ATLANTISTI o MASOCHISTI.

 ATLANTISTI o MASOCHISTI.

 

Sanzioni alla Russia, i dubbi

dell’Economist: siamo atlantisti

o masochisti?

Nicolaporro.it – Corrado Ocone – (28 Agosto 2022) – ci dice:

 

Pure il giornale della City si pone dubbi e domande sugli effetti delle sanzioni a Mosca.

Are sanctions working?

A chiederselo, a porre l’interrogativo, non è qualche più o meno occulto filo-putiniano di casa nostra, né Matteo Salvini, ma nientemeno che, con uno strillo di copertina, l’Economist, il giornale della City, la voce per antonomasia dell’establishment economico-politico globale.

Secondo il settimanale, non solo l’economia russa si è dimostrata molto più resiliente, come si dice ora, della nostra, ma, a sei mesi dall’invasione dell’Ucraina, può dirsi che essa si sia stabilizzata.

 

E ciò proprio mentre l’Occidente è in balia di una crisi dei prezzi energetici, in particolare di quello del gas, che presto si riverserà su altri prodotti generando inflazione e in prospettiva anche la recessione.

A fronte di un calo stimato del pil del 15%, che avrebbe dovuto mettere in ginocchio l’economia russa e tendenzialmente creare tensioni sociali tali da mettere ko lo stesso Putin, il ribasso previsto per l’anno in corso è solo del 6%.

 Come è nello stile del settimanale inglese, ogni affermazione è corroborata da date e tabelle, in quello che è un vero e proprio report di questo ennesimo fallimento previsionale dei tecnici al servizio dei nostri governi.

 E, ovviamente e soprattutto, dei politici che non solo li hanno seguiti pedissequamente, con una sorta di sudditanza psicologica che andrebbe a sua volta studiata, ma che attorno alle loro errate previsioni hanno costruito una retorica trionfalistica e autocompiaciuta che non tollerava discussioni, distinguo, ragionamenti che andassero troppo per il sottile.

Ogni dubbio veniva automaticamente bollato come connivenza col nemico, come un modo di favorirlo casomai perché a suo libro paga.

La sinistra nostrana, come al solito, ha sguazzato alla grande in questo polpettone mainstream e in questo dispositivo retorico, usandoli entrambi contro le destre e oscurando sistematicamente (attraverso i mezzi di comunicazione che sono sotto il suo controllo) le voci che osavano porsi gli stessi interrogativi che oggi si pone l’Economist.

Ciò che però andrebbe sottolineato e stigmatizzato con forza, anche perché rappresenta una costante del modo di fare della sinistra, è la confusione di piani e l’inquinamento del dibattito che se ne è fatto scaturire (con una destra, va detto, spesso non all’altezza e quindi incapace di articolare una risposta convincente).

I piani da tenere doverosamente distinti, e che distinti non sono stati tenuti, erano due:

quello della fedeltà atlantica e occidentale, che non poteva assolutamente essere messa in dubbio, e quindi della presa di distanza netta dalla politica imperialistica russa e in genere dai regimi autocratici;

quello delle politiche concrete da attuare per arginare queste autocrazie e per dare una risposta efficace e sostenibile alla unilaterale e ingiustificabile invasione russa dell’Ucraina.

Ove il secondo punto, al contrario del primo e con le dovute accortezze, non poteva non essere oggetto di dibattito pubblico e politico, come è naturale che sia in democrazia.

Quale elemento più del dibattito e il conflitto sulle policies è in effetti l’elemento che caratterizza le democrazie e le distingue dalle autocrazie?

Certo, nella risposta che poi da questo dibattito sarebbe scaturita bisognava che fossero commisurate tante esigenze, compresa quella, altamente simbolica, di non mandare un messaggio sbagliato a Mosca.

E quella, certo di non minore importanza, di agire di concerto in ultima istanza con le altre democrazie e con la Nato.

 Ma anche in questo caso, una cosa è non agire unilateralmente in base a masochistici colpi di testa e un’altra non portare un proprio contributo al dibattito e adeguarsi supinamente, come è solito fare la sinistra, alle decisioni prese altrove senza tener conto minimamente del nostro interesse nazionale.

Un misto di provincialismo e servilismo che certo non fa bene alla nostra reputazione. Non ci meraviglieremo se da domani, qualora le cancellerie occidentali facessero tesoro delle critiche dell’Economist e quindi cambiassero strategia, la sinistra aderisse senza autocritica alla nuova strategia.

E, come se nulla fosse, trovasse altri motivi per dare addosso e screditare l’altra parte politica. Che, a ben vedere, è il principale scopo di tutto il suo operare.

(Corrado Ocone, 28 agosto 2022)

 

 

 

Gli alleati fanno affari, noi soffriamo.

Non è ATLANTISMO bensì masochismo. 

Laverita.info- Maurizio Belpietro- (2 ottobre 2022) -ci dice:

Ci siamo imbarcati in una guerra senza calcolare gli effetti e senza esigere che chi combatterà al nostro fianco non ci sparasse nella schiena.

La sola soluzione: negoziare con gli “amici” per limitare i danni.

(…) Lo zar del Cremlino non aveva ben chiaro che cosa si sarebbe scatenato contro di lui e contro il suo Paese. Non soltanto in termini di reazione militare, ma soprattutto di sanzioni. E qui non pensiamo al blocco dei capitali depositato all’estero o al sequestro dei beni degli oligarchi, quanto piuttosto all’embargo delle importazioni. La macchina militare di Mosca è stata colpita al cuore oltre che dalla disorganizzazione dell’esercito, anche dalla mancanza di approvvigionamenti e, soprattutto di ricambi.

Privati di certi componenti, carri armati, radar, puntatori notturni aerei diventano strumenti bellici senza cervello e dunque vincere una guerra non disponendo di mezzi sempre più tecnologici è impossibile, anche se si hanno il doppio o il triplo degli uomini dell’avversario.  

Ma se Putin non ha valutato le conseguenze dell’entrata in guerra, altrettanto abbiamo fatto noi. O meglio, l’Europa.

Perché l’Italia e i suoi alleati della UE e della Nato sono in guerra, questo è certo. Anche se fingiamo che non ci riguardi direttamente, se non per esprimere solidarietà, economica e militare, verso un Paese aggredito, noi siamo in guerra e quando l’abbiamo dichiarata – perché l’abbiamo dichiarata – come risposta all’invasione dell’Ucraina non abbiamo valutato le conseguenze. Che a oggi non sono militari, perché il conflitto si svolge a qualche migliaio di chilometri da noi e speriamo che si concluda prima che possa estendersi, ma economiche e già toccano il nostro portafoglio.

Settimane fa avevamo pubblicato un articolo per segnalare che mentre le famiglie e le imprese di mezza Europa stavano facendo i conti con i rincari, qualche Paese godeva e non era la Russia di Putin, che certo poteva gioire delle nostre difficoltà, visto che il gas e petrolio sono l’unica arma non convenzionale nelle mani dello zar del Cremlino.

No, a festeggiare erano Stati che giocano al nostro fianco, che sono cioè nostri alleati, come gli Stati Uniti, il Canada, l’Olanda e la Norvegia. Tutti Paesi che fanno parte dell’Alleanza atlantica e l’Olanda addirittura della Ue.

Ma mentre noi soffriamo, i nostri “amici”, quelli che al pari di noi sono schierati a favore dell’Ucraina e contro la Russia, fanno affari. Infatti, più il prezzo del gas sale a causa della guerra, più loro incassano, essendo venditori di metano.

Come ricordavamo ieri, Oslo sta registrando un utile mai visto prima e il fondo sovrano in cui finiscono gli introiti trabocca di liquidità che viene investita comprendo azioni di tutto il mondo, con il risultato che la Norvegia già possiede il 3 % delle società quotate a livello globale e, ai prezzi attuali, cioè dopo i tracolli dovuti alla crisi e alla guerra, provvederà certamente a comprare altri titoli e per di più al ribasso.

Ora, nessuno dice che non sia giusto difendere gli ucraini e fermare l’arroganza russa, però, siccome le guerre non si combattono solo con i fucili, ma come abbiamo visto pure con le sanzioni chi si picca di guidare un Paese o, addirittura, una comunità di Paesi, forse avrebbe dovuto pensare che alle misure contro la Russia, Putin avrebbe reagito con delle contromisure.

E quali provvedimenti avrebbe potuto varare contro l’Occidente se non una riduzione delle forniture di gas da cui dipende la maggior parte dei Paesi europei? 

Lo zar russo sapeva che chiudendo il rubinetto del metano avrebbe messo in ginocchio l’economia del vecchio continente, e come ne era a conoscenza lui non potevano non esserlo i cervelloni di Bruxelles. I quali però sono andati avanti sostenendo l’Ucraina senza se e senza ma, non badando alle conseguenze.

Un signore che se ne intende, ossia Paolo Scaroni, che prima di guidare il Milan è stato amministratore delegato dell’Enel e dell’Eni e dunque in materia di energia sa il fatto suo, dice che prima di varare le sanzioni avremmo dovuto parlare con i nostri alleati che producono gas, ovvero Usa, Canada, Olanda e Norvegia, e pretendere non che pagassero le nostre spese, ma per lo meno non lucrassero sui nostri guai.

Invece no, ci siamo imbarcati in una guerra senza calcolare gli effetti e senza esigere che chi combatteva al nostro fianco per lo meno non ci sparasse nella schiena.

Scaroni prevede che sarà lunga e dura, perché sostituisce miliardi di metri cubi di metano russo, soprattutto ora che i gasdotti sono saltati, non sarà né facile né immediato. Dunque gli europei, ma a noi interessano soprattutto gli italiani, dovranno rassegnarsi a fare i conti con le bollette alle stelle e con una crisi energetica. Dovremo consumare di meno, ma ridurre i consumi elettrici significa ridurre la produzione e quindi rischiamo di fare come il cane che si mangia la coda. Scaroni prevede che il tetto al prezzo del gas non ci sarà, ma questo noi lo diciamo da mesi e forse con qualche ragione.

In compenso ci sarà la Germania che ci farà concorrenza con un prezzo dell’energia più basso del nostro.

Quindi se non siamo masochisti e non vogliamo prenderlo in saccoccia, c’è solo una soluzione: negoziare con i nostri cosiddetti “alleati” per limitare i danni.    

                                                                     

               

 

Una parola atlantista da Salvini

Ilgiornale.it- Marco Gervasoni- (24 Luglio 2022) – ci dice:

 

Al di là degli argomenti della campagna elettorale, senza l'atlantismo non si governa un paese occidentale, soprattutto dopo il 24 febbraio.

Agenda Draghi contro Agenda Putin.

Benché di queste agende non se ne possa già più, neanche fossimo in cartoleria, la formula di Enrico Letta non è completamente veritiera, anche se è efficace.

Non è veritiera, o meglio è incompleta, perché nel campo largo, che il Pd non ha ancora escluso e in Sicilia ad esempio è ben in vita, a essere ultra putiniani sono i 5 stelle.

 Basti vedere la loro stampa e i loro intellettuali di complemento, poi cosa hanno fatto per bloccare l'invio delle armi a Kiev, mentre Petrocelli è stato espulso solo poche settimane fa.

 Però, si diceva, è una formula efficace, perché, agli occhi dell'establishment straniero e di una parte dell'opinione pubblica italiana, il tasso di filo putinismo sarebbe prevalente a destra.

 O, in ogni caso, è questo campo ad essere favorito, quindi è giusto che le preoccupazioni insorgano. Fondate, non tanto nei confronti di Berlusconi e di Meloni, quanto di Salvini e della Lega.

La maglietta di Putin e le uscite pro Cremlino saranno utilizzate a iosa contro di loro: ed è ovvio che sia cosi, tanto più che, persino dopo l'invasione, non sono mancate vistose ambiguità, come il pasticcio del mancato viaggio a Mosca o gli elogi di Salvini agli intellettuali putinisti da talk show.

Se vogliono privare gli avversari di un argomento, Salvini, ma anche gli altri partiti del centro destra, dovrebbero dichiarare che seguiranno la medesima linea di Draghi, manterranno un legame molto stretto con Washington, saranno affidabili partner della Nato, e non mancheranno di inviare armi, e tutto ciò che occorre, a Kiev.

In altre parole, non saranno tentati da imitare Orban che, a parole, condanna l'invasione, ma di fatto è un cavallo di Troia di Putin entro la Ue - il suo ministro degli esteri è stato accolto, due giorni fa, unico di un paese Ue, a baci e abbracci metaforici a Mosca.

 E questa presa di distanza da Orban riguarda anche Fratelli d'Italia. Al di là degli argomenti della campagna elettorale, senza l'atlantismo non si governa un paese occidentale, soprattutto dopo il 24 febbraio - una data cesura, di cui non tutti nel centro destra hanno ancora compreso la portata.

E atlantismo vuol dire soprattutto rapporti con gli Usa. A Washington governano i dem, ma Salvini e Meloni, quei non moltissimi contatti, li hanno con i repubblicani di Trump. Cioè di un ex presidente che, lo vediamo in questi giorni, sembra essere stato un quasi golpista inconsapevole.

Anche qui ci pare necessaria una presa di distanza critica, oltre che da Orban, pure da Trump. Sempre che qualcuno non conti su una sua rielezione, nel qual caso, più che di atlantismo, ci troveremmo di fronte a un caso di masochismo.

 

 

 

L’Europa punta sull'energia nucleare:

come guadagnarci?

 Investire.bz - Luca Discacciati – (21 mar 2022) – ci dice:

L'energia nucleare è energia pulita? Con la crisi energetica e il possibile ritorno delle centrali in Europa, emergono nuove opportunità, ecco quali.

L’economia per funzionare ha bisogno di energia elettrica, ma non tutte quelle prodotte hanno lo stesso impatto ambientale. Nel 2020, si stima che circa il 37% dell’elettricità prodotta nel mondo era originata da centrali a carbone, una percentuale pressoché invariata dal 1980 (fonte: IAEA).

Bruciare carbone e petrolio crea CO2, un gas serra che contribuisce al riscaldamento globale.

 Questo è il motivo per cui, negli ultimi anni, gli Stati (in particolare quelli europei), hanno puntato molto sul passaggio alle fonti rinnovabili, meno inquinanti per produrre elettricità, con l’obiettivo di raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonio entro il 2050.

La pandemia prima e le tensioni tra Russia e Ucraina dopo, ci hanno però messo davanti a una cruda realtà: l’energia da fonti rinnovabili non basta. Qual è quindi la soluzione? Ma soprattutto, in cosa questa transizione può rappresentare un’opportunità di investimento?

Siamo ancora dipendenti dai combustibili fossili.

Lo scoppio della guerra in Ucraina ha scoperchiato il vaso di Pandora delle fonti energetiche. Dopo anni in cui gli Stati di tutto il mondo hanno accelerato verso una transizione alle energie rinnovabili, ci siamo accorti di essere (ancora) estremamente dipendente dai combustibili fossili. Con l’imposizione delle sanzioni economiche alla Russia da parte dell’Europa, anche l’Italia si è trovata a dover fare i conti con una possibile crisi energetica.

È stato il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, nell'informativa alla Camera sul conflitto tra Russia e Ucraina a dire che " Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell'immediato". Dopo anni di transizione ecologica è necessario riattivare uno dei metodi di creazione di energia tra i più impattati a livello ambientale.

I contro delle energie rinnovabili.

Purtroppo, le energie rinnovabili come l’eolico o il solare hanno diverse criticità per produrre energia.

Sono discontinue: il sole non sempre splende e non sempre tira vento. Si stima che un impianto solare sia attivo in media il 24,50% del tempo e un impianto eolico il 34,80%, contro il 56,80% di un impianto alimentato a gas naturale o addirittura il 93,50% per una centrale nucleare (fonte: US Department Of Energy - Capacity Factor by Energy Source 2019).

Essendo discontinue, le energie rinnovabili vanno accumulate per poi utilizzarle quando serve. Il problema è che ad oggi i sistemi di accumulo sono estremamente cari e poco efficienti;

Le energie rinnovabili hanno una bassa densità energetica. In poche parole, per produrre la stessa quantità di energia, serve molto più spazio da ricoprire con pannelli fotovoltaici o generatori eolici piuttosto che quello che servirebbe per una centrale a carbone.

Questo determina che, per produrre 1TWh di elettricità da pannelli solari, servono oltre 4.000 tonnellate di cemento, circa 8.000 tonnellate di acciaio, 850 tonnellate di rame, 680 tonnellate di alluminio e 2700 tonnellate di vetro (fonte: US Department Of Energy, Quadrennial Technology Review 2015).

 Se davvero si vogliono rispettare gli accordi di Parigi del 2015, bisogna fare qualcosa di diverso, ma cosa?

In verità la soluzione c’è, ed è l’energia nucleare.

Il nucleare come scelta ambientale.

Sebbene possa sollevare criticità in termini di sicurezza, l'energia nucleare rappresenta al giorno d’oggi una delle fonti di produzione elettrica:

più stabili; a minor impatto in termini di CO2 equivalente; tra le più economiche da produrre in termini di materiali.

 Sono tanti gli esperti che, recentemente, hanno proposto l’energia nucleare come soluzione al global warming. Uno su tutti è Bill Gates: il magnate dell’informatica, uno degli uomini più ricchi del mondo, ci ha addirittura scritto un libro.

Alla Commissione Europea lo sanno: non possiamo pensare di sostenere l’economia solamente con le fonti di energia rinnovabili.

È stato Thierry Breton, uno dei responsabili per la Commissione Europea della Transizione Ecologica a dire durante un'intervista per Bloomberg che il Green Deal non sarà possibile senza energia nucleare.

Pensate che la Commissione Europea ha proposto di inserire il nucleare tra le energie verdi: una proposta che ha fatto molto discutere ma che sembra l’unica soluzione al raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni che l’Europa vuole raggiungere entro il 2050.

Quella di andare verso il nucleare non è solo una scelta ambientale: ricordiamoci che al momento in Europa viene prodotto solamente il 39% dell’energia consumata ed il restante 61% viene importata da Stati non membri, tra cui la Russia.

È palese che l’Europa voglia tutelare sé stessa rendendosi un po’ più autonoma dal punto di vista energetico rispetto a quanto non lo sia ora. L’incremento del prezzo di gas e petrolio in seguito agli scontri in Ucraina non ha fatto altro che rendere più convenienti le alternative ai combustibili fossili.

Come guadagnare dal ritorno dell'energia nucleare in Europa.

A questo punto è assolutamente probabile un ritorno al nucleare nel medio lungo termine: come beneficiare di questo trend? La “benzina” delle centrali nucleari è l’uranio, una materia prima che viene utilizzata come combustibile della fissione nucleare.

Come nel 2007 un intensificarsi dei programmi nucleari di India e Cina fecero salire tantissimo il prezzo dell’uranio, molto probabilmente questo ritrovato entusiasmo per le centrali atomiche farà tornare a salire i prezzi.

I prezzi dell'uranio nel tempo.

Prezzi che salgono significano maggiori margini per le aziende coinvolte in questo business, e margini più alti significano prezzi delle azioni che salgono. Se volete investire in questo settore così promettente potete fare stock picking, scegliendo in autonomia le aziende coinvolte nella ricerca e nell’estrazione di uranio, oppure potete affidarvi all'URANIUM MINING ETN, un prodotto finanziario che raggruppa quindici società leader in questo settore. In poche parole, con un solo acquisto, investite in maniera diversificata su queste azioni.

Personalmente ho già messo in portafoglio questo prodotto, che mi permette di investire sì nel settore senza accentrare il rischio su una singola azienda. Soprattutto mi permette di diversificare l’investimento dal punto di vista geografico, visto che al suo interno sono presente aziende dei Paesi sviluppati di tutto il mondo.

 

 

 

 

Investire nell'energia nucleare:

siamo agli albori di una nuova era?

Janushenderson.com - Tal Lomnitzer – (2-3-2022) – ci dice:

 

Il gestore di portafoglio Tal Lomnitzer spiega cosa si intende per energia green ed esplora le sfide e le opportunità legate all'uranio, un tema sempre più rilevante per gli investitori attenti ai principi ESG.

In sintesi.

La Commissione europea ha proposto di classificare l'energia nucleare come attività sostenibile ai sensi dell'atto delegato relativo agli aspetti climatici della tassonomia dell'UE.

Il mercato dell'uranio, che alimenta le centrali nucleari, si è notevolmente contratto; aumenta la domanda di risorse di uranio di alta qualità, di classe mondiale, socialmente ed economicamente sostenibili.

Il nuovo incremento della domanda potrebbe far nascere interessanti opportunità di investimento in società di risorse minerarie responsabili, evidenziando il ruolo che può avere una gestione attiva.

Storicamente, il consumo di carburante è stato limitato, ma l'urbanizzazione crescente ha portato a un aumento dei consumi di carburante, tra cui legno, carbone, coke e cherosene, da parte delle famiglie. Si è passati al gas naturale per il riscaldamento e la cottura, per aumentare il contenuto energetico e ridurre il fumo localizzato negli ambienti interni. Nelle città, grandi aree urbanizzate sono state esposte all'inquinamento dovuto alle centrali elettriche a carbone, ai processi industriali e ai veicoli.

A livello globale, si è consentito che il bilancio totale delle emissioni di gas a effetto serra aumentasse, sostanzialmente senza penali, per un secolo.

Oggi la regolamentazione e gli accordi sui cambiamenti climatici si susseguono a un ritmo più veloce, a fronte delle prove che le emissioni di gas serra antropogeniche, ossia influenzate dall'uomo, stanno portando i sistemi climatici, meteorologici ed ecologici verso o addirittura oltre i limiti della sostenibilità del pianeta.

La decarbonizzazione dell'economia globale è facilitata dalla fornitura di energia elettrica rinnovabile da fonti eoliche, solari e idroelettriche e, per il trasporto stradale, dal passaggio dagli idrocarburi all'energia elettrica delle batterie, con l'obiettivo di eliminare completamente l'inquinamento dovuto alla combustione di carburanti fossili.

Per essere veramente sostenibile, una fonte di energia ideale dovrebbe essere rinnovabile, cioè utilizzabile all'infinito o sostituibile per evitare di esaurire risorse naturali finite e di inquinare l'ambiente.

È ora di riconsiderare l'energia nucleare?

Vista da dietro di una giovane madre che tiene la mano del figlio guardandolo preoccupata, di fronte a un campo di colza in fiore e una centrale nucleare. Alcune piccole turbine eoliche sullo sfondo a sinistra delle due torri di raffreddamento. Utile come simbolo degli interrogativi sul futuro e sull'energia. L'Unione europea sta cercando di raggiungere simultaneamente diversi obiettivi, tra cui la graduale eliminazione del carbone, la neutralità climatica, una minore dipendenza dal gas naturale importato, nonché una maggiore indipendenza e sicurezza energetica.

 La realizzazione di questi obiettivi può essere agevolata inserendo l'energia nucleare nel mix energetico.

 Le recenti turbolenze geopolitiche che circondano la Russia e l'Ucraina hanno ulteriormente aggravato alcuni di questi problemi. Sebbene il gas naturale presenti numerosi vantaggi che gli hanno permesso di sostituire rapidamente il carbone come fonte di energia di transizione, si tratta comunque di un combustibile fossile non rinnovabile che non può essere considerato veramente ecologico né sostenibile di per sé.

L'energia nucleare è considerata dal Global Natural Resources Team come molto più pulita del gas naturale, in quanto non produce gas a effetto serra.

Può essere un'ottima fonte di energia, in grado di assicurare ai paesi una sicurezza energetica affidabile, come è avvenuto storicamente negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Giappone, in Russia e in Corea del Sud.

L'energia nucleare, inoltre, è generalmente prodotta in paesi stabili dal punto di vista geopolitico.

 Le fonti di energia eoliche, solari e idroelettriche sono più pulite del nucleare perché non producono rifiuti nucleari, e sono considerate anche più pulite del gas naturale e del carbone perché non viene emessa anidride carbonica al momento della produzione di elettricità.

Un aspetto problematico, tuttavia, è che queste fonti di energia sono intermittenti, quindi è necessario conservare l'elettricità prodotta e costituire una 'riserva a rotazione' per un funzionamento efficace della rete energetica.

 L'energia nucleare è l'unica riserva a rotazione che non produce gas a effetto serra.

I problemi del nucleare.

I principali ostacoli allo sviluppo dell'energia nucleare sono stati l'economia, la gestione dei rifiuti e la percezione da parte del pubblico. La costruzione e il funzionamento delle centrali nucleari sono complesse.

 La costruzione delle centrali richiede in genere tra cinque e dieci anni, spesso con notevoli ritardi nella consegna e superamenti del budget, e a volte non viene portata a termine o non ottiene i finanziamenti necessari.

Si tratta tuttavia di problemi ingegneristici e di finanziamento, che possono essere risolti se c'è la volontà politica di inserire l'energia nucleare nel mix energetico di un paese.

Si tratta comunque di una forma di produzione energetica tuttora controversa, anche a causa del rischio di produzione di armi nucleari al di fuori della legalità, della lunghissima durata delle scorie nucleari con la conseguente necessità di uno stoccaggio sicuro a lungo termine, dell'economia dei reattori più grandi e dell'impatto ambientale degli incidenti nucleari.

Dopo il terremoto di Tōhoku nel 2011, vicino alla costa orientale del Giappone, i reattori nucleari presenti nell'area si sono spenti come dovuto, ma lo tsunami sopravvenuto poco dopo ha allagato le centrali nucleari e interrotto l'alimentazione delle pompe elettriche provocando l'esplosione di tre reattori.

Dopo il disastro, numerose centrali nucleari giapponesi sono rimaste inattive; l'esperienza del Giappone ha anche provocato effetti a catena altrove, come in Germania dove i reattori sono stati chiusi (determinando di conseguenza un maggior utilizzo dell'energia a carbone).

La Francia rimane invece impegnata nel nucleare, ma dispone di un insieme di reattori nucleari fatiscenti con problemi di manutenzione e sicurezza da gestire.

 

Esistono però soluzioni.

Questi problemi si possono risolvere se invece dell'uranio si sceglie come combustibile nucleare il torio, che non permette di fabbricare armi nucleari.

 La transizione potrebbe richiedere tempo perché la ricerca sul torio è stata scarsamente finanziata ed è quindi probabile che nel prossimo futuro l'attenzione continui a concentrarsi sull'uranio.

 Le unità di piccoli reattori modulari possono contribuire a mitigare i rischi di incidenti e richiedono un capitale iniziale molto più modesto, hanno un minore impatto ed esigenze ridotte in termini di raffreddamento dell'acqua, oltre ad essere progettate con caratteristiche di sicurezza passiva intrinseca che avrebbero evitato incidenti come quelli avvenuti nelle centrali nucleari di Fukushima e Three Miles Island in Pennsylvania. Infine, è possibile aumentare la disponibilità di stoccaggio sicuro per le scorie a lunga vita, che pur essendo pericolose sono relativamente poco ingombranti.

Il punto fondamentale è che in materia di energia ogni soluzione impone compromessi inevitabili.

Un mondo alimentato esclusivamente da energia rinnovabile sarebbe meraviglioso, ma la dura realtà della gestione di una rete elettrica è che per mantenere il sistema stabile è necessaria una 'riserva a rotazione'.

A tale scopo è possibile ricorrere all'accumulo di energia (batterie), all'energia nucleare o a idrogeno o, più probabilmente, a una combinazione di queste soluzioni.

Questo punto di vista sembra guadagnare terreno. Ne è la prova il recente annuncio della Commissione europea, che intende classificare l'energia nucleare come energia sostenibile ai sensi del Regolamento sulla tassonomia, finalizzato entro la fine dell'anno, con l'obiettivo di eliminare il carbone, raggiungere zero emissioni nette di carbonio, ridurre la dipendenza dal gas naturale importato e aumentare l'indipendenza energetica.

La tassonomia europea considera l'intero ciclo di vita dell'impiego di uranio e dello stoccaggio del combustibile esausto, e la Finlandia ha una posizione di primo piano nella generazione di energia nucleare, evidenziata dalla sua lungimiranza e dall'impegno del paese per la costruzione del deposito di combustibile nucleare esausto di Onkalo.

La proposta di classificare il nucleare come energia sostenibile è corredata da alcune condizioni.

Le centrali a gas possono essere considerate verdi se entro il 2035 passano a gas a bassa emissione di carbonio o rinnovabili, come la biomassa o l'idrogeno prodotto con energia rinnovabile.

 Le centrali nucleari, inoltre, devono dimostrare come intendono finanziarsi, gestire e smaltire in sicurezza i rifiuti radioattivi.

Il mercato dell'uranio.

Il mercato dell'uranio si è notevolmente contratto l'anno scorso e la domanda ha superato l'offerta, facendo aumentare i prezzi. Dopo dieci anni di mercato ribassista (prezzi in flessione), c'è stato un impoverimento dell'offerta, accompagnato dalla mancanza di investimenti in nuove forniture minerarie e da una riduzione delle scorte, accelerata dal lancio recente di trust di unità fisiche, simili a quelli osservati per altri metalli.

Il nostro team si interessa principalmente all'esplorazione di risorse di uranio di alta qualità, di livello mondiale, socialmente ed economicamente sostenibili, che possono essere estratte in modo ecologico (idealmente sottoterra, tramite lisciviazione tradizionale o in situ). Queste fonti di uranio sono presenti in un numero relativamente ristretto di paesi, principalmente in Kazakistan e in Canada, e sono essenziali per fornire uranio agli impianti di assemblaggio del combustibile per consentire la generazione di energia nucleare.

Società minerarie responsabili.

Se il ricorso all'energia nucleare si afferma, è improbabile che punti sul torio, dato che le soluzioni basate sull'uranio sono maggiormente sviluppate. Pertanto, i depositi appena scoperti, come quello di NexGen Energy nel bacino sudoccidentale dell'Athabasca nel Saskatchewan, in Canada, saranno assolutamente necessari. Il progetto Rook in quest'area è particolarmente interessante per la sua ubicazione in un ammasso roccioso di alta qualità, che rende possibile l'estrazione sotterranea di grandi dimensioni a basso costo, con i residui (scarti minerari innocui) utilizzati come re-interro, con conseguente impatto superficiale minimo.

Alla luce dell'enfasi crescente sulle considerazioni ambientali, sociali e di governance (ESG), le società di risorse devono a loro volta essere aziende responsabili. NexGen ha cercato di tenere conto delle esigenze dei proprietari di terreni nella sua proposta di sviluppo, con un accordo per lo studio che coinvolge le comunità presenti nell'area del progetto, dimostrando agli investitori il suo impegno per la gestione ambientale, la salute e la sicurezza, il recupero e le relazioni con le comunità locali.

In sintesi.

Alla luce della probabile classificazione dell'energia nucleare come energia sostenibile, potremmo assistere a una nuova impennata della domanda di combustibili come l'uranio e ciò potrebbe creare alcune interessanti opportunità di investimento.

L'aumento della domanda deve essere soddisfatto grazie a un'offerta responsabile. La gestione attiva consente di integrare i fattori ESG nelle decisioni di investimento e nel coinvolgimento degli investitori. L'investimento in partnership con le società focalizzate sugli ESG e la gestione efficace ha senso, poiché le società di risorse minerarie molto attente ai principi ESG tendono ad essere più apprezzate dal mercato a lungo termine.

Note:

 La tassonomia dell'Unione europea è un insieme di norme tecniche riguardanti la classificazione delle attività economiche che possono essere considerate 'sostenibili'. Stabilendo cosa possa essere etichettato come rispettoso dell'ambiente, intende consentire agli investitori attenti alla problematica del clima di prendere decisioni informate.

In base al regolamento sulla tassonomia dell'Unione europea, un'attività economica sostenibile deve:

Contribuire ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali elencati nella tassonomia: (1) mitigazione del cambiamento climatico, (2) adattamento al cambiamento climatico, (3) uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine, (4) transizione verso l'economia circolare, (5) prevenzione e controllo dell'inquinamento e (6) protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

Non produrre impatti negativi su nessun altro obiettivo, nel rispetto dei diritti umani fondamentali e delle norme sul lavoro.

L'elettricità del carico di base si riferisce alla quantità minima di energia elettrica che deve essere fornita dalla rete elettrica in qualsiasi momento dato.

Le riserve a rotazione sono generatrici di energia che in genere sono già in servizio e possono aumentare rapidamente la produzione per soddisfare le variazioni della domanda.

La lisciviazione in situ consiste nel lasciare il minerale grezzo nel terreno, dissolvere i minerali desiderati in una soluzione e pomparla in superficie per poter recuperare i minerali. La superficie subisce quindi alterazioni minime e non vengono generati scarti o residui rocciosi.

L'investimento all'insegna dei fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) o sostenibile considera aspetti che esulano dall'analisi finanziaria tradizionale. Ciò può limitare gli investimenti disponibili e tradursi in performance ed esposizioni diverse da quelle del mercato nel suo complesso, e potenzialmente più concentrate in alcune aree rispetto a quest'ultimo.   

 

 

Investiamo sul nucleare

e il carbone.

Verita.info – Franco Battaglia – (2 ottobre 2022) - ci dice:

Le fonti alternative non garantiscono nemmeno il minimo sindacale. La tecnologia migliore per continuità e costi rimane l’atomo. La produzione di elettricità non può dipendere dal metano (che sia o no di Putin).

Inutile il price cap per il caro bollette. Bisogna stornare i fondi del green.

Chi chiede ai cittadini maggiore risparmio in realtà ci vuole solamente più poveri.

(…) Qui non siamo consulenti di nessuno e ci prendiamo la libertà di parlare a ruota libera.

 

BENESSERE.

Una cosa dovrebbe essere ben chiara: quanta energia usiamo tanto più elevato è il nostro benessere. Chiunque si proponga di ridurre i nostri consumi energetici si propone, di fatto, di farci vivere peggio e più poveri.

Qualunque lavoro si faccia, comporta l’uso di energia e lo stesso qualunque prodotto si produca. L’Italia non ha oro, diamanti, petrolio, carbone o gas, ed è per questo che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro.

 E il lavoro richiede l’uso di energia. Più lavoro c’è, più energia serve. Un buon Presidente del Consiglio mai chiederà al proprio popolo di risparmiare energia. 

Ammesso che la cosa significhi qualcosa- ma non significa molto, come ora vediamo.

 

QUESTIONE DI DENARO.

Non significa non sprecare energia: risparmiare energia significa non servirsene quando invece, per una ragione o per un’altra, si desidera usarla.

Quindi il risparmio energetico è un male.

In realtà, risparmiare energia non è il termine corretto, perché sarebbe risparmiare la fonte. In realtà neanche questo è il termine corretto: risparmiare energia significa risparmiare denaro.

Se risparmiamo energia è perché siamo più poveri del desiderato.

Chiariamo meglio questo punto con due esempi. Se avessimo la tecnologia per trasformare la materia in energia, basterebbero meno di 10 metri cubi d’acqua per soddisfare il fabbisogno energetico annuo dell’umanità.

Naturalmente non abbiamo questa tecnologia, ma si dovrebbe già comprendere che risparmio energetico non significa risparmio di energia.

Per farlo capire, sperabilmente, meglio, considerate l’ipotetico impianto elettrico di casa vostra alimentata da pannelli fotovoltaici: potreste lasciare le luci di casa accese H24, no?

Quindi il punto non è risparmiare energia in quanto tale. I due esempi si riferiscono a situazioni in cui la disponibilità di energia è infinita- virtualmente tale- e non vi è ragione di risparmiare un bene infinito.

Allora, risparmio energetico sembrerebbe, piuttosto, risparmio della fonte energetica finita, come lo sono le fonti di cui oggi si alimenta l’umanità: petrolio, gas, carbone.

Ma anche così non stiamo cogliendo il punto: perché mai dovremmo risparmiare un bene finito? Per farlo durare di più? Mmh…

Se il carbone finisce fra 550 anni, risparmiarne il 10% lo farà finire fra 550 anni: non sembra un gran traguardo.

Allora risparmio energetico significa non risparmio di energia in sé, e neanche risparmio della fonte di energia: significa solo risparmio di denaro. Meno energia usiamo, meno beni produciamo o meno servizi forniamo, e inferiore sarà il nostro benessere materiale.

EFFICIENZA.

È un’ottima cosa da perseguire, però bisogna essere consapevoli che cozza coi propositi di risparmio: quando un bene è disponibile con maggiore efficienza, allora aumenta il suo uso.

 Tutto torna, quindi: efficienza energetica e risparmio energetico sono antitetici e, infatti, il primo non va perseguito ma la seconda sì.

 

FARE UN MIX.

Allora, il criterio per una politica energetica sana è necessariamente economico. Ma non basta: non possono trascurarsi alcuni aspetti tecnici che van ben compresi. Anzi, il mondo occidentale è un po' nei guai in politica energetica proprio quando è stata tolta ai tecnici e messa nelle mani degli economisti.

Siccome v’è la tendenza a voler elettrificare il più possibile – e perfino, e inspiegabilmente, anche l’auto trasporto – vediamo allora quale dovrebbe essere il mix elettrico ideale, ove i papabili del mix sono: nucleare, carbone, gas, idroelettrico (che tutte insieme chiameremo tecnologie tradizionali), eolico e fotovoltaico (che chiameremo tecnologie non tradizionali).

Per determinare codesto mix bisogna tenere presente la curva di carico elettrico che, per l’Italia, è mostrata (in figura) per il giorno più importante della storia dell’umanità, il 15-12-2021 (giorno del mio compleanno).

Il minimo di assorbimento elettrico – intorno alle 3 del mattino – ammonta a circa 28 GW (gigawatt): detto diversamente, il nostro Paese assorbe H24 almeno 28 GW, che è il carico di base.

Può essere soddisfatto dal fotovoltaico? No, perché tra le 4 del pomeriggio e le 9 del mattino la fotovoltaica conta zero.

Dall’eolico? No, perché non abbiamo alcuna garanzia che il vento soffi come desiderato e produca quei 28 GW; anzi, l’esperienza ci dice che vi sono giorni in cui il nostro parco eolico di oltre 10 GW, produce meno di 1 GW.

Per farla breve, dobbiamo avere installati 30 GW tradizionali che producano per H24.

La tecnologia più adatta a operare in modo continuo è il nucleare: si carica il combustibile e l’impianto, se non viene fermato apposta, produce senza sosta.

Inoltre gli impianti nucleari hanno costi fissi elevati e costi di combustione molto bassi, operando in continuo ammortizzano i costi in modo ottimale.

Il carico superiore a quello di base, diciamo compreso fra i 25 e 45 GW che il Paese richiede fra le 6 del mattino e mezzanotte va soddisfatto dal carbone. Anche questi impianti anno costi fissi elevati (non elevati come quelli nucleari) e costi di combustibile bassi (non bassi co me il combustibile nucleare).

Il carbone è reperibile da varie parti del mondo ed è facilmente trasportabile.

Il carbone dovrebbe soddisfare anche la domanda che abbiamo assegnato al nucleare in assenza di quest’ultimo.

Infine, vi è la necessità di disporre d’impianti che siano attivi solo per soddisfare la domanda di picco, che raggiunge fino a 55 GW intorno alle 10 del mattino e alle 7 della sera.

Gli impianti ideali a questo scopo dovrebbero essere quelli che costano di meno e il cui combustibile costa di più, e questi sono gli impianti a gas, che si spengono e si riavviano velocemente. L’Italia, poi, che non ha combustibili di sorta e deve importarlo, farebbe meglio a usare quello che costa di meno (uranio e carbone), visto che trattasi di denaro a vantaggio estero.

Si noti che il picco alle 7 della sera quando il fotovoltaico conta zero ( e quando non è detto il vento soffi come desiderato) comporta che di impianti tradizionali devono essere tanti quanti necessari a soddisfare tutta la domanda elettrica: detto diversamente, gli impianti fotovoltaici ed eolici sono INUTILI, ANCHE SE FOSSERO GRATIS – ma costano un occhio della testa: quanto agli accumulatori , essi virtualmente non esistono.

Riassumendo, tolto un 15% di idroelettrico, il mix elettrico ideale sarebbe il 35-40% da nucleare, 35-40% da carbone, non oltre il 10% da gas.

Questo mix è compatibile con quanto fa il resto del mondo, ove il carbone è la prima fonte elettrica e, nei Paesi a tecnologia avanzata, il nucleare è la prima o la seconda fonte. Nel redto del mondo, il gas si attesta al 20%: un po' troppo, ma tant’è – non viviamo in un mondo perfetto.

Ma l’Italia trae la propria elettricità al 50% dal gas: una evidente distorsione. Quindi, Putin o non Putin, l’Italia avrebbe il dovere di ridurre la propria dipendenza dal gas.

 

RIGASSIFICATORI.

Per quanto appena detto, l’Italia non ha bisogno di rigassificatori. Questi impianti usano il combustibile più caro in assoluto: gas naturale trasportato via nave a 160 gradi sotto zero.

Per ogni rigassificatore che qualcuno suggerisce si installi in Italia, un governo responsabile installerebbe un paio di impianti a carbone.

 

INTERESSI NAZIONALI.

Nel programma di chi a breve governerà l’Italia sta scritto: “l’Italia innanzi tutto”.

Non l’Ucraina, non la Russia, ma l’Italia.

E l’Italia ha bisogno del gas russo a basso costo. Dichiararsi neutrali e tirarsi fuori dal conflitto non significa tradire la Nato: la Turchia è nella Nato e, in ogni caso, non lo sono né la Russia né l’Ucraina. E non significa tradire la UE: l’Ungheria è nella Ue. E se proprio si insiste a volerla aiutare, l’Ucraina può essere aiutata lo stesso senza spedire armi e senza sanzionare la Russia.

 

L’ERRORE DEL 1987.

Ogni azione su esso non avrebbe effetti immediati, ma se si comincia oggi, fra 10 anni raccoglieremo i frutti.

Se non avessimo interrotto il nostro nucleare nel 1987, oggi avremmo mil mix ideale. E se non lo avessimo interrotto nel 2011, oggi staremmo molto meglio.          

        

 CAROVITA.

Per abbassarle nell’immediato, oltre che procedere col sostituire il gas col carbone, tagliare gli incentivi a fotovoltaico e ad eolico, e ricomporre i rapporti col nostro privilegiato fornitore di gas, andrebbero smorzate le speculazioni, non con un improbabile tetto UE al prezzo del gas, ma imponendo agli importator di gas il vincolo di venderlo a non oltre un tot percentuale (25-50%) del prezzo di acquisto.

Un provvedimento, questo, che il governo potrebbe adottare anche subito.         

    

  

 

                   

 

      

TRANSIZIONE ENERGETICA:

PERCHÉ IL NUCLEARE ORA

È DIVENTATO GREEN.

 

Onlinesim.it – Roberta Caffaratti – ( 21 gennaio 2022) – ci dice:

 

Fino a 5 anni fa il nucleare era bandito da qualsiasi documento di sostenibilità energetica. Oggi il mondo si è capovolto. La transizione energetica in atto ha riportato in auge i reattori nucleari. Questi sono destinati a diventare una parte più importante del mix energetico. Soprattutto con l’avvicinarsi della scadenza dell’obiettivo zero per le emissioni da raggiungere entro il 2050.

 

Cosa è accaduto? Le carenze di energia, in particolare in Asia e in Europa, hanno aumentato la domanda globale di combustibili fossili. Queste carenze non possono essere colmate facendo affidamento solo sull’eolico e sul solare. La soluzione è riportare in vita il nucleare.

 Tanto che l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) dà per scontato che per raggiungere di emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050 sarà necessario un raddoppio dell’energia nucleare a livello globale.

 

Oggi il nucleare rappresenta solo il 4% del consumo di energia primaria. Le cose però cambieranno presto perché a livello globale si moltiplicano i piani a favore del nucleare. Vediamo come si stanno muovendo gli Stati che credono nel nucleare.

 

CINA E INDIA GUIDANO LA RIVOLUZIONE NUCLEARE ASIATICA.

 

Il primato degli investimenti in nucleare va alla Cina che entro il 2025 supererà gli Stati Uniti per nuove centrali nucleari. La Cina prevede di costruire almeno 150 reattori nei prossimi 15 anni investendo fino a 440 miliardi di dollari.

 

L’India ha previsto di quadruplicare l’attuale capacità nucleare entro il 2031. Costruendo nuovi impianti e ammodernamento gli esistenti. In particolare, si sta costruendo il più grande sito indiano di energia nucleare a Jaitapur, nel distretto di Ratnagiri nel Maharashtra. Ci saranno sei reattori da 1650 MWe costruiti in cooperazione tecnica con la Francia.

 

Il Giappone è il più cauto tra i Paesi asiatici dopo disastro di Fukushima del 2011. Il suo più recente piano energetico nazionale fissa l’obiettivo di ottenere dal 20-22% della sua energia dal nucleare entro il 2030 (era circa il 5% nel 2020). Non si specifica però se verranno costruiti nuovi impianti.

 

GLI STATI UNITI GUARDANO AI REATTORI NUCLEARI MINI.

Gli Stati Uniti sono in prima linea negli sforzi per progettare sistemi nucleari più piccoli. Si chiamano SMR e sono piccoli reattori modulari che dovrebbero essere più veloci, più facili ed economici da costruire. Rispetto alle enormi centrali nucleari convenzionali.

 

Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha concesso a Terra-Power – società sostenuta da Bill Gates con 4 miliardi di dollari di investimento – un finanziamento di 80 milioni di dollari per sviluppare la sua tecnologia. In programma un’installazione di un nuovo tipo di reattore in una centrale elettrica a carbone del Wyoming la cui chiusura è prevista per il 2025.

 

Il progetto Terra-Power di Bill Gates dovrebbe essere operativo nel 2028. Dovrebbe essere operativo nel 2029 il sito SMR di NuScale Power in Idaho. L’azienda sta cercando opportunità anche all’estero, inclusa la Romania, dove potrebbe essere in grado di costruire un impianto anche prima, entro il 2028.

 

L’EUROPA VUOLE IL NUCLEARE COME FONTE GREEN.

 

In Europa i prezzi dell’elettricità alle stelle e la preoccupazione che l’Unione Europea dipenda troppo dal gas naturale russo hanno dato una spinta decisiva nucleare. Tanto che, all’inizio del 2022, la Commissione Europea ha annunciato l’intenzione di includere nucleare e gas nella tassonomia dell’Unione Europea.

 

In pratica, l’UE vuole dare a gas e nucleare la patente di fondi energetiche green che rispettano i criteri ESG. Questo a patto che si verifichino determinate condizioni. Come, per esempio, una richiesta di permesso di costruzione entro il 2045 per gli impianti di energia nucleare e entro il 2030 per gli impianti a gas.

 Nella costruzione di impianti nucleari è la Francia il Paese UE che detiene il primato: ottiene già circa il 70% della sua energia dal nucleare.

 

La Germania dove l’avversione per il nucleare ha contribuito alla nascita di un partito politico nazionale, è in controtendenza. Quest’anno è prevista la disattivazione dei tre reattori e non ci sono in programma di costruirne di nuovi.

 

In Italia, dove due referendum (1987 e 2011) hanno detto no al nucleare il dibattito si è riaperto a livello politico. Nell’Europa dell’Est le ex repubbliche sovietiche sono alla ricerca di alternative ai reattori di fabbricazione russa. La Polonia, la nazione più dipendente dal carbone dell’UE, sta lavorando con “NuScale” e con “Electricité de France SA” (EDF) per la fornitura di più centrali nucleari convenzionali.

 

IDEE DI INVESTIMENTO.

La svolta energetica nucleare non piace ai grandi gestori di fondi. In particolare, la scelta europea è stata fortemente criticata e respinta dall’ “Institutional Investors Group on Climate Change” (IIGCC).

Comprendente le grandi società di asset management che gestiscono a livello globale circa 50 mila miliardi di euro. Oltre che dal Forum europeo per gli investimenti sostenibili (EUROSIF) i cui membri gestiscono circa 20 mila miliardi di euro.

 

Secondo gli asset manager lo sviluppo nucleare rischia di minare gli sforzi per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. La proposta definitiva dell’UE su tassonomia e nucleare è attesa a fine gennaio 2022. Dovrà poi passare al vaglio dei Paesi membri e i gestori daranno battaglia.

 

Per investire sul megatrend della transizione energetica a lungo termine ci sono fondi azionari che investono a livello globale.

 

 

 

Ucraina, Clini: Meno carbone,

più rinnovabili.

Investire su gas e nucleare.

Beemagazine.it – Alessandro Rosi – (3-3-2022) – ci dice:

 

Per il già Ministro dell'ambiente fondamentale investire sulle rinnovabili e sull'estrazione di gas naturale in Italia.

 

Estrarre gas naturale “come già fanno Croazia e altri Paesi che affacciano sull’Adriatico”.

 Per il Prof. Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente, la crisi energetica determinata dalla guerra in Ucraina si può risolvere partendo dal nostro territorio.

Ma non basta. Bisogna investire sulle rinnovabili, che però soffrono di lunghe “procedure amministrative di autorizzazione”.

Nel frattempo, però, la minaccia che il gas russo non arrivi più in Europa incombe.

 

Prof. Clini, c’è il rischio che Putin interrompa le forniture di gas all’Europa?

Ciò che sta succedendo non consente previsioni. L’errore che abbiamo fatto e che potremmo continuare a fare è pensare che nulla cambi e che possiamo proseguire come prima. Siamo obbligati a cambiare, se vogliamo avere la sicurezza energetica. Ci sono poi problemi ambientali enormi. Sono passati tre mesi dalla COP26 di Glasgow e sembrava di essere sull’orlo dell’abisso. La situazione non è cambiata. Anzi: è peggiorata.

 

Non possiamo pensare di “pompare” carbone. Servono più rinnovabili, più energia nucleare.

Chi ce l’ha in Europa è bene che se la tenga, speriamo che la Germania non continui a chiudere le centrali, perché altrimenti deve aumentare la produzione di carbone. E questo vuol dire l’aumento dell’emissione di anidride carbonica.

 

Il ministro della Transizione Energetica, Roberto Cingolani, ha affermato che per ridurre significativamente la dipendenza dal gas russo “bisognerà attendere almeno due anni”. Quanto incidono le scelte dei governi precedenti?

 

Stiamo pagando il prezzo di una politica che da lunghi anni ha gestito i temi energetici come se fossero un problema che viene risolto all’estero.

 

Come può l’Italia ridurre il fabbisogno energetico dalla Russia?

 

Quando ero ministro 10 anni fa avevo approvato un programma di esplorazioni nell’Adriatico che fu però respinto, con un’opposizione trasversale.

Pur essendo dipendente, l’Italia ha rinunciato a usare il gas che ha sotto i piedi. Noi abbiamo rifiutato questo importante contributo che potrebbe coprire circa il 20% della domanda italiana di gas.

 

Come si possono diversificare le fonti di gas?

Per diversificare e ridurre la dipendenza dall’approvvigionamento russo, bisogna puntare innanzitutto sull’aumento del gas proveniente dall’Azerbaijan attraverso il TAP, osteggiato per tre-quattro anni, e naturalmente anche da Algeria, Norvegia e Libia.

 

Le energie rinnovabili in che misura possono risolvere il problema cronico degli approvvigionamenti in Italia?

 

Oggi il 40% dell’elettricità è prodotta con fonti rinnovabili. Siccome sono intermittenti, ci sono due cose da fare: rafforzare la capacità di accumulo dell’elettricità e poi, per coprire l’intermittenza, ci vuole elettricità prodotta da un’altra fonte. Finora l’Italia ha utilizzato principalmente il gas naturale, che è il supporto necessario alle rinnovabili. Con la riduzione noi abbiamo una diminuzione della capacità di energia elettrica. C’è il rischio di blackout.

 

Il processo per aumentare le rinnovabili non rischia di essere troppo lungo?

 

Lo è dal punto di vista delle procedure, ma non tecnico. Perché gli impianti si mettono su in tempi anche molto brevi. Il nodo non è nella fattibilità tecnica, ma nelle procedure amministrative di autorizzazione. L’altro nodo che va affrontato e risolto riguarda la rete elettrica.

Per fare in modo che l’energia prodotta dalle rinnovabili possa poi contribuire alla sicurezza energetica nazionale c’è bisogno che la rete elettrica sia in grado di trasmetterla. Ma c’è un deficit della rete elettrica, che però può essere eliminato: basta decidere e operare.

 

Un altro deficit che l’Italia ha rispetto ad altri Paesi europei è quello dell’energia nucleare. È il momento di riconsiderare la scelta anti nucleare che gli italiani fecero nel referendum del 1987?

 

La politica italiana sul nucleare è stata sbagliata. Fino agli anni Sessanta, l’Italia è stata uno dei Paesi con le competenze più avanzate per l’uso civile dell’energia nucleare e con strutture di altissimo livello. Ma poi abbiamo iniziato a costruire “l’Italia del no”. Prima con il nucleare, poi con gli inceneritori e infine con le rinnovabili. Decisioni che hanno condizionato lo sviluppo del nostro Paese. Ora è il tempo di fare. Realizziamo gli impianti e le infrastrutture che servono. La crisi in Ucraina, da questo punto di vista, può aiutare l’Italia.

(Alessandro Rosi)

 

 

 

 

 

Tassonomia, gas e nucleare

definiti “green”, prepariamo

azione legale.

Greenpeace.org – greenpeace – (6 luglio 2022) – ci dice:

 

(secure.gravatar.com/avatar/bb06a959641d041ae1d65987ff3e6b5a?s=96&d=mm&r=g)

 

A seguito dell’inclusione del gas fossile e dell’energia nucleare nella Tassonomia, cioè nell’elenco degli investimenti ritenuti sostenibili dall’UE, abbiamo deciso di intraprendere un’azione legale contro la Commissione europea.

Stamattina a Strasburgo il Parlamento europeo non ha infatti raccolto abbastanza voti per bloccare il controverso piano della Commissione. Solo 278 eurodeputati hanno votato contro l’etichetta sostenibile per il gas e il nucleare, non raggiungendo i 353 voti necessari per bloccare la proposta.

 

È oltraggioso etichettare il gas fossile e il nucleare come “verdi” e far fluire così più denaro verso le casse che finanziano la guerra di Putin in Ucraina. Per questo continueremo opporci in tribunale.

 

Le vergognose trattative interne alla Commissione europea influenzate dalle lobby dei combustibili fossili e del nucleare non basteranno. Siamo ispirati dalle attiviste e dagli attivisti per il clima che questa settimana si sono riuniti a Strasburgo, e siamo fiduciosi che i tribunali annulleranno questo tentativo di green-washing sostenuto dalla politica, in quanto si tratta di una chiara violazione delle leggi dell’Unione europea.

 

Prima che l’azione legale abbia inizio, presenteremo alla Commissione europea una richiesta formale di revisione interna. In caso di esito negativo, porteremo la causa alla Corte di Giustizia europea.

 

Il voto che ha dato il via libera all’etichetta green per false soluzioni come il gas fossile e l’energia nucleare – che, ​​oltre a non aver risolto i suoi problemi di sicurezza, gestione a lungo termine delle scorie e proliferazione atomica, richiede molte più risorse finanziarie e tempi lunghissimi rispetto alle rinnovabili – è in netto contrasto con quanto servirebbe davvero in un momento storico come questo, in cui gli effetti dei cambiamenti climatici – ondate di calore in tutta Europa, siccità e tragedie come quella avvenuta sul ghiacciaio della Marmolada – hanno gravi conseguenze sulla vita di tutte e tutti noi. Questo voto rischia di rallentare ulteriormente la lotta alla crisi climatica, esponendo le persone e il pianeta a eventi climatici sempre più estremi.

 

 

 

 

Gasparrini: Il nucleare è necessario

e vi spiego il perché.

 

Associazioneitalianinucleare.it – Claudia Gasparrini – Simona Siriani - (1° Ottobre 2022)- ci dice: 

 

Ripubblichiamo integralmente l’intervista a cura di Simona Sirianni alla neo-Presidente della Italian Nuclear Young Generation su Il Bollettino, buona lettura!

Non ci sono dubbi. «Il nucleare è fondamentale sia per raggiungere una indipendenza energetica, sia per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050 settati dall’Europa. Quindi serve all’Italia», dice Claudia Gasparrini, ingegnere e ricercatrice con svariati anni all’estero nel settore nucleare.

 

Quello sull’energia atomica è un tema che nel nostro Paese crea da tempo un gran dibattito. A spingere questa fonte energetica oggi più che mai è la congiuntura di 3 fattori: la guerra in Ucraina, in seguito all’invasione da parte della Russia, il fronte che si è aperto dell’indipendenza energetica e i timori conseguenti; per i cambiamenti climatici; per i prezzi in rialzo di gas e petrolio.

 

Far ripartire gli ex-impianti nucleari italiani: è possibile o ci sarebbe bisogno di costruirne altri?

 

«Non è possibile far ripartire le vecchie centrali, sarebbe necessario costruirne di nuove. Si potrebbe valutare di costruirle sugli stessi siti delle vecchie per poter riutilizzare alcune infrastrutture. Solitamente è questo il metodo più economico».

 

A quanto ammonterebbe l’investimento?

 

«L’investimento, il numero di centrali da costruire e l’ottenimento dell’indipendenza energetica dell’Italia sono da valutare con uno studio ad hoc, attraverso scenari che prevedano una quota di rinnovabili in sinergia con il nucleare. Vista la situazione attuale, dobbiamo ridurre l’importazione di gas russo, ma ricordiamoci che siamo dipendenti dal gas importato da molti altri Paesi “non stabili”. Ed essendo l’Italia sprovvista di un adeguato piano energetico a lungo termine, sarebbe improprio citare ora un numero che sia rappresentativo dell’investimento e il numero di centrali da installare, perché tutto dipende dalla tipologia di centrale e dal rapporto centrali nucleari-rinnovabili».

 

 

D’accordo, ma l’energia atomica costa meno di altre fonti e consentirebbe di abbassare le bollette?

 

«Per rispondere a questa domanda mi aiuto con il grafico qui sotto a destra pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) in cui si confronta il prezzo dell’elettricità prodotta con combustibili fossili (inquinanti) e con tecnologie a bassa emissione di CO2 (nucleare incluso), dati del 2020. Si può notare che il nucleare è economico e il prezzo per MWh dell’elettricità prodotta è comparabile con quella ottenuta da centrali a gas. Questo grafico, però, non tiene conto dell’aumento del prezzo del gas scattato nel 2022, fattore che rende ancora più conveniente il nucleare (oltretutto, l’elettricità da nucleare non è influenzata così tanto dalle fluttuazioni di prezzo del suo combustibile). È interessante osservare anche come, oggi, la fonte più economica di elettricità risulti essere quella dalle centrali nucleari costruite intorno agli anni ’70 e rinnovate in tecnologia e sicurezza per poter operare ai giorni nostri. Questo dovrebbe farci riflettere sulle scelte Italiane passate».

 

L’energia nucleare che percentuale rappresenta di tutta quella prodotta a livello mondiale?

 

«Nel mondo l’elettricità nucleare rappresenta il 10% della totale elettricità e rappresenta il 30% dell’elettricità pulita prodotta. Purtroppo il 70% di elettricità proviene ancora da combustibili fossili inquinanti. In Europa, l’elettricità da nucleare rappresenta il 25% della produzione totale ed è la prima fonte di elettricità fruibile se consideriamo separato l’apporto del gas e del carbone; questo grazie ai tanti Paesi europei che hanno sostenuto nel tempo l’energia dell’atomo».

 

La tassonomia europea considera il nucleare una tecnologia verde.

«Sì, assolutamente. La tassonomia Europea include il nucleare da fissione come tecnologia verde perché è in grado di produrre elettricità a bassa emissione di CO2 in maniera efficiente, continuativa e sicura. Specificatamente alla sicurezza il report della Commissione Europea ha analizzato la tecnologia nucleare (considerandone tutto il ciclo di vita) e ne ha dimostrato la sicurezza poiché il suo impatto verso le persone e l’ambiente è comparabile alle altre fonti di elettricità già considerate “verdi” come idroelettrico e le rinnovabili».

 

E può essere davvero utile per una transizione energetica in Europa?

 

«Certo, vediamo le scelte strategiche di Francia, Belgio, Polonia, Romania, Slovenia (e Regno Unito, ex-UE), solo per citarne alcune, che rafforzeranno la loro flotta nucleare nei prossimi anni. Il caso della Germania è eclatante: anni di politiche cosiddette “verdi” incentivate a rafforzare solo le rinnovabili abbandonando l’energia nucleare ha spinto la Germania a riaccendere, quest’anno, le centrali a carbone (le più inquinanti). Le rinnovabili senza supporto di energia continuativa come quella nucleare non possono affrontare la sfida della transizione energetica».

 

Qual è il contributo del nucleare oggi e nei principali scenari di decarbonizzazione al 2050?

 

«Gli scenari di decarbonizzazione mondiale considerano il 10% di energia elettrica da nucleare e mantengono questa percentuale al 2050, ma considerando un raddoppio della potenza nucleare installata. Va ricordato che gli scenari riportati fino a ora erano fortemente influenzati dalle scelte politiche passate che davano per assodato una progressiva uscita dal nucleare del mondo occidentale (vedi il caso di Germania e Stati Uniti). Ora gli scenari energetici potranno tenere conto delle nuove scelte politiche volte a rafforzare la potenza nucleare installata anche in Occidente».

 

Quanto e quale contributo hanno dato le nuove tecnologie per rinnovare le centrali e a rendere il nucleare sicuro?

 

«Il nucleare oggi è una tecnologia altamente regolamentata, le misure di sicurezza sono uniformate da enti internazionali che ne verificano l’implementazione in tutti i Paesi che sfruttano l’energia nucleare. Per fare un esempio, tutte le centrali nucleari oggi operanti, che siano della generazione II (costruite decenni fa) o della generazione III (più recenti) sono equipaggiate dagli stessi sistemi di sicurezza considerati indispensabili. Questi sistemi impediscono incidenti al sistema di raffreddamento come quello avvenuto alla centrale di Fukushima. Va ricordato che un incidente grave come quello di Fukushima, classificato a livello 7 – il peggiore della scala INES (International Nuclear and Radiological Event Scale), non ha provocato alcuna vittima e la struttura della centrale, progettata negli anni ’60 e costruita negli anni ’70, era rimasta intatta all’impatto dello tsunami di 15 metri che ha spazzato via 20 mila vite e un’intera regione».

 

Entriamo più nello specifico. Cos’è il mini-nucleare di quarta generazione?

 

«In questa domanda vengono presentati due filoni tecnologici dell’industria nucleare: la taglia e il tipo di generazione del reattore. In sintesi e semplificando, la taglia dei reattori nucleari va dalla micro (<10 MW) usata come motore nelle navi o per produrre energia in zone isolate, alla macro (>700 MW) generalmente utilizzata per la produzione di energia elettrica. In mezzo esistono i reattori cosiddetti “piccoli e modulari” in via di licenziamento che possono essere utilizzati per la produzione di energia elettrica e termica per l’industria. Per quanto riguarda la generazione, a oggi esistono già reattori nucleari connessi alla rete elettrica che tecnicamente potrebbero essere considerati di quarta generazione. Altri reattori di quarta generazione invece sono ancora in via di ricerca e sviluppo. La quarta generazione indica un avanzamento tecnologico, ma non implica che un reattore di terza generazione non sia sicuro o innovativo».

Secondo lei perché se ne ha così timore?

 

«L’uscita del nucleare in Italia è venuta a seguito dell’incidente di Chernobyl (26 aprile 1986) che è stato accompagnato da una campagna di disinformazione che prosegue tutt’oggi e che ha lo scopo di influenzare negativamente la percezione dei cittadini verso questa fonte di energia pulita, affidabile e sicura. Tutt’ora la comunicazione attraverso programmi TV, giornali, dibattiti politici, campagne di associazioni “ambientaliste” è spesso scorretta e alimenta un sentimento di paura infondata. La nostra stessa politica non trasmette informazioni precise sulla tecnologia nucleare. Ne sono esempi eclatanti le affermazioni di politici non esperti in materia e che per argomentare dovrebbero essere affiancati da personale tecnico competente visto il loro ruolo istituzionale. La diffusione di informazioni scorrette sul nucleare implica che qualsiasi proposta pro o contro sia argomentata tramite informazioni inesatte e approssimative e spesso faziose che non danno la giusta credibilità a questa tecnologia più che mai necessaria. Opportunità come questa mi fanno credere che il vento stia cambiando e che ci sia voglia di un nuovo tipo di informazione, più scientifica. Del resto come disse Marie Curie, che dedicò la sua vita allo studio della radioattività e ne coniò il nome: «Nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire». 

 

 

Il mix energetico mondiale del futuro?

Carbone e petrolio non andranno in panchina.

 

Focusrisparmio.com – Antonio Potenza – (5 settembre 2022) – ci dice:

Per “S&P Global Ratings” entro il 2030 gas, energie rinnovabili e nucleare cresceranno ancora ma le economie emergenti continueranno ad irrobustire la domanda di petrolio e carbone. Intanto gli investimenti sostenibili affrontano una prova di credibilità.

 

Alla fine della scorsa settimana, i ministri delle Finanze del G7 hanno approvato il piano che prevede di fissare un tetto al prezzo del petrolio che proviene dalla Russia.

 

Ursula von der Leyen:

“Sono delle ferma convinzione che è tempo di un tetto al prezzo del gas dai gasdotti russi in Europa” aveva già affermato la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, in uno statement a margine della giornata di chiusura dell’Unione in Baviera lo scorso 2 settembre.

I due eventi dimostrano come il percorso verso Net Zero stia entrando in un momento delicato e che ci sia bisogno di un’attenzione totale.

 

Nonostante il settore Esg sia fra i segmenti dell’asset management in più rapida crescita, secondo il report “The Future of Sustainability Reporting Standards” a firma di EY e Oxford Analytica , dopo una crescita del 53% su base annua con a 2.700 miliardi di dollari a fine 2021, gli investimenti sostenibili sono alle prese con una prova di credibilità.

 

“La transizione energetica continua ad accelerare e la decarbonizzazione rimane una priorità fondamentale sia per i politici che per gli operatori di mercato” si legge nel report “Infrastructure&Energy Outlook” di S&P Global Ratings pubblicato la scorsa settimana.

 

Per il futuro energetico dell’Europa, e per il comparto, risulteranno fondamentali le decisioni delle classi dirigenti mondiali, che, come si legge nel report di S&P, si ritrovano ad “affrontare un trilemma: bilanciare l’urgente necessità di decarbonizzazione con le preoccupazioni legate al prezzo dell’energia e alla sicurezza degli approvvigionamenti”. In questo senso, il report ha tentato di capire come la transizione energetica influenzerà il mix energetico dei Paesi nel 2030.

 

La crescita di Gas e rinnovabil.i

 

“La domanda di gas dovrebbe continuare a crescere fino al 2030” prevede il report. Eppure, proprio l’utilizzo del gas divide Paesi sviluppati ed emergenti, al netto delle conseguenze del conflitto. “La sicurezza dell’approvvigionamento e lo svantaggio di prezzo del gas rispetto al carbone e alla produzione di energia nucleare in Cina fanno sì che, sebbene il suo utilizzo sia in aumento, il gas rappresenterà solo il 9% del mix energetico” entro il 2030. Contrariamente, negli Usa raggiungerà quota 30%. Mentre in Europa, le energie rinnovabili e gas più ecologici, “potrebbero rappresentare il 20% della domanda”.

 

Così come, per il 2030, secondo le previsioni dell’indagine, l’Europa potrebbe raggiungere il 60% della produzione di energia elettrica da fonti sostenibili, contro il 40% degli Stati Uniti e della Cina. “Il continuo sostegno politico rimane importante per ridurre i rischi di credito derivanti dalla volatilità e dal potenziale calo dei prezzi dell’energia a lungo termine” si legge nel report.

 

Nucleare sì, nucleare no.

Il tentativo di avere maggiore energia pulita, considerando le impennate dei prezzi del gas e l’interruzione del rubinetto russo, ha riacceso l’interesse nell’energia nucleare.  Il dibattito sul nucleare però continua a dividere tra sostenitori delle centrali e chi chiama in causa il tema dello stoccaggio delle scorie radioattive. Certo è, stando ai dati del report di S&P Global Ratings, che la Cina sta già prevedendo di “raddoppiare la quota del nucleare nel suo mix energetico entro il 2035, portandola a quasi il 10% della produzione”. Di seguito Stati Uniti e Europa con una quota che balla tra il 15% e il 20%.

 

Carbone e petrolio non andranno in panchina.

Secondo il report la domanda globale di petrolio, almeno nel prossimo decennio, continuerà a crescere raggiungendo “un picco di 112 milioni di barili al giorno, rispetto ai 101 milioni di quest’anno” a causa della futura espansione dei Paesi emergenti.

 

L’indagine è pessimista sulla possibilità che l’economia mondiale sia in grado di limitare il riscaldamento globale entro i 2 gradi. “La domanda di petrolio supererà comunque gli 87 milioni di barili al giorno entro il 2040”, si legge. “Se la domanda dovesse diminuire più bruscamente”, si legge, “i rischi di credito per il settore petrolifero saranno in parte mitigati dalla capacità dell’OPEC di regolare le forniture e dal tipico declino naturale annuo del 4%-5% dei giacimenti”.

 

Contrariamente “la domanda di carbone termico è destinata a diminuire dopo il picco raggiunto nel 2024, in quanto l’energia elettrica alimentata a carbone viene sempre più sostituita dalle energie rinnovabili in Europa e negli Stati Uniti”. Nonostante Paesi come la Cina e l’India “rappresentino ancora il 70% della domanda globale di carbone”.

 

Gestori: l’inverno sta arrivando.

L’inverno sta arrivando e l’attenzione è tutta rivolta verso il gas. Anche i gestori guardano al comparto per intuire l’andamento degli investimenti del prossimo anno e le opportunità di investimento future.

“L’attuale dibattito energetico in Europa è incentrato sui prezzi e sullo stoccaggio, tralasciando di affrontare il ruolo delle quantità e dei flussi. Il rincaro dei prezzi appare difficile da conciliare con la (buona) notizia che lo stoccaggio si avvicina a livelli altissimi prima di quanto previsto” afferma Silvia Merler, “head of Esg and Policy Research di Algebris”.

Al problema del gas si lega strettamente quello dell’inflazione. Come spiega Steven Bell, chief economist EMEA di “Columbia Threadneedle Investments”, l’inflazione è elevata e in aumento in Europa anche a causa dei prezzi dei generi alimentari, dell’energia e del gas “che sono aumentati di 20 volte a causa della riduzione delle forniture da parte della Russia, cioè del 2000%”. Bell è sicuro: “L’impennata del costo dell’energia spingerà sicuramente l’Europa verso la recessione”.

 

La conclusione a cui arriva Chris Gannatti, global head of Research di WisdomTree, è che l’Europa ha certamente bisogno di energia, ma che “i costi elevati rappresentano un catalizzatore per cercare nuove strade”.

E spiega:

 “In un arco di tempo più lungo è proprio questo problema a ispirare gli imprenditori nella ricerca di nuove soluzioni”, facendo riferimento specialmente all’asset dello stoccaggio dell’energia. “Sarà uno dei temi più importanti ed è probabile che, per conseguire gli obiettivi globali relativi alla mitigazione delle emissioni di carbonio sarà necessaria una varietà di soluzioni”.

 

 

 

 

 

Biden Scatenato contro l’Italia e l’Europa.

E i Maggiordomi non Reagiscono.

 

 Conoscenzealconfine.it- (3 Ottobre 2022) - Augusto Grandi- ci dice:

 

 

RimbamBiden non si è accontenta e attacca frontalmente l’Italia per il risultato elettorale che non gli è piaciuto…

(Usa Weekly News, Joe Biden: “Genuinamente ottimista sulle prospettive dell'America”).

 

Il petomane di Washington a febbraio aveva dichiarato che avrebbe impedito l’entrata in funzione del North Stream 2. Ed ora il gasdotto che avrebbe dovuto rifornire la Germania e l’Europa, casualmente, è stato danneggiato forse irreparabilmente da un sabotaggio avvenuto nelle acque controllate dalla Nato.

 

Sempre casualmente l’attentato si è verificato proprio nel momento in cui la Germania cominciava a frenare sull’invio di armi pesanti all’Ucraina. E mentre il governo di Berlino era costretto a varare una mega manovra da 200 miliardi per fronteggiare le proteste della popolazione per il caro bollette.

 

Una boccata d’ossigeno per le famiglie, un notevole problema per l’economia tedesca che, senza il gas russo, sarà costretta ad approvvigionarsi altrove, a costi maggiori. Con ulteriori ripercussioni sull’industria tedesca e, a cascata, sull’economia dell’intera Europa. Eppure i maggiordomi europei continuano a prostrarsi di fronte a chi sta rovinando il Vecchio Continente. A chi sta distruggendo le aziende ed impoverendo le famiglie.

Ma rimbamBiden non si è accontentato. Ed ha attaccato frontalmente l’Italia per il risultato elettorale che non gli è piaciuto. Uno schiaffo al mercante di armi ed ai servili atlantisti di casa nostra.

 Non sono bastate le genuflessioni, le riverenze, i baci alla pantofola del padrone. Il petomane non si accontenta, vuole sempre di più. E si può essere certi che il futuro governo glielo concederà con il plauso di Mattarella, un presidente afono di fronte alle ignobili ingerenze di Biden, di Scholz, di Ursula von der Leyen, del ministro spagnolo.

 

La colonia Italia sotto controllo del primo deficiente che si sente in diritto di spiegare cosa si debba o non si debba fare in questa espressione geografica. E il presidente muto. Forse, però, una parola potrebbe pronunciarla: dimissioni.

 

È stato rieletto, ambiguamente, da una maggioranza che non esiste più. Dopo aver fatto giurare il nuovo governo sarebbe apprezzabile una sua uscita di scena. In silenzio, lo stesso silenzio che lo ha contraddistinto di fronte alle ingerenze nelle vicende italiane.

(Augusto Grandi- electomagazine.it/biden-scatenato-contro-litalia-e-leuropa-e-i-maggiordomi-non-reagiscono/)

 

 

 

 

 

 

Vaccino: Reazioni Avverse sistemiche

 nel 70% dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni.

 

Conoscenzealconfine.it – (3 Ottobre 2022) - Marietto Cerneazci dice:

 

Purtroppo, complice la bella stagione, troppe persone si sono dimenticate dell’abominio perpetrato con la vaccinazione forzata. Eppure, i dati che escono ripetutamente dagli studi sono sconcertanti.

 

Questi, ad esempio, sono dati V-safe del meeting del 1° Settembre scorso della CDC di Atlanta, che riguardano un campione di 4300 ragazzi osservati dal 9 Dicembre 2021 al 21 Agosto 2022.

 

Risultato? Reazioni sistemiche nel 70% dei ragazzi, inabilità di fare qualsiasi cosa al 20%: questo in una survey limitato a 8 mesi! Chissà cosa gli capiterà nei prossimi mesi od anni.

 

Situazioni assurde, enormi per una popolazione giovanile che contraendo il virus non avrebbe avuto alcun problema. Insomma, il 20% dei bambini da 12 a 17 anni dopo il booster non sono in grado di lavorare o frequentare la scuola.

Personalmente, non credo che i crimini commessi a partire dal 2020, ovvero restrizioni per il covid e obbligo vaccinale (con quel che ha comportato), debbano e possano passare impuniti.

 

(Marietto Cerneaz - miglioverde.eu/vaccino-reazioni-avverse-sistemiche-nel-70-dei-bambini-da-12-a-17-anni/)

 

 

 

 

 

 

“GLI ZOMBI SIETE VOI.”

Il “super green pass” non basta,

ora per fermare il delirio no-vax

serve l’obbligo vaccinale.

 

Editorialedomani.it – Selvaggia Lucarelli – (27 novembre 2021) – ci dice:

 

Riassumendo, ad oggi, l’evoluzione della protesta no vax è stata: il Covid non esiste, il Covid non uccide, hanno inventato il Covid perché ci vogliono uccidere, hanno inventato il vaccino perché ci vogliono uccidere (il Covid da solo non bastava?), i tamponi bucano il cervello, vogliamo fare solo i tamponi e non i vaccini, dovete riaprite tutto, vi facciamo chiudere tutto.

Roba che nemmeno il parlamentare medio cambia idea tante volte quanto un no vax.

Ergo, è chiaro che dietro a queste proteste c’è solo il desiderio di essere contro.

Qualche giorno fa ero davanti alla cassa di un ristorante e discutevo con il proprietario sul perché non avesse chiesto il green pass ai clienti, me compresa. All’improvviso, senza che nessuno l’avesse interpellato, s’è intromesso nella conversazione un uomo piuttosto anziano che era lì in fila dietro di me e con aria sprezzante ha mugugnato: «Beh, se non le sta bene se ne stia a casa». A casa. Io. Che sono pure vaccinata.

 

Ed è lì che ho realizzato quale sconclusionato capovolgimento del buonsenso si stia facendo strada tra i no-vax: siamo noi quelli che disturbano la loro vita sociale.

 

«Gli zombie siete voi», mi aveva detto il gentiluomo al Circo Massimo prima di darmi una testata. C’è dunque la prepotenza ottusa e arrogante di chi non solo mette in pericolo la vita, la socialità, la tranquillità economica di tre quarti del paese, ma ritiene pure che - da minoranza qual’ è - possa decidere cosa dovrebbe fare la maggioranza.

 

Quindi, non solo sono favorevole al super green pass, ma continuo a coltivare la speranza che venga introdotto l’obbligo vaccinale, che nasconde un altro obbligo nobile e imprescindibile per la società: quello di salvare più vite possibili. Anche quelle dei no vax. Perché non ci riguarda solo la loro vita, ma ci riguarda anche e soprattutto la loro morte: più persone si ammalano gravemente e muoiono di Covid, più il ritorno alla normalità si allontana.

 

LA PROVA DI FORZA.

Certo, il super green pass non è la soluzione definitiva, come non lo può essere nessuna misura di contenimento, visto che “contenere” ha un significato preciso che non è “azzerare”, ma ha un significato che va oltre l’aspetto epidemiologico: è un contenimento della convinzione dei no vax di poter dettare le regole. Di tenere in scacco un paese.

 

Il super green pass è una dimostrazione di forza, il ribadire a questa gente ostinata e pericolosa che può alzare l’asticella delle proteste quanto vuole, ma il governo non solo non arretrerà, bensì avanzerà. Che le regole saranno sempre più stringenti, che la vita sociale di un no-vax sarà sempre più complicata.

 

Tant’è che appena capito l’andazzo, appena capito che noi microchippati e asserviti ai poteri forti continueremo ad andare al cinema e al ristorante nonostante cortei e isterie, consentendo all’economia di continuare a girare, adesso la protesta dei no-vax vira improvvisamente: vogliono boicottare l’economia, lo shopping, le banche.

 

«Colpiamoli nel portafoglio. Niente più uso della carta di credito o bancomat, niente consumi superflui, non ricorrere alle multinazionali tipo Amazon, niente acquisti nei centri commerciali, utilizziamo prodotti italiani e negozi di vicinato. Niente banca, ritiro liquidità dai conti correnti, scorporare quota abbonamento canone e disdire abbonamento Rai. Non vedere canali generalisti. Non consumare, non seguire più programmi. Il potere lo abbiamo noi consumatori ed utenti. Niente spese a Natale. Stiamo tra noi e facciamo un Natale come facevano i nostri nonni. Mandiamo a cagare i negozi, i ristoranti battenti green pass. Disobbedire, sparire come consumatori!», ha dichiarato un Enrico Montesano nel suo monologo più divertente dal lontano debutto nel 1966. Dunque, anche un ritorno al baratto.

 

Ora, a parte che mi auguro in futuro sia coerente e per l’acquisto di biglietti al cinema e teatro per assistere ai suoi show accetti in cambio coppette mestruali, canotti da yoga e agende riciclate in sterco d’elefante. A parte che se i no vax cominceranno a tenere i soldi nel doppiofondo del comodino, ad ogni manifestazione no-vax ci saranno 12.000 furti in appartamento, la vera domanda è: questa gente non era quella che “vogliono chiuderci, farci fallire”?

 

SOLO PER ESSERE CONTRO.

Dunque, riassumendo, ad oggi, l’evoluzione della protesta no vax è stata: il Covid non esiste, il Covid non uccide, hanno inventato il Covid perché ci vogliono uccidere, hanno inventato il vaccino perché ci vogliono uccidere (il Covid da solo non bastava?), i tamponi bucano il cervello, vogliamo fare solo i tamponi e non i vaccini, dovete riaprite tutto, vi facciamo chiudere tutto.

Roba che nemmeno il parlamentare medio cambia idea tante volte quanto un no-vax.

Ergo, è chiaro che dietro a queste proteste c’è solo il desiderio di essere contro. Sono quindi per rendere a questa gente la vita il più complicata possibile, quindi viva il super green pass pure se ha evidenti punti di fragilità. Non si capisce per esempio perché non debba valere in palestra. O nei ristoranti degli alberghi, in cui allegre comitive trascorreranno il Capodanno.

 

Non si capisce neppure perché chi si occupa di disabili possa essere esentato dall’utilizzo del super green pass, visto che i primi a dover essere protetti sarebbero proprio i disabili.

Non si capisce neppure chi eseguirà controlli sui mezzi pubblici e chi controllerà che chi fa i controlli abbia il super green pass.

 

Non si capisce perché il super green pass dovrebbe iniziare a dicembre ed esaurire la sua funzione dopo le feste, come un cinepanettone qualunque.

Si capisce, in compenso, che le feste nelle case e le cene dai parenti in cui il nonno chiede se hai portato i fagioli per la tombola e non certo il super green pass saranno i focolai più scontati e inevitabili, che molti ristoratori - come già accade - chiuderanno un occhio, che la quarta ondata è solo all’inizio.

 

Per questo il super green pass non dovrebbe essere un cinepanettone ma un grande classico, da mantenere in programmazione per lunghissimo tempo.

Perché finché non ci sarà l’obbligo vaccinale, l’unico posto in cui per entrare non dovrebbe servire il green pass è il cimitero.

 

 

 

 

Green Day, fan in delirio.

E due salgono sul palco con Billie Joe.

 

Lanazione.it – Redazione – (17 giugno 2022) – ci dice:

 

 

 

Al concerto di Firenze il frontman del gruppo fa salire sul palco due fan: uno canta con lui, all'altro regala una chitarra.

 

 Firenze Rocks, i Green Day infiammano la Visarno Arena.

Firenze, - Quando i sogni di un fan si realizzano... che sensazione incredibile. O forse un momento come quello nemmeno l'avevano mai sognato, i due fortunati che giovedì sera sono stati fatti salire sul palco durante il concerto dei Green Day.

 

Billie Joe Armstrong parte con "ciao Firenze, viva l'Italia" dall'enorme palco della Visarno Arena alle Cascine."«Oh mio Dio - ripete Armostrong per tre volte - siamo finalmente qui, dopo due anni di attesa. Stasera canteremo insieme e balleremo insieme". E così è stato con un'ora e mezzo di energia pura, con il frontman vero regista del concerto che ha diretto i cori del pubblico, fatto saltare, ballare e cantare i suoi fan. E per l'appunto due di loro li ha addirittura portati sul palco, il primo, incredulo, per farlo cantare con lui, il secondo per fargli suonare la chitarra che poi gli ha regalato tra gli applausi del pubblico e la commozione del giovane.

 

I Green Day saltano dai grandi classici come '21 Guns', 'Know your enemy', 'Wake me up when september ends', ai brani del loro 13esimo album in studio, 'Father of all motherfuckers', pubblicato nel 2020. La chiusura intorno alle 23.30 è all'altezza delle aspettative 'Jesus of suburbia' e la ballata 'Good riddance'. E mentre il pubblico applaude esausto la band regina del punk rock, una scarica di fuochi d'artificio vola in aria da dietro il palco delle Cascine: il Firenze Rocks è tornato.

 

 

 

Green pass, Meloni: Delirio del Governo,

è rimasto solo FdI a opporsi a questa follia?

 

Giorgiameloni.it- Giorgia Meloni – (21-1-2022) – ci dice:

 

Nuovo delirio del Governo:

 senza il Green Pass si potrà andare al supermercato, ma solo per comprare “beni primari”.

Quali siano questi beni primari e quali invece siano superflui lo decide il “Governo dei migliori” insieme alla sua cricca di “esperti”.

Come nell’Afghanistan dei talebani e dei mullah.

È rimasto solo Fratelli d’Italia ad opporsi a questa follia?

 

 

Green Pass, delirio di Governo:

al supermercato solo beni primari.

Meloni: fanno come i talebani.

Lavocedelpatriota.it - Leo Valerio Paggi – (22 Gennaio 2022) – ci dice:

 

 

Nella giornata di ieri il Governo si è affrettato a pubblicare una FAQ in cui spiega che nei negozi accessibili senza green pass sarà possibile acquistare qualsiasi bene. Lo commentiamo qui.

 

Nuovo delirio del Governo: senza il Green Pass si potrà andare al supermercato, ma solo per comprare “beni primari”. Quali siano questi beni primari e quali invece siano superflui lo decide il “Governo dei migliori” insieme alla sua cricca di “esperti”. Come nell’Afghanistan dei talebani e dei mullah. È rimasto solo Fratelli d’Italia ad opporsi a questa follia?”

 

È quanto scrive su Facebook Giorgia Meloni, Presidente di Fratelli d’Italia, commentando il Dpcm con l’elenco dei servizi e delle attività essenziali per accedere alle quali non servirà il certificato verde introducendo di fatto il controllo dei carrelli dei privati cittadini.

 

Si tratta di provvedimenti evidentemente motivati dall’accanimento nei confronti dei liberi cittadini che, come consentito dalla legge, hanno scelto di non sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid-19.

 

Non si spiegherebbe altrimenti un sistema di regole che consentono, all’interno dello stesso locale, l’acquisto di un pacco di pasta o di un pezzo di pane, ma vietano di allungare la mano su uno scaffale per comprare qualche altro prodotto che non rientra nei “beni primari” individuati dal Governo Draghi.

Se lo scopo fosse il contenimento del virus, su cui l’esecutivo si è dimostrato ad ogni modo fallimentare in questi mesi, come dimostrato dall’imperversare della variante Omicron, nonostante tutte le restrizioni, per la maggior parte assurde, allora per quale ragione si rischierebbe comprando un barattolo di nutella, ma non ci sarebbero problemi con una cassa d’acqua?

 

Psicopatia al potere?

(Leo Valerio Paggi)   

 

 

 

 

 

 

 

Infantilizzazione: cause,

effetti e soluzioni.

Interris.it – Marco Managò – (19 settembre 2022) – ci dice:

 

L’“infantilizzazione” è il processo con il quale alcuni genitori tendono a cristallizzare la vita dei figli, impedendogli di crescere, fisicamente e psicologicamente

 

L’“infantilizzazione” è il processo con il quale, alcuni genitori (soprattutto nel contemporaneo e opulento mondo occidentale), oppressi da paure esasperate, nel loro egoismo iperprotettivo, tendono a cristallizzare la vita dei figli, impedendogli di crescere, fisicamente e psicologicamente. Questi genitori favoriscono e assecondano comportamenti che non sviluppano l’autonomia mentale e fisica; a esempio, preferiscono che i figli non escano da casa e che trascorrano più tempo davanti alla tv o allo schermo del telefono cellulare; ne controllano, inoltre, con molta attenzione, le relazioni sociali e sentimentali. Le decisioni non sono individuali bensì per “procura”, assunte dai “grandi”.

 

Infantilizzazione, quindi, significa trattare un adulto (e un ragazzo) come se fosse un bambino, come se fosse più piccolo della sua età anagrafica. È normale che un genitore auspichi il meglio per un figlio, è patologico desiderare la perfezione.

 

Il “manuale del perfetto genitore” ancora non è stato scritto; tuttavia, l’attenzione costante che i genitori nutrono nei primi mesi e anni di vita del figlio, dovrebbe gradualmente allentarsi nel corso del tempo. L’assenza di autonomia del piccolo, nei primi giorni di vita, diminuisce sempre di più, in modo anche visibile e, proporzionalmente, dovrebbe ridursi la presenza degli adulti.

 

L’iperprotezione si concretizza, paradossalmente, in un messaggio che trasmette insicurezza e sensazione di incapacità di poter svolgere il proprio ruolo, riducendo il livello di autostima.

 

La sicurezza del bambino non è frutto del controllo adulto bensì è l’armonica costruzione del sé e dell’autostima attraverso esperienze autonome di vita, di benessere emotivo, di dialogo e confronto con l’alterità coetanea. Il genitore deve rendersi conto che non rientra nel “gruppo dei pari” del rampollo, neanche se discorre affabulando e mostrando un codice linguistico forzatamente adeguato.

 

La politica dell’essere amici dei propri pargoli non funziona, anzi. Nella società “liquida”, la confusione dei ruoli è palese: genitori e figli vivono nello stesso modo, alternano compiti e scarico di responsabilità. Le famiglie, stravolte, ridimensionate, atomizzate, non puntellano gli individui che ne fanno parte.

 

Non esistono indicatori né parametri scientifici che possano certificare il reale passaggio a una vita adulta e quantificarne la fedele permanenza. L’errore di fondo alla base della confusione tra infantilizzazione e adultizzazione, potrebbe essere sintetizzato nel concetto di “spensieratezza”. Questo, infatti, potrebbe essere il confine in cui il voler vivere sereni da parte degli adulti (come appagamento di una vita ritenuta travagliata), finisce per tracimare in un abbandono delle responsabilità.

 

Le parole di San Giovanni Paolo II nel 1997: “Sono prima di tutto i genitori ad avere il diritto e il dovere di educare i loro figli, in sintonia con le proprie convinzioni. Non cedete questo diritto alle istituzioni, che possono trasmettere ai bambini e ai giovani la scienza indispensabile, ma non sono in grado di dar loro la testimonianza della sollecitudine e dell’amore dei genitori. Non lasciatevi illudere dalla tentazione di assicurare alla vostra prole le migliori condizioni materiali a prezzo del vostro tempo e della vostra attenzione, di cui essa ha bisogno per crescere ‘in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini’ (Lc 2,52).

Se volete difendere i vostri figli contro la demoralizzazione e il vuoto spirituale, proposti dal mondo con i vari mezzi e, a volte, perfino nei programmi scolastici, circondateli del calore del vostro amore paterno e materno e date loro l’esempio di una vita cristiana”.

 

L’Istat nel “Rapporto annuale 2022-La situazione del Paese” offre diversi dati interessanti. I matrimoni, ad aprile 2020, rispetto al 2019, sono calati dell’88,5%; nel periodo gennaio-marzo 2022, dopo la fase più acuta della pandemia, sono cresciuti dell’11,1%. Per i nuovi nati, nel 2020 c’è stato un calo del 3,6% rispetto al 2019 e, considerando il periodo tra marzo 2022 e marzo 2021, un -11,9%. L’età media del parto, nel 2020, era a 32,2 anni. I figli nati fuori dal matrimonio rappresentano il 39% del totale.

 

Nel 2020/21, rispetto al 2000/2001, aumenta il numero delle famiglie (arrivato a 25,6 milioni), diminuisce il numero medio dei partecipanti (2,3). Crescita dal 12,3% al 20,6% delle persone single non vedove tra 2020/21 e 2000/2001.

 

Importanti anche le proiezioni rivolte al 2040, anno in cui il numero delle famiglie (dai 25,2 milioni del 2021) arriverà a 26,2 milioni. Le persone sole saliranno da 8,4 milioni a 10,1; le coppie senza figli da 5 milioni a 5,6; le coppie con figli da 8,2 milioni a 6,4. Nel 2020, nella fascia di età dei 18-34enni, 7 su 10 sono stati quelli conviventi in casa con i genitori.

 

“La genitorialità consapevole” è il titolo del volume della scrittrice Susanna Sartori, pubblicato nel maggio dello scorso anno da “Pathos Edizioni”. Il testo approfondisce le complesse tematiche dei due ruoli, spesso contrapposti ma che possono mantenere la giusta funzione nel dialogo consapevole e aperto.

 

Il rapporto e la considerazione nei confronti della tecnologia e degli smartphone, possono essere di due tipi. Esiste, infatti, la tipologia dei genitori che vedono la “salvezza” del pargolo nel trascorrere il tempo sul web, soprattutto se supervisionato, evitando, così, pericolose esperienze fuori le mura domestiche (quella socialità che, invece, andrebbe, di diritto, vissuta). L’altro rischio, opposto, in cui si può cadere è quello del proibire l’utilizzo dei telefoni cellulari, considerati troppo nocivi e devianti.

 

La verità è, ovviamente, nel mezzo e nel corretto uso, in qualità e quantità, del dispositivo. Dovrebbe essere il figlio, autonomo e responsabile, a quantificare quale debba essere il giusto rapporto con il web e i social, senza l’intervento e il controllo di altri.

 

Il compito educativo si sfalda nell’assecondare il volere dei figli, pur di assicurarsene la benevolenza e il plauso. L’obiettivo educativo, purtroppo, non è riferibile a elementi sul piano della crescita individuale, sociale, culturale, affettiva ma ripiega su un’ossessionante ricerca della felicità del ragazzo, indipendentemente dalle cause e dall’eticità che ne sono alla base. Non tutto ciò che rende felici, tuttavia, è corretto ed educativo.

Il ritornello che impera “l’importante è che sia felice” dovrebbe essere approfondito e non perseguito come un dogma senza valutare il costo, individuale e sociale. È necessario considerare se tale gioia sia spontanea, vera, condivisa, autonoma e non effimera, diseducativa, godereccia del momento ed egoistica.

 

La valenza di un “no” può essere più elevata rispetto a una risposta sempre assertiva. La crescita (non solo fisica) è un affare “da grandi”, non è uno scherzo. Nel rapporto scombinato fra le parti, a quella più giovane (anche 30enne) può risultare comodo, a volte, lo sgravio di responsabilità e l’ingerenza di chi pensa a tutto. Il dialogo sballato, fra le due generazioni, non è sempre frutto e colpa di quella più adulta ma, a volte, può scaturire anche da una compartecipazione di quella più giovane.

 

È fondamentale che, soprattutto nelle relazioni familiari, non sia presente, nelle parti coinvolte, un atteggiamento prevenuto. Un monito per entrambe le parti: i social, i videogiochi e il loro smodato utilizzo, rischiano di creare automi senza età, individui asettici e indistinguibili, senza più un ruolo definito.

 

La dipendenza è il peggior “regalo”, la più amara eredità che si possa lasciare a un figlio. L’“esempio”, come pagina aperta, su cui scrivere le proprie note, aggiustamenti e correzioni personali: questa è la donazione più importante.

 

Il dono deve esser reciproco e concretizzarsi nel perdono, anch’esso vicendevole. Perdono del figlio nel caso in cui si fosse verificata eccessiva autorità (o, al contrario, permissivismo) da parte del genitore e capacità di questi di poter sorvolare su alcune mancanze e incomprensioni poi capite e colmate.

 

 

 

 

 

Tecnologia, il progresso

ha cambiato le nostre vite.

 

Zai.net - Francesco Cherchi – (18 maggio 2021) – ci dice:

 

 

I dispositivi digitali sono degli ottimi alleati in ambito lavorativo e scolastico, e non solo.

  

Ormai ci troviamo in un’epoca in cui la tecnologia e l’informatica hanno preso il sopravvento sulle nostre vite, nel bene e nel male. Quando sentiamo la parola “tecnologia” spesso ci vengono in mente numerosi apparecchi elettronici e digitali che, nella maggior parte dei casi, hanno la possibilità di connettersi alle reti Wi-Fi. Nonostante ciò, in passato il vocabolo aveva ben altro significato.

 

Le origini del termine.

Il termine tecnologia è una parola composta che deriva dal greco, che per l’esattezza unisce i concetti di “arte” e “discorso” e quindi significa letteralmente “trattato sistematico su un’arte”.

 Anche Aristotele, nei suoi scritti, cita spesso un termine utilizzato come sinonimo di tecnologia, ossia “tecnica”. La tecnica era molto simile all’arte e alla scienza, e il suo campo si estendeva su tutte le attività umane.

Nel corso dei secoli la tecnica è diventata sinonimo di applicazione delle conoscenze, il cui fine ultimo era quello di produrre degli strumenti per scopi pratici.

 

La parola tecnologia indica perciò la classificazione e lo studio sistematico di tecniche applicate, spesso riferite ad un ambito specifico. Per questo motivo riconosciamo diverse tipologie di tecnologie, come ad esempio quella informatica, meccanica, elettronica e tante altre ancora.

 

Come ha influenzato il nostro sistema di vita.

 

La risposta a questa domanda è piuttosto semplice, basti pensare a tutte le volte in cui utilizziamo il nostro smartphone nel corso della giornata.

Alcune volte lo utilizziamo per risolvere un dubbio che ci attanaglia, altre volte per rimanere costantemente informati sul mondo che ci circonda (in questo periodo più che mai), oppure ancora semplicemente per scacciare la noia attraverso qualche app divertente.

 

Questo è certamente il caso più comune e frequente in cui ci avvaliamo dei moderni dispositivi; altre volte, invece, la tecnologia ci viene in soccorso e noi non ce ne rendiamo nemmeno conto.

 A tal proposito possiamo ricordare gli aiuti alla guida dell’automobile oppure i sistemi di rilevamento del traffico circostante. Ormai ogni auto di serie monta almeno alcune di queste tecnologie di sicurezza che in passato erano fantascienza, e che oggi sono realtà.

 

Un altro esempio lo troviamo nei dispositivi indossabili, i quali sono capaci di interagire con il fisico e inserirlo in un contesto di applicazioni che vanno dal monitoraggio della salute alla gestione di ogni tipo di attività.

 I watch dei vari brand sono dei prodotti giunti ad un’evoluzione tecnologica tale da poter quasi completamente sostituire lo smartphone.

 

Come precedentemente descritto, la tecnologia e tutti i suoi sistemi, sono onnipresenti nella nostra quotidianità, ed hanno migliorato tanti lati della nostra vita, dal poter imparare ogni giorno nuove nozioni su qualsiasi argomento, fino a poter anche conseguire degli studi universitari.

 La tecnologia ha automatizzato molti lavori che prima dovevano essere svolti manualmente, e addirittura ne ha creati tantissimi altri. Infatti, molti lavori moderni si basano esclusivamente sull’utilizzo di Internet e di un PC, e quindi dobbiamo sapere di poter contare ogni giorno nel loro buono utilizzo e funzionamento.

 

Vantaggi e svantaggi.

Le creazioni digitali della nuova era sono degli ottimi alleati in ambito lavorativo e scolastico, poiché se utilizzati con moderazione contribuiscono alla semplificazione di varie mansioni. Specialmente negli ultimi anni, in occasione della pandemia da Coronavirus, questi strumenti si sono rivelati più utili e preziosi che mai, hanno permesso agli studenti di tutto il mondo di continuare a seguire le lezioni anche a distanza (malgrado le varie difficoltà riscontrate in un primo periodo di modalità).

 

Purtroppo, però, è necessario tenere in considerazione anche i lati negativi dello sviluppo, come ad esempio il fatto che secondo molti esperti il digitale ha allontanato ogni individuo dalla realtà.

 

Non è raro vedere un gran numero di persone prestare più attenzione al proprio cellulare anziché alla conversazione che è in corso con un altro individuo. In effetti, vedere un mondo di persone ipnotizzate dal display del telefono può essere deprimente per molti, ma bisogna comprendere il cambiamento che la tecnologia ha portato alle nostre vite, e che ormai non si tratta solamente di vizi, ma di necessità.

 

Spesso i recenti apparecchi sono stati impiegati anche in ambito sanitario, contribuendo alla salvezza di vite umane. Sono stati numerosi gli impieghi a favore dei disabili nella speranza di migliorare l’esperienza di vita dei meno fortunati. È bene, per questo motivo, trovare il giusto equilibrio per un corretto regime di vita.

Non è semplice prevedere l’evoluzione del tema a lunga distanza, ma ciò che è certo è che gli anni che ci aspettano saranno dominati dai dispositivi di quinta generazione (5G).

Pertanto, sarà ancora più semplice entrare in contatto con altri fruitori dei servizi digitali, indipendentemente da dove si trovino ogni comunicazione avverrà in tempo reale. Nei decenni futuri l’uomo si troverà, più di quanto non lo stia già facendo, a convivere con altri sistemi informatici, i quali saranno portatori di innumerevoli nuove possibilità e almeno altrettante polemiche. Ma ciò che accadrà davvero lo sapremo solo nei prossimi decenni.

 

 

 

 

 

Come la tecnologia ha cambiato

il nostro modo di vivere.

 

Biancavillaoggi.it - Staff NsB – (26 Gennaio 2022) – ci dice:

 

 

Lo sviluppo della tecnologia è stato fondamentale nel corso degli ultimi tempi. Infatti è stato alla base di grandi trasformazioni che hanno interessato la società contemporanea.

 Basti pensare per esempio in questo senso allo sviluppo dei nuovi media, che hanno rivoluzionato in maniera totalizzante il nostro modo di comunicare.

 

Naturalmente comunicare significa tante cose, studiare, lavorare, informarsi, tenere relazioni sociali. Ecco perché non è errato sottolineare come il progresso della tecnologia è entrato a far parte prevalentemente nella nostra vita quotidiana ridefinendo il modo in cui viviamo. Ma quali possono essere gli effetti soprattutto benefici dello sviluppo della tecnologia nella società di oggi? Analizziamo più a fondo il problema.

 

Viviamo in un mondo 2.0?

Indubbiamente il progresso della tecnologia riguarda molti settori della vita sociale e delle possibilità che noi abbiamo per avere a disposizione più comodità. I bonus senza deposito casino e tutte le opportunità in termini di intrattenimento tramite il web.

 

Auto intelligenti, elettrodomestici domotici, abbiamo veramente di tutto nella società di oggi. Ecco perché molti si chiedono se veramente viviamo in un mondo 2.0, se si possa parlare di vera e propria rivoluzione tecnologica.

 

Mai come oggi in effetti possiamo vedere come il mondo sia cambiato in maniera esponenziale, considerando tutti i cambiamenti che sono arrivati grazie all’introduzione della tecnologia. È cambiato il nostro modo di spostarci, di lavorare anche grazie alle possibilità introdotte dallo smart working.

 

L’evoluzione tecnologica ha interessato parecchi ambiti ed è entrata a far parte in maniera importante della nostra vita quotidiana. Ma quali sono tutti i benefici che possiamo riscontrare grazie allo sviluppo della tecnologia nella società attuale?

 

Analizziamo alcuni aspetti.

 

Dagli acquisti online agli effetti sul turismo.

Grazie alle nuove tecnologie possiamo essere sempre più connessi, ovunque ci troviamo e in qualsiasi momento. Questo ci ha fatto cambiare molte abitudini, perché oggi per esempio non possiamo non immaginare i numerosi siti e-commerce che danno la possibilità di comprare qualsiasi cosa, ricevendola direttamente a casa.

 

Si è visto che a livello mondiale molti hanno acquisito più fiducia nei confronti degli acquisti su internet e questo ha portato le aziende a sviluppare sempre più siti di e-commerce. Anche il turismo è stato toccato dall’avvento della tecnologia in maniera importante. Infatti oggi basta avere un PC o un dispositivo mobile, oltre che naturalmente una connessione ad Internet, per organizzare i viaggi risparmiando sia a livello di tempo che economicamente.

 

I progressi informatici si vedono in molti settori del vivere quotidiano. Per esempio guardiamo il campo della sanità. Si stanno sviluppando nuovi robot in grado addirittura di eseguire interventi chirurgici.

 

Poi ci sono anche le auto, quelle chiamate intelligenti, che riescono perfino ad avvalersi di sistemi di guida automatica. Non possiamo non pensare anche per quanto riguarda lo sviluppo delle tecnologie a tutto ciò che ha a che fare con la casa domotica. Oggi si parla di smart house o di case intelligenti, di elettrodomestici intelligenti. Tramite lo smartphone, con dei semplici clic, possiamo monitorare molte azioni che si svolgono in casa, anche a distanza, da remoto.

 

Inoltre non trascuriamo il settore della sicurezza. Grazie ai progressi della tecnologia abbiamo a disposizione sistemi sempre più efficaci per la protezione della nostra casa, come per esempio gli antifurto Wi-Fi, anch’essi controllabili da remoto tramite lo smartphone o il tablet.

 

Insomma i progressi sono davvero tanti, anche per quanto riguarda l’accesso alle informazioni, e per quanto riguarda le relazioni sociali si è assistito sempre di più al trascorrere delle ore sui social media più conosciuti, come Facebook, Twitter o Instagram, restando sempre connessi con tutti e in qualunque momento lo desideriamo, superando quelli che possono essere definiti come classici ostacoli spazio-temporali.

 

 

 

Pro e contro del

progresso tecnologico.

  Planet360.info – (29 Settembre 2021) - Guido De Simone – ci dice:

 

l’Evoluzione o l’involuzione dell’essere umano e dell’intera umanità dipende dall’umanità stessa e dalle sue scelte. Non è possibile sapere prima tutte le conseguenze dell’una o altra scelta in futuro, ma due regole auree possono aiutare:

 

1) La scelta migliore è sempre quella che dopo ci consentirà di poter continuare a scegliere. Altrimenti è una trappola di cui saremo prigionieri.

2) Più la scelta è “naturale”, più sarà difficile sbagliare. È quella che farebbe qualsiasi specie animale. Tutto ciò che ci allontana dalla Natura e dalla nostra stessa natura umana è sinonimo di disumanizzazione.

 

Abbandonare la via vecchia e affidarsi solo alla via nuova comporta rischi e conseguenze, troppo spesso sottovalutate a causa dell’entusiasmo generato dalla scoperta e dall’innovazione.

 

Come tutte le forme di saggezza insegnano, il punto di equilibrio è nella giusta via di mezzo. Quanto meno consiste nel poter contare almeno su di un piano “B” che consenta di uscire da una eventuale situazione critica, di evitare il classico “vicolo cieco”.

Non tanto per tornare indietro, quanto per essere sempre in grado di gestire le cose qualora le nuove tecnologie, spesso molto delicate, si blocchino.

Difatti, la regola aurea (ineludibile) è che “la scelta migliore è scegliere sempre quella che ci consentirà poi di scegliere, mai ciò che non ha vie d’uscita”.

 

Non ho mai nascosto di essere stato sempre affascinato dalle innovazioni e non a caso sono particolarmente attratto dalla visione di film di fantascienza.

È particolarmente piacevole vedere i possibili futuri, anche perché sono un invito a riflettere su pro e contro di tutte le ipotesi. Pertanto, è facile definirmi un “progressista” più che un “conservatore” anche se un po’ conservatori lo siamo tutti, quando impariamo a vivere con successo in un determinato contesto e vorremmo continuare a prenderci tale soddisfazione, mentre siamo un po’ incerti se riusciremo a fare altrettanto in una situazione nuova e diversa. Fatto sta che in me vince la curiosità e pertanto la novità mi fa meno paura.

 

Ciò malgrado, non sono affatto un “fanatico” delle tecnologie e delle innovazioni a tutti i costi. Il fanatismo e gli estremismi, come tutti gli “ismi”, puzzano di ideologico e perciò rendono inabili a vedere, ascoltare e valutare anche le ragioni di chi non la pensa in quel modo. E quest’ultimo atteggiamento proprio non mi appartiene e non mi rappresenta.

 

Il fanatismo e gli estremismi, come tutti gli “ismi”, puzzano di ideologico e perciò rendono inabili a vedere, ascoltare e valutare anche le ragioni di chi non la pensa in quel modo, cosa che porta ai peggiori errori e alle più assurde nefandezze della Storia umana.

Cominciamo con un esempio.

Due anni fa, è venuta a cena a casa nostra una coppia di amici. Lui è da lungo tempo il responsabile della sala del controllo movimento di una delle principali stazioni ferroviarie italiane… non dirò quale per garantire l’anonimato a chi ha raccontato quanto segue. Oggigiorno un centro che controlla il movimento ferroviario è un concentrato di tecnologia che fa invidia alle torri di controllo del traffico aereo o alla sala controllo di una missione spaziale.

Vi lavorano in maggioranza decine di giovani ma esperti informatici, perennemente davanti ai loro monitor e con le mani sulla tastiera per gestire tutti i movimenti dei treni in arrivo e in partenza e le comunicazioni di servizio al personale sul fronte.

Il nostro amico ci raccontò un episodio avvenuto pochi anni fa, il 28 settembre del 2003. Improvvisamente la corrente elettrica fu interrotta in tutta la zona, ma in realtà si trattava di un black out che coinvolse l’intera nazione e per un tempo lunghissimo.

 

Foto satellitare: L’immagine dal satellite del black-out verificatosi in Italia a partire dalle ore 3:27 del mattino di domenica 28 settembre 2003.

 

A Roma stava svolgendosi la Notte Bianca e 500.000 persone stavano divertendosi, molte rimasero bloccate nella metropolitana o negli ascensori. I trasporti si bloccarono in tutti il Paese, i semafori spenti provocarono migliaia di incidenti. Le cause ufficiali si attribuirono ad un albero caduto in Svizzera su di un traliccio di collegamento con l’Italia, ma le immagini mostrate sono sembrate inattendibili a molti esperti.

 

C’è perfino il sospetto che si sia trattato di una strategia politica globale per far percepire a livello mondiale quanto l’energia elettrica fosse preziosa e la ricerca ulteriore di petrolio fosse necessaria, viste certe dichiarazioni del Presidente Bush e dei suoi consiglieri, attaccando gli ambientalisti, nonché il fatto, alquanto strano, che siano avvenuti in poche settimane ben sei  blackout pressoché totali in sei paesi (Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Italia).

 In Italia, al Nord l’elettricità tornò alle 9, al Centro alle 16:30, al Sud alle 19 e in Sicilia alle 22.

 

Le uniche aree del territorio italiano che non furono coinvolte nell’evento furono le isole di Capri e della Sardegna, quest’ultima all’epoca dotata di rete elettrica autonoma, mentre già pochi anni dopo cominciò a ricevere energia dal continente tramite il collegamento sottomarino SAPEI.

(Fonte: Wikipedia.)

 

ESA, probabilmente utilizzando in buona parte l’immagine reale, salvo sostituzione per alcune zone con immagini di altre notti, visto la inusuale assenza di nuvole su tutto il continente europeo.

A quel tempo venne riferito che la causa fu un crollo della rete elettrica che ebbe origine in Svizzera e poi, via Francia, si è scaricato in tutta Italia. In realtà alcuni specialisti in materia di energia affermano che il crollo fu causato da un “ERRORE DI VALUTAZIONE” degli enti di controllo della Gestione Energetica Nazionale che hanno sottovalutato l’iniziativa della “NOTTE BIANCA indetta la sera prima a Roma e che portò 500.000 persone in strada fino al momento del black-out.

 

Per una sfortunata coincidenza, i gruppi di continuità (le batterie) di emergenza di quella stazione ferroviaria erano sotto manutenzione, come è normale periodicamente. Risultato: tutto spento, morto, senza alcun preavviso.

 

il 90% dei presenti, informatici giovani, ma anche qualcuno che giovane non lo era, erano nel panico, specialmente chi aveva meno anni e perciò meno esperienza.

Quasi litigavano con le loro tastiere, tentando inutilmente di ridare vita a quell’ammasso di tecnologia che in quel momento era totalmente inutile.

Perfino i telefoni erano fuori uso, perché ormai sono per lo più a tecnologia VOIP, ovverosia lavorano via Internet e con linee “virtuali”. Perciò, passano da computer e modem che senza energia elettrica non funzionano.

 Tale scelta fu fatta anni fa perché alla Telecom costava molto meno sfruttare le linee virtuali che moltiplicare la cablatura con una intera rete composta fisicamente di fili a connessione diretta “peer to peer”. Scelta in un certo senso comprensibile, ma oltre che i “pro” ci sono anche i “contro” e andrebbero valutati i possibili rimedi.

 

In sostanza, la Centrale di Controllo non controllava più nulla! E quasi tutto il personale lì presente era letteralmente impotente! … Beh, QUASI tutto

 

Il nostro amico che a cena ci stava spiegando tutto questo è un “vecchio” del mestiere e a quel punto il suo racconto divenne particolarmente interessante. Lui e il suo vice, all’incirca della sua età e con altrettanta esperienza, di fronte a quella scena caotica si guardarono e bastò un semplice gesto di intesa, un rapido movimento a zig zag della mano che lui, il capo fece nell’aria, come se scrivesse con una penna su di un foglio, entrambi immaginari, un gesto che il nostro ospite ha mimato per noi che l’ascoltavamo, per farci capire cosa si stavano dicendo a gesti lui e il suo vice quel fatidico giorno del 2003.

 

Infatti, il vice capì subito, scattò in piedi e corse verso uno stanzino. Pochi minuti dopo tornò con le braccia coperte da una pila di blocchi notes e nelle mani un paio di scatole di penne da pochi centesimi l’una, tutto esternamente alquanto impolverato ma perfettamente funzionante.

 

Il capo chiamò tutti intorno a sé e spiegò: “Attenzione, ragazzi. Adesso vi facciamo vedere come si fa”.

Mentre tutti i presenti nella sala di controllo si raccoglievano intorno a loro due, il capo aveva disegnato qualcosa su di un primo foglio. Sollevò la faccia dal foglio, vide decine di occhi su di lui e disse: “Fate su ogni foglio queste righe verticali e queste orizzontali.

 Per i nomi delle colonne e delle righe, beh, ricordate la tabella su cui gestite a monitor gli ORDINI DI SERVIZIO?

Esattamente quella, chiaro?”

Il gruppo guardava attentamente lui e il vice che mostravano come disegnare sui fogli le stesse cose che facevano fino a pochi minuti prima sui computer.

 

“Ora, come avrete capito, questi sono gli ORDINI DI SERVIZIO che di solito inviate con un clic a ciascun destinatario. Bene, allora, se non ci sono dubbi, adesso è ora di fare ginnastica!

Riempite gli ordini di servizio con le istruzioni, come avete sempre fatto… E sempre in almeno tre copie… ecco i fogli di carta carbone, ok?

 Perciò, una rimane sul blocco notes, l’altra va nelle varie pile che formerete su quel bancone, una per ciascun operatore sul campo destinatario, e l’altra… Beh, avete capito?

 Oggi farete un bel po’ di corsa!

Perché la terza copia la dovete portare a mano a ciascuno dei destinatari, per ogni addetto ad un binario, o ai gestori dei cambi, o ai capitreno, ecc. Se una copia va anche al capostazione, ne preparerete una quarta e gliela portate… Tutto chiaro?!”

 

Si guardarono tutti un po’ indecisi e il vice aggiunse: ” Beh, allora che aspettate?” Via di corsa!”. E tutto iniziò.

 

Il blackout durò molte ore. La prima ora fu la più complicata, ma dopo qualche minuto i ragazzi avevano preso il ritmo e capito come fare… Avevano semplicemente appreso come si faceva una volta, quando i computer non c’erano, alcuni quando erano appena nati, altri quando non erano neppure stati concepiti.

 

 La vita di dà lezioni continuamente, basta apprenderle e soprattutto capirle.

 

Questo racconto fa riflettere e si raccorda a tutta una serie di altre cose che stanno avvenendo negli ultimi 30/40 anni. Mi riferisco ad un periodo così lungo perché già 50/45 anni fa, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, facevano il loro esordio sul mercato, ad un prezzo e dimensione man mano sempre più contenuti, dei piccoli calcolatori portatili, poi letteralmente da taschino, con cui si potevano fare in un secondo tutte le principali operazioni algebriche, aveva indotto molti giovani a sfruttarli per rendersi la vita scolastica più facile.

 

Eppure, gli insegnanti, di certo i più seri, proibirono loro di portare quegli “aggeggi” in classe e spiegarono agli studenti che era per il loro bene, perché dovevano essere in grado in qualsiasi momento e in tutte le condizioni di fare quei calcoli a mente, senza alcun aiuto. Poco dopo il Ministero della Pubblica Istruzione decretò ufficialmente che era tassativamente proibito portarli in classe.

 

Un altro esempio è riferibile a chi impara a guidare. In molti stati erano già nate le marce automatiche, ma in molti altri, fortunatamente per loro, continuava ad essere “normale” il cambio manuale. Chiunque abbia avuto la fortuna di avere un genitore che aveva imparato a guidare così, si sentì proporre di esercitarsi a cambiare le marce e usare bene la frizione provando e riprovando su di una di quelle varie autovetture senza alcun sincronismo automatico, dove il cambio lo dovevi addirittura “sentire” mentre lavorava nel passaggio da un ingranaggio ad un altro di diversa dimensione, sia dal suono, sia dall’effetto tattile sulle dita che impugnavano la leva del cambio!

 

Il fatto sostanziale è che chiunque lo abbia imparato così è perfettamente in grado di far entrare una marcia anche se la frizione fosse nei guai o del tutto consumata! E costoro sono perfettamente in grado di capire, dal suono e/o dal tatto, quando qualcosa non va e perciò è il momento di far vedere l’auto ad un meccanico.

 

Cosa è cambiato da allora? Che di auto senza sincronia automatica non ne esistono più, a meno che non siano pezzi da museo o per collezionisti. Che perfino nelle Scuole Guida non ci sono più i vecchi istruttori, che certe cose te le ripetevano finché non te le facevano capire e dimostravi loro che avevi capito facendolo davvero.

 

E si potrebbe continuare così in molti altri campi. Quasi tutti, prima o poi, sconvolti dall’arrivo delle nuove tecnologie. Senz’altro benvenute, è innegabile… Ma tutte con una conseguenza ingenuamente sottovalutata, lo stesso errore: abbandonare anche gli aspetti positivi della precedente versione.

 

 Gli aspetti positivi della “bassa tecnologia” e quelli negativi della “alta tecnologia”.

Qualsiasi tecnologia è “semplice” se almeno per sommi capi la può capire e gestire chiunque. Per convenzione essa si definisce “bassa tecnologia” proprio perché in sostanza è abbordabile da parte di tutti… Detto in linguaggio popolare: non devi prendere una laurea per metterci le mani!

 

Infatti, i problemi nascono quando i nuovi metodi e le relative tecniche e tecnologie sono fuori dalla portata delle persone comuni. Questo rende tali “alte tecnologie” un “feudo” dei soli esperti in materia. Perciò, in sostanza, diventano un vero e proprio “POTERE” in mano a pochi, che di fatto diventano una OLIGARCHIA.

 

Senza di loro nessuno è in grado di far funzionare quelle stupende macchine. E lo stesso vale, estensivamente, per la “macchina dello Stato e la sua “burocrazia” o per la politica e la sua partecipazione. Più sono complicate è per pochi, più è facile che si configuri una CONCENTRAZIONE DI POTERE e pertanto il sistema diventi tutt’altro che Democratico… E tende a replicare e tutelare sé stesso.

 

Queste considerazioni non intendono favorire o suggerire un attacco alle nuove tecnologie o a metodi di gestione innovativi. Al contrario: il problema è il sapere, la conoscenza.

 

 La conoscenza in mano a pochi determina POTERE in mano a pochi e potenziali abusi.

Se le persone, possibilmente TUTTE, non sono messe in grado di gestire in proprio le cose innovative messe “teoricamente” a loro disposizione, tutte queste persone sono altrettanto teoricamente “ricattabili” da una minoranza che lo sa fare. O da chi quelle cose le ha inventate, le costruisce e o le gestisce.

 

Noi attualmente viviamo in un periodo storico, economico e politico iniziato già negli anni ’70 e che si fonda su di una IDEOLOGIA che è stata definita, pomposamente, “NEO LIBERISMO”. Pur facendo riferimento con tono rassicurante ai “principi liberali”, questi ultimi sono di ben altra natura e puntano alla LIBERTÀ di tutti e alla LIBERA SCELTA. Il “Neo-Liberismo è tutt’altra cosa e sfrutta i principi liberali per farsi un abito elegante sotto cui nascondere la propria vera natura.

 

Prima è stata “indorata” ed abbellita, mostrandone i soli aspetti apparentemente positivi (anni ’70: la “concorrenza” presentata nei suoi aspetti più etici, in stile “de Coubertin”, per cui TUTTI i “concorrenti” si rispettano e contribuiscono ad una “vittoria condivisa”, in cui tutti hanno un merito).

Ma poi, già negli anni ’80, è venuta fuori, progressivamente, la sua vera natura (dagli anni ’80: “Non vinci mai? Ma allora sei un perdente, uno stupido fallito! NO, tu DEVI vincere… A TUTTI I COSTI!”)

 Fine delle favole!

 

Uno degli aspetti negativi – che purtroppo non sono pochi – di quella IDEOLOGIA consiste nell’ aver sempre più relegato nelle mani di pochi la capacità di gestire il nuovo paradigma socio-economico e conseguentemente politico, che ha preso forza in virtù della massa di prodotti utili ampiamente diffusi e venduti… Ma “utili” a cosa, in realtà? Se tali prodotti disabituano le persone a fare uno sforzo per ottenere un risultato, siamo veramente davanti a qualcosa di “utile” o bensì ad una trappola” che ci sta rendendo deboli e indifesi?

 

Se poi ci si rende conto che il controllo del nuovo paradigma e nelle mani di POCHI e in particolari di coloro che sono definiti “vincenti”, tanto più se hanno avuto la capacità (e la mancanza di scrupoli) di farlo anche a danno degli altri concorrenti, dove mai sarebbe la supposta UTILITÀ di tale nuovo paradigma?

 

Perché è chiaro che con questa logica perfino il secondo è un perdente… che è quasi costretto a diventare anch’esso senza scrupoli pur di fottere l’attuale vincente, per sostituirlo. E questo genera solo UN VINCENTE e UNA MASSA DI PERDENTI, TUTTI.

 

Il lato positivo, in questo, dove sta?

 

 

 

La strategia della Rana Bollita.

Peraltro, un’altra caratteristica negativa del “nuovo” paradigma” Neo-Liberista (che di “nuovo” ha ben poco, visto che da millenni è sempre e soltanto una questione di CONTROLLO e di POTERE su tutto e tutti), consiste nel proporre il cambiamento progressivamente… lentamente.

 

L’obiettivo è di far abituare la massa delle persone a tali nuovi paradigmi, facendo

riecheggiare in forme ripetute e cadenzate (vedi le tecniche della PNL) sempre più le ragioni per considerare i nuovi concetti, una volta immorali e inaccettabili, come un passo “naturale”, quasi “necessario”, così da farlo accettare senza troppi traumi. E si comincia dalle cose semplici.

 

Un esempio è il concetto che se un prodotto non funziona bene è più “conveniente” buttarlo e sostituirlo con uno nuovo.

Peccato che questo abbia provocato:

 

un pazzesco incremento dei rifiuti industriali, tanto da far temere che ben presto saremo letteralmente sommersi da essi.

Questo, per la cronaca, ha anche fatto sparire progressivamente perfino gli artigiani in grado di riparare le cose, facendoli diventare obsoleti. Infatti, ormai i meccanici ci limitano a sostituire i pezzi e perciò non riparano nulla. un’altra professionalità persa… E un altro ruolo di possibile intervento che non è più diffuso e comune a tanti, ma in mano a pochi produttori.

 

Infatti, tutto ciò ha generato un ancor maggiore potere nelle mani di un sempre più piccolo numero di persone: i produttori in grado di raggiungere dimensioni globali (sempre di meno, anche perché sono in grado di assorbire i piccoli o di eliminarli), schiacciando sempre più i concorrenti minori, cioè le economie locali, le PMI (Piccole e Medie Imprese).

 

Qualcuno si è accorto che la cosiddetta” pseudo-pandemia” è servita a fare proprio ciò? Nella sola Italia, una media che va dal 20 al 35% dei negozi e delle piccole imprese artigiane sono in netta difficoltà o sono già fallite. Basta camminare per strada e contare quante serrande sono rimaste chiuse.

 

 Come porvi rimedio.

Lo ripeto. queste considerazioni non sono affatto un attacco alle nuove tecnologie. È esattamente il contrario.

In una società equa e giusta, democratica, l’obiettivo dovrebbe essere di rendere le nuove tecnologie alla portata di tutti, lo ripeto: TUTTI.

 

L’errore che è stato compiuto negli ultimi 70 anni, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, è di mettere sempre più potere nelle mani di pochi, evidentemente dimenticando che “la tentazione fa l’uomo ladro”, un vecchio proverbio popolare estremamente saggio, perché tiene presente una parte della natura dell’essere umano che è sempre in agguato.

 

La politica, almeno in teoria, dovrebbe servire non solo e non tanto a gestire le cose pubbliche della comunità, ma anche a saper vedere le trappole in cui l’intera società o una parte di essa si può trovare imbrigliata e trovare le soluzioni per liberarla da tali legacci impropri.

La saggezza a quel livello deve essere tale da tenere sempre presente i “difetti” umani”, come l’egoismo, che ricade tra quelli derivanti dalla “CONCENTRAZIONE DI POTERE”  che ne sono la concausa.

 

Se la tecnologia corre troppo e non lascia il TEMPO alla gente comune di capirla e così dominarla, è fin troppo facile prevedere che chi “governa” tale tecnologia sta acquisendo un “POTERE ECCESSIVO ED IMPROPRIO” e che “TALE POTERE IN POCHE MANI E SENZA CONTROLLO POPOLARE” è un presupposto molto pericoloso, come la Storia insegna fin troppo bene.

 

Pertanto, il vero segreto nel fare buon uso delle innovazioni consiste nel dare il TEMPO AL POPOLO DI IMPARARE a capire, così che possa dominare tali innovazioni.

Questo va perseguito a costo di RALLENTARE l’adozione di nuove tecnologie.

 

Nel linguaggio popolare, qualsiasi persona saggia del popolo esclamerebbe: “Ehi, non ce l’ha mica ordinato il medico di farci sommergere e soffocare dalle nuove tecnologie!”.

E, in effetti, basterebbe temporeggiare per mettere TUTTI in condizione di capire almeno il necessario, così da non essere totalmente impotenti di fronte a qualcosa che non è comprensibile.

 

La CONOSCENZA è il segreto del potere.

E se il potere deve essere Democratico, allora TUTTI devono conoscere.

 

Alessandro Manzoni descrisse nel suo “I Promessi Sposi” due figure emblematiche, rappresentanti di due categorie che, approfittando della loro conoscenza, all’ombra del potente sovrano di turno, sovrastavano e tenevano sotto controllo il popolo ai tempi in cui il Risorgimento era, infatti, quel movimento che si batteva per unire l’Italia e gli italiani e, possibilmente, arrivare ad una Repubblica, proprio per liberarsi da un’evidente stato di OPPRESSIONE da parte di pochi che si sentivano “superiori”.

 

Uno dei due personaggi manzoniani era un prete, il cui uso, anche arrangiato, del latino metteva in soggezione i poveri contadini inermi di fronte a chi faceva pesare loro la loro ignoranza.

Un altro era un avvocato, Azzeccagarbugli, nome appropriato per rappresentare chi sapeva muoversi tra i meandri della legge. E questa capacità veniva fatta pesare ai poveracci ignoranti, potendo raccontare loro qualsiasi fandonia, data la loro impossibilità di ribattere.

 

Il guaio, per parlare chiaro, è che ambedue sono figure che ancora oggi troviamo e sopportiamo, anche se sotto altri ruoli formali e di potere.

 

Un esempio sono i notabili di partito le vere persone potenti che nei partiti imperversano, nonché i loro accoliti, alleati e servitori, per convenienza.

Cioè, quei pochi che veramente contano (e il loro piccolo esercito di “controllori” ben piazzato nei punti chiave), perché sanno far funzionare la macchina pubblica a loro piacimento, visto che sono loro stessi che l’hanno regolamentata e adattata a tale impostazione “per pochi”, o che hanno continuato nel solco di chi li ha preceduti.

Va però sottolineato che, per fortuna, è sempre esistita, anche tutt’ora, una maggioranza di membri dei partiti politici che nulla a acché vedere con costoro, salvo subirli anche loro.  che una coscienza ce l’hanno e non la rinnegano, facendo del loro meglio, quel che possono, per rimediare ai loro pessimi colleghi.

Perciò, si diano una calmata coloro che accusano TUTTI gli impiegati pubblici, perché non si può, in nome di una ingiustizia subita, anche se da troppo tempo, essere così stupidi a commettere un’altra ingiustizia a danno di chi non è affatto un colpevole, bensì vittime anch’essi, né più né meno come tutti.

 

Un altro esempio sono “i controllori” dell’Amministrazione Pubblica, con una gerarchia che permette perfino al semplice impiegato asservito a ciò di sentirsi “potente” e lo induce ad esercitare tale arroganza a discapito del malcapitato cittadino.

 

Va però sottolineato che, per fortuna, è sempre esistita, anche tutt’ora, una maggioranza di impiegati pubblici che una coscienza ce l’hanno e non la rinnegano, facendo del loro meglio, quel che possono, per rimediare ai loro pessimi colleghi. Perciò, si diano una calmata coloro che accusano TUTTI gli impiegati pubblici, perché non si può, in nome di una ingiustizia subita, anche se da troppo tempo, essere così stupidi a commettere un’altra ingiustizia a danno di chi non è affatto un colpevole, bensì vittime anch’essi, né più né meno come tutti.

 

E poi ci sono i produttori, ormai ben nascosti nei meandri dei consigli di amministrazione e delle assemblee sempre più spersonalizzate, così che in nome degli “azionisti” (mai termine fu più vago e astratto e perciò un ottimo nascondiglio dietro cui si può celare di tutto) a cui ci si appella come per giustificare un apparente carattere “democratico” che giustificherebbe tutto e che, in realtà, sta in poche mani che puntano al CONTROLLO TOTALE e potenzialmente al MONOPOLIO.

 

Ciò non significa che tutti i politici e tutte le persone in affari sono dei delinquenti. La MAGGIORANZA di costoro sono persone per bene che spesso subiscono i veri potenti, pochi, adattandosi alle “regole” di questi ultimi e così asservendosi alle loro logiche, alcuni ben lieti di tale scelta, altri a malincuore ma obbligati a stare al gioco.

 

C’è da fare una grossa pulizia da certe devianze mentali, così da recuperare la maggioranza che non è certo contenta di subire e adattarsi per mera sopravvivenza in un mondo che ormai sembra irrecuperabile.

 

Basterebbe che costoro credano in sé stessi e nella propria capacità di fare di meglio, a partire dall’aiutare il resto della popolazione a CONOSCERE e capire come funzionano le cose e come migliorarle.

 

Ai più cinici verrà spontaneo porre una domanda: “Perché mai dovrebbero farlo e non dovrebbero tentare di prendere loro il nuovo potere al posto di coloro a cui si fossero ribellati?”

Perché sanno che si ritornerebbe prestissimo alla prigionia in poche mani, dove solo alcuni di loro conterebbero e tutti gli altri li subirebbero. Lo sanno e conoscono i rischi di essere più facilmente tra gli sfruttati.

 

Perciò, più possono contare su di un popolo erudito e in grado di impedire a qualsivoglia “furbo” di prendere il controllo e progressivamente scavare la fossa a qualsiasi possibilità di tenerli a bada e fermarli, più vivranno meglio anche loro, invece di essere una pedina sfruttata per consolidare il potere dei veri potenti.

 

E allora i robot e l’intelligenza artificiale?

Che volete che vi dica… Ancora non è chiaro?

BENVENUTI i robot, e pure l’intelligenza artificiale quantica… Ma, ad una sola condizione: non vi inventate che “è per il bene di tutti!”, che “tutti staranno meglio grazie a queste fantastiche innovazioni!”.

 

Questa favoletta l’avete venduta un po’ troppo spesso negli ultimi 50 anni.

Cosa dovreste fare? Prima mettete TUTTI, proprio TUTTI, in condizione di conoscere e capire, e solo dopo TUTTI potranno decidere Democraticamente, cosa è giusto innovare e cosa deve aspettare.

 

Se è per il LORO bene, che allora siano LORO a decidere, non voi.

 

I robot DEVONO affiancare la gente, non essere ingovernabili dalla gente, che così diverrebbe, paradossalmente, una specie inferiore!

E non esistono pretesti accettabili di alcuna sorta che possano sovvertire tale principio.

 

Ad un’eventuale reazione del tipo: “Ma questo significa far fallire quelle imprese che hanno investito tanto in queste nuove tecnologie quantiche!”, qualunque persona di buonsenso risponderebbe: “… E chi glielo ha ordinato, il medico?! Noi no! Allora, la prossima volta lo chiedano PRIMA a noi, visto che loro dicono che lo fanno per noi!”.

 

È abbastanza chiaro?

 

 Ma anche per i vaccini di nuova generazione?

Tanto più per ciò che riguarda la salute di TUTTI. Nuove tecnologie, fantastiche, innovative? Nulla in contrario… MA, SOTTO CONTROLLO PUBBLICO, cioè sotto controllo POPOLARE.

 

La cosa più VERGOGNOSA di quanto è stato fatto in quella che è stata definita, impropriamente, la “pandemia di COVID-19” da coronavirus SARS-CoV.2, è il fatto che delle SOCIETÀ PRIVATE, evidentemente POTENTISSIME avendo bilanci che sono spesso perfino superiori a quelli sommati di più stati nazionali, si siano potute permettere il LUSSO di far passare per buoni dei vaccini peraltro solo sperimentali, di cui:

 

nessuno sa nulla per intero, nemmeno i medici! E tutto ciò avviene in nome di anacronistici e inaccettabili “segreti industriali” (non ci possono essere segreti di alcuna natura quando si tratta di cose che hanno conseguenze sulla salute delle persone!)

si ignorano TUTTE le possibili conseguenze dell’uso di tali prodotti SPERIMENTALI (non testati), perfino quelle a breve termine (e i numerosi effetti collaterali che si stanno manifestando da quando hanno cominciato a imporli alle popolazioni con la paura o, nel caso dell’Italia, con addirittura delle leggi ad hoc, con un numero impressionante di morti di tutte le età o con conseguenze pesanti sulla salute ancora da valutare), e a questo punto ancor di più ci si aspetta a medio e lungo termine.

L’uso di tali farmaci sperimentali non è AFFATTO GIUSTIFICATO, considerato che LE CURE ESISTONO e costano pochissimo. E pertanto è PROIBITO DA TUTTE LE LEGGI, nazionali e internazionali, l’uso di prodotti sperimentali, autorizzabili solo se NON ci sono le cure, nonché se la malattia in oggetto è veramente LETALE (cioè, causa la morte inesorabilmente in pochi giorni), cosa affatto vera visto che la letalità del COVID.19 è ben al di sotto di quella di una normale influenza! E questo nonostante le cifre delle cause di morte siano state ampiamente falsate attribuendo a COVID.19 anche chi era morto per malattie pregresse e in fase terminale! Fatti già appurati in molti casi, ma che si prevede saranno un numero considerevole a seguito di adeguate indagini.

Pertanto questo tentativo di VACCINAZIONE DI MASSA è basato su di una IMPRESSIONANTE SERIE DI BUGIE!

 

Tecnologia e scienza sono sinonimi di POTERE. Qui non sono in discussione coloro che dedicano la loro vita alla ricerca.

 

Il problema nasce quando qualcuno, con ben altri schemi mentali di chi si dedica alla scienza e in particolare alla medicina, mette le mani su tale sistema che ha una sua etica e deontologia professionale e, invece di aumentare tali impostazioni etiche, comincia a portarvi il “VIRUS DELLA POLITICA” della peggiore specie, quella che punta al potere senza controllo. Perfino corrompendo, con considerevoli ritorni, alcuni esponenti di tali campi affinché si asservano agli scopi di costoro.

 

Affidare la ricerca alle società private invece di finanziare la RICERCA PUBBLICA può generare molto facilmente delle situazioni precarie e molto discutibili se non VERGOGNOSE.

 

Un esempio è la logica per cui una malattia rara, che riguarda poche persone, non è “economicamente interessante” per un soggetto giuridico il cui unico fine è il PROFITTO.

Pertanto, quelle poche, che non hanno fatto nulla di male e non si meritano tale CINISMO, invece di ottenere un vero aiuto da chi ha come MISSIONE LA SALUTE DI TUTTI, vengono di fatto condannate ad una vita d’inferno e ad una fine infame semplicemente perché “non sono convenienti”.

 

LA RICERCA È UN BENE COMUNE, perciò non si può affidare unicamente ad enti privati dalla dubbia etica. Vogliono concorrere anche loro alla ricerca? Bene, ma lo fanno SENZA alcun ritorno economico diretto ed automatico, perché i brevetti di tali farmaci o metodi diagnostici, ecc., sono PROPRIETÀ PUBBLICA. Stop. Non si negozia su tali principi.

 

Troppo potere in troppe poche mani: è quasi sempre la causa più che certa di GROSSI guai.

 

C’è solo da augurarsi che i tanti episodi, tra i quali quelli qui citati, aprano gli occhi su come tutte le cose dovrebbero essere organizzate e CONTROLLATE.

(Guido De Simone)

 

 

 

 

 

Zelensky è un sanguinario, il ruggito del coniglio

degli imprenditori italiani:

chiedono bonus e non la fine della guerra.

 

msn.com- il Riformista – Paolo Liguori – (4-10-2022) – ci dice:

 

Ad Assisi il presidente Mattarella ha parlato della necessità della pace e delle responsabilità di tutte le religioni nel difenderla. Un discorso importante ma anche ovvio. Il Papa aveva parlato qualche giorno fa con parole molto incisive ma la stampa è riuscita – diciamo – a silenziarlo. Dicono ce l’avesse con Putin, non è vero, ha fatto un appello anche a Zelenski.

 

Poi c’è un modo molto ‘annacquato’ di dire “siamo tutti per la pace”, e poi, come i laici, c’è chi dice che bisogna parlare d’altro.

Vediamo che cos’è questo altro. È viltà.

Oggi gli imprenditori italiani dicono “non ci possiamo permettere in questa situazione economica di parlare di pensioni, di tasse, non abbiamo le risorse economiche per parlarne”.

 Io dico che questo è il ruggito del coniglio perché non abbiamo mai sentito in questi mesi dire da loro “noi non possiamo permetterci di continuare una guerra come questa perché le aziende chiuderanno”. È inutile parlare delle conseguenze se non arriviamo alla causa. E la causa è la guerra.

 

Gli imprenditori americani, olandesi, norvegesi, ci guadagnano. Il resto dell’Europa ci sta rimettendo ed anche tanto. Gli imprenditori dovrebbero dire che l’unico modo per mettere un freno a tutto questo è fermare la guerra.

Ma per fermare la guerra è necessario che non si vendano più le armi.

 E non è che noi siamo la stessa cosa di Zelenski. Lo vorrei ripetere perché qui si dice che la Russia è un Paese invasore e totalitario (e io sottoscrivo). Però dire che l’Ucraina ci rappresenta non è vero.

 

Quando un presidente dice ‘uccideremo tutti’ è un sanguinario e non mi rappresenta e soprattutto non rappresenta gli interessi del popolo europeo.

 Noi siamo stati zitti sul fatto che tutti i maschi sopra i 18 anni in Ucraina sono stati costretti a prendere le armi, coscritti obbligatoriamente. E c’è la legge marziale. Zelenski non ha gli stessi valori di un Occidente liberale.

Non stiamo dalla sua parte perché abbiamo gli stessi valori, ma solo perché ce lo impongono gli Stati Uniti.

Con gli Usa è diverso perché lori sì, hanno i nostri stessi valori. Però gli imprenditori tacciono, ma se tacciono gli imprenditori e poi chiudono le imprese, noi possiamo continuare a dire che ci vogliono i bonus, i ristori?

Abbiamo il coraggio di dire che c’è bisogno che finisca la guerra. Tranne il Papa nessuno ha il coraggio di dirlo.

 

 

 

 

 

13 invenzioni che hanno cambiato

la storia degli ultimi 600 anni.

 

geopop.it – Nicole Pillepich – (6-1-2022) – ci dice:

 

 

Ogni invenzione è importante e aiuta il progresso tecnologico. Ma quali sono le invenzioni che hanno segnato la storia del mondo negli ultimi 600 anni? Ne abbiamo selezionate 13.

 

In questo articolo vi raccontiamo 13 tra le più incredibili invenzioni (ce ne sono sicuramente tante altre) che hanno segnato la storia del mondo e modificato le abitudini di vita della comunità umana su scala globale. Dalla scoperta della stampa alla lampadina, fino ai vaccini e all'invenzione del computer, sono diverse le innovazioni che hanno cambiato in meglio l'esistenza degli uomini. La classifica non è in ordine di importanza, ma semplicemente temporale.

La maggior parte delle volte, un'invenzione è frutto di una serie di prove ed esperimenti svolti nel tempo e da più persone: dietro un nome importante ci sono tanti altri nomi dimenticati ma che hanno gettato le basi per le intuizioni successive.

1 – Stampa, 1453-1455

 (stampa Gutenberg

in foto: Ricostruzione di una macchina da stampa di Gutenberg)

 

L'invenzione della stampa moderna è stata attribuita ufficialmente a Johannes Gutenberg, orafo e tipografo tedesco. Negli anni '50 del 1400 è stato Gutenberg ad inventare la stampa a caratteri mobili, il primo metodo rapido di trascrizione in grado di superare a piè pari la copiatura a mano. Il macchinario utilizzato prevedeva un sistema di lettere intercambiabili in grado di stampare intere pagine di testo, velocizzando esponenzialmente il processo di trascrizione a penna. Sapete quale fu il primo testo stampato? La Bibbia.

In realtà già a partire dal VI secolo d.C. erano diffuse in Cina e in Egitto delle forme di stampa, considerate tra le più antiche al mondo, anche se alcuni tessuti stampati sembrano risalire al III secolo d.C., ben prima della data ufficiale che troviamo sui libri di Storia. Nonostante questo, prendiamo comunque Gutenberg come riferimento perché ha reso i libri accessibili alle classi inferiori e contribuito a innescare l'età dell'Illuminismo, facilitando la diffusione delle idee.

 

2 – Microscopio, fine 1500 – metà 1600.

(Antico microscopio)

 

Il microscopio ottico moderno è formato da una serie di lenti che ci permettono di ingrandire e di vedere oggetti altrimenti invisibili ad occhio nudo. Grazie alle lenti e alla luce, possiamo ottenere immagini con ingrandimento e risoluzione elevati. Il primo prototipo di microscopio composto da più lenti fu realizzato verso la fine del 1500 in Olanda, utilizzato poi dal filosofo naturalista Robert Hooke per la stesura del suo volume "Micrographia" con cui spopola nella comunità scientifica britannica per le sue tavole accuratamente descritte di pulci, pidocchi e altre forme di vita microscopiche. Fu proprio Hooke in quest'opera a coniare il termine "cellula" per la prima volta. Fu però l'olandese Antoni van Leeuwenhoek ad affinare questo strumento, dando il via alla microbiologia. La tecnologia in questo settore ha fatto grandi passi in avanti e oggi possiamo fare affidamento su microscopi elettronici e a scansione che ci permettono di vedere dettagli che mai avremmo immaginato.

 

3 – Orologio moderno, 1656.

(Orologio da tasca)

 

Anticamente per segnare lo scorrere del tempo si utilizzavano le meridiane e le clessidre, strumenti in grado di sfruttare la luce solare e la sabbia a questo scopo. I primi orologi meccanici sono stati realizzati nel tredicesimo secolo, seguiti poi dall'invenzione dell'orologio a pendolo da parte di Christian Huygens nel 1656 sulla base delle osservazioni di Galileo. L'orologio da polso diventa un accessorio indispensabile a partire dalla fine del diciannovesimo secolo quando Antoni Patek e Adrien Philippe fondarono la nota fabbrica di orologi. Questo strumento diventa fondamentale in campo bellico per sincronizzare gli attacchi e, oggi, la precisione dei meccanismi è estremamente elevata. Insomma, oltre ad essere un accessorio elegante, l'orologio è diventato parte integrante delle nostre vite.

 

4 – Motore a vapore, 1769.

(Locomotiva a vapore)

 

L'utilizzo del vapore come fonte di energia fu concepito già ai tempi dei Greci, ma per la realizzazione di una macchina efficiente si dovette attendere fino al 1700. A seguito di numerosi prototipi realizzati da brillanti menti prima di lui, James Watt riuscì a realizzare una macchina con un meccanismo in grado di sfruttare la pressione del vapore per generare movimento di componenti meccaniche. Questa invenzione ha dato il via alla rivoluzione industriale, potenziando e ampliando le applicazioni tecniche industriali e lanciando i primi mezzi di trasporto come treni e automobili.

 

5 – Vaccini, 1796.

(vaccino)

La nascita dei vaccini si deve ad Edward Jenner, medico britannico che contribuì alla sconfitta del vaiolo. A causa di questo virus la popolazione europea fu decimata e ben presto si scoprì che i sopravvissuti erano immuni alla malattia: fu così che iniziarono le ricerche verso l'immunizzazione. Jenner scoprì che inoculando nei pazienti sani una forma di vaiolo bovino meno intensa (il vaiolo vaccino, da cui prenderà il nome questa tecnica), i soggetti sviluppavano la malattia ma guarivano velocemente e, cosa più importante, non venivano infettati dal vaiolo umano, variante molto più grave di quello vaccino. Il primo essere umano vaccinato fu il giovanissimo James Phipps di appena 8 anni. Le vaccinazioni cosiddette jenneriane diedero il via alla ricerca massiccia di malattie come tetano, difterite, rabbia, poliomielite, morbillo, parotite e rosolia.

 

6 – Telefono, 1849.

(Telefono)

Alexander Graham Bell è spesso considerato l'inventore del telefono, ma in realtà è stato solamente il primo a brevettarlo. Ma in quanti di voi conoscono il fiorentino Antonio Meucci? Meucci ha inventato un dispositivo di comunicazione in grado di trasformare il suono in segnali elettrici quasi un decennio prima di Bell, nel 1849, chiamandolo "telettrofono". Seguono ulteriori brevetti, scontri e peripezie tra Meucci, Bell e altri inventori per accaparrarsi il merito di questa invenzione che avrebbe letteralmente cambiato la Storia. Si arrivò ad uno scontro per vie legali, vinto solo moralmente da Meucci: essendo già scaduto il suo brevetto, il merito dell'invenzione del telefono passò ufficialmente a Bell.

 

7 – Lampadina, 1880.

(Antico microscopio)

Tutti almeno una volta nella vita abbiamo sentito nominare Thomas Edison, l'inventore della lampadina. Questa invenzione, in realtà, fu teorizzata e sperimentata da Humphry Davy molti anni prima e ripresa successivamente da Joseph Wilson Swan che però realizzò bulbi dalla vita breve. Edison riprese queste idee, brevettando la prima lampadina a incandescenza duratura, con l'ausilio di un bulbo vuoto e dei fili metallici. Contemporaneamente a Edison furono molti gli scienziati che realizzarono prototipi funzionanti ma, spesso e volentieri, sono i soldi a fare la differenza. Pare, infatti, che uno dei meriti di Edison fu quello di essere stato il più rapido nel proporre il brevetto, accaparrandosene il merito a discapito degli altri inventori.

8 – Televisore, 1884.

 

(televisione)

La prima forma di televisore meccanico fu inventata dal tedesco Paul Nipkow nel 1884, tramite un sistema in grado di inviare immagini tramite dischi rotanti. A partire da questa tecnologia l'ingegnere scozzese John Logie Baird creò la prima vera e propria televisione, anzi, "radiovisione" in grado di trasmettere immagini in movimento. Seguirono ulteriori modifiche e migliorie, sostituendo i dischi rotanti con tubi a raggi catodici, creando il primo sistema televisivo completamente elettronico. Ricordiamo i russi Vladimir Zworykin e Boris Rosing che, contemporaneamente a Baird, diedero il via allo sviluppo di questa tecnologia che si è evoluta fino a raggiungere le nostre case.

 

9 – Aeroplano, 1903.

(Aeroplano fratelli Wright)

In molti l'avevano sognato (e anche Da Vinci l'aveva vista giusta) ma solo i fratelli Orville and Wilbur Wright ce l'hanno fatta davvero: il 17 dicembre 1903 in Pennsylvania, USA, è stato effettuato il primo volo a motore, controllato e sostenuto. È durato solo pochi secondi, ma ha segnato la nascita dell'aviazione. I due fratelli realizzarono un aereo con apertura alare di 12 m e peso di 340 kg (compreso il pilota), dotato di motore a scoppio con quattro cilindri e 12 cavalli do potenza. Le ali, realizzate in tessuto pesante, ricoprivano un semplice telaio in legno e l'intera struttura era manovrata con un timone e un sistema di tiranti. Da quel momento seguirono migliorie, nuovi esperimenti e infine, nel 1906, brevettarono e commercializzarono il primo aeroplano.

 

10 – Frigorifero, inizi ‘900.

(frigorifero antico)

(in foto: Uno dei primi modelli di frigorifero disponibili al pubblico).

Quella del frigorifero è una storia in più step, che parte già dall'antichità con la produzione e la conservazione del ghiaccio naturale arrivando infine ai giorni nostri con i più moderni macchinari in circolazione. L'invenzione di questo elettrodomestico è avvenuta a seguito di numerosi tentativi e brevetti ed è difficile attribuire ad un singolo il merito, tuttavia ricordiamo Alfred Mellowes e Reuben Bechtold che nel 1916 inventarono un prototipo di frigo moderno, acquisito poi dalla General Motors che diede il via alla produzione del marchio Frigidaire nel 1919. Nel 1930 venne progettato un altro prototipo da nientepopodimeno che Albert Einstein e il suo collega Leo Szilard. Questo elettrodomestico ormai è entrato a far parte delle nostre vite e non possiamo più farne a meno.

 

11 – Computer, 1945-1946.

 

(Primi computer)

I computer sono una delle più grandi invenzioni dell'umanità e ci permettono di svolgere calcoli impossibili per gli esseri umani. Nel 1936 fu Alan Turing a gettare le basi dell'informatica moderna, con le sue teorie e la costruzione di una delle prime "macchine pensanti" al mondo. Sebbene non esista un unico inventore del computer moderno, ricordiamo il meccanico Charles Babbage e Ada Lovelace (la figlia del poeta Lord Byron) che diedero il via ai primi linguaggi di programmazione, seguiti da Mauchly, Eckert e colleghi che progettarono ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer), il primo computer elettronico e programmabile, completato tra la fine del 1945 e gli inizi 1946.

 

12 – Internet, anni '60.

(Internet)

Internet è esploso negli anni '90, ma il suo sviluppo ha radici negli anni '50 con le prime ricerche americane dell'Advanced Research Project Agency (ARPA) per scopi militari. Sulla base del concetto di "rete" di comunicazione (net o web in inglese) si sviluppano i primi sistemi in grado di comunicare a grandi distanze, avendo accesso alle informazioni anche in caso di guasto parziale dei singoli calcolatori. Nel giro di qualche anno nacque il Progetto Internetting, coniando il termine internet che usciamo ancora oggi. A seguito dell'avvento dei computer e della loro distribuzione a livello domestico, Internet e il WWW (World Wide Web) sono diventati parte delle nostre vite quotidiane.

 

13 – Reazione a catena della polimerasi (PCR), 1983

(macchina PCR

in foto: Macchina per la PCR)

Nel 1983 Kary B. Mullis ideò per primo il metodo della Polymerase Chain Reaction (PCR) dando un'enorme svolta alla biologia moderna. Questa tecnica permette di ottenere in vitro più copie di DNA a partire da un singolo filamento, seguendo una serie di step (con tempi e temperature variabili) per ricostruire artificialmente ciò che avviene durante la riproduzione cellulare. Le applicazioni di questa tecnica sono quasi infinite: dalla diagnostica alla medicina legale, per l'analisi genetica, la paleontologia, l'antropologia molecolare e l'ingegneria genetica. Con questa invenzione Mullis ottenne nel 1993 il Nobel per la chimica.

(Nicole Pillepich)

 

 

 

 

 

 

 

 

No-vax e ignavi: è

la dittatura dell'ignoranza.

 

Iltirreno.it – Stefano Tamburini – (25 luglio 2021) – ci dice:

 

 Siamo arrivati al punto in cui il nostro principale avversario non si chiama più Covid-19. Vero, non è facile crederci, però è così: siamo arrivati al punto in cui il nostro principale avversario non si chiama più Covid-19.

Sì, c’è di peggio rispetto al nemico invisibile che nell’ultimo anno e mezzo si è manifestato sotto forma di lockdown, zone arancioni e rosse, economia in picchiata, ospedali a rischio tilt, scie di lutti, fame, cassa integrazione e sussidi a singhiozzo, suicidi per miseria e guerre fra ultimi, penultimi e terzultimi per accaparrarsi le briciole di un’economia in recessione.

 

Insomma, una sorta di peste con la faccia immaginaria. Ne abbiamo però una peggiore, anche questa non si vede ma è terribile.

Ed è quella che ostacola l’uscita dall’emergenza e ci apre le porte alla dittatura dell’ignorante che detta la linea alla politica più becera, quella delle braghe calate per un voto in più.

Siamo purtroppo arrivati allo stesso punto in cui – durante gli Anni di piombo – una parte residuale di quella sinistra un po’ snob si parava dietro lo scudo dello slogan “Né con lo Stato, né con le Brigate Rosse”.

Era una finta equidistanza, pelosa e molto imbecille, che strizzava l’occhio a una follia ideologica perdente.

Non erano certo brigatisti quelli che si nascondevano dietro lo slogan, ma con quella frase erano fiancheggiatori indiretti.

Perché se lo Stato era in pericolo – e fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta il rischio era altissimo – anche se quello Stato non ci piaceva, era da quella parte che si doveva stare, perché l’alternativa era la dittatura del terrore spacciata per lotta di classe.

 

Adesso accade la stessa cosa, con più inconsapevolezza ma non troppo. Oggi essere equidistanti fra chi si vaccina e il delirio dei movimenti No-vax, vuol dire comportarsi come quelli dello slogan “né con lo Stato né con le Brigate Rosse”.

 

Attenzione, qui non si teorizza affatto l’obbligo vaccinale, la siringa coercitiva.

 La nostra Costituzione non lo consente se non nei casi dettati da leggi di emergenza e vien da dire per fortuna, perché se così fosse l’obbligo potrebbe scattare per qualsiasi altra cosa. Ma, pur salvando i diritti, non si possono eliminare i doveri. E qui l’ignoranza di chi crede alle favole sciocche che trova sparse con mani sapienti nell’universo della finta informazione digitale, viene superata dall’ignavia del politico strizzatore d’occhio, che dice e non dice, che fa capire.

Ogni tanto a mezza voce dice anche che bisognerebbe vaccinarsi ma precisa subito che è «per la libertà».

 Insomma, tutti quelli che i vaccini non li vogliono capiscono che è nel politico un po’ buzzurro la loro speranza, è in quelli del «me ne frego». Quel «me ne frego» che richiama libertà solo nelle menti degli stolti, perché la frase rappresenta esattamente il contrario. La libertà è fatta anche di regole, non è far quel che si vuole.

 

Appellarsi all’autoritarismo del Green pass è puro esercizio teorico, che può servire nella perenne campagna di ricerca del consenso più facile. Fa presa fra quelli che non vogliono i vaccini perché in realtà sperano che li facciano gli altri. Loro poi magari li trovi in fila all’Asl per cautelarsi se devono andare in Kenya o in Oriente. E se poi al Green pass legassero un euro di sconto al ristorante, molti fra quelli che ora strepitano diventerebbero pretoriani del “passaporto”.

 

Certo, una persona aperta al ragionamento, anche di bassa istruzione (di destra, di centro o di sinistra) non la conquisti con uno slogan, devi convincerla con la ragione, con le idee, con la costruzione di un progetto competitivo. Con l’arrogante (ignorante anche se laureato) è più facile, basta fargli credere che la pensi come lui, lasci cadere la rete a strascico sui fondali dei sondaggi e dei social e poi la tiri su quando è piena di follie o mezze follie. Quelle del primo caso non puoi proprio sostenerle epperò non le avversi neanche, quelle del secondo caso le cavalchi ammantandole di nobiltà di diritto.

 

Ma oggi come oggi una campagna anti-vaccinazione non può stare sullo stesso piano di quella per la salvezza collettiva. E negli ultimi giorni le parole migliori sono state quelle del presidente del Consiglio, Mario Draghi: «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore».

 

Di fatto, il capo del governo ha dovuto esprimere un concetto elementare, una cosa alla “uno più uno uguale due”. Sì, perché siamo alla contrapposizione con chi sostiene che invece fa tre. E allora non si può proprio accettare il confronto. Il Green pass c’è perché ci sono quelli che non si vaccinano e vorrebbero vivere a tiro di contagio. Senza vaccinazioni si deve chiudere tutto, ognuno dovrebbe ritirarsi nella propria caverna, sarebbe negazione non solo del progresso, sarebbe oscuramento della civiltà.

 

E allora qui siamo ben oltre la demolizione del concetto base di libertà (finisce dove comincia quella degli altri), siamo allo stravolgimento della convivenza civile. È il vicino di casa rumoroso che ti impone il suo casino dicendoti che dormire nel silenzio è una scelta come quella di non dormire e far festini rumorosi. No-Vax e no-Green pass sono così.

 

Dovremmo batterci con serenità, questo sì, affinché i tracciamenti di tutela della salute (app, green pass, registri presenze nei locali) non possano essere usati per altri scopi, per una sorta di Grande Fratello che non garantirebbe libertà. Ma al momento la libertà più importante passa proprio da quegli strumenti perché c’è chi vuole impedirci di raggiungere un livello di sicurezza collettivo. Adesso negli ospedali finiscono solo non vaccinati, oggi rischia chi non accetta il siero e il livello di contagio in questo modo resta alto. Così domani la letalità potrebbe di nuovo alzarsi con la riduzione dell’efficacia dei vaccini e la mutazione del virus. Purtroppo siamo in mano a chi si abbevera a false informazioni e attribuisce complotti fra Stati e case farmaceutiche come se fossero titoli del calciomercato estivo. Persone che non si sognano ovviamente di mettere in dubbio il numero delle ruote del carrello di un aereo con il quale vanno in vacanza o l’efficacia di un dispositivo frenante della loro auto. Però sui vaccini credono di saper tutto, perché anche il politico strizzatore d’occhio fa la stessa cosa.

 

Quelli che danno loro corda molto spesso sono gli stessi che alimentano la teoria del “più armi per tutti”, che sparare sia lecito in ogni caso, che trasformare il lavoro dipendente in schiavitù delle ditte individuali sia libera imprenditoria e non macelleria sociale. Che diminuire le tasse lasci inalterati i servizi al cittadino, quando invece è il cittadino meno abbiente che ci rimette. I poveri illusi purtroppo cadono sempre nel tranello. E, a proposito di peso sui conti, le furbate no-Vax ben che vada allungheranno i tempi dell’emergenza. E i costi, che pagheremo tutti. Sono ladri di civiltà e ci stanno rubando il futuro. Oggi sono per non vaccinarsi, domani per chissà cos’altro ancora. Ecco perché il Covid rischia di non essere l’emergenza peggiore. Nel frattempo, il Green pass è uno scudo per non dover usare la lancia.

L’attentato alla democrazia non è nelle regole o in una app. È nel terrorismo dell’ignoranza.

 

 

 

 

I movimenti “no green pass”

tra negazionismo e riduzionismo.

Ovvero “della fragilità umana.”

 

Pressenza.com - Antonio Minaldi – (20.10.21) – ci dice:

 

La parola d’ordine dei movimenti No Green Pass è, come è noto, “Libertà! Libertà!”.

Ci sarebbe molto da scrivere (come abbiamo già fatto e come ancora faremo) su questo concetto vissuto (e urlato) come un assoluto, senza considerare che esso si caratterizza in realtà come una relazione sociale, fondata sulla ricerca, pratica e teoretica, di un sempre difficile e precario equilibrio tra individuo e comunità, tra diritti e doveri, tra valorizzazione di sé e responsabilità verso “l’altro”.

 

Ma in verità, all’interno del movimento, i veri “idealisti della libertà” sono una minoranza. Sono infatti relativamente pochi coloro che credono veramente che il problema sia il Green Pass e l’illegittimità dalla sua imposizione, a prescindere di cosa si pensi sui vaccini e sulla pandemia. La grande maggioranza è in realtà su posizioni No Vax. Per costoro il Green Pass è solo l’ultimo anello del dispiegarsi di un dominio globale che viene spiegato secondo logiche complottiste e negazioniste.

 

Anche su complottismo e negazionismo ci sarebbe da fare un lungo discorso, in quanto risposte “impotenti”, perché sostanzialmente prive di certezze di verità e di articolate capacità analitiche e senza credibili prospettive di cambiamento, nei confronti della pur giusta esigenza di non piegarsi al comando dell’imperante capitalismo globalizzato.

 

Stiamo parlando di posizioni minoritarie. Tuttavia la mia preoccupazione è che complottismo e negazionismo possano partorire un figlio minore, una sorta di negazionismo soft. Una forma di riduzionismo che potrebbe propagarsi in più ampi strati di popolazione, producendo minore attenzione alle misure di sicurezza e magari inducendo molti a evitare, per esempio, la terza dose. Come dire: il virus c’è ma alla fine non è tanto catastrofico, e per lui non vale la pena perdere la nostra libertà o anche affrontare i rischi (saranno anche minimi, ma non si sa mai!) di un’altra vaccinazione.

 

In fondo una forma di riduzionismo potrebbe essere una reazione di adattamento, magari non del tutto consapevole, motivata da quel bisogno di normalità, che credo cresca inevitabilmente dopo anni di grandi rinunce e difficoltà. Così come “il panico” fu la prima reazione all’esplodere della pandemia che metteva in discussione il saputo scorrere delle nostre esistenze. Sarebbe interessante approfondire l’argomento, ma la “psicologia di massa” non è di mia competenza.

 

Di mia competenza è invece la storia che ho insegnato per tutta la mia vita lavorativa, Ebbene, riflettevo proprio in questi giorni di come le grandi pandemie che hanno accompagnato e fortemente condizionato il cammino degli uomini nei tempi, siano quasi del tutto assenti sui manuali in uso nelle nostre scuole e nelle nostre università. Giusto un paragrafo sulla peste del 300, e praticamente null’altro. Malgrado il fatto che di grandi catastrofi pandemiche si parli in tutti i testi del passato, a partire dalla Bibbia, e poi, per esempio, nel mondo greco: da Tucidide a Platone e Aristotele, fino ai padri della medicina moderna, Ippocrate e Galeno.

 

A volere approfondire l’argomento si resta innanzitutto impressionati dai numeri. Almeno un terzo della popolazione europea decimata dalla Peste Nera nel 300. Ma secondo altre stime, meno ottimistiche, la popolazione si ridusse da 80 milioni a 30 milioni. Si consideri inoltre che a quei tempi gli uomini circolavano pochissimo e che comunque la peste ritornò in Europa ad ondate successive tra i sei e i vent’anni di intervallo, fino all’inizio del 700 (ancora nel 1720 uccise la metà degli abitanti di Marsiglia). Prima di allora, tra l’anno 500 e il 700 si ebbe “la peste di Giustiniano”, con stimati tra i 50 e i 100 milioni di morti (ho controllato più fonti perché la cosa mi pareva inverosimile). E ancora 10 milioni di morti in India nell’800, fino alla recente epidemia di Spagnola di appena un secolo fa con 50 milioni di morti. Ma tutti questi non sono che esempi.

 

Se abbiamo insistito sui numeri non è per sensazionalismo, ma perché evidentemente l’impatto di fenomeni di tale portata sull’insieme dei fatti del passato non può essere praticamente pari a zero, come appare nella storia insegnata ai nostri studenti. Ed infatti una storiografia più moderna e attenta ci dice cose diverse. Anche qui a mo’ di puro esempio: Pare che la strage provocata dalla “Peste di Giustiniano “provocò un massiccio esodo dalle città verso le più sicure campagne, che secondo alcuni potrebbe essere una delle principali cause della nascita del feudalesimo, di cui è nota la vocazione rurale. O ancora: uno dei più grandi misteri della storia, e cioè come sia stato possibile che un pugno di conquistadores poté abbattere i secolari imperi amerindi, potrebbe trovare una spiegazione, o almeno una concausa, nella epidemia di vaiolo che, in quegli anni, uccise almeno tre milioni di indios.

 

A parte poi andrebbe considerato il grande valore educativo che potrebbe avere la conoscenza, quanto più possibile diffusa a livello di massa, degli effetti, positivi o meno, che ebbero nel passato i vari modi in cui si cercò di contrastare il diffondersi del male, magari mettendoli a confronto con quelli attuali. Un esempio su tutti: Durante la peste del 300 mentre a Firenze morivano i quattro quinti della popolazione a Milano gli effetti furono molto meno devastanti. Gli storici oggi sono propensi a credere che ciò sia dovuto alla signoria dei Visconti, che imposero misure draconiane, compreso una prima forma di lockdown, seppure limitato alle famiglie degli infetti.

 

Perché queste strane dimenticanze da parte della storia? La risposta sta molto probabilmente nella logica fortemente antropocentrica che caratterizza la cultura oggi dominante a livello globale, e che da sempre sta a fondamento del mondo occidentale. La storia è vista innanzitutto e principalmente come il prodotto di relazioni semplicemente umane, all’interno delle quali la natura è intesa nel senso ristretto di “natura umana”, oppure in senso più ampio, come puro strumento di dominio, funzionale all’affermarsi della nostra specie. Nella dimensione tradizionale e premoderna la natura è funzionale al rapporto uomo-Dio, e il prodursi di eventuali malefici è solo espressione della volontà divina contro l’umano peccare. Nella cultura moderna d’origine illuminista la natura diventa invece strumento di sfruttamento per il continuo farsi del progresso umano. In ogni caso il dominio dell’uomo sulla natura è considerato un fatto destinale, un dato assiomatico. In questo senso l’idea della fragilità dell’uomo di fronte alla potenza della natura non può essere neppure presa in considerazione se non come puro incidente; come eccezione e non come regola; come stato di crisi sempre superabile e risolvibile. Puro disturbo o rumore di fondo nell’eterno riproporsi della grandezza umana. La potenza della natura non ha luogo nella scrittura della storia, almeno in quella non specialistica e finalizzata ad una educazione di massa. La conseguenza è un diffuso senso comune di presunzione e un falso pudore che ci spinge a nascondere le fragilità umane.

 

È vero che oggi una nuova consapevolezza dei rischi ambientali provocati dall’uomo è parte del nostro sentire. Tuttavia se ci fate caso espressioni come “stiamo uccidendo la madre terra” sono, seppure in modo del tutto inconsapevole, figlie del delirio d’onnipotenza della nostra storia. L’uomo non sta distruggendo la terra, ma semplicemente il proprio habitat, e dunque sta distruggendo sé stesso. La terra sopravviverà per i prossimi quattro miliardi e mezzo di anni, ammenoché un impatto cosmico non la riduca in polvere. Il che è cosa ben diversa di un “banale” effetto serra, al quale, a differenza di noi umani, si può adattare benissimo.

 

Concludendo penso che oggi una sottovalutazione della possibile capacità distruttiva della natura, e soprattutto, e nello specifico, la diffusa e pressoché totale ignoranza degli effetti che nella storia hanno avuto le precedenti pandemie, anche molto più catastrofiche di quella attuale, innanzitutto per l’assenza di quelle misure di sicurezza che sono oggi a nostra disposizione, possano rappresentare un concreto pericolo di spinta al riduzionismo e alla banalizzazione della gravità della situazione.

 

A questo proposito i mezzi di informazione di massa e la scuola potrebbero fare molto. Ma non sono ottimista. Per i professionisti dell’informazione il passato non fa notizia. E per quanto riguarda la scuola si è transitati dai banchi a rotelle del precedente ministro all’assoluto mutismo di quello attuale.

 

Perché? Una forma di riduzionismo storico? La risposta che mi sono dato è SI!

 

 

 

 

I test Green NCAP ridimensionano

l'utilità delle auto elettriche.

Motorbox.com - Emanuele Colombo – (24/04/2022) – ci dice:

Aleksandar Damyanov, responsabile tecnico di Green NCAP, critico sulle auto elettriche: la Commissione Europea distorce il mercato.

 

“La Commissione Europea non fornisce vantaggi o incentivi per gli eFuel rinnovabili (i carburanti sintetici, n.d.r.), quindi distorce l'equilibrio a favore dei veicoli elettrici.

 La soluzione ottimale è lasciare aperta a tutte le possibilità, quindi l'obiettivo non dovrebbe essere quello di immettere sul mercato veicoli elettrici, ma di ridurre la C02. Se un veicolo non emette nulla in Inghilterra, ma viene prodotto con energia sporca in Asia, che aiuto può dare?'':

fanno riflettere le parole di Aleksandar Damyanov, responsabile tecnico di Green NCAP, che a margine della pubblicazione degli ultimi studi sull'impatto ambientale delle auto mette in dubbio l'utilità dell'elettrificazione totale, con dati che dovrebbero dare una... scossa a tutti quanti siano, a vario titolo, interessati alla tanto decantata rivoluzione BEV.

 

STESSA LINEA DI PENSIERO DEI BIG DELL'AUTO Il punto di vista di Damyanov, in particolare quando suggerisce di lasciare aperte tutte le possibilità e di non forzare la mano al mercato con incentivi sbilanciati, è un importante assist ai grandi capitani di industria quali Carlos Tavares di Stellantis, Akio Toyoda di Toyota e Oliver Zipse di BMW, che da tempo sostengono argomenti simili. Assist importante, dicevo, perché non viene da chi avrebbe probabilmente un interesse diretto nel prolungare lo status quo e continuare così a monetizzare investimenti già fatti in passato, bensì da un'organizzazione internazionale supportata da quella stessa Unione Europea, che le auto a motore tradizionale vuol metterle al bando.

 

 

DUE METRI DI VALUTAZIONE. L'ultima tornata di valutazioni Green NCAP, come sappiamo, adotta un nuovo metodo sviluppato dal Joanneum Research e sottoposto a verifica dal Paul Scherrer Institute, che vuole pesare l'impatto ambientale dei veicoli (Life Cycle Assessment, o LCA) in modo più completo ed esaustivo. In particolare, non si limita a tener conto delle emissioni totali di gas serra nell'intero ciclo di vita del veicolo, che è un dato fortemente dipendente dal modo in cui viene prodotta l'energia per costruirlo e farlo marciare, ma anche e proprio del suo costo energetico globale in sé: attraverso la ''Primary Energy Demand''.

 

UN APPROCCIO NUOVO Il calcolo della PED prescinde da come viene generata l'energia, concentrandosi invece su quanta ne serve per ottenere l'automobile a partire dall'estrazione delle materie prime: sommando l'impatto di tutti i modi in cui la natura viene saccheggiata nell'intero ciclo di vita del veicolo, fino al suo smaltimento. In base a questo calcolo, riusciamo a sfuggire ai presupposti miopi delle nazioni particolarmente virtuose, come la Svezia, la Norvegia o l'Europa tutta, che beneficiano di un'alta percentuale di energie rinnovabili (prima delle ripercussioni delle sanzioni contro la Russia in seguito alla guerra in Ucraina). Perché l'energia in sé è limitata e preziosa, da qualunque fonte provenga. Quindi non va sprecata: che sia fornita da centrali a carbone, petrolio o gas naturale, oppure da impianti idroelettrici, eolici, solari o nucleari. Ecco perché, secondo Green NCAP, i consumatori dovrebbero attribuire alla PED la stessa importanza che danno alle emissioni di gas serra.

 

LOTTA AGLI SPRECHI E qui sorgono due questioni importanti. Della prima ho fatto cenno in occasione della mia prova su strada dell'utilitaria elettrica Dacia Spring: è un errore pensare che l'energia elettrica - anche quella delle rinnovabili - sia gratis per l'ambiente, dunque non c'è nulla di green nell'impiegarla nella costruzione e nell'utilizzo di veicoli tanto grandi e pesanti da risultare intrinsecamente inefficienti. Per tutti i tipi di propulsori, la PED più elevata si ha durante la fase di utilizzo, quindi è importante ridurre il più possibile il consumo di ''carburante'', che si tratti di benzina, gasolio oppure elettricità.

 

 

 

 

 

L’UCRAINA, LA RUSSIA E

I NOSTRI INTERESSI di Italiani:

VOGLIO DIRE A MARIO DRAGHI CHE…

 

Notiziegeopolitiche.net - Dario Rivolta – (25 Aprile 2022) – ci dice:

 

 

Voglio confessarlo: da quando si ventilò l’ipotesi che Mario Draghi potesse essere chiamato dal presidente Sergio Mattarella a guidare un nuovo governo italiano feci da subito il tifo per lui.

 La mia unica paura, allora, era che non accettasse, considerata la pochezza della classe politica rappresentata in Parlamento, la stessa che doveva votargli la fiducia e far passare i provvedimenti che avrebbe inteso prendere.

 

 Pensavo che Draghi fosse l’unico che poteva vantare una solida preparazione economica rispettata a livello internazionale, una forte personalità e un prestigio indiscusso acquisito durante la sua presidenza della Banca Centrale Europea.

 

 I suoi primi passi da presidente del Consiglio mi avevano convinto che il nostro Paese si stesse finalmente mettendo sulla strada giusta. Solo la sua personale credibilità poteva convincere i partner europei che l’Italia avrebbe potuto mettere veramente a frutto gli eventuali fondi che Bruxelles si era convinta a erogare agli Stati membri in difficoltà per il Covid-19.

Nel suo discorso d’insediamento ci furono due affermazioni che definivano quale sarebbe stata la sua politica estera: atlantismo ed europeismo.

Come non essere in sintonia con lui?

 

È pur vero che la nostra alleanza con gli USA e la nostra presenza nella NATO non ci vedono mai agire da protagonisti e il nostro ruolo è soltanto quello di “portatori d’acqua” (per di più, poca). Eppure è lo stesso per tutti gli altri membri della NATO, e perfino per gli inglesi, che restano pur sempre militarmente i più efficienti dopo gli americani.

 

Essere atlantisti è una convenienza e una necessità.

 Fino ad oggi è stata la sicurezza di poter contare per la nostra difesa sull’ombrello americano ciò che ci ha consentito di spendere cifre da miseria nei nostri apparati bellici e usare quel denaro per allargare il nostro welfare.

 

Non possiamo né dobbiamo nasconderci che durante la Guerra fredda, e nonostante la presenza di un forte Partito Comunista per lunghi anni suddito di Mosca, la libertà e la democrazia (quella vera, non le “democrature”) ci sono state garantite.

 Certamente abbiamo dovuto rinunciare ad alcuni aspetti della nostra sovranità, ma in cambio abbiamo anche potuto contare sul mercato statunitense per vendere i prodotti di molte nostre aziende.

 E, per noi che siamo un paese di trasformazione, anche la globalizzazione, voluta proprio da loro, per lungo tempo (e in parte ancora oggi) ci ha fatto comodo.

 

 Anche ai nostri giorni, se non facessimo parte della NATO e non godessimo dell’Articolo 5, in caso di attacco diretto contro di noi da qualunque parte provenga, non saremmo in grado di difenderci.

Tuttavia una cosa è capire i vantaggi indubbi di quest’alleanza e un’altra è distruggere la nostra economia per ubbidire agli ordini del partner più forte.

 

Pur essendo e continuando a essere partner della NATO, quando gli interessi americani dimostrano di essere addirittura contrari ai nostri, è un dovere di ogni nostro governante porre delle obiezioni e opporsi.

 

L’hanno fatto i francesi e i tedeschi nel caso della guerra contro l’Iraq e lo fa continuamente la Turchia. Eppure la loro presenza nell’Alleanza non è stata messa in discussione.

 D’altra parte anche tra gli stessi membri, a volte, gli interessi confliggono, e lo abbiamo dovuto riscontrare in Libia con i francesi (e americani) e nelle acque cipriote con i turchi. Frequentemente con i tedeschi.

 

La crisi ucraina è l’esempio più clamoroso di come gli interessi degli Usa confliggano totalmente con i nostri.

È dall’inizio del secolo scorso che, dapprima gli inglesi e poi gli americani, hanno fatto di tutto per impedire una qualche forma di collaborazione stretta e di vicinanza politica tra l’Europa (in primis la Germania) e la Russia.

 

Quando esisteva l’Unione Sovietica qualcosa di più di semplici scambi commerciali e l’acquisto di gas e petrolio erano impossibili, perché la volontà espansionistica della Mosca di allora suggeriva di non passare certi limiti.

 

 Tuttavia, pur bloccando attraverso il COCOM la cessione di tecnologie avanzate, gli interscambi persistevano e ciò ha anche aiutato a facilitare il crollo di quel sistema per noi nemico. La Russia di oggi ha abbandonato definitivamente quello che fu il loro “apostolato” comunista e nessuno può sostenere che Vladimir Putin, o chi per lui, voglia espandere il loro sistema (oggettivamente altro della nostra democrazia liberale) a Paesi terzi.

 Al contrario ci sono state evidenze nel corso di questi anni passati nei quali erano sempre più numerosi i russi che guardavano all’Europa e agli Stati Uniti come un modello cui avvicinarsi.

 Come risposta gli USA hanno continuato a umiliare la Russia per deprivarla di ogni ruolo importante a livello internazionale e per indebolirla all’interno.

 Le varie “rivoluzioni colorate”, la guerra contro la Serbia con un pretesto, il sostegno a improvvisati leader alternativi ai leader ufficiali (vedi Navalny e non solo), la criminalizzazione dell’élite russa in genere, l’allargamento della NATO sino ai suoi confini e anche agli Stati ex-sovietici, sono fatti che hanno portato il Cremlino a prendere atto che la strada di una qualche integrazione con l’occidente era impedita.

 

Non si venga a dire che Putin abbia in testa di voler ricostruire i confini dell’Unione Sovietica: chiunque conosce qualcosa di politica internazionale sa che questa ipotesi è solo frutto di una stupida e improvvida propaganda.

A Mosca tutti hanno ben chiaro che non converrebbe né politicamente né economicamente.

Lì pensano che sia molto meglio lasciarli indipendenti, e ove possibile stringere alleanze (la Russia resterebbe comunque il partner più forte) in modo da garantirsi almeno degli Stati cuscinetto.

 

Di certo, ognuno persegue il proprio interesse, e esattamente come fanno tutti gli Stati forti (vedi gli stessi USA), si cerca di trovare più amici possibili e penalizzare i nemici.

 

Quanto all’ipotesi che la Russia si stia preparando a invadere Polonia e Paesi Baltici, è una vera e propria idiozia, falsa e diffusa con malafede. Questi Paesi oramai sono membri della NATO e a Mosca è ben conosciuta la clausola dell’Articolo 5 che prevede l’intervento di tutta l’Alleanza qualora uno solo dei membri fosse aggredito da forze esterne.

 

 La forza militare della Russia di oggi ha sì le armi nucleari, ma il suo uso non può essere che l’estrema ratio, pena la distruzione reciproca. In una guerra convenzionale le capacità belliche dell’Orso sono infinitamente inferiori a quelle della NATO e così è per la sua economia.

Anche se si vorrebbe pensare diversamente, né Putin né i suoi sodali sono sciocchi o masochisti e mai arrischierebbero una guerra diretta contro l’occidente. E perché poi farlo?

 

Noi piuttosto, visto i nostri principi liberal-democratici di rispetto per le minoranze, come possiamo tollerare che in Lettonia le persone di madrelingua russa (25%), definite “non cittadini”, non possano votare, né ricoprire cariche pubbliche o esercitare alcune professioni? E che in Ucraina, dove gli individui di madrelingua russa rappresentano il 30-35% della popolazione, non sia loro permesso di esprimersi nel loro idioma nei media e in ogni atto pubblico, venendo discriminati e penalizzati quali cittadini di serie B?

 

Torniamo però a Draghi.

Perché non ci spiega esplicitamente quale sia l’interesse del nostro Paese nel co-belligerare con l’Ucraina contro la Russia?

 

Perché mandiamo a Kiev armi? Perché assecondiamo le manovre americane cominciate all’inizio del Duemila miranti a far rompere all’Ucraina ogni legame con la Russia?

Perché obbediamo alla volontà americana di imporre sanzioni a Mosca?

Non ci si dica che è una lotta della democrazia contro l’autoritarismo, perché se è vero che al Cremlino non hanno adottato il nostro sistema liberal democratico, lo stesso si può dire per l’Ucraina.

 E pure per l’Arabia Saudita, tuttavia nostro alleato (che tra l’altro stiamo mantenendo tale nonostante le porcherie che sta commettendo nello Yemen). E così per la Turchia. Draghi non aveva pubblicamente dichiarato Erdogan un “dittatore”?

 

Ma per convenienza dobbiamo comunque collaborare con lui? E che dire della Polonia, ove la magistratura non è indipendente, il diritto di riunione è limitato, i media controllati, gli omosessuali penalizzati e l’aborto criminalizzato in ogni caso? Oppure dell’Ungheria? Dove sta il confine del “fronte democratico”?

Forse siamo contro la Russia perché ha invaso un Paese indipendente? A parte che, visto che sono gli americani a “suggerire” i membri del governo, di quale indipendenza si parli non è chiaro, nessuno fece le stesse accuse ai nostri amici di Oltreoceano quando invasero l’Iraq senza mandato dell’ONU o bombardarono la Serbia, anche lì senza alcun mandato? Che dire dei turchi, che sono sconfinati in Siria e che quasi ogni settimana usano le armi del loro esercito nell’Iraq del nord?

Non si parli nemmeno di “genocidio” in corso in Ucraina, perché se veramente i russi avessero davvero voluto commettere quell’abominio, non sarebbero mancati loro i bombardieri per radere al suolo il centro di tutte le città ucraine e fare davvero delle stragi. Non sa forse Draghi che Joe Biden, conscio di mentire, è ricorso a quel termine perché in questo modo la presidenza può prendere qualunque decisione d’intervento senza dover aspettare il via libera del Congresso?

 

Può Draghi spiegarci perché dovremmo prenderci, come lui ha sostenuto pubblicamente, la malandata e corrotta Ucraina nella UE?

Bruxelles (e noi) ha soldi che crescono dai bilanci per gettarli nelle fauci anelanti degli oligarchi di Kiev? Qual è il motivo economico, o almeno politico, per cui dovremmo caricare sulle spalle delle nostre malandate economie un Paese povero (e ancor più impoverito dopo questa guerra) di più di 40 milioni di abitanti? Giustamente il ministro degli Esteri austriaco gli ha ricordato che altri sono i Paesi che dovrebbero avere la precedenza.

 

Ancora: può dirci Draghi perché ha concordato con l’Europa di “congelare” i beni (case e yacht) dei ricconi russi in Italia? Quanto costerà e chi dovrà pagare la custodia di questi beni? Chi indennizzerà, e come, tutti quei lavoratori italiani che, direttamente o nell’indotto, lavoravano per questi “criminali”? L’operazione “congelamento” è stata fatta in base alla legge anti-terrorismo.

 

Poiché saranno ipotizzabili ricorsi e sarà ben difficile associare gli oziosi russi a operazioni terroristiche, chi pagherà loro i danni che avranno subito nel frattempo quando i nostri tribunali daranno loro ragione? E inoltre, come spiega l’invito fatto alle nostre banche nazionali di congelare anche i conti correnti di cittadini italiani (nati russi) che hanno mantenuto pure la nazionalità originaria russa?

Forse sarebbe meglio indirizzare queste domande a Washington piuttosto che a Roma, ma in questo caso la risposta la conosciamo. Draghi dovrebbe allora spiegarci perché è così ligio ai diktat d’Oltreoceano.

Comunque, diciamocelo, tutti i problemi sopra enunciati in fin dei conti sono solo bagatelle!

 

I problemi veri riguardano le conseguenze sulla nostra economia dall’aver scelto di assecondare ciecamente gli interessi altrui. Nel frattempo l’economia americana prospera, e quella europea s’incammina verso l’auto-distruzione. Dopo le sofferenze causate dai fermi imposti dal Covid-19, sembrava che tutto potesse ripartire e l’ottimismo stava tornando.

Non voglio fare dietrologie e incoraggiare chi ipotizza che ciò che accade sia stato voluto esattamente così proprio per fermare l’Europa. Non credo a “grandi fratelli” quasi onnipotenti. Sono però convinto che abbia ragione la ministra dell’Economia americana Janet Yellen, quando dice che le sanzioni contro la Russia danneggiano di più l’Europa della stessa Russia.

 

Il nostro Mario Draghi è un economista e non può non vedere le nostre aziende in sempre maggiore difficoltà, il numero dei disoccupati che a settembre esploderà, i bilanci delle famiglie più povere che non tireranno la fine del mese.

Come si permette di dire, scendendo al livello di un qualsiasi Di Maio, che si deve scegliere tra un grado in meno di riscaldamento (o l’uso del condizionatore) e la pace? Se fosse necessario gli italiani possono sopportare anche dieci gradi in meno, ma il problema è il costo dell’energia per le aziende produttive.

 

 La smetta, lui e i suoi colleghi, di dirci che stiamo sostituendo il gas russo! Tutti sappiamo che per riuscirci ci vorranno almeno dai due ai quattro anni. E nemmeno ne possiamo essere certi.

Invece di raccontarci fole, il dottor Draghi si legga l’interessante articolo scritto dall’ingegner Guido Possa su quale sia la vera situazione delle forniture e dei prezzi del gas in Italia.

 E non rincorra i fanatici che in nome di una molto discutibile “eticità” (e degli “ordini” di Zelensky) chiedono di interrompere immediatamente gli acquisti di gas e petrolio dalla Russia. Fortunatamente in Europa (magari in Germania) c’è ancora qualcuno che pensa con una testa europea e che mette in primo piano i nostri interessi e non quelli altrui.

 

Purtroppo, nello stesso momento in cui, mio malgrado, sono costretto a chiedermi se scegliere Draghi come presidente del Consiglio sia stata davvero la scelta giusta, devo costatare che in tutta la nostra classe politica la gara è a chi è più stolido o più disinformato.

 E possibilità migliori non ne vedo.

Non amo Putin e della Russia ammiro la cultura e non il sistema politico, ma proprio citando ciò che Draghi disse a proposito di Erdogan, penso che, dittatore o “democratore” che sia, è nostro interesse continuare ad avere rapporti con lui e non con la marionetta Zelensky, puro ventriloquo d’Oltreoceano.

 

(Dario Rivolta - Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.)

 

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