CHI DISTRUGGERA’ L’ UMANITA’.
CHI DISTRUGGERA’ L’ UMANITA’.
Storia
nascosta dell’incredibile malvagia mafia Khazariana.
Nelnomedellaverita.it
- Preston James e Mike Harris- James Fetzer - (1° MARZO 2022) – ci dicono:
(SaDefenza)
Il
sipario viene ora tirato indietro per esporre completamente la mafia Khazariana
e il suo piano malvagio di infiltrarsi, tiranneggiare il mondo intero e
sradicare tutte le religioni abramitiche e consentire solo il loro talmudismo
babilonese noto anche come luciferianesimo, satanismo o antico culto di Baal.
La
storia dei Khazariani, in particolare della Mafia Khazariana (MK), il più
grande sindacato del crimine organizzato del mondo in cui l’oligarchia
Khazariana si è trasformata con il dispiegamento della magia del denaro
babilonese, è stata quasi completamente eliminata dai libri di storia.
La “MK” di oggi sa che non può operare o
esistere senza una abietta segretezza, e quindi ha speso molti soldi per far
cancellare la sua storia dai libri di storia per impedire ai cittadini del
mondo di conoscere il suo “Male oltre ogni immaginazione “, che dà potere alla più
grande cabala della criminalità organizzata al mondo.
Gli
autori di questo articolo hanno fatto del loro meglio per resuscitare questa
storia perduta e segreta dei Khazariani e del loro grande Sindacato
Internazionale del Crimine Organizzato, meglio denominato Mafia Khazariana (MK)
e rendere questa storia disponibile al mondo tramite Internet, che è la nuova
Gutenberg Press.
È
stato estremamente difficile ricostruire questa storia segreta nascosta del “MK”,
quindi scusate eventuali piccole inesattezze o errori non intenzionali e dovuti
alla difficoltà nello scovare la vera storia di Khazaria e della sua mafia.
Abbiamo
fatto del nostro meglio per ricostruirla.
È
stato Mike Harris a collegare i punti e fare la vera scoperta della presenza
della storia segreta e del giuramento di sangue della mafia Khazariana per
vendicarsi della Russia per aver aiutato gli americani a vincere la guerra
rivoluzionaria e la guerra civile, e il loro giuramento di sangue di vendetta
contro l’America e gli americani per aver vinto queste guerre e aver sostenuto
l’Unione.
Alla
Conferenza siriana sulla lotta al terrorismo e all’estremismo religioso il 1°
dicembre 2014 — nel suo discorso principale, il redattore e direttore senior di
“Veterans Today”, Gordon Duff, ha rivelato pubblicamente per la prima volta in
assoluto che il terrorismo mondiale è in realtà dovuto a un grande sindacato
internazionale della criminalità organizzata associato a Israele.
Questa
divulgazione ha suscitato onde d’urto alla Conferenza e quasi istantaneamente
in tutto il mondo, poiché quasi tutti i leader mondiali hanno ricevuto rapporti
sulla divulgazione storica di Gordon Duff lo stesso giorno, alcuni in pochi
minuti.
E le onde d’urto del suo storico discorso a
Damasco continuano a risuonare in tutto il mondo ancora oggi.
E ora
Gordon Duff ha chiesto al presidente Putin di rilasciare l’Intel russa che
smaschererà circa 300 traditori al Congresso per i loro gravi crimini seriali e
spionaggio legale per conto della mafia Khazariana (MK) contro l’America e
molte nazioni del Medio Oriente.
Ora
sappiamo che la mafia Khazariana (MK) sta conducendo una guerra segreta contro
l’America e gli americani mediante l’uso del terrorismo in stile Gladio sotto
falsa bandiera e tramite il sistema illegale e incostituzionale della Federal Reserve,
l’IRS, l’FBI, la FEMA, la Patria Sicurezza e TSA.
Sappiamo per certo che la “MK” è stata
responsabile del dispiegamento di un attacco con bandiera falsa in stile Gladio
contro l’America il 9-11-2001, così come del Murrah Building Bombing il 19
aprile 1995.
La
storia nascosta della mafia Khazariana incredibilmente malvagia.
100-800
d.C.: una società incredibilmente malvagia
emerge a Khazaria:I Khazariani si trasformano in una nazione governata da un re
malvagio, che aveva antiche arti nere babilonesi e oligarchi occulti che
servivano come sua corte.
Durante
questo periodo, i Khazariani divennero noti nei paesi circostanti come ladri,
assassini, banditi stradali e per aver assunto l’identità di quei viaggiatori
che hanno ucciso come una normale pratica professionale e stile di vita.
800
d.C. – L’Ultimatum viene consegnato dalla Russia
e da altre nazioni circostanti:
I
leader delle nazioni circostanti, in particolare la Russia, hanno ricevuto così
tanti anni di lamentele dai loro cittadini che, come gruppo, consegnano un
ultimatum al re Khazariano.
Inviano un comunicato al re khazaro che deve
scegliere una delle tre religioni abramitiche per il suo popolo, farne la sua
religione ufficiale di stato e richiedere a tutti i cittadini khazari di
praticarla, e socializzare tutti i bambini khazari a praticare quella fede.
Al re khazaro
fu data la possibilità di scegliere tra islam, cristianesimo ed ebraismo. Il re
khazaro scelse l’ebraismo e promise di rimanere entro i requisiti stabiliti
dalla circostante confederazione di nazioni guidata dallo zar russo. Nonostante il suo accordo e la sua
promessa, il re Khazariano e la sua cerchia ristretta di oligarchi continuarono
a praticare l’antica magia nera babilonese, nota anche come Satanismo Segreto.
Questo
Satanismo Segreto prevedeva cerimonie occulte con il sacrificio di bambini,
dopo averli “dissanguati “, bevendo il loro sangue e mangiando i loro cuori.
Il
profondo oscuro segreto delle cerimonie occulte era che erano tutte basate
sull’antica adorazione di Baal, nota anche come adorazione del gufo.
Al
fine di ingannare la confederazione di nazioni guidate dalla Russia che stavano
osservando Khazaria, il re Khazariano fuse queste pratiche di magia nera
luciferina con l’ebraismo e creò una religione ibrida satanica segreta, nota
come Talmudismo babilonese.
Questa
divenne la religione nazionale di Khazaria e nutriva lo stesso male per cui
Khazaria era noto prima.
Purtroppo,
i Khazariani hanno continuato le loro vie malvagie, derubando e uccidendo
coloro che dai paesi circostanti hanno viaggiato attraverso Khazaria. I
rapinatori Khazariani hanno spesso tentato di assumere la loro identità dopo
aver ucciso questi visitatori e sono diventati maestri di travestimenti e false
identità – una pratica che hanno continuato fino ad oggi, insieme alle loro
cerimonie occulte di sacrificio di bambini, che in realtà sono l’antica
adorazione di Baal.
1.200
d.C. – La Russia e le nazioni circostanti ne
hanno abbastanza e agiscono:
Intorno
al 1.200 d.C., i russi guidarono un gruppo di nazioni che circondavano Khazaria
e la invasero, al fine di fermare i crimini Khazariani contro il loro popolo,
che includevano il rapimento dei loro bambini e neonati per le loro cerimonie
di sacrificio di sangue a Baal.
Il re Khazariano e la sua corte interna di
criminali e assassini divennero conosciuti come la Mafia Khazariana (MK) dai
paesi vicini.
I
leader Khazariani avevano una rete di spionaggio ben sviluppata attraverso la
quale ottennero un preavviso e fuggirono dalla Khazaria verso le nazioni
europee a ovest, portando con sé la loro vasta fortuna in oro e argento.
Si stabilirono e si raggrupparono, pur
assumendo nuove identità.
In
segreto, hanno continuato il loro sangue satanico e rituali di sacrificio e si
sono fidati di Baal per dare loro il mondo intero e tutte le sue ricchezze,
come affermavano che avesse loro promesso, purché continuassero a far
sanguinare e sacrificare bambini e neonati per lui.
Il re
Khazariano e la sua mafia di corte tramarono una vendetta eterna contro i russi
e le nazioni circostanti che invasero Khazaria e li cacciarono dal potere.
La
mafia Khazariana invade l’Inghilterra dopo essere stata espulsa per centinaia
di anni:
Per
portare a termine la loro invasione, assunsero Oliver Cromwell per uccidere il
re Carlo 1 e rendere di nuovo l’Inghilterra sicura per le banche.
Ciò diede inizio alle guerre civili inglesi
che imperversarono per quasi un decennio, sfociando nel regicidio della
famiglia reale e di centinaia della genuina nobiltà inglese.
È così
che la City di Londra è stata istituita come capitale bancaria d’Europa e ha
lanciato l’inizio dell’Impero britannico.
La
mafia Khazariana (MK) decide di infiltrarsi e dirottare tutte le banche
mondiali usando la magia nera babilonese, nota anche come magia babilonese dei
soldi o l’arte segreta di fare soldi dal nulla usando anche il potere della
perniciosa usura per accumulare interessi:
la” MK”
usa la loro vasta fortuna per entrare in un nuovo sistema bancario, basato sulla
segreta magia nera babilonese del denaro che affermavano di aver appreso dagli
spiriti maligni di Baal, in cambio dei loro numerosi sacrifici di bambini a
lui.
Questa
magia del denaro babilonese prevedeva la sottostazione di certificati di
credito cartacei per depositi di oro e argento, che consentivano ai viaggiatori
di viaggiare con i loro soldi in una forma che offriva una facile sostituzione
in caso di smarrimento o furto dei certificati.
Interessante
come lo stesso problema avviato dai Khazariani abbia avuto anche una soluzione
fornita da loro.
Alla
fine il re Khazariano e la sua piccola corte circostante si infiltrarono in
Germania con un gruppo che scelse il nome “i Bauer” della Germania per rappresentarli e
portare avanti il loro sistema malvagio basato su Baal.
I
Bauer dello Scudo Rosso, che rappresentavano i loro sacrifici infantili segreti a
base di sangue, cambiarono il loro nome in Rothschild (alias “figlio della roccia, Satana”).
I
Rothschild come “front Men” per la Mafia Khazariana (MK) si infiltrano e
dirottano la “British Banking” e poi dirottano l’“intera nazione
dell’Inghilterra”.
Bauer/Rothschild
ebbe cinque figli che si infiltrarono e presero il controllo delle banche
europee e del sistema bancario centrale della città di Londra attraverso varie
astute operazioni segrete, incluso un falso rapporto sulla vittoria di
Napoleone contro gli inglesi, quando in realtà perse.
Ciò ha
permesso ai Rothschild di utilizzare la frode e l’inganno per rubare la
ricchezza della nobiltà inglese e della nobiltà terriera, che aveva effettuato
investimenti commerciali con le istituzioni bancarie della City of London.
“Non
mi interessa quale burattino è posto sul trono d’ Inghilterra a governare
l’Impero su cui il sole non tramonta mai.
L’uomo
che controlla l’offerta di moneta britannica controlla l’impero britannico,
e
controlla la fornitura di denaro degli inglesi.”
(Nathan
Rothschild).
I
Rothschild istituirono un sistema bancario privato “Fiat” specializzato nel ricavare denaro falso dal
nulla, addebitando al popolo britannico un’usura perniciosa, utilizzando quello
che avrebbe dovuto essere il proprio denaro.
Questa
era l’arte nera della magia del denaro babilonese; hanno affermato agli addetti
ai lavori che tale tecnologia e potere di denaro segreto erano stati forniti
loro da Baal, a causa della frequente offerta di sangue dei loro bambini e dei
rituali sacrificali a Baal.
Dopo
essersi infiltrati e dirottato il sistema bancario britannico, si sono
incrociati con i reali britannici e si sono infiltrati e hanno completamente
dirottato tutta l’Inghilterra e tutte le sue principali istituzioni.
Alcuni esperti ritengono che i Rothschild
abbiano genocidiato i membri della famiglia reale mettendo in scena allevamenti
illeciti e adulteri gestiti segretamente con i propri uomini Khazariani al fine
di sostituire i reali con i propri pretendenti al trono.
La
mafia Khazariana (MK) intraprende uno sforzo internazionale per sradicare i re
che governano per il diritto divino di Dio Onnipotente.
Perché
la “MK” afferma di avere una collaborazione personale con Baal (aka il Diavolo,
Lucifero, Satana) a causa dei loro sacrifici a lui.
Detestano
qualsiasi re che governi sotto l’autorità di Dio Onnipotente perché la maggior
parte sente la responsabilità di assicurarsi che il proprio popolo sia protetto
da infiltrati e traditori “Nemici entro i cancelli”.
Nel
1600, la “MK” uccide i reali britannici e li sostituiscono con dei falsi. Nel 1700 uccide i reali
francesi.
Subito
prima della prima guerra mondiale uccide l’arciduca austriaco Ferdinando per
iniziare la prima guerra mondiale.
Nel
1917 radunarono il loro esercito “MK”, i bolscevichi, e si infiltrarono e
dirottarono la Russia, uccisero lo zar e la sua famiglia a sangue freddo,
colpirono con la baionetta la sua figlia prediletta al petto e rubarono tutto
l’oro, l’argento e i tesori d’arte russi.
Subito
prima della seconda guerra mondiale, uccide i reali austriaci e tedeschi.
Quindi si sbarazzano dei reali cinesi e tolgono il potere al sovrano
giapponese.
L’intenso
odio della mafia Khazariana nei confronti di chiunque professasse fede in un
Dio diverso dal loro dio Baal, li ha motivati ad uccidere re e reali e ad
assicurarsi che non possano mai governare.
Hanno fatto lo stesso con i presidenti
americani, conducendo sofisticate operazioni segrete per depotenziarli.
Se ciò non funziona, la “MK” li assassina,
come hanno fatto con McKinley, Lincoln e JFK.
La “MK”
vuole eliminare qualsiasi sovrano forte o funzionario eletto che osi resistere
al loro potere di magia del denaro babilonese o al loro potere segreto
guadagnato dal loro dispiegamento della loro rete di compromesso umana.
I
Rothschild creano traffico internazionale di stupefacenti per conto della “MK”.
I
Rothschild gestirono quindi di nascosto l’Impero britannico e elaborarono un
piano malvagio per recuperare le enormi quantità di oro e argento che gli
inglesi avevano pagato alla Cina per la sua seta e spezie di alta qualità che
non erano disponibili da nessun’altra parte.
I
Rothschild, attraverso la loro rete di spionaggio internazionale, avevano
sentito parlare dell’oppio turco e delle sue caratteristiche che creano
assuefazione.
Hanno dispiegato un’operazione segreta per
acquistare oppio turco e venderlo in Cina, assuefacendo milioni di persone con
una cattiva abitudine all’oppio che ha riportato oro e argento nelle casse dei
Rothschild, ma non al popolo britannico.
Le
dipendenze da oppio create dalle vendite di oppio dei Rothschild alla Cina
hanno danneggiato la Cina così tanto che la Cina è entrata in guerra in due
occasioni per fermarla.
Queste
guerre erano conosciute come le Ribellioni dei Boxer o le Guerre dell’Oppio. Il denaro guadagnato dai Rothschild
dalla vendita dell’oppio era così vasto che divennero ancora più dipendenti dal
denaro facile di quanto lo fossero i tossicodipendenti dall’oppio.
I
Rothschild furono la fonte di finanziamento dietro l’istituzione delle colonie
americane, incorporando la Compagnia della Baia di Hudson e altre società
commerciali per sfruttare il Nuovo Mondo delle Americhe.
Furono
i Rothschild a ordinare lo sterminio di massa e il genocidio degli indigeni del
Nord America per consentire lo sfruttamento delle vaste risorse naturali del
continente.
I
Rothschild seguirono lo stesso modello di business anche nei Caraibi e nel
subcontinente asiatico dell’India, provocando l’omicidio di milioni di persone
innocenti.
I
Rothschild avviano la tratta internazionale degli schiavi, un’impresa che
vedeva questi umani rapiti come semplici animali, una visione che i Khazariani
avrebbero imposto a tutte le persone del mondo che non facevano parte del loro
circolo malvagio, che alcuni chiamavano la “vecchia nobiltà nera “.
Il
prossimo grande progetto dei Rothschild fu quello di avviare la tratta mondiale
degli schiavi, comprando schiavi da capi tribù disonesti in Africa che
lavoravano con loro per rapire membri di tribù in competizione per venderli
come schiavi.
I
mercanti di schiavi Rothschild portarono quindi questi schiavi rapiti sulle
loro navi in celle anguste in America e nei Caraibi dove furono venduti.
Molti sono morti in mare a causa delle cattive
condizioni.
I
banchieri Rothschild appresero presto che la guerra era un ottimo modo per
raddoppiare i loro soldi in breve tempo prestando denaro a entrambe le parti in
guerra.
Ma per
essere garantiti gli incassi, dovevano far approvare leggi fiscali, che
potevano essere utilizzate per forzare il pagamento.
I
banchieri privati contraffatti con la moneta” Fiat” della “MK” e i Rothschild
tramano vendetta eterna contro i coloni americani e la Russia che li hanno
aiutati per aver perso la guerra rivoluzionaria.
Quando
i Rothschild persero la rivoluzione americana, incolparono lo zar russo e i
russi per aver aiutato i coloni bloccando le navi britanniche.
Giurarono
vendetta eterna sui coloni americani, proprio come avevano fatto quando i russi
e i loro alleati schiacciarono Khazaria nel 1000 d.C.
I
Rothschild e la loro oligarchia inglese che li circondava progettarono modi per
riconquistare l’America, e questa divenne la loro principale ossessione.
Il loro piano preferito è quello di creare una
banca centrale americana, caratterizzata dalla magia del denaro babilonese e
dalla contraffazione segreta.
I
Rothschild e la “MK” tentano di riconquistare l’America nel 1812 per conto
della mafia Khazariana ma falliscono, ancora una volta a causa
dell’interferenza russa.
Questo
fallimento fece infuriare i Rothschild della “MK”, e ancora una volta tramarono
una vendetta eterna sia contro i russi che contro i coloni americani e
pianificarono di infiltrarsi e dirottare entrambe le nazioni e privare di
risorse, tiranneggiare e poi assassinare in massa entrambe le nazioni e la loro
popolazione.
I tentativi della “MK” di creare una banca centrale
americana privata sono bloccati dal presidente Andrew Jackson, che li ha
definiti satanici e ha promesso di scacciarli dalla grazia e dal potere di Dio
Onnipotente.
I
banchieri Rothschild si raggruppano e continuano i loro tentativi segreti di
installare la propria banca babilonese della magia del denaro in America.
Infine,
nel 1913, la Rothschild e la” MK” riescono a stabilire una grande testa di
ponte all’interno dell’America – e un malvagio nemico di tutti gli americani
entra nelle porte dell’America.
Nel
1913, il Rothschild e la “MK” riuscirono a stabilire una testa di ponte
corrompendo membri del Congresso disonesti e traditori affinché approvassero
l’illegale, incostituzionale Federal Reserve Act alla vigilia di Natale senza
un quorum richiesto.
L’atto
è stato poi firmato da un presidente corrotto, che era un traditore
dell’America, come i membri del Congresso che l’hanno votato.
I Rothschild “MK” hanno creato un sistema
fiscale illegale in America.
La “MK
“ha messo in atto un sistema fiscale illegale e incostituzionale, al fine di
assicurarsi che gli americani avrebbero dovuto pagare per spese USG di alto
livello, approvate da un compratore, corrotto il Congresso e i burattini
presidenziali, messi in atto dal finanziamento corrotto della campagna della “MK”.
È facile per la” MK” raccogliere abbastanza
soldi per eleggere chi vuole, perché quando controlli una banca che è un
importante falsario segreto, hai tutti i soldi fatti per te che desideri.
Più o meno nello stesso periodo in cui hanno
creato il loro sistema fiscale illegale in America, hanno anche corrotto i
membri del Congresso per approvare
l’“Internal
Revenue Service”, che è la loro agenzia di riscossione privata costituita a
Porto Rico.
Poco
dopo, hanno istituito il Federal Bureau of Investigation per proteggere i loro
banchieri, per soddisfare le loro esigenze di copertura e impedire che non
venissero mai perseguiti per i rituali di sacrificio dei loro bambini, le reti
di pedofili; e di fungere anche da operazione segreta di Intel per loro conto.
Si
noti che l’FBI non ha uno statuto ufficiale, secondo la Library of Congress, e
non ha il diritto di esistere o di emettere buste paga.
Il
Rothschild e la MK hanno organizzato e finanziato la rivoluzione bolscevica in
Russia per ottenere una vendetta incredibilmente selvaggia e sanguinosa sui
russi innocenti, che avevano complottato per molti anni, da quando Khazaria fu
distrutta.
i
Rothschild e la MK hanno pre-inscenato e organizzato la rivoluzione russa
utilizzando le sue banche centrali per pagare l’infiltrazione bolscevica della
Russia e la loro rivoluzione a nome della mafia Khazariana (MK).
I
bolscevichi furono in realtà creati e schierati dalla mafia Khazariana (MK)
come parte essenziale della loro vendetta a lungo pianificata sullo zar russo e
sul popolo russo innocente per aver disgregato Khazaria intorno al 1.000 d.C.
per le sue ripetute rapine, omicidi e furti di identità di viaggiatori
provenienti dai paesi che circondano la Khazaria.
Questo
fatto poco noto spiega l’estrema violenza perpetrata sulla Russia come vendetta
di lunga data dalla mafia Khazariana (MK) controllata dai Rothschild.
In uno
spargimento di sangue selvaggio e disumano ben pianificato che ha sbalordito il
mondo, i bolscevichi si sono scatenati in piena furia per conto della “MK” per
vendicarsi dei russi. Questo era stato pianificato dalla distruzione della
Khazaria.
I
bolscevichi, sotto la direzione del Rothschild “MK”, violentarono, torturarono
e uccisero in massa circa 100 milioni di russi, tra cui donne, bambini e
neonati. Alcune delle torture e dei salassi sono stati così estremi che non ne
parleremo qui in questo articolo.
Ma i
lettori che vogliono sapere possono fare ricerche approfondite su Internet sul
“Terrore rosso” o sulla “Cheka bolscevica” o guardare il film classico “The
Checkist” che è disponibile.
(youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=oui8KjzgQVY)
La
Mafia Khazarian (MK) dei Rothschild ha deciso ancora una volta di immergersi
nelle pecore e si è infiltrata e ha dirottato tutto il giudaismo.
Il
Rothschild con la “MK” ha creato un piano generale per controllare tutto il
giudaismo e il controllo mentale giudaico.
I Rothschild Mafiosi Khazariani hanno
dirottato l’ebraismo, lo hanno modellato sul talmudismo babilonese (luciferismo
o satanismo) e hanno ottenuto il controllo sulle professioni bancarie e di Wall
Street in generale, il Congresso, i principali mass media; insieme alla maggior
parte della ricchezza e dei mezzi economici di successo.
Pertanto,
i Rothschild e la “MK” potrebbero distribuire ricchezza e successo a quei
giudaici che bevevano il loro Kool-aide e li usavano come ritagli, risorse e
Sayanim. In questo modo, i Rothschild dirottarono il giudaismo.
Il
loro finanziamento della Knesset israeliana e la sua costruzione utilizzando
l’architettura occulta massonica hanno mostrato il loro impegno per il
talmudismo occulto e babilonese e tutto il male che lo accompagnava, incluso il
sacrificio di bambini al loro dio segreto Baal.
Istituirono
un sistema NWO chiamato World Sionism che insegnava e inculcava ai giudaici
suscettibili un’illusione di gruppo paranoico di superiorità razziale, che
presumeva che tutti i gentili fossero intenzionati a uccidere in massa tutti i
giudaici.
L’architettura
della Massoneria è stata utilizzata nell’edificio della Knesset e della Corte
Suprema israeliana, vista attraverso le finestre.
Hanno chiamato questa illusione giudaica di
massa razzialmente paranoica della conquista del mondo, “sionismo mondiale “,
che è in realtà una forma di talmudismo babilonese o luciferianismo nascosto
che era sconosciuto ai giudaici tradizionali.
Il
sistema è stato progettato per utilizzare i giudaici come copertura, ma anche
per ungerli con il potere monetario babilonese, per usarli come ritagli e per
essere successivamente sacrificati a Lucifero in due fasi.
La
prima fase sarebbe stata una seconda guerra mondiale pianificata nei campi di
lavoro nazisti, tagliata fuori dai rifornimenti, con conseguente morte di circa
200.000 giudaici per fame e malattie, insieme a circa 90.000 detenuti non
giudaici per le stesse cause, secondo le cifre ufficiali della rispettata
“Croce Rossa”.
Questo
numero è il 5% di quello che afferma la mafia Khazariana (alias i sionisti
mondiali).
Il
secondo grande sacrificio sarebbe stato l’ultimo, quando il loro Re Luciferino
del Nuovo Ordine Mondiale sarebbe stato messo al potere e tutte e tre le
religioni abramitiche sarebbero state sradicate, in particolare l’ebraismo, che
sarebbe stato accusato di tutte le guerre e la distruzione del mondo.
A quel
punto, i Rothschild si sarebbero nuovamente trasformati in una nuova identità
completamente non associata al giudaismo in nessuna forma, nemmeno al sionismo
mondiale.
È importante rendersi conto che il Rothschild
e la MK hanno ridotto al minimo la Germania dopo la prima guerra mondiale,
hanno creato un vuoto per il fascismo e poi lo hanno ricostruito, creando il
nazismo e installando Hitler come forza contraria al loro bolscevismo russo.
Hitler
divenne un problema per la “MK” quando si liberò e iniziò ad agire
nell’interesse del popolo tedesco e del popolo libero del mondo, e sviluppò il
proprio sistema bancario libero dai Rothschild.
Hitler
introdusse un sistema finanziario privo di usura e vantaggioso per la classe
operaia.
Ciò
imponeva la totale distruzione della Germania e del popolo tedesco, perché i
Rothschild e i Khazariani non avrebbero mai potuto permettere l’esistenza di un
sistema economico che non dipendesse dall’usura.
(NDT:
Qui ci sarebbe da scrivere un’altra storia per raccontare di una parte di quei
nazisti che grazie a contatti canalizzati (Maria Orsic, Club Thule, viaggi in
India e relative scoperte) ottennero informazioni per sviluppare dischi
volanti, una parte che poi si separò creando una base in Antartide.)
Vediamo
la stessa cosa oggi con la guerra Khazariana contro l’Islam, perché l’Islam
proibisce l’usura.
Questo è il motivo per cui Israele è così
esplicito e aggressivo nel distruggere il popolo islamico del mondo.
La “MK”
si aspettava che questa fosse una grande seconda guerra mondiale e quando hanno
sostenuto entrambe le parti, questo potrebbe essere utilizzato per
industrializzare il mondo intero e massimizzare il loro potere monetario
bankster.
I
Rothschild della “MK” hanno quindi corrotto e indotto i membri del Congresso
per inviare soldati americani alla loro prima guerra mondiale ingegnerizzata.
Come
continuazione del loro modello ben collaudato di finanziamento di entrambe le
parti in qualsiasi guerra per massimizzare i profitti, l’acquisizione di più
soldi delle tasse federali e un maggiore potere internazionale, i Rothschild
Khazariani ancora una volta hanno corrotto, ricattato e indotto i membri del
Congresso a dichiarare guerra alla Germania nel 1917.
Ciò è
stato facilitato da un attacco sotto falsa bandiera della “MK” con
l’affondamento del Lusitania.
Da
allora il Rothschild e la “MK” hanno sviluppato il solito schema di organizzare
segretamente attacchi sotto falsa bandiera come procedura operativa standard per
indurre gli americani a combattere guerre per la mafia Khazariana.
Dopo
la fine della seconda guerra mondiale, il Rothschild e la “MK” hanno dispiegato
la Guerra Fredda e lo usarono come scusa per portare scienziati nazisti ed
esperti di controllo mentale in America nell’ambito dell’operazione “Paperclip”.
Ciò ha
permesso loro di creare un sistema di spionaggio mondiale che ha superato di
gran lunga qualsiasi loro sforzo precedente.
Con
questo nuovo sistema, continuano a infiltrarsi e dirottare tutte le istituzioni
americane, inclusi i vari sistemi ecclesiastici americani, la Massoneria (in
particolare il Rito Scozzese e il Rito di York), le forze armate statunitensi,
l’intelligence statunitense e la maggior parte degli appaltatori della difesa
privata, la magistratura e la maggior parte agenzie dell’USG, inclusa la
maggior parte dei governi statali, e anche entrambi i principali partiti
politici.
La
Commissione Rothschild.
I Rothschild con la “MK” hanno istituito i
campi di lavoro nazisti come pretesto per manipolare in seguito gli alleati
affinché concedessero loro la propria colonia privata in Palestina, usando la
terra rubata ai palestinesi.
I
Rothschild e la “MK” sono stati in grado di usare il loro auto-etichettato
erroneamente, il cosiddetto “olocausto” per fungere da innesco di controllo
mentale per contrastare e resistere a qualsiasi critica ai loro modi sionisti.
La
verità era che i Rothschild e la “MK” istituirono i campi di lavoro nazisti per
realizzare enormi profitti per le loro società che gestivano i loro campi di
lavoro e fornivano la loro macchina da guerra nazista.
Una
volta che i Rothschild e la “MK” ottennero la loro patria privata in Israele
nel 1947 attraverso le loro manipolazioni politiche segrete, iniziarono a
vedere segretamente tutta la Palestina come la loro Nuova Khazaria e iniziarono
a complottare su come genocidiare tutti i palestinesi e rubare tutta la
Palestina per sé stessi.
I loro
piani includono la loro fantasia di costruire un “grande Israele” conquistando
l’intero Medio Oriente e manipolando stupidi goy americani affinché combattano
e muoiano per loro conto, prendendo tutte le terre arabe per Israele e la mafia
Khazariana (MK), in modo che possano privare di risorse la loro ricchezza e le
risorse naturali, in particolare il loro petrolio greggio.
Una
recente ricerca genetica Johns Hopkins sottoposta a revisione paritaria da un
rispettato medico giudaico mostra che il 97,5% dei giudaici che vivono in
Israele non hanno assolutamente DNA ebraico antico, quindi non sono semiti e
non hanno alcun legame di sangue antico con la terra di Palestina.
Al
contrario, l’80% dei palestinesi porta l’antico DNA ebraico e quindi sono veri
semiti e hanno antichi legami di sangue con la Terra palestinese.
Ciò
significa che i veri antisemiti sono gli israeliani che stanno rubando le terre
palestinesi per costruire insediamenti israeliani, e sono gli israeliani che
tiranneggiano e uccidono in massa palestinesi innocenti.
I
Rothschild e la “MK” decidono di trasformarsi di nuovo ed espandere i propri
ranghi.
Nel
frattempo i Rothschild e la MK si sono resi conto che non avrebbero potuto
rimanere nascosti molto più a lungo dal pubblico a meno che non si fossero
trasformati di nuovo e ampliato la loro leadership segreta.
Quindi
hanno lavorato duramente per infiltrarsi ulteriormente e dirottare la
Massoneria e le sue propaggini segrete, e hanno introdotto i membri più
importanti nella loro rete di pedofili e nei rituali di sacrificio dei bambini.
Inoltre,
i membri chiave del Congresso sono stati introdotti nella loro rete satanica
segreta dando loro potere speciale, alte posizioni USG, militari e Intel,
accompagnati da grandi ricompense monetarie e status elevato.
I massicci fronti di spionaggio della “MK” che
utilizzavano il doppio cittadino israelo-americano “primo israeliano” come
ritagli sono stati istituiti all’interno dell’America per incanalare i soldi
falsi dei banchieri Khazariani ai politici per le loro campagne elettorali, al
fine di possederli e controllarli quando eletti.
Il
Rothschild con la “MK hanno deciso di controllare mentalmente le masse
americane per rendere molto più facile manipolarle e farle approvare le loro
guerre perpetue illegali, incostituzionali, non provocate, non dichiarate, non
vincibili e necessarie per realizzare enormi profitti e ottenere più potere
mondiale.
Il
Rothschild e “MK” hanno deciso di ottenere il controllo completo su tutta
l’istruzione pubblica istituendo il Dipartimento dell’Istruzione e creando
programmi di studio globalisti e socialisti basati sulla correttezza politica,
sulla diversità e sugli insegnamenti della “perversione è normale”.
Il
fluoro viene aggiunto all’acqua pubblica e al dentifricio, e i dentisti sono
mentalmente controllati dal credere che il fluoro prevenga la carie e non sia
dannoso per la funzione cerebrale o la funzione tiroidea, come invece è.
L’aggiunta
di fluoro alla rete idrica pubblica e al dentifricio serve a sbalordire gli
americani abbassando in media il QI operativo e rendendo le persone molto più
docili di quanto sarebbero normalmente.
Sono
stati avviati programmi per sviluppare e distribuire vaccinazioni ai bambini
stupidi e creare un numero enorme di futuri problemi di salute cronici. I medici sono stati controllati
mentalmente e fuorviati da ricerche di parte che sono state selezionate con
cura, ignorando tutti gli studi negativi – e che includevano la maggior parte
di essi. Tutte le linee cellulari del vaccino sono contaminate da SV-40, un
noto virus cancerogeno ad azione lenta.
La “MK”
ha usato il suo potere monetario per ottenere il controllo su tutte le scuole
di medicina allopatica e ha istituito e controllato “l’American Medical
Association “e altre società mediche, al fine di assicurarsi che il loro
programma basato su bugie e inganni fosse continuato.
Parte
di questo enorme piano per ammutolire e controllare la mente le masse americane
è stato l’acquisto da parte della “MK” e il consolidamento di tutti i mass
media americani in sei principali mass media (CMMM) controllati, di proprietà e
controllati dai loro ritagli per loro conto.
Il CMMM funziona come un cartello di notizie
illegale e dovrebbe essere smantellato secondo le leggi antitrust e per aver
inflitto spionaggio e propaganda illegale come arma di guerra contro il popolo
americano.
I
Rothschild e ”MK” Chieftains decisero che era tempo di usare l’America per
completare la loro definitiva distruzione e occupazione del mondo intero
istituendo un grande attacco sotto falsa bandiera all’interno dell’America per
incolpare gli islamici che vogliono che l’America attacchi ingiustamente per
loro conto.
Quindi
la “MK” Chieftains usa i loro migliori cittadini israeliani-americani “primo
israeliano” che vivono in America (alias, i PNACers e i migliori NeoCon
Cutouts) per pianificare un grande attacco nucleare contro l’America l’11
settembre 2001.
Bibi
Netanyahu, capo operativo della “MK”, ha schierato il Mossad e questi Dual
Citizens per organizzare e istituire questo attacco all’America che doveva
essere imputato dal CMMM ai musulmani.
Hanno
informato i loro migliori rabbini e “Amici del sionismo mondiale” di non volare
quel giorno e di rimanere fuori New York, così come “Larry Silverfish“, uno dei
principali uomini coinvolti nell’operazione.
Hanno
usato il loro ritaglio principale nel DOD per attirare gli investigatori di
Able Danger nella sala riunioni dell’Intel navale del Pentagono, dove sarebbero
stati assassinati da un missile da crociera Tomahawk sparato da un sottomarino
Diesel israeliano di classe Dolphin acquistato dalla Germania.
Trentacinque
degli investigatori di Able Danger che stavano indagando e monitorando il furto
israeliano di 350 pozzi nucleari W-54 Davy Crockett dismessi fuori dalla porta
sul retro di Pantex in Texas sono stati assassinati da questo colpo di
Tomahawk, che è stato programmato con la detonazione di bombe prima -piantato
nell’ala Naval Intel, che è stata recentemente rafforzata senza alcun
risultato.
La
società di facciata del Mossad israeliano, “Urban Moving Systems”, è stata
utilizzata per trasportare le mini-bombe nucleari prodotte dalle fosse nucleari
W-54 rubate da Pantex (e originariamente realizzate nell’impianto di
lavorazione di Hanford), dove erano immagazzinate nell’ambasciata israeliana a
New York e trasportate alle Torri Gemelle per la detonazione del 9-11-2001.
I
Rothschild e la “M”K hanno piazzato 25 armi nucleari nelle principali città
americane e in altre grandi città europee per ricattarle. Questa è indicata
come la loro opzione Samson ed è stata scoperta e divulgata per la prima volta
da Seymour Hersh.
Il Rothschild
e la ”MK ha anche ottenuto alcune testate S-19 e S-20 da un membro corrotto del
Congresso incaricato di acquistare Mirv ucraini per conto dell’USG al fine di
dismetterli.
Invece, li ha venduti agli israeliani e ha
diviso il denaro con altri importanti membri del Congresso coinvolti.
Questo
è alto tradimento e un reato capitale punibile con l’esecuzione.
Subito
dopo il loro attacco all’America, i Rothschild e la “MK” hanno detto
all’amministrazione statunitense che avrebbero fatto esplodere bombe nucleari
delle dimensioni di un assassino in alcune città americane, inclusa Washington,
se l’amministrazione si fosse rifiutata di consentire a Israele di creare la
propria grande forza di occupazione dello stato di polizia all’interno
dell’America, basato sul consolidamento di tutte le forze dell’ordine americane
e degli alfabeti sotto un unico controllo israeliano centrale.
Questa
nuova forza di occupazione israeliana chiamata “Homeland Security” (DHS) era
inizialmente gestita da doppia cittadinanza e pervertiti.
L’ex direttore del DHS Janet Napolitano è stato
citat in giudizio per molestie sessuali su uomini che lavorano al DHS a cui ha
ordinato di spostare i loro uffici nel gabinetto degli uomini.
Il
traditore” Dual Citizen Michael Chertoff”, (nome tradotto dal russo come
“figlio del diavolo “), è stata la mente criminale che ha creato il DHS,
insieme all’ex capo della Stasi della Germania orientale, Marcus Wolfe, che è
stato assunto come consulente speciale e morì misteriosamente non appena la sua
missione fu completata.
I
Rothschild e la “MK” non avrebbero mai pensato che sarebbero stati smascherati
per il loro attacco nucleare contro l’America l’11-9-2001, ma hanno commesso
uno dei più grandi errori tattici della storia e hanno giocato troppo a causa
dell’eccessiva arroganza, basata su un successo troppo facile dovuto al loro
potere monetario estremo in passato.
Presto
l’America mainstream saprà che Bibi Netanyahu e il suo Partito Likudist hanno
schierato l’attacco contro l’America l’11 settembre 2001 a nome dei Rothschild
e “MK”.
Pensavano
di avere il controllo completo sul CMMM e di poter impedire che qualsiasi
indagine segreta dell’AIEA e dei Sandia Labs venisse mai divulgata al pubblico
americano.
Hanno
commesso un grave errore tattico, perché ora la verità sul loro ruolo
nell’attacco dell’11 settembre all’America è stata pubblicata su Internet, la
nuova Gutenberg Press mondiale.
Ciò
che i Rothschild e “MK” non capivano era il potere di Internet e come le pepite
della verità pubblicate e trasmesse su di esso risuonano con le persone del
mondo e si diffondono a macchia d’olio, alla velocità della luce.
La verità viene diffusa alle masse ovunque.
Questo
incredibile errore tattico della “MK” è così grande che li condannerà
effettivamente alla completa esposizione e all’eventuale completa distruzione
che meritano.
L’ordine di Bibi Netanyahu di procedere e
consegnare l’attacco nucleare all’America l’11 settembre 2001 passerà alla
storia come uno dei più grandi errori dei MK e quello che sarà accusato della
loro esposizione e distruzione da parte del mondo che ora si sta allestendo
contro di loro.
I
russi hanno ora fatto trapelare i file dell’AIEA e Sandia Labs e Able Danger
forniti loro da Edward Snowden.
Presto tutti questi file saranno forniti a
tutti gli americani e al mondo tramite Internet, e questo non può essere
fermato.
Un
certo numero di russi nell’Alto Comando Militare in Russia e nelle più alte
posizioni di leadership nel governo russo si rendono conto che è stata la
stessa Cabala del crimine organizzato che ha organizzato i Khazariani in
bolscevichi per uccidere in massa 100 milioni di russi innocenti – e questi
uomini voglio il rimborso.
Questo
è il motivo per cui si stanno assicurando che i banchieri Rothschild vengano
messi fuori mercato, il che decapiterà la mafia Khazariana dalla sua infinita
ed elastica offerta di moneta contraffatta.
Questo è il motivo per cui è stata creata la “BRICS
Development Bank”, per sostituire il “Petro Dollar USA” come valuta di riserva
mondiale, ma questa, a differenza del Petro Dollar USA, è supportata da oro,
argento e materie prime reali, senza che sia consentita la contraffazione.
Il
CMMM sta fallendo e la maggior parte degli americani non crede più a nessuna
delle loro storie nazionali in prima serata, in particolare la folla sotto i
trent’anni, che raccoglie fatti da Internet e costruisce le proprie
convinzioni.
Così
tanti utenti di Internet ora rifiutano il CMMM che la verità sugli israeliani
che attaccano l’America l’11 settembre 2001 sta diventando ogni giorno più
facile da credere.
Presto
tutta l’America tradizionale saprà che Bibi Netanyahu, il suo Mossad e la
doppia cittadinanza hanno fatto l’attacco dell’11 settembre 2001 all’America.
L’alto
comando militare americano sa che Bibi Netanyahu ha ordinato al suo Mossad e ai
Dual Citizens negli Stati Uniti di attaccare l’America usando armi nucleari il
9-11-2001 per conto della Mafia Khazariana (MK) dei Rothschild.
Varie
operazioni segrete sotto copertura vengono ora dispiegate a livello globale per
esporre e decapitare i Rothschild MK dalla loro infinita ed elastica offerta di
denaro.
I loro
giorni di potere antiumano sono ora limitati.
La
squadra americana segreta e incredibilmente ben addestrata chiamata “Nuclear Snake-Eaters” è ora al lavoro per cercare tutte
le borse e le spedizioni diplomatiche israeliane in arrivo.
Guidando
e sorvolando sinagoghe e ambasciate israeliane e rifugi del Mossad con
rivelatori di raggi gamma ed elio-3 ad alta tecnologia;
e
utilizzando satelliti ultra high-tech personalizzati e focalizzati per cercare
eventuali pozzi nucleari immagazzinati, oltre a lavorare sodo per recuperare
tutti i pozzi nucleari rubati dagli israeliani in qualsiasi parte del mondo al
di fuori di Israele.
Questa
squadra super d’élite è stata allertata dalla telefonata di Michael Shrimpton
all’MI-6 che li informava che un “City Buster” israeliano era stato piazzato
vicino allo stadio olimpico.
Questa chiamata lo ha erroneamente portato in
prigione.
Il
City Buster fu recuperato dai “Nuclear Snake-eaters“che entrarono in Inghilterra e
recuperarono e disarmarono un grande city buster.
Purtroppo
l’MI-6, ha voluto che questa bomba atomica fosse fatta esplodere per ottenere
più potere per la mafia Khazariana in Inghilterra – la loro base all’interno
del distretto finanziario della città di Londra – poiché ha perso potenza
rapidamente.
Gog e
Magog di Londra. Un
nome segreto per questi “MK” Chieftain che gestiscono gran parte del mondo
fuori dalla City di Londra è Gog e Magog, nonostante quello che molti storici
credono sia il nome segreto della Russia, ma non lo è.
È il
nome segreto dei migliori MK e, a quanto pare, rappresenta la loro origine.
La
squadra segreta di super-elite “Divoratori di serpenti nucleari” è pronta per
essere schierata in Israele in qualsiasi momento, se la nazione dovesse
crollare dopo che la maggior parte delle società europee ha disinvestito da
Israele e gli Stati Uniti interrompessero tutti gli aiuti, al fine di
conformarsi alla legge americana.
È
illegale dare aiuti a una nazione che ha armi nucleari e che non ha firmato
l’accordo di non proliferazione nucleare.
Israele ha armi nucleari rilevabili dai
sensori satellitari dell’elio-3 e non l’ha mai ammesso, né ha firmato l’accordo
di non proliferazione nucleare.
Dobbiamo
tutti chiedere che il nostro Congresso e la nostra amministrazione obbediscano
alla legge e interrompano immediatamente tutti gli aiuti monetari e militari a
Israele e arrestino tutti i direttori del fronte spionaggio israeliano
dell’AIPAC, del JINSA, del Defense Policy Board, del “Joint” di New York e
l’ADL, ecc.
Non è
noto, ma si sospetta che un numero significativo di queste armi nucleari rubate
sia già stato recuperato.
È stato riferito da addetti ai lavori che un
messaggio molto solenne è stato comunicato a Bibi Netanyahu e ai suoi
Likudisti, così come a tutti i membri di spicco dei fronti di spionaggio
israeliano in America, come AIPAC, JINSA, il Defense Policy Board, l’ADL e
simili.
Qual
era questo grave avvertimento?
Se i
rapporti interni sono accurati, a queste persone è stato detto che se c’è un
altro attacco sotto falsa bandiera con base israeliana, coloro che l’hanno
ordinato o sono stati coinvolti saranno braccati dalla sicurezza nazionale
americana ed eliminati, e le strutture di difesa israeliane associate a tale
volontà saranno trasformate in polvere.
Il
resto della storia di Rothschild e MK sarà probabilmente determinato da VOI.
Il
futuro dei Rothschild e MK sarà probabilmente determinato dai lettori di “Veterans
Today” e da “We The People” che apprenderanno la storia segreta e proibita
della mafia Khazariana che è stata eliminata dai libri di storia e dalle
biblioteche del “KM” per proteggere la loro storia malvagia che nessuno avrebbe
voluto accettata se fosse nota.
Quindi
condividi questa storia con la tua famiglia, i tuoi amici e i tuoi colleghi e
falla diventare virale. Siate chiari su questo: a meno che la “MK” non sia in
grado di operare in assoluta segretezza, sarà attaccata da tutte le parti e
distrutta per sempre. Quindi togli la loro segretezza esponendo la loro storia
nascosta affinché tutti gli americani possano conoscerla e comprenderla.
Questo
è il motivo per cui hanno lavorato così duramente per acquistare e controllare
il CMMM e l’istruzione pubblica di massa, inclusi college e università, per
assicurarsi che le persone del mondo non scoprissero mai il loro male segreto,
che è così disumano, così omicida che il mondo intero si alleerebbe contro di
loro e li attaccherebbe da tutte le parti a tutti i livelli in cui esistono.
La
grande domanda rimane: la vera causa dell’incredibile malvagità e ferocia dei
leader della mafia Khazariana nei confronti della razza umana era un
sottoprodotto, una natura o un’alimentazione?
Alcuni
credono che questo grossolano parassitismo e inclinazione all’omicidio di
massa, alla pedofilia e allo spargimento di sangue di bambini e al sacrificio
di bambini sia dovuto a una cultura tossica, meglio descritta come tribalismo
maligno, caratterizzata da un’illusione di superiorità razziale di gruppo
paranoico.
Altri
pensano che i capi della “MK” siano la stirpe di Caino, cioè i “figli di
Caino”, che sono propri del Diavolo e non hanno assolutamente anima o coscienza
umana, ma sono puri predatori come una bestia feroce — mentre allo stesso tempo
essendo incredibilmente bifronte, è in grado di mettere su una buona truffa e
una bella faccia all’esterno.
Forse potrebbero essere entrambi i fattori. In
ogni caso, è tempo di smascherare questo male, il più grande male che il mondo
abbia mai sperimentato. È tempo che il mondo lavori insieme per sradicare
questo problema ora e per sempre, con qualsiasi mezzo necessario.
(Si
può effettivamente partecipare agli sforzi globali per paralizzare la capacità
di genocidio della cabala criminale organizzata del Deep State, godendo allo
stesso tempo della libertà sanitaria, boicottando definitivamente Big Pharma).
(Mike
Harris è l’editore finanziario di “Veterans Today”).
Secondo
Bill Gates
dopo il
Covid saranno
queste
le
prossime minacce per l'umanità.
Gqitalia.it
- Marco Perisse – (11 febbraio 2021) – ci dice:
Il
fondatore di Microsoft, che in un discorso del 2015 aveva anticipato il
pericolo di una pandemia globale, torna a metterci in guardia contro due
minacce che non dobbiamo sottovalutare.
Il
Covid-19 è ancora una questione tutt'altro che risolta, ma nel frattempo già si
parla dei problemi che l'umanità dovrà affrontare in futuro.
È Bill Gates a farlo, per la precisione: il
fondatore di Microsoft, che nel 2015 avevamo (clamorosamente) anticipato in un
discorso il tema di virus e pandemie è tornato a metterci in guardia contro una
serie di minacce che si intravedono all'orizzonte.
E,
inevitabilmente, questa volta le sue parole hanno assunto un peso molto, molto
differente.
Pandemie,
animali e natura.
Secondo
numerosi esperti, d'altronde, saremmo entrati in quella che in modo un tantino
brutale potremmo chiamare “era delle pandemie”, di cui il Covid è stato un
capitolo particolarmente significativo a livello mondiale.
Ma facciamo un passo indietro.
La
maggior parte delle malattie di cui gli esperti si preoccupano oggi ha origine
negli animali, secondo un processo chiamato zoonosi dai due termini greci zoo
(animale) e nosos (malattia).
Il
Covid - a quanto ne sappiamo per il momento - potrebbe essere stato veicolato
dal pangolino.
Ma
come che sia, secondo gli studiosi è la stessa vicinanza degli esseri umani
sempre più stretta con gli animali selvatici, a causa dell'invasione antropica
dei loro habitat naturali, a metterci in contatto col pericolo di altri
contagi.
La
caccia e il commercio degli animali selvatici, come pure la distruzione degli
ecosistemi e la facilità e rapidità degli spostamenti, accrescono contatti e
interazioni tra selvatici e umani favorendo il salto di specie (spillover) e la
trasmissione di malattie.
Già secondo una ricerca pubblicata l'anno
scorso su “Proceedings of the Royal Society B”, tra le specie minacciate di
estinzione perché perseguitate o vittime della perdita di habitat naturali è
elevata la quota di virus zoonotici.
Le
specie domestiche sono responsabili dal canto loro di circa la metà delle
zoonosi virali.
Nelle
mucche e nei maiali albergano 31 virus zoonotici, per esempio.
Il ceppo influenzale H1N1 è di origine suina.
Fra le specie selvatiche nei roditori, primati
e pipistrelli si concentrano il 75,8% dei patogeni virali.
Studi recenti ipotizzano che già tra il
Neolitico e l'Età del Bronzo le popolazioni europee furono flagellate dalla
peste (causata dal batterio Yersinia pestis) a causa della concentrazione di uomini
e animali in conglomerati promiscui.
In uno
studio del Wwf pubblicato lo scorso marzo (intitolato Pandemie, l'effetto
boomerang della distruzione degli ecosistemi) si nota:
«Alla base dell'origine del nuovo coronavirus
c'è il fenomeno dello spillover, o salto interspecifico, il momento in cui un
patogeno passa da una specie ospite a un'altra, in questo caso da animale a
uomo.
I più probabili serbatoi del virus Sars-CoV-2
ci sono alcune specie di chirotteri (pipistrelli), ma rimane aperta anche l'ipotesi
che a facilitarne la diffusione come ospiti intermedi siano stati i pangolini».
Prosegue il Wwf: «Recentemente, approfondite
ricerche hanno messo in relazione il ruolo importante dell'alterazione degli
ecosistemi sulla nascita e diffusione di malattie infettive.
Gli
scienziati di tutto il mondo sono consapevoli che tra le cause della diffusione
di malattie infettive emergenti, come Ebola, febbre emorragica di Marburg,
Sars, Mers, febbre della Rift Valley, Zika e molte altre ancora, vi siano
fattori importanti come la perdita di habitat, la creazione di ambienti
artificiali, la manipolazione e il commercio di animali selvatici e più in
generale la distruzione della biodiversità».
Secondo
l'Organizzazione mondiale della Sanità, il virus Nipah è collegato a 10
malattie prioritarie che l'Oms ritiene possano causare una pandemia.
Poi ci
sono le zanzare nel Nord America: ogni anno, le malattie trasmesse dalle
zanzare uccidono quasi 1 milione di persone e ne infettano circa 700 milioni,
quasi una persona su 10 in tutto il mondo.
E ancora, i cammelli, da cui dipendono milioni
di persone in Africa e in Medio Oriente per latte e carne, che possono
veicolare il Mers, un coronavirus molto più letale del Covid-19 anche se è
stato più facilmente circoscritto proprio a causa della sua letalità.
Sebbene
esista un vaccino contro la febbre gialla, portata dalle scimmie, la malattia
infetta circa 200mila persone e ne uccide 30mila ogni anno.
Che
cosa ha detto Bill Gates.
Il
fondatore di Microsoft, Bill Gates, che da tempo solleva l'attenzione su queste
tematiche, ritiene che il mondo non sia pronto per la prossima pandemia.
Lo ha detto in diversi interventi pubblici e
ribadito in un'intervista al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung:
«Non
siamo pronti per la prossima pandemia.
Spero
che tra due anni la situazione sarà diversa. Vaccini, test, medicinali,
epidemiologia, monitoraggio: ci sono molte cose che si possono fare».
E sollecita una pronta capacità di risposta
che nel caso del Covid non c'è stata: «Il compito dei governi è proteggere i
cittadini da questi eventi. Già durante questa pandemia, ci sarebbe stata una
grande differenza se la preparazione fosse stata migliore».
In un
intervento del 2015 al Ted, Gates aveva prefigurato “The Next Outbreak?” (La
prossima epidemia):
«Se
qualcosa ucciderà oltre 10 milioni di persone nei prossimi decenni, è molto
probabile che si tratti di un virus altamente infettivo piuttosto che di una
guerra.
Non
missili, microbi» e si era in particolare indirizzato alle «malattie
respiratorie» impegnandosi con la sua Fondazione, la Gates Foundation, a
finanziare quei vaccini che possono essere prodotti su grande scala con un
costo basso, fra 2 e 3 dollari a dose.
E
adesso Bill Gates va anche oltre, identificando in una intervista a Derek
Muller sul canale YouTube “Veritasium” le due minacce che potrebbero colpirci
nei prossimi anni:
il
cambiamento climatico, fortemente legato al tema delle pandemie proprio a causa
delle nostre frequenti invasioni di nuovi habitat;
e il
bioterrorismo, cioè l’utilizzo intenzionale di agenti biologici in attentati,
sabotaggi, stragi o minacce.
Di
fronte a questo scenario, in particolare, Bill Gates sottolinea il pericolo di
un bilancio delle vittime ancora maggiore di quello occorso nell'attuale
pandemia.
Riguardo
al bioterrorismo, qualcuno che volesse infliggere danni poderosi potrebbe
progettare un virus al posto di un'arma nucleare.
Si è
infatti visto l'impatto devastante del Covid sulle economie, il crollo del
reddito e del lavoro, il drammatico portato della disoccupazione.
Come
riportato in una recente analisi su Nature, il rapido sviluppo dei vaccini
anti-Covid altamente efficaci a meno di un anno dall’emergenza della malattia è
comunque un enorme successo al quale affidare il compito primario della ripresa
delle attività economiche e sociali.
Ciò è
stato possibile, in parte, a causa di alcune proprietà del coronavirus
Sars-CoV-2, che favoriscono la progettazione del vaccino, in particolare
l'ormai famosa proteina spike sulla superficie del virus.
Un prossimo virus però potrebbe essere più
ostico.
Un
vaccino potrebbe richiedere più tempo per essere prodotto. Per questo diversi
ricercatori sollecitano un approccio alternativo di preparazione a un'eventuale
pandemia.
Una
classe speciale di anticorpi protettivi chiamati anticorpi ampiamente
neutralizzanti, detti anche pan-virus, spiegano gli scienziati, agisce contro
molti ceppi diversi di virus correlati, come influenza e coronavirus.
Anticorpi
che potrebbero essere utilizzati come farmaci di prima linea per prevenire o
trattare i virus di una data famiglia, compresi nuovi ceppi che non sono ancora
emersi.
Ancora
più importante, potrebbero essere utilizzati per progettare vaccini contro i
vari “cugini” di una famiglia di virus.
Questi
vaccini pan-virus potrebbero essere realizzati in anticipo e utilizzati prima
che la prossima infezione diventi una pandemia.
Per non farsi trovare, di nuovo, impreparati
di fronte a una pandemia con le sue conseguenze di perdite di vite umane e rottura
delle interazioni economiche e sociali necessarie alla vita e al benessere
materiale di milioni di persone.
ABOLIRE
LA GUERRA UNICA
SPERANZA
PER L'UMANITÀ.
Emergency.it
- Gino
Strada – (30 novembre 2015) – ci dice:
Il
discorso pronunciato da Gino Strada, chirurgo e fondatore di EMERGENCY, nel
corso della cerimonia di consegna del "Right Livelihood Award 2015",
il "premio Nobel alternativo".
Onorevoli
Membri del Parlamento, onorevoli membri del Governo svedese, membri della Fondazione
RLA, colleghi vincitori del Premio, Eccellenze, amici, signore e signori.
È per
me un grande onore ricevere questo prestigioso riconoscimento, che considero un
segno di apprezzamento per l’eccezionale lavoro svolto dall’organizzazione
umanitaria EMERGENCY in questi 21 anni, a favore delle vittime della guerra e
della povertà.
Io
sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia,
Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone,
ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili.
A
Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima
volta le vittime delle mine antiuomo.
Ho
operato molti bambini feriti dalle cosiddette “mine giocattolo”, piccoli
pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette.
Sparse
nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci
giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su
petto, viso e occhi.
Bambini
senza braccia e ciechi.
Conservo
ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l’aver visto tali atrocità mi ha
cambiato la vita.
Mi è
occorso del tempo per accettare l’idea che una “strategia di guerra” possa
includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la
mutilazione dei bambini del “Paese nemico”.
Armi
progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini
innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso.
Ancora
oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee,
una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili.
Alcuni
anni fa, a Kabul, ho esaminato le cartelle cliniche di circa 1200 pazienti per
scoprire che meno del 10% erano presumibilmente dei militari.
Il 90%
delle vittime erano civili, un terzo dei quali bambini. È quindi questo
"il nemico"? Chi paga il prezzo della guerra?
Nel
secolo scorso, la percentuale di civili morti aveva fatto registrare un forte
incremento passando dal 15% circa nella prima guerra mondiale a oltre il 60%
nella seconda.
E nei
160 e più “conflitti rilevanti” che il pianeta ha vissuto dopo la fine della
seconda guerra mondiale, con un costo di oltre 25 milioni di vite umane, la
percentuale di vittime civili si aggirava costantemente intorno al 90% del
totale, livello del tutto simile a quello riscontrato nel conflitto afgano.
Lavorando
in regioni devastate dalle guerre da ormai più di 25 anni, ho potuto toccare
con mano questa crudele e triste realtà e ho percepito l’entità di questa
tragedia sociale, di questa carneficina di civili, che si consuma nella maggior
parte dei casi in aree in cui le strutture sanitarie sono praticamente
inesistenti.
Negli
anni, EMERGENCY ha costruito e gestito ospedali con centri chirurgici per le
vittime di guerra in Ruanda, Cambogia, Iraq, Afghanistan, Sierra Leone e in
molti altri Paesi, ampliando in seguito le proprie attività in ambito medico
con l’inclusione di centri pediatrici e reparti maternità, centri di
riabilitazione, ambulatori e servizi di pronto soccorso.
L’origine
e la fondazione di EMERGENCY, avvenuta nel 1994, non derivano da una serie di
principi e dichiarazioni. È stata piuttosto concepita su tavoli operatori e in
corsie d’ospedale.
Curare
i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si
deve fare.
In 21
anni di attività, EMERGENCY ha fornito assistenza medico-chirurgica a oltre 6,5
milioni di persone.
Una goccia nell’oceano, si potrebbe dire, ma
quella goccia ha fatto la differenza per molti.
In qualche
modo ha anche cambiato la vita di coloro che, come me, hanno condiviso
l’esperienza di EMERGENCY.
Ogni
volta, nei vari conflitti nell’ambito dei quali abbiamo lavorato,
indipendentemente da chi combattesse contro chi e per quale ragione, il risultato
era sempre lo stesso: la guerra non significava altro che l’uccisione di
civili, morte, distruzione.
La
tragedia delle vittime è la sola verità della guerra.
Confrontandoci
quotidianamente con questa terribile realtà, abbiamo concepito l’idea di una comunità
in cui i rapporti umani fossero fondati sulla solidarietà e il rispetto
reciproco.
In
realtà, questa era la speranza condivisa in tutto il mondo all’indomani della
seconda guerra mondiale.
Tale
speranza ha condotto all’istituzione delle Nazioni Unite, come dichiarato nella
Premessa dello Statuto dell’ONU:
“Salvare le future generazioni dal flagello
della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato
indicibili afflizioni all’umanità, riaffermare la fede nei diritti fondamentali
dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei
diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”.
Il
legame indissolubile tra diritti umani e pace e il rapporto di reciproca
esclusione tra guerra e diritti erano stati inoltre sottolineati nella
Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta nel 1948.
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in
dignità e diritti” e il “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri
della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il
fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
70
anni dopo, quella Dichiarazione appare provocatoria, offensiva e chiaramente
falsa.
A oggi, non uno degli stati firmatari ha
applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare:
il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all’istruzione e
alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale.
All’inizio del nuovo millennio non vi sono
diritti per tutti, ma privilegi per pochi.
La più
aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la
guerra, in tutte le sue forme.
Cancellando
il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani.
Vorrei
sottolineare ancora una volta che, nella maggior parte dei Paesi sconvolti
dalla violenza, coloro che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come
noi, nove volte su dieci. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
Solo
nel mese di novembre 2015, sono stati uccisi oltre 4000 civili in vari Paesi,
tra cui Afghanistan, Egitto, Francia, Iraq, Libia, Mali, Nigeria, Siria e
Somalia.
Molte
più persone sono state ferite e mutilate, o costrette a lasciare le loro case.
In
qualità di testimone delle atrocità della guerra, ho potuto vedere come la
scelta della violenza abbia – nella maggior parte dei casi – portato con sé
solo un incremento della violenza e delle sofferenze.
La guerra è un atto di terrorismo e il
terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza.
Sessanta
anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più
importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russell-Einstein:
“Metteremo
fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”. È possibile un
mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano?
Molti
potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite.
È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso
alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra
sia un traguardo impossibile da raggiungere.
Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro
passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro.
Come
le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e
non un destino da abbracciare o apprezzare.
Come
medico, potrei paragonare la guerra al cancro.
Il
cancro opprime l’umanità e miete molte vittime: significa forse che tutti gli
sforzi compiuti dalla medicina sono inutili?
Al contrario, è proprio il persistere di
questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per
prevenirla e sconfiggerla.
Concepire
un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano
debba far fronte.
È
anche il più urgente.
Gli
scienziati atomici, con il loro Orologio dell’apocalisse, stanno mettendo in
guardia gli esseri umani:
“L’orologio ora si trova ad appena tre minuti
dalla mezzanotte perché i leader internazionali non stanno eseguendo il loro
compito più importante: assicurare e preservare la salute e la vita della
civiltà umana”.
La
maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell’immaginare, progettare e
implementare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e
alla violenza di massa fino alla completa disapplicazione di questi metodi.
La
guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata.
La
violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente.
L'abolizione
della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione.
Possiamo
chiamarla “utopia”, visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine
utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora
esplorata e portata a compimento.
Molti
anni fa anche l’abolizione della schiavitù sembrava “utopistica”. Nel XVII
secolo, “possedere degli schiavi” era ritenuto “normale”, fisiologico.
Un
movimento di massa, che negli anni, nei decenni e nei secoli ha raccolto il
consenso di centinaia di migliaia di cittadini, ha cambiato la percezione della
schiavitù: oggi l’idea di esseri umani incatenati e ridotti in schiavitù ci
repelle. Quell’utopia è divenuta realtà.
Un
mondo senza guerra è un’altra utopia che non possiamo attendere oltre a vedere
trasformata in realtà.
Dobbiamo
convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità
urgente e un obiettivo realizzabile.
Questo concetto deve penetrare in profondità
nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un tabù e sia
eliminata dalla storia dell’umanità.
Ricevere
il Premio “Right
Livelihood Award” incoraggia me personalmente ed EMERGENCY nel suo insieme a moltiplicare
gli sforzi: prendersi cura delle vittime e promuovere un movimento culturale
per l’abolizione della guerra.
Approfitto
di questa occasione per fare appello a voi tutti, alla comunità dei colleghi
vincitori del Premio, affinché uniamo le forze a sostegno di questa iniziativa.
Lavorare
insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che possiamo fare per le
generazioni future.
Grazie. (Gino Strada).
Dagli
Insetti nel Piatto al “Nutriscore”
in
Etichetta, così Vorrebbero
imporci
la loro Sub-Cultura.
Conoscenzealconfine.it
– (27 Novembre 2022) - Paolo Lami – ci dice:
Dagli
insetti croccanti nel piatto al “Nutriscore” in etichetta, il famoso “semaforo
rosso” contro i cibi italiani, così l’Europa e le multinazionali hi-tech
vorrebbero imporci la loro sub-cultura.
Una
crociata di cui si sono fatti incredibilmente testimonial persino alcuni
personaggi e brand italiani subissati dalle critiche come l’astronauta Samantha
Cristoforetti o la Barilla, costretta a ritirare in tutta fretta un video che
ha provocato migliaia di proteste sui social.
La
Coldiretti coglie l’occasione del XX Forum Internazionale dell’Agricoltura e
dell’Alimentazione in corso a Roma, dove ha allestito una vera e propria
galleria degli orrori che rischiano di stravolgere per sempre lo stile
alimentare della Dieta Mediterranea e il sistema produttivo nazionale basato
sulla qualità e su tradizioni millenarie, per denunciare che sulla tavola degli
italiani rischiano di finire non solo la “carne” sintetica, ma anche piatti a
base di insetti, vino de alcolato, kit con polveri per fare vino e formaggi ma
anche l’etichetta “Nutriscore” che boccia l’olio d’oliva.
“La Ue
– avverte Coldiretti – ha già autorizzato la vendita, come cibo da portare in
tavola, di grilli domestici (Acheta domesticus) come nuovo alimento.
L’insetto potrà essere prodotto e venduto sul
mercato Ue intero, congelato, essiccato o in polvere e destinato alla
commercializzazione come snack o ingrediente alimentare”.
“Si
tratta del terzo via libera nell’Unione all’utilizzo alimentare umano di un
insetto” sui cosiddetti “Novel Food”, dopo quelle per la larva gialla della
farina (Tenebrio molitor) e per la Locusta migratoria “.
“Ma
l’orrore a livello globale può arrivare nel piatto sotto varie forme – mette in
guardia Coldiretti – dalla vodka allo scorpione ai vermi all’italiana, dagli
scarabei ai grilli alla thai, dallo scorpione dorato agli insetti alla paprika,
al sale marino, al curry, dai vermi delle palme al verme gigante, dal
millepiedi alla pasta ai grilli, dal misto insetti ai grilli in salsa
barbecue”.
Novità
bocciate dal 54% degli italiani contrari agli insetti a tavola mentre, mentre
il 24% è indifferente, il 16% (incredibilmente) favorevole e il 6% non
risponde, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe.
“In
questo contesto, a preoccupare è la diffusione in Europa dei sistemi di
etichettatura “nutriscore” e a semaforo, fuorvianti, discriminatori ed
incompleti, che finiscono per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti
sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole, per favorire prodotti
artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta”, afferma il
presidente di Coldiretti Ettore Prandini.
(Paolo
Lami--
secoloditalia.it/2022/11/dagli-insetti-nel-piatto-al-nutriscore-in-etichetta-cosi-vorrebbero-imporci-la-loro-sub-cultura/).
Crisi
del Gas,
Gazprom accusa
l’Ucraina
di
Furto: a Rischio le Forniture residue all’Europa.
Conoscenzealconfine.it
– (27 Novembre 2022) - Giulia Burgazzi-Visionetv.it – ci dice:
L’Ucraina
ruba il gas russo diretto in Europa che attraversa il suo territorio: o almeno,
di questo la accusa Gazprom.
Se la
situazione non si risolve, a partire da lunedì 28 novembre 2022 la stessa
Gazprom ridurrà le consegne di gas all’Europa per una quantità pari a quella
che l’Ucraina, a suo dire, trattiene illegalmente per sé.
Si
tratterebbe in media di circa 2,6 milioni di metri cubi al giorno.
L’Ucraina
si proclama innocente.
L’Italia
è fra i pochi Paesi europei che continuano a ricevere gas russo.
È poco
ormai, ma vitale. Ne arrivano 10-20 milioni di metri cubi al giorno, pari
grossomodo al 5-10% delle importazioni italiane e al 25-50% del quantitativo
che Gazprom ancora consegna all’Europa.
Gazprom
ha reso nota la situazione con un comunicato stampa diffuso via Twitter.
Sostiene che il gas illegalmente trattenuto dall’Ucraina è quello diretto alla
Moldova, la quale a sua volta è indietro nel pagare i suoi conti.
Gazprom però non accenna a tagliare il gas
alla Moldova.
Accenna
invece a tagliarlo, genericamente, all’Europa, come si vede cliccando sul
tweet: pic.twitter.com/ao5XeDe6JR – Gazprom (@GazpromEN) November 22, 2022.
In traduzione:
Fornitura
di gas alla Moldova attraverso l’Ucraina. Gazprom prende nota del fatto che
perdite di gas russo avvengono nel territorio dell’Ucraina.
Riguardano il volume fornito ai consumatori
moldavi nell’ambito del contratto con Moldovagaz.
Il volume di gas consegnato da Gazprom al
punto di ingresso di Sudzha, per il transito verso la Moldova attraverso il
territorio ucraino, è maggiore del volume fisico di gas che supera il confine
tra Ucraina e Moldova.
Il 21
novembre, Moldovagaz ha effettuato il pagamento a Gazprom per una parte delle
forniture di novembre, come previsto dal contratto.
Il volume di gas russo effettivamente fornito
che non è stato debitamente pagato per il mese di novembre è di 24,945 milioni
di metri cubi.
Il
volume totale complessivo di gas andato perduto nel territorio ucraino è di
52,52 milioni di metri cubi.
Se lo
squilibrio osservato durante il transito del gas diretto ai consumatori moldavi
attraverso l’Ucraina dovesse continuare, il 28 novembre alle 10 del mattino
Gazprom inizierà a ridurre le sue forniture di gas al punto d’ingresso di
Sudzha attraverso l’Ucraina.
Le forniture saranno ridotte di un volume pari
al gas andato perso quotidianamente.
Contesto:
a partire dal 22 novembre, Gazprom fornisce gas russo al punto d’ingresso di
Sudzha per il transito attraverso l’ucraina nella misura di 42,9 milioni di
metri cubi al giorno.
Il
punto di transito di Sudzha, in Ucraina, è l’unico dal quale passa il gas russo
diretto verso Ovest.
L’Ucraina
stessa ha chiuso in maggio l’altra rotta del gas russo sul suo territorio,
quella via Novopskov, con conseguente riduzione delle forniture all’Europa.
Per il
resto, il gasdotto Yamal, che attraversa la Polonia, non funziona più da mesi.
Il Nord Stream, nel Mar Baltico, è saltato in aria per un sabotaggio.
Se
l’Europa fosse un luogo normale, i clienti di Gazprom si attaccherebbero al
telefono e chiamerebbero Kiev.
Direbbero:
per
favore, sistemate con cortese sollecitudine la faccenda con Gazprom, che la
vostra lite ci danneggia a prescindere dal torto e dalla ragione.
Però
l’Europa non è più un luogo normale e non risulta che qualcosa del genere stia
avvenendo.
I media riferiscono solo che l’Ucraina afferma
di aver consegnato tutto il gas alla Moldova. E quindi prevedibilmente lunedì
28 il rubinetto del residuo gas russo diretto verso l’Italia si chiuderà un
altro po’.
(Giulia
Burgazzi -- visionetv.it/crisi-del-gas-gazprom-accusa-lucraina-di-furto-a-rischio-le-forniture-residue-dirette-verso-leuropa/).
Perché
l’uomo distrugge la Natura?
Rivistanatura.com - ARMANDO GARIBOLDI – (28
AGO. 2019) – ci dice:
I
drammatici eventi di questa caldissima estate 2019, dagli incendi in Siberia
allo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, hanno evidenziato l’accelerata
degli effetti dei cambiamenti climatici innescati dalle attività umane.
Di fronte a tale disastro, di cui non si vede
la fine e, anzi, si possono facilmente intuire e leggere prossimi
peggioramenti, una parte sempre più estesa dell’opinione pubblica comincia a
reagire, almeno a livello di preoccupata presa di coscienza.
Nei
commenti sui social e nelle lettere a giornali e mass-media mainstream – che
purtroppo in molti casi stanno affrontando questi argomenti con il consueto
tono apocalittico, scandalistico, superficiale – si notano spesso definizioni
del tipo:
“Siamo
una specie folle, ci meritiamo di estinguerci”; “Siamo i parassiti del
Pianeta”; “L’Umanità è solo un’accozzaglia di predoni egoisti”; “Siamo pazzi e
ciechi e ormai stiamo cadendo nel baratro”, ecc.
Un misto, dunque, di lamentose e disperate
affermazioni, dove emerge la mancanza di speranza per il futuro e la rabbia per
la stupidità umana.
Ma è
davvero così?
Può
una specie che, in poco più di 200mila anni (ovvero pochissimo, se consideriamo
le scale geo-biologiche), è di fatto arrivata a dominare l’intero Pianeta, pur
avendo una capacità riproduttiva limitata, dei corpi delicatissimi e molta meno
forza fisica rispetto alle altre specie più simili a noi (ovvero le grandi
scimmie), avere intrapreso una strada evolutiva destinata “al vicolo cieco”, ovvero
all’estinzione, puntando sull’intero consumo delle risorse vitali e alla
distruzione dell’habitat in cui vive!
Perché allora questa follia, da dove nasce,
che senso ha?
In
ultima analisi: perché l’Uomo continua imperterrito a distruggere la Natura (ovvero
la famosa “casa comune” in cui abita) nonostante almeno mezzo secolo di avvisi
e allarmi sempre più stringenti lanciati dalla comunità scientifica e
nonostante i disastri più o meno naturali (molti palesemente di origine
antropica) che sempre più spesso mietono migliaia di vittime?
Per
rispondere a questa domanda bisognerebbe scrivere un’intera enciclopedia, tante
sono le probabili concause che, in modo più o meno complesso, s’intrecciano tra
loro: cause sia socio-politiche, storiche ed economiche, sia psicologiche,
biologiche ed ecologiche.
In questa sede vogliamo solo provare a
proporre qualche pensiero tra quelli di solito meno diffusi;
qualche
punto di vista un po’ diverso che aiuti a cogliere alcune sfumature che, come
spesso capita, possono fare in realtà la differenza nella formazione di
un’idea.
Come,
infatti, diceva Sherlock Holmes, è dai dettagli che si può arrivare al cuore
del problema (nel suo caso scoprire il colpevole di turno).
Noi
già sappiamo chi è il colpevole, ma in questo caso il cuore del problema allora
è un altro: la nostra specie ama il luogo in cui vive?
Ovvero,
ama la Natura?
Poiché
sappiamo benissimo che, al di là di tante belle parole o dei vari “sensi duri”
(senso del dovere, senso di colpa, ecc.) nei fatti solo chi ama qualcosa/qualcuno
se ne prende davvero cura.
Oggi è facile dire che, almeno in Occidente,
la maggior parte degli uomini NON ama la Natura.
Ma per
amare davvero qualcosa/qualcuno ci sono solo due strade: quella del cuore
(l’emozione, l’empatia che ci coglie in certe situazioni, magari sostenuta da
un legame di sangue, come quello per i figli) o quella della testa (la
conoscenza, conoscere bene qualcosa o qualcuno, in modo da arrivare a coglierne
il valore).
Solo
così arriveremo al volere bene (philéô) e magari ad amare (agapáô) e di
conseguenza a impegnarci davvero per proteggere l’oggetto del nostro amore
(sappiamo, infatti, che il “voler bene” non è proprio la stessa cosa che
“amare”, come fece notare Gesù a Pietro nel famoso dialogo del Vangelo di Giovanni
(21, 15-17).
Per
millenni l’Uomo nomade cacciatore-raccoglitore ha vissuto la Natura con l’amore
istintivo che avvolge un essere la cui vita dipende da essa, con un misto di
paura e attrazione, sapendo appunto che dalla Natura poteva arrivare anche la morte.
Ma
sempre con il rispetto e con l’equilibrio di chi sa anche che della Natura ha
bisogno e che essa è sempre più grande di lui.
Dalla
Natura gli uomini prelevavano solo quanto gli serviva per la sopravvivenza,
ovvero “gli interessi”, lasciando intatto “il capitale”.
Poi,
circa 10.000 anni fa, con la nascita e lo sviluppo dell’agricoltura, il
panorama è cominciato a cambiare.
L’Uomo
si è fermato in un posto e, per sopravvivere, ha dovuto iniziare a sfruttarlo,
con i vari processi di coltivazione del suolo e di domesticazione di piante e
animali e con metodi sempre più raffinati e intensivi.
Ovvero,
ha iniziato a intaccare il capitale.
Fino a quando ciò avveniva con metodi
tradizionali e solo con la forza di uomini e bestie, attraverso il lavoro di comunità
umane costituite al massimo, nel complesso, da milioni di individui, la Terra
ha ben sopportato tale pressione.
Inoltre, la presenza di eventi tragici come
pandemie, carestie e guerre effettuava un certo controllo sulla popolazione
antropica.
Con la
cosiddetta Rivoluzione Industriale iniziata in Occidente nel XVII secolo, si è
però accesa la miccia:
la
società umana da sistema agricolo–artigianale–commerciale è diventata un
sistema industriale moderno, caratterizzato dall’uso generalizzato di macchine
azionate da energia meccanica e dall’utilizzo di nuove fonti energetiche
inanimate (come, per esempio, i combustibili fossili), il tutto favorito da una
forte componente di innovazione tecnologica e accompagnato da fenomeni di
sviluppo demografico, sviluppo economico e da profonde modificazioni
socio-culturali e anche politiche.
E
soprattutto di incremento di popolazione, che rapidamente è passata da 1
miliardo di individui nel 1800, ai circa 7,5 miliardi di oggi, con un aumento
medio annuo di circa 75 milioni.
In
pratica, gli esseri umani si sono quadruplicati nell’arco degli ultimi 100
anni, dopo essere rimasti per millenni limitati a pochi milioni di persone
(all’epoca della nascita di Cristo si stima vivessero sul Pianeta circa 160
milioni di individui).
Ciò
non solo ha aumentato in pochissimo tempo e a dismisura la richiesta, e quindi
lo sfruttamento, di risorse naturali – oltre che la conseguente produzione di
scorie di ogni genere quasi mai realmente smaltibili –, ma, attraverso il
fenomeno dell’inurbamento, ha sempre di più allontanato gli uomini dalla
Natura.
A
seguito di ciò, non solo una parte significativa degli esseri umani non conosce
più il mondo naturale (per esempio non sa distinguere le varie specie animali e
vegetali) ma, soprattutto negli ultimi decenni, si è creata una vera e propria
sindrome di disconnessione con la Natura, come scrivono vari filosofi e
psicologi, per cui alla fine sempre meno si sente il bisogno di una sua
vicinanza, di un suo rapporto profondo e vero con essa.
In pratica oggi per molte persone la Natura
vale solo perché serve (per esempio, un albero non va abbattuto perché produce
ossigeno) o, nei casi migliori, perché “è bella” o perché “fa bene” (che son
sempre forme d’uso, seppur scenografiche o salutistiche).
E non
essendoci più contatto, è sempre più difficile rimanere in sintonia. Questo è il vero dramma dell’Uomo,
poiché innesca un processo a cascata di impoverimento interiore che porta
all’ignoranza cognitiva e culturale, alla perdita di identità (di specie, di popolo
ma anche almeno in parte personale), all’inaridimento emotivo, ma soprattutto
all’incapacità di essere in risonanza con il mondo che ci circonda che, volenti
o nolenti, è ancora in massima parte naturale (per quanto rovinato e
contaminato).
Questo
processo, che è aumentato in maniera esponenziale nell’ultimo secolo e in
particolare dalla fine della seconda Guerra Mondiale, produce a sua volta due
importanti effetti.
Il
primo, pericolosissimo, incide sulla nostra
capacità di adattamento. La specie umana ha fatto di questa sua sensazionale
facoltà, sostenuta dalla sua intelligenza, la carta vincente per sopravvivere e
imporsi come specie dominante sul Pianeta.
Ma, a
livello basico, come scrive l’ecologo Timothy Morton, “essere vivi significa
adattarsi senza sparire completamente, essere protetti dalla propria sintonia
ma non fino al punto di dissolversi del tutto”.
Senza
più contatto e sintonia con la Natura, perdiamo quindi la capacità di adattarci
ai suoi mutamenti, tanto più a quelli repentini degli ultimi anni e di quelli
che ci attendono.
E
l’adattamento di una specie è un processo biologico, oltre che culturale, che
richiede tempo e che può essere solo in parte (minima?) compensato o contenuto
dalla tecnologia.
Il
secondo effetto è la riduzione della nostra istintiva biofilìa, ovvero il nostro amore e
attrazione per la Vita.
E che la nostra società sia sempre più
orientata verso scenari necrofili ce lo dicono una serie numerosa di segnali:
dalla cultura (soprattutto giovanile) verso
immagini/situazioni mortifere (basti pensare all’attrazione dei ragazzi verso
zombi, vampiri, situazioni “dark”, sport estremi, ecc.), all’uso di tecnologie
“comode” (quindi in realtà non indispensabili) ma di dubbio effetto sulla
salute (per esempio, eccesso di tecnologie basate sull’elettromagnetismo come i
vari cellulari 3-4-5G, ecc.), a un’alimentazione sempre più priva di vere forze
vitali.
Ovvio,
quindi, che tutto ciò ci porti a diventare sempre più insensibili e distaccati
da ciò che sta succedendo “fuori”, nella natura, appunto.
Che ormai a molti sembra lontanissima e quasi irreale
e dove anche le immagini delle catastrofi ambientali che stanno avvenendo in
varie parti del pianeta assumono una percezione surreale.
Allora
è a questo punto che si può scatenare una sorta di “effetto Lemmig” o anche
“ultimo ballo sul Titanic”.
Incuranti della nave (il Pianeta così come è
oggi) che affonda, continuiamo a ballare, cercando di godercela il più a lungo
possibile, senza credere in realtà all’avvicinarsi della fine.
Che
non è quella della Terra, è bene ribadirlo ancora una volta, ma di “questa”
umanità.
Credo, infatti, che il Pianeta sopravviverà
abbastanza bene al collasso in corso (sì, è già cominciato!) e che anche l’Umanità
non si estinguerà.
Tornerà
sotto il miliardo di individui, privilegiando i popoli e le culture a bassa
tecnologia (per esempio, boscimani, indios amazzonici, aborigeni, ecc.), ma
andrà avanti, meno ricca ma forse anche più felice di oggi.
Tuttavia
in questa situazione pre-apocalittica (e ricordiamo che il termine “Apocalisse”
non vuol dire “fine del mondo”, ma significa “svelamento, levare il velo”) si
possono anche osservare alcuni comportamenti molto interessanti sulla natura
umana, che probabilmente in situazioni ordinarie non emergerebbero.
Una di
queste, evidenziata proprio dal non volere pervicacemente “invertire la rotta”
nonostante i mille segnali ricevuti, è una sorta di rifiuto, o meglio di fuga,
dalla nostra incarnazione materiale, da un legame filogenetico che ci
perseguita e connette con tutte le altre creature non umane.
È come
se, consapevoli di una nostra natura profonda in cui la dimensione carnale è
minoritaria (non a caso tutte le religioni ci dicono che siamo fatti di corpo,
anima, spirito e coscienza/Io, quindi in fin dei conti di un rapporto di 3 a 1
tra “energia” e materia) la sfidassimo o volessimo addirittura liberarcene.
Senza
credere in un vero suicidio collettivo o individuale, ma piuttosto in una sorta
di “salto quantico” che ci attende.
Che
dire, a questo punto speriamo sia davvero così!
E vengono in mente, un po’ per consolazione e
un po’ per chiudere questo lungo pezzo, le parole di un grande uomo di scienza
ma anche di fede che è stato il naturalista (paleontologo) e gesuita francese
padre Pierre Teilhard De Chardin:
“Noi
non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale. Noi siamo esseri
spirituali che vivono un’esperienza umana”.
Eleonora
Brigliadori: “Sono pronta
a
morire ma
non farò il vaccino:
c’è
dentro Satana, distruggerà l’umanità”.
Ilfattoquotidiano.it
– Eleonora Brigliadori – (16 DICEMBRE 2020) – ci dice:
Non
paga di essersi già espressa sul covid-19 ("un complotto degli
americani"), l'attrice è tornata a parlare all'Adnkronos: "Nel
momento in cui metteranno l’obbligo di questo vaccino, non solo si vedranno gli
effetti collaterali e molti moriranno dopo la prima somministrazione, ma si assisterà all’inizio
dell’apocalisse degenerativa dell’umanità".
“Sono
pronta a morire se qualcuno avrà l’ardire di ordinarmi alcunché “.
Non è
una battuta de Il Trono di Spade.
Sono
parole di Eleonora Brigliadori che all’Adnkronos ha parlato di covid-19 e
vaccini.
“Chi oggi gioca a fare Dio, è veramente da fermare: ma
io non permetterò a nessuno di incrinare la mia anima e di bloccare la mia
evoluzione”, ha detto a commento della possibilità che il vaccino sia
obbligatorio.
L’attrice, ricordata per le sue “battaglie”
contro la chemioterapia, aveva già avuto tristemente modo di dire la sua sul
coronavirus, definendolo “un complotto degli americani non diverso da altre
influenze “.
E ora
torna all’attacco affermando che “ci saranno molte persone che come me preferiranno la
morte, perché morire in Cristo vuol dire risorgere, mentre chi per paura venderà
la sua anima a Satana non potrà più ascendere ai mondi spirituali, ma solo dare
vita a un mondo degenerato”.
Non
finisce qui.
Brigliadori afferma che quello che “non viene detto da nessun tg, da
nessun giornale e da nessuna rivista è che la tecnologia satanica che è stata
scoperta pochi anni fa è entrata in questo nuovo vaccino, che modifica
profondamente la tecnica dei vaccini precedenti e che distruggerà il genoma
umano”.
E dopo
aver tirato in ballo Cristo un altro paio di volte torna a “profetizzare”:
“Nel
momento in cui metteranno l’obbligo di questo vaccino, non solo si vedranno gli
effetti collaterali e molti moriranno dopo la prima somministrazione, ma si assisterà all’inizio
dell’apocalisse degenerativa dell’umanità.
Una
volta che un genitore avrà dovuto subire questo vaccino, porterà le
degenerazioni del genoma alle generazioni successive”.
La
profezia di Madre Terra
e la pandemia.
Nigrizia.it
– Marcello Barros – (22 Aprile 2021) – ci dice:
(Marcelo
Barros - monaco benedettino in Brasile).
Aprire
gli occhi per vedere la relazione tra tutte le cose. Cambiare il sistema di
valori alla base dell'economia globale per renderlo compatibile con la dignità
umana e la sostenibilità ecologica. Un’urgenza che ci impegna tutti, sulle orme
di Papa Francesco.
Amazzonia
deforestazione.
Alcuni
si chiedono come la Terra possa proclamare una profezia se non pensa e non
parla.
Tuttavia,
tutti i popoli della Terra hanno un dialogo con essa, sentono la sua voce, ne
riconoscono il grido e si commuovono al suo appello per la vita.
Nella
Bibbia vari testi parlano di come il sangue versato faccia protestare la Terra
e le ingiustizie contro i poveri provochino un grido di protesta che viene
dalla Terra stessa (cf. Amos e Giacomo).
Quest’anno
il tema dell’Agenda mondiale Latinoamericana 2021 riguarda la guarigione della
Madre Terra e porta il titolo: Ritorno o non ritorno.
È
tardi, ma è la nostra ora.
Si
chiama “non ritorno” il punto in cui il pianeta Terra non può più recuperare le
condizioni minime di sopravvivenza.
Infatti,
da alcuni anni, gli scienziati avvertono che, se continua a questo ritmo, la
distruzione ecologica potrebbe trasformare la Terra in un pianeta deserto,
senza vita.
Anche
se nessuno conosce con certezza l’origine del coronavirus, è provato che la sua
comparsa ha qualcosa a che fare con la distruzione continua della natura.
Il
virus esiste da miliardi di anni, dormiente in natura, senza nuocere a nessuno.
Una volta distrutto l’ecosistema, però, si risveglia e si moltiplica
disordinatamente, infliggendo all’umanità una tragedia che sembra senza fine.
Dobbiamo
aprire gli occhi per vedere la relazione tra una cosa e l’altra.
Nel mondo, più di due terzi delle grandi
foreste sono state distrutte o stanno per esserlo.
Si stima che, ogni anno, 50mila specie viventi
scompaiano dalla Terra.
Nell’ultimo
decennio, inoltre, la temperatura media delle acque degli oceani è aumentata di
più di un grado.
Ogni
giorno, nuovi prodotti chimici che avvelenano i processi vitali vengono
rilasciati nell’aria, nella terra e nell’acqua e, per moti anni, continueranno
a causare morte.
Per
questo il buco dell’ozono che protegge l’atmosfera terrestre è aumentato e
minaccia la vita di intere popolazioni e di molte specie animali.
I
cambiamenti climatici che in altre ere geologiche derivavano da mutazioni
atmosferiche, sono ora causati dalla stessa società umana, in particolare dal sistema
sociale ed economico dominante che trasforma la terra in una merce e si
preoccupa solo del profitto economico.
Dobbiamo
cambiare il sistema di valori alla base dell’economia globale per renderlo
compatibile con la dignità umana e la sostenibilità ecologica.
Papa
Francesco continua a sostenere che questo sistema uccide; il capitalismo causa
la morte di più di un miliardo di esseri umani e, in tutto il mondo, distrugge
la Madre Terra.
Nei
secoli in cui gli imperi coloniali partirono alla conquista di nuovi mondi,
ancor prima di muovere guerra ai nativi, ne bruciavano le terre.
Il
grande regista italiano Gillo Pontecorvo nel 1969 denunciava ciò nel film “Queimada”.
Tale
modo di agire, dai tempi della conquista ad oggi, non è solo tecnico o strategico:
è culturale, sociale e politico.
È
necessario dunque ripercorrere il cammino di riconciliazione dell’umanità con
la Terra e con l’universo al quale apparteniamo.
Per
questo la sola consapevolezza della gravità della situazione è insufficiente e
il grave problema potrà essere risolto con l’approvazione di leggi a sostegno
della protezione della Terra e di chi la abita.
Questo
è importante e urgente, ma lo è altrettanto riscoprire un nuovo modo di
relazionarsi con la Essa e la natura.
In
tutto il mondo, l’umanità sta riscoprendo l’attualità dei culti indigeni e
afrodiscendenti che evidenziano l’intimità con Dio nella relazione con la Terra
e l’Universo intero.
L’Onu
ha proclamato il 22 aprile Giornata internazionale della Madre Terra. Per una
felice coincidenza, per le Chiese cristiane questa commemorazione avviene
durante la Pasqua, quando le comunità celebrano la resurrezione di Cristo per
essere testimoni che la vita vince la morte e l’amore avrà l’ultima parola in
questo mondo.
Nel
Nuovo Testamento l’apostolo Paolo parla del Cristo risorto come Cristo cosmico.
Oggi,
per noi, la presenza di Cristo è nel prossimo, ma anche nella vita che pulsa
nell’Universo e nella forza della Madre Terra.
Nella
prima metà del XX secolo, padre Theilhard de Chardin affermava:
«Finora
i cristiani hanno cercato Gesù Cristo nella sua forma umana e divina.
Ora si
presenta a noi nel suo corpo cosmico che è la Terra.
Questa terza natura di Cristo (né umana, né
divina, ma cosmica) non ha attirato particolarmente l’attenzione dei fedeli o
dei teologi».
Cinque
anni fa, Papa Francesco ha pubblicato “Laudato si “, la lettera sulla cura
della Terra, nostra casa comune.
Egli
ha proposto un’Ecologia Integrale che comprenda, allo stesso tempo, la cura
dell’ambiente, la ricerca della giustizia sociale e politica, ma anche lo
sviluppo della nostra interiorità che ci fa sentire parte dell’Universo e in
comunione con tutti gli esseri viventi.
Nella
lettera, il Papa invita l’intera umanità a sviluppare una “spiritualità”
ecologica e chiede alle varie religioni di unirsi per aiutare le persone a
percorrere questo cammino.
Nell’esortazione
apostolica post-sinodale “Querida Amazzonia”, il Papa insiste che i cristiani
dialoghino amorevolmente e cerchino di inserirsi nella comunione con i popoli
originari di quei luoghi, sia nelle espressioni culturali che nelle loro
tradizioni religiose e spirituali.
Egli
afferma: “Se una persona crede che lo Spirito Santo possa agire in ciò che è
diverso da noi, allora cercherà di lasciarsi arricchire da quella luce e la
accoglierà dall’interno delle proprie convinzioni e della propria identità”.
(Q.A, 106).
Senza
cadere in similitudini artificiali e richiami indebiti con la visione del mondo
cristiana, la teologia andina ha scoperto nelle immagini e nelle espressioni di
devozione alla Pacha-mama (Madre Terra), elementi simili al culto cristiano dello Spirito Santo.
Infatti,
nella sua Storia della Chiesa in America Latina (Sigueme, Salamanca, 1983, p.
153), Enrique Dussel indica la Pachamama dei popoli dell’Altipiano come
immagine dello Spirito Santo.
Allo
stesso modo, Leonardo Boff afferma: “La categoria centrale della religione
Yoruba è Axé, l’equivalente del greco pneuma, del latino spiritus e del biblico
ruah”.
In
termini teologici e spirituali, possiamo affermare che l’attuale crisi
ecologica e la realtà di sfruttamento di cui soffre la Madre Terra è
espressione di una Kenosis dello Spirito Santo.
La
Divina Ruah soffre la sua croce nel corpo della Madre Terra come afferma un
teologo italiano:
“È
giusto parlare di una Kenosis dello Spirito che non si esprime come quella di
Gesù nel farsi uomo e piccolo, ma nell’assumere l’umanità più intima in una
sorta di abbassamento o diciamo cancellazione dell’amore che, da un certo punto
di vista è più radicale della Kenosis di Cristo”.
Lo
Spirito (Ruah Divina) si manifesta nella lotta dell’ecofemminismo, nell’unire
cioè la lotta per la liberazione della Terra a quella della donna e coinvolgere
tutta l’umanità nella lotta eco-femminista.
Il
nostro modo di vivere la Giornata internazionale della Madre Terra sia, perciò,
di intensificare il nostro impegno nella lotta per il cambiamento del sistema
dominante, di partecipare alle lotte collettive per l’Ecologia Integrale e di
fare della nostra vita la preghiera espressa nel Salmo 104, in cui si parla
dell’invio dello Spirito, non tanto nel senso spaziale che Lui non è e viene,
ma nel senso che Egli manifesta la Sua presenza e la Sua energia d’amore che
vince ogni oppressione: “Manda il tuo Spirito, Signore, e rinnova la faccia
della terra” (Salmo 104,30).
È IL
CAPITALISMO CHE STA UCCIDENDO
LA
NATURA, NON L’UMANITÀ.
Thevision.com
- ANNA PIGOTT – (19 APRILE 2019) – ci dice:
L’ultimo
rapporto “Living planet” del WWF è una lettura piuttosto dura: la fauna
selvatica è diminuita del 60% dal 1970, alcuni ecosistemi stanno collassando e
c’è una buona possibilità che la specie umana non abbia vita lunga.
La relazione
sottolinea continuamente come la colpa di questa estinzione di massa sia da
attribuire all’uomo e a ciò che consuma, e i giornalisti si sono precipitati a
diffondere questo messaggio.
Il
Guardian ha titolato: “L’umanità ha distrutto il 60% delle specie animali”,
mentre la Bbc ha scelto: “Il consumismo ha causato una grossa perdita di fauna
selvatica”.
Non
c’è di che stupirsi: nelle 148 pagine del rapporto la parola “umanità” appare
14 volte, e “consumismo” 54 volte.
C’è un
termine, però, che non compare nemmeno una volta: capitalismo.
Si potrebbe dire che, ora che l’83% degli ecosistemi
di acqua dolce stanno collassando (un’altra delle statistiche inquietanti del
rapporto), non abbiamo tempo di disquisire di semantica.
Eppure, come ha scritto l’ecologista Robin
Wall Kimmerer, “trovare le parole giuste è il primo passo per iniziare a
capire.”
Nonostante
il rapporto del WWF si avvicini al concetto, parlando del problema come di una
questione culturale, economica e di modello produttivo insostenibile, non
riesce a identificare il capitalismo come ciò che lega in maniera cruciale (e a
volte casuale) tutte queste cose.
In questo modo ci impedisce di vedere la reale
natura del problema e, se non lo nominiamo, non possiamo affrontarlo perché è
come puntare verso un obiettivo invisibile.
Il
rapporto del WWF fa bene a evidenziare “il crescente consumo da parte
dell’uomo”, e non la crescita della popolazione, come la causa primaria
dell’estinzione di massa, e si sforza in maniera particolare di illustrare il
legame tra la perdita di biodiversità e il consumismo.
Però
si ferma lì, non dice che è il capitalismo a imporre questo modello
sconsiderato di consumo.
Questo
– in particolar modo nella sua forma neoliberista – è un’ideologia fondata
sull’idea di una costante e perenne crescita economica, spinta proprio dai
consumi: un assunto semplicemente fallace.
L’agricoltura
industriale, il settore che il rapporto identifica come il responsabile
primario della perdita di specie animali, è stata marcatamente costruita su
principi capitalisti.
Prima
di tutto perché impone che abbiano valore solo quelle specie “mercificabili”, e
secondo perché, nel cercare solo il profitto e la crescita, ignora tutte le
conseguenze – come l’inquinamento o la perdita di biodiversità.
Il rapporto, invece di richiamare l’attenzione
sull’irrazionalità del capitalismo, che considera priva di valore la maggior
parte della vita su questo pianeta, non fa altro che supportare la logica
capitalista usando termini come “beni naturali” e “servizi dell’ecosistema” per
riferirsi al pianeta vivente.
Il
rapporto del WWF sceglie l’umanità come unità di analisi e questo monopolizza
il linguaggio della stampa.
Il
Guardian, per esempio, riporta che “la popolazione globale sta distruggendo la
rete della vita.”
Questa
frase è totalmente fuorviante: il rapporto del WWF riporta effettivamente che
non è tutta l’umanità ad essere consumista, ma non sottolinea abbastanza che è
solo una piccola minoranza della popolazione mondiale a causare la maggior
parte dei danni.
Dalle
emissioni di anidride carbonica all’impronta ambientale, è il 10% più ricco
della popolazione ad avere l’impatto maggiore.
Inoltre,
non si dice che gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di
biodiversità abbiano maggiore impatto sulle persone più povere – le persone che
contribuiscono al problema in maniera minore.
Sottolineare
queste differenze è importante perché sono queste il problema, e non l’umanità
per sé, e perché le disuguaglianze sono endemiche nei sistemi capitalisti,
specialmente per via della sua eredità razzista e colonialista.
“Umanità”
è una parola ombrello che tende a coprire tutte queste crepe, impedendoci di
vedere la situazione per come è. Inoltre, diffonde l’idea che gli esseri umani
siano intrinsecamente “cattivi”, e che sia in qualche modo parte della nostra
natura consumare fin quando non è rimasto niente.
Un
tweet postato in risposta alla pubblicazione della relazione del WWF suggeriva
che fossimo “dei virus con le scarpe”: un atteggiamento che spinge solo verso
una crescente apatia.
Ma
cosa succederebbe se questa sorta di auto-critica la rigirassimo verso il
capitalismo? Non solo sarebbe un target più corretto, ma potrebbe anche darci
la forza di vedere l’umanità come una forza benevola.
Le
parole fanno ben altro rispetto ad assegnare responsabilità diverse a diverse
cause.
Le
parole possono costruire o distruggere le narrazioni che abbiamo diffuso sul
mondo, e queste narrazioni sono importanti perché ci aiutano a gestire la crisi
ambientale.
Usare
riferimenti generalizzati all’umanità o al consumismo per parlare dei fattori
preponderanti nella perdita di biodiversità non è solo sbagliato, ma
contribuisce a diffondere una visione distorta su chi siamo e chi siamo in
grado di diventare.
Parlare
del capitalismo come di una causa fondamentale del cambiamento climatico, al
contrario, ci aiuta a identificare tutta una serie di idee e abitudini che non
sono né permanenti né fanno parte del nostro essere umani.
Così
facendo possiamo imparare che le cose non devono andare necessariamente così.
Abbiamo
il potere di indicare un colpevole ed esporlo.
Come ha detto la scrittrice e ambientalista
Rebecca Solnit, “Chiamare le cose con il loro nome distrugge le bugie che scusano,
tamponano, smorzano, camuffano, eludono e incoraggiano all’inazione,
all’indifferenza, alla noncuranza.
Non
basterà per cambiare il mondo, ma è un inizio.”
Il
rapporto del WWF lancia un appello a trovare una “voce collettiva, cruciale se
vogliamo invertire il trend della perdita di biodiversità”.
Ma una
voce collettiva è inutile se non usa le parole giuste. Fin quando noi, e organizzazioni
come il WWF,
non riusciremo a nominare il capitalismo come la causa principale
dell’estinzione di massa, saremo incapaci di contrastare questa tragedia.
James
Barrat: “L’Intelligenza
Artificiale
ci distruggerà?”
Arcanestorie.it
– Alessandro Mezzena Lona – (19-3-2019) – ci dice:
L’UMANITÀ
HA UN GRANDE SOGNO. UN PROGETTO ANTICHISSIMO, CHE LO AUTORIZZEREBBE A SENTIRSI
SIMILE AGLI DEI. DA SEMPRE, INFATTI, FANTASTICA SULLA POSSIBILITÀ DI INVENTARE UNA
CREATURA A LEI ASSAI SIMILE. UN OMINIDE, UN GOLEM. UN AUTOMA, UNA MACCHINA
DOTATA DI INTELLIGENZA SOPRAFFINA, CHE POTREBBE CAMBIARE LA NOSTRA VITA.
E
AIUTARCI AD AFFRONTARE E DISINNESCARE LA MINACCIA CHE, NEL TERZO MILLENNIO, CI
INQUIETA DI PIÙ:
QUELLA
DELL’ESTINZIONE DI TUTTI NOI A CAUSA DELL’ECCESSIVO INQUINAMENTO.
DELL’INARRESTABILE DEGRADO, FORSE IRREVERSIBILE, A CUI ABBIAMO COSTRETTO IL
MERAVIGLIOSO PIANETA CHE CI OSPITA.
Ma
quel sogno cullato così a lungo potrebbe trasformarsi, ben presto, in un
tenebroso incubo.
Se
l’intelligenza delle macchine sopravanzasse la nostra.
Se i
computer, a un certo punto, fossero in grado di moltiplicare le proprie
capacità di ragionamento e di intervento.
Lasciando
l’umanità ad assistere inerme a questa esplosione di intelligenza artificiale.
A quel punto, un meraviglioso progetto, inseguito e coccolato per secoli,
diventerebbe “La nostra invenzione finale”, come recita il titolo del libro dal regista
americano James
Barrat,
produttore di documentari per National Geographic Channel, Discovery Channel,
Pbs e Bbc.
Prima
di scrivere il suo libro, tradotto da Daniela e Monica Pezzella per la casa
editrice Nutrimenti (pagg. 303), James Barrat si dichiarava entusiasta del
progetto di sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.
Perché,
come la maggior parte delle persone, aveva un’idea assai vaga di questa sfida
epocale su cui vengono fornite informazioni assai vaghe, per ovvi motivi
economici più che di segretezza.
Poi, alcuni preoccupati ragionamenti di
ricercatori, scienziati, scrittori, gli hanno fatto drizzare le antenne.
Tanto da spingerlo a svolgere un’indagine approfondita
tra chi già si occupa dello sviluppo dell’AI.
Fin
dall’inizio, James Barrat ha deciso di assumere un atteggiamento realista. Senza lasciarsi contagiare
dall’entusiasmo degli ottimisti, ma nemmeno assecondando gli scenari
catastrofisti disegnati dai pessimisti.
Dopo
un lungo lavoro di ricerca, di ascolto e di interviste, di approfondimenti e
ipotesi, ha scritto un libro che richiama l’attenzione sui potenziali, enormi
pericoli, che uno sviluppo dissennato, fuori controllo e governato soltanto da
puro tornaconto di tipo economico, potrebbe provocare lo sviluppo
dell’Intelligenza Artificiale.
Ospite
di Book Pride 2019, alla Fiera del Vapore di Milano, James Barrat si sofferma a
ragionare con grande pacatezza, senza nascondere le ipotesi più tenebrose e allarmanti, sull’avvento
dell’Intelligenza Artificiale.
Quella che potrebbe trasformarsi nella nostra
invenzione finale., come la letteratura e il cinema hanno immaginato parecchio
tempo fa portando in scena il computer onnisciente e inquietante Hal 9000 di
“2001 Odissea nello spazio”, ma anche come la feroce dittatura tecnologica di Skynet
nella serie infinita di”Terminator”.
“Stephen
Hawking si chiedeva, negli ultimi anni della sua vita, chi avrebbe controllato
l’Intelligenza Artificiale – spiega James Barrat -.
Ma,
soprattutto, se ci sarebbe stata la possibilità di controllarla.
Già
oggi sono in produzione negli Stati Uniti, Russia, Israele, Gran Bretagna,
Cina, dei droni capaci di uccidere un essere umano senza che nessuno possa
interferire nelle sue decisioni.
Non
basta: i big data che sono utilizzati per la costruzione di reti neurali
incorporano pregiudizi nei confronti delle donne e delle minoranze religiose e
culturali”.
Da
dove arrivano questi pregiudizi?
“Semplice,
i computer vanno a pescare dati storici immagazzinati nella memoria lontana.
Attingendo
a informazioni degli anni ’70, ’80, trascritti a mano da persone che avevano
pregiudizi nei confronti di queste categorie di persone.
Per
esempio, un algoritmo utilizzato in Florida che deve decidere sulla pena da
comminare in base a determinati reati, analizzando le condanne inflitte a
persone di colore in quegli anni, che risultavano più pesanti di quelle che
riguardavano le persone dalla pelle bianca, potrebbero seguire anche oggi la
stessa linea giudiziaria.
Basandosi non tanto sulla colpa, ma
sull’etnia”.
Anche
sul mondo del lavoro ci saranno pesanti ripercussioni?
“Nasceranno
di sicuro nuovi lavori, ma non riusciranno a colmare il baratro di disoccupazione
creato dall’Intelligenza Artificiale.
Ad
esempio, con l’ingresso della tecnologia nel mondo dei taxi, degli autobus, non
ci sarà più bisogno di autisti.
E
trovare il modo di inserire queste persone in altri contesti lavorativi sarà
difficilissimo.
Senza
dimenticare che c’è già qualcuno che vuole spingersi rapidamente assai più in
là”.
Per
esempio?
“Elon
Musk, che ha fondato tra l’altro l’azienda chiamata “OpenAI”, dice chiaramente
che il suo obiettivo principale è quello di raggiungere un livello di
Intelligenza Artificiale che possa essere paragonata a quella umana.
In
quel momento si potrebbe assistere a quella che è stata definita intelligence explosion”.
Che
cosa intende per intelligence explosion?
“Ci
sarà un momento in cui il livello dell’Intelligenza Artificiale sarà molto
superiore a quello del più geniale tra gli uomini.
Quindi la macchina sarà in grado, a quel
punto, di migliorarsi da sola.
Non
avrà più bisogno di noi.
Google, insieme ad altre aziende, ha
l’obiettivo di sviluppare questo livello di intelligenza tecnologica entro il
2029.
Se
vogliamo azzardare una previsione attendibile, per assistere alla nascita di
una macchina più intelligente dell’uomo potremmo indicare il 2045”.
A quel
punto le macchine saranno incontrollabili?
“Semplicemente
non avranno più bisogno dell’intervento umano per aumentare ancora la propria
intelligenza.
Si miglioreranno da sole, più di quanto gli
uomini saranno in grado di fare.
Oggi,
abbiamo già esempi di computer molto più avanzati di noi.
Ci
battono nel gioco degli scacchi, riescono a prevalere perfino nella disciplina
orientale del Go.
Ci assistono nel guidare l’automobile. In
futuro saranno in grado di fare anche ricerca e sviluppo su sé stesse,
aumentando le proprie capacità in modo esponenziale”.
Come
interpreta l’ingresso di Ray Kurzweil, profeta dell’ibridazione tra uomo e
macchina, nello staff di Google?
“L’integrazione
uomo-macchina sta procedendo lentamente. Quindi non so prevedere se e quando il
sogno di Kurzweil si potrà realizzare.
Al contrario, l’Intelligenza Artificiale si
sta sviluppando a una velocità assai superiore.
Deep-Mind, la società controllata da Google,
sta bruciando i tempi in questa direzione.
Tanto che il suo stesso fondatore, Dieleman
Sander, si è detto preoccupato del fatto che le varie società coinvolte nello
sviluppo della AI non collaborino tra loro per mitigare gli impatti di una
tecnologia così dirompente.
Il vero rischio per l’umanità, in generale,
sarà quello di dover condividere la Terra con altri esseri milioni di volte più
intelligenti di noi”.
Ma
allora le tre leggi della robotica elaborate dallo scrittore Isaac Asimov non
ci metteranno più al sicuro?
“Sì e
no. Nel senso che dovremo portare le tre leggi di Asimov al di fuori della
narrativa, della fiction.
Perché
erano regole valide nel campo della fantascienza, dei romanzi, ma non hanno
nessun valore normativo.
Ecco, posso dire che abbiamo un intervallo di
tempo per intervenire che comincia adesso, subito, e si chiuderà quando
l’Intelligenza Artificiale verrà sviluppata per eguagliare quella degli uomini.
Anche
se non mi piace molto l’idea, sarà necessario introdurre una supervisione
governativa. Come era avvenuto al tempo dell’Agenzia per l’energia atomica”.
Ma non
ci sarà, invece, una corsa all’AI a fini militari da parte delle principali
potenze mondiali, l’una contro l’altra?
“Lo
sviluppo dell’Ai ricorda molto la corsa alla fissione nucleare.
E già
stata trasformata in arma, esattamente come il potenziale atomico nella Seconda
guerra mondiale.
Inoltre,
in questo momento, attira gli interessi di aziende private che vedono in questo
settore soltanto un tornaconto immediato: quello di generare profitti.
Di
vendere un prodotto, insomma, non di migliorare l’intero assetto della società
umana”.
Aziende
di cui ci si può fidare?
“Non
possiamo fidarci delle aziende che oggi sono al lavoro per sviluppare l’AI.
Ricordo
l’esempio di Facebook, che ha venduto i profili di 80 milioni di utenti
americani a Cambridge Analytica, che ha sua volta li ha ceduti ai russi per influenzare le
elezioni presidenziali degli Stati Uniti.
Google,
in questo momento, ha 400 avvocati a libro paga per difendersi dalle numerosissime
cause intentate da chi li accusa di non rispettare i copyright, assumere
atteggiamenti predatori nel business, violare la privacy.
In ogni caso, mi sembra auspicabile l’ipotesi
che ci siano più soggetti coinvolti nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.
Per evitare che il controllo di questo
progetto finisca nelle mani di pochissime persone”.
(Alessandro
Mezzena Lona).
“LA
QUARTA RIVOLUZIONE di Luciano Floridi,
COME
L’INFOSFERA STA TRASFORMANDO IL MONDO”
Francescomacri.wordpress.com
- ANTONIO CARNICELLA – (7 giugno 2022) – ci dice:
La
rivoluzione digitale è il tema del momento, insieme all’emergenza climatica. Come quest’ultima, entrata nelle
predizioni degli specialisti da più di cinquanta anni, è stata largamente
anticipata da qualche visionario.
Tuttavia,
il tema comincia ad interessare un campo più ampio di quello degli addetti ai
lavori e lascia pensare che l’ibridazione uomo-macchina e la realtà aumentata
siano scenari presenti e non futuribili, oggi che il web 2.0 è diventato la
nostra realtà abituale, i social network, la comunità di riferimento e il
collegamento tra noi e le più comuni esperienze quotidiane è sempre più spesso
assicurato da potenti dispositivi.
Come
per il clima, la divisione del campo coniata da Umberto Eco tra apocalittici e
integrati, tra oltranzisti che si astengono dall’uso del digitale e gli
entusiasti che vedono nella rete la rappresentazione perfetta di società
democratica, ha poco senso.
Il
mondo in cui viviamo non è comprensibile prescindendo dalla tecnologia
digitale, questo è “il fatto”, ed è impensabile il ritorno ad una precedente
analogica età dell’oro.
Come
ogni altra tecnologia, anche il digitale non è un mero strumento nelle mani
dell’uomo, ma qualcosa che ne determina i comportamenti, il modo di vedere e
relazionarsi al mondo, il suo modo di essere.
Da
questo punto di vista, i cambiamenti che ha indotto sono stati repentini e
molto spesso accolti senza consapevolezza determinando, in alcuni casi,
sgomento.
Nelle
nostre consulenze raccogliamo domande che scaturiscono dalle ricadute sulle
esistenze individuali, come l’incapacità di concentrarsi su obiettivi
personali, l’inadeguatezza rispetto ai propri compiti, il senso di isolamento
determinato dall’uso dei social e dei dispositivi digitali, il conflitto
interiore che ingenerano attraverso la dipendenza.
Anche i nostri colleghi insegnanti, si
confrontano quotidianamente con una generazione di ragazzi dipendenti dai
media, indisponibili ad imparare, con difficoltà di concentrazione, perdita di
memoria e di capacità di lettura, di scrittura e disturbi comunicativi.
Tra
gli esiti di questa rivoluzione gli esperti riscontrano un generale declino
cognitivo e la decostruzione del pensiero complesso.
Questi
temi sono stati posti al centro di un laboratorio aperto al pubblico
nell’ambito del XXII Seminario nazionale di Phronesis, svoltosi a Poppi dal 18
al 21 luglio 2019, in cui le esperienze e le riflessioni riportate sono state
concordi nel rendere conto di una frattura antropologica introdotta
dall’avvento delle nuove tecnologie, delle sfide che questa pone alla stessa
filosofia e alla nostra professione.
Di
fronte alla grande trasformazione in atto, c’è chi rivaluta il ruolo della
filosofia come disegno di soluzione ai problemi aperti.
È Luciano Floridi, docente di Filosofia ed etica
dell’informazione presso l’Università di Oxford e direttore del “Digital Ethics
Lab dell’Oxford Internet Institute”, che con “La quarta rivoluzione”.
“Come
l’infosfera sta trasformando il mondo” (Raffaello Cortina Editore 2017) pone le basi per lo sviluppo di una
filosofia che tenga conto dell’effetto che le ICT digitali, ossia le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, stanno producendo sulla nostra vita quotidiana:
una nuova filosofia della storia, […] una nuova filosofia della natura, una
rinnovata antropologia filosofica, un ambientalismo sintetico che possa fungere
da ponte tra noi e il mondo, e il collante di una nuova filosofia politica.
Nello
stesso tempo, quello di Floridi non vuole essere un testo specialistico.
L’autore si propone di rispondere alle generali esigenze di comprensione della
rivoluzione informatica, di individuarne e discuterne i problemi emergenti e di
offrire un lessico che tenga conto dei nuovi concetti.
Leggendo
il titolo, si potrebbe pensare che Floridi si riferisca alla quarta rivoluzione industriale,
quella che sta per essere introdotta dalla cosiddetta Industria 4.0, basata su tecnologia digitale,
innovazione, competitività ed efficienza e caratterizzata dal conseguente
sviluppo di prodotti e servizi con un alto grado di automazione e
interconnessione.
In realtà, la rivoluzione cui fa riferimento
il filosofo romano-oxoniense riguarda non solo le possibilità ideative e
produttive che si aprono sul futuro degli esseri umani, ma soprattutto il modo
in cui questi comprendono loro stessi e il mondo in cui vivono.
Da questo punto di vista, per Floridi la prima grande rivoluzione è stata quella compiuta da Nicolò
Copernico, che ha tolto l’uomo dal centro dell’Universo, là dove pensava di
essere stato collocato da Dio, costringendolo a guardare in maniera diversa a
sé stesso e al proprio ruolo.
La
seconda rivoluzione è avvenuta nel 1859, quando Charles Darwin, pubblicando nell’ “Origine della
Specie” i risultati delle sue ricerche, tolse alla cosiddetta scimmia glabra il
primato nel regno biologico: grazie ai buoni uffici di Cartesio, l’uomo poteva
dirsi almeno padrone in casa sua.
Chi
altri, nei regni fisici conosciuti, poteva affermare con tanta certezza di
avere idee chiare e distinte sul mondo e su sé stesso in quanto soggetto
pensante?
A
togliergli anche questa illusoria centralità è stato Sigmund Freud, secondo cui
ciò che siamo, che pensiamo e che facciamo è determinato dall’inconscio.
In questo percorso regressivo verso spazi
sempre più ridotti (universo, biologia, mente), all’uomo non restava che
rinchiudersi nei propri pensieri (Pascal), dove nessuno avrebbe potuto
stanarlo.
La sua
ragione, che Floridi con Hobbes considera per natura una macchina calcolante,
non aveva però fatto i conti con Alan Turing, il padre della quarta rivoluzione, che nel 1950, col suo celebre
articolo intitolato “Macchine computazionali e intelligenza”, rivelava al mondo l’esistenza di una
macchina più logica della ragione umana e con un potere computazionale di gran
lunga superiore.
Dopo
Turing, informatica e ICT hanno allargato le nostre conoscenze e la nostra
capacità di operare nella realtà, hanno gettato una nuova luce su chi siamo,
sul modo in cui ci relazioniamo con il mondo e tra di noi, e su come concepiamo
noi stessi.
Al
percorso compiuto nei secoli dall’autocomprensione umana, Floridi accompagna
anche una lettura consequenziale della storia attraverso le ICT.
Oggi
gli agenti informazionali artificiali sanno fare tante cose meglio degli umani,
come ad esempio giocare a scacchi, scrivere per il cinema e fare consulenze
legali.
Con il
fenomeno conosciuto come “internet of things”, inoltre, le cose sanno
interagire tra di loro autonomamente, tanto che il numero delle loro
connessioni ha superato la comunicazione umana.
In cinquant’anni, dai primi sviluppi della
macchina di Turing ad oggi, un periodo insignificante se paragonato ai 6000
anni passati dal momento in cui l’essere umano ha cominciato ad usare ICT,
abbiamo compiuto un vero e proprio salto evolutivo.
Quel lontano momento iniziale, che coincide
con l’invenzione della scrittura nelle prime civiltà mesopotamiche, ha segnato
il passaggio dalla “preistoria” alla “storia”, che Floridi non intende tanto
come periodi storici ma come termini che operano come avverbi: esprimono come
le persone vivono, non quando o dove vivono.
Mentre
nella preistoria le ICT erano assenti, nella storia permettono di registrare il
presente per il futuro, di organizzare, connettere e scambiare informazioni,
anche se il funzionamento delle società agricole e industriali si è basato su
tecnologie imperniate su risorse primarie e sull’energia.
Solo molto recentemente, scrive Floridi, il
progresso e il benessere dell’umanità hanno iniziato a essere, non soltanto
collegati a, ma soprattutto dipendenti dall’efficace ed efficiente gestione del
ciclo di vita dell’informazione […] (e) tale dipendenza ha comportato il nostro
recente ingresso nell’iper-storia.
Questa
nuova era non trascende le coordinate spazio-temporali che hanno regolato da
sempre la vita su questo pianeta, ma le società dell’informazione avanzate
generano una quantità di dati da non poter avere normale funzionamento senza le
ICT, che ne permettono la gestione e il processo con sistemi sempre più veloci
e con e maggiori disponibilità di memoria.
Negli ultimi anni le tecnologie ICT sono divenute
forze ambientali, antropologiche, sociali e interpretative.
Esse
creano e forgiano la nostra realtà fisica e intellettuale, modificano la nostra
autocomprensione, cambiano il modo in cui ci relazioniamo con gli altri e con
noi stessi, aggiornano la nostra interpretazione del mondo, e fanno tutto ciò
in maniera pervasiva, profonda e incessante.
Quali
sono, secondo Floridi, le conseguenze sull’uomo e sull’ambiente che abita? Il
passaggio dalla carta al digitale ha modellato il nostro essere in funzione di
inforg, entità composte di informazione che scambiano dati non solo e tanto con
altri umani ma con macchine.
Questo
non significa che diventeremo cyborg, che comanderemo smartphone, automobili e
elettrodomestici con neuro-protesi e neppure che ci sarà una trasformazione
biotecnologica nel nostro corpo, ma, più seriamente e realisticamente, che
abbiamo adattato il nostro ambiente agli agenti ICT.
Ne
consegue che è oramai caduta la differenza tra esterno e interno, reale e
digitale, poiché ciò che è reale è informazionale e ciò che è informazionale è
reale.
L’ambiente
in cui esperiamo le nostre esistenze, globale, integrato, interconnesso e
informazionale, è chiamato da Floridi infosfera, uno spazio misto digitale-analogico
che assimila all’acqua salmastra in cui vivono le mangrovie.
Di fatto, siamo andati oltre la separazione
tra la vita online e quella offline, siamo semplicemente OnLife, come dal titolo del Manifesto
scritto da un collettivo di autori, tra cui Floridi, per stimolare il dibattito
intorno alle trasformazioni introdotte dalle ICT.
Non ha
molto senso, scrive, chiedersi se qualcuno è online o offline mentre guida
seguendo le istruzioni del navigatore che si aggiornano in tempo reale.
La
stessa domanda risulterà incomprensibile a qualcuno che controlla la propria
posta elettronica mentre viaggia a bordo di un’auto che si guida da sola
tramite GPS. In questa sostanziale continuità con i soggetti umani, gli oggetti
si “animano”, tornano ad assumere quelle proprietà spirituali che avevano per i
personaggi dei poemi omerici, tanto che i rappresentanti della generazione Z, i
nati post Duemila che sono naturalmente digitali o AO (always on) come ricorda
Floridi citando Janna Quiney Anderson, di primo acchito cercano di interagire
con gli oggetti come se questi avessero tutti una disposizione digitale.
Dal
punto di vista sociologico, esiste già, quindi, una netta cesura tra i nati nel
nuovo millennio e le precedenti generazioni X (1960-1980) e Y (1980-2000).
Oltre
la discriminazione intergenerazionale, il divario digitale potrà creare
problemi tra coloro che sono abitanti dell’infosfera e coloro che non lo sono, tra
inclusi ed esclusi, tra ricchi e poveri in informazione, con effetti
socioeconomici e culturali anche all’interno della stessa nazione che si
sommeranno a quelli economico-geografici già esistenti.
Chi si
muove nell’infosfera come nella sua realtà naturale non
sarà poi tanto sorpreso nel trovarsi di fronte, in un futuro molto prossimo, a ITenti in grado di monitorare, apprendere,
suggerire e comunicare l’uno con l’altro.
Grazie
all’additive manufacturing, che comprende stampa 3D, robotica avanzata e
interazioni tra automi, l’intervento umano nella progettazione e realizzazione
di sistemi complessi diventerà ridondante.
Il
mondo in cui vivremo non sarà più propriamente umano, almeno non nel senso in
cui lo abbiamo concepito finora, e dobbiamo rassegnarci all’evidenza di averne
perso il controllo o, come dice Floridi nei suoi interventi in pubblico, di non
essere più al centro della festa.
Però,
ci resta la possibilità di organizzarla la festa, scollando il mondo costruito
e pensato in epoca predigitale e rimontandolo in termini informazionali, così
come penseranno i nostri successori.
Per farlo
è necessario comprendere chi siamo, mentre chi potremmo essere e diventare
dipende dalle categorie concettuali con cui affronteremo le trasformazioni
della nostra vita quotidiana, da quanto saremo disposti a cambiare il nostro
rapporto con la conoscenza e la cultura superando i confini geografici e le
delimitazioni settoriali e disciplinari.
Questa
è la sfida che Floridi raccoglie rivedendo alla luce della nuova filosofia
dell’informazione tutta una serie di problematiche che emergono con l’innovazione
digitale, a cominciare dall’identità per passare alla privacy e alle questioni
etiche, sociali, politiche ed ecologiche.
Dal
momento che trascorriamo sempre più tempo nell’infosfera, è lì che prende forma la nostra
identità personale e che il nostro sé trova riconoscimento ed è sempre lì che
esponendo le nostre idee, i nostri stati d’animo e le nostre relazioni per un
processo di distrazione da fine a mezzo finiamo per essere smaterializzati e
tipizzati, trasformati in dati da utilizzare in funzione commerciale.
Dalla sua analisi emerge che il processo di
con-formazione alle ICT – le più potenti tecnologie del sé alle quali siamo mai
stati esposti – non sarebbe possibile se il nostro sé non fosse “già”
informazionale, costituito da attività, ricordi e storie in cui si esprime la
nostra coscienza di sé.
Nel modello informazionale l’attività della
coscienza sembra poter essere paragonata ad un software che immagazzina ed
elabora quanto il corpo-hardware esperisce.
Per superare la possibile reintroduzione del
vecchio dualismo che le neuroscienze hanno sconfessato, Floridi recupera la
teoria del fisico americano John Arcibald Wheeler, secondo cui “tutto è bit”,
anche i nostri corpi sono costituiti da informazioni nelle loro componenti
ultime, e non da qualche entità materiale differente da ciò che è immateriale.
Mente
e corpo, allora, vanno pensati in una forma di monismo basata su differenti
stati o configurazioni informazionali.
Da qui
derivano due opposte conseguenze: da una parte la di individualizzazione di un
soggetto che auto-narrandosi, a seconda del contesto e delle situazioni,
diventa relativo, leggero, molteplice; dall’altra, il rafforzamento del
processo di personalizzazione attraverso la pubblicazione di post, tweet, foto,
video e la condivisione di esperienze e ricordi.
Un’individualità
forte, così concepita, può maturare una forma di schiavitù nel personaggio che
crea, supportato dal ricordo di esperienze non dimenticabili poiché alimentate
da una memoria informatica e confermate dall’occhio della Rete, che
continuamente rimanda l’ipnotica percezione che gli altri hanno di noi nella
quale ci si può perdere.
Floridi
non dà molto credito ai vari Geremia, i tecnofobi che vedono tra i risultati
della tecnologia la perdita del passato contatto con la natura,
dell’autenticità e della corporeità, che rispetto allo spazio umano parlano di
delocalizzazione e che vedono una ancora maggiore esposizione al consumismo.
Il
problema, per lui, è che lo sviluppo è stato indirizzato ad avvolgere il mondo,
termine tecnico che sta per renderlo a misura di macchina, pratica che ha come
correlato il pericolo che esseri umani diventino parte integrante del
meccanismo digitale. In realtà, se è vero che non possiamo competere con gli
algoritmi che permettono alle macchine di decodificare e processare miliardi di
dati, è altrettanto vero che possiamo comprendere i significati degli
accadimenti, di apprezzare le caratteristiche semantiche degli enti coinvolti e
delle loro relazioni, di riuscire quindi lì dove loro fallivano nel test di
Turing.
Non
bisogna, quindi, lasciare che sia l’artificiale a decidere per noi ma
controllare i processi in modo consapevole.
Questo,
dice Floridi è un processo già in atto nell’infosfera che stiamo costruendo, con effetti
positivi dal punto di vista etico e politico.
Le ICT, infatti, ricevono, processano e
mettono a disposizione dati in tempo reale determinando una sostanziale
crescita della conoscenza comune. In un mondo in cui tutti sono connessi, le
informazioni sono a portata di link, sempre più trasparenti, visibili e
comunicabili e gli eventi più prevedibili e ignorabili.
Di
conseguenza diventa meno credibile asserire di non conoscere, mentre aumenta la
responsabilità degli agenti.
Lo
stesso approccio teso a riaffermare tanto il ruolo umano rispetto all’impatto delle
ICT quanto le possibilità che queste offrono nella costruzione di uno spazio
sociale condiviso, Floridi lo applica negli ultimi capitoli del volume alle
criticità che emergono in materia di privacy, politica e ambiente.
e la
natura umana è costituita da informazioni che individuano una persona e la
rendono ciò che è, l’accesso/possesso di informazioni contribuisce in maniera
sostanziale a migliorare o peggiorare l’esistenza.
Per
queste ragioni, l’information technology è pericolosa nella misura in cui modella la nostra
individualità e ci espone alla sua violazione da parte di terzi.
Ecco
quindi che il diritto alla conoscenza e alla libertà d’informazione, compiere
pratiche on line come acquistare oggetti, socializzare, adempire pratiche
amministrative, votare, finiscono per confliggere con il diritto alla privacy
ed alla sicurezza dei dati personali.
Floridi
propone di rileggere la privacy in termini auto-fondativi, nel senso che la
difesa dei dati e della propria sfera personale è la via maestra per consentire
ad una persona di sviluppare e maturare la propria individualità lontano da
interferenze.
Il flusso informativo, scrive, richiede una
certa frizione per mantenere ferma la distinzione tra il macrosistema
multi-agente (la società) e l’identità dei microsistemi multi-agente (gli
individui) che lo costituiscono.
Qualsiasi
società (perfino una utopica) in cui non sia possibile alcuna privacy
informazionale è una società in cui non può avvenire alcun processo auto-fondativo,
né è possibile sviluppare o conservare un’identità personale, né di conseguenza
alcun benessere può essere conseguito, dal momento che il benessere sociale non
è altro che la somma del benessere degli individui che ne sono parte.
L’informazione
è fondamentale per la costruzione di una società democratica, basata su regole
e valori, sul confronto aperto e sul compromesso, ma le ICT hanno contribuito a
perturbare il processo democratico confondendo e alterando i ruoli di chi ha il
potere (popolo) e da chi lo esercita (governo), provocando il disincanto
individuale nei confronti della politica, dei movimenti globali,
dell’attivismo, del volontarismo e delle mobilitazioni internazionali.
Contro
il pericolo della democrazia digitale, Floridi invita a rinnovare la democrazia
rappresentativa disegnando uno spazio sociale in cui agenti di vario genere
possano interagire e un sistema politico multi-agente sostituisca la politica
storica, fondata su partiti, classi, ruoli sociali definiti, manifesti e
programmi politici, e lo stato sovrano, che ricercava la propria legittimazione
politica una sola volta e che l’usava finché non gli era revocata.
Consapevolezza
e partecipazione alla vita pubblica, anche in maniera “temporanea”, “su
richiesta”, “orientata a un fine” come avviene sempre più spesso, sono
fondamentali anche per contrastare l’emergenza climatica e riconciliare il
nostro ruolo di agenti nella natura con quello di difensori della natura.
Se è
vero che le ICT contribuiscono al surriscaldamento in funzione della sempre
maggiore quantità di energia necessaria al loro funzionamento, lo sviluppo di
un ambientalismo digitale può indirizzarne l’uso in modo che possano
contribuire a frenare la distruzione, l’impoverimento, la devastazione e lo
spreco di risorse sia naturali sia umane, nonché di quelle storiche e
culturali.
Malgrado
le difficoltà che preannuncia e le sfide che propone, secondo Floridi,
l’ingresso dell’umanità nella fase Iper-storica apre orizzonti ricchi di
opportunità. Per saperle cogliere, tuttavia, occorre un nuovo approccio
filosofico alla realtà per comprendere la forma che le stanno dando le
tecnologie e l’impatto che queste hanno sulle nostre esistenze e sulle nostre
identità.
Il suo lavoro va in questa direzione ponendo
le domande necessarie a fare emergere i punti critici di quella che ha chiamato
la IV Rivoluzione.
Chi
controlla le domande, afferma, dà forma alle risposte e chi controlla le
risposte dà forma alla realtà.
È
molto probabile che lo sviluppo digitale oggi avrebbe fatto meno paura e
avrebbe avuto contorni più “umani” se molte questioni fossero state affrontate
a monte.
Come
evidenzia Alessandro Baricco, quel manipolo di geniali ingegneri dalle cui
intuizioni cinquanta anni fa è nata la Rete non aveva un piano di sviluppo
umanistico né un’idea di uomo.
La
loro ambizione era quella di rimuovere le cause dei disastri del ‘900, fuggire
dalle limitazioni imposte dalla realtà fisica, far saltare tutte le mediazioni
che portano alla conoscenza, abbattere la concentrazione del potere nelle mani
di pochi e sviluppare le capacità di tutti e non solo quelle di un’élite.
Le
loro idee lodevoli e messianiche si sono infrante contro il colosso
capitalista, che ne ha colonizzato le creazioni. Inoltre, facilitando i compiti
e rendendoli in alcuni casi divertenti, mettendo tutto immediatamente a
disposizione, la tecnologia digitale ha condotto alla gamificazione
dell’esistenza e, effetto non previsto, a un individualismo senza identità.
Con la
sua filosofia dell’informazione, anche in un testo divulgativo come il presente,
Floridi prova a correggere la rotta al progresso tecnologico cercando, nello
stesso tempo, di renderci consapevoli dell’evento cruciale che l’umanità sta
affrontando: un cambiamento antropologico accompagnato da un cambiamento di
civiltà.
Non è
la prima volta che il genere umano affronta tale scoglio, ma per importanza
quello in atto è paragonabile solo alla scoperta della scrittura.
Le ICT ha infatti determinato una sorta di
frattura rispetto alla linea evolutiva che qualche millennio fa aveva condotto
il cervello umano, come evidenziato dal neuroscienziato del “College de France”
Stanislas Deheane, a dirottare verso la lettura neuroni in precedenza
utilizzati per funzioni non più indispensabili.
Oggi quei neuroni vengono riciclati dal
cervello in altre attività e presto acquisiremo competenze ancora diverse che
ci faranno entrare in una nuova civiltà.
L’analisi
di Floridi, tuttavia, manca di fare emergere una domanda fondamentale, quella
che riguarda il senso e lo scopo di questo passaggio epocale.
Metterlo in questione non è il compito che si
è assunto in questo volume, ma la filosofia, se non vuole essere la nottola di
Minerva che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, non può limitarsi a
sistematizzare un processo che, malgrado le rassicurazioni degli ottimisti, può
dirigere l’umanità verso l’unidimensionale del pensiero computazionale, lo
stesso dei dispositivi elettronici.
Per
tornare al parallelo iniziale, la lassitudine con cui viene affrontato il
cambiamento climatico, sia dai politici che da una parte della cittadinanza
mondiale, è un esempio di quanto sia comune affidarsi alla razionalità
calcolante, a protocolli e sistemi di valutazione precostituiti per raggiungere
obiettivi e risultati minimi e senza intralci che mettano in discussione il
paradigma dominante di produzione e consumo.
Se l’economicità diventa la categoria (unica)
di riferimento, pensare si trasforma in sintomo di angoscia e la complessità
sinonimo di complicazione.
Per questa ragione, la filosofia, nata insieme
al teatro e alla letteratura all’alba della civiltà della scrittura, corre il
rischio di diventare irrilevante.
Per
continuare ad avere il ruolo centrale che ha sempre avuto deve proporsi come
critica radicale dei fini e dei presupposti dell’ideologia
tecnologico-capitalista, così da impedire che nel suo procedere senza limiti
questa vada al di là dei possibili benefici per il genere umano.
Se Dio non c’è, tutto è permesso, affermano
Kirillov ed Ivan Karamazov, due dei protagonisti de “I dèmoni” di Dostoevskij,
ma, come dimostra la loro parabola, se tutto è permesso allora vivere diventa
impossibile.
LA
GRANDE SFIDA DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE.
Policlic.it-
Alessandro Lugli – (14-2-2022) – ci dice:
Quali
strategie adottare per gestire la transizione tecnologica?
Il
conflitto tra macchina e uomo: dalla Rivoluzione industriale a quella digitale.
Sul
finire del XVIII secolo, la Gran Bretagna divenne l’epicentro globale di quella
trasformazione delle strutture produttive meglio nota come “rivoluzione
industriale”.
Senza
alcun dubbio, è possibile affermare che tale fenomeno è stato uno degli eventi
più importanti della storia dell’umanità.
Fu in
quel periodo, infatti, che vennero a crearsi le basi per gli sviluppi
socioeconomici che hanno modificato radicalmente le caratteristiche del genere
umano.
Nel
giro di pochi decenni, le società europee sono passate da ritmi e stili di vita
prevalentemente agricoli a organizzazioni via via più tecnologiche.
Una
tra le trasformazioni più evidenti ha riguardato il ruolo dell’essere umano nel
complesso delle attività produttive.
Le
precondizioni venutesi a creare in Gran Bretagna a cavallo tra Settecento e
Ottocento – come, ad esempio, la promozione dell’iniziativa privata, lo
sviluppo della ricerca scientifica, l’approvvigionamento di risorse su scala
globale e lo sviluppo di un’economia estrattiva dinamica e organizzata –
facilitarono la creazione di un mercato talmente florido da poter garantire
senza problemi l’assorbimento di nuovi prodotti.
Tale
processo fu agevolato dall’introduzione di macchinari sempre più sofisticati
dal punto di vista tecnologico.
A questo proposito, è utile pensare a ciò che
accadde all’industria tessile tra il 1760 e il 1780.
Nel
1764, James Hargreaves, un carpentiere di Blackburn, inventò la giannetta,
ovvero una macchina filatrice che permetteva a un solo operaio di azionare
contemporaneamente otto fusi (strumenti che permettono di trasformare, tramite
una torsione, le fibre in filati).
Nel
1768, Richard Arkwright, un barbiere analfabeta esperto di meccanica, brevettò
il primo filatoio ad acqua per convertire il cotone grezzo in fibre. La
scoperta più rilevante fu però quella di James Watt, il quale, tra il 1765 e il
1781, si rese protagonista dell’invenzione della macchina a vapore, con
conseguenze strabilianti sulla disponibilità di energia.
Grazie alla scoperta di Watt, l’industria del
carbone andò incontro a uno sviluppo tale da permettere la meccanizzazione del
comparto agricolo e la trasformazione di quello infrastrutturale.
Di lì
a poco, la Gran Bretagna fu in grado di esportare la rivoluzione industriale in
tutto il mondo, grazie, in particolar modo, alle scoperte tecnologiche che
investirono il mondo dei trasporti.
Nel
1807, l’americano Robert Fulton elaborò il primo vaporetto installando un
motore a vapore per azionare le pale poste ai lati dell’imbarcazione; il 17
agosto 1807, una folla di spettatori si riunì lungo le sponde dell’Hudson per
assistere alla prima traversata del battello di Fulton da New York ad Albany.
Nel
1814, invece, l’inglese George Stephenson diede una svolta epocale al settore
dei trasporti presentando la prima locomotiva della storia, a cui, nel 1825,
fece seguito Active, un veicolo ferroviario che Stephenson fece transitare
sulla linea ferrovia Stockton-Darlington, la prima della storia.
Tutte
queste scoperte determinarono un aumento della ricchezza senza precedenti, ma a
beneficiarne furono le classi più agiate e i capitali più consistenti.
Questo
strabiliante sviluppo tecnologico portò, poi, a un’organizzazione della vita
lavorativa del tutto avulsa dal contesto agricolo in cui l’umanità aveva
vissuto fino a pochi decenni prima.
L’introduzione di efficienti macchinari per la
produzione su larga scala determinò la concentrazione massiccia dei lavoratori
all’interno delle fabbriche, che divennero il centro nevralgico delle attività
produttive, con regole, ritmi e orari ben definiti.
Tuttavia,
la rivoluzione industriale comportò anche notevoli problemi di carattere
sociale.
L’uso
più insistente di macchinari altamente produttivi portò alla perdita di un gran
numero di posti di lavoro.
Il sistema produttivo smise di essere
incentrato sul possedimento di grandi proprietà terriere, determinando
l’emersione di una borghesia economicamente molto potente e dotata di una prima
vera coscienza di classe.
I
costi sociali di questa trasformazione si rilevarono esorbitanti: la meccanizzazione
del lavoro causò una spaccatura netta tra capitalisti e forza lavoro.
I
lavoratori manuali si riversarono nelle città e iniziarono a vivere in
condizioni disumane, all’interno di fabbriche malsane e dormitori sovraffollati
privi di qualsiasi norma igienica.
Oltre
al drastico peggioramento delle condizioni di vita di decine di migliaia di
lavoratori, la rivoluzione tecnologica che sconvolse l’Occidente fece emergere,
per la prima volta nella storia dell’umanità, le conseguenze del primato della
meccanizzazione a discapito della specializzazione della forza lavoro.
La produzione priva di regolamentazione, unita
all’assenza di una benché minima forma di tutela giuslavoristica dei
lavoratori, determinò da un lato un’esponenziale crescita della ricchezza,
dall’altro un generale deterioramento della qualità della vita degli operai.
La
problematica fu perfettamente sintetizzata da Robert Owens, noto industriale
del periodo, che fu tra i primi a postulare l’importanza dell’associazionismo
tra i lavoratori.
Owens
disse infatti che la diffusione delle manifatture, fondata su un principio del
tutto sfavorevole alla felicità individuale, nel lungo periodo avrebbe potuto
generare effetti sociali drammatici se il governo non fosse stato in grado di
mediare tra la borghesia capitalista e la neonata classe operaia.
Fu in
questo contesto che emersero i primi movimenti di protesta operaia.
Il 12 aprile del 1811 centinaia di operai
assaltarono la fabbrica di filati di William Cartwright nel Nottinghamshire per
protestare contro il primato delle macchine, lo sfruttamento e l’alienazione a
cui erano sottoposti.
In
virtù del “Framebreaking Bill”, una legge introdotta per punire gli atti
vandalici nei confronti dei macchinari produttivi, centinaia di persone
finirono a processo e tredici lavoratori furono addirittura condannati a morte.
Nella
Camera dei Lord si alzò soltanto una voce contraria: quella di Lord Byron. Una
volta lasciato il Regno Unito, il grande poeta inglese scrisse persino un poema
in onore dei rivoltosi, soprannominati “luddites” (luddisti) a causa della loro
vicinanza alle rivendicazioni di Ned Ludd, un operaio che nel 1779 avrebbe
distrutto un telaio per protestare contro il primato della tecnologia sui
muscoli.
(Luddisti
distruggono un telaio all’interno di una fabbrica inglese).
Sono
trascorsi 257 anni dall’introduzione del primo telaio meccanizzato, eppure,
alla soglia della quarta rivoluzione industriale, le problematiche emerse in
Occidente tra Settecento e Ottocento sembrano riemergere in tutta la loro
rilevanza: cambiano le forme e il contesto, questo è chiaro, tuttavia i timori
che oggi attanagliano una grossa fetta di società sembrano essere gli stessi
che avevano spinto i seguaci di Ned Ludd a distruggere i macchinari tessili nel
1811.
Ma dal
momento che ogni rivoluzione tecnologica comporta una rapidità evolutiva sempre
maggiore, i timori relativi agli effetti degenerativi della digitalizzazione
sono accompagnati dall’impellenza di trovare soluzioni a un cambiamento così
veloce da risultare addirittura impalpabile.
In
questo senso, basterebbe riflettere sull’effetto che i social network hanno
avuto in settori professionali, quali il marketing o la vendita al dettaglio,
per avere un’idea della rapidità con cui la digitalizzazione sta modellando il
presente.
Facebook,
che era nata come piattaforma per aggregare gli studenti di diversi campus e
dormitori, nel giro di pochi anni si è tramutata in uno dei più fruttuosi
luoghi virtuali dedicati agli scambi commerciali ad alta frequenza.
Raccogliendo
ed elaborando i dati relativi agli utenti, Facebook è in grado di offrire ai
propri iscritti degli annunci pubblicitari mirati a invogliarli ad acquistare
nuovi beni, beni che sono pubblicizzati dalle aziende che acquistano spazi
sulla piattaforma.
Un
sistema, quest’ultimo, estremizzato da un’altra delle aziende controllate da
Mark Zuckerberg: Instagram.
Quest’ultimo,
nato da un’idea di Kevin Systrom, è stato capace di generare la figura
dell’influencer, che consiste in una persona talmente popolare da riuscire a
influenzare i comportamenti e le scelte di consumo degli utenti.
La
diffusione di questa nuova tipologia di scambi commerciali, più immediati,
accattivanti e personalizzabili sulla base dei gusti e delle preferenze
espresse dagli utenti, ha determinato una trasformazione radicale del
marketing, al punto da rendere quasi obsoleto uno dei capisaldi dell’economia
consumistica, vale a dire la pubblicità.
I
timori relativi alla rapidità della rivoluzione digitale trovano conferma nelle
previsioni riguardanti il futuro di molte figure professionali.
Da
un’analisi del “Forum sul lavoro del futuro e le nuove competenze”, organizzato
nel 2019 dal Sole 24Ore in collaborazione con la società di consulenza EY, è
emerso infatti che, in soli cinque anni, i lavoratori dovranno fronteggiare la
trasformazione di circa il 60% delle mansioni.
Le
motivazioni di tale cambiamento riguardano da un lato la necessità di
aggiornare le proprie competenze in termini digitali, dall’altro il sempre
maggiore ricorso a sistemi di intelligenza artificiale.
Questi
ultimi sono elementi che, come era accaduto agli albori della Rivoluzione
industriale, riportano a galla il mai sopito conflitto tra macchine e forza
lavoro.
Nel
2017, in un articolo apparso sul Guardian, Arwa Mahdawi stilava una lista dei
lavori più a rischio per i prossimi vent’anni.
Con l’introduzione di macchinari dotati di
sistemi di apprendimento automatico è ragionevole aspettarsi che figure
professionali come gli operatori di call center, i funzionari assicurativi o di
banca, i cassieri, gli autisti o il personale dei fast food siano destinate a
scomparire nel giro di due decenni.
Considerando
il gran numero di persone che al giorno d’oggi svolgono questi lavori, è chiaro
che una simile evoluzione potrebbe sancire una vera e propria emergenza
sociale.
Però è
bene specificare che non tutti i lavori che oggi alimentano l’economia globale
sono destinati a sparire.
Molto
più semplicemente, essi subiranno una radicale ridefinizione.
Il
problema, infatti, non riguarda la scomparsa di specifiche figure
professionali, ma la capacità dei lavoratori di sviluppare competenze tali da
poter affrontare la transizione senza “spargimenti di sangue”.
In questo senso, la rapidità dei cambiamenti
introdotti dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale pone un
problema di gestione dei processi, prima ancora che di sopravvivenza.
Quali
strategie adottare per proteggere i lavoratori?
A
porre l’attenzione sulla necessità di gestire la quarta rivoluzione industriale
in maniera tale da garantire la tutela delle categorie più deboli è stato anche
Roberto Cingolani.
Secondo
il ministro della Transizione Ecologica il cambiamento in atto, se non
regolamentato, potrebbe sancire la perdita di decine di migliaia di posti di
lavoro.
La
storia della prima Rivoluzione industriale in questo senso è paradigmatica:
permettere agli ingranaggi della transizione tecnologica di girare liberamente,
senza assicurare tutele di alcun tipo, potrebbe determinare una crisi sociale
per certi versi simile a quella verificatasi durante la meccanizzazione delle
attività produttive di fine Settecento, al netto delle tutele sindacali ancora
valide e influenti.
Da
questo punto di vista, un ruolo fondamentale dovrà essere svolto proprio dalle
istituzioni.
La
storia insegna infatti che il miglioramento delle condizioni dei lavoratori è
avvenuto allorquando la sinergia tra forze politiche e corpi intermedi si è
fatta via via più concreta.
Nella
seconda metà dell’Ottocento, lo sviluppo del diritto del lavoro ha trovato una
prima applicazione pratica nel momento in cui lo Stato ha iniziato a
interpretare il ruolo di mediatore nello scontro tra capitalisti e classe
operaia, andando a riconoscere progressivamente maggiori diritti ai lavoratori,
senza impoverire l’influenza dell’imprenditoria privata.
Tuttavia,
per giungere alle prime timide forme di tutela lavoristica ci sono voluti circa
cento anni, e basterebbe leggere un qualsiasi romanzo di Dickens, Verga o Zola
per capire quali conseguenze questo ritardo possa aver generato sulla
popolazione.
Ciononostante, ancora oggi, ciò che sembra
sfuggire alla classe politica è proprio la necessità di introdurre
nell’immediato forme di tutela che possano scongiurare un disastro sociale.
Questo
perché, sia la destra che la sinistra sembrano concordare sul fatto che gli
effetti più negativi della digitalizzazione possano trovare soluzione nel lungo
periodo.
Da un lato vi è l’idea liberista secondo cui
la digitalizzazione del mercato porterà automaticamente alla nascita di nuove
professioni e quindi alla piena occupazione; dall’altra, invece, vi è la
convinzione progressista che vede nell’intelligenza artificiale uno strumento
al servizio dell’umanità, capace di generare benessere e di annullare il
conflitto sociale.
Questi
due approcci appaiono ancora meno funzionali considerando la rapidità con cui
la digitalizzazione sta modificando l’attuale sistema socioeconomico.
Tuttavia,
per scongiurare una crisi sociale nel breve-medio termine, è auspicabile che lo
Stato introduca interventi strutturali che possano frenare gli effetti più
negativi della rivoluzione digitale.
Relativamente
a ciò, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden sembrerebbe aver compreso
come, di fronte a sfide epocali, l’unico attore in grado di garantire il
maggior numero di risorse possibili per il bene della collettività sia proprio
lo Stato.
A
fargli eco, la Commissione Europea guidata da Ursula Von Der Leyen, decisa, per
esempio, a introdurre normative che possano circoscrivere l’immenso potere dei
colossi del web.
Tra
tutti gli interventi volti ad a rendere meno traumatica la transizione
digitale, uno dei più impellenti è senza dubbio l’aggiornamento dei programmi
di istruzione e formazione.
Nel
2019, un’analisi dell’OCSE ha rilevato che, su ventinove Paesi analizzati,
l’Italia si è posizionata al terzo posto per numero di analfabeti digitali.
Tradotto
vuol dire che solo il 21% della popolazione italiana avrebbe “le competenze di
base necessarie per prosperare in un mondo digitale, sia in società sia sul
posto di lavoro”.
Ad allarmare sono anche i risultati di nazioni
quali Francia, Regno Unito e Stati Uniti, anch’esse collocate nella parte bassa
della classifica, a dimostrazione di come l’analfabetismo digitale sia una
problematica che accomuna le maggiori economie mondiali.
In
sintesi, l’analisi impietosa dell’OCSE certifica la necessità di investire in
un programma di aggiornamento dei sistemi di istruzione e formazione.
Di
fronte a una rivoluzione inarrestabile, che procede rapidissima, i programmi
scolastici e universitari dovrebbero essere aggiornati per garantire agli
studenti la conoscenza dei principali strumenti digitali, senza tralasciare
tutti gli insegnamenti utili per comprendere il mondo in cui essi vivono, come
la matematica, le scienze, la storia, la geografia e la filosofia.
In
particolar modo, a dover subire un radicale processo di adattamento dovranno
essere i programmi universitari.
L’offerta formativa tecnologica non potrà più
essere appannaggio esclusivo delle facoltà scientifiche, dal momento che la
digitalizzazione investirà prepotentemente anche l’ambito umanistico.
Basti
pensare al ruolo che potrebbero avere i laureati in Linguistica
nell’implementazione di meccanismi di memoria conversazionale per i dispositivi
di intelligenza artificiale, oppure al contributo che i filosofi saranno
chiamati a dare nel dibattito riguardante le implicazioni etiche
dell’ingegneria genetica.
Per
preparare al meglio la futura classe lavorativa e dirigente, le università
dovranno inserire all’interno del proprio ciclo di studi un semestre dedicato
esclusivamente ai corsi professionalizzanti.
In tal modo, gli studenti avrebbero la
possibilità di affacciarsi al mondo del lavoro con un bagaglio di competenze
utili a rispondere efficacemente alla domanda di lavoro.
Oltretutto,
con un sistema di questo tipo, gli studenti e le loro famiglie potrebbero
scongiurare l’indebitamento a cui sono spesso sottoposti per accedere ai master
di primo livello erogati da istituti privati.
Si tratta di una soluzione perequativa che
garantirebbe a tutti l’accesso a una formazione di alto livello, capace di
agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro fin dalle primissime fasi
di carriera.
Ma
l’adattamento della formazione non dovrà riguardare esclusivamente i più
giovani.
Sarà
ancora più importante implementare, all’interno di aziende e centri per
l’impiego, la cultura della formazione continua.
Spesso
derubricata a spreco di tempo e risorse, la formazione aziendale rappresenta
uno degli strumenti più utili per integrare i lavoratori all’interno dei
processi di trasformazione organizzativa.
Questo
potrebbe essere ancor più veritiero alla luce degli sviluppi professionali del
prossimo futuro, dal momento che la rapidità della digitalizzazione non potrà
che essere gestita mediante l’introduzione di programmi di formazione
differenziati a seconda delle caratteristiche anagrafiche e professionali dei
dipendenti.
In tal
modo, le aziende potranno fornire alla propria popolazione aziendale competenze
di base per fronteggiare l’automazione dei processi, tenendoli costantemente
aggiornati.
Naturalmente,
tutto ciò potrà essere agevolato dall’aggiornamento dei sistemi formativi
erogati: non più corsi in aula di intere giornate, ma micro-lezioni fruibili
sotto forma di podcast, tutorial o videogiochi (sfruttando il crescente ricorso
alla gamification).
Tuttavia,
l’implementazione di una cultura dell’apprendimento costante si rivelerà ancor
più cruciale per i lavoratori disoccupati.
Da questo punto di vista, i centri per
l’impiego saranno chiamati a giocare un ruolo fondamentale.
Allo
scopo di aggiornare le competenze dei lavoratori in cerca di una nuova
occupazione, sarà essenziale istituire, all’interno degli uffici per
l’attuazione delle politiche del lavoro, corsi di formazione aggiornati,
tramite i quali garantire ai lavoratori meno qualificati le competenze
necessarie per essere reintegrati all’interno di un mercato del lavoro sempre
più automatizzato.
Tali
corsi di formazione dovranno essere erogati da specialisti della formazione e
dovranno vincolare il discente all’ottenimento di specifici attestati.
Anche
in questo caso, per venire incontro alle esigenze dei singoli utenti, i corsi
professionalizzanti dovranno essere fruibili su dispositivi digitali, sotto
forma di micro-lezioni, per poterne assicurare l’esecuzione in qualsiasi
momento.
Il
reddito di base universale: una rendita incondizionata per ridurre la povertà.
(Pete
Linforth).
Ciononostante,
la formazione non potrà essere l’unica strategia per assorbire l’inevitabile
contrazione occupazionale che la digitalizzazione comporterà.
Purtroppo,
sebbene in maniera impercettibile, l’incubo della disoccupazione come effetto
dell’automazione è già realtà.
A titolo puramente esemplificativo, basti
pensare che nel 2016 l’azienda cinese Foxconn ha deciso di sostituire circa
sessantamila dipendenti con dei robot più economici e performanti.
Quello
cinese rappresenta certamente un caso limite, ma permette di capire quanto la
problematica occupazione relativa alla digitalizzazione sia già presente a
livello globale.
A tal
proposito, per osservare le conseguenze che l’automazione potrebbe avere sul
tessuto occupazionale occidentale, basterebbe analizzare i dati riportati in
uno studio di quattro ricercatori olandesi intitolato “Automatic Reaction – What Happens to
Workers at Firms that Automate?”.
Utilizzando
le informazioni relative ai processi di automazione avvenuti tra il 2000 e il
2016 all’interno di migliaia di aziende olandesi, gli autori dello studio sono
riusciti a determinare che l’introduzione di macchinari più sofisticati ha
causato, per i dipendenti, una riduzione del salario pari all’11%.
Ciò
vuol dire che l’automazione non determinerà una perdita improvvisa di posti di
lavoro, ma eroderà progressivamente il tessuto occupazionale a colpi di
demansionamenti, pensionamenti anticipati e riduzione del monte ore lavorate.
Basti
pensare alle conseguenze che gli iPad o gli schermi elettronici hanno avuto per
i camerieri dei ristoranti, oppure a quanto accaduto agli operatori di banca in
seguito alla digitalizzazione dei servizi.
È
molto probabile, quindi, che lo scenario apocalittico descritto da molti autori
fantascientifici non si avveri da un momento all’altro, bensì gradualmente; il
che permetterebbe di adottare corrette misure di contenimento per rendere meno
drammatico il passaggio dalla società analogica a quella digitale.
Tra le
soluzioni, una delle più interessanti potrebbe essere l’istituzione del reddito
di base universale.
Benché
possa apparire una proposta utopistica, in realtà garantire periodicamente un
reddito per far fronte alle necessità primarie degli individui permetterebbe di
proiettare i lavoratori meno qualificati nel mondo automatizzato, in un modo
più sostenibile dal punto di vista socioeconomico.
Se lo
sviluppo dell’intelligenza artificiale dovesse soddisfare le aspettative in
termini di efficacia e rapidità, è chiaro che ci saranno progressivamente meno
mestieri ad appannaggio esclusivo dell’essere umano, e che questi potrebbero
essere per lo più di tipo concettuale, quindi riservati a una minuscola
porzione di individui.
Stando
così le cose, l’istituzione di un reddito di base universale appare come una
soluzione inevitabile, dal momento che vi sono poche possibilità che il
progresso tecnologico possa essere invertito o arrestato.
Una
misura di questo tipo permetterebbe di evitare il reiterarsi di episodi di
estrema povertà come quelli verificatisi all’indomani della prima Rivoluzione
industriale.
In
ogni caso, è difficile prevedere come evolverà il mondo del lavoro e quali
saranno le conseguenze socioeconomiche dell’automazione.
Lo
scenario più probabile prevede che la transizione digitale causerà la
distruzione di moltissimi posti di lavoro, così come la creazione di nuovi
mestieri.
Se c’è una lezione che la storia ottocentesca
ha tramandato è che la deregolamentazione del mercato tecnologico rischia di
generare enormi sacche di povertà e diseguaglianze più marcate.
Da
questo punto di vista, una dialettica tra iniziativa privata e welfare di Stato
appare l’unica strada percorribile per trovare una soluzione pragmatica a un
fenomeno cruciale per i futuri sviluppi dell’umanità, quale è la
digitalizzazione.
Per tutti questi motivi, la formazione
continua e il reddito universale appaiono come le due iniziative fondamentali
per scongiurare una catastrofe sociale.
(Alessandro
Lugli).
Il
meta-verso è
il far west, cerchiamo
di non danneggiare l’umanità.
Linkiesta.it
- Kara Swisher – Valley Jaron Lanier – (18 aprile 2022) – ci dicono:
Potremmo
avere tutto il buono di internet anche senza quel perverso modello di business
che lo governa?
La giornalista del “New York Times” Kara
Swisher ne ha discusso con il filosofo della “Silicon Valley” Jaron Lanier.
Kara
Swisher
Jaron
Lanier è da molto tempo nella Silicon Valley. Persino più di me. E io sono
davvero vecchia.
Ha
fatto la sua prima apparizione negli anni Ottanta ed è stato uno dei primi
pionieri della realtà virtuale.
Ma, nel corso degli anni, è diventato uno dei
maggiori critici del mondo tech e in particolare delle aziende che gestiscono i
social media, e cioè degli «imperi della modificazione dei comportamenti» come
a lui piace definirle.
Jaron
attualmente lavora per Microsoft, che ha puntato tutto sulla corsa globale per
costruire il meta-verso. E non è da sola.
Facebook, Snap, Epic, Roblox e altri ancora
stanno cercando di rivendicare un loro ruolo.
Ma,
anche con tutte queste aziende che stanno riversando miliardi di dollari nella
corsa al meta-verso, non è ancora chiaro come questo sarà in realtà né se le
persone lo useranno mai.
Per
questo volevo parlare con Jaron di questo e del perché la visione di Mark
Zuckerberg potrebbe non prevalere.
Credo
di voler iniziare parlando di social media.
Ovviamente, l’ultima volta che ne abbiamo
discusso insieme è stata dopo l’uscita del tuo libro del 2018 che si
intitolava, non so se potete crederci, “Dieci ragioni per cancellare subito
i tuoi account social” (la cui traduzione in italiano è stata pubblicata dal
Saggiatore, ndr).
Tu
stesso non hai alcun account sui social media. Quindi mi piacerebbe sentire una
riflessione intorno a quel tuo libro, perché era piuttosto in anticipo ed è
stato predittivo di molte cose.
Jaron Lanier.
È
buffo, perché a me non sembra che fosse così in anticipo.
E, per
certi versi, le cose non sono molto cambiate da quando ho scritto quel libro,
perché il mondo è ancora stretto in una morsa perversa dagli algoritmi di un
piccolo numero di aziende, che operano con questo curioso business model in
base al quale esse guadagnano soldi da persone che sperano di manipolare altre
persone usando tecniche per modificare i comportamenti.
E
questa è una così bizzarra e strana e oscura svolta nella storia umana… Certo,
questa cosa era stata già immaginata in certa fantascienza cupa.
Ma
vederla accadere nella realtà è stata la tragedia della mia carriera e di tutta
la mia generazione di scienziati dell’informatica.
Perfino
le nostre discussioni su come provare a uscire da questa situazione tendono a
essere danneggiate dalla situazione stessa in cui ci troviamo.
Swisher.
Perché?
Lanier.
Beh,
voglio dire, penso che lo schema sia questo: le persone tendono ad assumere
alcune delle peggiori caratteristiche che sono connesse alla costante
eccitazione di quello che possiamo chiamare “cervello rettiliano”.
Diventano un po’ più irritabili, vanesie,
sprezzanti, chiuse nella propria tribù, sdegnose, sgarbate.
E, più
di ogni altra cosa, diventano paurose. Per certi versi, proprio codarde.
E quando tutto questo succede nell’ambito di
cui stiamo parlando, e quindi nei social media, si sviluppa una sensazione che
potremmo definire di meta-disperazione.
Swisher
Fra
poco arriviamo al meta-verso. Sì, ci arriveremo, Jaron, non ti preoccupare. Ma
prima voglio parlare ancora per un momento dei social media. Quindi tu non sei
mai stato sui social media. È così?
Lanier
Dobbiamo
tornare indietro fino a un momento in cui non esisteva ancora l’espressione
social media o addirittura fino a un momento in cui non esisteva il Web.
Dobbiamo tornare agli anni Settanta, al
periodo in cui sono stati progettati alcuni prototipi tipo Usenet di cui magari
qualcuno si ricorda.
Era
qualcosa di simile a quello che oggi definiremmo un thread.
Le
prime versioni erano abbastanza grezze. C’era una divisione per argomenti. Ma
non c’era niente di simile a “pollice su” o “pollice giù”.
Anche
lì, però, abbiamo avuto l’esperienza di un’amplificazione del cervello
rettiliano, perché le persone si incazzavano di più di come avrebbero fatto in
altre circostanze.
Io ho
deciso molto presto che non sono perfetto. E mi preoccupa usare qualcosa che
tiri fuori il peggio di me. Così nella mia vita, per la stessa ragione, ho
fatto anche altre scelte analoghe.
Ad
esempio, non bevo alcolici. Ed è una scelta insolita. La gran parte delle
persone beve alcolici. Ma ho intuito che per me non sarebbe stata una buona
cosa: non avrebbe tirato fuori il meglio di me, ma il peggio.
Quindi semplicemente non bevo. E ho la stessa
sensazione, ma ancora più forte, per quello che concerne i progetti online
guidati dagli algoritmi.
Ma non
avevo mai pensato che potessimo essere perversi al punto che il principale
business model di alcune delle maggiori aziende del mondo potesse essere il
rendere le cose peggiori.
È una
cosa semplicemente sconvolgente.
Swisher
La
gente utilizza un sacco di diverse tecnologie. In questo caso che cosa c’è di
diverso?
Perché
con queste tecnologie – userò l’espressione social media, ma potrei usarne
molte altre, e potrebbe trattarsi di Usenet, di Facebook o di qualsiasi altra
cosa – entra in gioco il cervello rettiliano?
Come mai succede questo, secondo te?
Lanier
Beh,
voglio dire, il problema si notava anche con tecnologie come Usenet, ma non si
trattava di qualcosa che potesse minacciare la civiltà. Ciò che ha peggiorato
le cose è quell’elemento a cui io sono particolarmente contrario.
Sto
parlando dell’utilizzo di un ciclo di retroazione attraverso cui qualcosa che
uno ha fatto nel passato possa influenzare quello che gli si fa vedere nel
presente allo scopo di modificare il suo comportamento nel futuro.
Questa
cosa si chiama modificazione dei comportamenti. Ed è studiata da scienziati che
si chiamano comportamentisti.
I due più famosi sono probabilmente Ivan
Pavlov e B. F. Skinner.
Insomma, si tratta di mettere un animale – nel
caso di Sinner forse un piccione o un topo – in un circolo di retroazione e di
allenarlo a fare qualcosa. E quando fa quello che si voleva che facesse lo si
premia.
E
quando fa qualcosa che non si voleva che facesse gli si dà invece una scossa
elettrica o un qualche altro tipo di punizione.
Per il
momento nel mondo dei social media non ci sono ancora scosse elettriche o
erogatori di dolcetti, ma ci potremmo arrivare.
Swisher
Beh,
lì ricevi i “mi piace” e i “non mi piace”.
Lanier
Esatto:
ricevi dolore e piacere sociale. L’essere respinti, umiliati, isolati eccetera
corrisponde alle scosse elettriche.
Mentre
gli eventuali like e quei riconoscimenti che danno la speranza di diventare in
qualche modo virali – ecco, quelli sono i dolcetti di premio.
Swisher
Le
persone dovrebbero quindi rinunciare ai social media? In sostanza, siamo tutti
dei maledetti piccioni dentro una scatola?
Voglio
dire, ci sono anche degli aspetti positivi. Come l’organizzazione delle
proteste in seguito all’assassinio di George Floyd.
Alcune
cose che riguardano la mobilitazione sono importanti.
Lanier
Credo
che sarebbe insensato negare che ci siano anche degli aspetti positivi. E, fra
questi, quello che preferisco è la possibilità per le persone affette da
malattie rare di trovarsi e di confrontarsi fra loro.
Questo
prima non era possibile. Ma bisogna dire che tutte queste buone cose avrebbero
potuto succedere anche senza la dominazione dell’algoritmo.
Si
potrebbero avere tutti gli aspetti positivi di Internet e tutte le cose buone
che associamo ai social media, e che in effetti esistono, senza questo assurdo
business model.
Ed è
per questo che trovo che siano destituite di fondamento molte delle riflessioni
del tipo che, beh, dobbiamo sopportare che Facebook stia rendendo il mondo più
cupo e più folle perché abbiamo bisogno di questa o di quell’altra cosa. Questo
non è assolutamente vero.
Swisher
Parlaci
un po’ di questo. Una delle tue tesi è che gli utenti dovrebbero in realtà
pagare per cose come le ricerche su internet e i social network. Spiegaci.
Perché questa è una cosa inevitabile?
Lanier
Si
tratta del modello economico alternativo che si poteva applicare a internet e a
cui io, come molti altri, ero interessato.
Si
chiama data dignity.
E dico
questo per non iniziare subito a parlare di cose-per-le-quali-devi-pagare. Che
poi, peraltro, questa è una cosa che le persone hanno sempre fatto: la gente
per esempio paga il New York Times, tanto per fare un esempio che dovresti
conoscere.
Swisher
Sì, ne
ho sentito parlare…
Lanier.
Ma
anche nel mondo del gaming capita spesso di pagare.
Ci
sono un sacco di cose per le quali la gente paga e le va bene così. È solo che
abbiamo stabilito che altre cose, come le ricerche su internet o la
condivisione di video secondo il modello di YouTube, debbano invece essere
gratuite.
E,
naturalmente, anche i social media così come li conosciamo.
Ora,
la situazione è questa: il motivo per cui queste cose sono gratuite è il fatto
che vengono barattate in cambio delle informazioni sulle persone che le usano.
E questi dati valgono molto. I dati sono la
materia prima che ha alimentato le aziende più grandi.
E non
c’è nessuna ragione particolare per la quale non si dovrebbe pagare per avere
queste informazioni.
Quindi,
in altre parole, la domanda è: perché le persone non vengono pagate?
È interessante notare che Facebook ha
ripetutamente fatto dichiarazioni su quanto questo sarebbe inutile, come se si
trattasse di una tesi che è al centro del dibattito. Il fatto che giochino
d’anticipo dimostra che forse non è una tesi che è al centro del dibattito ma
che è una tesi buona, e’ cace e, di fatto, corretta.
Quindi si stanno già posizionando per cercare
di combatterla proprio perché è corretta.
Swisher.
A
questo riguardo ho interpellato Steve Case. Si trovava a un incontro per
investitori.
Lui
diceva: «Noi attraverso i dati guadagniamo 10 dollari per ogni persona»,
eccetera.
Allora io ho alzato la mano e gli ho chiesto:
«E dove sono i miei 5 dollari? Capisci che cosa voglio dire?».
E
tutti hanno riso, ma io stavo pensando tipo…: «Ma perché ci vendiamo per così
poco? Perché ci accontentiamo di ricevere in cambio soltanto la vostra roba
gratis? Perché siete voi che vi prendete tutti i vantaggi, mentre noi…».
Lanier.
Sì.
Voglio usare una metafora. Ho grande interesse per un certo W. Edwards Deming
che molti decenni fa aveva sviluppato l’idea secondo cui le fabbriche avrebbero
migliorato la qualità della loro produzione se avessero raccolto informazioni
sul campo e se avessero quindi potuto contare su dati statistici.
E quest’idea si è poi sviluppata in quello che
si definisce “Quality movement”.
Una
delle cose interessanti su Deming è che lui voleva che i dati e i riscontri
raccolti sul campo non andassero soltanto ai proprietari della fabbrica e ai
capo-ingegneri ma anche agli operai, perché secondo lui erano loro ad avere una
visione precisa su come stavano andando davvero le cose.
Ed
erano loro quelli che avrebbero saputo come prendere questi dati e trasformarli
in un prodotto migliore.
Ora, per analogia, quello che sta succedendo
oggi è che aziende come Google o come Meta stanno ottenendo gratuitamente tutti
questi dati da persone che non ne capiscono né il significato né il valore e li
stanno trasformando in questi algoritmi che sono perlopiù adoperati per
manipolare quelle stesse persone.
E
questa è più o meno la stessa cosa che accadeva in fabbrica prima che Deming
facesse la sua apparizione.
Ma non c’è un motivo al mondo per il quale le
persone che producono queste informazioni non siano coinvolte nel gioco e messe
nelle condizioni di renderlo migliore.
Swisher.
Giusto.
Lanier.
E chissà
che questa cosa – e cioè semplicemente il fatto che ci sia una partecipazione
di molte più persone interessate – non si riveli il modo giusto di sistemare
dei problemi apparentemente irrisolvibili, come ad esempio i bias negli
algoritmi dell’intelligenza artificiale e così via.
Secondo
me questa cosa potrebbe avere senso e potrebbe funzionare se le persone
concedessero in licenza i loro dati. Ma non come singoli individui.
Dovrebbero
unirsi in organizzazioni. La ragione per cui dico questo è che bisogna evitare
una deriva verso battaglie di singoli che non sarebbero economicamente
sostenibili.
Le
persone si dovrebbero riunire. Così queste entità collettive sarebbero un
difensore diretto che ciascuno avrebbe online.
Voglio
dire, c’è una cosa pazzesca che risale all’epoca medievale e che si chiama
rapporto fiduciario.
E
questo significa che se c’è qualcuno che ha delle conoscenze e delle
informazioni che sono molto rilevanti per te e tu paghi questa persona, allora
questa persona deve giurare di mettere i tuoi interessi davanti a tutto.
Lo
fanno i dottori. Lo fanno gli avvocati.
Swisher
L’obbligo
fiduciario. Ecco da dove viene.
Lanier
Esatto,
l’obbligo fiduciario. E internet va al di là della comprensione di chiunque.
Nessuno capisce gli accordi che si accettano con un click, nessuno capisce che
cosa succeda ai suoi dati.
Eppure
per noi queste cose sono importanti. Per la prima volta ci sarebbe un corpo
intermedio nella posizione di difendere gruppi di persone attraverso un potere
che coincide anche con uno strumento di finanziamento.
Swisher
E
quindi come si fa? Qual è il modo in cui oggi le persone dovrebbero interagire
con la tecnologia e i social media?
Perché
sono ovunque e difficili da evitare. E, naturalmente, durante la pandemia sono
diventati ancora più difficili da evitare. O magari uno non li vuole evitare,
perché semplicemente non gli va di farlo. Io stessa, ad esempio, non uscirò da
Twitter. Mi diverte. Mi fornisce un piacevole intrattenimento sotto diversi
punti di vista.
Lanier.
E la
cosa buffa è che io in Twitter non ci entrerò mai.
Con
tutto che mi piace Jack Dorsey e che penso che stia davvero cercando una strada
nel labirinto per migliorare le cose (nel momento in cui si è svolta questa
conversazione, Dorsey era ancora il ceo di Twitter, carica che ha nel frattempo
lasciato, ndr).
Perché non si tratta di denigrare le altre
persone, ma si tratta di fare scelte personali basate sulle proprie priorità.
E una delle cose che ho scritto nel libro su “Le dieci ragioni” è che non dirò a nessuno che cosa
debba fare.
Io non dico che dovete cancellare i vostri
account. Se siete davvero sicuri che, qualora cancellaste i vostri account, la
vostra vita ne risulterebbe danneggiata, allora a nessuno serve che danneggiate
la vostra vita.
Ma
devo dirvi che qui c’è qualcosa di sospetto. Perché io vendo libri. Vengo
interpellato dai media.
Ho una
vita che probabilmente è simile a quella che potrebbe avere un qualunque
influencer di successo o qualcosa del genere.
Eppure
non ho nessun account sui social media. Certo, potrei essere un’eccezione. Ma
d’altra parte, devo dire che non posso essere chissà che eccezione: non sono
una persona giovane in bikini.
Non
cerco di essere trendy. Eppure le cose funzionano comunque.
Per
questo ogni tanto penso che molte persone abbiano investito in un’illusione e
che stiano correndo su questa ruota per criceti a vantaggio di altri, anche se,
di fatto, se scendessero da quella ruota, la loro carriera non ne risentirebbe.
Non
sono sicuro di quanto questo sia vero o perlomeno di quanto spesso sia vero,
perché è molto difficile sottoporre a verifica una simile idea.
Ma ho
davvero il forte sospetto che moltissimi di noi siano intrappolati in questa
ruota per criceti e che otterremmo le stesse cose anche senza stare nella
ruota. Ci scommetterei.
Swisher
Ma
lascia che ti chieda una cosa. Tu, all’inizio, eri partito con una grande
eccitazione per le possibilità che c’erano. Io e te abbiamo parlato tante volte
e molto, molto, molto a lungo di queste possibilità.
Ma poi
nel 2011 hai detto: «Sono deluso dal modo in cui Internet si è sviluppato negli
ultimi dieci anni».
Quindi
parliamo un po’ delle possibilità che all’inizio avevano suscitato le tue
speranze. Perché, se ora siamo al cervello rettiliano, a quei tempi invece
avevi delle speranze. Quali erano?
Lanier.
Sì,
beh, insomma, probabilmente il picco del mio ottimismo si è verificato negli
anni Ottanta quando stavo presentando al mondo il concetto di realtà virtuale.
E
quello che vedevo nella realtà virtuale era un qualcosa che, almeno in potenza,
avrebbe potuto essere meravigliosamente positivo per il mondo.
E credo
ancora che lo possa essere e che forse lo sarà.
Ho
sempre visto la realtà virtuale come un modo per avere un termine di paragone e
per apprezzare finalmente quanto sia splendida la realtà che abbiamo. È così
facile per noi dare per scontato quello che abbiamo.
Ma se hai trascorso un po’ di tempo nella
realtà virtuale e poi vai in una vera foresta, penso che sarai capace di amare
quella foresta in un modo più viscerale di quanto tu non potessi pensare.
E si
possono fare moltissimi esempi di questo tipo. Anche soltanto guardare qualcun
altro in faccia è stupefacente dopo che sei stato per un po’ nella realtà
virtuale.
Swisher.
Quindi
la tua speranza era che la realtà virtuale avrebbe consentito alle persone di
apprezzare entrambe le cose, l’analogico e il digitale.
Lanier.
E poi
avevo anche un’altra speranza… Anche allora ci si faceva questa domanda e cioè
che cosa sarebbe successo se l’automazione fosse diventata davvero efficiente e
se la vecchia idea del lavoro non fosse più stata così necessaria.
E io
avevo questa idea che gradualmente l’economia e, più in generale, la civiltà si
sarebbero spostate dalla necessità alla creatività.
Verso
una situazione in cui ci sarebbero stati sempre più artisti o comunque in cui
le persone si sarebbero dedicate a un’attività artistica intesa in un senso
molto estensivo.
Pensavo
che a mano a mano sarebbero stati disponibili e utilizzabili sempre più tipi di
robot e sempre più tipi di software e che quindi le persone avrebbero creato
un’economia basata sull’accrescimento dell’intelligenza, sull’accrescimento
della profondità della comunicazione e, semplicemente, sull’accrescimento della
bellezza.
Perché
no? Che cosa ci sarebbe stato di sbagliato in tutto questo?
E
vorrei anche spiegare come, sempre a quei tempi, l’unico modo di pensare a un
futuro a lungo termine per le persone fosse immaginare un’economia basata sulla
creatività o una sorta di economia statica in una bolla. L’alternativa era
un’economia temporanea in cui avremmo distrutto noi stessi e ci saremmo
consumati fino alla morte.
Perché
perfino allora avevamo già capito che ci sarebbero stati dei limiti. E dire che
non conoscevamo ancora i dettagli relativi al cambiamento climatico…
Swisher
Dei
limiti fisici rispetto a quello che stavamo facendo al pianeta…
Lanier.
Esatto.
Per qualunque scienziato o ingegnere è una cosa semplicemente ovvia. Invece non
c’è alcuna ragione per la quale dovrebbero esserci limiti culturali.
Non
c’è ragione per la quale l’umanità non possa diventare sempre più profonda, per
sempre.
E
quindi pensavo alla realtà virtuale come a un piccolo tassello della speranza
in un’eterna creatività.
Swisher.
Ora
vorrei che parlassimo dell’idea di meta-verso. Dicci che cos’è per te e poi
dicci che cosa pensi di ciò che Facebook ha dichiarato nella sua recente
presentazione.
Lanier.
Beh,
probabilmente, per molti versi, le prime implementazioni del meta-verso le ho
condotte io.
Per esempio, ho realizzato la prima esperienza
di realtà virtuale multi-persona con visori, che è, di fatto, ciò che
l’espressione “realtà virtuale” significava in origine.
E
mentre ascoltavo le parole di Mark Zuckerberg avevo come l’impressione che
qualche megalomane avesse preso la mia roba e l’avesse sottoposta a un filtro
di autoesaltazione.
Insomma,
è stata una cosa stranissima.
Al riguardo, ho sempre pensato che ognuno
avrebbe voluto emergere e che ci sarebbero stati cento milioni di
microimprenditori che avrebbero fatto le loro piccole cose, qui e lì. E non che
ci sarebbe stato un qualche dominatore assoluto.
Swisher.
Sì,
abbiamo già parlato di questa tua idea e del fatto che pensavi che ci sarebbero
state
molte diverse aziende.
Anche
sul meta-verso la tua visione non è dissimile: pensavi che ci sarebbero stati
questi mondi virtuali, che poi sarebbero entrati nei mondi reali o si sarebbero
mescolati a essi.
Ma pensavi che sarebbero stati creati da molte
persone diverse e che poi la gente si sarebbe mossa attraverso questi mondi.
Questa
era la tua visione di che cosa fosse un meta-verso. Quindi di fatto ti senti
come se Mark lo avesse messo in un frullatore, nel suo frullatore, e lo avesse
tritato in una strana maniera.
Da
quel che possiamo vedere finora, il suo meta-verso è come una turbo-ruota per
criceti?
Lanier.
Una
cosa da dire al riguardo è che le dichiarazioni di Facebook, e ora di Meta, non
sembrano del tutto coerenti, se ne sai davvero di questi argomenti.
Ad
esempio, mostrano molti scenari in cui in realtà non ci sarebbe alcun posto
dove mettere i sensori o i display per abilitare quegli scenari.
È una strana versione disincarnata della
realtà virtuale visto che ogni implementazione di una realtà virtuale ha
bisogno di sensori e di display per poter funzionare.
Ma
loro hanno un modo di presentare le cose che è come se si fosse in un film di
fantascienza e non si dovessero davvero realizzare le cose.
Swisher
Questo
è un modo carino per dire che non funziona.
Lanier
Beh,
insomma, qualche sua versione potrebbe funzionare. Semplicemente, è strano che
non sentano il bisogno di risolvere problemi basici di geometria e di fisica e
di ingegneria che davvero non saranno eludibili.
Ora,
uno potrebbe dire: «E chi se ne importa? Sono solo dettagli».
Ma il
fatto è che questi dettagli sono quelli che determineranno come sarà
l’esperienza.
Swisher
C’è
poi un’altra cosa riguardo alla presentazione di Mark Zuckerberg: molte persone
l’hanno percepita come se si trattasse di land grabbing, come se Facebook
stesse tentando di auto-dichiararsi leader del meta-verso, benché a questa
stessa cosa ci abbiano lavorato anche altri, te compreso:
Roblox
ci sta lavorando e ci stanno lavorando anche Snap, Epic e Amazon. Chi è che ha
un vantaggio competitivo?
Lanier
Allora,
vorrei azzardare questa ipotesi: se Tim Cook (che è l’amministratore delegato
di Apple, ndr) non avesse iniziato a bloccare l’accesso di Facebook ai dati
gratuiti, la creazione di quella cosa che si chiama Meta non sarebbe mai
avvenuta.
Io
penso che Meta sia questa cosa qui: «A questo giro non abbiamo un device
periferico capace di ottenere dati. Quindi dobbiamo vincere la prossima guerra
dei device, in modo da poter poi ottenere quei dati.
E, ah,
sarebbe bello anche se avessimo degli smart speakers e degli strumenti per la
domotica eccetera, ma quelle cose le ha Amazon. E allora andiamo con i visori».
Io
penso che alla fine si tratti di questo: devi possedere un tuo “Edge device “per
avere il potere di rendere il tuo cloud buono o cattivo.
E, a
quanto pare, loro vogliono renderla cattiva e quindi hanno bisogno di avere un
device che attualmente non hanno.
Swisher
Questo
è divertente.
Lanier.
Io…
Sì, scusa, io non dovrei dire questo… Da parte mia, è un po’ fuori dalle righe…
Non dovrei parlare in questo modo di un’altra azienda.
Ma non
c’è un’altra azienda della Silicon Valley che abbia avuto una simile
processione di dirigenti che se ne sono andati spinti da profondi rimorsi.
Insomma,
è un caso unico. Credo che Facebook sia sottovalutata rispetto a quello che fa.
Perché, in sostanza, Facebook sta gestendo le identità per Internet e questa è
una funzione che ha un grande valore.
Quindi
in un regime di data dignity penso che Facebook raddoppierebbe o triplicherebbe molto
rapidamente il suo valore.
Quindi
io non sono anti-Facebook per partito preso. E sono anche favorevole all’idea
che chi ha investito nel settore tecnologico venga premiato economicamente per
questo.
Ma
penso che Facebook abbia un business model terribile.
Credo
che abbia abbastanza successo perché quelli che ci investono pensino che stia
andando bene. Ma io ritengo che sia ben lontana dall’andare bene come potrebbe
e che si stia lasciando sfuggire l’occasione di trarre ulteriori vantaggi che
sarebbero alla sua portata.
Swisher
Sì, lo
pensano in molti.
Lanier
A me
piace l’idea che Facebook vada bene. Voglio solo che vada bene grazie a un
piano aziendale che non si basi sul danneggiare l’umanità. Insomma, mi pare una
richiesta ragionevole.
Swisher
L’azienda
per cui lavori, Microsoft, ha annunciato a sua volta che sta creando un meta-verso.
Queste
sono le parole del ceo, Safa Nadella, nel video di presentazione: «Non si
tratta più di guardare con una telecamera l’interno di una fabbrica: tu puoi
essere in quella fabbrica.
Non si
tratta più di fare una videochiamata con i colleghi: tu puoi essere con loro
nella stessa stanza».
Ci
puoi spiegare in che cosa differisce questo meta-verso da quello di Facebook?
Di che cosa stava parlando Nadella?
Lanier
Discutendo
con te come singolo individuo, vorrei esprimere il mio pensiero con assoluta
libertà, però io…
Swisher
Lavori
per Microsoft.
Lanier. Sì. Penso che il fulcro dell’attività di
Microsoft sia la vendita di prodotti e servizi.
E che
il referente centrale siano le imprese – e questo significa business. La cosa
davvero bella di tutto questo è che ti mantiene onesto. Se qualcun altro ci sta
mettendo i suoi soldi, è meglio che tu gli dia qualcosa che valga quei soldi.
Non c’è niente di ambiguo.
Non è una cosa del tipo «Ehi, noi te lo daremo
gratuitamente, ma poi ti inganneremo con quest’altra cosa». È molto concreto.
Quindi
possiamo migliorare un’attività attraverso la realtà aumentata? Sì.
In questo campo le aree in cui ho lavorato di
più sono state probabilmente la simulazione chirurgica e poi le simulazioni
relative ai veicoli.
E hanno avuto davvero successo. Insomma, molto
tempo fa, lavorando con Joe Rosen e Ann Lasco alla Stanford Med, mi sono
occupato del primissimo simulatore chirurgico attraverso un visore.
E
questa è una cosa che è poi sbocciata. Alcuni anni fa, quando mia moglie ha
avuto il cancro, il suo chirurgo ha appreso una procedura che era stata
progettata nella realtà virtuale ed è stato formato da un ragazzo che era stato
proprio uno studente di Joe Rosen, il mio compagno di quei vecchi tempi.
È così
che sono andate le cose. E il suo intervento è andato benissimo.
È
stato un successo totale e quindi questa procedura è diventata di uso comune.
Allo stesso modo, sono ormai alcuni anni che non può capitare di salire su
un’auto nuova – o su una barca, un aereo o un qualsiasi altro veicolo di
recente produzione – che non sia stato progettato, almeno parzialmente,
attraverso la realtà virtuale.
Anche
questa è diventata una cosa comune. Questi sono casi in cui le cose sono andate
davvero molto bene.
Ma,
sì, io penso che, quando c’è una specifica esigenza di utilizzo, quando ci sono
dei soldi in ballo e quando c’è un cliente ben definito, o sai sviluppare
abbastanza il progetto da giustificare quella spesa oppure non lo sai
sviluppare.
Swisher
Quindi:
da un lato una grande chiarezza su quali siano realmente i termini della transazione,
dall’altro un “non-sapevi-che-avremmo-venduto-il-tuo-rene-ma-ormai-è-andato”.
Il tuo rene virtuale, intendo.
Bene: quando pensi a tutto questo, all’aspetto
che prenderà… Ci puoi spiegare in che modo usare internet sarà diverso da
adesso?
Come
sarà con questi avatar, con queste proiezioni di noi stessi eccetera?
Dacci
qualche dettaglio su come immagini che queste cose appariranno.
Lanier
La
cosa buffa è che io non voglio che sembri una cosa bella se si avvia a essere
applicata in un modo orribile per distruggere l’umanità.
Ho
passato molti anni a…
Swisher
Non
vuoi dare loro la mappa della Morte Nera se stanno per usarla per distruggere
dei pianeti, giusto?
Lanier
Sì. Ho
passato molti anni a evocare visioni su quanto la realtà virtuale sarebbe stata
una cosa meravigliosa.
Ma
davvero voglio continuare a tornare sullo stesso punto: per quanto possa essere
una cosa fantastica, il momento migliore è quando ti togli il visore e puoi
vedere il mondo con i tuoi sensi rinnovati.
Questa
è una cosa che non invecchia. Questa è una cosa che non scompare.
Swisher.
Ma
quale sarà l’aspetto di queste rappresentazioni, quella di Microsoft e quella
di Facebook, che non sono dissimili?
Lanier
Allora,
quando stavamo progettando i primi mondi virtuali multi-persona destinati a
essere messi in commercio e i primi visori e tutte queste cose, avevo degli
amici, come Neal Stephenson e Bill Gibson, che stavano pubblicando i primi
romanzi cyberpunk, giusto?
E poi i romanzi cyberpunk hanno avuto un
enorme impatto sul cinema.
E alla
fine questa visione cinematografica è diventata un luogo comune grazie a film
come “Matrix” o “Inception”, per fare degli esempi ancora molto conosciuti.
E si
innescò questo strano circuito per cui chi si occupava di tecnologia aveva
influenzato i romanzieri che avevano poi influenzato i film che avevano poi
influenzato la comunicazione da parte delle aziende.
E così si è fatto tutto il giro ed è emerso un
certo tipo di linguaggio visuale che puoi sempre osservare nella comunicazione
da parte delle aziende di questo settore.
Swisher.
E così
questa è la ragione per cui la realtà virtuale appare come appare.
Lanier.
Sì, io
poi personalmente penso che apparirà molto meglio di così, ma vabbé.
Swisher.
Bene,
occupiamoci ora di un altro aspetto.
L’imprenditore
Shaan Puri ha fatto un thread su Twitter riguardo al metaverso, in cui ha
esposto l’idea secondo cui il meta-verso non sia necessariamente un “luogo”
virtuale ma che sia in realtà “tempo”.
Ha
scritto, cito testualmente: «La nostra attenzione era al 99 per cento dedicata
al nostro ambiente fisico.
La
televisione ha ridotto questa quota all’85 per cento, i computer al 70 per
cento, gli smartphone al 50 per cento. P
resto,
qualche azienda produrrà degli occhiali smart che staranno tutto il giorno
davanti ai nostri occhi.
Questo
porterà la quota di attenzione che dedichiamo a uno schermo dal 50 al 90 per
cento, se non di più.
E questo è il momento, nel corso del tempo, in
cui inizia il meta-verso, perché in quel momento la nostra vita virtuale
diventerà più importante della nostra vita reale».
Che
cosa ne pensi di questo?
Lanier.
Sì,
ok, lo trovo sconvolgente perché quando cerchi di capire la realtà così com’è e
inizi ad apprezzarne le sottigliezze…
Non
so, basta suonare un vero flauto di bambù invece di un qualunque strumento
digitale.
O
prendiamo anche solo una persona reale: semplicemente lo stare insieme con una
persona reale, il guardare la sua faccia, il toccarla… Penso che ci sia un
orizzonte aperto e infinito, in ogni tempo, per apprezzare di più il mondo
fisico, benché anche il mondo digitale possa crescere e diventare sempre più
creativo.
Ultimamente
ho riflettuto sul fatto che qualunque strumento digitale con cui puoi scrivere
un testo sta iniziando a predire quello che scriverai.
Quindi
stiamo permettendo al linguaggio del passato di avere il controllo sul
linguaggio del futuro più di quanto non lo avessimo mai fatto in precedenza.
Allo
stesso tempo, il mondo digitale siamo noi che ribolliamo nei nostri stessi
succhi, perché gli algoritmi sono basati su dati del passato e limitano il
futuro al passato.
Swisher
Sì. Io
resisto sempre. Ma la resistenza è inutile.
Lanier
Già.
Ma anch’io lo faccio, eh. Odio questa roba. Ma il fatto è che se vuoi tracciare
un disegno ineccepibile del mondo, in cui non c’è nessun mistero e tutto ha
perfettamente senso, scoprirai che non puoi farlo.
Sarà
sempre visibile qualche cucitura, qualche saldatura, qualche problema di
osservazione del tipo “Perché siamo qui e non lì? Che cos’è che ci ha collocati
proprio in questo punto?”.
E ogni
volta se ne esce con una sensazione di esperienza mistica. Non puoi evitare
davvero che ci sia qualcosa di un po’ metafisico nell’esperienza stessa.
E
quindi il fatto è che ogni mondo digitale – e non importa quanto sia complesso
né quanto sia meraviglioso – avrà un valore maggiore quanto più contrasterà la
percettibilità di quel mistero.
Swisher
Quello
che ci stai dicendo è che si vedono le cuciture.
Lanier
È lì
che trovi il futuro. E lì che trovi un infinito aperto.
Swisher. C’è questa stupenda citazione che
viene da “Arcadia” di Tom Stoppard e che ho sempre amato: «Quando avremo
risolto tutti i misteri e perso ogni significato, saremo da soli su un riva
vuota».
Lanier
Oh,
sì, certo!
Swisher
Secondo
te, il nostro esistere in un mondo virtuale che cosa può provocare, ad esempio,
nella nostra percezione di noi stessi? Ti cito.
Tu hai scritto sulla realtà virtuale: «Chi è quello
che è sospeso nel nulla facendo esperienza di queste cose che succedono? Sei
tu, ma non sei esattamente tu. Che cosa è rimasto di te quando puoi
virtualmente cambiare tutto del tuo corpo e del tuo mondo?».
Ci parli di questo e di che cosa la realtà virtuale,
anche se poi ne puoi uscire, provoca alla percezione di sé?
Lanier
Ogni
volta in cui penso a qualcosa che verrà, mi dico che sarà una cosa
assolutamente buona e che le persone troveranno in questa cosa una piacevole
positività spirituale.
Ma poi qualcun altro guarderà la stessa cosa e
dirà che, oh no,
quello
è il modo in cui finiremo di manipolarci a vicenda. Quindi ora io non vorrei
apparire troppo naïf ma quello che trovo interessante nel trasformarmi in un
avatar è che un avatar può essere molto più estremo di quanto non si possa
pensare.
Gli
avatar che si vedono nelle comunicazioni da parte delle aziende sono simili a
te, sono realistici. Ma tu puoi trasformarti in altre creature fantastiche.
E
viene fuori che il tuo cervello è già predisposto per controllare arti extra.
Quindi puoi assumere tutte queste diverse forme corporee.
Cose
davvero fantastiche.
Di fatto, abbiamo imparato molte cose che
riguardano la neurologia e l’evoluzione grazie alla semplice osservazione delle
possibilità che gli avatar offrono.
Le
cose stanno così: se cambi il tuo avatar, cambi il mondo.
E puoi
scherzare intorno al senso del passare del tempo. Ma, dal momento che puoi
cambiare tutte queste cose e tuttavia c’è qualcosa che invece rimane sempre lì
e che non cambia, penso che, almeno per quanto ne so, questa sia l’unica
tecnologia che sia mai stata sviluppata che ti faccia percepire come la tua
coscienza sia una cosa reale.
Swisher
Ho da
poco intervistato al riguardo Jeanette Winterson, che scrive di questi
argomenti.
In
sostanza, lei pensa che un giorno potremmo lasciarci del tutto alle spalle i
nostri corpi fisici e che le nostre coscienze potrebbero continuare a esistere
nello spazio digitale.
Sei
d’accordo con questa visione?
Lanier
Allora,
questo è uno degli argomenti con cui ho dovuto fare di più i conti nella mia
vita, perché le persone continuano a tirarlo fuori.
La
risposta breve è: «No, non sono d’accordo».
Perché
per certi versi quest’idea suggerisce che nel nostro mondo manchi qualcosa.
E io non mi sono messo a concepire simili idee
pensando alla realtà virtuale prima di averla provata, perché io ho provato la
realtà virtuale prima di pensare alla realtà virtuale.
E per me è sempre stato completamente ovvio che la
vera utilità della realtà virtuale fosse il farci notare quanto sia magica la
nostra realtà convenzionale.
Penso che la sua caratteristica davvero
speciale sia questa. E poi questo concetto del voler abbandonare il corpo per
entrare in un regno digitale è una specie di metamorfosi delle idee cattoliche.
Ma di quelle davvero più antiche.
Perché
alla fine l’idea è che tu entrerai in questo paradiso, ma per entrarci dovrai
avere dei pensieri giusti perché se invece penserai delle cose sbagliate allora
una qualche super-intelligenza artificiale del futuro troverà il modo di
colpirti e buttarti fuori eccetera.
Da
questa visione viene fuori tutta questa strana teologia.
Swisher
In
ogni caso è interessante che le persone più ricche del mondo o vogliono
andarsene dal pianeta o vogliono rifugiarsi in un mondo virtuale.
Una
delle cose che hai detto è che il meta-verso distruggerà l’umanità.
Parlaci
del suo lato oscuro. Probabilmente pensi questo in conseguenza di quello che è
successo con Usenet e di quello che è successo con i social media.
Qual è
l’aspetto che ti preoccupa e che cosa bisogna fare per evitare che succeda
quello di cui sei preoccupato?
Lanier
Qual è
il lato oscuro del meta-verso?
È
molto semplice. Nella nostra economia la ricompensa deriva dall’esercitare un
sempre maggiore controllo sulle possibilità di manipolare i comportamenti delle
persone.
E
questo ci rende tutti sempre più vanesi, paranoici, irritabili, xenofobi,
stupidi e paurosi. Perdiamo la capacità di parlare gli uni con gli altri.
Perdiamo
la capacità di percepire con precisione la realtà. In sostanza, perdiamo la
capacità di essere intelligenti.
E poi moriamo, perché gli esseri umani hanno
corpi fragili e l’unica cosa che ci fa tirare avanti è l’intelligenza, sennò
finiremmo divorati.
Quindi
verremo divorati e sarà tutto finito. E ora sto considerando molto seriamente
questa eventualità.
Giusto
per essere chiari: qualunque cosa stupida che puoi vedere su internet esisteva
già prima di internet.
Ci sono sempre state teorie cospirative. Tutte
queste cose sono sempre esistite. Il punto è quale grado e quale rilevanza esse
raggiungano.
La
vera questione è fino a che punto potremo sopravvivere davanti alla sempre
crescente amplificazione di queste nostre stupidaggini. È come per la crisi climatica.
Possiamo sopravvivere a un incremento dell’1 per cento
della stupidità? Non lo so.
E a un
incremento dell’1,5 per cento? Il problema è questo.
Gli
studi sulla contagiosità sociale delle paranoie e sugli altri contraccolpi
negativi di quello che accade online mostrano un leggero aumento della
stupidità nell’ambiente.
Ma
pare che questa si accumuli, come gli interessi rispetto a una somma investita.
Ed è un fenomeno molto largo e universale.
Swisher
E
quindi che regole avrà il meta-verso? C’è qualcosa che lo possa governare?
Lanier.
Penso
che nella gran parte delle faccende umane si finisca per avere una qualche
regola, più che altro per le situazioni estreme, una qualche gestione delle
ricompense e una qualche cultura di linee guida etiche eccetera eccetera.
I modi
in cui gli esseri umani fanno funzionare e rendono sostenibili la società e la
civiltà agiscono su molti piani diversi.
Tuttavia,
io credo che le ricompense debbano essere almeno vagamente allineate con la
sopravvivenza umana perché la società non impazzisca.
Swisher
Certo.
Quindi ci dovrebbe essere una “Global Meta-verse Authority”? Potrei guidarla io
questa G.M.A.!
Lanier
Hahahaha.
No, non credo che ci sarà. Magari in un ipotetico futuro molto lontano. Ma non
credo che siamo pronti per una cosa del genere né che siamo in grado di farla
funzionare.
A me
piacciono alcune delle caratteristiche dell’esperimento americano.
E una
di quelle che mi piacciono di più è l’idea del check and balances e cioè dell’avere molteplici
istituzioni ognuna delle quali esercita il controllo sulle altre.
Noi,
dal punto di vista formale, diciamo che questi tre poteri sono quello
giudiziario, quello esecutivo e quello legislativo.
Ma, da
un punto di vista informale, possiamo dire che anche il sistema capitalistico e
il governo si tengono d’occhio reciprocamente: sono due diversi sistemi che si
relazionano l’uno con l’altro in modo maldestro.
Eppure,
uno dei due sistemi trova il modo, o almeno lo si spera, di ridurre gli eccessi
dell’altro e viceversa.
E penso che ci siano anche altri ambiti in cui
le cose funzionano allo stesso modo.
Ultimamente
è diventato popolare questo concetto dell’intersezionalità.
Mi
piace questa idea secondo cui le identità delle persone abbiano una moltitudine
di punti di contatto e sovrapposizione, cosicché la società non può rompersi
lungo una linea netta come invece fanno gli algoritmi.
Certo,
è importante dire – come peraltro hai già fatto tu stesso – che lavori anche
per Microsoft.
Ma sei
stato anche critico nei confronti delle aziende tecnologiche e del modo in cui
si comportano.
Pensi
che sia importante poterlo fare?
Per
esempio, Frances Haugen ha dovuto lasciare Facebook.
Pensi
che sarebbe importante che queste aziende consentissero di discutere in
pubblico di queste cose? Sarebbe una scelta più sana?
Sì, certo, sarebbe una cosa sana. Le aziende
tecnologiche sono molto grandi e molto potenti.
E
penso che poter avere un po’ di discussione interna sarebbe una buona cosa, una
cosa necessaria.
Sta
iniziando a capitare un pochino di più. Penso che sia una vergogna che le
persone percepiscano l’obbligo di andarsene se vogliono parlare.
Spero
che questa cosa capiterà sempre meno spesso.
Swisher.
Ho
un’ultima domanda. Tu nel 2020, in una intervista a GQ, hai detto, cito
testualmente, che il tuo progetto onnicomprensivo è «far sì che il futuro non
vada a farsi fottere».
Uno: che cosa intendevi dire? Due: abbiamo
lasciato che il futuro andasse a farsi fottere?
Lanier.
Quello
che intendo dire è che nel piccolo mondo di chi si occupa di tecnologia c’è la
tendenza a sposare immediatamente l’idea secondo la quale siamo più intelligenti
di chiunque altro vivrà mai in futuro.
E che,
naturalmente, siamo più intelligenti di chiunque sia vivo ora. E che quindi
progetteremo una soluzione.
E che
sistemeremo questa cosa del clima. E che sistemeremo questa cosa del razzismo. E che sistemeremo
questa follia della manipolazione dei comportamenti. E che sistemeremo tutto. E
che saremo gli ingegneri che progettano il futuro. E che sarà senz’altro così.
Ma io
penso che questo approccio sia di per sé sbagliato e che sia condannato
all’insuccesso.
Perché poi ci saranno quelle persone che in
futuro riceveranno tutte queste cose.
«Ehi,
ecco la soluzione che abbiamo escogitato per voi!». Ma a queste persone,
probabilmente, questa soluzione non piacerà, per una ragione o per un’altra o
anche soltanto per orgoglio.
La
cosa a cui io sono contrario e che critico è questa idea di grande sicurezza in
sé stessi in qualità di ingegneri che costruiscono il futuro.
Ci sono cose che sono molto concrete e
chiaramente definite, come la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e
altri obiettivi di questo tipo, e in quel caso va benissimo così.
Quello
è necessario farlo, è ovvio. Ma in un’ottica più ampia… Credo che più che altro
sia necessario rimuovere gli incentivi che spingono a un peggioramento delle
cose e cercare di costruire un futuro in cui le persone possano lavorare più
facilmente e avere fiducia negli altri.
Sono
dell’idea che, se non ci fosse il modello manipolatorio che guida aziende come
Meta, le persone continuerebbero a essere più cretine online che nella vita
reale, ma comunque un po’ meno cretine di quanto non lo siano ora.
E che
non vedremmo questa disfunzione globale e il degrado di tutte le democrazie,
che sta avvenendo ovunque e nello stesso momento.
Swisher.
Ok,
Jaron. Sempre che noi ora non ci troviamo all’interno di una simulazione. Ad
esempio, in una simulazione nel meta-verso di una futura versione di Mark
Zuckerberg.
E che
quindi tutto questo sia soltanto una simulazione in cui un gruppo di ragazzini
sta giocando con noi e in cui noi non siamo davvero qui.
Lanier.
Sì. Lo
so. Questa è un’idea che emerge abbastanza spesso. E allora io potrei chiederti
che cosa ci sarebbe di diverso. E se la risposta è che niente sarebbe diverso,
allora la mia non sarebbe neanche una domanda.
L’unica cosa che potrebbe essere davvero
diversa è che se questa fosse una simulazione, allora dovrebbe esserci qualche
possibilità di uscirne o la possibilità di essere Dio o di incontrare Dio o
qualcosa del genere.
Ed
ecco che salta fuori un’altra volta un tipo di religiosità medievale.
Ma io
penso che le persone che cercano di essere Dio finiscano sempre male.
Swisher
Noi
non siamo Dei.
Lanier
Né
dovremmo desiderare di esserlo.
Swisher
Né
dovremmo desiderare di esserlo.
Commenti
Posta un commento