GLOBALISTI ARCOBALENO.
GLOBALISTI ARCOBALENO.
La
grande narrazione: dall’ultimo libro di Klaus Schwab alla distruzione
e
rinascita del dissenso.
Visionetv.it
– Martina Giuntoli – (15 Ottobre 2022) – ci dice:
Durante
l’ultimo incontro ufficiale del World Economic Forum svoltosi a Dubai nel
novembre del 2021, Klaus Schwab ha presentato la sua ultima creazione, The great narrative (“La grande
narrazione”). Secondo le parole dello stesso presidente di Davos, si tratta di una
vera e propria una iniziativa collettiva.
Questa
permetterebbe alle menti più eccelse del nostro tempo di creare una narrativa,
che ha come compito principale quello di modellare visioni future del mondo,
più resilienti, inclusive e sostenibili per l’uomo e per l’ambiente.
Come
anticipato dallo stesso autore durante le sessioni del Forum, The great narrative si è anche poi tradotto di lì a poco
in un libro, uscito sugli scaffali delle librerie nel gennaio del 2022.
In una
retorica a metà strada tra uno spot per creme anti rughe e la tirannide più fredda
e spietata, mascherata da filantropia spicciola, Schwab parla del futuro. Un futuro che non è solo tempo
cronologico ma anche dissezione pragmatica della realtà.
Un futuro che prima si deve immaginare e
progettare, e soltanto in seguito realizzare, secondo schemi che non conoscono
né eccezioni né casualità, ma soltanto passaggi obbligati decisi dai cosiddetti migliori.
Il
mondo di adesso, espressione del globalismo elitario arcobaleno più estremo, secondo Schwab non può essere
governato da menti semplici, poiché la quarta rivoluzione industriale di cui è appunto figlio, quella del
transumanesimo e delle zero emissioni CO2 per capirci, impone uno sforzo che di concerto
sappia risanare e rifondare (leggi resettare) la società.
Ne
abbiamo parlato durante la puntata del nostro talk show Dietro il Sipario
intitolata “L’aumento
dei prezzi è funzionale al grande reset”. Nel video allegato a questo
articolo, uno spezzone dell’intervento dell’economista Ilaria Bifarini.
L’esperta
spiega come l’ultimo libro di Schwab completi in maniera perfetta la serie di
best seller del tedesco fondatore di Davos, e altro non sia che una sorta di
manuale pret-à-porter per la messa in atto dei contenuti del suo testo
precedente, intitolato Quarta rivoluzione industriale.
Tuttavia,
con uno sguardo che va ben oltre le tante belle parole, i globalisti arcobaleno
di Davos, che mai si lascerebbero sfuggire una crisi, stanno semplicemente
continuando a sfruttare il meccanismo pandemico, provando a legittimare la loro
agenda con una nuova narrativa, per far sì che quanto ormai già rodato crei in
automatico altre crisi da cavalcare e da gestire a loro piacimento.
Il
lettore attento riesce facilmente a immaginare cosa sia questa “grande narrazione”, cosa significhi davvero se si
traduce dall’ecologicamente corretto al mondo reale. Altro non è che una operazione di
editing, di scelta delle scene e di montaggio della realtà, di cui la società
attuale fa già ampiamente parte.
Ciò
significa azzerare ogni dissenso perché c’è a monte chi decide quali sono i
ciak da tenere e quali quelli da buttare: all’individuo non resta che
uniformarsi alla sceneggiatura.
Ciò
significa editare qualsiasi cosa, persino l’essere umano, che è stato violato
in qualcosa di intoccabile e sacro come il proprio Dna, attraverso le tecniche
a mRna dei nuovi strumenti farmaceutici.
Nemmeno
il dissenso fa parte delle scene ammesse nel film del mondo. Le voci di quelli
che si oppongono sono cancellate ovunque, spesso per una parola fuori posto,
con il misero intento di colpire anche solo un dissidente per educarne cento. I social, la carta stampata e soprattutto la tv mainstream
sono imbottiti della “grande narrazione”, la sostengono e ne divengono forse
gli strumenti più preziosi.
Compito
degli intellettuali contemporanei non è dunque uniformarsi a questo astuto
gioco di specchi, quanto piuttosto quello di smontarne le narrative, così come compito della tv del
dissenso è quello di mostrare quanto le scelte dell’editing globalista
arcobaleno precludano visioni alternative del mondo, spesso le uniche migliori per
l’essere umano.
Per
questo motivo è fondamentale che le voci di chi vuole raccontare una storia
diversa rimangano attive e che nonostante le difficoltà si continui senza sosta nella
destrutturazione del film e nella distruzione delle pellicole che le élite
globaliste vogliono proiettare nei cinema della nostra vita.
(MARTINA
GIUNTOLI)
L’Ue
ammette: “Quest’inverno
non
ci
sarà gas per tutti”. Vertice di Praga
concluso
con un nulla di fatto, attese
per
martedì 18 le nuove proposte della Commissione europea.
Visionetv.it-
Giulia Burgazzi – (14 Ottobre 2022) – ci dice:
L’Ue
l’ha finalmente ammesso: quest’inverno non ci sarà gas per tutti. Si sapeva da
un pezzo, anche se ufficialmente non lo riconosceva nessuno. Alla luce di
questa (tardiva) consapevolezza, ora si prospetta una nuova fase del parossismo
propositivo Ue per risolvere la crisi dell’energia. Di proposte, ne sono già
arrivate a valanghe: ma finora di fatti concreti se ne sono visti pochi.
Questa
nuova fase propositiva dovrebbe manifestarsi martedì 18 ottobre 2022.
Probabilmente comprenderà il razionamento obbligatorio del gas, forse anche
quello dell’elettricità.
Salvo
sorprese, si andrà così al di là delle riduzioni “volontarie” consigliate dalla
Ue che ogni Stato membro ha varato e che non sono sufficienti, come il piano
gas del ministro uscente Cingolani.
La
richiesta di nuove proposte da parte della Commissione europea per fronteggiare
la crisi dell’energia è l’unica cosa sulla quale sono riusciti a mettersi
d’accordo i ministri Ue dell’energia. Il loro vertice si è svolto a Praga e si
è concluso mercoledì 12 ottobre. Le proposte della Commissione europea sono
attese appunto per martedì 18.
Per
certi versi, il fatto che i ministri non abbiano deciso nulla è una buona
notizia. Finora
infatti le decisioni dei ministri hanno riguardato essenzialmente le crescenti
sanzioni alla Russia, che hanno fatto diventare l’energia scarsa e
insopportabilmente cara. Ma c’è anche la cattiva notizia, cioè il fatto che ora
altro bolle in pentola: e prevedibilmente arriverà a cottura.
Cosa
più o meno si voglia cucinare, traspare dalla trascrizione del discorso che la
commissaria Ue all’Energia, Kadir Simpson, ha tenuto durante il vertice di
Praga. La
commissaria afferma in sostanza che l’unico modo per far diminuire il prezzo
del gas è abbassare ancora la domanda. Le sue parole, in traduzione:
Qualsiasi
intervento sul mercato del gas richiede un’ulteriore riduzione della domanda.
Non è piacevole, ma si tratta di una necessità […]. Un’opzione è attivare l’allerta
Ue, che renderebbe obbligatorio l’obiettivo di riduzione della domanda del 15%.
Ma potrebbero essere necessario un approccio diverso o ulteriori misure […].
Qualsiasi misura che adottiamo per abbassare i prezzi non deve inviare segnali
sbagliati che fanno aumentare i consumi in tutta l’Ue, consumi che non saranno
disponibili a volumi sufficienti.
Praticamente,
al di là del linguaggio felpato e diplomatico, la commissaria Simpson ha
appunto riconosciuto che quest’inverno non ci sarà gas per tutti. Nel suo
discorso però non c’è solo il razionamento. Si parla di un nuovo e non meglio
identificato punto di riferimento per formare il prezzo del gas: diverso
comunque da quello – speculativo – del Ttf olandese. Forse sarà tratteggiato già nel
pacchetto di martedì 18, ma ci vorrà del tempo per metterlo a punto ed
approvarlo.
Dunque
è lecito attendersi che martedì 18 la Commissione Europea proponga anche un
intervento provvisorio per cercare di abbassare il prezzo del gas. Kadir
Simpson infatti ha detto che è necessario fare subito qualcosa. Nessun indizio,
al momento, sulla natura di questo qualcosa.
Sempre
col tempo e sempre in base alle parole della commissaria, gli Stati Ue potrebbero
mettere a punto un meccanismo per fare in comune gli acquisti di gas. La sua
struttura dovrebbe essere contenuta nel pacchetto sull’energia di martedì 18.
Attenzione,
si può aggiungere, perché gli acquisti comuni di gas costituiscono un’arma a
doppio taglio. Vero che quando si acquista un bene in grande quantità è spesso possibile
ottenere lo sconto. Ma vero anche che, se gli acquisti comuni di gas saranno
obbligatori (ora non è chiaro), gli Stati e le società che operano nel settore
dell’energia si troveranno come ingessati e privi di qualsiasi facoltà
discrezionale.
GIULIA
BURGAZZI
L’Homo
Sapiens…
Una
Vera Calamità!
Conoscenzealconfine.it
– (16 Ottobre 2022) - Giampaolo Guzzoni – ci dice:
È
indubbio che l’evoluzione della specie umana, in termini sia sociali che
economici, sia stata considerevole, soprattutto nell’ultimo secolo, sia pure in
parti del pianeta Terra, direi, molto circoscritte.
Infatti,
temo che se andassimo a considerare l’interezza del pianeta non si potrà certo
affermare che la sventurata Africa sia paragonabile alla vecchia Europa.
Perdonate
la banalità del confronto, ma questo esempio è strumentale al primo concetto
sopra espresso, perché la banalità sta nel fatto, drammaticamente, che il
percorso dell’uomo e della sua umanizzazione è ben lungi dall’essere compiuto,
in generale su tutto il pianeta, ma in special modo in alcune parti di esso,
nelle quali direi che assolutamente non sia neppure iniziato quel percorso.
Perché,
dunque, non possiamo esimerci dal definire l’uomo moderno, ancora oggi, una
bestia?
Molto
semplicemente perché lo è, ma se in alcune parti del mondo manca la necessaria
base culturale per considerare il valore della vita di un uomo, di ogni singolo
essere vivente inteso come umanità, come essenziale in quanto valore, quindi
apparentemente giustificabile nell’atteggiamento, non è altrettanto vero nella
cosiddetta civiltà presuntamente democratica occidentale.
A
parte che qualcuno dovrebbe spiegarmi se sia civiltà democratica la Russia di
Putin o la Turchia di Erdogan, o come è possibile che nella terra della
presunta libertà statunitense, ad esempio, si perpetrino veri e propri
acclarati crimini efferati, di qualsiasi natura, contro le fasce più deboli, e
mi riferisco a uccisioni proditorie di persone di pelle nera o anche
semplicemente alla pena di morte, ancora largamente applicata in quel paese?
Come è
possibile che nella nostra occidentalizzata Europa e, guarda il caso, nel
nostro Bel Paese, vi siano quotidiani casi di violenze su donne, con stupri e
femminicidi altrettanto efferati quanto quelli citati in precedenza in terra
americana?
È
tutto possibile, perché siamo e restiamo fondamentalmente delle bestie, alla
faccia di presunti progressi della scienza, dell’uomo sulla luna (ha, ha, ha...) e del fresco atterraggio su Marte.
Ma,
soprattutto, è possibile poiché l’uomo, come genere, è permeato da un male
oscuro che lo riporta a fasi da uomo di Neanderthal, direi appena “Erectus”,
dato che occorre una mente malata e deviata per pensare e fare violenza su una
donna o su un bambino o su, banalmente, un proprio simile.
Siamo
ancora oggi prostrati di fronte al mito della guerra, al “demoniaco” fascino
della divisa militare, alle armi ed al loro potere intrinseco di poter togliere
la vita, di uccidere il “nemico”.
Siamo
ancora oggi dediti, furbescamente, al sacro furore della caccia; uccidere fa
parte della nostra natura, non vi è nulla da fare e, temo, non vinceremo mai
questa battaglia, perché il suo prodromo e il suo malsano DNA sono insiti nella
psiche più profonda di uomini che usano il pene come cervello, sia quando
stuprano, sia quando uccidono altri uomini, donne, bambini e, aggiungo, animali
indifesi.Non
riuscirò mai a capire, ma forse è un mio limite, da pacifista convinto, come si
possa desiderare di possedere un’arma e, soprattutto, di poterla usare nei
confronti di chicchessia, uomo o animale.
A
coloro i quali contesteranno che esistono paesi belligeranti che sono
perennemente in guerra e dai quali bisogna difendersi, o magari attaccare con
“guerre preventive”, per non chiamarle, furbescamente, “operazioni di pace”, basterebbe ricordare che chi è
senza peccato scagli la prima pietra, ovverossia pensiamo e riflettiamo sul passato colonialista
di praticamente tutti i paesi occidentalizzati, per non parlare della nostra
beneamata terra statunitense, che in fatto di guerre…!
Oppure
ricordare molto semplicemente che le armi non si fabbricano da sole, e che vi
sono interi settori dell’industria, dove per altro lavorano molti coevi che
necessitano di un impiego per sopravvivere, dediti alla fabbricazione delle
stesse, e guai a toccarle, queste realtà “di sana imprenditorialità”,
legittimata, ovviamente, da lobbies di potere inscalfibili e protette.
A chi,
invece, contesterà il fatto che l’uomo è nato cacciatore, e che doveva uccidere
per cibarsi, dico che non è necessario, oggi, uccidere per puro divertimento, e
non parlatemi di caccia come uno sport, perché allora anch’io mi tramuto in
bestia e comincio a sbroccare.
Sport
è sparare al piattello, in un poligono di tiro… non ad un fringuello o ad un
fagiano, beandosi, non tanto delle successive libagioni susseguenti
all’uccisione della bestiola, ma della propria infame pochezza culturale,
tipica del machista più retrivo, che fa del membro d’uomo motivo di
superiorità!
Siamo
consapevoli che esistono specie animali che vanno controllate artificiosamente
per impedirne l’eccessiva proliferazione (vedasi i cinghiali vicino ai centri
abitati), tuttavia, ricordiamoci che ogni deviazione dall’evento naturale
animale o vegetale è stato provocato, e chi lo ha provocato si chiama
“Sapiens”, alla faccia dell’ironia, una vera calamità per il pianeta che lo
ospita.
L’uomo,
ha sottolineato qualcuno, è l’unica specie che si ammazza per odio o per futili
motivi, ed è anche colui il quale insiste a compiere violenza e distruzione
sistematica, e pure vigliacca, al pianeta stesso che lo ospita.
Va da
sé ricordare i continui tentativi di alienazione dell’oggettiva situazione di
precario equilibrio della natura, causato dall’uomo stesso e dalle sue
politiche di intensività del tutto, come la cementificazione, l’allevamento, la
deforestazione, l’emissione di tutto quanto sia venefico nell’aria, in nome e
per conto del capitalismo globalizzato arcobaleno difeso ad oltranza da
personaggi che hanno assunto poteri enormi.
E
ancora… continue faide (?) di origine religiosa, colonialismo, Lager, Gulag,
Desaparecidos, pulizie etniche, genocidi di massa (Armenia, Pellerossa,
Sudafrica, Bosnia Erzegovina, Palestina…) sono ancora oggi presenti in gran
parte del mondo, e fomentati bellamente sempre per interessi “trasversali”,
attinenti alle armi (industria fiorentissima) o al petrolio e, quindi, al
potere, spesso in mano all’uomo bianco, e quando non è un bianco è un nero
corrotto e comprato dai bianchi, per tenere a freno e nel terrore potenziali
idee rivoluzionarie alla Thomas Sankara, nell’Africa più profonda.
L’Africa
è l’esempio più lampante della sconfitta del “Sapiens bianco machista e
occidentalizzato”, un continente tenuto nell’indigenza, nel precario, nella
confusione, nella mancanza di civiltà, un catino da utilizzare per i più
sordidi interessi occidentali.
Il
“Sapiens…” una vera catastrofe!
(Giampaolo
Guzzoni - giornalismolibero.com/lhomo-sapiens-una-vera-calamita)
IL
DISCORSO DI PUTIN:
LA
FINE DEL NUOVO ORDINE
MONDIALE. L’ALBA DEL MONDO MULTIPOLARE
Lacrunadellago.net
- Cesare Sacchetti – (Ott 5, 2022) -ci dice:
Il
discorso di Putin che si è tenuto nel Cremlino e in particolare nella splendida
cornice del salone di San Giorgio è uno di quelli che resterà nei libri di
storia.
Esisterà
un prima e un dopo le parole di Putin pronunciate lo scorso 30 settembre 2022
per decretare l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina Orientale nel
territorio della Federazione Russa.
Dallo
scorso 30 settembre 2022, la Russia comprende la Repubblica del Donetsk, la
Repubblica del Lugansk, la regione di Kherson e quella di Zaporozhye.
Sono
stati i popoli di tali repubbliche autonome e regioni a pronunciarsi attraverso
i referendum, e la loro voce è stata pressoché inequivocabile. Attraverso i
referendum che si sono svolti in tali territori, non meno del 96% degli
elettori chiamati a pronunciarsi se entrare o meno nella Federazione Russa, si
sono espressi favorevolmente.
È la
fine di un incubo per tali popolazioni che è durato almeno otto anni, da quanto
nel 2014 ci fu il famigerato e infausto golpe dell’Euromaidan.
L’Ucraina
fino ad allora aveva un presidente, Viktor Yanukovich, che stava mantenendo
rapporti di amicizia e collaborazione con Mosca. Ciò era inaccettabile per
determinati poteri. Era inaccettabile per il potere dello stato profondo di
Washington che non poteva tollerare che l’Ucraina, uno Stato che è storicamente
legato alla Russia, si avvicinasse ad una nazione sorella.
La
macchina della sovversione internazionale allora si mise in moto ed è la stessa
macchina che si è vista tristemente all’opera in molte altre svariate
occasioni. Dal secondo dopoguerra in poi, Washington è stata il centro privilegiato
della rivoluzione nel mondo. Ovunque nel mondo salissero al potere governanti decisi a
difendere la sovranità e l’indipendenza della propria patria, ecco che
interveniva il pugno di ferro del governo occulto che ha manovrato gli Stati
Uniti per decenni.
Fu
così per il presidente iraniano Mossadeq rovesciato nel 1953 in un golpe della
CIA per via della sua decisione di nazionalizzare le risorse petrolifere
dell’Iran che fino a quel momento erano in mano al famigerato cartello
petrolifero delle sette sorelle.
Fu
così per il presidente cileno Salvador Allende che nel 1973 aveva a sua volta
deciso di nazionalizzare la produzione di rame andando così a minare gli
interessi delle corporation angloamericane, e fu così per Aldo Moro, minacciato
di morte dall’eminenza grigia del Bilderberg, Henry Kissinger, e ucciso nel
1978 per via del suo disegno di trascinare l’Italia fuori dalla sfera
atlantista e restituirle così la piena sovranità che questa nazione non
possiede dalla seconda guerra mondiale.
Il
crollo del Muro di Berlino ha accentuato il dominio dell’impero di Washington
nel mondo.
Venute meno le vestigia dell’Unione Sovietica rimossa attraverso una operazione
di demolizione controllata con la presidenza del recentemente scomparso Mikhail
Gorbachev, nulla restava che poteva contrastare il dominio americano.
Fu
proprio per tale ragione che il presidente russo era stimatissimo nei circoli
del potere internazionale e soprattutto dal gruppo Bilderberg, la società
segreta che ogni anno si riunisce per dettare le linee guida da seguire
nell’applicazione della sua agenda.
La
“visione” anticristiana del “globalismo arcobaleno”.
E
l’agenda di questi poteri transnazionali è quella di disfarsi delle nazioni e
delle loro identità religiose, culturali, morali ed economiche per sostituirle
con il dominio dispotico e assoluto di un’unica entità globale.
Una
entità che racchiude in sé un potere immenso e sconfinato e che rappresenta il
più feroce totalitarismo che si sia mai affacciato sul pianeta. Fu un gruppo di intellettuali
liberali e socialisti, tra i quali Thomas Mann e Gaetano Salvemini, a
teorizzare già negli anni 30 tale idea in un manifesto chiamato “La città
dell’uomo” che avrebbe dovuto essere il futuro delle relazioni internazionali.
Non un
futuro fatto di indipendenza delle nazioni, ma uno nel quale assurgeva sulla
scena mondiale un superstato globale che avrebbe dovuto dominare ogni aspetto
religioso, sociale ed economico di tutte le differenti culture e società
presenti sulla Terra.
La
città dell’uomo è l’antitesi della società di Dio di cui parlava Sant’Agostino. La prima è fondata sul sistema
liberal-democratico e sul trionfo del relativismo dei valori coniato dal
pensiero illuminista. La seconda è fondata sulle eterne ed immutabili verità dei
valori cristiani che non sono cangianti, ma restano scolpite nel tempo.
Verità
assolute che non sono soggette al capriccio della democrazia e agli umori del
popolo che nella democrazia non è altro che lo strumento per informare il
dominio del capitale sulla società e sullo Stato. La democrazia è così benvoluta dal
pensiero liberale proprio perché essa è semplicemente perfetta per assicurare
il trionfo incontrastato delle oligarchie finanziarie che in tale sistema
risultano essere padrone assolute della politica e dei partiti.
Più
semplicemente, in democrazia comanda il dio denaro. Ed è tale sistema che i pensatori del
manifesto in questione volevano per il mondo intero e agli Stati Uniti e alla
sua superpotenza era assegnato il compito di trascinare le altre nazioni,
volenti o nolenti, verso questo nuovo autoritarismo globale. Un autoritarismo nel quale non è
ammessa altra politica che non sia quella dei veri governanti che hanno avuto
il controllo di questa nazione per decenni.
Sono i
poteri della Commissione Trilaterale, del già citato Gruppo Bilderberg e del “Bohemian
Grove” dove ogni anno si mettono in scena dei riti che rimandano ai sacrifici
perpetrati nell’antichità in omaggio al dio Moloch, l’antica divinità pagana
alla quale venivano sacrificati gli infanti.
Vladimir
Putin conosce perfettamente la natura del pensiero che domina l’Occidente e non
ha esitato nel suo discorso a denunciare come la religione di tale sfera di
potere non sia null’altro che il satanismo arcobaleno.
È
satanismo strappare un bambino ai propri genitori naturali per affidarlo ad una
coppia di omosessuali così come è satanismo privare il padre e la madre delle
proprie identità genitoriali riducendoli agli amorfi nomi di “genitore 1” e
“genitore 2”.
È
satanismo consentire di far entrare nelle scuole la propaganda omosessuale e
avviare un processo di indottrinamento attraverso libercoli pornografici tali
da far credere al bambino o alla bambina che la propria identità sessuale sia
opzionale, che si possa cambiare indistintamente e che non ci sia nulla di male
in tutto ciò.
Vladimir
Putin nel suo discorso non ha solo denunciato la deriva morale che affligge
l’Occidente ma ha anche indirettamente messo in rilievo come alla fine il
liberalismo non sia null’altro che una delle numerose maschere del satanismo.
Attraverso
la ipocrita idea che lo Stato debba essere “neutrale” nella scelta dei suoi
valori di riferimento e che la religione debba essere lasciata fuori dalla
porta si è già presa una decisione che inevitabilmente non appartiene al campo
della neutralità. Si è scelto arbitrariamente di cancellare secoli e secoli di
storia nei quali si sono perpetrati e difesi i valori della cristianità e della
filosofia greco-romana che sono il sostrato pulsante dell’identità dell’Italia
e dell’Europa, la quale ha un debito culturale enorme nei confronti della
prima.
Ciò
che vediamo ora non è null’altro che la naturale evoluzione, o meglio
involuzione, verso la quale il liberalismo ha condotto l’Occidente. Un deserto
di valori che si esterna nel caos permanente. Nulla è buono e cattivo di per
sé. Tutto è buono e cattivo a seconda della forza del potere che si impone al
momento. La
farsa pandemica è stata la massima perversa affermazione dell’assolutismo
liberale.
Dal
crollo dell’URSS alla rinascita della Russia.
La
Russia ha scelto un’altra via. La Russia ha scelto la via della preservazione
della sua identità storica e culturale che è quella cristiana come lo era per
l’Europa Occidentale. La Russia ancora appartiene culturalmente a quella
originaria Europa, ma giustamente non può e non vuole riconoscersi in una Europa
liberale fondata sul ripudio e la rimozione di una religione che ha modellato
la storia del vecchio continente per 2000 anni.
L’UE
non è l’Europa. È la sua più profonda negazione. L’UE liberale è intrisa di odio
verso il cristianesimo sia nella scrittura dei suoi trattati di carattere
economicista sia nella sua dottrina politica fatta di venerazione al tempio dei
diritti umani.
La
Russia prima ancora che scegliere una diversa strada geopolitica ha scelto un
diverso percorso morale che oggi l’ha portata ad essere il baluardo della
tradizione cristiana nel mondo. Ed è stato il percorso morale che ha guidato il suo cammino
politico ed economico e non viceversa. Una volta che dell’URSS comunista
erano rimaste solamente le macerie, la Russia ha dovuto iniziare il suo cammino
di rinascita che all’inizio è stato fatto di passione e sofferenza.
I
russi ricordano gli anni 90 come la stagione del dolore. Si chiudeva nella violenza generale
l’epoca dell’Unione Sovietica che fu costruita per volontà della finanza
internazionale che finanziò la rivoluzione bolscevica dei russi di origine
ebraica Lenin e Trotskij. Il comunismo fu finanziato dal neoliberismo a dimostrazione
che non esiste nessuna reale contrapposizione tra queste due ideologie poiché
esse tendono agli stessi obbiettivi.
Entrambe
mirano alla cancellazione del nemico comune della cristianità ed entrambe
mirano a rimuovere lo Stato per lasciare il posto al dominio assoluto della
finanza.
Il comunismo in questo mostra persino più
ipocrisia del neoliberismo perché esso nei suoi testi fondamentali parla di
trasferire il potere al proletariato quando questo non solo non ha mai nemmeno
mai sfiorato il governo, ma è stato duramente represso dalla borghesia comunista
salita poi al potere.
Le
stragi dei bolscevichi negli anni 20 e 30 contro i contadini russi sono lì a
pronunciare la verità sulla natura del comunismo.
Il
mondo quindi ha vissuto un bipolarismo controllato per molti decenni nei quali
c’è stato un controllato gioco delle parti. La logica delle superpotenze che si
fronteggiavano era la logica di un conflitto controllato che non sarebbe mai
sboccato in un vero e proprio scontro aperto tra i due blocchi. Negli anni 80,
si decise di dire basta all’URSS. Mikhail Gorbachev fu l’uomo eletto dall’Occidente per
giungere all’obbiettivo di demolire tale blocco e lasciare posto sulla scena
internazionale solamente allo stato profondo di Washington.
Il
caos che investì la Russia negli anni 90 fu voluto per costruire uno stato
vassallo, privo della sua sovranità e ridotto ad entità coloniale al servizio
degli angloamericani.
Erano
gli anni del presidente fantoccio Boris Eltsin sbeffeggiato dalla controparte
americana ed erano gli anni nei quali l’economista inviato dagli ambienti
finanziari di New York, Jeffrey Sachs, spolpava la Russia di tutte le sue
industrie pubbliche portandole in dote alla finanza anglo-sionista che metteva
in atto gli stessi saccheggi in Italia nel 1992.
A
Mosca, regnava lo stato profondo di Washington e il Paese era investito dalla
fame e dalla miseria.
Ciò
duro fino a quando non salì al potere Vladimir Putin che nel 2000 iniziò la
bonifica dello Stato russo dalla presenza delle agenzie di intelligence
americane.
Fu lo stesso presidente russo a raccontare di come
negli uffici del Cremlino ci fosse la bandiera americana piuttosto che quella
russa e fu sempre lui a raccontare di come fu necessario ripulire lo Stato
dalle quinte colonne straniere che lo avevano infiltrato.
A poco
a poco, la Russia si è rimessa in piedi ed è tornata ad essere il gigante
geopolitico che era un tempo. Adesso la mappa delle relazioni internazionali è
completamente cambiata e la rinascita della Russia è stata ciò che ha impedito
a Washington di prendere definitivamente il sopravvento negli ultimi dieci anni.
Se non
fosse stato per la Russia, a quest’ora la Siria probabilmente non esisterebbe
nemmeno più. Sarebbe stata smembrata e annessa da Israele e altri Stati limitrofi
poiché è la lobby sionista che ha scatenato l’ISIS contro Assad e portato morte
e distruzione nel Paese.
E se
non fosse stato per la Russia di Putin, il governo mondiale arcobaleno che
anelano i signori del globalismo oggi sarebbe una realtà. La Russia negli
ultimi anni ha rappresentato una sorta di katehon, un formidabile bastione di
contenimento contro l’avanzata della Bestia del cosiddetto Nuovo Ordine
Mondiale.
La
presidenza Trump: l’atlantismo in crisi profonda.
Certamente
a dare l’accelerazione definitiva al crollo dell’Occidente è stato un elemento
nuovo e non previsto dalle élite liberali. La Casa Bianca ha smesso di essere il
centro della sovversione internazionale.
La
presidenza di Donald Trump nel 2016 ha allontanato irrimediabilmente gli Stati
Uniti dalla tradizionale sfera dei poteri atlantisti e sionisti. Gli Stati Uniti hanno smesso di
portare sulle proprie spalle il fardello della missione che le massonerie gli
avevano affidato. La stagione di America First ha messo fine alle guerre scatenate in giro
per il mondo da Washington. La presidenza Biden non è servita a ricomporre la
frattura del 2016 per una serie di ragioni che fanno pensare che tale
amministrazione non sia realmente controllata dallo stato profondo.
La
rotta tracciata da Trump sul disimpegno militare americano non è stata
invertita da Biden che piuttosto ha proseguito a ritirare le truppe USA nel
mondo, come accaduto in Afghanistan.
Si è
di conseguenza creata una naturale intesa tra Trump e Putin volta a mettere
fine la stagione del dominio del globalismo arcobaleno. L’atlantismo, il
braccio armato di tale ideologia, è ormai agonizzante. Attraverso il
riconoscimento delle repubbliche dell’Ucraina Orientale la NATO ha dimostrato
di essere completamente impotente di fronte alla Russia senza l’indispensabile
appoggio, venuto meno, degli Stati Uniti.
La
NATO si rivela quindi essere una tigre di carta che non ha saputo impedire
l’operazione militare della Russia in Ucraina. La stagione del mondo unipolare
nella quale alcuni guerrafondai che occupavano la Casa Bianca decidevano il
destino del mondo è finita.
È
iniziata quella del mondo multipolare che è stata possibile solamente sia
grazie alla Russia che già negli anni passati lavorava per costruire un blocco
che fosse fondato sul rispetto delle nazioni sovrane e sia grazie al disimpegno
degli Stati Uniti che non sono più interessati a salvaguardare un ordine ormai
decaduto, che appartiene al passato.
È
questo quindi il periodo nel quale si assisterà ad una fase nuova nella storia
del mondo. Non sarà più l’Occidente il padrone assoluto dei destini del mondo.
Non ci sarà più in grado l’establishment atlantico di piegare la volontà di chi
non si allinea agli ordini della NATO.
Ci sarà una redistribuzione del potere.
Il vecchio (dis) ordine degli anni 90 nei
quali Washington regnava incontrastata non esiste più perché quel (dis) ordine
è oggi orfano della stessa Washington. il globalismo ha perduto il suo gendarme.
A provare
a salvaguardare uno status quo decaduto è ormai solo la debole UE che sta
vivendo una crisi sempre più profonda dalla quale probabilmente non uscirà
viva.
L’avvento
del mondo multipolare.
Il XXI
secolo che avrebbe dovuto prefigurarsi nella idea del liberalismo come il
secolo nel quale si sarebbe affermata la globalizzazione arcobaleno, si sta
affermando come il suo contrario. Non saranno più i centri di potere
sovranazionali a determinare le politiche degli Stati, ma saranno gli Stati
stessi a riappropriarsi degli strumenti che tali organizzazioni gli hanno
sottratto.
E il
2022 è stato l’anno nel quale si è assistito ad una accelerazione
impressionante che sta abbattendo tutti i pilastri fondanti del precedente
(dis) ordine. Le monete della finanza internazionale stanno perdendo la loro
rilevanza. Il dollaro e l’euro vengono utilizzati sempre di meno negli scambi
internazionali. Il rublo è stato la valuta che ha fatto registrare le
performance migliori. Per la prima volta, sempre più Paesi, persino quelli un
tempo vicini a Washington e Tel Aviv, come l’Arabia Saudita, prendono in
considerazione l’idea di utilizzare le monete nazionali negli scambi
commerciali.
E se a
Riyad prendono in esame uno scenario simile, a New York e Londra staranno
probabilmente tremando perché il dollaro è valuta di riserva globale solamente
grazie all’accordo tra Stati Uniti ed Arabia Saudita che stabilì negli anni 70
che il petrolio si sarebbe dovuto pagare con la valuta statunitense.
Nel
giro di pochi mesi, sta crollando un mondo che durava da decenni. Crolla a poco
a poco tutta la divisione del potere fatta dopo la seconda guerra mondiale a
Yalta e successivamente dopo il crollo del muro di Berlino.
Stanno
sorgendo i BRICS assieme ad altri attori internazionali a rappresentare
un’alleanza geopolitica fondata sulla preminenza degli Stati nazionali.
È una fase che potremmo definire senza
precedenti e che ha lasciato sconvolti persino coloro che da anni servono
fedelmente la ideologia del globalismo arcobaleno.
È il
caso di Massimo D’Alema che qualche tempo fa al festival dell’economia di
Trento dichiarò esplicitamente che “avevamo tutti pensato che con la fine della guerra
fredda e il crollo del comunismo ci sarebbe stato un nuovo ordine mondiale
basato sulla globalizzazione capitalistica e sull’espansione del suo modello
culturale e politico.”
Da
notare come D’Alema abbia esplicitamente utilizzato le parole “Nuovo Ordine
Mondiale” per descrivere quale sia il fine ultimo di questa élite globale da
lui fedelmente servita nel corso della sua (troppo) lunga carriera politica.
Si è
passati in pochi anni dalla prospettiva di un mondo autoritario globale
integrato ad uno nel quale il potere è frammentato e condiviso da nazioni che
piuttosto che dichiararsi guerra a vicenda si mettono al tavolo per trovare via
che garantiscano la reciproca pace e prosperità.
È
appunto il mondo multipolare e dopo il 30 settembre, l’umanità tutta ha messo
piede in una fase nuova della sua storia.
È il
tempo della fine della globalizzazione arcobaleno,
È il
tempo della fine del liberalismo.
IL
MANIFESTO E L’ALLARME
SUL
NOSTRO CANALE TELEGRAM:
LE
PAURE DEL MAINSTREAM.
Lacrunadellago.net-
Cesare Sacchetti – (Ott 6, 2022) – ci dice:
Era un
po’ che i media mainstream non si interessavano di questo blog o del nostro
canale Telegram che ormai sembra avere tolto il sonno a molti, specialmente
dalle parti dello stato profondo “italiano”.
Stavolta
a fare una profilazione della rete di profili considerati vicini a Qanon in
Italia è il Manifesto, il quotidiano comunista fondato da Lucio Magri e Rossana
Rossanda.
C’è da
specificare innanzitutto che Qanon non esiste.
Si
tratta di una invenzione mediatica che deriva da alcuni media del mainstream
americano che è stata pedissequamente ripresa da quest’altra sponda
dell’atlantico dai media italiani ed europei.
Esiste
Q, una sua bacheca e i suoi cosiddetti “drop” che sono delle comunicazioni, a
volte in codice, che vengono fatte per dare indizi e tracce a coloro che seguono
il movimento di Donald Trump.
L’ipotesi
più probabile è che dietro Q ci sia in realtà un gruppo di intelligence
militare americano che affianca il presidente da diversi anni. Lo stesso Trump
ha rimandato innumerevoli volte a Q e ai suoi scritti attraverso condivisioni
sui social. Non è un’entità astratta.
È un
fenomeno reale senza il quale è impossibile comprendere quale sia la missione
di Trump da quando ha iniziato la sua avventura in politica, e da quando è nato
il movimento fondato sul principio di mettere al primo posto l’America e i suoi
interessi nazionali, e non quelli di oscuri gruppi di potere che da troppo
tempo infestano Washington e le sue istituzioni.
La
ragione per la quale i media americani ed italiani definiscono Qanon come Q è
probabilmente quella del depistaggio. Attraverso questo falso nome vengono
attribuiti fatti e dichiarazioni a Q che in realtà hanno fatto Qanon e i canali
che falsamente dichiarano di essere “rappresentanti” di Q quando in realtà sono
spesso i primi disinformatori.
È la
palude della falsa controinformazione della quale si è parlato in numerose
occasioni e che abbiamo denunciato numerose volte perché molto spesso tali
infiltrati producono danni persino più rilevanti dei media mainstream.
L’ultimo
esempio, tra i numerosissimi che si possono fare a questo proposito, è quello
di aver fatto credere che Draghi prima di lasciare palazzo Chigi abbia in
qualche modo preparato il terreno ad un ritorno alla sovranità monetaria
attraverso una fantomatica riforma della Banca d’Italia che in realtà non c’è
mai stata.
Costoro
hanno fatto credere che nel nuovo statuto di Bankitalia si fosse messo fine al
famigerato divorzio del 1981 attuato dall’allora ministro del Tesoro, Beniamino
Andreatta, e l’ex governatore di palazzo Koch, Carlo Azeglio Ciampi.
Nulla
di tutto questo è ovviamente accaduto ma il mestiere del disinformatore è
appunto quello di confondere le acque e depistare per conto degli apparati
dello stato profondo che lo governano e lo retribuiscono per tale opera di
mistificazione.
Lo
scopo è far apparire come amici i nemici e viceversa in modo da indurre il
lettore nella confusione più totale e farlo precipitare paradossalmente a
tessere le lodi di coloro che invece egli vorrebbe denunciare e combattere.
Questa
parentesi sulla falsa controinformazione era essenziale perché i media
mainstream quando fanno le loro profilazioni mischiano giornalisti che non
rispondono al sistema ad altri elementi manovrati dal sistema stesso, per far
credere che i primi abbiano qualcosa a che spartire con i secondi.
Per
poter distinguere i primi dai secondi, il lettore deve fare un esercizio di
verifica dei contenuti messi in circolo da entrambi e metterli a confronto in
modo da avere un’idea chiara di chi ha costantemente fabbricato montature quali
quella di
Draghi “sovranista” oppure quella del certificato verde che sarebbe stato
prorogato di 3 anni a marzo scorso.
Oppure
ancora quella del fantomatico arrivo dei Black block a Trieste che sarebbero
dovuti giungere lo scorso ottobre nel capoluogo friulano per sabotare le
proteste dei portuali che stavano facendo davvero paura al governo Draghi.
E
ancora si potrebbe citare a questo riguardo il caso Biscardi dello scorso
gennaio, quando purtroppo in completa solitudine denunciammo come si stesse
facendo passare un noto truffatore per un ricercatore scientifico e di come si
stesse cercando di far credere che tale personaggio fosse stato ucciso per via
delle sue “ricerche” sui sieri.
In
quel caso, l’apparato della disinformazione aveva ricevuto il compito di far
credere, falsamente, che chi parlava dei danni dei sieri veniva eliminato
perché scomodo.
È
l’”arte” della psy-op, ovvero quel depistaggio messo su da ambienti dei servizi
che in questo caso hanno deciso di scatenare una guerra psicologica permanente
nei confronti dei dissidenti per farli vivere in uno stato di paura perenne e
indurli in qualche modo alla rassegnazione.
Attraverso
tale tecnica si raffigura il potere come più forte di quello che in realtà è, e
lo si protegge avvolgendolo di una artificiale aura di “invincibilità”.
A
questo punto, c’è abbastanza carne al fuoco da far comprendere al lettore quali
sono le tecniche dei depistatori e come riconoscerli.
Tornando
all’articolo del Manifesto, stavolta non si ravvedono i toni irrisori e
diffamatori dei precedenti articoli del mainstream contro di noi. Non c’è la
falsificazione vista con Newsguard, una società vicina ad ambienti sorosiani, e
non c’è il fango e le menzogne, scritte anche in maniera ridicola, della
versione italiana della rivista americana Rolling Stones, già nota per aver
fabbricato clamorose storie false su ospedali congestionati da pazienti che
avevano preso la ivermectina, il farmaco usato da Trump per trattare
l’influenza COVID.
Stavolta
si ravvedono dei toni più asciutti e formali di quelli di chi vuole fare una
fredda analisi statistica di quei canali che sono diventati una vera e propria
spina nel fianco nei confronti di determinati poteri.
E
stando a quello che scrive il quotidiano comunista sul podio ci sarebbe proprio
il nostro canale.
Questo
è il ritratto che il Manifesto fa di noi.
“Unico
fra tutti coloro che hanno sposato le teorie di Q a produrre quasi
esclusivamente contenuti originali (nell’ordine di decine di post al giorno
sugli argomenti più svariati, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, oltre ad
avere un suo blog anche in inglese), dai dati emerge che il suo canale Telegram
(63.505 iscritti) è il più ripostato in tutto il network italiano – non solo
quello Q – preso in analisi dal database, con un margine quasi di 2 a 1.
Due
post di Sacchetti in cui insinuava che Mario Draghi fosse gravemente malato –
che gli sono valsi lo scorso gennaio una perquisizione da parte della Digos –
hanno rispettivamente 99.000 e più di 43.000 visualizzazioni – e hanno circolato
non solo su canali Q come Qanon Italia e Italian Patriots ma anche su gruppi
come Esercenti no green Pass e Italia Costituzionale no green pass.”
Ci
sembra di capire quindi che il Manifesto ha commissionato o si è servito di
un’analisi statistica per giungere alla conclusione che il nostro canale
Telegram è in effetti il più popolare tra quelli presenti su questa piattaforma
in Italia.
L’articolo
del quotidiano poi prosegue scrivendo che “Sacchetti è in top ten fra i più
ripostati sia che si parli di Qanon, di elezioni o di Covid, mentre è in
assoluto il più condiviso in materia di guerra in Ucraina.”
Ciò
suggerisce che il mainstream che ha in un primo momento adottato le tecniche
del discredito per provare, invano, a squalificarci sia seriamente preoccupato.
Il
blog e il canale sono evidentemente diventati un punto di riferimento per molte
persone che da tempo hanno smesso di leggere i media mainstream e che diffidano
al tempo stesso della palude della falsa controinformazione che infesta lo
stesso Telegram.
Ciò
pare che susciti irritazione perché quando non si è padroni del flusso delle
notizie non si riesce a controllare le menti come vorrebbe il potere. E quando
questa condizione si verifica, ciò vuol dire che quel potere ha perduto la leva
del suo controllo. Quella che le consentiva di far dire e pensare ciò che si
vuole anche ai dissidenti attraverso la citata rete di depistatori e
disinformatori.
Sono
gli uomini del mainstream stesso ad ammettere, a malincuore, che ciò che
facciamo ha caratteristiche diverse dagli altri e, che piaccia o meno, sono
queste caratteristiche – a mio modesto parere di serietà e metodo nelle analisi
delle notizie – che, a quanto pare, preoccupano e non poco i proprietari dei
mezzi di comunicazione.
Ciò
porta alla conclusione precedente, ovvero quella che il sistema sta perdendo la
battaglia del pensiero.
Per la
prima volta dalla fine della farsa pandemica, è emerso quindi un elemento nuovo
e incontestabile. Il potere ha paura perché i mezzi che assicuravano la sua
esistenza sono divenuti ininfluenti.
Più
semplicemente, c’è una larga parte di persone che non crede più al sistema e
queste persone stanno andando laddove proprio il sistema non vuole che esse
vadano.
Così
come tramonta il potere finanziario che aveva voluto la globalizzazione
arcobaleno, così tramonta tutta la macchina di propaganda che questo aveva
messo in moto.
LA
SOTTILE LINEA ROSSA: DOPO KABUL
LA
NATO NON PUÒ PERMETTERSI
DI
PERDERE ANCHE KIEV.
Comedonchiasciotte.org
– Pepe Escobar – strategic-culture.org – (16-10-2022) – ci dice:
La
Russia non permetterà all'Impero di controllare l'Ucraina, costi quel che
costi. Questo è intrinsecamente legato al futuro del Partenariato della Grande
Eurasia.
Cominciamo
con il Pipelineistan. Quasi sette anni fa, avevo mostrato come la Siria fosse
l’ultima guerra del Pipelineistan.
Damasco
aveva rifiutato il progetto – americano – di un gasdotto Qatar-Turchia, a
vantaggio di Iran-Iraq-Siria (per il quale era stato firmato un memorandum
d’intesa).
Ne era
seguita una feroce e concertata campagna “Assad deve andarsene”: la guerra per
procura come strada per il cambio di regime.
La
situazione era peggiorata esponenzialmente con la strumentalizzazione dell’ISIS
– un altro capitolo della guerra del terrore (corsivo mio). La Russia aveva bloccato l’ISIS,
impedendo così un cambio di regime a Damasco. Il gasdotto favorito dall’Impero
del Caos aveva morso la polvere.
Ora
l’Impero si è finalmente vendicato, facendo esplodere i gasdotti esistenti –
Nord Stream (NS) e Nord Steam 2 (NS2) – che trasportavano o stavano per
trasportare il gas russo ad un importante concorrente economico dell’Impero:
l’UE.
Ormai
sappiamo tutti che la condotta B di NS2 non è stata bombardata, né perforata,
ed è pronta a partire. Riparare le altre tre linee danneggiate non sarebbe un
problema: una questione di due mesi, secondo gli ingegneri navali. L’acciaio
dei Nord Stream è più spesso di quello delle navi moderne. Gazprom si è offerta
di ripararle, a patto che gli Europei si comportino da adulti e accettino
severe condizioni di sicurezza.
Sappiamo
tutti che questo non accadrà. Nulla di tutto ciò viene discusso dai media della
NATO. Ciò
significa che il Piano A dei soliti sospetti rimane in vigore: creare una
voluta carenza di gas naturale che porti alla deindustrializzazione
dell’Europa, il tutto come parte del Grande Reset, ribattezzato “La Grande
Narrazione”
di Klaus Schwab (il nuovo Dio terreno! Ndr).
Nel
frattempo, il Muppet Show dell’UE sta discutendo il nono pacchetto di sanzioni
contro la Russia. La Svezia si rifiuta di condividere con la Russia i risultati
della losca “indagine” intra-NATO su chi ha fatto esplodere i Nord Stream.
Alla
Settimana dell’energia russa, il Presidente Putin ha riassunto i fatti.
L’Europa
incolpa la Russia per l’affidabilità delle sue forniture energetiche, anche se
riceveva l’intero volume acquistato in base a contratti fissi.
Gli
“orchestratori degli attacchi terroristici del Nord Stream sono coloro che ne
traggono profitto.”
La
riparazione delle condotte del Nord Stream “avrebbe senso solo nel caso in cui
ne fossero garantiti il funzionamento e la sicurezza.”
L’acquisto
di gas sul mercato spot causerà una perdita di 300 miliardi di euro per l’Europa.
L’aumento
dei prezzi dell’energia non è dovuto all’Operazione Militare Speciale (OMS), ma
alle politiche dell’Occidente.
Tuttavia,
lo spettacolo dei “Dead Can Dance” deve continuare. Mentre l’UE si vieta da
sola di acquistare energia dalla Russia, l’eurocrazia di Bruxelles aumenta il
suo debito con il casinò finanziario. I padroni imperiali ridono a crepapelle
per questa forma di collettivismo, mentre continuano a trarre profitto
utilizzando i mercati finanziari per saccheggiare e depredare intere nazioni.
Il che
ci porta al punto cruciale: gli psicopatici straussiani/neo-conservatori che controllano la politica estera di
Washington potrebbero – e la parola chiave è “potrebbero” – smettere di armare
Kiev e avviare negoziati con Mosca solo dopo che i loro principali concorrenti
industriali in Europa saranno falliti.
Ma
anche questo non sarebbe sufficiente, perché uno dei principali mandati
“invisibili” della NATO è quello di capitalizzare, con qualsiasi mezzo, le
risorse alimentari della steppa pontico-caspica: stiamo parlando di 1 milione
di km2 di produzione alimentare, dalla Bulgaria fino alla Russia.
Judo a
Kharkov.
La SMO
si è rapidamente trasformata in una CTO (Counter-Terrorist Operation) “soft”,
anche senza un annuncio ufficiale. L’approccio senza fronzoli del nuovo
comandante generale con piena carta bianca dal Cremlino, il generale Surovikin, alias
“Armageddon,” parla da sé.
Non
c’è assolutamente nulla che indichi una sconfitta russa lungo gli oltre 1.000
km del fronte. La ritirata da Kharkov potrebbe essere stata un colpo da maestro: la
prima fase di una mossa di judo che, ammantata di legalità, si è sviluppata in
pieno dopo il bombardamento terroristico di Krymskiy Most – il ponte di Crimea.
Guardiamo
alla ritirata da Kharkov come ad una trappola – come ad una finta dimostrazione
di “debolezza” da parte di Mosca.
Questo
ha portato le forze di Kiev – in realtà i loro referenti della NATO – a
gongolare per la “fuga” della Russia, ad abbandonare ogni cautela e a darsi da
fare, avviando persino una spirale di terrore, dall’assassinio di Darya Dugina
al tentativo di distruzione del Krymskiy Most.
In
termini di opinione pubblica del Sud globale, è già stato stabilito che il Daily Morning Missile Show del
generale Armageddon è una risposta legale (corsivo mio) ad uno Stato terrorista.
Putin
potrebbe aver sacrificato (solo per un po’) un pezzo della scacchiera –
Kharkov: dopo tutto, il mandato dell’OMU non è quello di non perdere terreno,
ma di smilitarizzare l’Ucraina.
Mosca
ha persino vinto dopo Kharkov: tutto l’equipaggiamento militare ucraino
accumulato nell’area è stato lanciato in continue offensive, con l’unico
risultato di impegnare l’esercito russo in un tiro al bersaglio senza sosta.
E poi
c’è il vero colpo di scena: Kharkov ha messo in moto una serie di mosse che hanno
permesso a Putin di dare scacco matto, attraverso una CTO “soft”, ma pesante di
missili, riducendo l’Occidente collettivo ad un branco di polli senza testa.
Parallelamente,
i soliti sospetti continuano a girare senza sosta la loro nuova “narrativa”
nucleare. Il
Ministro degli Esteri Lavrov è stato costretto a ripetere ad nauseam che,
secondo la dottrina nucleare russa, un attacco nucleare può avvenire solo in
risposta ad un’offensiva “che metta in pericolo l’intera esistenza della
Federazione Russa.”
L’obiettivo
degli psicopatici assassini di Washington – nei loro sogni erotici – è quello
di indurre Mosca ad usare le armi nucleari tattiche sul campo di battaglia.
Questo
è stato un altro fattore che aveva spinto ad affrettare i tempi dell’attacco
terroristico al ponte di Crimea, dopo che i piani dell’intelligence britannica
erano stati elaborati da mesi. Tutto ciò si è risolto in un nulla di fatto.
La
macchina isterica della propaganda straussiana/neoconservatrice sta
freneticamente, preventivamente, attaccando Putin: è “messo all’angolo,” sta
“perdendo,” sta “diventando disperato” e quindi lancerà un’offensiva nucleare.
Non
c’è da stupirsi che l’orologio del giorno del giudizio, creato dal Bulletin of
the Atomic Scientists nel 1947, sia ora posizionato a soli 100 secondi dalla
mezzanotte. Proprio “alle porte dell’Apocalisse.”
Ecco
dove ci sta portando un gruppo di psicopatici americani.
La
vita alle porte dell’Apocalisse.
Mentre
l’Impero del Caos, della Menzogna e del Saccheggio è pietrificato dal
sorprendente doppio fallimento di un massiccio attacco economico/militare,
Mosca si sta sistematicamente preparando per la prossima offensiva militare.
Allo stato attuale, è chiaro che l’asse
anglo-americano non negozierà. Non ci ha mai provato negli ultimi 8 anni e non
ha intenzione di cambiare rotta adesso, nemmeno incitato da un coro angelico
che va da Elon Musk a Papa Francesco.
Invece
di fare come Tamerlano e accumulare una piramide di teschi ucraini, Putin ha
invocato eoni di pazienza taoista per evitare soluzioni militari. Il Terrore
sul ponte di Crimea potrebbe aver cambiato le carte in tavola.
Ma i
guanti di velluto non sono stati tolti del tutto: La routine aerea quotidiana
del generale Armageddon può ancora essere vista come un avvertimento –
relativamente educato.
Anche
nel suo ultimo, storico discorso, che conteneva un duro atto d’accusa contro
l’Occidente, Putin ha chiarito di essere sempre aperto ai negoziati.
Tuttavia,
Putin e il Consiglio di Sicurezza sanno bene perché gli Americani non possono
negoziare. L’Ucraina sarà anche solo una pedina del loro gioco, ma è pur sempre
uno dei nodi geopolitici chiave dell’Eurasia: chi la controlla, gode di una
maggiore profondità strategica.
I
Russi sanno bene che i soliti sospetti sono ossessionati dall’idea di mandare
all’aria il complesso processo di integrazione dell’Eurasia, a partire dalla
BRI cinese.
Non
c’è da stupirsi che importanti istanze di potere a Pechino siano “a disagio”
con la guerra. Perché questo è molto negativo per gli affari tra la Cina e
l’Europa attraverso diversi corridoi trans-eurasiatici.
Putin
e il Consiglio di Sicurezza russo sanno anche che la NATO ha abbandonato
l’Afghanistan – un fallimento assolutamente miserabile – per puntare tutto
sull’Ucraina. Quindi, perdere sia Kabul che Kiev sarebbe il colpo mortale definitivo:
ciò
significherebbe lasciare il XXI secolo eurasiatico tutto a favore del
partenariato strategico Russia-Cina-Iran.
I
sabotaggi – dai Nord Streams al Krymskiy Most – fanno capire il gioco della
disperazione. Gli arsenali della NATO sono praticamente vuoti. Ciò che resta è
una guerra del terrore: la sirianizzazione, anzi l’ISIS-izzazione del campo di
battaglia. Gestita da una NATO cerebralmente morta, combattuta sul terreno da
un’orda di carne da cannone con in più mercenari provenienti da almeno 34 nazioni.
Mosca
potrebbe quindi essere costretta ad andare fino in fondo – come ha rivelato il
sempre freddo Dmitry Medvedev: ora si tratta di eliminare un regime
terroristico, smantellare totalmente il suo apparato politico-sicurezza e poi
facilitare l’emergere di un’entità diversa. E se la NATO continuerà a
bloccarla, lo scontro diretto sarà inevitabile.
La
sottile linea rossa della NATO è che non può permettersi di perdere sia Kabul
che Kiev.
Eppure
ci sono voluti due attentati terroristici – in Pipelineistan e in Crimea – per
imprimere una linea rossa molto più netta e bruciante: la Russia non permetterà
all’Impero di controllare l’Ucraina, costi quel che costi. Questo è
intrinsecamente legato al futuro del Partenariato della Grande Eurasia. Benvenuti
nella vita alle porte dell’Apocalisse.
(Pepe
Escobar- strategic-culture.org)
(strategic-culture.org/news/2022/10/12/the-thin-red-line-nato-cant-afford-to-lose-kabul-and-kiev/)
“LA
CRISI ENERGETICA SEGNA L’INIZIO
DELLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE TEDESCA”
Comedonchisciotte.org
– Redazione CDC – (16 Ottobre 2022) – ci dice:
(vocidallagermania.blogspot.com)
Secondo
una recente analisi condotta da Deutsche Bank, l'attuale crisi energetica
potrebbe segnare la fine del modello di sviluppo tedesco caratterizzato da
energia abbondante e a basso costo e l'inizio della deindustrializzazione della
prima potenza manifatturiera d'Europa. Ne scrive Business Insider.
Pure i
tedeschi si stanno rassegnando al declino del proprio apparato industriale? A
quanto pare, almeno una parte dell’establishment, la pensa così. Soprattutto
colpisce l’allineamento alla narrazione secondo cui ormai tutto sarebbe certo e
inevitabile. E alla fine, pure a noi toccherà sentirsi un po’ tedeschi, o magari
sono i tedeschi che si stanno italianizzando, quando noi ci siamo già
grecizzati. Sono i miracoli dell’Unione Europea: ormai scontenta tutti, tranne
Washington.
Nell’analisi
dal titolo “La crisi energetica colpisce nel profondo l’industria tedesca “, l’autore
Eric Heymann scrive: “Quando tra una decina d’anni guarderemo indietro all’attuale
crisi energetica, potremmo individuare in questo periodo storico il punto di
partenza per l’accelerazione della deindustrializzazione tedesca “.
La
crisi del gas mette fine al modello economico tedesco.
Per
decenni l’accesso all’energia a basso costo è stato un fattore di successo
fondamentale per l’industria tedesca. Prima il carbone nazionale, poi – fino
alla crisi petrolifera – il petrolio a basso costo e infine l’allettante gas
russo a basso prezzo. Energia abbondante e a basso costo, ingegneri di prima
classe e lavoratori qualificati hanno reso i prodotti “Made in Germany” un
successo globale.
Ma
questo modello commerciale tedesco sta cominciando a vacillare. L’attuale crisi
del gas potrebbe rappresentare un “cambiamento strutturale per la Germania in
quanto paese manifatturiero e per il modello commerciale tedesco orientato
all’export “, scrive Heymann.
Secondo
le stime di DB Research, quest’anno la produzione industriale tedesca dovrebbe
ridursi del 2,5%. L’anno prossimo la tendenza al ribasso si accelererà fino a
raggiungere il cinque per cento.
I cali maggiori sono previsti nelle industrie
ad alta intensità energetica. Questi settori includono i prodotti chimici, i
materiali da costruzione, la carta e i metalli.
“Le
aziende del settore hanno colto la maggior parte delle opportunità di breve
termine per passare dal gas ad altre fonti energetiche o per aumentare
ulteriormente l’efficienza energetica “, afferma Heymann.
“Altri
passi hanno riguardato il ridimensionamento della produzione, la chiusura di
singoli impianti e/o il trasferimento della produzione in stabilimenti
all’estero “.
L’entità
di questa riduzione dipenderà dalla disponibilità di gas per il prossimo
inverno e dall’andamento del gas e dell’elettricità. Gli economisti di Deutsche
Bank si aspettano che il prezzo del gas resti elevato, e che non torni ai
livelli prebellici.
Con
gli impianti di stoccaggio del gas in gran parte vuoti a fine inverno 2022/23 e
senza il gas russo, l’UE e la Germania dovranno pagare il prezzo più’ alto
rispetto agli altri Paesi importatori di gas per riempire di nuovo gli impianti
di stoccaggio prima dell’inverno 2023/34“.
Lo
Stato non può ridurre in modo permanente i prezzi dell’energia.
Il
freno al prezzo del gas e dell’elettricità potrà attenuare le conseguenze
negative, ma solo temporaneamente.
“Lo Stato anche se volesse sovvenzionare
sensibilmente i prezzi dell’energia per i clienti finali industriali, anche nel
medio termine, ne uscirebbe pesantemente sovraccaricato dal punto di vista
finanziario “.
In Germania, quindi, la quota dell’industria
nella creazione di valore ne uscirebbe pesantemente ridimensionata.
La
deindustrializzazione colpirebbe in maniera particolare proprio la Germania,
perché in questo Paese, oltre alla quota sul totale della produzione economica,
risulta essere elevata anche la quota di occupati nel settore industriale.
In Germania circa 5,5 milioni di persone
lavorano direttamente nel settore manifatturiero.
Altri milioni di posti di lavoro dipendono
direttamente o indirettamente da questa macchina della prosperità. L’industria,
inoltre, è anche responsabile della quota maggiore di spesa delle aziende
tedesche in ricerca e sviluppo.
“Pessimismo
per la Germania come sede industriale “.
“Siamo
molto più pessimisti per la Germania in quanto paese industriale e
manifatturiero che per le grandi industrie tedesche “, afferma Heymann.
Le
grandi imprese e società potrebbero internazionalizzare ulteriormente le loro
attività.
Potrebbero allineare le sedi di produzione ai
costi e ai clienti.
“Per
le PMI tedesche, soprattutto nei settori ad alta intensità energetica, adattarsi
al nuovo mondo dell’energia sarà più impegnativo e alcune aziende falliranno “.
Gli
ultimi dati sulla produzione nazionale hanno mostrato che la prossima flessione
ciclica dopo lo shock pandemico nella maggior parte dei settori industriali
tedeschi è già iniziata.
Le bollette elevate del gas e dell’elettricità, il
rallentamento globale e un clima economico negativo sono i principali fattori
alla base del crollo previsto. Si profila un’altra recessione in un momento in
cui le conseguenze della crisi pandemica non sono state ancora superate.
(vocidallagermania.blogspot.com
-
vocidallagermania.blogspot.com/2022/10/la-crisi-energetica-segna-linizio-della.html
businessinsider.de/wirtschaft/energiekrise-anfang-der-deindustrialisierung-deutschlands-deutsche-bank-studie-)
COMMISSIONATO
DAL PENTAGONO:
VACCINI
A MRNA CON ELEMENTI
GENETICI
RAPIDAMENTE SOSTITUIBILI.
Nogeoingegneria.com
– Manuela Guter – (13 OTTOBRE 2022) – ci dice :
Alla
fine di agosto 2022 è stata resa pubblica la fase successiva di un progetto di
ricerca militare-civile commissionato e finanziato dal Pentagono a partire dal
2013.
Con stanziamenti dell’ordine di miliardi di dollari,
il Pentagono aveva commissionato all’industria farmaceutica lo sviluppo di
farmaci e vaccini genetici utilizzabili a lungo termine, che potessero essere
modificati e riproposti rapidamente, senza doverli testare prima sull’uomo.
(Manuela
Guter)
Il 1°
giugno 2022, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato un
ulteriore stanziamento di 3,2 miliardi per l’acquisto di nuovi vaccini. Secondo
quanto riportato dalla stampa, la Food and Drug Administration (FDA)
statunitense ha “ordinato” ai produttori di produrre vaccini adattati alla
genetica dei virus Omicron. Tuttavia, si dice che Pfizer ci stia lavorando da
gennaio di quest’anno (Nature).
Genetica
intercambiabile.
In
teoria, la nuova generazione di vaccini a mRNA dovrebbe dimostrare che è
possibile espandere, scambiare o riprogrammare in modo rapido e flessibile la
genetica contenuta nelle nanoparticelle, a seconda delle necessità. Queste
“piccole modifiche” non altererebbero in modo significativo il vaccino. I
lunghi studi sull’uomo, come quelli condotti finora, dovrebbero diventare
superflui con questa tecnologia.
“L’unica
cosa che cambia da un potenziale farmaco mRNA all’altro è la regione
codificante – il codice genetico vero e proprio che istruisce i ribosomi a
produrre le proteine… ”, afferma uno studio del 2020 condotto negli Stati Uniti
sui brevetti dell’azienda di genetica Moderna.
Le
procedure di test e revisione eseguite una volta all’inizio della pandemia per
un’approvazione provvisoria di emergenza dei vaccini a mRNA servono ora come
dati base per tutti gli altri vaccini a mRNA. Secondo l’EMA, le carenze
criticate all’epoca, ma tollerate in una situazione di emergenza, non sono più
decisive oggi. Dopo l’uso di massa dei vaccini e le scoperte che ne sono
derivate, non sono più un ostacolo. I dati reali dei gravi danni da vaccino e
delle morti da vaccino registrati (e nascosti) negli Stati Uniti e in Europa
non vengono minimamente presi in considerazione.
Come
evidenziato nella prima parte della ricerca, l’interesse militare del Pentagono
ruota attorno a questo tipo di applicazione della tecnologia vaccinale, in
quanto potrebbe consentire la protezione a breve termine dei propri militari e
della popolazione nel contesto di una guerra biologica con germi in rapida
evoluzione.
Le due
fasi del progetto di ricerca duale.
Nella
prima fase, dall’inizio delle vaccinazioni di massa nel 2021, l’obiettivo è
stato quello di scoprire con quale intensità e per quanto tempo i vaccini a
mRNA riescono a immunizzare gli esseri umani nonostante la modifica dei virus,
mentre il materiale genetico rimane lo stesso. Questo ha portato di conseguenza
ai vaccini di richiamo. (Non sono stati menzionati nelle approvazioni di
emergenza dell’EMA 2020).
La
seconda fase consiste ora nel passare all’obiettivo vero e proprio del progetto
di ricerca duale. L’attenzione si concentra sullo scambio della parte genetica
del vaccino o sull’aggiunta di nuovi filamenti genici per adattare la sostanza
alle rispettive sezioni geniche mutate della proteina spike delle nuove
varianti del virus – ora omicron. I nuovi vaccini sono pensati come vaccini di
richiamo.
L’EMA
e la FDA approvano il booster adattato.
Dopo
che il Presidente degli Stati Uniti Biden ha dato il via libera alla fase
successiva il 1° giugno 2022, tutto è stato completato nel giro di due mesi. Il
31 agosto 2022, la FDA ha approvato un primo vaccino di Pfizer con nuovi
filamenti genici adattati alla variante AE.1 di Omikron.
Il 16
settembre, l’EMA ha raccomandato la definitiva approvazione dei vaccini Moderna
e BioNTech/Pfizer e delle loro sostanze di richiamo “adattate”. Citazione:
“Questa
raccomandazione si applica (anche) a tutti i vaccini adattati Comirnaty e
Spikevax esistenti e di prossima pubblicazione, compresi i vaccini adattati
Comirnaty Original/Omikron BA.1, Comirnaty Original/Omikron BA.4/5 e Spikevax
bivalente Original/Omikron BA.1, recentemente autorizzati”.
Quali
sono le novità della seconda generazione?
Il primo vaccino adattato da BioNTech/Pfizer,
chiamato Comirnaty/AE.1, combina la parte genetica precedente di Comirnaty con
quella di Omikron-AE.1, in modo simile al richiamo per Spikevax. La seconda
sostanza contiene metà del materiale precedente di Comirnaty e metà delle
proteine di spiga delle varianti Omikron dominanti in primavera ed estate BA.1,
BA.4 e BA.5 messe insieme.
In una
procedura accelerata e con dati relativi all’uomo “simili”.
Gli
esperti di entrambe le autorità hanno testato e autorizzato tutto in pochissimo
tempo, anche se non c’era più un’emergenza pandemica.
Hanno
accettato la quasi totale inesistenza di dati medici sull’uomo delle nuove
sostanze di richiamo e hanno effettuato otto test sui topi.
Sono
stati aggiunti alcuni dati (sconosciuti) dal nuovo booster di comirnaty AE.1. Per quanto riguarda l’approvazione
della FDA, gli scienziati statunitensi mettono in guardia dal trasferire
direttamente all’uomo i risultati degli esperimenti sugli animali. Dopo tutto,
BioNTech/Pfizer ha avuto a disposizione mezzo anno per condurre almeno una
piccola serie di test sull’uomo.
La
mancanza di dati e la fretta hanno una spiegazione: in questa fase, nuovi studi sono
considerati superflui. La rapidità di elaborazione delle procedure di approvazione
è più importante. Il concetto medico-militare del Pentagono sembra aver
prevalso anche presso la FDA e l’EMA. Per ricordare il senso di questa
tecnologia,
“Ridurre
i tempi di risposta alle minacce di pandemia o bioterrorismo”.
Accordo
DARPA-Moderna W911NF-13-1-0417 del 2.10.2013.
La
fine della pandemia in vista.
Gli
esami rapidi si svolgono nel contesto di una situazione sanitaria in via di
miglioramento. I dati sulle pandemie sono già diminuiti drasticamente
dall’inizio dell’anno. Omikron AE.1 domina e diffonde l’immunità naturale su
una vasta area con sintomi solo lievi.
Il 15
settembre, il capo dell’OMS Tedros Adhanom dichiara che la fine della pandemia
è vicina. Anche il Presidente degli Stati Uniti Biden conferma questa
valutazione il giorno successivo. Settimane prima, le misure di Corona erano
già cessate in molti paesi. Non esiste più una situazione di emergenza che avrebbe
giustificato procedure affrettate di autorizzazione dei vaccini.
I dati
pubblicati in Germania dal Ministro Lauterbach sui casi di Omicron grave e sui
tassi di mortalità si basano chiaramente su calcoli manipolati.
La
nuova linea di argomentazione per la nuova tappa.
I
produttori e le autorità di regolamentazione ammettono apertamente che non ci
sono dati rilevanti sull’uomo relativi alla seconda generazione di vaccini con
genetica mutata, né in termini di efficacia né in termini di effetti
collaterali.
Le
dichiarazioni pubbliche iniziali hanno lo scopo di abituarci all’idea che le
modifiche genetiche nei vaccini a base di mRNA non richiedano nuovi test.
Un
veicolo per questa argomentazione è il riferimento ai vaccini antinfluenzali.
Un ex capo revisore dei vaccini presso la FDA, il dottor Jesse Goodman,
giustifica la mancanza di dati affermando,
“… che
anche le vaccinazioni antinfluenzali annuali con genetica aggiornata avvengano
senza una preventiva nuova serie di test sull’uomo”.
Confronto
sleale.
Il
dottor Paul Offit, esperto di vaccini presso l’Ospedale pediatrico di
Filadelfia, critica invece questo confronto come non corretto.
“I
vaccini antinfluenzali si basano su decenni di esperienza con i cambiamenti dei
ceppi virali, rispetto ai quali i vaccini antinfluenzali si sono generalmente
comportati allo stesso modo”.
I
vaccini antinfluenzali non funzionano con la nanotecnologia dell’mRNA, ma con
il metodo dei” vaccini morti”. Provocano un’immunizzazione a lungo termine. Il
rinnovamento annuale non è causato da un calo delle difese immunitarie, ma solo
da nuove mutazioni dei virus influenzali.
Biologia
umana contro calcolo militare.
Nella
seconda fase del progetto, le debolezze di una teoria militare strutturata
secondo criteri meccanici (protezione dei vaccini contro le armi biologiche)
rispetto alla biologia umana dinamica diventano inequivocabilmente evidenti. Le
carenze qualitative dei vaccini a base di mRNA non possono più essere
trascurate o occultate.
I
risultati degli studi iniziali sui booster Omicron ridimensionano le
aspettative. I valori ottenuti principalmente con i modelli sugli animali
dimostrano che le nuove sostanze potenzianti adattate a Omicron ottengono solo
miglioramenti marginali da tutti i punti di vista.
I riceventi hanno in media livelli di anticorpi 1,5
volte superiori a quelli di coloro che hanno ricevuto il precedente richiamo
con Comirnaty.
Nei
topi e nei primati suscitano risposte leggermente più forti rispetto all’uomo.
Sorprendentemente, i dati del test terminano dopo 30 giorni, al momento del
picco noto degli anticorpi.
Il
forte calo nelle settimane successive si attenua, anche se dovrebbe essere
determinante la stabilità dell’effetto. Diversi studi ne parlano su Nature
(01.09.22) e su Jamanetwork.
Alcuni
scienziati criticano il fatto che la FDA e l’EMA avrebbero dovuto tenere conto
di tali magri risultati prima di approvarlo. Il medico Paul Offit sostiene che
le persone vengono ingannate dai frequenti richiami. “Se la differenza è così
piccola, perché vengono distribuite quelle dosi di vaccino?”.
Joe
Biden ha sprecato 3,2 miliardi? E i miliardi investiti dal Pentagono negli
ultimi dieci anni? I vaccini a base di mRNA hanno un difetto cruciale (a parte
gli enormi effetti collaterali). Si tratta della loro breve durata di
protezione immunitaria. Non è possibile vaccinare le persone ogni quattro mesi.
(pressefreiheit.
rtde.tech/international/150710-im-auftrag-pentagon-teil-2/)
IL
BAMBINO DEL 2050.
Nogeoingegneria.com
– Redazione – (14 OTTOBRE 2022) – ci dice:
(Dal
film A.I. Intelligenza Artificiale -Kubrick-Spielberg).
Un
recente notizia evidenzia di come sia pianificato il coinvolgimento dei
pediatri nell'”ingegneria sociale” dell’umanità futura.
Il fatto che l’operazione di vaccinazione globale
abbia un retroscena di vasta portata è ormai evidente a molti. Di conseguenza, la resistenza cresce,
la disponibilità a porgere il braccio, anche quello dei bambini, è diminuita
enormemente.
“Bisogna
intensificare la campagna vaccinale per la fascia pediatrica e i bambini in età
scolare perché la copertura finora raggiunta con le dosi previste resta molto
bassa “.
Lo sottolinea la presidente della Società
italiana di pediatria (Sip) Annamaria Staiano che, a fronte dell’aumento dei
contagi proprio nei bambini in età scolare segnalato dall’Istituto superiore di
sanità, chiede
anche di “rivalutare” la misura dell’obbligo di utilizzo delle mascherine nelle
scuole.
Un’imminente
conferenza, tuttavia, fa luce sul futuro dei bambini e sul ruolo dei pediatri
nel realizzarlo. Si parlerò dei futuri orizzonti “geografici” & “umani”
e dell’umanesimo
all’epoca della “pediatria” delle “macchine”.
“Pediatria
2050 – Le sfide per la Pediatria”.
Ecco
il futuro della cura del bambino.
Dalla
formazione specialistica dei medici pediatri alla ricerca. Dalle cure
palliative fino all’applicazione delle tecnologie digitali nei diversi ambiti
della pediatria.
Padova,13
ottobre 2022 – Padova ospita due giorni dedicati alla ricerca e alle cure in età
pediatrica. Il bambino è un mondo da proteggere, nella crescita, nella
formazione, nell’educazione e, soprattutto, nella malattia. Il 14 ottobre
nell’Aula Morgagni dell’Azienda Ospedale Università di Padova, con inizio alle
ore 11.00, si farà il punto sulla terapia del dolore e le cure palliative
pediatriche, con una particolare attenzione alla formazione del medico
specializzato nella cura del bambino.
Dopo
la normalizzazione di un percorso accademico che prevede il riconoscimento
formale della Scuola di Specializzazione in Cure palliative, nello specifico
ambito pediatrico all’interno delle Scuole di Pediatria si è istituito un
percorso formativo apposito.
La
giornata del 15 ottobre sempre nell’Aula Morgagni con inizio alle ore 8.45,
nell’incontro “Pediatria 2050 – Le sfide per la Pediatria” si parlerà del
futuro della pediatria nei suoi diversi aspetti, dall’organizzazione e gestione
dell’assistenza al bambino malato, fino alla formazione dei medici specialisti
e alla ricerca scientifica.
“Fantascienza
o visione acuta di un futuro che con velocità impressionante sta diventando
presente?
Le tecnologie digitali, e del WEB
così come stanno modificando i costumi dell’uomo nel suo vivere quotidiano,
stanno modificando in modo drastico la pratica medica – spiega il prof. Giorgio
Perilongo, Dipartimento funzionale Malattie rare e direttore UOC Clinica
pediatrica Azienda Ospedale/Università di Padova –
La realtà è che porteremo presto (se non alcuni già
ora lo fanno) al ‘polso’ orologi che rilevano il livello di ossigeno nel nostro
sangue in ogni momento del nostro quotidiano, il livello della glicemia minuto
per minuto;
presto
indosseremo ‘magliette speciali’ che oltre a coprirci renderanno possibili
registrazioni a distanza del battito del nostro cuore, permettendo al nostro
cardiologo di seguirci momento per momento nella vita reale;
stanno
crescendo banche date digitali contenenti informazioni sulla salute individuale
e collettiva che diverranno miniere di informazioni che, grazie
all’intelligenza artificiale ossia algoritmi sempre più sofisticati e
intelligenti, ci aiuteranno a fare diagnosi a predire il rischio di ammalarsi
del singolo e di comunità”.
“Il
Cosiddetto European Health Digital Space, ossia la futura grande banca
digitale di informazioni riguardanti la salute di singoli e delle popolazioni
europee, è il grande programma lanciato dalla Commissione Europea nel 2021 che
vuole essere per l’Europa la bussola che orienti in termini di sanità il
miglior futuro possibile per i cittadini – prosegue il prof. Perilongo –
In
sintesi, c’è un futuro che orami pervade il presente;
c’è
bisogno di conoscere queste nuove tecnologie pervasive e di sviluppare gli
strumenti culturali ed esperienziali per governare le forze che queste
tecnologie stanno generando ma soprattutto per dare forma a quelle che sono
chiamate disruptive
innovation ossia
quelle innovazioni organizzative e gestionali della pratica medica prive di
chiari modelli del passato a cui ispirarsi e che quindi richiedo cultura,
saggezza, metodo scientifico e creatività per realizzarli”.
“C’è
un cammino di inculturazione reciproca; di contaminazione reciproca di idee,
esperienze perché non il singolo ma la più ampia comunità medica possa gestire
questo futuro per far sì che tutto questo divenga un bene collettivo in questo
caso per il futuro della salute pubblica e individuale.
L’incontro di Padova del 15 ottobre si
prefigge per la prima volta in Italia di dar vita a questo percorso di crescita
e contaminazione culturale della comunità pediatrica nazionale”, conclude
Perilongo. (ndr. grassetto aggiunto)
(Il
concetto di inculturazione è tipicamente antropologico e deriva dalla parola
inglese inculturation, proprio ad indicare che la cultura “entra dentro”
attraverso un processo inconscio.)
La
Meloni non piace alla
finanza
globalista arcobaleno.
Lavocedelpatriota.it
- Leo Valerio Paggi – (20 Maggio 2022) – ci dice:
Un
articolo di Bloomberg attacca la leader di FDI.
Deve
fare non poca paura l’irrefrenabile ascesa di Fratelli d’Italia, in certi
ambienti.
La
coerenza granitica di Giorgia Meloni e la sua capacità di avanzare proposte
politiche serie e concrete, infatti, stanno premiando e ripagando tutti gli
sforzi: quello che nel 2012 era un piccolissimo movimento di patrioti, è oggi
il primo partito della Nazione, secondo gli ultimi sondaggi di SWG per Tg La7
sull’orientamento di voto, con un 25.6% di preferenze. Vola, quindi, FDI nel
gradimento degli Italiani e stacca di netto gli altri partiti: +1.6 sul PD,
+7.3 sulla Lega, +10.3 sul M5S, +15.3 su Forza Italia.
Numeri
alla mano, diventa possibile ora quella ipotesi che fino a qualche mese fa nessuno
avrebbe preso minimamente in considerazione: Giorgia Meloni potrebbe arrivare a
Palazzo Chigi nelle elezioni politiche del 2023.
Ecco, dunque, che l’establishment di mezzo
mondo comincia a tremare, perché la leader di Fratelli d’Italia e del Partito
dei Conservatori e Riformisti Europei alla guida dell’Italia, un Paese chiave
negli equilibri dell’UE, nell’Alleanza Atlantica e nel Mediterraneo, potrebbe
davvero riscrivere la storia degli ultimi 30 anni.
Ne è
una chiara dimostrazione l’articolo apparso oggi su Bloomberg, uno dei siti di
riferimento della finanza globalista arcobaleno, che definisce Giorgia Meloni
come “la donna che potrebbe portare l’Italia all’estrema destra”, perché “ora è
la favorita per la successione a Mario Draghi.”
Oltre
agli appellativi fuori dal tempo con i quali viene descritto il partito e la
sua leader, tipici di una retorica della sinistra globalista arcobaleno senza
migliori argomenti ai quali appellarsi, la Meloni, definita (forse con un
complimento non voluto) “l’unica vera star politica non contaminata dalle
macchinazioni del sistema”, viene duramente attaccata anche sul piano personale,
mettendo in evidenza – senza polemica ma con chiarezza – il suo essere una madre non sposata
che, tuttavia, pretende di difendere i valori cristiani e la famiglia
tradizionale. Sul piano politico, viene criticata la sua posizione apertamente
contraria all’immigrazione illegale e la sua avversione per il progetto
federalista europeo.
“Personaggio
sorprendente nella cultura italiana del machismo tossico”, Giorgia Meloni è
tuttavia una donna che non sembra meritare il rispetto di quelle che potremmo
definire femministe a comando, ossia di chi si ricorda delle battaglie per la
parità di genere solo quando sotto la lente d’ingrandimento di certa stampa e
di certa politica, quella fatta di discriminazioni e insulti, ci sono alcune
donne, ma certamente non Giorgia Meloni né le altre leader della destra
conservatrice nel mondo.
Non
poteva mancare il richiamo alla posizione di Giorgia Meloni sull’aborto,
definito dalla leader di FdI come una sconfitta per la società, poiché tra i
menestrelli della globalizzazione c’è spazio solo per promuovere la cultura
della morte, a partire dalla battaglia per la liberalizzazione della droga,
passando per la legge sull’eutanasia e sulla pillola abortiva.
Non
c’è spazio per celebrare la sacralità della vita, non si deve raccontare la
bellezza e la grandezza del creato perché chi crede in qualcosa, chi ha fede e
speranza è più difficile da dominare. E proprio perché non sembrano riuscire a
dominarla, ecco quindi che Giorgia Meloni deve essere fermata.
Torna,
così, puntuale come un orologio svizzero, lo spauracchio del “panico nei
mercati internazionali” e le indicazioni chiare per evitare la vittoria di FdI
alle prossime elezioni: “una riscrittura della legge elettorale italiana a
favore di una rappresentanza più proporzionale potrebbe ridurre notevolmente le
possibilità della Meloni”.
In
estrema sintesi, la finanza globalista arcobaleno ci dice non solo chi bisognerebbe
votare, ma vorrebbe spiegarci anche come. Con un disprezzo malcelato, si
specifica anche che per vincere, la Meloni dovrebbe conquistare i voti della
classe imprenditoriale del nord Italia, compito difficile per “una donna
cresciuta in un quartiere popolare di Roma”.
Retorica,
disprezzo, minacce. Un copione già visto e rivisto in questi anni, che tuttavia
non ha saputo minimamente intralciare la marcia vittoriosa di Giorgia Meloni,
sempre più apprezzata in patria e all’estero. Spaventa davvero, questa giovane
donna dalla volontà di ferro, perché si batte contro le speculazioni della
grande finanza, che vorrebbe annientare gli Stati nazionali, le identità, la
storia. Ci dicono che la diversità è un valore, ma non lo pensano. Il
“meticciato”, il multiculturalismo, questo professano, ossia la perdita di
tutte le differenze in favore di un’unica grande cultura globalista arcobaleno.
Giorgia
Meloni si batte, invece, per la difesa dell’economia reale, per i diritti e per
la sopravvivenza di quel tessuto produttivo che non risponde a multinazionali e
circuiti finanziari. Si batte per rinsaldare il legame millenario tra i Popoli
europei, perché
l’Europa non sia una semplice espressione geografica o un gigante burocratico
dai piedi di argilla, ma l’Europa delle Patrie, davvero unita nella diversità.
Una
medaglia andrebbe data a chi difende gli interessi nazionali italiani e il
popolo italiano. Onore andrebbe reso a chi con coraggio e determinazione, è
ancora pronto “a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza
della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso,
impossibile universo che ci fissa in volto”.
La
strada di Giorgia Meloni è certamente in salita, ma la meta è chiara e a
portata di mano. “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.”
Perché
falliranno…
Fisicaquantistica.it-
B. Smith – (16 novembre 2021) – ci dice:
Sotto
la superficie di molti eventi economici e socio-politici internazionali, cova
la brace di una guerra permanente, spesso invisibile.
Questa
guerra attualmente viene combattuta a colpi di menzogne e verità, di
giornalismo asservito e tranquille azioni individuali. Una guerra tra due
fazioni ormai ben definite, ed estremamente incompatibili sia dal punto di
vista filosofico che spirituale.
Da un
lato, abbiamo una pervasiva rete di magnati aziendali, entità bancarie,
consorzi finanziari internazionali, think tank e burattini politici. Tutti
questi gruppi lavorano instancabilmente per rimodellare la psicologia degli
individui e della società, al fine di preparare l’instaurazione di un Nuovo
Ordine Mondiale, cioè un unico governo planetario tecnocratico, capace di
monitorare ed indirizzare qualsiasi aspetto dell’esistenza umana, dal mercato
alla morale comune. Spesso li si definisce semplicemente ‘globalisti arcobaleno‘, appellativo al quale essi stessi
ricorrono di frequente.
Dall’altro
lato, abbiamo un movimento che si è sviluppato organicamente ed istintivamente,
che giorno dopo giorno, prolifera senza alcuna leadership, sotto la guida e
l’esempio di vari divulgatori ed attivisti che tendono a rifarsi ai principi
del diritto naturale.
Questo
movimento è composto da gruppi e singoli individui, religiosi, agnostici e
anche atei; persone di qualsiasi etnia e di ogni ceto sociale.
Persone
che si sono trovati unite – clamorosamente – dalla comune propensione verso la
tutela della libertà.
Io li chiamo ‘Movimento per la Libertà’.
Di
contorno, abbiamo tutti quelli convinti che questa non sia la loro battaglia,
che fingono di ignorarla o che magari sono realmente ignari della sua
esistenza. Comunque
ci si relazioni a questa guerra, la cosa certa è che tutta l’umanità, nessuno
escluso, alla fine dovrà fare i conti con il suo esito. Perché qui c’è in gioco
il futuro della specie.
L’esito
della battaglia, decreterà se le prossime generazioni avranno ancora il diritto
di auto-determinarsi, mantenendo la facoltà di perseguire il loro potenziale
individuale, o se ogni aspetto dell’esistenza umana cadrà sotto il controllo di
una lontana burocrazia priva di volto e di anima, completamente insensibile
alle necessità e al benessere dei singoli individui.
Alcune
delle più ciniche ‘menti accademiche’ là fuori, tentano di marginalizzare la
portata del conflitto, accusando entrambe gli schieramenti di voler imporre
un’ideologia. Tuttavia
sono convinto, che molte di esse siano all’oscuro della reale portata della
posta in gioco. Dietro questa guerra si cela, infatti, una contrapposizione
‘elementale’. La definirei una conflagrazione tra il bene e il male.
Alcune
persone non gradiscono concetti così netti, e li bollano come fantasie
retoriche sui buoni e i cattivi, creati dalla religione per controllare la
società.
Ebbene,
non ho alcuna intenzione di convincerli del contrario. Posso solo dire, che
avendo sperimentato personalmente tali concetti assoluti, essere credente per
me non è una questione di scelta, ma di esperienza.
Vorrei
anche sottolineare, come la maggior parte degli uomini e delle donne tenda a
considerare intrinsecamente maligna, l’oppressione sistematica, finalizzata
alla soddisfazione di un delirante narcisismo elitista arcobaleno.
Si
tratta di imperativi morali soggettivi, ma anche universali, che riecheggiano
ovunque, continuamente, indipendentemente dalla cultura, il luogo o l’epoca
storica. L’ombra pressante della tirannia, suscita nella maggior parte di noi,
lo stesso orrore e lo stesso impulso di sfida. Sappiamo che è così, anche se
non comprendiamo bene il perché.
Sebbene
io sia fermamente schierato dalla parte della libertà, non è mia intenzione, in
questo articolo, scrivere una sorta di arringa unilaterale.
Parlerò,
quindi, sia dei punti di forza dei globalisti arcobaleno, che delle loro
debolezze. Sarebbe incauto etichettarli come un manipolo di idioti. Non sono stupidi.
Sono
invece sorprendentemente intelligenti, e per nessuna ragione dovrebbero essere
sottovalutati. È gente davvero molto organizzata, laboriosa e furba. Però non
sono saggi.
Se lo
fossero stati, avrebbero valutato già da tempo l’irrealizzabilità del loro
disegno, ed il mondo si sarebbe risparmiato molti decenni di tragedie e
decadenza. Il
cieco ideologismo ha offuscato i loro sensi, e li ha indotti a tradire la
verità e la realtà in nome del controllo.
Ecco
alcune delle principali strategie utilizzate dai globalisti arcobaleno per guadagnare potere e sospingere il mondo
verso la centralizzazione totale, ed i motivi per cui sono destinate a fallire.
Globalismo
Vs. Populismo.
Per
secoli, il partito globalista ha creato false dicotomie per dividere le nazioni
ed i popoli, così da trarre vantaggio dalla conseguente instabilità. Detto
questo, la dicotomia Globalismo – Populismo, tra tutte le dicotomie politiche,
è certamente quella che meglio rispecchia la realtà moderna.
Il
recente esito del referendum Brexit nel Regno Unito, ha innescato una nuova
ondata di propaganda.
Stanno
cioè spingendo il concetto, secondo cui i ‘populisti’ stiano boicottando la
globalizzazione (occhio all’imminente referendum in Italia, e agli sviluppi
delle presidenziali americane) e così facendo provocando la rovina delle
nazioni e dell’economia globale. In altre parole: globalismo=bene e
populismo=nazismo=male.
In
questa lotta tra globalisti e populisti, i burattinai stanno modificando il
linguaggio, associando nuove accezioni a vecchie etichette, strategia che si è
sempre rivelata molto proficua per le loro trame.
In una
brillante manovra, hanno etichettato il vasto ‘movimento per la libertà’ come
populista, e nel frattempo, associato il populismo al nazismo, così da poter utilizzare la scusa dei
‘sabotatori populisti/nazisti’ per giustificare il nuovo crollo economico che
hanno in agenda.
Le
masse se la berranno? Non ne ho idea. Penso che questo dipenderà dall’efficacia
con cui sapranno esporre la strategia prima che abbia luogo il crollo. La nuova
crisi è stata già calendarizzata, e semplicemente oggi non è più evitabile.
Anche se domani stesso, fosse finalmente ripristinata una leadership onesta, il
processo andrebbe comunque a compimento.
Comunismo
Vs. Fascismo.
È uno
degli espedienti più abusati dai globalisti, per sfibrare una nazione
dall’interno e facilitare l’accentramento del potere.
Se
doveste avere dei dubbi circa l’ingegnerizzazione del fascismo e del comunismo, vi consiglio vivamente di leggere
il saggio molto ben documentato del professor Antony Sutton (l’argomento è
troppo vasto e complesso per essere approfondito in questo articolo).
Oggi,
stiamo assistendo alla riemersione delle peggiori ideologie comuniste, grazie
ai finanziamenti provenienti da esponenti di primo piano delle oligarchie,
quali George Soros, i Rockefeller e la cricca di Davos con a capo Klaus Schwab.
Stiamo
parlando di gruppi di ‘giustizia sociale’ come la “Black Lives Matter”.
La
psicosi collettivista ed il comportamento orwelliano esibito da gruppi sociali
aggressivi e provocatori come la terza ondata femminista, sono stati
accuratamente progettati per condurre all’esasperazione i conservatori, ormai
sempre più stanchi di sentirsi dire cosa pensare e come agire ogni secondo, di
ogni giorno della loro vita. Ed eccoci al punto…
Se si
vuole ricavare un quadro d’insieme dell’America del 2021, è sufficiente tornare
ad esaminare la situazione sociale dell’Europa del 1930. Gruppi di provocatori
comunisti – alcuni autentici, altri fabbricati dal sistema stesso –
strumentalizzando i lavoratori, stavano arrecando gravi squilibri alla cultura
ed alle economie europee. Fu a quel punto che le élite finanziarono le destre,
presentandole come la ‘soluzione’ al comunismo. Ogni conservatore, compresi i
più mansueti ed imparziali, finì per aderire all’ideologia dello statalismo
fascista, come reazione alle continue provocazioni ‘rivoluzionarie’ comuniste.
Gli
Stati Uniti potrebbero oggi percorrere lo stesso iter, se non stiamo attenti.
Gli ultimi eventi accaduti in Texas, sono oro colato per i globalisti. Pensate
a questo scenario: da un lato Biden - come Obama - si rapporta ai democratici, assicurando che la
risposta al razzismo di una certa polizia, sia portare le forze dell’ordine ad
un livello ancora più elevato di federalizzazione.
Dall’altro
si rapporta ai repubblicani, sostenendo che una maggiore militarizzazione della
polizia, aiuterà a prevenire il terrorismo ed altri gruppi potenzialmente
pericolosi.
Ad
entrambi gli schieramenti viene proposta la medesima soluzione, e cioè una
massiccia presenza della polizia federale sulle strade.
La
debolezza di questa strategia, sta nel fatto che questa volta il ‘movimento per
la libertà’ è troppo sofisticato ed eterogeneo per sfociare in una deriva
fascista.
Imperativi
Morali Vs. Relativismo Morale.
La
diffusione del relativismo morale è probabilmente il principale obiettivo
perseguito dai globalisti arcobaleno. Perché? Perché se riesci a persuadere
un’intera società che la coscienza possa essere ignorata e che gli imperativi
morali siano in realtà ‘suscettibili di interpretazione’, riesci a trovare il
modo di giustificare e razionalizzare qualsiasi nefandezza. Quando il male
diventa bene ed il bene diventa male, gli uomini malvagi regnano incontrastati.
Il
loro problema qui, è che la coscienza è un prodotto psichico innato, derivante
dalla natura archetipica duale di questo mondo. È radicata nel nostro DNA (o
nelle nostre anime, per chi è credente). Non può essere cancellata. Il
relativismo morale impone di trattare ogni questione come un’ambigua ‘sfumatura
di grigio’. Ma questo atteggiamento non è pratico.
La coscienza
ci impone di etichettare in senso duale, binario, ogni situazione, ed agire in
base a ciò che sentiamo sia giusto, date le circostanze. Questo significa che
bianco e nero esistono eccome, e che esistono degli imperativi molto ben
delineati.
C’è quasi
sempre un lato bianco ed uno nero, un lato giusto ed uno sbagliato.
I
cosiddetti ‘dilemmi morali’ sono estremamente rari. Personalmente non credo di
avere mai avuto a che fare nella realtà con un autentico dilemma morale.
Tutte le volte che ho assistito a dilemmi
morali, è stato nei film ed in televisione, ove vige il principio secondo cui
l’unico modo di risolvere i problemi, risieda nell’applicazione del relativismo
morale.
Occorre notare che – a dispetto della preponderanza
del relativismo morale nella nostra cultura mainstream – questa ideologia
ancora stenta a prendere piede. Se fosse stato così facile sabotare la
coscienza umana, il globalismo avrebbe raggiunto il suo obiettivo da secoli. Ma
siamo ancora ben lontani da quel giorno, ammesso che mai ci sarà. Chiunque
abbia ‘progettato’ la nostra coscienza merita quindi un applauso.
Collettivismo
Vs. Individualismo.
Gran
parte del nucleo ideologico del globalismo arcobaleno , ha a che fare con il
sacrificio dell’individualità e della sovranità per il bene della
‘collettività’; in una parola, promuovono il collettivismo.
Naturalmente
sappiamo che, nella realtà, i gruppi – al contrario degli individui – non
esistono; sono cioè delle astrazioni che esistono solo fintanto che il singolo
individuo di cui si compongono, li riconosca come legittimi. Purtroppo, i
collettivisti stentano ad accettare questo semplice fatto, dal momento che ciò
vorrebbe dire, che la cosiddetta ‘collettività’- non importa quanto
utopisticamente la si idealizzi – non è, né mai potrà essere, l’espressione più
elevata dell’esistenza umana. L’individuo è, e resterà per sempre, l’unica reale
espressione dell’esistenza umana non ideologica.
I
globalisti arcobaleno si affannano nel tentativo di convincere la gente che
l’individuo sia pericoloso e che il collettivismo sia l’unica soluzione, per
evitare le tragedie innescate da coloro che desiderano essere separati. Eppure,
dati alla mano, quasi tutte le tragedie a cui da tempo stiamo assistendo, sia
su scala nazionale che globale, sono state in realtà progettate ed eseguite
proprio dai globalisti… non da individui indemoniati o nazioni sovrane in cerca
di guai. Tuttavia, il messaggio diffuso dalla propaganda, è che il concetto
stesso di sovranità sia una consuetudine barbarica appartenente al passato, e
che per ‘il bene di tutti’ dovrebbe essere superato.
Per
diffondere l’ideologia globalistica arcobaleno, tuttavia, le élite sono
costrette a coinvolgere le persone ad un livello psicologico individuale. La
maggior parte degli esseri umani ha un desiderio intrinseco di interagire con i
propri simili, ma è anche dotata di un’identità individuale che pretende di
svilupparsi senza subire interferenze. Ci piace appartenere ad un gruppo,
fintanto che la nostra partecipazione sia sana e volontaria, e conseguenza di
una nostra libera adesione.
Gli
esseri umani sono istintivamente tribali, ma tale tendenza non è illimitata ed
incondizionata. Esistono dei limiti psicologici e antropologici ben precisi, i
quali circoscrivono la portata della nostra tribù ideale. Robin Dunbar,
professore di Psicologia Evolutiva, nel 1990, appurò che esiste un limite
cognitivo al numero di individui con cui qualsiasi persona sia in grado di
mantenere relazioni stabili. Il professor Dunbar stimò questo numero tra le 100
e le 200 persone. Appurò inoltre, che le tribù e le comunità socialmente più
efficaci, tendano a rimanere tra i 500 ed i 2500 membri.
La
mente umana non si adatta alla dilatazione del gruppo tribale e rifugge l’idea
di una ‘tribù globale’.
La
verità è che gli esseri umani funzionano molto meglio in piccoli gruppi, e mal
sopportano l’idea di appartenere ad un gruppo a cui non abbiano liberamente
scelto di aderire, tanto più se stiamo parlando di un gruppo sterminato.
Questo
spiega il senso di isolamento sociale, molto frequente, nelle persone che
vivono nelle aree metropolitane. Circondate da milioni di concittadini, eppure
isolate, a causa dell’inadeguatezza strutturale delle loro ‘tribù’.
Grandi
numeri di persone possono stringersi attorno ad un ideale che condividono, e
formare delle federazioni di tribù denominate nazioni (per proteggere
quell’ideale), ma dovrebbe sempre trattarsi di un’adesione spontanea.
Le pretese del collettivismo globalista arcobaleno
sono semplicemente innaturali, artificiose. La gente, ormai, ha intuito che il
processo di globalizzazione sta avendo luogo attraverso una serie di atti
autoritari ed ingannevoli, ed ha iniziato a mettersi di traverso, per sabotare questa agenda di Klaus
Schwab.
Controllo
Totale Vs. Realtà.
Crisi
ideologica globalista arcobaleno.
Ecco
dove la struttura ideologica globalista inizia a denotare evidenti crepe. La
ricerca elitaria del controllo sociale totale, appare davvero perversa e folle,
e la follia finisce sempre per generare delusione e debolezza. Il punto qui, è
che le oligarchie non riusciranno mai a raggiungere l’obiettivo del
micro-controllo integrale. È matematicamente e psicologicamente impossibile.
La
realtà non può esser sopraffatta dall’ideologia.
In primo
luogo, qualsiasi sistema complesso presenta costantemente una serie di elementi
che non possono essere quantificati o previsti. Per comprendere questo concetto
vi consiglio di approfondire il ‘Principio di Indeterminazione’ di Heisenberg, il quale impone che chi osservi un
sistema in azione, anche a distanza, finisca sempre per influenzarne il
funzionamento, indirettamente o inconsciamente, e con modalità imprevedibili.
Tutto ciò limita la capacità dell’osservatore (controllore), di percepire in senso
oggettivo, gli elementi di ciò che osserva. Ed ecco come mai il cosiddetto
‘controllo totale’ resterà per sempre un’utopia irraggiungibile.
Questo
principio si applica anche alla psicologia umana, come confermano numerosi
ricercatori. Il medico, l’osservatore, non è mai in grado di osservare il
proprio paziente senza influenzarne indirettamente il comportamento. Pertanto,
non si potrà mai avere un’analisi del tutto obiettiva del paziente
psicanalizzato.
Le
élite vorrebbero edificare un sistema che consenta loro di osservarci ed
influenzarci tutti indistintamente, senza innescare reazioni inattese, tuttavia
le leggi della fisica e della psicologia, negano decisamente che ciò potrà mai
accadere. Esisteranno sempre incognite, radicali liberi, wild card. Il sistema
più perfetto può essere abbattuto da un’unica incognita.
Utopia
Apoetica.
Per
portare la discussione su un livello di matematica pura, vi consiglio di
approfondire gli studi di Kurt Gödel, con la sua ‘Prova di Incompletezza’.
Queste ricerche sono a mio avviso la prova finale che, in realtà, la vera
battaglia contro i mulini a vento, è quella combattuta dalle élite.
Gödel
si prefisse di dimostrare o confutare definitivamente l’idea che un giorno si
fosse potuto definire il concetto di ‘infinito’ in termini matematici. Infatti,
se fosse stato possibile definire, interpretare e comprendere l’infinito
matematicamente, allora sarebbe stato possibile definire, interpretare e
comprendere anche l’universo nel suo insieme.
Godel
tuttavia dimostrò l’esatto opposto.
La sua Prova di Incompletezza stabilì
matematicamente e definitivamente, che l’infinito è un paradosso indefinibile
attraverso la matematica.
Tenete
presente che una Prova è un insieme di leggi matematiche certe ed
inconfutabili. Due più due farà sempre quattro; non sarà mai uguale ad altro.
Il ben
noto globalista Bertrand Russell lavorò senza sosta per dimostrare che la
totalità dell’universo potesse essere codificata in cifre, scrivendo una
mostruosità in tre volumi intitolata “Principia Mathematica”.
Gli
sforzi di Russell furono tuttavia infruttuosi e poi letteralmente spazzati via
dalla prova di Godel. A quel punto, Russell si scagliò contro la Prova di
Godel, ma senza alcun successo.
Ora,
per quale ragione un elitista come Russell che sosteneva apertamente la
religione scientista fu tanto disturbato dagli studi scientifici di Godel?
Ebbene, perché Godel in termini matematici,
distrusse letteralmente il nucleo dell’ideologia globalista.
Dimostrò
che le velleità apoteotiche (grandiose, trionfali) dei globalisti fossero
destinate a restare tali. Dimostrò che esistono dei limiti invalicabili dalla
conoscenza umana e dalla capacità umana di padroneggiare i sistemi complessi. Questa verità è qualcosa che i
globalisti arcobaleno non riusciranno mai a digerire, perché farlo
certificherebbe l’inutilità dei loro secolari sforzi organizzativi e
propagandistici.
Conclusione.
Il loro
problema risiede nelle incognite. La società umana potrà mai essere del tutto
dominata?
In
alternativa, è possibile che l’atto di ribellione contro la stagnazione dei
sistemi oppressivi, sia una conseguenza naturale ed inevitabile? È plausibile ritenere che più le
élites avvolgono il mondo in una gabbia, più tendano ad innescare reazioni
imprevedibili capaci di minare la loro stessa autorità?
Ciò
potrebbe spiegare la costante attenzione del sistema nei confronti dei
cosiddetti ‘lupi solitari’ e delle potenziali ‘disfunzioni’ arrecabili da
chiunque viva fuori dai binari del sistema. Questo è ciò che le élites temono di
più: la possibilità che, nonostante tutti i loro sforzi di sorveglianza e
manipolazione, individui e gruppi possano un giorno spodestarli dopo essere
stati colti da un impulso imprevedibile. Niente chiacchiere, nessuna traccia
elettronica, nessun avviso.Questo è il motivo per cui sono destinati a
soccombere. Non possono conoscere tutte le incognite.
La
totalità del loro schema utopistico, ruota attorno alla necessità di rimuovere
ogni incognita, senza comprendere che il controllo a questi livelli oltre ad
essere estremamente fragile, è anche estremamente rischioso.
Nella
loro arroganza, ignorano i moniti ricevuti dalla loro stessa religione, cioè la
scienza. Il loro passaggio lascerà nel mondo una scia di distruzione, ma il loro
destino è già scritto: falliranno miseramente!
(B.
Smith -
alt-market.com/articles/2950-the-reasons-why-the-globalists-are-destined-to-lose)
Suprematisti
bianchi,
mutazione
antropologica
neoliberista,
destra
radicale e armi.
Transform-italia.it
– (08/06/2022) - Alessandro Scassellati – ci dice:
La
riflessione sul suprematismo bianco, partendo dalla mutazione antropologica
avvenuta con il neoliberismo, per poi passare a ragionare sul “contro-movimento”
della destra radicale e reazionaria e sul mondo paranoico dei ricchi.
Tutti
elementi che fanno tornare di attualità le ricerche sviluppate dalla Scuola di
Francoforte sulla personalità autoritaria tra gli anni ’30 e ’60 del secolo
scorso. In chiusura, alcune riflessioni sull’interazione tossica tra il
radicalismo reazionario del Partito Repubblicano e il “diritto” a possedere e
portare armi da guerra negli USA.
Mutazione
antropologica e paradigma neoliberista.
La
pandemia da CoVid-19 ha fortemente rivalutato il ruolo dell’intervento pubblico
nell’economia e nella società, rendendo visibile quanto potere e quali impatti
può avere lo Stato quando si rende conto che deve agire con decisione per
proteggere la salute e il benessere dei cittadini oppure rischiare di essere
visto come un ente o un regime politico fondamentalmente superfluo o
illegittimo.
Durante
questa pandemia (ancora in corso a livello globale) la vita pubblica è stata
più volte fermata in molti Paesi attraverso il “distanziamento sociale”, le
restrizioni e i lock-down, ma gli interventi degli Stati in varie forme – dai
pacchetti fiscali di sussidi a disoccupati e aiuti a famiglie e imprese alle
campagne di vaccinazioni, dagli interventi massivi da parte delle banche
centrali (azzeramento dei tassi di interesse e acquisto di buoni del tesoro e
obbligazioni corporate) al lancio di programmi tesi a promuovere
un’accelerazione della transizione ecologica e digitale delle economia (come
nel caso del programma Next Generation EU) – sono stati imponenti (si veda il
nostro articolo qui).
Allo
stesso tempo, il dibattito pubblico ha accelerato, investendo moltissimi temi
critici: i compromessi tra un’economia in rovina e la salute pubblica, le virtù
dei sistemi sanitari centralizzati o decentrati sui territori, le fragilità
della globalizzazione (scombinamenti nella logistica, catene di
approvvigionamento, divisione internazionale del lavoro, rischi geopolitici,
etc.), il futuro politico-istituzionale dell’Unione Europea e della sua
“autonomia strategica”, le disuguaglianze socio-economiche (tra i super ricchi
e coloro con lavoro e reddito garantito e coloro privi di alcuna sicurezza,
alla mercé dei “capricci del mercato”, ossia delle tendenze socialmente
distruttive del capitalismo), il reddito universale di base, il reddito minimo,
il populismo, il nazionalismo, il vantaggio intrinseco dell’autoritarismo
(decisioni rapide, anche se impopolari).
Soprattutto,
nei Paesi ricchi occidentali sono stati messi in discussione orientamenti
politico-culturali ed economici neoliberali divenuti egemonici a partire dalla
fine degli anni ’70, allorquando partiti politici conservatori e, dopo il 1989,
anche alleanze progressiste di centro-sinistra fautrici della Terza Via –
frutto di grandi coalizioni tra democratici liberal, socialdemocratici,
socialisti, cristiano-sociali che hanno adottato le piattaforme politiche ed
economiche neoliberali delle destre conservatrici, cercando di dotarle di “un
volto umano” -, avevano ottenuto il sostegno di gran parte della classe media
(ossia di quella classe che lo storico new-idealista americano Arthur
Schlesinger Jr. aveva definito nel 1949 il “centro vitale” del sistema politico
democratico di massa) e avevano vinto le elezioni sulla base di un chiaro programma
politico “liberale “, finalizzato a rilanciare il capitalismo imprigionato
nelle crisi del Fordismo e del Keynesismo.
Partiti
politici conservatori e progressisti hanno sostenuto che gli elevati tassi di
crescita economica degli anni ’50-‘60 (i “Trenta gloriosi”) sarebbero stati
nuovamente raggiunti se solo si fosse dato modo alle forze del libero mercato
di agire più liberamente e per questo hanno combattuto e cercato di smantellare
le forme di potere burocratico, statalista, socialista, consociativo e
corporativista.
Un’agenda
politica che ha promesso che individui, famiglie, comunità e affari sarebbero
rifioriti soltanto dopo aver spezzato le catene dello Stato sulla società,
lasciando libero il settore delle imprese private – il mercato con i suoi “animal spirits” – di controllare ogni aspetto della
vita delle persone, e che si è concretizzata in un programma economico
neoliberista, volto a ridurre salari, tutele, diritti, spesa sociale e servizi
pubblici, privatizzando imprese, servizi e beni pubblici, deregolamentando i
mercati, a cominciare da quello finanziario, e rendendo “flessibile” il mercato
del lavoro.
Le
implicazioni di questo vasto programma divennero subito chiare con la
pubblicazione di un articolo intitolato “No more free lunch for the middle
class” (niente
più pasto gratis per la classe media) nel New York Times Magazine del gennaio
1982, scritto da Peter G. Peterson, ex Segretario al Commercio USA e presidente
del consiglio di amministrazione di Lehman Brothers Kuhn Loeb Inc., il grande operatore di Wall Street
destinato a crollare nel 2008 durante la crisi finanziaria dei mutui subprime.
L’attuazione
del programma neoliberista ha voluto dire meno welfare (meno universalismo, più
selettività nei diritti di accesso, e work-fare), maggiore precarietà dei lavoratori
(specie se giovani, donne, anziani, di etnie minoritarie, disabili, immigrati),
salari (reali) più bassi, dequalificazione di ampi segmenti dei lavoratori,
aumento dell’intensità del lavoro più che della sua produttività, diminuzione
dei diritti e della sicurezza dei lavoratori, i quali sono stati costretti a
diventare più flessibili in termini di dove lavorano, quali sono i loro
compiti, quali condizioni lavorative devono affrontare, quanto e quando
lavorano, e così via.
Come
esemplificato dal film “Sorry we missed you” (2019) di Ken Loach, se i tempi di
lavoro sono diventati imprevedibili e senza orari definiti, le persone sono
costrette a fare i salti mortali per organizzare le loro vite e quelle delle
loro famiglie.
Ne è
risultata una struttura fortemente segmentata e differenziata dei mercati del
lavoro assai diversa da quella della fase Fordista e che ha ridotto ai minimi
termini i lavoratori dei vecchi settori centrali (falcidiati dai processi di
crisi aziendali, delocalizzazione, automazione e digitalizzazione della
produzione) e il potere contrattuale dei lavoratori specializzati, accentuando
allo stesso tempo la vulnerabilità dei diritti dei gruppi meno qualificati e
più svantaggiati – persone con bassi livelli di istruzione, donne, giovani,
anziani, minoranze etniche, migranti, portatori di handicap -, i cui salari
tendono ad essere schiacciati verso il basso anche come conseguenza
dell’esistenza di varie forme di sistematico razzismo e pregiudizio normativo
ed istituzionale.
Ad
esempio, in Paesi come USA, UK o Brasile, dove neoliberismo e razzismo hanno
operato e operano in sinergia per frammentare la classe lavoratrice.
Nei
Paesi ricchi, salari stagnanti e peggiori condizioni di lavoro sono stati
accompagnati da una enorme crescita dell’indebitamento privato e dei consumi a
buon mercato (“lo sconto cinese”) ottenuti grazie alla “globalizzazione”
economica, ossia attraverso la finanziarizzazione della vita delle persone
comuni e la gestione da parte delle global corporations di imponenti flussi di
merci prodotte dalle “supply and value chains” nei Paesi emergenti e poveri.
Sono
stati così riconfigurati gli assetti socio-economici esistenti alla fine degli
anni ’70 in modi che non hanno rappresentato solo delle risposte alla crisi
dell’accumulazione capitalistica o alla rinascita del potere di classe dei
detentori di capitale dopo gli avanzamenti del movimento operaio e sindacale
degli anni ’60 e primi ‘70, ma sono state anche parte di un progetto di
cambiamento antropologico, intellettuale, politico e ideologico teso a
riprogrammare la governabilità liberale, ridefinendo i rapporti tra Stato,
democrazia, società ed economia.
Profeticamente,
già nella prima metà degli anni ’70, il poeta Pier Paolo Pasolini denunciava
che era in atto una “metamorfosi antropologica”, ovvero la costruzione di
un’altra tipologia umana rispetto al passato, diversa per caratteristiche di
coscienza, autopercezione, desideri, aspettative e valori, basata
sull’omologazione consumistica, “un edonismo consumistico neo-laico, ciecamente dimentico di
ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.” Un tema affrontato, in chiave
ampiamente dispotica ed apocalittica, anche da molti scrittori contemporanei
come Philip K. Dick, J. D. Ballard e altri.
Una
“mutazione antropologica” messa in luce anche da Michel Foucault (1926-1984)
che alla fine degli anni ‘70 aveva parlato della nascita della società
disciplinare biopolitica e dell’impegno attivo dello Stato nella costruzione di
un contesto ambientale ed istituzionale orientato ad una governa-mentalità che
rende possibile che la vita sia sempre più funzionale rispetto alle esigenze
del sistema economico di mercato e che si potesse costruire un uomo flessibile
– una “soggettività desiderante” libera di scegliere ed intraprendere senza
altro fine che la valorizzazione del proprio “capitale umano” – che deve
sapersi incessantemente adattare ad esso, interiorizzandone i princìpi e
comportandosi secondo le sue sempre mutevoli esigenze.
Al
fondo del neoliberismo c’era l’irresistibile promessa libertaria anarchica
della liberazione centrata sulla più assoluta autonomia e resilienza
individuale: tutti avrebbero potuto diventare imprenditori di sé stessi, arricchirsi,
mettersi alla prova, competere per migliorare la propria posizione sociale,
rimanendo sé stessi, liberandosi da ogni autorità e da ogni governo, obbedendo solo ai propri istinti
vitali, coltivando e amplificando i propri talenti e “spiriti animali”, anche a
spese degli altri, senza preoccuparsi dell’interesse generale e di doverne
pagare delle conseguenze.
Una
narrazione basata sul darwinismo sociale che sul piano politico-culturale ha
trasformato ogni cittadino in un io-legislatore che, quando esercita la sua
potestà, non è tenuto a interrogarsi sul “bene comune”, sulle ricadute delle
sue decisioni sull’insieme della comunità, locale, nazionale o globale che sia,
poiché gli si richiede di essere laborioso e di calcolare costi e benefici
delle sue scelte soltanto per sé e quando va bene per la sua famiglia o fazione
politica.
Le persone sono state incoraggiate a
concepirsi più come consumatori che come cittadini, e a privilegiare soluzioni
privatistiche anche a problemi che hanno una dimensione indiscutibilmente
pubblica, come la sanità, l’istruzione, la sicurezza.
Per
cui, l’individuo tende a non concepirsi come parte di una comunità più vasta e
i suoi diritti non possono essere sacrificati neanche in nome della sicurezza
collettiva. Una libertà individuale assoluta, senza fraternità né uguaglianza.
Questo
spiega anche il culto del diritto di portare armi da parte di molti cittadini
degli Stati Uniti, Paese dove l’ideologia neoliberista si è maggiormente
affermata in ambito politico-istituzionale e radicata tra la popolazione.
Un culto, che come ha notato Mattia Ferraresi,
è incardinato sul principio inviolabile della libertà individuale, poggia sulle
idee dell’auto-possesso e dell’autodeterminazione, dalle quali discende il
diritto di proteggersi secondo modalità che non siano sottoposte ad
un’autorità.
“L’idea
della libertà puramente negativa (libertà “da”: dallo Stato, dalle leggi, dagli
altri) con cui si giustifica il possesso delle armi è la stessa invocata per
celebrare conquiste e progressi nell’ambito dei diritti individuali. Il diritto
di disporre di sé, del proprio corpo, delle proprie inclinazioni, della propria
sessualità, della propria sicurezza introduce anche il suo rovescio demoniaco:
le armi come feroce certificazione dell’indipendenza individuale. …
L’insolubile
tragedia americana delle armi abita in quella zona d’ombra della modernità in
cui la liberazione dal controllo degli altri confina con la dittatura dell’io.”
Una
mutazione antropologica che ha travolto empatia, sensibilità sociale,
cooperazione, solidarietà e qualsiasi dimensione collettiva, favorendo il
prevalere di una mentalità individualista, egoista, cinica e psicotica.
Si è così aperta la strada sia per movimenti politici
– dai suprematisti bianchi al movimento radicale antistatalista e anti-tasse
del Tea Party americano, dal movimento dei ceti medio-bassi dei gilet gialli
francesi ai “negazionisti” della pandemia da CoVid-19 – che promuovono
apertamente narrazioni complottiste – ad esempio, quella della “grande
sostituzione” della popolazione bianca o quella del “the great reset” del capitalismo che
immagina che un’élite globalista stia utilizzando il CoVid-19 come
un’opportunità per implementare politiche economiche e sociali radicali come
vaccinazioni forzate, carte d’identità digitali e rinuncia alla proprietà privata – e il rifiuto di regole (che, a
torto o a ragione, sono accusate di attaccare le libertà individuali e frenare
lo sviluppo economico) e istituzioni che le emanano, sia per la degenerazione delle
democrazie liberali in democrazie plebiscitarie e autoritarie (su questo tema si veda Revelli M.,
Umano, inumano, postumano, Einaudi, Torino, 2020).
D’altra
parte, la pandemia da CoVid-19 e la conseguente crisi sociale ed economica
hanno dimostrato che il modello individualista è stato il migliore alleato del
virus e che la libertà individuale è illusoria, non significa nulla senza
giustizia sociale, ossia se poi non si ha abbastanza da mangiare, se viene
negato un accesso adeguato ad un’assistenza sanitaria, ad un lavoro, ai
trasporti, all’istruzione, ad un alloggio.
La
libertà individuale senza limiti significa non doversi prendere la
responsabilità per le altre persone (le “vittime”, gli “scartati”, i poveri, i
senza fissa dimora, gli anziani, i bambini, i Rom, etc.) o per l’ambiente e i
sostenitori di questa “libertà” non cercano di costruire una comunità politica
nazionale, ma di essere lasciati soli, di non essere disturbati, anche se ciò
significa morire in una solitudine disperata di CoVid-19 o di overdose da
oppioidi o durante una strage di massa dovuta ad un “mass shooting” realizzato
da un suprematista bianco o da una persona mentalmente instabile armata e
accessoriata come un commando delle forze speciali o dei marines.
Oggi,
però, in molti Paesi ricchi ed emergenti, sempre più cittadini esprimono sul
piano politico il proprio forte malcontento verso il binomio
neoliberismo-globalizzazione, diventato egemone a seguito delle scelte
politiche ed economiche “liberali” adottate dalle classi dirigenti occidentali
nel corso degli ultimi 40 anni. Vedono che questo binomio non è stato in grado
di far materializzare la prosperità tanto promessa e vagheggiata, e che
comunque i vantaggi da esso derivanti sono andati e stanno andando in modo
sproporzionato ad un ristretto segmento, già ricco e potente, della popolazione
(l’1% o il 10%) e delle grandi imprese monopolistiche globali.
Questo
mentre i costi e le ricadute negative della maggiore apertura (economica,
sociale, culturale, migratoria/demografica, etc.) tendono a colpire solo le
classi medie e quelle più povere, oltre ad ampi segmenti delle piccole e medie
imprese nazionali.
La
globalizzazione arcobaleno regolata dal neoliberismo ha contribuito a far
aumentare la dimensione della torta economica globale e, in media e in termini
aggregati, è stata vantaggiosa per la maggior parte dei Paesi,
indipendentemente dal loro livello di sviluppo.
Tuttavia
non tutti – Paesi, territori, imprese, gruppi sociali ed individui – hanno
beneficiato e beneficiano ugualmente e in molti hanno sofferto e soffrono
perché il processo è stato guidato da una riorganizzazione industriale e
finanziaria planetaria motivata da una redistribuzione massiva del reddito al
capitale a scapito del lavoro, nell’ordine di 10-15 punti nei 37 Paesi OCSE.
Sono
state soprattutto le risposte dell’establishment – o meglio, la loro mancanza –
alle questioni economiche e sociali che hanno creato i maggiori problemi a
livello sia nazionale sia euro-americano.
Negli
ultimi decenni, ad esempio, il numero di cittadini di origine straniera e non
di pelle bianca è cresciuto fino a livelli storicamente senza precedenti in
Europa e negli USA, ma i politici e i partiti tradizionali hanno prestato poca
attenzione a garantire che venissero messe in campo le necessarie politiche e capacità
istituzionali per l’accoglienza e l’interazione interculturale e gestire i
cambiamenti e le tensioni sociali e culturali che erano in atto (ad esempio,
attraverso un’espansione nei servizi di istruzione e programmi di
riqualificazione per adulti).
Poco
si è riflettuto anche su come sarebbero stati protetti i sistemi di welfare o
su come si potesse realizzare l’integrazione nel mercato del lavoro e negli
altri ambiti sociali, dando mano libera alle forze di mercato, al perseguimento
dell’interesse individuale e alla crescita delle disuguaglianze, e su come si
potesse mantenere la coesione sociale, la “fraternità”, ossia la solidarietà,
la partecipazione e lo spirito comunitario che sono necessari per una sana
democrazia e per qualsiasi serio sforzo collettivo.
Dato
che i politici mainstream non hanno saputo dare risposte adeguate e voluto
cambiare lo status quo, non sono intervenuti sulle crescenti disuguaglianze,
non hanno evitato la riduzione di reddito e lavoro, non hanno cercato di
modificare un sistema economico/finanziario iniquo, un crescente numero di
cittadini in difficoltà si è sentito abbandonato dai partiti politici
tradizionali.
Questo
ha contribuito a creare un’apertura politica per la “destra sociale” populista
che non solo punta il dito contro il migrante, il perfetto capro espiatorio
divenuto il simbolo del nemico da cui ci si dovrebbe difendere, trasformando la
paura in odio, ma in alcuni casi ha assunto, seppure in modo distorto,
posizioni che erano state della sinistra socialdemocratica e comunista,
compresa la difesa dello stato sociale, dell’interventismo governativo e dei
valori laici, rivendicando più attenzione agli interessi dei settori
piccolo-medio borghesi (PMI, imprese a basso tasso di innovazione tecnologica,
artigiani, commercianti, agricoltori e professionisti tradizionali) penalizzati
dal processo di globalizzazione, e arrivando a raggiungere anche i lavoratori e
altri elettori disillusi ed alienati che in un’epoca precedente avrebbero
votato per politici e partiti socialdemocratici o comunisti.
L’ascesa
globale di un nazionalismo conservatore che sembra avere l’obiettivo di creare
forme più statalizzate di capitalismo nazionale e “comunità nazionali” –
dirette da leaders carismatici indiscutibili che ambiscono a difendere valori
nazionali tradizionali speciali, controllare i confini contro i virus
dell’immigrazione non bianca, del multiculturalismo e dell’influenza
“straniera” (dagli attivisti dei diritti umani ai migranti musulmani, dai
terroristi alla grande finanza, dall’Unione Europea al miliardario finanziere e
filantropo “globalista” ebreo ungherese naturalizzato americano George Soros,
fautore della “società aperta” auspicata dai filosofi-economisti neoliberisti
austriaci Karl Popper e Friedrich August von Hayek) – è rapidamente divenuta una
minaccia, perché rappresenta la ricetta per la repressione domestica, il
capitalismo clientelare, la corruzione massiccia, l’implosione dello Stato di
diritto, l’erosione dei diritti individuali e sociali di cittadinanza, l’ascesa
di razzismi e conflitti internazionali.
Tra
l’altro, con i nazionalisti conservatori e reazionari, così come avveniva con i
politici mainstream, le questioni che riguardano davvero la maggioranza della
popolazione, i milioni di lavoratori – la riduzione del lavoro stabile, ben pagato
e di qualità, le disuguaglianze sociali, la vecchiaia in povertà, l’insicurezza
e lo sfruttamento del lavoro, i problemi abitativi, la negazione dei diritti
sociali – sono onnipresenti, ma non vengono realmente affrontate, perché anche
questi “uomini nuovi” non mettono in discussione il paradigma economico
neoliberista, il modo disumanizzante in cui il capitalismo opera, non
considerando questo il problema, ma la soluzione, ancorché declinata in una
logica territoriale “sovranista”.
Ciò
risulta evidente dalle politiche economiche nazionali che finora hanno
perseguito: nuova detassazione per i ricchi, ulteriori deregolamentazioni
(anche in campo ambientale) e privatizzazioni, tagli generalizzati ai capitoli
di spesa sociale per trasferire le disponibilità alla spesa militare e
securitaria, nessun vantaggio diretto per la classe lavoratrice se non la
promessa di una reindustrializzazione da parte delle imprese incentivate da
protezionismo e detassazione degli utili.
Gli
economisti dell’Università di Berkeley, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman (2019a,
2019b) hanno calcolato che i tagli fiscali da 1,5 trilioni di dollari di Donald
Trump hanno aiutato le 400 dinastie miliardarie più ricche negli Stati Uniti
(quelle della “lista Forbes”) a pagare nel 2018 un’aliquota fiscale media del
23%, mentre la metà inferiore delle famiglie americane ha pagato un’aliquota
del 24,2%.
Nel
2018, per la prima volta nella storia moderna degli Stati Uniti, il capitale è
stato tassato meno del lavoro. Dal 1980, la quota della ricchezza americana di
proprietà delle 400 dinastie americane miliardarie è quadruplicata mentre la
quota di proprietà della metà inferiore della popolazione americana è
diminuita. Le 130 mila famiglie più ricche in America ora possiedono quasi
quanto il 90% meno ricco (117 milioni di famiglie). Secondo Saez e Zucman, se
l’1% più ricco della popolazione americana pagasse un’aliquota fiscale del 60%,
lo Stato federale USA incasserebbe circa 750 miliardi di dollari in più l’anno,
sufficienti per pagare asili nido per tutti i bambini, un programma di
infrastrutture e molto altro.
Questo
modo di procedere sul piano economico, insieme alla rimozione della questione
sociale dal dibattito politico, è particolarmente pericoloso perché favorisce
chi ha già privilegi e punisce i ceti già deboli, allargando le disuguaglianze
e contribuendo all’ulteriore ascesa dell’estrema destra.
Un circolo vizioso, perché l’ascesa dei nazionalisti
di destra non potrà essere interrotta finché non ci sarà una rottura con le
politiche neoliberiste orientate al libero mercato che – come Karl Polanyi ha
sostenuto – distruggono la società e inaspriscono gli squilibri nell’economia
globale.
Si
tratta di tentativi di sostituire l’ideologia della “globalizzazione felice” o
del “globalismo arcobaleno” – che secondo i sostenitori di queste posizioni
politico-culturali vorrebbe annullare i princìpi delle identità nazionali,
l’esistenza stessa dei confini e sancire il diritto umano di emigrare – per
dare vita a forme regressive e ciniche (“realistiche”) di neoliberismo
nazionale attenuate da politiche sociali assistenziali tese a lenire le
sofferenze di segmenti molto limitati del corpo sociale nazionale.
Da
questo punto di vista, il populismo nazionalistico conservatore, se non proprio
reazionario ed autoritario, rappresenta il volto politico del neo-libelarismo
in crisi. Risposte illusorie e pericolose ai guasti economici ed istituzionali
che aggravano la crisi dei ceti medi e popolari, invece che arrestarla. Gli “uomini nuovi” del campo della
destra reazionaria cercano di far credere che il ripristino di uno Stato
nazionale governato con pugno di ferro (con “i pieni poteri”), dotato di tutti
i suoi attributi di sovranità interna ed esterna, capace di chiudere i suoi
confini ai migranti, di imporre alla popolazione leggi finanziarie e di mercato
più dure e di respingere tutti gli accordi di cooperazione internazionale sul
clima, sia l’unico modo per migliorare la situazione sociale della stragrande
maggioranza della popolazione.
Se le principali minacce diventano i migranti, i
nemici “delle nostre origini giudaico-cristiane”, George Soros o le
importazioni cinesi, questi leader sostengono che sia possibile una nuova
politica pro-capitalista su base nazionale che si pone come obiettivi tenere
fuori il proprio Paese dalle istituzioni e dai flussi non graditi di capitale,
merci e, soprattutto, persone – migranti economici, profughi, richiedenti asilo
e rifugiati di pelle non bianca, quelli che Trump ha definito “animali”
provenienti da “shithole countries” -, in modo da implementare la propria
versione nazionale di neoliberismo conservatore, etnico, razzista, reazionario
e autoritario.
Il
contro-movimento della destra radicale e il suprematismo bianco.
Su
come si esce dalla crisi del paradigma politico-ideologico neoliberista ho
provato a ragionare in un articolo dedicato al pensiero di Karl Polany,
evidenziando il rischio che se ne esca a destra piuttosto che a sinistra.
Quello che è certo è che il “vento nuovo che sta scuotendo il mondo”,
infliggendo un’apparente sconfitta politica al binomio
neoliberismo-globalizzazione sta soffiando a seguito di una contro-offensiva da
parte delle forze politiche e culturali più radicalmente conservatrici,
nazionaliste, reazionarie, fondamentaliste ed integraliste della destra
autoritaria (insieme a nuovi partiti/movimenti del “centro estremo”
neoliberista, come i partiti/movimenti La République en Marche di Macron in
Francia e il primo Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo in Italia).
Utilizzando
come armi un linguaggio tutto fatto di irrisione, cattivismo e scherno, una
vasta presenza sui social media e il cosiddetto populismo reazionario
“nativista”, neo-nazionalista, neo-protezionista, xenofobo, securitario e
fondamentalista religioso, questa destra radicale è riuscita finora a costruire
delle “comunità del rancore” e a cavalcare la rabbia anti-globalizzazione,
anti-establishment, anti-finanziarizzazione, anti-multiculturalismo,
anti-immigrazione e anti-complessità di ampi strati dei ceti medi e popolari
americani ed europei (e non solo) indignati, impauriti e impoveriti dagli
effetti negativi della globalizzazione neoliberista, della sua crisi dopo i
crolli economici e finanziari del 2007-08 (crisi dei mutui subprime) e del
2020-21 (pandemia da CoVid-19) trasformandola in consenso elettorale vincente –
da Trump a Johnson, ad Orbàn, a Kaczyński – contro ogni aspettativa, analisi e
valutazione da parte di osservatori, analisti e politici mainstream.
D’altra
parte, il cambiamento sociale avvenuto negli ultimi 40 anni, oltre alle
crescenti disuguaglianze, ha visto mettere in discussione le norme e gli atteggiamenti
tradizionali sulla religione, la sessualità, la vita familiare e altro ancora, dall’emergere dei movimenti sociali
dei diritti civili, femminista e delle persone LGBTQ+ (Lesbian Gay Bisexual
Transgender Queer e altre minoranze di genere), mentre la massiccia
immigrazione e (specialmente negli Stati Uniti) la mobilitazione di gruppi di
minoranza da sempre oppressi come gli afroamericani e i latinos
(rispettivamente 55 e 68 dei 328 milioni di cittadini americani) ha contribuito
a sconvolgere gli equilibri socio-demografici e le gerarchie politiche
tradizionali, rendendo molti cittadini (soprattutto maschi) bianchi particolarmente
nervosi, risentiti e arrabbiati per la perdita di status e potere.
Da
questo punto di vista, nei Paesi occidentali ricchi il nuovo nazionalismo
reazionario è strettamente intrecciato all’ideologia del suprematismo bianco ed
è profondamente anti-democratico, perché si basa su una visione esclusivista,
totalitaria e parafascista della libertà – definita essenzialmente in termini
di identità “razziale”, nazionale, etnica e/o religiosa -, in cui il disprezzo
per la dignità, i diritti e la libertà dell’individuo non è incidentale, ma
fondativo e viene utilizzato come un’arma contro tutti coloro che si oppongono
al “nuovo ordine” protettivo nativista, razzista, anti-multiculturale,
machista, misogino e patriarcale. Un collettivismo repressivo in cui l’inclusione
non è data dai diritti, ma è fondata sull’individuazione degli “altri” che
vengono trasformati in nemici.
Sotto
la bandiera di un collettivismo ideologico repressivo, il nazionalismo di
destra promuove l’idea dell’unità del capitale e del lavoro e fa avanzare il
capro espiatorio razzista e xenofobo di immigrati, rifugiati, persone di
colore, musulmani e stranieri. Incoraggia l’identificazione con l’aggressore
attraverso una costituzione del popolo attraverso l’antagonismo contro i suoi
nemici, trasformati in oggetti di paura, consentendo di tradurre l’angoscia
economica in angoscia culturale identitaria.
Prevale
l’idea che, volendo continuare a perseguire politiche economiche nazionali
neoliberiste improntate al rigore e all’austerità, non ci siano sufficienti
risorse per tutti e che quindi debbano venire “prima gli americani” o gli
inglesi, o gli ungheresi, o gli italiani, ossia il “nostro” popolo, quello
considerato “vero” sul piano razziale-etnico-linguistico e dal quale dovrebbe
essere possibile esigere una lealtà pressoché assoluta, escludendo coloro che
non sono considerati “degni”, “integrabili” ed “assimilabili”: migranti,
poveri, LGBTQ+, “fannulloni”, rom e sinti (almeno 10 milioni in Europa),
agitatori sociali, anti-patrioti, musulmani, ebrei, femministe, comunisti,
anarchici, etc..3.
Ogni
“sovranista” allunga la lista dei denigrati, esclusi e perseguitati a seconda
dei gusti, delle circostanze e della voglia di alimentare le
divisioni/contrapposizioni amici-nemici, ma una caratteristica comune è quella
di essere “forti con i deboli e deboli con i forti”. In questo modo, questioni
di dissenso politico e di disagio sociale e culturale vengono trasformate in
questioni securitarie, penali, di “legge e ordine”.
Invece di essere delegate agli interventi di
uno Stato sociale universalistico, ormai sempre più sottofinanziato,
fragilizzato e frammentato, vengono affrontate con misure punitive e tecniche
repressive al punto da mettere a rischio il rispetto delle libertà civili e dei
diritti umani e sociali.
Lo
storico Eric J. Hobsbawm ha sostenuto nel suo capolavoro Il secolo breve (1995)
che “il cemento comune” dei movimenti della destra radicale europea che tra le
due guerre portarono al nazi-fascismo (il “regime reazionario di massa”, come
lo definì Antonio Gramsci), “era il risentimento dei ‘piccoli uomini’ in una
società che li schiacciava fra la roccia del grande affarismo da un lato e le
asperità dei movimenti in ascesa delle classi lavoratrici dall’altro.
Una
società che, come minimo, li privava della posizione rispettabile occupata
nell’ordine sociale tradizionale, e che essi credevano fosse loro dovuta, e che
d’altro canto impediva loro di acquisire all’interno del suo dinamismo uno
status sociale al quale si sentivano in diritto di aspirare. Questi sentimenti
trovarono la loro espressione caratteristica nell’antisemitismo…”
(1995:146-147).
I
radicali di destra di oggi sono animati dall’idea di una sorta di perverso
gioco a somma zero che permette loro di sentirsi meglio con sé stessi colpendo
gli altri, soprattutto i più deboli sul piano socio-economico e politico,
mentre ritengono che dover riconoscere che gli altri hanno bisogni e diritti
propri equivalga a togliere a loro questi bisogni e diritti. È un tentativo di
convertire la rabbia, il disprezzo culturale e l’odio sociale in autostima, ma
la frustrazione spinge questi radicali sempre più agli estremi.
Il
mondo paranoico dei ricchi.
Il
populismo reazionario è in grado di attirare, oltre che i ceti più vulnerabili,
anche gli elettori ricchi, in quanto il pregiudizio e l’ostilità possono essere
ugualmente prevalenti tra le fasce più abbienti della popolazione.
Mols e Jetten parlano di “paradosso della
ricchezza” e sostengono che le fasce più abbienti percepiscono che i confini
tra il loro gruppo e quelli socialmente inferiori (come il ceto medio) sono
permeabili, e quindi si percepiscono insidiate dal pericolo di un declino della
propria posizione.
Cercano
di rafforzare i meccanismi di legittimazione dei propri livelli di reddito e di
ricchezza che giustificano che altri gruppi stiano peggio, o perfino che
restino esclusi dall’accesso a fondamentali diritti e opportunità.
In
loro cresce il timore che la propria ricchezza possa dissiparsi in un breve
lasso di tempo, per l’instabilità politica o per quella economica, e accumulano
risentimento credendo di essere colpiti dalle misure di austerità più duramente
degli altri gruppi.
I veri
ricchi, come ha osservato F. Scott Fitzgerald ne “Il grande Gatsby”, “sono
diversi da te e me”, perché la loro ricchezza li rende “cinici dove noi siamo
fiduciosi” e li fa pensare che siano “migliori di noi “.
I
super ricchi americani sono consapevoli che nel medio e lungo termine queste
dinamiche sociali ed economiche così inique (basti pensare che i maschi
americani più ricchi vivono 15 anni in più rispetto ai maschi americani più
poveri, mentre per le donne gli anni sono 10) non sono sostenibili e in molti,
oltre a fare la tradizionale beneficenza filantropica, vivono nell’angoscia che
il Paese possa insorgere contro di loro e che nel prossimo futuro possano
scoppiare gravi disordini, sommosse, tensioni razziali e conflitti sociali.
I
super ricchi temono l’arrivo di una catastrofe (come nei casi degli uragani
Katrina e Irma), di una pandemia (come il coronavirus CoVid-19), di una guerra
civile, di una rivoluzione o di un collasso del governo e delle istituzioni.
Una
situazione di crollo dell’apparato statale che viene chiamata wrol – without
rule of law – cioè “fine dello stato di diritto”.
Per questo
si preparano a sopravvivere (“survivalism”) rifugiandosi in bunker sotterranei
con armi automatiche e provviste o predisponendo vie di fuga in rifugi dorati
in isole sperdute o in case di lusso in Nuova Zelanda, un arcipelago di oltre
600 isole che ai loro occhi offre distanza e sicurezza (ma dove di recente, per
contenere il “caro-casa” e bloccare l’”invasione” dei super ricchi americani e
cinesi, il governo laburista ha bloccato la possibilità di acquistare case da
parte di stranieri se non sono residenti).
Il
loro manifesto è il libro The sovereign individual: how to survive and thrive during
the collapse of the welfare state, pubblicato nel 1997, i cui co-autori sono James Dale
Davidson, un investitore privato specializzato nel consigliare i ricchi su come
trarre profitto dalle catastrofi economiche, e il defunto Lord William
Rees-Mogg, a lungo direttore del Times (il cui figlio, Jacob Rees-Mogg, è un
deputato e ministro ultra-conservatore pro-Brexit britannico).
Il libro-manifesto è un testo apocalittico e
distopico che preconizza il collasso della civiltà occidentale basata sullo
Stato-nazione, rimpiazzata da deboli confederazioni di città-Stato corporative,
con la presa del potere da parte di una “élite cognitiaria” globale, una classe
di individui sovrani in grado di controllare enormi risorse (una sorta di
neo-feudalismo oligarchico).
Inoltre,
molte delle persone più ricche della Silicon Valley (come Peter Thiel,
co-fondatore dei PayPal, o Serge Faguet) e di Wall Street (come Julian
Robertson, guru degli hedge funds), stanno investendo a piene mani nel
“business dell’immortalità” per migliorare chi è già in salute e costituire una
nuova élite di superuomini potenziati in grado di controllare i propri
algoritmi biochimici, applicando a sé stessi forme di biohacking (che uniscono
l’alta tecnologia dell’intelligenza artificiale, wellness, interventi
anti-invecchiamento) – per cui c’è chi dorme su materassi elettromagnetici, segue
rigide diete alimentari, si fa fare trasfusioni di cellule staminali e prende
fino a 150 pillole “cognitive” al giorno.
Finanziano
a piene mani la ricerca nell’ingegneria genetica e biomedica, medicina
rigenerativa, nanotecnologie e interfacce cervello-intelligenza artificiale.
Di
recente, Facebook ha comprato per circa un miliardo di dollari Ctrl-Labs, una
startup che sta studiando il modo di consentire alle persone di comunicare con
i computer tramite segnali cerebrali (il pensiero), con l’obiettivo di
utilizzare la tecnologia a interfaccia neurale di Ctrl-Labs per sviluppare un
braccialetto “che dia alle persone il controllo dei loro dispositivi come una
naturale estensione del movimento “.
Inoltre, con l’avvento delle tecnologie della
biologia sintetica ora i geni possono essere prodotti e modificati
ripetutamente. La capacità di progettare cose viventi che questo fornisce
rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui gli esseri umani
interagiscono con la vita del pianeta, potenzialmente di maggiore impatto
rispetto al sorgere dell’agricoltura o dello sfruttamento dei combustibili
fossili.
Secondo
un acuto storico scenarista come Yuval Noah Harari, “due processi insieme – la
bio-progettazione abbinata alla crescita dell’intelligenza artificiale –
potrebbero avere come conseguenza la divisione dell’umanità in una ristretta
classe di superuomini e in una sconfinata sottoclasse di inutili Homo Sapiens.
A
peggiorare la già nefasta situazione, con la perdita di importanza economica e
potere politico delle masse, lo Stato perderà gran parte dei motivi per
investire in salute, educazione e welfare.
È
pericoloso essere superflui.
Il
futuro delle masse dipenderà allora dalla buona volontà di un’élite. Forse ci sarà buona volontà per
alcuni decenni. Ma in un momento di crisi – nel caso per esempio di una catastrofe
climatica – sarà facile essere tentati di scaricare le persone superflue”
(Harari, 2018:122-123).
Un
mondo in cui l’umanità cercherebbe di percorrere la strada del dottor
Frankenstein e potrebbe finire per essere divisa non più solo in diverse classi
sociali, ma addirittura “in diverse caste biologiche o persino in diverse
specie”, con una casta superiore di entità super-intelligenti che potrebbe
anche essere in grado di costruire muri e fossati per tenere fuori le masse dei
“barbari” divenuti ormai irrilevanti perché la loro forza lavoro sarebbe sostituita
da quella di fedeli e meno costosi robot e cyborb prodotti in serie e dotati di
intelligenza artificiale.
Da
questo punto di vista, grazie alla combinazione di bioingegneria, interfacce
cervello-intelligenza artificiale e ingegneria sociale, sembra ormai a portata
di mano la possibile costruzione di quel “mondo nuovo” distopico preconizzato
dalle visioni fantascientifiche di grandi scrittori come Aldous Huxley, George
Orwell (memorabile la sua descrizione dello Stato di sorveglianza), Isaac Asimov,
Philip K. Dick, Anthony Burgess, James D. Ballard e dei narratori cyberpunk
degli anni ‘80, oltre che di grandi registi cinematografici come Stanley
Kubrick con 2001: Odissea nello Spazio, Ridley Scott con Blade Runner, Steven
Spielberg con Minority Report, le sorelle Lana e Lilly Wachowski con The Matrix
e Peter Weir con The Truman Show.
Per
questo molti dei teorici dell’intelligenza artificiale – guidati dal filosofo
Nick Bostrom – sostengono che lo scenario apparentemente fantascientifico di
un’intelligenza artificiale cosciente che sfugge al controllo umano (d’altra
parte la storia della programmazione informatica è piena di piccoli errori che
hanno scatenato catastrofi) e che si impadronisce del mondo rappresenta una
minaccia esistenziale per l’umanità così enorme che è ora di prendere dei
provvedimenti – da parte dei parlamenti, dei governi, dell’ONU e degli altri
organismi internazionali – per evitare che ciò accada.
Affidarsi
alla super-intelligenza artificiale potrebbe essere una enorme minaccia per la
sopravvivenza dell’umanità ed è possibile che ad un certo punto la stessa
comunità dell’Intelligenza Artificiale possa seguire l’esempio del movimento
anti-nucleare negli anni ’40 quando, dopo i bombardamenti di Hiroshima e
Nagasaki, gli scienziati si unirono per cercare di limitare ulteriori test
nucleari.
L’attualità
della riflessione della Scuola di Francoforte sulla personalità autoritaria.
A
partire dagli anni ’30 del secolo scorso, la Scuola di Francoforte ha
sviluppato una riflessione storico-filosofica-sociologica di ampio respiro su
fascismo e nazismo, almeno in parte rimanendo dentro un quadro analitico
marxista. Lo Stato autoritario tra le due guerre è stato letto da una gran
parte di questi studiosi come un adeguamento della forma politica alle
trasformazioni dell’economia e, in particolare, alla fine del capitalismo
concorrenziale e allo sviluppo del capitalismo monopolistico, ossia di un
capitalismo organizzato con un intervento dello Stato molto più ampio rispetto
a quello della fase liberale.
Allo
stesso tempo, questo gruppo di teorici, studiosi ed analisti ha riflettuto
molto su quali siano le tendenze profondamente radicate nell’inconscio e nella
psiche euro-americana che portano gli individui ad aderire alle ideologie
politiche fasciste e ad assoggettarsi a “duci” e leader carismatici di stampo
autoritario.
Nel
suo saggio “Angoscia e politica” del 1957, un altro teorico critico della
Scuola di Francoforte Franz L. Neumann ha analizzato il ruolo dell’angoscia in
politica. Si è chiesto come mai le masse vendono le loro anime ai leader
autoritari e li seguono alla cieca.
Su
cosa poggia il potere di attrazione dei leader cesaristici sulle masse? Quali
sono le situazioni storiche in cui questa identificazione del leader
cesaristico e delle masse ha successo e quale visione della storia hanno gli
uomini che accettano questi leader?
Per
rispondere a queste domande, Neumann ha suggerito una combinazione di economia
politica (un’analisi sociologica e socioeconomica), psicologia politica
freudiana (un’analisi sociopsicologica sulle forze interiori e dinamiche
inconsce) e critica ideologica. Vede l’angoscia nel contesto dell’alienazione,
ossia di un fenomeno multidimensionale economico, politico, sociale e
psicologico.
Neumann
ha introdotto i concetti di identificazione cesaristica, angoscia
istituzionalizzata e angoscia persecutoria, sostenendo che una società
autoritaria di tipo fascista rimane una vera minaccia nelle società capitaliste
liberaldemocratiche, soprattutto se si verificano alcune specifiche condizioni
(quelle che Gramsci identificava come i “fattori storici” che avevano
determinato l’affermazione politica dei regimi fascisti e nazisti in diversi
Paesi europei dopo la prima guerra mondiale).
Tra
queste ha incluso crisi politiche, alienazione dal lavoro, competizione
distruttiva, alienazione sociale che minaccia determinati gruppi sociali,
alienazione politica e istituzionalizzazione di pratiche fasciste, come la
promozione dell’angoscia politica collettiva, l’uso continuo della propaganda e
del terrore, l’affermazione del nazionalismo persecutorio, del capro espiatorio
politico e della xenofobia.
Oggi,
le classi medie e popolari vivono nell’angoscia perché vedono peggiorare le
loro condizioni di lavoro e vita, ma quello che sembra contare per molti di
loro è una sorta di “darwinismo sociale”, ossia che nella lotta continua per la
sopravvivenza le condizioni di lavoro e vita delle persone di colore, dei
migranti, dei poveri e degli altri denigrati, esclusi e perseguitati, via via
designati, peggiorino di più delle loro.
L’importante è potersi sentire superiori
almeno a qualcuno in una società dove quasi tutti sono trattati non come dei
cittadini, ma come degli “scarti” o, come scriveva Hannah Arendt nel suo
capolavoro Le origini del totalitarismo (1951), degli “uomini superflui”.
Un’ondata
di conservatorismo politico e di autoritarismo verso chi ha minor potere che
rende nuovamente attuali le analisi sulla “personalità autoritaria” di un altro
filosofo e sociologo della Scuola di Francoforte, Theodor Adorno, e dei suoi
collaboratori Else Frenkel-Brunswik, Daniel Levinson e Nevitt Sanford,
sviluppate negli anni ’40 a seguito di ricerche condotte presso l’Università
della California a Berkeley.
Mettere
crudelmente alla berlina le minoranze etniche, i “furbetti” del welfare, i
“fannulloni”, gli immigrati “clandestini” e i “vagabondi” senza casa è
diventata una forma di soddisfazione pubblica attraverso la quale si
manifestano sentimenti diffusi di risentimento, ansia, angoscia, paura, rabbia
e disgusto contro i deboli che sono visti solo come un peso per i cittadini
“operosi” e “rispettosi delle leggi” del ceto medio bianco.
Le
forze politiche del populismo identitario, autoritario e reazionario addossano
a dei nemici deboli, come i migranti e/o le persone di colore, tutte le cause
della mancata realizzazione delle promesse neoliberiste.
Così,
la compressione dei salari viene essenzialmente spiegata con la concorrenza
sleale della manodopera immigrata e non bianca, evitando di prendere in
considerazione le tante riforme e controriforme che negli ultimi 40 anni quasi ovunque
hanno selvaggiamente deregolamentato il mercato del lavoro ed eroso i diritti
dei lavoratori.
La
connessione tra neoliberismo e autoritarismo di destra – un “neoliberismo
autoritario”, in cui la democrazia liberale è ridotta a mera apparenza – ha portato
alla ribalta un anti-intellettualismo emotivo, ideologico, che impedisce
qualsiasi discussione sulle idee socialdemocratiche, socialiste e di
emancipazione sociale e che giustifica ideologicamente e cementa le forze
politico-culturali sostenitrici del capitalismo neoliberista.
Pertanto,
un capitalista miliardario come Donald Trump può fingere con successo di essere
un eroe della classe lavoratrice.
Leader
autoritari di destra come Trump, Orbàn, Salvini o Meloni spesso fanno appello
alla classe lavoratrice mostrando modi rozzi, un habitus proletario e usando un
linguaggio semplice e dicotomico.
Ma, in realtà, quando sono al potere questi ideologi
si oppongono agli interessi della classe lavoratrice e attuano leggi che
prevedono agevolazioni fiscali per le grandi società e i super ricchi e
danneggiano la classe lavoratrice smantellando gli effetti redistributivi dello
Stato sociale e dei servizi pubblici.
L’interazione
tossica tra il radicalismo reazionario del Partito Repubblicano e il “diritto”
alle armi da guerra negli USA.
La
presidenza di Trump, il tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio 2021 e la
fase attuale sono il prodotto dell’evoluzione politico-ideologica del Partito
Repubblicano iniziata negli anni ’60 e legata allo spostamento degli elettori
bianchi conservatori del sud dal Partito Democratico verso il Partito
Repubblicano.
Per la
prima volta questo spostamento venne tentato dal candidato alla presidenza
Barry Goldwater nel 1964, per poi essere praticato con la “strategia del sud”
da Richard Nixon nel 1968 e 1972 con il supporto di Strom Thurmond, il
famigerato senatore segregazionista della Carolina del Sud – allorquando il
Partito Democratico è diventato più liberale progressista e ha approvato la
legislazione sui diritti civili sotto la presidenza Johnson.
Un
ulteriore spostamento a destra del partito venne avviato oltre un quarto di
secolo fa dall’ex presidente della Camera, Newt Gingrich, e da personaggi come
Pat Buchanan e il conduttore di talk-show radiofonici Rush Limbaugh nei primi
anni ’90. Una evoluzione che ha portato questo partito da essere l’aggregatore
politico di un blocco conservatore di interessi sociali diversificati
all’essere lo strumento politico di una fazione della destra radicale che ha
messo da parte la componente moderata (dei McCain e dei Bush Sr.) per
perseguire l’idea di conquistare il potere assoluto e rendere l’America uno
Stato monopartitico governato da persone bianche dedite ai tagli fiscali per i
ricchi e le grandi corporations, alla deregolamentazione di lavoro e ambiente,
alla soppressione del diritto di voto delle minoranze di colore9 e alla
saturazione dei tribunali federali e della Corte Suprema con giudici disposti
ad annullare il contratto sociale dell’era del New Deal/diritti civili. Alla
convenzione nazionale repubblicana del 1992, il paleoconservatore candidato
presidenziale Pat Buchanan sostenne che la politica fosse diventata una “guerra
culturale” tra progressisti e conservatori.
Le
campagne per l’ambientalismo, l’aborto e i diritti LGBTQ+ non riguardavano solo
la politica, ha affermato, ma hanno lo scopo di distruggere le tradizioni e
identità americane.
“Questa
guerra è per l’anima dell’America “, ha detto Buchanan, e ha invitato i
concittadini a “riprendersi la nostra cultura e riprendersi il nostro Paese “.
Ovviamente, quando parlava di America, americani e cultura americana, Buchanan
intendeva l’America bianca, gli americani bianchi e la cultura americana bianca
cristiana, individualista, patriarcale, misogina e razzista.
Il
Partito Repubblicano è così diventato un movimento radicale che crede che la
libertà – definita principalmente come uno Stato “leggero” senza tasse punitive
sui ricchi – sia più importante della democrazia, che la democrazia (con le sue
regole consuetudinarie e norme scritte) minacci la libertà individuale,
permettendo a molti di derubare i pochi.
Un partito che si è trasformato in una setta
minoritaria alla continua ricerca della presa del potere sfruttando, da un
lato, le peculiari caratteristiche di un sistema politico-istituzionale che
sovra-rappresenta il peso dei piccoli Stati rurali conservatori al Senato e nel
Collegio Elettorale nazionale per l’elezione del Presidente a scapito di quelli
più popolosi, economicamente più rilevanti e politicamente più progressisti
delle due coste (su questo tema si veda l’ultima parte del nostro articolo qui),
e dall’altro, con l’aiuto di una Corte Suprema a solida maggioranza
conservatrice, attraverso la restrizione del diritto di voto e la persecuzione
di donne, immigrati, neri, persone LGTBQ+, tutte prese di mira nelle stragi di
massa (mass shootings) degli ultimi anni. Un partito che il 6 gennaio 2021 ha
cercato di ribaltare un’elezione presidenziale persa, con la violenza invocata
dall’alto, dai leader, compreso l’ex presidente Trump.
Trump
ha portato alle estreme conseguenze questo progetto sovversivo delle
istituzioni democratiche pluralistiche, passando gran parte dei suoi anni di
presidenza a estendere i poteri dello Studio Ovale a scapito delle altre
istituzioni federali e statali e ad infrangere le norme e le tradizioni che
hanno definito a lungo la democrazia americana.
Trump
ha anche accentuato l’identità del Partito Repubblicano attorno al nazionalismo
bianco, che considera uomini, donne e bambini dalla pelle scura parte di
un’umanità degradata e come tale privi di qualsiasi valore intrinseco e indegni
di protezione. Trump ha paragonato uomini, donne e bambini centro-americani
immigrati a parassiti che vogliono “infestare il nostro Paese “. Lo si è potuto vedere quando il suo
fidato collaboratore, il suprematista bianco di origini ebraiche Stephen Miller,
ha dipinto i migranti come minacce, non candidati all’asilo quanto piuttosto
all’incarcerazione.
Non a
caso l’ala più conservatrice e nazionalista bianca della destra repubblicana
americana ha una fascinazione per Orbán. Lo ha eretto a massimo difensore della
civiltà occidentale. La destra potrebbe perdere la guerra culturale in America,
ma l’Ungheria offre un modello per la politica antiliberale che non solo vince
le elezioni, ma ha mostrato come usare il braccio forte dello Stato per imporre
la propria volontà e visione ideologica reazionaria.
Per loro, l’Ungheria appare come l’utopia
post-neoliberista e para-fascista: la tanto decantata repressione di Orbán
sulla “correttezza politica, le rigide politiche di immigrazione e gli attacchi
al secolarismo e ai diritti delle minoranze sono stati combinati con quella che
dall’altra parte dell’Atlantico viene considerata (molto erroneamente)
un’agenda economica (“di sinistra”) pro-lavoratori.
Il conduttore di Fox News Tucker Carlson ha trascorso
del tempo in Ungheria all’inizio del 2022, trasmettendo diversi servizi da
Budapest e realizzando un “documentario
intitolato Ungheria contro Soros: la lotta per la civiltà”, che
dipingeva l’Ungheria come un paradiso conservatore, sotto il costante attacco
del miliardario di origine ungherese, George Soros.
Era il secondo viaggio di Carlson in Ungheria
in meno di un anno. Lo scorso agosto si era recato a Budapest per intervistare
Orbán. Poche settimane dopo l’apparizione del premier ungherese su Fox, Trump
ha inviato un messaggio di congratulazioni: “Ottimo lavoro Tucker, sono orgoglioso
di te!”
L’estrema
destra americana abbraccia il nazionalista magiaro Viktor Orbán (da poco eletto
al suo quarto mandato) in quanto fautore della “democrazia illiberale”,
sostenitore della teoria della “grande sostituzione” (trasformata
nell’ideologia ufficiale del suo regime) e grande oppositore delle politiche di
immigrazione “suicide” dell’Unione Europa.
Poche
settimane fa Orbán è stato il relatore principale di una sessione straordinaria
dell’americana Conferenza sull’Azione Politica Conservatrice (CPAC) che si è
tenuta in Ungheria, sotto lo slogan programmatico “Dio, Patria e Famiglia”, nel tentativo di cementare i legami
tra la destra radicale su entrambe le sponde dell’Atlantico sotto ial bandiera
dell’ideologia della teoria della “grande sostituzione.
“Vedo
il grande scambio di popolazione europea come un tentativo suicida di
sostituire la mancanza di bambini cristiani europei con adulti di altre civiltà
– i migranti “, ha dichiarato Orbán. Facendo eco a un altro tema popolare della
destra americana, ha sostenuto che un’altra forma di suicidio culturale fosse
la “follia di genere “, un riferimento alla diffusione dei diritti LGBTQ+ in
occidente.
Per
gli organizzatori del CPAC, Orbán è un combattente che ha trasformato il suo
Paese in “uno dei motori della resistenza conservatrice alla rivoluzione del
risveglio [woke revolution] “.
Alla
conferenza CPAC c’erano alcuni dei leader europei di estrema destra – dall’inglese
Nigel Farage all’austriaco Herbert Kickl, allo spagnolo Santiago Abascal, agli
italiani Francesco Giubilei, presidente di Nazione Futura, Lorenzo Fontana,
vicesegretario della Lega, e Vincenzo Sofo europarlamentare di Fratelli
d’Italia – oltre quelli americani – diversi membri repubblicani del Congresso,
l’ex capo del personale della Casa Bianca di Trump, Mark Meadows, il presidente
dell’Unione Conservatrice Americana (che gestisce il CPAC), Matt Schlapp,
mentre il conduttore del talkshow di Fox News, Tucker Carlson, è intervenuto
brevemente in video, come Donald J Trump.
Tra
gli oratori in primo piano c’è stato anche Zsolt Bayer, un famigerato razzista
ungherese che ha definito gli ebrei “escrementi puzzolenti “, si è riferito ai
Rom come “animali” e ha usato epiteti razziali per descrivere i neri.
L’ultimo
relatore della conferenza è stato Jack Posobiec, un blogger statunitense di
estrema destra che ha usato simboli antisemiti e promosso la teoria del
complotto inventata “Pizzagate”, diffamando esponenti politici democratici di
primo piano come pedofili.
Durante
il suo discorso al CPAC di Budapest, Orbán ha delineato una “ricetta” in 12
punti per il successo politico che la destra cristiana americana e mondiale
potrebbe prendere in prestito.
Il primo
punto, ha detto, “è che dobbiamo giocare secondo le nostre regole” – che i
conservatori “non devono essere scoraggiati dall’essere sgridati, etichettati
come non idonei o trattati come piantagrane.
Si prega di notare che chiunque giochi secondo
le regole dei suoi avversari perderà sicuramente.”
Il
quarto punto è quello di avere i propri media per contrastare l’egemonia dei
media liberal mainstream.
“È
l’unico modo per sottolineare la follia della sinistra progressista. Il
problema è che i media occidentali sono adattati al punto di vista di sinistra.
Coloro che insegnavano ai giornalisti nelle università avevano già principi di
sinistra progressista”.
Idee
che stanno molto a cuore alla destra trumpiana del Partito Repubblicano che
aspira ad una “Orbanizzazione dell’America”.
L’abbraccio
di Orbán da parte della destra americana dimostra che questa sarebbe disposta a
smantellare la democrazia pluralista americana, usare la coercizione dello
Stato per imporre la propria ristretta agenda culturale, religiosa e razziale.
Incapaci di ottenere l’approvazione delle persone a
cui desiderano imporre i propri valori reazionari, da qui alle prossime
elezioni presidenziali del novembre 2024 la destra americana sarà tentata di
procedere sempre più su un sentiero antidemocratico, utilizzando come “braccio
armato” il potere degli Stati che controlla, oltre alla Corte Suprema a
maggioranza conservatrice. Alle elezioni di midterm di novembre i Democratici
potrebbero perdere le maggioranze alla Camera e al Senato, per cui Biden si
trasformerebbe in un’anatra zoppa fino al 2024.
Di
certo, gli ideologi del trumpismo – Stephen K. Bannon, Stephen Miller,
Kellyanne Conway, Sebastian Gorka, Julia Han, Peter Navarro, Robert Lighthizer,
insieme ai seguaci californiani di Leo Strauss del Claremont Institute (il cui
ex amministratore, Michael Pack, era stato messo da Trump a capo della
Broadcasting Board of Governors, un’agenzia governativa da 685 milioni di
dollari che supervisiona i principali mezzi di comunicazione finanziati dagli
USA, tra cui Voice of America e Radio Free Europe/Radio Liberty) e al
conduttore televisivo Tucker Carlson – ed appartengono alla cosiddetta
Alt-Right, l’arcipelago rad-trad della destra bianca radical-tradizionalista
(nazionalista economica, protezionista, anti-free trade, anti-immigrazione,
omofoba, anti-femminista, razzista, sionista antisemita, ossia anti-ebraica, ma
pro-Israele, islamofoba, anarco-capitalista, neonazista e neoconfederata) che
si ispira alle posizioni intellettuali reazionarie di Oswald Spengler (autore
del “Declino dell’Occidente”), Henry L. Mencken, Julius Evola, Ayn Rand, Jean
Raspail e D.W. Griffith (regista del film The birth of a nation del 1915 sul Ku
Klux Klan), e che si considera alternativa all’ortodossia conservatrice,
elitaria ed internazionalista repubblicana (il cosiddetto “liberalismo
internazionalista”) che ha dominato il partito dalla fine della Seconda Guerra
Mondiale alla fine della Guerra Fredda, impegnandosi a costruire alleanze e
(almeno in parte) un ordine internazionale basato su organismi multilaterali e
regole che favorissero la democrazia.
Come
ha scritto Rebecca Solnit, per i trumpisti repubblicani e gli attivisti
dell’Alt-Right, fucili d’assalto e pistole automatiche ad alta potenza (non
pensate per essere destinate ad un uso civile) “sono simboli di una peculiare
versione della mascolinità fatta di libertà illimitata, potere, dominio, di
un’identità militare in cui ogni pistolero è il comandante di sé stesso e
chiunque è un potenziale bersaglio, in cui la paura guida la belligeranza, e i
diritti del proprietario dell’arma si estendono così lontano che nessuno ha il
diritto di essere al sicuro da lui. In questo momento fa parte di un culto
suprematista bianco di guerra.”
La Solnit sottolinea che l’idea di diritti
illimitati alle armi si applica a un numero limitato di persone: i maschi
bianchi. “Il permesso di girare armati liberamente è pensato per i bianchi,
perché ai neri non sarebbe certo permesso di vagare per un supermercato con
enormi fucili automatici a tracolla: Philando Castile è stato colpito a
bruciapelo solo per aver detto a un poliziotto che aveva una pistola in
macchina nel 2016; Tamir Rice, 12 anni, è stato colpito da colpi di arma da
fuoco per aver impugnato un fucile giocattolo a Cleveland nel 2014.”
La
strage di Buffalo, insieme alla strage di Uvalde del 24 maggio (19 bambini e 2
insegnanti), avvenuta in Texas – uno Stato che mentre ha inasprito le
limitazioni al diritto di aborto, ha allentato quelle sul possesso di armi da
fuoco11, consentendo ad un 18enne, che non ha l’età per bere alcool legalmente,
di comprare il fucile semiautomatico AR-15 e le centinaia di munizioni che poi
ha usato nell’attacco alla scuola -, ha riportato l’attenzione del dibattito
pubblico la questione realtiva all’accesso troppo facile alle armi.
Da anni, grazie all’opposizione dei
Repubblicani, il Congresso rifiuta di approvare misure come i controlli sul
passato degli acquirenti, la messa al bando dei fucili d’assalto o l’obbligo di
tenere al sicuro le armi da fuoco, che sono sostenute dalla maggioranza degli
americani, così come per quanto riguarda il diritto all’aborto.
Così,
mentre i proprietari di armi affermano i propri diritti sui corpi degli altri,
l’ondata di nuove leggi statali restrittive sull’aborto che sono state
approvate e il probabile annullamento della sentenza Roe vs. Wade del 1973 da
parte della Corte Suprema significa che alle donne che possono rimanere incinte
viene negato il controllo sui loro corpi e sui loro diritti riproduttivi, e
possono essere sottoposte ad indagini penali anche nel caso di un aborto
spontaneo.
Grazie
al Secondo Emendamento della Costituzione – che sancisce il diritto dei
cittadini di possedere e portare armi (“Essendo necessaria alla sicurezza di uno
Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere
e portare armi non potrà essere infranto.”) – approvato nel 1791 (quando il
tempo di ricarica delle armi era di circa un minuto e tutte erano armi a colpo
singolo) e interpretato dalle sentenze della Corte Suprema, a partire dal 2008,
in modo individualistico, come diritto fondamentale non diverso da quello di
voto o di parola, limitandone drasticamente vincoli e controlli14, e alla
potente lobby delle armi, la National Rifle Association (NRA, con 5,5 milioni
di iscritti), capace di determinare elezioni, ad esempio finanziando la
campagna di Trump con 30 milioni di dollari, in mano a civili ci sono più di
393 milioni di pistole e fucili (mentre gli abitanti degli USA sono solo 329
milioni, pari a circa il 4% della popolazione mondiale), il 42% del totale
mondiale, in gran parte armi semiautomatiche e anche d’assalto militare.
Circa
133 milioni sono nelle mani di 7,7 milioni di persone, il 3% della popolazione
adulta, il resto è distribuito tra 55 milioni di persone.
L’attrazione
degli americani per le armi da fuoco è innegabile. I produttori di armi negli
Stati Uniti hanno prodotto più di 139 milioni di pezzi per il commercio negli
ultimi 20 anni, di cui 11,3 milioni per l’anno 2020, secondo un recente
rapporto del Dipartimento di Giustizia. Nello stesso periodo sono state
importate 71 milioni di armi da fuoco16, contro appena 7,5 milioni esportate,
segno dell’ondata di armi disponibili nel Paese che ha alimentato un picco di violenza
armata, omicidi e suicidi.
L’industria
delle armi è infatti esplosa: mentre nel 2000 il Paese aveva solo 2.222 aziende
produttrici di armi attive, nel 2020 sono 16.963, secondo la stessa fonte.
Anche la produzione annuale di armi da fuoco per la vendita commerciale è
aumentata, da 3,9 milioni nel 2000 a 11,3 milioni di armi da fuoco nel 2020,
con un picco di 11,9 milioni nel 2016. Il documento mostra che mentre gli
americani prediligono le armi semiautomatiche (tipo AR-15), utilizzate in molte
sparatorie, acquistano principalmente la pistola semiautomatica da 9 mm,
considerata economica, precisa, facile da usare e simile all’arma usata dalla
polizia.
Le
autorità si trovano inoltre ad affrontare un aumento delle cosiddette “armi
fantasma, kit di armi che si possono realizzare in casa per poche centinaia di
dollari e di cui alcune parti possono essere acquistate online o prodotte da
una stampante 3D.
A
differenza delle pistole prodotte in fabbrica, non hanno un numero di serie e,
poiché durante tutto il processo di vendita non sono considerate pistole, non
richiedono una licenza per armi, per cui sottoporre l’acquirente a un controllo
dei precedenti penali e psichiatrici negli Stati dove questo è previsto.
Secondo il rapporto, nel 2021 la polizia ha recuperato 19.344 cosiddette “armi
fantasma “, rispetto alle 1.758 del 2016.
Ci
sono state almeno 246 sparatorie di massa negli Stati Uniti finora quest’anno,
secondo il Gun
Violence Archive che definisce una sparatoria di massa come quella in cui vengono ferite o
uccise almeno quattro persone, escludendo lo sparatore.
27 di
questi mass shootings sono avvenuti nelle scuole con un totale di 44 morti.
Solo nell’ultimo fine settimana, 9 persone sono morte e due dozzine sono state
ferite in tre sparatorie a Philadelphia, Chattanooga e Saginaw.
In un
discorso televisivo in prima serata, Biden ha detto “Basta, basta!” e ha
invitato il Congresso ad approvare una nuova normativa federale che richieda maggiori
controlli sui precedenti per gli acquirenti di armi e vieti le armi d’assalto
in stile militare e i caricatori di munizioni di grande capacità, ma tutti i
tentativi di trovare un compromesso su questi temi sono stati finora bloccati
dai repubblicani.
Il
numero di morti per armi da fuoco negli Stati Uniti ha registrato un aumento
“storico” nel 2020, apparentemente causato dagli effetti dell’epidemia di
CoVid-19 e dalla povertà, secondo un recente rapporto dei Centers for Disease Prevention and
Control (CDC).
Il Paese ha così contato 19.350 omicidi nel 2020, con un aumento di quasi il
35% rispetto al 2019, e 24.245 suicidi. Il tasso di omicidi era di 6,1 per
100.000 abitanti nel 2020, un massimo da oltre 25 anni.
Una
parte considerevole degli omicidi, soprattutto in relazione a quanto accade in
altri Paesi occidentali, avviene a causa di mass shootings, sparatorie di massa
che si susseguono con un ritmo da guerra civile, trasformando parcheggi,
strade, chiese, scuole, centri benessere e commerciali in zone di guerra, e che
spesso fanno parte di un fenomeno di vero e proprio terrorismo domestico di
destra, alimentato da suprematisti bianchi (“white terrorism”), neo-nazisti,
“hate groups” e quasi del tutto ignorato dalle agenzie investigative governative,
dai media e dal dibattito pubblico, se non per i due, tre giorni successivi
alla singola strage.
D’altra
parte, perché meravigliarsi di questi atti di violenza se gli Stati Uniti sono
stati fondati sul genocidio degli indigeni e sulla schiavitù africana, mentre
la dottrina del dominio razziale rimane ancora egemone?
Come
potrebbe essere altrimenti?
Gli
Stati Uniti hanno il più alto tasso di incarcerazione al mondo (in stragrande
maggioranza i carcerati sono neri e latinos e con circa un terzo di tutte le
donne incarcerate nel mondo) frutto della strategia politica razzista basata
sul “rinchiudere e buttare via la chiave”, mille omicidi da parte della polizia
ogni anno (poco è cambiato dal brutale assassinio di George Floyd nel 2020), un
budget per la difesa più grande di qualsiasi altro Paese al mondo e le guerre
imperialiste che inevitabilmente ne conseguono.
Nessuno
dovrebbe essere scioccato quando le persone compiono atti estremamente violenti
sul suolo americano, anche se poi, ipocritamente, ogni qual volta si verificano
sparatorie di massa in pubblico si inscena shock e confusa indignazione con
pianti, preghiere, funerali ed esortazioni retoriche.
Vengono
pronunciate parole rituali, vane e ridicole come quelle di Biden all’indomani
della strage di Buffalo:
“In
America, il male non vincerà. L’odio non prevarrà. La supremazia bianca non
avrà l’ultima parola.
A Biden, ha risposto Trump, ospite della
conferenza annuale della NRA: “L’esistenza del male nel nostro mondo non è un motivo per
disarmare i cittadini rispettosi della legge. L’esistenza del male è una delle
ragioni migliori per armare i cittadini rispettosi della legge.
Naturalmente,
il male, l’odio e la supremazia bianca sono caratteristiche fondative e
continuano a determinare molti aspetti della vita americana, per cui dopo pochi
giorni il Paese è tornato al suo solito stato di appena velata apprensione,
senza che nessuno abbia realmente voluto fare i conti con la condizione di
terribile disumanità del Paese.
Trump
dice agli americani una verità, che il male e la violenza che stanno alla base
degli Stati Uniti sono in realtà caratteristiche fondative e non frutto di
errori o fatalità, per cui quelli che vogliono che la “carneficina americana”
finisca dovranno andare oltre le sue parole e oltre i pensieri, le preghiere e
la speranza che i presidenti e altri politici dell’establishment facciano mai
qualcosa per fermarla.
L’ossessione
dell’America per le armi e la violenza terrorizza i suoi cittadini, ma riflette
il suo vero “eccezionalismo”, frutto di un passato e presente genocida,
classista e razzista.
Nessun
altro Paese sviluppato al mondo ha il tasso di violenza da armi da fuoco
dell’America.
Secondo
l’ONU, gli Stati Uniti hanno quasi sei volte il tasso di omicidi per armi da
fuoco rispetto al Canada, più di sette volte rispetto alla Svezia e quasi 16
volte rispetto alla Germania. Dal massacro della scuola di Columbine (Colorado)
del 20 aprile 1999, in cui vennero uccisi 12 studenti e un insegnante da 2
studenti, mentre altri 24 furono i feriti, è emersa una preoccupante tendenza
all’emulazione degli assassini.
Dopo
l’ennesimo massacro nella scuola di Parkland in Florida (17 studenti uccisi da
un ex-studente il 14 febbraio 2018), era nato il movimento organizzato
#NeverAgain, capitanato dagli studenti sopravvissuti alla strage che ha cercato
di mobilitare i giovani e le famiglie contro le armi, portando a Washington
mezzo milione di giovani per la manifestazione March for Our Lives.
Gli
studenti hanno denunciato pubblicamente l’influenza della NRA sul Congresso e
hanno puntato il dito contro i leader politici, considerati responsabili della
permissività delle leggi sulle armi. Ma, nulla è cambiato nella normativa
federale.
Al
tempo stesso, Trump, che nel suo discorso di insediamento si era scagliato
contro “il crimine e le gangs e le droghe che hanno rubato troppe vite” nei
quartieri degradati delle città e aveva promesso di porre fine alla
“carneficina americana” (“American carnage”), non ha fatto nulla per porre un
freno alla libera vendita delle armi automatiche d’assalto, ma piuttosto aveva
chiesto al Senato, allora controllato dai repubblicani (che teneva bloccati
progetti di legge sul gun control già approvati dalla Camera controllata dai
Democratici) di agire su malattie mentali, videogiochi e “i pericoli di
Internet e dei social media“.
Quando
nel 2017 un assassino a Las Vegas ha sparato più di mille proiettili fuori
dalla finestra del suo hotel uccidendo 60 persone in 10 minuti, Trump si è
limitato a dire che era una persona “fuori di tesa” o “demente”, accusando
democratici e media di politicizzare un terribile evento.
I
politici repubblicani, a cominciare da Trump, respingono le richieste di
imporre un controllo delle armi con proposte come armare gli insegnanti
(diversi Stati consentono già agli insegnanti o ad altri dipendenti della
scuola con permessi per il trasporto di portare armi all’interno della scuola)
e aumentare la presenza della polizia nelle scuole17.
Per
assecondare il culto delle armi e la serie di massacri, insegnanti e bambini
praticano esercitazioni scolastiche che ricordano loro più e più volte che
potrebbero essere assassinati in ogni momento. Le scuole spendono centinaia di
milioni di dollari in sicurezza, modifiche degli edifici, corsi di formazione
ed esercitazioni, e il governo federale spende altri milioni per le guardie di
sicurezza delle scuole.
Anche
i comuni spendono milioni in polizia e attrezzature, in una sorta di corsa agli
armamenti che ha anche promosso la militarizzazione della polizia locale. Con
scarsi risultati come è stato dimostrato nel caso di Uvalde, dove la polizia ha
fatto passare 78 minuti prima che venisse fatta irruzione nell’edificio e
venisse ucciso il giovane stragista.
I genitori dei bambini hanno implorato gli
ufficiali di intervenire, ma sono stati colpiti con i teaser e ammanettati.
Una
donna è entrata nella scuola e ha salvato i propri figli senza alcun aiuto da
parte della polizia.
L’uomo
armato è stato ucciso solo quando gli agenti di una pattuglia di frontiera sono
arrivati e sono entrati nella scuola contro il parere della polizia locale.
(Alessandro
Scassellati)
KLAUS
SCHWAB E IL SUO GRANDE
RESET
FASCISTA: UNA PANORAMICA.
Byoblu.com
– (24 Dicembre 2021) - Michele Crudelini – ci dice:
Riportiamo
di seguito la traduzione dell’articolo “KLAUS SCHWAB AND HIS GREAT FASCIST
RESET – AN OVERVIEW”, di Paul Cudenec, pubblicato sul blog Wrong Kind of Green.
Da
dove arriva Klaus Schwab.
Klaus
Schwab, nato a Ravensburg nel 1938, è figlio della Germania di Adolf Hitler, un
regime da stato di polizia costruito sulla paura e sulla violenza, sul lavaggio
del cervello e sul controllo, sulla propaganda e sulla menzogna,
sull’industrialismo e l’eugenetica, sulla disumanizzazione e la “disinfezione”,
su una visione agghiacciante e grandiosa di un “nuovo ordine” che sarebbe
durato mille anni.
Schwab
sembra aver dedicato la sua vita a reinventare quell’incubo e a cercare di
trasformarlo in una realtà non solo per la Germania ma per il mondo intero.
Peggio
ancora, come confermano più volte le sue stesse parole, la sua visione tecnocratica
fascista è anche una perversa visione transumanista, che fonderà gli esseri umani con le
macchine in “curiosi mix tra vita digitale e analogica”, che infetteranno il
nostro corpo con la “polvere intelligente” (Smart Dust) e in cui la polizia
sarà apparentemente in grado di leggere il nostro cervello.
E,
come vedremo, lui e i suoi complici globalisti
stanno usando la crisi del Covid-19 per aggirare le responsabilità
democratiche, per scavalcare l’opposizione, per accelerare la loro agenda e per imporla al resto dell’umanità
contro la nostra volontà in quello che lui definisce un “Grande Reset“.
La
governance globale: il sogno di Klaus Schwab.
Schwab
non è, ovviamente, un nazista in senso classico, non essendo né nazionalista né
antisemita, come testimonia il premio Dan David da un milione di dollari che
gli è stato assegnato da Israele nel 2004.
Ma il
fascismo del XXI secolo ha trovato diverse forme politiche attraverso le quali
continuare il suo progetto cardine di rimodellare l’umanità per adattarla al
capitalismo attraverso mezzi palesemente autoritari.
Questo
nuovo fascismo viene oggi portato avanti sotto le spoglie della governance
globale, della biosicurezza, della “Nuova Normalità “, del “New Deal for Nature” e della
“Quarta Rivoluzione Industriale”.
Klaus
Schwab, il fondatore ottantenne e presidente esecutivo del World Economic
Forum, siede al centro di questa matrix come un ragno su di una enorme
ragnatela.
Le
origini del Grande Reset.
L’originario
progetto fascista, in Italia e in Germania, si basava su una fusione tra Stato
e imprese.
Mentre
il comunismo prevede l’acquisizione di imprese e industrie da parte del
governo, che (in teoria!) agisce nell’interesse del popolo, il fascismo si
basava sull’uso dello Stato per proteggere e far progredire gli interessi delle
élite benestanti.
Schwab
ha proseguito su questa strada in un contesto denazificato del secondo
dopoguerra, quando nel 1971 ha fondato l’European Management Forum, che si riuniva ogni anno a Davos,
in Svizzera.
Qui
egli promuoveva la sua ideologia del capitalismo degli stakeholder, in cui le
imprese venivano portate a una più stretta collaborazione con il governo.
Il
“capitalismo degli stakeholder” è descritto dalla rivista economica Forbes come
“l’idea di un’azienda si concentra sul soddisfare le esigenze di tutti i suoi
stakeholder: clienti, dipendenti, partner, comunità e società nel suo complesso”.
Anche
nel contesto di un particolare business, si tratta sempre di un’etichetta
vuota. Come osserva l’articolo di Forbes, in realtà significa solo che “le aziende possono continuare a
versare denaro privatamente ai loro azionisti e dirigenti, mantenendo un volto
pubblico di spiccata sensibilità sociale e di altruismo esemplare”.
Ma in
un contesto sociale generale, il concetto di stakeholder è ancora più nefasto,
poiché scarta ogni idea di democrazia, di dominio del popolo, a favore del
dominio degli interessi delle imprese.
La
società non è più considerata come una comunità vivente, ma come un’impresa, la
cui redditività è l’unico scopo valido dell’attività umana.
Lo
Stato azienda secondo Schwab.
Schwab
ha esposto questo programma già nel 1971, nel suo libro Moderne Unternehmensführung im
Maschinenbau (Gestione aziendale moderna nel settore dell’ingegneria meccanica), dove con l’uso del termine
“stakeholder” (die Interessenten) ha sostanzialmente ridefinito gli esseri
umani non come cittadini, individui liberi o membri di una comunità, ma come
partecipanti secondari di un’enorme impresa commerciale mondiale.Lo scopo della vita di ogni persona
era “raggiungere la crescita e la prosperità a lungo termine” per questa
impresa – in altre parole, proteggere e aumentare la ricchezza dell’élite
capitalista.
Tutto
ciò è diventato ancora più chiaro nel 1987, quando Schwab ha ribattezzato il
suo European Management Forum come “World Economic Forum“.
La
nascita del World Economic Forum.
Il WEF
definisce sé stesso sul proprio sito web come “la piattaforma globale per la
cooperazione tra pubblico e privato”, con ammiratori che descrivono come
esso crei “partnership
tra uomini d’affari, politici, intellettuali e altri leader della società per
‘definire, discutere e far progredire le questioni chiave dell’agenda
globale'”.
Le
“partnership” che il WEF crea sono volte a sostituire la democrazia con una
leadership globale di individui prescelti e non eletti il cui dovere non è quello di servire
il pubblico bene, bensì quello di imporre la regola dell’1% con la minor
interferenza possibile da parte del resto della popolazione.
Nei
libri che Schwab
scrive per il consumo pubblico, si esprime con i cliché a due facce della rotazione aziendale e
dell’ambientalismo di facciata.
Gli
stessi termini vuoti vengono riempiti di volta in volta. In Shaping the Future of the Fourth
Industrial Revolution: A Guide to Building a Better World (Modellare in Futuro
della Quarta Rivoluzione Industriale: Una Guida per Costruire un Mondo Migliore), Schwab parla di “inclusione degli stakeholder e
distribuzione dei benefici” e di “partenariati sostenibili e inclusivi” che ci condurranno
tutti verso un “futuro inclusivo, sostenibile e prospero”!
Dietro
al WEF solo profitto e sfruttamento.
Dietro
questa millanteria, la vera motivazione che guida il suo “capitalismo degli stakeholder”, che egli ha promosso
incessantemente alla conferenza di Davos del WEF del 2020, è il profitto e lo sfruttamento.
Ad
esempio, nel suo libro “La quarta rivoluzione industriale” del 2016, Schwab
scrive di una “uberizzazione” del lavoro e dei vantaggi che ne deriverebbero
per le imprese, in particolare per le start-up in rapida crescita nell’economia
digitale:
“Poiché
le
piattaforme human cloud classificano i lavoratori come lavoratori autonomi, esse sono
(per il momento) libere dall’obbligo di pagare il salario minimo, le tasse del
datore di lavoro e le prestazioni sociali”.
La
stessa insensibilità capitalista traspare dal suo atteggiamento verso le
persone che si avvicinano alla fine della loro vita lavorativa e che hanno
bisogno di un meritato riposo:
Invecchiare
è una sfida economica perché se non si aumenta drasticamente l’età pensionabile in
modo che i membri più anziani della società possano continuare a contribuire
alla forza lavoro (un imperativo economico che ha molti benefici economici), la popolazione in età lavorativa
diminuisce simultaneamente all’aumento della percentuale di anziani non
autonomi.
L’essenza
della Quarta Rivoluzione Industriale.
Tutto
in questo mondo è ridotto alle sfide economiche, agli imperativi economici e ai
benefici economici per la classe capitalista dominante.
Il
mito del progresso è stato a lungo utilizzato dall’1% per convincere la gente
ad accettare le tecnologie progettate per sfruttarci e controllarci e Schwab
gioca su questo quando dichiara che “la Quarta Rivoluzione Industriale rappresenta una significativa fonte
di speranza per continuare la scalata nello sviluppo umano che ha portato a un
drammatico aumento della qualità della vita per miliardi di persone dal 1800”.
(Ma
come è possibile che tutti i governanti dei paesi occidentali predichino ed
applichino per i loro popoli tutto ciò che un “PAZZO” propina loro dal suo
pulpito di nuovo “dio in terra” e che sono solo colossali “stronzate”! Ndr).
Con
entusiasmo afferma:
Anche
se può non apparire di grande importanza per chi di noi vive quotidianamente
una serie di piccole ma significative modifiche alla vita, ciò non è un
cambiamento di poco conto: la Quarta Rivoluzione Industriale è un nuovo capitolo dello
sviluppo umano, alla pari con la prima, la seconda e la terza Rivoluzione
Industriale, ed è ancora una volta guidata dalla crescente disponibilità e di
un insieme di straordinarie tecnologie che interagiscono tra loro.
Tuttavia,
egli sa bene che la tecnologia non è ideologicamente neutrale, come alcuni
amano sostenere. Le tecnologie e le società si modellano a vicenda, dice:
Dopo
tutto, le tecnologie sono legate al modo in cui conosciamo le cose, al modo in
cui prendiamo le decisioni e al modo in cui pensiamo a noi stessi e agli altri.
Sono collegate alle nostre identità, alle nostre visioni del mondo e ai nostri
possibili futuri.
Dalle
tecnologie nucleari alla corsa allo spazio, agli smartphone, ai social media,
alle auto, alla medicina e alle infrastrutture, il significato delle tecnologie
le rende politiche. Anche il concetto di nazione ‘sviluppata’ si basa
implicitamente sull’adozione delle tecnologie e su ciò che esse significano per
noi, economicamente e socialmente.
Sostituire
i lavoratori umani ritenuti inutili.
La
tecnologia, per i capitalisti che la sostengono, non ha mai una finalità
sociale, bensì puramente di profitto, e Schwab afferma chiaramente che lo
stesso vale per la sua Quarta Rivoluzione Industriale.
Entusiasticamente
scrive: “Le
tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale sono veramente dirompenti,
stravolgono i modi esistenti di percepire, calcolare, organizzare, agire e
consegnare. Rappresentano modi completamente nuovi di creare valore per le
organizzazioni e i cittadini”.
Qualora
il significato di “creare valore” non fosse chiaro, egli fornisce alcuni
esempi:
“I
droni rappresentano un nuovo tipo di lavoratore dipendente che lavora tra di
noi e che esegue mansioni che un tempo coinvolgevano persone reali” e “l’uso di
algoritmi sempre più sofisticati sta rapidamente estendendo la produttività dei
dipendenti, ad esempio, nell’uso dei chat bot per aumentare (e, sempre di più,
sostituire) il supporto della ‘live chat’ per le interazioni con i clienti”.
Tagliare
i costi per incrementare i profitti.
Schwab
entra nel dettaglio delle meraviglie in grado di tagliare i costi e di
incrementare i profitti nel suo mondo nuovo de “La Quarta Rivoluzione
Industriale”.
Spiega:
Prima
di quanto molti si aspettino, il lavoro di svariati professionisti come
avvocati, analisti finanziari, medici, giornalisti, contabili, assicuratori o
bibliotecari potrà essere parzialmente o completamente automatizzato…
La
tecnologia sta progredendo così velocemente che Kristian Hammond, co-fondatore
di Narrative Science, una società specializzata nella generazione automatica
della narrativa, prevede che entro la metà degli anni venti di questo secolo,
il 90% delle notizie potrebbe essere generato da un algoritmo, gran parte di
esse senza alcun tipo di intervento umano (a parte la progettazione
dell’algoritmo, ovviamente).
È
questo imperativo economico che alimenta l’entusiasmo di Schwab per “una
rivoluzione che sta cambiando radicalmente il nostro modo di vivere, lavorare e
relazionarci”.
Schwab,
descrivendo le meraviglie della Quarta Rivoluzione Industriale, insiste sul
fatto che essa sia “diversa da qualsiasi altra cosa che l’umanità abbia mai
sperimentato prima d’ora”.
Tutto
connesso e tutto controllabile.
E si
scatena: “Considerate
le possibilità illimitate di avere miliardi di persone collegate a dispositivi
mobili, dando così origine a una potenza di elaborazione, capacità di
memorizzazione e accesso alla conoscenza senza precedenti.
Oppure
pensate alla sbalorditiva confluenza di scoperte tecnologiche che stanno
emergendo, che coprono campi molto ampi come l’intelligenza artificiale (IA),
la robotica, l’internet delle cose (IoT), i veicoli autonomi, la stampa 3D, la
nanotecnologia, la biotecnologia, la scienza dei materiali, l’immagazzinamento
dell’energia e il calcolo quantistico, per citarne solo alcuni. Molte di queste
innovazioni sono agli albori, ma stanno già raggiungendo un punto di
inflessione nel loro sviluppo, poiché incrementano e si amplificano l’un
l’altra in una fusione di tecnologie tra il mondo fisico, digitale e
biologico”.
Si
augura inoltre un incremento dell’istruzione online, che preveda “l’uso della
realtà virtuale e della realtà aumentata” per “migliorare drasticamente i
risultati educativi” , sensori “installati in case, vestiti e accessori, città,
trasporti e reti energetiche” e città
smart, con le loro importanti “piattaforme di dati”.
“Tutto
sarà smart e connesso a Internet, dice Schwab, e ciò si estenderà anche agli animali,
poiché “i
sensori collegati al bestiame possono comunicare tra loro attraverso una rete
di telefonia mobile”.
Adora
l’idea di” fabbriche
di cellule intelligenti” che potrebbero consentire la” la generazione accelerata di
vaccini” e” tecnologie dei big-data “.
Massima
fiducia agli algoritmi.
Queste,
ci assicura, “offriranno modi nuovi e innovativi per servire i cittadini e i clienti” e dovremo smettere di opporci alle
imprese che traggono profitto dallo sfruttamento e dalla vendita di
informazioni su ogni aspetto della nostra vita personale.
“Stabilire
la fiducia nei dati e negli algoritmi utilizzati per prendere decisioni sarà
fondamentale”, insiste Schwab. “Le preoccupazioni dei cittadini in merito alla privacy
e all’accertamento della responsabilità nelle strutture aziendali e legali
richiederanno degli aggiustamenti di pensiero”.
In fin
dei conti è chiaro che tutta questa esaltazione tecnologica ruota
esclusivamente intorno al profitto, o “valore” come Schwab preferisce definirlo
nella sua neolingua aziendale del 21° secolo.
Così
la tecnologia blockchain sarà fantastica e provocherà “un’esplosione di beni
commerciabili, dato che tutti i tipi di scambio di valore possono essere
ospitati sulla blockchain”.
L’uso
della tecnologia da libro mastro distribuito, aggiunge Schwab, “potrebbe costituire la forza
trainante di massicci flussi di valore in prodotti e servizi digitali, fornendo
identità digitali sicure che possono rendere i nuovi mercati accessibili a
chiunque sia connesso a Internet. “
In
generale, l’interesse della Quarta Rivoluzione Industriale per l’élite
imprenditoriale dominante consiste nel fatto che essa “creerà fonti di valore
completamente nuove” e “darà vita a ecosistemi di creazione di valore
impossibili da immaginare con una mentalità bloccata nella terza Rivoluzione
Industriale”.
Le
tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale, sviluppate attraverso il 5G,
rappresentano una minaccia senza precedenti per la nostra libertà, come ammette
Schwab: “Gli
strumenti della quarta rivoluzione industriale permettono nuove forme di
sorveglianza e altri mezzi di controllo che vanno contro gli interessi delle
società sane e aperte”.
Ma
questo non gli impedisce di presentarle sotto una luce positiva, come quando
dichiara che “la criminalità pubblica rischia di diminuire grazie alla convergenza di
sensori, telecamere, IA e software di riconoscimento facciale”.
Nuove
tecnologie al servizio dell’élite al potere.
Egli
descrive con una certa soddisfazione come queste tecnologie “possono invadere
lo spazio finora privato della nostra mente, leggendo i nostri pensieri e
influenzando il nostro comportamento”.
Schwab
prevede che
man
mano che le capacità in questo settore miglioreranno, aumenterà la tentazione
per le forze dell’ordine e i tribunali di utilizzare tecniche per determinare
la probabilità di attività criminali, valutare la colpevolezza o anche
eventualmente recuperare i ricordi direttamente dal cervello delle persone. Persino l’attraversamento di un
confine nazionale potrebbe un giorno comportare una dettagliata scansione del
cervello per valutare il rischio per la sicurezza di un individuo.
Ci
sono momenti in cui il capo del WEF si lascia trasportare dalla passione per un
futuro fantascientifico in cui “i viaggi umani nello spazio a lunga distanza e la
fusione nucleare saranno all’ordine del giorno” e in cui “il prossimo modello
di business di tendenza” potrebbe implicare che qualcuno “scambi l’accesso ai
suoi pensieri per la possibilità di risparmiare tempo e di scrivere un post sui
social media solo con il pensiero”.
Parlare
di “turismo spaziale” sotto il titolo “La Quarta Rivoluzione Industriale e
l’ultima frontiera” è quasi divertente, così come la suggestione che “un mondo pieno di droni offre un
mondo pieno di possibilità”.
Il transumanesimo
come la” sua nuova religione”
Ma quanto più il
lettore avanza nel mondo rappresentato nei libri di Schwab, tanto meno esso
appare come una cosa da ridere o da piangere.
La
verità è che questa figura altamente influente, al centro del nuovo ordine
globale in via di costituzione, è un vero e proprio transumanista che sogna la
fine di una vita umana e di una comunità naturale e sana.
Schwab
ripete questo messaggio più e più volte, come per essere sicuro di averci
debitamente avvertiti.
“Le
strabilianti innovazioni scatenate dalla quarta rivoluzione industriale, dalla
biotecnologia all’IA, stanno ridefinendo ciò che significa essere umani,”
scrive.
“Il
futuro metterà alla prova la nostra concezione di ciò che significa essere
umani, sia dal punto di vista biologico che sociale”.
“Già
oggi i progressi delle neuro-tecnologie e delle biotecnologie ci costringono a
chiederci cosa significhi essere umani”.
I
dispositivi tecnologici diventeranno un’estensione del corpo umano.
Lo
spiega più dettagliatamente in Shaping the Future of the Fourth Industrial
Revolution:
Le
tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale non si fermeranno a diventare
parte del mondo fisico che ci circonda, ma diventeranno parte di noi. Infatti,
alcuni di noi sentono già che i nostri smartphone sono diventati un’estensione
di noi stessi. I dispositivi esterni di oggi (dai computer indossabili alle cuffie
di realtà virtuale) diventeranno quasi certamente impiantabili nel nostro corpo e
nel nostro cervello.
Gli
esoscheletri e le protesi aumenteranno la nostra potenza fisica, mentre i
progressi della neuro-tecnologia miglioreranno le nostre capacità cognitive. Diventeremo più capaci di manipolare
i nostri stessi geni e quelli dei nostri figli. Questi sviluppi sollevano
profondi interrogativi: Dove tracciamo il confine tra l’uomo e la macchina?
Cosa significa essere umani?
Un’intera
sezione di questo libro è dedicata al tema “Alterare l’Essere Umano” in cui
egli sbava sulla “capacità delle nuove tecnologie di diventare letteralmente
parte di noi” e invoca un futuro di cyborg implicante “curiosi mix di vita
digitale e analogica che ridefiniranno la nostra stessa natura”.
Egli
scrive che “queste tecnologie opereranno all’interno della nostra biologia e
cambieranno il modo in cui ci interfacciamo con il mondo. Esse sono in grado di
superare i confini del corpo e della mente, di migliorare le nostre capacità
fisiche e persino di avere un impatto duraturo sulla vita stessa”.
Il
sogno di Schwab dei microchip sottopelle.
Nessuna
violazione sembra spingersi troppo in là per Schwab, che sogna “microchip
attivi impiantabili che rompono la barriera cutanea del nostro corpo”,
“tatuaggi intelligenti”, “calcolo biologico” e “organismi progettati su
misura”.
(Ma questo pazzo furioso non dovrebbe
finire in sanatorio? Ndr)
È
lieto di riferire che “i sensori, gli interruttori di memoria e i circuiti
possono essere codificati nei comuni batteri dell’intestino umano”, che “la “Smart
Dust”, una varietà di computer completi con antenne, ciascuno molto più piccolo
di un granello di sabbia, possono ora organizzarsi all’interno del corpo” e che
“i
dispositivi impiantati contribuiranno probabilmente anche a comunicare pensieri
normalmente
espressi verbalmente attraverso uno smartphone ‘incorporato’, così come
pensieri o stati d’animo potenzialmente inespressi, attraverso la lettura di
onde cerebrali e altri segnali”.
La
“biologia sintetica” è all’orizzonte nel mondo della Quarta Rivoluzione Industriale
di Schwab e darà ai governanti capitalisti tecnocratici del mondo “la
possibilità di personalizzare gli organismi scrivendo il DNA”.
L’idea
di neuro-tecnologie, in cui gli esseri umani avranno ricordi completamente
artificiali impiantati nel cervello, è sufficiente per far venire il
voltastomaco ad alcuni di noi, così come “la prospettiva di collegare il nostro
cervello alla realtà virtuale attraverso modem corticali, impianti o nanobot”.
È di
poco conforto sapere che questo è tutto (naturalmente!) nell’interesse del
profitto capitalistico, poiché “preannuncia nuove industrie e sistemi per la
creazione di valore” e “rappresenta un’opportunità per creare sistemi di valore
completamente nuovi nella Quarta Rivoluzione Industriale”.
E che
dire della “bio-stampa di tessuti organici” o del suggerimento che “gli animali
potrebbero essere potenzialmente ingegnerizzati per produrre farmaci e altre
forme di trattamento”?
Qualcuno
vuole sollevare obiezioni di carattere etico?
La
megalomania di Schwab si allarga anche al mondo animale.
Tutto
ciò è evidentemente positivo per Schwab, che è felice di annunciare che
il
giorno in cui le mucche saranno progettate per produrre nel loro (sic) latte un
elemento per la coagulazione del sangue, di cui gli emofiliaci difettano, non è
lontano. I ricercatori hanno già iniziato a progettare i genomi dei maiali con
l’obiettivo di sviluppare organi adatti al trapianto umano.
E il
tutto diventa ancora più inquietante: sin dal sinistro programma di eugenetica
della Germania nazista in cui nacque Schwab, questa scienza è stata considerata
inaccettabile dalla società umana, ma ora, però, evidentemente, egli sente che
l’eugenetica meriti una rivalutazione, quando annuncia, in merito all’editing
genetico che
il
fatto che ora sia molto più facile manipolare con precisione il genoma umano
all’interno di embrioni vitali, comporta la possibilità che in futuro vedremo
l’avvento di bambini frutto di design che possiedono particolari
caratteristiche o che sono resistenti a una specifica malattia.
Nel
famigerato trattato transumanista del 2002 “ I Cyborg”, Kevin Warwick prevede
che
gli
esseri umani saranno in grado di evolversi sfruttando la super-intelligenza e
le abilità aggiuntive offerte dalle macchine del futuro, unendosi ad esse.
Tutto ciò indica verso lo sviluppo di una nuova specie umana, conosciuta nel
mondo della fantascienza come “cyborg”. Questo non significa che tutti debbano
diventare cyborg.
Se
siete soddisfatti del vostro stato di esseri umani, allora così sia, potete
rimanere come siete. Ma attenzione: proprio come noi umani ci siamo separati
dai nostri cugini scimpanzé anni fa, così i cyborg si separeranno dagli umani.
Coloro che rimangono umani probabilmente diventeranno una sottospecie. Saranno,
in effetti, gli scimpanzé del futuro.
Un’élite
artificiale transumana.
Schwab
sembra accennare allo stesso futuro di un’élite artificiale transumana
“superiore” e potenziata che si separa dalla marmaglia nata in modo naturale,
in questo passaggio particolarmente maledetto del “La Quarta Rivoluzione
Industriale scrive che “siamo alle soglie di un radicale cambiamento sistemico che
richiede agli esseri umani di adattarsi continuamente.
(I pazzi saranno posti al comando del
genere umano diventato “schiavizzato”! Ndr)
Di
conseguenza, potremmo assistere a un crescente grado di polarizzazione nel
mondo, segnato da coloro che abbracciano il cambiamento da una parte, contro
coloro che vi si oppongono dall’altra.
“Questo
darà origine a una disuguaglianza che va oltre quella sociale descritta in
precedenza. Questa disuguaglianza ontologica separerà chi si adatta da chi resiste, i
vincenti dai perdenti materiali in tutti i sensi delle parole.
I vincenti potrebbero anche beneficiare di una
qualche forma di miglioramento umano radicale generato da alcuni segmenti della
quarta rivoluzione industriale (come l’ingegneria genetica) di cui i perdenti
saranno privati. Questo rischia di creare conflitti di classe e altri scontri, totalmente
diversi da quelli visti prima d’ora”.
Schwab
aveva già parlato di una “grande trasformazione” nel 2016 ed è chiaramente
determinato a fare tutto ciò che è in suo potere per realizzare il suo mondo artificiale
transumanista di ispirazione eugenetica, della sorveglianza, del controllo e
del profitto esponenziale.
Tuttavia,
come rivela il suo riferimento ai “conflitti di classe” di cui sopra, è chiaramente preoccupato dalla
possibilità di “resistenza sociale” e da
come procedere “se le tecnologie riceveranno una grande resistenza da parte del
pubblico”.
Gli
incontri annuali del WEF di Schwab a Davos sono stati a lungo accolti da
proteste anticapitaliste e, nonostante l’attuale paralisi della sinistra
radicale, egli è ben consapevole della possibilità di una rinnovata e forse più
ampia opposizione al suo progetto, con il rischio di “risentimento, paura e
contraccolpi politici”.
Nel
suo libro più recente fornisce un contesto storico, sottolineando che “l’antiglobalismo è stato forte nel
periodo precedente al 1914 e fino al 1918, poi è diminuito durante gli anni
Venti, ma si è riacceso negli anni Trenta in seguito alla Grande Depressione”.
Egli
osserva che all’inizio degli anni 2000 “il contraccolpo politico e sociale contro la
globalizzazione si è rafforzato senza sosta”, afferma che negli ultimi due anni
il” malcontento sociale” si è diffuso in tutto il mondo, citando i Gilet Gialli
in Francia tra i vari movimenti, e invoca lo “scenario cupo” che “potrebbe verificarsi
di nuovo”.
Dunque
come può un onesto tecnocrate realizzare il suo futuro ideale per il mondo
senza il consenso dell’opinione pubblica mondiale? Come possono Schwab e i suoi amici
miliardari imporre la società da loro auspicata al resto del mondo?
Creare
una narrazione unica.
Una
soluzione è attraverso un’incessante propaganda e lavaggio del cervello che i
mass media e il mondo accademico di proprietà dell’1% dell’élite (ciò che a
loro piace chiamare “una narrazione”).
Per
Schwab, la riluttanza della maggioranza dell’umanità a salire a bordo del treno
verso la quarta rivoluzione industriale rispecchia la tragica circostanza che “al mondo manca una narrazione
coerente, positiva e comune che delinei le opportunità e le sfide della quarta
rivoluzione industriale, una narrazione che è essenziale se vogliamo dare forza a un
insieme diversificato di individui e comunità ed evitare un contraccolpo
popolare contro i cambiamenti radicali in corso”.
E
aggiunge che “è quindi fondamentale investire attenzione ed energia nella cooperazione
multilaterale al di là dei confini accademici, sociali, politici, nazionali e
industriali. Queste interazioni e collaborazioni sono necessarie per creare narrazioni
positive, comuni e piene di speranza, che consentano a individui e gruppi di
tutte le parti del mondo di partecipare alle trasformazioni in corso e di
trarne vantaggio”.
Internet:
l’arma che vuole utilizzare il tecno-imperialismo globale.
Una di
queste “narrazioni” occulta le ragioni per cui la tecnologia della quarta
rivoluzione industriale deve essere installata ovunque nel mondo il più presto
possibile.
Schwab
è frustrato dal fatto che “più della metà della popolazione mondiale (circa 3,9
miliardi di persone) non possa ancora accedere a Internet”, con l’85% della
popolazione dei Paesi in via di sviluppo che rimane offline e quindi
irraggiungibile, differentemente dal 22% del mondo sviluppato.
L’obiettivo
reale della Quarta Rivoluzione Industriale è quello di sfruttare queste
popolazioni a scopo di lucro attraverso il tecno-imperialismo globale, ma
ovviamente questo non può essere dichiarato nella “narrazione” propagandistica
necessaria per vendere il piano.
La
loro missione deve invece essere presentata, come fa lo stesso Schwab, come un
tentativo di “sviluppare tecnologie e sistemi che servano a distribuire valori
economici e sociali come il reddito, le opportunità e la libertà a tutti i
portatori di interesse”.
Si
atteggia devotamente a guardiano dei valori liberali illuminati, dichiarando che pensare in modo
inclusivo va oltre il pensare alla povertà o alle comunità emarginate
semplicemente come un’aberrazione, ma a qualcosa che possiamo risolvere.
Ci
costringe a realizzare che “i nostri privilegi si trovano sullo stesso piano
della loro sofferenza” e va al di là del reddito e dei diritti, anche se questi
rimangono importanti. Attraverso l’inclusione degli stakeholder e la distribuzione
dei benefici si ampliano le libertà per tutti”.
La
stessa tecnica, di una finta “narrazione” progettata per ingannare i cittadini
benpensanti a sostenere uno schema capitalista imperialista, è stata ampiamente utilizzata per
quanto riguarda il cambiamento climatico.
Il
ruolo (ben
pagato) di
Greta Thunberg.
Schwab
è chiaramente un grande fan di Greta Thunberg, la quale non aveva nemmeno fatto
in tempo ad alzarsi dal marciapiede dopo la sua protesta a Stoccolma, che è
stata subito spedita a Davos per parlare al WEF.
È
altresì un sostenitore della proposta di un globale New Deal for Nature, in particolare attraverso il programma Voice for the Planet, che è stato lanciato al WEF di Davos nel 2019 dai Global
Shapers,
un’organizzazione giovanile creata da Schwab nel 2011 e giustamente descritta dal giornalista
investigativo Cory Morningstar come “una grottesca esibizione di abuso
aziendale mascherata come qualcosa di positivo”.
Nel
suo libro del 2020, Schwab illustra il modo in cui il finto “attivismo giovanile”
viene utilizzato per promuovere i suoi personali obiettivi capitalistici.
Scrive,
in un passaggio estremamente franco che “l’attivismo giovanile sta aumentando
in tutto il mondo, essendo stato rivoluzionato dai social media che aumentano
la mobilitazione in una misura che prima sarebbe stata impossibile.
Esso
assume molte forme diverse, dalla partecipazione politica non
istituzionalizzata alle manifestazioni e alle proteste, e affronta questioni
diverse come il cambiamento climatico, le riforme economiche, l’uguaglianza di
genere e i diritti LGBTQ. La giovane generazione è saldamente all’avanguardia
del cambiamento sociale arcobaleno. Non c’è dubbio essa che sarà il
catalizzatore del cambiamento e la leva per un momento cruciale per il Grande
Reset”.
In
realtà, ovviamente, il futuro ultra-industriale proposto da Schwab sarà
tutt’altro che verde. Non è la natura che gli interessa, ma il “capitale
naturale” e “l’incentivazione degli investimenti nei mercati della frontiera verde e
sociale”.
Cambiamento
climatico:
un’opportunità di business.
Inquinamento
equivale a profitto e la crisi ambientale è solo un’altra opportunità di
business, come spiega in dettaglio ne “La Quarta Rivoluzione Industriale”:
in
questo nuovo rivoluzionario sistema industriale, l’anidride carbonica si trasformerà
da inquinante ad effetto serra in un bene, e l’economia della cattura e dello
stoccaggio del carbonio passerà dall’essere un costo, così come i pozzi di
assorbimento dell’inquinamento, a diventare proficuo per la raccolta e
l’utilizzo di carbonio e per la produzione.
Ancora
più importante: ciò aiuterà le aziende, i governi e i cittadini a diventare più
consapevoli e impegnati in strategie per rigenerare attivamente il capitale
naturale, permettendo usi intelligenti e rigenerativi del capitale naturale per
guidare la produzione e il consumo sostenibili e dare spazio alla biodiversità
per la ripresa in aree compromesse”.
Le
“soluzioni” di Schwab per i danni strazianti inflitti al nostro mondo naturale
dal capitalismo industriale consistono nello stesso veleno, se non peggio.
La
geoingegneria è uno dei suoi cavalli di battaglia: “le proposte includono l’installazione
di specchi giganti nella stratosfera per deviare i raggi del sole, la semina
chimica dell’atmosfera per aumentare le precipitazioni e il dispiegamento di
grandi macchine per rimuovere l’anidride carbonica dall’aria”.
(Le proposte di un pazzo accettate dai
nuovi governanti del mondo! Ndr)
E poi
aggiunge: “attualmente
si stanno immaginando nuovi approcci attraverso la combinazione di tecnologie
della Quarta Rivoluzione Industriale, come le nanoparticelle e altri materiali
avanzati”.
Come
tutte le imprese e le ONG pro-capitaliste che sostengono il messo in pericolo
New Deal for Nature, Schwab è completamente e profondamente “non-green”.
Per
lui, la “possibilità ultima” di un’energia “pulita” e “sostenibile” comprende
la fusione nucleare. Egli attende con ansia il giorno in
cui i satelliti “copriranno tutto il pianeta con percorsi di comunicazione che
potrebbero aiutare a collegare gli oltre 4 miliardi di persone ancora prive di
accesso online”.
Schwab
vuole avvalersi degli OGM.
Schwab
inoltre si rammarica molto di tutta quella burocrazia che impedisce
l’avanzamento senza ostacoli degli alimenti geneticamente modificati,
avvertendo che “la sicurezza alimentare globale sarà raggiunta, tuttavia, solo se le
norme sugli alimenti geneticamente modificati saranno adattate per dimostrare
che la modificazione genetica offre un metodo preciso, efficiente e sicuro per
migliorare le colture”.
Il
nuovo ordine previsto da Schwab abbraccerà il mondo intero e quindi è
necessaria una governance globale per imporlo, come egli afferma ripetutamente. Il suo futuro preferito “si
realizzerà solo attraverso una migliore governance globale” insiste. “È necessaria una qualche forma di
governance globale efficace”.
Il
problema che abbiamo oggi è quello di un possibile “deficit di ordine globale”, afferma, aggiungendo
inverosimilmente che l’Organizzazione Mondiale della Sanità “è gravata da risorse
limitate e in diminuzione”.
Quello
che in realtà sta dicendo è che la sua società del grande reset e della quarta
rivoluzione industriale funzionerà solo se imposta simultaneamente in tutto il
pianeta, altrimenti “rimarremo paralizzati nei nostri tentativi di affrontare e
rispondere alle sfide globali”.
Egli
ammette che “in poche parole, la governance globale il nesso di tutte queste
altre questioni”.
Questo
che ingloba tutto disapprova molto l’idea che una particolare popolazione decida
democraticamente di intraprendere un’altra strada. Tali popolazioni “rischierebbero di rimanere isolate
dalle norme globali, mettendo queste nazioni a rischio di diventare i
ritardatari della nuova economia digitale”, avverte Schwab.
Cancellare
identità e strutture familiari.
Ogni
senso di autonomia e di attaccamento alle radici è considerato una minaccia dal
punto di vista imperialista di Schwab e deve essere sradicato con la quarta
rivoluzione industriale.
Scrive
così: Gli individui erano soliti identificare la loro vita più da vicino con un
luogo, un gruppo etnico, una particolare cultura o anche una lingua. L’avvento
del coinvolgimento online e la maggiore esposizione alle idee di altre culture
fanno sì che le identità siano ora più fungibili rispetto al passato… Grazie
alla combinazione di modelli migratori storici e di connettività a basso costo,
si stanno ridefinendo le strutture familiari. (Soros provvederà a finanziare lo
sviluppo del nuovo mondo arcobaleno! Ndr)
La
democrazia vera e propria rientra essenzialmente nella stessa categoria per
Schwab. Egli
sa che la maggior parte delle persone non accetterà di buon grado i piani per
distruggere le loro vite e renderle schiave di un sistema globale di
sfruttamento tecno-fascista, quindi la possibilità dare loro voce in capitolo è
semplicemente esclusa.
Per
questo motivo il concetto di “stakeholder” è stato così importante per il progetto di
Schwab. Come già discusso in precedenza, si tratta della negazione della
democrazia, con l’accento posto invece sul “raggiungere i gruppi di stakeholder
per la costruzione di soluzioni”.
Se il
pubblico, le persone, sono incluse in questo processo ciò avviene meramente a
livello superficiale. Il programma è già stato pre-ipotizzato e le decisioni sono
state già prese dietro le quinte.
Schwab
lo ammette efficacemente quando scrive: “dobbiamo ristabilire un dialogo tra
tutti gli stakeholder per garantire una comprensione reciproca che costruisca
ulteriormente una cultura di fiducia tra le autorità di regolamentazione, le
organizzazioni non governative, i professionisti e gli scienziati.
Anche
il pubblico deve essere preso in considerazione, perché deve partecipare alla
formazione democratica degli sviluppi biotecnologici che riguardano la società, gli
individui e le culture”.
(Non manca la presa per il culo dei
popoli con l’opera delinquenziale di Klaus Schwab! Ndr)
Il
concetto di leadership di sistema.
Quindi
“anche” il pubblico deve essere considerato, in un secondo momento. Nemmeno
consultato direttamente, solo “considerato”!
E il
ruolo del popolo, il demos, sarà solo quello di “partecipare” alla “formazione”
degli sviluppi biotecnologici. La possibilità che il pubblico respinga di fatto
l’idea stessa di sviluppo biotecnologico è stata completamente eliminata grazie
ai presupposti volutamente costruiti con la formula degli stakeholder.
Lo
stesso messaggio è implicito nel titolo della conclusione di Schwab in “Shaping the Future of the Fourth
Industrial Revolution:What You Can Do to Shape the Fourth Industrial Revolution
.
La “tecno-tirannia” non può essere messa in
discussione o fermata, semplicemente “plasmata” (shaped).
Schwab
usa il termine “leadership di sistema” per descrivere il modo profondamente antidemocratico in cui
l’1% impone la sua agenda a tutti noi, senza darci la possibilità di dire “no”.
(In Italia -ad esempio – si è già
prenotato per questa nuova carica il nostro amato Draghi! Ndr)
Egli
scrive che “la leadership dei sistemi consiste nel coltivare una visione condivisa
del cambiamento, lavorare insieme a tutti gli stakeholder della società globale
e poi agire su di essa per cambiare il modo in cui il sistema offre i suoi
benefici e a chi li offre. La leadership di sistema richiede l’azione di tutti
gli stakeholder, inclusi gli individui, i dirigenti d’azienda, gli influencer
sociali e i decisori politici”.
Egli
definisce a questo controllo a tutto spettro dall’alto verso il basso come “la
gestione del sistema dell’esistenza umana”, sebbene altri potrebbero preferire
il termine “totalitarismo “.
Uno
dei tratti distintivi del fascismo storico in Italia e in Germania era la sua
insofferenza per le scomode restrizioni imposte alla classe dirigente (“la
Nazione” in linguaggio fascista) dalla democrazia e dal liberalismo politico.
Tutto
questo doveva essere spazzato via per consentire una Blitzkrieg di
“modernizzazione” accelerata.
Vediamo
riaffiorare lo stesso spirito negli appelli di Schwab per una “governance
agile” in cui egli sostiene che “il passo dello sviluppo tecnologico e di una serie di
caratteristiche delle tecnologie rendono inadeguati i cicli e i processi
politici precedenti”.
“Le
strutture sociali saranno al servizio del capitalismo globalista arcobaleno.”
Egli
scrive che “l’idea di riformare i modelli di governance per far fronte alle nuove
tecnologie non è nuova, ma l’urgenza di farlo è di gran lunga maggiore alla
luce della potenza delle tecnologie emergenti di oggi… il concetto di governance
agile cerca di abbinarsi con l’agilità, la fluidità, la flessibilità e
l’adattabilità delle tecnologie stesse e degli attori del settore privato che
le adottano”.
L’espressione
“riformare
i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie” svela la vera
essenza della questione. Come nel nazi- fascismo, le strutture sociali devono
essere reinventate in modo da soddisfare le esigenze del capitalismo e delle
sue tecnologie generatrici di profitto.
Schwab
spiega che la sua” governance agile” comporterebbe la creazione di cosiddetti laboratori
di politica:
spazi
protetti all’interno del governo con un esplicito mandato di sperimentare nuovi
metodi di sviluppo delle politiche utilizzando principi agili che incoraggino
la collaborazione tra governi e imprese per creare ‘sandbox di sviluppo ’ e
‘banchi di prova sperimentali’ per sviluppare normative che utilizzino approcci interattivi,
intersettoriali e flessibili.
Per
Schwab, il ruolo dello Stato è quello di far progredire gli obiettivi capitalistici,
non di tenerli sotto controllo in alcun modo.
Sebbene
egli sia del tutto favorevole al ruolo dello Stato nel consentire
l’acquisizione della nostra vita da parte delle imprese, è meno interessato
alla sua funzione di regolamentazione, che potrebbe rallentare l’afflusso di
profitti nelle mani dei privati, e quindi prevede “lo sviluppo di ecosistemi di
regolatori privati, in competizione sui mercati”.
(Le leggi nazionali le debbono fare le
multinazionali finanziarie per la realizzazione dei loro precisi interessi!
Ndr)
La
simulazione della pandemia fittizia.
Nel
suo libro del 2018, Schwab affronta il problema delle normative moleste e di
come “superare questi limiti” nel campo dei dati e della privacy.
Egli
propone “accordi di condivisione dei dati tra pubblico e privato che “rompono
il vetro in caso di emergenza”.
Questi
entrerebbero in gioco solo in circostanze di emergenza pre-concordate (come una
pandemia) e possono contribuire a ridurre i ritardi e a migliorare il
coordinamento dei paramedici, consentendo temporaneamente una condivisione dei
dati che in circostanze normali sarebbe illegale”.
(Schwab non dice mai cosa ne farà delle
migliaia di bome atomiche che lui -illegalmente -produce in Sud Africa! Ndr)
Curiosamente,
due anni dopo c’è stata effettivamente una “pandemia” e queste “circostanze di
emergenza pre-concordate” sono diventate realtà.
Ciò
non deve essere stato una sorpresa per Schwab, visto che il suo WEF era tra gli
organizzatori della famigerata conferenza “Event 201” dell’ottobre 2019, in cui
fu simulata una pandemia di coronavirus fittizia.
Così
ha perso poco tempo per far uscire un nuovo libro, “Covid-19: The Great Reset”, realizzato in collaborazione con Thierry Malleret, che gestisce qualcosa chiamato “The Monthly Barometer”, “una succinta analisi predittiva
fornita agli investitori privati, ai CEO, ai decisori e agli opinion maker
globali”.
Pubblicato
nel luglio 2020, il libro si propone di partorire “congetture e idee su come
potrebbe e forse dovrebbe apparire il mondo post-pandemico”.
Schwab
e Malleret ammettono che il Covid-19 è “una delle pandemie meno mortali che
il mondo abbia conosciuto negli ultimi 2000 anni”, aggiungendo che “le conseguenze di COVID-19 in termini
di salute e mortalità saranno miti rispetto alle pandemie precedenti”.
E
aggiungono che “essa non costituisce una minaccia esistenziale, né uno shock che lascerà
la sua impronta sulla popolazione mondiale per decenni”.
Eppure,
incredibilmente, questa “lieve” malattia viene presentata contemporaneamente
come la scusa per un cambiamento sociale senza precedenti all’insegna del
“Grande Reset”!
E
sebbene dichiarino esplicitamente che il Covid-19 non costituisce un grande
“shock”, gli autori usano ripetutamente lo stesso termine per descrivere
l’impatto più ampio della crisi.
Il
Covid come strumento per facilitare i cambiamenti.
Schwab
e Malleret collocano il Covid-19 in una lunga tradizione di eventi che hanno
facilitato cambiamenti improvvisi e significativi nelle nostre società.
In
particolare evocano la Seconda Guerra Mondiale:
la
Seconda Guerra Mondiale è stata la quintessenza della guerra di trasformazione,
innescando non solo cambiamenti fondamentali nell’ordine globale e
nell’economia globale, ma anche cambiamenti radicali negli atteggiamenti e
nelle credenze sociali che alla fine hanno aperto la strada a politiche e
disposizioni da contratto sociale radicalmente nuove (come l’ingresso delle
donne nella forza lavoro prima di acquisire il diritto di voto).
Ci
sono ovviamente differenze fondamentali tra una pandemia e una guerra (che considereremo
in modo più dettagliato nelle pagine seguenti), ma l’entità del loro potere di
trasformazione è paragonabile. Entrambe hanno il potenziale per essere una
crisi trasformativa di proporzioni inimmaginabili in precedenza.
Si
aggiungono anche al coro di molti “teorici della complotto” contemporanei nel fare un confronto diretto tra il
Covid-19 e l’11 settembre:
“questo
è quanto è successo dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001: in
tutto il mondo, nuove misure di sicurezza come l’impiego diffuso di telecamere,
la richiesta di carte d’identità elettroniche e la registrazione dei dipendenti
o dei visitatori in entrata e in uscita sono diventate la norma. All’epoca
queste misure erano considerate estreme, ma oggi sono utilizzate ovunque e
considerate “normali”.
Quando
qualsivoglia tiranno dichiara il proprio diritto di governare su un popolo
senza tener conto delle sue opinioni, ama giustificare la propria dittatura con
la pretesa di avere il diritto morale di farlo perché egli è “illuminato”.
Lo
stesso vale per la tirannia alimentata dal Covid del Grande Reset di Schwab,
che il libro classifica come “leadership illuminata”, aggiungendo:
“Alcuni
leader e decisori che erano già in prima linea nella lotta contro il
cambiamento climatico potrebbero voler approfittare dello shock inflitto dalla
pandemia per attuare cambiamenti ambientali più ampi e duraturi. Essi, in
effetti, faranno ‘buon uso’ della pandemia non lasciando che la crisi vada
sprecata”.
Niente
tornerà come prima.
L’élite
capitalistica mondiale al potere ha certamente fatto del suo meglio per “approfittare
dello shock provocato dal panico”, assicurando tutti noi fin dai primi giorni
dell’epidemia che, per qualche imperscrutabile ragione, niente nella nostra
vita tornerà come prima.
Schwab
e Malleret sono, inevitabilmente, entusiasti dell’uso del termine “nuova
normalità, nonostante abbiano ammesso che il virus è stato sempre e solo
“blando”.
“È il
nostro momento decisivo”, esclamano. “Molte cose cambieranno per sempre”. “Un
nuovo mondo emergerà”. “Lo sconvolgimento sociale scatenato da COVID-19 durerà
per anni, e forse per generazioni”. “Molti di noi stanno pensando a quando le
cose torneranno alla normalità. La risposta immediata è: mai”.
Arrivano
persino a proporre una nuova separazione storica tra “l’era pre-pandemica” e
“il mondo post-pandemico”.
Scrivono
che “cambiamenti radicali di tale conseguenza che alcuni esperti arrivano a
riferirsi ad un’era ‘prima del coronavirus’ (A.C.) e ‘dopo il coronavirus’
(D.C.).
Continueremo
a rimanere sorpresi sia dalla rapidità che dalla natura inaspettata di questi
cambiamenti, poiché essi si fondono l’uno con l’altro, provocando conseguenze
di secondo, terzo, quarto ordine e oltre, effetti a cascata ed esiti imprevisti.
Così
facendo, daranno forma ad una “nuova normalità” radicalmente diversa da quella
che ci lasceremo progressivamente alle spalle. Molte delle nostre convinzioni e
delle nostre assunzioni su come il mondo potrebbe o dovrebbe apparire saranno
distrutte in questo processo”.
Il
Reset ambientale.
Già
nel 2016, Schwab puntava a “nuovi modi di usare la tecnologia per cambiare il
comportamento” e prevedeva che “la portata e l’ampiezza della rivoluzione
tecnologica in corso porterà a cambiamenti economici, sociali e culturali di
proporzioni così fenomenali da essere quasi impossibili da pronosticare”.
Un
modo in cui aveva sperato di far avanzare la sua agenda tecnocratica era, come
abbiamo notato, attraverso le false “soluzioni” al cambiamento climatico
proposte dai capitalisti falsamente green.
Sotto
il titolo “Reset ambientale”, Schwab e Malleret dichiarano: “a prima vista, la
pandemia e l’ambiente potrebbero sembrare solo cugini imparentati alla lontana;
ma sono molto più vicini e più intrecciati di quanto si pensi”.
Una
delle connessioni è che sia la “crisi climatica” che quella del virus sono
state usate dal WEF e da loro simili per spingere la loro agenda di governance
globale. Come hanno affermato Schwab e il suo coautore, “esse hanno una natura
globale e quindi possono essere affrontate in modo adeguato solo in modo
coordinato a livello globale”.
Un
altro collegamento è il modo in cui “l’economia post-pandemica” e “l’economia
verde” comportano ingenti profitti per la gran parte agli stessi settori del
grande business.
Il
Covid-19 è stata evidentemente una grande notizia per quei capitalisti che
speravano di incassare sulla distruzione dell’ambiente, con Schwab e Malleret a
dire che “la
convinzione che le strategie del Gruppo Esecutivo abbiano beneficiato della pandemia e
che abbiano maggiori probabilità di beneficiarne ulteriormente è corroborata da
vari sondaggi e rapporti. I primi dati mostrano che nel primo trimestre del
2020 il settore della sostenibilità ha superato quello dei fondi
convenzionali”.
Gli
squali capitalisti del cosiddetto “settore della sostenibilità” si stanno
fregando le mani con gioia alla prospettiva di tutti i soldi che stanno per
fare con il Grande Reset fascista di attuato con il pretesto del Covid, in cui
lo Stato è reso strumento per finanziare il loro ipocrita affarismo.
Schwab
e Malleret notano che “la chiave per gonfiare il capitale privato con nuove fonti di
valore economico nature-positive sarà quella di spostare le principali leve
politiche e gli incentivi della finanza pubblica nell’ambito di un più ampio
reset economico”.
“Un
documento politico preparato da Systemiq in collaborazione con il World Economic Forum stima che la costruzione di un’economia
nature-positive potrebbe valere più di 10 trilioni di dollari all’anno entro il
2030… Il reset dell’ambiente non dovrebbe
essere visto come un costo, ma piuttosto come un investimento che genererà
attività economica e opportunità di lavoro”.
Il
Covid è stato un incredibile acceleratore di cambiamenti già in atto.
Dato
l’intreccio tra la crisi climatica e quella del Covid esposto da Schwab, si
potrebbe ipotizzare che il piano originario fosse quello di attuare il reset
della “nuova normalità” tramite la crisi climatica.
Ma
evidentemente, tutta la pubblicità per Greta Thunberg e per il movimento “Extincion Rebellion”, sostenuto dalle grandi imprese, non ha suscitato abbastanza panico
nell’opinione pubblica da giustificare tali misure.
Il
Covid-19 serve perfettamente ai propositi di Schwab, poiché l’urgenza immediata
che presenta permette di accelerare e velocizzare l’intero processo senza
controllo.
“Questa
differenza cruciale tra i rispettivi orizzonti temporali di una pandemia e
quelli del cambiamento
climatico e
della perdite della natura significa che il rischio di una pandemia richiede
un’azione immediata, seguita da un risultato rapido, mentre il cambiamento climatico e la perdite
della natura richiedono sì anch’essi un’azione immediata, ma il risultato (o ‘ricompensa
futura’, nel gergo degli economisti) seguirà solo con un certo ritardo”.
Per
Schwab e i suoi amici, il Covid-19 è il grande acceleratore di tutto ciò che da
anni vogliono imporci.
Come
affermano lui e Malleret, “la pandemia sta chiaramente esacerbando e accelerando le
tendenze geopolitiche che erano già evidenti prima dello scoppio della crisi”.
“La
pandemia segnerà una svolta accelerando questa transizione. Essa ha cristallizzato
la questione e reso impossibile il ritorno allo status quo pre-pandemico”.
Riescono
a malapena a nascondere la loro gioia per la direzione che la società sta
prendendo: “la
pandemia accelererà ancora di più l’innovazione, catalizzando i cambiamenti
tecnologici già in atto (è paragonabile all’effetto esacerbante che ha avuto su
altre questioni globali e nazionali di fondo) e “mettendo il turbo” a qualsiasi
business digitale e alla dimensione digitale di qualsiasi business”.
“Con
la pandemia, la ‘trasformazione digitale’ di cui tanti analisti si occupano da
anni, senza essere esattamente sicuri di cosa significhi, ha trovato il suo
catalizzatore. Uno dei principali effetti del confinamento sarà l’espansione e
la progressione del mondo digitale in modo decisivo e spesso permanente.
“Nell’aprile
del 2020, diversi leader del Big Tech hanno osservato quanto rapidamente e
radicalmente le necessità create dalla crisi sanitaria abbiano accelerato
l’adozione di una vasta gamma di tecnologie. Nell’arco di un solo mese, è apparso
che molte aziende in termini di adozione delle tecnologie siano balzate avanti
di diversi anni”.
Il
destino sta chiaramente sorridendo a Klaus Schwab, poiché questa crisi del
Covid-19 è riuscita a far avanzare, per sua fortuna, praticamente ogni aspetto
dell’agenda che egli ha promosso nel corso dei decenni.
E così
lui e Malleret riportano con soddisfazione che “la pandemia accelererà l’adozione
dell’automazione sul posto di lavoro e l’introduzione di un maggior numero di
robot nella nostra vita personale e professionale”.
Lo
sviluppo del commercio online.
I
Lockdown in tutto il mondo hanno, inutile dirlo, fornito un grande impulso
finanziario alle aziende che offrono shopping online.
(Al fine di espandere il commercio
on-line in Cina, attualmente si continua a provocare il lockdown per intere
città! Ndr)
Gli
autori raccontano che “i consumatori hanno bisogno di prodotti e, se non possono
fare acquisti, inevitabilmente ricorreranno all’acquisto online. Man mano che
l’abitudine prende piede, le persone che non avevano mai fatto acquisti online
prima d’ora si sentiranno più a loro agio a farli, mentre le persone che prima
facevano acquisti online solo parzialmente faranno presumibilmente più
affidamento su di essi.
Questo
è stato reso evidente durante i lockdown. Negli Stati Uniti, Amazon e Walmart
hanno assunto complessivamente 250.000 lavoratori per tenere il passo con
l’aumento della domanda e hanno costruito enormi infrastrutture per la
fornitura online. Questa crescita accelerata dell’e-commerce significa che i
giganti dell’industria del commercio al dettaglio online usciranno probabilmente dalla crisi
ancora più forti di quanto non fossero nell’era pre-pandemica”.
E
aggiungono: “man mano che sempre più beni e servizi ci vengono forniti attraverso i
nostri cellulari e computer, le aziende di settori così diversi come
l’e-commerce, le operazioni contactless, i contenuti digitali, i robot e le
consegne via drone (per citarne solo alcuni) prospereranno. Non è un caso che
aziende come Alibaba, Amazon, Netflix o Zoom siano emerse come ‘vincitrici’ dai
lockdown”.
A
titolo di corollario, potremmo ipotizzare che non è “per caso” che i governi
che sono stati conquistati e controllati dalle grandi imprese, grazie a
soggetti del calibro del WEF, è stata imposta una “nuova realtà” sotto la quale
le grandi imprese sono le “vincitrici”.
Le
buone notizie ispirate dal Covid non si fermano mai per tutti quei comparti
aziendali che possono beneficiare della “Quarta Repressione Industriale”.
“La pandemia può rivelarsi una manna
per l’istruzione online”, riportano Schwab e Malleret.
“In
Asia, il passaggio all’istruzione online è stato particolarmente notevole, con
un forte aumento delle iscrizioni digitali degli studenti, una valutazione
molto più alta per le imprese di educazione online e più capitale disponibile
per le start-up dello ed-tech… Nell’estate del 2020, la tendenza sembra chiara:
il mondo dell’istruzione, come per tanti altri settori, diventerà in parte virtuale”.
Anche
gli sport online sono decollati: “per un certo periodo, il distanziamento sociale può
limitare la pratica di alcuni sport, il che a sua volta andrà a beneficio della
sempre più potente espansione degli sport elettronici. La tecnologia e il
digitale non sono mai distanti!”.
Ci
sono notizie simili dal settore bancario: “le interazioni bancarie online sono
aumentate del 90% durante la crisi, dal 10%, senza alcun calo di qualità e con
un aumento della regolarità”.
L’automazione
come opportunità di risparmio delle imprese.
Il
passaggio all’attività online, ispirato dal Covid, va ovviamente a vantaggio
della Big Tech, che sta ottenendo enormi profitti dalla crisi, come descrivono
gli autori: “il valore di mercato combinato delle aziende leader del settore
tecnologico ha raggiunto record su record durante i lockdown, risalendo
addirittura al di sopra dei livelli di prima dello scoppio dell’epidemia… è
improbabile che questo fenomeno si attenui in tempi brevi, anzi, è probabile
che si verifichi piuttosto il contrario”.
Ma ci
sono buone notizie anche per tutte le imprese coinvolte, che non devono più
pagare gli esseri umani per lavorare per loro. L’automazione è, ed è sempre stata,
un risparmio di costi e quindi un aumento dei profitti per l’élite capitalista
globalista.
“La pandemia aumenterà certamente la
nostra attenzione per l’igiene. Una nuova ossessione per la pulizia comporterà in
particolare la creazione di nuove forme di imballaggio. Saremo incoraggiati a
non toccare i prodotti che acquistiamo. Semplici piaceri come annusare un
melone o spremere un frutto saranno disapprovati e potrebbero addirittura
diventare un ricordo del passato”.
Gli
autori descrivono anche ciò che appare molto simile a un’agenda tecnocratica
legata al profitto dietro al “distanziamento sociale” che è stato un elemento
chiave del “reset” del Covid.
Essi
scrivono che “in una maniera o nell’altra, è probabile che le misure di distanziamento
fisico e sociale persistano dopo che la pandemia stessa si sarà placata,
giustificando la decisione di molte aziende di diversi settori industriali di
accelerare l’automazione.
Dopo
un po’ di tempo, le persistenti preoccupazioni per la disoccupazione
tecnologica si ridurranno, poiché le società sottolineeranno il bisogno di
ristrutturare i luoghi di lavoro in modo da ridurre al minimo lo stretto
contatto umano. Infatti, le tecnologie di automazione sono particolarmente adatte ad un
mondo in cui gli esseri umani non possono avvicinarsi troppo l’uno all’altro o
sono disposti a ridurre le loro interazioni.
La
nostra persistente e potenzialmente duratura paura di essere infettati da un
virus (COVID-19 o un altro) accelererà così l’implacabile marcia
dell’automazione, in particolare nei campi più suscettibili all’automazione”.
Come
già detto, Schwab è stato a lungo frustrato da tutte quelle seccanti normative
che impediscono ai capitalisti di fare tutti i soldi che vorrebbero si
concentrano su preoccupazioni economicamente irrilevanti come la sicurezza e il
benessere degli esseri umani.
Ma
(urrà!) la crisi da Covid ha fornito la scusa perfetta per eliminare gran parte
di questi ostacoli obsoleti per la prosperità e la crescita.
Un
settore in cui la burocrazia è stata abbandonata è quello della salute. Perché
mai uno stakeholder di buon senso dovrebbe pensare che un determinato obbligo
di cura e di diligenza possa incidere sulla redditività di questo particolare
settore commerciale?
Schwab
e Malleret sono felicissimi di constatare che la telemedicina “beneficerà
notevolmente” dell’emergenza Covid: “la necessità di affrontare la pandemia con tutti i
mezzi disponibili (oltre alla necessità, durante lo scoppio epidemia, di
proteggere gli operatori sanitari permettendo loro di lavorare a distanza) ha rimosso alcuni degli impedimenti
normativi e legislativi legati all’adozione della telemedicina”.
“Incentivare
l’economia senza contatto”
L’abbandono
della regolamentazione è un fenomeno generale sotto il regime globale della
Nuova Normalità, spiegano Schwab e Malleret:
fino
ad oggi i governi hanno spesso rallentato il ritmo di adozione delle nuove
tecnologie a causa di lunghe riflessioni su come dovrebbe essere il miglior
quadro normativo ma, come l’esempio della telemedicina e della consegna tramite
droni sta ora dimostrando, è possibile una brusca accelerazione forzata dalla
necessità.
Durante
i lockdown, un allentamento quasi globale delle normative che in precedenza
avevano ostacolato il progresso nei campi in cui la tecnologia era disponibile
da anni, si è verificato all’improvviso perché non c’era scelta migliore o
altra scelta disponibile. Ciò che fino a poco tempo fa era impensabile è
diventato improvvisamente possibile… Le nuove regole resteranno in vigore.
E
aggiungono: “l’attuale imperativo di incentivare, non importa come, l'”economia senza
contatto” e la conseguente disponibilità dei regolatori ad accelerarla
significa che si andrà avanti senza esclusione di colpi”.
“Senza
esclusione di colpi”. Non illudetevi: questo è il linguaggio adottato dal
capitalismo quando abbandona la sua apparenza di democrazia liberale e passa
alla modalità nazi-fascista.
Dall’opera
di Schwab e Malleret si evince chiaramente che una fusione nazi-fascista tra
Stato e impresa, a vantaggio di quest’ultima, è alla base del loro grande reset.
Fin
dall’inizio della crisi del Covid, come loro stessi riconoscono, ingenti somme
di denaro sono state trasferite dalle casse pubbliche nelle tasche rigonfie
dell’1%:
“nell’aprile del 2020, proprio quando
la pandemia ha iniziato ad inghiottire il mondo, i governi di tutto il mondo
avevano annunciato programmi di stimolo per diversi trilioni di dollari, come
se otto o nove piani Marshall fossero stati messi in atto quasi
contemporaneamente”.
Continuano
affermando che “il COVID-19 ha riscritto molte delle regole del gioco tra
pubblico e privato. … La benevola (o meno) maggiore intrusione dei governi nella
vita delle imprese e nella conduzione dei loro affari dipenderà dal paese e dal
settore industriale, quindi assumerà molte forme diverse”.
“Misure
che sarebbero sembrate inconcepibili prima della pandemia potrebbero ben presto
diventare la norma in tutto il mondo, con i governi che cercheranno di evitare
che la recessione economica si trasformi in una depressione catastrofica.
“Sempre
più spesso si chiederà al governo di agire come “pagatore di ultima istanza”
per prevenire o arginare l’ondata di licenziamenti di massa e di distruzione
delle imprese innescati dalla pandemia. Tutti questi cambiamenti stanno alterando
le regole del ‘gioco’ della politica economica e monetaria”.
Uno
Stato forte per aziende forti.
Schwab
e il suo collega accolgono di buon grado la prospettiva che un aumento dei
poteri dello Stato venga utilizzato per sostenere il profitto delle grandi
imprese.
Scrivono
infatti che “una delle grandi lezioni degli ultimi cinque secoli in Europa e in
America è la seguente: le crisi acute contribuiscono a rafforzare il potere dello
Stato. È sempre stato così e non c’è motivo per cui debba essere diverso con la
pandemia COVID-19”.
Aggiungono
poi che “guardando
al futuro, i
governi molto
probabilmente (ma con diversi gradi di intensità) decideranno che è
nell’interesse della società riscrivere alcune delle regole del gioco e
aumentare permanentemente il loro ruolo”.
L’idea
di riscrivere le regole del gioco ricorda ancora una volta molto il linguaggio nazi-fascista,
così come, naturalmente, l’idea di aumentare in modo permanente il ruolo dello
Stato nell’aiutare il settore privato.
Vale
infatti la pena di confrontare la posizione di Schwab su questo tema con quella
del dittatore fascista italiano Benito Mussolini, che rispose alla crisi
economica del 1931 istituendo un apposito organismo di emergenza, L’Istituto
mobiliare italiano, per aiutare le imprese.
Egli
dichiarò che questo fosse “uno strumento per spingere energicamente l’economia italiana
verso la sua fase corporativa, cioè un sistema che fondamentalmente rispetta la
proprietà e l’iniziativa privata, ma le lega strettamente allo Stato, che da
solo può proteggerle, controllarle e nutrirle”.
I
sospetti sulla natura nazi-fascista del grande reset di Schwab sono confermati,
naturalmente, dalle misure da stato di polizia che sono state messe in atto in
tutto il mondo per garantire il rispetto delle misure “d’emergenza” contro il
Covid.
La
forza bruta che non si nasconde mai sotto la superficie del sistema capitalista
diventa sempre più visibile quando entra nella fase nazi-fascista e questo è
molto evidente nel libro di Schwab e Malleret.
La
parola “forza” viene utilizzata più volte nel contesto del Covid-19. A volte
questo avviene in ambito commerciale, come nel caso delle affermazioni che “il COVID-19 ha forzato tutte le
banche ad accelerare una trasformazione digitale che ora è destinata a
permanere” o che “il micro reset forzerà ogni azienda in ogni settore a
sperimentare nuovi modi di fare business, di lavorare e di operare”.
Ma a
volte si applica direttamente agli esseri umani, o ai “consumatori”, come
Schwab e i suoi simili preferiscono pensare a noi.
“Durante
i lockdown, molti consumatori in precedenza riluttanti ad affidarsi troppo alle
applicazioni e ai servizi digitali sono stati forzati a cambiare le loro
abitudini quasi da un giorno all’altro:
guardare
film online invece di andare al cinema, farsi consegnare i pasti invece di
uscire al ristorante, parlare con gli amici a distanza invece di incontrarli in
carne e ossa, parlare con i colleghi su uno schermo invece di chiacchierare
alla macchina del caffè, fare esercizio online invece di andare in palestra, e
così via…
“Molti
dei comportamenti tecnologici che siamo stati forzati ad adottare durante il
confinamento diventeranno più naturali grazie alla familiarità che avremo
acquisito con essi. Con il persistere del distanziamento sociale e fisico,
affidarsi maggiormente alle piattaforme digitali per comunicare, o lavorare, o
chiedere consigli, o ordinare qualcosa, a poco a poco, guadagnerà terreno su
abitudini precedentemente radicate”.
Un
sistema nazi- fascista, non offre ai singoli individui la possibilità di
scegliere se soddisfare o meno le sue richieste, come Schwab e Malleret hanno
affermato chiaramente in merito al cosiddetto “contact-tracing” (rintracciamento dei contatti):
“nessuna
applicazione contact-tracing funzionerà su base volontaria se le persone non
sono disposte a fornire i propri dati personali all’ente governativo che
controlla il sistema; se una persona rifiuta di scaricare l’applicazione (e
quindi di nascondere informazioni su una possibile infezione, movimenti e
contatti), tutti ne risentiranno negativamente”.
Questo,
secondo loro, è un altro grande vantaggio della crisi da Covid rispetto a
quella ambientale che avrebbe potuto essere usata per imporre la loro Nuova
Normalità:
“mentre
per una pandemia, la maggioranza dei cittadini tenderà a concordare con la
necessità di imporre misure coercitive, essi resisteranno a politiche
restrittive in caso di rischi ambientali dove le prove possono essere
contestate”.
Queste
“misure coercitive”, che ci si aspetta che tutti noi rispettiamo, comporteranno
ovviamente livelli inimmaginabili di sorveglianza nazi-fascista delle nostre
vite, in
particolare nel nostro ruolo di schiavi salariati.
Scrivono
Schwab e Malleret che “la direzione delle aziende sarà quella di una maggiore
sorveglianza; nel bene e nel male, le aziende osserveranno e a volte
registreranno ciò che fa la loro forza lavoro. Questa tendenza potrebbe
assumere diverse forme, dalla misurazione della temperatura corporea con
telecamere termiche al monitoraggio tramite una app di come i dipendenti si
adegueranno al distanziamento sociale”.
È
anche probabile che misure coercitive di un tipo o di un altro siano usate per
costringere le persone a sottoporsi alle vaccinazioni anti-Covid attualmente in
produzione.
Schwab
è profondamente legata a quel mondo, essendo molto amico di Bill Gates ed
essendo stato lodato dal pilastro di Big Pharma Henry McKinnell, presidente e
CEO di Pfizer Inc, come “una persona veramente dedita ad una causa veramente nobile”.
Non
sorprende quindi che egli insista, insieme a Malleret, sul fatto che “non si può prevedere un pieno
ritorno alla “normalità” prima che sia disponibile un vaccino”.
E
aggiunge: “Il
prossimo ostacolo è la sfida politica di vaccinare un numero sufficiente di
persone in tutto il mondo (siamo collettivamente forti quanto l’anello più
debole) con un tasso di adesione abbastanza alto nonostante l’aumento degli
no-vax”.
I no
global come minaccia al progetto di Schwab.
I “no-vax”
si aggiungono così alla lista delle minacce per il progetto di Schwab, insieme
ai manifestanti anti-globalismo e agli anti-capitalisti, ai Gilet Gialli e a
tutti coloro che sono impegnati in “conflitti di classe”, “resistenza sociale”
e “contraccolpi politici”.
La
maggioranza della popolazione mondiale è già stata esclusa dai processi
decisionali a causa della mancanza di democrazia che Schwab vuole accentuare
attraverso il suo dominio azionistico delle imprese, la sua “agile governance”,
il suo “sistema di gestione totalitario dell’esistenza umana”.
Ma
come pensa di affrontare lo “scenario cupo” di persone che si ribellano al suo
grande reset “neo-normalista” e alla sua quarta rivoluzione industriale
transumanista?
Quale
grado di “forza” e di “misure coercitive” sarebbe disposto ad accettare per assicurare l’alba della sua nuova era
tecnocratica?
La
domanda è agghiacciante, ma dobbiamo anche tener presente l’esempio storico del
regime del XX secolo in cui è nato Schwab.
La
nuova normalità nazista di Hitler doveva durare mille anni, ma è crollata con
988 anni di anticipo rispetto all’obiettivo.
Solo
perché Hitler disse, con tutta la fiducia datagli dal potere, che il suo Reich
sarebbe durato un millennio, non significava che sarebbe andata così. Solo perché Klaus Schwab e Thierry
Malleret e i loro amici dicono che stiamo entrando nella Quarta Rivoluzione
Industriale e che il nostro mondo sarà cambiato per sempre, non significa che
andrà così.
Non
dobbiamo accettare la loro nuova normalità. Non dobbiamo cadere nella paura che
vogliono infonderci. Non dobbiamo farci i loro vaccini. Non dobbiamo lasciarci
impiantare i loro smartphone o lasciare che modifichino il nostro DNA. Non
dobbiamo camminare, imbavagliati e sottomessi, dritti verso il loro inferno transumanista.
Possiamo
denunciare le loro bugie! Smascherare la loro agenda! Rifiutare la loro
narrazione! Rifiutare la loro ideologia tossica! Resistere al loronazi-
fascismo!
Klaus
Schwab non è un dio, ma un essere umano. Soltanto un uomo anziano. E quelli con
cui lavora, l’élite capitalista globale -arcobaleno, sono pochi. I loro scopi non sono gli scopi della
stragrande maggioranza dell’umanità. La loro visione transumanista è ripugnante
per quasi tutti quelli al di fuori della loro piccola cerchia e non hanno il consenso per la
dittatura tecnocratica che cercano di imporci.
Questo,
dopo tutto, è il motivo per cui hanno dovuto usare la falsa bandiera della
lotta contro un virus per cercare di realizzarla. Hanno capito che senza la giustificazione
dell'”emergenza” non avremmo mai accettato il loro schema perverso.
(Schwab
si deve infilare nel suo lurido culo l’emergenza e così evacuerà meglio! Ndr)
Hanno
paura del nostro potenziale potere perché sanno che se ci alziamo in piedi, li
sconfiggeremo. Possiamo far crollare il loro progetto prima ancora che sia
iniziato.
Noi
siamo il popolo, noi siamo il 99%, e insieme possiamo riprenderci la nostra
libertà dalle fauci mortali della macchina nazi-fascista di Schwab!
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