RITIRARE LE SANZIONI.

 RITIRARE LE SANZIONI.

 

Ritirare le sanzioni alla Russia.

Lo dice addirittura Luttwak,

il falco dei falchi USA.

Visionetv.it- Giulia Burgazzi- (30 Agosto 2022) – ci dice:  

 

L’Occidente ha sbagliato tutto con la Russia. Bisogna ritirare le sanzioni, che non la danneggiano e che sono controproducenti per l’Europa. È il senso della sorprendente raffica di tweet sparata ieri, lunedì 29, da Edward Luttwak, un maître à penser della geopolitica statunitense organico al Governo USA.

Non è l’unico a pensare che la strategia dell’Occidente sia, diciamo, piuttosto miope e col fiato ormai corto. Lo sostengono in questi giorni anche gli articoli di autorevoli testate internazionali secondo i quali è in via di esaurimento la capacità occidentale di offrire appoggio all’Ucraina. Le armi e gli aiuti di ogni tipo all’Ucraina sono stati finora, insieme alle sanzioni, il pilastro della politica occidentale. Ma il Wall Street Journal avverte che, a furia di armare l’Ucraina, gli Stati Uniti stanno impoverendo i loro arsenali: gli stock di determinati caricatori sono già ridotti in modo preoccupante.

Secondo il Times, la Gran Bretagna è in una situazione analoga e forse peggiore: sta finendo le armi e con la fine di quest’anno troverà complicato anche offrire altri soldi.

(farsnews.ir-29 agosto 2022- riassunto:

Rapporto: il Regno Unito finirà le armi, i fondi per l'Ucraina entro la fine del 2022.

Il Regno Unito sta esaurendo le armi da inviare in Ucraina e non sarà in grado di fornire assistenza finanziaria per le esigenze militari di Kiev entro la fine del 2022, ha riferito il Times citando una fonte anonima del Ministero della Difesa.

Mentre il conflitto in Ucraina non mostra segni di fine, i pianificatori politici di Whitehall sono stati costretti ad ammettere che sono "su questo treno ora, e non c'è modo di scendere", hanno affermato le fonti del giornale.

Questa situazione minaccia di mettere il nuovo primo ministro, chiunque prenderà il seggio dopo le elezioni per la leadership dei Tory, in una posizione difficile, ha osservato il Times.

"Il nuovo primo ministro affronterà molto presto la questione se impegnare miliardi di sterline di sostegno aggiuntivo in un momento in cui le finanze pubbliche sono sotto intensa tensione", ha sottolineato.

Secondo il vicepresidente del Royal United Services Institute ed ex consigliere per la sicurezza nazionale della Gran Bretagna, Lord Ricketts, Londra si è trovata in questa situazione perché era convinta di fare la chiamata giusta impegnandosi in aiuto all'Ucraina e non considerando le implicazioni a lungo termine.

Ha sottolineato che esiste un "consenso nazionale abbastanza superficiale" sul fatto che il Regno Unito abbia fatto bene a sostenere l'Ucraina all'inizio dell'operazione militare speciale russa, ma nessuno si è preoccupato di porre la domanda se il paese può resistere agli eventi che potrebbero seguire.

"Questo non è probabile che finisca in una sorta di sconfitta in stile 1945 per [il presidente Vladimir] Putin e la Russia. Non c'è via d'uscita se non quella di costruire militarmente gli ucraini e sperare che qualcosa accada. Non c'è un vero pensiero a lungo termine su dove stiamo andando. Può andare avanti all'infinito? Dove vediamo questo venire fuori?" Lord Ricketts si chiedeva. Allo stesso tempo, i comuni britannici, che a febbraio e marzo sono stati galvanizzati per offrire aiuto ai rifugiati ucraini e hanno sostenuto con entusiasmo le sanzioni britanniche contro la Russia, stanno iniziando a sentire il pizzico delle loro azioni, con conseguente ciò che il giornale ha chiamato "stanchezza ucraina".

Una delle loro maggiori preoccupazioni è il prezzo del gas e dell'elettricità. Il regolatore nazionale Ofgom ha annunciato all'inizio di questa settimana un aumento dell'80% del tetto dei prezzi dell'energia, un limite al prezzo di un'unità di gas ed elettricità. Ciò ha fatto seguito a un aumento simile in aprile.

Mentre alcuni britannici interpellati dal giornale hanno detto che credevano di dover soffrire e sopportare i problemi economici causati dal sostegno occidentale all'Ucraina e dalle sanzioni anti-russe, altri temevano che il sostegno a Kiev potesse essere andato troppo oltre.

"Sostengo l'armamento dell'Ucraina, ma sono assolutamente terrorizzato dal prezzo del gas [...] Penso che siamo stati un po' colpevoli di glorificare eccessivamente gli ucraini", ha detto al Times Karine Hyde, 59 anni, responsabile dello studio medico.

I sondaggi d'opinione nel Regno Unito mostrano anche una riduzione del sostegno alla pressione anti-russa occidentale. All'inizio dell'operazione militare speciale russa, un sondaggio YouGov ha mostrato che il 48% dei britannici sosteneva l'idea di sanzioni anti-russe anche se portavano a bollette energetiche più elevate, mentre il 38% si opponeva alla mossa. Ora, solo il 38% li sostiene, mentre la maggioranza ritiene che non valga la pena le conseguenze.

Il Regno Unito è secondo solo agli Stati Uniti in fondi spesi per l'invio di armi in Ucraina con 4,37 miliardi di dollari stanziati a tale scopo. Nel frattempo, i suoi cittadini attendono una misura governativa per contenere la grave impennata dei prezzi dell'energia. Il primo ministro britannico Boris Johnson ha regolarmente visitato Kiev e incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e spesso promette di inviare più armi.

La Russia ha ripetutamente condannato la pratica dell'Occidente, sottolineando che incoraggia Kiev a ignorare i percorsi diplomatici per risolvere il conflitto. Da quando le armi hanno iniziato ad arrivare in Ucraina, Kiev ha interrotto i negoziati con la Russia e i suoi funzionari hanno iniziato a sostenere che porranno fine alle ostilità solo quando le forze russe saranno espulse da parti dell'Ucraina, del Donbass e della Crimea.)

Ma la cosa più sorprendente sono i tweet di Luttwak. Non è un esperto qualsiasi di geopolitica. Fa parte del Center for Strategic and International Studies, importantissimo centro di studi e analisi internazionali con sede a Washington, ed è, o è stato, membro del Consiglio di sicurezza USA nonché consulente del Governo.

È il falco dei falchi, Luttwak. Vuole la vittoria piena degli Stati Uniti: pardon, dell’Ucraina. Fa l’elenco degli errori solo affinché siano raddrizzati. A prescindere da questo suo punto di vista, i suoi tweet mettono autorevolmente in luce le balle (“le sanzioni sono devastanti per Putin”) finora raccontate da politici, governi, Unione Europea e giornaloni.

Innanzitutto, Luttwak constata che non è possibile piegare la Russia con le sanzioni perché è autosufficiente quanto a cibo ed energia: le sanzioni la inducono solo alla rappresaglia. Ovvero, a tagliare il gas all’Europa e a innescare il rincaro folle dell’energia che sta mandando a gambe all’aria il continente. Meglio ritirare le sanzioni e aiutare di più l’Ucraina, sostiene: anche se Wall Street Journal e Times hanno appena scritto che è sempre più difficile continuare a farlo.

Luttwak sbugiarda anche la teoria secondo la quale le sanzioni finanziarie avrebbero messo KO la Russia. Ne fu artefice Draghi, e se lo tenga per detto: per fare una guerra non serve valuta straniera.

La bordata finale è per l’UE, che sta meditando di sanzionare ulteriormente la Russia attraverso lo stop ai visti turistici per l’ingresso in Europa. Non vede che anche questo spinge i russi a stringersi intorno a Putin?  Osserva Luttwak, che di nuovo invoca il ritiro delle sanzioni.

Luttwak, il falco dei falchi statunitense, vorrebbe la vittoria dell’Ucraina e la restaurazione di un ordine mondiale sul quale regnano gli Stati Uniti.

 Non si può pretendere che prenda atto del nascente ordine multipolare.

Mostra comunque gli errori di una politica statunitense che causa fra l’altro l’impoverimento dell’Europa e mostra come i leader UE stiano comportandosi da servi compiacenti e sciocchi: compreso Draghi, il cosiddetto migliore.

È moltissimo, da uno come lui.

(GIULIA BURGAZZI).

 

 

Putin è abbastanza forte da

mettere lui le sanzioni: da

oggi taglia il gas a Italia e Germania

visionetv.it- Giulia Burgazzi- (15 Giugno 2022) – ci dice:

 

Era nell’aria, era nei numeri. Tagliando il gas all’Europa, la Russia rinuncia ad un incasso relativamente modesto e sferra un colpo durissimo all’anello più debole del cosiddetto blocco occidentale. Oggi, mercoledì 15 giugno, il colosso russo Gazprom ha ridotto del 15% le forniture all’Italiana ENI.  Ieri, martedì, ha diminuito del 40% il volume del gas consegnato alla Germania: in teoria, perché le lungimiranti sanzioni occidentali impediscono la riconsegna di una turbina del gasdotto Nord Stream I, portata in Canada per la manutenzione e rimasta bloccata laggiù.

In pratica, Putin probabilmente ha colto al balzo la palla della turbina per compiere la prima mossa di una precisa strategia. È abbastanza forte per istituire egli stesso sanzioni contro chi ha cercato di sanzionarlo. Nell’UE, Italia e Germania sono i Paesi che più dipendono dal gas russo. Il colpo, oltre che durissimo, è anche ben mirato.

La Russia è sempre stato il maggior fornitore di energia per l’Unione Europea, così povera di risorse naturali. Le sanzioni occidentali sull’esportazione di combustibili fossili, istituite per danneggiare la Russia, fanno soffrire, e molto, l’UE. Però la Russia non soffre affatto, e anzi è ormai in condizione di, diciamo, ricambiare il favore.

La chiave di tutto è il prezzo di petrolio, gas, carbone. Erano rincarati già prima dell’inizio della guerra; sono andati alle stelle con le sanzioni. Vero che la Russia ora vende meno petrolio e meno gas, ma è altrettanto vero che, vendendoli, incassa ben più di prima: circa un miliardo di dollari al giorno, salute! contro i 650 milioni dell’anno scorso.

L’Italia, la Germania, l’intera Unione Europea al contrario sono particolarmente sofferenti a causa del rincaro dell’energia e delle materie prime.

Il gas russo, poi, è vitale per Germania e Italia: i maggiori clienti europei di Gazprom. Non a caso a Bruxelles non si è mai nemmeno parlato di istituire sanzioni sul gas russo. È impossibile trovare subito altro gas per sostituirlo, come insegna la vicenda del mitologico gas algerino per l’Italia. E ora è la Russia a chiudere i rubinetti.

Al contrario, per la Russia il mancato o ridotto incasso del gas europeo può essere sopportabile. Si calcola infatti che l’esportazione di gas consegnato via gasdotto costituisca poco meno di un quarto dei pingui proventi dell’esportazione di combustibili fossili. Di questo gas, una modesta parte (col relativo incasso) va alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia: 1300 miliardi di piedi cubici all’anno secondo l’unità di misura anglosassone, ovvero circa 37 miliardi di metri cubi. Nell’UE, fino a pochi mesi fa, arrivavano 155 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno.

Diminuire o addirittura bloccare le consegne a Germania, Italia ed eventualmente altri comporta per la Russia una perdita: ma non è una perdita grave. Inoltre la disperata ricerca di gas alternativo a quello russo farà prevedibilmente aumentare ancora il prezzo del gas.

La Russia va riducendo da tempo le consegne di gas ai Paesi dell’Unione Europea. Da diverse settimane ha chiuso il gasdotto Yamal, diretto in Germania attraverso la Polonia.

Ha chiuso il gas ai Paesi che rifiutano di pagarlo in rubli: Polonia, Bulgaria, Finlandia, Danimarca, Olanda. Peraltro, si tratta di clienti minori. Inoltre l’Ucraina, nella sua foga antirussa, ha bloccato una stazione di pompaggio da cui passa circa il 25% del gas russo che attraversa il suo territorio per raggiungere l’UE.

Ora il gasdotto Nord Stream I verso la Germania ha ridotto le consegne del 40%, e del 15% si riducono le consegne all’Italia. È ancora lontano l’inverno, quando il gas servirà anche per il riscaldamento: ma l’inverno si annuncia duro.

(GIULIA BURGAZZI)

 

 

 

 

Zelenskyy interviene al “World Economic

Forum”: tra nuove sanzioni alla

Russia e contrazione dei mercati.

Liucfinclub.com- Davide Crivellaro e Gianluca Salvagnini – (06 Giugno 2022) – ci dice:

 

Cos’è il World Economic Forum e di cosa ha trattato in questa edizione?

Nella settimana tra il 22 e il 26 maggio è andato in scena, come ogni anno, il Word Economic Forum, a Davos, nel Canton Ginevra in Svizzera.

Il Forum è stato ideato nel 1971 dall’economista Klaus Schwab e mira a coinvolgere i principali leader politici, economici, culturali della società per dare forma alle agende globali, regionali e del settore.

 I temi ricorrenti di questo summit riguardano principalmente le questioni urgenti che interessano l’intero Pianeta Terra, in particolare questioni in materia di salute, problemi sociali e ambientali.

Quest'anno i temi trattati durante questi 5 giorni sono stati molteplici.    In particolare, hanno incluso confronti sul ribilanciamento economico, sulle minacce di stagflazione date dalle risposte delle banche centrali all’aumento dell’inflazione, analisi legate alle tematiche ESG e alla sanità globale e alla contrazione della supply chain che minaccia l’intero Vecchio Continente.

Ovviamente però il focus non poteva che essere lo scenario di guerra russo-ucraino che si sta sviluppando alle porte dell’Europa dalla metà di febbraio.

 A tal proposito è infatti intervenuto, durante l’incontro del 23 maggio, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy tramite videochiamata.

 

Durante il summit di quest’anno la crisi geopolitica in corso ha permeato un gran numero di argomenti trattati, non solo per la crisi in sé ma anche per tutti gli effetti che ne stanno scaturendo.

 Un esempio è la contrazione dell’offerta di beni primari, situazione che sta facendo alzare notevolmente i prezzi già da qualche tempo, problema che non viene che peggiorato dall’aumento del tasso di inflazione.

 Secondo gli esperti presenti al WEF, tra cui David Beasley, capo del World Food Programme, i mesi che verranno saranno causa di forti squilibri all’interno dell’intera Europa.

 Questa crisi potrebbe anche distogliere l’attenzione da tematiche ESG legate al mondo dell’agricoltura e dell’approvvigionamento alimentare sostenibile, ritardandone l'efficientamento.

 

Un altro argomento di punta che viene ogni anno trattato in questo summit è legato alle problematiche legate al mondo green energy.

Quest’anno, come già detto, anche questo elemento è influenzato dal conflitto. Infatti, quest’ultimo sta facendo sì che gli stati mondiali ed in particolare europei, accelerino gli sforzi per allontanare l'Europa dal petrolio e dal gas russo.

Questo allontanamento repentino dalle suddette fonti energetiche potrebbe costringere entità come la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo a diventare un po' più creativa sul fronte delle energie rinnovabili, date le future esigenze infrastrutturali.

L’intervento di Zelenskyy al WEF.

A fare da cornice a queste tematiche è stato sicuramente l’intervento già sopra citato del presidente ucraino.

Nella seduta del 23 maggio è intervenuto con un discorso di grande impatto e forte peso morale, ha infatti ribadito come il suo paese non rinuncerà alla terra in cambio della fine della guerra con la Russia dopo la sua invasione.

Durante il discorso ha ammonito pesantemente le azioni del governo russo evidenziando la forza bruta senza precedenti che non fanno altro che richiamare alla memoria gli scontri bellici di 70 anni fa.

Oltre che riferirsi alle azioni russe, ha puntato il dito anche nei confronti degli stati che hanno offerto solo che indifferenza alla situazione attuale, esortandoli a porgere un aiuto più sostanzioso.

Toccando invece aspetti più legati ad una possibile ripartenza economica che al momento sembra essere un miraggio, Zelenskyy, ha invitato i paesi e le istituzioni presenti al WEF a donare aiuti attraverso un fondo istituito per ricostruire il paese. Il fondo ha attualmente collezionato 43 milioni di $, cifra irrisoria paragonata ai danni causati dalla guerra fino a questo momento, quantificati dallo stesso portavoce ucraino attorno al "mezzo trilione di dollari".

Il presidente ucraino per il suo paese chiede un futuro “di persone e imprese” e una “nazione moderna e sicura”, la ripartenza deve avvenire a partire dallo sblocco dei trasporti attraverso nodi commerciali strategici.

Stessi nodi commerciali che sempre secondo Zelenskyy dovrebbero essere negati alla Russia, portandola ad un’esclusione dai mercati, non solo europei, ma anche mondiali, in risposta alla suddetta ferocia e ingiustificabilità di un’azione così spregiudicata come la guerra.

Ma le sanzioni imposte alla Russia stanno funzionando?

Approfondendo le tematiche legate alle sanzioni che ha citato Zelenskyy durante il summit e la loro effettiva efficacia, evidenziamo come gli Stati Uniti, così come gli stati europei, stanno adottando sempre più misure finanziarie per evitare conflitti militari.

 L’impatto di queste sanzioni è difficile da prevedere in quanto sono in grado di portare ad effetti collaterali indesiderati, come ad esempio alta inflazione, contrazione dell’offerta e in generale dinamiche economiche avverse.

 Colpire duramente la Russia, essendo un grandissimo esportatore di materie prime, significa danneggiare, e non poco, anche la propria di economia, essendo figlia di un processo di globalizzazione che si appoggia ad una filiera produttiva ramificata che si serve di risorse dislocate in tutto il mondo.

Nella fattispecie per i Paesi Membri dell’Unione è complicato porre delle sanzioni in quanto la loro economia dipende in larga misura dal greggio prodotto dalla Russia, così come dai fertilizzanti, dal grano e dai metalli come nichel, platino e alluminio. La diretta conseguenza di queste sanzioni sarebbe una riduzione della fornitura di tali risorse con successivo aumento dei prezzi che verrebbe scaricato sui consumatori, proprio come sta accadendo in questo momento.

Anche se andando a sanzionare un Paese con cui si hanno rapporti commerciali si rischia di colpire marginalmente anche la propria economia, è altrettanto vero che il Paese sanzionato in questione, la Russia, subirebbe dei danni molto più ampi e verrebbe costretta a tagliarsi fuori dagli interscambi globali.

Ciò porterebbe non solo a danni tangibili nell’immediato ma anche a danni molto più importanti nel lungo termine. Paesi come la Russia quindi sono, almeno secondo quanto ci dice la storia, più propensi ad accettare tali sanzioni, soprattutto perché, essendo imposte da molti paesi, rischierebbero di diventare paralizzanti.

Sono un esempio il boicottaggio globale del Sud Africa negli anni '80 ha contribuito allo smantellamento della sua politica di apartheid razzista e le misure globali contro l'Iran che hanno compresso la sua economia e spinto i suoi leader a tornare ai colloqui portando ad una limitazione dei piani nucleari del paese.

Cosa aspettarsi dai prossimi mesi.

Basandoci su quanto riporta l’intelligence americana e britannica, Putin ha tre possibili scelte: continuare a bombardare le città spezzando ogni forma di resistenza, aspettare rinforzi e riprendere l’offensiva per il logoramento o arrivare alla terza ed ultima scelta, quella più improbabile, ovvero arrivare ad un accordo di negoziati con le due parti di mediazione Israele e Turchia.

Per i maggiori esponenti dell’economia globale presenti a Davos, le implicazioni del conflitto sono sia immediate che a lungo termine. Secondo quanto riportato dal Financial Times, uno dei massimi esponenti dell’industria energetica presente al summit, ha affermato come tra solo un anno l’Unione Europea potrà essere indipendente dal gas russo.

 Il rovescio della medaglia però, è l’aumento dei prezzi del cibo fortemente dipendenti dalla Russia e Ucraina per la produzione del grano. Il già citato nel primo paragrafo David Beasley, ha affermato in un panel che se il porto ucraino di Odessa non dovesse riaprire nelle prossime settimane potremmo andare incontro a carestie.

Gli Stati Uniti al tempo stesso stanno considerando potenziali sanzioni verso la Cina, questo dovuto anche alle scelte di Pechino di acquistare petrolio russo e dunque indirettamente finanziare questa campagna di guerra lanciata da Mosca.

 Il focus dei prossimi mesi sarà proprio sul funzionamento delle sanzioni imposte dagli stati occidentali. Nel caso fosse positivo affermerebbe come il mondo sia ancora governato dagli Stati Uniti, se invece non dovessero funzionare, si correrebbe il rischio di una creazione ancora più accentuata di due fazioni economiche sconnesse tra di loro che si spartiscono il controllo dell’economia globale.

 

 

 

Davos 2022, nuovi scenari

nell’incontro del World Economic Forum.

Avantionline.it- SALVATORE RONDELLO – (24 MAGGIO 2022) – ci dice:  

Domenica è iniziato a Davos, in Svizzera, l’incontro annuale del World Economic Forum, una fondazione senza fini di lucro con sede a Ginevra.

Riunisce tutti gli anni politici e imprenditori delle più importanti aziende del mondo, per parlare di economia e società.

Quest’edizione del Forum si svolge nuovamente di persona dopo la pandemia. In ritardo rispetto all’usuale incontro previsto a fine gennaio a causa dell’arrivo della variante omicron che ha costretto gli organizzatori a rimandare, arriva in un momento cruciale della storia del mondo.

Questa edizione del Forum di Davos, si riunisce in un mondo molto cambiato rispetto all’ultima edizione, nel gennaio del 2020: a causa della pandemia, e soprattutto a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, che sta mettendo in discussione molti dei princìpi su cui il Forum si basa, come la globalizzazione e i liberi commerci.

Per la prima volta dal crollo dell’Unione Sovietica, per esempio, a quest’edizione non parteciperà nemmeno un politico o un imprenditore russo.

Guardando il programma, il Forum di Davos non è molto diverso da com’era prima della pandemia. Domenica, la giornata è stata dedicata soprattutto all’accoglienza degli ospiti, e le attività sono iniziate da lunedì con conferenze, convegni e panel in cui si alternano personaggi più o meno famosi, dai capi di stato agli imprenditori miliardari, a giornalisti ed esperti meno noti. Delle 2.500 persone invitate a parlare al Forum, 50 sono capi di stato e di governo, e oltre 250 i ministri provenienti da tutto il mondo.

La prima differenza fondamentale sarà la completa assenza di russi e russe all’evento. Il presidente russo Vladimir Putin è stato un ospite frequente a Davos (l’ultima volta nel 2021, quando l’evento si tenne in streaming) e l’influenza dei miliardari e degli imprenditori russi è sempre stata piuttosto notevole al Forum, e non soltanto perché, come nota Bloomberg, le feste notturne degli oligarchi erano tra le più ricche, stravaganti e ambite.

Ancora l’anno scorso Klaus Schwab, fondatore e tuttora organizzatore del Forum, definiva ‘essenziale’ la voce di Vladimir Putin, ed era un forte sostenitore del fatto che il dialogo con l’élite russa fosse necessario per porre le basi di un mondo più ricco e pacifico.

Ma dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Schwab e gli altri organizzatori hanno deciso di escludere tutti gli ospiti russi dall’evento. Benché la decisione sia ampiamente giustificata, è per molti versi una grossa sconfitta per il Forum di Davos, la cui filosofia si basa sul fatto che la comunicazione tra leader politici ed economici, lo scambio di idee, l’interdipendenza e i liberi commerci siano la chiave per un mondo più prospero e pacifico.

La pandemia ha iniziato a dare nuova forma al pianeta, portando alla luce problemi e urgenze. Ma il Covid, non ancora debellato del tutto, basta guardare gli eventi cinesi, è stato il preludio di cambiamenti epocali. Il quadro attuale è composto da una guerra in Europa, una crisi energetica senza precedenti con la transizione green che pressa i leader globali, una globalizzazione distrutta, un clima di contrapposizione fra grandi potenze come Usa, Cina, Russia, un’inflazione ai massimi nel mondo.

Per questo, il World Economic Forum Annual Meeting 2022 di maggio, si riunisce nel momento geopolitico e geoeconomico più consequenziale degli ultimi tre decenni e sullo sfondo di una pandemia irripetibile.

La settimana fitta di incontri e sessioni di dibattito, che si svolgerà come di consueto nella cornice della cittadina svizzera di Davos dal 22 al 26 maggio, ha questo filo conduttore: “La storia a un punto di svolta: politiche governative e strategie di business.”

Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Forum ha spiegato perché questa straordinaria edizione primaverile è importante: “C’è la guerra in Ucraina, innanzitutto. E poi, è la prima riunione faccia a faccia dopo quella che tutti speriamo sia la fine della catastrofe sanitaria più significativa degli ultimi 100 anni, la pandemia di Covid che ha causato 15 milioni di morti secondo l’OMS. Inoltre, la crisi climatica è sempre più urgente e richiama a interventi condivisi e repentini. Sullo sfondo, la nostra economia globale è sbilanciata. C’è troppo debito, troppa inflazione, troppa disuguaglianza e crescita insufficiente.”

In questo complesso scenario, i temi del World Economic Forum sono otto: clima e natura; economie più giuste; tecnologie e innovazione; lavori e competenze; migliorare gli affari; salute e sanità; cooperazione globale; società ed equità.

In questa edizione con un collegamento online speciale è intervenuto il presidente ucraino Zelensky.

Tra gli ospiti: il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il premier spagnolo Pedro Sanchez, il presidente israeliano, Isaac Herzog, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, Paolo Gentiloni, la presidente della Bce, Christine Lagarde, l’inviato speciale per il clima del presidente Usa, John Kerry e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.L’Italia è rappresentata da diversi ministri, quali: Daniele Franco per l’economia, Roberto Cingolani per la transizione ecologica, Vittorio Colao per l’innovazione tecnologica e transizione digitale, Enrico Giovannini per le infrastrutture e mobilità sostenibile.

Anche i manager delle società nazionali di punta sono a Davos, come Andrea Illy (Illycaffè), Paolo Merloni (gruppo Ariston), Silvia Merlo (Saipem), Domenico Siniscalco (Morgan Stanley), Stefano Scabbio (gruppo Manpower), Francesco Starace (Enel), Andrea Sironi (Generali).

Il New York Times ha scritto: “Più in generale, molti dei princìpi di cui Davos è stato per anni il simbolo, come globalizzazione, liberalismo, capitalismo di mercato, democrazia rappresentativa, sembrano essere sotto attacco”.

La pandemia ha portato molti governi ad adottare politiche isolazioniste, tanto che certi paesi, alcuni dei quali fondamentali per l’economia mondiale, come la Cina, sono di fatto chiusi da due anni ai visitatori dall’estero. La crisi dei commerci globali ha messo in seria difficoltà tutto il sistema della globalizzazione su cui si basa l’economia del mondo. Come ha notato l’Economist, inoltre, la pandemia è coincisa con una crisi gravissima della democrazia globale, con molti paesi che sono diventati autoritari e altri in cui le libertà si sono ristrette. Ma questa è una conseguenza naturale a cui ha portato il cosiddetto neoliberismo.

La guerra in Ucraina ha amplificato tutti questi fenomeni e li ha resi più evidenti e complicati. In un’intervista al New York Times, Schwab ha detto: “Viviamo in un mondo differente. Anche quando ci trovammo l’ultima volta nel 2020 avevamo molte gravi preoccupazioni. Ma ora abbiamo due eventi ulteriori la pandemia e la guerra, che hanno davvero accelerato la serietà della situazione”.

Tutti questi fattori potrebbero rendere il Forum di Davos differente dalle edizioni degli anni passati. Børge Brende, presidente del World Economic Forum, in un video pubblicato dall’organizzazione, ha spiegato che è da decenni che non assistiamo a così tanti “rivolgimenti geopolitici e geoeconomici”.

Da molto tempo il Forum è criticato come un consesso di persone ricche, potenti e famose che fanno grandi propositi ma poi non concludono niente. Qualche anno fa è stato anche inventato il termine, uomo di Davos (Davos man), per indicare i miliardari che partecipano al Forum, parlano di ambiente, giustizia ed eguaglianza ma poi nella loro attività quotidiana sono una delle cause principali di diseguaglianza e discriminazione.

Da anni, inoltre, il Forum di Davos è considerato meno influente, soprattutto per la sua impostazione tutta incentrata sul modello politico ed economico dell’Occidente, benché nel mondo i paesi che non adottano questo modello, o che lo contrastano attivamente come la Cina, stiano assumendo sempre più importanza.

Come ha detto lo stesso Schwab, stiamo assistendo alla frammentazione del mondo. Nonostante ciò, il Forum di Davos non perderà necessariamente importanza e centralità.

L’apertura è stata affidata all’intervento in videoconferenza del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Primo tra i capi di Stato a prendere parola, Zelensky è stato accolto da un lungo applauso dei presenti. Nelle sue parole di riferimento al dramma che vive l’Ucraina, ha detto: “La guerra deciderà se la forza bruta può governare il mondo. Se così fosse non ci sarebbe bisogno di ulteriori incontri a Davos perché non ci sarebbe motivo per questo. La forza bruta non discute”. 

Zelensky ha chiesto poi il massimo delle sanzioni contro la Russia per fermare l’aggressione, tra cui un embargo sul petrolio, il blocco di tutte le banche e l’interruzione totale degli scambi commerciali con la Russia. Zelensky ha inoltre affermato che il suo Paese ha rallentato l’avanzata russa e che il coraggio del suo popolo ha suscitato un’unità mai vista nel mondo democratico.

Zelensky ha aggiunto: “Serve sbloccare i nostri porti sul Mar Nero. Bisogna usare tutti i canali diplomatici, perché da soli non possiamo lottare contro la Russia. Noi parliamo con la Commissione europea, il Regno Unito, la Svizzera, la Polonia, e l’Onu e chiediamo loro di prendere misure per un corridoio per l’export del nostro grano e dei cereali, altrimenti la penuria avrà effetti sul mondo e ci sarà una estensione della crisi energetica e, persino, della crisi alimentare. Offriamo al mondo la possibilità di creare un precedente per ciò che sta accadendo quando si tenta di distruggere un paese vicino. Vi invito a prendere parte a questa ricostruzione. Avremo bisogno di ricostruire tutto, le città grandi e quelle piccole, i paesi, i villaggi. Ci sarà bisogno dei migliori architetti, dei migliori ingegneri, dei migliori operati. C’è bisogno di voi. Grazie alla Svizzera, perché organizza il Forum di Davos e perché, a Lugano, in luglio, ospiterà l’Ukraine Recovery Conference. Io sono riconoscente al mondo, a tutti voi, ci avete aiutato e che ci state aiutando: non perdete questo sentimento di unità, è il segno della forza che i russi temono”.

Sempre sul tema dell’Ucraina, al Forum segue una sessione dal titolo Spirito di resilienza: voci ucraine in cui parteciperanno cinque parlamentari ucraini, tra cui il vice premier e ministro dell’Economia, Yuliia Svyrydenko. Ma saranno decine nei prossimi giorni le sessioni in cui si discuterà della guerra, tanto dal punto di vista degli scenari geopolitici in mutamento, quanto da quello delle conseguenze del conflitto sull’economia a livello globale.

Spazio nel summit anche per i temi di clima e transizione energetica.

Il programma prevede infatti sei pilastri tematici: promuovere la cooperazione globale e regionale; assicurare la ripresa economica e dare forma a una nuova era di crescita; costruire società sane ed eque; salvaguardare il clima, il cibo e la natura; guidare la trasformazione industriale; sfruttare il potere della Quarta Rivoluzione Industriale. Il focus sarà quindi anche sull’impennata dei prezzi dell’energia e della minaccia di una crisi alimentare mondiale. E non mancheranno discussioni e riflessioni su parità di genere, diseguaglianze, necessità di creare posti di lavoro correttamente retribuiti.

Come ogni anno dalla sua istituzione per idea di Klaus Schwab, l’evento di Davos sarà anche un’occasione per far incontrare le diplomazie e affrontare questioni delicate. Una opportunità fondamentale in questo tempo di guerra.

Riusciranno gli uomini di Davos a risolvere i problemi del mondo: fame, clima, guerre che affliggono l’umanità? Auspichiamo che alle parole seguano i fatti dove la pace e un’equa distribuzione della ricchezza sono essenziali.

(Salvatore Rondello)

Solo Draghi premier

non ci farà affondare?

Starmag.it- Riccardo Ruggeri – (4 settembre 2022) – ci dice:

(Il Cameo di Riccardo Ruggeri)

Per quel che vale la mia analisi (in concreto, nulla) se non vogliamo affondare, noi cittadini comuni, europei, americani, cinesi, BRICST +, dobbiamo chiedere a P. e a Z. di cessare le loro ostilità in Ucraina da subito.

Sappiamo chi è l’aggressore e lo condanniamo. Sappiamo chi è l’aggredito e lo aiuteremo a ricostruire.

Ma le leadership non russe e non ucraine devono ricordare che politica estera significa fare gli interessi supremi e vitali dei rispettivi Paesi. E questi, oggi, pare non coincidano più né con quelli nobili dell’aggredito né con quelli ignobili dell’aggressore.

Nessun Paese può permettersi questa guerra, apparentemente regionale, in realtà globale, per un motivo banale: “costa” troppo, e i nostri cittadini non sono più disposti a farsene carico.

Ignobile in termini etici, ma umanamente comprensibile, specie se sei povero. In sei mesi, abbiamo distrutto gran parte del nostro patrimonio e penalizzato il nostro stile di vita. Un esempio: quest’inverno, il combinato disposto freddo-povertà indotta-residui della pandemia, farà in Italia una strage di vecchi e di fragili, devasterà definitivamente il Servizio Sanitario, confermerà la crescita drammatica dei poveri assoluti e dei poveri semplici.

Il Consolato Draghi ha dimostrato che solo un “Padrone”, riconosciuto da tutti come tale, può gestire una crisi drammatica, alla quale il modello CEO capitalism ha dato un contributo determinante attraverso le sue leadership di secondo livello. Queste si sono rivelate chiaramente unfit nell’execution. (cfr. The Economist)

In primavera, i leader del G7 (dove Mario Draghi giganteggiò) presero tre decisioni strategiche:

1) Imporre sanzioni feroci;

 2) Applicare lo SWIFT;

 3) Mandare armi pesanti in Ucraina.

I loro collaboratori, nella fase di execution, le sbagliarono però quasi tutte.

La scelta tecnica e le modalità operative delle sanzioni sono state gestite dagli staff in modo imbarazzante, creando addirittura un effetto boomerang sui cittadini europei, in particolare tedeschi e italiani (cfr. The Economist).

Sia chiaro: nessun complotto, nessun Grande Reset del chiacchierato Klaus Schwab (costruttore di bombe atomiche in Sud Africa, Ndr) si è trattato di semplice incompetenza e inettitudine dei funzionari europei in sede di execution.

Se il 25 settembre i sondaggi attuali dovessero diventare schede, le “Destre” vincerebbero, si candiderebbero a governare il Paese con Giorgia Meloni.

Da apòta, che voterà orgogliosamente “scheda bianca”, e da esperto di “contro intuizione”, suggerisco alle “Destre” di fare invece, in termini strategici, il nome di Mario Draghi come Premier, invitandolo a lavorare per far finire la guerra, o quantomeno congelarla. Perché proprio lui?

Primo. Lui ha posto una domanda chiara a noi cittadini: “Pace o condizionatori?”. Conosce i nostri bisogni, di certo avrà capito come la maggioranza silenziosa del paese la pensa, quindi sa cosa fare, senza creare fratture nel paese.

Secondo. Con un modello politico, economico, culturale, dove tutto è regolamentato da leggi, protocolli, accordi istituzionali, scritti e pensati dai “Padroni”, dove il mitico “Pilota automatico” governa di fatto i 27 Paesi, dove il mitico “mercato” è devoto alla Bce e alla Fed, dove la mitica “stampa” è allineata culturalmente all’Establishment, la mossa Draghi, spiazzante per le élite, sarebbe risolutiva.

Certo, questo Cameo può apparire un cinico divertissement, ma questa è la vita vera, non quella sognata.

Fossi in lei, cara Meloni, prima di buttarlo nel cestino, un pensierino ce lo farei. Spero abbia capito, in tutti questi anni trascorsi nei Palazzi della politica, come con il modello CEO capitalism le parole democrazia e libertà abbiano significati, posture, suoni, nuance, mi permetta, odori, diversi, a seconda di chi le pronuncia.

Non conosco le sue idee, i suoi sogni politici, le sue qualità, ma vorrei prendesse atto che, con questo modello – che le assicuro è “blindato” – le sue possibilità di incidere nella carne viva delle riforme sono praticamente zero. Forse le potrebbero permettere una leggera panatura dei problemi, ma nulla di più.

E allora, mi creda, tanto vale proporre un personaggio come Mario Draghi, e poi fingere di controllarlo in Parlamento. Di certo Draghi, una persona perbene, sarà più umano del “Pilota automatico” e meno sgradevole della baronessa tedesca. E poi, mi creda, la nostra situazione di sudditanza atavica ai Padroni non cambierebbe, ma almeno avremmo un inverno meno gelido. Prosit!

(Zafferano.news)

 

 

 

Com’è cambiato il World Economic Forum.

Dealogando.com- Luca Guerrini-(24 Maggio 2022) -ci dice:

 

Il grande vertice tra i più importanti imprenditori e politici mondiali torna a svolgersi in presenza dopo due anni, ma la pandemia e la guerra in Ucraina hanno cambiato molti dei presupposti su cui si fondava l’evento svizzero.

Domenica 22 Maggio si è aperto ufficialmente a Davos, cittadina della Svizzera tedesca, l’incontro annuale del World Economic Forum, una fondazione senza fini di lucro con sede a Ginevra, celebre per l’alto prestigio delle persone che vi prendono parte; per cinque giorni riunisce politici e imprenditori delle più importanti aziende mondiali, per discutere di economia e società. Delle 2.500 persone invitate quest’anno, 50 sono capi di stato e di governo, e oltre 250 i ministri provenienti da tutto il mondo. Presente anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha parlato in collegamento da Kiev: uno dei temi principali è infatti il conflitto russo in Ucraina, al centro di decine di sessioni e incontri.

Cosa ha detto il presidente ucraino al Word Economic Forum.

Il presidente ucraino, che è stato accolto con un caloroso applauso, ha chiesto «sanzioni massime» contro la Russia, un «embargo completo sul petrolio» e che «tutte le banche russe siano escluse dai sistemi globali».

Zelensky non ha nascosto che «questo è il momento in cui si decide se la forza bruta dominerà il mondo. Se così accadrà, non avrà più senso organizzare raduni come quello di Davos». Il Forum di Davos torna infatti a riunirsi in un mondo profondamente cambiato rispetto all’ultima edizione, tenutasi nel gennaio 2020. La pandemia e la guerra in Ucraina stanno mettendo in discussione le fondamenta su cui lo stesso vertice si basava, cioè la globalizzazione e il libero commercio.

Il Forum di Davos prima e dopo la pandemia e con la guerra in Ucraina in corso.

La prima differenza dalle edizioni precedenti è la completa assenza di politici o imprenditori russi all’evento: lo stesso Putin era un ospite frequente a Davos e l’influenza dei miliardari e degli imprenditori russi è sempre stata notevole al Forum.

Fino all’anno scorso il fondatore e organizzatore dell’evento, Klaus Schwab, definiva «essenziale» la presenza del presidente russo, ritenendo che il dialogo con l’élite russa fosse necessario per porre le basi per un pianeta più prospero e in pace. Più in generale, ha scritto il New York Times, molti dei princìpi in cui il Forum di Davos per anni si è riconosciuto, come «globalizzazione, liberalismo, capitalismo di mercato, democrazia rappresentativa, sembrano essere sotto attacco».

La pandemia ha portato molti governi, come quello cinese, ad adottare politiche isolazioniste, e la crisi dei commerci globali ha messo in difficoltà quello stesso sistema basato sulla globalizzazione; la guerra in Ucraina ha amplificato questi fenomeni, rendendoli anche più evidenti a larghe fette di popolazione.

«Viviamo in un mondo differente», ha detto Schwab in un’intervista al New York Times. «Anche quando ci trovammo l’ultima volta nel 2020 avevamo molte gravi preoccupazioni. Ma ora abbiamo due eventi ulteriori [la pandemia e la guerra in Ucraina, ndr] che hanno davvero accelerato la serietà della situazione». Allo stesso modo si è espresso Børge Brende, presidente del Forum, spiegando che è da decenni che non assistiamo a così tanti «rivolgimenti geopolitici e geoeconomici».

Le critiche mosse al World Economic Forum.

Un’affermazione che verrà ricordata dell’edizione 2022 del vertice è quella del milionario Phil White: «L’unico risultato credibile per questo convegno sarebbe tassare le persone più ricche. E tassarci ora». White ha preso parte a una manifestazione di protesta contro i privilegi del cosiddetto “1 per cento” della popolazione mondiale; il consulente finanziario britannico è un membro dei Patriotic Millionaires, un gruppo di milionari che chiede che i governi del mondo impongano tasse più alte a chi è ricco come loro.

Un’altra critica mossa dall’interno al Forum di Davos è che sarebbe diventato negli anni sempre meno influente a causa del suo approccio fin troppo vicino allo schema politico ed economico dell’Occidente, benché nel mondo i paesi che non si rifanno a questo modello – o che lo contrastano apertamente (come la Cina) – stiano assumendo sempre più rilevanza e potere a livello mondiale.

Tutti questi fattori stanno contribuendo a rendere l’evento molto differente dalle edizioni a cui eravamo abituati. Sebbene il vertice non perderà necessariamente del tutto la sua importanza e credibilità da un anno all’altro, la pandemia e la guerra in Ucraina, in primis, hanno indubbiamente cambiato molti dei presupposti e delle previsioni ottimistiche su cui il Forum di Davos si basava.

 

 

 

Non è uno scherzo: il Forum di Davos

detta al mondo la dieta verde del futuro:

niente carne, ma bistecche sintetiche,

lenticchie e gombo.

 

Italiaoggi.it - Tino Oldani – (21-1-2022) - ci dice:

Pima di scrivere questa rubrica ero indeciso tra due temi: la ricetta napoleonica di Emmanuel Macron per il futuro dell'Europa, oppure la dieta verde che il Forum di Davos vorrebbe imporre al mondo intero?

Chiedo venia a chi non è d'accordo, ma il programma di Macron per il suo semestre di presidenza europea è pura propaganda politica in funzione della sua corsa all'Eliseo.

Giusti o sbagliati, gli obiettivi che ha indicato, dall'inserimento dell'aborto nella Carta dei diritti dell'Europa all'esercito europeo, di certo non saranno realizzati in sei mesi, ma richiederanno, se va bene, anni di negoziati faticosi tra i 27 paesi Ue.

E non è detto che, da aprile, all'Eliseo ci sarà ancora Macron a rappresentare la Francia. Così ho scelto di raccontare una novità apparentemente minore, ma più concreta: come e perché il Forum di Davos ha deciso di rendere di dominio pubblico la dieta verde che i più grandi miliardari del pianeta pensano di imporre in futuro al mondo intero, con il pretesto dell'ecosostenibilità.

(Ma Klaus Schwab - che è a capo di questi miliardari annoiati - non potrebbe finire la sua brillante vita e carriera …in una galera svizzera? Ndr)

Il Forum di Davos, per dire il vero, è inviso a molti per diversi motivi. Max Del Papa ha spiegato l'altro ieri su ItaliaOggi l'ipocrisia che ogni anno accomuna questo meeting di miliardari con il rapporto Oxfam, una multinazionale del bene, o presunta tale, che mentre afferma di difendere i poveri ci racconta ogni volta come i ricchi padroni di Amazon, Microsoft, Google, Facebook diventano sempre più ricchi, mentre il resto del mondo sprofonda nella miseria.

Una denuncia ripetitiva quanto sterile sulle diseguaglianze del capitalismo, di cui la stessa Oxfam in fin dei conti fa parte. C'è tuttavia un aspetto del Forum di Davos che merita attenzione: è il portavoce delle grandi multinazionali che governano a livello planetario, sovente più di molti governi, e ogni anno ne rivela le scelte strategiche, le quali incidono sulla vita di miliardi di persone.

 Basta leggere il saggio di Klaus Schwab, guru del Forum, sul Grand Reset del mondo post-pandemia, con i ricchi sempre più ricchi, osannati dai media mainstream, e tutti gli altri esseri umani ridotti a consumatori addomesticati, sempre più poveri, per i quali si prevede un reddito minimo universale come guinzaglio. E prendere atto che non si tratta solo di fantasie.

Per questo, se quest'anno il Forum di Davos indica quali sono i sette cibi che in futuro saranno su tutte le tavole del pianeta per sfamare miliardi di nuovi poveri, cibi ecosostenibili, la cui produzione non aumenterà le emissioni di CO2 e non danneggerà la Terra, è bene prenderne nota, anche se l'elenco può sembrare a dir poco ridicolo.

 Eccolo: alghe, lenticchie, spinaci, funghi, gombo (ortaggio noto anche come okra, coltivato nei paesi tropicali), fonio (cereale coltivato in Africa), moringa (rafano indiano).

 Confesso che fino a ieri non sapevo nulla del gombo, neppure che esistesse; idem per fonio e moringa.

Su Google, ho scoperto che il gombo è una specie appartenente alle malvacee, originaria dell'Africa e coltivata nei paesi caldi. Sembrano peperoni verdi a punta, ma non costano poco: 22 euro al Kg.

Imporne l'uso per sfamare i poveri sa di presa per i fondelli.                         Il fonio è un cereale di origine africana, della famiglia botanica del miglio, da cui si ricava la farina: in chicchi costa 18 euro al Kg, la farina 11 euro: prezzi in Italia. Quanto alla moringa, rafano coltivato in India e Pakistan, non ho trovato prezzi sul web, ma un avviso del ministero della Salute ai consumatori del 5 agosto 2021: le autorità tedesche hanno trovato la presenza di alti valori di ossido di etilene nei prodotti moringa polvere e moringa capsule, usati come integratori alimentari. Insomma, attenti a non avvelenarvi.

(Ma se Klaus Schwab-il dittatore di Davos – vuole applicare l’eutanasia all’umanità intera, per quale motivo non inizia a farne propaganda tra i suoi opulenti e ricchi schiavetti? Ndr)

La dieta verde del Forum di Davos, ovviamente, non poteva non tenere conto del fatto che Bill Gates, fondatore di Microsoft, da anni tra i filantropi più generosi, maggiore finanziatore privato dell'Oms (organizzazione mondiale della sanità) e donatore di milioni di vaccini anti-Cvid ai paesi più poveri, è un nemico giurato della carne bovina, nonché convinto sostenitore della carne sintetica biotech, detta anche carne etica.

 Tra i grandi miliardari, non pochi la pensano come Bill Gates, e come lui hanno acquistato negli Usa e in giro per il mondo enormi estensioni di terra coltivabile, da destinare a colture biologiche e ad allevamenti funzionali alla carne sintetica.

Da qui, ecco spiegata la guerra sempre più sistematica alla bistecca di carne tradizionale, con una motivazione ambientali a dir poco discutibile: gli allevamenti bovini provocherebbero un eccesso di CO2.

Per questo, la dieta verde del Forum è clemente solo con le bistecche sintetiche, prodotte in laboratorio come succedaneo delle cellule madri estratto dal tessuto animale. Oppure con quelle prodotte con l'utilizzo di insetti.

Di queste ultime avrete sentito parlare: l'Unione europea si è già messa su questa strada e nel maggio 2021 ha approvato la commercializzazione delle tarme da farina, definita «nuovo alimento» nell'ambito della strategia Farm to Fork (dal campo alla forchetta). Altri insetti, vivi o essicati, sono in lista d'attesa a Bruxelles, mentre in Italia la Coldiretti e l'intera filiera del cibo di qualità made in Italy si è ribellata, contrariata e inorridita. In Italia, per fortuna, nel mondo dei produttori agro-alimentari vi è un forte argine contro queste follie ammantate di verde, ma troppo debole in quello politico, come al solito distratto sulle questioni europee, salvo scoprirne l'importanza solo all'ultimo momento, quando è troppo tardi.

 

 

 

Il Forum di Davos conta sempre meno:

in passato era un'esibizione per miliardari

inconcludenti; ora rispecchia le fratture geopolitiche.

Milanofinanza.it- Tino Oldani – (24-5-2022) – ci dice:

 

Il numero degli invitati al Forum di Davos in Svizzera è sempre elevato: 2.500 da tutto il mondo, tranne che dalla Russia di Vladimir Putin, esclusa per punizione. Di questi invitati, 50 sono capi di Stato e di governo, altri 250 sono ministri. Gli altri sono manager a capo di grandi banche e di multinazionali che operano in settori strategici, più decine di miliardari che non disdegnano le luci della ribalta, tutti scelti con cura da Klaus Schwab (un po' matto, ndr) 84 anni, fondatore e organizzatore del Forum.

Nei suoi desideri, il Forum vorrebbe essere una sorta di Onu del mondo degli affari, che ogni anno dà la linea all'economia internazionale in base a due principi: globalizzazione e libertà dei commerci.

 Principi che, all'inizio della pandemia, lo stesso Schwab pose alla base di un cambiamento epocale, da lui battezzato Grand Reset:

 una quarta rivoluzione industriale basata su intelligenza artificiale, energie green, telelavoro e telemedicina, e destinata a consegnare ai capi della finanza mondiale e alle multinazionali over the top il vero governo del mondo, con un controllo totale su consumi, produzioni e benessere, in sostanza sul tenore di vita, la privacy e la libertà di miliardi di persone.

Quel sogno orwelliano, pensato da Schwab come un modello per l'Occidente, ma criticato da più parti per l'arroganza anti-democratica e anti-sociale, è stato rallentato nel suo divenire prima dalla pandemia e ora dalla guerra in Ucraina, ma non bloccato del tutto.

 Tanto è vero che il Forum torna a riunirsi nel tentativo di ridisegnare la linea da dettare al mondo, anche se con molta baldanza in meno rispetto al passato.

Da tempo, soprattutto negli ultimi tre mesi, la geopolitica mondiale è profondamente cambiata. Il mercato globale dei commerci si è ridotto, in parte non c'è più.

 E la guerra in Ucraina ha accelerato le fratture in aree geopolitiche con interessi divergenti, spesso contrapposte. La Russia di Vladimir Putin è ormai talmente isolata dal mondo occidentale che perfino Schwab non ha invitato a Davos neppure un oligarca o un politico russo, mentre in passato sosteneva la necessità di dialogare con Putin, più volte invitato a Davos, l'ultima nel 2021 in streaming. E gli inviti alle feste serali degli oligarchi erano molto ricercati.

Quanto alla Cina, che proprio grazie alla globalizzazione e alla libertà dei commerci è diventata la fabbrica del mondo ed è uscita dalla povertà fino a diventare la seconda potenza mondiale, sono sempre più evidenti i tratti dell'autocrazia: rifiuta il modello democratico occidentale e vi si contrappone, sfidando la supremazia degli Stati Uniti, dopo averne acquisito negli anni una quantità elevata di produzioni industriali strategiche, compreso il know-how tecnologico.

Da qui la risposta, a dir poco storica, di Janet Yellen, segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, che in un discorso al Consiglio Atlantico ha proposto non solo una nuova Bretton Woods e una riforma del Fmi e della Banca Mondiale, ma anche l'adozione del metodo “friend-shoring” nel commercio mondiale.

Un neologismo che pone fine al globalismo neoliberale per sostituirlo con un import-export basato sul «trasferimento amichevole delle catene di forniture a un gran numero di paesi fidati».

In buona sostanza, il passaggio a un'economia dove il libero scambio può essere davvero libero soltanto se svolto tra paesi che operano con valori condivisi. Una prospettiva che, però, non tutti accettano, Germania in testa.

Così non stupisce che il New York Times scriva che i principi dei quali il Forum di Davos è stato per anni un promotore, come «globalizzazione, liberalismo, capitalismo di mercato e democrazia rappresentativa, sembrano essere sotto assedio». Né che l'Economist ricordi che la pandemia ha portato con sé “una crisi molto grave della democrazia globale, per cui molti paesi sono diventati autoritari, mentre in altri le libertà sono state ridotte».

 Lo stesso Schwab ammette che «stiamo assistendo alla frammentazione del mondo».

E Borge Brende, presidente del World Economic Forum, nel video di presentazione dell'edizione di quest'anno, conviene che mai, finora, abbiamo visto così tanti «rivolgimenti geopolitici e geoeconomici».

È opinione diffusa che, proprio a causa delle fratture geopolitiche, il Forum di Davos conterà sempre meno, fino a giustificare chi lo considerava un'adunata mondiale di miliardari famosi, i quali discettavano dei destini del mondo, ma senza incidervi più di tanto, tranne che per i loro interessi personali.

Un aspetto, quest'ultimo, documentato in ogni edizione dal rapporto Oxfam sulla ricchezza dei miliardari, messa a confronto con la crescente povertà. Anche quest'anno i dati Oxfam, che si batte contro le povertà, confermano il solito divario: grazie alla pandemia, i ricchi sono diventati ancora più ricchi e numerosi, e i poveri sempre più poveri.

In breve: i miliardari nel mondo sono aumentati di 573 unità, salendo a un totale di 2.668 Paperoni, che posseggono una ricchezza netta pari a 12.700 miliardi di dollari, equivalente al 13,9% del pil mondiale, mentre era solo il 4,4% del Duemila. Le multinazionali di tre settori (energia, farmaceutica e alimentari) hanno fatto registrare negli ultimi due anni una crescita della loro ricchezza superiore a quella registrata nei 23 anni precedenti.

La famiglia Cargill, che con altre tre grandi imprese controlla il 70% del mercato agricolo globale, ha fatto profitti netti per 5 miliardi di dollari. Grazie ai vaccini, Pfizer e Moderna hanno realizzato mille dollari di utile al secondo, ricchezza rimasta in dote privata, pur avendo le stesse aziende ricevuto robusti finanziamenti pubblici per studiare il vaccino.

I poveri, invece, sono rimasti schiacciati dall'aumento del costo della vita. La soluzione? Oxfam (copiona?) propone ai governi di tassare gli extraprofitti per aiutare i poveri. Mario Draghi ci aveva già pensato.

 

 

 

Editoriale: L’Agenda del WEF e la visione

di Xi Jinping che sarà a Davos per offrire

una soluzione cinese all’economia mondiale

piena di pandemia e protezionismo.

Agenparl.eu- (15 Gennaio 2022) - Luigi Camilloni – (15-1-2022) – ci dice:

 

(AGENPARL) – Roma, 15 gennaio 2022 – L’ evento virtuale dell’Agenda di Davos offre la prima piattaforma globale del 2022 affinché i leader mondiali si uniscano per condividere le loro visioni per l’anno a venire.

L’evento virtuale della durata di una settimana, che si svolgerà sul sito Web del World Economic Forum e sui canali dei social media dal 17 al 21 gennaio 2022, vedrà la partecipazione di capi di stato e di governo, amministratori delegati e altri leader. Discuteranno le sfide critiche che il mondo deve affrontare oggi e presenteranno le loro idee su come affrontarle.

L’evento segnerà anche il lancio di numerose iniziative del Forum, compresi gli sforzi per accelerare la corsa all’azzeramento delle emissioni nette, garantire l’opportunità economica di soluzioni positive per la natura, creare resilienza informatica, rafforzare le catene del valore globali, costruire economie in mercati fragili attraverso investimenti umanitari, colmare il divario nella produzione di vaccini e utilizzare soluzioni di dati per prepararsi alla prossima pandemia.

“Tutti sperano che nel 2022 la pandemia di COVID-19, e le crisi che l’hanno accompagnata, inizino finalmente a recedere”, ha affermato Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum.

 “Ma ci aspettano grandi sfide globali, dal cambiamento del clima per ricostruire la fiducia e la coesione sociale.

(Quel porco di Klaus Schwab e i suoi sodali vorrebbero insinuare la pazza idea che il cambiamento climatico -dovuto alla CO2 -sia opera dell’uomo, ma così non è! Ndr)

Per affrontarli, i leader dovranno adottare nuovi modelli, guardare a lungo termine, rinnovare la cooperazione e agire in modo sistematico. L’Agenda 2022 di Davos è il punto di partenza per il dialogo necessario per la cooperazione globale nel 2022″.

Partecipanti all’Agenda 2022 di Davos.

I leader mondiali che pronunceranno discorsi speciali sullo “Stato del mondo” includeranno:

Narendra Modi, Primo Ministro dell’India

Kishida Fumio, Primo Ministro del Giappone

António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea

Scott Morrison, Primo Ministro dell’Australia

Joko Widodo, presidente dell’Indonesia

Naftali Bennett, Primo Ministro di Israele

Janet L. Yellen, Segretario del Tesoro degli Stati Uniti

Yemi Osinbajo, vicepresidente della Nigeria

Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese

Olaf Scholz, Cancelliere federale della Germania

Il programma vedrà anche relatori tra cui:

Tedros Adhanom Ghebreyesus , Direttore Generale, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

Fatih Birol , Direttore Esecutivo, Agenzia Internazionale per l’Energia

José Pedro Castillo Terrones , Presidente del Perù

Ivan Duque, presidente della Colombia

Anthony S. Fauci, Direttore, National Institute of Allergy and Infectious Diseases, National Institutes of Health degli Stati Uniti d’America

Yasmine Fouad, Ministro dell’Ambiente dell’Egitto

Kristalina Georgieva , Direttore Generale, Fondo Monetario Internazionale (FMI)

Alejandro Giammattei, Presidente del Guatemala

Al Gore, vicepresidente degli Stati Uniti (1993-2001) e presidente e co-fondatore, Generation Investment Management

Paulo Guedes, Ministro dell’Economia del Brasile

Paula Ingabire, Ministro dell’Informazione, delle Tecnologie della Comunicazione e dell’Innovazione del Ruanda

Paul Kagame, Presidente del Ruanda

John F. Kerry, inviato presidenziale speciale per il clima degli Stati Uniti d’America

Christine Lagarde, Presidente, Banca Centrale Europea

Guillermo Lasso, Presidente dell’Ecuador

Ngozi Okonjo-Iweala, Direttore Generale, Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)

Abdulaziz Bin Salman Bin Abdulaziz Al Saud, Ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita

Nicolas Schmit, Commissario per il Lavoro ei Diritti Sociali, Commissione Europea

François Villeroy de Galhau, Governatore della Banca Centrale di Francia

Sarah bint Yousif Al-Amiri, Ministro di Stato per la Tecnologia Avanzata, Ministero dell’Industria e della Tecnologia Avanzata degli Emirati Arabi Uniti

Carlos Alvarado Quesada, Presidente del Costa Rica, Ufficio del Presidente del Costa Rica

A tal riguardo da notare che il quotidiano comunista cinese Global Times ha pubblicato un articolo dal titolo «Xi per rivolgersi a Davos, offrire una soluzione cinese all’economia mondiale piena di pandemie e protezioniste», secondo il quale «lunedì il presidente cinese Xi Jinping parteciperà alla sessione virtuale del Forum economico mondiale di Davos del 2022 e fornirà osservazioni da Pechino tramite collegamento video. Gli osservatori hanno affermato che poiché il mondo è ancora una volta al bivio per affrontare il COVID-19, la Cina, con i suoi contributi alla prevenzione globale del COVID-19 e allo sviluppo economico stabile, potrebbe offrire approcci cinesi e saggezza non solo per la ripresa ma anche per resistere all’erosione del protezionismo e dell’unilateralismo».

Su invito di Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, Xi parteciperà all’evento lunedì, ha annunciato venerdì il portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying.

L’evento virtuale dell’Agenda di Davos si svolgerà dal 17 al 21 gennaio e vedrà la partecipazione di capi di stato e di governo, amministratori delegati e altri leader per discutere delle sfide critiche. L’evento segna il lancio di numerose iniziative del forum, tra cui gli sforzi per accelerare la corsa all’azzeramento delle emissioni nette, garantire l’opportunità economica di soluzioni positive per la natura, creare resilienza informatica, rafforzare le catene del valore globali, costruire economie in mercati fragili attraverso investimenti umanitari, creare un ponte il divario nella produzione del vaccino e utilizzare soluzioni di dati per prepararsi alla prossima pandemia, secondo un comunicato dal sito Web ufficiale.

Contro la dilagante diffusione della variante Omicron a livello globale, il mondo è ancora una volta al bivio. E mentre i leader mondiali si riuniscono per discutere delle sfide globali, vogliono ascoltare dalla Cina come il mondo può collaborare per combattere la pandemia di COVID-19, come stimolare l’economia globale e ridurre il divario di sviluppo e lo sviluppo dell’economia cinese, Su Xiaohui, vicedirettore del Dipartimento per gli studi internazionali e strategici del China Institute of International Studies, ha dichiarato al Global Times.

Su ha osservato che in precedenza, le osservazioni del leader cinese ai forum di Davos hanno sempre aiutato a dissipare le nuvole e ad offrire approcci e saggezza cinesi. Nel 2017, il discorso del presidente Xi, che ha sottolineato l’apertura della Cina al mondo, ha rafforzato la fiducia globale nella globalizzazione e nel futuro.

Nel 2021, mentre il mondo stava ancora combattendo il coronavirus ed era minacciato dal protezionismo, il presidente Xi ha anche espresso un severo ripudio in molte importanti questioni multilaterali di tattiche di bullismo, pregiudizio ideologico e odio, nonché disaccoppiamento economico e sanzioni, che ha avvertito potrebbero spingere il mondo nella divisione e nel confronto, e ha offerto un approccio multilaterale inclusivo che guiderebbe il mondo fuori dall’oscurità.

La Cina si è distinta non solo nella lotta contro il COVID-19 a livello nazionale, ma anche nel riprendere lo sviluppo economico in mezzo a cupe aspettative, rendendola il motore per la ripresa globale e lo stabilizzatore della catena industriale globale nell’era post-COVID-19. Potrebbe offrire l’approccio e la saggezza della Cina mondiale per resistere all’erosione del protezionismo, hanno affermato gli osservatori.

Altri leader che parteciperanno all’evento includono il primo ministro indiano Narendra Modi, il primo ministro giapponese Kishida Fumio, il primo ministro australiano Scott Morrison, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il presidente dell’UE Ursula von der Leyen e il segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen.

Approcci cinesi.

“Ripresa dalla pandemia”, “resilienza economica e sociale” e cooperazione globale sono temi chiave per l’evento di Davos. Ora, nel terzo anno della pandemia, il rapido sviluppo dei vaccini è un risultato scientifico per secoli, ma la variante Omicron mostra che il mondo deve dare la priorità alla distribuzione globale universale. E la pandemia ha anche riportato il mondo indietro con molti problemi, inclusa la disuguaglianza dei vaccini, secondo un comunicato dal sito ufficiale del forum.

In quanto paese con la popolazione più numerosa al mondo, la Cina adotta il proprio metodo per tenere sotto controllo l’epidemia e sta anche esplorando modi per aggiornare la sua politica dinamica zero e bilanciare la prevenzione e lo sviluppo economico, che potrebbero offrire esperienza ad altri paesi e contribuire alla lotta globale contro il coronavirus, ha dichiarato venerdì al Global Times Huo Jianguo, vicepresidente della China Society for World Trade Organization Studies di Pechino.

Come paese in via di sviluppo, fintanto che la Cina ha messo sotto controllo il COVID-19, non ha perso tempo ad assistere altri paesi, inclusa la donazione di vaccini in particolare ai vasti paesi in via di sviluppo per ridurre il divario vaccinale a livello globale, ha osservato Huo.

Alla fine del 2021, solo il 7,5% degli 1,3 miliardi di persone del continente africano è completamente vaccinato, mentre alcuni paesi occidentali stanno accumulando molti più vaccini del necessario e li stanno sprecando. Alcuni paesi occidentali hanno donato vaccini che sicuramente scadranno ai paesi in via di sviluppo, in particolare al continente africano, il che ha prosciugato le aspettative e i budget dei paesi riceventi.

La Cina aveva già fornito all’Africa circa 180 milioni di dosi di vaccino al 30 novembre 2021, coprendo quasi tutti i paesi africani. La maggior parte degli oltre 6 milioni di dosi di vaccini contro il COVID-19 somministrati in Zimbabwe sono stati sviluppati da aziende cinesi.

Nell’agosto 2021, il presidente Xi ha promesso di compiere sforzi per fornire al mondo 2 miliardi di dosi di vaccino contro il COVID-19 quest’anno e di donare 100 milioni di dollari alla COVAX per promuovere le disposizioni globali sui vaccini, in un discorso scritto alla prima riunione di un forum internazionale cooperazione sui vaccini COVID-19.

Dallo scoppio dell’epidemia, la Cina è diventata anche l’unica grande economia al mondo a raggiungere una crescita positiva nel 2020 nell’ambito di forti politiche di controllo dell’epidemia ed è diventata la spina dorsale della crescita economica globale, hanno affermato gli esperti, osservando che i risultati economici della Cina potrebbero anche infondere fiducia nei leader globali sulla ripresa.

L’International Finance Forum di dicembre ha stimato che l’economia globale dovrebbe crescere del 5,9% nel 2022, riprendendosi a un livello pre-pandemia del 2019. La Cina rimarrà il maggior contributore alla crescita globale con il 26,3%, seguita dagli Stati Uniti con il 16,7% e dall’India con l’11%.

Il FMI prevede una crescita del PIL del 5,6% per la Cina nel 2022, superiore alla crescita media del 4,9%.

“La pratica cinese ha dimostrato che la Cina non solo ha controllato l’epidemia, ma ha anche assicurato uno sviluppo economico sostenibile con una crescita positiva”, ha affermato Huo, osservando che “la stabilità dell’economia cinese è il suo contributo all’economia globale, poiché la dimensione dell’economia cinese è relativamente grande”.

Se l’economia mondiale crescerà in media del 5% quest’anno, la Cina non contribuirà per meno di un terzo all’economia globale, ha previsto.

Alcuni hanno minimizzato lo sviluppo della Cina negli ultimi 10-20 anni. Ma guardando indietro, la maggior parte del pessimismo mostra che non erano disposti a vedere nulla di buono in Cina e speravano di vedere la Cina incontrare maggiori difficoltà, ha detto al Global Times Lian Ping, capo dello Zhixin Investment Research Institute.

Per rafforzare la sua economia, una Cina aperta offre importanti opportunità storiche alle aziende di tutto il mondo per condividere i dividendi dello sviluppo cinese.

A partire da gennaio 2022, la Cina ha annullato le restrizioni sui rapporti di partecipazione straniera nella produzione di autovetture elettriche. In seguito all’apertura dei settori dei servizi finanziari come titoli e assicurazioni, l’industria manifatturiera cinese ha accelerato e si è ulteriormente aperta.

Secondo un sondaggio pubblicato dalla Camera di commercio americana a Shanghai a settembre, il 59,5% delle società statunitensi intervistate ha dichiarato di aver aumentato i propri investimenti in Cina nel 2021, con un aumento anno su anno del 30,9%, vicino al livello prima dell’ inizio della disputa commerciale tra i due paesi nel 2018.

 

Le società e gli investimenti americani continuano ad affluire nel mercato cinese, il che dimostra che la tendenza alla globalizzazione economica è irreversibile e la politica di “disaccoppiamento” del governo degli Stati Uniti è controproducente, hanno affermato gli osservatori del mercato.

La Cina sta giocando un ruolo più importante nelle catene di approvvigionamento globali. L’operatore ferroviario cinese ha riportato un nuovo record di 15.000 viaggi in treno merci Cina-Europa effettuati nel 2021, il 22% in più rispetto al 2020, dimostrando che i treni merci Cina-Europa sono diventati un potente “ancora di stabilità” nella catena di approvvigionamento globale, che è fondamentale per il buon funzionamento delle catene di approvvigionamento in tutta l’Europa centrale e in Asia centrale.

I treni merci Cina-Europa hanno stabilito nuovi record fornendo al contempo un servizio logistico stabile, affidabile e ad alta efficienza come pilastro per le catene di approvvigionamento globali, ha affermato all’inizio di questo mese il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin.

La Cina sta inoltre rafforzando la sua integrazione economica con l’Asia-Pacifico e altre regioni del mondo e ha spinto la cooperazione economica internazionale a nuovi livelli.

Il mondo ha assistito all’istituzione del suo più grande blocco commerciale, il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), dall’inizio del 2022, segnando una gloriosa vittoria del multilateralismo e aumentando le prospettive commerciali per i paesi della regione Asia-Pacifico.

Mentre avanzava il controllo interno, la Cina è stata attiva nel cercare la cooperazione con la comunità internazionale. La Cina ha ufficialmente presentato domanda per aderire all’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP) e ha anche presentato domanda per aderire all’Accordo di partenariato per l’economia digitale.

La tendenza anti-globalizzazione nei paesi sviluppati è dilagante, ma la Cina sta diventando un’importante forza trainante per l’apertura del mercato e la globalizzazione economica, ha detto Cheng Dawei, ricercatore presso l’Institute of China’s Economic Reform and Development della Renmin University of China. Tempi globali.

Il mondo deve resistere al protezionismo commerciale e sbarazzarsi della guerra fredda e del pensiero anti-globalizzazione, al fine di creare condizioni migliori per la ripresa, ha affermato Huo.

“Se il mondo non può farlo insieme, la ripresa non sarà efficace a breve termine”, ha avvertito Huo.

Fin qui la visione del World Economic Forum e della Cina.

Ma vediamo più in dettaglio la ‘visione’ del WEF che viene illustrata nella «Resilienza economica e sociale», secondo cui dopo decenni di progressi nell’affrontare la povertà e la disuguaglianza di reddito, il COVID-19 ci ha riportato indietro, portando il primo aumento della povertà estrema in una generazione. I governi hanno lanciato alcuni dei più grandi programmi di spesa sociale mai visti, ma la disuguaglianza e l’inflazione dei vaccini, in particolare l’aumento dei prezzi di cibo ed energia, minacciano di allargare ulteriormente i divari. Per riprendersi veramente, non dobbiamo solo stabilizzare le economie, ma anche garantire che siano resilienti ed eque, fornendo mobilità sociale, posti di lavoro e opportunità eque per tutti.

Le aziende riconoscono sempre più il valore di fare del bene a lungo termine e, nell’ultimo anno, ha gettato le basi per l’azione con impegni per lo zero netto, giustizia sociale e metriche ESG condivise.

Ora, mentre intraprendiamo la prossima fase di ripresa, è importante mettere in atto questi piani e attuare veramente il capitalismo degli stakeholder di Klaus Schwab per garantire che la ripresa tocchi non solo gli azionisti dell’azienda, ma anche i suoi dipendenti, clienti, fornitori, comunità locali e società a larga.

 

Il 7 gennaio, Klaus Schwab ha pubblicato il suo ultimo libro, The Great Narrative, scritto in collaborazione con Thierry Malleret. Basato su interviste con 50 dei principali pensatori del mondo, il libro esplora come possiamo costruire un futuro più inclusivo, sostenibile e resiliente.

Il 26 gennaio il Forum pubblicherà il suo Global Competitiveness Report 2021-2022.

Tutto chiaro?

Uno studio pubblicato durante la conferenza annuale della Federal Reserve Bank di Kansas City sostiene che la pandemia globale di coronavirus in corso ha già instillato nel pubblico la paura che smorzerà l’assunzione di rischi e la produzione economica per decenni.

Condotta dalla Federal Reserve Bank di St. Louis, la ricerca, intitolata “Scarring Body and Mind: The Long-Term Faith-Scarring effects of COVID-19” – ha proseguito affermando che la pandemia aumenterà solo la “probabilità percepita di uno shock estremo e negativo in futuro”.

“Mentre il virus alla fine passerà, verranno sviluppati vaccini e i lavoratori torneranno al lavoro, un evento di questa portata potrebbe lasciare effetti duraturi sulla natura dell’attività economica”, afferma lo studio.

“Le aziende prenderanno decisioni future pensando al rischio di un’altra pandemia”.

I ricercatori hanno notato che le aziende continueranno a essere eccessivamente caute non solo su un’altra epidemia virale, ma anche su altre possibili interruzioni inaspettate dell’economia.

La ricerca ha anche evidenziato il fatto che la pandemia renderà obsoleti alcuni “capitali”, come attrezzature ed edifici, a causa del loro valore in rapido deprezzamento nell’economia futura. Questo può essere visto anche oggi, poiché i ristoranti stanno chiudendo le porte o consentendo solo ai commensali di utilizzare una piccola parte del loro spazio. Molti uffici sono ora vuoti poiché più dipendenti lavorano da casa.

Inoltre, il documento affermava che un minor numero di individui si assumerà un rischio aggiuntivo e avvierà nuove attività, poiché le attuali inadempienze e fallimenti diffusi li dissuaderanno dal farlo.

Lo studio ha suggerito che la pandemia di coronavirus comporterà danni a lungo termine ancora più profondi rispetto alla crisi petrolifera della fine degli anni ’70, alla recessione dei primi anni ’90 e alla Grande Recessione.

Tale danno economico potrebbe includere una sostanziale diminuzione del prodotto interno lordo degli Stati.

Quali saranno gli effetti del coronavirus? Con molta probabilità la pandemia ridurrà la produzione economica occidentale a vantaggio di quella cinese.

Ma sarà solo una questione economica? O ci saranno anche effetti psicologici che la pandemia ha ingenerato e ingenererà sugli individui, in particolare sui giovani e sulle persone psicologicamente più fragili o più esposte alla crisi economica derivante dall’emergenza sanitaria, cosa che sta già avvenendo ad esempio in Italia.

Ricordiamoci anche degli effetti che il covid ha prodotto sulle pensioni sul bilancio dell’INPS dove l’eccesso di mortalità nella popolazione anziana, si calcola, produrrà un bilancio positivo sui conti dell’Inps per circa 12 miliardi di euro nei prossimi dieci anni.

Il risparmio annuale dell’Inps è stato di 1,11 miliardo di euro nel 2021. Ma, appunto, calcolando quanto avrebbe dovuto prendere di pensione nei prossimi dieci anni il gruppo sfortunato dei deceduti Covid 2020, si arriva alla cifra di quasi 12 miliardi di euro di risparmi.

E la prospettiva è chi inizia ora a lavorare in Italia andrà in pensione a 71 anni di età, ovvero in media circa 9 anni più tardi di chi si ritira oggi dalla vitta attiva.

Tutto chiaro?

 

 

Il complotto delle élites.

Zetaluiss.it - Elena Pomè – (Luglio 8- 2022) – ci dice:

 

La decostruzione dell’intervista di Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump, a Monsignor Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, tra teorie cospirazioniste e disinformazione.

Un tweet di Giovanni Rodriquez, giornalista esperto di informazione sanitaria su Quotidiano Sanità, Il Foglio e Huffington Post, ha segnalato: «Stralci di intervista a Mons. Viganò, dal Covid al deep state, dall’Ucraina al grande reset, c’è tutto il repertorio dei picchiatelli nostri. Tocca ora capire se il problema è la mancata prescrizione di goccine o una brusca interruzione della terapia».

Nell’intervista, realizzata da Steve Bannon, Monsignor Carlo Maria Viganò elabora teorie complottiste e divulga disinformazione sulla pandemia e sulla guerra in Ucraina. La versione originale, intitolata “Exclusive: Steve Bannon Interviews the Heroic Archbishop Viganò”, è stata pubblicata sul sito statunitense War Room, mentre la traduzione italiana “Steve Bannon con Mons. Viganò. Un’Intervista Fondamentale, da Leggere Assolutamente” è stata pubblicata sul blog Stilum Curiae dell’ex vaticanista della Stampa Marco Tosatti e ripresa da altri siti cattolici come Il Nuovo Arengario, Aldo Maria Valli e gloria.tv.

 

L’autore dell’intervista, Steve Bannon, è l’ex stratega dell’ex presidente repubblicano degli Stati Uniti Donald Trump. Attivista di estrema destra, ex direttore del giornale online conservatore Breitbart News e protagonista dello scandalo di Cambridge Analytica sulla raccolta illecita di dati personali a scopi elettorali populisti, Bannon si è appropriato delle donazioni per la costruzione del muro anti-migranti tra gli Stati Uniti e il Messico, è in attesa di processo per oltraggio al Congresso dopo il rifiuto di collaborare nelle indagini della Commissione parlamentare sull’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021 e, in un’intervista alla trasmissione Zona Bianca, ha attaccato il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i suoi sostenitori: «Chiunque si sia alzato in piedi in Parlamento per applaudire Zelensky non dovrebbe essere rieletto: questo vale sia per il Congresso americano, sia per voi italiani. L’Italia non deve aiutarlo».

L’intervistato, Monsignor Carlo Maria Viganò, è l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, ora in pensione. Divulgatore delle teorie complottiste del Grande Reset e del deep state e della disinformazione sulla pandemia e sulla guerra in Ucraina (temi che approfondiremo più avanti), Viganò è oppositore di Papa Francesco, da lui accusato senza fondamento di aver coperto gli abusi sessuali del cardinale Theodore McCarrick e invitato alle dimissioni, e sostenitore di Trump.

Bannon è autore del podcast War Room, contenitore di informazioni fuorvianti sulla politica americana, rimosso dalle piattaforme Spotify e Youtube ma, come spiegato dal Washington Post,  inglobato nel network di propaganda trumpiana Real America’s Voice.

Monsignor Viganò divulga teorie complottiste politiche e sanitarie sul canale YouTube Visione TV, che secondo la descrizione «nasce per difendere la libertà di pensiero e di espressione, oggi più che mai minacciata dal pensiero unico imposto da un sistema mediatico prevalente che ha perso il senso del limite e della misura», ma che secondo l’Hybrid Bulletin (il bollettino del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza sulla disinformazione nel conflitto russo-ucraino de-secretato e reso pubblico dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Franco Gabrielli) costituisce un sito web di disinformazione.

L’intervista di Bannon a Monsignor Viganò è stata pubblicata sul sito web War Room e tradotta in italiano sul blog cattolico Stilum Curiae, che si propone di contrastare la «tendenza all’omologazione e al servilismo verso le istituzioni» riportando «notizie, informazioni e commenti che i “mainstream media” non riportano».

Nell’intervista, Bannon interroga Monsignor Viganò sulla «psico-pandemia», concetto già espresso dal religioso in un video del 2021 mostrato su La7 nella trasmissione Di Martedì di Giovanni Floris: «In tutte le parti del mondo in cui vige la psico-pandemia, il popolo scende nelle piazze e manifesta il proprio dissenso. I media di regime, in pratica tutti, tacciono sistematicamente quello che però possiamo vedere su Internet. Ci siamo svegliati un po’ tardi, è vero, ma stiamo cominciando a capire che ci hanno ingannati per quasi due anni, raccontandoci cose che non corrispondevano alla realtà, dicendo che non c’erano cure, che si moriva di Covid mentre uccidevano deliberatamente i contagiati per farci accettare mascherine, lockdown e coprifuoco». Pochi giorni dopo, don Claudio del Monte, cappellano della clinica Humanitas Gavazzeni di Bergamo, aveva replicato su Famiglia Cristiana che soprattutto nel periodo più critico del primo lockdown del 2020 «il Covid ha realmente mietuto tante vittime», inclusi molti medici.

Nell’intervista, Monsignor Viganò dichiara tuttavia che «il virus Sars-CoV-2 non è altro che una sindrome influenzale stagionale». L’Istituto Superiore di Sanità distingue però la natura dell’influenza, definita come «una malattia respiratoria acuta causata da virus influenzali», da quella della Sars-CoV-2, definita invece come «il coronavirus che causa la sindrome respiratoria acuta grave». Inoltre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea ulteriori differenze di trattamento tra l’influenza e il Covid-19 anche in termini di vaccini, dal momento che «vaccines developed for Covid-19 do not protect against influenza, and similarly, the flu vaccine does not protect against Covid-19».

Monsignor Viganò denuncia inoltre «l’imposizione di una terapia genica sperimentale dimostratasi non solo inefficace ma anche dannosa e spesso mortale».

Innanzitutto, come già dimostrato da Facta, i vaccini non costituiscono una terapia genica, cioè un «processo con cui del materiale genetico (Dna o Rna) viene inserito all’interno delle cellule per consentire ai medici di curare un disturbo senza intervenire con farmaci o interventi chirurgici». Infatti, i vaccini non modificano il Dna, ma si limitano a «riprodurre il meccanismo con cui il virus Sars-CoV-2 attacca le cellule umane, così da scatenare la risposta immunitaria all’infezione».

Inoltre, il Report “Covid-19: sorveglianza, impatto delle infezioni ed efficacia vaccinale” dell’Istituto Superiore della Sanità, aggiornato al 22 giugno 2022, conteggia la somministrazione di 138.126.938 dosi di vaccino e stima nei soggetti vaccinati con dose booster l’efficacia della prevenzione della diagnosi di infezione da Sars-CoV-2 al 54% e l’efficacia della prevenzione dei casi di malattia severa all’86%.

Infine, il Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini anti-Covid-19 dell’Agenzia Italiana del Farmaco, aggiornato al 26 marzo 2022, conteggia sulla somministrazione totale di 135.849.988 dosi di vaccino soltanto 134.361 segnalazioni di eventi avversi, dei quali l’82,1% non gravi e il 17,8% gravi ma, nella maggior parte dei casi, risolti completamente o migliorati.

Sulla scia delle precedenti affermazioni, Monsignor Viganò insinua la teoria complottista del Great Reset, secondo la quale «la pandemia è stata pianificata e gestita con lo scopo di creare il maggior danno possibile. Questo è un fatto che è stato assodato e confermato dai dati ufficiali, nonostante la loro sistematica falsificazione».

Le affermazioni non sono supportate da alcuna evidenza fattuale, ma il religioso prosegue ricollegando la causa della pandemia alla «pressione – giunta fino al ricatto – delle autorità sanitarie sul personale medico, con l’ausilio di una scandalosa campagna di terrorismo mediatico e con l’avvallo dei leader occidentali.

I quali sono in massima parte esponenti di una lobby – il World Economic Forum – di Klaus Schwab che li ha collocati ai vertici delle istituzioni nazionali e internazionali per essere sicura dell’obbedienza dei governi».

La teoria complottista del Great Reset, sostenuta anche dal movimento statunitense di estrema destra QAnon, delinea il piano dell’élite politica, imprenditoriale, finanziaria, religiosa e farmaceutica di creare una pandemia per fondare il Nuovo Ordine Mondiale.

Nata dalla travisazione della proposta presentata nel 2020 dal principe Carlo di Galles e dal fondatore del World Economic Forum Klaus Schwab di creare un’economia sostenibile in seguito alla pandemia, la teoria non rappresenta una novità nel repertorio del Monsignore.

 Infatti, già in una lettera del 2020 indirizzata a Trump il religioso aveva ipotizzato che la quarantena e le proteste del movimento Black Lives Matter costituissero gli strumenti dei «figli delle tenebre», cioè del «deep state» dei poteri forti, per estromettere Trump dalla Presidenza.

Alla missiva, Trump aveva risposto sul suo account Twitter, poi sospeso: «So honoured by Archbishop Viganò’s incredible letter to me. I hope everyone, religious or not, reads it!».

 

In particolare, Monsignor Viganò afferma che «Klaus Schwab si è pubblicamente vantato, in più occasioni, di poter manovrare i capi di Stato e di governo di mezzo mondo e di poter interferire anche con i leader religiosi».

Tuttavia, come dimostrato da Open, il fondatore del World Economic Forum nomina in un video gli stakeholders del forum di Davos senza mai affermare di “averli in tasca”.

Monsignor Viganò prosegue: «Insomma, siamo governati da una cupola di usurai e speculatori, da Bill Gates che investe nel latifondo proprio alla vigilia dell’emergenza alimentare o sui vaccini poco prima dello scoppio della pandemia, a George Soros che specula sulle fluttuazioni delle valute e dei titoli di Stato o che finanzia assieme a Hunter Biden un bio-laboratorio in Ucraina».

Tuttavia, i riferimenti di stampo cospirazionista ai tre personaggi sono tutti ingannevoli.

Innanzitutto, le accuse contro il fondatore di Microsoft Bill Gates sono infondate. In primo luogo, Gates ha effettivamente acquistato terreni agricoli, ma gli investimenti nel settore agricolo non sono stati realizzati solo in tempi recenti in previsione dell’emergenza alimentare, bensì già a partire dal 2008 in quanto connessi sia alla diversificazione del portafoglio, sia alla promozione dell’agricoltura sostenibile e resistente ai cambiamenti climatici realizzata dalla Bill and Melinda Gates Foundation.

 In secondo luogo, Gates ha effettivamente investito sui vaccini, ma non solo in prossimità della pandemia, bensì a partire dal 2000, anno della creazione della Bill and Melinda Gates Foundation «per sviluppare nuovi strumenti e strategie per ridurre l’impatto delle malattie infettive» e della Global Alliance for Vaccines and Immunisation, ente di cooperazione mondiale per la protezione della salute finanziato anche dalla Fondazione. Nel corso della pandemia, Gates ha inoltre investito 11 miliardi di dollari per garantire una distribuzione equa dei vaccini contro il Covid in più di 150 Paesi.

Ancora, le accuse contro il miliardario George Soros sono infondate. Le speculazioni citate da Monsignor Viganò sono riconducibili allo svolgimento della sua attività imprenditoriale, e tra esse si ricorda la speculazione finanziaria sulla lira nel mercoledì nero del 16 settembre 1992.

Infine, le accuse contro il miliardario George Soros e il figlio del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, Hunter Biden, sono infondate.

 Nel marzo 2022, il ministero della Difesa russo ha accusato Hunter Biden di aver finanziato laboratori di armi biologiche in Ucraina tramite il fondo di investimenti Rosemont Seneca Partners, da lui presieduto.

Tuttavia, come analiticamente dimostrato dal Washington Post, non solo in Ucraina non esistono bio-laboratori per la produzione di armi chimiche, bensì centri di ricerca per la prevenzione di malattie infettive, ma né Hunter Biden né George Soros hanno finanziato la società indicata dalle accuse russe.

Monsignor Viganò riprende la teoria complottista del Great Reset: «Dobbiamo comprendere che i nostri governanti sono traditori della Patria votati all’eliminazione dei popoli», incalzato anche da Bannon: «Cosa vuole ottenere l’élite? Ci promette pace, sicurezza, prosperità e lavoro, ma ci sono più di cinquanta conflitti nel mondo; le nostre città sono invivibili, piene di delinquenti, immerse nel degrado e dominate da minoranze di deviati».

 Monsignor Viganò muove poi da una considerazione sulla pandemia: «La pandemia è stata progettata come strumento per l’instaurazione di un regime totalitario, teorizzato da tecnocrati non eletti e privi di qualsiasi rappresentatività democratica» per spostare il focus sulla guerra in Ucraina: «La maggioranza dei cittadini non è assolutamente favorevole all’invio di armi e alle sanzioni contro la Federazione Russa». Il religioso rafforza il filone propagandistico del Cremlino ribadendo che il conflitto è funzionale allo scopo di «forzare un cambiamento sociale che nessuno vuole, facendo ripartire da zero – proprio come si riavvia un computer – l’economia e la finanza del mondo “occidentale”».

Monsignor Viganò rincara: «Putin non ha raccolto le provocazioni del deep state» e «ha espugnato l’acciaieria di Azovstal sotto la quale c’è uno dei bio-laboratori segreti americani che producevano armi batteriologiche e facevano esperimenti sul Sars-CoV-2».

 Tuttavia, come dimostrato da Open, Azovstal è un complesso metallurgico e la presenza di bio-laboratori di armi chimiche della Nato non è supportata da alcuna evidenza fattuale.

 «La proxy war degli Stati Uniti contro l’invasione russa è in realtà una guerra del deep state contro una nazione che non accetta di esser fagocitata dai deliri dei tecnocrati globalisti e che oggi ha le prove dei crimini commessi proprio dal deep state».

Ancora una volta, le parole di Monsignor Viganò esprimono teorie del complotto e non sono supportate da evidenze fattuali.

Accanto al supporto della causa del Cremlino, l’ulteriore scopo politico delle argomentazioni del religioso si svela nel finale dell’intervista: «L’eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca consentirebbe vere trattative di pace, una volta estirpato il deep state dall’Amministrazione e dai Servizi».

 

 

 

Davos, Grande Reset, Klaus Schwab:

 «Annientare il dissenso manipolando

 le menti, orientare l’opinione

 pubblica con uniche narrazioni»

 

lapekoranera.it- Redazione- (25 Maggio 2022) – ci dice:  

 

Il patron del World Economic Forum sforna un altro libro, un ricettario di banalità con un’unica «narrazione»: le crisi vanno colte e questa sarà il volano della svolta green.

 Intanto Volodymyr Zelensky in t-shirt arringa i ricconi in video.

I complotti, tra i tanti lati negativi, ne hanno almeno uno positivo: sono interessanti, talvolta persino divertenti.

 I piani per la conquista del mondo stilati dalle società segrete nel corso della Storia – per quanto malvagi – risultano comunque affascinanti, ricco materiale per documentari e libri inchiesta. Ebbene, le idee di Klaus Schwab, fondatore del World economic forum e teorizzatore del Grande Reset, non hanno nemmeno questo pregio. Anzi, sono di una banalità sconcertante.

A ben vedere, non si tratta nemmeno di complotti, perché Schwab non fa mistero di nulla, mette tutto nero su bianco in pagina, espone la sua visione del mondo e i suoi progetti di cambiamento epocale in libri che hanno larghissima diffusione in specie per i governanti delle nazioni occidentali.

 È come se l’uomo nascondesse le sue trame in piena luce: i suoi tomi sono talmente noiosi che viene da abbandonare la lettura dopo un paio di pagine, dunque comprendere che cosa egli abbia in mente è veramente un’impresa.

Pagina dopo pagina bisogna farsi forza, impedire agli occhi di chiudersi e cercare di farsi largo tra le montagne di fuffa che Schwab accumula senza rimorsi.

Ciò è particolarmente valido per l’ultimo volume firmato assieme al ricercatore Thierry Malleret, appena arrivato nelle librerie italiane e intitolato La grande narrazione (Franco Angeli).

È il seguito de Il Grande Reset e, se possibile, è ancora più terrificante. Secondo gli autori si tratta di «una chiamata all’azione collettiva e individuale».

La tesi centrale è velocemente esposta nella prima pagina, e le quasi 200 restanti sono del tutto inutili.

Schwab spiega che «se vogliamo assicurare un futuro migliore all’umanità, il mondo deve essere più resiliente, più equo e più sostenibile».

Come vedete, nulla di diverso rispetto a ciò che si può leggere quotidianamente nei media cosiddetti mainstream. E in effetti il tomo è una specie di condensato delle amenità prevalenti, in qualche modo l’autore cerca di tracciare i confini del «pensiero unico», fornendo una leggerissima impalcatura ideologica ai vari predicatori politicamente corretti.

L’intero saggio è pervaso da una stomachevole esibizione di buoni sentimenti. Schwab disegna i contorni di una umanità che vive in pace, rispetta l’ambiente, rimette in equilibrio la bilancia della giustizia sociale, risponde compatta alle varie crisi che si manifestano.

 È il proverbiale «paradiso in Terra» che tutti i progressisti e gli gnostici rivoluzionari propongono dall’inizio dei tempi. A tratti, la variazione sul tema fornita da Schwab è grottesca, ad esempio quando suggerisce di tenere «corsi di empatia» per stimolare l’umana solidarietà.

Sotto questa patina appiccicosa, tuttavia, emergono gli aspetti inquietanti.

Il primo è il principio cardine del Grande Reset: «Il cambiamento è sempre doloroso, quindi dovremmo approfittare del fatto che siamo in una congiuntura critica per attuare le misure necessarie che possono correggere la maggior parte delle cose che sono andate male per tanti anni in passato».

Insomma, si tratta di sfruttare le crisi, se non di provocarle allo scopo di imprimere svolte fondamentali all’umanità. Le catastrofi possono agevolare la realizzazione della Quarta rivoluzione industriale (quella tecnologica e digitale), poiché «più grande è il problema e più grave è la minaccia, maggiore è la spinta a cooperare per trovare una soluzione».

Piccolo inconveniente: Schwab parla spesso di cooperazione, ma il fine di tale cooperazione lo ha già deciso lui (o chi per lui), e non c’è possibilità di discussione.

Bisogna, senza se e senza ma, compiere la svolta green, rendere l’intero sistema sostenibile: «I cambiamenti «verdi» necessari in tutto il sistema economico […] costituiscono, di fatto, l’unica storia di crescita possibile, perché una storia di crescita a lungo termine a elevate emissioni di carbonio non è più attuabile».

 (L’ignoranza interessata dei governanti i paesi occidentali fa credere- all’umanità soggetta- di NON SAPERE che la CO2 è il gas che nasce-  e si espande in superficie-  dalle profondità della terra da enormi volumi di carbone che ardono per l’eternità! Ndr)

 Sostenibilità, dunque. Il concetto è di travolgente brutalità: «La sostenibilità è normalmente definita come la capacità di soddisfare i nostri bisogni senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro».

Cristallino: il sistema basato sul desiderio e il soddisfacimento di bisogni per lo più indotti deve restare in piedi, semplicemente bisogna ricalibrare gli esseri umani in modo che il banchetto duri più a lungo, e anche le generazioni future abbiano il loro posto a tavola.

Tocca adattarsi, insomma, rinunciare a qualcosa e abituarsi agli choc. Bisogna essere resilienti, perché «la pandemia ha amplificato l’importanza della resilienza: la capacità di prosperare anche in periodi di avversità e di riprendersi da circostanze difficili».

Tradotto, resilienza è la capacità di subire in silenzio, senza lamentarsi.

Tra i principali nemici che il simpatico Klaus cita nel libro ci sono, non a caso, populisti e no vax.

«Il populismo tende a essere negativo per la sostenibilità: esiste una forte correlazione tra populismo e scetticismo climatico; il populismo porta al potere i demagoghi, che poi offrono soluzioni troppo semplificate a problemi complessi».

Quanto ai critici del regime sanitario, «i potenti movimenti anti scienza prolungano la fase di lento declino della pandemia di Covid ostacolando sia la salute pubblica sia, in modo più sostanziale, la nostra capacità di andare avanti all’unisono».

In che cosa consiste, alla fine dei conti, la proposta di Schwab?

In un generico progressismo ammantato di nobili istanze sul benessere collettivo e individuale, che nella realtà diviene una spinta incontrastabile a tagliare le emissioni e realizzare la svolta verde e ad aumentare la presenza della tecnologia nelle nostre vite.

Per illustrare questo vasto programma (già in corso di applicazione nelle nazioni occidentali) , Schwab interroga decine di esperti in tutto il mondo, molti dei quali appartenenti all’universo liberal Dem Usa.

Costoro sono utili a costruire la «grande narrazione» che sta al centro della nuova opera del capo del Wef.

Seguendo la lezione dei filosofi del linguaggio che pensano di ridisegnare la realtà cambiando le parole, Schwab spiega che «sta emergendo un nuovo mondo (non una «nuova normalità») i cui contorni saranno in gran parte definiti dai discorsi che si svilupperanno per tracciare la strada da seguire». Come incantesimi, le narrazioni permettono di conquistare le menti, di orientare l’opinione pubblica, e di mettere in pratica il cambiamento senza usare il pugno di ferro.

Del funzionamento di questo metodo abbiamo avuto numerose prove durante la pandemia: si costruisce un discorso prevalente, e lo si impone alla popolazione.

Chi lo contrasta (i già citati populisti e no vax) va demonizzato e marginalizzato. Sta funzionando così anche con la guerra in Ucraina, ed è interessante che Schwab proprio ieri abbia ospitato a casa sua, a Davos, Volodymyr Zelensky.

Il presidente ucraino, in effetti, ha dimostrato di maneggiare con destrezza il potere della narrazione.

Per l’occasione, Zelensky ha chiesto di aumentare le sanzioni alla Russia e di bloccare l’acquisto di petrolio.

Soprattutto, ha invitato i presenti a Davos a «prendere parte alla ricostruzione» del suo Paese. E ha concluso con una frase a effetto: «Spero che ognuno di voi potrà svegliarsi al mattino chiedendosi: cosa posso fare per l’Ucraina oggi?».

Domanda interessante, a cui si può anche cambiare verso, formulandola dal punto di vista di Schwab.

Dato che le crisi servono a velocizzare il cambiamento, forse occorre chiedersi: «Che cosa può fare l’Ucraina per la Quarta rivoluzione industriale e la svolta green?».

(Francesco Borgonovo – La Verità).

 

 

 

 

SOVRANO DELLA SPECULAZIONE,

SOCIO DELLE MULTINAZIONALI ENERGETICHE.

Lapeckoranera.it- Redazione- (16 Settembre 2022) – ci dice:  

IL RE DEI RE.

Si mormora che il principe del Galles (oggi Re Carlo III di Gran Bretagna e Commonwealth) abbia lavorato diplomaticamente all’elezione di Biden a presidente Usa.

Ma non è stato il solo a remare contro Trump, era in buona compagnia di tutto il “deep state” riunito a Davos a cura di Klaus Schwab.

Speculazione finanziaria e “deep state” hanno sempre la stessa faccia. Soprattutto gli stessi obiettivi, come diminuire le garanzie democratiche di una nazione, saccheggiare i risparmi dei cittadini, concentrare le ricchezze nelle solite poche mani.

Se negli Usa tutto il potere ruota tra colossi di Wall Street, vertici del Pentagono, banche ed intelligenze, invece in Gran Bretagna l’unica fonte di benessere sono gli affari della Corona, che passano di mano in mano per ininterrotta discendenza. La continuità dell’impero è la prima preoccupazione dei vertici amministrativi britannici, il cui agire è concentrato sul mantenere le istituzioni immutabili nel tempo.

Negli ultimi trecento anni la stabilità delle istituzioni ereditarie è stata continuamente minacciata.

Tra gli obiettivi principali del “Gran Reset di Klaus Schwab”  c’è appunto garantire che, la tumultuosità e l’insofferenza del popolo non possa più soverchiare il potere  di una nazione democratica.

Oggi il potere occidentale è coeso nel diffidare del popolo e, soprattutto, nel difendersi da chi cercasse di scalare ruoli sociali. Per cementare le prerogative delle oligarchie mondiali, Davos ha da sempre messo in discussione i diritti inalienabili della gente comune, perché gli unici diritti inalienabili possano venire blindati unicamente per una élite di alto censo reddituale e sociale.

Per i sudditi (“gli inutili mangiatori” di cui parlava sir Huxley fondatore del Wwf) Davos ha aperto il dibattito sul periodico abbattimento della popolazione terrena, per facilitare la gestione della sudditanza e debellare le povertà.

Negare o concedere diritti torna prerogativa delle stirpi regali. Il re d’Inghilterra vorrebbe salvare il pianeta riportando l’orologio della storia ai tempi degli assolutismi, a quando un tribunale poteva togliere la vita in nome del Re. Quest’ultimo aspetto piace a molti cittadini britannici, nutriti per generazioni con la propaganda reale.

Ora la scommessa guarda al rincaro dei prezzi energetici, perché è noto Carlo III sia schierato con i colossi finanziari che stanno speculando su gas e bolletta elettrica.

Al tavolo degli speculatori siede anche il sovrano britannico: carestia e case fredde potrebbero far cambiare idea agli immarcescibili monarchici del Commonwealth? E chi mai potrebbe rispondere a questa domanda.

Carlo ha al tal punto dimostrato entusiasmo per la decarbonizzazione del pianeta che, in più occasioni, ha detto che “innalzare i costi energetici serve a diminuire l’inquinamento fatto dalla gente comune”.

Eppure anidride carbonica e civiltà industriale erano il binomio della Londra Vittoriana, dove la povera gente moriva di stenti per le viuzze del quartiere Whitechapel o finiva arresta e deportata per povertà. Di quella Londra cosa dice il Re di Londra?

Di certo sappiamo solo che, pochi mesi dopo l’insediamento di Biden a Washinton, Carlo III pare abbia partecipato ad una riunione strategica dei grandi speculatori planetari.

Nel conciliabolo avrebbero affrontato il tema della scommessa nelle borse contro i titoli russi e cinesi, nonché di come far pagare eventuali guerre ai popoli.

I signori della borsa avrebbero subito offerto l’opportunità ai vari colossi energetici occidentali di avviare una nuova speculazione basata sui derivati, ovviamente da giocare tutta tra Paesi Bassi e Wall Street.

La trovata ha entusiasmato i potenti della terra, che ora stanno presentando il conto al popolo. Ovviamente ci vogliono buone scuse per svuotare i risparmi della gente, e necessita anche qualcuno si prenda le colpe. Ecco che entra in gioco quell’entità astratta appellata come mercato.

Quest’ultimo ha lavorato per più di dieci anni per togliere ogni protezione statale ai cittadini titolari di contratto della luce (a Londra come a Roma e New York) ed ora grazie alle regole del “mercato libero” è possibile che le multinazionali energetiche (di cui sono soci Carlo III e compari) ci possano presentare bollette decuplicate.                               

E saremo costretti a pagarle od a farci tagliare la luce: nessun governo occidentale sarà mai in grado di difendere i cittadini, poiché la politica è soccombente a cospetto dei potenti della Terra, soprattutto da quando il “deep state” obietta che la stangata serve per il “bene ecologico del Pianeta” e per pagare la guerra alla Russia.

 La razzia viene mascherata soprattutto come perdite in borsa delle multinazionali, che hanno organizzato la mascherata dei “derivati” per fingere d’aver ricevuto la chiamata da Wall Street: in gergo borsistico si chiama “margin call”, “richiamo di margine”, è il termine che descrive la notifica che i “trader” ricevono quando il saldo del conto titoli scende al di sotto del “requisito di margine” richiesto per mantenere aperta una posizione. Insomma, è un teatrino simile al quello del 2008, la grande bolla del mattone.

Oggi la recita è più sottile e meno sgamabile, ma la fanno sempre con i soliti derivati. L’Inghilterra è maestra in queste scommesse.

 Tra qualche mese Carlo III ed i suoi amici deterranno ancor più ricchezze, certi d’aver piegato i popoli con l’antica arma della povertà: questa volta addolcita e fatta ingurgitare alla gente con la trovata buonista ed ecologista della “povertà sostenibile” per tutti noi.

 

 

 

UN MONARCA ASSOLUTO

PER CONTO DEL WORD ECONOMIC

FORUM DI DAVOS di Klaus Schwab.

 Lapecoranera.it- Redazione- (15 Settembre 2022) ci dice: 

IL RE DEI RE.

 

 L’unico motivo che farà rimpiangere al mondo la Regina Elisabetta II sarà l’uso smodato che Re Carlo III farà del proprio potere planetario, in questo supportato dai potenti della Terra, dal “deep state”.

Il regnante aveva già da principe dimostrato di voler usare la Corona per implementare proprio potere e patrimoni. In più occasioni aveva pubblicamente ammesso di non considerare la Corona solo come l’entità simbolica della Gran Bretagna.

 Nel 2013 veniva accusato di “lobbismo incontinente”, perché erano rese pubbliche tutte le lettere personali che Carlo inviava a parlamentari e premier: la raccolta di missive venne appellata “Memo del ragno nero”, ed il principe di Galles diede fondo ad una battaglia legale perché venissero segretate nel rispetto del ruolo della casa regnante.

Jonathan Dimbleby (biografo ufficiale di Carlo) già nel 2013 aveva scritto che “con la successione di Carlo alla Corona le cose diventerebbero molto più pratiche, è già in atto una tranquilla rivoluzione costituzionale in grado di ridare al Re i poteri tradizionali d’un tempo”.

Carlo III ha già dimostrato il proprio approccio pratico alla “governance planetaria” il 3 giugno 2020: quando, investito dal “World Economic Forum” di Klaus Schwab, del grado di cavaliere del Great Reset, ha subito twittato che sarà il paladino globale dell’iniziativa.

La crociata di questo Re guerriero è ecologica e contro i popoli, rei di distruggere la Terra con il lavoro e con la smania di migliorare le proprie condizioni ed aspettative di vita.

Ecco che Carlo ha impugnato lo spadone in nome della decarbonizzazione del mondo: considerate che il corpo umano è fatto per circa il 60% di acqua e per il 22% di carbonio, ergo se” l’acqua è stata planetariamente privatizzata e quindi appartiene ai potenti”, non rimane che ammazzare il carbonio umano.

Carlo III è un fanatico dell’eco-religione, così spiega ai monarchi in carica come attraverso la “rivoluzione green” il potere possa nuovamente sottomettere i popoli e le nazioni occidentali.

Le crociate di questo Re non si combatteranno in Terra Santa, bensì in ogni angolo del pianeta, nella convinzione che solo sottomettendo i popoli si possa salvare la Terra.

I cavalieri crociati di questa guerra globale si riuniscono a Davos in Svizzera, e da lì “contano di convincere tutti i governi democratici del Pianeta” ad azzerare le emissioni di anidride carbonica, ad archiviare la civiltà industriale, ad introdurre normative che riducano drasticamente il lavoro umano, che limitino l’agricoltura e la produzione di generi alimentari e che, soprattutto, introducano norme più severe al fine di limitare le libertà della gente comune.

Di fatto Carlo III ha sposato la visione del mondo di Julian Huxley che fondava il Wwf insieme a suo padre Filippo d’Edimburgo, a Bernhard van Lippe-Biesterfeld (principe consorte dei Paesi Bassi già cofondatore della conferenza del “Gruppo Bilderberg”), a sir Peter Markham Scott (ornitologo e membro dell’Ordine dell’Impero Britannico) ed al nobiluomo scandinavo Edward Max Nicholson. La prima riunione del Wwf vedeva la presenza di Guy di Montfort e del filantropo statunitense Godfrey Anderson Rockefeller, che dava lettura della missiva d’augurio d’un suo cugino Rothschild. La riunione iniziatica del Wwf avveniva nell’aprile del 1961 a Morges in Svizzera (guardacaso tutto lì: Davos, Basilea…).

Julian Huxley sosteneva che “prima o poi il potere si sarebbe reincarnato in un virus per risolvere il problema della sovrappopolazione”: e Carlo III pare ripeta troppo spesso di sognare questo. Di fatto Carlo ha già ereditato da suo padre Filippo l’essere il vero portavoce del Wwf, colui che auspica la trasformazione totale della società sotto il proprio sacerdozio.

Il periodico australiano “Spectator” di luglio 2022 stigmatizza così la misantropia di Carlo d’Inghilterra:

“L’ambientalismo di cui il Principe ha deciso di occuparsi in attesa di salire al trono non è una sorta di innocua attività apolitica di piantumazione di alberi o di salvataggio della foresta pluviale. Non sta abbracciando i panda o finanziando i santuari della fauna selvatica. Al contrario, si è impegnato in un’ibrida rivolta commerciale e politica che minaccia la sopravvivenza del sistema politico che è destinato a supervisionare”.

“Oltre ad essere un tradimento del cittadino comune, le sue azioni rappresentano un fallimento del suo unico dovere di futuro re: proteggere la monarchia costituzionale dal totalitarismo climatico e dal globalismo in ascesa.”

Ovviamente Re Carlo III non è l’uomo solo al comando, a guidare le sue crociate ci sono i ricchi sacerdoti di Davos capitanati da Klaus Schwab, i banchieri Rockefeller e Rothschild, oltre ad un esercito internazionale di collaboratori, cortigiani e servi che fanno politica in altre nazioni, e qualche autorevole esempio lo abbiamo anche in Italia.

 

 

TUTTI SERVI DI RE CARLO E DEI

SUOI DI DAVOS, LOGGIA DI LONDRA,

INTELLIGENCE E BORSA.

Lapecoranera.it- Redazione – (14 settembre 2022) – ci dice:

 

IL RE DEI RE.

Non è certo un mistero, e nemmeno affermazione da complottisti, asserire che Carlo III d’Inghilterra sia eterodiretto da Klaus Schwab (direttore ideatore del Word Economic Forum di Davos).

Da una rapida ricerca su internet emerge che, il 3 giugno 2020, l’attuale sovrano d’Inghilterra (allora solo principe) era diventato sponsor del Great Reset ordito dal World Economic Forum: in rete c’è persino prova che ha twittato “#TheGreatReset” sul suo sito ufficiale.

 L’allora principe di Galles affermava “Oggi, attraverso la “Sustainable Markets Initiative di HRH e il World Economic Forum”, il Principe del Galles ha lanciato una nuova iniziativa globale, The Great Reset”.

L’operazione “London bridge is down” di fatto era già iniziata a Regina Elisabetta II ancora in vita:

 un anno prima della pandemia Klaus Schwab faceva fare un bel giretto dei vari conciliaboli svizzeri all’entusiasta ragazzotto settantenne, portando con sé Carlo ad incontrare i potenti della “mafia di San Gallo” (tutti graditi ospiti del WEF), quelli che maneggiano occultamente gran parte della speculazione vaticana e che hanno partecipato a far bruciare l’obolo di san Pietro nel fondo speculativo londinese Harrods.

Non è dato sapere fino a che punto il “mago di Davos” abbia plasmato l’animo del principino ora Re, ma in troppi malignano Klaus abbia suggerito a Carlo “da capo della religione anglicana potresti laicamente beneficare del tramonto della supremazia di Santa romana Chiesa, il Papa finirà presto in povertà e, bruciate tutte le riserve auree del Vaticano, l’unico capo di religione cristiana con vero potere economico rimarrà il regnante d’Inghilterra”.

Del resto Francesco è divenuto Papa all’indomani della tragica scoperta sulle riserve auree statunitensi (quelle costituite in era Paul Marcinkus) congelate da una corte federale Usa per risarcire eventuali danni da pedofilia nelle diocesi americane: ricordate la storia delle riserve che si sbloccavano con la rinuncia di Papa Benedetto e con l’arrivo di Francesco applaudito da Obama, Soros e famiglia Clinton?

Perché la finanza possa gestire una ricca chiesa che è anche regno terreno, necessita ci sia un Re che non muove passo senza il benestare dei suoi potenti consiglieri.

 Il momento è giunto, “London bridge is down” non sono state solo le parole in codice con cui il segretario della Regina (Edward Young) ha informato il primo ministro della morte di Elisabetta II, ma anche il segnale per i potenti della Terra che è giunta l’era del loro Re, il sovrano del “Great Reset”.

Ovviamente la forma è sostanza, e grazie a Re Carlo l’alto salotto della speculazione finanziaria intende riportare l’intero pianeta in epoca feudale: viene dagli addetti ai lavori appellata “operazione Unicorno”, e vede nell’unzione regale del nuovo Re di Gran Bretagna e Commonwealth il principio dell’egemonia planetaria dichiarata da parte dei notabili del “nuovo ordine mondiale”. Quindi basta con le teorie dei complotti: vengono allo scoperto e dettano le regole ai popoli, chi non obbedisse verrebbe eliminato. Carlo non è solo mal comando, perché ai potenti della finanza occidentale converrebbe che l’intero pianeta venga piegato all’obbedienza al Commonwealth.

Esempi servili.

Justin Tredeau di mestiere fa il primo ministro del Canada, di fatto è un accolito del gruppo di Diablos (pardon Davos). Tredeau sarà presto tenuto al servile giuramento di fedeltà a Re Carlo II: la legge sui giuramenti parlamentari è del 1866, e prevede che entrambe le camere del Parlamento canadese prestino giuramento di fedeltà al nuovo sovrano di Gran Bretagna.

Quindi i parlamentari canadesi non giurano fedeltà al popolo od alla costituzione ma al Sovrano.

Un po’ come nel Paraguay di Stroessner, dove il giuramento di poliziotti e magistrati era di fedeltà al potere.

In gran parte del Pianeta, in terre lontane e domini vari del Commonwealth, la maggior parte dei popoli giura fedeltà al potere o al sovrano d’Inghilterra.

A conti fatti Occidente, Europa e Usa e Russia comprese, sono la minoranza che vede i rappresentati giurare fedeltà alla propria Costituzione.

 Così anche tutti i vari membri del Commonwealth giureranno fedeltà al Re: è la regola del “Five Eyes”, che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e gli Stati Uniti solo per l’aspetto sicurezza.

 Negli Usa giureranno fedeltà al Re una cospicua parte di massoni: Carlo condivide con il Duca di Kent il vertice mondiale della massoneria.

Qualcuno obietterà che gran parte dell’intelligence Usa (se non tutta) è in massoneria e che lo sono anche i vertici della finanza: vorrà dire che Re Carlo sarà il loro capo.

 Il sovrano britannico necessita di tantissimo servilismo, fedeltà e collaborazione, perché ha partecipazioni in tutti i colossi del Pianeta, deve badare ad una riserva personale aurea e di preziosi senza pari, ed è il più grande proprietario di palazzi e terreni della Terra.

Re Carlo è proprietario di 26.709.359 chilometri quadrati tra terre e case in Australia, Nuova Zelanda, Irlanda del Nord, Canada, Gran Bretagna, Isole Falkland ed anche in paesi dove la Corona ha acquistato beni. Badate bene che la Corona incassa le tasse, che certo usa per manutenere i patrimoni che poi da in concessione in cambio di un lauto compenso.

The Crown Estate” è il più grande gruppo immobiliare del pianeta Terra ed è di proprietà di Re Carlo, che nel Commonwealth opera anche attraverso le consociate “Crown Lands” e “Crown Corporations.

In una nota inchiesta del magazine tedesco Die Welt Business si legge: “Il Crown Estate possiede proprietà in tutto il Regno Unito, da castelli e cottage a terreni agricoli e foreste, oltre a parchi commerciali e centri commerciali. Possiede più della metà dell’intera costa del Regno Unito, il che le conferisce diritti d’asta di enorme valore per le attività commerciali offshore, come i parchi eolici.”

Chi possa pensare che, la Corona britannica controlli quasi l’intero fondale marino del Regno Unito, dovrebbe rivedere il calcolo per difetto: Re Carlo ha potere su tutte le coste del Commonwealth.

Non è certo un caso che la Corona sia socia di tutte le società petrolifere, e non solo quelle con piattaforme nel Mare del Nord. Se ieri tutti i petrolieri dovevano venire a patti con il Re di Londra, oggi le multinazionali che fanno affari con l’eolico devono trattare con le “Crown Corporations”: i mulini a vento offshore costruiti con pilastri sui fondali della Gran Bretagna (nell’ambito del Green New Deal) pagano l’affitto al “Crown Estate” di Re Carlo.

 “Byline Times” è lapidario ed afferma “la Corona diventerà il più grande beneficiario dell’Agenda Verde del Regno Unito”. Proprio Re Carlo ha recentemente presentato il piano in “dieci punti su “rivoluzione verde e completa decarbonizzazione entro il 2050”.

Così la Corona lucra sui prezzi alle stelle delle fonti energetiche tradizionali ed incamera fitti dalle innovative. Tra le tasse planetarie imposte dai paesi democratici c’è anche quella sui “mulini a vento ecologici” sovvenzionati dai contribuenti.

Gli italiani non sembra siano lontani dal giurare anche loro fedeltà al Re, è emerso con i recenti sondaggi e su come hanno seguito (forse più degli inglesi) il lutto britannico per Elisabetta II.

 

 

Il “Vertice di Samarcanda”

segna il Fallimento del Progetto

americano di Isolamento della Russia.

Conoscenzealconfine.it- (20 Settembre 2022) - Luciano Lago - ci dice:

 

Il vertice SCO (Organizzazione per la cooperazione di Shanghai) con la partecipazione di Vladimir Putin e del presidente cinese Xi Jinping, ha mostrato che i tentativi di “cancellare” la Russia sulla scena internazionale sono falliti.

Al contrario il vertice dimostra che la sfera di influenza di Mosca si è notevolmente allargata verso l’Asia, il continente del massimo sviluppo economico e demografico. La Russia nella regione è sempre più percepita come “loro”, una potenza asiatica, mentre prima era considerato più come un “europeo”. Secondo gli esperti, il vertice rafforza la svolta della Russia verso est.

Cosa è riuscita a ottenere la Russia nel primo giorno del forum di Samarcanda?

 Soprattutto, l’assemblea generale dei leader dei paesi SCO, che si sono riuniti a Samarcanda, è prevista per venerdì, ma anche giovedì – il primo giorno del vertice di questa organizzazione, che rappresenta la metà degli abitanti della Terra – si è rivelato essere di estremo interesse per gli incontri che si sono avuti fra massimi leaders. In particolare l’occasione ha attirato l’incontro tra i leader di Russia e Cina, Vladimir Putin e Xi Jinping. Era già il secondo quest’anno, ma il primo dall’inizio del conflitto ucraino.

La SCO include paesi con diverse tradizioni civili e culturali e modelli di sviluppo nazionale, ha ricordato Putin.

Ma i “principi di uguaglianza e mutuo vantaggio, rispetto della reciproca sovranità” adottati dalla SCO hanno permesso di trasformarla in un “efficace meccanismo di cooperazione multilaterale” in un breve periodo storico, ha osservato il presidente.

A fine anno possiamo aspettarci un fatturato record dell’interscambio tra i due paesi, ha affermato il leader russo. In precedenza, Mosca e Pechino si sono date il compito di portare questa cifra a 200 miliardi di dollari, e questo obiettivo sarà presto raggiunto.

Putin ha anche ringraziato il leader cinese per la sua “posizione equilibrata” sulla situazione intorno all’Ucraina.

I tentativi di creare un mondo unipolare hanno recentemente acquisito una forma assolutamente brutta”, ha detto Putin in un’intervista con il leader cinese, aggiungendo che tali tentativi sono inaccettabili per la stragrande maggioranza degli stati del pianeta.

Xi Jinping ha risposto che il mondo sta affrontando “tremendi cambiamenti inauditi nella storia”.

Allo stesso tempo, “siamo pronti, insieme ai nostri colleghi russi, a dare l’esempio di una potenza mondiale responsabile e a svolgere un ruolo di primo piano, per portare un mondo in così rapido cambiamento su una traiettoria di sviluppo sostenibile e positivo”, la TASS lo ha citato nel suo intervento.

Il leader della RPC ha anche invitato la Russia a rafforzare il coordinamento non solo all’interno della SCO, ma anche in altre sedi – la Conferenza sull’interazione e sulle misure di rafforzamento della fiducia in Asia (CICA), BRICS, oltre a difendere congiuntamente gli interessi dei paesi in via di sviluppo.

Ad ottobre si terrà il 20° Congresso del Partito Comunista Cinese – e a questo proposito Putin ha augurato a Xi “un ulteriore successo nell’attuazione dell’ambizioso piano per lo sviluppo dinamico della nazione cinese”.

Al termine dell’incontro trilaterale ufficiale con il leader della Mongolia, Putin e Xi si sono alzati in piedi. I due leader, inoltre, non hanno fatto ricorso alle restrizioni anti-COVID: hanno parlato a distanza ravvicinata, senza mascherine.

Alla fine della prima giornata del vertice, l’addetto stampa di Putin, Dmitry Peskov, ha assicurato che la SCO non intende diventare un’alternativa alle organizzazioni militari e politiche occidentali:

questa è “l’amicizia per il bene di qualcosa, e non contro qualcuno”. Tuttavia, prima che Putin e Xi avessero il tempo di parlare, il fatto stesso della loro conversazione era già stato condannato a Washington.

“Il mondo intero deve resistere alle azioni della Russia in Ucraina e ora non è il momento di fare affari con Putin come al solito”, ha detto John Kirby, coordinatore per le comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, parlando dell’incontro a Samarcanda. “Non crediamo che nessuno debba rimanere in disparte”, lo cita RBC.

Giovedì scorso, il vicedirettore aggiunto dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID) Anjali Kaur, ha affermato che l’obiettivo di Washington in Asia centrale dovrebbe essere quello di “disaccoppiare” la regione dall’economia russa, riferisce RIA Novosti. Ha affermato che la situazione in Ucraina e le sanzioni contro la Russia in particolare “hanno colpito rotte commerciali, sistemi finanziari, rimesse… da milioni di migranti che vivevano in Russia”.

Giovedì scorso, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, ha reagito alla dichiarazione di Kaur: “Il caro sogno di Washington è quello di rompere tutti i legami di integrazione nello spazio post-sovietico. E nell’Unione Europea hanno già abbastanza successo in questo”, ha detto al quotidiano VZGLYAD.

Il piano di “sganciare” sta fallendo, così come qualsiasi tentativo di “isolare la Russia” in generale – questo è diventato evidente dopo il primo giorno del vertice, afferma Alexei Maslov, direttore dell’Istituto di studi asiatici e africani, presso l’Università statale di Mosca.

“I membri della SCO, inclusa la Russia, stanno lanciando progetti transfrontalieri su larga scala e stanno anche discutendo la questione degli insediamenti in valute nazionali, sulla base dell’esperienza dei sistemi russo e cinese. A giudicare dal primo giorno del vertice, molti membri della SCO sono interessati a questo”, ha affermato l’analista.

Tuttavia, il nostro Paese avrà molto tempo per dimostrare il suo riorientamento verso l’Asia, ha sottolineato il politologo. “Per molto tempo tutti hanno percepito la Russia come uno stato più gravitante verso l’Europa, mentre la SCO è ancora un’organizzazione rivolta all’Asia, e ora al Medio Oriente. Un altro paese europeo, la Bielorussia, ha finora lo status di partner del dialogo. Ora la Russia sta gradualmente cambiando la sua idea di sé stessa come un paese del ‘mondo occidentale’ “.

“Ogni anno cresce il ruolo di Mosca nella risoluzione delle questioni asiatiche e l’incontro di Samarcanda è un altro contributo a questo processo”, ha precisato l’interlocutore. Maslov ha aggiunto: “La Russia sta diventando sempre più integrata economicamente in Asia: stiamo parlando della crescita dei flussi di merci e materie prime, ma anche di politica e più precisamente di questioni di sicurezza”.

In generale, per una maggiore integrazione, i paesi SCO devono stabilire la possibilità di trasferimento tecnologico, ne è certo l’esperto.

“La Cina è diventata un leader tecnologico, l’India è molto indietro, l’organizzazione ha bisogno di mettersi al passo con altri paesi. E poi la maggior parte dei problemi della SCO sarà risolta”, ha detto Maslov.Gli eventi degni di nota di giovedì includevano anche la firma di un memorandum d’impegno da parte dell’Iran nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, aprendo la strada a Teheran per diventare un membro dell’organizzazione. Secondo Putin, la Russia è molto soddisfatta dell’adesione della Repubblica islamica alla SCO. Oltre all’incontro con il leader della Rifondazione, Putin ha incontrato anche il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi. Il discorso, in particolare, si è rivolto alle trattative con l’Occidente sull’” accordo sul nucleare”, sottolineando che Teheran non sarà mai la prima a lasciare il tavolo delle trattative, ma gli Stati Uniti, secondo lui, sono incapaci di negoziare e “violano tutti gli obblighi”.

“L’ingresso dell’Iran nella SCO non creerà un pregiudizio a favore dei paesi musulmani”, ha spiegato Maslov.

Lo SCO è strutturato in modo tale che l’organizzazione eviti di concentrarsi su problemi particolarmente acuti. Pertanto, include anche paesi che non si piacciono, ad esempio India e Pakistan. Nessun campo verrà creato all’interno dell’organizzazione, nessun paese utilizzerà l’appartenenza per risolvere problemi personali senza riguardo per gli interessi degli altri.

(Luciano Lago - ideeazione.com/il-vertice-di-samarcanda-segna-il-fallimento-del-progetto-americano-di-isolamento-della-russia/)

 

 

 

 

Sanzioni: Mosca resiste,

per quanto?

Ispionline.it- Lorenzo Borga – (02 settembre 2022) – ci dice:

 

“Le sanzioni servono a mantenere alta la pressione sulla Russia a cedere e accettare un negoziato” secondo il segretario di Stato Usa Antony Blinken.

 “L’obiettivo delle sanzioni è spingere la Russia a terminare la guerra, ritirare i propri soldati e sedere a un tavolo negoziale”, per Olaf Scholz, cancelliere tedesco.

Per determinare l’efficacia di ogni politica evidentemente è necessario prima comprendere quale ne fosse l’obiettivo, per valutare se sia stato raggiunto o meno.

Dalle parole dei leader, solo due esempi fra molti, sembra dunque che il fine “si limiti”, necessariamente tra virgolette, a spingere Mosca ad accettare un compromesso, e non a un cambio di regime politico che in aprile era stato paventato dal presidente Biden e che – con gli occhi di oggi – appare un obiettivo decisamente fuori portata per le forze occidentali.

Previsioni di crisi ridimensionate.

Le previsioni macroeconomiche mostrano che le aspettative sulle sanzioni sono state ridimensionate.

Ad aprile la banca centrale russa stimava un calo del Pil del Paese tra l’8 e il 10%per l’anno in corso, dovuto soprattutto alla carenza di componenti e all’esclusione da gran parte delle catene del valore globali, almeno quelle controllate da Paesi occidentali.

Uno stravolgimento rispetto alle previsioni pre-guerra che, sempre secondo la banca centrale, avrebbero dovuto portare la Russia a crescere tra il 2 e il 4%.

 Ma solo tre mesi dopo, a luglio, le stime sono cambiate nuovamente: Pil in calo tra il 4 e il 6%, un risultato ancora negativo ma decisamente migliore rispetto alle prime stime.

Lo stesso si può dire per i numeri riportati dal Fondo Monetario Internazionale, che tra ottobre 2021, aprile 2022 e luglio 2022 mostrano un trend parallelo.

L’economia russa si è dunque mostrata più resiliente di fronte alle sanzioni senza precedenti imposte dai Paesi occidentali, che hanno colpito il settore finanziario, manifatturiero, bancario ed energetico.

La strategia di Mosca si basa sostanzialmente sugli ingenti flussi di denaro che continuano a entrare nelle casse delle aziende russe grazie alle esportazioni energetiche.

Gazprom ha da poco annunciato risultati record nei primi sei mesi dell’anno, con ben quasi 42 miliardi di profitti: un risultato maggiore dell’intero 2021 che garantirà al governo un sostanzioso dividendo.

Secondo Reuters il Ministero dell’Economia russo avrebbe stimato che le vendite di prodotti energetici frutteranno il 38% in più quest’anno rispetto a quello scorso, grazie all’inarrestabile flusso di petrolio – comprato a man bassa da India e Cina a prezzi scontati, ma anche da alcuni Paesi europei mediterranei, Italia inclusa – e al fortissimo rialzo del prezzo del gas naturale.

In Russia entreranno così quasi 340 miliardi di dollari, una somma paragonabile all’ammontare di riserve monetarie bloccate dalle sanzioni occidentali.

Si tratta di flussi finanziari in entrata nel Paese, che hanno un ruolo primario per il sostegno dell’economia, della bilancia dei pagamenti e dunque della valuta.

 Il rublo ha infatti battuto ogni previsione.

 Ci si attendeva che come, ogni Paese che perde l’accesso ai mercati finanziari globali e a metà delle proprie riserve monetarie, la valuta avrebbe sofferto e si sarebbe innescata una fuga di capitali.

Il cambio ufficiale della valuta russa invece dall’inizio della guerra si è rivalutato del 25% nei confronti del dollaro (dopo, per un periodo, essersi svalutato quasi del 100%).

Un risultato raggiunto grazie alle sapienti mosse della banca centrale russa guidata dall’economista Elvira Nabiullina, che ha rialzato bruscamente i tassi di interesse, messo sotto controllo i movimenti di capitale e disegnato lo schema di pagamento del gas in rubli.

Le difficoltà russe a venire e il nodo petrolio.

Certo, i problemi economici per Mosca non sono certo finiti. La stessa banca centrale stima che la Russia rimarrà in recessione anche nel 2023, con un calo del Pil tra il -1 e il -4%.

“Le aziende stanno ancora riscontrando difficoltà nella produzione e nella logistica” per la mancanza di componenti e la perdita dei fornitori occidentali, scriveva Nabiullina a luglio.

Sul fronte dei microchip, della produzione automobilistica (la più importante del Paese ma sostanzialmente bloccata dalle sanzioni), della componentistica aero-spaziale la Russia si sta trovando in grave difficoltà.

 Secondo uno studio molto citato di alcuni ricercatori dell’Università di Yale, le importazioni in Russia si sarebbero sostanzialmente dimezzate a causa delle sanzioni, facendo venire a mancare prodotti e componenti essenziali per l’economia (o aumentandone i costi).

Ma è anche vero – stando a un sondaggio pubblicato dalla banca centrale – che la maggior parte delle aziende russe avrebbe già trovato un’alternativa ai fornitori occidentali. La resilienza dell’economia russa – soprattutto della sua manifattura – andrà testata sul campo e nel tempo. A oggi i fatti dimostrano che l’obiettivo di impedire alla Russia di continuare la sua guerra di aggressione non è stato raggiunto.

 Ma un duro colpo potrebbe essere inferto in inverno, quando l’Unione Europea chiuderà progressivamente una delle più importanti falle attualmente in essere nelle sanzioni: il petrolio.

Il 5 dicembre scatterà l’embargo del greggio trasportato via mare, mentre due mesi più tardi i Paesi europei diranno addio anche ai prodotti raffinati russi.

Vale a dire il più importante prodotto per Mosca, in termini di volumi di export. E allora sì che la storia potrebbe cambiare.

 

 

 

Sanzioni alla Russia, il Vietnam

dell’Unione europea.

Ilmanifesto.it – Fabrizio Tonello – (2 settembre 2022) – ci dice:

 

GAS E PETROLIO. Occorre capire per tempo quando le guerre non si possono vincere e cercare di evitare danni maggiori: le restrizioni economiche ai russi che danneggiano solo chi le impone, la corruzione alimentata a Kiev, la propaganda di guerra che impedisce la pace.

Uscire da una guerra è più difficile che entrarci, si sa. Lo scoprì a proprie spese il presidente Lyndon Johnson quando l’offensiva vietnamita del gennaio 1968 mostrò a tutti gli americani che il loro governo mentiva quando parlava di «luce in fondo al tunnel».

La guerra non si poteva vincere e, in marzo, Johnson rinunciò a presentarsi per un secondo mandato. L’eredità del disastro toccò a Richard Nixon, eletto nel novembre successivo.

ANCHE NIXON mentiva, ovviamente. Fu eletto millantando di avere un piano segreto per porre fine alla guerra, piano che non esisteva.

L’unica soluzione, ventimila morti dopo, fu quella di contrattare con i vietnamiti ciò che Henry Kissinger chiamava un «decente intervallo» fra il ritiro delle truppe americane e il crollo del regime fantoccio sudvietnamita.

I marines se ne andarono nel 1973 e il 25 aprile 1975 la riunificazione del paese di Ho Chi Minh era compiuta.

Come scrive l’Economist, la lezione che chiunque abbia letto un libro di storia dovrebbe trarre dal caso Vietnam (poi ripetuto in Afghanistan) è che occorre capire per tempo quando le guerre non si possono vincere e cercare di evitare danni maggiori.

Nel caso dell’Unione europea non ci sono giovani polacchi, tedeschi e italiani sul fronte ucraino ma che la guerra delle sanzioni sia stata persa è evidente a tutti, anche se lo dice soltanto il settimanale inglese.

Ursula von der Leyen è un ex ministro della difesa tedesco che queste cose dovrebbe saperle.

L’INVASIONE RUSSA iniziata il 24 febbraio ha avuto come risposta uno tsunami di retorica, insieme a una valanga di armi e denaro inviati a Kiev.

Lo strumento principale, le “sanzioni durissime” contro Putin, i suoi collaboratori e perfino le sue presunte fidanzate all’estero aveva però una debolezza fondamentale: l’Europa ha più bisogno del gas russo di quanto la Russia abbia bisogno della nostra valuta pregiata.

Il motivo è molto semplice: i governi di tre quarti della popolazione mondiale non aderiscono alle sanzioni e sono ben contenti di comprare il gas di Mosca, a cominciare da Cina e India che, insieme, hanno tre miliardi di abitanti.

Non solo: i meccanismi speculativi del mercato energetico fanno sì che il prezzo del gas sia andato alle stelle nelle ultime settimane e quindi la Russia guadagna di più pur vendendo di meno.

In realtà il problema non sono i forzieri della Banca centrale russa ma l’interdipendenza fra le economie, quella cosa da tutti magnificata per 40 anni e soprannominata “globalizzazione”.

INTERDIPENDENZA significa che Germania e Italia, per esempio, possono essere la prima e la seconda potenza industriale europea grazie al basso prezzo di indispensabili materie prime come gas e petrolio, fornite appunto dalla Russia.

Da Brema a Sassuolo è pieno di impianti che divorano energia: alluminio, vetro, piastrelle. Fabbriche che ai prezzi attuali possono soltanto chiudere, o comunque fermarsi in attesa di tempi migliori.

Interdipendenza significa anche garantire ai lavoratori e alle loro famiglie una casa tiepida d’inverno e una doccia calda settimanale a un prezzo ragionevole.

Se invece le bollette superano la metà dello stipendio medio può succedere di tutto (i prezzi del riscaldamento e della benzina sono oggi l’equivalente di quello che era il prezzo del pane ai tempi di Renzo e Lucia, o di Maria Antonietta regina di Francia, se preferite).

Naturalmente i governi fingono di fare qualcosa, dal cercare nuovi fornitori nel mondo al chiedere ai cittadini di mettersi la maglietta di lana in casa per tutto l’inverno.

La difficoltà con i produttori è che non sempre sono disponibili già dal prossimo ottobre: potremo sì comprare gas liquefatto dagli Stati Uniti (a qualsiasi prezzo) ma per usarlo occorreranno rigassificatori che non si sa bene dove ormeggiare, a meno di non mandare la brigata Folgore a presidiare Piombino e Ravenna.

Quindi abbiamo perso: sarebbe saggio prenderne atto e chiedere conto ai responsabili delle loro scelte: la Commissione europea, il governo italiano, i governi degli altri 26 membri dell’Unione.

L’ALTERNATIVA è seguire ancora per mesi o anni un alleato ingombrante come Zelensky, marginalmente forse meno corrotto del presidente sudvietnamita Van Thieu o di quello afghano Karzai.

Sì, perché un’altra cosa che tutti i governi europei fingono di non sapere è che le guerre costano: in vite umane, in danni all’economia ma anche in corruzione. Corruzione su una scala impensabile in tempo di pace perché i conflitti mobilitano somme enormi e, soprattutto, mettono a tacere chi osa avanzare dei dubbi.

I sudvietnamiti l’altro ieri, gli afghani ieri e in parte gli ucraini oggi rivendono volentieri le armi che ricevono gratis.

E non bisogna dimenticare che gli alleati in prima linea possono e vogliono manipolare l’opinione pubblica dei loro protettori, impedendo qualsiasi ragionamento razionale, qualsiasi trattativa diplomatica, qualsiasi iniziativa di pace.

 

 

Così l’Ucraina ha liberato

in pochi giorni più territorio

di quello conquistato dalla Russia in 5 mesi.

24plus.ilsole24ore.com – Redazione Lab 24 – (13 settembre 2022) – ci dice:

 

Quasi tutta la regione di Kharkiv è tornata in mano all'Ucraina, compreso l'importante snodo ferroviario di Kupiansk. E soprattutto è di nuovo Ucraina Izium, uno dei centri più fortificati del fronte russo. E ora?

Giovedì Zelensky ha annunciato che l'ammontare di territorio liberato dagli ucraini da inizio settembre era pari a 1.000 km². Per poi alzare il tiro a 2.000 km² lo scorso sabato. E a 6.000 km² nel consueto messaggio serale di ieri. Kiev sta avanzando velocemente, dimostrando di saper vincere anche in campo aperto. In meno di una settimana ha ripreso più territorio di quello che le forze russe hanno catturato in tutte le loro operazioni da aprile.

IL TERRITORIO RICONQUISTATO DALL’UCRAINA NELL’ULTIMA SETTIMANA.

Quasi tutta la regione di Kharkiv è tornata in mano all'Ucraina, compreso l'importante snodo ferroviario di Kupiansk. E soprattutto è di nuovo ucraina Izium, uno dei centri più fortificati del fronte russo, con 10mila soldati a sua protezione, nonché quartier generale per l’offensiva nel Donbass. La cui conquista, obiettivo primario per Mosca, viene così messa in stand-by.

LA CONTROFFENSIVA A CHARKIV.

Si tratta della sconfitta più grave per i russi dal fallimento nel conquistare Kiev. Non a caso il ritiro è stato raccontato da Mosca allo stesso modo di quello dalla capitale ucraina: mossa strategica per rafforzarsi a Sud.

Ma anche a Sud dove tutti, Cremlino compreso, si aspettavano la principale controffensiva di Kiev, l'esercito russo è arretrato di 500 km². Tanto da costringere i filorussi a rinviare, per motivi di sicurezza, il referendum per l'annessione di Kherson.

 

È però presto per cantare vittoria. Ogni conflitto ha le sue fasi. Questa è sicuramente favorevole all'Ucraina che può ora pensare di muovere verso Lysichansk e Severodonetsk (che la Russia aveva strappato solo dopo mesi di duri combattimenti). O rafforzare la controffensiva a Kherson. O persino aprire un altro fronte nella regione di Zaporizhia. Ambizioni da controbilanciare con il rischio di allungare eccessivamente le proprie linee, esponendosi a nuove offensive russe.

Anche perché Mosca potrebbe presto reagire schierando il Terzo Corpo: circa 15 mila soldati con in dotazione equipaggiamenti relativamente più moderni.

Se le prospettive sul campo di battaglia restano incerte, i segnali che arrivano dalla diplomazia e dall'opinione pubblica russa sono più facilmente leggibili: nonostante i successi di Kiev, un accordo di pace o la caduta di Putin non sono più vicini.

La Russia detiene ancora un quinto di territorio ucraino, e Zelensky ha ancora ieri ripetuto che i negoziati avverranno solo dopo la competa liberazione del Paese

. Così come, sempre ieri, il Cremlino ha dichiarato che non esiste nessuna prospettiva di negoziati. Non una sorpresa: Mosca non vuole certo sedersi ai tavoli delle trattative in una posizione negoziale indebolita. Soprattutto ora che l'opinione pubblica russa inizia a dare più forti segnali di malcontento sull'andamento del conflitto.

La débâcle di questi giorni ha suscitato l’indignazione dei blogger militari e dei commentatori patriottici russi. Due voci rilevanti nel panorama russo, Ramzan Kadyrov, il leader ceceno, e Sergej Mironov, politologo da sempre vicino al Cremlino, hanno criticato pubblicamente il Ministero della Difesa e parlato di errori commessi in questa fase di guerra.

La loro rabbia è però rivolta quasi esclusivamente all’alto comando militare russo. Ad eccezione di un gruppo di sette consiglieri comunali di San Pietroburgo che ha chiesto che Putin venga accusato di tradimento. Probabile quindi che la sostituzione dei vertici militari, che già sta avvenendo in queste ore, sia sufficiente per placare gli animi.

Mentre la popolarità di Putin non sembra per ora essere stata intaccata: alle elezioni regionali degli scorsi giorni, tutti i candidati nominati dal suo partito Russia Unita, o quelli fedeli al Cremlino, sono stati eletti governatori.

 

19 luglio 2022- Nuove sanzioni alla Russia? Cosa dice la bilancia commerciale e il ruolo della Cina.

Nuove sanzioni all'orizzonte. I ministri degli Esteri e gli ambasciatori dell'Ue hanno discusso l'ultima serie di misure proposte dalla Commissione per danneggiare l'economia russa. Non un vero e proprio settimo pacchetto di sanzioni visto che, a differenza dei sei precedenti, mancano provvedimenti di primo grido.

I tentativi di trovare un accordo globale su un tetto al prezzo del petrolio sono infatti naufragati. E la proposta di un divieto all'importazioni di oro da Mosca è per lo più simbolica: il commercio di lingotti russi è già stato prosciugato dalle restrizioni esistenti. Di conseguenza, si punta a un rafforzamento delle attuali sanzioni per colmare quelle lacune che hanno permesso a Mosca di avere una posizione commerciale con il resto del mondo quanto mai positiva.

SALDO DELLE PARTITE CORRENTI DELLA RUSSIA.

Da febbraio 2022 ad oggi, è mediamente pari a 24 miliardi di dollari il saldo delle partite correnti della Russia, dato dalla somma tra bilancia commerciale (esportazioni meno importazioni di beni), quella dei servizi e dei trasferimenti unilaterali.

Nel secondo trimestre, ha superato gli 80 miliardi di dollari come non accadeva da trent'anni.

Il picco si è toccato ad aprile, quando l'avanzo è stato di 37 miliardi. Dopo la discesa di maggio, in concomitanza di prezzi del gas sotto quota 100 euro per megawattora, il saldo è nuovamente raddoppiato a giugno. Un rialzo inusuale: negli ultimi dieci anni, la media delle partite correnti nel mese di giugno è stata infatti negativa (-1 miliardo). Solitamente, la domanda europea di gas russo per il riscaldamento calava con l'arrivo della bella stagione.

Nel 2022, il surplus ha invece raggiunto i 28 miliardi di dollari. Dietro questo trend c'è l'aumento del valore delle esportazioni energetiche russe, i cui prezzi alle stelle più che compensano il calo delle loro forniture da parte di Mosca. Lo si vede bene per il petrolio: +700 milioni di dollari a giugno rispetto a maggio, nonostante minori esportazioni pari a 250mila barili al giorno. E discorso affine si può fare per il gas. Ma contribuisce a gonfiare il dato sul saldo delle partite correnti anche il crollo delle importazioni russe dovuto alle sanzioni, quantificabile secondo la Banca Mondiale in un -35% annuo.

INTERSCAMBIO COMMERCIALE TRA CINA E RUSSIA.

Queste dinamiche sono ancor più evidenti quando si considera l'interscambio commerciale tra Cina e Russia.

Complessivamente, nei quattro mesi dall'inizio della guerra, le importazioni cinesi di beni russi (per lo più petrolio) sono aumentate del 56% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Al contrario, le esportazioni da Pechino a Mosca si sono ridotte del 15%. Pesa su questo dato la minaccia degli Stati Uniti di privare la Cina della tecnologia americana qualora dovesse soccorrere l'economia di Mosca. Una minaccia credibile, come dimostrato il mese scorso, quando il Dipartimento del Commercio americano ha aggiunto cinque aziende elettroniche cinesi a una lista nera commerciale, per il loro presunto aiuto all’industria della difesa russa.

Ma andando nel dettaglio dei singoli prodotti, sembra che Pechino riesca comunque ad aggirare, almeno in parte, le sanzioni. Secondo i dati delle dogane cinesi, rispetto al 2021, nei primi cinque mesi del 2022 le spedizioni di chip dalla Cina alla Russia sono più che raddoppiate. Mentre sono aumentate di 400 volte quelle di ossido di alluminio (utilizzato per produrre alluminio) fondamentale per l'industria militare russa.

 Ecco perché rafforzare le sanzioni vigenti potrebbe comunque non bastare se non si indebolirà il legame commerciale sino-russo.

 

13 luglio - Aiuti finanziari all'Ucraina: dalla Ue il primo miliardo, ma gli altri 8 sono fermi.

I ministri dell'Economia e delle Finanze dell'Unione europea hanno ieri approvato un prestito all'Ucraina da un miliardo di euro. L'importo rappresenta la prima tranche erogata del pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 9 miliardi di euro annunciato a maggio dalla Commissione.

Fondi da raccogliere emettendo sul mercato debito comune garantito dagli Stati europei, da elargire poi a Kiev sotto forma di prestito rimborsabile dopo 25 anni e senza interessi.

I leader Ue avevano pienamente appoggiato la proposta più di un mese fa. Ora che si fa sentire sulle economie europee il peso della crisi energetica e dell'inflazione, arrivano però i primi ripensamenti, in particolare della Germania. Berlino giustifica la sua opposizione sostenendo che i prestiti aumentano i problemi di sostenibilità del debito dell'Ucraina.

Ma, essendo la Germania la principale garante degli Eurobond, la sua opposizione sembra in realtà più giustificata da una scarsa propensione a una nuova emissione di debito comune europeo.

Non a caso l'erogazione del primo miliardo è stata possibile solo perché coperta dal bilancio pluriennale europeo e non da debito europeo. Di conseguenza, i rimanenti 8 miliardi di euro restano bloccati fino a tempo indeterminato.

Con il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis che sottolinea come le discussioni sulle garanzie supplementari siano ancora in corso.

AIUTI FINANZIARI ALL’UCRAINA.

Sostegni di bilancio promessi ed erogati, in miliardi di euro, e quota erogata su totale promesso .

Servono 5 miliardi di euro al mese per colmare il deficit di bilancio dell’Ucraina e scongiurare una crisi finanziaria nel Paese. Ma a detta del ministro delle Finanze ucraino, ad aprile Kiev ha ricevuto 1,6 miliardi, a maggio 1,5, a giugno 4,4.

Fino a fine giugno (senza quindi considerare il miliardo accordato ieri dall'Ue), paesi alleati e organizzazioni internazionali avevano erogato 7,5 miliardi di euro.

A fronte di una richiesta da parte dell'Ucraina di 15 miliardi di euro e di promesse di aiuti finanziari per 31 miliardi. In particolare, sono Stati Uniti e istituzioni europee ad aver annunciato la maggior parte del sostegno finanziario: rispettivamente 8 e 12 miliardi di euro.

Ma ad oggi hanno erogato solo l'11 e il 24% di quanto promesso. La situazione è però in continua evoluzione.

Ieri c'è stato infatti un annuncio anche dagli USA in questo senso: verseranno altri 1,7 miliardi di dollari in aiuti economici all'Ucraina, parte del pacchetto da 7,5 miliardi promesso a maggio. Resta però da verificare, alla luce dei dati sopra presentati, quando effettivamente avverrà tale erogazione.

Le necessità economiche di Kiev non si fermano all'emergenza immediata. C'è una ricostruzione da iniziare il prima possibile, già pianificata nonostante la guerra sia ancora in corso.

Nella conferenza per la ricostruzione dell'Ucraina, tenutasi nelle scorse settimane, 42 paesi hanno firmato un piano da 850 progetti, su un arco di dieci anni (2023-2032), dal valore di oltre 750 miliardi di dollari. Una cifra che fa impallidire il piano Marshall che costò 12,5 miliardi di dollari dell’epoca, corrispondenti a 450 miliardi odierni. La speranza è che non ci si fermerà solo alle promesse.

1° luglio - La presenza di forze militari americane in Europa torna sui livelli post 11 settembre.

La minaccia più significativa e diretta alla sicurezza dei Paesi membri della NATO”.

Con queste parole, l'Alleanza atlantica ha etichettato la Russia nel suo nuovo Concetto Strategico (il documento di indirizzo e definizione dell'intera postura della NATO per il prossimo decennio), redatto al Summit di Madrid degli scorsi giorni. Una inversione a U rispetto al contenuto del precedente Concetto Strategico, risalente al 2010, in cui si leggeva di Mosca come un “partner strategico” parte di un’area euro-atlantica in pace, “in cui la minaccia di un attacco convenzionale contro il territorio della NATO era bassa”.

Al cambiamento dei toni nei confronti della Russia è anche corrisposta la decisione di rafforzare la presenza militare della NATO in Europa.

 La sua “forza di risposta rapida”, che già dopo l'invasione russa della Crimea era stata aumentata da 13mila a 40mila uomini, ammonterà ora a 300mila uomini.

Parallelamente, anche gli Stati Uniti hanno annunciato una nuova mobilitazione militare nel Vecchio Continente.

13 settembre 2022.

DISPIEGAMENTO MILITARE AMERICANO IN EUROPA.

Numero di soldati americani stanziati per paese, a giugno 2022 - Fonte: U.S. European Command.

Il baricentro della presenza militare americana in Europa è e resterà posizionato in Germania, che ad oggi ospita circa il 40% delle truppe americane stanziate in Europa.

 Ma, nonostante l'arrivo a Berlino di altri 625 soldati, gli USA sembrano essere orientati verso una riduzione del peso strategico delle basi americane tedesche, a favore di una maggiore presenza militare lungo i confini con la Russia e la Bielorussia.

Una squadriglia di caccia, batterie di missili Patriot e parti di una brigata di incursori americani saranno infatti spostati dalla Germania verso rispettivamente Lituania, Romania e Polonia. Proprio la Polonia, dove dall'inizio della guerra il numero di soldati americani stanziati è passato da 3 a 10mila, ospiterà un quartier generale permanente per il 5° corpo d'armata americano.

Una svolta storica: è la prima volta che truppe americane sono dislocate in modo permanente in un membro NATO un tempo sotto la dominazione sovietica.

Non finisce qua. Washington posizionerà anche una propria brigata da 5000 uomini in Romania, in aggiunta ai 2300 già presenti nel Paese. Che diventerà così il quinto in Europa per numero di soldati americani ospitati.

E anche l'Italia, che attualmente ospita circa 13mila soldati americani, sarà coinvolta in questi spostamenti strategici.

Da una parte, riceverà infatti una batteria di difesa aerea a corto raggio (circa 70 soldati per lo più destinati alla base area di Aviano). Dall'altra, un reparto di fanteria aviotrasportata, attualmente stanziato nel nostro Paese, sarà dirottato verso la Lettonia.

TREND DISPIEGAMENTO MILITARE AMERICANO IN EUROPA.

Numero di soldati americani stanziati in Europa per anno - Fonte: The Conversation.

Fino allo scorso anno, si contavano in Europa 63mila soldati americani stanziati permanentemente e 15mila parte di reparti schierati a rotazione.

Con l'inizio della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno dispiegato nel Vecchio Continente altri 20mila militari.

Alla luce di questi nuovi annunci, la presenza militare americana in Europa supererà ora la soglia attuale dei 100mila soldati. Non accadeva dai primi anni 2000, in concomitanza con la mobilitazione conseguente all’11 settembre.

Certo, siamo ancora lontani dal picco di 430mila del 1957, in piena guerra fredda.

O dai 180mila post crollo dell'Unione Sovietica. Ma è evidente come, per usare le parole di Biden, “Putin voleva la finlandizzazione dell’Europa, ma sta ottenendo la sua NATOizzazione” (e americanizzazione).

24 giugno 2022 - Gas russo tra tagli e stoccaggi: quali sono i paesi europei più a rischio.

“Siamo in una crisi del gas” che “è ormai merce rara in Germania”. Queste le parole pronunciate ieri dal Ministro tedesco dell'Economia Robert Habeck, nell'annunciare il passaggio del piano di emergenza nazionale sul gas dal livello di allerta a quello di allarme. Per il momento non ci saranno razionamenti, che si attiverebbero solo con la successiva e ultima fase, quella di emergenza.

Ma il governo organizzerà delle aste in cui i grandi consumatori industriali riceveranno denaro se rinunceranno ai loro contratti di fornitura di gas.

E verranno riattivate per due anni, fino a 10 gigawatt di centrali elettriche a carbone inattive. Aumentando così la dipendenza tedesca da questa fonte di energia di circa un terzo.

Presto altri paesi europei potrebbero seguire la strada imboccata dalla Germania. Mosca sta infatti progressivamente chiudendo i rubinetti di gas verso l'Europa. Uno stop totale sembra sempre più probabile tanto che l’Agenzia Internazionale dell'Energia ha detto agli Stati europei di prepararsi a questo scenario.

FLUSSO DI GAS RUSSO VERSO L’UE.

Milioni di metri cubi di gas russo importati dall’Ue per settimana - Fonte: Bruegel.

Solo nell'ultimo mese i flussi di gas russo verso l'Europa si sono ridotti del 38%.

Sono ora un terzo rispetto ai livelli di un anno fa. E sono minori della metà del precedente valore minimo registrato a giugno tra il 2015 e 2020. Ancora ieri, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha però ribadito che le forniture di gas sono temporaneamente ridotte a causa di problemi di manutenzione dei gasdotti e che la Russia è un fornitore di energia molto affidabile, che adempie rigorosamente a tutti i suoi obblighi.

Ma nelle cancellerie europee l'opinione ormai unanime è che i tagli alle forniture siano parte di una precisa strategia del Cremlino volta ad evitare che l’Europa riempia i suoi stoccaggi di gas in vista del prossimo inverno.

Così che, alle prese con conseguenti forti perdite economiche e politiche, i governi del Vecchio Continente siano costretti a diminuire il loro supporto all'Ucraina.

STATO DEGLI STOCCAGGI DI GAS IN EUROPA.

% di riempimento degli stoccaggi nazionali - Fonte: AGSI.

Ad oggi, gli stoccaggi dei 27 Stati membri sono complessivamente pieni al 55%.

Un dato migliore rispetto alla media del 53% degli ultimi cinque anni. Che però nasconde forti differenze tra i singoli paesi. Si va dal 99% del Portogallo al 27% della Croazia, passando dal 58% della Germania che nonostante lo stato di allarme, è comunque superiore alla media europea.

L'obiettivo concordato dai legislatori europei è il raggiungimento di un livello minimo obbligatorio dell'80% entro il primo novembre.

Ma alle condizioni attuali più di un paese non raggiungerà questo target. In Italia, ad esempio, ogni giorno dell'ultimo mese lo stoccaggio è aumentato mediamente di 0,28 punti percentuali. A fronte del ritmo attuale, servirebbero 156 giorni per raggiungere il target comunitario. Contro i 130 giorni che mancano al primo novembre: siamo in ritardo di quasi un mese.Insomma, in pochi Stati membri possono escludere un passaggio al livello di allarme come fatto in Germania.

22 giugno 2022- Aiuti militari all’Ucraina, chi sostiene di più Kiev tra i paesi occidentali.

11 ore di riunione. Tante sono state necessarie alla maggioranza tra lunedì e martedì per trovare la quadra sulla risoluzione approvata martedì dal Senato dopo le comunicazioni di Draghi sul Consiglio europeo. Il nodo della discordia dietro questa riunione fiume? Il potenziale nuovo invio di armi all'Ucraina.

Nonostante le richieste di parte dei 5 Stelle di sottoporre al voto parlamentare qualsiasi decisione su nuovi pacchetti di aiuti militari a Kiev, alla fine si è ribadito che il sostegno all'Ucraina continuerà ad avvenire secondo il mandato che il Parlamento ha concesso a fine marzo all'esecutivo. Che autorizza eventuali nuovi invii di armi fino al 31 dicembre senza richiedere ulteriori passaggi parlamentari. Tutto invariato quindi.

Ma il dibattito italiano è un ulteriore esempio delle sempre più diverse sensibilità tra gli alleati nel continuare il sostengo militare all'Ucraina. Differenze che si vedono anche nelle dimensioni e tempistiche di tale supporto.

AIUTI MILITARI ALL’UCRAINA PER PAESE.

Aiuti militari stanziati in miliardi di euro, in % del PIL, e loro quota (%) già consegnata - Fonte: Kiel Institute for the World Economy.

Dall'inizio della guerra, i paesi NATO e i loro alleati hanno stanziato 35 miliardi di euro in aiuti militari per l'Ucraina.

Un terzo di questo ammontare è rappresentato da invii diretti di armi e equipaggiamento militare. Mentre il rimanente consiste in fondi che l'Ucraina può utilizzare per comprare a sua volta le armi che desidera. Guardando al dettaglio dei singoli paesi risulta evidente la differenza di supporto tra le due sponde dell'Atlantico.

Nonostante sia una guerra europea, gli Stati Uniti hanno finora stanziato per i bisogni dell'esercito ucraino 24 miliardi di euro, contro i 7 messi a disposizione dai paesi e le istituzioni europee. Anche dentro il fronte europeo si può riscontrare un'ulteriore frattura. Prendendo in considerazione gli stanziamenti in percentuale del PIL, gli Stati dell'Est Europa dominano la classifica. Mentre bisogna scendere alla tredicesima e quattordicesima posizione per poter trovare Germania e Francia. Ancora più in basso l'Italia il cui supporto militare a Kiev è proporzionalmente 30 volte inferiore a quello dell'Estonia.

Esiste poi una terza crepa tra quanto promesso e quanto effettivamente consegnato. Se Polonia, Francia e Italia hanno già dato all'Ucraina tutto quanto promesso, diverso è il caso degli USA che finora hanno fornito solo il 48% dell'assistenza militare annunciata.                               E ancora peggio fa la Germania dove poco più di un terzo degli impegni presi è stato per ora rispettato.

Non a caso il governo tedesco ha deciso di pubblicare sul suo sito ufficiale la lista degli armamenti che la Germania ha fornito o fornirà all'Ucraina: un tentativo di porre fine alle ripetute accuse (anche provenienti da Kiev) di non aver finora dato abbastanza supporto militare. Infine un'ultima discrepanza emerge tra quanto richiesto dall'Ucraina e quanto effettivamente fornito.

Zelensky ha chiesto 60 sistemi lanciarazzi multipli Himars, che secondo Kiev, potrebbero cambiare le sorti del conflitto. Ma finora ne sono stati consegnati 3 dal Regno Unito e 4 dagli USA che pur ne hanno 363 nei propri depositi militari.

 

9 giugno 2022 - La corsa contro il tempo prima che il grano ucraino venga perduto.

La crisi del grano non si sblocca. Si è concluso con un nulla di fatto l'incontro di mercoledì ad Ankara tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, per la creazione di corridoi sicuri per il trasporto del grano ucraino da Odessa. Nonostante le parti si siano ripromesse di organizzare ulteriori negoziati, restano ancorate alle loro posizioni.

La Russia continua a condizionare l'approvazione di qualsiasi accordo alla rimozione delle sanzioni occidentali che più o meno direttamente colpiscono le sue esportazioni di grano. Mentre l'Ucraina si rifiuta di sminare o comunicare l'esatta ubicazione delle mine nel mare di Odessa, non avendo ricevuto adeguate garanzie che qualsiasi percorso sicuro così creato non venga usato dalla Russia per organizzare attacchi contro la città. Ma almeno Kiev ha aperto alla possibilità che la marina turca scorti i 68 cargo mercantili ora bloccati nei porti ucraini fino a condurli in acque internazionali e da lì verso i porti del Mediterraneo.

Non c'è accordo nemmeno sui tempi di rimozione delle mine. Secondo la Turchia cinque settimane sarebbero sufficienti per sminare completamente le acque di Odessa. Ma ieri il vice ministro dell’Agricoltura ucraino ha parlato di tempistiche di sei mesi.

In ogni caso, non sembra esserci tutto questo tempo a disposizione. Secondo il vicesindaco di Odessa, per accogliere i 19 milioni di tonnellate di grano ottenute dai raccolti di quest'anno, entro una ventina di giorni si dovrà liberare spazio nei silos ora occupati dai 20 milioni di tonnellate di grano tenuto bloccato. Altrimenti il nuovo raccolto marcirà nel giro di poche settimane.

IL PESO DI UCRAINA E RUSSIA NEL MERCATO DEI CEREALI.

Quota (%) dell’export o della produzione mondiale per tipologia di prodotto - Fonte: OWID.

l’Ucraina prima della guerra produceva il 3,7% del grano di tutto il mondo. Una percentuale ora scesa al 2,1%, in virtù di un raccolto del 40% inferiore a quelli pre-bellici.

Ma pur tenendo in considerazione questo calo, l'Ucraina resta al sesto posto tra gli esportatori mondiali di grano.

Prendendo in considerazione anche gli altri cereali, di cui Kiev è tra i principali fornitori al mondo, complessivamente le esportazioni alimentari dell’Ucraina forniscono le calorie necessarie a sfamare 400 milioni di persone.

Con alcuni paesi, come Libia, Uganda o Libano che si troverebbero privati di circa il 40% delle proprie forniture domestiche di grano. Proprio quando, a causa di forti carestie in tutto il mondo, per la prima volta in quattro anni la produzione mondiale di grano è prevista in diminuzione.

I PAESI PIÙ DIPENDENTI DAL GRANO UCRAINO E RUSSO.

Quota (%) della fornitura domestica di grano rappresentata dalle importazioni dall’Ucraina e/o dalla Russia - Fonte: OWID.

 

Ecco perché evitare che il grano ucraino vada perduto è sempre più in cima all'agenda internazionale. La sua esportazione tramite il trasporto via strada e anche quello ferroviario (che impone di cambiare treni alla frontiera dato che le rotaie ucraine non si armonizzano con quelle europee) non garantisce un traffico di volumi compatibili con l'emergenza in corso.

Mentre l'offerta fatta da Putin, di utilizzare i porti ucraini in mano russa di Mariupol e Berdiansk, rimane piena di incognite e al momento poco apprezzata da Kiev e alleati per non legittimare un ruolo del Cremlino come risolutore di una crisi che non ammette di aver causato (oggi Lavrov ha dichiarato che “la crisi alimentare non ha origine da questa guerra”). Tutte le speranze sono quindi riposte sul corridoio di Odessa.

1° giugno - Petrolio, cosa cambierà dopo il ban per i paesi Ue e per la Russia.

Embargo del petrolio russo via mare con inizio fra 6 mesi e dei prodotti raffinati russi a partire dal 2023. Questa la misura principale del sesto pacchetto di sanzioni europee contro la Russia, il cui testo definitivo dovrebbe essere approvato nelle prossime ore dagli ambasciatori dell’Unione Europea. Per poi diventare ufficiale una volta ricevuto l'ok dei leader dei 27 paesi membri.

Per strappare il sì dei paesi più riluttanti si è concesso di escludere temporaneamente (manca da definire una scadenza più precisa) dall'embargo il greggio russo importato attraverso l'oleodotto Druzhba.

Che serve sei paesi europei: Austria, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Germania. Tuttavia, Germania e Polonia hanno già annunciato che comunque interromperanno entro l'anno le loro importazioni dalla Russia di greggio via oleodotto (che rappresentano l’80% del loro import di petrolio da Mosca).

Alla luce di questa decisione, entro la fine del 2022, l'89% del greggio russo importato dall’Ue sarà sottoposto all’embargo.

 

COMPOSIZIONE DELLE IMPORTAZIONI DI GREGGIO RUSSO SOTTOPOSTE A EMBARGO.

Quota (%) del totale di importazioni europee di greggio russo, distinte per tipologia di trasporto e paese - Fonte: Eurostat.

Rimarrà fuori solo la quota dell'11% riconducibile ai tre paesi (la percentuale relativa all'Austria è prossima allo 0%) serviti dal ramo meridionale di Druzhba: Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.

A questi Stati membri sarà vietato rivendere il greggio ad altre nazioni. E potranno contare su misure di emergenza, come la possibilità di effettuare acquisti di petrolio sottoposto a sanzioni nel caso in cui le loro forniture esentate dovessero interrompersi.

Nonostante il ban non sia quindi totale e immediato costringerà la Russia a una non facile ricerca di nuovi importatori per sostituire i 2,4 milioni di barili di greggio al giorno che ha venduto all'Ue nel 2021 (su un totale di 4,7 milioni di barili esportati da Mosca).

Al momento non ci sono le infrastrutture per riorientare completamente le esportazioni di petrolio dall’Europa all'Asia ma il flusso di petrolio russo verso l'Asia è comunque salito del 50% da inizio 2022.

Si parla però di numeri ancora inferiori a quelli europei: a maggio la Cina ha aumentato le proprie importazioni di greggio russo di 0,3 milioni di barili al giorno rispetto alla media del 2021.

L’India di 0,8 milioni da inizio anno. E tali vendite avvengono comunque a un prezzo scontato di circa 30 dollari in meno al barile rispetto al benchmark internazionale.

Secondo le stime di Bloomberg, le perdite annue russe dovrebbero quindi essere nell'ordine dei 22 miliardi di dollari; di cui 10 per l'embargo delle forniture di petrolio via mare, e altri 12 a causa della sospensione delle importazioni da parte di Germania e Polonia.

Ma anche per l'Ue questo embargo comporterà maggiori costi. Bisognerà infatti sostituire l'import di 2,16 milioni di barili di greggio russo al giorno con altrettanti barili di Brent, il cui prezzo è, come già menzionato, di 30 dollari superiore. Ovvero 65 milioni di dollari al giorno di spesa aggiuntiva, che si traducono in 2 miliardi di dollari al mese.

 

30 maggio 2022 - Truppe russe entrate a Severodonetsk. Mosca si fermerà alla conquista del Donbass?

Le forze russe sono entrate a Severodonetsk. Secondo quanto riferito dal governatore ucraino del Luhansk, soldati russi starebbero avanzando verso il centro della città, colpita negli ultimi giorni da una pioggia di fino a 200 colpi di artiglieria pesante all'ora. Tre gli assi lungo cui la Russia sta portando il suo attacco contro Severodonetsk: dai territori conquistati a est della città stessa, da sud di Izium, dove finora la resistenza ucraina ha retto, ma anche da nord di Popasna, recentemente conquistata.

 

CITTÀ DELL’EST E VIE DI RIFORNIMENTO SOTTO ATTACCO.

Fonte: Institute for the Study of War.

La presa di Mosca su questa parte di Donbass sta diventando sempre più stretta. Come è più evidente l'isolamento dei combattenti ucraini qui impegnati. La via di rifornimento chiave da Bakhmut a Lysychansk è stata infatti messa fuori uso dall’artiglieria russa. Mosca ha anche preso Lyman, una piccola città distante solo 20km da Slovyansk, che stando alla dichiarazione dello Stato maggiore ucraino, sarà presto oggetto di un attacco russo su larga scala.

Trattandosi di un fondamentale nodo di trasporto e di approvvigionamento per l'Ucraina orientale, qualora anche questa città dovesse cadere, a Severodonetsk e Lysychansk resterebbe una sola strada di rifornimento, via Siversk, rendendo ancor più complicata la loro difesa. Che rappresenta l'ultimo ostacolo tra i russi e la conquista completa dell'oblast di Luhansk.

L’INVASIONE RUSSA DEL DONBASS.

Fonte: Institute for the Study of War.

Nell'ultima settimana, i combattimenti hanno raggiunto la massima intensità ad est con attacchi contro 40 città ucraine. Le truppe russe sono avanzate più che nell'ultimo mese e mezzo, da quando Mosca ha cambiato strategia per concentrarsi sull’Ucraina orientale. La cui “liberazione”, come dichiarato oggi dal Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, è una “priorità incondizionata” per la Russia.

Il dubbio è se Mosca si fermerà alla conquista del Donbass. Prima della guerra, la Russia occupava circa il 7% del territorio ucraino. Una percentuale ora più che raddoppiata e che supererebbe il 20% con la conquista del Donbass. Abbastanza per rivendicare una vittoria in questa guerra. Ma forse non abbastanza rispetto ai piani originali russi di conquista dell'intero territorio ucraino.

Ecco perché, a due settimane dal ritiro delle forze russe stanziate nella regione, missili russi sono tornati a colpire Kharkiv: quasi a ricordare che le ambizioni russe non sono confinate al solo Donbass. D'altronde, i principali esponenti russi, tra cui il Segretario del Consiglio di Sicurezza, hanno chiarito di non essere a caccia di scadenze ma di essere pronti a una guerra prolungata.

In questo senso si può anche leggere l'entrata in vigore della nuova legge per la rimozione del tetto massimo di età (prima fissato a 40 anni) per il servizio militare in Russia. Di fronte a questo scenario, sono tornate a essere insistenti le richieste di armi da parte di Kiev agli alleati.

In particolare, in cima alla lista dei desideri ucraini ci sono le armi a lungo raggio con una gittata massima di circa 300 km (contro quella di 25 km degli obici finora ricevuti).

Ma Biden ha poche ore fa dichiarato che gli Usa non invieranno all'Ucraina sistemi missilistici con una gittata tale da raggiungere il territorio russo. Non la notizia che Kiev sperava di ricevere per ribaltare la situazione nel Luhansk.

 

 

 

Von der Leyen: "Sanzioni alla Russia fino a gennaio 2023"

e stop al suo oro.

Agi.it-Redazione- (15 luglio 2022) – ci dice:

 

La Commissione ha rafforzato il pacchetto. "Mosca deve pagare un prezzo alto per l'aggressione".

L'Ue rafforza le sanzioni contro Mosca, stop all'import di oro.

AGI - “La brutale guerra della Russia contro l'Ucraina continua senza sosta. Pertanto, proponiamo oggi di rafforzare le nostre pesanti sanzioni dell'Ue contro il Cremlino, applicarle in modo più efficace ed estenderle fino a gennaio 2023. Mosca deve continuare a pagare un prezzo alto per la sua aggressione", lo afferma la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

 La Commissione europea ha introdotto in particolare il divieto di importazione dell'oro russo, e rafforzando nel contempo i controlli sull'esportazioni europee delle tecnologie a duplice uso.

Il nuovo pacchetto ribadisce inoltre che le sanzioni dell'Ue non colpiscono in alcun modo il commercio di prodotti agricoli tra Paesi terzi e la Russia. Allo stesso modo, il testo chiarisce l'esatta portata di alcune sanzioni finanziarie ed economiche. 

Infine, si propone di prorogare di sei mesi le attuali sanzioni fino alla prossima revisione alla fine di gennaio 2023.

Il pacchetto sarà ora discusso dagli Stati membri in sede di Consiglio in vista della sua adozione.

“Le sanzioni dell'Ue sono dure e colpiscono forte. Continuiamo a prendere di mira coloro che sono vicini a Putin e al Cremlino.

 Il pacchetto di oggi riflette il nostro approccio coordinato con i partner internazionali, compreso il G7.

Oltre a queste misure, presenterò anche proposte al Consiglio per aggiungere nella black-list più persone ed entità".

Lo afferma l'Alto rappresentante dell'Ue per la Politica estera, Josep Borrell, commentando il rafforzamento del pacchetto di sanzioni di Bruxelles contro Mosca.

 

 

 

 

Meloni: Dio, Patria, Famiglia.

Manifesto che attraversa i secoli.

 

Lanuovapadania.it – Redazione – (3 agosto 2022) – ci dice:

 

“La sinistra si vorrebbe arrogare il diritto di stabilire quale sia il progresso e quale la direzione nella quale devono andare i cambiamenti.

Un conservatore non è contrario ai cambiamenti in sé.

È contrario alla visione della sinistra secondo la quale progredire vuol dire cancellare tutto ciò da cui proveniamo”.

In un colloquio con il Corriere della Sera, Giorgia Meloni spiega così la sua visione della destra, spiegando di sentirsi “erede” di “una tradizione, una cultura, un’identità e un’appartenenza”.

 E aggiunge: “Dio, Patria e famiglia non è uno slogan politico ma il più bel manifesto d’amore che attraversa i secoli. Affonda le sue radici nel ‘pro Aris et Focis’ di Cicerone: ‘l’altare e il focolare’ che da sempre fondano la civiltà occidentale”.

Quanto all’allarme per il ritorno del fascismo, “la sinistra cerca di scappare dalle sue responsabilità accusando gli altri di cose assurde. Questa abitudine della sinistra di tornare a parlare di fascismo e antifascismo in campagna elettorale credo abbia stancato gli italiani, sia di centrodestra che di centrosinistra”.

 

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