CHI DISTRUGGERA’ L’ UMANITA’.

 CHI DISTRUGGERA’ L’ UMANITA’.

 

Storia nascosta dell’incredibile malvagia mafia Khazariana.

Nelnomedellaverita.it - Preston James e Mike Harris- James Fetzer - (1° MARZO 2022) – ci dicono:

(SaDefenza)

 

Il sipario viene ora tirato indietro per esporre completamente la mafia Khazariana e il suo piano malvagio di infiltrarsi, tiranneggiare il mondo intero e sradicare tutte le religioni abramitiche e consentire solo il loro talmudismo babilonese noto anche come luciferianesimo, satanismo o antico culto di Baal.

La storia dei Khazariani, in particolare della Mafia Khazariana (MK), il più grande sindacato del crimine organizzato del mondo in cui l’oligarchia Khazariana si è trasformata con il dispiegamento della magia del denaro babilonese, è stata quasi completamente eliminata dai libri di storia.

La “MK” di oggi sa che non può operare o esistere senza una abietta segretezza, e quindi ha speso molti soldi per far cancellare la sua storia dai libri di storia per impedire ai cittadini del mondo di conoscere il suo “Male oltre ogni immaginazione “, che dà potere alla più grande cabala della criminalità organizzata al mondo.

Gli autori di questo articolo hanno fatto del loro meglio per resuscitare questa storia perduta e segreta dei Khazariani e del loro grande Sindacato Internazionale del Crimine Organizzato, meglio denominato Mafia Khazariana (MK) e rendere questa storia disponibile al mondo tramite Internet, che è la nuova Gutenberg Press.

È stato estremamente difficile ricostruire questa storia segreta nascosta del “MK”, quindi scusate eventuali piccole inesattezze o errori non intenzionali e dovuti alla difficoltà nello scovare la vera storia di Khazaria e della sua mafia.

Abbiamo fatto del nostro meglio per ricostruirla.

È stato Mike Harris a collegare i punti e fare la vera scoperta della presenza della storia segreta e del giuramento di sangue della mafia Khazariana per vendicarsi della Russia per aver aiutato gli americani a vincere la guerra rivoluzionaria e la guerra civile, e il loro giuramento di sangue di vendetta contro l’America e gli americani per aver vinto queste guerre e aver sostenuto l’Unione.

Alla Conferenza siriana sulla lotta al terrorismo e all’estremismo religioso il 1° dicembre 2014 — nel suo discorso principale, il redattore e direttore senior di “Veterans Today”, Gordon Duff, ha rivelato pubblicamente per la prima volta in assoluto che il terrorismo mondiale è in realtà dovuto a un grande sindacato internazionale della criminalità organizzata associato a Israele.

Questa divulgazione ha suscitato onde d’urto alla Conferenza e quasi istantaneamente in tutto il mondo, poiché quasi tutti i leader mondiali hanno ricevuto rapporti sulla divulgazione storica di Gordon Duff lo stesso giorno, alcuni in pochi minuti.

 E le onde d’urto del suo storico discorso a Damasco continuano a risuonare in tutto il mondo ancora oggi.

E ora Gordon Duff ha chiesto al presidente Putin di rilasciare l’Intel russa che smaschererà circa 300 traditori al Congresso per i loro gravi crimini seriali e spionaggio legale per conto della mafia Khazariana (MK) contro l’America e molte nazioni del Medio Oriente.

Ora sappiamo che la mafia Khazariana (MK) sta conducendo una guerra segreta contro l’America e gli americani mediante l’uso del terrorismo in stile Gladio sotto falsa bandiera e tramite il sistema illegale e incostituzionale della Federal Reserve, l’IRS, l’FBI, la FEMA, la Patria Sicurezza e TSA.

 Sappiamo per certo che la “MK” è stata responsabile del dispiegamento di un attacco con bandiera falsa in stile Gladio contro l’America il 9-11-2001, così come del Murrah Building Bombing il 19 aprile 1995.

 

La storia nascosta della mafia Khazariana incredibilmente malvagia.

100-800 d.C.: una società incredibilmente malvagia emerge a Khazaria:I Khazariani si trasformano in una nazione governata da un re malvagio, che aveva antiche arti nere babilonesi e oligarchi occulti che servivano come sua corte.

Durante questo periodo, i Khazariani divennero noti nei paesi circostanti come ladri, assassini, banditi stradali e per aver assunto l’identità di quei viaggiatori che hanno ucciso come una normale pratica professionale e stile di vita.

 

800 d.C. L’Ultimatum viene consegnato dalla Russia e da altre nazioni circostanti:

 

I leader delle nazioni circostanti, in particolare la Russia, hanno ricevuto così tanti anni di lamentele dai loro cittadini che, come gruppo, consegnano un ultimatum al re Khazariano.

 Inviano un comunicato al re khazaro che deve scegliere una delle tre religioni abramitiche per il suo popolo, farne la sua religione ufficiale di stato e richiedere a tutti i cittadini khazari di praticarla, e socializzare tutti i bambini khazari a praticare quella fede.

Al re khazaro fu data la possibilità di scegliere tra islam, cristianesimo ed ebraismo. Il re khazaro scelse l’ebraismo e promise di rimanere entro i requisiti stabiliti dalla circostante confederazione di nazioni guidata dallo zar russo. Nonostante il suo accordo e la sua promessa, il re Khazariano e la sua cerchia ristretta di oligarchi continuarono a praticare l’antica magia nera babilonese, nota anche come Satanismo Segreto.

Questo Satanismo Segreto prevedeva cerimonie occulte con il sacrificio di bambini, dopo averli “dissanguati “, bevendo il loro sangue e mangiando i loro cuori.

Il profondo oscuro segreto delle cerimonie occulte era che erano tutte basate sull’antica adorazione di Baal, nota anche come adorazione del gufo.

Al fine di ingannare la confederazione di nazioni guidate dalla Russia che stavano osservando Khazaria, il re Khazariano fuse queste pratiche di magia nera luciferina con l’ebraismo e creò una religione ibrida satanica segreta, nota come Talmudismo babilonese.

Questa divenne la religione nazionale di Khazaria e nutriva lo stesso male per cui Khazaria era noto prima.

Purtroppo, i Khazariani hanno continuato le loro vie malvagie, derubando e uccidendo coloro che dai paesi circostanti hanno viaggiato attraverso Khazaria. I rapinatori Khazariani hanno spesso tentato di assumere la loro identità dopo aver ucciso questi visitatori e sono diventati maestri di travestimenti e false identità – una pratica che hanno continuato fino ad oggi, insieme alle loro cerimonie occulte di sacrificio di bambini, che in realtà sono l’antica adorazione di Baal.

 

1.200 d.C. La Russia e le nazioni circostanti ne hanno abbastanza e agiscono:

Intorno al 1.200 d.C., i russi guidarono un gruppo di nazioni che circondavano Khazaria e la invasero, al fine di fermare i crimini Khazariani contro il loro popolo, che includevano il rapimento dei loro bambini e neonati per le loro cerimonie di sacrificio di sangue a Baal.

 Il re Khazariano e la sua corte interna di criminali e assassini divennero conosciuti come la Mafia Khazariana (MK) dai paesi vicini.

I leader Khazariani avevano una rete di spionaggio ben sviluppata attraverso la quale ottennero un preavviso e fuggirono dalla Khazaria verso le nazioni europee a ovest, portando con sé la loro vasta fortuna in oro e argento.

 Si stabilirono e si raggrupparono, pur assumendo nuove identità.

In segreto, hanno continuato il loro sangue satanico e rituali di sacrificio e si sono fidati di Baal per dare loro il mondo intero e tutte le sue ricchezze, come affermavano che avesse loro promesso, purché continuassero a far sanguinare e sacrificare bambini e neonati per lui.

Il re Khazariano e la sua mafia di corte tramarono una vendetta eterna contro i russi e le nazioni circostanti che invasero Khazaria e li cacciarono dal potere.

La mafia Khazariana invade l’Inghilterra dopo essere stata espulsa per centinaia di anni:

Per portare a termine la loro invasione, assunsero Oliver Cromwell per uccidere il re Carlo 1 e rendere di nuovo l’Inghilterra sicura per le banche.

 Ciò diede inizio alle guerre civili inglesi che imperversarono per quasi un decennio, sfociando nel regicidio della famiglia reale e di centinaia della genuina nobiltà inglese.

È così che la City di Londra è stata istituita come capitale bancaria d’Europa e ha lanciato l’inizio dell’Impero britannico.

La mafia Khazariana (MK) decide di infiltrarsi e dirottare tutte le banche mondiali usando la magia nera babilonese, nota anche come magia babilonese dei soldi o l’arte segreta di fare soldi dal nulla usando anche il potere della perniciosa usura per accumulare interessi:

la” MK” usa la loro vasta fortuna per entrare in un nuovo sistema bancario, basato sulla segreta magia nera babilonese del denaro che affermavano di aver appreso dagli spiriti maligni di Baal, in cambio dei loro numerosi sacrifici di bambini a lui.

Questa magia del denaro babilonese prevedeva la sottostazione di certificati di credito cartacei per depositi di oro e argento, che consentivano ai viaggiatori di viaggiare con i loro soldi in una forma che offriva una facile sostituzione in caso di smarrimento o furto dei certificati.

Interessante come lo stesso problema avviato dai Khazariani abbia avuto anche una soluzione fornita da loro.

Alla fine il re Khazariano e la sua piccola corte circostante si infiltrarono in Germania con un gruppo che scelse il nome “i Bauer” della Germania per rappresentarli e portare avanti il ​​loro sistema malvagio basato su Baal.

I Bauer dello Scudo Rosso, che rappresentavano i loro sacrifici infantili segreti a base di sangue, cambiarono il loro nome in Rothschild (alias “figlio della roccia, Satana”).

 

I Rothschild come “front Men” per la Mafia Khazariana (MK) si infiltrano e dirottano la “British Banking” e poi dirottano                              l’“intera nazione dell’Inghilterra”.

Bauer/Rothschild ebbe cinque figli che si infiltrarono e presero il controllo delle banche europee e del sistema bancario centrale della città di Londra attraverso varie astute operazioni segrete, incluso un falso rapporto sulla vittoria di Napoleone contro gli inglesi, quando in realtà perse.

Ciò ha permesso ai Rothschild di utilizzare la frode e l’inganno per rubare la ricchezza della nobiltà inglese e della nobiltà terriera, che aveva effettuato investimenti commerciali con le istituzioni bancarie della City of London.

“Non mi interessa quale burattino è posto sul trono d’ Inghilterra a governare l’Impero su cui il sole non tramonta mai.

L’uomo che controlla l’offerta di moneta britannica controlla l’impero britannico,

e controlla la fornitura di denaro degli inglesi.”

(Nathan Rothschild).

I Rothschild istituirono un sistema bancario privato                               “Fiat”  specializzato nel ricavare denaro falso dal nulla, addebitando al popolo britannico un’usura perniciosa, utilizzando quello che avrebbe dovuto essere il proprio denaro.

Questa era l’arte nera della magia del denaro babilonese; hanno affermato agli addetti ai lavori che tale tecnologia e potere di denaro segreto erano stati forniti loro da Baal, a causa della frequente offerta di sangue dei loro bambini e dei rituali sacrificali a Baal.

Dopo essersi infiltrati e dirottato il sistema bancario britannico, si sono incrociati con i reali britannici e si sono infiltrati e hanno completamente dirottato tutta l’Inghilterra e tutte le sue principali istituzioni.

 Alcuni esperti ritengono che i Rothschild abbiano genocidiato i membri della famiglia reale mettendo in scena allevamenti illeciti e adulteri gestiti segretamente con i propri uomini Khazariani al fine di sostituire i reali con i propri pretendenti al trono.

La mafia Khazariana (MK) intraprende uno sforzo internazionale per sradicare i re che governano per il diritto divino di Dio Onnipotente.

Perché la “MK” afferma di avere una collaborazione personale con Baal (aka il Diavolo, Lucifero, Satana) a causa dei loro sacrifici a lui.

Detestano qualsiasi re che governi sotto l’autorità di Dio Onnipotente perché la maggior parte sente la responsabilità di assicurarsi che il proprio popolo sia protetto da infiltrati e traditori “Nemici entro i cancelli”.

Nel 1600, la “MK” uccide i reali britannici e li sostituiscono con dei falsi.                       Nel 1700 uccide i reali francesi.

Subito prima della prima guerra mondiale uccide l’arciduca austriaco Ferdinando per iniziare la prima guerra mondiale.

Nel 1917 radunarono il loro esercito “MK”, i bolscevichi, e si infiltrarono e dirottarono la Russia, uccisero lo zar e la sua famiglia a sangue freddo, colpirono con la baionetta la sua figlia prediletta al petto e rubarono tutto l’oro, l’argento e i tesori d’arte russi.

Subito prima della seconda guerra mondiale, uccide i reali austriaci e tedeschi. Quindi si sbarazzano dei reali cinesi e tolgono il potere al sovrano giapponese.

L’intenso odio della mafia Khazariana nei confronti di chiunque professasse fede in un Dio diverso dal loro dio Baal, li ha motivati ​​ad uccidere re e reali e ad assicurarsi che non possano mai governare.

 Hanno fatto lo stesso con i presidenti americani, conducendo sofisticate operazioni segrete per depotenziarli.

 Se ciò non funziona, la “MK” li assassina, come hanno fatto con McKinley, Lincoln e JFK.

La “MK” vuole eliminare qualsiasi sovrano forte o funzionario eletto che osi resistere al loro potere di magia del denaro babilonese o al loro potere segreto guadagnato dal loro dispiegamento della loro rete di compromesso umana.

I Rothschild creano traffico internazionale di stupefacenti per conto della “MK”.

I Rothschild gestirono quindi di nascosto l’Impero britannico e elaborarono un piano malvagio per recuperare le enormi quantità di oro e argento che gli inglesi avevano pagato alla Cina per la sua seta e spezie di alta qualità che non erano disponibili da nessun’altra parte.

I Rothschild, attraverso la loro rete di spionaggio internazionale, avevano sentito parlare dell’oppio turco e delle sue caratteristiche che creano assuefazione.

 Hanno dispiegato un’operazione segreta per acquistare oppio turco e venderlo in Cina, assuefacendo milioni di persone con una cattiva abitudine all’oppio che ha riportato oro e argento nelle casse dei Rothschild, ma non al popolo britannico.

Le dipendenze da oppio create dalle vendite di oppio dei Rothschild alla Cina hanno danneggiato la Cina così tanto che la Cina è entrata in guerra in due occasioni per fermarla.

Queste guerre erano conosciute come le Ribellioni dei Boxer o le Guerre dell’Oppio. Il denaro guadagnato dai Rothschild dalla vendita dell’oppio era così vasto che divennero ancora più dipendenti dal denaro facile di quanto lo fossero i tossicodipendenti dall’oppio.

I Rothschild furono la fonte di finanziamento dietro l’istituzione delle colonie americane, incorporando la Compagnia della Baia di Hudson e altre società commerciali per sfruttare il Nuovo Mondo delle Americhe.

Furono i Rothschild a ordinare lo sterminio di massa e il genocidio degli indigeni del Nord America per consentire lo sfruttamento delle vaste risorse naturali del continente.

I Rothschild seguirono lo stesso modello di business anche nei Caraibi e nel subcontinente asiatico dell’India, provocando l’omicidio di milioni di persone innocenti.

I Rothschild avviano la tratta internazionale degli schiavi, un’impresa che vedeva questi umani rapiti come semplici animali, una visione che i Khazariani avrebbero imposto a tutte le persone del mondo che non facevano parte del loro circolo malvagio, che alcuni chiamavano la “vecchia nobiltà nera “.

Il prossimo grande progetto dei Rothschild fu quello di avviare la tratta mondiale degli schiavi, comprando schiavi da capi tribù disonesti in Africa che lavoravano con loro per rapire membri di tribù in competizione per venderli come schiavi.

I mercanti di schiavi Rothschild portarono quindi questi schiavi rapiti sulle loro navi in ​​celle anguste in America e nei Caraibi dove furono venduti.

 Molti sono morti in mare a causa delle cattive condizioni.

I banchieri Rothschild appresero presto che la guerra era un ottimo modo per raddoppiare i loro soldi in breve tempo prestando denaro a entrambe le parti in guerra.

Ma per essere garantiti gli incassi, dovevano far approvare leggi fiscali, che potevano essere utilizzate per forzare il pagamento.

 

I banchieri privati contraffatti con la moneta” Fiat” ​​della “MK” e i Rothschild tramano vendetta eterna contro i coloni americani e la Russia che li hanno aiutati per aver perso la guerra rivoluzionaria.

Quando i Rothschild persero la rivoluzione americana, incolparono lo zar russo e i russi per aver aiutato i coloni bloccando le navi britanniche.

Giurarono vendetta eterna sui coloni americani, proprio come avevano fatto quando i russi e i loro alleati schiacciarono Khazaria nel 1000 d.C.

I Rothschild e la loro oligarchia inglese che li circondava progettarono modi per riconquistare l’America, e questa divenne la loro principale ossessione.

 Il loro piano preferito è quello di creare una banca centrale americana, caratterizzata dalla magia del denaro babilonese e dalla contraffazione segreta.

I Rothschild e la “MK” tentano di riconquistare l’America nel 1812 per conto della mafia Khazariana ma falliscono, ancora una volta a causa dell’interferenza russa.

 

Questo fallimento fece infuriare i Rothschild della “MK”, e ancora una volta tramarono una vendetta eterna sia contro i russi che contro i coloni americani e pianificarono di infiltrarsi e dirottare entrambe le nazioni e privare di risorse, tiranneggiare e poi assassinare in massa entrambe le nazioni e la loro popolazione.

 I tentativi della “MK” di creare una banca centrale americana privata sono bloccati dal presidente Andrew Jackson, che li ha definiti satanici e ha promesso di scacciarli dalla grazia e dal potere di Dio Onnipotente.

I banchieri Rothschild si raggruppano e continuano i loro tentativi segreti di installare la propria banca babilonese della magia del denaro in America.

Infine, nel 1913, la Rothschild e la” MK” riescono a stabilire una grande testa di ponte all’interno dell’America – e un malvagio nemico di tutti gli americani entra nelle porte dell’America.

Nel 1913, il Rothschild e la “MK” riuscirono a stabilire una testa di ponte corrompendo membri del Congresso disonesti e traditori affinché approvassero l’illegale, incostituzionale Federal Reserve Act alla vigilia di Natale senza un quorum richiesto.

L’atto è stato poi firmato da un presidente corrotto, che era un traditore dell’America, come i membri del Congresso che l’hanno votato.

 I Rothschild “MK” hanno creato un sistema fiscale illegale in America.

La “MK “ha messo in atto un sistema fiscale illegale e incostituzionale, al fine di assicurarsi che gli americani avrebbero dovuto pagare per spese USG di alto livello, approvate da un compratore, corrotto il Congresso e i burattini presidenziali, messi in atto dal finanziamento corrotto della campagna della “MK”.

 È facile per la” MK” raccogliere abbastanza soldi per eleggere chi vuole, perché quando controlli una banca che è un importante falsario segreto, hai tutti i soldi fatti per te che desideri.

 Più o meno nello stesso periodo in cui hanno creato il loro sistema fiscale illegale in America, hanno anche corrotto i membri del Congresso per approvare

l’“Internal Revenue Service”, che è la loro agenzia di riscossione privata costituita a Porto Rico.

Poco dopo, hanno istituito il Federal Bureau of Investigation per proteggere i loro banchieri, per soddisfare le loro esigenze di copertura e impedire che non venissero mai perseguiti per i rituali di sacrificio dei loro bambini, le reti di pedofili; e di fungere anche da operazione segreta di Intel per loro conto.

Si noti che l’FBI non ha uno statuto ufficiale, secondo la Library of Congress, e non ha il diritto di esistere o di emettere buste paga.

Il Rothschild e la MK hanno organizzato e finanziato la rivoluzione bolscevica in Russia per ottenere una vendetta incredibilmente selvaggia e sanguinosa sui russi innocenti, che avevano complottato per molti anni, da quando Khazaria fu distrutta.

i Rothschild e la MK hanno pre-inscenato e organizzato la rivoluzione russa utilizzando le sue banche centrali per pagare l’infiltrazione bolscevica della Russia e la loro rivoluzione a nome della mafia Khazariana (MK).

I bolscevichi furono in realtà creati e schierati dalla mafia Khazariana (MK) come parte essenziale della loro vendetta a lungo pianificata sullo zar russo e sul popolo russo innocente per aver disgregato Khazaria intorno al 1.000 d.C. per le sue ripetute rapine, omicidi e furti di identità di viaggiatori provenienti dai paesi che circondano la Khazaria.

Questo fatto poco noto spiega l’estrema violenza perpetrata sulla Russia come vendetta di lunga data dalla mafia Khazariana (MK) controllata dai Rothschild.

In uno spargimento di sangue selvaggio e disumano ben pianificato che ha sbalordito il mondo, i bolscevichi si sono scatenati in piena furia per conto della “MK” per vendicarsi dei russi. Questo era stato pianificato dalla distruzione della Khazaria.

I bolscevichi, sotto la direzione del Rothschild “MK”, violentarono, torturarono e uccisero in massa circa 100 milioni di russi, tra cui donne, bambini e neonati. Alcune delle torture e dei salassi sono stati così estremi che non ne parleremo qui in questo articolo.

Ma i lettori che vogliono sapere possono fare ricerche approfondite su Internet sul “Terrore rosso” o sulla “Cheka bolscevica” o guardare il film classico “The Checkist” che è disponibile.

(youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=oui8KjzgQVY)

La Mafia Khazarian (MK) dei Rothschild ha deciso ancora una volta di immergersi nelle pecore e si è infiltrata e ha dirottato tutto il giudaismo.

Il Rothschild con la “MK” ha creato un piano generale per controllare tutto il giudaismo e il controllo mentale giudaico.

 I Rothschild Mafiosi Khazariani hanno dirottato l’ebraismo, lo hanno modellato sul talmudismo babilonese (luciferismo o satanismo) e hanno ottenuto il controllo sulle professioni bancarie e di Wall Street in generale, il Congresso, i principali mass media; insieme alla maggior parte della ricchezza e dei mezzi economici di successo.

Pertanto, i Rothschild e la “MK” potrebbero distribuire ricchezza e successo a quei giudaici che bevevano il loro Kool-aide e li usavano come ritagli, risorse e Sayanim. In questo modo, i Rothschild dirottarono il giudaismo.

Il loro finanziamento della Knesset israeliana e la sua costruzione utilizzando l’architettura occulta massonica hanno mostrato il loro impegno per il talmudismo occulto e babilonese e tutto il male che lo accompagnava, incluso il sacrificio di bambini al loro dio segreto Baal.

Istituirono un sistema NWO chiamato World Sionism che insegnava e inculcava ai giudaici suscettibili un’illusione di gruppo paranoico di superiorità razziale, che presumeva che tutti i gentili fossero intenzionati a uccidere in massa tutti i giudaici.

L’architettura della Massoneria è stata utilizzata nell’edificio della Knesset e della Corte Suprema israeliana, vista attraverso le finestre.

 Hanno chiamato questa illusione giudaica di massa razzialmente paranoica della conquista del mondo, “sionismo mondiale “, che è in realtà una forma di talmudismo babilonese o luciferianismo nascosto che era sconosciuto ai giudaici tradizionali.

Il sistema è stato progettato per utilizzare i giudaici come copertura, ma anche per ungerli con il potere monetario babilonese, per usarli come ritagli e per essere successivamente sacrificati a Lucifero in due fasi.

La prima fase sarebbe stata una seconda guerra mondiale pianificata nei campi di lavoro nazisti, tagliata fuori dai rifornimenti, con conseguente morte di circa 200.000 giudaici per fame e malattie, insieme a circa 90.000 detenuti non giudaici per le stesse cause, secondo le cifre ufficiali della rispettata “Croce Rossa”.

Questo numero è il 5% di quello che afferma la mafia Khazariana (alias i sionisti mondiali).

Il secondo grande sacrificio sarebbe stato l’ultimo, quando il loro Re Luciferino del Nuovo Ordine Mondiale sarebbe stato messo al potere e tutte e tre le religioni abramitiche sarebbero state sradicate, in particolare l’ebraismo, che sarebbe stato accusato di tutte le guerre e la distruzione del mondo.

A quel punto, i Rothschild si sarebbero nuovamente trasformati in una nuova identità completamente non associata al giudaismo in nessuna forma, nemmeno al sionismo mondiale.

 È importante rendersi conto che il Rothschild e la MK hanno ridotto al minimo la Germania dopo la prima guerra mondiale, hanno creato un vuoto per il fascismo e poi lo hanno ricostruito, creando il nazismo e installando Hitler come forza contraria al loro bolscevismo russo.

 

Hitler divenne un problema per la “MK” quando si liberò e iniziò ad agire nell’interesse del popolo tedesco e del popolo libero del mondo, e sviluppò il proprio sistema bancario libero dai Rothschild.

Hitler introdusse un sistema finanziario privo di usura e vantaggioso per la classe operaia.

Ciò imponeva la totale distruzione della Germania e del popolo tedesco, perché i Rothschild e i Khazariani non avrebbero mai potuto permettere l’esistenza di un sistema economico che non dipendesse dall’usura.

(NDT: Qui ci sarebbe da scrivere un’altra storia per raccontare di una parte di quei nazisti che grazie a contatti canalizzati (Maria Orsic, Club Thule, viaggi in India e relative scoperte) ottennero informazioni per sviluppare dischi volanti, una parte che poi si separò creando una base in Antartide.)

Vediamo la stessa cosa oggi con la guerra Khazariana contro l’Islam, perché l’Islam proibisce l’usura.

 Questo è il motivo per cui Israele è così esplicito e aggressivo nel distruggere il popolo islamico del mondo.

La “MK” si aspettava che questa fosse una grande seconda guerra mondiale e quando hanno sostenuto entrambe le parti, questo potrebbe essere utilizzato per industrializzare il mondo intero e massimizzare il loro potere monetario bankster.

I Rothschild della “MK” hanno quindi corrotto e indotto i membri del Congresso per inviare soldati americani alla loro prima guerra mondiale ingegnerizzata.

Come continuazione del loro modello ben collaudato di finanziamento di entrambe le parti in qualsiasi guerra per massimizzare i profitti, l’acquisizione di più soldi delle tasse federali e un maggiore potere internazionale, i Rothschild Khazariani ancora una volta hanno corrotto, ricattato e indotto i membri del Congresso a dichiarare guerra alla Germania nel 1917.

 

Ciò è stato facilitato da un attacco sotto falsa bandiera della “MK” con l’affondamento del Lusitania.

Da allora il Rothschild e la “MK” hanno sviluppato il solito schema di organizzare segretamente attacchi sotto falsa bandiera come procedura operativa standard per indurre gli americani a combattere guerre per la mafia Khazariana.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il Rothschild e la “MK” hanno dispiegato la Guerra Fredda e lo usarono come scusa per portare scienziati nazisti ed esperti di controllo mentale in America nell’ambito dell’operazione “Paperclip”.

Ciò ha permesso loro di creare un sistema di spionaggio mondiale che ha superato di gran lunga qualsiasi loro sforzo precedente.

Con questo nuovo sistema, continuano a infiltrarsi e dirottare tutte le istituzioni americane, inclusi i vari sistemi ecclesiastici americani, la Massoneria (in particolare il Rito Scozzese e il Rito di York), le forze armate statunitensi, l’intelligence statunitense e la maggior parte degli appaltatori della difesa privata, la magistratura e la maggior parte agenzie dell’USG, inclusa la maggior parte dei governi statali, e anche entrambi i principali partiti politici.

La Commissione Rothschild.

 I Rothschild con la “MK” hanno istituito i campi di lavoro nazisti come pretesto per manipolare in seguito gli alleati affinché concedessero loro la propria colonia privata in Palestina, usando la terra rubata ai palestinesi.

I Rothschild e la “MK” sono stati in grado di usare il loro auto-etichettato erroneamente, il cosiddetto “olocausto” per fungere da innesco di controllo mentale per contrastare e resistere a qualsiasi critica ai loro modi sionisti.

La verità era che i Rothschild e la “MK” istituirono i campi di lavoro nazisti per realizzare enormi profitti per le loro società che gestivano i loro campi di lavoro e fornivano la loro macchina da guerra nazista.

Una volta che i Rothschild e la “MK” ottennero la loro patria privata in Israele nel 1947 attraverso le loro manipolazioni politiche segrete, iniziarono a vedere segretamente tutta la Palestina come la loro Nuova Khazaria e iniziarono a complottare su come genocidiare tutti i palestinesi e rubare tutta la Palestina per sé stessi.

I loro piani includono la loro fantasia di costruire un “grande Israele” conquistando l’intero Medio Oriente e manipolando stupidi goy americani affinché combattano e muoiano per loro conto, prendendo tutte le terre arabe per Israele e la mafia Khazariana (MK), in modo che possano privare di risorse la loro ricchezza e le risorse naturali, in particolare il loro petrolio greggio.

Una recente ricerca genetica Johns Hopkins sottoposta a revisione paritaria da un rispettato medico giudaico mostra che il 97,5% dei giudaici che vivono in Israele non hanno assolutamente DNA ebraico antico, quindi non sono semiti e non hanno alcun legame di sangue antico con la terra di Palestina.

Al contrario, l’80% dei palestinesi porta l’antico DNA ebraico e quindi sono veri semiti e hanno antichi legami di sangue con la Terra palestinese.

Ciò significa che i veri antisemiti sono gli israeliani che stanno rubando le terre palestinesi per costruire insediamenti israeliani, e sono gli israeliani che tiranneggiano e uccidono in massa palestinesi innocenti.

I Rothschild e la “MK” decidono di trasformarsi di nuovo ed espandere i propri ranghi.

Nel frattempo i Rothschild e la MK si sono resi conto che non avrebbero potuto rimanere nascosti molto più a lungo dal pubblico a meno che non si fossero trasformati di nuovo e ampliato la loro leadership segreta.

Quindi hanno lavorato duramente per infiltrarsi ulteriormente e dirottare la Massoneria e le sue propaggini segrete, e hanno introdotto i membri più importanti nella loro rete di pedofili e nei rituali di sacrificio dei bambini.

Inoltre, i membri chiave del Congresso sono stati introdotti nella loro rete satanica segreta dando loro potere speciale, alte posizioni USG, militari e Intel, accompagnati da grandi ricompense monetarie e status elevato.

 I massicci fronti di spionaggio della “MK” che utilizzavano il doppio cittadino israelo-americano “primo israeliano” come ritagli sono stati istituiti all’interno dell’America per incanalare i soldi falsi dei banchieri Khazariani ai politici per le loro campagne elettorali, al fine di possederli e controllarli quando eletti.

Il Rothschild con la “MK hanno deciso di controllare mentalmente le masse americane per rendere molto più facile manipolarle e farle approvare le loro guerre perpetue illegali, incostituzionali, non provocate, non dichiarate, non vincibili e necessarie per realizzare enormi profitti e ottenere più potere mondiale.

Il Rothschild e “MK” hanno deciso di ottenere il controllo completo su tutta l’istruzione pubblica istituendo il Dipartimento dell’Istruzione e creando programmi di studio globalisti e socialisti basati sulla correttezza politica, sulla diversità e sugli insegnamenti della “perversione è normale”.

Il fluoro viene aggiunto all’acqua pubblica e al dentifricio, e i dentisti sono mentalmente controllati dal credere che il fluoro prevenga la carie e non sia dannoso per la funzione cerebrale o la funzione tiroidea, come invece è.

L’aggiunta di fluoro alla rete idrica pubblica e al dentifricio serve a sbalordire gli americani abbassando in media il QI operativo e rendendo le persone molto più docili di quanto sarebbero normalmente.

Sono stati avviati programmi per sviluppare e distribuire vaccinazioni ai bambini stupidi e creare un numero enorme di futuri problemi di salute cronici. I medici sono stati controllati mentalmente e fuorviati da ricerche di parte che sono state selezionate con cura, ignorando tutti gli studi negativi – e che includevano la maggior parte di essi. Tutte le linee cellulari del vaccino sono contaminate da SV-40, un noto virus cancerogeno ad azione lenta.

La “MK” ha usato il suo potere monetario per ottenere il controllo su tutte le scuole di medicina allopatica e ha istituito e controllato “l’American Medical Association “e altre società mediche, al fine di assicurarsi che il loro programma basato su bugie e inganni fosse continuato.

Parte di questo enorme piano per ammutolire e controllare la mente le masse americane è stato l’acquisto da parte della “MK” e il consolidamento di tutti i mass media americani in sei principali mass media (CMMM) controllati, di proprietà e controllati dai loro ritagli per loro conto.

 Il CMMM funziona come un cartello di notizie illegale e dovrebbe essere smantellato secondo le leggi antitrust e per aver inflitto spionaggio e propaganda illegale come arma di guerra contro il popolo americano.

 

I Rothschild e ”MK” Chieftains decisero che era tempo di usare l’America per completare la loro definitiva distruzione e occupazione del mondo intero istituendo un grande attacco sotto falsa bandiera all’interno dell’America per incolpare gli islamici che vogliono che l’America attacchi ingiustamente per loro conto.

Quindi la “MK” Chieftains usa i loro migliori cittadini israeliani-americani “primo israeliano” che vivono in America (alias, i PNACers e i migliori NeoCon Cutouts) per pianificare un grande attacco nucleare contro l’America l’11 settembre 2001.

Bibi Netanyahu, capo operativo della “MK”, ha schierato il Mossad e questi Dual Citizens per organizzare e istituire questo attacco all’America che doveva essere imputato dal CMMM ai musulmani.

 

Hanno informato i loro migliori rabbini e “Amici del sionismo mondiale” di non volare quel giorno e di rimanere fuori New York, così come “Larry Silverfish“, uno dei principali uomini coinvolti nell’operazione.

Hanno usato il loro ritaglio principale nel DOD per attirare gli investigatori di Able Danger nella sala riunioni dell’Intel navale del Pentagono, dove sarebbero stati assassinati da un missile da crociera Tomahawk sparato da un sottomarino Diesel israeliano di classe Dolphin acquistato dalla Germania.

Trentacinque degli investigatori di Able Danger che stavano indagando e monitorando il furto israeliano di 350 pozzi nucleari W-54 Davy Crockett dismessi fuori dalla porta sul retro di Pantex in Texas sono stati assassinati da questo colpo di Tomahawk, che è stato programmato con la detonazione di bombe prima -piantato nell’ala Naval Intel, che è stata recentemente rafforzata senza alcun risultato.

La società di facciata del Mossad israeliano, “Urban Moving Systems”, è stata utilizzata per trasportare le mini-bombe nucleari prodotte dalle fosse nucleari W-54 rubate da Pantex (e originariamente realizzate nell’impianto di lavorazione di Hanford), dove erano immagazzinate nell’ambasciata israeliana a New York e trasportate alle Torri Gemelle per la detonazione del 9-11-2001.

I Rothschild e la “M”K hanno piazzato 25 armi nucleari nelle principali città americane e in altre grandi città europee per ricattarle. Questa è indicata come la loro opzione Samson ed è stata scoperta e divulgata per la prima volta da Seymour Hersh.

Il Rothschild e la ”MK ha anche ottenuto alcune testate S-19 e S-20 da un membro corrotto del Congresso incaricato di acquistare Mirv ucraini per conto dell’USG al fine di dismetterli.

 Invece, li ha venduti agli israeliani e ha diviso il denaro con altri importanti membri del Congresso coinvolti.

 

Questo è alto tradimento e un reato capitale punibile con l’esecuzione.

Subito dopo il loro attacco all’America, i Rothschild e la “MK” hanno detto all’amministrazione statunitense che avrebbero fatto esplodere bombe nucleari delle dimensioni di un assassino in alcune città americane, inclusa Washington, se l’amministrazione si fosse rifiutata di consentire a Israele di creare la propria grande forza di occupazione dello stato di polizia all’interno dell’America, basato sul consolidamento di tutte le forze dell’ordine americane e degli alfabeti sotto un unico controllo israeliano centrale.

Questa nuova forza di occupazione israeliana chiamata “Homeland Security” (DHS) era inizialmente gestita da doppia cittadinanza e pervertiti.

 L’ex direttore del DHS Janet Napolitano è stato citat in giudizio per molestie sessuali su uomini che lavorano al DHS a cui ha ordinato di spostare i loro uffici nel gabinetto degli uomini.

Il traditore” Dual Citizen Michael Chertoff”, (nome tradotto dal russo come “figlio del diavolo “), è stata la mente criminale che ha creato il DHS, insieme all’ex capo della Stasi della Germania orientale, Marcus Wolfe, che è stato assunto come consulente speciale e morì misteriosamente non appena la sua missione fu completata.

I Rothschild e la “MK” non avrebbero mai pensato che sarebbero stati smascherati per il loro attacco nucleare contro l’America l’11-9-2001, ma hanno commesso uno dei più grandi errori tattici della storia e hanno giocato troppo a causa dell’eccessiva arroganza, basata su un successo troppo facile dovuto al loro potere monetario estremo in passato.

Presto l’America mainstream saprà che Bibi Netanyahu e il suo Partito Likudist hanno schierato l’attacco contro l’America l’11 settembre 2001 a nome dei Rothschild e “MK”.

 

Pensavano di avere il controllo completo sul CMMM e di poter impedire che qualsiasi indagine segreta dell’AIEA e dei Sandia Labs venisse mai divulgata al pubblico americano.

Hanno commesso un grave errore tattico, perché ora la verità sul loro ruolo nell’attacco dell’11 settembre all’America è stata pubblicata su Internet, la nuova Gutenberg Press mondiale.

Ciò che i Rothschild e “MK” non capivano era il potere di Internet e come le pepite della verità pubblicate e trasmesse su di esso risuonano con le persone del mondo e si diffondono a macchia d’olio, alla velocità della luce.

 La verità viene diffusa alle masse ovunque.

Questo incredibile errore tattico della “MK” è così grande che li condannerà effettivamente alla completa esposizione e all’eventuale completa distruzione che meritano.

 L’ordine di Bibi Netanyahu di procedere e consegnare l’attacco nucleare all’America l’11 settembre 2001 passerà alla storia come uno dei più grandi errori dei MK e quello che sarà accusato della loro esposizione e distruzione da parte del mondo che ora si sta allestendo contro di loro.

I russi hanno ora fatto trapelare i file dell’AIEA e Sandia Labs e Able Danger forniti loro da Edward Snowden.

 Presto tutti questi file saranno forniti a tutti gli americani e al mondo tramite Internet, e questo non può essere fermato.

Un certo numero di russi nell’Alto Comando Militare in Russia e nelle più alte posizioni di leadership nel governo russo si rendono conto che è stata la stessa Cabala del crimine organizzato che ha organizzato i Khazariani in bolscevichi per uccidere in massa 100 milioni di russi innocenti – e questi uomini voglio il rimborso.

 

Questo è il motivo per cui si stanno assicurando che i banchieri Rothschild vengano messi fuori mercato, il che decapiterà la mafia Khazariana dalla sua infinita ed elastica offerta di moneta contraffatta.

 Questo è il motivo per cui è stata creata la “BRICS Development Bank”, per sostituire il “Petro Dollar USA” come valuta di riserva mondiale, ma questa, a differenza del Petro Dollar USA, è supportata da oro, argento e materie prime reali, senza che sia consentita la contraffazione.

Il CMMM sta fallendo e la maggior parte degli americani non crede più a nessuna delle loro storie nazionali in prima serata, in particolare la folla sotto i trent’anni, che raccoglie fatti da Internet e costruisce le proprie convinzioni.

Così tanti utenti di Internet ora rifiutano il CMMM che la verità sugli israeliani che attaccano l’America l’11 settembre 2001 sta diventando ogni giorno più facile da credere.

Presto tutta l’America tradizionale saprà che Bibi Netanyahu, il suo Mossad e la doppia cittadinanza hanno fatto l’attacco dell’11 settembre 2001 all’America.

L’alto comando militare americano sa che Bibi Netanyahu ha ordinato al suo Mossad e ai Dual Citizens negli Stati Uniti di attaccare l’America usando armi nucleari il 9-11-2001 per conto della Mafia Khazariana (MK) dei Rothschild.

Varie operazioni segrete sotto copertura vengono ora dispiegate a livello globale per esporre e decapitare i Rothschild MK dalla loro infinita ed elastica offerta di denaro.

I loro giorni di potere antiumano sono ora limitati.

La squadra americana segreta e incredibilmente ben addestrata chiamata “Nuclear Snake-Eaters” è ora al lavoro per cercare tutte le borse e le spedizioni diplomatiche israeliane in arrivo.

Guidando e sorvolando sinagoghe e ambasciate israeliane e rifugi del Mossad con rivelatori di raggi gamma ed elio-3 ad alta tecnologia;

e utilizzando satelliti ultra high-tech personalizzati e focalizzati per cercare eventuali pozzi nucleari immagazzinati, oltre a lavorare sodo per recuperare tutti i pozzi nucleari rubati dagli israeliani in qualsiasi parte del mondo al di fuori di Israele.

Questa squadra super d’élite è stata allertata dalla telefonata di Michael Shrimpton all’MI-6 che li informava che un “City Buster” israeliano era stato piazzato vicino allo stadio olimpico.

 Questa chiamata lo ha erroneamente portato in prigione.

Il City Buster fu recuperato dai “Nuclear Snake-eaters“che entrarono in Inghilterra e recuperarono e disarmarono un grande city buster.

Purtroppo l’MI-6, ha voluto che questa bomba atomica fosse fatta esplodere per ottenere più potere per la mafia Khazariana in Inghilterra – la loro base all’interno del distretto finanziario della città di Londra – poiché ha perso potenza rapidamente.

Gog e Magog di Londra. Un nome segreto per questi “MK” Chieftain che gestiscono gran parte del mondo fuori dalla City di Londra è Gog e Magog, nonostante quello che molti storici credono sia il nome segreto della Russia, ma non lo è.

È il nome segreto dei migliori MK e, a quanto pare, rappresenta la loro origine.

La squadra segreta di super-elite “Divoratori di serpenti nucleari” è pronta per essere schierata in Israele in qualsiasi momento, se la nazione dovesse crollare dopo che la maggior parte delle società europee ha disinvestito da Israele e gli Stati Uniti interrompessero tutti gli aiuti, al fine di conformarsi alla legge americana.

È illegale dare aiuti a una nazione che ha armi nucleari e che non ha firmato l’accordo di non proliferazione nucleare.

 Israele ha armi nucleari rilevabili dai sensori satellitari dell’elio-3 e non l’ha mai ammesso, né ha firmato l’accordo di non proliferazione nucleare.

Dobbiamo tutti chiedere che il nostro Congresso e la nostra amministrazione obbediscano alla legge e interrompano immediatamente tutti gli aiuti monetari e militari a Israele e arrestino tutti i direttori del fronte spionaggio israeliano dell’AIPAC, del JINSA, del Defense Policy Board, del “Joint” di New York e l’ADL, ecc.

Non è noto, ma si sospetta che un numero significativo di queste armi nucleari rubate sia già stato recuperato.

 È stato riferito da addetti ai lavori che un messaggio molto solenne è stato comunicato a Bibi Netanyahu e ai suoi Likudisti, così come a tutti i membri di spicco dei fronti di spionaggio israeliano in America, come AIPAC, JINSA, il Defense Policy Board, l’ADL e simili.

Qual era questo grave avvertimento?

Se i rapporti interni sono accurati, a queste persone è stato detto che se c’è un altro attacco sotto falsa bandiera con base israeliana, coloro che l’hanno ordinato o sono stati coinvolti saranno braccati dalla sicurezza nazionale americana ed eliminati, e le strutture di difesa israeliane associate a tale volontà saranno trasformate in polvere.

Il resto della storia di Rothschild e MK sarà probabilmente determinato da VOI.

Il futuro dei Rothschild e MK sarà probabilmente determinato dai lettori di “Veterans Today” e da “We The People” che apprenderanno la storia segreta e proibita della mafia Khazariana che è stata eliminata dai libri di storia e dalle biblioteche del “KM” per proteggere la loro storia malvagia che nessuno avrebbe voluto accettata se fosse nota.

Quindi condividi questa storia con la tua famiglia, i tuoi amici e i tuoi colleghi e falla diventare virale. Siate chiari su questo: a meno che la “MK” non sia in grado di operare in assoluta segretezza, sarà attaccata da tutte le parti e distrutta per sempre. Quindi togli la loro segretezza esponendo la loro storia nascosta affinché tutti gli americani possano conoscerla e comprenderla.

Questo è il motivo per cui hanno lavorato così duramente per acquistare e controllare il CMMM e l’istruzione pubblica di massa, inclusi college e università, per assicurarsi che le persone del mondo non scoprissero mai il loro male segreto, che è così disumano, così omicida che il mondo intero si alleerebbe contro di loro e li attaccherebbe da tutte le parti a tutti i livelli in cui esistono.

La grande domanda rimane: la vera causa dell’incredibile malvagità e ferocia dei leader della mafia Khazariana nei confronti della razza umana era un sottoprodotto, una natura o un’alimentazione?

Alcuni credono che questo grossolano parassitismo e inclinazione all’omicidio di massa, alla pedofilia e allo spargimento di sangue di bambini e al sacrificio di bambini sia dovuto a una cultura tossica, meglio descritta come tribalismo maligno, caratterizzata da un’illusione di superiorità razziale di gruppo paranoico.

Altri pensano che i capi della “MK” siano la stirpe di Caino, cioè i “figli di Caino”, che sono propri del Diavolo e non hanno assolutamente anima o coscienza umana, ma sono puri predatori come una bestia feroce — mentre allo stesso tempo essendo incredibilmente bifronte, è in grado di mettere su una buona truffa e una bella faccia all’esterno.

 Forse potrebbero essere entrambi i fattori. In ogni caso, è tempo di smascherare questo male, il più grande male che il mondo abbia mai sperimentato. È tempo che il mondo lavori insieme per sradicare questo problema ora e per sempre, con qualsiasi mezzo necessario.

(Si può effettivamente partecipare agli sforzi globali per paralizzare la capacità di genocidio della cabala criminale organizzata del Deep State, godendo allo stesso tempo della libertà sanitaria, boicottando definitivamente Big Pharma).

(Mike Harris è l’editore finanziario di “Veterans Today”).

 

Secondo Bill Gates dopo il Covid saranno

queste le prossime minacce per l'umanità.

Gqitalia.it - Marco Perisse – (11 febbraio 2021) – ci dice:

 

Il fondatore di Microsoft, che in un discorso del 2015 aveva anticipato il pericolo di una pandemia globale, torna a metterci in guardia contro due minacce che non dobbiamo sottovalutare.

Il Covid-19 è ancora una questione tutt'altro che risolta, ma nel frattempo già si parla dei problemi che l'umanità dovrà affrontare in futuro.

 È Bill Gates a farlo, per la precisione: il fondatore di Microsoft, che nel 2015 avevamo (clamorosamente) anticipato in un discorso il tema di virus e pandemie è tornato a metterci in guardia contro una serie di minacce che si intravedono all'orizzonte.

E, inevitabilmente, questa volta le sue parole hanno assunto un peso molto, molto differente.

Pandemie, animali e natura.

Secondo numerosi esperti, d'altronde, saremmo entrati in quella che in modo un tantino brutale potremmo chiamare “era delle pandemie”, di cui il Covid è stato un capitolo particolarmente significativo a livello mondiale.

 Ma facciamo un passo indietro.

La maggior parte delle malattie di cui gli esperti si preoccupano oggi ha origine negli animali, secondo un processo chiamato zoonosi dai due termini greci zoo (animale) e nosos (malattia).

Il Covid - a quanto ne sappiamo per il momento - potrebbe essere stato veicolato dal pangolino.

Ma come che sia, secondo gli studiosi è la stessa vicinanza degli esseri umani sempre più stretta con gli animali selvatici, a causa dell'invasione antropica dei loro habitat naturali, a metterci in contatto col pericolo di altri contagi.

La caccia e il commercio degli animali selvatici, come pure la distruzione degli ecosistemi e la facilità e rapidità degli spostamenti, accrescono contatti e interazioni tra selvatici e umani favorendo il salto di specie (spillover) e la trasmissione di malattie.

 Già secondo una ricerca pubblicata l'anno scorso su “Proceedings of the Royal Society B”, tra le specie minacciate di estinzione perché perseguitate o vittime della perdita di habitat naturali è elevata la quota di virus zoonotici.

Le specie domestiche sono responsabili dal canto loro di circa la metà delle zoonosi virali.

Nelle mucche e nei maiali albergano 31 virus zoonotici, per esempio.

 Il ceppo influenzale H1N1 è di origine suina.

 Fra le specie selvatiche nei roditori, primati e pipistrelli si concentrano il 75,8% dei patogeni virali.

 Studi recenti ipotizzano che già tra il Neolitico e l'Età del Bronzo le popolazioni europee furono flagellate dalla peste (causata dal batterio Yersinia pestis) a causa della concentrazione di uomini e animali in conglomerati promiscui.

In uno studio del Wwf pubblicato lo scorso marzo (intitolato Pandemie, l'effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi) si nota:

 «Alla base dell'origine del nuovo coronavirus c'è il fenomeno dello spillover, o salto interspecifico, il momento in cui un patogeno passa da una specie ospite a un'altra, in questo caso da animale a uomo.

 I più probabili serbatoi del virus Sars-CoV-2 ci sono alcune specie di chirotteri (pipistrelli), ma rimane aperta anche l'ipotesi che a facilitarne la diffusione come ospiti intermedi siano stati i pangolini».

 Prosegue il Wwf: «Recentemente, approfondite ricerche hanno messo in relazione il ruolo importante dell'alterazione degli ecosistemi sulla nascita e diffusione di malattie infettive.

Gli scienziati di tutto il mondo sono consapevoli che tra le cause della diffusione di malattie infettive emergenti, come Ebola, febbre emorragica di Marburg, Sars, Mers, febbre della Rift Valley, Zika e molte altre ancora, vi siano fattori importanti come la perdita di habitat, la creazione di ambienti artificiali, la manipolazione e il commercio di animali selvatici e più in generale la distruzione della biodiversità». 

Secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità, il virus Nipah è collegato a 10 malattie prioritarie che l'Oms ritiene possano causare una pandemia.

Poi ci sono le zanzare nel Nord America: ogni anno, le malattie trasmesse dalle zanzare uccidono quasi 1 milione di persone e ne infettano circa 700 milioni, quasi una persona su 10 in tutto il mondo.

 E ancora, i cammelli, da cui dipendono milioni di persone in Africa e in Medio Oriente per latte e carne, che possono veicolare il Mers, un coronavirus molto più letale del Covid-19 anche se è stato più facilmente circoscritto proprio a causa della sua letalità.

Sebbene esista un vaccino contro la febbre gialla, portata dalle scimmie, la malattia infetta circa 200mila persone e ne uccide 30mila ogni anno.

Che cosa ha detto Bill Gates.

Il fondatore di Microsoft, Bill Gates, che da tempo solleva l'attenzione su queste tematiche, ritiene che il mondo non sia pronto per la prossima pandemia.

 Lo ha detto in diversi interventi pubblici e ribadito in un'intervista al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung:

«Non siamo pronti per la prossima pandemia.

Spero che tra due anni la situazione sarà diversa. Vaccini, test, medicinali, epidemiologia, monitoraggio: ci sono molte cose che si possono fare».

 E sollecita una pronta capacità di risposta che nel caso del Covid non c'è stata: «Il compito dei governi è proteggere i cittadini da questi eventi. Già durante questa pandemia, ci sarebbe stata una grande differenza se la preparazione fosse stata migliore».

In un intervento del 2015 al Ted, Gates aveva prefigurato “The Next Outbreak?” (La prossima epidemia):

«Se qualcosa ucciderà oltre 10 milioni di persone nei prossimi decenni, è molto probabile che si tratti di un virus altamente infettivo piuttosto che di una guerra.

Non missili, microbi» e si era in particolare indirizzato alle «malattie respiratorie» impegnandosi con la sua Fondazione, la Gates Foundation, a finanziare quei vaccini che possono essere prodotti su grande scala con un costo basso, fra 2 e 3 dollari a dose.

E adesso Bill Gates va anche oltre, identificando in una intervista a Derek Muller sul canale YouTube “Veritasium” le due minacce che potrebbero colpirci nei prossimi anni:

il cambiamento climatico, fortemente legato al tema delle pandemie proprio a causa delle nostre frequenti invasioni di nuovi habitat;

e il bioterrorismo, cioè l’utilizzo intenzionale di agenti biologici in attentati, sabotaggi, stragi o minacce.

Di fronte a questo scenario, in particolare, Bill Gates sottolinea il pericolo di un bilancio delle vittime ancora maggiore di quello occorso nell'attuale pandemia.

Riguardo al bioterrorismo, qualcuno che volesse infliggere danni poderosi potrebbe progettare un virus al posto di un'arma nucleare.

Si è infatti visto l'impatto devastante del Covid sulle economie, il crollo del reddito e del lavoro, il drammatico portato della disoccupazione.

Come riportato in una recente analisi su Nature, il rapido sviluppo dei vaccini anti-Covid altamente efficaci a meno di un anno dall’emergenza della malattia è comunque un enorme successo al quale affidare il compito primario della ripresa delle attività economiche e sociali.

Ciò è stato possibile, in parte, a causa di alcune proprietà del coronavirus Sars-CoV-2, che favoriscono la progettazione del vaccino, in particolare l'ormai famosa proteina spike sulla superficie del virus.

 Un prossimo virus però potrebbe essere più ostico.

Un vaccino potrebbe richiedere più tempo per essere prodotto. Per questo diversi ricercatori sollecitano un approccio alternativo di preparazione a un'eventuale pandemia.

Una classe speciale di anticorpi protettivi chiamati anticorpi ampiamente neutralizzanti, detti anche pan-virus, spiegano gli scienziati, agisce contro molti ceppi diversi di virus correlati, come influenza e coronavirus.

Anticorpi che potrebbero essere utilizzati come farmaci di prima linea per prevenire o trattare i virus di una data famiglia, compresi nuovi ceppi che non sono ancora emersi.

Ancora più importante, potrebbero essere utilizzati per progettare vaccini contro i vari “cugini” di una famiglia di virus.

Questi vaccini pan-virus potrebbero essere realizzati in anticipo e utilizzati prima che la prossima infezione diventi una pandemia.

 Per non farsi trovare, di nuovo, impreparati di fronte a una pandemia con le sue conseguenze di perdite di vite umane e rottura delle interazioni economiche e sociali necessarie alla vita e al benessere materiale di milioni di persone.

ABOLIRE LA GUERRA UNICA

SPERANZA PER L'UMANITÀ.

Emergency.it - Gino Strada – (30 novembre 2015) – ci dice:

 

Il discorso pronunciato da Gino Strada, chirurgo e fondatore di EMERGENCY, nel corso della cerimonia di consegna del "Right Livelihood Award 2015", il "premio Nobel alternativo".

Onorevoli Membri del Parlamento, onorevoli membri del Governo svedese, membri della Fondazione RLA, colleghi vincitori del Premio, Eccellenze, amici, signore e signori.

È per me un grande onore ricevere questo prestigioso riconoscimento, che considero un segno di apprezzamento per l’eccezionale lavoro svolto dall’organizzazione umanitaria EMERGENCY in questi 21 anni, a favore delle vittime della guerra e della povertà.

Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili.

A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo.

Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette “mine giocattolo”, piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette.

Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi.

Bambini senza braccia e ciechi.

Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l’aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita.

Mi è occorso del tempo per accettare l’idea che una “strategia di guerra” possa includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del “Paese nemico”.

Armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso.

Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili.

Alcuni anni fa, a Kabul, ho esaminato le cartelle cliniche di circa 1200 pazienti per scoprire che meno del 10% erano presumibilmente dei militari.

Il 90% delle vittime erano civili, un terzo dei quali bambini. È quindi questo "il nemico"? Chi paga il prezzo della guerra?

Nel secolo scorso, la percentuale di civili morti aveva fatto registrare un forte incremento passando dal 15% circa nella prima guerra mondiale a oltre il 60% nella seconda.

E nei 160 e più “conflitti rilevanti” che il pianeta ha vissuto dopo la fine della seconda guerra mondiale, con un costo di oltre 25 milioni di vite umane, la percentuale di vittime civili si aggirava costantemente intorno al 90% del totale, livello del tutto simile a quello riscontrato nel conflitto afgano.

Lavorando in regioni devastate dalle guerre da ormai più di 25 anni, ho potuto toccare con mano questa crudele e triste realtà e ho percepito l’entità di questa tragedia sociale, di questa carneficina di civili, che si consuma nella maggior parte dei casi in aree in cui le strutture sanitarie sono praticamente inesistenti.

Negli anni, EMERGENCY ha costruito e gestito ospedali con centri chirurgici per le vittime di guerra in Ruanda, Cambogia, Iraq, Afghanistan, Sierra Leone e in molti altri Paesi, ampliando in seguito le proprie attività in ambito medico con l’inclusione di centri pediatrici e reparti maternità, centri di riabilitazione, ambulatori e servizi di pronto soccorso.

L’origine e la fondazione di EMERGENCY, avvenuta nel 1994, non derivano da una serie di principi e dichiarazioni. È stata piuttosto concepita su tavoli operatori e in corsie d’ospedale.

Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare.

In 21 anni di attività, EMERGENCY ha fornito assistenza medico-chirurgica a oltre 6,5 milioni di persone.

 Una goccia nell’oceano, si potrebbe dire, ma quella goccia ha fatto la differenza per molti.

In qualche modo ha anche cambiato la vita di coloro che, come me, hanno condiviso l’esperienza di EMERGENCY.

Ogni volta, nei vari conflitti nell’ambito dei quali abbiamo lavorato, indipendentemente da chi combattesse contro chi e per quale ragione, il risultato era sempre lo stesso: la guerra non significava altro che l’uccisione di civili, morte, distruzione.

La tragedia delle vittime è la sola verità della guerra.

Confrontandoci quotidianamente con questa terribile realtà, abbiamo concepito l’idea di una comunità in cui i rapporti umani fossero fondati sulla solidarietà e il rispetto reciproco.

In realtà, questa era la speranza condivisa in tutto il mondo all’indomani della seconda guerra mondiale.

Tale speranza ha condotto all’istituzione delle Nazioni Unite, come dichiarato nella Premessa dello Statuto dell’ONU:

 “Salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”.

Il legame indissolubile tra diritti umani e pace e il rapporto di reciproca esclusione tra guerra e diritti erano stati inoltre sottolineati nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta nel 1948.

 “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e il “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.

70 anni dopo, quella Dichiarazione appare provocatoria, offensiva e chiaramente falsa.

 A oggi, non uno degli stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all’istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale.

 All’inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi.

La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme.

Cancellando il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani.

Vorrei sottolineare ancora una volta che, nella maggior parte dei Paesi sconvolti dalla violenza, coloro che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come noi, nove volte su dieci. Non dobbiamo mai dimenticarlo.

Solo nel mese di novembre 2015, sono stati uccisi oltre 4000 civili in vari Paesi, tra cui Afghanistan, Egitto, Francia, Iraq, Libia, Mali, Nigeria, Siria e Somalia.

Molte più persone sono state ferite e mutilate, o costrette a lasciare le loro case.

In qualità di testimone delle atrocità della guerra, ho potuto vedere come la scelta della violenza abbia – nella maggior parte dei casi – portato con sé solo un incremento della violenza e delle sofferenze.

 La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza.

Sessanta anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russell-Einstein:

“Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”. È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano?

Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite.

 È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere.

 Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro.

Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare.

 

Come medico, potrei paragonare la guerra al cancro.

Il cancro opprime l’umanità e miete molte vittime: significa forse che tutti gli sforzi compiuti dalla medicina sono inutili?

 Al contrario, è proprio il persistere di questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per prevenirla e sconfiggerla.

Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte.

È anche il più urgente.

Gli scienziati atomici, con il loro Orologio dell’apocalisse, stanno mettendo in guardia gli esseri umani:

 “L’orologio ora si trova ad appena tre minuti dalla mezzanotte perché i leader internazionali non stanno eseguendo il loro compito più importante: assicurare e preservare la salute e la vita della civiltà umana”.

La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell’immaginare, progettare e implementare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino alla completa disapplicazione di questi metodi.

La guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata.

La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente.

L'abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione.

Possiamo chiamarla “utopia”, visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento.

 

Molti anni fa anche l’abolizione della schiavitù sembrava “utopistica”. Nel XVII secolo, “possedere degli schiavi” era ritenuto “normale”, fisiologico.

Un movimento di massa, che negli anni, nei decenni e nei secoli ha raccolto il consenso di centinaia di migliaia di cittadini, ha cambiato la percezione della schiavitù: oggi l’idea di esseri umani incatenati e ridotti in schiavitù ci repelle. Quell’utopia è divenuta realtà.

Un mondo senza guerra è un’altra utopia che non possiamo attendere oltre a vedere trasformata in realtà.

Dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile.

 Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell’umanità.

Ricevere il Premio “Right Livelihood Award” incoraggia me personalmente ed EMERGENCY nel suo insieme a moltiplicare gli sforzi: prendersi cura delle vittime e promuovere un movimento culturale per l’abolizione della guerra.

Approfitto di questa occasione per fare appello a voi tutti, alla comunità dei colleghi vincitori del Premio, affinché uniamo le forze a sostegno di questa iniziativa.

Lavorare insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che possiamo fare per le generazioni future.

Grazie. (Gino Strada).

 

 

Dagli Insetti nel Piatto al “Nutriscore”

in Etichetta, così Vorrebbero

imporci la loro Sub-Cultura.

Conoscenzealconfine.it – (27 Novembre 2022) - Paolo Lami – ci dice:

 

Dagli insetti croccanti nel piatto al “Nutriscore” in etichetta, il famoso “semaforo rosso” contro i cibi italiani, così l’Europa e le multinazionali hi-tech vorrebbero imporci la loro sub-cultura.

Una crociata di cui si sono fatti incredibilmente testimonial persino alcuni personaggi e brand italiani subissati dalle critiche come l’astronauta Samantha Cristoforetti o la Barilla, costretta a ritirare in tutta fretta un video che ha provocato migliaia di proteste sui social.

La Coldiretti coglie l’occasione del XX Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione in corso a Roma, dove ha allestito una vera e propria galleria degli orrori che rischiano di stravolgere per sempre lo stile alimentare della Dieta Mediterranea e il sistema produttivo nazionale basato sulla qualità e su tradizioni millenarie, per denunciare che sulla tavola degli italiani rischiano di finire non solo la “carne” sintetica, ma anche piatti a base di insetti, vino de alcolato, kit con polveri per fare vino e formaggi ma anche l’etichetta “Nutriscore” che boccia l’olio d’oliva.

“La Ue – avverte Coldiretti – ha già autorizzato la vendita, come cibo da portare in tavola, di grilli domestici (Acheta domesticus) come nuovo alimento.

 L’insetto potrà essere prodotto e venduto sul mercato Ue intero, congelato, essiccato o in polvere e destinato alla commercializzazione come snack o ingrediente alimentare”.

“Si tratta del terzo via libera nell’Unione all’utilizzo alimentare umano di un insetto” sui cosiddetti “Novel Food”, dopo quelle per la larva gialla della farina (Tenebrio molitor) e per la Locusta migratoria “.

“Ma l’orrore a livello globale può arrivare nel piatto sotto varie forme – mette in guardia Coldiretti – dalla vodka allo scorpione ai vermi all’italiana, dagli scarabei ai grilli alla thai, dallo scorpione dorato agli insetti alla paprika, al sale marino, al curry, dai vermi delle palme al verme gigante, dal millepiedi alla pasta ai grilli, dal misto insetti ai grilli in salsa barbecue”.

Novità bocciate dal 54% degli italiani contrari agli insetti a tavola mentre, mentre il 24% è indifferente, il 16% (incredibilmente) favorevole e il 6% non risponde, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe.

“In questo contesto, a preoccupare è la diffusione in Europa dei sistemi di etichettatura “nutriscore” e a semaforo, fuorvianti, discriminatori ed incompleti, che finiscono per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole, per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta”, afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini.

(Paolo Lami-- secoloditalia.it/2022/11/dagli-insetti-nel-piatto-al-nutriscore-in-etichetta-cosi-vorrebbero-imporci-la-loro-sub-cultura/).

 

 

 

Crisi del Gas, Gazprom accusa l’Ucraina

di Furto: a Rischio le Forniture residue all’Europa.

Conoscenzealconfine.it – (27 Novembre 2022) - Giulia Burgazzi-Visionetv.it – ci dice:

 

L’Ucraina ruba il gas russo diretto in Europa che attraversa il suo territorio: o almeno, di questo la accusa Gazprom.

Se la situazione non si risolve, a partire da lunedì 28 novembre 2022 la stessa Gazprom ridurrà le consegne di gas all’Europa per una quantità pari a quella che l’Ucraina, a suo dire, trattiene illegalmente per sé.

Si tratterebbe in media di circa 2,6 milioni di metri cubi al giorno.

L’Ucraina si proclama innocente.

L’Italia è fra i pochi Paesi europei che continuano a ricevere gas russo.

È poco ormai, ma vitale. Ne arrivano 10-20 milioni di metri cubi al giorno, pari grossomodo al 5-10% delle importazioni italiane e al 25-50% del quantitativo che Gazprom ancora consegna all’Europa.

Gazprom ha reso nota la situazione con un comunicato stampa diffuso via Twitter. Sostiene che il gas illegalmente trattenuto dall’Ucraina è quello diretto alla Moldova, la quale a sua volta è indietro nel pagare i suoi conti.

 Gazprom però non accenna a tagliare il gas alla Moldova.

Accenna invece a tagliarlo, genericamente, all’Europa, come si vede cliccando sul tweet: pic.twitter.com/ao5XeDe6JR – Gazprom (@GazpromEN) November 22, 2022.

In traduzione: Fornitura di gas alla Moldova attraverso l’Ucraina. Gazprom prende nota del fatto che perdite di gas russo avvengono nel territorio dell’Ucraina.

 Riguardano il volume fornito ai consumatori moldavi nell’ambito del contratto con Moldovagaz.

 Il volume di gas consegnato da Gazprom al punto di ingresso di Sudzha, per il transito verso la Moldova attraverso il territorio ucraino, è maggiore del volume fisico di gas che supera il confine tra Ucraina e Moldova.

Il 21 novembre, Moldovagaz ha effettuato il pagamento a Gazprom per una parte delle forniture di novembre, come previsto dal contratto.

 Il volume di gas russo effettivamente fornito che non è stato debitamente pagato per il mese di novembre è di 24,945 milioni di metri cubi.

Il volume totale complessivo di gas andato perduto nel territorio ucraino è di 52,52 milioni di metri cubi.

Se lo squilibrio osservato durante il transito del gas diretto ai consumatori moldavi attraverso l’Ucraina dovesse continuare, il 28 novembre alle 10 del mattino Gazprom inizierà a ridurre le sue forniture di gas al punto d’ingresso di Sudzha attraverso l’Ucraina.

 Le forniture saranno ridotte di un volume pari al gas andato perso quotidianamente.

Contesto: a partire dal 22 novembre, Gazprom fornisce gas russo al punto d’ingresso di Sudzha per il transito attraverso l’ucraina nella misura di 42,9 milioni di metri cubi al giorno.

Il punto di transito di Sudzha, in Ucraina, è l’unico dal quale passa il gas russo diretto verso Ovest.

L’Ucraina stessa ha chiuso in maggio l’altra rotta del gas russo sul suo territorio, quella via Novopskov, con conseguente riduzione delle forniture all’Europa.

Per il resto, il gasdotto Yamal, che attraversa la Polonia, non funziona più da mesi. Il Nord Stream, nel Mar Baltico, è saltato in aria per un sabotaggio.

Se l’Europa fosse un luogo normale, i clienti di Gazprom si attaccherebbero al telefono e chiamerebbero Kiev.

Direbbero: per favore, sistemate con cortese sollecitudine la faccenda con Gazprom, che la vostra lite ci danneggia a prescindere dal torto e dalla ragione.

Però l’Europa non è più un luogo normale e non risulta che qualcosa del genere stia avvenendo.

 I media riferiscono solo che l’Ucraina afferma di aver consegnato tutto il gas alla Moldova. E quindi prevedibilmente lunedì 28 il rubinetto del residuo gas russo diretto verso l’Italia si chiuderà un altro po’.

(Giulia Burgazzi -- visionetv.it/crisi-del-gas-gazprom-accusa-lucraina-di-furto-a-rischio-le-forniture-residue-dirette-verso-leuropa/).

 

 

 

Perché l’uomo distrugge la Natura?

 Rivistanatura.com - ARMANDO GARIBOLDI – (28 AGO. 2019) – ci dice:

 

I drammatici eventi di questa caldissima estate 2019, dagli incendi in Siberia allo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, hanno evidenziato l’accelerata degli effetti dei cambiamenti climatici innescati dalle attività umane.

 Di fronte a tale disastro, di cui non si vede la fine e, anzi, si possono facilmente intuire e leggere prossimi peggioramenti, una parte sempre più estesa dell’opinione pubblica comincia a reagire, almeno a livello di preoccupata presa di coscienza.

Nei commenti sui social e nelle lettere a giornali e mass-media mainstream – che purtroppo in molti casi stanno affrontando questi argomenti con il consueto tono apocalittico, scandalistico, superficiale – si notano spesso definizioni del tipo:

“Siamo una specie folle, ci meritiamo di estinguerci”; “Siamo i parassiti del Pianeta”; “L’Umanità è solo un’accozzaglia di predoni egoisti”; “Siamo pazzi e ciechi e ormai stiamo cadendo nel baratro”, ecc.

 Un misto, dunque, di lamentose e disperate affermazioni, dove emerge la mancanza di speranza per il futuro e la rabbia per la stupidità umana.

Ma è davvero così?

Può una specie che, in poco più di 200mila anni (ovvero pochissimo, se consideriamo le scale geo-biologiche), è di fatto arrivata a dominare l’intero Pianeta, pur avendo una capacità riproduttiva limitata, dei corpi delicatissimi e molta meno forza fisica rispetto alle altre specie più simili a noi (ovvero le grandi scimmie), avere intrapreso una strada evolutiva destinata “al vicolo cieco”, ovvero all’estinzione, puntando sull’intero consumo delle risorse vitali e alla distruzione dell’habitat in cui vive!

 Perché allora questa follia, da dove nasce, che senso ha?

In ultima analisi: perché l’Uomo continua imperterrito a distruggere la Natura (ovvero la famosa “casa comune” in cui abita) nonostante almeno mezzo secolo di avvisi e allarmi sempre più stringenti lanciati dalla comunità scientifica e nonostante i disastri più o meno naturali (molti palesemente di origine antropica) che sempre più spesso mietono migliaia di vittime?

Per rispondere a questa domanda bisognerebbe scrivere un’intera enciclopedia, tante sono le probabili concause che, in modo più o meno complesso, s’intrecciano tra loro: cause sia socio-politiche, storiche ed economiche, sia psicologiche, biologiche ed ecologiche.

 In questa sede vogliamo solo provare a proporre qualche pensiero tra quelli di solito meno diffusi;

qualche punto di vista un po’ diverso che aiuti a cogliere alcune sfumature che, come spesso capita, possono fare in realtà la differenza nella formazione di un’idea.

Come, infatti, diceva Sherlock Holmes, è dai dettagli che si può arrivare al cuore del problema (nel suo caso scoprire il colpevole di turno).

Noi già sappiamo chi è il colpevole, ma in questo caso il cuore del problema allora è un altro: la nostra specie ama il luogo in cui vive?

Ovvero, ama la Natura?

Poiché sappiamo benissimo che, al di là di tante belle parole o dei vari “sensi duri” (senso del dovere, senso di colpa, ecc.) nei fatti solo chi ama qualcosa/qualcuno se ne prende davvero cura.

 Oggi è facile dire che, almeno in Occidente, la maggior parte degli uomini NON ama la Natura.

Ma per amare davvero qualcosa/qualcuno ci sono solo due strade: quella del cuore (l’emozione, l’empatia che ci coglie in certe situazioni, magari sostenuta da un legame di sangue, come quello per i figli) o quella della testa (la conoscenza, conoscere bene qualcosa o qualcuno, in modo da arrivare a coglierne il valore).

Solo così arriveremo al volere bene (philéô) e magari ad amare (agapáô) e di conseguenza a impegnarci davvero per proteggere l’oggetto del nostro amore (sappiamo, infatti, che il “voler bene” non è proprio la stessa cosa che “amare”, come fece notare Gesù a Pietro nel famoso dialogo del Vangelo di Giovanni (21, 15-17).

Per millenni l’Uomo nomade cacciatore-raccoglitore ha vissuto la Natura con l’amore istintivo che avvolge un essere la cui vita dipende da essa, con un misto di paura e attrazione, sapendo appunto che dalla Natura poteva arrivare anche la morte.

Ma sempre con il rispetto e con l’equilibrio di chi sa anche che della Natura ha bisogno e che essa è sempre più grande di lui.

Dalla Natura gli uomini prelevavano solo quanto gli serviva per la sopravvivenza, ovvero “gli interessi”, lasciando intatto “il capitale”.

Poi, circa 10.000 anni fa, con la nascita e lo sviluppo dell’agricoltura, il panorama è cominciato a cambiare.

L’Uomo si è fermato in un posto e, per sopravvivere, ha dovuto iniziare a sfruttarlo, con i vari processi di coltivazione del suolo e di domesticazione di piante e animali e con metodi sempre più raffinati e intensivi.

Ovvero, ha iniziato a intaccare il capitale.

 Fino a quando ciò avveniva con metodi tradizionali e solo con la forza di uomini e bestie, attraverso il lavoro di comunità umane costituite al massimo, nel complesso, da milioni di individui, la Terra ha ben sopportato tale pressione.

 Inoltre, la presenza di eventi tragici come pandemie, carestie e guerre effettuava un certo controllo sulla popolazione antropica.

Con la cosiddetta Rivoluzione Industriale iniziata in Occidente nel XVII secolo, si è però accesa la miccia:

la società umana da sistema agricolo–artigianale–commerciale è diventata un sistema industriale moderno, caratterizzato dall’uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall’utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come, per esempio, i combustibili fossili), il tutto favorito da una forte componente di innovazione tecnologica e accompagnato da fenomeni di sviluppo demografico, sviluppo economico e da profonde modificazioni socio-culturali e anche politiche.

E soprattutto di incremento di popolazione, che rapidamente è passata da 1 miliardo di individui nel 1800, ai circa 7,5 miliardi di oggi, con un aumento medio annuo di circa 75 milioni.

In pratica, gli esseri umani si sono quadruplicati nell’arco degli ultimi 100 anni, dopo essere rimasti per millenni limitati a pochi milioni di persone (all’epoca della nascita di Cristo si stima vivessero sul Pianeta circa 160 milioni di individui).

Ciò non solo ha aumentato in pochissimo tempo e a dismisura la richiesta, e quindi lo sfruttamento, di risorse naturali – oltre che la conseguente produzione di scorie di ogni genere quasi mai realmente smaltibili –, ma, attraverso il fenomeno dell’inurbamento, ha sempre di più allontanato gli uomini dalla Natura.

A seguito di ciò, non solo una parte significativa degli esseri umani non conosce più il mondo naturale (per esempio non sa distinguere le varie specie animali e vegetali) ma, soprattutto negli ultimi decenni, si è creata una vera e propria sindrome di disconnessione con la Natura, come scrivono vari filosofi e psicologi, per cui alla fine sempre meno si sente il bisogno di una sua vicinanza, di un suo rapporto profondo e vero con essa.

 In pratica oggi per molte persone la Natura vale solo perché serve (per esempio, un albero non va abbattuto perché produce ossigeno) o, nei casi migliori, perché “è bella” o perché “fa bene” (che son sempre forme d’uso, seppur scenografiche o salutistiche).

E non essendoci più contatto, è sempre più difficile rimanere in sintonia. Questo è il vero dramma dell’Uomo, poiché innesca un processo a cascata di impoverimento interiore che porta all’ignoranza cognitiva e culturale, alla perdita di identità (di specie, di popolo ma anche almeno in parte personale), all’inaridimento emotivo, ma soprattutto all’incapacità di essere in risonanza con il mondo che ci circonda che, volenti o nolenti, è ancora in massima parte naturale (per quanto rovinato e contaminato).

Questo processo, che è aumentato in maniera esponenziale nell’ultimo secolo e in particolare dalla fine della seconda Guerra Mondiale, produce a sua volta due importanti effetti.

Il primo, pericolosissimo, incide sulla nostra capacità di adattamento. La specie umana ha fatto di questa sua sensazionale facoltà, sostenuta dalla sua intelligenza, la carta vincente per sopravvivere e imporsi come specie dominante sul Pianeta.

Ma, a livello basico, come scrive l’ecologo Timothy Morton, “essere vivi significa adattarsi senza sparire completamente, essere protetti dalla propria sintonia ma non fino al punto di dissolversi del tutto”.

Senza più contatto e sintonia con la Natura, perdiamo quindi la capacità di adattarci ai suoi mutamenti, tanto più a quelli repentini degli ultimi anni e di quelli che ci attendono.

E l’adattamento di una specie è un processo biologico, oltre che culturale, che richiede tempo e che può essere solo in parte (minima?) compensato o contenuto dalla tecnologia.

 

Il secondo effetto è la riduzione della nostra istintiva biofilìa, ovvero il nostro amore e attrazione per la Vita.

 E che la nostra società sia sempre più orientata verso scenari necrofili ce lo dicono una serie numerosa di segnali:

 dalla cultura (soprattutto giovanile) verso immagini/situazioni mortifere (basti pensare all’attrazione dei ragazzi verso zombi, vampiri, situazioni “dark”, sport estremi, ecc.), all’uso di tecnologie “comode” (quindi in realtà non indispensabili) ma di dubbio effetto sulla salute (per esempio, eccesso di tecnologie basate sull’elettromagnetismo come i vari cellulari 3-4-5G, ecc.), a un’alimentazione sempre più priva di vere forze vitali.

Ovvio, quindi, che tutto ciò ci porti a diventare sempre più insensibili e distaccati da ciò che sta succedendo “fuori”, nella natura, appunto.

 Che ormai a molti sembra lontanissima e quasi irreale e dove anche le immagini delle catastrofi ambientali che stanno avvenendo in varie parti del pianeta assumono una percezione surreale.

Allora è a questo punto che si può scatenare una sorta di “effetto Lemmig” o anche “ultimo ballo sul Titanic”.

 Incuranti della nave (il Pianeta così come è oggi) che affonda, continuiamo a ballare, cercando di godercela il più a lungo possibile, senza credere in realtà all’avvicinarsi della fine.

Che non è quella della Terra, è bene ribadirlo ancora una volta, ma di “questa” umanità.

 Credo, infatti, che il Pianeta sopravviverà abbastanza bene al collasso in corso (sì, è già cominciato!) e che anche l’Umanità non si estinguerà.

Tornerà sotto il miliardo di individui, privilegiando i popoli e le culture a bassa tecnologia (per esempio, boscimani, indios amazzonici, aborigeni, ecc.), ma andrà avanti, meno ricca ma forse anche più felice di oggi.

Tuttavia in questa situazione pre-apocalittica (e ricordiamo che il termine “Apocalisse” non vuol dire “fine del mondo”, ma significa “svelamento, levare il velo”) si possono anche osservare alcuni comportamenti molto interessanti sulla natura umana, che probabilmente in situazioni ordinarie non emergerebbero.

Una di queste, evidenziata proprio dal non volere pervicacemente “invertire la rotta” nonostante i mille segnali ricevuti, è una sorta di rifiuto, o meglio di fuga, dalla nostra incarnazione materiale, da un legame filogenetico che ci perseguita e connette con tutte le altre creature non umane.

È come se, consapevoli di una nostra natura profonda in cui la dimensione carnale è minoritaria (non a caso tutte le religioni ci dicono che siamo fatti di corpo, anima, spirito e coscienza/Io, quindi in fin dei conti di un rapporto di 3 a 1 tra “energia” e materia) la sfidassimo o volessimo addirittura liberarcene.

Senza credere in un vero suicidio collettivo o individuale, ma piuttosto in una sorta di “salto quantico” che ci attende.

Che dire, a questo punto speriamo sia davvero così!

 E vengono in mente, un po’ per consolazione e un po’ per chiudere questo lungo pezzo, le parole di un grande uomo di scienza ma anche di fede che è stato il naturalista (paleontologo) e gesuita francese padre Pierre Teilhard De Chardin:

“Noi non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale. Noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana”.

 

 

Eleonora Brigliadori: “Sono pronta

a morire ma non farò il vaccino:

c’è dentro Satana, distruggerà l’umanità”.

Ilfattoquotidiano.it – Eleonora Brigliadori – (16 DICEMBRE 2020) – ci dice:

Non paga di essersi già espressa sul covid-19 ("un complotto degli americani"), l'attrice è tornata a parlare all'Adnkronos: "Nel momento in cui metteranno l’obbligo di questo vaccino, non solo si vedranno gli effetti collaterali e molti moriranno dopo la prima somministrazione, ma si assisterà all’inizio dell’apocalisse degenerativa dell’umanità".

 

“Sono pronta a morire se qualcuno avrà l’ardire di ordinarmi alcunché “.

Non è una battuta de Il Trono di Spade.

Sono parole di Eleonora Brigliadori che all’Adnkronos ha parlato di covid-19 e vaccini.

 Chi oggi gioca a fare Dio, è veramente da fermare: ma io non permetterò a nessuno di incrinare la mia anima e di bloccare la mia evoluzione”, ha detto a commento della possibilità che il vaccino sia obbligatorio.

 L’attrice, ricordata per le sue “battaglie” contro la chemioterapia, aveva già avuto tristemente modo di dire la sua sul coronavirus, definendolo “un complotto degli americani non diverso da altre influenze “.

E ora torna all’attacco affermando che “ci saranno molte persone che come me preferiranno la morte, perché morire in Cristo vuol dire risorgere, mentre chi per paura venderà la sua anima a Satana non potrà più ascendere ai mondi spirituali, ma solo dare vita a un mondo degenerato”.

Non finisce qui.

 Brigliadori afferma che quello che “non viene detto da nessun tg, da nessun giornale e da nessuna rivista è che la tecnologia satanica che è stata scoperta pochi anni fa è entrata in questo nuovo vaccino, che modifica profondamente la tecnica dei vaccini precedenti e che distruggerà il genoma umano”.

E dopo aver tirato in ballo Cristo un altro paio di volte torna a “profetizzare”:

“Nel momento in cui metteranno l’obbligo di questo vaccino, non solo si vedranno gli effetti collaterali e molti moriranno dopo la prima somministrazione, ma si assisterà all’inizio dell’apocalisse degenerativa dell’umanità.

Una volta che un genitore avrà dovuto subire questo vaccino, porterà le degenerazioni del genoma alle generazioni successive”.

 

 

 

La profezia di Madre Terra

e la pandemia.

Nigrizia.it – Marcello Barros – (22 Aprile 2021) – ci dice:

(Marcelo Barros - monaco benedettino in Brasile).

Aprire gli occhi per vedere la relazione tra tutte le cose. Cambiare il sistema di valori alla base dell'economia globale per renderlo compatibile con la dignità umana e la sostenibilità ecologica. Un’urgenza che ci impegna tutti, sulle orme di Papa Francesco.

Amazzonia deforestazione.

Alcuni si chiedono come la Terra possa proclamare una profezia se non pensa e non parla.

Tuttavia, tutti i popoli della Terra hanno un dialogo con essa, sentono la sua voce, ne riconoscono il grido e si commuovono al suo appello per la vita.

Nella Bibbia vari testi parlano di come il sangue versato faccia protestare la Terra e le ingiustizie contro i poveri provochino un grido di protesta che viene dalla Terra stessa (cf. Amos e Giacomo).

Quest’anno il tema dell’Agenda mondiale Latinoamericana 2021 riguarda la guarigione della Madre Terra e porta il titolo: Ritorno o non ritorno.

È tardi, ma è la nostra ora.

Si chiama “non ritorno” il punto in cui il pianeta Terra non può più recuperare le condizioni minime di sopravvivenza.

Infatti, da alcuni anni, gli scienziati avvertono che, se continua a questo ritmo, la distruzione ecologica potrebbe trasformare la Terra in un pianeta deserto, senza vita.

Anche se nessuno conosce con certezza l’origine del coronavirus, è provato che la sua comparsa ha qualcosa a che fare con la distruzione continua della natura.

Il virus esiste da miliardi di anni, dormiente in natura, senza nuocere a nessuno. Una volta distrutto l’ecosistema, però, si risveglia e si moltiplica disordinatamente, infliggendo all’umanità una tragedia che sembra senza fine.

Dobbiamo aprire gli occhi per vedere la relazione tra una cosa e l’altra.

 Nel mondo, più di due terzi delle grandi foreste sono state distrutte o stanno per esserlo.

 Si stima che, ogni anno, 50mila specie viventi scompaiano dalla Terra.

Nell’ultimo decennio, inoltre, la temperatura media delle acque degli oceani è aumentata di più di un grado.

Ogni giorno, nuovi prodotti chimici che avvelenano i processi vitali vengono rilasciati nell’aria, nella terra e nell’acqua e, per moti anni, continueranno a causare morte.

Per questo il buco dell’ozono che protegge l’atmosfera terrestre è aumentato e minaccia la vita di intere popolazioni e di molte specie animali.

I cambiamenti climatici che in altre ere geologiche derivavano da mutazioni atmosferiche, sono ora causati dalla stessa società umana, in particolare dal sistema sociale ed economico dominante che trasforma la terra in una merce e si preoccupa solo del profitto economico.

Dobbiamo cambiare il sistema di valori alla base dell’economia globale per renderlo compatibile con la dignità umana e la sostenibilità ecologica.

Papa Francesco continua a sostenere che questo sistema uccide; il capitalismo causa la morte di più di un miliardo di esseri umani e, in tutto il mondo, distrugge la Madre Terra.

Nei secoli in cui gli imperi coloniali partirono alla conquista di nuovi mondi, ancor prima di muovere guerra ai nativi, ne bruciavano le terre.

Il grande regista italiano Gillo Pontecorvo nel 1969 denunciava ciò nel film “Queimada”.

Tale modo di agire, dai tempi della conquista ad oggi, non è solo tecnico o strategico: è culturale, sociale e politico.

È necessario dunque ripercorrere il cammino di riconciliazione dell’umanità con la Terra e con l’universo al quale apparteniamo.

Per questo la sola consapevolezza della gravità della situazione è insufficiente e il grave problema potrà essere risolto con l’approvazione di leggi a sostegno della protezione della Terra e di chi la abita.

Questo è importante e urgente, ma lo è altrettanto riscoprire un nuovo modo di relazionarsi con la Essa e la natura.

In tutto il mondo, l’umanità sta riscoprendo l’attualità dei culti indigeni e afrodiscendenti che evidenziano l’intimità con Dio nella relazione con la Terra e l’Universo intero.

L’Onu ha proclamato il 22 aprile Giornata internazionale della Madre Terra. Per una felice coincidenza, per le Chiese cristiane questa commemorazione avviene durante la Pasqua, quando le comunità celebrano la resurrezione di Cristo per essere testimoni che la vita vince la morte e l’amore avrà l’ultima parola in questo mondo.

Nel Nuovo Testamento l’apostolo Paolo parla del Cristo risorto come Cristo cosmico.

Oggi, per noi, la presenza di Cristo è nel prossimo, ma anche nella vita che pulsa nell’Universo e nella forza della Madre Terra.

Nella prima metà del XX secolo, padre Theilhard de Chardin affermava:

«Finora i cristiani hanno cercato Gesù Cristo nella sua forma umana e divina.

Ora si presenta a noi nel suo corpo cosmico che è la Terra.

 Questa terza natura di Cristo (né umana, né divina, ma cosmica) non ha attirato particolarmente l’attenzione dei fedeli o dei teologi».

Cinque anni fa, Papa Francesco ha pubblicato “Laudato si “, la lettera sulla cura della Terra, nostra casa comune.

Egli ha proposto un’Ecologia Integrale che comprenda, allo stesso tempo, la cura dell’ambiente, la ricerca della giustizia sociale e politica, ma anche lo sviluppo della nostra interiorità che ci fa sentire parte dell’Universo e in comunione con tutti gli esseri viventi.

Nella lettera, il Papa invita l’intera umanità a sviluppare una “spiritualità” ecologica e chiede alle varie religioni di unirsi per aiutare le persone a percorrere questo cammino.

Nell’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazzonia”, il Papa insiste che i cristiani dialoghino amorevolmente e cerchino di inserirsi nella comunione con i popoli originari di quei luoghi, sia nelle espressioni culturali che nelle loro tradizioni religiose e spirituali.

Egli afferma: “Se una persona crede che lo Spirito Santo possa agire in ciò che è diverso da noi, allora cercherà di lasciarsi arricchire da quella luce e la accoglierà dall’interno delle proprie convinzioni e della propria identità”. (Q.A, 106).

Senza cadere in similitudini artificiali e richiami indebiti con la visione del mondo cristiana, la teologia andina ha scoperto nelle immagini e nelle espressioni di devozione alla Pacha-mama (Madre Terra), elementi simili al culto cristiano dello Spirito Santo.

Infatti, nella sua Storia della Chiesa in America Latina (Sigueme, Salamanca, 1983, p. 153), Enrique Dussel indica la Pachamama dei popoli dell’Altipiano come immagine dello Spirito Santo.

Allo stesso modo, Leonardo Boff afferma: “La categoria centrale della religione Yoruba è Axé, l’equivalente del greco pneuma, del latino spiritus e del biblico ruah”. 

 

In termini teologici e spirituali, possiamo affermare che l’attuale crisi ecologica e la realtà di sfruttamento di cui soffre la Madre Terra è espressione di una Kenosis dello Spirito Santo.

La Divina Ruah soffre la sua croce nel corpo della Madre Terra come afferma un teologo italiano:

“È giusto parlare di una Kenosis dello Spirito che non si esprime come quella di Gesù nel farsi uomo e piccolo, ma nell’assumere l’umanità più intima in una sorta di abbassamento o diciamo cancellazione dell’amore che, da un certo punto di vista è più radicale della Kenosis di Cristo”.

Lo Spirito (Ruah Divina) si manifesta nella lotta dell’ecofemminismo, nell’unire cioè la lotta per la liberazione della Terra a quella della donna e coinvolgere tutta l’umanità nella lotta eco-femminista.

Il nostro modo di vivere la Giornata internazionale della Madre Terra sia, perciò, di intensificare il nostro impegno nella lotta per il cambiamento del sistema dominante, di partecipare alle lotte collettive per l’Ecologia Integrale e di fare della nostra vita la preghiera espressa nel Salmo 104, in cui si parla dell’invio dello Spirito, non tanto nel senso spaziale che Lui non è e viene, ma nel senso che Egli manifesta la Sua presenza e la Sua energia d’amore che vince ogni oppressione: “Manda il tuo Spirito, Signore, e rinnova la faccia della terra” (Salmo  104,30).

 

 

 

 

È IL CAPITALISMO CHE STA UCCIDENDO

LA NATURA, NON L’UMANITÀ.

 

Thevision.com - ANNA PIGOTT – (19 APRILE 2019) – ci dice:

L’ultimo rapporto “Living planet” del WWF è una lettura piuttosto dura: la fauna selvatica è diminuita del 60% dal 1970, alcuni ecosistemi stanno collassando e c’è una buona possibilità che la specie umana non abbia vita lunga.

La relazione sottolinea continuamente come la colpa di questa estinzione di massa sia da attribuire all’uomo e a ciò che consuma, e i giornalisti si sono precipitati a diffondere questo messaggio.

Il Guardian ha titolato: “L’umanità ha distrutto il 60% delle specie animali”, mentre la Bbc ha scelto: “Il consumismo ha causato una grossa perdita di fauna selvatica”.

Non c’è di che stupirsi: nelle 148 pagine del rapporto la parola “umanità” appare 14 volte, e “consumismo” 54 volte.

C’è un termine, però, che non compare nemmeno una volta: capitalismo.

 Si potrebbe dire che, ora che l’83% degli ecosistemi di acqua dolce stanno collassando (un’altra delle statistiche inquietanti del rapporto), non abbiamo tempo di disquisire di semantica.

 Eppure, come ha scritto l’ecologista Robin Wall Kimmerer, “trovare le parole giuste è il primo passo per iniziare a capire.”

Nonostante il rapporto del WWF si avvicini al concetto, parlando del problema come di una questione culturale, economica e di modello produttivo insostenibile, non riesce a identificare il capitalismo come ciò che lega in maniera cruciale (e a volte casuale) tutte queste cose.

 In questo modo ci impedisce di vedere la reale natura del problema e, se non lo nominiamo, non possiamo affrontarlo perché è come puntare verso un obiettivo invisibile.

Il rapporto del WWF fa bene a evidenziare “il crescente consumo da parte dell’uomo”, e non la crescita della popolazione, come la causa primaria dell’estinzione di massa, e si sforza in maniera particolare di illustrare il legame tra la perdita di biodiversità e il consumismo.

Però si ferma lì, non dice che è il capitalismo a imporre questo modello sconsiderato di consumo.

Questo – in particolar modo nella sua forma neoliberista – è un’ideologia fondata sull’idea di una costante e perenne crescita economica, spinta proprio dai consumi: un assunto semplicemente fallace.

L’agricoltura industriale, il settore che il rapporto identifica come il responsabile primario della perdita di specie animali, è stata marcatamente costruita su principi capitalisti.

Prima di tutto perché impone che abbiano valore solo quelle specie “mercificabili”, e secondo perché, nel cercare solo il profitto e la crescita, ignora tutte le conseguenze – come l’inquinamento o la perdita di biodiversità.

 Il rapporto, invece di richiamare l’attenzione sull’irrazionalità del capitalismo, che considera priva di valore la maggior parte della vita su questo pianeta, non fa altro che supportare la logica capitalista usando termini come “beni naturali” e “servizi dell’ecosistema” per riferirsi al pianeta vivente.

Il rapporto del WWF sceglie l’umanità come unità di analisi e questo monopolizza il linguaggio della stampa.

Il Guardian, per esempio, riporta che “la popolazione globale sta distruggendo la rete della vita.”

Questa frase è totalmente fuorviante: il rapporto del WWF riporta effettivamente che non è tutta l’umanità ad essere consumista, ma non sottolinea abbastanza che è solo una piccola minoranza della popolazione mondiale a causare la maggior parte dei danni.

Dalle emissioni di anidride carbonica all’impronta ambientale, è il 10% più ricco della popolazione ad avere l’impatto maggiore.

Inoltre, non si dice che gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità abbiano maggiore impatto sulle persone più povere – le persone che contribuiscono al problema in maniera minore.

Sottolineare queste differenze è importante perché sono queste il problema, e non l’umanità per sé, e perché le disuguaglianze sono endemiche nei sistemi capitalisti, specialmente per via della sua eredità razzista e colonialista.

“Umanità” è una parola ombrello che tende a coprire tutte queste crepe, impedendoci di vedere la situazione per come è. Inoltre, diffonde l’idea che gli esseri umani siano intrinsecamente “cattivi”, e che sia in qualche modo parte della nostra natura consumare fin quando non è rimasto niente.

Un tweet postato in risposta alla pubblicazione della relazione del WWF suggeriva che fossimo “dei virus con le scarpe”: un atteggiamento che spinge solo verso una crescente apatia.

Ma cosa succederebbe se questa sorta di auto-critica la rigirassimo verso il capitalismo? Non solo sarebbe un target più corretto, ma potrebbe anche darci la forza di vedere l’umanità come una forza benevola.

Le parole fanno ben altro rispetto ad assegnare responsabilità diverse a diverse cause.

Le parole possono costruire o distruggere le narrazioni che abbiamo diffuso sul mondo, e queste narrazioni sono importanti perché ci aiutano a gestire la crisi ambientale.

Usare riferimenti generalizzati all’umanità o al consumismo per parlare dei fattori preponderanti nella perdita di biodiversità non è solo sbagliato, ma contribuisce a diffondere una visione distorta su chi siamo e chi siamo in grado di diventare.

Parlare del capitalismo come di una causa fondamentale del cambiamento climatico, al contrario, ci aiuta a identificare tutta una serie di idee e abitudini che non sono né permanenti né fanno parte del nostro essere umani.

Così facendo possiamo imparare che le cose non devono andare necessariamente così.

Abbiamo il potere di indicare un colpevole ed esporlo.

 Come ha detto la scrittrice e ambientalista Rebecca Solnit, “Chiamare le cose con il loro nome distrugge le bugie che scusano, tamponano, smorzano, camuffano, eludono e incoraggiano all’inazione, all’indifferenza, alla noncuranza.

Non basterà per cambiare il mondo, ma è un inizio.”

Il rapporto del WWF lancia un appello a trovare una “voce collettiva, cruciale se vogliamo invertire il trend della perdita di biodiversità”.

Ma una voce collettiva è inutile se non usa le parole giuste. Fin quando noi, e organizzazioni come il WWF, non riusciremo a nominare il capitalismo come la causa principale dell’estinzione di massa, saremo incapaci di contrastare questa tragedia.

 

 

 

James Barrat: “L’Intelligenza

Artificiale ci distruggerà?”

Arcanestorie.it – Alessandro Mezzena Lona – (19-3-2019) – ci dice:

L’UMANITÀ HA UN GRANDE SOGNO. UN PROGETTO ANTICHISSIMO, CHE LO AUTORIZZEREBBE A SENTIRSI SIMILE AGLI DEI. DA SEMPRE, INFATTI, FANTASTICA SULLA POSSIBILITÀ DI INVENTARE UNA CREATURA A LEI ASSAI SIMILE. UN OMINIDE, UN GOLEM. UN AUTOMA, UNA MACCHINA DOTATA DI INTELLIGENZA SOPRAFFINA, CHE POTREBBE CAMBIARE LA NOSTRA VITA.

E AIUTARCI AD AFFRONTARE E DISINNESCARE LA MINACCIA CHE, NEL TERZO MILLENNIO, CI INQUIETA DI PIÙ:

QUELLA DELL’ESTINZIONE DI TUTTI NOI A CAUSA DELL’ECCESSIVO INQUINAMENTO. DELL’INARRESTABILE DEGRADO, FORSE IRREVERSIBILE, A CUI ABBIAMO COSTRETTO IL MERAVIGLIOSO PIANETA CHE CI OSPITA.

Ma quel sogno cullato così a lungo potrebbe trasformarsi, ben presto, in un tenebroso incubo.

Se l’intelligenza delle macchine sopravanzasse la nostra.

Se i computer, a un certo punto, fossero in grado di moltiplicare le proprie capacità di ragionamento e di intervento.

Lasciando l’umanità ad assistere inerme a questa esplosione di intelligenza artificiale.

 A quel punto, un meraviglioso progetto, inseguito e coccolato per secoli, diventerebbe “La nostra invenzione finale”, come recita il titolo del libro dal regista americano James Barrat, produttore di documentari per National Geographic Channel, Discovery Channel, Pbs e Bbc.

Prima di scrivere il suo libro, tradotto da Daniela e Monica Pezzella per la casa editrice Nutrimenti (pagg. 303), James Barrat si dichiarava entusiasta del progetto di sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.

Perché, come la maggior parte delle persone, aveva un’idea assai vaga di questa sfida epocale su cui vengono fornite informazioni assai vaghe, per ovvi motivi economici più che di segretezza.

 Poi, alcuni preoccupati ragionamenti di ricercatori, scienziati, scrittori, gli hanno fatto drizzare le antenne.

 Tanto da spingerlo a svolgere un’indagine approfondita tra chi già si occupa dello sviluppo dell’AI.

 

Fin dall’inizio, James Barrat ha deciso di assumere un atteggiamento realista. Senza lasciarsi contagiare dall’entusiasmo degli ottimisti, ma nemmeno assecondando gli scenari catastrofisti disegnati dai pessimisti.

Dopo un lungo lavoro di ricerca, di ascolto e di interviste, di approfondimenti e ipotesi, ha scritto un libro che richiama l’attenzione sui potenziali, enormi pericoli, che uno sviluppo dissennato, fuori controllo e governato soltanto da puro tornaconto di tipo economico, potrebbe provocare lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.

Ospite di Book Pride 2019, alla Fiera del Vapore di Milano, James Barrat si sofferma a ragionare con grande pacatezza, senza nascondere le ipotesi più tenebrose e allarmanti, sull’avvento dell’Intelligenza Artificiale.

 Quella che potrebbe trasformarsi nella nostra invenzione finale., come la letteratura e il cinema hanno immaginato parecchio tempo fa portando in scena il computer onnisciente e inquietante Hal 9000 di “2001 Odissea nello spazio”, ma anche come la feroce dittatura tecnologica di Skynet nella serie infinita di”Terminator”.

“Stephen Hawking si chiedeva, negli ultimi anni della sua vita, chi avrebbe controllato l’Intelligenza Artificiale – spiega James Barrat -.

Ma, soprattutto, se ci sarebbe stata la possibilità di controllarla.

Già oggi sono in produzione negli Stati Uniti, Russia, Israele, Gran Bretagna, Cina, dei droni capaci di uccidere un essere umano senza che nessuno possa interferire nelle sue decisioni.

Non basta: i big data che sono utilizzati per la costruzione di reti neurali incorporano pregiudizi nei confronti delle donne e delle minoranze religiose e culturali”.

 

Da dove arrivano questi pregiudizi?

“Semplice, i computer vanno a pescare dati storici immagazzinati nella memoria lontana.

Attingendo a informazioni degli anni ’70, ’80, trascritti a mano da persone che avevano pregiudizi nei confronti di queste categorie di persone.

Per esempio, un algoritmo utilizzato in Florida che deve decidere sulla pena da comminare in base a determinati reati, analizzando le condanne inflitte a persone di colore in quegli anni, che risultavano più pesanti di quelle che riguardavano le persone dalla pelle bianca, potrebbero seguire anche oggi la stessa linea giudiziaria.

 Basandosi non tanto sulla colpa, ma sull’etnia”.

Anche sul mondo del lavoro ci saranno pesanti ripercussioni?

“Nasceranno di sicuro nuovi lavori, ma non riusciranno a colmare il baratro di disoccupazione creato dall’Intelligenza Artificiale.

Ad esempio, con l’ingresso della tecnologia nel mondo dei taxi, degli autobus, non ci sarà più bisogno di autisti.

E trovare il modo di inserire queste persone in altri contesti lavorativi sarà difficilissimo.

Senza dimenticare che c’è già qualcuno che vuole spingersi rapidamente assai più in là”.

Per esempio?

“Elon Musk, che ha fondato tra l’altro l’azienda chiamata “OpenAI”, dice chiaramente che il suo obiettivo principale è quello di raggiungere un livello di Intelligenza Artificiale che possa essere paragonata a quella umana.

In quel momento si potrebbe assistere a quella che è stata definita intelligence explosion”.

 

Che cosa intende per intelligence explosion?

“Ci sarà un momento in cui il livello dell’Intelligenza Artificiale sarà molto superiore a quello del più geniale tra gli uomini.

 Quindi la macchina sarà in grado, a quel punto, di migliorarsi da sola.

Non avrà più bisogno di noi.

 Google, insieme ad altre aziende, ha l’obiettivo di sviluppare questo livello di intelligenza tecnologica entro il 2029.

Se vogliamo azzardare una previsione attendibile, per assistere alla nascita di una macchina più intelligente dell’uomo potremmo indicare il 2045”.

A quel punto le macchine saranno incontrollabili?

“Semplicemente non avranno più bisogno dell’intervento umano per aumentare ancora la propria intelligenza.

 Si miglioreranno da sole, più di quanto gli uomini saranno in grado di fare.

Oggi, abbiamo già esempi di computer molto più avanzati di noi.

Ci battono nel gioco degli scacchi, riescono a prevalere perfino nella disciplina orientale del Go.

 Ci assistono nel guidare l’automobile. In futuro saranno in grado di fare anche ricerca e sviluppo su sé stesse, aumentando le proprie capacità in modo esponenziale”.

Come interpreta l’ingresso di Ray Kurzweil, profeta dell’ibridazione tra uomo e macchina, nello staff di Google?

 

“L’integrazione uomo-macchina sta procedendo lentamente. Quindi non so prevedere se e quando il sogno di Kurzweil si potrà realizzare.

 Al contrario, l’Intelligenza Artificiale si sta sviluppando a una velocità assai superiore.

Deep-Mind, la società controllata da Google, sta bruciando i tempi in questa direzione.

 Tanto che il suo stesso fondatore, Dieleman Sander, si è detto preoccupato del fatto che le varie società coinvolte nello sviluppo della AI non collaborino tra loro per mitigare gli impatti di una tecnologia così dirompente.

 Il vero rischio per l’umanità, in generale, sarà quello di dover condividere la Terra con altri esseri milioni di volte più intelligenti di noi”.

Ma allora le tre leggi della robotica elaborate dallo scrittore Isaac Asimov non ci metteranno più al sicuro?

“Sì e no. Nel senso che dovremo portare le tre leggi di Asimov al di fuori della narrativa, della fiction.

Perché erano regole valide nel campo della fantascienza, dei romanzi, ma non hanno nessun valore normativo.

 Ecco, posso dire che abbiamo un intervallo di tempo per intervenire che comincia adesso, subito, e si chiuderà quando l’Intelligenza Artificiale verrà sviluppata per eguagliare quella degli uomini.

Anche se non mi piace molto l’idea, sarà necessario introdurre una supervisione governativa. Come era avvenuto al tempo dell’Agenzia per l’energia atomica”.

 

Ma non ci sarà, invece, una corsa all’AI a fini militari da parte delle principali potenze mondiali, l’una contro l’altra?

“Lo sviluppo dell’Ai ricorda molto la corsa alla fissione nucleare.

E già stata trasformata in arma, esattamente come il potenziale atomico nella Seconda guerra mondiale.

Inoltre, in questo momento, attira gli interessi di aziende private che vedono in questo settore soltanto un tornaconto immediato: quello di generare profitti.

Di vendere un prodotto, insomma, non di migliorare l’intero assetto della società umana”.

Aziende di cui ci si può fidare?

“Non possiamo fidarci delle aziende che oggi sono al lavoro per sviluppare l’AI.

Ricordo l’esempio di Facebook, che ha venduto i profili di 80 milioni di utenti americani a Cambridge Analytica, che ha sua volta li ha ceduti ai russi per influenzare le elezioni presidenziali degli Stati Uniti.

Google, in questo momento, ha 400 avvocati a libro paga per difendersi dalle numerosissime cause intentate da chi li accusa di non rispettare i copyright, assumere atteggiamenti predatori nel business, violare la privacy.

 In ogni caso, mi sembra auspicabile l’ipotesi che ci siano più soggetti coinvolti nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.

 Per evitare che il controllo di questo progetto finisca nelle mani di pochissime persone”.

(Alessandro Mezzena Lona).

 

 

“LA QUARTA RIVOLUZIONE di Luciano Floridi,

COME L’INFOSFERA STA TRASFORMANDO IL MONDO

Francescomacri.wordpress.com - ANTONIO CARNICELLA – (7 giugno 2022) – ci dice:

 

La rivoluzione digitale è il tema del momento, insieme all’emergenza climatica. Come quest’ultima, entrata nelle predizioni degli specialisti da più di cinquanta anni, è stata largamente anticipata da qualche visionario.

Tuttavia, il tema comincia ad interessare un campo più ampio di quello degli addetti ai lavori e lascia pensare che l’ibridazione uomo-macchina e la realtà aumentata siano scenari presenti e non futuribili, oggi che il web 2.0 è diventato la nostra realtà abituale, i social network, la comunità di riferimento e il collegamento tra noi e le più comuni esperienze quotidiane è sempre più spesso assicurato da potenti dispositivi.

Come per il clima, la divisione del campo coniata da Umberto Eco tra apocalittici e integrati, tra oltranzisti che si astengono dall’uso del digitale e gli entusiasti che vedono nella rete la rappresentazione perfetta di società democratica, ha poco senso.

Il mondo in cui viviamo non è comprensibile prescindendo dalla tecnologia digitale, questo è “il fatto”, ed è impensabile il ritorno ad una precedente analogica età dell’oro.

Come ogni altra tecnologia, anche il digitale non è un mero strumento nelle mani dell’uomo, ma qualcosa che ne determina i comportamenti, il modo di vedere e relazionarsi al mondo, il suo modo di essere.

Da questo punto di vista, i cambiamenti che ha indotto sono stati repentini e molto spesso accolti senza consapevolezza determinando, in alcuni casi, sgomento.

Nelle nostre consulenze raccogliamo domande che scaturiscono dalle ricadute sulle esistenze individuali, come l’incapacità di concentrarsi su obiettivi personali, l’inadeguatezza rispetto ai propri compiti, il senso di isolamento determinato dall’uso dei social e dei dispositivi digitali, il conflitto interiore che ingenerano attraverso la dipendenza.

 Anche i nostri colleghi insegnanti, si confrontano quotidianamente con una generazione di ragazzi dipendenti dai media, indisponibili ad imparare, con difficoltà di concentrazione, perdita di memoria e di capacità di lettura, di scrittura e disturbi comunicativi.

Tra gli esiti di questa rivoluzione gli esperti riscontrano un generale declino cognitivo e la decostruzione del pensiero complesso.

Questi temi sono stati posti al centro di un laboratorio aperto al pubblico nell’ambito del XXII Seminario nazionale di Phronesis, svoltosi a Poppi dal 18 al 21 luglio 2019, in cui le esperienze e le riflessioni riportate sono state concordi nel rendere conto di una frattura antropologica introdotta dall’avvento delle nuove tecnologie, delle sfide che questa pone alla stessa filosofia e alla nostra professione.

Di fronte alla grande trasformazione in atto, c’è chi rivaluta il ruolo della filosofia come disegno di soluzione ai problemi aperti.

 È Luciano Floridi, docente di Filosofia ed etica dell’informazione presso l’Università di Oxford e direttore del “Digital Ethics Lab dell’Oxford Internet Institute”, che con “La quarta rivoluzione”.

“Come l’infosfera sta trasformando il mondo” (Raffaello Cortina Editore 2017) pone le basi per lo sviluppo di una filosofia che tenga conto dell’effetto che le ICT digitali, ossia le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, stanno producendo sulla nostra vita quotidiana: una nuova filosofia della storia, […] una nuova filosofia della natura, una rinnovata antropologia filosofica, un ambientalismo sintetico che possa fungere da ponte tra noi e il mondo, e il collante di una nuova filosofia politica.

Nello stesso tempo, quello di Floridi non vuole essere un testo specialistico. L’autore si propone di rispondere alle generali esigenze di comprensione della rivoluzione informatica, di individuarne e discuterne i problemi emergenti e di offrire un lessico che tenga conto dei nuovi concetti.

Leggendo il titolo, si potrebbe pensare che Floridi si riferisca alla quarta rivoluzione industriale, quella che sta per essere introdotta dalla cosiddetta Industria 4.0, basata su tecnologia digitale, innovazione, competitività ed efficienza e caratterizzata dal conseguente sviluppo di prodotti e servizi con un alto grado di automazione e interconnessione.

 In realtà, la rivoluzione cui fa riferimento il filosofo romano-oxoniense riguarda non solo le possibilità ideative e produttive che si aprono sul futuro degli esseri umani, ma soprattutto il modo in cui questi comprendono loro stessi e il mondo in cui vivono.

 Da questo punto di vista, per Floridi la prima grande rivoluzione è stata quella compiuta da Nicolò Copernico, che ha tolto l’uomo dal centro dell’Universo, là dove pensava di essere stato collocato da Dio, costringendolo a guardare in maniera diversa a sé stesso e al proprio ruolo.

La seconda rivoluzione è avvenuta nel 1859, quando Charles Darwin, pubblicando nell’ “Origine della Specie” i risultati delle sue ricerche, tolse alla cosiddetta scimmia glabra il primato nel regno biologico: grazie ai buoni uffici di Cartesio, l’uomo poteva dirsi almeno padrone in casa sua.

Chi altri, nei regni fisici conosciuti, poteva affermare con tanta certezza di avere idee chiare e distinte sul mondo e su sé stesso in quanto soggetto pensante?

A togliergli anche questa illusoria centralità è stato Sigmund Freud, secondo cui ciò che siamo, che pensiamo e che facciamo è determinato dall’inconscio.

 In questo percorso regressivo verso spazi sempre più ridotti (universo, biologia, mente), all’uomo non restava che rinchiudersi nei propri pensieri (Pascal), dove nessuno avrebbe potuto stanarlo.

La sua ragione, che Floridi con Hobbes considera per natura una macchina calcolante, non aveva però fatto i conti con Alan Turing, il padre della quarta rivoluzione, che nel 1950, col suo celebre articolo intitolato “Macchine computazionali e intelligenza”, rivelava al mondo l’esistenza di una macchina più logica della ragione umana e con un potere computazionale di gran lunga superiore.

Dopo Turing, informatica e ICT hanno allargato le nostre conoscenze e la nostra capacità di operare nella realtà, hanno gettato una nuova luce su chi siamo, sul modo in cui ci relazioniamo con il mondo e tra di noi, e su come concepiamo noi stessi.

Al percorso compiuto nei secoli dall’autocomprensione umana, Floridi accompagna anche una lettura consequenziale della storia attraverso le ICT.

Oggi gli agenti informazionali artificiali sanno fare tante cose meglio degli umani, come ad esempio giocare a scacchi, scrivere per il cinema e fare consulenze legali.

Con il fenomeno conosciuto come “internet of things”, inoltre, le cose sanno interagire tra di loro autonomamente, tanto che il numero delle loro connessioni ha superato la comunicazione umana.

 In cinquant’anni, dai primi sviluppi della macchina di Turing ad oggi, un periodo insignificante se paragonato ai 6000 anni passati dal momento in cui l’essere umano ha cominciato ad usare ICT, abbiamo compiuto un vero e proprio salto evolutivo.

 Quel lontano momento iniziale, che coincide con l’invenzione della scrittura nelle prime civiltà mesopotamiche, ha segnato il passaggio dalla “preistoria” alla “storia”, che Floridi non intende tanto come periodi storici ma come termini che operano come avverbi: esprimono come le persone vivono, non quando o dove vivono.

Mentre nella preistoria le ICT erano assenti, nella storia permettono di registrare il presente per il futuro, di organizzare, connettere e scambiare informazioni, anche se il funzionamento delle società agricole e industriali si è basato su tecnologie imperniate su risorse primarie e sull’energia.

 Solo molto recentemente, scrive Floridi, il progresso e il benessere dell’umanità hanno iniziato a essere, non soltanto collegati a, ma soprattutto dipendenti dall’efficace ed efficiente gestione del ciclo di vita dell’informazione […] (e) tale dipendenza ha comportato il nostro recente ingresso nell’iper-storia.

Questa nuova era non trascende le coordinate spazio-temporali che hanno regolato da sempre la vita su questo pianeta, ma le società dell’informazione avanzate generano una quantità di dati da non poter avere normale funzionamento senza le ICT, che ne permettono la gestione e il processo con sistemi sempre più veloci e con e maggiori disponibilità di memoria.

 Negli ultimi anni le tecnologie ICT sono divenute forze ambientali, antropologiche, sociali e interpretative.

Esse creano e forgiano la nostra realtà fisica e intellettuale, modificano la nostra autocomprensione, cambiano il modo in cui ci relazioniamo con gli altri e con noi stessi, aggiornano la nostra interpretazione del mondo, e fanno tutto ciò in maniera pervasiva, profonda e incessante.

 

 

Quali sono, secondo Floridi, le conseguenze sull’uomo e sull’ambiente che abita? Il passaggio dalla carta al digitale ha modellato il nostro essere in funzione di inforg, entità composte di informazione che scambiano dati non solo e tanto con altri umani ma con macchine.

Questo non significa che diventeremo cyborg, che comanderemo smartphone, automobili e elettrodomestici con neuro-protesi e neppure che ci sarà una trasformazione biotecnologica nel nostro corpo, ma, più seriamente e realisticamente, che abbiamo adattato il nostro ambiente agli agenti ICT.

Ne consegue che è oramai caduta la differenza tra esterno e interno, reale e digitale, poiché ciò che è reale è informazionale e ciò che è informazionale è reale.

L’ambiente in cui esperiamo le nostre esistenze, globale, integrato, interconnesso e informazionale, è chiamato da Floridi infosfera, uno spazio misto digitale-analogico che assimila all’acqua salmastra in cui vivono le mangrovie.

 Di fatto, siamo andati oltre la separazione tra la vita online e quella offline, siamo semplicemente OnLife, come dal titolo del Manifesto scritto da un collettivo di autori, tra cui Floridi, per stimolare il dibattito intorno alle trasformazioni introdotte dalle ICT.

Non ha molto senso, scrive, chiedersi se qualcuno è online o offline mentre guida seguendo le istruzioni del navigatore che si aggiornano in tempo reale.

La stessa domanda risulterà incomprensibile a qualcuno che controlla la propria posta elettronica mentre viaggia a bordo di un’auto che si guida da sola tramite GPS. In questa sostanziale continuità con i soggetti umani, gli oggetti si “animano”, tornano ad assumere quelle proprietà spirituali che avevano per i personaggi dei poemi omerici, tanto che i rappresentanti della generazione Z, i nati post Duemila che sono naturalmente digitali o AO (always on) come ricorda Floridi citando Janna Quiney Anderson, di primo acchito cercano di interagire con gli oggetti come se questi avessero tutti una disposizione digitale.

Dal punto di vista sociologico, esiste già, quindi, una netta cesura tra i nati nel nuovo millennio e le precedenti generazioni X (1960-1980) e Y (1980-2000).

Oltre la discriminazione intergenerazionale, il divario digitale potrà creare problemi tra coloro che sono abitanti dell’infosfera e coloro che non lo sono, tra inclusi ed esclusi, tra ricchi e poveri in informazione, con effetti socioeconomici e culturali anche all’interno della stessa nazione che si sommeranno a quelli economico-geografici già esistenti.

 

Chi si muove nell’infosfera come nella sua realtà naturale non sarà poi tanto sorpreso nel trovarsi di fronte, in un futuro molto prossimo, a ITenti in grado di monitorare, apprendere, suggerire e comunicare l’uno con l’altro.

Grazie all’additive manufacturing, che comprende stampa 3D, robotica avanzata e interazioni tra automi, l’intervento umano nella progettazione e realizzazione di sistemi complessi diventerà ridondante.

Il mondo in cui vivremo non sarà più propriamente umano, almeno non nel senso in cui lo abbiamo concepito finora, e dobbiamo rassegnarci all’evidenza di averne perso il controllo o, come dice Floridi nei suoi interventi in pubblico, di non essere più al centro della festa.

Però, ci resta la possibilità di organizzarla la festa, scollando il mondo costruito e pensato in epoca predigitale e rimontandolo in termini informazionali, così come penseranno i nostri successori.

Per farlo è necessario comprendere chi siamo, mentre chi potremmo essere e diventare dipende dalle categorie concettuali con cui affronteremo le trasformazioni della nostra vita quotidiana, da quanto saremo disposti a cambiare il nostro rapporto con la conoscenza e la cultura superando i confini geografici e le delimitazioni settoriali e disciplinari.

Questa è la sfida che Floridi raccoglie rivedendo alla luce della nuova filosofia dell’informazione tutta una serie di problematiche che emergono con l’innovazione digitale, a cominciare dall’identità per passare alla privacy e alle questioni etiche, sociali, politiche ed ecologiche.

Dal momento che trascorriamo sempre più tempo nell’infosfera, è lì che prende forma la nostra identità personale e che il nostro sé trova riconoscimento ed è sempre lì che esponendo le nostre idee, i nostri stati d’animo e le nostre relazioni per un processo di distrazione da fine a mezzo finiamo per essere smaterializzati e tipizzati, trasformati in dati da utilizzare in funzione commerciale.

 Dalla sua analisi emerge che il processo di con-formazione alle ICT – le più potenti tecnologie del sé alle quali siamo mai stati esposti – non sarebbe possibile se il nostro sé non fosse “già” informazionale, costituito da attività, ricordi e storie in cui si esprime la nostra coscienza di sé.

 Nel modello informazionale l’attività della coscienza sembra poter essere paragonata ad un software che immagazzina ed elabora quanto il corpo-hardware esperisce.

 Per superare la possibile reintroduzione del vecchio dualismo che le neuroscienze hanno sconfessato, Floridi recupera la teoria del fisico americano John Arcibald Wheeler, secondo cui “tutto è bit”, anche i nostri corpi sono costituiti da informazioni nelle loro componenti ultime, e non da qualche entità materiale differente da ciò che è immateriale.

Mente e corpo, allora, vanno pensati in una forma di monismo basata su differenti stati o configurazioni informazionali.

Da qui derivano due opposte conseguenze: da una parte la di individualizzazione di un soggetto che auto-narrandosi, a seconda del contesto e delle situazioni, diventa relativo, leggero, molteplice; dall’altra, il rafforzamento del processo di personalizzazione attraverso la pubblicazione di post, tweet, foto, video e la condivisione di esperienze e ricordi.

Un’individualità forte, così concepita, può maturare una forma di schiavitù nel personaggio che crea, supportato dal ricordo di esperienze non dimenticabili poiché alimentate da una memoria informatica e confermate dall’occhio della Rete, che continuamente rimanda l’ipnotica percezione che gli altri hanno di noi nella quale ci si può perdere.

 

Floridi non dà molto credito ai vari Geremia, i tecnofobi che vedono tra i risultati della tecnologia la perdita del passato contatto con la natura, dell’autenticità e della corporeità, che rispetto allo spazio umano parlano di delocalizzazione e che vedono una ancora maggiore esposizione al consumismo.

Il problema, per lui, è che lo sviluppo è stato indirizzato ad avvolgere il mondo, termine tecnico che sta per renderlo a misura di macchina, pratica che ha come correlato il pericolo che esseri umani diventino parte integrante del meccanismo digitale. In realtà, se è vero che non possiamo competere con gli algoritmi che permettono alle macchine di decodificare e processare miliardi di dati, è altrettanto vero che possiamo comprendere i significati degli accadimenti, di apprezzare le caratteristiche semantiche degli enti coinvolti e delle loro relazioni, di riuscire quindi lì dove loro fallivano nel test di Turing.

Non bisogna, quindi, lasciare che sia l’artificiale a decidere per noi ma controllare i processi in modo consapevole.

Questo, dice Floridi è un processo già in atto nell’infosfera che stiamo costruendo, con effetti positivi dal punto di vista etico e politico.

 

 Le ICT, infatti, ricevono, processano e mettono a disposizione dati in tempo reale determinando una sostanziale crescita della conoscenza comune. In un mondo in cui tutti sono connessi, le informazioni sono a portata di link, sempre più trasparenti, visibili e comunicabili e gli eventi più prevedibili e ignorabili.

Di conseguenza diventa meno credibile asserire di non conoscere, mentre aumenta la responsabilità degli agenti.

Lo stesso approccio teso a riaffermare tanto il ruolo umano rispetto all’impatto delle ICT quanto le possibilità che queste offrono nella costruzione di uno spazio sociale condiviso, Floridi lo applica negli ultimi capitoli del volume alle criticità che emergono in materia di privacy, politica e ambiente.

e la natura umana è costituita da informazioni che individuano una persona e la rendono ciò che è, l’accesso/possesso di informazioni contribuisce in maniera sostanziale a migliorare o peggiorare l’esistenza.

Per queste ragioni, l’information technology è pericolosa nella misura in cui modella la nostra individualità e ci espone alla sua violazione da parte di terzi.

Ecco quindi che il diritto alla conoscenza e alla libertà d’informazione, compiere pratiche on line come acquistare oggetti, socializzare, adempire pratiche amministrative, votare, finiscono per confliggere con il diritto alla privacy ed alla sicurezza dei dati personali.

Floridi propone di rileggere la privacy in termini auto-fondativi, nel senso che la difesa dei dati e della propria sfera personale è la via maestra per consentire ad una persona di sviluppare e maturare la propria individualità lontano da interferenze.

 Il flusso informativo, scrive, richiede una certa frizione per mantenere ferma la distinzione tra il macrosistema multi-agente (la società) e l’identità dei microsistemi multi-agente (gli individui) che lo costituiscono.

Qualsiasi società (perfino una utopica) in cui non sia possibile alcuna privacy informazionale è una società in cui non può avvenire alcun processo auto-fondativo, né è possibile sviluppare o conservare un’identità personale, né di conseguenza alcun benessere può essere conseguito, dal momento che il benessere sociale non è altro che la somma del benessere degli individui che ne sono parte.

L’informazione è fondamentale per la costruzione di una società democratica, basata su regole e valori, sul confronto aperto e sul compromesso, ma le ICT hanno contribuito a perturbare il processo democratico confondendo e alterando i ruoli di chi ha il potere (popolo) e da chi lo esercita (governo), provocando il disincanto individuale nei confronti della politica, dei movimenti globali, dell’attivismo, del volontarismo e delle mobilitazioni internazionali.

Contro il pericolo della democrazia digitale, Floridi invita a rinnovare la democrazia rappresentativa disegnando uno spazio sociale in cui agenti di vario genere possano interagire e un sistema politico multi-agente sostituisca la politica storica, fondata su partiti, classi, ruoli sociali definiti, manifesti e programmi politici, e lo stato sovrano, che ricercava la propria legittimazione politica una sola volta e che l’usava finché non gli era revocata.

Consapevolezza e partecipazione alla vita pubblica, anche in maniera “temporanea”, “su richiesta”, “orientata a un fine” come avviene sempre più spesso, sono fondamentali anche per contrastare l’emergenza climatica e riconciliare il nostro ruolo di agenti nella natura con quello di difensori della natura.

Se è vero che le ICT contribuiscono al surriscaldamento in funzione della sempre maggiore quantità di energia necessaria al loro funzionamento, lo sviluppo di un ambientalismo digitale può indirizzarne l’uso in modo che possano contribuire a frenare la distruzione, l’impoverimento, la devastazione e lo spreco di risorse sia naturali sia umane, nonché di quelle storiche e culturali.

 

 

Malgrado le difficoltà che preannuncia e le sfide che propone, secondo Floridi, l’ingresso dell’umanità nella fase Iper-storica apre orizzonti ricchi di opportunità. Per saperle cogliere, tuttavia, occorre un nuovo approccio filosofico alla realtà per comprendere la forma che le stanno dando le tecnologie e l’impatto che queste hanno sulle nostre esistenze e sulle nostre identità.

 Il suo lavoro va in questa direzione ponendo le domande necessarie a fare emergere i punti critici di quella che ha chiamato la IV Rivoluzione.

Chi controlla le domande, afferma, dà forma alle risposte e chi controlla le risposte dà forma alla realtà.

È molto probabile che lo sviluppo digitale oggi avrebbe fatto meno paura e avrebbe avuto contorni più “umani” se molte questioni fossero state affrontate a monte.

Come evidenzia Alessandro Baricco, quel manipolo di geniali ingegneri dalle cui intuizioni cinquanta anni fa è nata la Rete non aveva un piano di sviluppo umanistico né un’idea di uomo.

La loro ambizione era quella di rimuovere le cause dei disastri del ‘900, fuggire dalle limitazioni imposte dalla realtà fisica, far saltare tutte le mediazioni che portano alla conoscenza, abbattere la concentrazione del potere nelle mani di pochi e sviluppare le capacità di tutti e non solo quelle di un’élite.

Le loro idee lodevoli e messianiche si sono infrante contro il colosso capitalista, che ne ha colonizzato le creazioni. Inoltre, facilitando i compiti e rendendoli in alcuni casi divertenti, mettendo tutto immediatamente a disposizione, la tecnologia digitale ha condotto alla gamificazione dell’esistenza e, effetto non previsto, a un individualismo senza identità.

Con la sua filosofia dell’informazione, anche in un testo divulgativo come il presente, Floridi prova a correggere la rotta al progresso tecnologico cercando, nello stesso tempo, di renderci consapevoli dell’evento cruciale che l’umanità sta affrontando: un cambiamento antropologico accompagnato da un cambiamento di civiltà.

Non è la prima volta che il genere umano affronta tale scoglio, ma per importanza quello in atto è paragonabile solo alla scoperta della scrittura.

 Le ICT ha infatti determinato una sorta di frattura rispetto alla linea evolutiva che qualche millennio fa aveva condotto il cervello umano, come evidenziato dal neuroscienziato del “College de France” Stanislas Deheane, a dirottare verso la lettura neuroni in precedenza utilizzati per funzioni non più indispensabili.

 Oggi quei neuroni vengono riciclati dal cervello in altre attività e presto acquisiremo competenze ancora diverse che ci faranno entrare in una nuova civiltà.

L’analisi di Floridi, tuttavia, manca di fare emergere una domanda fondamentale, quella che riguarda il senso e lo scopo di questo passaggio epocale.

 Metterlo in questione non è il compito che si è assunto in questo volume, ma la filosofia, se non vuole essere la nottola di Minerva che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, non può limitarsi a sistematizzare un processo che, malgrado le rassicurazioni degli ottimisti, può dirigere l’umanità verso l’unidimensionale del pensiero computazionale, lo stesso dei dispositivi elettronici.

 

Per tornare al parallelo iniziale, la lassitudine con cui viene affrontato il cambiamento climatico, sia dai politici che da una parte della cittadinanza mondiale, è un esempio di quanto sia comune affidarsi alla razionalità calcolante, a protocolli e sistemi di valutazione precostituiti per raggiungere obiettivi e risultati minimi e senza intralci che mettano in discussione il paradigma dominante di produzione e consumo.

 Se l’economicità diventa la categoria (unica) di riferimento, pensare si trasforma in sintomo di angoscia e la complessità sinonimo di complicazione.

 Per questa ragione, la filosofia, nata insieme al teatro e alla letteratura all’alba della civiltà della scrittura, corre il rischio di diventare irrilevante.

Per continuare ad avere il ruolo centrale che ha sempre avuto deve proporsi come critica radicale dei fini e dei presupposti dell’ideologia tecnologico-capitalista, così da impedire che nel suo procedere senza limiti questa vada al di là dei possibili benefici per il genere umano.

 Se Dio non c’è, tutto è permesso, affermano Kirillov ed Ivan Karamazov, due dei protagonisti de “I dèmoni” di Dostoevskij, ma, come dimostra la loro parabola, se tutto è permesso allora vivere diventa impossibile.

 

 

 

LA GRANDE SFIDA DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE.

Policlic.it- Alessandro Lugli – (14-2-2022) – ci dice:

 

Quali strategie adottare per gestire la transizione tecnologica?

Il conflitto tra macchina e uomo: dalla Rivoluzione industriale a quella digitale.

Sul finire del XVIII secolo, la Gran Bretagna divenne l’epicentro globale di quella trasformazione delle strutture produttive meglio nota come “rivoluzione industriale”.

Senza alcun dubbio, è possibile affermare che tale fenomeno è stato uno degli eventi più importanti della storia dell’umanità.

Fu in quel periodo, infatti, che vennero a crearsi le basi per gli sviluppi socioeconomici che hanno modificato radicalmente le caratteristiche del genere umano.

Nel giro di pochi decenni, le società europee sono passate da ritmi e stili di vita prevalentemente agricoli a organizzazioni via via più tecnologiche.

Una tra le trasformazioni più evidenti ha riguardato il ruolo dell’essere umano nel complesso delle attività produttive.

Le precondizioni venutesi a creare in Gran Bretagna a cavallo tra Settecento e Ottocento – come, ad esempio, la promozione dell’iniziativa privata, lo sviluppo della ricerca scientifica, l’approvvigionamento di risorse su scala globale e lo sviluppo di un’economia estrattiva dinamica e organizzata – facilitarono la creazione di un mercato talmente florido da poter garantire senza problemi l’assorbimento di nuovi prodotti.

Tale processo fu agevolato dall’introduzione di macchinari sempre più sofisticati dal punto di vista tecnologico.

 A questo proposito, è utile pensare a ciò che accadde all’industria tessile tra il 1760 e il 1780.

Nel 1764, James Hargreaves, un carpentiere di Blackburn, inventò la giannetta, ovvero una macchina filatrice che permetteva a un solo operaio di azionare contemporaneamente otto fusi (strumenti che permettono di trasformare, tramite una torsione, le fibre in filati).

Nel 1768, Richard Arkwright, un barbiere analfabeta esperto di meccanica, brevettò il primo filatoio ad acqua per convertire il cotone grezzo in fibre. La scoperta più rilevante fu però quella di James Watt, il quale, tra il 1765 e il 1781, si rese protagonista dell’invenzione della macchina a vapore, con conseguenze strabilianti sulla disponibilità di energia.

 Grazie alla scoperta di Watt, l’industria del carbone andò incontro a uno sviluppo tale da permettere la meccanizzazione del comparto agricolo e la trasformazione di quello infrastrutturale. 

Di lì a poco, la Gran Bretagna fu in grado di esportare la rivoluzione industriale in tutto il mondo, grazie, in particolar modo, alle scoperte tecnologiche che investirono il mondo dei trasporti.

Nel 1807, l’americano Robert Fulton elaborò il primo vaporetto installando un motore a vapore per azionare le pale poste ai lati dell’imbarcazione; il 17 agosto 1807, una folla di spettatori si riunì lungo le sponde dell’Hudson per assistere alla prima traversata del battello di Fulton da New York ad Albany.

Nel 1814, invece, l’inglese George Stephenson diede una svolta epocale al settore dei trasporti presentando la prima locomotiva della storia, a cui, nel 1825, fece seguito Active, un veicolo ferroviario che Stephenson fece transitare sulla linea ferrovia Stockton-Darlington, la prima della storia.

Tutte queste scoperte determinarono un aumento della ricchezza senza precedenti, ma a beneficiarne furono le classi più agiate e i capitali più consistenti.

Questo strabiliante sviluppo tecnologico portò, poi, a un’organizzazione della vita lavorativa del tutto avulsa dal contesto agricolo in cui l’umanità aveva vissuto fino a pochi decenni prima.

 L’introduzione di efficienti macchinari per la produzione su larga scala determinò la concentrazione massiccia dei lavoratori all’interno delle fabbriche, che divennero il centro nevralgico delle attività produttive, con regole, ritmi e orari ben definiti.

Tuttavia, la rivoluzione industriale comportò anche notevoli problemi di carattere sociale.

L’uso più insistente di macchinari altamente produttivi portò alla perdita di un gran numero di posti di lavoro.

 Il sistema produttivo smise di essere incentrato sul possedimento di grandi proprietà terriere, determinando l’emersione di una borghesia economicamente molto potente e dotata di una prima vera coscienza di classe.

I costi sociali di questa trasformazione si rilevarono esorbitanti: la meccanizzazione del lavoro causò una spaccatura netta tra capitalisti e forza lavoro.

I lavoratori manuali si riversarono nelle città e iniziarono a vivere in condizioni disumane, all’interno di fabbriche malsane e dormitori sovraffollati privi di qualsiasi norma igienica.

Oltre al drastico peggioramento delle condizioni di vita di decine di migliaia di lavoratori, la rivoluzione tecnologica che sconvolse l’Occidente fece emergere, per la prima volta nella storia dell’umanità, le conseguenze del primato della meccanizzazione a discapito della specializzazione della forza lavoro.

 La produzione priva di regolamentazione, unita all’assenza di una benché minima forma di tutela giuslavoristica dei lavoratori, determinò da un lato un’esponenziale crescita della ricchezza, dall’altro un generale deterioramento della qualità della vita degli operai.

La problematica fu perfettamente sintetizzata da Robert Owens, noto industriale del periodo, che fu tra i primi a postulare l’importanza dell’associazionismo tra i lavoratori.

Owens disse infatti che la diffusione delle manifatture, fondata su un principio del tutto sfavorevole alla felicità individuale, nel lungo periodo avrebbe potuto generare effetti sociali drammatici se il governo non fosse stato in grado di mediare tra la borghesia capitalista e la neonata classe operaia.

Fu in questo contesto che emersero i primi movimenti di protesta operaia.

 Il 12 aprile del 1811 centinaia di operai assaltarono la fabbrica di filati di William Cartwright nel Nottinghamshire per protestare contro il primato delle macchine, lo sfruttamento e l’alienazione a cui erano sottoposti.

In virtù del “Framebreaking Bill”, una legge introdotta per punire gli atti vandalici nei confronti dei macchinari produttivi, centinaia di persone finirono a processo e tredici lavoratori furono addirittura condannati a morte.

Nella Camera dei Lord si alzò soltanto una voce contraria: quella di Lord Byron. Una volta lasciato il Regno Unito, il grande poeta inglese scrisse persino un poema in onore dei rivoltosi, soprannominati “luddites” (luddisti) a causa della loro vicinanza alle rivendicazioni di Ned Ludd, un operaio che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio per protestare contro il primato della tecnologia sui muscoli.

(Luddisti distruggono un telaio all’interno di una fabbrica inglese).

Sono trascorsi 257 anni dall’introduzione del primo telaio meccanizzato, eppure, alla soglia della quarta rivoluzione industriale, le problematiche emerse in Occidente tra Settecento e Ottocento sembrano riemergere in tutta la loro rilevanza: cambiano le forme e il contesto, questo è chiaro, tuttavia i timori che oggi attanagliano una grossa fetta di società sembrano essere gli stessi che avevano spinto i seguaci di Ned Ludd a distruggere i macchinari tessili nel 1811.

Ma dal momento che ogni rivoluzione tecnologica comporta una rapidità evolutiva sempre maggiore, i timori relativi agli effetti degenerativi della digitalizzazione sono accompagnati dall’impellenza di trovare soluzioni a un cambiamento così veloce da risultare addirittura impalpabile.

In questo senso, basterebbe riflettere sull’effetto che i social network hanno avuto in settori professionali, quali il marketing o la vendita al dettaglio, per avere un’idea della rapidità con cui la digitalizzazione sta modellando il presente.

 

Facebook, che era nata come piattaforma per aggregare gli studenti di diversi campus e dormitori, nel giro di pochi anni si è tramutata in uno dei più fruttuosi luoghi virtuali dedicati agli scambi commerciali ad alta frequenza.

Raccogliendo ed elaborando i dati relativi agli utenti, Facebook è in grado di offrire ai propri iscritti degli annunci pubblicitari mirati a invogliarli ad acquistare nuovi beni, beni che sono pubblicizzati dalle aziende che acquistano spazi sulla piattaforma.

Un sistema, quest’ultimo, estremizzato da un’altra delle aziende controllate da Mark Zuckerberg: Instagram.

Quest’ultimo, nato da un’idea di Kevin Systrom, è stato capace di generare la figura dell’influencer, che consiste in una persona talmente popolare da riuscire a influenzare i comportamenti e le scelte di consumo degli utenti.

La diffusione di questa nuova tipologia di scambi commerciali, più immediati, accattivanti e personalizzabili sulla base dei gusti e delle preferenze espresse dagli utenti, ha determinato una trasformazione radicale del marketing, al punto da rendere quasi obsoleto uno dei capisaldi dell’economia consumistica, vale a dire la pubblicità.

I timori relativi alla rapidità della rivoluzione digitale trovano conferma nelle previsioni riguardanti il futuro di molte figure professionali.

Da un’analisi del “Forum sul lavoro del futuro e le nuove competenze”, organizzato nel 2019 dal Sole 24Ore in collaborazione con la società di consulenza EY, è emerso infatti che, in soli cinque anni, i lavoratori dovranno fronteggiare la trasformazione di circa il 60% delle mansioni.

Le motivazioni di tale cambiamento riguardano da un lato la necessità di aggiornare le proprie competenze in termini digitali, dall’altro il sempre maggiore ricorso a sistemi di intelligenza artificiale.

Questi ultimi sono elementi che, come era accaduto agli albori della Rivoluzione industriale, riportano a galla il mai sopito conflitto tra macchine e forza lavoro.

Nel 2017, in un articolo apparso sul Guardian, Arwa Mahdawi stilava una lista dei lavori più a rischio per i prossimi vent’anni.

 Con l’introduzione di macchinari dotati di sistemi di apprendimento automatico è ragionevole aspettarsi che figure professionali come gli operatori di call center, i funzionari assicurativi o di banca, i cassieri, gli autisti o il personale dei fast food siano destinate a scomparire nel giro di due decenni.

Considerando il gran numero di persone che al giorno d’oggi svolgono questi lavori, è chiaro che una simile evoluzione potrebbe sancire una vera e propria emergenza sociale.

Però è bene specificare che non tutti i lavori che oggi alimentano l’economia globale sono destinati a sparire.

Molto più semplicemente, essi subiranno una radicale ridefinizione.

Il problema, infatti, non riguarda la scomparsa di specifiche figure professionali, ma la capacità dei lavoratori di sviluppare competenze tali da poter affrontare la transizione senza “spargimenti di sangue”.

 In questo senso, la rapidità dei cambiamenti introdotti dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale pone un problema di gestione dei processi, prima ancora che di sopravvivenza.

Quali strategie adottare per proteggere i lavoratori?

A porre l’attenzione sulla necessità di gestire la quarta rivoluzione industriale in maniera tale da garantire la tutela delle categorie più deboli è stato anche Roberto Cingolani.

Secondo il ministro della Transizione Ecologica il cambiamento in atto, se non regolamentato, potrebbe sancire la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro.

La storia della prima Rivoluzione industriale in questo senso è paradigmatica: permettere agli ingranaggi della transizione tecnologica di girare liberamente, senza assicurare tutele di alcun tipo, potrebbe determinare una crisi sociale per certi versi simile a quella verificatasi durante la meccanizzazione delle attività produttive di fine Settecento, al netto delle tutele sindacali ancora valide e influenti.

Da questo punto di vista, un ruolo fondamentale dovrà essere svolto proprio dalle istituzioni.

La storia insegna infatti che il miglioramento delle condizioni dei lavoratori è avvenuto allorquando la sinergia tra forze politiche e corpi intermedi si è fatta via via più concreta.

Nella seconda metà dell’Ottocento, lo sviluppo del diritto del lavoro ha trovato una prima applicazione pratica nel momento in cui lo Stato ha iniziato a interpretare il ruolo di mediatore nello scontro tra capitalisti e classe operaia, andando a riconoscere progressivamente maggiori diritti ai lavoratori, senza impoverire l’influenza dell’imprenditoria privata.

Tuttavia, per giungere alle prime timide forme di tutela lavoristica ci sono voluti circa cento anni, e basterebbe leggere un qualsiasi romanzo di Dickens, Verga o Zola per capire quali conseguenze questo ritardo possa aver generato sulla popolazione.

 Ciononostante, ancora oggi, ciò che sembra sfuggire alla classe politica è proprio la necessità di introdurre nell’immediato forme di tutela che possano scongiurare un disastro sociale.

Questo perché, sia la destra che la sinistra sembrano concordare sul fatto che gli effetti più negativi della digitalizzazione possano trovare soluzione nel lungo periodo.

 Da un lato vi è l’idea liberista secondo cui la digitalizzazione del mercato porterà automaticamente alla nascita di nuove professioni e quindi alla piena occupazione; dall’altra, invece, vi è la convinzione progressista che vede nell’intelligenza artificiale uno strumento al servizio dell’umanità, capace di generare benessere e di annullare il conflitto sociale.

Questi due approcci appaiono ancora meno funzionali considerando la rapidità con cui la digitalizzazione sta modificando l’attuale sistema socioeconomico.

Tuttavia, per scongiurare una crisi sociale nel breve-medio termine, è auspicabile che lo Stato introduca interventi strutturali che possano frenare gli effetti più negativi della rivoluzione digitale.

Relativamente a ciò, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden sembrerebbe aver compreso come, di fronte a sfide epocali, l’unico attore in grado di garantire il maggior numero di risorse possibili per il bene della collettività sia proprio lo Stato.

A fargli eco, la Commissione Europea guidata da Ursula Von Der Leyen, decisa, per esempio, a introdurre normative che possano circoscrivere l’immenso potere dei colossi del web.

Tra tutti gli interventi volti ad a rendere meno traumatica la transizione digitale, uno dei più impellenti è senza dubbio l’aggiornamento dei programmi di istruzione e formazione.

Nel 2019, un’analisi dell’OCSE ha rilevato che, su ventinove Paesi analizzati, l’Italia si è posizionata al terzo posto per numero di analfabeti digitali.

Tradotto vuol dire che solo il 21% della popolazione italiana avrebbe “le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale, sia in società sia sul posto di lavoro”.

 Ad allarmare sono anche i risultati di nazioni quali Francia, Regno Unito e Stati Uniti, anch’esse collocate nella parte bassa della classifica, a dimostrazione di come l’analfabetismo digitale sia una problematica che accomuna le maggiori economie mondiali.

In sintesi, l’analisi impietosa dell’OCSE certifica la necessità di investire in un programma di aggiornamento dei sistemi di istruzione e formazione.

Di fronte a una rivoluzione inarrestabile, che procede rapidissima, i programmi scolastici e universitari dovrebbero essere aggiornati per garantire agli studenti la conoscenza dei principali strumenti digitali, senza tralasciare tutti gli insegnamenti utili per comprendere il mondo in cui essi vivono, come la matematica, le scienze, la storia, la geografia e la filosofia.

In particolar modo, a dover subire un radicale processo di adattamento dovranno essere i programmi universitari.

 L’offerta formativa tecnologica non potrà più essere appannaggio esclusivo delle facoltà scientifiche, dal momento che la digitalizzazione investirà prepotentemente anche l’ambito umanistico.

Basti pensare al ruolo che potrebbero avere i laureati in Linguistica nell’implementazione di meccanismi di memoria conversazionale per i dispositivi di intelligenza artificiale, oppure al contributo che i filosofi saranno chiamati a dare nel dibattito riguardante le implicazioni etiche dell’ingegneria genetica.

Per preparare al meglio la futura classe lavorativa e dirigente, le università dovranno inserire all’interno del proprio ciclo di studi un semestre dedicato esclusivamente ai corsi professionalizzanti.

 In tal modo, gli studenti avrebbero la possibilità di affacciarsi al mondo del lavoro con un bagaglio di competenze utili a rispondere efficacemente alla domanda di lavoro.

Oltretutto, con un sistema di questo tipo, gli studenti e le loro famiglie potrebbero scongiurare l’indebitamento a cui sono spesso sottoposti per accedere ai master di primo livello erogati da istituti privati.

 Si tratta di una soluzione perequativa che garantirebbe a tutti l’accesso a una formazione di alto livello, capace di agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro fin dalle primissime fasi di carriera.

Ma l’adattamento della formazione non dovrà riguardare esclusivamente i più giovani.

Sarà ancora più importante implementare, all’interno di aziende e centri per l’impiego, la cultura della formazione continua.

Spesso derubricata a spreco di tempo e risorse, la formazione aziendale rappresenta uno degli strumenti più utili per integrare i lavoratori all’interno dei processi di trasformazione organizzativa.

Questo potrebbe essere ancor più veritiero alla luce degli sviluppi professionali del prossimo futuro, dal momento che la rapidità della digitalizzazione non potrà che essere gestita mediante l’introduzione di programmi di formazione differenziati a seconda delle caratteristiche anagrafiche e professionali dei dipendenti.

In tal modo, le aziende potranno fornire alla propria popolazione aziendale competenze di base per fronteggiare l’automazione dei processi, tenendoli costantemente aggiornati.

Naturalmente, tutto ciò potrà essere agevolato dall’aggiornamento dei sistemi formativi erogati: non più corsi in aula di intere giornate, ma micro-lezioni fruibili sotto forma di podcast, tutorial o videogiochi (sfruttando il crescente ricorso alla gamification).

Tuttavia, l’implementazione di una cultura dell’apprendimento costante si rivelerà ancor più cruciale per i lavoratori disoccupati.

 Da questo punto di vista, i centri per l’impiego saranno chiamati a giocare un ruolo fondamentale.

Allo scopo di aggiornare le competenze dei lavoratori in cerca di una nuova occupazione, sarà essenziale istituire, all’interno degli uffici per l’attuazione delle politiche del lavoro, corsi di formazione aggiornati, tramite i quali garantire ai lavoratori meno qualificati le competenze necessarie per essere reintegrati all’interno di un mercato del lavoro sempre più automatizzato.

Tali corsi di formazione dovranno essere erogati da specialisti della formazione e dovranno vincolare il discente all’ottenimento di specifici attestati.

Anche in questo caso, per venire incontro alle esigenze dei singoli utenti, i corsi professionalizzanti dovranno essere fruibili su dispositivi digitali, sotto forma di micro-lezioni, per poterne assicurare l’esecuzione in qualsiasi momento.

Il reddito di base universale: una rendita incondizionata per ridurre la povertà.

(Pete Linforth).

Ciononostante, la formazione non potrà essere l’unica strategia per assorbire l’inevitabile contrazione occupazionale che la digitalizzazione comporterà.

Purtroppo, sebbene in maniera impercettibile, l’incubo della disoccupazione come effetto dell’automazione è già realtà.

 A titolo puramente esemplificativo, basti pensare che nel 2016 l’azienda cinese Foxconn ha deciso di sostituire circa sessantamila dipendenti con dei robot più economici e performanti.

Quello cinese rappresenta certamente un caso limite, ma permette di capire quanto la problematica occupazione relativa alla digitalizzazione sia già presente a livello globale.

A tal proposito, per osservare le conseguenze che l’automazione potrebbe avere sul tessuto occupazionale occidentale, basterebbe analizzare i dati riportati in uno studio di quattro ricercatori olandesi intitolato “Automatic Reaction – What Happens to Workers at Firms that Automate?”.

Utilizzando le informazioni relative ai processi di automazione avvenuti tra il 2000 e il 2016 all’interno di migliaia di aziende olandesi, gli autori dello studio sono riusciti a determinare che l’introduzione di macchinari più sofisticati ha causato, per i dipendenti, una riduzione del salario pari all’11%.

Ciò vuol dire che l’automazione non determinerà una perdita improvvisa di posti di lavoro, ma eroderà progressivamente il tessuto occupazionale a colpi di demansionamenti, pensionamenti anticipati e riduzione del monte ore lavorate.

Basti pensare alle conseguenze che gli iPad o gli schermi elettronici hanno avuto per i camerieri dei ristoranti, oppure a quanto accaduto agli operatori di banca in seguito alla digitalizzazione dei servizi.

È molto probabile, quindi, che lo scenario apocalittico descritto da molti autori fantascientifici non si avveri da un momento all’altro, bensì gradualmente; il che permetterebbe di adottare corrette misure di contenimento per rendere meno drammatico il passaggio dalla società analogica a quella digitale.

Tra le soluzioni, una delle più interessanti potrebbe essere l’istituzione del reddito di base universale.

Benché possa apparire una proposta utopistica, in realtà garantire periodicamente un reddito per far fronte alle necessità primarie degli individui permetterebbe di proiettare i lavoratori meno qualificati nel mondo automatizzato, in un modo più sostenibile dal punto di vista socioeconomico.

Se lo sviluppo dell’intelligenza artificiale dovesse soddisfare le aspettative in termini di efficacia e rapidità, è chiaro che ci saranno progressivamente meno mestieri ad appannaggio esclusivo dell’essere umano, e che questi potrebbero essere per lo più di tipo concettuale, quindi riservati a una minuscola porzione di individui.

 

Stando così le cose, l’istituzione di un reddito di base universale appare come una soluzione inevitabile, dal momento che vi sono poche possibilità che il progresso tecnologico possa essere invertito o arrestato.

Una misura di questo tipo permetterebbe di evitare il reiterarsi di episodi di estrema povertà come quelli verificatisi all’indomani della prima Rivoluzione industriale.

In ogni caso, è difficile prevedere come evolverà il mondo del lavoro e quali saranno le conseguenze socioeconomiche dell’automazione.

Lo scenario più probabile prevede che la transizione digitale causerà la distruzione di moltissimi posti di lavoro, così come la creazione di nuovi mestieri.

 Se c’è una lezione che la storia ottocentesca ha tramandato è che la deregolamentazione del mercato tecnologico rischia di generare enormi sacche di povertà e diseguaglianze più marcate.

Da questo punto di vista, una dialettica tra iniziativa privata e welfare di Stato appare l’unica strada percorribile per trovare una soluzione pragmatica a un fenomeno cruciale per i futuri sviluppi dell’umanità, quale è la digitalizzazione.

 Per tutti questi motivi, la formazione continua e il reddito universale appaiono come le due iniziative fondamentali per scongiurare una catastrofe sociale.

(Alessandro Lugli).

 

 

 

Il meta-verso è il far west, cerchiamo

di non danneggiare l’umanità.

Linkiesta.it - Kara Swisher – Valley Jaron Lanier – (18 aprile 2022) – ci dicono:

Potremmo avere tutto il buono di internet anche senza quel perverso modello di business che lo governa?

 La giornalista del “New York Times” Kara Swisher ne ha discusso con il filosofo della “Silicon Valley” Jaron Lanier.

Kara Swisher

Jaron Lanier è da molto tempo nella Silicon Valley. Persino più di me. E io sono davvero vecchia.

Ha fatto la sua prima apparizione negli anni Ottanta ed è stato uno dei primi pionieri della realtà virtuale.

 Ma, nel corso degli anni, è diventato uno dei maggiori critici del mondo tech e in particolare delle aziende che gestiscono i social media, e cioè degli «imperi della modificazione dei comportamenti» come a lui piace definirle.

Jaron attualmente lavora per Microsoft, che ha puntato tutto sulla corsa globale per costruire il meta-verso. E non è da sola.

 Facebook, Snap, Epic, Roblox e altri ancora stanno cercando di rivendicare un loro ruolo.

Ma, anche con tutte queste aziende che stanno riversando miliardi di dollari nella corsa al meta-verso, non è ancora chiaro come questo sarà in realtà né se le persone lo useranno mai.

Per questo volevo parlare con Jaron di questo e del perché la visione di Mark Zuckerberg potrebbe non prevalere.

Credo di voler iniziare parlando di social media.

 Ovviamente, l’ultima volta che ne abbiamo discusso insieme è stata dopo l’uscita del tuo libro del 2018 che si intitolava, non so se potete crederci, “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social” (la cui traduzione in italiano è stata pubblicata dal Saggiatore, ndr).

Tu stesso non hai alcun account sui social media. Quindi mi piacerebbe sentire una riflessione intorno a quel tuo libro, perché era piuttosto in anticipo ed è stato predittivo di molte cose.

Jaron Lanier.

È buffo, perché a me non sembra che fosse così in anticipo.

E, per certi versi, le cose non sono molto cambiate da quando ho scritto quel libro, perché il mondo è ancora stretto in una morsa perversa dagli algoritmi di un piccolo numero di aziende, che operano con questo curioso business model in base al quale esse guadagnano soldi da persone che sperano di manipolare altre persone usando tecniche per modificare i comportamenti.

E questa è una così bizzarra e strana e oscura svolta nella storia umana… Certo, questa cosa era stata già immaginata in certa fantascienza cupa.

Ma vederla accadere nella realtà è stata la tragedia della mia carriera e di tutta la mia generazione di scienziati dell’informatica.

Perfino le nostre discussioni su come provare a uscire da questa situazione tendono a essere danneggiate dalla situazione stessa in cui ci troviamo.

Swisher.

Perché?

Lanier.

Beh, voglio dire, penso che lo schema sia questo: le persone tendono ad assumere alcune delle peggiori caratteristiche che sono connesse alla costante eccitazione di quello che possiamo chiamare “cervello rettiliano”.

 Diventano un po’ più irritabili, vanesie, sprezzanti, chiuse nella propria tribù, sdegnose, sgarbate.

E, più di ogni altra cosa, diventano paurose. Per certi versi, proprio codarde.

 E quando tutto questo succede nell’ambito di cui stiamo parlando, e quindi nei social media, si sviluppa una sensazione che potremmo definire di meta-disperazione.

Swisher

Fra poco arriviamo al meta-verso. Sì, ci arriveremo, Jaron, non ti preoccupare. Ma prima voglio parlare ancora per un momento dei social media. Quindi tu non sei mai stato sui social media. È così?

Lanier

Dobbiamo tornare indietro fino a un momento in cui non esisteva ancora l’espressione social media o addirittura fino a un momento in cui non esisteva il Web.

 Dobbiamo tornare agli anni Settanta, al periodo in cui sono stati progettati alcuni prototipi tipo Usenet di cui magari qualcuno si ricorda.

Era qualcosa di simile a quello che oggi definiremmo un thread.

Le prime versioni erano abbastanza grezze. C’era una divisione per argomenti. Ma non c’era niente di simile a “pollice su” o “pollice giù”.

Anche lì, però, abbiamo avuto l’esperienza di un’amplificazione del cervello rettiliano, perché le persone si incazzavano di più di come avrebbero fatto in altre circostanze.

Io ho deciso molto presto che non sono perfetto. E mi preoccupa usare qualcosa che tiri fuori il peggio di me. Così nella mia vita, per la stessa ragione, ho fatto anche altre scelte analoghe.

Ad esempio, non bevo alcolici. Ed è una scelta insolita. La gran parte delle persone beve alcolici. Ma ho intuito che per me non sarebbe stata una buona cosa: non avrebbe tirato fuori il meglio di me, ma il peggio.

 Quindi semplicemente non bevo. E ho la stessa sensazione, ma ancora più forte, per quello che concerne i progetti online guidati dagli algoritmi.

Ma non avevo mai pensato che potessimo essere perversi al punto che il principale business model di alcune delle maggiori aziende del mondo potesse essere il rendere le cose peggiori.

È una cosa semplicemente sconvolgente.

Swisher

La gente utilizza un sacco di diverse tecnologie. In questo caso che cosa c’è di diverso?

Perché con queste tecnologie – userò l’espressione social media, ma potrei usarne molte altre, e potrebbe trattarsi di Usenet, di Facebook o di qualsiasi altra cosa – entra in gioco il cervello rettiliano?

 Come mai succede questo, secondo te?

Lanier

Beh, voglio dire, il problema si notava anche con tecnologie come Usenet, ma non si trattava di qualcosa che potesse minacciare la civiltà. Ciò che ha peggiorato le cose è quell’elemento a cui io sono particolarmente contrario.

Sto parlando dell’utilizzo di un ciclo di retroazione attraverso cui qualcosa che uno ha fatto nel passato possa influenzare quello che gli si fa vedere nel presente allo scopo di modificare il suo comportamento nel futuro.

Questa cosa si chiama modificazione dei comportamenti. Ed è studiata da scienziati che si chiamano comportamentisti.

 I due più famosi sono probabilmente Ivan Pavlov e B. F. Skinner.

 Insomma, si tratta di mettere un animale – nel caso di Sinner forse un piccione o un topo – in un circolo di retroazione e di allenarlo a fare qualcosa. E quando fa quello che si voleva che facesse lo si premia.

E quando fa qualcosa che non si voleva che facesse gli si dà invece una scossa elettrica o un qualche altro tipo di punizione.

Per il momento nel mondo dei social media non ci sono ancora scosse elettriche o erogatori di dolcetti, ma ci potremmo arrivare.

Swisher

Beh, lì ricevi i “mi piace” e i “non mi piace”.

Lanier

Esatto: ricevi dolore e piacere sociale. L’essere respinti, umiliati, isolati eccetera corrisponde alle scosse elettriche.

Mentre gli eventuali like e quei riconoscimenti che danno la speranza di diventare in qualche modo virali – ecco, quelli sono i dolcetti di premio.

Swisher

Le persone dovrebbero quindi rinunciare ai social media? In sostanza, siamo tutti dei maledetti piccioni dentro una scatola?

Voglio dire, ci sono anche degli aspetti positivi. Come l’organizzazione delle proteste in seguito all’assassinio di George Floyd.

Alcune cose che riguardano la mobilitazione sono importanti.

Lanier

Credo che sarebbe insensato negare che ci siano anche degli aspetti positivi. E, fra questi, quello che preferisco è la possibilità per le persone affette da malattie rare di trovarsi e di confrontarsi fra loro.

Questo prima non era possibile. Ma bisogna dire che tutte queste buone cose avrebbero potuto succedere anche senza la dominazione dell’algoritmo.

Si potrebbero avere tutti gli aspetti positivi di Internet e tutte le cose buone che associamo ai social media, e che in effetti esistono, senza questo assurdo business model.

Ed è per questo che trovo che siano destituite di fondamento molte delle riflessioni del tipo che, beh, dobbiamo sopportare che Facebook stia rendendo il mondo più cupo e più folle perché abbiamo bisogno di questa o di quell’altra cosa. Questo non è assolutamente vero.

Swisher

Parlaci un po’ di questo. Una delle tue tesi è che gli utenti dovrebbero in realtà pagare per cose come le ricerche su internet e i social network. Spiegaci. Perché questa è una cosa inevitabile?

Lanier

Si tratta del modello economico alternativo che si poteva applicare a internet e a cui io, come molti altri, ero interessato.

Si chiama data dignity.

E dico questo per non iniziare subito a parlare di cose-per-le-quali-devi-pagare. Che poi, peraltro, questa è una cosa che le persone hanno sempre fatto: la gente per esempio paga il New York Times, tanto per fare un esempio che dovresti conoscere.

Swisher

Sì, ne ho sentito parlare…

Lanier.

Ma anche nel mondo del gaming capita spesso di pagare.

Ci sono un sacco di cose per le quali la gente paga e le va bene così. È solo che abbiamo stabilito che altre cose, come le ricerche su internet o la condivisione di video secondo il modello di YouTube, debbano invece essere gratuite.

E, naturalmente, anche i social media così come li conosciamo.

Ora, la situazione è questa: il motivo per cui queste cose sono gratuite è il fatto che vengono barattate in cambio delle informazioni sulle persone che le usano.

 E questi dati valgono molto. I dati sono la materia prima che ha alimentato le aziende più grandi.

E non c’è nessuna ragione particolare per la quale non si dovrebbe pagare per avere queste informazioni.

Quindi, in altre parole, la domanda è: perché le persone non vengono pagate?

 È interessante notare che Facebook ha ripetutamente fatto dichiarazioni su quanto questo sarebbe inutile, come se si trattasse di una tesi che è al centro del dibattito. Il fatto che giochino d’anticipo dimostra che forse non è una tesi che è al centro del dibattito ma che è una tesi buona, e’ cace e, di fatto, corretta.

 Quindi si stanno già posizionando per cercare di combatterla proprio perché è corretta.

Swisher.

A questo riguardo ho interpellato Steve Case. Si trovava a un incontro per investitori.

Lui diceva: «Noi attraverso i dati guadagniamo 10 dollari per ogni persona», eccetera.

 Allora io ho alzato la mano e gli ho chiesto: «E dove sono i miei 5 dollari? Capisci che cosa voglio dire?».

E tutti hanno riso, ma io stavo pensando tipo…: «Ma perché ci vendiamo per così poco? Perché ci accontentiamo di ricevere in cambio soltanto la vostra roba gratis? Perché siete voi che vi prendete tutti i vantaggi, mentre noi…».

 

Lanier.

Sì. Voglio usare una metafora. Ho grande interesse per un certo W. Edwards Deming che molti decenni fa aveva sviluppato l’idea secondo cui le fabbriche avrebbero migliorato la qualità della loro produzione se avessero raccolto informazioni sul campo e se avessero quindi potuto contare su dati statistici.

 E quest’idea si è poi sviluppata in quello che si definisce “Quality movement”.

Una delle cose interessanti su Deming è che lui voleva che i dati e i riscontri raccolti sul campo non andassero soltanto ai proprietari della fabbrica e ai capo-ingegneri ma anche agli operai, perché secondo lui erano loro ad avere una visione precisa su come stavano andando davvero le cose.

Ed erano loro quelli che avrebbero saputo come prendere questi dati e trasformarli in un prodotto migliore.

 Ora, per analogia, quello che sta succedendo oggi è che aziende come Google o come Meta stanno ottenendo gratuitamente tutti questi dati da persone che non ne capiscono né il significato né il valore e li stanno trasformando in questi algoritmi che sono perlopiù adoperati per manipolare quelle stesse persone.

E questa è più o meno la stessa cosa che accadeva in fabbrica prima che Deming facesse la sua apparizione.

 Ma non c’è un motivo al mondo per il quale le persone che producono queste informazioni non siano coinvolte nel gioco e messe nelle condizioni di renderlo migliore.

Swisher.

Giusto.

Lanier. E chissà che questa cosa – e cioè semplicemente il fatto che ci sia una partecipazione di molte più persone interessate – non si riveli il modo giusto di sistemare dei problemi apparentemente irrisolvibili, come ad esempio i bias negli algoritmi dell’intelligenza artificiale e così via.

Secondo me questa cosa potrebbe avere senso e potrebbe funzionare se le persone concedessero in licenza i loro dati. Ma non come singoli individui.

Dovrebbero unirsi in organizzazioni. La ragione per cui dico questo è che bisogna evitare una deriva verso battaglie di singoli che non sarebbero economicamente sostenibili.

Le persone si dovrebbero riunire. Così queste entità collettive sarebbero un difensore diretto che ciascuno avrebbe online.

Voglio dire, c’è una cosa pazzesca che risale all’epoca medievale e che si chiama rapporto fiduciario.

E questo significa che se c’è qualcuno che ha delle conoscenze e delle informazioni che sono molto rilevanti per te e tu paghi questa persona, allora questa persona deve giurare di mettere i tuoi interessi davanti a tutto.

Lo fanno i dottori. Lo fanno gli avvocati.

Swisher

L’obbligo fiduciario. Ecco da dove viene.

Lanier

Esatto, l’obbligo fiduciario. E internet va al di là della comprensione di chiunque. Nessuno capisce gli accordi che si accettano con un click, nessuno capisce che cosa succeda ai suoi dati.

Eppure per noi queste cose sono importanti. Per la prima volta ci sarebbe un corpo intermedio nella posizione di difendere gruppi di persone attraverso un potere che coincide anche con uno strumento di finanziamento.

 

Swisher

E quindi come si fa? Qual è il modo in cui oggi le persone dovrebbero interagire con la tecnologia e i social media?

Perché sono ovunque e difficili da evitare. E, naturalmente, durante la pandemia sono diventati ancora più difficili da evitare. O magari uno non li vuole evitare, perché semplicemente non gli va di farlo. Io stessa, ad esempio, non uscirò da Twitter. Mi diverte. Mi fornisce un piacevole intrattenimento sotto diversi punti di vista.

Lanier.

E la cosa buffa è che io in Twitter non ci entrerò mai.

Con tutto che mi piace Jack Dorsey e che penso che stia davvero cercando una strada nel labirinto per migliorare le cose (nel momento in cui si è svolta questa conversazione, Dorsey era ancora il ceo di Twitter, carica che ha nel frattempo lasciato, ndr).

 Perché non si tratta di denigrare le altre persone, ma si tratta di fare scelte personali basate sulle proprie priorità.

 E una delle cose che ho scritto nel libro su “Le dieci ragioni” è che non dirò a nessuno che cosa debba fare.

 Io non dico che dovete cancellare i vostri account. Se siete davvero sicuri che, qualora cancellaste i vostri account, la vostra vita ne risulterebbe danneggiata, allora a nessuno serve che danneggiate la vostra vita.

Ma devo dirvi che qui c’è qualcosa di sospetto. Perché io vendo libri. Vengo interpellato dai media.

Ho una vita che probabilmente è simile a quella che potrebbe avere un qualunque influencer di successo o qualcosa del genere.

Eppure non ho nessun account sui social media. Certo, potrei essere un’eccezione. Ma d’altra parte, devo dire che non posso essere chissà che eccezione: non sono una persona giovane in bikini.

Non cerco di essere trendy. Eppure le cose funzionano comunque.

Per questo ogni tanto penso che molte persone abbiano investito in un’illusione e che stiano correndo su questa ruota per criceti a vantaggio di altri, anche se, di fatto, se scendessero da quella ruota, la loro carriera non ne risentirebbe.

Non sono sicuro di quanto questo sia vero o perlomeno di quanto spesso sia vero, perché è molto difficile sottoporre a verifica una simile idea.

Ma ho davvero il forte sospetto che moltissimi di noi siano intrappolati in questa ruota per criceti e che otterremmo le stesse cose anche senza stare nella ruota. Ci scommetterei.

Swisher

Ma lascia che ti chieda una cosa. Tu, all’inizio, eri partito con una grande eccitazione per le possibilità che c’erano. Io e te abbiamo parlato tante volte e molto, molto, molto a lungo di queste possibilità.

Ma poi nel 2011 hai detto: «Sono deluso dal modo in cui Internet si è sviluppato negli ultimi dieci anni».

Quindi parliamo un po’ delle possibilità che all’inizio avevano suscitato le tue speranze. Perché, se ora siamo al cervello rettiliano, a quei tempi invece avevi delle speranze. Quali erano?

Lanier.

Sì, beh, insomma, probabilmente il picco del mio ottimismo si è verificato negli anni Ottanta quando stavo presentando al mondo il concetto di realtà virtuale.

E quello che vedevo nella realtà virtuale era un qualcosa che, almeno in potenza, avrebbe potuto essere meravigliosamente positivo per il mondo.

E credo ancora che lo possa essere e che forse lo sarà.

Ho sempre visto la realtà virtuale come un modo per avere un termine di paragone e per apprezzare finalmente quanto sia splendida la realtà che abbiamo. È così facile per noi dare per scontato quello che abbiamo.

 Ma se hai trascorso un po’ di tempo nella realtà virtuale e poi vai in una vera foresta, penso che sarai capace di amare quella foresta in un modo più viscerale di quanto tu non potessi pensare.

E si possono fare moltissimi esempi di questo tipo. Anche soltanto guardare qualcun altro in faccia è stupefacente dopo che sei stato per un po’ nella realtà virtuale.

Swisher.

Quindi la tua speranza era che la realtà virtuale avrebbe consentito alle persone di apprezzare entrambe le cose, l’analogico e il digitale.

Lanier.

E poi avevo anche un’altra speranza… Anche allora ci si faceva questa domanda e cioè che cosa sarebbe successo se l’automazione fosse diventata davvero efficiente e se la vecchia idea del lavoro non fosse più stata così necessaria.

E io avevo questa idea che gradualmente l’economia e, più in generale, la civiltà si sarebbero spostate dalla necessità alla creatività.

Verso una situazione in cui ci sarebbero stati sempre più artisti o comunque in cui le persone si sarebbero dedicate a un’attività artistica intesa in un senso molto estensivo.

Pensavo che a mano a mano sarebbero stati disponibili e utilizzabili sempre più tipi di robot e sempre più tipi di software e che quindi le persone avrebbero creato un’economia basata sull’accrescimento dell’intelligenza, sull’accrescimento della profondità della comunicazione e, semplicemente, sull’accrescimento della bellezza.

Perché no? Che cosa ci sarebbe stato di sbagliato in tutto questo?

E vorrei anche spiegare come, sempre a quei tempi, l’unico modo di pensare a un futuro a lungo termine per le persone fosse immaginare un’economia basata sulla creatività o una sorta di economia statica in una bolla. L’alternativa era un’economia temporanea in cui avremmo distrutto noi stessi e ci saremmo consumati fino alla morte.

Perché perfino allora avevamo già capito che ci sarebbero stati dei limiti. E dire che non conoscevamo ancora i dettagli relativi al cambiamento climatico…

Swisher

Dei limiti fisici rispetto a quello che stavamo facendo al pianeta…

Lanier.

Esatto. Per qualunque scienziato o ingegnere è una cosa semplicemente ovvia. Invece non c’è alcuna ragione per la quale dovrebbero esserci limiti culturali.

Non c’è ragione per la quale l’umanità non possa diventare sempre più profonda, per sempre.

E quindi pensavo alla realtà virtuale come a un piccolo tassello della speranza in un’eterna creatività.

Swisher.

Ora vorrei che parlassimo dell’idea di meta-verso. Dicci che cos’è per te e poi dicci che cosa pensi di ciò che Facebook ha dichiarato nella sua recente presentazione.

Lanier.

Beh, probabilmente, per molti versi, le prime implementazioni del meta-verso le ho condotte io.

 Per esempio, ho realizzato la prima esperienza di realtà virtuale multi-persona con visori, che è, di fatto, ciò che l’espressione “realtà virtuale” significava in origine.

E mentre ascoltavo le parole di Mark Zuckerberg avevo come l’impressione che qualche megalomane avesse preso la mia roba e l’avesse sottoposta a un filtro di autoesaltazione.

Insomma, è stata una cosa stranissima.

 Al riguardo, ho sempre pensato che ognuno avrebbe voluto emergere e che ci sarebbero stati cento milioni di microimprenditori che avrebbero fatto le loro piccole cose, qui e lì. E non che ci sarebbe stato un qualche dominatore assoluto.

Swisher.

Sì, abbiamo già parlato di questa tua idea e del fatto che pensavi che ci sarebbero state molte diverse aziende.

Anche sul meta-verso la tua visione non è dissimile: pensavi che ci sarebbero stati questi mondi virtuali, che poi sarebbero entrati nei mondi reali o si sarebbero mescolati a essi.

 Ma pensavi che sarebbero stati creati da molte persone diverse e che poi la gente si sarebbe mossa attraverso questi mondi.

Questa era la tua visione di che cosa fosse un meta-verso. Quindi di fatto ti senti come se Mark lo avesse messo in un frullatore, nel suo frullatore, e lo avesse tritato in una strana maniera.

Da quel che possiamo vedere finora, il suo meta-verso è come una turbo-ruota per criceti?

Lanier.

Una cosa da dire al riguardo è che le dichiarazioni di Facebook, e ora di Meta, non sembrano del tutto coerenti, se ne sai davvero di questi argomenti.

Ad esempio, mostrano molti scenari in cui in realtà non ci sarebbe alcun posto dove mettere i sensori o i display per abilitare quegli scenari.

 È una strana versione disincarnata della realtà virtuale visto che ogni implementazione di una realtà virtuale ha bisogno di sensori e di display per poter funzionare.

Ma loro hanno un modo di presentare le cose che è come se si fosse in un film di fantascienza e non si dovessero davvero realizzare le cose.

Swisher

Questo è un modo carino per dire che non funziona.

Lanier

Beh, insomma, qualche sua versione potrebbe funzionare. Semplicemente, è strano che non sentano il bisogno di risolvere problemi basici di geometria e di fisica e di ingegneria che davvero non saranno eludibili.

Ora, uno potrebbe dire: «E chi se ne importa? Sono solo dettagli».

Ma il fatto è che questi dettagli sono quelli che determineranno come sarà l’esperienza.

Swisher

C’è poi un’altra cosa riguardo alla presentazione di Mark Zuckerberg: molte persone l’hanno percepita come se si trattasse di land grabbing, come se Facebook stesse tentando di auto-dichiararsi leader del meta-verso, benché a questa stessa cosa ci abbiano lavorato anche altri, te compreso:

Roblox ci sta lavorando e ci stanno lavorando anche Snap, Epic e Amazon. Chi è che ha un vantaggio competitivo?

Lanier

Allora, vorrei azzardare questa ipotesi: se Tim Cook (che è l’amministratore delegato di Apple, ndr) non avesse iniziato a bloccare l’accesso di Facebook ai dati gratuiti, la creazione di quella cosa che si chiama Meta non sarebbe mai avvenuta.

Io penso che Meta sia questa cosa qui: «A questo giro non abbiamo un device periferico capace di ottenere dati. Quindi dobbiamo vincere la prossima guerra dei device, in modo da poter poi ottenere quei dati.

E, ah, sarebbe bello anche se avessimo degli smart speakers e degli strumenti per la domotica eccetera, ma quelle cose le ha Amazon. E allora andiamo con i visori».

Io penso che alla fine si tratti di questo: devi possedere un tuo “Edge device “per avere il potere di rendere il tuo cloud buono o cattivo.

E, a quanto pare, loro vogliono renderla cattiva e quindi hanno bisogno di avere un device che attualmente non hanno.

Swisher

Questo è divertente.

Lanier.

Io… Sì, scusa, io non dovrei dire questo… Da parte mia, è un po’ fuori dalle righe… Non dovrei parlare in questo modo di un’altra azienda.

Ma non c’è un’altra azienda della Silicon Valley che abbia avuto una simile processione di dirigenti che se ne sono andati spinti da profondi rimorsi.

Insomma, è un caso unico. Credo che Facebook sia sottovalutata rispetto a quello che fa. Perché, in sostanza, Facebook sta gestendo le identità per Internet e questa è una funzione che ha un grande valore.

Quindi in un regime di data dignity penso che Facebook raddoppierebbe o triplicherebbe molto rapidamente il suo valore.

Quindi io non sono anti-Facebook per partito preso. E sono anche favorevole all’idea che chi ha investito nel settore tecnologico venga premiato economicamente per questo.

Ma penso che Facebook abbia un business model terribile.

Credo che abbia abbastanza successo perché quelli che ci investono pensino che stia andando bene. Ma io ritengo che sia ben lontana dall’andare bene come potrebbe e che si stia lasciando sfuggire l’occasione di trarre ulteriori vantaggi che sarebbero alla sua portata.

Swisher

Sì, lo pensano in molti.

Lanier

A me piace l’idea che Facebook vada bene. Voglio solo che vada bene grazie a un piano aziendale che non si basi sul danneggiare l’umanità. Insomma, mi pare una richiesta ragionevole.

Swisher

L’azienda per cui lavori, Microsoft, ha annunciato a sua volta che sta creando un meta-verso.

Queste sono le parole del ceo, Safa Nadella, nel video di presentazione: «Non si tratta più di guardare con una telecamera l’interno di una fabbrica: tu puoi essere in quella fabbrica.

Non si tratta più di fare una videochiamata con i colleghi: tu puoi essere con loro nella stessa stanza».

Ci puoi spiegare in che cosa differisce questo meta-verso da quello di Facebook? Di che cosa stava parlando Nadella?

Lanier

Discutendo con te come singolo individuo, vorrei esprimere il mio pensiero con assoluta libertà, però io…

Swisher

Lavori per Microsoft.

Lanier. Sì. Penso che il fulcro dell’attività di Microsoft sia la vendita di prodotti e servizi.

E che il referente centrale siano le imprese – e questo significa business. La cosa davvero bella di tutto questo è che ti mantiene onesto. Se qualcun altro ci sta mettendo i suoi soldi, è meglio che tu gli dia qualcosa che valga quei soldi. Non c’è niente di ambiguo.

 Non è una cosa del tipo «Ehi, noi te lo daremo gratuitamente, ma poi ti inganneremo con quest’altra cosa». È molto concreto.

Quindi possiamo migliorare un’attività attraverso la realtà aumentata? Sì.

 In questo campo le aree in cui ho lavorato di più sono state probabilmente la simulazione chirurgica e poi le simulazioni relative ai veicoli.

 E hanno avuto davvero successo. Insomma, molto tempo fa, lavorando con Joe Rosen e Ann Lasco alla Stanford Med, mi sono occupato del primissimo simulatore chirurgico attraverso un visore.

E questa è una cosa che è poi sbocciata. Alcuni anni fa, quando mia moglie ha avuto il cancro, il suo chirurgo ha appreso una procedura che era stata progettata nella realtà virtuale ed è stato formato da un ragazzo che era stato proprio uno studente di Joe Rosen, il mio compagno di quei vecchi tempi.

È così che sono andate le cose. E il suo intervento è andato benissimo.

È stato un successo totale e quindi questa procedura è diventata di uso comune. Allo stesso modo, sono ormai alcuni anni che non può capitare di salire su un’auto nuova – o su una barca, un aereo o un qualsiasi altro veicolo di recente produzione – che non sia stato progettato, almeno parzialmente, attraverso la realtà virtuale.

Anche questa è diventata una cosa comune. Questi sono casi in cui le cose sono andate davvero molto bene.

Ma, sì, io penso che, quando c’è una specifica esigenza di utilizzo, quando ci sono dei soldi in ballo e quando c’è un cliente ben definito, o sai sviluppare abbastanza il progetto da giustificare quella spesa oppure non lo sai sviluppare.

Swisher

Quindi: da un lato una grande chiarezza su quali siano realmente i termini della transazione, dall’altro un “non-sapevi-che-avremmo-venduto-il-tuo-rene-ma-ormai-è-andato”.

 Il tuo rene virtuale, intendo.

 Bene: quando pensi a tutto questo, all’aspetto che prenderà… Ci puoi spiegare in che modo usare internet sarà diverso da adesso?

Come sarà con questi avatar, con queste proiezioni di noi stessi eccetera?

Dacci qualche dettaglio su come immagini che queste cose appariranno.

Lanier

La cosa buffa è che io non voglio che sembri una cosa bella se si avvia a essere applicata in un modo orribile per distruggere l’umanità.

Ho passato molti anni a…

Swisher

Non vuoi dare loro la mappa della Morte Nera se stanno per usarla per distruggere dei pianeti, giusto?

Lanier

Sì. Ho passato molti anni a evocare visioni su quanto la realtà virtuale sarebbe stata una cosa meravigliosa.

Ma davvero voglio continuare a tornare sullo stesso punto: per quanto possa essere una cosa fantastica, il momento migliore è quando ti togli il visore e puoi vedere il mondo con i tuoi sensi rinnovati.

Questa è una cosa che non invecchia. Questa è una cosa che non scompare.

Swisher.

Ma quale sarà l’aspetto di queste rappresentazioni, quella di Microsoft e quella di Facebook, che non sono dissimili?

Lanier

Allora, quando stavamo progettando i primi mondi virtuali multi-persona destinati a essere messi in commercio e i primi visori e tutte queste cose, avevo degli amici, come Neal Stephenson e Bill Gibson, che stavano pubblicando i primi romanzi cyberpunk, giusto?

 E poi i romanzi cyberpunk hanno avuto un enorme impatto sul cinema.

E alla fine questa visione cinematografica è diventata un luogo comune grazie a film come “Matrix” o “Inception”, per fare degli esempi ancora molto conosciuti.

E si innescò questo strano circuito per cui chi si occupava di tecnologia aveva influenzato i romanzieri che avevano poi influenzato i film che avevano poi influenzato la comunicazione da parte delle aziende.

 E così si è fatto tutto il giro ed è emerso un certo tipo di linguaggio visuale che puoi sempre osservare nella comunicazione da parte delle aziende di questo settore.

Swisher.

E così questa è la ragione per cui la realtà virtuale appare come appare.

Lanier.

Sì, io poi personalmente penso che apparirà molto meglio di così, ma vabbé.

 

Swisher.

Bene, occupiamoci ora di un altro aspetto.

L’imprenditore Shaan Puri ha fatto un thread su Twitter riguardo al metaverso, in cui ha esposto l’idea secondo cui il meta-verso non sia necessariamente un “luogo” virtuale ma che sia in realtà “tempo”.

Ha scritto, cito testualmente: «La nostra attenzione era al 99 per cento dedicata al nostro ambiente fisico.

La televisione ha ridotto questa quota all’85 per cento, i computer al 70 per cento, gli smartphone al 50 per cento. P

resto, qualche azienda produrrà degli occhiali smart che staranno tutto il giorno davanti ai nostri occhi.

Questo porterà la quota di attenzione che dedichiamo a uno schermo dal 50 al 90 per cento, se non di più.

 E questo è il momento, nel corso del tempo, in cui inizia il meta-verso, perché in quel momento la nostra vita virtuale diventerà più importante della nostra vita reale».

Che cosa ne pensi di questo?

Lanier.

Sì, ok, lo trovo sconvolgente perché quando cerchi di capire la realtà così com’è e inizi ad apprezzarne le sottigliezze…

Non so, basta suonare un vero flauto di bambù invece di un qualunque strumento digitale.

O prendiamo anche solo una persona reale: semplicemente lo stare insieme con una persona reale, il guardare la sua faccia, il toccarla… Penso che ci sia un orizzonte aperto e infinito, in ogni tempo, per apprezzare di più il mondo fisico, benché anche il mondo digitale possa crescere e diventare sempre più creativo.

Ultimamente ho riflettuto sul fatto che qualunque strumento digitale con cui puoi scrivere un testo sta iniziando a predire quello che scriverai.

Quindi stiamo permettendo al linguaggio del passato di avere il controllo sul linguaggio del futuro più di quanto non lo avessimo mai fatto in precedenza.

Allo stesso tempo, il mondo digitale siamo noi che ribolliamo nei nostri stessi succhi, perché gli algoritmi sono basati su dati del passato e limitano il futuro al passato.

Swisher

Sì. Io resisto sempre. Ma la resistenza è inutile.

Lanier

Già. Ma anch’io lo faccio, eh. Odio questa roba. Ma il fatto è che se vuoi tracciare un disegno ineccepibile del mondo, in cui non c’è nessun mistero e tutto ha perfettamente senso, scoprirai che non puoi farlo.

Sarà sempre visibile qualche cucitura, qualche saldatura, qualche problema di osservazione del tipo “Perché siamo qui e non lì? Che cos’è che ci ha collocati proprio in questo punto?”.

E ogni volta se ne esce con una sensazione di esperienza mistica. Non puoi evitare davvero che ci sia qualcosa di un po’ metafisico nell’esperienza stessa.

E quindi il fatto è che ogni mondo digitale – e non importa quanto sia complesso né quanto sia meraviglioso – avrà un valore maggiore quanto più contrasterà la percettibilità di quel mistero.

Swisher

Quello che ci stai dicendo è che si vedono le cuciture.

Lanier

È lì che trovi il futuro. E lì che trovi un infinito aperto.

Swisher. C’è questa stupenda citazione che viene da “Arcadia” di Tom Stoppard e che ho sempre amato: «Quando avremo risolto tutti i misteri e perso ogni significato, saremo da soli su un riva vuota».

Lanier

Oh, sì, certo!

Swisher

Secondo te, il nostro esistere in un mondo virtuale che cosa può provocare, ad esempio, nella nostra percezione di noi stessi? Ti cito.

 Tu hai scritto sulla realtà virtuale: «Chi è quello che è sospeso nel nulla facendo esperienza di queste cose che succedono? Sei tu, ma non sei esattamente tu. Che cosa è rimasto di te quando puoi virtualmente cambiare tutto del tuo corpo e del tuo mondo?».

 Ci parli di questo e di che cosa la realtà virtuale, anche se poi ne puoi uscire, provoca alla percezione di sé?

Lanier

Ogni volta in cui penso a qualcosa che verrà, mi dico che sarà una cosa assolutamente buona e che le persone troveranno in questa cosa una piacevole positività spirituale.

 Ma poi qualcun altro guarderà la stessa cosa e dirà che, oh no,

quello è il modo in cui finiremo di manipolarci a vicenda. Quindi ora io non vorrei apparire troppo naïf ma quello che trovo interessante nel trasformarmi in un avatar è che un avatar può essere molto più estremo di quanto non si possa pensare.

Gli avatar che si vedono nelle comunicazioni da parte delle aziende sono simili a te, sono realistici. Ma tu puoi trasformarti in altre creature fantastiche.

E viene fuori che il tuo cervello è già predisposto per controllare arti extra. Quindi puoi assumere tutte queste diverse forme corporee.

Cose davvero fantastiche.

 Di fatto, abbiamo imparato molte cose che riguardano la neurologia e l’evoluzione grazie alla semplice osservazione delle possibilità che gli avatar offrono.

Le cose stanno così: se cambi il tuo avatar, cambi il mondo.

E puoi scherzare intorno al senso del passare del tempo. Ma, dal momento che puoi cambiare tutte queste cose e tuttavia c’è qualcosa che invece rimane sempre lì e che non cambia, penso che, almeno per quanto ne so, questa sia l’unica tecnologia che sia mai stata sviluppata che ti faccia percepire come la tua coscienza sia una cosa reale.

Swisher

Ho da poco intervistato al riguardo Jeanette Winterson, che scrive di questi argomenti.

In sostanza, lei pensa che un giorno potremmo lasciarci del tutto alle spalle i nostri corpi fisici e che le nostre coscienze potrebbero continuare a esistere nello spazio digitale.

Sei d’accordo con questa visione?

Lanier

Allora, questo è uno degli argomenti con cui ho dovuto fare di più i conti nella mia vita, perché le persone continuano a tirarlo fuori.

La risposta breve è: «No, non sono d’accordo».

Perché per certi versi quest’idea suggerisce che nel nostro mondo manchi qualcosa.

 E io non mi sono messo a concepire simili idee pensando alla realtà virtuale prima di averla provata, perché io ho provato la realtà virtuale prima di pensare alla realtà virtuale.

 E per me è sempre stato completamente ovvio che la vera utilità della realtà virtuale fosse il farci notare quanto sia magica la nostra realtà convenzionale.

 Penso che la sua caratteristica davvero speciale sia questa. E poi questo concetto del voler abbandonare il corpo per entrare in un regno digitale è una specie di metamorfosi delle idee cattoliche.

 Ma di quelle davvero più antiche.

Perché alla fine l’idea è che tu entrerai in questo paradiso, ma per entrarci dovrai avere dei pensieri giusti perché se invece penserai delle cose sbagliate allora una qualche super-intelligenza artificiale del futuro troverà il modo di colpirti e buttarti fuori eccetera.

Da questa visione viene fuori tutta questa strana teologia.

Swisher

In ogni caso è interessante che le persone più ricche del mondo o vogliono andarsene dal pianeta o vogliono rifugiarsi in un mondo virtuale.

Una delle cose che hai detto è che il meta-verso distruggerà l’umanità.

Parlaci del suo lato oscuro. Probabilmente pensi questo in conseguenza di quello che è successo con Usenet e di quello che è successo con i social media.

Qual è l’aspetto che ti preoccupa e che cosa bisogna fare per evitare che succeda quello di cui sei preoccupato?

Lanier

Qual è il lato oscuro del meta-verso?

È molto semplice. Nella nostra economia la ricompensa deriva dall’esercitare un sempre maggiore controllo sulle possibilità di manipolare i comportamenti delle persone.

E questo ci rende tutti sempre più vanesi, paranoici, irritabili, xenofobi, stupidi e paurosi. Perdiamo la capacità di parlare gli uni con gli altri.

Perdiamo la capacità di percepire con precisione la realtà. In sostanza, perdiamo la capacità di essere intelligenti.

 E poi moriamo, perché gli esseri umani hanno corpi fragili e l’unica cosa che ci fa tirare avanti è l’intelligenza, sennò finiremmo divorati.

Quindi verremo divorati e sarà tutto finito. E ora sto considerando molto seriamente questa eventualità.

Giusto per essere chiari: qualunque cosa stupida che puoi vedere su internet esisteva già prima di internet.

 Ci sono sempre state teorie cospirative. Tutte queste cose sono sempre esistite. Il punto è quale grado e quale rilevanza esse raggiungano.

La vera questione è fino a che punto potremo sopravvivere davanti alla sempre crescente amplificazione di queste nostre stupidaggini. È come per la crisi climatica.

 Possiamo sopravvivere a un incremento dell’1 per cento della stupidità? Non lo so.

E a un incremento dell’1,5 per cento? Il problema è questo.

Gli studi sulla contagiosità sociale delle paranoie e sugli altri contraccolpi negativi di quello che accade online mostrano un leggero aumento della stupidità nell’ambiente.

Ma pare che questa si accumuli, come gli interessi rispetto a una somma investita. Ed è un fenomeno molto largo e universale.

Swisher

E quindi che regole avrà il meta-verso? C’è qualcosa che lo possa governare?

 

Lanier.

Penso che nella gran parte delle faccende umane si finisca per avere una qualche regola, più che altro per le situazioni estreme, una qualche gestione delle ricompense e una qualche cultura di linee guida etiche eccetera eccetera.

I modi in cui gli esseri umani fanno funzionare e rendono sostenibili la società e la civiltà agiscono su molti piani diversi.

Tuttavia, io credo che le ricompense debbano essere almeno vagamente allineate con la sopravvivenza umana perché la società non impazzisca.

Swisher

Certo. Quindi ci dovrebbe essere una “Global Meta-verse Authority”? Potrei guidarla io questa G.M.A.!

Lanier

Hahahaha. No, non credo che ci sarà. Magari in un ipotetico futuro molto lontano. Ma non credo che siamo pronti per una cosa del genere né che siamo in grado di farla funzionare.

A me piacciono alcune delle caratteristiche dell’esperimento americano.

E una di quelle che mi piacciono di più è l’idea del check and balances e cioè dell’avere molteplici istituzioni ognuna delle quali esercita il controllo sulle altre.

Noi, dal punto di vista formale, diciamo che questi tre poteri sono quello giudiziario, quello esecutivo e quello legislativo.

Ma, da un punto di vista informale, possiamo dire che anche il sistema capitalistico e il governo si tengono d’occhio reciprocamente: sono due diversi sistemi che si relazionano l’uno con l’altro in modo maldestro.

Eppure, uno dei due sistemi trova il modo, o almeno lo si spera, di ridurre gli eccessi dell’altro e viceversa.

 E penso che ci siano anche altri ambiti in cui le cose funzionano allo stesso modo.

Ultimamente è diventato popolare questo concetto dell’intersezionalità.

Mi piace questa idea secondo cui le identità delle persone abbiano una moltitudine di punti di contatto e sovrapposizione, cosicché la società non può rompersi lungo una linea netta come invece fanno gli algoritmi.

Certo, è importante dire – come peraltro hai già fatto tu stesso – che lavori anche per Microsoft.

Ma sei stato anche critico nei confronti delle aziende tecnologiche e del modo in cui si comportano.

Pensi che sia importante poterlo fare?

Per esempio, Frances Haugen ha dovuto lasciare Facebook.

Pensi che sarebbe importante che queste aziende consentissero di discutere in pubblico di queste cose? Sarebbe una scelta più sana?

 Sì, certo, sarebbe una cosa sana. Le aziende tecnologiche sono molto grandi e molto potenti.

E penso che poter avere un po’ di discussione interna sarebbe una buona cosa, una cosa necessaria.

Sta iniziando a capitare un pochino di più. Penso che sia una vergogna che le persone percepiscano l’obbligo di andarsene se vogliono parlare.

Spero che questa cosa capiterà sempre meno spesso.

Swisher.

Ho un’ultima domanda. Tu nel 2020, in una intervista a GQ, hai detto, cito testualmente, che il tuo progetto onnicomprensivo è «far sì che il futuro non vada a farsi fottere».

 Uno: che cosa intendevi dire? Due: abbiamo lasciato che il futuro andasse a farsi fottere?

Lanier.

Quello che intendo dire è che nel piccolo mondo di chi si occupa di tecnologia c’è la tendenza a sposare immediatamente l’idea secondo la quale siamo più intelligenti di chiunque altro vivrà mai in futuro.

E che, naturalmente, siamo più intelligenti di chiunque sia vivo ora. E che quindi progetteremo una soluzione.

E che sistemeremo questa cosa del clima. E che sistemeremo questa cosa del razzismo. E che sistemeremo questa follia della manipolazione dei comportamenti. E che sistemeremo tutto. E che saremo gli ingegneri che progettano il futuro. E che sarà senz’altro così.

Ma io penso che questo approccio sia di per sé sbagliato e che sia condannato all’insuccesso.

 Perché poi ci saranno quelle persone che in futuro riceveranno tutte queste cose.

«Ehi, ecco la soluzione che abbiamo escogitato per voi!». Ma a queste persone, probabilmente, questa soluzione non piacerà, per una ragione o per un’altra o anche soltanto per orgoglio.

La cosa a cui io sono contrario e che critico è questa idea di grande sicurezza in sé stessi in qualità di ingegneri che costruiscono il futuro.

 Ci sono cose che sono molto concrete e chiaramente definite, come la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e altri obiettivi di questo tipo, e in quel caso va benissimo così.

Quello è necessario farlo, è ovvio. Ma in un’ottica più ampia… Credo che più che altro sia necessario rimuovere gli incentivi che spingono a un peggioramento delle cose e cercare di costruire un futuro in cui le persone possano lavorare più facilmente e avere fiducia negli altri.

Sono dell’idea che, se non ci fosse il modello manipolatorio che guida aziende come Meta, le persone continuerebbero a essere più cretine online che nella vita reale, ma comunque un po’ meno cretine di quanto non lo siano ora.

E che non vedremmo questa disfunzione globale e il degrado di tutte le democrazie, che sta avvenendo ovunque e nello stesso momento.

Swisher.

Ok, Jaron. Sempre che noi ora non ci troviamo all’interno di una simulazione. Ad esempio, in una simulazione nel meta-verso di una futura versione di Mark Zuckerberg.

E che quindi tutto questo sia soltanto una simulazione in cui un gruppo di ragazzini sta giocando con noi e in cui noi non siamo davvero qui.

Lanier.

Sì. Lo so. Questa è un’idea che emerge abbastanza spesso. E allora io potrei chiederti che cosa ci sarebbe di diverso. E se la risposta è che niente sarebbe diverso, allora la mia non sarebbe neanche una domanda.

 L’unica cosa che potrebbe essere davvero diversa è che se questa fosse una simulazione, allora dovrebbe esserci qualche possibilità di uscirne o la possibilità di essere Dio o di incontrare Dio o qualcosa del genere.

Ed ecco che salta fuori un’altra volta un tipo di religiosità medievale.

Ma io penso che le persone che cercano di essere Dio finiscano sempre male.

Swisher

Noi non siamo Dei.

Lanier

Né dovremmo desiderare di esserlo.

Swisher

Né dovremmo desiderare di esserlo.

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