l’esistenza della cosiddetta escalation, cioè il passaggio a uno scontro
maggiore per l’andata fuori di controllo di uno minore, fino allo stadio finale
nel quale si colloca l’uso dell’atomica.
Quel
che blocca il meccanismo dell’escalation è la logica della deterrenza, che
nella sua dimensione nucleare, dissuade l’aggressore con la prospettiva di subire
un danno così massiccio da svalutare il vantaggio dell’attacco.
È la
logica che ingabbiò l’equilibrio del terrore fra Stati Uniti e Unione Sovietica
e che poi ha funzionato nel post-bipolarismo e nella globalizzazione, reggendo
– finora – alla crescita del multipolarismo delle potenze, propria dell’inizio
del presente secolo.
Durante
la Guerra Fredda fra le ipotesi negoziali di “arms control” (che noi chiamiamo
ottimisticamente di “disarmo”) ci fu quella di un’intesa per cui le parti si
impegnavano a non ricorrere per primi all’arma nucleare, il cosiddetto “no
first use”. Furono gli Stati Uniti a opporvisi (con il sostanziale consenso
degli europei, più esposti a un primo scambio locale) alla luce della
preponderanza convenzionale dell’Unione sovietica, allora. Susseguentemente, anche la Federazione russa ha
lasciato cadere l’ipotesi in questione dalla sua dottrina strategica, dato che
aveva perso detta “preponderanza”.
Oggi
saremmo rassicurati dall’essere in vigore un tale impegno (a favore del quale
peraltro si era espresso Joe Biden quando era senatore). In sua assenza assumono ancor più
rilevanza gli stadi intermedi dell’escalation, rispetto ai quali l’Occidente
democratico è svantaggiato a seguito alla sua riluttanza a percorrerli, come si
è visto per esempio nel difficile “no” opposto alle ripetute invocazioni del
Presidente Zelensky di imporre la no-fly zone nei cieli dell’Ucraina.
Per
contro, sta crescendo il sospetto che il Cremlino, alla luce delle difficoltà
di un’offensiva militare che si era prevista veloce ed efficace, stia invece
contemplando stadi più elevati, come l’uso di armi chimiche (magari camuffato, attribuendone
l’origine ai resistenti ucraini, secondo una formula già usata).
Tenere
i nervi ben saldi contro la paura del nucleare.
Attenzione. Tanto più si innestasse un circolo
vizioso fra l’intollerabilità di una sconfitta potenziale da parte del
personaggio Putin ed il suo ricorso ad armi più micidiali, tanto più
prenderebbe forma lo spettro che si arrivi allo stadio finale, quello dell’arma
nucleare – foss’anche nella versione della testata a corto raggio d’azione.
E
magari con la benedizione di san Fëdor Ušakov, l’ammiraglio che nella guerra
russo-ottomana “non perse una sola battaglia”, come venerdì scorso il nuovo zar
ha ricordato ai suoi sudditi nello stadio di Mosca. Non è solo la chiesa ortodossa russa
ad avere i suoi santi guerrieri. La novità qui è che l’icona in questione è
stato poi nominato patrono dei bombardieri atomici della marina russa.
Insomma,
si parla della possibilità che venga a cadere nel nostro secolo ventunesimo il
grande non-evento di Thomas Schelling (del quale, sia detto per inciso, lo IAI
curò il volume “La diplomazia della violenza” in edizione italiana). Ora, a fronte di tale minaccia, è
bene tenere i nervi a posto, rifiutare la “sfumatura” della bomba nucleare
tattica ribadendo la sua natura di arma atipica, indipendentemente dal raggio
d’azione. Da qui, il sussistere della logica della deterrenza.
E
nello stesso tempo continuare ad operare conciliando un supporto militare
sempre più efficace alla resistenza del popolo di Zelensky con la cautela di
frenare quanto più possibile il meccanismo dell’escalation.
E
infine mantenere saldo l’intento di riprendere e di rilanciare i negoziati con
la Repubblica russa per il controllo degli armamenti, innanzitutto di quelli
nucleari e degli altri cosiddetti di distruzione di massa. E ciò
indipendentemente dalla durata, dagli esiti e dalle conseguenze della vile
guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina europea.
La
cyber-governance oltre l’Occidente.
Affarinternazionali.it- Leo Goretti- (5 Settembre 2022) -ci
dice:
Hackeraggio,
compromissione o furto di dati e informazioni personali, cyberspionaggio e
attacchi informatici a infrastrutture critiche sono tra le minacce non
convenzionali più pressanti a cui stati e governi devono far fronte. La
porosità dei confini ai cyberattacchi rende urgente la definizione a livello
internazionale di principi, norme, istituzioni e processi che vadano a
tracciare una cornice condivisa per il cyberspazio. Negli ultimi vent’anni,
tuttavia, il dibattito sulla cyber-governance globale si è arenato a più
riprese a causa di divergenze di vedute, rivalità e tensioni geopolitiche.
Il
modello di cyber-governance promosso dagli Stati Uniti, cosiddetto multi-stakeholder, centrato sul coinvolgimento di
tutti gli attori interessati (inclusi il settore privato e le organizzazioni non
governative),
è stato progressivamente messo in discussione da un gruppo di paesi non
occidentali, Russia e Cina in testa, fautori di un approccio multilaterale
strettamente intergovernativo.
Queste
tensioni, in parte riprodottesi anche all’interno delle Nazioni Unite con la
costituzione di due separati gruppi di lavoro (il GGE e l’OEWG), hanno portato a
una sostanziale impasse e alla conseguente frammentazione dei quadri normativi
adottati a livello nazionale e regionale in materia di cyber-governance.
Oltre
la dicotomia Occidente-resto del mondo.
A un
primo sguardo, questa frattura sembrerebbe riproporre anche nel cyberspazio una
più generale contrapposizione geopolitica tra due ‘blocchi’ – quello
occidentale e quello non-occidentale.
Si
tratta, in realtà, di una lettura semplicistica, che non tiene conto né delle
differenze di approccio all’interno di ciascuno dei due blocchi, né tantomeno
delle possibili direttrici di convergenza, come ben mette in evidenza lo
special core “Contesting Western and Non-Western Approaches to Global Cyber Governance
beyond Westlessness” curato da Xuechen Chen and Yifan Yang sul fascicolo 3/2022
di The International Spectator.
Secondo
i curatori, non vi è dubbio che, dal volgere del millennio, un numero crescente
di attori non-occidentali – dalla Cina ai paesi del Sud-est asiatico a quelli
dell’America latina – abbia dimostrato un crescente protagonismo in materia di
cyber-governance, mettendo in discussione i paradigmi in essere sulla base dei
propri interessi, valori, storie e sensibilità.
In
questo senso, stiamo assistendo a un processo di diffusione di conoscenza e di
redistribuzione di potere a relativo svantaggio del Nord globale. Allo stesso tempo, tuttavia, nuovi
attori sono emersi anche all’interno del mondo occidentale: primo fra tutti,
l’Unione Europea, che ha saputo delineare una propria visione di cyber-governance
capace di suscitare attenzione e interesse anche fuori dall’Occidente.
Ue,
Cina e Asean.
Uno
dei concetti emergenti nel dibattito europeo sulla cyber-governance è quello di
“sovranità digitale”:
un’espressione
che rimanda alla capacità dell’Unione di agire in maniera indipendente nel
mondo digitale, sia nell’ottica di garantire ai cittadini europei il controllo
sui loro dati anche quando questi siano forniti ad aziende non europee, sia per
promuovere innovazione digitale e colmare così il crescente gap nei confronti
di Usa e Cina.
In
questo senso, come evidenzia Xinchuchu Gao, l’approccio europeo potrebbe essere
il punto di partenza per una mediazione tra il modello statunitense e quello
cinese, quest’ultimo anch’esso fortemente centrato sul principio di sovranità,
declinato però soprattutto in termini di sicurezza nazionale e controllo
governativo sul cyberspazio.
Un
processo di scambio di conoscenza e diffusione di best practice è già ben
rodato tra l’Ue e un’altra importante organizzazione regionale, l’Asean, anche attraverso meccanismi dedicati,
quali l’Eu–Asean
Regional Dialogue Instrument.
L’associazione
dei paesi del Sud-est asiatico ha mostrato particolare attenzione non solo per
gli indicatori di misurazione dell’economia digitale introdotti dall’Ue, ma
anche per le policy adottate da Bruxelles in materia di protezione dei dati.
L’Unione, per parte sua, ha manifestato interesse verso i forum dell’Asean
specificamente dedicati alla cybersicurezza, come gli Asean Regional Forum’s
Inter-Sessional Meetings on ICT Security.
A
detta di Chen e Yang, queste forme di cooperazione interregionale tra Ue e
Asean potrebbero rappresentare un ponte per superare le tensioni e le
incomprensioni in ambito cyber tra paesi occidentali e non.
Nuovi
attori, vecchi paradigmi.
Oltre
alle organizzazioni regionali, anche alcuni paesi classificabili come medie
potenze possono contribuire a far procedere il dialogo sulla cyber-governance
globale oltre gli steccati esistenti.
È questo il caso, secondo Saeme Kim, della Corea del
sud e di Singapore. In linea di principio, entrambi i paesi sostengono un
approccio inclusivo e multi-stakeholder, senza però che questo si traduca in
un’adesione acritica alle posizioni statunitensi. Singapore, in particolare, ha
contribuito in maniera costante a stimolare il dibattito su principi, norme e
standard di cyber-governance all’interno dell’Asean, promuovendo un maggior
coordinamento tra gli stati membri. La Corea del sud ha dimostrato un
approccio flessibile e pragmatico all’interno dei forum internazionali,
focalizzando i propri sforzi su iniziative volte a superare il digital divide e
a favorire il capacity-building digitale nei paesi emergenti.
L’approccio
tradizionale centrato sul capacity-building, in ogni caso, non è scevro di
aspetti problematici, come scrive Louise-Marie Hurel. Anche in materia di
cybersicurezza, il concetto di ‘capacity’ spesso si associa all’adozione di
modelli e indici di ‘maturità’ definiti nel Nord globale e trasferiti e
riprodotti acriticamente nei paesi del Sud del mondo.
Dietro
a forme di assistenza apparentemente ‘tecniche’ e ‘neutrali’ si celano in
realtà precisi paradigmi politico-economici: la priorità finisce così per essere
attribuita a quelle che sono considerate le minacce principali dalle – e per le
– cyber-potenze più avanzate, ignorando le specificità dei paesi emergenti.
Una
possibile alternativa è quella di individuare nuove forme di cooperazione, che
prevedano il coinvolgimento delle organizzazioni regionali e forme di scambio
Sud-Sud o secondo una logica triangolare, in modo da elaborare strategie e
modelli di cybersicurezza più adeguati ai bisogni delle ‘non-cyber-potenze’ del
Sud globale.
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