GLOBALISTI ARCOBALENO.

 GLOBALISTI ARCOBALENO.

 

La grande narrazione: dall’ultimo libro di Klaus Schwab alla distruzione

e rinascita del dissenso.

Visionetv.it – Martina Giuntoli – (15 Ottobre 2022) – ci dice:   

 

Durante l’ultimo incontro ufficiale del World Economic Forum svoltosi a Dubai nel novembre del 2021, Klaus Schwab ha presentato la sua ultima creazione, The great narrative (“La grande narrazione”). Secondo le parole dello stesso presidente di Davos, si tratta di una vera e propria una iniziativa collettiva.

Questa permetterebbe alle menti più eccelse del nostro tempo di creare una narrativa, che ha come compito principale quello di modellare visioni future del mondo, più resilienti, inclusive e sostenibili per l’uomo e per l’ambiente.

Come anticipato dallo stesso autore durante le sessioni del Forum, The great narrative si è anche poi tradotto di lì a poco in un libro, uscito sugli scaffali delle librerie nel gennaio del 2022.

In una retorica a metà strada tra uno spot per creme anti rughe e la tirannide più fredda e spietata, mascherata da filantropia spicciola, Schwab parla del futuro. Un futuro che non è solo tempo cronologico ma anche dissezione pragmatica della realtà.

 Un futuro che prima si deve immaginare e progettare, e soltanto in seguito realizzare, secondo schemi che non conoscono né eccezioni né casualità, ma soltanto passaggi obbligati decisi dai cosiddetti migliori.

Il mondo di adesso, espressione del globalismo elitario arcobaleno più estremo, secondo Schwab non può essere governato da menti semplici, poiché la quarta rivoluzione industriale di cui è appunto figlio, quella del transumanesimo e delle zero emissioni CO2 per capirci, impone uno sforzo che di concerto sappia risanare e rifondare (leggi resettare) la società.

Ne abbiamo parlato durante la puntata del nostro talk show Dietro il Sipario intitolata “L’aumento dei prezzi è funzionale al grande reset”. Nel video allegato a questo articolo, uno spezzone dell’intervento dell’economista Ilaria Bifarini.

L’esperta spiega come l’ultimo libro di Schwab completi in maniera perfetta la serie di best seller del tedesco fondatore di Davos, e altro non sia che una sorta di manuale pret-à-porter per la messa in atto dei contenuti del suo testo precedente, intitolato Quarta rivoluzione industriale.

Tuttavia, con uno sguardo che va ben oltre le tante belle parole, i globalisti arcobaleno di Davos, che mai si lascerebbero sfuggire una crisi, stanno semplicemente continuando a sfruttare il meccanismo pandemico, provando a legittimare la loro agenda con una nuova narrativa, per far sì che quanto ormai già rodato crei in automatico altre crisi da cavalcare e da gestire a loro piacimento.

Il lettore attento riesce facilmente a immaginare cosa sia questa “grande narrazione”, cosa significhi davvero se si traduce dall’ecologicamente corretto al mondo reale. Altro non è che una operazione di editing, di scelta delle scene e di montaggio della realtà, di cui la società attuale fa già ampiamente parte.

Ciò significa azzerare ogni dissenso perché c’è a monte chi decide quali sono i ciak da tenere e quali quelli da buttare: all’individuo non resta che uniformarsi alla sceneggiatura.

Ciò significa editare qualsiasi cosa, persino l’essere umano, che è stato violato in qualcosa di intoccabile e sacro come il proprio Dna, attraverso le tecniche a mRna dei nuovi strumenti farmaceutici.

Nemmeno il dissenso fa parte delle scene ammesse nel film del mondo. Le voci di quelli che si oppongono sono cancellate ovunque, spesso per una parola fuori posto, con il misero intento di colpire anche solo un dissidente per educarne cento.                 I social, la carta stampata e soprattutto la tv mainstream sono imbottiti della “grande narrazione”, la sostengono e ne divengono forse gli strumenti più preziosi.

Compito degli intellettuali contemporanei non è dunque uniformarsi a questo astuto gioco di specchi, quanto piuttosto quello di smontarne le narrative, così come compito della tv del dissenso è quello di mostrare quanto le scelte dell’editing globalista arcobaleno precludano visioni alternative del mondo, spesso le uniche migliori per l’essere umano.

Per questo motivo è fondamentale che le voci di chi vuole raccontare una storia diversa rimangano attive e che nonostante le difficoltà si continui senza sosta nella destrutturazione del film e nella distruzione delle pellicole che le élite globaliste vogliono proiettare nei cinema della nostra vita.

(MARTINA GIUNTOLI)

L’Ue ammette: “Quest’inverno non

ci sarà gas per tutti”. Vertice di Praga

concluso con un nulla di fatto, attese

per martedì 18 le nuove proposte della Commissione europea.

 

Visionetv.it- Giulia Burgazzi – (14 Ottobre 2022) – ci dice:  

 

L’Ue l’ha finalmente ammesso: quest’inverno non ci sarà gas per tutti. Si sapeva da un pezzo, anche se ufficialmente non lo riconosceva nessuno. Alla luce di questa (tardiva) consapevolezza, ora si prospetta una nuova fase del parossismo propositivo Ue per risolvere la crisi dell’energia. Di proposte, ne sono già arrivate a valanghe: ma finora di fatti concreti se ne sono visti pochi.

Questa nuova fase propositiva dovrebbe manifestarsi martedì 18 ottobre 2022. Probabilmente comprenderà il razionamento obbligatorio del gas, forse anche quello dell’elettricità.

Salvo sorprese, si andrà così al di là delle riduzioni “volontarie” consigliate dalla Ue che ogni Stato membro ha varato e che non sono sufficienti, come il piano gas del ministro uscente Cingolani.

La richiesta di nuove proposte da parte della Commissione europea per fronteggiare la crisi dell’energia è l’unica cosa sulla quale sono riusciti a mettersi d’accordo i ministri Ue dell’energia. Il loro vertice si è svolto a Praga e si è concluso mercoledì 12 ottobre. Le proposte della Commissione europea sono attese appunto per martedì 18.

Per certi versi, il fatto che i ministri non abbiano deciso nulla è una buona notizia. Finora infatti le decisioni dei ministri hanno riguardato essenzialmente le crescenti sanzioni alla Russia, che hanno fatto diventare l’energia scarsa e insopportabilmente cara. Ma c’è anche la cattiva notizia, cioè il fatto che ora altro bolle in pentola: e prevedibilmente arriverà a cottura.

Cosa più o meno si voglia cucinare, traspare dalla trascrizione del discorso che la commissaria Ue all’Energia, Kadir Simpson, ha tenuto durante il vertice di Praga. La commissaria afferma in sostanza che l’unico modo per far diminuire il prezzo del gas è abbassare ancora la domanda. Le sue parole, in traduzione:

Qualsiasi intervento sul mercato del gas richiede un’ulteriore riduzione della domanda. Non è piacevole, ma si tratta di una necessità […]. Un’opzione è attivare l’allerta Ue, che renderebbe obbligatorio l’obiettivo di riduzione della domanda del 15%. Ma potrebbero essere necessario un approccio diverso o ulteriori misure […]. Qualsiasi misura che adottiamo per abbassare i prezzi non deve inviare segnali sbagliati che fanno aumentare i consumi in tutta l’Ue, consumi che non saranno disponibili a volumi sufficienti.

Praticamente, al di là del linguaggio felpato e diplomatico, la commissaria Simpson ha appunto riconosciuto che quest’inverno non ci sarà gas per tutti. Nel suo discorso però non c’è solo il razionamento. Si parla di un nuovo e non meglio identificato punto di riferimento per formare il prezzo del gas: diverso comunque da quello – speculativo – del Ttf olandese. Forse sarà tratteggiato già nel pacchetto di martedì 18, ma ci vorrà del tempo per metterlo a punto ed approvarlo.

Dunque è lecito attendersi che martedì 18 la Commissione Europea proponga anche un intervento provvisorio per cercare di abbassare il prezzo del gas. Kadir Simpson infatti ha detto che è necessario fare subito qualcosa. Nessun indizio, al momento, sulla natura di questo qualcosa.

Sempre col tempo e sempre in base alle parole della commissaria, gli Stati Ue potrebbero mettere a punto un meccanismo per fare in comune gli acquisti di gas. La sua struttura dovrebbe essere contenuta nel pacchetto sull’energia di martedì 18.

Attenzione, si può aggiungere, perché gli acquisti comuni di gas costituiscono un’arma a doppio taglio. Vero che quando si acquista un bene in grande quantità è spesso possibile ottenere lo sconto. Ma vero anche che, se gli acquisti comuni di gas saranno obbligatori (ora non è chiaro), gli Stati e le società che operano nel settore dell’energia si troveranno come ingessati e privi di qualsiasi facoltà discrezionale.

GIULIA BURGAZZI

 

 

 

 

L’Homo Sapiens…

Una Vera Calamità!

Conoscenzealconfine.it – (16 Ottobre 2022) - Giampaolo Guzzoni – ci dice:

È indubbio che l’evoluzione della specie umana, in termini sia sociali che economici, sia stata considerevole, soprattutto nell’ultimo secolo, sia pure in parti del pianeta Terra, direi, molto circoscritte.

Infatti, temo che se andassimo a considerare l’interezza del pianeta non si potrà certo affermare che la sventurata Africa sia paragonabile alla vecchia Europa.

Perdonate la banalità del confronto, ma questo esempio è strumentale al primo concetto sopra espresso, perché la banalità sta nel fatto, drammaticamente, che il percorso dell’uomo e della sua umanizzazione è ben lungi dall’essere compiuto, in generale su tutto il pianeta, ma in special modo in alcune parti di esso, nelle quali direi che assolutamente non sia neppure iniziato quel percorso.

Perché, dunque, non possiamo esimerci dal definire l’uomo moderno, ancora oggi, una bestia? 

Molto semplicemente perché lo è, ma se in alcune parti del mondo manca la necessaria base culturale per considerare il valore della vita di un uomo, di ogni singolo essere vivente inteso come umanità, come essenziale in quanto valore, quindi apparentemente giustificabile nell’atteggiamento, non è altrettanto vero nella cosiddetta civiltà presuntamente democratica occidentale.

A parte che qualcuno dovrebbe spiegarmi se sia civiltà democratica la Russia di Putin o la Turchia di Erdogan, o come è possibile che nella terra della presunta libertà statunitense, ad esempio, si perpetrino veri e propri acclarati crimini efferati, di qualsiasi natura, contro le fasce più deboli, e mi riferisco a uccisioni proditorie di persone di pelle nera o anche semplicemente alla pena di morte, ancora largamente applicata in quel paese?

Come è possibile che nella nostra occidentalizzata Europa e, guarda il caso, nel nostro Bel Paese, vi siano quotidiani casi di violenze su donne, con stupri e femminicidi altrettanto efferati quanto quelli citati in precedenza in terra americana?

È tutto possibile, perché siamo e restiamo fondamentalmente delle bestie, alla faccia di presunti progressi della scienza, dell’uomo sulla luna (ha, ha, ha...)  e del fresco atterraggio su Marte.

Ma, soprattutto, è possibile poiché l’uomo, come genere, è permeato da un male oscuro che lo riporta a fasi da uomo di Neanderthal, direi appena “Erectus”, dato che occorre una mente malata e deviata per pensare e fare violenza su una donna o su un bambino o su, banalmente, un proprio simile.

Siamo ancora oggi prostrati di fronte al mito della guerra, al “demoniaco” fascino della divisa militare, alle armi ed al loro potere intrinseco di poter togliere la vita, di uccidere il “nemico”.

Siamo ancora oggi dediti, furbescamente, al sacro furore della caccia; uccidere fa parte della nostra natura, non vi è nulla da fare e, temo, non vinceremo mai questa battaglia, perché il suo prodromo e il suo malsano DNA sono insiti nella psiche più profonda di uomini che usano il pene come cervello, sia quando stuprano, sia quando uccidono altri uomini, donne, bambini e, aggiungo, animali indifesi.Non riuscirò mai a capire, ma forse è un mio limite, da pacifista convinto, come si possa desiderare di possedere un’arma e, soprattutto, di poterla usare nei confronti di chicchessia, uomo o animale.

A coloro i quali contesteranno che esistono paesi belligeranti che sono perennemente in guerra e dai quali bisogna difendersi, o magari attaccare con “guerre preventive”, per non chiamarle, furbescamente, “operazioni di pace”, basterebbe ricordare che chi è senza peccato scagli la prima pietra, ovverossia pensiamo e riflettiamo sul passato colonialista di praticamente tutti i paesi occidentalizzati, per non parlare della nostra beneamata terra statunitense, che in fatto di guerre…!

Oppure ricordare molto semplicemente che le armi non si fabbricano da sole, e che vi sono interi settori dell’industria, dove per altro lavorano molti coevi che necessitano di un impiego per sopravvivere, dediti alla fabbricazione delle stesse, e guai a toccarle, queste realtà “di sana imprenditorialità”, legittimata, ovviamente, da lobbies di potere inscalfibili e protette.

A chi, invece, contesterà il fatto che l’uomo è nato cacciatore, e che doveva uccidere per cibarsi, dico che non è necessario, oggi, uccidere per puro divertimento, e non parlatemi di caccia come uno sport, perché allora anch’io mi tramuto in bestia e comincio a sbroccare.

Sport è sparare al piattello, in un poligono di tiro… non ad un fringuello o ad un fagiano, beandosi, non tanto delle successive libagioni susseguenti all’uccisione della bestiola, ma della propria infame pochezza culturale, tipica del machista più retrivo, che fa del membro d’uomo motivo di superiorità!

Siamo consapevoli che esistono specie animali che vanno controllate artificiosamente per impedirne l’eccessiva proliferazione (vedasi i cinghiali vicino ai centri abitati), tuttavia, ricordiamoci che ogni deviazione dall’evento naturale animale o vegetale è stato provocato, e chi lo ha provocato si chiama “Sapiens”, alla faccia dell’ironia, una vera calamità per il pianeta che lo ospita.

L’uomo, ha sottolineato qualcuno, è l’unica specie che si ammazza per odio o per futili motivi, ed è anche colui il quale insiste a compiere violenza e distruzione sistematica, e pure vigliacca, al pianeta stesso che lo ospita.

Va da sé ricordare i continui tentativi di alienazione dell’oggettiva situazione di precario equilibrio della natura, causato dall’uomo stesso e dalle sue politiche di intensività del tutto, come la cementificazione, l’allevamento, la deforestazione, l’emissione di tutto quanto sia venefico nell’aria, in nome e per conto del capitalismo globalizzato arcobaleno difeso ad oltranza da personaggi che hanno assunto poteri enormi.

E ancora… continue faide (?) di origine religiosa, colonialismo, Lager, Gulag, Desaparecidos, pulizie etniche, genocidi di massa (Armenia, Pellerossa, Sudafrica, Bosnia Erzegovina, Palestina…) sono ancora oggi presenti in gran parte del mondo, e fomentati bellamente sempre per interessi “trasversali”, attinenti alle armi (industria fiorentissima) o al petrolio e, quindi, al potere, spesso in mano all’uomo bianco, e quando non è un bianco è un nero corrotto e comprato dai bianchi, per tenere a freno e nel terrore potenziali idee rivoluzionarie alla Thomas Sankara, nell’Africa più profonda.

L’Africa è l’esempio più lampante della sconfitta del “Sapiens bianco machista e occidentalizzato”, un continente tenuto nell’indigenza, nel precario, nella confusione, nella mancanza di civiltà, un catino da utilizzare per i più sordidi interessi occidentali.

Il “Sapiens…” una vera catastrofe!

(Giampaolo Guzzoni - giornalismolibero.com/lhomo-sapiens-una-vera-calamita)

IL DISCORSO DI PUTIN:

LA FINE DEL NUOVO ORDINE

MONDIALE. L’ALBA DEL MONDO MULTIPOLARE

Lacrunadellago.net - Cesare Sacchetti – (Ott 5, 2022) -ci dice:

 

Il discorso di Putin che si è tenuto nel Cremlino e in particolare nella splendida cornice del salone di San Giorgio è uno di quelli che resterà nei libri di storia.

Esisterà un prima e un dopo le parole di Putin pronunciate lo scorso 30 settembre 2022 per decretare l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina Orientale nel territorio della Federazione Russa.

Dallo scorso 30 settembre 2022, la Russia comprende la Repubblica del Donetsk, la Repubblica del Lugansk, la regione di Kherson e quella di Zaporozhye.

Sono stati i popoli di tali repubbliche autonome e regioni a pronunciarsi attraverso i referendum, e la loro voce è stata pressoché inequivocabile. Attraverso i referendum che si sono svolti in tali territori, non meno del 96% degli elettori chiamati a pronunciarsi se entrare o meno nella Federazione Russa, si sono espressi favorevolmente.

È la fine di un incubo per tali popolazioni che è durato almeno otto anni, da quanto nel 2014 ci fu il famigerato e infausto golpe dell’Euromaidan.

L’Ucraina fino ad allora aveva un presidente, Viktor Yanukovich, che stava mantenendo rapporti di amicizia e collaborazione con Mosca. Ciò era inaccettabile per determinati poteri. Era inaccettabile per il potere dello stato profondo di Washington che non poteva tollerare che l’Ucraina, uno Stato che è storicamente legato alla Russia, si avvicinasse ad una nazione sorella.

La macchina della sovversione internazionale allora si mise in moto ed è la stessa macchina che si è vista tristemente all’opera in molte altre svariate occasioni. Dal secondo dopoguerra in poi, Washington è stata il centro privilegiato della rivoluzione nel mondo. Ovunque nel mondo salissero al potere governanti decisi a difendere la sovranità e l’indipendenza della propria patria, ecco che interveniva il pugno di ferro del governo occulto che ha manovrato gli Stati Uniti per decenni.

Fu così per il presidente iraniano Mossadeq rovesciato nel 1953 in un golpe della CIA per via della sua decisione di nazionalizzare le risorse petrolifere dell’Iran che fino a quel momento erano in mano al famigerato cartello petrolifero delle sette sorelle.

Fu così per il presidente cileno Salvador Allende che nel 1973 aveva a sua volta deciso di nazionalizzare la produzione di rame andando così a minare gli interessi delle corporation angloamericane, e fu così per Aldo Moro, minacciato di morte dall’eminenza grigia del Bilderberg, Henry Kissinger, e ucciso nel 1978 per via del suo disegno di trascinare l’Italia fuori dalla sfera atlantista e restituirle così la piena sovranità che questa nazione non possiede dalla seconda guerra mondiale.

Il crollo del Muro di Berlino ha accentuato il dominio dell’impero di Washington nel mondo. Venute meno le vestigia dell’Unione Sovietica rimossa attraverso una operazione di demolizione controllata con la presidenza del recentemente scomparso Mikhail Gorbachev, nulla restava che poteva contrastare il dominio americano.

Fu proprio per tale ragione che il presidente russo era stimatissimo nei circoli del potere internazionale e soprattutto dal gruppo Bilderberg, la società segreta che ogni anno si riunisce per dettare le linee guida da seguire nell’applicazione della sua agenda.

La “visione” anticristiana del “globalismo arcobaleno”.

 

E l’agenda di questi poteri transnazionali è quella di disfarsi delle nazioni e delle loro identità religiose, culturali, morali ed economiche per sostituirle con il dominio dispotico e assoluto di un’unica entità globale.

Una entità che racchiude in sé un potere immenso e sconfinato e che rappresenta il più feroce totalitarismo che si sia mai affacciato sul pianeta. Fu un gruppo di intellettuali liberali e socialisti, tra i quali Thomas Mann e Gaetano Salvemini, a teorizzare già negli anni 30 tale idea in un manifesto chiamato “La città dell’uomo” che avrebbe dovuto essere il futuro delle relazioni internazionali.

Non un futuro fatto di indipendenza delle nazioni, ma uno nel quale assurgeva sulla scena mondiale un superstato globale che avrebbe dovuto dominare ogni aspetto religioso, sociale ed economico di tutte le differenti culture e società presenti sulla Terra.

La città dell’uomo è l’antitesi della società di Dio di cui parlava Sant’Agostino. La prima è fondata sul sistema liberal-democratico e sul trionfo del relativismo dei valori coniato dal pensiero illuminista. La seconda è fondata sulle eterne ed immutabili verità dei valori cristiani che non sono cangianti, ma restano scolpite nel tempo.

Verità assolute che non sono soggette al capriccio della democrazia e agli umori del popolo che nella democrazia non è altro che lo strumento per informare il dominio del capitale sulla società e sullo Stato. La democrazia è così benvoluta dal pensiero liberale proprio perché essa è semplicemente perfetta per assicurare il trionfo incontrastato delle oligarchie finanziarie che in tale sistema risultano essere padrone assolute della politica e dei partiti.

 

Più semplicemente, in democrazia comanda il dio denaro.                              Ed è tale sistema che i pensatori del manifesto in questione volevano per il mondo intero e agli Stati Uniti e alla sua superpotenza era assegnato il compito di trascinare le altre nazioni, volenti o nolenti, verso questo nuovo autoritarismo globale. Un autoritarismo nel quale non è ammessa altra politica che non sia quella dei veri governanti che hanno avuto il controllo di questa nazione per decenni.

Sono i poteri della Commissione Trilaterale, del già citato Gruppo Bilderberg e del “Bohemian Grove” dove ogni anno si mettono in scena dei riti che rimandano ai sacrifici perpetrati nell’antichità in omaggio al dio Moloch, l’antica divinità pagana alla quale venivano sacrificati gli infanti.

Vladimir Putin conosce perfettamente la natura del pensiero che domina l’Occidente e non ha esitato nel suo discorso a denunciare come la religione di tale sfera di potere non sia null’altro che il satanismo arcobaleno.

È satanismo strappare un bambino ai propri genitori naturali per affidarlo ad una coppia di omosessuali così come è satanismo privare il padre e la madre delle proprie identità genitoriali riducendoli agli amorfi nomi di “genitore 1” e “genitore 2”.

È satanismo consentire di far entrare nelle scuole la propaganda omosessuale e avviare un processo di indottrinamento attraverso libercoli pornografici tali da far credere al bambino o alla bambina che la propria identità sessuale sia opzionale, che si possa cambiare indistintamente e che non ci sia nulla di male in tutto ciò.

Vladimir Putin nel suo discorso non ha solo denunciato la deriva morale che affligge l’Occidente ma ha anche indirettamente messo in rilievo come alla fine il liberalismo non sia null’altro che una delle numerose maschere del satanismo.

Attraverso la ipocrita idea che lo Stato debba essere “neutrale” nella scelta dei suoi valori di riferimento e che la religione debba essere lasciata fuori dalla porta si è già presa una decisione che inevitabilmente non appartiene al campo della neutralità. Si è scelto arbitrariamente di cancellare secoli e secoli di storia nei quali si sono perpetrati e difesi i valori della cristianità e della filosofia greco-romana che sono il sostrato pulsante dell’identità dell’Italia e dell’Europa, la quale ha un debito culturale enorme nei confronti della prima.

Ciò che vediamo ora non è null’altro che la naturale evoluzione, o meglio involuzione, verso la quale il liberalismo ha condotto l’Occidente. Un deserto di valori che si esterna nel caos permanente. Nulla è buono e cattivo di per sé. Tutto è buono e cattivo a seconda della forza del potere che si impone al momento. La farsa pandemica è stata la massima perversa affermazione dell’assolutismo liberale.

Dal crollo dell’URSS alla rinascita della Russia.

La Russia ha scelto un’altra via. La Russia ha scelto la via della preservazione della sua identità storica e culturale che è quella cristiana come lo era per l’Europa Occidentale. La Russia ancora appartiene culturalmente a quella originaria Europa, ma giustamente non può e non vuole riconoscersi in una Europa liberale fondata sul ripudio e la rimozione di una religione che ha modellato la storia del vecchio continente per 2000 anni.

L’UE non è l’Europa. È la sua più profonda negazione. L’UE liberale è intrisa di odio verso il cristianesimo sia nella scrittura dei suoi trattati di carattere economicista sia nella sua dottrina politica fatta di venerazione al tempio dei diritti umani.

La Russia prima ancora che scegliere una diversa strada geopolitica ha scelto un diverso percorso morale che oggi l’ha portata ad essere il baluardo della tradizione cristiana nel mondo. Ed è stato il percorso morale che ha guidato il suo cammino politico ed economico e non viceversa. Una volta che dell’URSS comunista erano rimaste solamente le macerie, la Russia ha dovuto iniziare il suo cammino di rinascita che all’inizio è stato fatto di passione e sofferenza.

I russi ricordano gli anni 90 come la stagione del dolore. Si chiudeva nella violenza generale l’epoca dell’Unione Sovietica che fu costruita per volontà della finanza internazionale che finanziò la rivoluzione bolscevica dei russi di origine ebraica Lenin e Trotskij. Il comunismo fu finanziato dal neoliberismo a dimostrazione che non esiste nessuna reale contrapposizione tra queste due ideologie poiché esse tendono agli stessi obbiettivi.

Entrambe mirano alla cancellazione del nemico comune della cristianità ed entrambe mirano a rimuovere lo Stato per lasciare il posto al dominio assoluto della finanza.

 Il comunismo in questo mostra persino più ipocrisia del neoliberismo perché esso nei suoi testi fondamentali parla di trasferire il potere al proletariato quando questo non solo non ha mai nemmeno mai sfiorato il governo, ma è stato duramente represso dalla borghesia comunista salita poi al potere.

Le stragi dei bolscevichi negli anni 20 e 30 contro i contadini russi sono lì a pronunciare la verità sulla natura del comunismo.

Il mondo quindi ha vissuto un bipolarismo controllato per molti decenni nei quali c’è stato un controllato gioco delle parti. La logica delle superpotenze che si fronteggiavano era la logica di un conflitto controllato che non sarebbe mai sboccato in un vero e proprio scontro aperto tra i due blocchi. Negli anni 80, si decise di dire basta all’URSS. Mikhail Gorbachev fu l’uomo eletto dall’Occidente per giungere all’obbiettivo di demolire tale blocco e lasciare posto sulla scena internazionale solamente allo stato profondo di Washington.

Il caos che investì la Russia negli anni 90 fu voluto per costruire uno stato vassallo, privo della sua sovranità e ridotto ad entità coloniale al servizio degli angloamericani.

Erano gli anni del presidente fantoccio Boris Eltsin sbeffeggiato dalla controparte americana ed erano gli anni nei quali l’economista inviato dagli ambienti finanziari di New York, Jeffrey Sachs, spolpava la Russia di tutte le sue industrie pubbliche portandole in dote alla finanza anglo-sionista che metteva in atto gli stessi saccheggi in Italia nel 1992.

A Mosca, regnava lo stato profondo di Washington e il Paese era investito dalla fame e dalla miseria.

Ciò duro fino a quando non salì al potere Vladimir Putin che nel 2000 iniziò la bonifica dello Stato russo dalla presenza delle agenzie di intelligence americane.

 Fu lo stesso presidente russo a raccontare di come negli uffici del Cremlino ci fosse la bandiera americana piuttosto che quella russa e fu sempre lui a raccontare di come fu necessario ripulire lo Stato dalle quinte colonne straniere che lo avevano infiltrato.

A poco a poco, la Russia si è rimessa in piedi ed è tornata ad essere il gigante geopolitico che era un tempo. Adesso la mappa delle relazioni internazionali è completamente cambiata e la rinascita della Russia è stata ciò che ha impedito a Washington di prendere definitivamente il sopravvento negli ultimi dieci anni.

Se non fosse stato per la Russia, a quest’ora la Siria probabilmente non esisterebbe nemmeno più. Sarebbe stata smembrata e annessa da Israele e altri Stati limitrofi poiché è la lobby sionista che ha scatenato l’ISIS contro Assad e portato morte e distruzione nel Paese.

E se non fosse stato per la Russia di Putin, il governo mondiale arcobaleno che anelano i signori del globalismo oggi sarebbe una realtà. La Russia negli ultimi anni ha rappresentato una sorta di katehon, un formidabile bastione di contenimento contro l’avanzata della Bestia del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale.

La presidenza Trump: l’atlantismo in crisi profonda.

Certamente a dare l’accelerazione definitiva al crollo dell’Occidente è stato un elemento nuovo e non previsto dalle élite liberali. La Casa Bianca ha smesso di essere il centro della sovversione internazionale.

La presidenza di Donald Trump nel 2016 ha allontanato irrimediabilmente gli Stati Uniti dalla tradizionale sfera dei poteri atlantisti e sionisti. Gli Stati Uniti hanno smesso di portare sulle proprie spalle il fardello della missione che le massonerie gli avevano affidato. La stagione di America First ha messo fine alle guerre scatenate in giro per il mondo da Washington. La presidenza Biden non è servita a ricomporre la frattura del 2016 per una serie di ragioni che fanno pensare che tale amministrazione non sia realmente controllata dallo stato profondo.

La rotta tracciata da Trump sul disimpegno militare americano non è stata invertita da Biden che piuttosto ha proseguito a ritirare le truppe USA nel mondo, come accaduto in Afghanistan.

Si è di conseguenza creata una naturale intesa tra Trump e Putin volta a mettere fine la stagione del dominio del globalismo arcobaleno. L’atlantismo, il braccio armato di tale ideologia, è ormai agonizzante. Attraverso il riconoscimento delle repubbliche dell’Ucraina Orientale la NATO ha dimostrato di essere completamente impotente di fronte alla Russia senza l’indispensabile appoggio, venuto meno, degli Stati Uniti.

La NATO si rivela quindi essere una tigre di carta che non ha saputo impedire l’operazione militare della Russia in Ucraina. La stagione del mondo unipolare nella quale alcuni guerrafondai che occupavano la Casa Bianca decidevano il destino del mondo è finita.

È iniziata quella del mondo multipolare che è stata possibile solamente sia grazie alla Russia che già negli anni passati lavorava per costruire un blocco che fosse fondato sul rispetto delle nazioni sovrane e sia grazie al disimpegno degli Stati Uniti che non sono più interessati a salvaguardare un ordine ormai decaduto, che appartiene al passato.

È questo quindi il periodo nel quale si assisterà ad una fase nuova nella storia del mondo. Non sarà più l’Occidente il padrone assoluto dei destini del mondo. Non ci sarà più in grado l’establishment atlantico di piegare la volontà di chi non si allinea agli ordini della NATO.

 Ci sarà una redistribuzione del potere.

 Il vecchio (dis) ordine degli anni 90 nei quali Washington regnava incontrastata non esiste più perché quel (dis) ordine è oggi orfano della stessa Washington. il globalismo ha perduto il suo gendarme. A provare a salvaguardare uno status quo decaduto è ormai solo la debole UE che sta vivendo una crisi sempre più profonda dalla quale probabilmente non uscirà viva.

L’avvento del mondo multipolare.

Il XXI secolo che avrebbe dovuto prefigurarsi nella idea del liberalismo come il secolo nel quale si sarebbe affermata la globalizzazione arcobaleno, si sta affermando come il suo contrario. Non saranno più i centri di potere sovranazionali a determinare le politiche degli Stati, ma saranno gli Stati stessi a riappropriarsi degli strumenti che tali organizzazioni gli hanno sottratto.

E il 2022 è stato l’anno nel quale si è assistito ad una accelerazione impressionante che sta abbattendo tutti i pilastri fondanti del precedente (dis) ordine. Le monete della finanza internazionale stanno perdendo la loro rilevanza. Il dollaro e l’euro vengono utilizzati sempre di meno negli scambi internazionali. Il rublo è stato la valuta che ha fatto registrare le performance migliori. Per la prima volta, sempre più Paesi, persino quelli un tempo vicini a Washington e Tel Aviv, come l’Arabia Saudita, prendono in considerazione l’idea di utilizzare le monete nazionali negli scambi commerciali.

E se a Riyad prendono in esame uno scenario simile, a New York e Londra staranno probabilmente tremando perché il dollaro è valuta di riserva globale solamente grazie all’accordo tra Stati Uniti ed Arabia Saudita che stabilì negli anni 70 che il petrolio si sarebbe dovuto pagare con la valuta statunitense.

Nel giro di pochi mesi, sta crollando un mondo che durava da decenni. Crolla a poco a poco tutta la divisione del potere fatta dopo la seconda guerra mondiale a Yalta e successivamente dopo il crollo del muro di Berlino.

Stanno sorgendo i BRICS assieme ad altri attori internazionali a rappresentare un’alleanza geopolitica fondata sulla preminenza degli Stati nazionali.

 È una fase che potremmo definire senza precedenti e che ha lasciato sconvolti persino coloro che da anni servono fedelmente la ideologia del globalismo arcobaleno.

È il caso di Massimo D’Alema che qualche tempo fa al festival dell’economia di Trento dichiarò esplicitamente che “avevamo tutti pensato che con la fine della guerra fredda e il crollo del comunismo ci sarebbe stato un nuovo ordine mondiale basato sulla globalizzazione capitalistica e sull’espansione del suo modello culturale e politico.”

Da notare come D’Alema abbia esplicitamente utilizzato le parole “Nuovo Ordine Mondiale” per descrivere quale sia il fine ultimo di questa élite globale da lui fedelmente servita nel corso della sua (troppo) lunga carriera politica.

Si è passati in pochi anni dalla prospettiva di un mondo autoritario globale integrato ad uno nel quale il potere è frammentato e condiviso da nazioni che piuttosto che dichiararsi guerra a vicenda si mettono al tavolo per trovare via che garantiscano la reciproca pace e prosperità.

È appunto il mondo multipolare e dopo il 30 settembre, l’umanità tutta ha messo piede in una fase nuova della sua storia.

È il tempo della fine della globalizzazione arcobaleno,

È il tempo della fine del liberalismo.

 

 

 

IL MANIFESTO E L’ALLARME

SUL NOSTRO CANALE TELEGRAM:

LE PAURE DEL MAINSTREAM.

 

Lacrunadellago.net- Cesare Sacchetti – (Ott 6, 2022) – ci dice:

 

Era un po’ che i media mainstream non si interessavano di questo blog o del nostro canale Telegram che ormai sembra avere tolto il sonno a molti, specialmente dalle parti dello stato profondo “italiano”.

Stavolta a fare una profilazione della rete di profili considerati vicini a Qanon in Italia è il Manifesto, il quotidiano comunista fondato da Lucio Magri e Rossana Rossanda.

C’è da specificare innanzitutto che Qanon non esiste.

Si tratta di una invenzione mediatica che deriva da alcuni media del mainstream americano che è stata pedissequamente ripresa da quest’altra sponda dell’atlantico dai media italiani ed europei.

Esiste Q, una sua bacheca e i suoi cosiddetti “drop” che sono delle comunicazioni, a volte in codice, che vengono fatte per dare indizi e tracce a coloro che seguono il movimento di Donald Trump.

L’ipotesi più probabile è che dietro Q ci sia in realtà un gruppo di intelligence militare americano che affianca il presidente da diversi anni. Lo stesso Trump ha rimandato innumerevoli volte a Q e ai suoi scritti attraverso condivisioni sui social. Non è un’entità astratta.

È un fenomeno reale senza il quale è impossibile comprendere quale sia la missione di Trump da quando ha iniziato la sua avventura in politica, e da quando è nato il movimento fondato sul principio di mettere al primo posto l’America e i suoi interessi nazionali, e non quelli di oscuri gruppi di potere che da troppo tempo infestano Washington e le sue istituzioni.

La ragione per la quale i media americani ed italiani definiscono Qanon come Q è probabilmente quella del depistaggio. Attraverso questo falso nome vengono attribuiti fatti e dichiarazioni a Q che in realtà hanno fatto Qanon e i canali che falsamente dichiarano di essere “rappresentanti” di Q quando in realtà sono spesso i primi disinformatori.

È la palude della falsa controinformazione della quale si è parlato in numerose occasioni e che abbiamo denunciato numerose volte perché molto spesso tali infiltrati producono danni persino più rilevanti dei media mainstream.

L’ultimo esempio, tra i numerosissimi che si possono fare a questo proposito, è quello di aver fatto credere che Draghi prima di lasciare palazzo Chigi abbia in qualche modo preparato il terreno ad un ritorno alla sovranità monetaria attraverso una fantomatica riforma della Banca d’Italia che in realtà non c’è mai stata.

Costoro hanno fatto credere che nel nuovo statuto di Bankitalia si fosse messo fine al famigerato divorzio del 1981 attuato dall’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, e l’ex governatore di palazzo Koch, Carlo Azeglio Ciampi.

Nulla di tutto questo è ovviamente accaduto ma il mestiere del disinformatore è appunto quello di confondere le acque e depistare per conto degli apparati dello stato profondo che lo governano e lo retribuiscono per tale opera di mistificazione.

Lo scopo è far apparire come amici i nemici e viceversa in modo da indurre il lettore nella confusione più totale e farlo precipitare paradossalmente a tessere le lodi di coloro che invece egli vorrebbe denunciare e combattere.

Questa parentesi sulla falsa controinformazione era essenziale perché i media mainstream quando fanno le loro profilazioni mischiano giornalisti che non rispondono al sistema ad altri elementi manovrati dal sistema stesso, per far credere che i primi abbiano qualcosa a che spartire con i secondi.

Per poter distinguere i primi dai secondi, il lettore deve fare un esercizio di verifica dei contenuti messi in circolo da entrambi e metterli a confronto in modo da avere un’idea chiara di chi ha costantemente fabbricato montature quali quella di Draghi “sovranista” oppure quella del certificato verde che sarebbe stato prorogato di 3 anni a marzo scorso.

Oppure ancora quella del fantomatico arrivo dei Black block a Trieste che sarebbero dovuti giungere lo scorso ottobre nel capoluogo friulano per sabotare le proteste dei portuali che stavano facendo davvero paura al governo Draghi.

E ancora si potrebbe citare a questo riguardo il caso Biscardi dello scorso gennaio, quando purtroppo in completa solitudine denunciammo come si stesse facendo passare un noto truffatore per un ricercatore scientifico e di come si stesse cercando di far credere che tale personaggio fosse stato ucciso per via delle sue “ricerche” sui sieri.

In quel caso, l’apparato della disinformazione aveva ricevuto il compito di far credere, falsamente, che chi parlava dei danni dei sieri veniva eliminato perché scomodo.

È l’”arte” della psy-op, ovvero quel depistaggio messo su da ambienti dei servizi che in questo caso hanno deciso di scatenare una guerra psicologica permanente nei confronti dei dissidenti per farli vivere in uno stato di paura perenne e indurli in qualche modo alla rassegnazione.

Attraverso tale tecnica si raffigura il potere come più forte di quello che in realtà è, e lo si protegge avvolgendolo di una artificiale aura di “invincibilità”.

A questo punto, c’è abbastanza carne al fuoco da far comprendere al lettore quali sono le tecniche dei depistatori e come riconoscerli.

Tornando all’articolo del Manifesto, stavolta non si ravvedono i toni irrisori e diffamatori dei precedenti articoli del mainstream contro di noi. Non c’è la falsificazione vista con Newsguard, una società vicina ad ambienti sorosiani, e non c’è il fango e le menzogne, scritte anche in maniera ridicola, della versione italiana della rivista americana Rolling Stones, già nota per aver fabbricato clamorose storie false su ospedali congestionati da pazienti che avevano preso la ivermectina, il farmaco usato da Trump per trattare l’influenza COVID.

 

Stavolta si ravvedono dei toni più asciutti e formali di quelli di chi vuole fare una fredda analisi statistica di quei canali che sono diventati una vera e propria spina nel fianco nei confronti di determinati poteri.

E stando a quello che scrive il quotidiano comunista sul podio ci sarebbe proprio il nostro canale.

Questo è il ritratto che il Manifesto fa di noi.

“Unico fra tutti coloro che hanno sposato le teorie di Q a produrre quasi esclusivamente contenuti originali (nell’ordine di decine di post al giorno sugli argomenti più svariati, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, oltre ad avere un suo blog anche in inglese), dai dati emerge che il suo canale Telegram (63.505 iscritti) è il più ripostato in tutto il network italiano – non solo quello Q – preso in analisi dal database, con un margine quasi di 2 a 1.

Due post di Sacchetti in cui insinuava che Mario Draghi fosse gravemente malato – che gli sono valsi lo scorso gennaio una perquisizione da parte della Digos – hanno rispettivamente 99.000 e più di 43.000 visualizzazioni – e hanno circolato non solo su canali Q come Qanon Italia e Italian Patriots ma anche su gruppi come Esercenti no green Pass e Italia Costituzionale no green pass.”

Ci sembra di capire quindi che il Manifesto ha commissionato o si è servito di un’analisi statistica per giungere alla conclusione che il nostro canale Telegram è in effetti il più popolare tra quelli presenti su questa piattaforma in Italia.

L’articolo del quotidiano poi prosegue scrivendo che “Sacchetti è in top ten fra i più ripostati sia che si parli di Qanon, di elezioni o di Covid, mentre è in assoluto il più condiviso in materia di guerra in Ucraina.”

Ciò suggerisce che il mainstream che ha in un primo momento adottato le tecniche del discredito per provare, invano, a squalificarci sia seriamente preoccupato.

Il blog e il canale sono evidentemente diventati un punto di riferimento per molte persone che da tempo hanno smesso di leggere i media mainstream e che diffidano al tempo stesso della palude della falsa controinformazione che infesta lo stesso Telegram.

 

Ciò pare che susciti irritazione perché quando non si è padroni del flusso delle notizie non si riesce a controllare le menti come vorrebbe il potere. E quando questa condizione si verifica, ciò vuol dire che quel potere ha perduto la leva del suo controllo. Quella che le consentiva di far dire e pensare ciò che si vuole anche ai dissidenti attraverso la citata rete di depistatori e disinformatori.

Sono gli uomini del mainstream stesso ad ammettere, a malincuore, che ciò che facciamo ha caratteristiche diverse dagli altri e, che piaccia o meno, sono queste caratteristiche – a mio modesto parere di serietà e metodo nelle analisi delle notizie – che, a quanto pare, preoccupano e non poco i proprietari dei mezzi di comunicazione.

Ciò porta alla conclusione precedente, ovvero quella che il sistema sta perdendo la battaglia del pensiero.

Per la prima volta dalla fine della farsa pandemica, è emerso quindi un elemento nuovo e incontestabile. Il potere ha paura perché i mezzi che assicuravano la sua esistenza sono divenuti ininfluenti.

Più semplicemente, c’è una larga parte di persone che non crede più al sistema e queste persone stanno andando laddove proprio il sistema non vuole che esse vadano.

Così come tramonta il potere finanziario che aveva voluto la globalizzazione arcobaleno, così tramonta tutta la macchina di propaganda che questo aveva messo in moto.

 

 

 

 

LA SOTTILE LINEA ROSSA: DOPO KABUL

LA NATO NON PUÒ PERMETTERSI

DI PERDERE ANCHE KIEV.

Comedonchiasciotte.org – Pepe Escobar – strategic-culture.org – (16-10-2022) – ci dice:

La Russia non permetterà all'Impero di controllare l'Ucraina, costi quel che costi. Questo è intrinsecamente legato al futuro del Partenariato della Grande Eurasia.

Cominciamo con il Pipelineistan. Quasi sette anni fa, avevo mostrato come la Siria fosse l’ultima guerra del Pipelineistan.

Damasco aveva rifiutato il progetto – americano – di un gasdotto Qatar-Turchia, a vantaggio di Iran-Iraq-Siria (per il quale era stato firmato un memorandum d’intesa).

Ne era seguita una feroce e concertata campagna “Assad deve andarsene”: la guerra per procura come strada per il cambio di regime.

La situazione era peggiorata esponenzialmente con la strumentalizzazione dell’ISIS – un altro capitolo della guerra del terrore (corsivo mio). La Russia aveva bloccato l’ISIS, impedendo così un cambio di regime a Damasco. Il gasdotto favorito dall’Impero del Caos aveva morso la polvere.

Ora l’Impero si è finalmente vendicato, facendo esplodere i gasdotti esistenti – Nord Stream (NS) e Nord Steam 2 (NS2) – che trasportavano o stavano per trasportare il gas russo ad un importante concorrente economico dell’Impero: l’UE.

Ormai sappiamo tutti che la condotta B di NS2 non è stata bombardata, né perforata, ed è pronta a partire. Riparare le altre tre linee danneggiate non sarebbe un problema: una questione di due mesi, secondo gli ingegneri navali. L’acciaio dei Nord Stream è più spesso di quello delle navi moderne. Gazprom si è offerta di ripararle, a patto che gli Europei si comportino da adulti e accettino severe condizioni di sicurezza.

Sappiamo tutti che questo non accadrà. Nulla di tutto ciò viene discusso dai media della NATO. Ciò significa che il Piano A dei soliti sospetti rimane in vigore: creare una voluta carenza di gas naturale che porti alla deindustrializzazione dell’Europa, il tutto come parte del Grande Reset, ribattezzato “La Grande Narrazione” di Klaus Schwab (il nuovo Dio terreno! Ndr).

Nel frattempo, il Muppet Show dell’UE sta discutendo il nono pacchetto di sanzioni contro la Russia. La Svezia si rifiuta di condividere con la Russia i risultati della losca “indagine” intra-NATO su chi ha fatto esplodere i Nord Stream.

Alla Settimana dell’energia russa, il Presidente Putin ha riassunto i fatti.

L’Europa incolpa la Russia per l’affidabilità delle sue forniture energetiche, anche se riceveva l’intero volume acquistato in base a contratti fissi.

Gli “orchestratori degli attacchi terroristici del Nord Stream sono coloro che ne traggono profitto.”

La riparazione delle condotte del Nord Stream “avrebbe senso solo nel caso in cui ne fossero garantiti il funzionamento e la sicurezza.”

L’acquisto di gas sul mercato spot causerà una perdita di 300 miliardi di euro per l’Europa.

 

L’aumento dei prezzi dell’energia non è dovuto all’Operazione Militare Speciale (OMS), ma alle politiche dell’Occidente.

Tuttavia, lo spettacolo dei “Dead Can Dance” deve continuare. Mentre l’UE si vieta da sola di acquistare energia dalla Russia, l’eurocrazia di Bruxelles aumenta il suo debito con il casinò finanziario. I padroni imperiali ridono a crepapelle per questa forma di collettivismo, mentre continuano a trarre profitto utilizzando i mercati finanziari per saccheggiare e depredare intere nazioni.

Il che ci porta al punto cruciale: gli psicopatici straussiani/neo-conservatori che controllano la politica estera di Washington potrebbero – e la parola chiave è “potrebbero” – smettere di armare Kiev e avviare negoziati con Mosca solo dopo che i loro principali concorrenti industriali in Europa saranno falliti.

Ma anche questo non sarebbe sufficiente, perché uno dei principali mandati “invisibili” della NATO è quello di capitalizzare, con qualsiasi mezzo, le risorse alimentari della steppa pontico-caspica: stiamo parlando di 1 milione di km2 di produzione alimentare, dalla Bulgaria fino alla Russia.

Judo a Kharkov.

La SMO si è rapidamente trasformata in una CTO (Counter-Terrorist Operation) “soft”, anche senza un annuncio ufficiale. L’approccio senza fronzoli del nuovo comandante generale con piena carta bianca dal Cremlino, il generale Surovikin, alias “Armageddon,” parla da sé.

Non c’è assolutamente nulla che indichi una sconfitta russa lungo gli oltre 1.000 km del fronte. La ritirata da Kharkov potrebbe essere stata un colpo da maestro: la prima fase di una mossa di judo che, ammantata di legalità, si è sviluppata in pieno dopo il bombardamento terroristico di Krymskiy Most – il ponte di Crimea.

Guardiamo alla ritirata da Kharkov come ad una trappola – come ad una finta dimostrazione di “debolezza” da parte di Mosca.

Questo ha portato le forze di Kiev – in realtà i loro referenti della NATO – a gongolare per la “fuga” della Russia, ad abbandonare ogni cautela e a darsi da fare, avviando persino una spirale di terrore, dall’assassinio di Darya Dugina al tentativo di distruzione del Krymskiy Most.

In termini di opinione pubblica del Sud globale, è già stato stabilito che il Daily Morning Missile Show del generale Armageddon è una risposta legale (corsivo mio) ad uno Stato terrorista.

Putin potrebbe aver sacrificato (solo per un po’) un pezzo della scacchiera – Kharkov: dopo tutto, il mandato dell’OMU non è quello di non perdere terreno, ma di smilitarizzare l’Ucraina.

Mosca ha persino vinto dopo Kharkov: tutto l’equipaggiamento militare ucraino accumulato nell’area è stato lanciato in continue offensive, con l’unico risultato di impegnare l’esercito russo in un tiro al bersaglio senza sosta.

E poi c’è il vero colpo di scena: Kharkov ha messo in moto una serie di mosse che hanno permesso a Putin di dare scacco matto, attraverso una CTO “soft”, ma pesante di missili, riducendo l’Occidente collettivo ad un branco di polli senza testa.

Parallelamente, i soliti sospetti continuano a girare senza sosta la loro nuova “narrativa” nucleare. Il Ministro degli Esteri Lavrov è stato costretto a ripetere ad nauseam che, secondo la dottrina nucleare russa, un attacco nucleare può avvenire solo in risposta ad un’offensiva “che metta in pericolo l’intera esistenza della Federazione Russa.”

L’obiettivo degli psicopatici assassini di Washington – nei loro sogni erotici – è quello di indurre Mosca ad usare le armi nucleari tattiche sul campo di battaglia.

Questo è stato un altro fattore che aveva spinto ad affrettare i tempi dell’attacco terroristico al ponte di Crimea, dopo che i piani dell’intelligence britannica erano stati elaborati da mesi. Tutto ciò si è risolto in un nulla di fatto.

La macchina isterica della propaganda straussiana/neoconservatrice sta freneticamente, preventivamente, attaccando Putin: è “messo all’angolo,” sta “perdendo,” sta “diventando disperato” e quindi lancerà un’offensiva nucleare.

Non c’è da stupirsi che l’orologio del giorno del giudizio, creato dal Bulletin of the Atomic Scientists nel 1947, sia ora posizionato a soli 100 secondi dalla mezzanotte. Proprio “alle porte dell’Apocalisse.”

Ecco dove ci sta portando un gruppo di psicopatici americani.

La vita alle porte dell’Apocalisse.

Mentre l’Impero del Caos, della Menzogna e del Saccheggio è pietrificato dal sorprendente doppio fallimento di un massiccio attacco economico/militare, Mosca si sta sistematicamente preparando per la prossima offensiva militare.

 Allo stato attuale, è chiaro che l’asse anglo-americano non negozierà. Non ci ha mai provato negli ultimi 8 anni e non ha intenzione di cambiare rotta adesso, nemmeno incitato da un coro angelico che va da Elon Musk a Papa Francesco.

Invece di fare come Tamerlano e accumulare una piramide di teschi ucraini, Putin ha invocato eoni di pazienza taoista per evitare soluzioni militari. Il Terrore sul ponte di Crimea potrebbe aver cambiato le carte in tavola.

Ma i guanti di velluto non sono stati tolti del tutto: La routine aerea quotidiana del generale Armageddon può ancora essere vista come un avvertimento – relativamente educato.

Anche nel suo ultimo, storico discorso, che conteneva un duro atto d’accusa contro l’Occidente, Putin ha chiarito di essere sempre aperto ai negoziati.

Tuttavia, Putin e il Consiglio di Sicurezza sanno bene perché gli Americani non possono negoziare. L’Ucraina sarà anche solo una pedina del loro gioco, ma è pur sempre uno dei nodi geopolitici chiave dell’Eurasia: chi la controlla, gode di una maggiore profondità strategica.

I Russi sanno bene che i soliti sospetti sono ossessionati dall’idea di mandare all’aria il complesso processo di integrazione dell’Eurasia, a partire dalla BRI cinese.

Non c’è da stupirsi che importanti istanze di potere a Pechino siano “a disagio” con la guerra. Perché questo è molto negativo per gli affari tra la Cina e l’Europa attraverso diversi corridoi trans-eurasiatici.

Putin e il Consiglio di Sicurezza russo sanno anche che la NATO ha abbandonato l’Afghanistan – un fallimento assolutamente miserabile – per puntare tutto sull’Ucraina. Quindi, perdere sia Kabul che Kiev sarebbe il colpo mortale definitivo: ciò significherebbe lasciare il XXI secolo eurasiatico tutto a favore del partenariato strategico Russia-Cina-Iran.

I sabotaggi – dai Nord Streams al Krymskiy Most – fanno capire il gioco della disperazione. Gli arsenali della NATO sono praticamente vuoti. Ciò che resta è una guerra del terrore: la sirianizzazione, anzi l’ISIS-izzazione del campo di battaglia. Gestita da una NATO cerebralmente morta, combattuta sul terreno da un’orda di carne da cannone con in più mercenari provenienti da almeno 34 nazioni.

Mosca potrebbe quindi essere costretta ad andare fino in fondo – come ha rivelato il sempre freddo Dmitry Medvedev: ora si tratta di eliminare un regime terroristico, smantellare totalmente il suo apparato politico-sicurezza e poi facilitare l’emergere di un’entità diversa. E se la NATO continuerà a bloccarla, lo scontro diretto sarà inevitabile.

La sottile linea rossa della NATO è che non può permettersi di perdere sia Kabul che Kiev.

Eppure ci sono voluti due attentati terroristici – in Pipelineistan e in Crimea – per imprimere una linea rossa molto più netta e bruciante: la Russia non permetterà all’Impero di controllare l’Ucraina, costi quel che costi. Questo è intrinsecamente legato al futuro del Partenariato della Grande Eurasia. Benvenuti nella vita alle porte dell’Apocalisse.

(Pepe Escobar- strategic-culture.org)

(strategic-culture.org/news/2022/10/12/the-thin-red-line-nato-cant-afford-to-lose-kabul-and-kiev/)

 

 

 

“LA CRISI ENERGETICA SEGNA L’INIZIO

 DELLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE TEDESCA”

Comedonchisciotte.org – Redazione CDC – (16 Ottobre 2022) – ci dice: 

(vocidallagermania.blogspot.com)

 

Secondo una recente analisi condotta da Deutsche Bank, l'attuale crisi energetica potrebbe segnare la fine del modello di sviluppo tedesco caratterizzato da energia abbondante e a basso costo e l'inizio della deindustrializzazione della prima potenza manifatturiera d'Europa. Ne scrive Business Insider.

Pure i tedeschi si stanno rassegnando al declino del proprio apparato industriale? A quanto pare, almeno una parte dell’establishment, la pensa così. Soprattutto colpisce l’allineamento alla narrazione secondo cui ormai tutto sarebbe certo e inevitabile. E alla fine, pure a noi toccherà sentirsi un po’ tedeschi, o magari sono i tedeschi che si stanno italianizzando, quando noi ci siamo già grecizzati. Sono i miracoli dell’Unione Europea: ormai scontenta tutti, tranne Washington.

 

Nell’analisi dal titolo “La crisi energetica colpisce nel profondo l’industria tedesca “, l’autore Eric Heymann scrive: “Quando tra una decina d’anni guarderemo indietro all’attuale crisi energetica, potremmo individuare in questo periodo storico il punto di partenza per l’accelerazione della deindustrializzazione tedesca “.

La crisi del gas mette fine al modello economico tedesco.

Per decenni l’accesso all’energia a basso costo è stato un fattore di successo fondamentale per l’industria tedesca. Prima il carbone nazionale, poi – fino alla crisi petrolifera – il petrolio a basso costo e infine l’allettante gas russo a basso prezzo. Energia abbondante e a basso costo, ingegneri di prima classe e lavoratori qualificati hanno reso i prodotti “Made in Germany” un successo globale.

Ma questo modello commerciale tedesco sta cominciando a vacillare. L’attuale crisi del gas potrebbe rappresentare un “cambiamento strutturale per la Germania in quanto paese manifatturiero e per il modello commerciale tedesco orientato all’export “, scrive Heymann.

Secondo le stime di DB Research, quest’anno la produzione industriale tedesca dovrebbe ridursi del 2,5%. L’anno prossimo la tendenza al ribasso si accelererà fino a raggiungere il cinque per cento.

 I cali maggiori sono previsti nelle industrie ad alta intensità energetica. Questi settori includono i prodotti chimici, i materiali da costruzione, la carta e i metalli.

“Le aziende del settore hanno colto la maggior parte delle opportunità di breve termine per passare dal gas ad altre fonti energetiche o per aumentare ulteriormente l’efficienza energetica “, afferma Heymann.

“Altri passi hanno riguardato il ridimensionamento della produzione, la chiusura di singoli impianti e/o il trasferimento della produzione in stabilimenti all’estero “.

L’entità di questa riduzione dipenderà dalla disponibilità di gas per il prossimo inverno e dall’andamento del gas e dell’elettricità. Gli economisti di Deutsche Bank si aspettano che il prezzo del gas resti elevato, e che non torni ai livelli prebellici.

Con gli impianti di stoccaggio del gas in gran parte vuoti a fine inverno 2022/23 e senza il gas russo, l’UE e la Germania dovranno pagare il prezzo più’ alto rispetto agli altri Paesi importatori di gas per riempire di nuovo gli impianti di stoccaggio prima dell’inverno 2023/34“.

Lo Stato non può ridurre in modo permanente i prezzi dell’energia.

Il freno al prezzo del gas e dell’elettricità potrà attenuare le conseguenze negative, ma solo temporaneamente.

 “Lo Stato anche se volesse sovvenzionare sensibilmente i prezzi dell’energia per i clienti finali industriali, anche nel medio termine, ne uscirebbe pesantemente sovraccaricato dal punto di vista finanziario “.

 In Germania, quindi, la quota dell’industria nella creazione di valore ne uscirebbe pesantemente ridimensionata.

La deindustrializzazione colpirebbe in maniera particolare proprio la Germania, perché in questo Paese, oltre alla quota sul totale della produzione economica, risulta essere elevata anche la quota di occupati nel settore industriale.

 In Germania circa 5,5 milioni di persone lavorano direttamente nel settore manifatturiero.

 Altri milioni di posti di lavoro dipendono direttamente o indirettamente da questa macchina della prosperità. L’industria, inoltre, è anche responsabile della quota maggiore di spesa delle aziende tedesche in ricerca e sviluppo.

“Pessimismo per la Germania come sede industriale “.

“Siamo molto più pessimisti per la Germania in quanto paese industriale e manifatturiero che per le grandi industrie tedesche “, afferma Heymann.

Le grandi imprese e società potrebbero internazionalizzare ulteriormente le loro attività.

 Potrebbero allineare le sedi di produzione ai costi e ai clienti.

“Per le PMI tedesche, soprattutto nei settori ad alta intensità energetica, adattarsi al nuovo mondo dell’energia sarà più impegnativo e alcune aziende falliranno “.

Gli ultimi dati sulla produzione nazionale hanno mostrato che la prossima flessione ciclica dopo lo shock pandemico nella maggior parte dei settori industriali tedeschi è già iniziata.

 Le bollette elevate del gas e dell’elettricità, il rallentamento globale e un clima economico negativo sono i principali fattori alla base del crollo previsto. Si profila un’altra recessione in un momento in cui le conseguenze della crisi pandemica non sono state ancora superate.

(vocidallagermania.blogspot.com -

vocidallagermania.blogspot.com/2022/10/la-crisi-energetica-segna-linizio-della.html

businessinsider.de/wirtschaft/energiekrise-anfang-der-deindustrialisierung-deutschlands-deutsche-bank-studie-)

 

 

 

 

COMMISSIONATO DAL PENTAGONO:

VACCINI A MRNA CON ELEMENTI

GENETICI RAPIDAMENTE SOSTITUIBILI.

Nogeoingegneria.com – Manuela Guter – (13 OTTOBRE 2022) – ci dice :

 

Alla fine di agosto 2022 è stata resa pubblica la fase successiva di un progetto di ricerca militare-civile commissionato e finanziato dal Pentagono a partire dal 2013.

 Con stanziamenti dell’ordine di miliardi di dollari, il Pentagono aveva commissionato all’industria farmaceutica lo sviluppo di farmaci e vaccini genetici utilizzabili a lungo termine, che potessero essere modificati e riproposti rapidamente, senza doverli testare prima sull’uomo.

(Manuela Guter)

Il 1° giugno 2022, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato un ulteriore stanziamento di 3,2 miliardi per l’acquisto di nuovi vaccini. Secondo quanto riportato dalla stampa, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha “ordinato” ai produttori di produrre vaccini adattati alla genetica dei virus Omicron. Tuttavia, si dice che Pfizer ci stia lavorando da gennaio di quest’anno (Nature).

Genetica intercambiabile.

In teoria, la nuova generazione di vaccini a mRNA dovrebbe dimostrare che è possibile espandere, scambiare o riprogrammare in modo rapido e flessibile la genetica contenuta nelle nanoparticelle, a seconda delle necessità. Queste “piccole modifiche” non altererebbero in modo significativo il vaccino. I lunghi studi sull’uomo, come quelli condotti finora, dovrebbero diventare superflui con questa tecnologia.

“L’unica cosa che cambia da un potenziale farmaco mRNA all’altro è la regione codificante – il codice genetico vero e proprio che istruisce i ribosomi a produrre le proteine… ”, afferma uno studio del 2020 condotto negli Stati Uniti sui brevetti dell’azienda di genetica Moderna.

Le procedure di test e revisione eseguite una volta all’inizio della pandemia per un’approvazione provvisoria di emergenza dei vaccini a mRNA servono ora come dati base per tutti gli altri vaccini a mRNA. Secondo l’EMA, le carenze criticate all’epoca, ma tollerate in una situazione di emergenza, non sono più decisive oggi. Dopo l’uso di massa dei vaccini e le scoperte che ne sono derivate, non sono più un ostacolo. I dati reali dei gravi danni da vaccino e delle morti da vaccino registrati (e nascosti) negli Stati Uniti e in Europa non vengono minimamente presi in considerazione.

Come evidenziato nella prima parte della ricerca, l’interesse militare del Pentagono ruota attorno a questo tipo di applicazione della tecnologia vaccinale, in quanto potrebbe consentire la protezione a breve termine dei propri militari e della popolazione nel contesto di una guerra biologica con germi in rapida evoluzione.

Le due fasi del progetto di ricerca duale.

Nella prima fase, dall’inizio delle vaccinazioni di massa nel 2021, l’obiettivo è stato quello di scoprire con quale intensità e per quanto tempo i vaccini a mRNA riescono a immunizzare gli esseri umani nonostante la modifica dei virus, mentre il materiale genetico rimane lo stesso. Questo ha portato di conseguenza ai vaccini di richiamo. (Non sono stati menzionati nelle approvazioni di emergenza dell’EMA 2020).

La seconda fase consiste ora nel passare all’obiettivo vero e proprio del progetto di ricerca duale. L’attenzione si concentra sullo scambio della parte genetica del vaccino o sull’aggiunta di nuovi filamenti genici per adattare la sostanza alle rispettive sezioni geniche mutate della proteina spike delle nuove varianti del virus – ora omicron. I nuovi vaccini sono pensati come vaccini di richiamo.

L’EMA e la FDA approvano il booster adattato.

Dopo che il Presidente degli Stati Uniti Biden ha dato il via libera alla fase successiva il 1° giugno 2022, tutto è stato completato nel giro di due mesi. Il 31 agosto 2022, la FDA ha approvato un primo vaccino di Pfizer con nuovi filamenti genici adattati alla variante AE.1 di Omikron.

Il 16 settembre, l’EMA ha raccomandato la definitiva approvazione dei vaccini Moderna e BioNTech/Pfizer e delle loro sostanze di richiamo “adattate”. Citazione:

 

“Questa raccomandazione si applica (anche) a tutti i vaccini adattati Comirnaty e Spikevax esistenti e di prossima pubblicazione, compresi i vaccini adattati Comirnaty Original/Omikron BA.1, Comirnaty Original/Omikron BA.4/5 e Spikevax bivalente Original/Omikron BA.1, recentemente autorizzati”.

Quali sono le novità della seconda generazione?

 Il primo vaccino adattato da BioNTech/Pfizer, chiamato Comirnaty/AE.1, combina la parte genetica precedente di Comirnaty con quella di Omikron-AE.1, in modo simile al richiamo per Spikevax. La seconda sostanza contiene metà del materiale precedente di Comirnaty e metà delle proteine di spiga delle varianti Omikron dominanti in primavera ed estate BA.1, BA.4 e BA.5 messe insieme.

In una procedura accelerata e con dati relativi all’uomo “simili”.

Gli esperti di entrambe le autorità hanno testato e autorizzato tutto in pochissimo tempo, anche se non c’era più un’emergenza pandemica.

Hanno accettato la quasi totale inesistenza di dati medici sull’uomo delle nuove sostanze di richiamo e hanno effettuato otto test sui topi.

Sono stati aggiunti alcuni dati (sconosciuti) dal nuovo booster di comirnaty AE.1. Per quanto riguarda l’approvazione della FDA, gli scienziati statunitensi mettono in guardia dal trasferire direttamente all’uomo i risultati degli esperimenti sugli animali. Dopo tutto, BioNTech/Pfizer ha avuto a disposizione mezzo anno per condurre almeno una piccola serie di test sull’uomo.

La mancanza di dati e la fretta hanno una spiegazione: in questa fase, nuovi studi sono considerati superflui. La rapidità di elaborazione delle procedure di approvazione è più importante. Il concetto medico-militare del Pentagono sembra aver prevalso anche presso la FDA e l’EMA. Per ricordare il senso di questa tecnologia,

“Ridurre i tempi di risposta alle minacce di pandemia o bioterrorismo”.

Accordo DARPA-Moderna W911NF-13-1-0417 del 2.10.2013.

La fine della pandemia in vista.

Gli esami rapidi si svolgono nel contesto di una situazione sanitaria in via di miglioramento. I dati sulle pandemie sono già diminuiti drasticamente dall’inizio dell’anno. Omikron AE.1 domina e diffonde l’immunità naturale su una vasta area con sintomi solo lievi.

Il 15 settembre, il capo dell’OMS Tedros Adhanom dichiara che la fine della pandemia è vicina. Anche il Presidente degli Stati Uniti Biden conferma questa valutazione il giorno successivo. Settimane prima, le misure di Corona erano già cessate in molti paesi. Non esiste più una situazione di emergenza che avrebbe giustificato procedure affrettate di autorizzazione dei vaccini.

I dati pubblicati in Germania dal Ministro Lauterbach sui casi di Omicron grave e sui tassi di mortalità si basano chiaramente su calcoli manipolati.

La nuova linea di argomentazione per la nuova tappa.

I produttori e le autorità di regolamentazione ammettono apertamente che non ci sono dati rilevanti sull’uomo relativi alla seconda generazione di vaccini con genetica mutata, né in termini di efficacia né in termini di effetti collaterali.

Le dichiarazioni pubbliche iniziali hanno lo scopo di abituarci all’idea che le modifiche genetiche nei vaccini a base di mRNA non richiedano nuovi test.

Un veicolo per questa argomentazione è il riferimento ai vaccini antinfluenzali. Un ex capo revisore dei vaccini presso la FDA, il dottor Jesse Goodman, giustifica la mancanza di dati affermando,

“… che anche le vaccinazioni antinfluenzali annuali con genetica aggiornata avvengano senza una preventiva nuova serie di test sull’uomo”.

Confronto sleale.

Il dottor Paul Offit, esperto di vaccini presso l’Ospedale pediatrico di Filadelfia, critica invece questo confronto come non corretto.

“I vaccini antinfluenzali si basano su decenni di esperienza con i cambiamenti dei ceppi virali, rispetto ai quali i vaccini antinfluenzali si sono generalmente comportati allo stesso modo”.

I vaccini antinfluenzali non funzionano con la nanotecnologia dell’mRNA, ma con il metodo dei” vaccini morti”. Provocano un’immunizzazione a lungo termine. Il rinnovamento annuale non è causato da un calo delle difese immunitarie, ma solo da nuove mutazioni dei virus influenzali.

Biologia umana contro calcolo militare.

Nella seconda fase del progetto, le debolezze di una teoria militare strutturata secondo criteri meccanici (protezione dei vaccini contro le armi biologiche) rispetto alla biologia umana dinamica diventano inequivocabilmente evidenti. Le carenze qualitative dei vaccini a base di mRNA non possono più essere trascurate o occultate.

I risultati degli studi iniziali sui booster Omicron ridimensionano le aspettative. I valori ottenuti principalmente con i modelli sugli animali dimostrano che le nuove sostanze potenzianti adattate a Omicron ottengono solo miglioramenti marginali da tutti i punti di vista.

 I riceventi hanno in media livelli di anticorpi 1,5 volte superiori a quelli di coloro che hanno ricevuto il precedente richiamo con Comirnaty.

Nei topi e nei primati suscitano risposte leggermente più forti rispetto all’uomo. Sorprendentemente, i dati del test terminano dopo 30 giorni, al momento del picco noto degli anticorpi.

Il forte calo nelle settimane successive si attenua, anche se dovrebbe essere determinante la stabilità dell’effetto. Diversi studi ne parlano su Nature (01.09.22) e su Jamanetwork.

Alcuni scienziati criticano il fatto che la FDA e l’EMA avrebbero dovuto tenere conto di tali magri risultati prima di approvarlo. Il medico Paul Offit sostiene che le persone vengono ingannate dai frequenti richiami. “Se la differenza è così piccola, perché vengono distribuite quelle dosi di vaccino?”.

Joe Biden ha sprecato 3,2 miliardi? E i miliardi investiti dal Pentagono negli ultimi dieci anni? I vaccini a base di mRNA hanno un difetto cruciale (a parte gli enormi effetti collaterali). Si tratta della loro breve durata di protezione immunitaria. Non è possibile vaccinare le persone ogni quattro mesi.

(pressefreiheit. rtde.tech/international/150710-im-auftrag-pentagon-teil-2/)

 

 

 

IL BAMBINO DEL 2050.

Nogeoingegneria.com – Redazione – (14 OTTOBRE 2022) – ci dice:

(Dal film A.I. Intelligenza Artificiale -Kubrick-Spielberg).

Un recente notizia evidenzia di come sia pianificato il coinvolgimento dei pediatri nell'”ingegneria sociale” dell’umanità futura.

 Il fatto che l’operazione di vaccinazione globale abbia un retroscena di vasta portata è ormai evidente a molti.                          Di conseguenza, la resistenza cresce, la disponibilità a porgere il braccio, anche quello dei bambini, è diminuita enormemente.

“Bisogna intensificare la campagna vaccinale per la fascia pediatrica e i bambini in età scolare perché la copertura finora raggiunta con le dosi previste resta molto bassa “.

 Lo sottolinea la presidente della Società italiana di pediatria (Sip) Annamaria Staiano che, a fronte dell’aumento dei contagi proprio nei bambini in età scolare segnalato dall’Istituto superiore di sanità, chiede anche di “rivalutare” la misura dell’obbligo di utilizzo delle mascherine nelle scuole.

Un’imminente conferenza, tuttavia, fa luce sul futuro dei bambini e sul ruolo dei pediatri nel realizzarlo. Si parlerò dei futuri orizzonti “geografici” & “umani” e                    dell’umanesimo all’epoca della “pediatria” delle “macchine”.

“Pediatria 2050 – Le sfide per la Pediatria”.

Ecco il futuro della cura del bambino.

Dalla formazione specialistica dei medici pediatri alla ricerca. Dalle cure palliative fino all’applicazione delle tecnologie digitali nei diversi ambiti della pediatria.

Padova,13 ottobre 2022 – Padova ospita due giorni dedicati alla ricerca e alle cure in età pediatrica. Il bambino è un mondo da proteggere, nella crescita, nella formazione, nell’educazione e, soprattutto, nella malattia. Il 14 ottobre nell’Aula Morgagni dell’Azienda Ospedale Università di Padova, con inizio alle ore 11.00, si farà il punto sulla terapia del dolore e le cure palliative pediatriche, con una particolare attenzione alla formazione del medico specializzato nella cura del bambino.

Dopo la normalizzazione di un percorso accademico che prevede il riconoscimento formale della Scuola di Specializzazione in Cure palliative, nello specifico ambito pediatrico all’interno delle Scuole di Pediatria si è istituito un percorso formativo apposito.

La giornata del 15 ottobre sempre nell’Aula Morgagni con inizio alle ore 8.45, nell’incontro “Pediatria 2050 – Le sfide per la Pediatria” si parlerà del futuro della pediatria nei suoi diversi aspetti, dall’organizzazione e gestione dell’assistenza al bambino malato, fino alla formazione dei medici specialisti e alla ricerca scientifica.

“Fantascienza o visione acuta di un futuro che con velocità impressionante sta diventando presente?                                     Le tecnologie digitali, e del WEB così come stanno modificando i costumi dell’uomo nel suo vivere quotidiano, stanno modificando in modo drastico la pratica medica – spiega il prof. Giorgio Perilongo, Dipartimento funzionale Malattie rare e direttore UOC Clinica pediatrica Azienda Ospedale/Università di Padova –

 La realtà è che porteremo presto (se non alcuni già ora lo fanno) al ‘polso’ orologi che rilevano il livello di ossigeno nel nostro sangue in ogni momento del nostro quotidiano, il livello della glicemia minuto per minuto;

presto indosseremo ‘magliette speciali’ che oltre a coprirci renderanno possibili registrazioni a distanza del battito del nostro cuore, permettendo al nostro cardiologo di seguirci momento per momento nella vita reale;

stanno crescendo banche date digitali contenenti informazioni sulla salute individuale e collettiva che diverranno miniere di informazioni che, grazie all’intelligenza artificiale ossia algoritmi sempre più sofisticati e intelligenti, ci aiuteranno a fare diagnosi a predire il rischio di ammalarsi del singolo e di comunità”.

“Il Cosiddetto European Health Digital Space, ossia la futura grande banca digitale di informazioni riguardanti la salute di singoli e delle popolazioni europee, è il grande programma lanciato dalla Commissione Europea nel 2021 che vuole essere per l’Europa la bussola che orienti in termini di sanità il miglior futuro possibile per i cittadini – prosegue il prof. Perilongo –

In sintesi, c’è un futuro che orami pervade il presente;

c’è bisogno di conoscere queste nuove tecnologie pervasive e di sviluppare gli strumenti culturali ed esperienziali per governare le forze che queste tecnologie stanno generando ma soprattutto per dare forma a quelle che sono chiamate disruptive innovation ossia quelle innovazioni organizzative e gestionali della pratica medica prive di chiari modelli del passato a cui ispirarsi e che quindi richiedo cultura, saggezza, metodo scientifico e creatività per realizzarli”.

“C’è un cammino di inculturazione reciproca; di contaminazione reciproca di idee, esperienze perché non il singolo ma la più ampia comunità medica possa gestire questo futuro per far sì che tutto questo divenga un bene collettivo in questo caso per il futuro della salute pubblica e individuale.

 L’incontro di Padova del 15 ottobre si prefigge per la prima volta in Italia di dar vita a questo percorso di crescita e contaminazione culturale della comunità pediatrica nazionale”, conclude Perilongo. (ndr. grassetto aggiunto)

(Il concetto di inculturazione è tipicamente antropologico e deriva dalla parola inglese inculturation, proprio ad indicare che la cultura “entra dentro” attraverso un processo inconscio.)

 

La Meloni non piace alla

finanza globalista arcobaleno.

Lavocedelpatriota.it - Leo Valerio Paggi – (20 Maggio 2022) – ci dice:

 

Un articolo di Bloomberg attacca la leader di FDI.

Deve fare non poca paura l’irrefrenabile ascesa di Fratelli d’Italia, in certi ambienti.

La coerenza granitica di Giorgia Meloni e la sua capacità di avanzare proposte politiche serie e concrete, infatti, stanno premiando e ripagando tutti gli sforzi: quello che nel 2012 era un piccolissimo movimento di patrioti, è oggi il primo partito della Nazione, secondo gli ultimi sondaggi di SWG per Tg La7 sull’orientamento di voto, con un 25.6% di preferenze. Vola, quindi, FDI nel gradimento degli Italiani e stacca di netto gli altri partiti: +1.6 sul PD, +7.3 sulla Lega, +10.3 sul M5S, +15.3 su Forza Italia.

Numeri alla mano, diventa possibile ora quella ipotesi che fino a qualche mese fa nessuno avrebbe preso minimamente in considerazione: Giorgia Meloni potrebbe arrivare a Palazzo Chigi nelle elezioni politiche del 2023.

 Ecco, dunque, che l’establishment di mezzo mondo comincia a tremare, perché la leader di Fratelli d’Italia e del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei alla guida dell’Italia, un Paese chiave negli equilibri dell’UE, nell’Alleanza Atlantica e nel Mediterraneo, potrebbe davvero riscrivere la storia degli ultimi 30 anni.

 

Ne è una chiara dimostrazione l’articolo apparso oggi su Bloomberg, uno dei siti di riferimento della finanza globalista arcobaleno, che definisce Giorgia Meloni come “la donna che potrebbe portare l’Italia all’estrema destra”, perché “ora è la favorita per la successione a Mario Draghi.”

Oltre agli appellativi fuori dal tempo con i quali viene descritto il partito e la sua leader, tipici di una retorica della sinistra globalista arcobaleno senza migliori argomenti ai quali appellarsi, la Meloni, definita (forse con un complimento non voluto) “l’unica vera star politica non contaminata dalle macchinazioni del sistema”, viene duramente attaccata anche sul piano personale, mettendo in evidenza – senza polemica ma con chiarezza – il suo essere una madre non sposata che, tuttavia, pretende di difendere i valori cristiani e la famiglia tradizionale. Sul piano politico, viene criticata la sua posizione apertamente contraria all’immigrazione illegale e la sua avversione per il progetto federalista europeo.

“Personaggio sorprendente nella cultura italiana del machismo tossico”, Giorgia Meloni è tuttavia una donna che non sembra meritare il rispetto di quelle che potremmo definire femministe a comando, ossia di chi si ricorda delle battaglie per la parità di genere solo quando sotto la lente d’ingrandimento di certa stampa e di certa politica, quella fatta di discriminazioni e insulti, ci sono alcune donne, ma certamente non Giorgia Meloni né le altre leader della destra conservatrice nel mondo.

Non poteva mancare il richiamo alla posizione di Giorgia Meloni sull’aborto, definito dalla leader di FdI come una sconfitta per la società, poiché tra i menestrelli della globalizzazione c’è spazio solo per promuovere la cultura della morte, a partire dalla battaglia per la liberalizzazione della droga, passando per la legge sull’eutanasia e sulla pillola abortiva.

Non c’è spazio per celebrare la sacralità della vita, non si deve raccontare la bellezza e la grandezza del creato perché chi crede in qualcosa, chi ha fede e speranza è più difficile da dominare. E proprio perché non sembrano riuscire a dominarla, ecco quindi che Giorgia Meloni deve essere fermata.

Torna, così, puntuale come un orologio svizzero, lo spauracchio del “panico nei mercati internazionali” e le indicazioni chiare per evitare la vittoria di FdI alle prossime elezioni: “una riscrittura della legge elettorale italiana a favore di una rappresentanza più proporzionale potrebbe ridurre notevolmente le possibilità della Meloni”.

In estrema sintesi, la finanza globalista arcobaleno ci dice non solo chi bisognerebbe votare, ma vorrebbe spiegarci anche come. Con un disprezzo malcelato, si specifica anche che per vincere, la Meloni dovrebbe conquistare i voti della classe imprenditoriale del nord Italia, compito difficile per “una donna cresciuta in un quartiere popolare di Roma”.

Retorica, disprezzo, minacce. Un copione già visto e rivisto in questi anni, che tuttavia non ha saputo minimamente intralciare la marcia vittoriosa di Giorgia Meloni, sempre più apprezzata in patria e all’estero. Spaventa davvero, questa giovane donna dalla volontà di ferro, perché si batte contro le speculazioni della grande finanza, che vorrebbe annientare gli Stati nazionali, le identità, la storia. Ci dicono che la diversità è un valore, ma non lo pensano. Il “meticciato”, il multiculturalismo, questo professano, ossia la perdita di tutte le differenze in favore di un’unica grande cultura globalista arcobaleno.

Giorgia Meloni si batte, invece, per la difesa dell’economia reale, per i diritti e per la sopravvivenza di quel tessuto produttivo che non risponde a multinazionali e circuiti finanziari. Si batte per rinsaldare il legame millenario tra i Popoli europei, perché l’Europa non sia una semplice espressione geografica o un gigante burocratico dai piedi di argilla, ma l’Europa delle Patrie, davvero unita nella diversità.

Una medaglia andrebbe data a chi difende gli interessi nazionali italiani e il popolo italiano. Onore andrebbe reso a chi con coraggio e determinazione, è ancora pronto “a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto”.

La strada di Giorgia Meloni è certamente in salita, ma la meta è chiara e a portata di mano. “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.”

 

 

 

Perché falliranno…

Fisicaquantistica.it- B. Smith – (16 novembre 2021) – ci dice:

 

Sotto la superficie di molti eventi economici e socio-politici internazionali, cova la brace di una guerra permanente, spesso invisibile.

Questa guerra attualmente viene combattuta a colpi di menzogne e verità, di giornalismo asservito e tranquille azioni individuali. Una guerra tra due fazioni ormai ben definite, ed estremamente incompatibili sia dal punto di vista filosofico che spirituale.

Da un lato, abbiamo una pervasiva rete di magnati aziendali, entità bancarie, consorzi finanziari internazionali, think tank e burattini politici. Tutti questi gruppi lavorano instancabilmente per rimodellare la psicologia degli individui e della società, al fine di preparare l’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale, cioè un unico governo planetario tecnocratico, capace di monitorare ed indirizzare qualsiasi aspetto dell’esistenza umana, dal mercato alla morale comune. Spesso li si definisce semplicemente ‘globalisti arcobaleno‘, appellativo al quale essi stessi ricorrono di frequente.

Dall’altro lato, abbiamo un movimento che si è sviluppato organicamente ed istintivamente, che giorno dopo giorno, prolifera senza alcuna leadership, sotto la guida e l’esempio di vari divulgatori ed attivisti che tendono a rifarsi ai principi del diritto naturale.

Questo movimento è composto da gruppi e singoli individui, religiosi, agnostici e anche atei; persone di qualsiasi etnia e di ogni ceto sociale.

Persone che si sono trovati unite – clamorosamente – dalla comune propensione verso la tutela della libertà.

 Io li chiamo ‘Movimento per la Libertà’.

Di contorno, abbiamo tutti quelli convinti che questa non sia la loro battaglia, che fingono di ignorarla o che magari sono realmente ignari della sua esistenza. Comunque ci si relazioni a questa guerra, la cosa certa è che tutta l’umanità, nessuno escluso, alla fine dovrà fare i conti con il suo esito. Perché qui c’è in gioco il futuro della specie.

L’esito della battaglia, decreterà se le prossime generazioni avranno ancora il diritto di auto-determinarsi, mantenendo la facoltà di perseguire il loro potenziale individuale, o se ogni aspetto dell’esistenza umana cadrà sotto il controllo di una lontana burocrazia priva di volto e di anima, completamente insensibile alle necessità e al benessere dei singoli individui.

Alcune delle più ciniche ‘menti accademiche’ là fuori, tentano di marginalizzare la portata del conflitto, accusando entrambe gli schieramenti di voler imporre un’ideologia. Tuttavia sono convinto, che molte di esse siano all’oscuro della reale portata della posta in gioco. Dietro questa guerra si cela, infatti, una contrapposizione ‘elementale’. La definirei una conflagrazione tra il bene e il male.

Alcune persone non gradiscono concetti così netti, e li bollano come fantasie retoriche sui buoni e i cattivi, creati dalla religione per controllare la società.

Ebbene, non ho alcuna intenzione di convincerli del contrario. Posso solo dire, che avendo sperimentato personalmente tali concetti assoluti, essere credente per me non è una questione di scelta, ma di esperienza.

Vorrei anche sottolineare, come la maggior parte degli uomini e delle donne tenda a considerare intrinsecamente maligna, l’oppressione sistematica, finalizzata alla soddisfazione di un delirante narcisismo elitista arcobaleno.

Si tratta di imperativi morali soggettivi, ma anche universali, che riecheggiano ovunque, continuamente, indipendentemente dalla cultura, il luogo o l’epoca storica. L’ombra pressante della tirannia, suscita nella maggior parte di noi, lo stesso orrore e lo stesso impulso di sfida. Sappiamo che è così, anche se non comprendiamo bene il perché.

Sebbene io sia fermamente schierato dalla parte della libertà, non è mia intenzione, in questo articolo, scrivere una sorta di arringa unilaterale.

Parlerò, quindi, sia dei punti di forza dei globalisti arcobaleno, che delle loro debolezze. Sarebbe incauto etichettarli come un manipolo di idioti. Non sono stupidi.

Sono invece sorprendentemente intelligenti, e per nessuna ragione dovrebbero essere sottovalutati. È gente davvero molto organizzata, laboriosa e furba. Però non sono saggi.

Se lo fossero stati, avrebbero valutato già da tempo l’irrealizzabilità del loro disegno, ed il mondo si sarebbe risparmiato molti decenni di tragedie e decadenza. Il cieco ideologismo ha offuscato i loro sensi, e li ha indotti a tradire la verità e la realtà in nome del controllo.

Ecco alcune delle principali strategie utilizzate dai globalisti arcobaleno  per guadagnare potere e sospingere il mondo verso la centralizzazione totale, ed i motivi per cui sono destinate a fallire.

Globalismo Vs. Populismo.

Per secoli, il partito globalista ha creato false dicotomie per dividere le nazioni ed i popoli, così da trarre vantaggio dalla conseguente instabilità. Detto questo, la dicotomia Globalismo – Populismo, tra tutte le dicotomie politiche, è certamente quella che meglio rispecchia la realtà moderna.

Il recente esito del referendum Brexit nel Regno Unito, ha innescato una nuova ondata di propaganda.

Stanno cioè spingendo il concetto, secondo cui i ‘populisti’ stiano boicottando la globalizzazione (occhio all’imminente referendum in Italia, e agli sviluppi delle presidenziali americane) e così facendo provocando la rovina delle nazioni e dell’economia globale. In altre parole: globalismo=bene e populismo=nazismo=male.

In questa lotta tra globalisti e populisti, i burattinai stanno modificando il linguaggio, associando nuove accezioni a vecchie etichette, strategia che si è sempre rivelata molto proficua per le loro trame.

In una brillante manovra, hanno etichettato il vasto ‘movimento per la libertà’ come populista, e nel frattempo, associato il populismo al nazismo, così da poter utilizzare la scusa dei ‘sabotatori populisti/nazisti’ per giustificare il nuovo crollo economico che hanno in agenda.

 

Le masse se la berranno? Non ne ho idea. Penso che questo dipenderà dall’efficacia con cui sapranno esporre la strategia prima che abbia luogo il crollo. La nuova crisi è stata già calendarizzata, e semplicemente oggi non è più evitabile. Anche se domani stesso, fosse finalmente ripristinata una leadership onesta, il processo andrebbe comunque a compimento.

 

Comunismo Vs. Fascismo.

È uno degli espedienti più abusati dai globalisti, per sfibrare una nazione dall’interno e facilitare l’accentramento del potere.

Se doveste avere dei dubbi circa l’ingegnerizzazione del fascismo e del comunismo, vi consiglio vivamente di leggere il saggio molto ben documentato del professor Antony Sutton (l’argomento è troppo vasto e complesso per essere approfondito in questo articolo).

Oggi, stiamo assistendo alla riemersione delle peggiori ideologie comuniste, grazie ai finanziamenti provenienti da esponenti di primo piano delle oligarchie, quali George Soros, i Rockefeller e la cricca di Davos con a capo Klaus Schwab.

Stiamo parlando di gruppi di ‘giustizia sociale’ come la “Black Lives Matter”.

La psicosi collettivista ed il comportamento orwelliano esibito da gruppi sociali aggressivi e provocatori come la terza ondata femminista, sono stati accuratamente progettati per condurre all’esasperazione i conservatori, ormai sempre più stanchi di sentirsi dire cosa pensare e come agire ogni secondo, di ogni giorno della loro vita. Ed eccoci al punto…

Se si vuole ricavare un quadro d’insieme dell’America del 2021, è sufficiente tornare ad esaminare la situazione sociale dell’Europa del 1930. Gruppi di provocatori comunisti – alcuni autentici, altri fabbricati dal sistema stesso – strumentalizzando i lavoratori, stavano arrecando gravi squilibri alla cultura ed alle economie europee. Fu a quel punto che le élite finanziarono le destre, presentandole come la ‘soluzione’ al comunismo. Ogni conservatore, compresi i più mansueti ed imparziali, finì per aderire all’ideologia dello statalismo fascista, come reazione alle continue provocazioni ‘rivoluzionarie’ comuniste.

Gli Stati Uniti potrebbero oggi percorrere lo stesso iter, se non stiamo attenti. Gli ultimi eventi accaduti in Texas, sono oro colato per i globalisti. Pensate a questo scenario: da un lato Biden - come Obama -  si rapporta ai democratici, assicurando che la risposta al razzismo di una certa polizia, sia portare le forze dell’ordine ad un livello ancora più elevato di federalizzazione.

Dall’altro si rapporta ai repubblicani, sostenendo che una maggiore militarizzazione della polizia, aiuterà a prevenire il terrorismo ed altri gruppi potenzialmente pericolosi.

Ad entrambi gli schieramenti viene proposta la medesima soluzione, e cioè una massiccia presenza della polizia federale sulle strade.

La debolezza di questa strategia, sta nel fatto che questa volta il ‘movimento per la libertà’ è troppo sofisticato ed eterogeneo per sfociare in una deriva fascista.

Imperativi Morali Vs. Relativismo Morale.

La diffusione del relativismo morale è probabilmente il principale obiettivo perseguito dai globalisti arcobaleno. Perché? Perché se riesci a persuadere un’intera società che la coscienza possa essere ignorata e che gli imperativi morali siano in realtà ‘suscettibili di interpretazione’, riesci a trovare il modo di giustificare e razionalizzare qualsiasi nefandezza. Quando il male diventa bene ed il bene diventa male, gli uomini malvagi regnano incontrastati.

 

Il loro problema qui, è che la coscienza è un prodotto psichico innato, derivante dalla natura archetipica duale di questo mondo. È radicata nel nostro DNA (o nelle nostre anime, per chi è credente). Non può essere cancellata. Il relativismo morale impone di trattare ogni questione come un’ambigua ‘sfumatura di grigio’. Ma questo atteggiamento non è pratico.

La coscienza ci impone di etichettare in senso duale, binario, ogni situazione, ed agire in base a ciò che sentiamo sia giusto, date le circostanze. Questo significa che bianco e nero esistono eccome, e che esistono degli imperativi molto ben delineati. C’è quasi sempre un lato bianco ed uno nero, un lato giusto ed uno sbagliato.

I cosiddetti ‘dilemmi morali’ sono estremamente rari. Personalmente non credo di avere mai avuto a che fare nella realtà con un autentico dilemma morale.

 Tutte le volte che ho assistito a dilemmi morali, è stato nei film ed in televisione, ove vige il principio secondo cui l’unico modo di risolvere i problemi, risieda nell’applicazione del relativismo morale.

 Occorre notare che – a dispetto della preponderanza del relativismo morale nella nostra cultura mainstream – questa ideologia ancora stenta a prendere piede. Se fosse stato così facile sabotare la coscienza umana, il globalismo avrebbe raggiunto il suo obiettivo da secoli. Ma siamo ancora ben lontani da quel giorno, ammesso che mai ci sarà. Chiunque abbia ‘progettato’ la nostra coscienza merita quindi un applauso.

Collettivismo Vs. Individualismo.

Gran parte del nucleo ideologico del globalismo arcobaleno , ha a che fare con il sacrificio dell’individualità e della sovranità per il bene della ‘collettività’; in una parola, promuovono il collettivismo.

Naturalmente sappiamo che, nella realtà, i gruppi – al contrario degli individui – non esistono; sono cioè delle astrazioni che esistono solo fintanto che il singolo individuo di cui si compongono, li riconosca come legittimi. Purtroppo, i collettivisti stentano ad accettare questo semplice fatto, dal momento che ciò vorrebbe dire, che la cosiddetta ‘collettività’- non importa quanto utopisticamente la si idealizzi – non è, né mai potrà essere, l’espressione più elevata dell’esistenza umana. L’individuo è, e resterà per sempre, l’unica reale espressione dell’esistenza umana non ideologica.

I globalisti arcobaleno si affannano nel tentativo di convincere la gente che l’individuo sia pericoloso e che il collettivismo sia l’unica soluzione, per evitare le tragedie innescate da coloro che desiderano essere separati. Eppure, dati alla mano, quasi tutte le tragedie a cui da tempo stiamo assistendo, sia su scala nazionale che globale, sono state in realtà progettate ed eseguite proprio dai globalisti… non da individui indemoniati o nazioni sovrane in cerca di guai. Tuttavia, il messaggio diffuso dalla propaganda, è che il concetto stesso di sovranità sia una consuetudine barbarica appartenente al passato, e che per ‘il bene di tutti’ dovrebbe essere superato.

Per diffondere l’ideologia globalistica arcobaleno, tuttavia, le élite sono costrette a coinvolgere le persone ad un livello psicologico individuale. La maggior parte degli esseri umani ha un desiderio intrinseco di interagire con i propri simili, ma è anche dotata di un’identità individuale che pretende di svilupparsi senza subire interferenze. Ci piace appartenere ad un gruppo, fintanto che la nostra partecipazione sia sana e volontaria, e conseguenza di una nostra libera adesione.

Gli esseri umani sono istintivamente tribali, ma tale tendenza non è illimitata ed incondizionata. Esistono dei limiti psicologici e antropologici ben precisi, i quali circoscrivono la portata della nostra tribù ideale. Robin Dunbar, professore di Psicologia Evolutiva, nel 1990, appurò che esiste un limite cognitivo al numero di individui con cui qualsiasi persona sia in grado di mantenere relazioni stabili. Il professor Dunbar stimò questo numero tra le 100 e le 200 persone. Appurò inoltre, che le tribù e le comunità socialmente più efficaci, tendano a rimanere tra i 500 ed i 2500 membri.

La mente umana non si adatta alla dilatazione del gruppo tribale e rifugge l’idea di una ‘tribù globale’.

La verità è che gli esseri umani funzionano molto meglio in piccoli gruppi, e mal sopportano l’idea di appartenere ad un gruppo a cui non abbiano liberamente scelto di aderire, tanto più se stiamo parlando di un gruppo sterminato.

Questo spiega il senso di isolamento sociale, molto frequente, nelle persone che vivono nelle aree metropolitane. Circondate da milioni di concittadini, eppure isolate, a causa dell’inadeguatezza strutturale delle loro ‘tribù’.

Grandi numeri di persone possono stringersi attorno ad un ideale che condividono, e formare delle federazioni di tribù denominate nazioni (per proteggere quell’ideale), ma dovrebbe sempre trattarsi di un’adesione spontanea.

 Le pretese del collettivismo globalista arcobaleno sono semplicemente innaturali, artificiose. La gente, ormai, ha intuito che il processo di globalizzazione sta avendo luogo attraverso una serie di atti autoritari ed ingannevoli, ed ha iniziato a mettersi di traverso, per sabotare questa agenda di Klaus Schwab.

Controllo Totale Vs. Realtà.

Crisi ideologica globalista arcobaleno.

Ecco dove la struttura ideologica globalista inizia a denotare evidenti crepe. La ricerca elitaria del controllo sociale totale, appare davvero perversa e folle, e la follia finisce sempre per generare delusione e debolezza. Il punto qui, è che le oligarchie non riusciranno mai a raggiungere l’obiettivo del micro-controllo integrale. È matematicamente e psicologicamente impossibile.

La realtà non può esser sopraffatta dall’ideologia.

In primo luogo, qualsiasi sistema complesso presenta costantemente una serie di elementi che non possono essere quantificati o previsti. Per comprendere questo concetto vi consiglio di approfondire il ‘Principio di Indeterminazione’ di Heisenberg, il quale impone che chi osservi un sistema in azione, anche a distanza, finisca sempre per influenzarne il funzionamento, indirettamente o inconsciamente, e con modalità imprevedibili. Tutto ciò limita la capacità dell’osservatore (controllore), di percepire in senso oggettivo, gli elementi di ciò che osserva. Ed ecco come mai il cosiddetto ‘controllo totale’ resterà per sempre un’utopia irraggiungibile.

Questo principio si applica anche alla psicologia umana, come confermano numerosi ricercatori. Il medico, l’osservatore, non è mai in grado di osservare il proprio paziente senza influenzarne indirettamente il comportamento. Pertanto, non si potrà mai avere un’analisi del tutto obiettiva del paziente psicanalizzato.

Le élite vorrebbero edificare un sistema che consenta loro di osservarci ed influenzarci tutti indistintamente, senza innescare reazioni inattese, tuttavia le leggi della fisica e della psicologia, negano decisamente che ciò potrà mai accadere. Esisteranno sempre incognite, radicali liberi, wild card. Il sistema più perfetto può essere abbattuto da un’unica incognita.

 

Utopia Apoetica.

Per portare la discussione su un livello di matematica pura, vi consiglio di approfondire gli studi di Kurt Gödel, con la sua ‘Prova di Incompletezza’. Queste ricerche sono a mio avviso la prova finale che, in realtà, la vera battaglia contro i mulini a vento, è quella combattuta dalle élite.

Gödel si prefisse di dimostrare o confutare definitivamente l’idea che un giorno si fosse potuto definire il concetto di ‘infinito’ in termini matematici. Infatti, se fosse stato possibile definire, interpretare e comprendere l’infinito matematicamente, allora sarebbe stato possibile definire, interpretare e comprendere anche l’universo nel suo insieme.

Godel tuttavia dimostrò l’esatto opposto.

 La sua Prova di Incompletezza stabilì matematicamente e definitivamente, che l’infinito è un paradosso indefinibile attraverso la matematica.

Tenete presente che una Prova è un insieme di leggi matematiche certe ed inconfutabili. Due più due farà sempre quattro; non sarà mai uguale ad altro.

Il ben noto globalista Bertrand Russell lavorò senza sosta per dimostrare che la totalità dell’universo potesse essere codificata in cifre, scrivendo una mostruosità in tre volumi intitolata “Principia Mathematica”.

Gli sforzi di Russell furono tuttavia infruttuosi e poi letteralmente spazzati via dalla prova di Godel. A quel punto, Russell si scagliò contro la Prova di Godel, ma senza alcun successo.

Ora, per quale ragione un elitista come Russell che sosteneva apertamente la religione scientista fu tanto disturbato dagli studi scientifici di Godel?

 Ebbene, perché Godel in termini matematici, distrusse letteralmente il nucleo dell’ideologia globalista.

Dimostrò che le velleità apoteotiche (grandiose, trionfali) dei globalisti fossero destinate a restare tali. Dimostrò che esistono dei limiti invalicabili dalla conoscenza umana e dalla capacità umana di padroneggiare i sistemi complessi. Questa verità è qualcosa che i globalisti arcobaleno non riusciranno mai a digerire, perché farlo certificherebbe l’inutilità dei loro secolari sforzi organizzativi e propagandistici.

Conclusione.

Il loro problema risiede nelle incognite. La società umana potrà mai essere del tutto dominata?

In alternativa, è possibile che l’atto di ribellione contro la stagnazione dei sistemi oppressivi, sia una conseguenza naturale ed inevitabile?                         È plausibile ritenere che più le élites avvolgono il mondo in una gabbia, più tendano ad innescare reazioni imprevedibili capaci di minare la loro stessa autorità?

Ciò potrebbe spiegare la costante attenzione del sistema nei confronti dei cosiddetti ‘lupi solitari’ e delle potenziali ‘disfunzioni’ arrecabili da chiunque viva fuori dai binari del sistema. Questo è ciò che le élites temono di più: la possibilità che, nonostante tutti i loro sforzi di sorveglianza e manipolazione, individui e gruppi possano un giorno spodestarli dopo essere stati colti da un impulso imprevedibile. Niente chiacchiere, nessuna traccia elettronica, nessun avviso.Questo è il motivo per cui sono destinati a soccombere. Non possono conoscere tutte le incognite.

La totalità del loro schema utopistico, ruota attorno alla necessità di rimuovere ogni incognita, senza comprendere che il controllo a questi livelli oltre ad essere estremamente fragile, è anche estremamente rischioso.

Nella loro arroganza, ignorano i moniti ricevuti dalla loro stessa religione, cioè la scienza. Il loro passaggio lascerà nel mondo una scia di distruzione, ma il loro destino è già scritto: falliranno miseramente!

(B. Smith - alt-market.com/articles/2950-the-reasons-why-the-globalists-are-destined-to-lose)

Suprematisti bianchi, mutazione

antropologica neoliberista,

destra radicale e armi.

Transform-italia.it – (08/06/2022) - Alessandro Scassellati – ci dice:

La riflessione sul suprematismo bianco, partendo dalla mutazione antropologica avvenuta con il neoliberismo, per poi passare a ragionare sul “contro-movimento” della destra radicale e reazionaria e sul mondo paranoico dei ricchi.

Tutti elementi che fanno tornare di attualità le ricerche sviluppate dalla Scuola di Francoforte sulla personalità autoritaria tra gli anni ’30 e ’60 del secolo scorso. In chiusura, alcune riflessioni sull’interazione tossica tra il radicalismo reazionario del Partito Repubblicano e il “diritto” a possedere e portare armi da guerra negli USA.

Mutazione antropologica e paradigma neoliberista.

La pandemia da CoVid-19 ha fortemente rivalutato il ruolo dell’intervento pubblico nell’economia e nella società, rendendo visibile quanto potere e quali impatti può avere lo Stato quando si rende conto che deve agire con decisione per proteggere la salute e il benessere dei cittadini oppure rischiare di essere visto come un ente o un regime politico fondamentalmente superfluo o illegittimo.

Durante questa pandemia (ancora in corso a livello globale) la vita pubblica è stata più volte fermata in molti Paesi attraverso il “distanziamento sociale”, le restrizioni e i lock-down, ma gli interventi degli Stati in varie forme – dai pacchetti fiscali di sussidi a disoccupati e aiuti a famiglie e imprese alle campagne di vaccinazioni, dagli interventi massivi da parte delle banche centrali (azzeramento dei tassi di interesse e acquisto di buoni del tesoro e obbligazioni corporate) al lancio di programmi tesi a promuovere un’accelerazione della transizione ecologica e digitale delle economia (come nel caso del programma Next Generation EU) – sono stati imponenti (si veda il nostro articolo qui).

Allo stesso tempo, il dibattito pubblico ha accelerato, investendo moltissimi temi critici: i compromessi tra un’economia in rovina e la salute pubblica, le virtù dei sistemi sanitari centralizzati o decentrati sui territori, le fragilità della globalizzazione (scombinamenti nella logistica, catene di approvvigionamento, divisione internazionale del lavoro, rischi geopolitici, etc.), il futuro politico-istituzionale dell’Unione Europea e della sua “autonomia strategica”, le disuguaglianze socio-economiche (tra i super ricchi e coloro con lavoro e reddito garantito e coloro privi di alcuna sicurezza, alla mercé dei “capricci del mercato”, ossia delle tendenze socialmente distruttive del capitalismo), il reddito universale di base, il reddito minimo, il populismo, il nazionalismo, il vantaggio intrinseco dell’autoritarismo (decisioni rapide, anche se impopolari).

Soprattutto, nei Paesi ricchi occidentali sono stati messi in discussione orientamenti politico-culturali ed economici neoliberali divenuti egemonici a partire dalla fine degli anni ’70, allorquando partiti politici conservatori e, dopo il 1989, anche alleanze progressiste di centro-sinistra fautrici della Terza Via – frutto di grandi coalizioni tra democratici liberal, socialdemocratici, socialisti, cristiano-sociali che hanno adottato le piattaforme politiche ed economiche neoliberali delle destre conservatrici, cercando di dotarle di “un volto umano” -, avevano ottenuto il sostegno di gran parte della classe media (ossia di quella classe che lo storico new-idealista americano Arthur Schlesinger Jr. aveva definito nel 1949 il “centro vitale” del sistema politico democratico di massa) e avevano vinto le elezioni sulla base di un chiaro programma politico “liberale “, finalizzato a rilanciare il capitalismo imprigionato nelle crisi del Fordismo e del Keynesismo.

Partiti politici conservatori e progressisti hanno sostenuto che gli elevati tassi di crescita economica degli anni ’50-‘60 (i “Trenta gloriosi”) sarebbero stati nuovamente raggiunti se solo si fosse dato modo alle forze del libero mercato di agire più liberamente e per questo hanno combattuto e cercato di smantellare le forme di potere burocratico, statalista, socialista, consociativo e corporativista.

Un’agenda politica che ha promesso che individui, famiglie, comunità e affari sarebbero rifioriti soltanto dopo aver spezzato le catene dello Stato sulla società, lasciando libero il settore delle imprese private – il mercato con i suoi “animal spirits” – di controllare ogni aspetto della vita delle persone, e che si è concretizzata in un programma economico neoliberista, volto a ridurre salari, tutele, diritti, spesa sociale e servizi pubblici, privatizzando imprese, servizi e beni pubblici, deregolamentando i mercati, a cominciare da quello finanziario, e rendendo “flessibile” il mercato del lavoro.

Le implicazioni di questo vasto programma divennero subito chiare con la pubblicazione di un articolo intitolato “No more free lunch for the middle class” (niente più pasto gratis per la classe media) nel New York Times Magazine del gennaio 1982, scritto da Peter G. Peterson, ex Segretario al Commercio USA e presidente del consiglio di amministrazione di Lehman Brothers Kuhn Loeb Inc., il grande operatore di Wall Street destinato a crollare nel 2008 durante la crisi finanziaria dei mutui subprime.

L’attuazione del programma neoliberista ha voluto dire meno welfare (meno universalismo, più selettività nei diritti di accesso, e work-fare), maggiore precarietà dei lavoratori (specie se giovani, donne, anziani, di etnie minoritarie, disabili, immigrati), salari (reali) più bassi, dequalificazione di ampi segmenti dei lavoratori, aumento dell’intensità del lavoro più che della sua produttività, diminuzione dei diritti e della sicurezza dei lavoratori, i quali sono stati costretti a diventare più flessibili in termini di dove lavorano, quali sono i loro compiti, quali condizioni lavorative devono affrontare, quanto e quando lavorano, e così via.

Come esemplificato dal film “Sorry we missed you” (2019) di Ken Loach, se i tempi di lavoro sono diventati imprevedibili e senza orari definiti, le persone sono costrette a fare i salti mortali per organizzare le loro vite e quelle delle loro famiglie.

Ne è risultata una struttura fortemente segmentata e differenziata dei mercati del lavoro assai diversa da quella della fase Fordista e che ha ridotto ai minimi termini i lavoratori dei vecchi settori centrali (falcidiati dai processi di crisi aziendali, delocalizzazione, automazione e digitalizzazione della produzione) e il potere contrattuale dei lavoratori specializzati, accentuando allo stesso tempo la vulnerabilità dei diritti dei gruppi meno qualificati e più svantaggiati – persone con bassi livelli di istruzione, donne, giovani, anziani, minoranze etniche, migranti, portatori di handicap -, i cui salari tendono ad essere schiacciati verso il basso anche come conseguenza dell’esistenza di varie forme di sistematico razzismo e pregiudizio normativo ed istituzionale.

Ad esempio, in Paesi come USA, UK o Brasile, dove neoliberismo e razzismo hanno operato e operano in sinergia per frammentare la classe lavoratrice.

Nei Paesi ricchi, salari stagnanti e peggiori condizioni di lavoro sono stati accompagnati da una enorme crescita dell’indebitamento privato e dei consumi a buon mercato (“lo sconto cinese”) ottenuti grazie alla “globalizzazione” economica, ossia attraverso la finanziarizzazione della vita delle persone comuni e la gestione da parte delle global corporations di imponenti flussi di merci prodotte dalle “supply and value chains” nei Paesi emergenti e poveri.

Sono stati così riconfigurati gli assetti socio-economici esistenti alla fine degli anni ’70 in modi che non hanno rappresentato solo delle risposte alla crisi dell’accumulazione capitalistica o alla rinascita del potere di classe dei detentori di capitale dopo gli avanzamenti del movimento operaio e sindacale degli anni ’60 e primi ‘70, ma sono state anche parte di un progetto di cambiamento antropologico, intellettuale, politico e ideologico teso a riprogrammare la governabilità liberale, ridefinendo i rapporti tra Stato, democrazia, società ed economia.

Profeticamente, già nella prima metà degli anni ’70, il poeta Pier Paolo Pasolini denunciava che era in atto una “metamorfosi antropologica”, ovvero la costruzione di un’altra tipologia umana rispetto al passato, diversa per caratteristiche di coscienza, autopercezione, desideri, aspettative e valori, basata sull’omologazione consumistica, “un edonismo consumistico neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.” Un tema affrontato, in chiave ampiamente dispotica ed apocalittica, anche da molti scrittori contemporanei come Philip K. Dick, J. D. Ballard e altri.

Una “mutazione antropologica” messa in luce anche da Michel Foucault (1926-1984) che alla fine degli anni ‘70 aveva parlato della nascita della società disciplinare biopolitica e dell’impegno attivo dello Stato nella costruzione di un contesto ambientale ed istituzionale orientato ad una governa-mentalità che rende possibile che la vita sia sempre più funzionale rispetto alle esigenze del sistema economico di mercato e che si potesse costruire un uomo flessibile – una “soggettività desiderante” libera di scegliere ed intraprendere senza altro fine che la valorizzazione del proprio “capitale umano” – che deve sapersi incessantemente adattare ad esso, interiorizzandone i princìpi e comportandosi secondo le sue sempre mutevoli esigenze.

Al fondo del neoliberismo c’era l’irresistibile promessa libertaria anarchica della liberazione centrata sulla più assoluta autonomia e resilienza individuale: tutti avrebbero potuto diventare imprenditori di sé stessi, arricchirsi, mettersi alla prova, competere per migliorare la propria posizione sociale, rimanendo sé stessi, liberandosi da ogni autorità e da ogni governo, obbedendo solo ai propri istinti vitali, coltivando e amplificando i propri talenti e “spiriti animali”, anche a spese degli altri, senza preoccuparsi dell’interesse generale e di doverne pagare delle conseguenze.

Una narrazione basata sul darwinismo sociale che sul piano politico-culturale ha trasformato ogni cittadino in un io-legislatore che, quando esercita la sua potestà, non è tenuto a interrogarsi sul “bene comune”, sulle ricadute delle sue decisioni sull’insieme della comunità, locale, nazionale o globale che sia, poiché gli si richiede di essere laborioso e di calcolare costi e benefici delle sue scelte soltanto per sé e quando va bene per la sua famiglia o fazione politica.

 Le persone sono state incoraggiate a concepirsi più come consumatori che come cittadini, e a privilegiare soluzioni privatistiche anche a problemi che hanno una dimensione indiscutibilmente pubblica, come la sanità, l’istruzione, la sicurezza.

Per cui, l’individuo tende a non concepirsi come parte di una comunità più vasta e i suoi diritti non possono essere sacrificati neanche in nome della sicurezza collettiva. Una libertà individuale assoluta, senza fraternità né uguaglianza.

Questo spiega anche il culto del diritto di portare armi da parte di molti cittadini degli Stati Uniti, Paese dove l’ideologia neoliberista si è maggiormente affermata in ambito politico-istituzionale e radicata tra la popolazione.

 Un culto, che come ha notato Mattia Ferraresi, è incardinato sul principio inviolabile della libertà individuale, poggia sulle idee dell’auto-possesso e dell’autodeterminazione, dalle quali discende il diritto di proteggersi secondo modalità che non siano sottoposte ad un’autorità.

“L’idea della libertà puramente negativa (libertà “da”: dallo Stato, dalle leggi, dagli altri) con cui si giustifica il possesso delle armi è la stessa invocata per celebrare conquiste e progressi nell’ambito dei diritti individuali. Il diritto di disporre di sé, del proprio corpo, delle proprie inclinazioni, della propria sessualità, della propria sicurezza introduce anche il suo rovescio demoniaco: le armi come feroce certificazione dell’indipendenza individuale. …

L’insolubile tragedia americana delle armi abita in quella zona d’ombra della modernità in cui la liberazione dal controllo degli altri confina con la dittatura dell’io.”

Una mutazione antropologica che ha travolto empatia, sensibilità sociale, cooperazione, solidarietà e qualsiasi dimensione collettiva, favorendo il prevalere di una mentalità individualista, egoista, cinica e psicotica.

 Si è così aperta la strada sia per movimenti politici – dai suprematisti bianchi al movimento radicale antistatalista e anti-tasse del Tea Party americano, dal movimento dei ceti medio-bassi dei gilet gialli francesi ai “negazionisti” della pandemia da CoVid-19 – che promuovono apertamente narrazioni complottiste – ad esempio, quella della “grande sostituzione” della popolazione bianca o quella del “the great reset” del capitalismo che immagina che un’élite globalista stia utilizzando il CoVid-19 come un’opportunità per implementare politiche economiche e sociali radicali come vaccinazioni forzate, carte d’identità digitali e rinuncia alla proprietà privata – e il rifiuto di regole (che, a torto o a ragione, sono accusate di attaccare le libertà individuali e frenare lo sviluppo economico) e istituzioni che le emanano, sia per la degenerazione delle democrazie liberali in democrazie plebiscitarie e autoritarie (su questo tema si veda Revelli M., Umano, inumano, postumano, Einaudi, Torino, 2020).

D’altra parte, la pandemia da CoVid-19 e la conseguente crisi sociale ed economica hanno dimostrato che il modello individualista è stato il migliore alleato del virus e che la libertà individuale è illusoria, non significa nulla senza giustizia sociale, ossia se poi non si ha abbastanza da mangiare, se viene negato un accesso adeguato ad un’assistenza sanitaria, ad un lavoro, ai trasporti, all’istruzione, ad un alloggio.

La libertà individuale senza limiti significa non doversi prendere la responsabilità per le altre persone (le “vittime”, gli “scartati”, i poveri, i senza fissa dimora, gli anziani, i bambini, i Rom, etc.) o per l’ambiente e i sostenitori di questa “libertà” non cercano di costruire una comunità politica nazionale, ma di essere lasciati soli, di non essere disturbati, anche se ciò significa morire in una solitudine disperata di CoVid-19 o di overdose da oppioidi o durante una strage di massa dovuta ad un “mass shooting” realizzato da un suprematista bianco o da una persona mentalmente instabile armata e accessoriata come un commando delle forze speciali o dei marines.

Oggi, però, in molti Paesi ricchi ed emergenti, sempre più cittadini esprimono sul piano politico il proprio forte malcontento verso il binomio neoliberismo-globalizzazione, diventato egemone a seguito delle scelte politiche ed economiche “liberali” adottate dalle classi dirigenti occidentali nel corso degli ultimi 40 anni. Vedono che questo binomio non è stato in grado di far materializzare la prosperità tanto promessa e vagheggiata, e che comunque i vantaggi da esso derivanti sono andati e stanno andando in modo sproporzionato ad un ristretto segmento, già ricco e potente, della popolazione (l’1% o il 10%) e delle grandi imprese monopolistiche globali.

Questo mentre i costi e le ricadute negative della maggiore apertura (economica, sociale, culturale, migratoria/demografica, etc.) tendono a colpire solo le classi medie e quelle più povere, oltre ad ampi segmenti delle piccole e medie imprese nazionali.

La globalizzazione arcobaleno regolata dal neoliberismo ha contribuito a far aumentare la dimensione della torta economica globale e, in media e in termini aggregati, è stata vantaggiosa per la maggior parte dei Paesi, indipendentemente dal loro livello di sviluppo.

Tuttavia non tutti – Paesi, territori, imprese, gruppi sociali ed individui – hanno beneficiato e beneficiano ugualmente e in molti hanno sofferto e soffrono perché il processo è stato guidato da una riorganizzazione industriale e finanziaria planetaria motivata da una redistribuzione massiva del reddito al capitale a scapito del lavoro, nell’ordine di 10-15 punti nei 37 Paesi OCSE.

Sono state soprattutto le risposte dell’establishment – o meglio, la loro mancanza – alle questioni economiche e sociali che hanno creato i maggiori problemi a livello sia nazionale sia euro-americano.

Negli ultimi decenni, ad esempio, il numero di cittadini di origine straniera e non di pelle bianca è cresciuto fino a livelli storicamente senza precedenti in Europa e negli USA, ma i politici e i partiti tradizionali hanno prestato poca attenzione a garantire che venissero messe in campo le necessarie politiche e capacità istituzionali per l’accoglienza e l’interazione interculturale e gestire i cambiamenti e le tensioni sociali e culturali che erano in atto (ad esempio, attraverso un’espansione nei servizi di istruzione e programmi di riqualificazione per adulti).

Poco si è riflettuto anche su come sarebbero stati protetti i sistemi di welfare o su come si potesse realizzare l’integrazione nel mercato del lavoro e negli altri ambiti sociali, dando mano libera alle forze di mercato, al perseguimento dell’interesse individuale e alla crescita delle disuguaglianze, e su come si potesse mantenere la coesione sociale, la “fraternità”, ossia la solidarietà, la partecipazione e lo spirito comunitario che sono necessari per una sana democrazia e per qualsiasi serio sforzo collettivo.

Dato che i politici mainstream non hanno saputo dare risposte adeguate e voluto cambiare lo status quo, non sono intervenuti sulle crescenti disuguaglianze, non hanno evitato la riduzione di reddito e lavoro, non hanno cercato di modificare un sistema economico/finanziario iniquo, un crescente numero di cittadini in difficoltà si è sentito abbandonato dai partiti politici tradizionali.

Questo ha contribuito a creare un’apertura politica per la “destra sociale” populista che non solo punta il dito contro il migrante, il perfetto capro espiatorio divenuto il simbolo del nemico da cui ci si dovrebbe difendere, trasformando la paura in odio, ma in alcuni casi ha assunto, seppure in modo distorto, posizioni che erano state della sinistra socialdemocratica e comunista, compresa la difesa dello stato sociale, dell’interventismo governativo e dei valori laici, rivendicando più attenzione agli interessi dei settori piccolo-medio borghesi (PMI, imprese a basso tasso di innovazione tecnologica, artigiani, commercianti, agricoltori e professionisti tradizionali) penalizzati dal processo di globalizzazione, e arrivando a raggiungere anche i lavoratori e altri elettori disillusi ed alienati che in un’epoca precedente avrebbero votato per politici e partiti socialdemocratici o comunisti.

 

L’ascesa globale di un nazionalismo conservatore che sembra avere l’obiettivo di creare forme più statalizzate di capitalismo nazionale e “comunità nazionali” – dirette da leaders carismatici indiscutibili che ambiscono a difendere valori nazionali tradizionali speciali, controllare i confini contro i virus dell’immigrazione non bianca, del multiculturalismo e dell’influenza “straniera” (dagli attivisti dei diritti umani ai migranti musulmani, dai terroristi alla grande finanza, dall’Unione Europea al miliardario finanziere e filantropo “globalista” ebreo ungherese naturalizzato americano George Soros, fautore della “società aperta” auspicata dai filosofi-economisti neoliberisti austriaci Karl Popper e Friedrich August von Hayek) – è rapidamente divenuta una minaccia, perché rappresenta la ricetta per la repressione domestica, il capitalismo clientelare, la corruzione massiccia, l’implosione dello Stato di diritto, l’erosione dei diritti individuali e sociali di cittadinanza, l’ascesa di razzismi e conflitti internazionali.

Tra l’altro, con i nazionalisti conservatori e reazionari, così come avveniva con i politici mainstream, le questioni che riguardano davvero la maggioranza della popolazione, i milioni di lavoratori – la riduzione del lavoro stabile, ben pagato e di qualità, le disuguaglianze sociali, la vecchiaia in povertà, l’insicurezza e lo sfruttamento del lavoro, i problemi abitativi, la negazione dei diritti sociali – sono onnipresenti, ma non vengono realmente affrontate, perché anche questi “uomini nuovi” non mettono in discussione il paradigma economico neoliberista, il modo disumanizzante in cui il capitalismo opera, non considerando questo il problema, ma la soluzione, ancorché declinata in una logica territoriale “sovranista”.

Ciò risulta evidente dalle politiche economiche nazionali che finora hanno perseguito: nuova detassazione per i ricchi, ulteriori deregolamentazioni (anche in campo ambientale) e privatizzazioni, tagli generalizzati ai capitoli di spesa sociale per trasferire le disponibilità alla spesa militare e securitaria, nessun vantaggio diretto per la classe lavoratrice se non la promessa di una reindustrializzazione da parte delle imprese incentivate da protezionismo e detassazione degli utili.

Gli economisti dell’Università di Berkeley, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman (2019a, 2019b) hanno calcolato che i tagli fiscali da 1,5 trilioni di dollari di Donald Trump hanno aiutato le 400 dinastie miliardarie più ricche negli Stati Uniti (quelle della “lista Forbes”) a pagare nel 2018 un’aliquota fiscale media del 23%, mentre la metà inferiore delle famiglie americane ha pagato un’aliquota del 24,2%.

Nel 2018, per la prima volta nella storia moderna degli Stati Uniti, il capitale è stato tassato meno del lavoro. Dal 1980, la quota della ricchezza americana di proprietà delle 400 dinastie americane miliardarie è quadruplicata mentre la quota di proprietà della metà inferiore della popolazione americana è diminuita. Le 130 mila famiglie più ricche in America ora possiedono quasi quanto il 90% meno ricco (117 milioni di famiglie). Secondo Saez e Zucman, se l’1% più ricco della popolazione americana pagasse un’aliquota fiscale del 60%, lo Stato federale USA incasserebbe circa 750 miliardi di dollari in più l’anno, sufficienti per pagare asili nido per tutti i bambini, un programma di infrastrutture e molto altro.

Questo modo di procedere sul piano economico, insieme alla rimozione della questione sociale dal dibattito politico, è particolarmente pericoloso perché favorisce chi ha già privilegi e punisce i ceti già deboli, allargando le disuguaglianze e contribuendo all’ulteriore ascesa dell’estrema destra.

 Un circolo vizioso, perché l’ascesa dei nazionalisti di destra non potrà essere interrotta finché non ci sarà una rottura con le politiche neoliberiste orientate al libero mercato che – come Karl Polanyi ha sostenuto – distruggono la società e inaspriscono gli squilibri nell’economia globale.

Si tratta di tentativi di sostituire l’ideologia della “globalizzazione felice” o del “globalismo arcobaleno” – che secondo i sostenitori di queste posizioni politico-culturali vorrebbe annullare i princìpi delle identità nazionali, l’esistenza stessa dei confini e sancire il diritto umano di emigrare – per dare vita a forme regressive e ciniche (“realistiche”) di neoliberismo nazionale attenuate da politiche sociali assistenziali tese a lenire le sofferenze di segmenti molto limitati del corpo sociale nazionale.

Da questo punto di vista, il populismo nazionalistico conservatore, se non proprio reazionario ed autoritario, rappresenta il volto politico del neo-libelarismo in crisi. Risposte illusorie e pericolose ai guasti economici ed istituzionali che aggravano la crisi dei ceti medi e popolari, invece che arrestarla. Gli “uomini nuovi” del campo della destra reazionaria cercano di far credere che il ripristino di uno Stato nazionale governato con pugno di ferro (con “i pieni poteri”), dotato di tutti i suoi attributi di sovranità interna ed esterna, capace di chiudere i suoi confini ai migranti, di imporre alla popolazione leggi finanziarie e di mercato più dure e di respingere tutti gli accordi di cooperazione internazionale sul clima, sia l’unico modo per migliorare la situazione sociale della stragrande maggioranza della popolazione.

 Se le principali minacce diventano i migranti, i nemici “delle nostre origini giudaico-cristiane”, George Soros o le importazioni cinesi, questi leader sostengono che sia possibile una nuova politica pro-capitalista su base nazionale che si pone come obiettivi tenere fuori il proprio Paese dalle istituzioni e dai flussi non graditi di capitale, merci e, soprattutto, persone – migranti economici, profughi, richiedenti asilo e rifugiati di pelle non bianca, quelli che Trump ha definito “animali” provenienti da “shithole countries” -, in modo da implementare la propria versione nazionale di neoliberismo conservatore, etnico, razzista, reazionario e autoritario.

Il contro-movimento della destra radicale e il suprematismo bianco.

Su come si esce dalla crisi del paradigma politico-ideologico neoliberista ho provato a ragionare in un articolo dedicato al pensiero di Karl Polany, evidenziando il rischio che se ne esca a destra piuttosto che a sinistra. Quello che è certo è che il “vento nuovo che sta scuotendo il mondo”, infliggendo un’apparente sconfitta politica al binomio neoliberismo-globalizzazione sta soffiando a seguito di una contro-offensiva da parte delle forze politiche e culturali più radicalmente conservatrici, nazionaliste, reazionarie, fondamentaliste ed integraliste della destra autoritaria (insieme a nuovi partiti/movimenti del “centro estremo” neoliberista, come i partiti/movimenti La République en Marche di Macron in Francia e il primo Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo in Italia).

Utilizzando come armi un linguaggio tutto fatto di irrisione, cattivismo e scherno, una vasta presenza sui social media e il cosiddetto populismo reazionario “nativista”, neo-nazionalista, neo-protezionista, xenofobo, securitario e fondamentalista religioso, questa destra radicale è riuscita finora a costruire delle “comunità del rancore” e a cavalcare la rabbia anti-globalizzazione, anti-establishment, anti-finanziarizzazione, anti-multiculturalismo, anti-immigrazione e anti-complessità di ampi strati dei ceti medi e popolari americani ed europei (e non solo) indignati, impauriti e impoveriti dagli effetti negativi della globalizzazione neoliberista, della sua crisi dopo i crolli economici e finanziari del 2007-08 (crisi dei mutui subprime) e del 2020-21 (pandemia da CoVid-19) trasformandola in consenso elettorale vincente – da Trump a Johnson, ad Orbàn, a Kaczyński – contro ogni aspettativa, analisi e valutazione da parte di osservatori, analisti e politici mainstream.

 

D’altra parte, il cambiamento sociale avvenuto negli ultimi 40 anni, oltre alle crescenti disuguaglianze, ha visto mettere in discussione le norme e gli atteggiamenti tradizionali sulla religione, la sessualità, la vita familiare e altro ancora, dall’emergere dei movimenti sociali dei diritti civili, femminista e delle persone LGBTQ+ (Lesbian Gay Bisexual Transgender Queer e altre minoranze di genere), mentre la massiccia immigrazione e (specialmente negli Stati Uniti) la mobilitazione di gruppi di minoranza da sempre oppressi come gli afroamericani e i latinos (rispettivamente 55 e 68 dei 328 milioni di cittadini americani) ha contribuito a sconvolgere gli equilibri socio-demografici e le gerarchie politiche tradizionali, rendendo molti cittadini (soprattutto maschi) bianchi particolarmente nervosi, risentiti e arrabbiati per la perdita di status e potere.

 

Da questo punto di vista, nei Paesi occidentali ricchi il nuovo nazionalismo reazionario è strettamente intrecciato all’ideologia del suprematismo bianco ed è profondamente anti-democratico, perché si basa su una visione esclusivista, totalitaria e parafascista della libertà – definita essenzialmente in termini di identità “razziale”, nazionale, etnica e/o religiosa -, in cui il disprezzo per la dignità, i diritti e la libertà dell’individuo non è incidentale, ma fondativo e viene utilizzato come un’arma contro tutti coloro che si oppongono al “nuovo ordine” protettivo nativista, razzista, anti-multiculturale, machista, misogino e patriarcale. Un collettivismo repressivo in cui l’inclusione non è data dai diritti, ma è fondata sull’individuazione degli “altri” che vengono trasformati in nemici.

Sotto la bandiera di un collettivismo ideologico repressivo, il nazionalismo di destra promuove l’idea dell’unità del capitale e del lavoro e fa avanzare il capro espiatorio razzista e xenofobo di immigrati, rifugiati, persone di colore, musulmani e stranieri. Incoraggia l’identificazione con l’aggressore attraverso una costituzione del popolo attraverso l’antagonismo contro i suoi nemici, trasformati in oggetti di paura, consentendo di tradurre l’angoscia economica in angoscia culturale identitaria.

Prevale l’idea che, volendo continuare a perseguire politiche economiche nazionali neoliberiste improntate al rigore e all’austerità, non ci siano sufficienti risorse per tutti e che quindi debbano venire “prima gli americani” o gli inglesi, o gli ungheresi, o gli italiani, ossia il “nostro” popolo, quello considerato “vero” sul piano razziale-etnico-linguistico e dal quale dovrebbe essere possibile esigere una lealtà pressoché assoluta, escludendo coloro che non sono considerati “degni”, “integrabili” ed “assimilabili”: migranti, poveri, LGBTQ+, “fannulloni”, rom e sinti (almeno 10 milioni in Europa), agitatori sociali, anti-patrioti, musulmani, ebrei, femministe, comunisti, anarchici, etc..3.

Ogni “sovranista” allunga la lista dei denigrati, esclusi e perseguitati a seconda dei gusti, delle circostanze e della voglia di alimentare le divisioni/contrapposizioni amici-nemici, ma una caratteristica comune è quella di essere “forti con i deboli e deboli con i forti”. In questo modo, questioni di dissenso politico e di disagio sociale e culturale vengono trasformate in questioni securitarie, penali, di “legge e ordine”.

 Invece di essere delegate agli interventi di uno Stato sociale universalistico, ormai sempre più sottofinanziato, fragilizzato e frammentato, vengono affrontate con misure punitive e tecniche repressive al punto da mettere a rischio il rispetto delle libertà civili e dei diritti umani e sociali.

Lo storico Eric J. Hobsbawm ha sostenuto nel suo capolavoro Il secolo breve (1995) che “il cemento comune” dei movimenti della destra radicale europea che tra le due guerre portarono al nazi-fascismo (il “regime reazionario di massa”, come lo definì Antonio Gramsci), “era il risentimento dei ‘piccoli uomini’ in una società che li schiacciava fra la roccia del grande affarismo da un lato e le asperità dei movimenti in ascesa delle classi lavoratrici dall’altro.

Una società che, come minimo, li privava della posizione rispettabile occupata nell’ordine sociale tradizionale, e che essi credevano fosse loro dovuta, e che d’altro canto impediva loro di acquisire all’interno del suo dinamismo uno status sociale al quale si sentivano in diritto di aspirare. Questi sentimenti trovarono la loro espressione caratteristica nell’antisemitismo…” (1995:146-147).

I radicali di destra di oggi sono animati dall’idea di una sorta di perverso gioco a somma zero che permette loro di sentirsi meglio con sé stessi colpendo gli altri, soprattutto i più deboli sul piano socio-economico e politico, mentre ritengono che dover riconoscere che gli altri hanno bisogni e diritti propri equivalga a togliere a loro questi bisogni e diritti. È un tentativo di convertire la rabbia, il disprezzo culturale e l’odio sociale in autostima, ma la frustrazione spinge questi radicali sempre più agli estremi.

Il mondo paranoico dei ricchi.

Il populismo reazionario è in grado di attirare, oltre che i ceti più vulnerabili, anche gli elettori ricchi, in quanto il pregiudizio e l’ostilità possono essere ugualmente prevalenti tra le fasce più abbienti della popolazione.

 Mols e Jetten parlano di “paradosso della ricchezza” e sostengono che le fasce più abbienti percepiscono che i confini tra il loro gruppo e quelli socialmente inferiori (come il ceto medio) sono permeabili, e quindi si percepiscono insidiate dal pericolo di un declino della propria posizione.

Cercano di rafforzare i meccanismi di legittimazione dei propri livelli di reddito e di ricchezza che giustificano che altri gruppi stiano peggio, o perfino che restino esclusi dall’accesso a fondamentali diritti e opportunità.

In loro cresce il timore che la propria ricchezza possa dissiparsi in un breve lasso di tempo, per l’instabilità politica o per quella economica, e accumulano risentimento credendo di essere colpiti dalle misure di austerità più duramente degli altri gruppi.

I veri ricchi, come ha osservato F. Scott Fitzgerald ne “Il grande Gatsby”, “sono diversi da te e me”, perché la loro ricchezza li rende “cinici dove noi siamo fiduciosi” e li fa pensare che siano “migliori di noi “.

I super ricchi americani sono consapevoli che nel medio e lungo termine queste dinamiche sociali ed economiche così inique (basti pensare che i maschi americani più ricchi vivono 15 anni in più rispetto ai maschi americani più poveri, mentre per le donne gli anni sono 10) non sono sostenibili e in molti, oltre a fare la tradizionale beneficenza filantropica, vivono nell’angoscia che il Paese possa insorgere contro di loro e che nel prossimo futuro possano scoppiare gravi disordini, sommosse, tensioni razziali e conflitti sociali.

I super ricchi temono l’arrivo di una catastrofe (come nei casi degli uragani Katrina e Irma), di una pandemia (come il coronavirus CoVid-19), di una guerra civile, di una rivoluzione o di un collasso del governo e delle istituzioni.

Una situazione di crollo dell’apparato statale che viene chiamata wrol – without rule of law – cioè “fine dello stato di diritto”.

Per questo si preparano a sopravvivere (“survivalism”) rifugiandosi in bunker sotterranei con armi automatiche e provviste o predisponendo vie di fuga in rifugi dorati in isole sperdute o in case di lusso in Nuova Zelanda, un arcipelago di oltre 600 isole che ai loro occhi offre distanza e sicurezza (ma dove di recente, per contenere il “caro-casa” e bloccare l’”invasione” dei super ricchi americani e cinesi, il governo laburista ha bloccato la possibilità di acquistare case da parte di stranieri se non sono residenti).

Il loro manifesto è il libro The sovereign individual: how to survive and thrive during the collapse of the welfare state, pubblicato nel 1997, i cui co-autori sono James Dale Davidson, un investitore privato specializzato nel consigliare i ricchi su come trarre profitto dalle catastrofi economiche, e il defunto Lord William Rees-Mogg, a lungo direttore del Times (il cui figlio, Jacob Rees-Mogg, è un deputato e ministro ultra-conservatore pro-Brexit britannico).

 Il libro-manifesto è un testo apocalittico e distopico che preconizza il collasso della civiltà occidentale basata sullo Stato-nazione, rimpiazzata da deboli confederazioni di città-Stato corporative, con la presa del potere da parte di una “élite cognitiaria” globale, una classe di individui sovrani in grado di controllare enormi risorse (una sorta di neo-feudalismo oligarchico).

Inoltre, molte delle persone più ricche della Silicon Valley (come Peter Thiel, co-fondatore dei PayPal, o Serge Faguet) e di Wall Street (come Julian Robertson, guru degli hedge funds), stanno investendo a piene mani nel “business dell’immortalità” per migliorare chi è già in salute e costituire una nuova élite di superuomini potenziati in grado di controllare i propri algoritmi biochimici, applicando a sé stessi forme di biohacking (che uniscono l’alta tecnologia dell’intelligenza artificiale, wellness, interventi anti-invecchiamento) – per cui c’è chi dorme su materassi elettromagnetici, segue rigide diete alimentari, si fa fare trasfusioni di cellule staminali e prende fino a 150 pillole “cognitive” al giorno.

Finanziano a piene mani la ricerca nell’ingegneria genetica e biomedica, medicina rigenerativa, nanotecnologie e interfacce cervello-intelligenza artificiale.

Di recente, Facebook ha comprato per circa un miliardo di dollari Ctrl-Labs, una startup che sta studiando il modo di consentire alle persone di comunicare con i computer tramite segnali cerebrali (il pensiero), con l’obiettivo di utilizzare la tecnologia a interfaccia neurale di Ctrl-Labs per sviluppare un braccialetto “che dia alle persone il controllo dei loro dispositivi come una naturale estensione del movimento “.

 Inoltre, con l’avvento delle tecnologie della biologia sintetica ora i geni possono essere prodotti e modificati ripetutamente. La capacità di progettare cose viventi che questo fornisce rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui gli esseri umani interagiscono con la vita del pianeta, potenzialmente di maggiore impatto rispetto al sorgere dell’agricoltura o dello sfruttamento dei combustibili fossili.

Secondo un acuto storico scenarista come Yuval Noah Harari, “due processi insieme – la bio-progettazione abbinata alla crescita dell’intelligenza artificiale – potrebbero avere come conseguenza la divisione dell’umanità in una ristretta classe di superuomini e in una sconfinata sottoclasse di inutili Homo Sapiens.

A peggiorare la già nefasta situazione, con la perdita di importanza economica e potere politico delle masse, lo Stato perderà gran parte dei motivi per investire in salute, educazione e welfare.

È pericoloso essere superflui.

Il futuro delle masse dipenderà allora dalla buona volontà di un’élite. Forse ci sarà buona volontà per alcuni decenni. Ma in un momento di crisi – nel caso per esempio di una catastrofe climatica – sarà facile essere tentati di scaricare le persone superflue” (Harari, 2018:122-123).

Un mondo in cui l’umanità cercherebbe di percorrere la strada del dottor Frankenstein e potrebbe finire per essere divisa non più solo in diverse classi sociali, ma addirittura “in diverse caste biologiche o persino in diverse specie”, con una casta superiore di entità super-intelligenti che potrebbe anche essere in grado di costruire muri e fossati per tenere fuori le masse dei “barbari” divenuti ormai irrilevanti perché la loro forza lavoro sarebbe sostituita da quella di fedeli e meno costosi robot e cyborb prodotti in serie e dotati di intelligenza artificiale.

Da questo punto di vista, grazie alla combinazione di bioingegneria, interfacce cervello-intelligenza artificiale e ingegneria sociale, sembra ormai a portata di mano la possibile costruzione di quel “mondo nuovo” distopico preconizzato dalle visioni fantascientifiche di grandi scrittori come Aldous Huxley, George Orwell (memorabile la sua descrizione dello Stato di sorveglianza), Isaac Asimov, Philip K. Dick, Anthony Burgess, James D. Ballard e dei narratori cyberpunk degli anni ‘80, oltre che di grandi registi cinematografici come Stanley Kubrick con 2001: Odissea nello Spazio, Ridley Scott con Blade Runner, Steven Spielberg con Minority Report, le sorelle Lana e Lilly Wachowski con The Matrix e Peter Weir con The Truman Show.

Per questo molti dei teorici dell’intelligenza artificiale – guidati dal filosofo Nick Bostrom – sostengono che lo scenario apparentemente fantascientifico di un’intelligenza artificiale cosciente che sfugge al controllo umano (d’altra parte la storia della programmazione informatica è piena di piccoli errori che hanno scatenato catastrofi) e che si impadronisce del mondo rappresenta una minaccia esistenziale per l’umanità così enorme che è ora di prendere dei provvedimenti – da parte dei parlamenti, dei governi, dell’ONU e degli altri organismi internazionali – per evitare che ciò accada.

Affidarsi alla super-intelligenza artificiale potrebbe essere una enorme minaccia per la sopravvivenza dell’umanità ed è possibile che ad un certo punto la stessa comunità dell’Intelligenza Artificiale possa seguire l’esempio del movimento anti-nucleare negli anni ’40 quando, dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, gli scienziati si unirono per cercare di limitare ulteriori test nucleari.

L’attualità della riflessione della Scuola di Francoforte sulla personalità autoritaria.

A partire dagli anni ’30 del secolo scorso, la Scuola di Francoforte ha sviluppato una riflessione storico-filosofica-sociologica di ampio respiro su fascismo e nazismo, almeno in parte rimanendo dentro un quadro analitico marxista. Lo Stato autoritario tra le due guerre è stato letto da una gran parte di questi studiosi come un adeguamento della forma politica alle trasformazioni dell’economia e, in particolare, alla fine del capitalismo concorrenziale e allo sviluppo del capitalismo monopolistico, ossia di un capitalismo organizzato con un intervento dello Stato molto più ampio rispetto a quello della fase liberale.

Allo stesso tempo, questo gruppo di teorici, studiosi ed analisti ha riflettuto molto su quali siano le tendenze profondamente radicate nell’inconscio e nella psiche euro-americana che portano gli individui ad aderire alle ideologie politiche fasciste e ad assoggettarsi a “duci” e leader carismatici di stampo autoritario.

Nel suo saggio “Angoscia e politica” del 1957, un altro teorico critico della Scuola di Francoforte Franz L. Neumann ha analizzato il ruolo dell’angoscia in politica. Si è chiesto come mai le masse vendono le loro anime ai leader autoritari e li seguono alla cieca.

Su cosa poggia il potere di attrazione dei leader cesaristici sulle masse? Quali sono le situazioni storiche in cui questa identificazione del leader cesaristico e delle masse ha successo e quale visione della storia hanno gli uomini che accettano questi leader?

Per rispondere a queste domande, Neumann ha suggerito una combinazione di economia politica (un’analisi sociologica e socioeconomica), psicologia politica freudiana (un’analisi sociopsicologica sulle forze interiori e dinamiche inconsce) e critica ideologica. Vede l’angoscia nel contesto dell’alienazione, ossia di un fenomeno multidimensionale economico, politico, sociale e psicologico.

Neumann ha introdotto i concetti di identificazione cesaristica, angoscia istituzionalizzata e angoscia persecutoria, sostenendo che una società autoritaria di tipo fascista rimane una vera minaccia nelle società capitaliste liberaldemocratiche, soprattutto se si verificano alcune specifiche condizioni (quelle che Gramsci identificava come i “fattori storici” che avevano determinato l’affermazione politica dei regimi fascisti e nazisti in diversi Paesi europei dopo la prima guerra mondiale).

Tra queste ha incluso crisi politiche, alienazione dal lavoro, competizione distruttiva, alienazione sociale che minaccia determinati gruppi sociali, alienazione politica e istituzionalizzazione di pratiche fasciste, come la promozione dell’angoscia politica collettiva, l’uso continuo della propaganda e del terrore, l’affermazione del nazionalismo persecutorio, del capro espiatorio politico e della xenofobia.

 

Oggi, le classi medie e popolari vivono nell’angoscia perché vedono peggiorare le loro condizioni di lavoro e vita, ma quello che sembra contare per molti di loro è una sorta di “darwinismo sociale”, ossia che nella lotta continua per la sopravvivenza le condizioni di lavoro e vita delle persone di colore, dei migranti, dei poveri e degli altri denigrati, esclusi e perseguitati, via via designati, peggiorino di più delle loro.

 L’importante è potersi sentire superiori almeno a qualcuno in una società dove quasi tutti sono trattati non come dei cittadini, ma come degli “scarti” o, come scriveva Hannah Arendt nel suo capolavoro Le origini del totalitarismo (1951), degli “uomini superflui”.

Un’ondata di conservatorismo politico e di autoritarismo verso chi ha minor potere che rende nuovamente attuali le analisi sulla “personalità autoritaria” di un altro filosofo e sociologo della Scuola di Francoforte, Theodor Adorno, e dei suoi collaboratori Else Frenkel-Brunswik, Daniel Levinson e Nevitt Sanford, sviluppate negli anni ’40 a seguito di ricerche condotte presso l’Università della California a Berkeley.

Mettere crudelmente alla berlina le minoranze etniche, i “furbetti” del welfare, i “fannulloni”, gli immigrati “clandestini” e i “vagabondi” senza casa è diventata una forma di soddisfazione pubblica attraverso la quale si manifestano sentimenti diffusi di risentimento, ansia, angoscia, paura, rabbia e disgusto contro i deboli che sono visti solo come un peso per i cittadini “operosi” e “rispettosi delle leggi” del ceto medio bianco.

Le forze politiche del populismo identitario, autoritario e reazionario addossano a dei nemici deboli, come i migranti e/o le persone di colore, tutte le cause della mancata realizzazione delle promesse neoliberiste.

Così, la compressione dei salari viene essenzialmente spiegata con la concorrenza sleale della manodopera immigrata e non bianca, evitando di prendere in considerazione le tante riforme e controriforme che negli ultimi 40 anni quasi ovunque hanno selvaggiamente deregolamentato il mercato del lavoro ed eroso i diritti dei lavoratori.

La connessione tra neoliberismo e autoritarismo di destra – un “neoliberismo autoritario”, in cui la democrazia liberale è ridotta a mera apparenza – ha portato alla ribalta un anti-intellettualismo emotivo, ideologico, che impedisce qualsiasi discussione sulle idee socialdemocratiche, socialiste e di emancipazione sociale e che giustifica ideologicamente e cementa le forze politico-culturali sostenitrici del capitalismo neoliberista.

Pertanto, un capitalista miliardario come Donald Trump può fingere con successo di essere un eroe della classe lavoratrice.

Leader autoritari di destra come Trump, Orbàn, Salvini o Meloni spesso fanno appello alla classe lavoratrice mostrando modi rozzi, un habitus proletario e usando un linguaggio semplice e dicotomico.

 Ma, in realtà, quando sono al potere questi ideologi si oppongono agli interessi della classe lavoratrice e attuano leggi che prevedono agevolazioni fiscali per le grandi società e i super ricchi e danneggiano la classe lavoratrice smantellando gli effetti redistributivi dello Stato sociale e dei servizi pubblici.

L’interazione tossica tra il radicalismo reazionario del Partito Repubblicano e il “diritto” alle armi da guerra negli USA.

La presidenza di Trump, il tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio 2021 e la fase attuale sono il prodotto dell’evoluzione politico-ideologica del Partito Repubblicano iniziata negli anni ’60 e legata allo spostamento degli elettori bianchi conservatori del sud dal Partito Democratico verso il Partito Repubblicano.

Per la prima volta questo spostamento venne tentato dal candidato alla presidenza Barry Goldwater nel 1964, per poi essere praticato con la “strategia del sud” da Richard Nixon nel 1968 e 1972 con il supporto di Strom Thurmond, il famigerato senatore segregazionista della Carolina del Sud – allorquando il Partito Democratico è diventato più liberale progressista e ha approvato la legislazione sui diritti civili sotto la presidenza Johnson.

Un ulteriore spostamento a destra del partito venne avviato oltre un quarto di secolo fa dall’ex presidente della Camera, Newt Gingrich, e da personaggi come Pat Buchanan e il conduttore di talk-show radiofonici Rush Limbaugh nei primi anni ’90. Una evoluzione che ha portato questo partito da essere l’aggregatore politico di un blocco conservatore di interessi sociali diversificati all’essere lo strumento politico di una fazione della destra radicale che ha messo da parte la componente moderata (dei McCain e dei Bush Sr.) per perseguire l’idea di conquistare il potere assoluto e rendere l’America uno Stato monopartitico governato da persone bianche dedite ai tagli fiscali per i ricchi e le grandi corporations, alla deregolamentazione di lavoro e ambiente, alla soppressione del diritto di voto delle minoranze di colore9 e alla saturazione dei tribunali federali e della Corte Suprema con giudici disposti ad annullare il contratto sociale dell’era del New Deal/diritti civili. Alla convenzione nazionale repubblicana del 1992, il paleoconservatore candidato presidenziale Pat Buchanan sostenne che la politica fosse diventata una “guerra culturale” tra progressisti e conservatori.

Le campagne per l’ambientalismo, l’aborto e i diritti LGBTQ+ non riguardavano solo la politica, ha affermato, ma hanno lo scopo di distruggere le tradizioni e identità americane.

“Questa guerra è per l’anima dell’America “, ha detto Buchanan, e ha invitato i concittadini a “riprendersi la nostra cultura e riprendersi il nostro Paese “. Ovviamente, quando parlava di America, americani e cultura americana, Buchanan intendeva l’America bianca, gli americani bianchi e la cultura americana bianca cristiana, individualista, patriarcale, misogina e razzista.

Il Partito Repubblicano è così diventato un movimento radicale che crede che la libertà – definita principalmente come uno Stato “leggero” senza tasse punitive sui ricchi – sia più importante della democrazia, che la democrazia (con le sue regole consuetudinarie e norme scritte) minacci la libertà individuale, permettendo a molti di derubare i pochi.

 Un partito che si è trasformato in una setta minoritaria alla continua ricerca della presa del potere sfruttando, da un lato, le peculiari caratteristiche di un sistema politico-istituzionale che sovra-rappresenta il peso dei piccoli Stati rurali conservatori al Senato e nel Collegio Elettorale nazionale per l’elezione del Presidente a scapito di quelli più popolosi, economicamente più rilevanti e politicamente più progressisti delle due coste (su questo tema si veda l’ultima parte del nostro articolo qui), e dall’altro, con l’aiuto di una Corte Suprema a solida maggioranza conservatrice, attraverso la restrizione del diritto di voto e la persecuzione di donne, immigrati, neri, persone LGTBQ+, tutte prese di mira nelle stragi di massa (mass shootings) degli ultimi anni. Un partito che il 6 gennaio 2021 ha cercato di ribaltare un’elezione presidenziale persa, con la violenza invocata dall’alto, dai leader, compreso l’ex presidente Trump.

Trump ha portato alle estreme conseguenze questo progetto sovversivo delle istituzioni democratiche pluralistiche, passando gran parte dei suoi anni di presidenza a estendere i poteri dello Studio Ovale a scapito delle altre istituzioni federali e statali e ad infrangere le norme e le tradizioni che hanno definito a lungo la democrazia americana.

Trump ha anche accentuato l’identità del Partito Repubblicano attorno al nazionalismo bianco, che considera uomini, donne e bambini dalla pelle scura parte di un’umanità degradata e come tale privi di qualsiasi valore intrinseco e indegni di protezione. Trump ha paragonato uomini, donne e bambini centro-americani immigrati a parassiti che vogliono “infestare il nostro Paese “. Lo si è potuto vedere quando il suo fidato collaboratore, il suprematista bianco di origini ebraiche Stephen Miller, ha dipinto i migranti come minacce, non candidati all’asilo quanto piuttosto all’incarcerazione.

 

Non a caso l’ala più conservatrice e nazionalista bianca della destra repubblicana americana ha una fascinazione per Orbán. Lo ha eretto a massimo difensore della civiltà occidentale. La destra potrebbe perdere la guerra culturale in America, ma l’Ungheria offre un modello per la politica antiliberale che non solo vince le elezioni, ma ha mostrato come usare il braccio forte dello Stato per imporre la propria volontà e visione ideologica reazionaria.

 Per loro, l’Ungheria appare come l’utopia post-neoliberista e para-fascista: la tanto decantata repressione di Orbán sulla “correttezza politica, le rigide politiche di immigrazione e gli attacchi al secolarismo e ai diritti delle minoranze sono stati combinati con quella che dall’altra parte dell’Atlantico viene considerata (molto erroneamente) un’agenda economica (“di sinistra”) pro-lavoratori.

 Il conduttore di Fox News Tucker Carlson ha trascorso del tempo in Ungheria all’inizio del 2022, trasmettendo diversi servizi da Budapest e realizzando un “documentario    intitolato Ungheria contro Soros: la lotta per la civiltà”, che dipingeva l’Ungheria come un paradiso conservatore, sotto il costante attacco del miliardario di origine ungherese, George Soros.

 Era il secondo viaggio di Carlson in Ungheria in meno di un anno. Lo scorso agosto si era recato a Budapest per intervistare Orbán. Poche settimane dopo l’apparizione del premier ungherese su Fox, Trump ha inviato un messaggio di congratulazioni: “Ottimo lavoro Tucker, sono orgoglioso di te!”

L’estrema destra americana abbraccia il nazionalista magiaro Viktor Orbán (da poco eletto al suo quarto mandato) in quanto fautore della “democrazia illiberale”, sostenitore della teoria della “grande sostituzione” (trasformata nell’ideologia ufficiale del suo regime) e grande oppositore delle politiche di immigrazione “suicide” dell’Unione Europa.

Poche settimane fa Orbán è stato il relatore principale di una sessione straordinaria dell’americana Conferenza sull’Azione Politica Conservatrice (CPAC) che si è tenuta in Ungheria, sotto lo slogan programmatico “Dio, Patria e Famiglia”, nel tentativo di cementare i legami tra la destra radicale su entrambe le sponde dell’Atlantico sotto ial bandiera dell’ideologia della teoria della “grande sostituzione.

“Vedo il grande scambio di popolazione europea come un tentativo suicida di sostituire la mancanza di bambini cristiani europei con adulti di altre civiltà – i migranti “, ha dichiarato Orbán. Facendo eco a un altro tema popolare della destra americana, ha sostenuto che un’altra forma di suicidio culturale fosse la “follia di genere “, un riferimento alla diffusione dei diritti LGBTQ+ in occidente.

Per gli organizzatori del CPAC, Orbán è un combattente che ha trasformato il suo Paese in “uno dei motori della resistenza conservatrice alla rivoluzione del risveglio [woke revolution] “.

Alla conferenza CPAC c’erano alcuni dei leader europei di estrema destra – dall’inglese Nigel Farage all’austriaco Herbert Kickl, allo spagnolo Santiago Abascal, agli italiani Francesco Giubilei, presidente di Nazione Futura, Lorenzo Fontana, vicesegretario della Lega, e Vincenzo Sofo europarlamentare di Fratelli d’Italia – oltre quelli americani – diversi membri repubblicani del Congresso, l’ex capo del personale della Casa Bianca di Trump, Mark Meadows, il presidente dell’Unione Conservatrice Americana (che gestisce il CPAC), Matt Schlapp, mentre il conduttore del talkshow di Fox News, Tucker Carlson, è intervenuto brevemente in video, come Donald J Trump.

Tra gli oratori in primo piano c’è stato anche Zsolt Bayer, un famigerato razzista ungherese che ha definito gli ebrei “escrementi puzzolenti “, si è riferito ai Rom come “animali” e ha usato epiteti razziali per descrivere i neri.

L’ultimo relatore della conferenza è stato Jack Posobiec, un blogger statunitense di estrema destra che ha usato simboli antisemiti e promosso la teoria del complotto inventata “Pizzagate”, diffamando esponenti politici democratici di primo piano come pedofili.

Durante il suo discorso al CPAC di Budapest, Orbán ha delineato una “ricetta” in 12 punti per il successo politico che la destra cristiana americana e mondiale potrebbe prendere in prestito.

Il primo punto, ha detto, “è che dobbiamo giocare secondo le nostre regole” – che i conservatori “non devono essere scoraggiati dall’essere sgridati, etichettati come non idonei o trattati come piantagrane.

 Si prega di notare che chiunque giochi secondo le regole dei suoi avversari perderà sicuramente.”

Il quarto punto è quello di avere i propri media per contrastare l’egemonia dei media liberal mainstream.

“È l’unico modo per sottolineare la follia della sinistra progressista. Il problema è che i media occidentali sono adattati al punto di vista di sinistra. Coloro che insegnavano ai giornalisti nelle università avevano già principi di sinistra progressista”.

Idee che stanno molto a cuore alla destra trumpiana del Partito Repubblicano che aspira ad una “Orbanizzazione dell’America”.

L’abbraccio di Orbán da parte della destra americana dimostra che questa sarebbe disposta a smantellare la democrazia pluralista americana, usare la coercizione dello Stato per imporre la propria ristretta agenda culturale, religiosa e razziale.

 Incapaci di ottenere l’approvazione delle persone a cui desiderano imporre i propri valori reazionari, da qui alle prossime elezioni presidenziali del novembre 2024 la destra americana sarà tentata di procedere sempre più su un sentiero antidemocratico, utilizzando come “braccio armato” il potere degli Stati che controlla, oltre alla Corte Suprema a maggioranza conservatrice. Alle elezioni di midterm di novembre i Democratici potrebbero perdere le maggioranze alla Camera e al Senato, per cui Biden si trasformerebbe in un’anatra zoppa fino al 2024.

Di certo, gli ideologi del trumpismo – Stephen K. Bannon, Stephen Miller, Kellyanne Conway, Sebastian Gorka, Julia Han, Peter Navarro, Robert Lighthizer, insieme ai seguaci californiani di Leo Strauss del Claremont Institute (il cui ex amministratore, Michael Pack, era stato messo da Trump a capo della Broadcasting Board of Governors, un’agenzia governativa da 685 milioni di dollari che supervisiona i principali mezzi di comunicazione finanziati dagli USA, tra cui Voice of America e Radio Free Europe/Radio Liberty) e al conduttore televisivo Tucker Carlson – ed appartengono alla cosiddetta Alt-Right, l’arcipelago rad-trad della destra bianca radical-tradizionalista (nazionalista economica, protezionista, anti-free trade, anti-immigrazione, omofoba, anti-femminista, razzista, sionista antisemita, ossia anti-ebraica, ma pro-Israele, islamofoba, anarco-capitalista, neonazista e neoconfederata) che si ispira alle posizioni intellettuali reazionarie di Oswald Spengler (autore del “Declino dell’Occidente”), Henry L. Mencken, Julius Evola, Ayn Rand, Jean Raspail e D.W. Griffith (regista del film The birth of a nation del 1915 sul Ku Klux Klan), e che si considera alternativa all’ortodossia conservatrice, elitaria ed internazionalista repubblicana (il cosiddetto “liberalismo internazionalista”) che ha dominato il partito dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine della Guerra Fredda, impegnandosi a costruire alleanze e (almeno in parte) un ordine internazionale basato su organismi multilaterali e regole che favorissero la democrazia.

Come ha scritto Rebecca Solnit, per i trumpisti repubblicani e gli attivisti dell’Alt-Right, fucili d’assalto e pistole automatiche ad alta potenza (non pensate per essere destinate ad un uso civile) “sono simboli di una peculiare versione della mascolinità fatta di libertà illimitata, potere, dominio, di un’identità militare in cui ogni pistolero è il comandante di sé stesso e chiunque è un potenziale bersaglio, in cui la paura guida la belligeranza, e i diritti del proprietario dell’arma si estendono così lontano che nessuno ha il diritto di essere al sicuro da lui. In questo momento fa parte di un culto suprematista bianco di guerra.”

 La Solnit sottolinea che l’idea di diritti illimitati alle armi si applica a un numero limitato di persone: i maschi bianchi. “Il permesso di girare armati liberamente è pensato per i bianchi, perché ai neri non sarebbe certo permesso di vagare per un supermercato con enormi fucili automatici a tracolla: Philando Castile è stato colpito a bruciapelo solo per aver detto a un poliziotto che aveva una pistola in macchina nel 2016; Tamir Rice, 12 anni, è stato colpito da colpi di arma da fuoco per aver impugnato un fucile giocattolo a Cleveland nel 2014.”

La strage di Buffalo, insieme alla strage di Uvalde del 24 maggio (19 bambini e 2 insegnanti), avvenuta in Texas – uno Stato che mentre ha inasprito le limitazioni al diritto di aborto, ha allentato quelle sul possesso di armi da fuoco11, consentendo ad un 18enne, che non ha l’età per bere alcool legalmente, di comprare il fucile semiautomatico AR-15 e le centinaia di munizioni che poi ha usato nell’attacco alla scuola -, ha riportato l’attenzione del dibattito pubblico la questione realtiva all’accesso troppo facile alle armi.

 Da anni, grazie all’opposizione dei Repubblicani, il Congresso rifiuta di approvare misure come i controlli sul passato degli acquirenti, la messa al bando dei fucili d’assalto o l’obbligo di tenere al sicuro le armi da fuoco, che sono sostenute dalla maggioranza degli americani, così come per quanto riguarda il diritto all’aborto.

Così, mentre i proprietari di armi affermano i propri diritti sui corpi degli altri, l’ondata di nuove leggi statali restrittive sull’aborto che sono state approvate e il probabile annullamento della sentenza Roe vs. Wade del 1973 da parte della Corte Suprema significa che alle donne che possono rimanere incinte viene negato il controllo sui loro corpi e sui loro diritti riproduttivi, e possono essere sottoposte ad indagini penali anche nel caso di un aborto spontaneo.

Grazie al Secondo Emendamento della Costituzione – che sancisce il diritto dei cittadini di possedere e portare armi (“Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto.”) – approvato nel 1791 (quando il tempo di ricarica delle armi era di circa un minuto e tutte erano armi a colpo singolo) e interpretato dalle sentenze della Corte Suprema, a partire dal 2008, in modo individualistico, come diritto fondamentale non diverso da quello di voto o di parola, limitandone drasticamente vincoli e controlli14, e alla potente lobby delle armi, la National Rifle Association (NRA, con 5,5 milioni di iscritti), capace di determinare elezioni, ad esempio finanziando la campagna di Trump con 30 milioni di dollari, in mano a civili ci sono più di 393 milioni di pistole e fucili (mentre gli abitanti degli USA sono solo 329 milioni, pari a circa il 4% della popolazione mondiale), il 42% del totale mondiale, in gran parte armi semiautomatiche e anche d’assalto militare.

Circa 133 milioni sono nelle mani di 7,7 milioni di persone, il 3% della popolazione adulta, il resto è distribuito tra 55 milioni di persone.

 

L’attrazione degli americani per le armi da fuoco è innegabile. I produttori di armi negli Stati Uniti hanno prodotto più di 139 milioni di pezzi per il commercio negli ultimi 20 anni, di cui 11,3 milioni per l’anno 2020, secondo un recente rapporto del Dipartimento di Giustizia. Nello stesso periodo sono state importate 71 milioni di armi da fuoco16, contro appena 7,5 milioni esportate, segno dell’ondata di armi disponibili nel Paese che ha alimentato un picco di violenza armata, omicidi e suicidi.

L’industria delle armi è infatti esplosa: mentre nel 2000 il Paese aveva solo 2.222 aziende produttrici di armi attive, nel 2020 sono 16.963, secondo la stessa fonte. Anche la produzione annuale di armi da fuoco per la vendita commerciale è aumentata, da 3,9 milioni nel 2000 a 11,3 milioni di armi da fuoco nel 2020, con un picco di 11,9 milioni nel 2016. Il documento mostra che mentre gli americani prediligono le armi semiautomatiche (tipo AR-15), utilizzate in molte sparatorie, acquistano principalmente la pistola semiautomatica da 9 mm, considerata economica, precisa, facile da usare e simile all’arma usata dalla polizia.

Le autorità si trovano inoltre ad affrontare un aumento delle cosiddette “armi fantasma, kit di armi che si possono realizzare in casa per poche centinaia di dollari e di cui alcune parti possono essere acquistate online o prodotte da una stampante 3D.

A differenza delle pistole prodotte in fabbrica, non hanno un numero di serie e, poiché durante tutto il processo di vendita non sono considerate pistole, non richiedono una licenza per armi, per cui sottoporre l’acquirente a un controllo dei precedenti penali e psichiatrici negli Stati dove questo è previsto. Secondo il rapporto, nel 2021 la polizia ha recuperato 19.344 cosiddette “armi fantasma “, rispetto alle 1.758 del 2016.

Ci sono state almeno 246 sparatorie di massa negli Stati Uniti finora quest’anno, secondo il Gun Violence Archive che definisce una sparatoria di massa come quella in cui vengono ferite o uccise almeno quattro persone, escludendo lo sparatore.

27 di questi mass shootings sono avvenuti nelle scuole con un totale di 44 morti. Solo nell’ultimo fine settimana, 9 persone sono morte e due dozzine sono state ferite in tre sparatorie a Philadelphia, Chattanooga e Saginaw.

In un discorso televisivo in prima serata, Biden ha detto “Basta, basta!” e ha invitato il Congresso ad approvare una nuova normativa federale che richieda maggiori controlli sui precedenti per gli acquirenti di armi e vieti le armi d’assalto in stile militare e i caricatori di munizioni di grande capacità, ma tutti i tentativi di trovare un compromesso su questi temi sono stati finora bloccati dai repubblicani.

Il numero di morti per armi da fuoco negli Stati Uniti ha registrato un aumento “storico” nel 2020, apparentemente causato dagli effetti dell’epidemia di CoVid-19 e dalla povertà, secondo un recente rapporto dei Centers for Disease Prevention and Control (CDC). Il Paese ha così contato 19.350 omicidi nel 2020, con un aumento di quasi il 35% rispetto al 2019, e 24.245 suicidi. Il tasso di omicidi era di 6,1 per 100.000 abitanti nel 2020, un massimo da oltre 25 anni.

Una parte considerevole degli omicidi, soprattutto in relazione a quanto accade in altri Paesi occidentali, avviene a causa di mass shootings, sparatorie di massa che si susseguono con un ritmo da guerra civile, trasformando parcheggi, strade, chiese, scuole, centri benessere e commerciali in zone di guerra, e che spesso fanno parte di un fenomeno di vero e proprio terrorismo domestico di destra, alimentato da suprematisti bianchi (“white terrorism”), neo-nazisti, “hate groups” e quasi del tutto ignorato dalle agenzie investigative governative, dai media e dal dibattito pubblico, se non per i due, tre giorni successivi alla singola strage.

D’altra parte, perché meravigliarsi di questi atti di violenza se gli Stati Uniti sono stati fondati sul genocidio degli indigeni e sulla schiavitù africana, mentre la dottrina del dominio razziale rimane ancora egemone?

Come potrebbe essere altrimenti?

Gli Stati Uniti hanno il più alto tasso di incarcerazione al mondo (in stragrande maggioranza i carcerati sono neri e latinos e con circa un terzo di tutte le donne incarcerate nel mondo) frutto della strategia politica razzista basata sul “rinchiudere e buttare via la chiave”, mille omicidi da parte della polizia ogni anno (poco è cambiato dal brutale assassinio di George Floyd nel 2020), un budget per la difesa più grande di qualsiasi altro Paese al mondo e le guerre imperialiste che inevitabilmente ne conseguono.

Nessuno dovrebbe essere scioccato quando le persone compiono atti estremamente violenti sul suolo americano, anche se poi, ipocritamente, ogni qual volta si verificano sparatorie di massa in pubblico si inscena shock e confusa indignazione con pianti, preghiere, funerali ed esortazioni retoriche.

Vengono pronunciate parole rituali, vane e ridicole come quelle di Biden all’indomani della strage di Buffalo:

“In America, il male non vincerà. L’odio non prevarrà. La supremazia bianca non avrà l’ultima parola.

 A Biden, ha risposto Trump, ospite della conferenza annuale della NRA: “L’esistenza del male nel nostro mondo non è un motivo per disarmare i cittadini rispettosi della legge. L’esistenza del male è una delle ragioni migliori per armare i cittadini rispettosi della legge.

Naturalmente, il male, l’odio e la supremazia bianca sono caratteristiche fondative e continuano a determinare molti aspetti della vita americana, per cui dopo pochi giorni il Paese è tornato al suo solito stato di appena velata apprensione, senza che nessuno abbia realmente voluto fare i conti con la condizione di terribile disumanità del Paese.

Trump dice agli americani una verità, che il male e la violenza che stanno alla base degli Stati Uniti sono in realtà caratteristiche fondative e non frutto di errori o fatalità, per cui quelli che vogliono che la “carneficina americana” finisca dovranno andare oltre le sue parole e oltre i pensieri, le preghiere e la speranza che i presidenti e altri politici dell’establishment facciano mai qualcosa per fermarla.

L’ossessione dell’America per le armi e la violenza terrorizza i suoi cittadini, ma riflette il suo vero “eccezionalismo”, frutto di un passato e presente genocida, classista e razzista.

Nessun altro Paese sviluppato al mondo ha il tasso di violenza da armi da fuoco dell’America.

Secondo l’ONU, gli Stati Uniti hanno quasi sei volte il tasso di omicidi per armi da fuoco rispetto al Canada, più di sette volte rispetto alla Svezia e quasi 16 volte rispetto alla Germania. Dal massacro della scuola di Columbine (Colorado) del 20 aprile 1999, in cui vennero uccisi 12 studenti e un insegnante da 2 studenti, mentre altri 24 furono i feriti, è emersa una preoccupante tendenza all’emulazione degli assassini.

Dopo l’ennesimo massacro nella scuola di Parkland in Florida (17 studenti uccisi da un ex-studente il 14 febbraio 2018), era nato il movimento organizzato #NeverAgain, capitanato dagli studenti sopravvissuti alla strage che ha cercato di mobilitare i giovani e le famiglie contro le armi, portando a Washington mezzo milione di giovani per la manifestazione March for Our Lives.

Gli studenti hanno denunciato pubblicamente l’influenza della NRA sul Congresso e hanno puntato il dito contro i leader politici, considerati responsabili della permissività delle leggi sulle armi. Ma, nulla è cambiato nella normativa federale.

Al tempo stesso, Trump, che nel suo discorso di insediamento si era scagliato contro “il crimine e le gangs e le droghe che hanno rubato troppe vite” nei quartieri degradati delle città e aveva promesso di porre fine alla “carneficina americana” (“American carnage”), non ha fatto nulla per porre un freno alla libera vendita delle armi automatiche d’assalto, ma piuttosto aveva chiesto al Senato, allora controllato dai repubblicani (che teneva bloccati progetti di legge sul gun control già approvati dalla Camera controllata dai Democratici) di agire su malattie mentali, videogiochi e “i pericoli di Internet e dei social media“.

Quando nel 2017 un assassino a Las Vegas ha sparato più di mille proiettili fuori dalla finestra del suo hotel uccidendo 60 persone in 10 minuti, Trump si è limitato a dire che era una persona “fuori di tesa” o “demente”, accusando democratici e media di politicizzare un terribile evento.

I politici repubblicani, a cominciare da Trump, respingono le richieste di imporre un controllo delle armi con proposte come armare gli insegnanti (diversi Stati consentono già agli insegnanti o ad altri dipendenti della scuola con permessi per il trasporto di portare armi all’interno della scuola) e aumentare la presenza della polizia nelle scuole17.

Per assecondare il culto delle armi e la serie di massacri, insegnanti e bambini praticano esercitazioni scolastiche che ricordano loro più e più volte che potrebbero essere assassinati in ogni momento. Le scuole spendono centinaia di milioni di dollari in sicurezza, modifiche degli edifici, corsi di formazione ed esercitazioni, e il governo federale spende altri milioni per le guardie di sicurezza delle scuole.

Anche i comuni spendono milioni in polizia e attrezzature, in una sorta di corsa agli armamenti che ha anche promosso la militarizzazione della polizia locale. Con scarsi risultati come è stato dimostrato nel caso di Uvalde, dove la polizia ha fatto passare 78 minuti prima che venisse fatta irruzione nell’edificio e venisse ucciso il giovane stragista.

 I genitori dei bambini hanno implorato gli ufficiali di intervenire, ma sono stati colpiti con i teaser e ammanettati.

Una donna è entrata nella scuola e ha salvato i propri figli senza alcun aiuto da parte della polizia.

L’uomo armato è stato ucciso solo quando gli agenti di una pattuglia di frontiera sono arrivati e sono entrati nella scuola contro il parere della polizia locale.

(Alessandro Scassellati)

 

 

 

KLAUS SCHWAB E IL SUO GRANDE

RESET FASCISTA: UNA PANORAMICA.

 

Byoblu.com – (24 Dicembre 2021) - Michele Crudelini – ci dice:

 

Riportiamo di seguito la traduzione dell’articolo “KLAUS SCHWAB AND HIS GREAT FASCIST RESET – AN OVERVIEW”, di Paul Cudenec, pubblicato sul blog Wrong Kind of Green.

Da dove arriva Klaus Schwab.

Klaus Schwab, nato a Ravensburg nel 1938, è figlio della Germania di Adolf Hitler, un regime da stato di polizia costruito sulla paura e sulla violenza, sul lavaggio del cervello e sul controllo, sulla propaganda e sulla menzogna, sull’industrialismo e l’eugenetica, sulla disumanizzazione e la “disinfezione”, su una visione agghiacciante e grandiosa di un “nuovo ordine” che sarebbe durato mille anni.

Schwab sembra aver dedicato la sua vita a reinventare quell’incubo e a cercare di trasformarlo in una realtà non solo per la Germania ma per il mondo intero.

Peggio ancora, come confermano più volte le sue stesse parole, la sua visione tecnocratica fascista è anche una perversa visione transumanista, che fonderà gli esseri umani con le macchine in “curiosi mix tra vita digitale e analogica”, che infetteranno il nostro corpo con la “polvere intelligente” (Smart Dust) e in cui la polizia sarà apparentemente in grado di leggere il nostro cervello.

E, come vedremo, lui e i suoi complici globalisti  stanno usando la crisi del Covid-19 per aggirare le responsabilità democratiche, per scavalcare l’opposizione, per accelerare la loro agenda e per imporla al resto dell’umanità contro la nostra volontà in quello che lui definisce un “Grande Reset“.

La governance globale: il sogno di Klaus Schwab.

Schwab non è, ovviamente, un nazista in senso classico, non essendo né nazionalista né antisemita, come testimonia il premio Dan David da un milione di dollari che gli è stato assegnato da Israele nel 2004.

Ma il fascismo del XXI secolo ha trovato diverse forme politiche attraverso le quali continuare il suo progetto cardine di rimodellare l’umanità per adattarla al capitalismo attraverso mezzi palesemente autoritari.

Questo nuovo fascismo viene oggi portato avanti sotto le spoglie della governance globale, della biosicurezza, della “Nuova Normalità “, del “New Deal for Nature” e della “Quarta Rivoluzione Industriale”.

Klaus Schwab, il fondatore ottantenne e presidente esecutivo del World Economic Forum, siede al centro di questa matrix come un ragno su di una enorme ragnatela.

Le origini del Grande Reset.

L’originario progetto fascista, in Italia e in Germania, si basava su una fusione tra Stato e imprese.

Mentre il comunismo prevede l’acquisizione di imprese e industrie da parte del governo, che (in teoria!) agisce nell’interesse del popolo, il fascismo si basava sull’uso dello Stato per proteggere e far progredire gli interessi delle élite benestanti.

Schwab ha proseguito su questa strada in un contesto denazificato del secondo dopoguerra, quando nel 1971 ha fondato l’European Management Forum, che si riuniva ogni anno a Davos, in Svizzera.

Qui egli promuoveva la sua ideologia del capitalismo degli stakeholder, in cui le imprese venivano portate a una più stretta collaborazione con il governo.

Il “capitalismo degli stakeholder” è descritto dalla rivista economica Forbes come “l’idea di un’azienda si concentra sul soddisfare le esigenze di tutti i suoi stakeholder: clienti, dipendenti, partner, comunità e società nel suo complesso”.

Anche nel contesto di un particolare business, si tratta sempre di un’etichetta vuota. Come osserva l’articolo di Forbes, in realtà significa solo che “le aziende possono continuare a versare denaro privatamente ai loro azionisti e dirigenti, mantenendo un volto pubblico di spiccata sensibilità sociale e di altruismo esemplare”.

Ma in un contesto sociale generale, il concetto di stakeholder è ancora più nefasto, poiché scarta ogni idea di democrazia, di dominio del popolo, a favore del dominio degli interessi delle imprese.

La società non è più considerata come una comunità vivente, ma come un’impresa, la cui redditività è l’unico scopo valido dell’attività umana.

Lo Stato azienda secondo Schwab.

Schwab ha esposto questo programma già nel 1971, nel suo libro Moderne Unternehmensführung im Maschinenbau (Gestione aziendale moderna nel settore dell’ingegneria meccanica), dove con l’uso del termine “stakeholder” (die Interessenten) ha sostanzialmente ridefinito gli esseri umani non come cittadini, individui liberi o membri di una comunità, ma come partecipanti secondari di un’enorme impresa commerciale mondiale.Lo scopo della vita di ogni persona era “raggiungere la crescita e la prosperità a lungo termine” per questa impresa – in altre parole, proteggere e aumentare la ricchezza dell’élite capitalista.

Tutto ciò è diventato ancora più chiaro nel 1987, quando Schwab ha ribattezzato il suo European Management Forum come “World Economic Forum“.

La nascita del World Economic Forum.

Il WEF definisce sé stesso sul proprio sito web come “la piattaforma globale per la cooperazione tra pubblico e privato”, con ammiratori che descrivono come esso crei “partnership tra uomini d’affari, politici, intellettuali e altri leader della società per ‘definire, discutere e far progredire le questioni chiave dell’agenda globale'”.

Le “partnership” che il WEF crea sono volte a sostituire la democrazia con una leadership globale di individui prescelti e non eletti il cui dovere non è quello di servire il pubblico bene, bensì quello di imporre la regola dell’1% con la minor interferenza possibile da parte del resto della popolazione.

Nei libri che Schwab scrive per il consumo pubblico, si esprime con i cliché a due facce della rotazione aziendale e dell’ambientalismo di facciata.

Gli stessi termini vuoti vengono riempiti di volta in volta. In Shaping the Future of the Fourth Industrial Revolution: A Guide to Building a Better World (Modellare in Futuro della Quarta Rivoluzione Industriale: Una Guida per Costruire un Mondo Migliore), Schwab parla di “inclusione degli stakeholder e distribuzione dei benefici” e di “partenariati sostenibili e inclusivi” che ci condurranno tutti verso un “futuro inclusivo, sostenibile e prospero”!

 

Dietro al WEF solo profitto e sfruttamento.

Dietro questa millanteria, la vera motivazione che guida il suo “capitalismo degli stakeholder”, che egli ha promosso incessantemente alla conferenza di Davos del WEF del 2020, è il profitto e lo sfruttamento.

Ad esempio, nel suo libro “La quarta rivoluzione industriale” del 2016, Schwab scrive di una “uberizzazione” del lavoro e dei vantaggi che ne deriverebbero per le imprese, in particolare per le start-up in rapida crescita nell’economia digitale:

“Poiché le piattaforme human cloud classificano i lavoratori come lavoratori autonomi, esse sono (per il momento) libere dall’obbligo di pagare il salario minimo, le tasse del datore di lavoro e le prestazioni sociali”.

La stessa insensibilità capitalista traspare dal suo atteggiamento verso le persone che si avvicinano alla fine della loro vita lavorativa e che hanno bisogno di un meritato riposo:

Invecchiare è una sfida economica perché se non si aumenta drasticamente l’età pensionabile in modo che i membri più anziani della società possano continuare a contribuire alla forza lavoro (un imperativo economico che ha molti benefici economici), la popolazione in età lavorativa diminuisce simultaneamente all’aumento della percentuale di anziani non autonomi.

L’essenza della Quarta Rivoluzione Industriale.

Tutto in questo mondo è ridotto alle sfide economiche, agli imperativi economici e ai benefici economici per la classe capitalista dominante.

Il mito del progresso è stato a lungo utilizzato dall’1% per convincere la gente ad accettare le tecnologie progettate per sfruttarci e controllarci e Schwab gioca su questo quando dichiara che “la Quarta Rivoluzione Industriale rappresenta una significativa fonte di speranza per continuare la scalata nello sviluppo umano che ha portato a un drammatico aumento della qualità della vita per miliardi di persone dal 1800”.

(Ma come è possibile che tutti i governanti dei paesi occidentali predichino ed applichino per i loro popoli tutto ciò che un “PAZZO” propina loro dal suo pulpito di nuovo “dio in terra” e che sono solo colossali “stronzate”! Ndr).

Con entusiasmo afferma:

Anche se può non apparire di grande importanza per chi di noi vive quotidianamente una serie di piccole ma significative modifiche alla vita, ciò non è un cambiamento di poco conto: la Quarta Rivoluzione Industriale è un nuovo capitolo dello sviluppo umano, alla pari con la prima, la seconda e la terza Rivoluzione Industriale, ed è ancora una volta guidata dalla crescente disponibilità e di un insieme di straordinarie tecnologie che interagiscono tra loro.

Tuttavia, egli sa bene che la tecnologia non è ideologicamente neutrale, come alcuni amano sostenere. Le tecnologie e le società si modellano a vicenda, dice:

Dopo tutto, le tecnologie sono legate al modo in cui conosciamo le cose, al modo in cui prendiamo le decisioni e al modo in cui pensiamo a noi stessi e agli altri. Sono collegate alle nostre identità, alle nostre visioni del mondo e ai nostri possibili futuri.

Dalle tecnologie nucleari alla corsa allo spazio, agli smartphone, ai social media, alle auto, alla medicina e alle infrastrutture, il significato delle tecnologie le rende politiche. Anche il concetto di nazione ‘sviluppata’ si basa implicitamente sull’adozione delle tecnologie e su ciò che esse significano per noi, economicamente e socialmente.

Sostituire i lavoratori umani ritenuti inutili.

La tecnologia, per i capitalisti che la sostengono, non ha mai una finalità sociale, bensì puramente di profitto, e Schwab afferma chiaramente che lo stesso vale per la sua Quarta Rivoluzione Industriale.

Entusiasticamente scrive: “Le tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale sono veramente dirompenti, stravolgono i modi esistenti di percepire, calcolare, organizzare, agire e consegnare. Rappresentano modi completamente nuovi di creare valore per le organizzazioni e i cittadini”.

Qualora il significato di “creare valore” non fosse chiaro, egli fornisce alcuni esempi:

“I droni rappresentano un nuovo tipo di lavoratore dipendente che lavora tra di noi e che esegue mansioni che un tempo coinvolgevano persone reali” e “l’uso di algoritmi sempre più sofisticati sta rapidamente estendendo la produttività dei dipendenti, ad esempio, nell’uso dei chat bot per aumentare (e, sempre di più, sostituire) il supporto della ‘live chat’ per le interazioni con i clienti”.

Tagliare i costi per incrementare i profitti.

Schwab entra nel dettaglio delle meraviglie in grado di tagliare i costi e di incrementare i profitti nel suo mondo nuovo de “La Quarta Rivoluzione Industriale”.

Spiega:

 

Prima di quanto molti si aspettino, il lavoro di svariati professionisti come avvocati, analisti finanziari, medici, giornalisti, contabili, assicuratori o bibliotecari potrà essere parzialmente o completamente automatizzato

La tecnologia sta progredendo così velocemente che Kristian Hammond, co-fondatore di Narrative Science, una società specializzata nella generazione automatica della narrativa, prevede che entro la metà degli anni venti di questo secolo, il 90% delle notizie potrebbe essere generato da un algoritmo, gran parte di esse senza alcun tipo di intervento umano (a parte la progettazione dell’algoritmo, ovviamente).

È questo imperativo economico che alimenta l’entusiasmo di Schwab per “una rivoluzione che sta cambiando radicalmente il nostro modo di vivere, lavorare e relazionarci”.

Schwab, descrivendo le meraviglie della Quarta Rivoluzione Industriale, insiste sul fatto che essa sia “diversa da qualsiasi altra cosa che l’umanità abbia mai sperimentato prima d’ora”.

Tutto connesso e tutto controllabile.

E si scatena: “Considerate le possibilità illimitate di avere miliardi di persone collegate a dispositivi mobili, dando così origine a una potenza di elaborazione, capacità di memorizzazione e accesso alla conoscenza senza precedenti.

Oppure pensate alla sbalorditiva confluenza di scoperte tecnologiche che stanno emergendo, che coprono campi molto ampi come l’intelligenza artificiale (IA), la robotica, l’internet delle cose (IoT), i veicoli autonomi, la stampa 3D, la nanotecnologia, la biotecnologia, la scienza dei materiali, l’immagazzinamento dell’energia e il calcolo quantistico, per citarne solo alcuni. Molte di queste innovazioni sono agli albori, ma stanno già raggiungendo un punto di inflessione nel loro sviluppo, poiché incrementano e si amplificano l’un l’altra in una fusione di tecnologie tra il mondo fisico, digitale e biologico”.

Si augura inoltre un incremento dell’istruzione online, che preveda “l’uso della realtà virtuale e della realtà aumentata” per “migliorare drasticamente i risultati educativi” , sensori “installati in case, vestiti e accessori, città, trasporti e reti energetiche”  e città smart, con le loro importanti “piattaforme di dati”.

“Tutto sarà smart e connesso a Internet, dice Schwab, e ciò si estenderà anche agli animali, poiché “i sensori collegati al bestiame possono comunicare tra loro attraverso una rete di telefonia mobile”.

Adora l’idea di” fabbriche di cellule intelligenti” che potrebbero consentire la” la generazione accelerata di vaccini” e” tecnologie dei big-data “.

Massima fiducia agli algoritmi.

Queste, ci assicura, “offriranno modi nuovi e innovativi per servire i cittadini e i clienti” e dovremo smettere di opporci alle imprese che traggono profitto dallo sfruttamento e dalla vendita di informazioni su ogni aspetto della nostra vita personale.

 

“Stabilire la fiducia nei dati e negli algoritmi utilizzati per prendere decisioni sarà fondamentale”, insiste Schwab. “Le preoccupazioni dei cittadini in merito alla privacy e all’accertamento della responsabilità nelle strutture aziendali e legali richiederanno degli aggiustamenti di pensiero”.

In fin dei conti è chiaro che tutta questa esaltazione tecnologica ruota esclusivamente intorno al profitto, o “valore” come Schwab preferisce definirlo nella sua neolingua aziendale del 21° secolo.

Così la tecnologia blockchain sarà fantastica e provocherà “un’esplosione di beni commerciabili, dato che tutti i tipi di scambio di valore possono essere ospitati sulla blockchain”.

L’uso della tecnologia da libro mastro distribuito, aggiunge Schwab, “potrebbe costituire la forza trainante di massicci flussi di valore in prodotti e servizi digitali, fornendo identità digitali sicure che possono rendere i nuovi mercati accessibili a chiunque sia connesso a Internet. “

 

In generale, l’interesse della Quarta Rivoluzione Industriale per l’élite imprenditoriale dominante consiste nel fatto che essa “creerà fonti di valore completamente nuove” e “darà vita a ecosistemi di creazione di valore impossibili da immaginare con una mentalità bloccata nella terza Rivoluzione Industriale”.

Le tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale, sviluppate attraverso il 5G, rappresentano una minaccia senza precedenti per la nostra libertà, come ammette Schwab: “Gli strumenti della quarta rivoluzione industriale permettono nuove forme di sorveglianza e altri mezzi di controllo che vanno contro gli interessi delle società sane e aperte”.

Ma questo non gli impedisce di presentarle sotto una luce positiva, come quando dichiara che “la criminalità pubblica rischia di diminuire grazie alla convergenza di sensori, telecamere, IA e software di riconoscimento facciale”.

Nuove tecnologie al servizio dell’élite al potere.

Egli descrive con una certa soddisfazione come queste tecnologie “possono invadere lo spazio finora privato della nostra mente, leggendo i nostri pensieri e influenzando il nostro comportamento”.

 

Schwab prevede che

man mano che le capacità in questo settore miglioreranno, aumenterà la tentazione per le forze dell’ordine e i tribunali di utilizzare tecniche per determinare la probabilità di attività criminali, valutare la colpevolezza o anche eventualmente recuperare i ricordi direttamente dal cervello delle persone. Persino l’attraversamento di un confine nazionale potrebbe un giorno comportare una dettagliata scansione del cervello per valutare il rischio per la sicurezza di un individuo.

Ci sono momenti in cui il capo del WEF si lascia trasportare dalla passione per un futuro fantascientifico in cui “i viaggi umani nello spazio a lunga distanza e la fusione nucleare saranno all’ordine del giorno” e in cui “il prossimo modello di business di tendenza” potrebbe implicare che qualcuno “scambi l’accesso ai suoi pensieri per la possibilità di risparmiare tempo e di scrivere un post sui social media solo con il pensiero”.

Parlare di “turismo spaziale” sotto il titolo “La Quarta Rivoluzione Industriale e l’ultima frontiera” è quasi divertente, così come la suggestione che “un mondo pieno di droni offre un mondo pieno di possibilità”.

 

Il transumanesimo come la” sua nuova religione                  

 

Ma quanto più il lettore avanza nel mondo rappresentato nei libri di Schwab, tanto meno esso appare come una cosa da ridere o da piangere.

La verità è che questa figura altamente influente, al centro del nuovo ordine globale in via di costituzione, è un vero e proprio transumanista che sogna la fine di una vita umana e di una comunità naturale e sana.

Schwab ripete questo messaggio più e più volte, come per essere sicuro di averci debitamente avvertiti.

“Le strabilianti innovazioni scatenate dalla quarta rivoluzione industriale, dalla biotecnologia all’IA, stanno ridefinendo ciò che significa essere umani,” scrive.

“Il futuro metterà alla prova la nostra concezione di ciò che significa essere umani, sia dal punto di vista biologico che sociale”.

“Già oggi i progressi delle neuro-tecnologie e delle biotecnologie ci costringono a chiederci cosa significhi essere umani”.

I dispositivi tecnologici diventeranno un’estensione del corpo umano.

Lo spiega più dettagliatamente in Shaping the Future of the Fourth Industrial Revolution:

Le tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale non si fermeranno a diventare parte del mondo fisico che ci circonda, ma diventeranno parte di noi. Infatti, alcuni di noi sentono già che i nostri smartphone sono diventati un’estensione di noi stessi. I dispositivi esterni di oggi (dai computer indossabili alle cuffie di realtà virtuale) diventeranno quasi certamente impiantabili nel nostro corpo e nel nostro cervello.

Gli esoscheletri e le protesi aumenteranno la nostra potenza fisica, mentre i progressi della neuro-tecnologia miglioreranno le nostre capacità cognitive. Diventeremo più capaci di manipolare i nostri stessi geni e quelli dei nostri figli. Questi sviluppi sollevano profondi interrogativi: Dove tracciamo il confine tra l’uomo e la macchina? Cosa significa essere umani?

Un’intera sezione di questo libro è dedicata al tema “Alterare l’Essere Umano” in cui egli sbava sulla “capacità delle nuove tecnologie di diventare letteralmente parte di noi” e invoca un futuro di cyborg implicante “curiosi mix di vita digitale e analogica che ridefiniranno la nostra stessa natura”.

Egli scrive che “queste tecnologie opereranno all’interno della nostra biologia e cambieranno il modo in cui ci interfacciamo con il mondo. Esse sono in grado di superare i confini del corpo e della mente, di migliorare le nostre capacità fisiche e persino di avere un impatto duraturo sulla vita stessa”.

Il sogno di Schwab dei microchip sottopelle.

Nessuna violazione sembra spingersi troppo in là per Schwab, che sogna “microchip attivi impiantabili che rompono la barriera cutanea del nostro corpo”, “tatuaggi intelligenti”, “calcolo biologico” e “organismi progettati su misura”.

(Ma questo pazzo furioso non dovrebbe finire in sanatorio? Ndr)

È lieto di riferire che “i sensori, gli interruttori di memoria e i circuiti possono essere codificati nei comuni batteri dell’intestino umano”, che “la “Smart Dust”, una varietà di computer completi con antenne, ciascuno molto più piccolo di un granello di sabbia, possono ora organizzarsi all’interno del corpo” e che “i dispositivi impiantati contribuiranno probabilmente anche a comunicare pensieri normalmente espressi verbalmente attraverso uno smartphone ‘incorporato’, così come pensieri o stati d’animo potenzialmente inespressi, attraverso la lettura di onde cerebrali e altri segnali”.

La “biologia sintetica” è all’orizzonte nel mondo della Quarta Rivoluzione Industriale di Schwab e darà ai governanti capitalisti tecnocratici del mondo “la possibilità di personalizzare gli organismi scrivendo il DNA”.

L’idea di neuro-tecnologie, in cui gli esseri umani avranno ricordi completamente artificiali impiantati nel cervello, è sufficiente per far venire il voltastomaco ad alcuni di noi, così come “la prospettiva di collegare il nostro cervello alla realtà virtuale attraverso modem corticali, impianti o nanobot”.

È di poco conforto sapere che questo è tutto (naturalmente!) nell’interesse del profitto capitalistico, poiché “preannuncia nuove industrie e sistemi per la creazione di valore” e “rappresenta un’opportunità per creare sistemi di valore completamente nuovi nella Quarta Rivoluzione Industriale”.

E che dire della “bio-stampa di tessuti organici” o del suggerimento che “gli animali potrebbero essere potenzialmente ingegnerizzati per produrre farmaci e altre forme di trattamento”?

Qualcuno vuole sollevare obiezioni di carattere etico?

La megalomania di Schwab si allarga anche al mondo animale.

Tutto ciò è evidentemente positivo per Schwab, che è felice di annunciare che

 

il giorno in cui le mucche saranno progettate per produrre nel loro (sic) latte un elemento per la coagulazione del sangue, di cui gli emofiliaci difettano, non è lontano. I ricercatori hanno già iniziato a progettare i genomi dei maiali con l’obiettivo di sviluppare organi adatti al trapianto umano.

E il tutto diventa ancora più inquietante: sin dal sinistro programma di eugenetica della Germania nazista in cui nacque Schwab, questa scienza è stata considerata inaccettabile dalla società umana, ma ora, però, evidentemente, egli sente che l’eugenetica meriti una rivalutazione, quando annuncia, in merito all’editing genetico che

il fatto che ora sia molto più facile manipolare con precisione il genoma umano all’interno di embrioni vitali, comporta la possibilità che in futuro vedremo l’avvento di bambini frutto di design che possiedono particolari caratteristiche o che sono resistenti a una specifica malattia.

Nel famigerato trattato transumanista del 2002 “ I Cyborg”, Kevin Warwick prevede che

gli esseri umani saranno in grado di evolversi sfruttando la super-intelligenza e le abilità aggiuntive offerte dalle macchine del futuro, unendosi ad esse. Tutto ciò indica verso lo sviluppo di una nuova specie umana, conosciuta nel mondo della fantascienza come “cyborg”. Questo non significa che tutti debbano diventare cyborg.

Se siete soddisfatti del vostro stato di esseri umani, allora così sia, potete rimanere come siete. Ma attenzione: proprio come noi umani ci siamo separati dai nostri cugini scimpanzé anni fa, così i cyborg si separeranno dagli umani. Coloro che rimangono umani probabilmente diventeranno una sottospecie. Saranno, in effetti, gli scimpanzé del futuro.

Un’élite artificiale transumana.

Schwab sembra accennare allo stesso futuro di un’élite artificiale transumana “superiore” e potenziata che si separa dalla marmaglia nata in modo naturale, in questo passaggio particolarmente maledetto del “La Quarta Rivoluzione Industriale scrive che “siamo alle soglie di un radicale cambiamento sistemico che richiede agli esseri umani di adattarsi continuamente.

(I pazzi saranno posti al comando del genere umano diventato “schiavizzato”! Ndr)

Di conseguenza, potremmo assistere a un crescente grado di polarizzazione nel mondo, segnato da coloro che abbracciano il cambiamento da una parte, contro coloro che vi si oppongono dall’altra.

“Questo darà origine a una disuguaglianza che va oltre quella sociale descritta in precedenza. Questa disuguaglianza ontologica separerà chi si adatta da chi resiste, i vincenti dai perdenti materiali in tutti i sensi delle parole.

 I vincenti potrebbero anche beneficiare di una qualche forma di miglioramento umano radicale generato da alcuni segmenti della quarta rivoluzione industriale (come l’ingegneria genetica) di cui i perdenti saranno privati. Questo rischia di creare conflitti di classe e altri scontri, totalmente diversi da quelli visti prima d’ora”.

Schwab aveva già parlato di una “grande trasformazione” nel 2016 ed è chiaramente determinato a fare tutto ciò che è in suo potere per realizzare il suo mondo artificiale transumanista di ispirazione eugenetica, della sorveglianza, del controllo e del profitto esponenziale.

Tuttavia, come rivela il suo riferimento ai “conflitti di classe” di cui sopra, è chiaramente preoccupato dalla possibilità di “resistenza sociale”  e da come procedere “se le tecnologie riceveranno una grande resistenza da parte del pubblico”.

Gli incontri annuali del WEF di Schwab a Davos sono stati a lungo accolti da proteste anticapitaliste e, nonostante l’attuale paralisi della sinistra radicale, egli è ben consapevole della possibilità di una rinnovata e forse più ampia opposizione al suo progetto, con il rischio di “risentimento, paura e contraccolpi politici”.

Nel suo libro più recente fornisce un contesto storico, sottolineando che “l’antiglobalismo è stato forte nel periodo precedente al 1914 e fino al 1918, poi è diminuito durante gli anni Venti, ma si è riacceso negli anni Trenta in seguito alla Grande Depressione”.

Egli osserva che all’inizio degli anni 2000 “il contraccolpo politico e sociale contro la globalizzazione si è rafforzato senza sosta”, afferma che negli ultimi due anni il” malcontento sociale” si è diffuso in tutto il mondo, citando i Gilet Gialli in Francia tra i vari movimenti, e invoca lo “scenario cupo” che “potrebbe verificarsi di nuovo”.

Dunque come può un onesto tecnocrate realizzare il suo futuro ideale per il mondo senza il consenso dell’opinione pubblica mondiale? Come possono Schwab e i suoi amici miliardari imporre la società da loro auspicata al resto del mondo?

Creare una narrazione unica.

Una soluzione è attraverso un’incessante propaganda e lavaggio del cervello che i mass media e il mondo accademico di proprietà dell’1% dell’élite (ciò che a loro piace chiamare “una narrazione”).

Per Schwab, la riluttanza della maggioranza dell’umanità a salire a bordo del treno verso la quarta rivoluzione industriale rispecchia la tragica circostanza che “al mondo manca una narrazione coerente, positiva e comune che delinei le opportunità e le sfide della quarta rivoluzione industriale, una narrazione che è essenziale se vogliamo dare forza a un insieme diversificato di individui e comunità ed evitare un contraccolpo popolare contro i cambiamenti radicali in corso”.

E aggiunge che “è quindi fondamentale investire attenzione ed energia nella cooperazione multilaterale al di là dei confini accademici, sociali, politici, nazionali e industriali. Queste interazioni e collaborazioni sono necessarie per creare narrazioni positive, comuni e piene di speranza, che consentano a individui e gruppi di tutte le parti del mondo di partecipare alle trasformazioni in corso e di trarne vantaggio”.

Internet: l’arma che vuole utilizzare il tecno-imperialismo globale.

Una di queste “narrazioni” occulta le ragioni per cui la tecnologia della quarta rivoluzione industriale deve essere installata ovunque nel mondo il più presto possibile.

Schwab è frustrato dal fatto che “più della metà della popolazione mondiale (circa 3,9 miliardi di persone) non possa ancora accedere a Internet”, con l’85% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo che rimane offline e quindi irraggiungibile, differentemente dal 22% del mondo sviluppato.

L’obiettivo reale della Quarta Rivoluzione Industriale è quello di sfruttare queste popolazioni a scopo di lucro attraverso il tecno-imperialismo globale, ma ovviamente questo non può essere dichiarato nella “narrazione” propagandistica necessaria per vendere il piano.

La loro missione deve invece essere presentata, come fa lo stesso Schwab, come un tentativo di “sviluppare tecnologie e sistemi che servano a distribuire valori economici e sociali come il reddito, le opportunità e la libertà a tutti i portatori di interesse”.

Si atteggia devotamente a guardiano dei valori liberali illuminati, dichiarando che pensare in modo inclusivo va oltre il pensare alla povertà o alle comunità emarginate semplicemente come un’aberrazione, ma a qualcosa che possiamo risolvere.

Ci costringe a realizzare che “i nostri privilegi si trovano sullo stesso piano della loro sofferenza” e va al di là del reddito e dei diritti, anche se questi rimangono importanti. Attraverso l’inclusione degli stakeholder e la distribuzione dei benefici si ampliano le libertà per tutti”.

La stessa tecnica, di una finta “narrazione” progettata per ingannare i cittadini benpensanti a sostenere uno schema capitalista imperialista, è stata ampiamente utilizzata per quanto riguarda il cambiamento climatico.

Il ruolo (ben pagato) di Greta Thunberg.

Schwab è chiaramente un grande fan di Greta Thunberg, la quale non aveva nemmeno fatto in tempo ad alzarsi dal marciapiede dopo la sua protesta a Stoccolma, che è stata subito spedita a Davos per parlare al WEF.

È altresì un sostenitore della proposta di un globale New Deal for Nature, in particolare attraverso il programma Voice for the Planet, che è stato lanciato al WEF di Davos nel 2019 dai Global Shapers, un’organizzazione giovanile creata da Schwab nel 2011 e giustamente descritta dal giornalista investigativo Cory Morningstar come “una grottesca esibizione di abuso aziendale mascherata come qualcosa di positivo”.

Nel suo libro del 2020, Schwab illustra il modo in cui il finto “attivismo giovanile” viene utilizzato per promuovere i suoi personali obiettivi capitalistici.

Scrive, in un passaggio estremamente franco che “l’attivismo giovanile sta aumentando in tutto il mondo, essendo stato rivoluzionato dai social media che aumentano la mobilitazione in una misura che prima sarebbe stata impossibile.

Esso assume molte forme diverse, dalla partecipazione politica non istituzionalizzata alle manifestazioni e alle proteste, e affronta questioni diverse come il cambiamento climatico, le riforme economiche, l’uguaglianza di genere e i diritti LGBTQ. La giovane generazione è saldamente all’avanguardia del cambiamento sociale arcobaleno. Non c’è dubbio essa che sarà il catalizzatore del cambiamento e la leva per un momento cruciale per il Grande Reset”.

 

In realtà, ovviamente, il futuro ultra-industriale proposto da Schwab sarà tutt’altro che verde. Non è la natura che gli interessa, ma il “capitale naturale” e “l’incentivazione degli investimenti nei mercati della frontiera verde e sociale”.

Cambiamento climatico: un’opportunità di business.

Inquinamento equivale a profitto e la crisi ambientale è solo un’altra opportunità di business, come spiega in dettaglio ne “La Quarta Rivoluzione Industriale”:

in questo nuovo rivoluzionario sistema industriale, l’anidride carbonica si trasformerà da inquinante ad effetto serra in un bene, e l’economia della cattura e dello stoccaggio del carbonio passerà dall’essere un costo, così come i pozzi di assorbimento dell’inquinamento, a diventare proficuo per la raccolta e l’utilizzo di carbonio e per la produzione.

Ancora più importante: ciò aiuterà le aziende, i governi e i cittadini a diventare più consapevoli e impegnati in strategie per rigenerare attivamente il capitale naturale, permettendo usi intelligenti e rigenerativi del capitale naturale per guidare la produzione e il consumo sostenibili e dare spazio alla biodiversità per la ripresa in aree compromesse”.

Le “soluzioni” di Schwab per i danni strazianti inflitti al nostro mondo naturale dal capitalismo industriale consistono nello stesso veleno, se non peggio.

La geoingegneria è uno dei suoi cavalli di battaglia: “le proposte includono l’installazione di specchi giganti nella stratosfera per deviare i raggi del sole, la semina chimica dell’atmosfera per aumentare le precipitazioni e il dispiegamento di grandi macchine per rimuovere l’anidride carbonica dall’aria”.

(Le proposte di un pazzo accettate dai nuovi governanti del mondo! Ndr)

E poi aggiunge: “attualmente si stanno immaginando nuovi approcci attraverso la combinazione di tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale, come le nanoparticelle e altri materiali avanzati”.

Come tutte le imprese e le ONG pro-capitaliste che sostengono il messo in pericolo New Deal for Nature, Schwab è completamente e profondamente “non-green”.

Per lui, la “possibilità ultima” di un’energia “pulita” e “sostenibile” comprende la fusione nucleare.  Egli attende con ansia il giorno in cui i satelliti “copriranno tutto il pianeta con percorsi di comunicazione che potrebbero aiutare a collegare gli oltre 4 miliardi di persone ancora prive di accesso online”.

Schwab vuole avvalersi degli OGM.

Schwab inoltre si rammarica molto di tutta quella burocrazia che impedisce l’avanzamento senza ostacoli degli alimenti geneticamente modificati, avvertendo che “la sicurezza alimentare globale sarà raggiunta, tuttavia, solo se le norme sugli alimenti geneticamente modificati saranno adattate per dimostrare che la modificazione genetica offre un metodo preciso, efficiente e sicuro per migliorare le colture”.

Il nuovo ordine previsto da Schwab abbraccerà il mondo intero e quindi è necessaria una governance globale per imporlo, come egli afferma ripetutamente. Il suo futuro preferito “si realizzerà solo attraverso una migliore governance globale” insiste. “È necessaria una qualche forma di governance globale efficace”.

Il problema che abbiamo oggi è quello di un possibile “deficit di ordine globale”, afferma, aggiungendo inverosimilmente che l’Organizzazione Mondiale della Sanità “è gravata da risorse limitate e in diminuzione”.

Quello che in realtà sta dicendo è che la sua società del grande reset e della quarta rivoluzione industriale funzionerà solo se imposta simultaneamente in tutto il pianeta, altrimenti “rimarremo paralizzati nei nostri tentativi di affrontare e rispondere alle sfide globali”.

Egli ammette che “in poche parole, la governance globale il nesso di tutte queste altre questioni”.

Questo che ingloba tutto disapprova molto l’idea che una particolare popolazione decida democraticamente di intraprendere un’altra strada. Tali popolazioni “rischierebbero di rimanere isolate dalle norme globali, mettendo queste nazioni a rischio di diventare i ritardatari della nuova economia digitale”, avverte Schwab.

Cancellare identità e strutture familiari.

Ogni senso di autonomia e di attaccamento alle radici è considerato una minaccia dal punto di vista imperialista di Schwab e deve essere sradicato con la quarta rivoluzione industriale.

Scrive così: Gli individui erano soliti identificare la loro vita più da vicino con un luogo, un gruppo etnico, una particolare cultura o anche una lingua. L’avvento del coinvolgimento online e la maggiore esposizione alle idee di altre culture fanno sì che le identità siano ora più fungibili rispetto al passato… Grazie alla combinazione di modelli migratori storici e di connettività a basso costo, si stanno ridefinendo le strutture familiari. (Soros provvederà a finanziare lo sviluppo del nuovo mondo arcobaleno! Ndr)

La democrazia vera e propria rientra essenzialmente nella stessa categoria per Schwab. Egli sa che la maggior parte delle persone non accetterà di buon grado i piani per distruggere le loro vite e renderle schiave di un sistema globale di sfruttamento tecno-fascista, quindi la possibilità dare loro voce in capitolo è semplicemente esclusa.

Per questo motivo il concetto di “stakeholder” è stato così importante per il progetto di Schwab. Come già discusso in precedenza, si tratta della negazione della democrazia, con l’accento posto invece sul “raggiungere i gruppi di stakeholder per la costruzione di soluzioni”.

Se il pubblico, le persone, sono incluse in questo processo ciò avviene meramente a livello superficiale. Il programma è già stato pre-ipotizzato e le decisioni sono state già prese dietro le quinte.

Schwab lo ammette efficacemente quando scrive: “dobbiamo ristabilire un dialogo tra tutti gli stakeholder per garantire una comprensione reciproca che costruisca ulteriormente una cultura di fiducia tra le autorità di regolamentazione, le organizzazioni non governative, i professionisti e gli scienziati.

 

Anche il pubblico deve essere preso in considerazione, perché deve partecipare alla formazione democratica degli sviluppi biotecnologici che riguardano la società, gli individui e le culture”.

(Non manca la presa per il culo dei popoli con l’opera delinquenziale di Klaus Schwab! Ndr)

Il concetto di leadership di sistema.

Quindi “anche” il pubblico deve essere considerato, in un secondo momento. Nemmeno consultato direttamente, solo “considerato”!

E il ruolo del popolo, il demos, sarà solo quello di “partecipare” alla “formazione” degli sviluppi biotecnologici. La possibilità che il pubblico respinga di fatto l’idea stessa di sviluppo biotecnologico è stata completamente eliminata grazie ai presupposti volutamente costruiti con la formula degli stakeholder.

Lo stesso messaggio è implicito nel titolo della conclusione di Schwab in “Shaping the Future of the Fourth Industrial Revolution:What You Can Do to Shape the Fourth Industrial Revolution .

 La “tecno-tirannia” non può essere messa in discussione o fermata, semplicemente “plasmata” (shaped).

Schwab usa il termine “leadership di sistema” per descrivere il modo profondamente antidemocratico in cui l’1% impone la sua agenda a tutti noi, senza darci la possibilità di dire “no”.

(In Italia -ad esempio – si è già prenotato per questa nuova carica il nostro amato Draghi! Ndr)

Egli scrive che “la leadership dei sistemi consiste nel coltivare una visione condivisa del cambiamento, lavorare insieme a tutti gli stakeholder della società globale e poi agire su di essa per cambiare il modo in cui il sistema offre i suoi benefici e a chi li offre. La leadership di sistema richiede l’azione di tutti gli stakeholder, inclusi gli individui, i dirigenti d’azienda, gli influencer sociali e i decisori politici”.

Egli definisce a questo controllo a tutto spettro dall’alto verso il basso come “la gestione del sistema dell’esistenza umana”, sebbene altri potrebbero preferire il termine “totalitarismo “.

Uno dei tratti distintivi del fascismo storico in Italia e in Germania era la sua insofferenza per le scomode restrizioni imposte alla classe dirigente (“la Nazione” in linguaggio fascista) dalla democrazia e dal liberalismo politico.

Tutto questo doveva essere spazzato via per consentire una Blitzkrieg di “modernizzazione” accelerata.

Vediamo riaffiorare lo stesso spirito negli appelli di Schwab per una “governance agile” in cui egli sostiene che “il passo dello sviluppo tecnologico e di una serie di caratteristiche delle tecnologie rendono inadeguati i cicli e i processi politici precedenti”.

“Le strutture sociali saranno al servizio del capitalismo globalista arcobaleno.”

Egli scrive che “l’idea di riformare i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie non è nuova, ma l’urgenza di farlo è di gran lunga maggiore alla luce della potenza delle tecnologie emergenti di oggi… il concetto di governance agile cerca di abbinarsi con l’agilità, la fluidità, la flessibilità e l’adattabilità delle tecnologie stesse e degli attori del settore privato che le adottano”.

L’espressione “riformare i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie” svela la vera essenza della questione. Come nel nazi- fascismo, le strutture sociali devono essere reinventate in modo da soddisfare le esigenze del capitalismo e delle sue tecnologie generatrici di profitto.

Schwab spiega che la sua” governance agile” comporterebbe la creazione di cosiddetti laboratori di politica:

spazi protetti all’interno del governo con un esplicito mandato di sperimentare nuovi metodi di sviluppo delle politiche utilizzando principi agili che incoraggino la collaborazione tra governi e imprese per creare ‘sandbox di sviluppo ’ e ‘banchi di prova sperimentali’ per sviluppare normative che utilizzino approcci interattivi, intersettoriali e flessibili.

Per Schwab, il ruolo dello Stato è quello di far progredire gli obiettivi capitalistici, non di tenerli sotto controllo in alcun modo.

Sebbene egli sia del tutto favorevole al ruolo dello Stato nel consentire l’acquisizione della nostra vita da parte delle imprese, è meno interessato alla sua funzione di regolamentazione, che potrebbe rallentare l’afflusso di profitti nelle mani dei privati, e quindi prevede “lo sviluppo di ecosistemi di regolatori privati, in competizione sui mercati”.

(Le leggi nazionali le debbono fare le multinazionali finanziarie per la realizzazione dei loro precisi interessi! Ndr)

La simulazione della pandemia fittizia.

Nel suo libro del 2018, Schwab affronta il problema delle normative moleste e di come “superare questi limiti” nel campo dei dati e della privacy.

Egli propone “accordi di condivisione dei dati tra pubblico e privato che “rompono il vetro in caso di emergenza”.

Questi entrerebbero in gioco solo in circostanze di emergenza pre-concordate (come una pandemia) e possono contribuire a ridurre i ritardi e a migliorare il coordinamento dei paramedici, consentendo temporaneamente una condivisione dei dati che in circostanze normali sarebbe illegale”.

(Schwab non dice mai cosa ne farà delle migliaia di bome atomiche che lui -illegalmente -produce in Sud Africa! Ndr)

Curiosamente, due anni dopo c’è stata effettivamente una “pandemia” e queste “circostanze di emergenza pre-concordate” sono diventate realtà.

Ciò non deve essere stato una sorpresa per Schwab, visto che il suo WEF era tra gli organizzatori della famigerata conferenza “Event 201” dell’ottobre 2019, in cui fu simulata una pandemia di coronavirus fittizia.

 

Così ha perso poco tempo per far uscire un nuovo libro, “Covid-19: The Great Reset”, realizzato in collaborazione con Thierry Malleret, che gestisce qualcosa chiamato “The Monthly Barometer”, “una succinta analisi predittiva fornita agli investitori privati, ai CEO, ai decisori e agli opinion maker globali”.

Pubblicato nel luglio 2020, il libro si propone di partorire “congetture e idee su come potrebbe e forse dovrebbe apparire il mondo post-pandemico”.

Schwab e Malleret ammettono che il Covid-19 è “una delle pandemie meno mortali che il mondo abbia conosciuto negli ultimi 2000 anni”, aggiungendo che “le conseguenze di COVID-19 in termini di salute e mortalità saranno miti rispetto alle pandemie precedenti”.

E aggiungono che “essa non costituisce una minaccia esistenziale, né uno shock che lascerà la sua impronta sulla popolazione mondiale per decenni”.

Eppure, incredibilmente, questa “lieve” malattia viene presentata contemporaneamente come la scusa per un cambiamento sociale senza precedenti all’insegna del “Grande Reset”!

E sebbene dichiarino esplicitamente che il Covid-19 non costituisce un grande “shock”, gli autori usano ripetutamente lo stesso termine per descrivere l’impatto più ampio della crisi.

Il Covid come strumento per facilitare i cambiamenti.

Schwab e Malleret collocano il Covid-19 in una lunga tradizione di eventi che hanno facilitato cambiamenti improvvisi e significativi nelle nostre società.

 

In particolare evocano la Seconda Guerra Mondiale:

la Seconda Guerra Mondiale è stata la quintessenza della guerra di trasformazione, innescando non solo cambiamenti fondamentali nell’ordine globale e nell’economia globale, ma anche cambiamenti radicali negli atteggiamenti e nelle credenze sociali che alla fine hanno aperto la strada a politiche e disposizioni da contratto sociale radicalmente nuove (come l’ingresso delle donne nella forza lavoro prima di acquisire il diritto di voto).

Ci sono ovviamente differenze fondamentali tra una pandemia e una guerra (che considereremo in modo più dettagliato nelle pagine seguenti), ma l’entità del loro potere di trasformazione è paragonabile. Entrambe hanno il potenziale per essere una crisi trasformativa di proporzioni inimmaginabili in precedenza.

Si aggiungono anche al coro di molti “teorici della complotto” contemporanei nel fare un confronto diretto tra il Covid-19 e l’11 settembre:

“questo è quanto è successo dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001: in tutto il mondo, nuove misure di sicurezza come l’impiego diffuso di telecamere, la richiesta di carte d’identità elettroniche e la registrazione dei dipendenti o dei visitatori in entrata e in uscita sono diventate la norma. All’epoca queste misure erano considerate estreme, ma oggi sono utilizzate ovunque e considerate “normali”.

Quando qualsivoglia tiranno dichiara il proprio diritto di governare su un popolo senza tener conto delle sue opinioni, ama giustificare la propria dittatura con la pretesa di avere il diritto morale di farlo perché egli è “illuminato”.

Lo stesso vale per la tirannia alimentata dal Covid del Grande Reset di Schwab, che il libro classifica come “leadership illuminata”, aggiungendo:

“Alcuni leader e decisori che erano già in prima linea nella lotta contro il cambiamento climatico potrebbero voler approfittare dello shock inflitto dalla pandemia per attuare cambiamenti ambientali più ampi e duraturi. Essi, in effetti, faranno ‘buon uso’ della pandemia non lasciando che la crisi vada sprecata”.

Niente tornerà come prima.

L’élite capitalistica mondiale al potere ha certamente fatto del suo meglio per “approfittare dello shock provocato dal panico”, assicurando tutti noi fin dai primi giorni dell’epidemia che, per qualche imperscrutabile ragione, niente nella nostra vita tornerà come prima.

Schwab e Malleret sono, inevitabilmente, entusiasti dell’uso del termine “nuova normalità, nonostante abbiano ammesso che il virus è stato sempre e solo “blando”.

“È il nostro momento decisivo”, esclamano. “Molte cose cambieranno per sempre”. “Un nuovo mondo emergerà”. “Lo sconvolgimento sociale scatenato da COVID-19 durerà per anni, e forse per generazioni”. “Molti di noi stanno pensando a quando le cose torneranno alla normalità. La risposta immediata è: mai”.

Arrivano persino a proporre una nuova separazione storica tra “l’era pre-pandemica” e “il mondo post-pandemico”.

Scrivono che “cambiamenti radicali di tale conseguenza che alcuni esperti arrivano a riferirsi ad un’era ‘prima del coronavirus’ (A.C.) e ‘dopo il coronavirus’ (D.C.).

Continueremo a rimanere sorpresi sia dalla rapidità che dalla natura inaspettata di questi cambiamenti, poiché essi si fondono l’uno con l’altro, provocando conseguenze di secondo, terzo, quarto ordine e oltre, effetti a cascata ed esiti imprevisti.

Così facendo, daranno forma ad una “nuova normalità” radicalmente diversa da quella che ci lasceremo progressivamente alle spalle. Molte delle nostre convinzioni e delle nostre assunzioni su come il mondo potrebbe o dovrebbe apparire saranno distrutte in questo processo”.

Il Reset ambientale.

Già nel 2016, Schwab puntava a “nuovi modi di usare la tecnologia per cambiare il comportamento” e prevedeva che “la portata e l’ampiezza della rivoluzione tecnologica in corso porterà a cambiamenti economici, sociali e culturali di proporzioni così fenomenali da essere quasi impossibili da pronosticare”.

Un modo in cui aveva sperato di far avanzare la sua agenda tecnocratica era, come abbiamo notato, attraverso le false “soluzioni” al cambiamento climatico proposte dai capitalisti falsamente green.

 

Sotto il titolo “Reset ambientale”, Schwab e Malleret dichiarano: “a prima vista, la pandemia e l’ambiente potrebbero sembrare solo cugini imparentati alla lontana; ma sono molto più vicini e più intrecciati di quanto si pensi”.

Una delle connessioni è che sia la “crisi climatica” che quella del virus sono state usate dal WEF e da loro simili per spingere la loro agenda di governance globale. Come hanno affermato Schwab e il suo coautore, “esse hanno una natura globale e quindi possono essere affrontate in modo adeguato solo in modo coordinato a livello globale”.

Un altro collegamento è il modo in cui “l’economia post-pandemica” e “l’economia verde” comportano ingenti profitti per la gran parte agli stessi settori del grande business.

Il Covid-19 è stata evidentemente una grande notizia per quei capitalisti che speravano di incassare sulla distruzione dell’ambiente, con Schwab e Malleret a dire che “la convinzione che le strategie del Gruppo Esecutivo abbiano beneficiato della pandemia e che abbiano maggiori probabilità di beneficiarne ulteriormente è corroborata da vari sondaggi e rapporti. I primi dati mostrano che nel primo trimestre del 2020 il settore della sostenibilità ha superato quello dei fondi convenzionali”.

Gli squali capitalisti del cosiddetto “settore della sostenibilità” si stanno fregando le mani con gioia alla prospettiva di tutti i soldi che stanno per fare con il Grande Reset fascista di attuato con il pretesto del Covid, in cui lo Stato è reso strumento per finanziare il loro ipocrita affarismo.

Schwab e Malleret notano che “la chiave per gonfiare il capitale privato con nuove fonti di valore economico nature-positive sarà quella di spostare le principali leve politiche e gli incentivi della finanza pubblica nell’ambito di un più ampio reset economico”.

“Un documento politico preparato da Systemiq in collaborazione con il World Economic Forum stima che la costruzione di un’economia nature-positive potrebbe valere più di 10 trilioni di dollari all’anno entro il 2030Il reset dell’ambiente non dovrebbe essere visto come un costo, ma piuttosto come un investimento che genererà attività economica e opportunità di lavoro”.

Il Covid è stato un incredibile acceleratore di cambiamenti già in atto.

Dato l’intreccio tra la crisi climatica e quella del Covid esposto da Schwab, si potrebbe ipotizzare che il piano originario fosse quello di attuare il reset della “nuova normalità” tramite la crisi climatica.

Ma evidentemente, tutta la pubblicità per Greta Thunberg e per il movimento “Extincion Rebellion”, sostenuto dalle grandi imprese, non ha suscitato abbastanza panico nell’opinione pubblica da giustificare tali misure.

Il Covid-19 serve perfettamente ai propositi di Schwab, poiché l’urgenza immediata che presenta permette di accelerare e velocizzare l’intero processo senza controllo.

“Questa differenza cruciale tra i rispettivi orizzonti temporali di una pandemia e quelli del cambiamento climatico e della perdite della natura significa che il rischio di una pandemia richiede un’azione immediata, seguita da un risultato rapido, mentre il cambiamento climatico e la perdite della natura richiedono sì anch’essi un’azione immediata, ma il risultato (o ‘ricompensa futura’, nel gergo degli economisti) seguirà solo con un certo ritardo”.

Per Schwab e i suoi amici, il Covid-19 è il grande acceleratore di tutto ciò che da anni vogliono imporci.

Come affermano lui e Malleret, “la pandemia sta chiaramente esacerbando e accelerando le tendenze geopolitiche che erano già evidenti prima dello scoppio della crisi”.

“La pandemia segnerà una svolta accelerando questa transizione. Essa ha cristallizzato la questione e reso impossibile il ritorno allo status quo pre-pandemico”.

Riescono a malapena a nascondere la loro gioia per la direzione che la società sta prendendo: “la pandemia accelererà ancora di più l’innovazione, catalizzando i cambiamenti tecnologici già in atto (è paragonabile all’effetto esacerbante che ha avuto su altre questioni globali e nazionali di fondo) e “mettendo il turbo” a qualsiasi business digitale e alla dimensione digitale di qualsiasi business”.

“Con la pandemia, la ‘trasformazione digitale’ di cui tanti analisti si occupano da anni, senza essere esattamente sicuri di cosa significhi, ha trovato il suo catalizzatore. Uno dei principali effetti del confinamento sarà l’espansione e la progressione del mondo digitale in modo decisivo e spesso permanente.

 

“Nell’aprile del 2020, diversi leader del Big Tech hanno osservato quanto rapidamente e radicalmente le necessità create dalla crisi sanitaria abbiano accelerato l’adozione di una vasta gamma di tecnologie. Nell’arco di un solo mese, è apparso che molte aziende in termini di adozione delle tecnologie siano balzate avanti di diversi anni”.

Il destino sta chiaramente sorridendo a Klaus Schwab, poiché questa crisi del Covid-19 è riuscita a far avanzare, per sua fortuna, praticamente ogni aspetto dell’agenda che egli ha promosso nel corso dei decenni.

E così lui e Malleret riportano con soddisfazione che “la pandemia accelererà l’adozione dell’automazione sul posto di lavoro e l’introduzione di un maggior numero di robot nella nostra vita personale e professionale”.

Lo sviluppo del commercio online.

I Lockdown in tutto il mondo hanno, inutile dirlo, fornito un grande impulso finanziario alle aziende che offrono shopping online.

(Al fine di espandere il commercio on-line in Cina, attualmente si continua a provocare il lockdown per intere città! Ndr)

Gli autori raccontano che “i consumatori hanno bisogno di prodotti e, se non possono fare acquisti, inevitabilmente ricorreranno all’acquisto online. Man mano che l’abitudine prende piede, le persone che non avevano mai fatto acquisti online prima d’ora si sentiranno più a loro agio a farli, mentre le persone che prima facevano acquisti online solo parzialmente faranno presumibilmente più affidamento su di essi.

Questo è stato reso evidente durante i lockdown. Negli Stati Uniti, Amazon e Walmart hanno assunto complessivamente 250.000 lavoratori per tenere il passo con l’aumento della domanda e hanno costruito enormi infrastrutture per la fornitura online. Questa crescita accelerata dell’e-commerce significa che i giganti dell’industria del commercio al dettaglio online usciranno probabilmente dalla crisi ancora più forti di quanto non fossero nell’era pre-pandemica”.

E aggiungono: “man mano che sempre più beni e servizi ci vengono forniti attraverso i nostri cellulari e computer, le aziende di settori così diversi come l’e-commerce, le operazioni contactless, i contenuti digitali, i robot e le consegne via drone (per citarne solo alcuni) prospereranno. Non è un caso che aziende come Alibaba, Amazon, Netflix o Zoom siano emerse come ‘vincitrici’ dai lockdown”.

A titolo di corollario, potremmo ipotizzare che non è “per caso” che i governi che sono stati conquistati e controllati dalle grandi imprese, grazie a soggetti del calibro del WEF, è stata imposta una “nuova realtà” sotto la quale le grandi imprese sono le “vincitrici”.

Le buone notizie ispirate dal Covid non si fermano mai per tutti quei comparti aziendali che possono beneficiare della “Quarta Repressione Industriale”.

La pandemia può rivelarsi una manna per l’istruzione online”, riportano Schwab e Malleret.

“In Asia, il passaggio all’istruzione online è stato particolarmente notevole, con un forte aumento delle iscrizioni digitali degli studenti, una valutazione molto più alta per le imprese di educazione online e più capitale disponibile per le start-up dello ed-tech… Nell’estate del 2020, la tendenza sembra chiara: il mondo dell’istruzione, come per tanti altri settori, diventerà in parte virtuale”.

Anche gli sport online sono decollati: “per un certo periodo, il distanziamento sociale può limitare la pratica di alcuni sport, il che a sua volta andrà a beneficio della sempre più potente espansione degli sport elettronici. La tecnologia e il digitale non sono mai distanti!”.

Ci sono notizie simili dal settore bancario: “le interazioni bancarie online sono aumentate del 90% durante la crisi, dal 10%, senza alcun calo di qualità e con un aumento della regolarità”.

L’automazione come opportunità di risparmio delle imprese.

Il passaggio all’attività online, ispirato dal Covid, va ovviamente a vantaggio della Big Tech, che sta ottenendo enormi profitti dalla crisi, come descrivono gli autori: “il valore di mercato combinato delle aziende leader del settore tecnologico ha raggiunto record su record durante i lockdown, risalendo addirittura al di sopra dei livelli di prima dello scoppio dell’epidemia… è improbabile che questo fenomeno si attenui in tempi brevi, anzi, è probabile che si verifichi piuttosto il contrario”.

Ma ci sono buone notizie anche per tutte le imprese coinvolte, che non devono più pagare gli esseri umani per lavorare per loro. L’automazione è, ed è sempre stata, un risparmio di costi e quindi un aumento dei profitti per l’élite capitalista globalista.

 

La pandemia aumenterà certamente la nostra attenzione per l’igiene. Una nuova ossessione per la pulizia comporterà in particolare la creazione di nuove forme di imballaggio. Saremo incoraggiati a non toccare i prodotti che acquistiamo. Semplici piaceri come annusare un melone o spremere un frutto saranno disapprovati e potrebbero addirittura diventare un ricordo del passato”.

Gli autori descrivono anche ciò che appare molto simile a un’agenda tecnocratica legata al profitto dietro al “distanziamento sociale” che è stato un elemento chiave del “reset” del Covid.

Essi scrivono che “in una maniera o nell’altra, è probabile che le misure di distanziamento fisico e sociale persistano dopo che la pandemia stessa si sarà placata, giustificando la decisione di molte aziende di diversi settori industriali di accelerare l’automazione.

Dopo un po’ di tempo, le persistenti preoccupazioni per la disoccupazione tecnologica si ridurranno, poiché le società sottolineeranno il bisogno di ristrutturare i luoghi di lavoro in modo da ridurre al minimo lo stretto contatto umano. Infatti, le tecnologie di automazione sono particolarmente adatte ad un mondo in cui gli esseri umani non possono avvicinarsi troppo l’uno all’altro o sono disposti a ridurre le loro interazioni.

La nostra persistente e potenzialmente duratura paura di essere infettati da un virus (COVID-19 o un altro) accelererà così l’implacabile marcia dell’automazione, in particolare nei campi più suscettibili all’automazione”.

Come già detto, Schwab è stato a lungo frustrato da tutte quelle seccanti normative che impediscono ai capitalisti di fare tutti i soldi che vorrebbero si concentrano su preoccupazioni economicamente irrilevanti come la sicurezza e il benessere degli esseri umani.

 

Ma (urrà!) la crisi da Covid ha fornito la scusa perfetta per eliminare gran parte di questi ostacoli obsoleti per la prosperità e la crescita.

Un settore in cui la burocrazia è stata abbandonata è quello della salute. Perché mai uno stakeholder di buon senso dovrebbe pensare che un determinato obbligo di cura e di diligenza possa incidere sulla redditività di questo particolare settore commerciale?

Schwab e Malleret sono felicissimi di constatare che la telemedicina “beneficerà notevolmente” dell’emergenza Covid: “la necessità di affrontare la pandemia con tutti i mezzi disponibili (oltre alla necessità, durante lo scoppio epidemia, di proteggere gli operatori sanitari permettendo loro di lavorare a distanza) ha rimosso alcuni degli impedimenti normativi e legislativi legati all’adozione della telemedicina”.

“Incentivare l’economia senza contatto”

L’abbandono della regolamentazione è un fenomeno generale sotto il regime globale della Nuova Normalità, spiegano Schwab e Malleret:

 

fino ad oggi i governi hanno spesso rallentato il ritmo di adozione delle nuove tecnologie a causa di lunghe riflessioni su come dovrebbe essere il miglior quadro normativo ma, come l’esempio della telemedicina e della consegna tramite droni sta ora dimostrando, è possibile una brusca accelerazione forzata dalla necessità.

Durante i lockdown, un allentamento quasi globale delle normative che in precedenza avevano ostacolato il progresso nei campi in cui la tecnologia era disponibile da anni, si è verificato all’improvviso perché non c’era scelta migliore o altra scelta disponibile. Ciò che fino a poco tempo fa era impensabile è diventato improvvisamente possibile… Le nuove regole resteranno in vigore.

 

E aggiungono: “l’attuale imperativo di incentivare, non importa come, l'”economia senza contatto” e la conseguente disponibilità dei regolatori ad accelerarla significa che si andrà avanti senza esclusione di colpi”.

“Senza esclusione di colpi”. Non illudetevi: questo è il linguaggio adottato dal capitalismo quando abbandona la sua apparenza di democrazia liberale e passa alla modalità nazi-fascista.

Dall’opera di Schwab e Malleret si evince chiaramente che una fusione nazi-fascista tra Stato e impresa, a vantaggio di quest’ultima, è alla base del loro grande reset.

 

Fin dall’inizio della crisi del Covid, come loro stessi riconoscono, ingenti somme di denaro sono state trasferite dalle casse pubbliche nelle tasche rigonfie dell’1%:

nell’aprile del 2020, proprio quando la pandemia ha iniziato ad inghiottire il mondo, i governi di tutto il mondo avevano annunciato programmi di stimolo per diversi trilioni di dollari, come se otto o nove piani Marshall fossero stati messi in atto quasi contemporaneamente”.

Continuano affermando che “il COVID-19 ha riscritto molte delle regole del gioco tra pubblico e privato. … La benevola (o meno) maggiore intrusione dei governi nella vita delle imprese e nella conduzione dei loro affari dipenderà dal paese e dal settore industriale, quindi assumerà molte forme diverse”.

“Misure che sarebbero sembrate inconcepibili prima della pandemia potrebbero ben presto diventare la norma in tutto il mondo, con i governi che cercheranno di evitare che la recessione economica si trasformi in una depressione catastrofica.

“Sempre più spesso si chiederà al governo di agire come “pagatore di ultima istanza” per prevenire o arginare l’ondata di licenziamenti di massa e di distruzione delle imprese innescati dalla pandemia. Tutti questi cambiamenti stanno alterando le regole del ‘gioco’ della politica economica e monetaria”.

Uno Stato forte per aziende forti.

Schwab e il suo collega accolgono di buon grado la prospettiva che un aumento dei poteri dello Stato venga utilizzato per sostenere il profitto delle grandi imprese.

Scrivono infatti che “una delle grandi lezioni degli ultimi cinque secoli in Europa e in America è la seguente: le crisi acute contribuiscono a rafforzare il potere dello Stato. È sempre stato così e non c’è motivo per cui debba essere diverso con la pandemia COVID-19”.

Aggiungono poi che “guardando al futuro, i governi molto probabilmente (ma con diversi gradi di intensità) decideranno che è nell’interesse della società riscrivere alcune delle regole del gioco e aumentare permanentemente il loro ruolo”.

L’idea di riscrivere le regole del gioco ricorda ancora una volta molto il linguaggio nazi-fascista, così come, naturalmente, l’idea di aumentare in modo permanente il ruolo dello Stato nell’aiutare il settore privato.

Vale infatti la pena di confrontare la posizione di Schwab su questo tema con quella del dittatore fascista italiano Benito Mussolini, che rispose alla crisi economica del 1931 istituendo un apposito organismo di emergenza, L’Istituto mobiliare italiano, per aiutare le imprese.

Egli dichiarò che questo fosse “uno strumento per spingere energicamente l’economia italiana verso la sua fase corporativa, cioè un sistema che fondamentalmente rispetta la proprietà e l’iniziativa privata, ma le lega strettamente allo Stato, che da solo può proteggerle, controllarle e nutrirle”.

 

I sospetti sulla natura nazi-fascista del grande reset di Schwab sono confermati, naturalmente, dalle misure da stato di polizia che sono state messe in atto in tutto il mondo per garantire il rispetto delle misure “d’emergenza” contro il Covid.

La forza bruta che non si nasconde mai sotto la superficie del sistema capitalista diventa sempre più visibile quando entra nella fase nazi-fascista e questo è molto evidente nel libro di Schwab e Malleret.

La parola “forza” viene utilizzata più volte nel contesto del Covid-19. A volte questo avviene in ambito commerciale, come nel caso delle affermazioni che “il COVID-19 ha forzato tutte le banche ad accelerare una trasformazione digitale che ora è destinata a permanere” o che “il micro reset forzerà ogni azienda in ogni settore a sperimentare nuovi modi di fare business, di lavorare e di operare”.

Ma a volte si applica direttamente agli esseri umani, o ai “consumatori”, come Schwab e i suoi simili preferiscono pensare a noi.

“Durante i lockdown, molti consumatori in precedenza riluttanti ad affidarsi troppo alle applicazioni e ai servizi digitali sono stati forzati a cambiare le loro abitudini quasi da un giorno all’altro:

guardare film online invece di andare al cinema, farsi consegnare i pasti invece di uscire al ristorante, parlare con gli amici a distanza invece di incontrarli in carne e ossa, parlare con i colleghi su uno schermo invece di chiacchierare alla macchina del caffè, fare esercizio online invece di andare in palestra, e così via…

“Molti dei comportamenti tecnologici che siamo stati forzati ad adottare durante il confinamento diventeranno più naturali grazie alla familiarità che avremo acquisito con essi. Con il persistere del distanziamento sociale e fisico, affidarsi maggiormente alle piattaforme digitali per comunicare, o lavorare, o chiedere consigli, o ordinare qualcosa, a poco a poco, guadagnerà terreno su abitudini precedentemente radicate”.

Un sistema nazi- fascista, non offre ai singoli individui la possibilità di scegliere se soddisfare o meno le sue richieste, come Schwab e Malleret hanno affermato chiaramente in merito al cosiddetto “contact-tracing” (rintracciamento dei contatti):

“nessuna applicazione contact-tracing funzionerà su base volontaria se le persone non sono disposte a fornire i propri dati personali all’ente governativo che controlla il sistema; se una persona rifiuta di scaricare l’applicazione (e quindi di nascondere informazioni su una possibile infezione, movimenti e contatti), tutti ne risentiranno negativamente”.

Questo, secondo loro, è un altro grande vantaggio della crisi da Covid rispetto a quella ambientale che avrebbe potuto essere usata per imporre la loro Nuova Normalità:

“mentre per una pandemia, la maggioranza dei cittadini tenderà a concordare con la necessità di imporre misure coercitive, essi resisteranno a politiche restrittive in caso di rischi ambientali dove le prove possono essere contestate”.

Queste “misure coercitive”, che ci si aspetta che tutti noi rispettiamo, comporteranno ovviamente livelli inimmaginabili di sorveglianza nazi-fascista delle nostre vite, in particolare nel nostro ruolo di schiavi salariati.

Scrivono Schwab e Malleret che “la direzione delle aziende sarà quella di una maggiore sorveglianza; nel bene e nel male, le aziende osserveranno e a volte registreranno ciò che fa la loro forza lavoro. Questa tendenza potrebbe assumere diverse forme, dalla misurazione della temperatura corporea con telecamere termiche al monitoraggio tramite una app di come i dipendenti si adegueranno al distanziamento sociale”.

È anche probabile che misure coercitive di un tipo o di un altro siano usate per costringere le persone a sottoporsi alle vaccinazioni anti-Covid attualmente in produzione.

Schwab è profondamente legata a quel mondo, essendo molto amico di Bill Gates ed essendo stato lodato dal pilastro di Big Pharma Henry McKinnell, presidente e CEO di Pfizer Inc, come “una persona veramente dedita ad una causa veramente nobile”.

Non sorprende quindi che egli insista, insieme a Malleret, sul fatto che “non si può prevedere un pieno ritorno alla “normalità” prima che sia disponibile un vaccino”.

E aggiunge: “Il prossimo ostacolo è la sfida politica di vaccinare un numero sufficiente di persone in tutto il mondo (siamo collettivamente forti quanto l’anello più debole) con un tasso di adesione abbastanza alto nonostante l’aumento degli no-vax”.

I no global come minaccia al progetto di Schwab.

I “no-vax” si aggiungono così alla lista delle minacce per il progetto di Schwab, insieme ai manifestanti anti-globalismo e agli anti-capitalisti, ai Gilet Gialli e a tutti coloro che sono impegnati in “conflitti di classe”, “resistenza sociale” e “contraccolpi politici”.

La maggioranza della popolazione mondiale è già stata esclusa dai processi decisionali a causa della mancanza di democrazia che Schwab vuole accentuare attraverso il suo dominio azionistico delle imprese, la sua “agile governance”, il suo “sistema di gestione totalitario dell’esistenza umana”.

Ma come pensa di affrontare lo “scenario cupo” di persone che si ribellano al suo grande reset “neo-normalista” e alla sua quarta rivoluzione industriale transumanista?

Quale grado di “forza” e di “misure coercitive” sarebbe disposto ad accettare per assicurare l’alba della sua nuova era tecnocratica?

La domanda è agghiacciante, ma dobbiamo anche tener presente l’esempio storico del regime del XX secolo in cui è nato Schwab.

La nuova normalità nazista di Hitler doveva durare mille anni, ma è crollata con 988 anni di anticipo rispetto all’obiettivo.

Solo perché Hitler disse, con tutta la fiducia datagli dal potere, che il suo Reich sarebbe durato un millennio, non significava che sarebbe andata così. Solo perché Klaus Schwab e Thierry Malleret e i loro amici dicono che stiamo entrando nella Quarta Rivoluzione Industriale e che il nostro mondo sarà cambiato per sempre, non significa che andrà così.

Non dobbiamo accettare la loro nuova normalità. Non dobbiamo cadere nella paura che vogliono infonderci. Non dobbiamo farci i loro vaccini. Non dobbiamo lasciarci impiantare i loro smartphone o lasciare che modifichino il nostro DNA. Non dobbiamo camminare, imbavagliati e sottomessi, dritti verso il loro inferno transumanista.

Possiamo denunciare le loro bugie! Smascherare la loro agenda! Rifiutare la loro narrazione! Rifiutare la loro ideologia tossica! Resistere al loronazi- fascismo!

Klaus Schwab non è un dio, ma un essere umano. Soltanto un uomo anziano. E quelli con cui lavora, l’élite capitalista globale -arcobaleno, sono pochi. I loro scopi non sono gli scopi della stragrande maggioranza dell’umanità. La loro visione transumanista è ripugnante per quasi tutti quelli al di fuori della loro piccola cerchia e non hanno il consenso per la dittatura tecnocratica che cercano di imporci.

Questo, dopo tutto, è il motivo per cui hanno dovuto usare la falsa bandiera della lotta contro un virus per cercare di realizzarla. Hanno capito che senza la giustificazione dell'”emergenza” non avremmo mai accettato il loro schema perverso.

(Schwab si deve infilare nel suo lurido culo l’emergenza e così evacuerà meglio! Ndr)

Hanno paura del nostro potenziale potere perché sanno che se ci alziamo in piedi, li sconfiggeremo. Possiamo far crollare il loro progetto prima ancora che sia iniziato.

Noi siamo il popolo, noi siamo il 99%, e insieme possiamo riprenderci la nostra libertà dalle fauci mortali della macchina nazi-fascista di Schwab!

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