RITIRARE LE SANZIONI.
RITIRARE LE SANZIONI.
Ritirare
le sanzioni alla Russia.
Lo
dice addirittura Luttwak,
il
falco dei falchi USA.
Visionetv.it-
Giulia Burgazzi- (30 Agosto 2022) – ci dice:
L’Occidente
ha sbagliato tutto con la Russia. Bisogna ritirare le sanzioni, che non la
danneggiano e che sono controproducenti per l’Europa. È il senso della
sorprendente raffica di tweet sparata ieri, lunedì 29, da Edward Luttwak, un maître à penser della geopolitica
statunitense organico al Governo USA.
Non è
l’unico a pensare che la strategia dell’Occidente sia, diciamo, piuttosto miope
e col fiato ormai corto. Lo sostengono in questi giorni anche gli articoli di
autorevoli testate internazionali secondo i quali è in via di esaurimento la
capacità occidentale di offrire appoggio all’Ucraina. Le armi e gli aiuti di ogni tipo
all’Ucraina sono stati finora, insieme alle sanzioni, il pilastro della
politica occidentale. Ma il Wall Street Journal avverte che, a furia di armare
l’Ucraina, gli Stati Uniti stanno impoverendo i loro arsenali: gli stock di
determinati caricatori sono già ridotti in modo preoccupante.
Secondo
il Times, la Gran Bretagna è in una situazione analoga e forse peggiore: sta
finendo le armi e con la fine di quest’anno troverà complicato anche offrire
altri soldi.
(farsnews.ir-29 agosto 2022- riassunto:
Rapporto:
il Regno Unito finirà le armi, i fondi per l'Ucraina entro la fine del 2022.
Il
Regno Unito sta esaurendo le armi da inviare in Ucraina e non sarà in grado di
fornire assistenza finanziaria per le esigenze militari di Kiev entro la fine
del 2022, ha riferito il Times citando una fonte anonima del Ministero della
Difesa.
Mentre
il conflitto in Ucraina non mostra segni di fine, i pianificatori politici di
Whitehall sono stati costretti ad ammettere che sono "su questo treno ora,
e non c'è modo di scendere", hanno affermato le fonti del giornale.
Questa
situazione minaccia di mettere il nuovo primo ministro, chiunque prenderà il
seggio dopo le elezioni per la leadership dei Tory, in una posizione difficile,
ha osservato il Times.
"Il
nuovo primo ministro affronterà molto presto la questione se impegnare miliardi
di sterline di sostegno aggiuntivo in un momento in cui le finanze pubbliche
sono sotto intensa tensione", ha sottolineato.
Secondo
il vicepresidente del Royal United Services Institute ed ex consigliere per la
sicurezza nazionale della Gran Bretagna, Lord Ricketts, Londra si è trovata in
questa situazione perché era convinta di fare la chiamata giusta impegnandosi
in aiuto all'Ucraina e non considerando le implicazioni a lungo termine.
Ha
sottolineato che esiste un "consenso nazionale abbastanza
superficiale" sul fatto che il Regno Unito abbia fatto bene a sostenere l'Ucraina
all'inizio dell'operazione militare speciale russa, ma nessuno si è preoccupato
di porre la domanda se il paese può resistere agli eventi che potrebbero
seguire.
"Questo
non è probabile che finisca in una sorta di sconfitta in stile 1945 per [il presidente
Vladimir] Putin e la Russia. Non c'è via d'uscita se non quella di costruire
militarmente gli ucraini e sperare che qualcosa accada. Non c'è un vero
pensiero a lungo termine su dove stiamo andando. Può andare avanti
all'infinito? Dove vediamo questo venire fuori?" Lord Ricketts si
chiedeva. Allo stesso tempo, i comuni britannici, che a febbraio e marzo sono
stati galvanizzati per offrire aiuto ai rifugiati ucraini e hanno sostenuto con
entusiasmo le sanzioni britanniche contro la Russia, stanno iniziando a sentire
il pizzico delle loro azioni, con conseguente ciò che il giornale ha chiamato
"stanchezza ucraina".
Una
delle loro maggiori preoccupazioni è il prezzo del gas e dell'elettricità. Il
regolatore nazionale Ofgom ha annunciato all'inizio di questa settimana un
aumento dell'80% del tetto dei prezzi dell'energia, un limite al prezzo di
un'unità di gas ed elettricità. Ciò ha fatto seguito a un aumento simile in
aprile.
Mentre
alcuni britannici interpellati dal giornale hanno detto che credevano di dover
soffrire e sopportare i problemi economici causati dal sostegno occidentale
all'Ucraina e dalle sanzioni anti-russe, altri temevano che il sostegno a Kiev
potesse essere andato troppo oltre.
"Sostengo
l'armamento dell'Ucraina, ma sono assolutamente terrorizzato dal prezzo del gas
[...] Penso che siamo stati un po' colpevoli di glorificare eccessivamente gli
ucraini", ha detto al Times Karine Hyde, 59 anni, responsabile dello
studio medico.
I
sondaggi d'opinione nel Regno Unito mostrano anche una riduzione del sostegno
alla pressione anti-russa occidentale. All'inizio dell'operazione militare
speciale russa, un sondaggio YouGov ha mostrato che il 48% dei britannici
sosteneva l'idea di sanzioni anti-russe anche se portavano a bollette
energetiche più elevate, mentre il 38% si opponeva alla mossa. Ora, solo il 38%
li sostiene, mentre la maggioranza ritiene che non valga la pena le
conseguenze.
Il
Regno Unito è secondo solo agli Stati Uniti in fondi spesi per l'invio di armi
in Ucraina con 4,37 miliardi di dollari stanziati a tale scopo. Nel frattempo,
i suoi cittadini attendono una misura governativa per contenere la grave
impennata dei prezzi dell'energia. Il primo ministro britannico Boris Johnson
ha regolarmente visitato Kiev e incontrato il presidente ucraino Volodymyr
Zelensky, e spesso promette di inviare più armi.
La
Russia ha ripetutamente condannato la pratica dell'Occidente, sottolineando che
incoraggia Kiev a ignorare i percorsi diplomatici per risolvere il conflitto.
Da quando le armi hanno iniziato ad arrivare in Ucraina, Kiev ha interrotto i
negoziati con la Russia e i suoi funzionari hanno iniziato a sostenere che
porranno fine alle ostilità solo quando le forze russe saranno espulse da parti
dell'Ucraina, del Donbass e della Crimea.)
Ma la
cosa più sorprendente sono i tweet di Luttwak. Non è un esperto qualsiasi di
geopolitica. Fa parte del Center for Strategic and International Studies,
importantissimo centro di studi e analisi internazionali con sede a Washington,
ed è, o è stato, membro del Consiglio di sicurezza USA nonché consulente del
Governo.
È il
falco dei falchi, Luttwak. Vuole la vittoria piena degli Stati Uniti: pardon,
dell’Ucraina. Fa l’elenco degli errori solo affinché siano raddrizzati. A prescindere da questo suo punto di
vista, i suoi tweet mettono autorevolmente in luce le balle (“le sanzioni sono
devastanti per Putin”) finora raccontate da politici, governi, Unione Europea e
giornaloni.
Innanzitutto,
Luttwak constata che non è possibile piegare la Russia con le sanzioni perché è
autosufficiente quanto a cibo ed energia: le sanzioni la inducono solo alla
rappresaglia. Ovvero, a tagliare il gas all’Europa e a innescare il rincaro folle
dell’energia che sta mandando a gambe all’aria il continente. Meglio ritirare le sanzioni e
aiutare di più l’Ucraina, sostiene: anche se Wall Street Journal e Times hanno
appena scritto che è sempre più difficile continuare a farlo.
Luttwak
sbugiarda anche la teoria secondo la quale le sanzioni finanziarie avrebbero
messo KO la Russia. Ne fu artefice Draghi, e se lo tenga per detto: per fare una
guerra non serve valuta straniera.
La
bordata finale è per l’UE, che sta meditando di sanzionare ulteriormente la
Russia attraverso lo stop ai visti turistici per l’ingresso in Europa. Non vede
che anche questo spinge i russi a stringersi intorno a Putin? Osserva Luttwak, che di nuovo invoca il ritiro
delle sanzioni.
Luttwak,
il falco dei falchi statunitense, vorrebbe la vittoria dell’Ucraina e la
restaurazione di un ordine mondiale sul quale regnano gli Stati Uniti.
Non si può pretendere che prenda atto del
nascente ordine multipolare.
Mostra
comunque gli errori di una politica statunitense che causa fra l’altro
l’impoverimento dell’Europa e mostra come i leader UE stiano comportandosi da
servi compiacenti e sciocchi: compreso Draghi, il cosiddetto migliore.
È
moltissimo, da uno come lui.
(GIULIA
BURGAZZI).
Putin è abbastanza forte da
mettere
lui le sanzioni: da
oggi
taglia il gas a Italia e Germania
visionetv.it-
Giulia Burgazzi- (15 Giugno 2022) – ci dice:
Era
nell’aria, era nei numeri. Tagliando il gas all’Europa, la Russia rinuncia ad
un incasso relativamente modesto e sferra un colpo durissimo all’anello più debole del
cosiddetto blocco occidentale. Oggi, mercoledì 15 giugno, il colosso russo Gazprom ha ridotto
del 15% le forniture all’Italiana ENI.
Ieri, martedì, ha diminuito del 40% il volume del gas consegnato alla
Germania: in teoria, perché le lungimiranti sanzioni occidentali impediscono la
riconsegna di una turbina del gasdotto Nord Stream I, portata in Canada per la
manutenzione e rimasta bloccata laggiù.
In
pratica, Putin probabilmente ha colto al balzo la palla della turbina per
compiere la prima mossa di una precisa strategia. È abbastanza forte per istituire egli
stesso sanzioni contro chi ha cercato di sanzionarlo. Nell’UE, Italia e Germania sono i
Paesi che più dipendono dal gas russo. Il colpo, oltre che durissimo, è
anche ben mirato.
La
Russia è sempre stato il maggior fornitore di energia per l’Unione Europea,
così povera di risorse naturali. Le sanzioni occidentali sull’esportazione di
combustibili fossili, istituite per danneggiare la Russia, fanno soffrire, e
molto, l’UE. Però la Russia non soffre affatto, e anzi è ormai in condizione di,
diciamo, ricambiare il favore.
La
chiave di tutto è il prezzo di petrolio, gas, carbone. Erano rincarati già prima
dell’inizio della guerra; sono andati alle stelle con le sanzioni. Vero che la
Russia ora vende meno petrolio e meno gas, ma è altrettanto vero che,
vendendoli, incassa ben più di prima: circa un miliardo di dollari al giorno,
salute! contro i 650 milioni dell’anno scorso.
L’Italia,
la Germania, l’intera Unione Europea al contrario sono particolarmente
sofferenti a causa del rincaro dell’energia e delle materie prime.
Il gas
russo, poi, è vitale per Germania e Italia: i maggiori clienti europei di
Gazprom.
Non a caso a Bruxelles non si è mai nemmeno parlato di istituire sanzioni sul
gas russo. È impossibile trovare subito altro gas per sostituirlo, come insegna
la vicenda del mitologico gas algerino per l’Italia. E ora è la Russia a
chiudere i rubinetti.
Al
contrario, per la Russia il mancato o ridotto incasso del gas europeo può
essere sopportabile. Si calcola infatti che l’esportazione di gas consegnato
via gasdotto costituisca poco meno di un quarto dei pingui proventi
dell’esportazione di combustibili fossili. Di questo gas, una modesta parte (col
relativo incasso) va alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia: 1300
miliardi di piedi cubici all’anno secondo l’unità di misura anglosassone,
ovvero circa 37 miliardi di metri cubi. Nell’UE, fino a pochi mesi fa,
arrivavano 155 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno.
Diminuire
o addirittura bloccare le consegne a Germania, Italia ed eventualmente altri
comporta per la Russia una perdita: ma non è una perdita grave. Inoltre la disperata ricerca di gas
alternativo a quello russo farà prevedibilmente aumentare ancora il prezzo del
gas.
La
Russia va riducendo da tempo le consegne di gas ai Paesi dell’Unione Europea. Da diverse settimane ha chiuso il
gasdotto Yamal, diretto in Germania attraverso la Polonia.
Ha
chiuso il gas ai Paesi che rifiutano di pagarlo in rubli: Polonia, Bulgaria,
Finlandia, Danimarca, Olanda. Peraltro, si tratta di clienti minori. Inoltre
l’Ucraina, nella sua foga antirussa, ha bloccato una stazione di pompaggio da
cui passa circa il 25% del gas russo che attraversa il suo territorio per
raggiungere l’UE.
Ora il
gasdotto Nord Stream I verso la Germania ha ridotto le consegne del 40%, e del
15% si riducono le consegne all’Italia. È ancora lontano l’inverno, quando il
gas servirà anche per il riscaldamento: ma l’inverno si annuncia duro.
(GIULIA
BURGAZZI)
Zelenskyy interviene al “World Economic
Forum”:
tra nuove
sanzioni alla
Russia e contrazione dei mercati.
Liucfinclub.com-
Davide Crivellaro e Gianluca Salvagnini – (06 Giugno 2022) – ci dice:
Cos’è
il World Economic Forum e di cosa ha trattato in questa edizione?
Nella
settimana tra il 22 e il 26 maggio è andato in scena, come ogni anno, il Word
Economic Forum, a Davos, nel Canton Ginevra in Svizzera.
Il
Forum è stato ideato nel 1971 dall’economista Klaus Schwab e mira a coinvolgere
i principali leader politici, economici, culturali della società per dare forma
alle agende globali, regionali e del settore.
I temi ricorrenti di questo summit riguardano
principalmente le questioni urgenti che interessano l’intero Pianeta Terra, in
particolare questioni in materia di salute, problemi sociali e ambientali.
Quest'anno
i temi trattati durante questi 5 giorni sono stati molteplici. In particolare, hanno incluso confronti sul
ribilanciamento economico, sulle minacce di stagflazione date dalle risposte
delle banche centrali all’aumento dell’inflazione, analisi legate alle
tematiche ESG e alla sanità globale e alla contrazione della supply chain che
minaccia l’intero Vecchio Continente.
Ovviamente
però il focus non poteva che essere lo scenario di guerra russo-ucraino che si
sta sviluppando alle porte dell’Europa dalla metà di febbraio.
A tal proposito è infatti intervenuto, durante
l’incontro del 23 maggio, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy tramite
videochiamata.
Durante
il summit di quest’anno la crisi geopolitica in corso ha permeato un gran
numero di argomenti trattati, non solo per la crisi in sé ma anche per tutti
gli effetti che ne stanno scaturendo.
Un esempio è la contrazione dell’offerta di beni
primari, situazione che sta facendo alzare notevolmente i prezzi già da qualche
tempo, problema che non viene che peggiorato dall’aumento del tasso di
inflazione.
Secondo gli esperti presenti al WEF, tra cui
David Beasley, capo del World Food Programme, i mesi che verranno saranno causa
di forti squilibri all’interno dell’intera Europa.
Questa crisi potrebbe anche distogliere l’attenzione
da tematiche ESG legate al mondo dell’agricoltura e dell’approvvigionamento
alimentare sostenibile, ritardandone l'efficientamento.
Un
altro argomento di punta che viene ogni anno trattato in questo summit è legato
alle problematiche legate al mondo green energy.
Quest’anno,
come già detto, anche questo elemento è influenzato dal conflitto. Infatti,
quest’ultimo sta facendo sì che gli stati mondiali ed in particolare europei,
accelerino gli sforzi per allontanare l'Europa dal petrolio e dal gas russo.
Questo
allontanamento repentino dalle suddette fonti energetiche potrebbe costringere
entità come la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo a diventare un po' più
creativa sul fronte delle energie rinnovabili, date le future esigenze
infrastrutturali.
L’intervento
di Zelenskyy al WEF.
A fare
da cornice a queste tematiche è stato sicuramente l’intervento già sopra citato
del presidente ucraino.
Nella
seduta del 23 maggio è intervenuto con un discorso di grande impatto e forte
peso morale, ha infatti ribadito come il suo paese non rinuncerà alla terra in
cambio della fine della guerra con la Russia dopo la sua invasione.
Durante
il discorso ha ammonito pesantemente le azioni del governo russo evidenziando
la forza bruta senza precedenti che non fanno altro che richiamare alla memoria
gli scontri bellici di 70 anni fa.
Oltre
che riferirsi alle azioni russe, ha puntato il dito anche nei confronti degli
stati che hanno offerto solo che indifferenza alla situazione attuale,
esortandoli a porgere un aiuto più sostanzioso.
Toccando
invece aspetti più legati ad una possibile ripartenza economica che al momento
sembra essere un miraggio, Zelenskyy, ha invitato i paesi e le istituzioni
presenti al WEF a donare aiuti attraverso un fondo istituito per ricostruire il
paese. Il fondo ha attualmente collezionato 43 milioni di $, cifra irrisoria
paragonata ai danni causati dalla guerra fino a questo momento, quantificati
dallo stesso portavoce ucraino attorno al "mezzo trilione di
dollari".
Il
presidente ucraino per il suo paese chiede un futuro “di persone e imprese” e
una “nazione moderna e sicura”, la ripartenza deve avvenire a partire dallo
sblocco dei trasporti attraverso nodi commerciali strategici.
Stessi
nodi commerciali che sempre secondo Zelenskyy dovrebbero essere negati alla
Russia, portandola ad un’esclusione dai mercati, non solo europei, ma anche
mondiali, in risposta alla suddetta ferocia e ingiustificabilità di un’azione
così spregiudicata come la guerra.
Ma le
sanzioni imposte alla Russia stanno funzionando?
Approfondendo
le tematiche legate alle sanzioni che ha citato Zelenskyy durante il summit e
la loro effettiva efficacia, evidenziamo come gli Stati Uniti, così come gli
stati europei, stanno adottando sempre più misure finanziarie per evitare
conflitti militari.
L’impatto di queste sanzioni è difficile da
prevedere in quanto sono in grado di portare ad effetti collaterali
indesiderati, come ad esempio alta inflazione, contrazione dell’offerta e in
generale dinamiche economiche avverse.
Colpire duramente la Russia, essendo un grandissimo
esportatore di materie prime, significa danneggiare, e non poco, anche la
propria di economia, essendo figlia di un processo di globalizzazione che si
appoggia ad una filiera produttiva ramificata che si serve di risorse dislocate
in tutto il mondo.
Nella
fattispecie per i Paesi Membri dell’Unione è complicato porre delle sanzioni in
quanto la loro economia dipende in larga misura dal greggio prodotto dalla
Russia, così come dai fertilizzanti, dal grano e dai metalli come nichel,
platino e alluminio. La diretta conseguenza di queste sanzioni sarebbe una
riduzione della fornitura di tali risorse con successivo aumento dei prezzi che
verrebbe scaricato sui consumatori, proprio come sta accadendo in questo
momento.
Anche
se andando a sanzionare un Paese con cui si hanno rapporti commerciali si
rischia di colpire marginalmente anche la propria economia, è altrettanto vero
che il Paese sanzionato in questione, la Russia, subirebbe dei danni molto più
ampi e verrebbe costretta a tagliarsi fuori dagli interscambi globali.
Ciò
porterebbe non solo a danni tangibili nell’immediato ma anche a danni molto più
importanti nel lungo termine. Paesi come la Russia quindi sono, almeno secondo
quanto ci dice la storia, più propensi ad accettare tali sanzioni, soprattutto
perché, essendo imposte da molti paesi, rischierebbero di diventare
paralizzanti.
Sono
un esempio il boicottaggio globale del Sud Africa negli anni '80 ha contribuito
allo smantellamento della sua politica di apartheid razzista e le misure
globali contro l'Iran che hanno compresso la sua economia e spinto i suoi
leader a tornare ai colloqui portando ad una limitazione dei piani nucleari del
paese.
Cosa
aspettarsi dai prossimi mesi.
Basandoci
su quanto riporta l’intelligence americana e britannica, Putin ha tre possibili
scelte:
continuare a bombardare le città spezzando ogni forma di resistenza, aspettare
rinforzi e riprendere l’offensiva per il logoramento o arrivare alla terza ed ultima scelta,
quella più improbabile, ovvero arrivare ad un accordo di negoziati con le due
parti di mediazione Israele e Turchia.
Per i
maggiori esponenti dell’economia globale presenti a Davos, le implicazioni del
conflitto sono sia immediate che a lungo termine. Secondo quanto riportato dal
Financial Times, uno dei massimi esponenti dell’industria energetica presente
al summit, ha affermato come tra solo un anno l’Unione Europea potrà essere
indipendente dal gas russo.
Il rovescio della medaglia però, è l’aumento dei
prezzi del cibo fortemente dipendenti dalla Russia e Ucraina per la produzione
del grano. Il già citato nel primo paragrafo David Beasley, ha affermato in un
panel che se il porto ucraino di Odessa non dovesse riaprire nelle prossime
settimane potremmo andare incontro a carestie.
Gli
Stati Uniti al tempo stesso stanno considerando potenziali sanzioni verso la
Cina, questo dovuto anche alle scelte di Pechino di acquistare petrolio russo e
dunque indirettamente finanziare questa campagna di guerra lanciata da Mosca.
Il focus dei prossimi mesi sarà proprio sul
funzionamento delle sanzioni imposte dagli stati occidentali. Nel caso fosse positivo affermerebbe
come il mondo sia ancora governato dagli Stati Uniti, se invece non dovessero funzionare,
si correrebbe il rischio di una creazione ancora più accentuata di due fazioni
economiche sconnesse tra di loro che si spartiscono il controllo dell’economia
globale.
Davos
2022, nuovi scenari
nell’incontro
del World Economic Forum.
Avantionline.it-
SALVATORE RONDELLO – (24 MAGGIO 2022) – ci dice:
Domenica
è iniziato a Davos, in Svizzera, l’incontro annuale del World Economic Forum,
una fondazione senza fini di lucro con sede a Ginevra.
Riunisce
tutti gli anni politici e imprenditori delle più importanti aziende del mondo,
per parlare di economia e società.
Quest’edizione
del Forum si svolge nuovamente di persona dopo la pandemia. In ritardo rispetto
all’usuale incontro previsto a fine gennaio a causa dell’arrivo della variante
omicron che ha costretto gli organizzatori a rimandare, arriva in un momento
cruciale della storia del mondo.
Questa
edizione del Forum di Davos, si riunisce in un mondo molto cambiato rispetto
all’ultima edizione, nel gennaio del 2020: a causa della pandemia, e
soprattutto a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, che sta mettendo in discussione molti dei
princìpi su cui il Forum si basa, come la globalizzazione e i liberi commerci.
Per la
prima volta dal crollo dell’Unione Sovietica, per esempio, a quest’edizione non
parteciperà nemmeno un politico o un imprenditore russo.
Guardando
il programma, il Forum di Davos non è molto diverso da com’era prima della
pandemia. Domenica, la giornata è stata dedicata soprattutto all’accoglienza
degli ospiti, e le attività sono iniziate da lunedì con conferenze, convegni e
panel in cui si alternano personaggi più o meno famosi, dai capi di stato agli
imprenditori miliardari, a giornalisti ed esperti meno noti. Delle 2.500 persone
invitate a parlare al Forum, 50 sono capi di stato e di governo, e oltre 250 i
ministri provenienti da tutto il mondo.
La
prima differenza fondamentale sarà la completa assenza di russi e russe
all’evento. Il presidente russo Vladimir Putin è stato un ospite frequente a
Davos (l’ultima volta nel 2021, quando l’evento si tenne in streaming) e
l’influenza dei miliardari e degli imprenditori russi è sempre stata piuttosto
notevole al Forum, e non soltanto perché, come nota Bloomberg, le feste
notturne degli oligarchi erano tra le più ricche, stravaganti e ambite.
Ancora
l’anno scorso Klaus Schwab, fondatore e tuttora organizzatore del Forum, definiva ‘essenziale’ la voce di
Vladimir Putin, ed era un forte sostenitore del fatto che il dialogo con l’élite russa
fosse necessario per porre le basi di un mondo più ricco e pacifico.
Ma
dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Schwab e gli altri organizzatori hanno
deciso di escludere tutti gli ospiti russi dall’evento. Benché la decisione sia
ampiamente giustificata, è per molti versi una grossa sconfitta per il Forum di
Davos, la cui filosofia si basa sul fatto che la comunicazione tra leader
politici ed economici, lo scambio di idee, l’interdipendenza e i liberi
commerci siano la chiave per un mondo più prospero e pacifico.
La
pandemia ha iniziato a dare nuova forma al pianeta, portando alla luce problemi
e urgenze. Ma il Covid, non ancora debellato del tutto, basta guardare gli
eventi cinesi, è stato il preludio di cambiamenti epocali. Il quadro attuale è composto da una
guerra in Europa, una crisi energetica senza precedenti con la transizione
green che pressa i leader globali, una globalizzazione distrutta, un clima di
contrapposizione fra grandi potenze come Usa, Cina, Russia, un’inflazione ai
massimi nel mondo.
Per
questo, il World Economic Forum Annual Meeting 2022 di maggio, si riunisce nel
momento geopolitico e geoeconomico più consequenziale degli ultimi tre decenni
e sullo sfondo di una pandemia irripetibile.
La
settimana fitta di incontri e sessioni di dibattito, che si svolgerà come di
consueto nella cornice della cittadina svizzera di Davos dal 22 al 26 maggio,
ha questo filo conduttore: “La storia a un punto di svolta: politiche governative e
strategie di business.”
Klaus
Schwab,
fondatore e presidente esecutivo del Forum ha spiegato perché questa
straordinaria edizione primaverile è importante: “C’è la guerra in Ucraina,
innanzitutto. E poi, è la prima riunione faccia a faccia dopo quella che tutti
speriamo sia la fine della catastrofe sanitaria più significativa degli ultimi
100 anni, la pandemia di Covid che ha causato 15 milioni di morti secondo
l’OMS. Inoltre,
la crisi climatica è sempre più urgente e richiama a interventi condivisi e
repentini. Sullo sfondo, la nostra economia globale è sbilanciata. C’è troppo debito, troppa
inflazione, troppa disuguaglianza e crescita insufficiente.”
In
questo complesso scenario, i temi del World Economic Forum sono otto: clima e natura; economie più
giuste; tecnologie e innovazione; lavori e competenze; migliorare gli affari; salute e sanità; cooperazione
globale; società ed equità.
In
questa edizione con un collegamento online speciale è intervenuto il presidente
ucraino Zelensky.
Tra
gli ospiti: il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il premier spagnolo Pedro Sanchez, il
presidente israeliano, Isaac Herzog, la presidente della Commissione Ue, Ursula
von der Leyen, Paolo Gentiloni, la presidente della Bce, Christine Lagarde, l’inviato speciale per il clima del
presidente Usa, John Kerry e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.L’Italia è rappresentata da diversi
ministri, quali: Daniele Franco per l’economia, Roberto Cingolani per la
transizione ecologica, Vittorio Colao per l’innovazione tecnologica e
transizione digitale, Enrico Giovannini per le infrastrutture e mobilità
sostenibile.
Anche
i manager delle società nazionali di punta sono a Davos, come Andrea Illy
(Illycaffè), Paolo Merloni (gruppo Ariston), Silvia Merlo (Saipem), Domenico
Siniscalco (Morgan Stanley), Stefano Scabbio (gruppo Manpower), Francesco
Starace (Enel), Andrea Sironi (Generali).
Il New
York Times ha scritto: “Più in generale, molti dei princìpi di cui Davos è stato per
anni il simbolo, come globalizzazione, liberalismo, capitalismo di mercato,
democrazia rappresentativa, sembrano essere sotto attacco”.
La
pandemia ha portato molti governi ad adottare politiche isolazioniste, tanto
che certi paesi, alcuni dei quali fondamentali per l’economia mondiale, come la
Cina, sono di fatto chiusi da due anni ai visitatori dall’estero. La crisi dei commerci globali ha
messo in seria difficoltà tutto il sistema della globalizzazione su cui si basa
l’economia del mondo. Come ha notato l’Economist, inoltre, la pandemia è coincisa con una crisi
gravissima della democrazia globale, con molti paesi che sono diventati
autoritari e altri in cui le libertà si sono ristrette. Ma questa è una
conseguenza naturale a cui ha portato il cosiddetto neoliberismo.
La
guerra in Ucraina ha amplificato tutti questi fenomeni e li ha resi più
evidenti e complicati. In un’intervista al New York Times, Schwab ha detto: “Viviamo
in un mondo differente. Anche quando ci trovammo l’ultima volta nel 2020
avevamo molte gravi preoccupazioni. Ma ora abbiamo due eventi ulteriori la
pandemia e la guerra, che hanno davvero accelerato la serietà della
situazione”.
Tutti
questi fattori potrebbero rendere il Forum di Davos differente dalle edizioni
degli anni passati. Børge Brende, presidente del World Economic Forum, in un
video pubblicato dall’organizzazione, ha spiegato che è da decenni che non
assistiamo a così tanti “rivolgimenti geopolitici e geoeconomici”.
Da
molto tempo il Forum è criticato come un consesso di persone ricche, potenti e
famose che fanno grandi propositi ma poi non concludono niente. Qualche anno fa
è stato anche inventato il termine, uomo di Davos (Davos man), per indicare i
miliardari che partecipano al Forum, parlano di ambiente, giustizia ed
eguaglianza ma poi nella loro attività quotidiana sono una delle cause
principali di diseguaglianza e discriminazione.
Da
anni, inoltre, il Forum di Davos è considerato meno influente, soprattutto per
la sua impostazione tutta incentrata sul modello politico ed economico
dell’Occidente, benché nel mondo i paesi che non adottano questo modello, o che
lo contrastano attivamente come la Cina, stiano assumendo sempre più
importanza.
Come
ha detto lo stesso Schwab, stiamo assistendo alla frammentazione del mondo.
Nonostante ciò, il Forum di Davos non perderà necessariamente importanza e
centralità.
L’apertura
è stata affidata all’intervento in videoconferenza del presidente ucraino,
Volodymyr Zelensky. Primo tra i capi di Stato a prendere parola, Zelensky è
stato accolto da un lungo applauso dei presenti. Nelle sue parole di
riferimento al dramma che vive l’Ucraina, ha detto: “La guerra deciderà se la forza bruta
può governare il mondo. Se così fosse non ci sarebbe bisogno di ulteriori
incontri a Davos perché non ci sarebbe motivo per questo. La forza bruta non
discute”.
Zelensky
ha chiesto poi il massimo delle sanzioni contro la Russia per fermare
l’aggressione, tra cui un embargo sul petrolio, il blocco di tutte le banche e
l’interruzione totale degli scambi commerciali con la Russia. Zelensky ha
inoltre affermato che il suo Paese ha rallentato l’avanzata russa e che il
coraggio del suo popolo ha suscitato un’unità mai vista nel mondo democratico.
Zelensky
ha aggiunto: “Serve sbloccare i nostri porti sul Mar Nero. Bisogna usare tutti i
canali diplomatici, perché da soli non possiamo lottare contro la Russia. Noi
parliamo con la Commissione europea, il Regno Unito, la Svizzera, la Polonia, e
l’Onu e chiediamo loro di prendere misure per un corridoio per l’export del
nostro grano e dei cereali, altrimenti la penuria avrà effetti sul mondo e ci
sarà una estensione della crisi energetica e, persino, della crisi alimentare.
Offriamo al mondo la possibilità di creare un precedente per ciò che sta
accadendo quando si tenta di distruggere un paese vicino. Vi invito a prendere
parte a questa ricostruzione. Avremo bisogno di ricostruire tutto, le città
grandi e quelle piccole, i paesi, i villaggi. Ci sarà bisogno dei migliori
architetti, dei migliori ingegneri, dei migliori operati. C’è bisogno di voi.
Grazie alla Svizzera, perché organizza il Forum di Davos e perché, a Lugano, in
luglio, ospiterà l’Ukraine Recovery Conference. Io sono riconoscente al mondo, a tutti voi, ci avete
aiutato e che ci state aiutando: non perdete questo sentimento di unità, è il
segno della forza che i russi temono”.
Sempre
sul tema dell’Ucraina, al Forum segue una sessione dal titolo Spirito di
resilienza: voci ucraine in cui parteciperanno cinque parlamentari ucraini, tra
cui il vice premier e ministro dell’Economia, Yuliia Svyrydenko. Ma saranno
decine nei prossimi giorni le sessioni in cui si discuterà della guerra, tanto
dal punto di vista degli scenari geopolitici in mutamento, quanto da quello
delle conseguenze del conflitto sull’economia a livello globale.
Spazio
nel summit anche per i temi di clima e transizione energetica.
Il
programma prevede infatti sei pilastri tematici: promuovere la cooperazione globale e
regionale; assicurare la ripresa economica e dare forma a una nuova era di
crescita; costruire società sane ed eque; salvaguardare il clima, il cibo e la
natura; guidare la trasformazione industriale; sfruttare il potere della Quarta
Rivoluzione Industriale. Il focus sarà quindi anche sull’impennata dei prezzi
dell’energia e della minaccia di una crisi alimentare mondiale. E non mancheranno discussioni e
riflessioni su parità di genere, diseguaglianze, necessità di creare posti di
lavoro correttamente retribuiti.
Come
ogni anno dalla sua istituzione per idea di Klaus Schwab, l’evento di Davos
sarà anche un’occasione per far incontrare le diplomazie e affrontare questioni
delicate. Una opportunità fondamentale in questo tempo di guerra.
Riusciranno
gli uomini di Davos a risolvere i problemi del mondo: fame, clima, guerre che affliggono
l’umanità?
Auspichiamo che alle parole seguano i fatti dove la pace e un’equa
distribuzione della ricchezza sono essenziali.
(Salvatore
Rondello)
Solo
Draghi premier
non ci
farà affondare?
Starmag.it-
Riccardo Ruggeri – (4 settembre 2022) – ci dice:
(Il
Cameo di Riccardo Ruggeri)
Per
quel che vale la mia analisi (in concreto, nulla) se non vogliamo affondare,
noi cittadini comuni, europei, americani, cinesi, BRICST +, dobbiamo chiedere a
P. e a Z. di cessare le loro ostilità in Ucraina da subito.
Sappiamo
chi è l’aggressore e lo condanniamo. Sappiamo chi è l’aggredito e lo aiuteremo
a ricostruire.
Ma le
leadership non russe e non ucraine devono ricordare che politica estera
significa fare gli interessi supremi e vitali dei rispettivi Paesi. E questi,
oggi, pare non coincidano più né con quelli nobili dell’aggredito né con quelli
ignobili dell’aggressore.
Nessun
Paese può permettersi questa guerra, apparentemente regionale, in realtà
globale, per un motivo banale: “costa” troppo, e i nostri cittadini non sono
più disposti a farsene carico.
Ignobile
in termini etici, ma umanamente comprensibile, specie se sei povero. In sei mesi, abbiamo distrutto gran
parte del nostro patrimonio e penalizzato il nostro stile di vita. Un esempio:
quest’inverno, il combinato disposto freddo-povertà indotta-residui della
pandemia, farà in Italia una strage di vecchi e di fragili, devasterà
definitivamente il Servizio Sanitario, confermerà la crescita drammatica dei
poveri assoluti e dei poveri semplici.
Il
Consolato Draghi ha dimostrato che solo un “Padrone”, riconosciuto da tutti
come tale, può gestire una crisi drammatica, alla quale il modello CEO
capitalism ha dato un contributo determinante attraverso le sue leadership di
secondo livello. Queste si sono rivelate chiaramente unfit nell’execution. (cfr. The Economist)
In
primavera, i leader del G7 (dove Mario Draghi giganteggiò) presero tre
decisioni strategiche:
1) Imporre sanzioni
feroci;
2) Applicare lo SWIFT;
3) Mandare armi pesanti in Ucraina.
I loro
collaboratori, nella fase di execution, le sbagliarono però quasi tutte.
La
scelta tecnica e le modalità operative delle sanzioni sono state gestite dagli
staff in modo imbarazzante, creando addirittura un effetto boomerang sui
cittadini europei, in particolare tedeschi e italiani (cfr. The Economist).
Sia
chiaro: nessun
complotto, nessun Grande Reset del chiacchierato Klaus Schwab (costruttore di bombe atomiche in Sud
Africa, Ndr)
si è trattato di semplice incompetenza e inettitudine dei funzionari europei in
sede di execution.
Se il
25 settembre i sondaggi attuali dovessero diventare schede, le “Destre”
vincerebbero, si candiderebbero a governare il Paese con Giorgia Meloni.
Da apòta,
che voterà orgogliosamente “scheda bianca”, e da esperto di “contro
intuizione”, suggerisco alle “Destre” di fare invece, in termini strategici, il
nome di Mario Draghi come Premier, invitandolo a lavorare per far finire la
guerra, o quantomeno congelarla. Perché proprio lui?
Primo.
Lui ha
posto una domanda chiara a noi cittadini: “Pace o condizionatori?”. Conosce i nostri bisogni, di certo
avrà capito come la maggioranza silenziosa del paese la pensa, quindi sa cosa
fare, senza creare fratture nel paese.
Secondo.
Con un
modello politico, economico, culturale, dove tutto è regolamentato da leggi,
protocolli, accordi istituzionali, scritti e pensati dai “Padroni”, dove il mitico
“Pilota automatico” governa di fatto i 27 Paesi, dove il mitico “mercato” è devoto
alla Bce e alla Fed, dove la mitica “stampa” è allineata culturalmente
all’Establishment, la mossa Draghi, spiazzante per le élite, sarebbe risolutiva.
Certo,
questo Cameo può apparire un cinico divertissement, ma questa è la vita vera,
non quella sognata.
Fossi
in lei, cara Meloni, prima di buttarlo nel cestino, un pensierino ce lo farei.
Spero abbia capito, in tutti questi anni trascorsi nei Palazzi della politica,
come con il
modello CEO capitalism le parole democrazia e libertà abbiano significati, posture,
suoni, nuance, mi permetta, odori, diversi, a seconda di chi le pronuncia.
Non
conosco le sue idee, i suoi sogni politici, le sue qualità, ma vorrei prendesse
atto che, con questo modello – che le assicuro è “blindato” – le sue
possibilità di incidere nella carne viva delle riforme sono praticamente zero. Forse le potrebbero permettere una
leggera panatura dei problemi, ma nulla di più.
E
allora, mi creda, tanto vale proporre un personaggio come Mario Draghi, e poi
fingere di controllarlo in Parlamento. Di certo Draghi, una persona perbene,
sarà più umano del “Pilota automatico” e meno sgradevole della baronessa
tedesca. E poi, mi creda, la nostra situazione
di sudditanza atavica ai Padroni non cambierebbe, ma almeno avremmo un inverno
meno gelido. Prosit!
(Zafferano.news)
Com’è
cambiato il World Economic Forum.
Dealogando.com-
Luca Guerrini-(24 Maggio 2022) -ci dice:
Il
grande vertice tra i più importanti imprenditori e politici mondiali torna a
svolgersi in presenza dopo due anni, ma la pandemia e la guerra in Ucraina
hanno cambiato molti dei presupposti su cui si fondava l’evento svizzero.
Domenica
22 Maggio si è aperto ufficialmente a Davos, cittadina della Svizzera tedesca,
l’incontro annuale del World Economic Forum, una fondazione senza fini di lucro
con sede a Ginevra, celebre per l’alto prestigio delle persone che vi prendono
parte; per cinque giorni riunisce politici e imprenditori delle più importanti
aziende mondiali, per discutere di economia e società. Delle 2.500 persone
invitate quest’anno, 50 sono capi di stato e di governo, e oltre 250 i ministri
provenienti da tutto il mondo. Presente anche il presidente ucraino Volodymyr
Zelensky, che ha parlato in collegamento da Kiev: uno dei temi principali è
infatti il conflitto russo in Ucraina, al centro di decine di sessioni e
incontri.
Cosa
ha detto il presidente ucraino al Word Economic Forum.
Il
presidente ucraino, che è stato accolto con un caloroso applauso, ha chiesto
«sanzioni massime» contro la Russia, un «embargo completo sul petrolio» e che
«tutte le banche russe siano escluse dai sistemi globali».
Zelensky
non ha nascosto che «questo è il momento in cui si decide se la forza bruta
dominerà il mondo. Se così accadrà, non avrà più senso organizzare raduni come
quello di Davos». Il Forum di Davos torna infatti a riunirsi in un mondo
profondamente cambiato rispetto all’ultima edizione, tenutasi nel gennaio 2020.
La pandemia e la guerra in Ucraina stanno mettendo in discussione le fondamenta
su cui lo stesso vertice si basava, cioè la globalizzazione e il libero
commercio.
Il
Forum di Davos prima e dopo la pandemia e con la guerra in Ucraina in corso.
La prima
differenza dalle edizioni precedenti è la completa assenza di politici o
imprenditori russi all’evento: lo stesso Putin era un ospite frequente a Davos
e l’influenza dei miliardari e degli imprenditori russi è sempre stata notevole
al Forum.
Fino
all’anno scorso il fondatore e organizzatore dell’evento, Klaus Schwab,
definiva «essenziale» la presenza del presidente russo, ritenendo che il
dialogo con l’élite russa fosse necessario per porre le basi per un pianeta più
prospero e in pace. Più in generale, ha scritto il New York Times, molti dei
princìpi in cui il Forum di Davos per anni si è riconosciuto, come
«globalizzazione, liberalismo, capitalismo di mercato, democrazia
rappresentativa, sembrano essere sotto attacco».
La
pandemia ha portato molti governi, come quello cinese, ad adottare politiche
isolazioniste, e la crisi dei commerci globali ha messo in difficoltà quello
stesso sistema basato sulla globalizzazione; la guerra in Ucraina ha
amplificato questi fenomeni, rendendoli anche più evidenti a larghe fette di
popolazione.
«Viviamo
in un mondo differente», ha detto Schwab in un’intervista al New York Times. «Anche quando ci trovammo l’ultima
volta nel 2020 avevamo molte gravi preoccupazioni. Ma ora abbiamo due eventi
ulteriori [la pandemia e la guerra in Ucraina, ndr] che hanno davvero
accelerato la serietà della situazione». Allo stesso modo si è espresso
Børge Brende, presidente del Forum, spiegando che è da decenni che non
assistiamo a così tanti «rivolgimenti geopolitici e geoeconomici».
Le
critiche mosse al World Economic Forum.
Un’affermazione
che verrà ricordata dell’edizione 2022 del vertice è quella del milionario Phil
White: «L’unico
risultato credibile per questo convegno sarebbe tassare le persone più ricche.
E tassarci ora». White
ha preso parte a una manifestazione di protesta contro i privilegi del
cosiddetto “1 per cento” della popolazione mondiale; il consulente finanziario
britannico è un membro dei Patriotic Millionaires, un gruppo di milionari che
chiede che i governi del mondo impongano tasse più alte a chi è ricco come
loro.
Un’altra
critica mossa dall’interno al Forum di Davos è che sarebbe diventato negli anni
sempre meno influente a causa del suo approccio fin troppo vicino allo schema
politico ed economico dell’Occidente, benché nel mondo i paesi che non si
rifanno a questo modello – o che lo contrastano apertamente (come la Cina) –
stiano assumendo sempre più rilevanza e potere a livello mondiale.
Tutti
questi fattori stanno contribuendo a rendere l’evento molto differente dalle
edizioni a cui eravamo abituati. Sebbene il vertice non perderà necessariamente del
tutto la sua importanza e credibilità da un anno all’altro, la pandemia e la
guerra in Ucraina, in primis, hanno indubbiamente cambiato molti dei
presupposti e delle previsioni ottimistiche su cui il Forum di Davos si basava.
Non è
uno scherzo: il Forum di Davos
detta
al mondo la dieta verde del futuro:
niente
carne, ma bistecche sintetiche,
lenticchie
e gombo.
Italiaoggi.it
- Tino Oldani – (21-1-2022) - ci dice:
Pima
di scrivere questa rubrica ero indeciso tra due temi: la ricetta napoleonica di
Emmanuel Macron per il futuro dell'Europa, oppure la dieta verde che il Forum di Davos
vorrebbe imporre al mondo intero?
Chiedo
venia a chi non è d'accordo, ma il programma di Macron per il suo semestre di
presidenza europea è pura propaganda politica in funzione della sua corsa
all'Eliseo.
Giusti
o sbagliati, gli obiettivi che ha indicato, dall'inserimento dell'aborto nella
Carta dei diritti dell'Europa all'esercito europeo, di certo non saranno
realizzati in sei mesi, ma richiederanno, se va bene, anni di negoziati
faticosi tra i 27 paesi Ue.
E non
è detto che, da aprile, all'Eliseo ci sarà ancora Macron a rappresentare la
Francia. Così ho scelto di raccontare una novità apparentemente minore, ma più
concreta: come
e perché il
Forum di Davos ha deciso di rendere di dominio pubblico la dieta verde che i più grandi miliardari del
pianeta pensano di imporre in futuro al mondo intero, con il pretesto
dell'ecosostenibilità.
(Ma
Klaus Schwab - che è a capo di questi miliardari annoiati - non potrebbe finire
la sua brillante vita e carriera …in una galera svizzera? Ndr)
Il
Forum di Davos, per dire il vero, è inviso a molti per diversi motivi. Max Del
Papa ha spiegato l'altro ieri su ItaliaOggi l'ipocrisia che ogni anno accomuna
questo meeting di miliardari con il rapporto Oxfam, una multinazionale del
bene, o presunta tale, che mentre afferma di difendere i poveri ci racconta ogni
volta come i ricchi padroni di Amazon, Microsoft, Google, Facebook diventano
sempre più ricchi, mentre il resto del mondo sprofonda nella miseria.
Una
denuncia ripetitiva quanto sterile sulle diseguaglianze del capitalismo, di cui
la stessa Oxfam in fin dei conti fa parte. C'è tuttavia un aspetto del Forum di
Davos che merita attenzione: è il portavoce delle grandi multinazionali che
governano a livello planetario, sovente più di molti governi, e ogni anno ne
rivela le scelte strategiche, le quali incidono sulla vita di miliardi di
persone.
Basta leggere il saggio di Klaus Schwab, guru
del Forum, sul Grand Reset del mondo post-pandemia, con i ricchi sempre più
ricchi, osannati dai media mainstream, e tutti gli altri esseri umani ridotti a
consumatori addomesticati, sempre più poveri, per i quali si prevede un reddito
minimo universale come guinzaglio. E prendere atto che non si tratta solo di
fantasie.
Per
questo, se quest'anno il Forum di Davos indica quali sono i sette cibi che in
futuro saranno su tutte le tavole del pianeta per sfamare miliardi di nuovi
poveri, cibi ecosostenibili, la cui produzione non aumenterà le emissioni di
CO2 e non danneggerà la Terra, è bene prenderne nota, anche se l'elenco può
sembrare a dir poco ridicolo.
Eccolo: alghe, lenticchie, spinaci, funghi,
gombo (ortaggio noto anche come okra, coltivato nei paesi tropicali), fonio
(cereale coltivato in Africa), moringa (rafano indiano).
Confesso che fino a ieri non sapevo nulla del
gombo, neppure che esistesse; idem per fonio e moringa.
Su
Google, ho scoperto che il gombo è una specie appartenente alle malvacee,
originaria dell'Africa e coltivata nei paesi caldi. Sembrano peperoni verdi a
punta, ma non costano poco: 22 euro al Kg.
Imporne
l'uso per sfamare i poveri sa di presa per i fondelli. Il fonio è un cereale
di origine africana, della famiglia botanica del miglio, da cui si ricava la
farina: in chicchi costa 18 euro al Kg, la farina 11 euro: prezzi in Italia. Quanto alla moringa, rafano coltivato
in India e Pakistan, non ho trovato prezzi sul web, ma un avviso del ministero
della Salute ai consumatori del 5 agosto 2021: le autorità tedesche hanno
trovato la presenza di alti valori di ossido di etilene nei prodotti moringa
polvere e moringa capsule, usati come integratori alimentari. Insomma, attenti
a non avvelenarvi.
(Ma se
Klaus Schwab-il dittatore di Davos – vuole applicare l’eutanasia all’umanità
intera, per quale motivo non inizia a farne propaganda tra i suoi opulenti e
ricchi schiavetti? Ndr)
La
dieta verde del Forum di Davos, ovviamente, non poteva non tenere conto del
fatto che Bill Gates, fondatore di Microsoft, da anni tra i filantropi più
generosi, maggiore finanziatore privato dell'Oms (organizzazione mondiale della
sanità) e donatore di milioni di vaccini anti-Cvid ai paesi più poveri, è un
nemico giurato della carne bovina, nonché convinto sostenitore della carne
sintetica biotech, detta anche carne etica.
Tra i grandi miliardari, non pochi la pensano come
Bill Gates, e come lui hanno acquistato negli Usa e in giro per il mondo enormi
estensioni di terra coltivabile, da destinare a colture biologiche e ad
allevamenti funzionali alla carne sintetica.
Da
qui, ecco spiegata la guerra sempre più sistematica alla bistecca di carne
tradizionale, con una motivazione ambientali a dir poco discutibile: gli allevamenti bovini
provocherebbero un eccesso di CO2.
Per
questo, la dieta verde del Forum è clemente solo con le bistecche sintetiche,
prodotte in laboratorio come succedaneo delle cellule madri estratto dal
tessuto animale. Oppure con quelle prodotte con l'utilizzo di insetti.
Di
queste ultime avrete sentito parlare: l'Unione europea si è già messa su
questa strada e nel maggio 2021 ha approvato la commercializzazione delle tarme
da farina, definita «nuovo alimento» nell'ambito della strategia Farm to Fork
(dal campo alla forchetta). Altri insetti, vivi o essicati, sono in lista d'attesa a
Bruxelles, mentre in Italia la Coldiretti e l'intera filiera del cibo di
qualità made in Italy si è ribellata, contrariata e inorridita. In Italia, per fortuna, nel mondo dei produttori
agro-alimentari vi è un forte argine contro queste follie ammantate di verde,
ma troppo debole in quello politico, come al solito distratto sulle questioni
europee, salvo scoprirne l'importanza solo all'ultimo momento, quando è troppo
tardi.
Il
Forum di Davos conta sempre meno:
in
passato era un'esibizione per miliardari
inconcludenti;
ora rispecchia le fratture geopolitiche.
Milanofinanza.it-
Tino Oldani – (24-5-2022) – ci dice:
Il
numero degli invitati al Forum di Davos in Svizzera è sempre elevato: 2.500 da
tutto il mondo, tranne che dalla Russia di Vladimir Putin, esclusa per
punizione. Di questi invitati, 50 sono capi di Stato e di governo, altri 250
sono ministri. Gli altri sono manager a capo di grandi banche e di
multinazionali che operano in settori strategici, più decine di miliardari che
non disdegnano le luci della ribalta, tutti scelti con cura da Klaus Schwab (un po' matto, ndr) 84 anni, fondatore e organizzatore
del Forum.
Nei
suoi desideri, il Forum vorrebbe essere una sorta di Onu del mondo degli
affari, che ogni anno dà la linea all'economia internazionale in base a due
principi: globalizzazione e libertà dei commerci.
Principi che, all'inizio della pandemia, lo stesso
Schwab pose alla base di un cambiamento epocale, da lui battezzato Grand Reset:
una quarta rivoluzione industriale basata su
intelligenza artificiale, energie green, telelavoro e telemedicina, e destinata
a consegnare ai capi della finanza mondiale e alle multinazionali over the top
il vero governo del mondo, con un controllo totale su consumi, produzioni e
benessere, in sostanza sul tenore di vita, la privacy e la libertà di miliardi
di persone.
Quel
sogno orwelliano, pensato da Schwab come un modello per l'Occidente, ma
criticato da più parti per l'arroganza anti-democratica e anti-sociale, è stato
rallentato nel suo divenire prima dalla pandemia e ora dalla guerra in Ucraina,
ma non bloccato del tutto.
Tanto è vero che il Forum torna a riunirsi nel
tentativo di ridisegnare la linea da dettare al mondo, anche se con molta
baldanza in meno rispetto al passato.
Da
tempo, soprattutto negli ultimi tre mesi, la geopolitica mondiale è
profondamente cambiata. Il mercato globale dei commerci si è ridotto, in parte
non c'è più.
E la guerra in Ucraina ha accelerato le fratture in
aree geopolitiche con interessi divergenti, spesso contrapposte. La Russia di Vladimir Putin è ormai
talmente isolata dal mondo occidentale che perfino Schwab non ha invitato a
Davos neppure un oligarca o un politico russo, mentre in passato sosteneva la
necessità di dialogare con Putin, più volte invitato a Davos, l'ultima nel 2021
in streaming. E gli inviti alle feste serali degli oligarchi erano molto
ricercati.
Quanto
alla Cina, che proprio grazie alla globalizzazione e alla libertà dei commerci
è diventata la fabbrica del mondo ed è uscita dalla povertà fino a diventare la
seconda potenza mondiale, sono sempre più evidenti i tratti dell'autocrazia: rifiuta
il modello democratico occidentale e vi si contrappone, sfidando la supremazia
degli Stati Uniti, dopo averne acquisito negli anni una quantità elevata di
produzioni industriali strategiche, compreso il know-how tecnologico.
Da qui
la risposta, a dir poco storica, di Janet Yellen, segretaria al Tesoro degli
Stati Uniti, che in un discorso al Consiglio Atlantico ha proposto non solo una
nuova Bretton Woods e una riforma del Fmi e della Banca Mondiale, ma anche
l'adozione del metodo “friend-shoring” nel commercio mondiale.
Un
neologismo che pone fine al globalismo neoliberale per sostituirlo con un
import-export basato sul «trasferimento amichevole delle catene di forniture a
un gran numero di paesi fidati».
In
buona sostanza, il passaggio a un'economia dove il libero scambio può essere
davvero libero soltanto se svolto tra paesi che operano con valori condivisi.
Una prospettiva che, però, non tutti accettano, Germania in testa.
Così
non stupisce che il New York Times scriva che i principi dei quali il Forum di
Davos è stato per anni un promotore, come «globalizzazione, liberalismo,
capitalismo di mercato e democrazia rappresentativa, sembrano essere sotto
assedio». Né che l'Economist ricordi che la pandemia ha portato con sé “una
crisi molto grave della democrazia globale, per cui molti paesi sono diventati
autoritari, mentre in altri le libertà sono state ridotte».
Lo stesso Schwab ammette che «stiamo
assistendo alla frammentazione del mondo».
E
Borge Brende, presidente del World Economic Forum, nel video di presentazione
dell'edizione di quest'anno, conviene che mai, finora, abbiamo visto così tanti
«rivolgimenti geopolitici e geoeconomici».
È
opinione diffusa che, proprio a causa delle fratture geopolitiche, il Forum di
Davos conterà sempre meno, fino a giustificare chi lo considerava un'adunata
mondiale di miliardari famosi, i quali discettavano dei destini del mondo, ma
senza incidervi più di tanto, tranne che per i loro interessi personali.
Un
aspetto, quest'ultimo, documentato in ogni edizione dal rapporto Oxfam sulla
ricchezza dei miliardari, messa a confronto con la crescente povertà. Anche quest'anno i dati Oxfam, che si
batte contro le povertà, confermano il solito divario: grazie alla pandemia, i
ricchi sono diventati ancora più ricchi e numerosi, e i poveri sempre più
poveri.
In
breve: i miliardari nel mondo sono aumentati di 573 unità, salendo a un totale
di 2.668 Paperoni, che posseggono una ricchezza netta pari a 12.700 miliardi di
dollari, equivalente al 13,9% del pil mondiale, mentre era solo il 4,4% del
Duemila. Le
multinazionali di tre settori (energia, farmaceutica e alimentari) hanno fatto
registrare negli ultimi due anni una crescita della loro ricchezza superiore a
quella registrata nei 23 anni precedenti.
La
famiglia Cargill, che con altre tre grandi imprese controlla il 70% del mercato
agricolo globale, ha fatto profitti netti per 5 miliardi di dollari. Grazie ai
vaccini, Pfizer e Moderna hanno realizzato mille dollari di utile al secondo,
ricchezza rimasta in dote privata, pur avendo le stesse aziende ricevuto
robusti finanziamenti pubblici per studiare il vaccino.
I
poveri, invece, sono rimasti schiacciati dall'aumento del costo della vita. La
soluzione? Oxfam (copiona?) propone ai governi di tassare gli extraprofitti per
aiutare i poveri. Mario Draghi ci aveva già pensato.
Editoriale:
L’Agenda del WEF e la visione
di Xi Jinping che sarà a Davos per offrire
una
soluzione cinese all’economia mondiale
piena
di pandemia e protezionismo.
Agenparl.eu-
(15 Gennaio 2022) - Luigi Camilloni – (15-1-2022) – ci dice:
(AGENPARL)
– Roma, 15 gennaio 2022 – L’ evento virtuale dell’Agenda di Davos offre la prima
piattaforma globale del 2022 affinché i leader mondiali si uniscano per
condividere le loro visioni per l’anno a venire.
L’evento
virtuale della durata di una settimana, che si svolgerà sul sito Web del World
Economic Forum e sui canali dei social media dal 17 al 21 gennaio 2022, vedrà
la partecipazione di capi di stato e di governo, amministratori delegati e
altri leader. Discuteranno le sfide critiche che il mondo deve affrontare oggi e
presenteranno le loro idee su come affrontarle.
L’evento
segnerà anche il lancio di numerose iniziative del Forum, compresi gli sforzi per accelerare
la corsa all’azzeramento delle emissioni nette, garantire l’opportunità
economica di soluzioni positive per la natura, creare resilienza informatica,
rafforzare le catene del valore globali, costruire economie in mercati fragili
attraverso investimenti umanitari, colmare il divario nella produzione di
vaccini e utilizzare
soluzioni di dati per prepararsi alla prossima pandemia.
“Tutti
sperano che nel 2022 la pandemia di COVID-19, e le crisi che l’hanno
accompagnata, inizino finalmente a recedere”, ha affermato Klaus Schwab,
fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum.
“Ma ci aspettano grandi sfide globali, dal
cambiamento del clima per ricostruire la fiducia e la coesione sociale.
(Quel
porco di Klaus Schwab e i suoi sodali vorrebbero insinuare la pazza idea che il
cambiamento climatico -dovuto alla CO2 -sia opera dell’uomo, ma così non è!
Ndr)
Per
affrontarli, i leader dovranno adottare nuovi modelli, guardare a lungo
termine, rinnovare la cooperazione e agire in modo sistematico. L’Agenda 2022
di Davos è il punto di partenza per il dialogo necessario per la cooperazione
globale nel 2022″.
Partecipanti
all’Agenda 2022 di Davos.
I
leader mondiali che pronunceranno discorsi speciali sullo “Stato del mondo”
includeranno:
Narendra
Modi, Primo Ministro dell’India
Kishida
Fumio, Primo Ministro del Giappone
António
Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite
Ursula
von der Leyen, Presidente della Commissione Europea
Scott
Morrison, Primo Ministro dell’Australia
Joko
Widodo, presidente dell’Indonesia
Naftali
Bennett, Primo Ministro di Israele
Janet
L. Yellen, Segretario del Tesoro degli Stati Uniti
Yemi
Osinbajo, vicepresidente della Nigeria
Xi
Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese
Olaf
Scholz, Cancelliere federale della Germania
Il
programma vedrà anche relatori tra cui:
Tedros
Adhanom Ghebreyesus , Direttore Generale, Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS)
Fatih
Birol , Direttore Esecutivo, Agenzia Internazionale per l’Energia
José
Pedro Castillo Terrones , Presidente del Perù
Ivan
Duque, presidente della Colombia
Anthony
S. Fauci, Direttore, National Institute of Allergy and Infectious Diseases,
National Institutes of Health degli Stati Uniti d’America
Yasmine
Fouad, Ministro dell’Ambiente dell’Egitto
Kristalina
Georgieva , Direttore Generale, Fondo Monetario Internazionale (FMI)
Alejandro
Giammattei, Presidente del Guatemala
Al
Gore, vicepresidente degli Stati Uniti (1993-2001) e presidente e co-fondatore,
Generation Investment Management
Paulo
Guedes, Ministro dell’Economia del Brasile
Paula
Ingabire, Ministro dell’Informazione, delle Tecnologie della Comunicazione e
dell’Innovazione del Ruanda
Paul
Kagame, Presidente del Ruanda
John
F. Kerry, inviato presidenziale speciale per il clima degli Stati Uniti
d’America
Christine
Lagarde, Presidente, Banca Centrale Europea
Guillermo
Lasso, Presidente dell’Ecuador
Ngozi
Okonjo-Iweala, Direttore Generale, Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)
Abdulaziz
Bin Salman Bin Abdulaziz Al Saud, Ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita
Nicolas
Schmit, Commissario per il Lavoro ei Diritti Sociali, Commissione Europea
François
Villeroy de Galhau, Governatore della Banca Centrale di Francia
Sarah
bint Yousif Al-Amiri, Ministro di Stato per la Tecnologia Avanzata, Ministero
dell’Industria e della Tecnologia Avanzata degli Emirati Arabi Uniti
Carlos
Alvarado Quesada, Presidente del Costa Rica, Ufficio del Presidente del Costa
Rica
A tal
riguardo da notare che il quotidiano comunista cinese Global Times ha
pubblicato un articolo dal titolo «Xi per rivolgersi a Davos, offrire una soluzione
cinese all’economia mondiale piena di pandemie e protezioniste», secondo il quale «lunedì il presidente cinese Xi
Jinping parteciperà alla sessione virtuale del Forum economico mondiale di
Davos del 2022 e fornirà osservazioni da Pechino tramite collegamento video.
Gli osservatori hanno affermato che poiché il mondo è ancora una volta al bivio
per affrontare il COVID-19, la Cina, con i suoi contributi alla prevenzione
globale del COVID-19 e allo sviluppo economico stabile, potrebbe offrire
approcci cinesi e saggezza non solo per la ripresa ma anche per resistere all’erosione
del protezionismo e dell’unilateralismo».
Su
invito di Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, Xi parteciperà all’evento lunedì, ha annunciato venerdì il portavoce
del ministero degli Esteri Hua Chunying.
L’evento
virtuale dell’Agenda di Davos si svolgerà dal 17 al 21 gennaio e vedrà la
partecipazione di capi di stato e di governo, amministratori delegati e altri
leader per discutere delle sfide critiche. L’evento segna il lancio di numerose
iniziative del forum, tra cui gli sforzi per accelerare la corsa
all’azzeramento delle emissioni nette, garantire l’opportunità economica di
soluzioni positive per la natura, creare resilienza informatica, rafforzare le
catene del valore globali, costruire economie in mercati fragili attraverso investimenti
umanitari, creare un ponte il divario nella produzione del vaccino e utilizzare
soluzioni di dati per prepararsi alla prossima pandemia, secondo un comunicato
dal sito Web ufficiale.
Contro
la dilagante diffusione della variante Omicron a livello globale, il mondo è
ancora una volta al bivio. E mentre i leader mondiali si riuniscono per discutere delle
sfide globali, vogliono ascoltare dalla Cina come il mondo può collaborare per
combattere la pandemia di COVID-19, come stimolare l’economia globale e ridurre
il divario di sviluppo e lo sviluppo dell’economia cinese, Su Xiaohui,
vicedirettore del Dipartimento per gli studi internazionali e strategici del
China Institute of International Studies, ha dichiarato al Global Times.
Su ha
osservato che in precedenza, le osservazioni del leader cinese ai forum di
Davos hanno sempre aiutato a dissipare le nuvole e ad offrire approcci e
saggezza cinesi. Nel 2017, il discorso del presidente Xi, che ha sottolineato l’apertura
della Cina al mondo, ha rafforzato la fiducia globale nella globalizzazione e
nel futuro.
Nel
2021, mentre il mondo stava ancora combattendo il coronavirus ed era minacciato
dal protezionismo, il presidente Xi ha anche espresso un severo ripudio in molte
importanti questioni multilaterali di tattiche di bullismo, pregiudizio
ideologico e odio, nonché disaccoppiamento economico e sanzioni, che ha avvertito potrebbero
spingere il mondo nella divisione e nel confronto, e ha offerto un approccio
multilaterale inclusivo che guiderebbe il mondo fuori dall’oscurità.
La
Cina si è distinta non solo nella lotta contro il COVID-19 a livello nazionale,
ma anche nel riprendere lo sviluppo economico in mezzo a cupe aspettative,
rendendola il motore per la ripresa globale e lo stabilizzatore della catena
industriale globale nell’era post-COVID-19. Potrebbe offrire l’approccio e la
saggezza della Cina mondiale per resistere all’erosione del protezionismo,
hanno affermato gli osservatori.
Altri
leader che parteciperanno all’evento includono il primo ministro indiano
Narendra Modi, il primo ministro giapponese Kishida Fumio, il primo ministro
australiano Scott Morrison, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio
Guterres, il presidente dell’UE Ursula von der Leyen e il segretario al Tesoro
statunitense Janet Yellen.
Approcci
cinesi.
“Ripresa
dalla pandemia”, “resilienza economica e sociale” e cooperazione globale sono
temi chiave per l’evento di Davos. Ora, nel terzo anno della pandemia, il rapido
sviluppo dei vaccini è un risultato scientifico per secoli, ma la variante Omicron mostra che il
mondo deve dare la priorità alla distribuzione globale universale. E la pandemia ha anche riportato il
mondo indietro con molti problemi, inclusa la disuguaglianza dei vaccini,
secondo un comunicato dal sito ufficiale del forum.
In
quanto paese con la popolazione più numerosa al mondo, la Cina adotta il
proprio metodo per tenere sotto controllo l’epidemia e sta anche esplorando
modi per aggiornare la sua politica dinamica zero e bilanciare la prevenzione e
lo sviluppo economico, che potrebbero offrire esperienza ad altri paesi e
contribuire alla lotta globale contro il coronavirus, ha dichiarato venerdì al
Global Times Huo Jianguo, vicepresidente della China Society for World Trade
Organization Studies di Pechino.
Come
paese in via di sviluppo, fintanto che la Cina ha messo sotto controllo il
COVID-19, non ha perso tempo ad assistere altri paesi, inclusa la donazione di
vaccini in particolare ai vasti paesi in via di sviluppo per ridurre il divario
vaccinale a livello globale, ha osservato Huo.
Alla
fine del 2021, solo il 7,5% degli 1,3 miliardi di persone del continente
africano è completamente vaccinato, mentre alcuni paesi occidentali stanno
accumulando molti più vaccini del necessario e li stanno sprecando. Alcuni paesi occidentali hanno donato
vaccini che sicuramente scadranno ai paesi in via di sviluppo, in particolare
al continente africano, il che ha prosciugato le aspettative e i budget dei
paesi riceventi.
La
Cina aveva già fornito all’Africa circa 180 milioni di dosi di vaccino al 30 novembre
2021, coprendo quasi tutti i paesi africani. La maggior parte degli oltre 6
milioni di dosi di vaccini contro il COVID-19 somministrati in Zimbabwe sono
stati sviluppati da aziende cinesi.
Nell’agosto
2021, il presidente Xi ha promesso di compiere sforzi per fornire al mondo 2
miliardi di dosi di vaccino contro il COVID-19 quest’anno e di donare 100
milioni di dollari alla COVAX per promuovere le disposizioni globali sui
vaccini, in un discorso scritto alla prima riunione di un forum internazionale
cooperazione sui vaccini COVID-19.
Dallo
scoppio dell’epidemia, la Cina è diventata anche l’unica grande economia al
mondo a raggiungere una crescita positiva nel 2020 nell’ambito di forti
politiche di controllo dell’epidemia ed è diventata la spina dorsale della
crescita economica globale, hanno affermato gli esperti, osservando che i
risultati economici della Cina potrebbero anche infondere fiducia nei leader
globali sulla ripresa.
L’International
Finance Forum di dicembre ha stimato che l’economia globale dovrebbe crescere
del 5,9% nel 2022, riprendendosi a un livello pre-pandemia del 2019. La Cina rimarrà il maggior
contributore alla crescita globale con il 26,3%, seguita dagli Stati Uniti con
il 16,7% e dall’India con l’11%.
Il FMI
prevede una crescita del PIL del 5,6% per la Cina nel 2022, superiore alla
crescita media del 4,9%.
“La
pratica cinese ha dimostrato che la Cina non solo ha controllato l’epidemia, ma
ha anche assicurato uno sviluppo economico sostenibile con una crescita
positiva”, ha affermato Huo, osservando che “la stabilità dell’economia cinese è
il suo contributo all’economia globale, poiché la dimensione dell’economia
cinese è relativamente grande”.
Se
l’economia mondiale crescerà in media del 5% quest’anno, la Cina non contribuirà
per meno di un terzo all’economia globale, ha previsto.
Alcuni
hanno minimizzato lo sviluppo della Cina negli ultimi 10-20 anni. Ma guardando
indietro, la maggior parte del pessimismo mostra che non erano disposti a
vedere nulla di buono in Cina e speravano di vedere la Cina incontrare maggiori
difficoltà, ha detto al Global Times Lian Ping, capo dello Zhixin Investment
Research Institute.
Per
rafforzare la sua economia, una Cina aperta offre importanti opportunità
storiche alle aziende di tutto il mondo per condividere i dividendi dello
sviluppo cinese.
A
partire da gennaio 2022, la Cina ha annullato le restrizioni sui rapporti di
partecipazione straniera nella produzione di autovetture elettriche. In seguito
all’apertura dei settori dei servizi finanziari come titoli e assicurazioni,
l’industria manifatturiera cinese ha accelerato e si è ulteriormente aperta.
Secondo
un sondaggio pubblicato dalla Camera di commercio americana a Shanghai a
settembre, il 59,5% delle società statunitensi intervistate ha dichiarato di
aver aumentato i propri investimenti in Cina nel 2021, con un aumento anno su
anno del 30,9%, vicino al livello prima dell’ inizio della disputa commerciale
tra i due paesi nel 2018.
Le
società e gli investimenti americani continuano ad affluire nel mercato cinese,
il che dimostra che la tendenza alla globalizzazione economica è irreversibile
e la politica di “disaccoppiamento” del governo degli Stati Uniti è
controproducente, hanno affermato gli osservatori del mercato.
La
Cina sta giocando un ruolo più importante nelle catene di approvvigionamento
globali. L’operatore ferroviario cinese ha riportato un nuovo record di 15.000
viaggi in treno merci Cina-Europa effettuati nel 2021, il 22% in più rispetto
al 2020, dimostrando che i treni merci Cina-Europa sono diventati un potente
“ancora di stabilità” nella catena di approvvigionamento globale, che è
fondamentale per il buon funzionamento delle catene di approvvigionamento in
tutta l’Europa centrale e in Asia centrale.
I
treni merci Cina-Europa hanno stabilito nuovi record fornendo al contempo un
servizio logistico stabile, affidabile e ad alta efficienza come pilastro per
le catene di approvvigionamento globali, ha affermato all’inizio di questo mese
il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin.
La
Cina sta inoltre rafforzando la sua integrazione economica con l’Asia-Pacifico
e altre regioni del mondo e ha spinto la cooperazione economica internazionale
a nuovi livelli.
Il
mondo ha assistito all’istituzione del suo più grande blocco commerciale, il Regional Comprehensive Economic
Partnership (RCEP), dall’inizio del 2022, segnando una gloriosa vittoria del multilateralismo e
aumentando le prospettive commerciali per i paesi della regione Asia-Pacifico.
Mentre
avanzava il controllo interno, la Cina è stata attiva nel cercare la
cooperazione con la comunità internazionale. La Cina ha ufficialmente presentato
domanda per aderire all’Accordo globale e progressivo per il partenariato
transpacifico (CPTPP) e ha anche presentato domanda per aderire all’Accordo di
partenariato per l’economia digitale.
La
tendenza anti-globalizzazione nei paesi sviluppati è dilagante, ma la Cina sta diventando
un’importante forza trainante per l’apertura del mercato e la globalizzazione
economica, ha detto Cheng Dawei, ricercatore presso l’Institute of China’s
Economic Reform and Development della Renmin University of China. Tempi
globali.
Il
mondo deve resistere al protezionismo commerciale e sbarazzarsi della guerra
fredda e del pensiero anti-globalizzazione, al fine di creare condizioni
migliori per la ripresa, ha affermato Huo.
“Se il
mondo non può farlo insieme, la ripresa non sarà efficace a breve termine”, ha
avvertito Huo.
Fin
qui la visione del World Economic Forum e della Cina.
Ma
vediamo più in dettaglio la ‘visione’ del WEF che viene illustrata nella «Resilienza economica e sociale», secondo cui dopo decenni di
progressi nell’affrontare la povertà e la disuguaglianza di reddito, il
COVID-19 ci ha riportato indietro, portando il primo aumento della povertà
estrema in una generazione. I governi hanno lanciato alcuni dei più grandi programmi di
spesa sociale mai visti, ma la disuguaglianza e l’inflazione dei vaccini, in
particolare l’aumento dei prezzi di cibo ed energia, minacciano di allargare
ulteriormente i divari. Per riprendersi veramente, non dobbiamo solo stabilizzare
le economie, ma anche garantire che siano resilienti ed eque, fornendo mobilità
sociale, posti di lavoro e opportunità eque per tutti.
Le
aziende riconoscono sempre più il valore di fare del bene a lungo termine e,
nell’ultimo anno, ha gettato le basi per l’azione con impegni per lo zero
netto, giustizia sociale e metriche ESG condivise.
Ora,
mentre intraprendiamo la prossima fase di ripresa, è importante mettere in atto
questi piani e attuare veramente il capitalismo degli stakeholder di Klaus Schwab per garantire che la ripresa tocchi
non solo gli azionisti dell’azienda, ma anche i suoi dipendenti, clienti,
fornitori, comunità locali e società a larga.
Il 7
gennaio, Klaus Schwab ha pubblicato il suo ultimo libro, The Great Narrative,
scritto in collaborazione con Thierry Malleret. Basato su interviste con 50 dei
principali pensatori del mondo, il libro esplora come possiamo costruire un futuro più
inclusivo, sostenibile e resiliente.
Il 26
gennaio il Forum pubblicherà il suo Global Competitiveness Report 2021-2022.
Tutto
chiaro?
Uno
studio pubblicato durante la conferenza annuale della Federal Reserve Bank di
Kansas City sostiene che la pandemia globale di coronavirus in corso ha già
instillato nel pubblico la paura che smorzerà l’assunzione di rischi e la
produzione economica per decenni.
Condotta
dalla Federal Reserve Bank di St. Louis, la ricerca, intitolata “Scarring Body
and Mind: The Long-Term Faith-Scarring effects of COVID-19” – ha proseguito
affermando che la pandemia aumenterà solo la “probabilità percepita di uno
shock estremo e negativo in futuro”.
“Mentre
il virus alla fine passerà, verranno sviluppati vaccini e i lavoratori
torneranno al lavoro, un evento di questa portata potrebbe lasciare effetti
duraturi sulla natura dell’attività economica”, afferma lo studio.
“Le
aziende prenderanno decisioni future pensando al rischio di un’altra pandemia”.
I
ricercatori hanno notato che le aziende continueranno a essere eccessivamente
caute non solo su un’altra epidemia virale, ma anche su altre possibili
interruzioni inaspettate dell’economia.
La
ricerca ha anche evidenziato il fatto che la pandemia renderà obsoleti alcuni
“capitali”, come attrezzature ed edifici, a causa del loro valore in rapido
deprezzamento nell’economia futura. Questo può essere visto anche oggi,
poiché i ristoranti stanno chiudendo le porte o consentendo solo ai commensali
di utilizzare una piccola parte del loro spazio. Molti uffici sono ora vuoti
poiché più dipendenti lavorano da casa.
Inoltre,
il documento affermava che un minor numero di individui si assumerà un rischio
aggiuntivo e avvierà nuove attività, poiché le attuali inadempienze e
fallimenti diffusi li dissuaderanno dal farlo.
Lo
studio ha suggerito che la pandemia di coronavirus comporterà danni a lungo
termine ancora più profondi rispetto alla crisi petrolifera della fine degli
anni ’70, alla recessione dei primi anni ’90 e alla Grande Recessione.
Tale
danno economico potrebbe includere una sostanziale diminuzione del prodotto
interno lordo degli Stati.
Quali
saranno gli effetti del coronavirus? Con molta probabilità la pandemia ridurrà
la produzione economica occidentale a vantaggio di quella cinese.
Ma
sarà solo una questione economica? O ci saranno anche effetti psicologici che
la pandemia ha ingenerato e ingenererà sugli individui, in particolare sui
giovani e sulle persone psicologicamente più fragili o più esposte alla crisi
economica derivante dall’emergenza sanitaria, cosa che sta già avvenendo ad
esempio in Italia.
Ricordiamoci
anche degli effetti che il covid ha prodotto sulle pensioni sul bilancio
dell’INPS dove l’eccesso di mortalità nella popolazione anziana, si calcola,
produrrà un bilancio positivo sui conti dell’Inps per circa 12 miliardi di euro
nei prossimi dieci anni.
Il
risparmio annuale dell’Inps è stato di 1,11 miliardo di euro nel 2021. Ma,
appunto, calcolando quanto avrebbe dovuto prendere di pensione nei prossimi
dieci anni il gruppo sfortunato dei deceduti Covid 2020, si arriva alla cifra
di quasi 12 miliardi di euro di risparmi.
E la
prospettiva è chi inizia ora a lavorare in Italia andrà in pensione a 71 anni
di età, ovvero in media circa 9 anni più tardi di chi si ritira oggi dalla
vitta attiva.
Tutto
chiaro?
Il
complotto delle élites.
Zetaluiss.it
- Elena Pomè – (Luglio 8- 2022) – ci dice:
La
decostruzione dell’intervista di Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump, a
Monsignor Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, tra teorie
cospirazioniste e disinformazione.
Un
tweet di Giovanni Rodriquez, giornalista esperto di informazione sanitaria su
Quotidiano Sanità, Il Foglio e Huffington Post, ha segnalato: «Stralci di
intervista a Mons. Viganò, dal Covid al deep state, dall’Ucraina al grande
reset, c’è tutto il repertorio dei picchiatelli nostri. Tocca ora capire se il
problema è la mancata prescrizione di goccine o una brusca interruzione della
terapia».
Nell’intervista,
realizzata da Steve Bannon, Monsignor Carlo Maria Viganò elabora teorie
complottiste e divulga disinformazione sulla pandemia e sulla guerra in
Ucraina. La versione originale, intitolata “Exclusive: Steve Bannon Interviews
the Heroic Archbishop Viganò”, è stata pubblicata sul sito statunitense War
Room, mentre la traduzione italiana “Steve Bannon con Mons. Viganò.
Un’Intervista Fondamentale, da Leggere Assolutamente” è stata pubblicata sul
blog Stilum Curiae dell’ex vaticanista della Stampa Marco Tosatti e ripresa da
altri siti cattolici come Il Nuovo Arengario, Aldo Maria Valli e gloria.tv.
L’autore
dell’intervista, Steve Bannon, è l’ex stratega dell’ex presidente repubblicano
degli Stati Uniti Donald Trump. Attivista di estrema destra, ex direttore del
giornale online conservatore Breitbart News e protagonista dello scandalo di
Cambridge Analytica sulla raccolta illecita di dati personali a scopi
elettorali populisti, Bannon si è appropriato delle donazioni per la
costruzione del muro anti-migranti tra gli Stati Uniti e il Messico, è in
attesa di processo per oltraggio al Congresso dopo il rifiuto di collaborare
nelle indagini della Commissione parlamentare sull’assalto di Capitol Hill del
6 gennaio 2021 e, in un’intervista alla trasmissione Zona Bianca, ha attaccato
il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i suoi sostenitori: «Chiunque si sia
alzato in piedi in Parlamento per applaudire Zelensky non dovrebbe essere
rieletto: questo vale sia per il Congresso americano, sia per voi italiani.
L’Italia non deve aiutarlo».
L’intervistato,
Monsignor Carlo Maria Viganò, è l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, ora
in pensione. Divulgatore delle teorie complottiste del Grande Reset e del deep
state e della disinformazione sulla pandemia e sulla guerra in Ucraina (temi
che approfondiremo più avanti), Viganò è oppositore di Papa Francesco, da lui
accusato senza fondamento di aver coperto gli abusi sessuali del cardinale
Theodore McCarrick e invitato alle dimissioni, e sostenitore di Trump.
Bannon
è autore del podcast War Room, contenitore di informazioni fuorvianti sulla
politica americana, rimosso dalle piattaforme Spotify e Youtube ma, come
spiegato dal Washington Post, inglobato
nel network di propaganda trumpiana Real America’s Voice.
Monsignor
Viganò divulga teorie complottiste politiche e sanitarie sul canale YouTube
Visione TV, che secondo la descrizione «nasce per difendere la libertà di
pensiero e di espressione, oggi più che mai minacciata dal pensiero unico
imposto da un sistema mediatico prevalente che ha perso il senso del limite e
della misura», ma che secondo l’Hybrid Bulletin (il bollettino del Dipartimento delle
informazioni per la sicurezza sulla disinformazione nel conflitto russo-ucraino
de-secretato e reso pubblico dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
Franco Gabrielli) costituisce un sito web di disinformazione.
L’intervista
di Bannon a Monsignor Viganò è stata pubblicata sul sito web War Room e
tradotta in italiano sul blog cattolico Stilum Curiae, che si propone di
contrastare la «tendenza all’omologazione e al servilismo verso le istituzioni»
riportando «notizie, informazioni e commenti che i “mainstream media” non
riportano».
Nell’intervista,
Bannon interroga Monsignor Viganò sulla «psico-pandemia», concetto già espresso
dal religioso in un video del 2021 mostrato su La7 nella trasmissione Di
Martedì di Giovanni Floris: «In tutte le parti del mondo in cui vige la psico-pandemia,
il popolo scende nelle piazze e manifesta il proprio dissenso. I media di
regime, in pratica tutti, tacciono sistematicamente quello che però possiamo
vedere su Internet. Ci siamo svegliati un po’ tardi, è vero, ma stiamo
cominciando a capire che ci hanno ingannati per quasi due anni, raccontandoci
cose che non corrispondevano alla realtà, dicendo che non c’erano cure, che si
moriva di Covid mentre uccidevano deliberatamente i contagiati per farci
accettare mascherine, lockdown e coprifuoco». Pochi giorni dopo, don Claudio del
Monte, cappellano della clinica Humanitas Gavazzeni di Bergamo, aveva replicato
su Famiglia Cristiana che soprattutto nel periodo più critico del primo
lockdown del 2020 «il Covid ha realmente mietuto tante vittime», inclusi molti
medici.
Nell’intervista,
Monsignor Viganò dichiara tuttavia che «il virus Sars-CoV-2 non è altro che una
sindrome influenzale stagionale». L’Istituto Superiore di Sanità distingue però
la natura dell’influenza, definita come «una malattia respiratoria acuta
causata da virus influenzali», da quella della Sars-CoV-2, definita invece come
«il coronavirus che causa la sindrome respiratoria acuta grave». Inoltre,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea ulteriori differenze di
trattamento tra l’influenza e il Covid-19 anche in termini di vaccini, dal
momento che «vaccines developed for Covid-19 do not protect against influenza,
and similarly, the flu vaccine does not protect against Covid-19».
Monsignor
Viganò denuncia inoltre «l’imposizione di una terapia genica sperimentale
dimostratasi non solo inefficace ma anche dannosa e spesso mortale».
Innanzitutto,
come già dimostrato da Facta, i vaccini non costituiscono una terapia genica,
cioè un «processo con cui del materiale genetico (Dna o Rna) viene inserito
all’interno delle cellule per consentire ai medici di curare un disturbo senza
intervenire con farmaci o interventi chirurgici». Infatti, i vaccini non modificano il
Dna, ma si limitano a «riprodurre il meccanismo con cui il virus Sars-CoV-2
attacca le cellule umane, così da scatenare la risposta immunitaria
all’infezione».
Inoltre,
il Report “Covid-19: sorveglianza, impatto delle infezioni ed efficacia
vaccinale” dell’Istituto Superiore della Sanità, aggiornato al 22 giugno 2022,
conteggia la somministrazione di 138.126.938 dosi di vaccino e stima nei
soggetti vaccinati con dose booster l’efficacia della prevenzione della
diagnosi di infezione da Sars-CoV-2 al 54% e l’efficacia della prevenzione dei
casi di malattia severa all’86%.
Infine,
il Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini anti-Covid-19 dell’Agenzia Italiana
del Farmaco, aggiornato al 26 marzo 2022, conteggia sulla somministrazione
totale di 135.849.988 dosi di vaccino soltanto 134.361 segnalazioni di eventi
avversi, dei quali l’82,1% non gravi e il 17,8% gravi ma, nella maggior parte
dei casi, risolti completamente o migliorati.
Sulla
scia delle precedenti affermazioni, Monsignor Viganò insinua la teoria
complottista del Great Reset, secondo la quale «la pandemia è stata pianificata
e gestita con lo scopo di creare il maggior danno possibile. Questo è un fatto
che è stato assodato e confermato dai dati ufficiali, nonostante la loro
sistematica falsificazione».
Le
affermazioni non sono supportate da alcuna evidenza fattuale, ma il religioso
prosegue ricollegando la causa della pandemia alla «pressione – giunta fino al
ricatto – delle autorità sanitarie sul personale medico, con l’ausilio di una
scandalosa campagna di terrorismo mediatico e con l’avvallo dei leader
occidentali.
I
quali sono in massima parte esponenti di una lobby – il World Economic Forum – di
Klaus Schwab che li ha collocati ai vertici delle istituzioni nazionali e
internazionali per essere sicura dell’obbedienza dei governi».
La
teoria complottista del Great Reset, sostenuta anche dal movimento statunitense
di estrema destra QAnon, delinea il piano dell’élite politica, imprenditoriale,
finanziaria, religiosa e farmaceutica di creare una pandemia per fondare il
Nuovo Ordine Mondiale.
Nata
dalla travisazione della proposta presentata nel 2020 dal principe Carlo di
Galles e dal fondatore del World Economic Forum Klaus Schwab di creare
un’economia sostenibile in seguito alla pandemia, la teoria non rappresenta una
novità nel repertorio del Monsignore.
Infatti, già in una lettera del 2020 indirizzata a
Trump il religioso aveva ipotizzato che la quarantena e le proteste del
movimento Black Lives Matter costituissero gli strumenti dei «figli delle
tenebre», cioè del «deep state» dei poteri forti, per estromettere Trump dalla
Presidenza.
Alla
missiva, Trump aveva risposto sul suo account Twitter, poi sospeso: «So
honoured by Archbishop Viganò’s incredible letter to me. I hope everyone,
religious or not, reads it!».
In
particolare, Monsignor Viganò afferma che «Klaus Schwab si è pubblicamente
vantato, in più occasioni, di poter manovrare i capi di Stato e di governo di
mezzo mondo e di poter interferire anche con i leader religiosi».
Tuttavia,
come dimostrato da Open, il fondatore del World Economic Forum nomina in un
video gli stakeholders del forum di Davos senza mai affermare di “averli in
tasca”.
Monsignor
Viganò prosegue: «Insomma, siamo governati da una cupola di usurai e
speculatori, da Bill Gates che investe nel latifondo proprio alla vigilia
dell’emergenza alimentare o sui vaccini poco prima dello scoppio della
pandemia, a George Soros che specula sulle fluttuazioni delle valute e dei
titoli di Stato o che finanzia assieme a Hunter Biden un bio-laboratorio in
Ucraina».
Tuttavia,
i riferimenti di stampo cospirazionista ai tre personaggi sono tutti
ingannevoli.
Innanzitutto,
le accuse contro il fondatore di Microsoft Bill Gates sono infondate. In primo luogo, Gates ha
effettivamente acquistato terreni agricoli, ma gli investimenti nel settore
agricolo non sono stati realizzati solo in tempi recenti in previsione
dell’emergenza alimentare, bensì già a partire dal 2008 in quanto connessi sia
alla diversificazione del portafoglio, sia alla promozione dell’agricoltura
sostenibile e resistente ai cambiamenti climatici realizzata dalla Bill and
Melinda Gates Foundation.
In secondo luogo, Gates ha effettivamente investito
sui vaccini, ma non solo in prossimità della pandemia, bensì a partire dal
2000, anno della creazione della Bill and Melinda Gates Foundation «per
sviluppare nuovi strumenti e strategie per ridurre l’impatto delle malattie
infettive» e della Global Alliance for Vaccines and Immunisation, ente di
cooperazione mondiale per la protezione della salute finanziato anche dalla
Fondazione. Nel corso della pandemia, Gates ha inoltre investito 11 miliardi di
dollari per garantire una distribuzione equa dei vaccini contro il Covid in più
di 150 Paesi.
Ancora,
le accuse contro il miliardario George Soros sono infondate. Le speculazioni citate da Monsignor
Viganò sono riconducibili allo svolgimento della sua attività imprenditoriale,
e tra esse si ricorda la speculazione finanziaria sulla lira nel mercoledì nero
del 16 settembre 1992.
Infine,
le accuse contro il miliardario George Soros e il figlio del Presidente degli
Stati Uniti Joe Biden, Hunter Biden, sono infondate.
Nel marzo 2022, il ministero della Difesa russo ha
accusato Hunter Biden di aver finanziato laboratori di armi biologiche in
Ucraina tramite il fondo di investimenti Rosemont Seneca Partners, da lui
presieduto.
Tuttavia,
come analiticamente dimostrato dal Washington Post, non solo in Ucraina non
esistono bio-laboratori per la produzione di armi chimiche, bensì centri di
ricerca per la prevenzione di malattie infettive, ma né Hunter Biden né George
Soros hanno finanziato la società indicata dalle accuse russe.
Monsignor
Viganò riprende la teoria complottista del Great Reset: «Dobbiamo comprendere
che i nostri governanti sono traditori della Patria votati all’eliminazione dei
popoli», incalzato
anche da Bannon: «Cosa vuole ottenere l’élite? Ci promette pace, sicurezza, prosperità e
lavoro, ma ci sono più di cinquanta conflitti nel mondo; le nostre città sono
invivibili, piene di delinquenti, immerse nel degrado e dominate da minoranze
di deviati».
Monsignor Viganò muove poi da una
considerazione sulla pandemia: «La pandemia è stata progettata come strumento per
l’instaurazione di un regime totalitario, teorizzato da tecnocrati non eletti e
privi di qualsiasi rappresentatività democratica» per spostare il focus sulla
guerra in Ucraina: «La maggioranza dei cittadini non è assolutamente favorevole
all’invio di armi e alle sanzioni contro la Federazione Russa». Il religioso
rafforza il filone propagandistico del Cremlino ribadendo che il conflitto è
funzionale allo scopo di «forzare un cambiamento sociale che nessuno vuole,
facendo ripartire da zero – proprio come si riavvia un computer – l’economia e
la finanza del mondo “occidentale”».
Monsignor
Viganò rincara: «Putin non ha raccolto le provocazioni del deep state» e «ha
espugnato l’acciaieria di Azovstal sotto la quale c’è uno dei bio-laboratori
segreti americani che producevano armi batteriologiche e facevano esperimenti
sul Sars-CoV-2».
Tuttavia, come dimostrato da Open, Azovstal è
un complesso metallurgico e la presenza di bio-laboratori di armi chimiche
della Nato non è supportata da alcuna evidenza fattuale.
«La proxy war degli Stati Uniti contro
l’invasione russa è in realtà una guerra del deep state contro una nazione che
non accetta di esser fagocitata dai deliri dei tecnocrati globalisti e che oggi
ha le prove dei crimini commessi proprio dal deep state».
Ancora
una volta, le parole di Monsignor Viganò esprimono teorie del complotto e non
sono supportate da evidenze fattuali.
Accanto
al supporto della causa del Cremlino, l’ulteriore scopo politico delle
argomentazioni del religioso si svela nel finale dell’intervista: «L’eventuale ritorno di Donald Trump
alla Casa Bianca consentirebbe vere trattative di pace, una volta estirpato il
deep state dall’Amministrazione e dai Servizi».
Davos,
Grande Reset, Klaus Schwab:
«Annientare il dissenso manipolando
le menti, orientare l’opinione
pubblica con uniche narrazioni»
lapekoranera.it-
Redazione- (25 Maggio 2022) – ci dice:
Il
patron del World Economic Forum sforna un altro libro, un ricettario di
banalità con
un’unica «narrazione»: le crisi vanno colte e questa sarà il volano della svolta green.
Intanto Volodymyr Zelensky in t-shirt arringa
i ricconi in video.
I
complotti, tra i tanti lati negativi, ne hanno almeno uno positivo: sono
interessanti, talvolta persino divertenti.
I piani per la conquista del mondo stilati
dalle società segrete nel corso della Storia – per quanto malvagi – risultano
comunque affascinanti, ricco materiale per documentari e libri inchiesta. Ebbene, le idee di Klaus Schwab,
fondatore del World economic forum e teorizzatore del Grande Reset, non hanno
nemmeno questo pregio. Anzi, sono di una banalità sconcertante.
A ben
vedere, non si tratta nemmeno di complotti, perché Schwab non fa mistero di
nulla, mette tutto nero su bianco in pagina, espone la sua visione del mondo e
i suoi progetti di cambiamento epocale in libri che hanno larghissima
diffusione in specie per i governanti delle nazioni occidentali.
È come se l’uomo nascondesse le sue trame in piena
luce: i suoi tomi sono talmente noiosi che viene da abbandonare la lettura dopo
un paio di pagine, dunque comprendere che cosa egli abbia in mente è veramente
un’impresa.
Pagina
dopo pagina bisogna farsi forza, impedire agli occhi di chiudersi e cercare di farsi largo tra le
montagne di fuffa che Schwab accumula senza rimorsi.
Ciò è
particolarmente valido per l’ultimo volume firmato assieme al ricercatore
Thierry Malleret, appena arrivato nelle librerie italiane e intitolato La
grande narrazione (Franco Angeli).
È il
seguito de Il Grande Reset e, se possibile, è ancora più terrificante. Secondo
gli autori si tratta di «una chiamata all’azione collettiva e individuale».
La
tesi centrale è velocemente esposta nella prima pagina, e le quasi 200 restanti
sono del tutto inutili.
Schwab
spiega che «se vogliamo assicurare un futuro migliore all’umanità, il mondo
deve essere più resiliente, più equo e più sostenibile».
Come
vedete, nulla di diverso rispetto a ciò che si può leggere quotidianamente nei
media cosiddetti mainstream. E in effetti il tomo è una specie di condensato delle amenità
prevalenti, in qualche modo l’autore cerca di tracciare i confini del «pensiero
unico», fornendo una leggerissima impalcatura ideologica ai vari predicatori
politicamente corretti.
L’intero
saggio è pervaso da una stomachevole esibizione di buoni sentimenti. Schwab disegna i contorni di una
umanità che vive in pace, rispetta l’ambiente, rimette in equilibrio la
bilancia della giustizia sociale, risponde compatta alle varie crisi che si
manifestano.
È il proverbiale «paradiso in Terra» che tutti
i progressisti e gli gnostici rivoluzionari propongono dall’inizio dei tempi. A
tratti, la variazione sul tema fornita da Schwab è grottesca, ad esempio quando
suggerisce di tenere «corsi di empatia» per stimolare l’umana solidarietà.
Sotto
questa patina appiccicosa, tuttavia, emergono gli aspetti inquietanti.
Il
primo è il principio cardine del Grande Reset: «Il cambiamento è sempre doloroso,
quindi dovremmo approfittare del fatto che siamo in una congiuntura critica per
attuare le misure necessarie che possono correggere la maggior parte delle cose
che sono andate male per tanti anni in passato».
Insomma,
si tratta di sfruttare le crisi, se non di provocarle allo scopo di imprimere
svolte fondamentali all’umanità. Le catastrofi possono agevolare la realizzazione
della Quarta rivoluzione industriale (quella tecnologica e digitale), poiché «più grande è il problema e più grave
è la minaccia, maggiore è la spinta a cooperare per trovare una soluzione».
Piccolo
inconveniente: Schwab parla spesso di cooperazione, ma il fine di tale cooperazione lo
ha già deciso lui (o chi per lui), e non c’è possibilità di discussione.
Bisogna,
senza se e senza ma, compiere la svolta green, rendere l’intero sistema
sostenibile: «I cambiamenti «verdi» necessari in tutto il sistema economico […]
costituiscono, di fatto, l’unica storia di crescita possibile, perché una storia di crescita a lungo
termine a elevate emissioni di carbonio non è più attuabile».
(L’ignoranza interessata dei governanti i
paesi occidentali fa credere- all’umanità soggetta- di NON SAPERE che la CO2 è
il gas che nasce- e si espande in
superficie- dalle profondità della terra
da enormi volumi di carbone che ardono per l’eternità! Ndr)
Sostenibilità, dunque. Il concetto è di travolgente
brutalità: «La
sostenibilità è normalmente definita come la capacità di soddisfare i nostri
bisogni senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare
i loro».
Cristallino:
il sistema
basato sul desiderio e il soddisfacimento di bisogni per lo più indotti deve
restare in piedi, semplicemente bisogna ricalibrare gli esseri umani in modo
che il banchetto duri più a lungo, e anche le generazioni future abbiano il
loro posto a tavola.
Tocca
adattarsi, insomma, rinunciare a qualcosa e abituarsi agli choc. Bisogna essere
resilienti, perché «la pandemia ha amplificato l’importanza della resilienza: la
capacità di prosperare anche in periodi di avversità e di riprendersi da
circostanze difficili».
Tradotto,
resilienza è la capacità di subire in silenzio, senza lamentarsi.
Tra i
principali nemici che il simpatico Klaus cita nel libro ci sono, non a caso, populisti
e no vax.
«Il
populismo tende a essere negativo per la sostenibilità: esiste una forte
correlazione tra populismo e scetticismo climatico; il populismo porta al
potere i demagoghi, che poi offrono soluzioni troppo semplificate a problemi
complessi».
Quanto
ai critici del regime sanitario, «i potenti movimenti anti scienza prolungano la fase
di lento declino della pandemia di Covid ostacolando sia la salute pubblica
sia, in modo più sostanziale, la nostra capacità di andare avanti all’unisono».
In che
cosa consiste, alla fine dei conti, la proposta di Schwab?
In un
generico progressismo ammantato di nobili istanze sul benessere collettivo e
individuale, che nella realtà diviene una spinta incontrastabile a tagliare le
emissioni e realizzare la svolta verde e ad aumentare la presenza della
tecnologia nelle nostre vite.
Per
illustrare questo vasto programma (già in corso di applicazione nelle nazioni
occidentali) , Schwab interroga decine di esperti in tutto il mondo, molti dei quali
appartenenti all’universo liberal Dem Usa.
Costoro
sono utili a costruire la «grande narrazione» che sta al centro della nuova
opera del capo del Wef.
Seguendo
la lezione dei filosofi del linguaggio che pensano di ridisegnare la realtà
cambiando le parole, Schwab spiega che «sta emergendo un nuovo mondo (non una
«nuova normalità») i cui contorni saranno in gran parte definiti dai discorsi
che si svilupperanno per tracciare la strada da seguire». Come incantesimi, le narrazioni
permettono di conquistare le menti, di orientare l’opinione pubblica, e di mettere in
pratica il cambiamento senza usare il pugno di ferro.
Del
funzionamento di questo metodo abbiamo avuto numerose prove durante la
pandemia: si costruisce un discorso prevalente, e lo si impone alla popolazione.
Chi lo
contrasta (i già citati populisti e no vax) va demonizzato e marginalizzato. Sta funzionando così anche con la
guerra in Ucraina, ed è interessante che Schwab proprio ieri abbia ospitato a
casa sua, a Davos, Volodymyr Zelensky.
Il presidente
ucraino, in effetti, ha dimostrato di maneggiare con destrezza il potere della
narrazione.
Per
l’occasione, Zelensky ha chiesto di aumentare le sanzioni alla Russia e di
bloccare l’acquisto di petrolio.
Soprattutto,
ha invitato i presenti a Davos a «prendere parte alla ricostruzione» del suo
Paese. E ha concluso con una frase a effetto: «Spero che ognuno di voi potrà
svegliarsi al mattino chiedendosi: cosa posso fare per l’Ucraina oggi?».
Domanda
interessante, a cui si può anche cambiare verso, formulandola dal punto di
vista di Schwab.
Dato
che le crisi servono a velocizzare il cambiamento, forse occorre chiedersi:
«Che cosa può fare l’Ucraina per la Quarta rivoluzione industriale e la svolta
green?».
(Francesco Borgonovo – La Verità).
SOVRANO
DELLA SPECULAZIONE,
SOCIO
DELLE MULTINAZIONALI ENERGETICHE.
Lapeckoranera.it-
Redazione- (16 Settembre 2022) – ci dice:
IL RE
DEI RE.
Si
mormora che il principe del Galles (oggi Re Carlo III di Gran Bretagna e
Commonwealth) abbia lavorato diplomaticamente all’elezione di Biden a
presidente Usa.
Ma non
è stato il solo a remare contro Trump, era in buona compagnia di tutto il “deep
state” riunito a Davos a cura di Klaus Schwab.
Speculazione
finanziaria e “deep state” hanno sempre la stessa faccia. Soprattutto gli
stessi obiettivi, come diminuire le garanzie democratiche di una nazione,
saccheggiare i risparmi dei cittadini, concentrare le ricchezze nelle solite
poche mani.
Se
negli Usa tutto il potere ruota tra colossi di Wall Street, vertici del
Pentagono, banche ed intelligenze, invece in Gran Bretagna l’unica fonte di
benessere sono gli affari della Corona, che passano di mano in mano per
ininterrotta discendenza. La continuità dell’impero è la prima preoccupazione
dei vertici amministrativi britannici, il cui agire è concentrato sul mantenere
le istituzioni immutabili nel tempo.
Negli
ultimi trecento anni la stabilità delle istituzioni ereditarie è stata
continuamente minacciata.
Tra
gli obiettivi principali del “Gran Reset di Klaus Schwab” c’è appunto garantire che, la tumultuosità e
l’insofferenza del popolo non possa più soverchiare il potere di una nazione democratica.
Oggi
il potere occidentale è coeso nel diffidare del popolo e, soprattutto, nel
difendersi da chi cercasse di scalare ruoli sociali. Per cementare le
prerogative delle oligarchie mondiali, Davos ha da sempre messo in discussione
i diritti inalienabili della gente comune, perché gli unici diritti inalienabili
possano venire blindati unicamente per una élite di alto censo reddituale e
sociale.
Per i
sudditi (“gli inutili mangiatori” di cui parlava sir Huxley fondatore del Wwf)
Davos ha aperto il dibattito sul periodico abbattimento della popolazione terrena,
per facilitare la gestione della sudditanza e debellare le povertà.
Negare
o concedere diritti torna prerogativa delle stirpi regali. Il re d’Inghilterra vorrebbe
salvare il pianeta riportando l’orologio della storia ai tempi degli
assolutismi, a quando un tribunale poteva togliere la vita in nome del Re. Quest’ultimo aspetto piace a molti
cittadini britannici, nutriti per generazioni con la propaganda reale.
Ora la
scommessa guarda al rincaro dei prezzi energetici, perché è noto Carlo III sia
schierato con i colossi finanziari che stanno speculando su gas e bolletta
elettrica.
Al
tavolo degli speculatori siede anche il sovrano britannico: carestia e case
fredde potrebbero far cambiare idea agli immarcescibili monarchici del
Commonwealth? E chi mai potrebbe rispondere a questa domanda.
Carlo
ha al tal punto dimostrato entusiasmo per la decarbonizzazione del pianeta che,
in più occasioni, ha detto che “innalzare i costi energetici serve a diminuire
l’inquinamento fatto dalla gente comune”.
Eppure
anidride carbonica e civiltà industriale erano il binomio della Londra
Vittoriana, dove la povera gente moriva di stenti per le viuzze del quartiere
Whitechapel o finiva arresta e deportata per povertà. Di quella Londra cosa
dice il Re di Londra?
Di
certo sappiamo solo che, pochi mesi dopo l’insediamento di Biden a Washinton,
Carlo III pare abbia partecipato ad una riunione strategica dei grandi
speculatori planetari.
Nel
conciliabolo avrebbero affrontato il tema della scommessa nelle borse contro i
titoli russi e cinesi, nonché di come far pagare eventuali guerre ai popoli.
I
signori della borsa avrebbero subito offerto l’opportunità ai vari colossi
energetici occidentali di avviare una nuova speculazione basata sui derivati,
ovviamente da giocare tutta tra Paesi Bassi e Wall Street.
La
trovata ha entusiasmato i potenti della terra, che ora stanno presentando il
conto al popolo. Ovviamente ci vogliono buone scuse per svuotare i risparmi
della gente, e necessita anche qualcuno si prenda le colpe. Ecco che entra in
gioco quell’entità astratta appellata come mercato.
Quest’ultimo
ha lavorato per più di dieci anni per togliere ogni protezione statale ai
cittadini titolari di contratto della luce (a Londra come a Roma e New York) ed
ora grazie alle regole del “mercato libero” è possibile che le multinazionali
energetiche (di cui sono soci Carlo III e compari) ci possano presentare
bollette decuplicate.
E
saremo costretti a pagarle od a farci tagliare la luce: nessun governo
occidentale sarà mai in grado di difendere i cittadini, poiché la politica è
soccombente a cospetto dei potenti della Terra, soprattutto da quando il “deep
state” obietta che la stangata serve per il “bene ecologico del Pianeta” e per
pagare la guerra alla Russia.
La razzia viene mascherata soprattutto come perdite in
borsa delle multinazionali, che hanno organizzato la mascherata dei “derivati”
per fingere d’aver ricevuto la chiamata da Wall Street: in gergo borsistico si chiama
“margin call”, “richiamo di margine”, è il termine che descrive la notifica che
i “trader” ricevono quando il saldo del conto titoli scende al di sotto del
“requisito di margine” richiesto per mantenere aperta una posizione. Insomma, è un teatrino simile al
quello del 2008, la grande bolla del mattone.
Oggi
la recita è più sottile e meno sgamabile, ma la fanno sempre con i soliti
derivati. L’Inghilterra è maestra in queste scommesse.
Tra qualche mese Carlo III ed i suoi amici
deterranno ancor più ricchezze, certi d’aver piegato i popoli con l’antica arma
della povertà: questa volta addolcita e fatta ingurgitare alla gente con la
trovata buonista ed ecologista della “povertà sostenibile” per tutti noi.
UN
MONARCA ASSOLUTO
PER
CONTO DEL WORD ECONOMIC
FORUM
DI DAVOS di Klaus Schwab.
Lapecoranera.it- Redazione- (15 Settembre 2022) ci
dice:
IL RE
DEI RE.
L’unico motivo che farà rimpiangere al mondo la Regina
Elisabetta II sarà l’uso smodato che Re Carlo III farà del proprio potere
planetario, in questo supportato dai potenti della Terra, dal “deep state”.
Il
regnante aveva già da principe dimostrato di voler usare la Corona per
implementare proprio potere e patrimoni. In più occasioni aveva pubblicamente
ammesso di non considerare la Corona solo come l’entità simbolica della Gran
Bretagna.
Nel 2013 veniva accusato di “lobbismo incontinente”,
perché erano rese pubbliche tutte le lettere personali che Carlo inviava a
parlamentari e premier: la raccolta di missive venne appellata “Memo del ragno
nero”, ed il principe di Galles diede fondo ad una battaglia legale perché
venissero segretate nel rispetto del ruolo della casa regnante.
Jonathan
Dimbleby (biografo
ufficiale di Carlo) già nel 2013 aveva scritto che “con la successione di Carlo
alla Corona le cose diventerebbero molto più pratiche, è già in atto una
tranquilla rivoluzione costituzionale in grado di ridare al Re i poteri
tradizionali d’un tempo”.
Carlo
III ha già dimostrato il proprio approccio pratico alla “governance planetaria”
il 3 giugno 2020: quando, investito dal “World Economic Forum” di Klaus Schwab,
del grado di cavaliere del Great Reset, ha subito twittato che sarà il paladino
globale dell’iniziativa.
La
crociata di questo Re guerriero è ecologica e contro i popoli, rei di
distruggere la Terra con il lavoro e con la smania di migliorare le proprie
condizioni ed aspettative di vita.
Ecco
che Carlo ha impugnato lo spadone in nome della decarbonizzazione del mondo:
considerate che il corpo umano è fatto per circa il 60% di acqua e per il 22%
di carbonio, ergo se” l’acqua è stata planetariamente privatizzata e quindi appartiene
ai potenti”, non rimane che ammazzare il carbonio umano.
Carlo
III è un fanatico dell’eco-religione, così spiega ai monarchi in carica come
attraverso la “rivoluzione green” il potere possa nuovamente sottomettere i
popoli e le nazioni occidentali.
Le
crociate di questo Re non si combatteranno in Terra Santa, bensì in ogni angolo
del pianeta, nella convinzione che solo sottomettendo i popoli si possa salvare
la Terra.
I
cavalieri crociati di questa guerra globale si riuniscono a Davos in Svizzera,
e da lì “contano di convincere tutti i governi democratici del Pianeta” ad
azzerare le emissioni di anidride carbonica, ad archiviare la civiltà
industriale, ad introdurre normative che riducano drasticamente il lavoro
umano, che limitino l’agricoltura e la produzione di generi alimentari e che,
soprattutto, introducano norme più severe al fine di limitare le libertà della
gente comune.
Di
fatto Carlo III ha sposato la visione del mondo di Julian Huxley che fondava il
Wwf insieme a suo padre Filippo d’Edimburgo, a Bernhard van Lippe-Biesterfeld
(principe consorte dei Paesi Bassi già cofondatore della conferenza del “Gruppo
Bilderberg”), a sir Peter Markham Scott (ornitologo e membro dell’Ordine
dell’Impero Britannico) ed al nobiluomo scandinavo Edward Max Nicholson. La prima riunione del Wwf vedeva la
presenza di Guy di Montfort e del filantropo statunitense Godfrey Anderson
Rockefeller, che dava lettura della missiva d’augurio d’un suo cugino
Rothschild. La riunione iniziatica del Wwf avveniva nell’aprile del 1961 a
Morges in Svizzera (guardacaso tutto lì: Davos, Basilea…).
Julian
Huxley sosteneva che “prima o poi il potere si sarebbe reincarnato in un virus
per risolvere il problema della sovrappopolazione”: e Carlo III pare ripeta troppo
spesso di sognare questo. Di fatto Carlo ha già ereditato da suo padre Filippo l’essere
il vero portavoce del Wwf, colui che auspica la trasformazione totale della
società sotto il proprio sacerdozio.
Il
periodico australiano “Spectator” di luglio 2022 stigmatizza così la
misantropia di Carlo d’Inghilterra:
“L’ambientalismo
di cui il Principe ha deciso di occuparsi in attesa di salire al trono non è
una sorta di innocua attività apolitica di piantumazione di alberi o di
salvataggio della foresta pluviale. Non sta abbracciando i panda o finanziando
i santuari della fauna selvatica. Al contrario, si è impegnato in un’ibrida rivolta
commerciale e politica che minaccia la sopravvivenza del sistema politico che è
destinato a supervisionare”.
“Oltre
ad essere un tradimento del cittadino comune, le sue azioni rappresentano un
fallimento del suo unico dovere di futuro re: proteggere la monarchia
costituzionale dal totalitarismo climatico e dal globalismo in ascesa.”
Ovviamente
Re Carlo III non è l’uomo solo al comando, a guidare le sue crociate ci sono i ricchi sacerdoti di Davos
capitanati da Klaus Schwab, i banchieri Rockefeller e Rothschild, oltre ad un esercito internazionale
di collaboratori, cortigiani e servi che fanno politica in altre nazioni, e
qualche autorevole esempio lo abbiamo anche in Italia.
TUTTI
SERVI DI RE CARLO E DEI
SUOI
DI DAVOS, LOGGIA DI LONDRA,
INTELLIGENCE
E BORSA.
Lapecoranera.it-
Redazione – (14 settembre 2022) – ci dice:
IL RE
DEI RE.
Non è
certo un mistero, e nemmeno affermazione da complottisti, asserire che Carlo
III d’Inghilterra sia eterodiretto da Klaus Schwab (direttore ideatore del Word
Economic Forum di Davos).
Da una
rapida ricerca su internet emerge che, il 3 giugno 2020, l’attuale sovrano
d’Inghilterra (allora solo principe) era diventato sponsor del Great Reset
ordito dal World Economic Forum: in rete c’è persino prova che ha twittato
“#TheGreatReset” sul suo sito ufficiale.
L’allora principe di Galles affermava “Oggi,
attraverso la “Sustainable Markets Initiative di HRH e il World Economic Forum”,
il Principe del Galles ha lanciato una nuova iniziativa globale, The Great
Reset”.
L’operazione
“London bridge is down” di fatto era già iniziata a Regina Elisabetta II ancora
in vita:
un anno prima della pandemia Klaus Schwab
faceva fare un bel giretto dei vari conciliaboli svizzeri all’entusiasta
ragazzotto settantenne, portando con sé Carlo ad incontrare i potenti della “mafia di San Gallo” (tutti graditi ospiti del WEF),
quelli che maneggiano occultamente gran parte della speculazione vaticana e che
hanno partecipato a far bruciare l’obolo di san Pietro nel fondo speculativo
londinese Harrods.
Non è
dato sapere fino a che punto il “mago di Davos” abbia plasmato l’animo del
principino ora Re, ma in troppi malignano Klaus abbia suggerito a Carlo “da capo
della religione anglicana potresti laicamente beneficare del tramonto della
supremazia di Santa romana Chiesa, il Papa finirà presto in povertà e, bruciate
tutte le riserve auree del Vaticano, l’unico capo di religione cristiana con
vero potere economico rimarrà il regnante d’Inghilterra”.
Del
resto Francesco è divenuto Papa all’indomani della tragica scoperta sulle
riserve auree statunitensi (quelle costituite in era Paul Marcinkus) congelate
da una corte federale Usa per risarcire eventuali danni da pedofilia nelle
diocesi americane: ricordate la storia delle riserve che si sbloccavano con la
rinuncia di Papa Benedetto e con l’arrivo di Francesco applaudito da Obama,
Soros e famiglia Clinton?
Perché
la finanza possa gestire una ricca chiesa che è anche regno terreno, necessita
ci sia un Re che non muove passo senza il benestare dei suoi potenti consiglieri.
Il momento è giunto, “London bridge is down”
non sono state solo le parole in codice con cui il segretario della Regina
(Edward Young) ha informato il primo ministro della morte di Elisabetta II, ma
anche il segnale per i potenti della Terra che è giunta l’era del loro Re, il
sovrano del “Great Reset”.
Ovviamente
la forma è sostanza, e grazie a Re Carlo l’alto salotto della speculazione
finanziaria intende riportare l’intero pianeta in epoca feudale: viene dagli
addetti ai lavori appellata “operazione Unicorno”, e vede nell’unzione regale
del nuovo Re di Gran Bretagna e Commonwealth il principio dell’egemonia
planetaria dichiarata da parte dei notabili del “nuovo ordine mondiale”. Quindi basta con le teorie dei
complotti: vengono allo scoperto e dettano le regole ai popoli, chi non
obbedisse verrebbe eliminato. Carlo non è solo mal comando, perché ai potenti della finanza
occidentale converrebbe che l’intero pianeta venga piegato all’obbedienza al
Commonwealth.
Esempi
servili.
Justin
Tredeau di mestiere fa il primo ministro del Canada, di fatto è un accolito del
gruppo di Diablos (pardon Davos). Tredeau sarà presto tenuto al servile
giuramento di fedeltà a Re Carlo II: la legge sui giuramenti parlamentari è del
1866, e prevede che entrambe le camere del Parlamento canadese prestino
giuramento di fedeltà al nuovo sovrano di Gran Bretagna.
Quindi
i parlamentari canadesi non giurano fedeltà al popolo od alla costituzione ma
al Sovrano.
Un po’
come nel Paraguay di Stroessner, dove il giuramento di poliziotti e magistrati
era di fedeltà al potere.
In
gran parte del Pianeta, in terre lontane e domini vari del Commonwealth, la
maggior parte dei popoli giura fedeltà al potere o al sovrano d’Inghilterra.
A
conti fatti Occidente, Europa e Usa e Russia comprese, sono la minoranza che
vede i rappresentati giurare fedeltà alla propria Costituzione.
Così anche tutti i vari membri del
Commonwealth giureranno fedeltà al Re: è la regola del “Five Eyes”, che
comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e gli Stati Uniti solo
per l’aspetto sicurezza.
Negli Usa giureranno fedeltà al Re una
cospicua parte di massoni: Carlo condivide con il Duca di Kent il vertice
mondiale della massoneria.
Qualcuno
obietterà che gran parte dell’intelligence Usa (se non tutta) è in massoneria e
che lo sono anche i vertici della finanza: vorrà dire che Re Carlo sarà il loro
capo.
Il sovrano britannico necessita di tantissimo
servilismo, fedeltà e collaborazione, perché ha partecipazioni in tutti i
colossi del Pianeta, deve badare ad una riserva personale aurea e di preziosi
senza pari, ed è il più grande proprietario di palazzi e terreni della Terra.
Re
Carlo è proprietario di 26.709.359 chilometri quadrati tra terre e case in
Australia, Nuova Zelanda, Irlanda del Nord, Canada, Gran Bretagna, Isole
Falkland ed anche in paesi dove la Corona ha acquistato beni. Badate bene che
la Corona incassa le tasse, che certo usa per manutenere i patrimoni che poi da
in concessione in cambio di un lauto compenso.
“The Crown Estate” è il più grande
gruppo immobiliare del pianeta Terra ed è di proprietà di Re Carlo, che nel
Commonwealth opera anche attraverso le consociate “Crown Lands” e “Crown
Corporations.
In una
nota inchiesta del magazine tedesco Die Welt Business si legge: “Il Crown Estate possiede proprietà
in tutto il Regno Unito, da castelli e cottage a terreni agricoli e foreste,
oltre a parchi commerciali e centri commerciali. Possiede più della metà
dell’intera costa del Regno Unito, il che le conferisce diritti d’asta di enorme
valore per le attività commerciali offshore, come i parchi eolici.”
Chi
possa pensare che, la Corona britannica controlli quasi l’intero fondale marino
del Regno Unito, dovrebbe rivedere il calcolo per difetto: Re Carlo ha potere
su tutte le coste del Commonwealth.
Non è
certo un caso che la Corona sia socia di tutte le società petrolifere, e non
solo quelle con piattaforme nel Mare del Nord. Se ieri tutti i petrolieri
dovevano venire a patti con il Re di Londra, oggi le multinazionali che fanno
affari con l’eolico devono trattare con le “Crown Corporations”: i mulini a
vento offshore costruiti con pilastri sui fondali della Gran Bretagna
(nell’ambito del Green New Deal) pagano l’affitto al “Crown Estate” di Re Carlo.
“Byline Times” è lapidario ed afferma “la Corona diventerà il più grande
beneficiario dell’Agenda Verde del Regno Unito”. Proprio Re Carlo ha recentemente
presentato il piano in “dieci punti su “rivoluzione verde e completa
decarbonizzazione entro il 2050”.
Così
la Corona lucra sui prezzi alle stelle delle fonti energetiche tradizionali ed
incamera fitti dalle innovative. Tra le tasse planetarie imposte dai paesi
democratici c’è anche quella sui “mulini a vento ecologici” sovvenzionati dai
contribuenti.
Gli
italiani non sembra siano lontani dal giurare anche loro fedeltà al Re, è
emerso con i recenti sondaggi e su come hanno seguito (forse più degli inglesi)
il lutto britannico per Elisabetta II.
Il
“Vertice di Samarcanda”
segna
il Fallimento del Progetto
americano
di Isolamento della Russia.
Conoscenzealconfine.it-
(20 Settembre 2022) - Luciano Lago - ci dice:
Il
vertice SCO (Organizzazione per la cooperazione di Shanghai) con la
partecipazione di Vladimir Putin e del presidente cinese Xi Jinping, ha
mostrato che i tentativi di “cancellare” la Russia sulla scena internazionale
sono falliti.
Al
contrario il vertice dimostra che la sfera di influenza di Mosca si è
notevolmente allargata verso l’Asia, il continente del massimo sviluppo
economico e demografico. La Russia nella regione è sempre più percepita come
“loro”, una potenza asiatica, mentre prima era considerato più come un
“europeo”. Secondo gli esperti, il vertice rafforza la svolta della Russia
verso est.
Cosa è
riuscita a ottenere la Russia nel primo giorno del forum di Samarcanda?
Soprattutto, l’assemblea generale dei leader dei paesi
SCO, che si sono riuniti a Samarcanda, è prevista per venerdì, ma anche giovedì
– il primo giorno del vertice di questa organizzazione, che rappresenta la metà
degli abitanti della Terra – si è rivelato essere di estremo interesse per gli
incontri che si sono avuti fra massimi leaders. In particolare l’occasione ha
attirato l’incontro tra i leader di Russia e Cina, Vladimir Putin e Xi Jinping.
Era già il secondo quest’anno, ma il primo dall’inizio del conflitto ucraino.
La SCO
include paesi con diverse tradizioni civili e culturali e modelli di sviluppo
nazionale, ha ricordato Putin.
Ma i
“principi di uguaglianza e mutuo vantaggio, rispetto della reciproca sovranità”
adottati dalla SCO hanno permesso di trasformarla in un “efficace meccanismo di
cooperazione multilaterale” in un breve periodo storico, ha osservato il
presidente.
A fine
anno possiamo aspettarci un fatturato record dell’interscambio tra i due paesi,
ha affermato il leader russo. In precedenza, Mosca e Pechino si sono date il
compito di portare questa cifra a 200 miliardi di dollari, e questo obiettivo
sarà presto raggiunto.
Putin
ha anche ringraziato il leader cinese per la sua “posizione equilibrata” sulla
situazione intorno all’Ucraina.
“I tentativi di creare un mondo
unipolare hanno
recentemente acquisito una forma assolutamente brutta”, ha detto Putin in
un’intervista con il leader cinese, aggiungendo che tali tentativi sono
inaccettabili per la stragrande maggioranza degli stati del pianeta.
Xi
Jinping ha risposto che il mondo sta affrontando “tremendi cambiamenti inauditi
nella storia”.
Allo
stesso tempo, “siamo pronti, insieme ai nostri colleghi russi, a dare l’esempio di una
potenza mondiale responsabile e a svolgere un ruolo di primo piano, per portare
un mondo in così rapido cambiamento su una traiettoria di sviluppo sostenibile
e positivo”, la TASS lo ha citato nel suo intervento.
Il
leader della RPC ha anche invitato la Russia a rafforzare il coordinamento non
solo all’interno della SCO, ma anche in altre sedi – la Conferenza
sull’interazione e sulle misure di rafforzamento della fiducia in Asia (CICA),
BRICS, oltre a difendere congiuntamente gli interessi dei paesi in via di
sviluppo.
Ad
ottobre si terrà il 20° Congresso del Partito Comunista Cinese – e a questo
proposito Putin ha augurato a Xi “un ulteriore successo nell’attuazione
dell’ambizioso piano per lo sviluppo dinamico della nazione cinese”.
Al
termine dell’incontro trilaterale ufficiale con il leader della Mongolia, Putin
e Xi si sono alzati in piedi. I due leader, inoltre, non hanno fatto ricorso
alle restrizioni anti-COVID: hanno parlato a distanza ravvicinata, senza
mascherine.
Alla
fine della prima giornata del vertice, l’addetto stampa di Putin, Dmitry
Peskov, ha assicurato che la SCO non intende diventare un’alternativa alle
organizzazioni militari e politiche occidentali:
questa
è “l’amicizia per il bene di qualcosa, e non contro qualcuno”. Tuttavia, prima
che Putin e Xi avessero il tempo di parlare, il fatto stesso della loro
conversazione era già stato condannato a Washington.
“Il
mondo intero deve resistere alle azioni della Russia in Ucraina e ora non è il
momento di fare affari con Putin come al solito”, ha detto John Kirby,
coordinatore per le comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza
nazionale della Casa Bianca, parlando dell’incontro a Samarcanda. “Non crediamo
che nessuno debba rimanere in disparte”, lo cita RBC.
Giovedì
scorso, il vicedirettore aggiunto dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo
sviluppo internazionale (USAID) Anjali Kaur, ha affermato che l’obiettivo di
Washington in Asia centrale dovrebbe essere quello di “disaccoppiare” la
regione dall’economia russa, riferisce RIA Novosti. Ha affermato che la
situazione in Ucraina e le sanzioni contro la Russia in particolare “hanno
colpito rotte commerciali, sistemi finanziari, rimesse… da milioni di migranti
che vivevano in Russia”.
Giovedì
scorso, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, ha
reagito alla dichiarazione di Kaur: “Il caro sogno di Washington è quello
di rompere tutti i legami di integrazione nello spazio post-sovietico. E
nell’Unione Europea hanno già abbastanza successo in questo”, ha detto al
quotidiano VZGLYAD.
Il
piano di “sganciare” sta fallendo, così come qualsiasi tentativo di “isolare la
Russia” in generale – questo è diventato evidente dopo il primo giorno del
vertice, afferma Alexei Maslov, direttore dell’Istituto di studi asiatici e
africani, presso l’Università statale di Mosca.
“I
membri della SCO, inclusa la Russia, stanno lanciando progetti transfrontalieri
su larga scala e stanno anche discutendo la questione degli insediamenti in valute
nazionali, sulla base dell’esperienza dei sistemi russo e cinese. A giudicare
dal primo giorno del vertice, molti membri della SCO sono interessati a
questo”, ha affermato l’analista.
Tuttavia,
il nostro Paese avrà molto tempo per dimostrare il suo riorientamento verso
l’Asia, ha sottolineato il politologo. “Per molto tempo tutti hanno
percepito la Russia come uno stato più gravitante verso l’Europa, mentre la SCO
è ancora un’organizzazione rivolta all’Asia, e ora al Medio Oriente. Un altro
paese europeo, la Bielorussia, ha finora lo status di partner del dialogo. Ora
la Russia sta gradualmente cambiando la sua idea di sé stessa come un paese del
‘mondo occidentale’ “.
“Ogni
anno cresce il ruolo di Mosca nella risoluzione delle questioni asiatiche e
l’incontro di Samarcanda è un altro contributo a questo processo”, ha precisato
l’interlocutore. Maslov ha aggiunto: “La Russia sta diventando sempre più
integrata economicamente in Asia: stiamo parlando della crescita dei flussi di
merci e materie prime, ma anche di politica e più precisamente di questioni di
sicurezza”.
In
generale, per una maggiore integrazione, i paesi SCO devono stabilire la
possibilità di trasferimento tecnologico, ne è certo l’esperto.
“La
Cina è diventata un leader tecnologico, l’India è molto indietro,
l’organizzazione ha bisogno di mettersi al passo con altri paesi. E poi la
maggior parte dei problemi della SCO sarà risolta”, ha detto Maslov.Gli eventi degni di nota di giovedì
includevano anche la firma di un memorandum d’impegno da parte dell’Iran
nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, aprendo la strada a
Teheran per diventare un membro dell’organizzazione. Secondo Putin, la Russia è molto
soddisfatta dell’adesione della Repubblica islamica alla SCO. Oltre
all’incontro con il leader della Rifondazione, Putin ha incontrato anche il suo
omologo iraniano, Ebrahim Raisi. Il discorso, in particolare, si è rivolto alle
trattative con l’Occidente sull’” accordo sul nucleare”, sottolineando che
Teheran non sarà mai la prima a lasciare il tavolo delle trattative, ma gli
Stati Uniti, secondo lui, sono incapaci di negoziare e “violano tutti gli
obblighi”.
“L’ingresso
dell’Iran nella SCO non creerà un pregiudizio a favore dei paesi musulmani”, ha
spiegato Maslov.
Lo SCO
è strutturato in modo tale che l’organizzazione eviti di concentrarsi su
problemi particolarmente acuti. Pertanto, include anche paesi che non si
piacciono, ad esempio India e Pakistan. Nessun campo verrà creato all’interno
dell’organizzazione, nessun paese utilizzerà l’appartenenza per risolvere
problemi personali senza riguardo per gli interessi degli altri.
(Luciano
Lago - ideeazione.com/il-vertice-di-samarcanda-segna-il-fallimento-del-progetto-americano-di-isolamento-della-russia/)
Sanzioni:
Mosca resiste,
per
quanto?
Ispionline.it-
Lorenzo Borga – (02 settembre 2022) – ci dice:
“Le
sanzioni servono a mantenere alta la pressione sulla Russia a cedere e
accettare un negoziato” secondo il segretario di Stato Usa Antony Blinken.
“L’obiettivo delle sanzioni è spingere la Russia a
terminare la guerra, ritirare i propri soldati e sedere a un tavolo negoziale”,
per Olaf Scholz, cancelliere tedesco.
Per
determinare l’efficacia di ogni politica evidentemente è necessario prima
comprendere quale ne fosse l’obiettivo, per valutare se sia stato raggiunto o
meno.
Dalle
parole dei leader, solo due esempi fra molti, sembra dunque che il fine “si
limiti”, necessariamente tra virgolette, a spingere Mosca ad accettare un
compromesso, e non a un cambio di regime politico che in aprile era stato
paventato dal presidente Biden e che – con gli occhi di oggi – appare un
obiettivo decisamente fuori portata per le forze occidentali.
Previsioni
di crisi ridimensionate.
Le
previsioni macroeconomiche mostrano che le aspettative sulle sanzioni sono
state ridimensionate.
Ad
aprile la banca centrale russa stimava un calo del Pil del Paese tra l’8 e il
10%per l’anno in corso, dovuto soprattutto alla carenza di componenti e
all’esclusione da gran parte delle catene del valore globali, almeno quelle
controllate da Paesi occidentali.
Uno
stravolgimento rispetto alle previsioni pre-guerra che, sempre secondo la banca
centrale, avrebbero dovuto portare la Russia a crescere tra il 2 e il 4%.
Ma solo tre mesi dopo, a luglio, le stime sono
cambiate nuovamente: Pil in calo tra il 4 e il 6%, un risultato ancora negativo
ma decisamente migliore rispetto alle prime stime.
Lo
stesso si può dire per i numeri riportati dal Fondo Monetario Internazionale,
che tra ottobre 2021, aprile 2022 e luglio 2022 mostrano un trend parallelo.
L’economia
russa si è dunque mostrata più resiliente di fronte alle sanzioni senza
precedenti imposte dai Paesi occidentali, che hanno colpito il settore
finanziario, manifatturiero, bancario ed energetico.
La
strategia di Mosca si basa sostanzialmente sugli ingenti flussi di denaro che
continuano a entrare nelle casse delle aziende russe grazie alle esportazioni
energetiche.
Gazprom
ha da poco annunciato risultati record nei primi sei mesi dell’anno, con ben
quasi 42 miliardi di profitti: un risultato maggiore dell’intero 2021 che
garantirà al governo un sostanzioso dividendo.
Secondo
Reuters il Ministero dell’Economia russo avrebbe stimato che le vendite di
prodotti energetici frutteranno il 38% in più quest’anno rispetto a quello
scorso, grazie all’inarrestabile flusso di petrolio – comprato a man bassa da
India e Cina a prezzi scontati, ma anche da alcuni Paesi europei mediterranei,
Italia inclusa – e al fortissimo rialzo del prezzo del gas naturale.
In
Russia entreranno così quasi 340 miliardi di dollari, una somma paragonabile
all’ammontare di riserve monetarie bloccate dalle sanzioni occidentali.
Si
tratta di flussi finanziari in entrata nel Paese, che hanno un ruolo primario
per il sostegno dell’economia, della bilancia dei pagamenti e dunque della
valuta.
Il rublo ha infatti battuto ogni previsione.
Ci si attendeva che come, ogni Paese che perde
l’accesso ai mercati finanziari globali e a metà delle proprie riserve
monetarie, la valuta avrebbe sofferto e si sarebbe innescata una fuga di
capitali.
Il
cambio ufficiale della valuta russa invece dall’inizio della guerra si è
rivalutato del 25% nei confronti del dollaro (dopo, per un periodo, essersi
svalutato quasi del 100%).
Un
risultato raggiunto grazie alle sapienti mosse della banca centrale russa
guidata dall’economista Elvira Nabiullina, che ha rialzato bruscamente i tassi
di interesse, messo sotto controllo i movimenti di capitale e disegnato lo
schema di pagamento del gas in rubli.
Le
difficoltà russe a venire e il nodo petrolio.
Certo,
i problemi economici per Mosca non sono certo finiti. La stessa banca centrale
stima che la Russia rimarrà in recessione anche nel 2023, con un calo del Pil
tra il -1 e il -4%.
“Le
aziende stanno ancora riscontrando difficoltà nella produzione e nella
logistica” per la mancanza di componenti e la perdita dei fornitori
occidentali, scriveva Nabiullina a luglio.
Sul
fronte dei microchip, della produzione automobilistica (la più importante del
Paese ma sostanzialmente bloccata dalle sanzioni), della componentistica
aero-spaziale la Russia si sta trovando in grave difficoltà.
Secondo uno studio molto citato di alcuni
ricercatori dell’Università di Yale, le importazioni in Russia si sarebbero
sostanzialmente dimezzate a causa delle sanzioni, facendo venire a mancare
prodotti e componenti essenziali per l’economia (o aumentandone i costi).
Ma è
anche vero – stando a un sondaggio pubblicato dalla banca centrale – che la
maggior parte delle aziende russe avrebbe già trovato un’alternativa ai
fornitori occidentali. La resilienza dell’economia russa – soprattutto della sua manifattura
– andrà testata sul campo e nel tempo. A oggi i fatti dimostrano che
l’obiettivo di impedire alla Russia di continuare la sua guerra di aggressione
non è stato raggiunto.
Ma un duro colpo potrebbe essere inferto in inverno,
quando l’Unione Europea chiuderà progressivamente una delle più importanti
falle attualmente in essere nelle sanzioni: il petrolio.
Il 5
dicembre scatterà l’embargo del greggio trasportato via mare, mentre due mesi
più tardi i Paesi europei diranno addio anche ai prodotti raffinati russi.
Vale a
dire il più importante prodotto per Mosca, in termini di volumi di export. E allora sì che la storia potrebbe
cambiare.
Sanzioni
alla Russia, il Vietnam
dell’Unione
europea.
Ilmanifesto.it
– Fabrizio Tonello – (2 settembre 2022) – ci dice:
GAS E
PETROLIO. Occorre capire per tempo quando le guerre non si possono vincere e
cercare di evitare danni maggiori: le restrizioni economiche ai russi che
danneggiano solo chi le impone, la corruzione alimentata a Kiev, la propaganda
di guerra che impedisce la pace.
Uscire
da una guerra è più difficile che entrarci, si sa. Lo scoprì a proprie spese il
presidente Lyndon Johnson quando l’offensiva vietnamita del gennaio 1968 mostrò
a tutti gli americani che il loro governo mentiva quando parlava di «luce in
fondo al tunnel».
La
guerra non si poteva vincere e, in marzo, Johnson rinunciò a presentarsi per un
secondo mandato. L’eredità del disastro toccò a Richard Nixon, eletto nel
novembre successivo.
ANCHE
NIXON mentiva, ovviamente. Fu eletto millantando di avere un piano segreto per
porre fine alla guerra, piano che non esisteva.
L’unica
soluzione, ventimila morti dopo, fu quella di contrattare con i vietnamiti ciò
che Henry Kissinger chiamava un «decente intervallo» fra il ritiro delle truppe
americane e il crollo del regime fantoccio sudvietnamita.
I
marines se ne andarono nel 1973 e il 25 aprile 1975 la riunificazione del paese
di Ho Chi Minh era compiuta.
Come
scrive l’Economist, la lezione che chiunque abbia letto un libro di storia
dovrebbe trarre dal caso Vietnam (poi ripetuto in Afghanistan) è che occorre
capire per tempo quando le guerre non si possono vincere e cercare di evitare
danni maggiori.
Nel
caso dell’Unione europea non ci sono giovani polacchi, tedeschi e italiani sul
fronte ucraino ma che la guerra delle sanzioni sia stata persa è evidente a
tutti, anche se lo dice soltanto il settimanale inglese.
Ursula
von der Leyen è un ex ministro della difesa tedesco che queste cose dovrebbe
saperle.
L’INVASIONE
RUSSA iniziata il 24 febbraio ha avuto come risposta uno tsunami di retorica,
insieme a una valanga di armi e denaro inviati a Kiev.
Lo
strumento principale, le “sanzioni durissime” contro Putin, i suoi collaboratori e perfino le
sue presunte fidanzate all’estero aveva però una debolezza fondamentale: l’Europa ha più bisogno del gas russo
di quanto la Russia abbia bisogno della nostra valuta pregiata.
Il
motivo è molto semplice: i governi di tre quarti della popolazione mondiale non
aderiscono alle sanzioni e sono ben contenti di comprare il gas di Mosca, a
cominciare da Cina e India che, insieme, hanno tre miliardi di abitanti.
Non
solo: i
meccanismi speculativi del mercato energetico fanno sì che il prezzo del gas
sia andato alle stelle nelle ultime settimane e quindi la Russia guadagna di
più pur vendendo di meno.
In
realtà il problema non sono i forzieri della Banca centrale russa ma
l’interdipendenza fra le economie, quella cosa da tutti magnificata per 40 anni
e soprannominata “globalizzazione”.
INTERDIPENDENZA
significa che Germania e Italia, per esempio, possono essere la prima e la
seconda potenza industriale europea grazie al basso prezzo di indispensabili
materie prime come gas e petrolio, fornite appunto dalla Russia.
Da
Brema a Sassuolo è pieno di impianti che divorano energia: alluminio, vetro,
piastrelle. Fabbriche che ai prezzi attuali possono soltanto chiudere, o comunque
fermarsi in attesa di tempi migliori.
Interdipendenza
significa anche garantire ai lavoratori e alle loro famiglie una casa tiepida
d’inverno e una doccia calda settimanale a un prezzo ragionevole.
Se
invece le bollette superano la metà dello stipendio medio può succedere di
tutto (i
prezzi del riscaldamento e della benzina sono oggi l’equivalente di quello che
era il prezzo del pane ai tempi di Renzo e Lucia, o di Maria Antonietta regina
di Francia, se preferite).
Naturalmente
i governi fingono di fare qualcosa, dal cercare nuovi fornitori nel mondo al
chiedere ai cittadini di mettersi la maglietta di lana in casa per tutto
l’inverno.
La
difficoltà con i produttori è che non sempre sono disponibili già dal prossimo
ottobre: potremo
sì comprare gas liquefatto dagli Stati Uniti (a qualsiasi prezzo) ma per usarlo
occorreranno rigassificatori che non si sa bene dove ormeggiare, a meno di non
mandare la brigata Folgore a presidiare Piombino e Ravenna.
Quindi
abbiamo perso: sarebbe saggio prenderne atto e chiedere conto ai responsabili delle
loro scelte: la Commissione europea, il governo italiano, i governi degli altri 26
membri dell’Unione.
L’ALTERNATIVA
è seguire ancora per mesi o anni un alleato ingombrante come Zelensky,
marginalmente forse meno corrotto del presidente sudvietnamita Van Thieu o di
quello afghano Karzai.
Sì,
perché un’altra cosa che tutti i governi europei fingono di non sapere è che le
guerre costano: in vite umane, in danni all’economia ma anche in corruzione. Corruzione su una scala impensabile
in tempo di pace perché i conflitti mobilitano somme enormi e, soprattutto,
mettono a tacere chi osa avanzare dei dubbi.
I
sudvietnamiti l’altro ieri, gli afghani ieri e in parte gli ucraini oggi
rivendono volentieri le armi che ricevono gratis.
E non
bisogna dimenticare che gli alleati in prima linea possono e vogliono manipolare l’opinione
pubblica dei loro protettori, impedendo qualsiasi ragionamento razionale,
qualsiasi trattativa diplomatica, qualsiasi iniziativa di pace.
Così
l’Ucraina ha liberato
in
pochi giorni più territorio
di
quello conquistato dalla Russia in 5 mesi.
24plus.ilsole24ore.com
– Redazione Lab 24 – (13 settembre 2022) – ci dice:
Quasi
tutta la regione di Kharkiv è tornata in mano all'Ucraina, compreso
l'importante snodo ferroviario di Kupiansk. E soprattutto è di nuovo Ucraina
Izium, uno dei centri più fortificati del fronte russo. E ora?
Giovedì
Zelensky ha annunciato che l'ammontare di territorio liberato dagli ucraini da
inizio settembre era pari a 1.000 km². Per poi alzare il tiro a 2.000 km² lo
scorso sabato. E a 6.000 km² nel consueto messaggio serale di ieri. Kiev sta
avanzando velocemente, dimostrando di saper vincere anche in campo aperto. In
meno di una settimana ha ripreso più territorio di quello che le forze russe
hanno catturato in tutte le loro operazioni da aprile.
IL
TERRITORIO RICONQUISTATO DALL’UCRAINA NELL’ULTIMA SETTIMANA.
Quasi
tutta la regione di Kharkiv è tornata in mano all'Ucraina, compreso
l'importante snodo ferroviario di Kupiansk. E soprattutto è di nuovo ucraina Izium, uno dei centri più fortificati del
fronte russo, con 10mila soldati a sua protezione, nonché quartier generale per
l’offensiva nel Donbass. La cui conquista, obiettivo primario per Mosca, viene
così messa in stand-by.
LA
CONTROFFENSIVA A CHARKIV.
Si
tratta della sconfitta più grave per i russi dal fallimento nel conquistare
Kiev. Non a caso il ritiro è stato raccontato da Mosca allo stesso modo di
quello dalla capitale ucraina: mossa strategica per rafforzarsi a Sud.
Ma
anche a Sud dove tutti, Cremlino compreso, si aspettavano la principale
controffensiva di Kiev, l'esercito russo è arretrato di 500 km². Tanto da
costringere i filorussi a rinviare, per motivi di sicurezza, il referendum per
l'annessione di Kherson.
È però
presto per cantare vittoria. Ogni conflitto ha le sue fasi. Questa è
sicuramente favorevole all'Ucraina che può ora pensare di muovere verso Lysichansk e Severodonetsk (che la Russia aveva strappato solo
dopo mesi di duri combattimenti). O rafforzare la controffensiva a Kherson. O persino aprire un altro fronte
nella regione di Zaporizhia. Ambizioni da controbilanciare con il rischio di allungare eccessivamente
le proprie linee, esponendosi a nuove offensive russe.
Anche
perché Mosca potrebbe presto reagire schierando il Terzo Corpo: circa 15 mila
soldati con in dotazione equipaggiamenti relativamente più moderni.
Se le
prospettive sul campo di battaglia restano incerte, i segnali che arrivano
dalla diplomazia e dall'opinione pubblica russa sono più facilmente leggibili: nonostante i successi di Kiev, un
accordo di pace o la caduta di Putin non sono più vicini.
La
Russia detiene ancora un quinto di territorio ucraino, e Zelensky ha ancora
ieri ripetuto che i negoziati avverranno solo dopo la competa liberazione del
Paese
. Così
come, sempre ieri, il Cremlino ha dichiarato che non esiste nessuna prospettiva
di negoziati. Non una sorpresa: Mosca non vuole certo sedersi ai tavoli delle trattative
in una posizione negoziale indebolita. Soprattutto ora che l'opinione
pubblica russa inizia a dare più forti segnali di malcontento sull'andamento
del conflitto.
La
débâcle di questi giorni ha suscitato l’indignazione dei blogger militari e dei
commentatori patriottici russi. Due voci rilevanti nel panorama russo, Ramzan Kadyrov,
il leader ceceno, e Sergej Mironov, politologo da sempre vicino al Cremlino,
hanno criticato pubblicamente il Ministero della Difesa e parlato di errori
commessi in questa fase di guerra.
La
loro rabbia è però rivolta quasi esclusivamente all’alto comando militare
russo. Ad eccezione di un gruppo di sette consiglieri comunali di San
Pietroburgo che ha chiesto che Putin venga accusato di tradimento. Probabile quindi che la sostituzione
dei vertici militari, che già sta avvenendo in queste ore, sia sufficiente per
placare gli animi.
Mentre
la popolarità di Putin non sembra per ora essere stata intaccata: alle elezioni
regionali degli scorsi giorni, tutti i candidati nominati dal suo partito
Russia Unita, o quelli fedeli al Cremlino, sono stati eletti governatori.
19
luglio 2022- Nuove sanzioni alla Russia? Cosa dice la bilancia commerciale e il
ruolo della Cina.
Nuove
sanzioni all'orizzonte. I ministri degli Esteri e gli ambasciatori dell'Ue hanno
discusso l'ultima serie di misure proposte dalla Commissione per danneggiare
l'economia russa. Non un vero e proprio settimo pacchetto di sanzioni visto
che, a differenza dei sei precedenti, mancano provvedimenti di primo grido.
I
tentativi di trovare un accordo globale su un tetto al prezzo del petrolio sono
infatti naufragati. E la proposta di un divieto all'importazioni di oro da
Mosca è per lo più simbolica: il commercio di lingotti russi è già stato
prosciugato dalle restrizioni esistenti. Di conseguenza, si punta a un
rafforzamento delle attuali sanzioni per colmare quelle lacune che hanno
permesso a Mosca di avere una posizione commerciale con il resto del mondo
quanto mai positiva.
SALDO
DELLE PARTITE CORRENTI DELLA RUSSIA.
Da
febbraio 2022 ad oggi, è mediamente pari a 24 miliardi di dollari il saldo
delle partite correnti della Russia, dato dalla somma tra bilancia commerciale
(esportazioni meno importazioni di beni), quella dei servizi e dei
trasferimenti unilaterali.
Nel
secondo trimestre, ha superato gli 80 miliardi di dollari come non accadeva da
trent'anni.
Il
picco si è toccato ad aprile, quando l'avanzo è stato di 37 miliardi. Dopo la
discesa di maggio, in concomitanza di prezzi del gas sotto quota 100 euro per
megawattora, il saldo è nuovamente raddoppiato a giugno. Un rialzo inusuale:
negli ultimi dieci anni, la media delle partite correnti nel mese di giugno è
stata infatti negativa (-1 miliardo). Solitamente, la domanda europea di
gas russo per il riscaldamento calava con l'arrivo della bella stagione.
Nel
2022, il surplus ha invece raggiunto i 28 miliardi di dollari. Dietro questo trend c'è l'aumento
del valore delle esportazioni energetiche russe, i cui prezzi alle stelle più
che compensano il calo delle loro forniture da parte di Mosca. Lo si vede bene per il petrolio: +700
milioni di dollari a giugno rispetto a maggio, nonostante minori esportazioni
pari a 250mila barili al giorno. E discorso affine si può fare per il gas. Ma
contribuisce a gonfiare il dato sul saldo delle partite correnti anche il
crollo delle importazioni russe dovuto alle sanzioni, quantificabile secondo la
Banca Mondiale in un -35% annuo.
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE TRA CINA E RUSSIA.
Queste
dinamiche sono ancor più evidenti quando si considera l'interscambio
commerciale tra Cina e Russia.
Complessivamente,
nei quattro mesi dall'inizio della guerra, le importazioni cinesi di beni russi
(per lo più petrolio) sono aumentate del 56% rispetto allo stesso periodo del
2021.
Al
contrario, le esportazioni da Pechino a Mosca si sono ridotte del 15%. Pesa su questo dato la minaccia
degli Stati Uniti di privare la Cina della tecnologia americana qualora dovesse
soccorrere l'economia di Mosca. Una minaccia credibile, come dimostrato il mese
scorso, quando il Dipartimento del Commercio americano ha aggiunto cinque
aziende elettroniche cinesi a una lista nera commerciale, per il loro presunto
aiuto all’industria della difesa russa.
Ma
andando nel dettaglio dei singoli prodotti, sembra che Pechino riesca comunque
ad aggirare, almeno in parte, le sanzioni. Secondo i dati delle dogane cinesi,
rispetto al 2021, nei primi cinque mesi del 2022 le spedizioni di chip dalla
Cina alla Russia sono più che raddoppiate. Mentre sono aumentate di 400 volte
quelle di ossido di alluminio (utilizzato per produrre alluminio) fondamentale
per l'industria militare russa.
Ecco perché rafforzare le sanzioni vigenti
potrebbe comunque non bastare se non si indebolirà il legame commerciale
sino-russo.
13
luglio - Aiuti finanziari all'Ucraina: dalla Ue il primo miliardo, ma gli altri
8 sono fermi.
I
ministri dell'Economia e delle Finanze dell'Unione europea hanno ieri approvato
un prestito all'Ucraina da un miliardo di euro. L'importo rappresenta la prima
tranche erogata del pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 9 miliardi di
euro annunciato a maggio dalla Commissione.
Fondi
da raccogliere emettendo sul mercato debito comune garantito dagli Stati
europei, da elargire poi a Kiev sotto forma di prestito rimborsabile dopo 25
anni e senza interessi.
I
leader Ue avevano pienamente appoggiato la proposta più di un mese fa. Ora che si fa sentire sulle economie
europee il peso della crisi energetica e dell'inflazione, arrivano però i primi
ripensamenti, in particolare della Germania. Berlino giustifica la sua opposizione
sostenendo che i prestiti aumentano i problemi di sostenibilità del debito
dell'Ucraina.
Ma,
essendo la Germania la principale garante degli Eurobond, la sua opposizione
sembra in realtà più giustificata da una scarsa propensione a una nuova
emissione di debito comune europeo.
Non a
caso l'erogazione del primo miliardo è stata possibile solo perché coperta dal
bilancio pluriennale europeo e non da debito europeo. Di conseguenza, i
rimanenti 8 miliardi di euro restano bloccati fino a tempo indeterminato.
Con il
vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis che sottolinea come le
discussioni sulle garanzie supplementari siano ancora in corso.
AIUTI
FINANZIARI ALL’UCRAINA.
Sostegni
di bilancio promessi ed erogati, in miliardi di euro, e quota erogata su totale
promesso .
Servono
5 miliardi di euro al mese per colmare il deficit di bilancio dell’Ucraina e
scongiurare una crisi finanziaria nel Paese. Ma a detta del ministro delle
Finanze ucraino, ad aprile Kiev ha ricevuto 1,6 miliardi, a maggio 1,5, a
giugno 4,4.
Fino a
fine giugno (senza quindi considerare il miliardo accordato ieri dall'Ue),
paesi alleati e organizzazioni internazionali avevano erogato 7,5 miliardi di
euro.
A
fronte di una richiesta da parte dell'Ucraina di 15 miliardi di euro e di
promesse di aiuti finanziari per 31 miliardi. In particolare, sono Stati Uniti e
istituzioni europee ad aver annunciato la maggior parte del sostegno
finanziario: rispettivamente 8 e 12 miliardi di euro.
Ma ad
oggi hanno erogato solo l'11 e il 24% di quanto promesso. La situazione è però
in continua evoluzione.
Ieri
c'è stato infatti un annuncio anche dagli USA in questo senso: verseranno altri
1,7 miliardi di dollari in aiuti economici all'Ucraina, parte del pacchetto da
7,5 miliardi promesso a maggio. Resta però da verificare, alla luce dei dati
sopra presentati, quando effettivamente avverrà tale erogazione.
Le
necessità economiche di Kiev non si fermano all'emergenza immediata. C'è una ricostruzione da iniziare il
prima possibile, già pianificata nonostante la guerra sia ancora in corso.
Nella
conferenza per la ricostruzione dell'Ucraina, tenutasi nelle scorse settimane,
42 paesi hanno firmato un piano da 850 progetti, su un arco di dieci anni
(2023-2032), dal valore di oltre 750 miliardi di dollari. Una cifra che fa
impallidire il piano Marshall che costò 12,5 miliardi di dollari dell’epoca,
corrispondenti a 450 miliardi odierni. La speranza è che non ci si fermerà solo
alle promesse.
1°
luglio - La presenza di forze militari americane in Europa torna sui livelli
post 11 settembre.
“La minaccia più significativa e
diretta alla sicurezza dei Paesi membri della NATO”.
Con
queste parole, l'Alleanza atlantica ha etichettato la Russia nel suo nuovo
Concetto Strategico (il documento di indirizzo e definizione dell'intera
postura della NATO per il prossimo decennio), redatto al Summit di Madrid degli
scorsi giorni. Una inversione a U rispetto al contenuto del precedente Concetto
Strategico, risalente al 2010, in cui si leggeva di Mosca come un “partner
strategico” parte di un’area euro-atlantica in pace, “in cui la minaccia di un
attacco convenzionale contro il territorio della NATO era bassa”.
Al
cambiamento dei toni nei confronti della Russia è anche corrisposta la decisione
di rafforzare la presenza militare della NATO in Europa.
La sua “forza di risposta rapida”, che già
dopo l'invasione russa della Crimea era stata aumentata da 13mila a 40mila
uomini, ammonterà ora a 300mila uomini.
Parallelamente,
anche gli Stati Uniti hanno annunciato una nuova mobilitazione militare nel
Vecchio Continente.
13
settembre 2022.
DISPIEGAMENTO
MILITARE AMERICANO IN EUROPA.
Numero
di soldati americani stanziati per paese, a giugno 2022 - Fonte: U.S. European
Command.
Il
baricentro della presenza militare americana in Europa è e resterà posizionato
in Germania, che ad oggi ospita circa il 40% delle truppe americane stanziate
in Europa.
Ma, nonostante l'arrivo a Berlino di altri 625
soldati, gli USA sembrano essere orientati verso una riduzione del peso
strategico delle basi americane tedesche, a favore di una maggiore presenza
militare lungo i confini con la Russia e la Bielorussia.
Una
squadriglia di caccia, batterie di missili Patriot e parti di una brigata di
incursori americani saranno infatti spostati dalla Germania verso
rispettivamente Lituania, Romania e Polonia. Proprio la Polonia, dove
dall'inizio della guerra il numero di soldati americani stanziati è passato da
3 a 10mila, ospiterà un quartier generale permanente per il 5° corpo d'armata
americano.
Una
svolta storica: è la prima volta che truppe americane sono dislocate in modo
permanente in un membro NATO un tempo sotto la dominazione sovietica.
Non
finisce qua. Washington posizionerà anche una propria brigata da 5000 uomini in
Romania, in aggiunta ai 2300 già presenti nel Paese. Che diventerà così il
quinto in Europa per numero di soldati americani ospitati.
E
anche l'Italia, che attualmente ospita circa 13mila soldati americani, sarà
coinvolta in questi spostamenti strategici.
Da una
parte, riceverà infatti una batteria di difesa aerea a corto raggio (circa 70
soldati per lo più destinati alla base area di Aviano). Dall'altra, un reparto
di fanteria aviotrasportata, attualmente stanziato nel nostro Paese, sarà
dirottato verso la Lettonia.
TREND
DISPIEGAMENTO MILITARE AMERICANO IN EUROPA.
Numero
di soldati americani stanziati in Europa per anno - Fonte: The Conversation.
Fino
allo scorso anno, si contavano in Europa 63mila soldati americani stanziati
permanentemente e 15mila parte di reparti schierati a rotazione.
Con
l'inizio della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno dispiegato nel Vecchio
Continente altri 20mila militari.
Alla
luce di questi nuovi annunci, la presenza militare americana in Europa supererà
ora la soglia attuale dei 100mila soldati. Non accadeva dai primi anni 2000,
in concomitanza con la mobilitazione conseguente all’11 settembre.
Certo,
siamo ancora lontani dal picco di 430mila del 1957, in piena guerra fredda.
O dai
180mila post crollo dell'Unione Sovietica. Ma è evidente come, per usare le
parole di Biden, “Putin voleva la finlandizzazione dell’Europa, ma sta
ottenendo la sua NATOizzazione” (e americanizzazione).
24
giugno 2022 - Gas russo tra tagli e stoccaggi: quali sono i paesi europei più a
rischio.
“Siamo
in una crisi del gas” che “è ormai merce rara in Germania”. Queste le parole
pronunciate ieri dal Ministro tedesco dell'Economia Robert Habeck,
nell'annunciare il passaggio del piano di emergenza nazionale sul gas dal
livello di allerta a quello di allarme. Per il momento non ci saranno
razionamenti, che si attiverebbero solo con la successiva e ultima fase, quella
di emergenza.
Ma il
governo organizzerà delle aste in cui i grandi consumatori industriali
riceveranno denaro se rinunceranno ai loro contratti di fornitura di gas.
E
verranno riattivate per due anni, fino a 10 gigawatt di centrali elettriche a
carbone inattive. Aumentando così la dipendenza tedesca da questa fonte di energia di
circa un terzo.
Presto
altri paesi europei potrebbero seguire la strada imboccata dalla Germania. Mosca
sta infatti progressivamente chiudendo i rubinetti di gas verso l'Europa. Uno
stop totale sembra sempre più probabile tanto che l’Agenzia Internazionale
dell'Energia ha detto agli Stati europei di prepararsi a questo scenario.
FLUSSO
DI GAS RUSSO VERSO L’UE.
Milioni
di metri cubi di gas russo importati dall’Ue per settimana - Fonte: Bruegel.
Solo
nell'ultimo mese i flussi di gas russo verso l'Europa si sono ridotti del 38%.
Sono
ora un terzo rispetto ai livelli di un anno fa. E sono minori della metà del
precedente valore minimo registrato a giugno tra il 2015 e 2020. Ancora ieri,
il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha però ribadito che le forniture di
gas sono temporaneamente ridotte a causa di problemi di manutenzione dei
gasdotti e che la Russia è un fornitore di energia molto affidabile, che
adempie rigorosamente a tutti i suoi obblighi.
Ma
nelle cancellerie europee l'opinione ormai unanime è che i tagli alle forniture
siano parte di una precisa strategia del Cremlino volta ad evitare che l’Europa
riempia i suoi stoccaggi di gas in vista del prossimo inverno.
Così
che, alle prese con conseguenti forti perdite economiche e politiche, i governi del Vecchio Continente
siano costretti a diminuire il loro supporto all'Ucraina.
STATO
DEGLI STOCCAGGI DI GAS IN EUROPA.
% di
riempimento degli stoccaggi nazionali - Fonte: AGSI.
Ad
oggi, gli stoccaggi dei 27 Stati membri sono complessivamente pieni al 55%.
Un
dato migliore rispetto alla media del 53% degli ultimi cinque anni. Che però
nasconde forti differenze tra i singoli paesi. Si va dal 99% del Portogallo al 27%
della Croazia, passando dal 58% della Germania che nonostante lo stato di
allarme, è comunque superiore alla media europea.
L'obiettivo
concordato dai legislatori europei è il raggiungimento di un livello minimo
obbligatorio dell'80% entro il primo novembre.
Ma
alle condizioni attuali più di un paese non raggiungerà questo target. In
Italia, ad esempio, ogni giorno dell'ultimo mese lo stoccaggio è aumentato
mediamente di 0,28 punti percentuali. A fronte del ritmo attuale,
servirebbero 156 giorni per raggiungere il target comunitario. Contro i 130
giorni che mancano al primo novembre: siamo in ritardo di quasi un mese.Insomma, in pochi Stati membri
possono escludere un passaggio al livello di allarme come fatto in Germania.
22
giugno 2022- Aiuti militari all’Ucraina, chi sostiene di più Kiev tra i paesi
occidentali.
11 ore
di riunione. Tante sono state necessarie alla maggioranza tra lunedì e martedì
per trovare la quadra sulla risoluzione approvata martedì dal Senato dopo le
comunicazioni di Draghi sul Consiglio europeo. Il nodo della discordia dietro questa
riunione fiume? Il potenziale nuovo invio di armi all'Ucraina.
Nonostante
le richieste di parte dei 5 Stelle di sottoporre al voto parlamentare qualsiasi
decisione su nuovi pacchetti di aiuti militari a Kiev, alla fine si è ribadito
che il sostegno all'Ucraina continuerà ad avvenire secondo il mandato che il
Parlamento ha concesso a fine marzo all'esecutivo. Che autorizza eventuali nuovi invii
di armi fino al 31 dicembre senza richiedere ulteriori passaggi parlamentari.
Tutto invariato quindi.
Ma il
dibattito italiano è un ulteriore esempio delle sempre più diverse sensibilità
tra gli alleati nel continuare il sostengo militare all'Ucraina. Differenze che
si vedono anche nelle dimensioni e tempistiche di tale supporto.
AIUTI
MILITARI ALL’UCRAINA PER PAESE.
Aiuti
militari stanziati in miliardi di euro, in % del PIL, e loro quota (%) già
consegnata - Fonte: Kiel Institute for the World Economy.
Dall'inizio
della guerra, i paesi NATO e i loro alleati hanno stanziato 35 miliardi di euro
in aiuti militari per l'Ucraina.
Un
terzo di questo ammontare è rappresentato da invii diretti di armi e
equipaggiamento militare. Mentre il rimanente consiste in fondi che l'Ucraina può
utilizzare per comprare a sua volta le armi che desidera. Guardando al dettaglio dei singoli
paesi risulta evidente la differenza di supporto tra le due sponde
dell'Atlantico.
Nonostante
sia una guerra europea, gli Stati Uniti hanno finora stanziato per i bisogni
dell'esercito ucraino 24 miliardi di euro, contro i 7 messi a disposizione dai
paesi e le istituzioni europee. Anche dentro il fronte europeo si può riscontrare un'ulteriore
frattura. Prendendo in considerazione gli stanziamenti in percentuale del PIL,
gli Stati dell'Est Europa dominano la classifica. Mentre bisogna scendere alla
tredicesima e quattordicesima posizione per poter trovare Germania e Francia. Ancora più in basso l'Italia il cui
supporto militare a Kiev è proporzionalmente 30 volte inferiore a quello
dell'Estonia.
Esiste
poi una terza crepa tra quanto promesso e quanto effettivamente consegnato. Se Polonia, Francia e Italia hanno
già dato all'Ucraina tutto quanto promesso, diverso è il caso degli USA che
finora hanno fornito solo il 48% dell'assistenza militare annunciata. E ancora peggio fa la Germania dove poco più di un
terzo degli impegni presi è stato per ora rispettato.
Non a
caso il governo tedesco ha deciso di pubblicare sul suo sito ufficiale la lista
degli armamenti che la Germania ha fornito o fornirà all'Ucraina: un tentativo
di porre fine alle ripetute accuse (anche provenienti da Kiev) di non aver
finora dato abbastanza supporto militare. Infine un'ultima discrepanza emerge
tra quanto richiesto dall'Ucraina e quanto effettivamente fornito.
Zelensky
ha chiesto 60 sistemi lanciarazzi multipli Himars, che secondo Kiev, potrebbero
cambiare le sorti del conflitto. Ma finora ne sono stati consegnati 3 dal Regno
Unito e 4 dagli USA che pur ne hanno 363 nei propri depositi militari.
9
giugno 2022 - La corsa contro il tempo prima che il grano ucraino venga perduto.
La
crisi del grano non si sblocca. Si è concluso con un nulla di fatto l'incontro
di mercoledì ad Ankara tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il
suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, per la creazione di corridoi sicuri per il
trasporto del grano ucraino da Odessa. Nonostante le parti si siano ripromesse
di organizzare ulteriori negoziati, restano ancorate alle loro posizioni.
La
Russia continua a condizionare l'approvazione di qualsiasi accordo alla
rimozione delle sanzioni occidentali che più o meno direttamente colpiscono le
sue esportazioni di grano. Mentre l'Ucraina si rifiuta di sminare o comunicare
l'esatta ubicazione delle mine nel mare di Odessa, non avendo ricevuto adeguate
garanzie che qualsiasi percorso sicuro così creato non venga usato dalla Russia
per organizzare attacchi contro la città. Ma almeno Kiev ha aperto alla
possibilità che la marina turca scorti i 68 cargo mercantili ora bloccati nei
porti ucraini fino a condurli in acque internazionali e da lì verso i porti del
Mediterraneo.
Non
c'è accordo nemmeno sui tempi di rimozione delle mine. Secondo la Turchia
cinque settimane sarebbero sufficienti per sminare completamente le acque di
Odessa. Ma ieri il vice ministro dell’Agricoltura ucraino ha parlato di
tempistiche di sei mesi.
In
ogni caso, non sembra esserci tutto questo tempo a disposizione. Secondo il
vicesindaco di Odessa, per accogliere i 19 milioni di tonnellate di grano
ottenute dai raccolti di quest'anno, entro una ventina di giorni si dovrà
liberare spazio nei silos ora occupati dai 20 milioni di tonnellate di grano
tenuto bloccato. Altrimenti il nuovo raccolto marcirà nel giro di poche
settimane.
IL
PESO DI UCRAINA E RUSSIA NEL MERCATO DEI CEREALI.
Quota
(%) dell’export o della produzione mondiale per tipologia di prodotto - Fonte:
OWID.
l’Ucraina
prima della guerra produceva il 3,7% del grano di tutto il mondo. Una percentuale ora scesa al 2,1%,
in virtù di un raccolto del 40% inferiore a quelli pre-bellici.
Ma pur
tenendo in considerazione questo calo, l'Ucraina resta al sesto posto tra gli
esportatori mondiali di grano.
Prendendo
in considerazione anche gli altri cereali, di cui Kiev è tra i principali
fornitori al mondo, complessivamente le esportazioni alimentari dell’Ucraina
forniscono le calorie necessarie a sfamare 400 milioni di persone.
Con alcuni
paesi, come Libia, Uganda o Libano che si troverebbero privati di circa il 40%
delle proprie forniture domestiche di grano. Proprio quando, a causa di forti
carestie in tutto il mondo, per la prima volta in quattro anni la produzione
mondiale di grano è prevista in diminuzione.
I
PAESI PIÙ DIPENDENTI DAL GRANO UCRAINO E RUSSO.
Quota
(%) della fornitura domestica di grano rappresentata dalle importazioni
dall’Ucraina e/o dalla Russia - Fonte: OWID.
Ecco
perché evitare che il grano ucraino vada perduto è sempre più in cima
all'agenda internazionale. La sua esportazione tramite il trasporto via strada e anche
quello ferroviario (che impone di cambiare treni alla frontiera dato che le
rotaie ucraine non si armonizzano con quelle europee) non garantisce un
traffico di volumi compatibili con l'emergenza in corso.
Mentre
l'offerta fatta da Putin, di utilizzare i porti ucraini in mano russa di
Mariupol e Berdiansk, rimane piena di incognite e al momento poco apprezzata da
Kiev e alleati per non legittimare un ruolo del Cremlino come risolutore di una
crisi che non ammette di aver causato (oggi Lavrov ha dichiarato che “la crisi
alimentare non ha origine da questa guerra”). Tutte le speranze sono quindi
riposte sul corridoio di Odessa.
1°
giugno - Petrolio, cosa cambierà dopo il ban per i paesi Ue e per la Russia.
Embargo
del petrolio russo via mare con inizio fra 6 mesi e dei prodotti raffinati
russi a partire dal 2023. Questa la misura principale del sesto pacchetto di sanzioni
europee contro la Russia, il cui testo definitivo dovrebbe essere approvato
nelle prossime ore dagli ambasciatori dell’Unione Europea. Per poi diventare ufficiale una volta
ricevuto l'ok dei leader dei 27 paesi membri.
Per
strappare il sì dei paesi più riluttanti si è concesso di escludere
temporaneamente (manca da definire una scadenza più precisa) dall'embargo il
greggio russo importato attraverso l'oleodotto Druzhba.
Che
serve sei paesi europei: Austria, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca,
Polonia e Germania. Tuttavia, Germania e Polonia hanno già annunciato che
comunque interromperanno entro l'anno le loro importazioni dalla Russia di
greggio via oleodotto (che rappresentano l’80% del loro import di petrolio da
Mosca).
Alla
luce di questa decisione, entro la fine del 2022, l'89% del greggio russo
importato dall’Ue sarà sottoposto all’embargo.
COMPOSIZIONE
DELLE IMPORTAZIONI DI GREGGIO RUSSO SOTTOPOSTE A EMBARGO.
Quota
(%) del totale di importazioni europee di greggio russo, distinte per tipologia
di trasporto e paese - Fonte: Eurostat.
Rimarrà
fuori solo la quota dell'11% riconducibile ai tre paesi (la percentuale
relativa all'Austria è prossima allo 0%) serviti dal ramo meridionale di
Druzhba: Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.
A
questi Stati membri sarà vietato rivendere il greggio ad altre nazioni. E
potranno contare su misure di emergenza, come la possibilità di effettuare
acquisti di petrolio sottoposto a sanzioni nel caso in cui le loro forniture
esentate dovessero interrompersi.
Nonostante
il ban non sia quindi totale e immediato costringerà la Russia a una non facile
ricerca di nuovi importatori per sostituire i 2,4 milioni di barili di greggio
al giorno che ha venduto all'Ue nel 2021 (su un totale di 4,7 milioni di barili
esportati da Mosca).
Al
momento non ci sono le infrastrutture per riorientare completamente le
esportazioni di petrolio dall’Europa all'Asia ma il flusso di petrolio russo
verso l'Asia è comunque salito del 50% da inizio 2022.
Si
parla però di numeri ancora inferiori a quelli europei: a maggio la Cina ha
aumentato le proprie importazioni di greggio russo di 0,3 milioni di barili al
giorno rispetto alla media del 2021.
L’India
di 0,8 milioni da inizio anno. E tali vendite avvengono comunque a un prezzo scontato
di circa 30 dollari in meno al barile rispetto al benchmark internazionale.
Secondo
le stime di Bloomberg, le perdite annue russe dovrebbero quindi essere
nell'ordine dei 22 miliardi di dollari; di cui 10 per l'embargo delle forniture
di petrolio via mare, e altri 12 a causa della sospensione delle importazioni
da parte di Germania e Polonia.
Ma
anche per l'Ue questo embargo comporterà maggiori costi. Bisognerà infatti sostituire
l'import di 2,16 milioni di barili di greggio russo al giorno con altrettanti
barili di Brent, il cui prezzo è, come già menzionato, di 30 dollari superiore.
Ovvero 65
milioni di dollari al giorno di spesa aggiuntiva, che si traducono in 2
miliardi di dollari al mese.
30
maggio 2022 - Truppe russe entrate a Severodonetsk. Mosca si fermerà alla
conquista del Donbass?
Le
forze russe sono entrate a Severodonetsk. Secondo quanto riferito dal
governatore ucraino del Luhansk, soldati russi starebbero avanzando verso il
centro della città, colpita negli ultimi giorni da una pioggia di fino a 200
colpi di artiglieria pesante all'ora. Tre gli assi lungo cui la Russia sta
portando il suo attacco contro Severodonetsk: dai territori conquistati a est
della città stessa, da sud di Izium, dove finora la resistenza ucraina ha
retto, ma anche da nord di Popasna, recentemente conquistata.
CITTÀ
DELL’EST E VIE DI RIFORNIMENTO SOTTO ATTACCO.
Fonte:
Institute for the Study of War.
La
presa di Mosca su questa parte di Donbass sta diventando sempre più stretta.
Come è più evidente l'isolamento dei combattenti ucraini qui impegnati. La via
di rifornimento chiave da Bakhmut a Lysychansk è stata infatti messa fuori uso
dall’artiglieria russa. Mosca ha anche preso Lyman, una piccola città distante
solo 20km da Slovyansk, che stando alla dichiarazione dello Stato maggiore
ucraino, sarà presto oggetto di un attacco russo su larga scala.
Trattandosi
di un fondamentale nodo di trasporto e di approvvigionamento per l'Ucraina
orientale, qualora anche questa città dovesse cadere, a Severodonetsk e
Lysychansk resterebbe una sola strada di rifornimento, via Siversk, rendendo
ancor più complicata la loro difesa. Che rappresenta l'ultimo ostacolo tra i
russi e la conquista completa dell'oblast di Luhansk.
L’INVASIONE
RUSSA DEL DONBASS.
Fonte:
Institute for the Study of War.
Nell'ultima
settimana, i combattimenti hanno raggiunto la massima intensità ad est con
attacchi contro 40 città ucraine. Le truppe russe sono avanzate più che
nell'ultimo mese e mezzo, da quando Mosca ha cambiato strategia per
concentrarsi sull’Ucraina orientale. La cui “liberazione”, come dichiarato oggi
dal Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, è una “priorità incondizionata”
per la Russia.
Il
dubbio è se Mosca si fermerà alla conquista del Donbass. Prima della guerra, la
Russia occupava circa il 7% del territorio ucraino. Una percentuale ora più che
raddoppiata e che supererebbe il 20% con la conquista del Donbass. Abbastanza
per rivendicare una vittoria in questa guerra. Ma forse non abbastanza rispetto
ai piani originali russi di conquista dell'intero territorio ucraino.
Ecco
perché, a due settimane dal ritiro delle forze russe stanziate nella regione,
missili russi sono tornati a colpire Kharkiv: quasi a ricordare che le
ambizioni russe non sono confinate al solo Donbass. D'altronde, i principali esponenti
russi, tra cui il Segretario del Consiglio di Sicurezza, hanno chiarito di non
essere a caccia di scadenze ma di essere pronti a una guerra prolungata.
In
questo senso si può anche leggere l'entrata in vigore della nuova legge per la
rimozione del tetto massimo di età (prima fissato a 40 anni) per il servizio
militare in Russia. Di fronte a questo scenario, sono tornate a essere
insistenti le richieste di armi da parte di Kiev agli alleati.
In
particolare, in cima alla lista dei desideri ucraini ci sono le armi a lungo
raggio con una gittata massima di circa 300 km (contro quella di 25 km degli
obici finora ricevuti).
Ma
Biden ha poche ore fa dichiarato che gli Usa non invieranno all'Ucraina sistemi
missilistici con una gittata tale da raggiungere il territorio russo. Non la
notizia che Kiev sperava di ricevere per ribaltare la situazione nel Luhansk.
Von
der Leyen: "Sanzioni alla Russia fino a gennaio 2023"
e stop
al suo oro.
Agi.it-Redazione-
(15 luglio 2022) – ci dice:
La
Commissione ha rafforzato il pacchetto. "Mosca deve pagare un prezzo alto
per l'aggressione".
L'Ue
rafforza le sanzioni contro Mosca, stop all'import di oro.
AGI -
“La brutale guerra della Russia contro l'Ucraina continua senza sosta.
Pertanto, proponiamo oggi di rafforzare le nostre pesanti sanzioni dell'Ue
contro il Cremlino, applicarle in modo più efficace ed estenderle fino a
gennaio 2023. Mosca deve continuare a pagare un prezzo alto per la sua
aggressione", lo afferma la presidente della Commissione europea, Ursula
von der Leyen.
La Commissione europea ha introdotto in particolare il
divieto di importazione dell'oro russo, e rafforzando nel contempo i controlli
sull'esportazioni europee delle tecnologie a duplice uso.
Il
nuovo pacchetto ribadisce inoltre che le sanzioni dell'Ue non colpiscono in
alcun modo il commercio di prodotti agricoli tra Paesi terzi e la Russia. Allo
stesso modo, il testo chiarisce l'esatta portata di alcune sanzioni finanziarie
ed economiche.
Infine,
si propone di prorogare di sei mesi le attuali sanzioni fino alla prossima
revisione alla fine di gennaio 2023.
Il
pacchetto sarà ora discusso dagli Stati membri in sede di Consiglio in vista
della sua adozione.
“Le
sanzioni dell'Ue sono dure e colpiscono forte. Continuiamo a prendere di mira
coloro che sono vicini a Putin e al Cremlino.
Il pacchetto di oggi riflette il nostro
approccio coordinato con i partner internazionali, compreso il G7.
Oltre
a queste misure, presenterò anche proposte al Consiglio per aggiungere nella
black-list più persone ed entità".
Lo
afferma l'Alto rappresentante dell'Ue per la Politica estera, Josep Borrell,
commentando il rafforzamento del pacchetto di sanzioni di Bruxelles contro
Mosca.
Meloni:
Dio,
Patria, Famiglia.
Manifesto
che attraversa i secoli.
Lanuovapadania.it
– Redazione – (3 agosto 2022) – ci dice:
“La
sinistra si vorrebbe arrogare il diritto di stabilire quale sia il progresso e
quale la direzione nella quale devono andare i cambiamenti.
Un
conservatore non è contrario ai cambiamenti in sé.
È
contrario alla visione della sinistra secondo la quale progredire vuol dire
cancellare tutto ciò da cui proveniamo”.
In un
colloquio con il Corriere della Sera, Giorgia Meloni spiega così la sua visione
della destra, spiegando di sentirsi “erede” di “una tradizione, una cultura,
un’identità e un’appartenenza”.
E aggiunge: “Dio, Patria e famiglia non è uno
slogan politico ma il più bel manifesto d’amore che attraversa i secoli.
Affonda le sue radici nel ‘pro Aris et Focis’ di Cicerone: ‘l’altare e il focolare’ che da sempre fondano la civiltà
occidentale”.
Quanto
all’allarme per il ritorno del fascismo, “la sinistra cerca di scappare dalle
sue responsabilità accusando gli altri di cose assurde. Questa abitudine della
sinistra di tornare a parlare di fascismo e antifascismo in campagna elettorale
credo abbia stancato gli italiani, sia di centrodestra che di centrosinistra”.
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