GLOBALISTI UNIPOLARISTI

 GLOBALISTI UNIPOLARISTI.

 

Sovranisti vs Globalisti…

Tutto chiaro. O no?

 Libertaeguale.it - Antonio Preiti - (29 Giugno 2018) – ci dice:

 

Stranissimo: le parole sono rigide e i fatti mobili. Si potrebbe sintetizzare così, l’incredibile situazione politica di oggi. Quali parole, quali fatti? Vediamoli.

Andiamo al cuore della questione: qual è oggi la natura e la ragione della contrapposizione politica principale? È tra sovranisti e globalisti.

 Sembra chiara, netta, limpida, ma non lo è, almeno se guardiamo alle cose che accadono. Facciamo un passo indietro.

Sul piano ideologico la contrapposizione era prima tra comunismo e liberalismo: idee contrapposte, società contrapposte, antropologie contrapposte.

 Poi è arrivata la socialdemocrazia a mischiare un po’ le carte, ma anche in questo caso la chiarezza non mancava: una società liberale attenta al sociale.

La contrapposizione destra-sinistra.

Adesso un passo avanti. Quella che conosciamo meglio, la contrapposizione destra-sinistra, perché più recente, è la figlia della prima contrapposizione, ma non è ugualmente “limpida”.

Qui al modello contrapposto di società, si è sostituito un modello contrapposto di sensibilità, con la grande ambiguità sul ruolo dello stato.

Statalisti di sinistra e statalisti di destra hanno un po’ confuso le cose. Siccome però restava sempre il problema di come indirizzare il frutto dello statalismo (cioè le entrate della tassazione) ancora la contrapposizione destra-sinistra reggeva.

A mano a mano che l’influenza di Berkeley cresceva nel mondo (il nome-simbolo sintetizza una visione della sinistra non più ancorata al sociale e all’economico, ma alle differenti sensibilità, in una parola, all’antropologia) la natura della sinistra si è trasformata, e così anche quella della destra.

Sempre meno scontro sociale ed economico, sempre più scontro sui simboli, sulle definizioni (di qui il dominio del politicamente corretto), insomma sulle parole.

 La contrapposizione sovranismo-globalismo.

Teniamo a mente queste differenze per arrivare finalmente a noi. Oggi si dice che non ci sia più la contrapposizione destra-sinistra (anche se da sinistra si tende, pavlovianamente, a riproporla comunque e dovunque), sostituita da quella sovranismo-globalismo.

 L’attrazione è fatale. I globalisti sono (sarebbero) per una società aperta; per lo scambio di idee, merci e persone; a favore delle ideologie “liquide”.  

I sovranisti sono (sarebbero) per una società più riferita alla nazione; per un rallentamento, se non cessazione, dello scambio di idee, merci e persone; per idee tradizionaliste da difendere, perciò rigide.

Benvenuti nel nuovo secolo, si potrebbe dire. Ma è proprio così?

Che cosa significa ‘sovranismo’?

Prendiamo il sovranismo. Detto in una parola: ciascuno per sé e (si spera) Dio per tutti. Corollario implicito: se tutti fossero sovranisti, i problemi sarebbero risolti. Prendiamo il primo di questi problemi, cioè l’immigrazione dall’Africa. Salvini, in quanto sovranista, dice l’Europa s’accolli il problema di queste persone che cercano rifugio da noi.

Questo sarebbe perfetto se tutti gli altri paesi europei fossero (o diventassero) coerentemente globalisti. Il leader con cui ha però maggiori sentimenti di vicinanza è Orbán, il re dei sovranisti, il quale, per essere tale, non vuole accogliere nessuno.

 La signora Merkel non è sovranista, naturalmente, ma non vuole gli immigrati neppure lei, e neppure quelli che arrivassero da altri paesi europei, Italia in primis. Macron è il nemico numero uno dei sovranisti e contro di loro spende parole infiammate. Però non accetta che la Francia accolga le navi del Mediterraneo. Come la mettiamo?

In sostanza sono tutti sovranisti nei fatti, ma divisi nel riferimento ideologico.

 

 Che vuol dire ‘globalista’?

Andiamo ai globalisti. Intanto, il ruolo di globalista sta meglio a chi ha una taglia maggiore. Non è necessario, ma è più “naturale”.

Fondamentalmente abbiamo tre paesi globalisti: gli Stati Uniti, la Cina e la Russia.

Poi c’è un non-paese che è (sarebbe/dovrebbe essere) globalista per sua natura, cioè l’Europa, ma è appunto un non-paese, o meglio un paese non ancora compiuto (si spera che lo diventi).

Trump vuole rafforzare la politica globale del suo paese rafforzando la capacità di produrre reddito, mette perciò nuovi dazi e affronta una battaglia commerciale globale.

 Il paese globalista quasi per mandato divino (basta rileggere la Dichiarazione di Indipendenza di quel paese e i discorsi dai padri fondatori fino a Obama) agisce oggi da sovranista.

La Cina, che insidia fortissimamente la leadership globale degli Stati Uniti, ha un programma globalista formidabile (si veda la loro politica in Africa, l’acquisto del debito americano e gli immensi investimenti nella tecnologia), ma è totalmente sovranista nella politica interna, improntata a quello che i sovranisti di tutto il mondo fanno o sognano di fare.

 Resta la Russia, ma il discorso, in scala molto ridotta, è pressoché uguale a quello che vale per la Cina. L’Europa di tutto si occupa tranne che di rafforzarsi come sovrana di sé stessa. Perciò discorso rinviato.

Allora anche i globalisti, in fondo, rivelano, o come politica interna o estera, programmi che possono, senza troppe forzature, essere definiti sovranisti.

Ovviamente c’è un abisso incommensurabile tra la meravigliosa apertura interna della società americana, globalista per natura e gli altri paesi autoritari per vocazione. Però il segno sovranista che Trump ha impresso alla politica estera americana ha il suo peso.

Tutti sovranisti, allora?

È difficile negare totalmente questa affermazione, con i mille distinguo di cui si è detto o che si potrebbero dire. Se così fosse che fine farebbe la contrapposizione che sembra così evidente tra sovranisti e globalisti?

O, per riformulare meglio la domanda, cos’è davvero la visione globalista? Che natura ha? Dove si esplica?

 È il nuovo sinonimo per dire sinistra? Qual è il suo nucleo di verità, di emozione, di visione politica che si possa abbracciare, sentendo che questo abbraccio ci eviterà quel sovranismo autoritario a cui non desideriamo approdare?

Conviene dire anche quello che il globalismo non può essere.

Quello che il globalismo non può essere.

Non può essere assenza di identità.

 Il cittadino del mondo è una fantasia: ognuno appartiene a qualcosa di terragno (la sua città, o il suo quartiere, o la sua nazione o qualunque altra cosa). In fondo solo (o quasi) il pensiero cristiano propone un’identità universale fondata sulla persona).

Pensate al progetto impossibile dell’esperanto. L’ipotesi è di una lingua universale, che prenda le regole migliori da ciascuna e le amalgami per farne una sola lingua, che possa essere parlata in tutto il mondo. Progetto meraviglioso, ma meravigliosamente fallito.

Ogni lingua crea e nutre una identità: togliere la lingua significa togliere l’identità. E chi davvero parla bene una lingua straniera, sa che gli è impossibile, se non si immedesima (o prova a farlo) nella cultura e nella realtà del popolo da cui quella lingua trae origine.

Non può essere scambio di merci senza nessuna regola. Il vecchio Marx sosteneva che ogni economia capitalistica tende al monopolio. Si sbagliava.

Ma si sbaglia anche chi pensa che l’era della finanza globale sia come la situazione di perfetta concorrenza e equa distribuzione delle risorse, ipotizzata dai manuali di economia e su cui si basano le leggi di libero mercato.

Oggi il fatturato delle maggiori aziende capitalizzate americane vale molto di più del Pil di interi paesi, e non irrilevanti.

Detto in termini meno teorici: i salari occidentali sarebbero annientati dalla concorrenza sic et simpliciter dei lavoratori che vengono pagati un decimo o un centesimo di quelli occidentali;

le risorse naturali di un paese potrebbero essere acquistate con un semplice battito di ciglia da un’impresa top mondiale; chi controlla le tecnologie potrebbe usarle per destabilizzare (o peggio) qualunque paese. Perciò il commercio mondiale è causa di ricchezza per tutti, ma non può essere una ideologia senza limiti per nessuno.

Non può essere l’abbattimento dei confini delle nazioni.

Demografia dell’Africa ed economia dell’Europa sono asimmetriche: la prima cresce a un ritmo esponenziale, la seconda è quasi ferma. La conseguenza è una spinta epocale verso l’Europa. I confini sono necessari, ma la porosità dei confini è altrettanto necessaria.

Detto più chiaramente: nessuno può pensare di abbattere i confini, materiali, ideali o astratti che siano.

Si veda al punto precedente dell’identità. Però nessuno ha mai pensato (salvo i regressisti) che il confine sia un muro o una barriera impermeabile.

Un confine è qualcosa che è bene sia messo in discussione, superato, spostato ogni volta di un pezzo, sia materialmente sia idealmente.

Avere un confine ed essere permeabili: oltre è impossibile andare.

Persino gli Stati Uniti, una delle rare nazioni che si è formata unendo stati diversi, piuttosto che dividendo stati esistenti, è una federazione che mantiene e coltiva la diversità tra gli stati.

Società aperta e società chiusa.

Allora, se le cose sono così complicate, se la differenza non sta nel sovranismo e nel globalismo, la frattura politica di questi anni (soprattutto di quelli a venire) sta da un’altra parte.

 Forse sta proprio tra una società aperta, occidentale, dai valori liberali e una società chiusa, dimentica della sua nascita, statalista, autoritaria.

Questo sì che può incendiare i cuori.

Questo sì che riconnette parole e cose. Questo sì che parla della nostra identità in divenire.

(Antonio Preiti)

 

 

 

Un No-global a tutto tondo.

  Generation-online.org - Antonio Castronovi – (19 Gennaio 2018) - ci dice:

 

Quelli che sono in alto hanno dichiarato guerra ai popoli. Come resistere, come ricostruire comunità solidali passando “dalla cooperazione per competere” alla “competizione per cooperare” per dirla con Bruno Amoroso? La priorità, al tempo della globalizzazione, dovrebbe essere liberare territori e comunità. “La globalizzazione non è un fenomeno oggettivo della modernizzazione, è una forma contingente assunta dal capitalismo – scrive Amoroso -, uno stadio particolare ed eventualmente, il suo ultimo stadio. È il capitalismo nella sua forma più maligna, poiché si diffonde come una forma tumorale; come una metastasi si concentra su poche aree strategiche, … sul resto enormi effetti distruttivi. Con buona pace delle moltitudini di Toni Negri e dei new-global della globalizzazione buona…”. Mondializzazione, comunità, bene comune: un viaggio nel pensiero di Bruno Amoroso.

Il 20 gennaio di un anno fa ci ha lasciati Bruno Amoroso, economista e saggista italiano, allievo di Federico Caffè (qui gli articoli inviati a Comune). Per ricordarlo pubblichiamo questo articolo (titolo originale Mondializzazione e comunità, lavoro e bene comune in Bruno Amoroso), uscito in Ciao Bruno (Castelvecchi) di Antonio Castronovi.

“Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili” (Bertolt Brecht, In morte di Lenin).

(Antonio Castronovi)

Da alcuni anni, anzi decenni, è in corso nel mondo una guerra che è stata definita come “terzo conflitto mondiale”. I protagonisti ne sono le élite globali del capitalismo triadico che la combattono – con gli strumenti della guerra democratica, della politica, del terrorismo, della guerra economica e delle guerre di religione – contro i popoli, gli stati sovrani, le comunità locali che non intendono sottomettersi ai diktat della omologazione del mondo ai dettami dell’impero globale. Non ci sarebbe posto nel mondo globalizzato per i popoli e le comunità che praticano la sovranità nei loro territori, che aspirano a vivere in territori de-globalizzati e liberi dal dominio delle transnazionali e della finanza, che aspirano alla sovranità politica ed economica, orientate e centrate sullo sviluppo locale, sull’autodeterminazione, sulla democrazia sovrana. Lo scontro in atto è tra fautori di un mondo unipolare e fautori di un mondo multipolare. Questa guerra distrugge e disintegra stati, nazioni, popoli ed economie locali e nazionali attraverso le guerre democratiche e religiose, la depredazione delle risorse pregiate, il monopolio e la privatizzazione della conoscenza e attraverso le migrazioni forzate di milioni di disperati e profughi ambientali, di guerre e di conflitti religiosi, verso altri paesi, specie europei.

 

Come affrontare il presente stato del mondo? Come schierarsi in questo immane conflitto che divide e supera le antiche contrapposizioni tra destra e sinistra? Schierarsi dalla parte della globalizzazione, universalizzando i diritti umani contro i nazionalismi e i “vecchi” Stati-Nazione, oppure dalla parte dei no-global e propugnare una de-globalizzazione del mondo, difendendo spazi di sovranità di popoli e comunità in un quadro di nuova solidarietà e cooperazione reciproca per rispondere alla sfida della mondializzazione? Come si ricostruisce una comunità solidale passando “dalla cooperazione per competere” alla “competizione per cooperare” per dirla con le parole di Bruno Amoroso?

 

Come affrontano questi dilemmi l’opera e il pensiero di Bruno Amoroso? Sono convinto che per rispondere a queste alternative, sfuggendo da tentazioni new globaliste, occorra sporcarsi le mani e interrogare e attraversare i vari populismi, nazionalismi, sovranismi, l’opposizione popolare all’immigrazione, le domane identitarie, le comunità ribelli, e interpretarli come forme, anche se non tutte accettabili, della attuale resistenza alla globalizzazione.

 

La parola d’ordine prioritaria dovrebbe essere quella di “liberare” territori, comunità, nazioni, popoli dal potere globale e dalle sue influenze locali: è l’”agire locale e pensare globale” del primo movimento no-global. La rivoluzione, che in parte è già in atto in forme a noi estranee, sarà innanzitutto politica e non economica, e sarà dei popoli contro la attuale globalizzazione e i suoi poteri. I lavoratori, orfani della classe e del partito operaio e rivoluzionario – illusi prima e vittime poi del fallimento dei miti del progresso e della rivoluzione proletaria – devono provare a fare e a farsi popolo e mettersi alla testa o comunque diventare parte del movimento di resistenza nelle comunità, nei territori, nelle nazioni, contro il dominio della globalizzazione.  Il fronte del conflitto nel mondo oggi passa, infatti, nella divisione tra globalizzatori e antiglobalizzatori, tra unipolaristi e multipolaristi, che destabilizza le antiche divisioni tra destra e sinistra storica incentrata sul conflitto capitale-lavoro, e su quello democrazia-autoritarismo. “La lotta alla globalizzazione – afferma Amoroso – non viene dal centro, dalla destra o dalla sinistra, ma da forze trasversali, in quanto le vecchie divisioni non rappresentano più i poli del conflitto” (Per il Bene Comune). Esistono, infatti, oggi nel mondo una destra e una sinistra sia globalista che antiglobalista.  La sinistra globalizzatrice parla di diritti universali ed è antisovranista e cosmopolita come le élite globali. La sinistra no-global aspira e lotta invece

 per un mondo multipolare che cooperi fra popoli, stati, regioni, nazioni, comunità per una economia sostenibile e solidale radicata nei territori e nelle comunità sottratti al dominio e al controllo delle grandi multinazionali e governati da popoli sovrani. Il disegno dei globalizzatori liberisti è il dominio sul mondo, regolato da un solo potere, quello delle transnazionali e dei loro organi, senza stati sovrani ma frantumati in protettorati divisi tra loro per linee etniche e religiose, per poter essere più facilmente dominati. Non c’è posto in questa visione del mondo per grandi Sati meso-regionali come la Russia, la Cina, l’India, per l’Europa politica e federata, perché troppo grandi e perché ostacolano il potere e il pieno dispiegarsi degli interessi dei globalizzatori e dei loro stati-guida, USA e Gran Bretagna. Il sovranismo è una bandiera in prevalenza delle élite locali e statali di destra tradizionale, non inserite fra le élite globali, che resistono alla omologazione e alla distruzione della loro sovranità minacciata. Questi Stati vengono additati come stati-canaglia e antidemocratici, quindi da destabilizzare anche attraverso le “guerre umanitarie” o condotte per procura, oppure attraverso rivoluzioni finanziate ed orchestrate dalle élite globali, come le cosiddette “rivoluzioni colorate”.

 

Penso, senza tema di sbagliare, che Bruno Amoroso sia stato tra i più convinti e combattivi sostenitori di una lotta senza tregua alla globalizzazione e ai suoi apologeti, che lui ha definito come progetto criminale. Così lui la descrive: “La globalizzazione non è un fenomeno oggettivo della modernizzazione, è una forma contingente assunta dal capitalismo, uno stadio particolare ed eventualmente, il suo ultimo stadio. È il capitalismo nella sua forma più maligna, poiché si diffonde  come una forma tumorale; come una metastasi si concentra su poche aree strategiche, ..sul resto enormi effetti distruttivi. Con buona pace delle moltitudini di Toni Negri e dei new-global della globalizzazione buona” (Persone e Comunità). Citando K. Galbraith (Lo Stato Predatore) definisce, nè Il Bene Comune, criminale e predatorio il sistema della globalizzazione: “Lo stato industriale – scrive Galbraith – è stato sostituito dallo stato predatorio, una coalizione di instancabili oppositori ad ogni idea di interesse pubblico che ha lo scopo di controllare la struttura dello stato per dare potere a un’alta plutocrazia provvista solo di obiettivi immorali e di rapina”.

 

Lui è stato, senza dubbio alcuno, un no- global a tutto tondo!

 

Mondializzazione e comunità.

C’è una domanda e un bisogno di comunità crescente nel mondo, anche nei paesi che hanno vissuto la stagione dell’abbondanza e della ricchezza e che soffrono oggi i morsi della crisi e dell’emarginazione progressiva dal nucleo dei paesi più forti della economia della Triade. Questa domanda e questo bisogno trovano risposte diverse e non sempre piacevoli e condivisibili – il ritorno alla sovranità, alla Stato-Nazione, al nazionalismo o alle comunità e alla cooperazione fra Stati – ma hanno un comune carattere: contestare e contrapporsi alla globalizzazione dei vincenti. Tardano invece a trovare risposte da parte delle culture e del pensiero della vecchia sinistra sociale e politica. Anzi, a tale bisogno di ricucitura dei legami comunitari, distrutti dal capitalismo globalizzato, si risponde in prevalenza con le categorie dell’universalismo e dei diritti universali, rinnegando o avversando queste aspirazioni alla sovranità e alla comunità delle popolazioni – derubricate come populismi – spingendo così questo legittimo bisogno di sicurezza popolare verso ideologie e pratiche razziste ed identitarie. Chi ha conosciuto Bruno sa che spesso le sue posizioni eretiche in politica potevano procurare “scandalo” per le preferenze da lui spesso accordate a posizioni antisistemiche, rispetto a quelle politically correct, quando erano orientate a contrastare l’oligarchia finanziaria europea o a difendere il capitalismo nazionale.

 

Bruno non avrebbe certo disdegnato di autodefinirsi “populista” o di polemizzare contro quelli  che etichettano i vari populismi  come proto-fascismo  diventato questo, purtroppo, uno slogan semplificatorio di una certa sinistra  rivoluzionaria globalista nonché della vecchia sinistra neo-liberista dal “volto umano”, che osteggiano  come “sovranisti” quelli che vogliono ricostruire comunità riunificando le comunità  frantumate  dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione capitalistica e che sostengono la  necessità che popoli e territori lottino per riconquistare autonomia scollegandosi  dal mercato globale. È, questa, una sinistra incapace di distinguere fra mondializzazione dei mercati (tendenza insita nella natura del capitalismo fin dalle sue origini) e globalizzazione, che è la forma assunta dal capitalismo triadico contemporaneo. Senza comprendere o voler comprendere che la globalizzazione è la risposta delle élite dominanti dell’occidente al processo di mondializzazione e all’ingresso di popoli e paese nuovi (Cina e India, e non solo) nell’economia e nel mercato mondiale che si vogliono invece ingabbiare ed escludere dallo sviluppo. Confusione che porta a esaltare sia la globalizzazione come apportatrice di benessere per i popoli del mondo per la sua presunta capacità di liberarli dalla miseria e dall’indigenza, e sia il cosmopolitismo come forma suprema della moderna libertà!

 

Devo confessare un certo fastidio, per non dire rabbia, verso l’ideologia cosmopolita del nomadismo e la sua esaltazione acritica da parte di questa sinistra. Nel futuro saremo davvero tutti apolidi? L’ideologia del nomadismo ci racconta che siamo tutti cittadini del mondo. Sarà vero?  O si dimentica che il 99 per cento dell’umanità è per sua natura stanziale e che il nomadismo e l’emigrazione sono una tragedia, una rottura forzata con la propria storia e cultura, con le proprie radici, con le amicizie, con gli affetti e con la famiglia, una lacerazione profonda nella identità che provoca spaesamento e sofferenze? È questo il lato oscuro del cosmopolitismo che viene nascosto in questa narrazione edulcorata del nomadismo! Ma chi sono i veri cittadini del mondo? Adam Smith, il fondatore dell’economia classica, ce lo spiega nella Ricchezza delle nazioni: “Il possessore di capitali è propriamente un cittadino del mondo e non è necessariamente legato a nessun paese particolare. Egli sarebbe pronto ad abbandonare il paese in cui è stato esposto a una indagine vessatoria per l’accertamento di un’imposta gravosa e trasferirebbe i suoi fondi in qualche altro paese dove poter svolgere la sua attività o godersi la sua ricchezza a suo agio”. Il cosmopolitismo è oggi una ideologia costruita su misura per le élite del capitalismo globalizzato, per quell’1 per cento che si considerano “cittadini del mondo” ma senza gli obblighi che la cittadinanza normalmente comporta.  È l’ideologia della libertà irresponsabile.

 

Ma “senza comunità non c’è libertà – ci ricorda Bruno Amoroso in L’apartheid globale – ma solo la concorrenza di tutti contro tutti. Proprio le spinte disgregatrici della globalizzazione rendono urgente ridefinire il concetto di comunità.  Il primo elemento costitutivo della comunità è la popolazione.  La globalizzazione immagina   sistemi di società in cui la popolazione non serve, non ha ruolo. Le economie si delocalizzano rispetto alla gente di cui non hanno bisogno oppure trasferiscono altre persone da altre comunità all’interno del paese. Non esiste comunità senza popolazione. Il secondo elemento è il territorio, il radicamento della popolazione nel territorio. La caratteristica principale della globalizzazione, invece, è la de-territorializzazione: il territorio non conta perché si può produrre ovunque… Altro aspetto fondamentale della comunità sono le istituzioni, basate su forme di rappresentanza dal basso di persone saldamente ancorate al territorio. La globalizzazione distrugge il sistema istituzionale esistente e lo evolve in forme tecnocratiche di rappresentanza”.

 

Bruno Amoroso è stato un fervente sostenitore dell’idea e del progetto di costruzione di comunità.

 

In Memorie di un intruso è narrato lo svilupparsi del suo senso della comunità a partire dalla sua precoce militanza nella sezione del Pci di Donna Olimpia a Monteverde, che si esplicava con la sua attitudine a coniugare la militanza politica con forme di vita collettive e di svago. Per lui “comunismo” non era solo espressione di un’adesione ideale ma di una “empatia che trasformava il gruppo in comunità” e la vita culturale della sezione era animata: si ospitavano gruppi teatrali e  il “teatro di massa” e le persone del quartiere partecipavano con grande passione alle domeniche del ballo, alle gite, alle  feste, alle attività sportive, alle cene collettive. Combinare militanza, amicizia, affetti era l’essenza del suo fare comunità che gli valse una crescente ostilità nel partito che le considerava estranee e nocive all’impegno politico.

 

Scrive Bruno in Persone e Comunità: “La comunità è una costruzione umana e sociale. Il locale è la comunità. La sua dimensione è variabile. La cellula fondamentale è la persona e il suo nucleo di appartenenza (la famiglia, gli amici). Questi diversi nuclei s’intrecciano tra di loro come anelli olimpici e formano la comunità. Essa è fortemente connessa a un determinato territorio e con forte identità culturale. Questo spazio vitale scopre il bisogno di organizzarsi per far fronte alle sollecitazioni esterne della mondializzazione e della globalizzazione. Alla mondializzazione la comunità risponde, per far fronte alla crescente interdipendenza delle varie comunità, con politiche di cooperazione e solidali nel campo sociale, ambientale e nell’uso delle risorse (gli anelli e le reti della solidarietà). Alla globalizzazione, alla quale non ci si può opporre col localismo, (la comunità risponde) con strutture nazionali di cooperazioni tra Stati della medesima meso-regione per proteggere le comunità dalle forze omologanti della globalizzazione”.  

 

Questa concezione della comunità penso debba molto al progetto di Stato comunitario,  propugnato da Adriano Olivetti e illustrato nel Manifesto programmatico di Comunità nel 1953: “Lo Stato comunitario… fondato sulla integrazione armonica delle forze del lavoro e della cultura con quelle della democrazia, su una proprietà socializzata e radicata agli Enti territoriali autonomi (le Comunità), insisterà sulla tradizionale separazione dei poteri e sul principio di un nuovo integrale federalismo interno, inteso nel senso di equilibrio di autonomie tra periferia e centro”. Visione, questa, coniugata alla “necessità di concentrare gli sforzi in favore del superamento degli Stati nazionali interamente sovrani e in favore della costituzione di ordinamenti giuridici superiori, federazioni continentali o sub continentali”. La Federazione europea, che Olivetti auspicava, “darà all’Europa autonomia e salvezza, ma ciò stabilmente per sé e in modo esemplare per gli esterni, solo se federazione è intesa nel senso integrale di decentramento assoluto, di autonomia generale anche nei confini degli Stati, di articolazione politica e amministrativa antimonopolistica in ogni senso”.

 

La costruzione di un’alternativa al capitalismo globale si fonda per Bruno proprio su un progetto di alleanze solidali di comunità, di paesi, di nazioni (le meso-regioni), di tipo federalista, che restituiscano loro la possibilità di scegliere le proprie forme di organizzazione economica, sociale e politica in una configurazione policentrica e plurale del mondo.

 

La rifondazione delle comunità in un quadro di mondializzazione è la risposta all’affermarsi della globalizzazione come sistema dell’apartheid globale del capitalismo triadico dei paesi ricchi contro il resto del pianeta. Lui guardava alla modernità non dalla prospettiva dei globalizzatori, ma da quella delle comunità e dei villaggi del mondo per sette miliardi di persone”.

 

Fare comunità e “risocializzare” lo Stato, passare dallo “Stato del Benessere” alla “Società del Benessere”, questo è stato il suo programma e il filo rosso della sua elaborazione.

 

Bruno Amoroso e il sindacato.

Bruno Amoroso è stato in vita un attento e acuto studioso e osservatore delle trasformazioni dell’economia-mondo e dei sistemi sociali, in particolare di quelli scandinavi, nonché del movimento sindacale e del suo ruolo nel sistema produttivo e nello Stato del Benessere. Fin da giovane, da   militante comunista, da osservatore e partecipe delle vicende sindacali della Manifattura Tabacchi in cui lui lavorò per un breve periodo – del cui sindacato suo padre Pelino fu segretario nazionale nella Cgil unitaria – mostrò una capacità straordinaria di saper cogliere la natura e l’essenza delle questioni in campo. Comprese in anticipo sui tempi la deriva burocratica in cui stava scivolando il sindacato con la decisione verticistica del PCI e della Cgil, non più unitaria, di sopprimere la Federazione sindacale dei Monopoli di Stato per accorparla  alla Federazione  degli Statali  – con l’umiliante e cinica estromissione del padre dalla direzione del sindacato – e colse con lucida preveggenza  l’errore della scelta dell’americanizzazione del sistema produttivo nazionale che anche  il PCI  e la Cgil a loro modo sostennero.

 

La Manifattura Tabacchi a Roma con le vicende sindacali dell’epoca a cui suo padre partecipò, furono il companatico quotidiano di cui si nutrì la sua formazione e la sua concezione del sindacato che “trasforma gli interessi corporativi e i bisogni diversi in un progetto comune di organizzazione aziendale ispirato alla solidarietà verso i più deboli”. Bruno ricorda che suo padre era solito “saggiare le sue tesi politiche, o le sue relazioni per convegni o congressi discutendone in famiglia, sul tavola di cucina fino a tarda notte e questa fu in parte – racconta – la nostra scuola”. Non amava Bruno i sindacalisti col sigaro e la sigaretta e poi quelli con la pipa.  Lui amava i sindacalisti alla Di Vittorio che diventarono comunisti per esperienza di vita famigliare e di povertà e non per scelte ideologiche o per ambizioni politiche e di carriera personale. Bruno riporta in Memorie di un intruso una risposta di Giuseppe Di Vittorio alla domanda di un giornalista sul perché fosse diventato comunista: “Da bambini – rispose Di Vittorio – le nostre mamme lavoravano sui campi dei padroni dall’alba alla sera per la raccolta della frutta, ed erano costrette a portarci con loro. Noi venivamo deposti intorno ad un albero e i ‘caporali’ ci mettevano la museruola per essere sicuri che non mangiassimo la frutta. Io sono uno di quei bambini ed è per questo che sono diventato comunista”.

 

Bruno era stato un convinto assertore dell’unità del sindacato e del mondo del lavoro contro le rotture che intervennero nel 1948, ma anche della sua autonomia come motore di una alleanza popolare più vasta con il ceto medio e i vari e diversi settori produttivi della società che lui auspicava anche in polemica contro le tendenze opposte che avanzavano nel partito e nel sindacato.

 

L’americanizzazione delle forme di produzione e consumo. Il fordismo e il post- fordismo.

 

Bruno Amoroso è sempre stato un critico avveduto  del processo di “americanizzazione” delle forme di produzione e consumo introdotti in Italia dopo la liberazione e che improntò il miracolo economico del dopoguerra con una forte crescita e sviluppo del sistema industriale incentrato sulla grande impresa e con un forte incremento dei consumi popolari. Il prezzo pagato per questo tipo di sviluppo è inscritto nelle devastazioni del territorio, nella crescita abnorme delle città, nello spopolamento dei piccoli centri e nel biblico flusso migratorio da Sud verso il Nord che svuotò le campagne in pochi anni di oltre due milioni di addetti.

 

Nel dibattito all’interno del PCI e del Sindacato convivevano due Italie: quella di Emilio Sereni che indicava una via alla modernità che includesse il mondo rurale e contadino, e quella di Manlio Rossi Doria che spingeva per una più spinta applicazione del modello fordista della grande impresa da estendere anche alla produzione agricola, per incrementare la produttività del settore.

 

La sinistra e il sindacato abbracciarono il modello di produzione fordista contrastando le posizioni di Emilio Sereni e il modello “comunitario”  propugnato da  Adriano Olivetti.

 

Il convegno dell’Istituto Gramsci del 1962 sulle Tendenze del capitalismo italiano legittimò teoricamente questa scelta con l’illusione che questo salto forzato nello sviluppo sarebbe stato ricambiato con una maggiore partecipazione dei lavoratori alla spartizione dei dividendi dello sviluppo illimitato e del crescente profitto. Il sindacato fu così ridisegnato sul modello della grande impresa fordista, abbandonando il sindacalismo popolare e confederale di Di Vittorio, per il nuovo sindacalismo contrattualista e verticale degli anni 60-70, che godette dell’introduzione dell’istituto della contrattazione articolata con i   contratti del 1962.

 

Scrive in Persone e Comunità: “Il paradigma fordista (grande impresa, economia di scala, consumi di massa, organizzazione taylorista del lavoro) fu immediatamente percepito come il paradigma della modernizzazione assunto passivamente anche dai sindacati e dai partiti operai, socialisti e comunisti.  Il suo effetto fu la distruzione delle pluralità dei sistemi produttivi e dei saperi locali, dei territori e delle città, l’emigrazione di massa, il declino dell’artigianato tradizionale, lo spopolamento delle aree interne montane e collinari, l’abbandono delle campagne, l’americanizzazione dell’agricoltura e la fine delle società rurali”, che fornì con gli esodi biblici dalle campagne del sud   la manodopera necessaria per l’impresa fordista del Nord industrializzato. E così prosegue: “Tutta l’organizzazione della società e delle città ruota attorno alla fabbrica capitalistica e la serve. Le strategie sindacali e loro strutture organizzative furono ridisegnate sul modello della produzione di massa e delle economie di scala del fordismo. Partiti e sindacato della classe operaia videro nella crescita accelerata della classe operaia fordista e nel proletariato agricolo e bracciantile – formatosi con la crisi della famiglia e dell’impresa contadina – il formarsi delle forze che avrebbero messo in crisi il capitalismo. Il mito dello sviluppo infinito e del progresso sotto il segno dell’industrialismo segnò una stagione di lotte e di rivendicazioni del movimento operaio che arrivò a toccare livelli di consumi e di benessere materiale mai raggiunti nella storia, né prima e mai più dopo. L’altra faccia nascosta di questo progresso fu, come denunciava un inascoltato Pasolini, l’integrazione della classe operaia nel meccanismo distributivo e la sua omologazione culturale in quello della mercificazione consumistica”.

 

L’abbandono del modello di produzione fordista, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, da parte del capitalismo “pensante” per rispondere alle crescenti pressioni redistributive del movimento operaio e ai costi crescenti dello Stato del benessere – per riprendere il controllo della produzione e dello Stato e ridurre l’influenza dei sindacati in una fase di sovrapproduzione di merci e di costi crescenti delle materie prime – colse di sorpresa il movimento operaio e i sindacati. La  vertenza Fiat con la successiva sconfitta operaia agli inizi degli anni ‘80 segnò una lunga fase difensiva  del conflitto sindacale che, di cedimento in cedimento, ha accompagnato in questi decenni lo “smantellamento progressivo del sistema produttivo nazionale e del welfare pubblico, la de-centralizzazione dell’impresa nei territori,  la fine del ruolo propulsivo dei contratti collettivi”, la precarizzazione  del lavoro, la nascita dei contratti individuali (Pacchetto Treu) e, infine, il declino stesso del sindacato.

 

Scrive ancora in Persone e Comunità: “Un errore interpretativo della globalizzazione che ha coinvolto la sinistra e il Movimento Operaio, è stato quello di concepirla come uno stadio di rilancio del ciclo di accumulazione, con il risultato di alimentare strategie rivendicative difensive in vista di una ripresa futura del ciclo espansivo. Il suo effetto è stato quello di non cogliere la novità propria della natura della globalizzazione che espelleva dal suo interno aree di mercato e sistemi produttivi, de-centralizzandoli e de-nazionalizzandoli, per sottrarre la produzione al controllo sociale e politico locale e nazionale”. Nella sua relazione al seminario del circolo romano del Manifesto nel 2011 su Lavoro e Territorio all’indomani del referendum della Fiat di Pomigliano, così concluse questa riflessione: “L’assenza di questa consapevolezza ha fatto si che siamo rimasti a lungo attaccati alla speranza di poterci integrare in un modello che non ci comprendeva, anzi ci respingeva, e per di più a noi in gran parte estraneo. Trascurando invece scelte possibili di un altro modello di organizzazione sociale, di crescita territoriale e sociale e di cooperazione sia europea sia mediterranea”.

 

Bruno Trentin fu forse l’unico che nel movimento sindacale avvertì nel 1989 la tempesta che si avvicinava e colse correttamente la novità della fine di un ciclo storico, dell’epoca dello sviluppo infinito e dell’occupazione come variabile da questo dipendente, insieme al tramonto di politiche salariali espansive. Nella sua relazione alla Conferenza di Programma della Cgil di quell’anno a Chianciano, così introdusse il suo intervento: “Le trasformazioni delle società industriali, i vincoli crescenti…rimettono in questione la stessa concezione dello sviluppo economico…  ma, soprattutto, il presupposto economico e ideologico sul quale il sindacato fondava, sin dalle sue origini, la sua funzione di unificazione del mondo del lavoro…ossia uno sviluppo economico, pieno di contraddizioni e di diseguaglianze, ma senza limiti quantitativi di lungo periodo, uno sviluppo economico «inarrestabile» e, come tale, condizione e garanzia di un progresso sociale e umano, condizione materiale dell’azione emancipatrice del movimento operaio; questo presupposto e questa premessa di valore dell’azione solidale del sindacato sono stati duramente contestati dalle trasformazioni intervenute..”.  E così  proseguì:“ Lo sviluppo quantitativo dell’economia, la crescita della produzione di merci e di servizi, e lo sviluppo dell’occupazione e del lavoro salariato, che del primo sono stati sempre considerati come dei fattori derivanti e rigidamente subordinati (delle variabili dipendenti si usava dire), si scontrano sempre più con dei limiti oggettivi, strutturali… Al punto che oggi l’idea di progresso, quella di civiltà e quella stessa di solidarietà sono sempre più associate al rispetto di questi vincoli e alla subordinazione dello sviluppo dell’economia ai limiti qualitativi che rimettono in questione i suoi obiettivi e le sue regole”.  Aggiunse che era destinata alla sconfitta “una solidarietà difensiva fondata sulla salvaguardia di un modello autarchico di sviluppo, sul rifiuto di confrontarsi con le scelte ardue di una nuova divisione internazionale del lavoro e con la ricerca di una nuova solidarietà dei lavoratori in Europa”.

 

Per proteggere il lavoro  da questi rischi incombenti, delineò così una strategia difensiva fondata sui diritti individuali e collettivi, sulla valorizzazione della persona e della sua prestazione lavorativa, sulla formazione permanente, sulla contrattazione anche  individuale nel posto di lavoro: “Dobbiamo compiere il tentativo di ricondurre alla contrattazione collettiva e ad una difesa solidale dei diritti individuali fondamentali relazioni di lavoro, anche molto diverse fra loro, che non coincidono più con il modello tradizionale dell’occupazione a tempo pieno per tutta la vita….  Non crediamo al salario o al costo del lavoro come variabili indipendenti. Ma crediamo ad una strategia rivendicativa che liberi tutte le potenzialità culturali e professionali delle lavoratrici e dei lavoratori e che trasformi la persona al lavoro in un patrimonio ricco e costoso nella sua formazione.”.  Ancora: “Diventerà sempre più un tema della contrattazione collettiva nei luoghi di lavoro quella dell’informazione sui percorsi professionali individuali e sui sistemi di remunerazione individuali, in modo da offrire la garanzia di criteri trasparenti anche all’estendersi di forme di contrattazione individuale del salario e delle condizioni di lavoro.”. Caratteristiche queste – dell’autonomia, dell’autodeterminazione, della libertà e della creatività del lavoro – che sarebbero state fatte proprie dal capitalismo post-fordista sotto le sembianze del lavoratore imprenditore di se stesso e artefice del suo stesso auto-sfruttamento.

 

Mancò però in Trentin, ed è mancata  nel sindacato anche dopo lui, la visione di un progetto alternativo al modello di sviluppo e di produzione fordista e industrialista abbandonato dal capitalismo; e anche lui fu costretto ad accettare di contrattare nel 1992, con l’accordo che abolì la scala mobile,  l’arretramento del movimento operaio dalle posizioni conquistate in precedenza  per allineare il paese alle politiche deflazioniste dell’Unione Europea,  che lo costrinse alle dimissioni da segretario generale della Cgil prima e all’uscita definitiva  di scena  successivamente.

 

L’occasione persa dal sindacato è stata quella di non aver scommesso sul rilancio dei luoghi, delle produzioni e dei sistemi produttivi abbandonati al loro destino dal fordismo prima e dalla globalizzazione poi, ricreando forme di aggregazione tra produttori locali, rilanciando un nuovo modello di sviluppo a partire dalla rigenerazione delle città devastate dall’inurbamento selvaggio e dal consumo di suolo, dal ripopolamento delle zone interne abbandonate con politiche di sviluppo locale e culturale e mettendo in sicurezza il territorio. Di non aver offerto in questo modo un’alternativa di mercati locali e regionali al quel mondo della produzione radicato nei territori, ed estromessi dai mercati della globalizzazione, attraverso il rilancio dell’Altra Economia, dei mercati contadini, della nuova ruralità. Da ciò derivava e deriva la necessità di una alleanza tra questa economia e la società civile per ricostruire comunità di vita, di produzione e consumo. Invece abbiamo stoltamente continuato sulla strada delle sconfitte difendendo e promuovendo  lo sviluppo dei grandi centri commerciali delle multinazionali straniere,  che hanno ancor più indebolito la piccola impresa locale e regionale che fatica a trovare sbocchi autonomi nel mercato e che ora, ironia della sorte, per effetto dell’automazione crescente,  stanno espellendo proprio  quei lavoratori  che avevano giustificato l’iniziale  consenso sindacale e politico locale al loro insediamento nel territorio.

 

Lavoro e Bene Comune.

 

Cos’è per Amoroso il Bene Comune? “Bisogna evitare, usciti dall’incubo della fabbrica fordista e del consumismo di massa (con i quali abbiamo perso mezzo secolo di storia), di inseguire ancora una volta il capitalismo nelle sue convulsioni   con il mito delle tecnologie, della società dell’informazione, della società dei servizi e, ora, con la società della conoscenza”.

E ancora: “Decrescita e sobrietà   significano partire dai nostri bisogni, dai bisogni delle comunità -società nelle quali viviamo, per ricostruire intorno a noi quelle istituzioni, saperi e sistemi produttivi che ridiano spazio ad una vita normale” e per riscoprire quella che lui chiama “l’acqua calda” della “buona vita” e del “bene comune”.

 

Il progetto del Bene Comune, così introdotto da Amoroso in Per il Bene Comune, nasce come risposta all’esaurirsi dell’esperienza dello Stato del Benessere, sorto nel novecento per far fronte alle crisi del mercato capitalistico e   ai disastri della guerra e della ricostruzione successiva. Il suo stretto legame col capitalismo fordista, il suo carattere prevalentemente corporativo, ne ha segnato anche la progressiva decadenza con l’affermarsi di politiche neoliberiste di contenimento della spesa pubblica e del welfare.  Il bene comune è un progetto diverso di società e di modernizzazione che per le società europee significa anzitutto il “distacco dalla crescita quantitativa e individualistica e un rifiuto della globalizzazione e delle sue politiche neoliberali”.

 

“Il bene comune non è il singolare di beni comuni, né la somma dei beni individuali” ma, citando Robert Vachon, Bruno afferma che “è l’essere comunitario non riconducibile alla somma delle parti e che non può essere proprietà di qualcuno”.  È, continua ancora in Per il Bene Comune, “l’essenza del progetto, il nucleo fondamentale della vita materiale delle persone e delle comunità, intorno al quale si articolano gli obiettivi e le funzioni economiche, sociali e culturali della società. È quel nucleo che sprigiona i valori, i principi che danno contenuto e forma in una certa epoca storica al vivere insieme e dal quale si possono derivare i beni comuni necessari, come strumenti per riavviare un discorso su una diversa forma di organizzazione sociale e di partecipazione”. Insomma un nuovo patto sociale che sostituisca lo Stato del Benessere, creato intorno all’obiettivo della crescita economica, con quello della Società del Benessere costruita sul Bene Comune.

 

Così definito il progetto di Bene Comune, la nuova Società del Benessere non può prescindere dalla solidarietà tra lavoratori e cittadini, cioè dal concepire il lavoro come bene comune legato alla comunità e al territorio di appartenenza.

 

Di questa concezione del lavoro sono debitore verso l’opera di Bruno Amoroso che ha nutrito, negli ultimi anni della mia esperienza di dirigente sindacale della Cgil,la mia rielaborazione, inascoltata,  di un nuovo e diverso approccio al rapporto tra sindacato e società,  come chiave del  rinnovamento del sindacato stesso e della sua fuoriuscita dall’orbita dello schema fordista di rappresentanza del lavoro.

 

Nella sua Prefazione al mio libro, Il Lavoro tra Globalizzazione e Bene Comune (2006), individua gli elementi forti della esperienza politica e sindacale in Italia nella   natura popolare del sindacato nel dopoguerra e nella sua costante preoccupazione di legare rivendicazioni e proposte parziali a una idea e progetto di società più giusta e solidale. Infatti, scrive: “Le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori hanno rappresentato sia la forza maggiore di difesa e di elaborazione di proposte alternative allo sfruttamento capitalistico e alla degenerazione della società e del mercato da questo prodotto, sia il punto di fusione di tutte le componenti e le istituzioni della società civile. L’emancipazione della ‘classe operaia’ coinvolgeva tutte le componenti personali e sociali della società e produceva un cambiamento di liberazione (dalle ineguaglianze e dalle discriminazioni) per tutti”. Questo legame organico tra sindacato e società “si è venuto via via indebolendo dagli anni Sessanta in poi fino alla rottura verso la fine del decennio. Le ragioni sono da ricercare nell’affermarsi di un modello industrialista e fordista di crescita economica che ha plagiato anche i sindacati e i partiti del movimento operaio acquisendoli così ad una linea di subordinazione al modello della crescita capitalistica in Italia su basi corporative”. E così conclude: “Questa è la ragione per il venir meno della anima popolare del movimento… Ma il primo anello da ricostruire è la ricongiunzione tra movimento operaio e società civile, sulla base di un progetto di società fuori della globalizzazione e diverso da quello del capitalismo di mercato”.

 

Commentando nel 2011 un mio articolo su il Manifesto, Ripartiamo dal binomio locale-globale, nella sua relazione al già citato seminario organizzato dal circolo romano de il manifesto, così si espresse a proposito di lavoro e bene comune: “Ricordo che di questo tema si parlò in ambito sindacale. Reagendo al grande interesse che i sindacati mostravano per l’‘acqua bene comune’ proposi di trattare invece del tema ‘lavoro bene comune’. Gelo totale, perché avevano intuito che se il lavoro è un bene comune è compito delle comunità salvaguardarlo, regolarlo, inserirlo nelle funzioni necessarie, retribuirlo ecc. Al che tutta l’impalcatura del lavoro e dei suoi diritti costruita per una società industriale capitalistica crolla. Ma con ciò anche il ruolo che il sindacato si è disegnato dentro di questa. Dobbiamo prendere atto positivamente che espressioni recenti anche da parte del sindacato indicano una riflessione critica su questi temi e sul bisogno di ripensarsi insieme alle altre istituzioni e organizzazioni della società civile”.

Cioè il lavoro come bene comune è parte costitutiva dell’essere, del vivere nella comunità con gli obblighi ed i doveri che ne derivano, esce cioè dalla pura funzione contrattuale-redistributiva del rapporto di lavoro.

Questo dato implica che il progetto del bene comune va visto come “superamento della retorica della solidarietà all’interno de movimento operaio, che non tocca mai gli interessi costituiti, i diritti acquisiti in una fase storica”. Concludeva il commento al mio articolo con queste mie parole: “Il lavoro può affermare la sua utilità e responsabilità verso la società e le comunità locali, solo pensandosi ed agendo come lavoro non alienato, come produttore consapevole che crea l’economia e non ne rimane succube”.  Se si riconcilia, quindi, col sapere e si mette al servizio del progetto di comunità e del bene comune e non di una solidarietà ristretta di tipo corporativo.

Se nella fase della fabbrica fordista il luogo classico della socializzazione e dell’istituzione dei legami sociali e di classe era la fabbrica oggi, con il decentramento produttivo, non è più così. Lo spazio della socializzazione ridiviene il territorio, luogo di esistenza-resistenza e di convivenza quotidiana. E gli attori sociali della trasformazione sono quelli partecipi al territorio e ai suoi bisogni, a partire dai lavoratori, dalle loro famiglie, e dalle loro organizzazioni sindacali, dal mondo delle periferie urbane, del non-lavoro e della precarietà esistenziale. Il lavoro con le sue forme di esercizio e di rapportarsi alla società e al bene comune assume ora  una precisa responsabilità sociale  verso le comunità. Se il lavoro è un bene comune, può essere compatibile con alcune modalità di esercizio corporativo del conflitto sindacale in particolar modo nei servizi di pubblica utilità, cioè dei beni comuni sociali? È compatibile con qualsiasi occupazione, anche in quelle produzioni inquinanti che distruggono e devastano l’ambiente, la terra, l’aria, l’acqua e la vita – cioè i beni comuni naturali – come nel caso di Taranto?  Come conciliare la responsabilità sociale del lavoro con il suo essere anche un mezzo di riproduzione sociale? Come affrontare l’alienazione del lavoro dai fini della produzione nell’impresa capitalistica, irresponsabile verso le comunità e l’ambiente vitale? Come rispondere alla domanda di inclusione sociale del mondo degli esclusi, dei perdenti della globalizzazione, degli operai senza-fabbrica, dei giovani senza futuro? Sono domande, queste, che attendono ancora risposte compiute.

Nel momento in cui l’impresa transnazionale separa territori e sistemi produttivi, istituzioni e popolazioni, si estranea dalle comunità e dai paesi d’origine e diventa apolide e globale, si può superare tale processo di scissione solo se lavoro e impresa, comunità e cittadini diventano partecipi di una rifondazione del paradigma dell’economia diversa e alternativa a quella impostasi con la globalizzazione. Il lavoro ritroverebbe così una sua ragione sociale non alienante ri-mettendo in discussione la stessa divisione operata dal fordismo fra lavoro e sapere che aveva trasformato l’operaio in gorilla ammaestrato, per dirla con la celebre metafora di Gramsci in Americanismo e Fordismo.

È, questa, una sfida ancora aperta per una sinistra che voglia rinascere e ritrovare le proprie radici popolari e per un sindacato che abbia voglia di misurarsi con i suoi ritardi e le proprie granitiche in-certezze che certamente non hanno aiutato lo svilupparsi di un movimento popolare e democratico di resistenza alla tragedia della globalizzazione capitalistica preferendo spesso cavalcare il cavallo vincente piuttosto che rischiare le sconfitte in proprio.

In un mio recente articolo, Considerazioni dalla parte dei vinti, pubblicato su Comune-info, così concludevo l’ultimo paragrafo destinato al riscatto dei vinti: “La Storia non è solo un susseguirsi di eventi lineari in cui il passato sta alle nostre spalle. Essa ci parla anche con il linguaggio e la memoria dei vinti e degli sconfitti redenti e non solo con quello dei vincitori, affinché quello che non fu possibile ieri diventi possibile oggi o domani…Non so se un giorno il mondo cambierà in meglio.  Ma se sarà così, lo sarà non grazie a quelli che sono saliti sul carro dei vincitori, ma grazie ai popoli vinti ma non domati, alle classi oppresse, ai sacrifici e alle testimonianze di tutti quelli che pur sconfitti ed emarginati, non si sono mai arresi”.  Grazie anche a uomini come Bruno Amoroso.

(Articolo tratto dal libro Ciao Bruno testimonianze e ricordi per Bruno Amoroso amico, collega, maestro. Edizioni Castelvecchi)

 

 

 

Da Caracas ad Aquisgrana:

gli USA contro il mondo

multipolare e lo storytelling sovranista.

Blog.ilgiornale.it – Cristiano Puglisi – (24-1-2019) – ci dice:

Che l’annuncio del ritiro delle truppe americane dal teatro siriano fosse semplicemente dovuto a un cambio nella strategia comunque imperialista della presidenza degli Stati Uniti (rispetto a quella precedentemente impostata dal deep state), piuttosto che a una supposta volontà “antisistema” di Donald Trump, lo si era chiaramente anticipato su questo blog.

Il caos esploso ieri in Venezuela, con l’autoproclamazione del presidente dell’Assemblea Nazionale e leader dell’opposizione Juan Guaidò a presidente della Repubblica in luogo del capo di Stato eletto Nicolas Maduro, appoggiata dagli Stati Uniti, dimostra ora che le previsioni erano corrette. Ovviamente, come c’era da attendersi, è partito il coro dei media occidentali, pronti a chiedere la testa del “tiranno Maduro”.

 

“Nicolas Maduro e il suo regime sono illegittimi – ha affermato Donald Trump – e il popolo del Venezuela ha fatto sentire con coraggio la sua voce chiedendo libertà e rispetto della legge “

 “Ci difenderemo a ogni costo “è stata la replica di Maduro, rieletto presidente a maggio dello scorso anno con il 67,84% delle preferenze, sebbene il voto sia stato disconosciuto dall’opposizione per la scarsa affluenza alle urne.

Il Venezuela, travolto da una grave crisi economica, è certamente un Paese in difficoltà. Ma, altrettanto certamente, hanno pesato le dure sanzioni imposte dagli Stati Uniti, che hanno vietato qualsiasi transazione finanziaria con le aziende di Stato venezuelane, in primis quelle relative ai bond emessi dal gigante petrolifero PDVSA, primo motore dell’economia nazionale. Un motore che, logicamente, fa gola alle compagnie private del petrolio.

 

Sembra di rivivere quanto avvenuto, tra il 2011 e pochi mesi fa, con il presidente siriano Bashar Al Assad. E anche gli schieramenti internazionali seguono le medesime logiche di allora: da un lato gli Stati Uniti, l’Unione Europea (anche se, questa volta, in maniera molto più tiepida) e gli altri alleati occidentali (in testa il Brasile del neo-eletto Jair Bolsonaro), dall’altro, il gruppo di Paesi che supportano il presidente regolarmente eletto Maduro, tra cui la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese.

“Le dichiarazioni degli ultimi giorni dei dirigenti brasiliani e americani sono inquietanti”, ha detto il ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov, che ha promesso a Maduro (che si era recato in visita a Mosca lo scorso dicembre) le “armi necessarie per difendersi”. Il riferimento ai brasiliani riguardava anche le dichiarazioni di Jair Bolsonaro che aveva affermato la propria disponibilità a ospitare basi americane per “bloccare la penetrazione russa nel continente attraverso Cuba e Venezuela”.

Altro alleato di Maduro è il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con cui è in vigore un accordo in base al quale la Turchia raffinerà l’oro venezuelano e lo utilizzerà come mezzo di scambio per evitare a sua volta le misure USA contro l’Iran.

Il sovranismo è stato inglobato dallo storytelling della geopolitica USA?

Quello cui si sta assistendo è, in realtà, lo scontro tra la superpotenza dominante, gli Stati Uniti, e le potenze regionali emergenti.

 La prima spinge nettamente per conservare un dominio unipolare sul mondo, i secondi (Cina, Russia, Turchia, Iran e probabilmente in futuro anche Germania e Francia) spingono invece per spezzare l’egemonia statunitense e giungere a un mondo multipolare.

Lo si vede a Caracas, lo si vede con la conferma, fatta arrivare nelle ultime ore dagli USA a Mosca, dell’uscita unilaterale definitiva dal trattato INF sui missili a raggio corto e intermedio (che prelude chiaramente a una preoccupante uscita dal trattato New Start sui missili nucleari intercontinentali…), lo si anche vede per l’ostilità con cui è stato accolto il cosiddetto Trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania, il cui sodalizio è ormai stato attaccato anche dall’interno dell’Unione Europea (il presidente del Consiglio Europeo, il polacco Donald Tusk – da notare che non casualmente la Polonia è uno dei più solidi partner di Washington in seno al consesso comunitario -, ha affermato che Parigi e Berlino debbano chiarire quanto prima che la loro iniziativa, che comprende anche la realizzazione di un esercito europeo, non sia in contrasto con le finalità dell’unione).

In questo frangente è ormai chiaro e lampante come non esista più in realtà nessuna lotta tra sovranisti e globalisti e che questa, inizialmente figlia di giuste recriminazioni della classe lavoratrice schiacciata dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione dell’economia, sia piuttosto ormai evoluta (o involuta, a seconda dei punti di vista) in un prodotto dello storytelling della geopolitica americana (e finalmente qualche osservatore, sebbene esterno al circuito mainstream, inizia a prenderne atto…).

Il globalismo ideologico (ma non quello pratico) è stato de facto già seppellito dai suoi creatori, gli Stati Uniti, e il supporto ai supposti (ormai è necessario affermarlo) movimenti sovranisti in giro per il globo (tra cui verrà presto annoverata anche l’opposizione venezuelana) mira esclusivamente a non consentire il sorpasso da parte della Cina in campo diplomatico, politico e militare.

 

Roma antica e Stati Uniti

sono davvero comparabili?

Ilprimatonazionale.it - Giovanni Damiano – (15 Ottobre 2022) – ci dice:

Tra l’impero della Città eterna e il dominio americano sono stati spesso istituiti arditi parallelismi. Alcune similitudini sono innegabili, ma le analogie storiche rappresentano sempre un rischio.

Senza cadere in mode attualizzanti e senza cedere al «demone» dell’analogia o a spericolati parallelismi, qui si tenteranno, semplicemente, due possibili comparazioni tra Stati Uniti e Roma antica.

In un articolo del 1999 uscito su Foreign Affairs, e tradotto in italiano nella silloge Ordine politico e scontro di civiltà (il Mulino, 2013), Samuel Huntington sin dal titolo definiva gli Stati Uniti La superpotenza solitaria.

Per il politologo americano, agendo in uno scenario a torto ritenuto unipolare, gli Stati Uniti stavano diventando «sempre più soli» (p. 309), in quanto percepiti «dalla maggior parte dei Paesi» (p. 310) come «invadenti, interventisti, sfruttatori, unilateralisti, egemonici, ipocriti, ambigui, “doppio pesisti”» (pp. 310-311), e pertanto del tutto dimentichi del fatto che il mondo in cui agivano era invece «un sistema uni-multipolare con una superpotenza e varie grandi potenze» (p. 304).

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di ottobre 2022.

Il paragone tra Roma e Stati Uniti regge?

Adesso, pur in presenza di ragioni sostanzialmente diverse, a cominciare dall’assenza di reali competitori strategici, non è stata piuttosto la Roma vittoriosa sulle popolazioni galliche, su Cartagine e sui regni ellenistici (il macedone e il seleucide) la vera superpotenza solitaria?

Ossia, una potenza che regnava incontrastata in solitudine, e non tanto perché contestata – anche se le voci critiche del dominio romano non sono mai venute meno; una su tutte, quella del caledone Calgaco – ma proprio perché non esistevano «varie grandi potenze» che potessero in qualche modo minacciarla.

 In altre parole, il «sistema internazionale» dell’epoca, ovviamente relativo al mondo storico e geopolitico in cui agiva Roma, era, a mio parere, schiettamente unipolare.

La superpotenza solitaria.

Seppure in maniera assai schematica, al riguardo sono almeno due i punti su cui occorre soffermarsi.

 Quando Sallustio scrive, in un passo celebre, che con i Galli «si combatteva per la salvezza, non per la gloria» (Bellum Iugurthinum 114, 2), si comprende quale sia stato il vero nemico esistenziale di Roma.

Non a caso, perlomeno dal sacco di Roma (388 o 386 a.C.) alla battaglia di Talamone (225 a.C.), che bloccò per sempre le loro avanzate a sud degli Appennini, «i Galli costituirono per Roma il nemico atavico, l’avversario che faceva paura e suscitava appunto il metus Gallicus», come scrive Giuseppe Zecchini nel suo Le guerre galliche di Roma (Carocci, 2009, p. 11).

 Tant’è vero che sempre Sallustio ricordava come l’Italia intera avesse tremato di paura all’epoca della disfatta di Arausio (105 a.C.), attribuendola appunto ancora ai «Galli» – quando in realtà Cimbri e Teutoni erano di stirpe germanica – a testimonianza del persistere del timore da loro suscitato.

Quindi, paradossalmente, un insieme disomogeneo di tribù, del tutto privo di centralizzazione «statuale», ha rappresentato, più ancora di Cartagine, l’autentico nemico di Roma in senso schmittiano, il che ha poi finito per favorire, in ultima analisi, lo stesso affermarsi dell’unipolarismo romano.

Ma, per venire al secondo punto, l’obiezione più forte alla tesi unipolarista è quella della presenza degl’imperi orientali iranici, degli Arsacidi prima e dei Sasanidi poi, per cui non pochi studiosi hanno parlato, in merito, di bipolarismo.

Io credo però che tale obiezione sia, in buona misura, infondata. Né i Parti né i Sasanidi – che pure, richiamandosi entrambi all’eredità achemenide, aspiravano al dominio universale – hanno mai rappresentato, e nonostante alcune vittorie anche clamorose (Carre, Edessa), una reale minaccia per Roma: questo sia per un evidente differenziale di risorse (demografiche, territoriali, economiche, tecnologiche ecc.), sia soprattutto perché impossibilitate a creare alleanze antiromane, data l’assenza, nello scenario orientale, di una qualsiasi altra entità con caratteristiche anche minimamente «statuali», fatto salvo il regno d’Armenia, non a caso «stato cliente» di Roma.

 

In breve, mentre il bipolarismo rimanda a un equilibrio dovuto a una sostanziale simmetria delle forze in campo, in virtù della quale nessuno dei due attori, da solo o tramite alleanze, può dominare l’altro, gl’imperi iranici erano, al più, potenze regionali, mai capaci di mettere in discussione l’egemonia romana o di sfidarla con una qualche speranza di successo.

 Lo testimonia, ad esempio, il fatto che, mentre Roma ha più volte sconfitto Arsacidi e Sasanidi, sino a conquistarne la capitale Ctesifonte, grazie alle campagne di Traiano, Settimo Severo e Galerio, gli eserciti iranici si limitavano a contenderle aree confinarie.

 A conferma, soltanto nel VII secolo d.C. la Persia sasanide, con Cosroe II, sarà in grado di scatenare un’offensiva su larga scala, avendo però di fronte un impero bizantino all’epoca ridotto anch’esso al ruolo di potenza regionale.

Un destino manifesto?

Ora, proprio in relazione a quel momento storico decisivo in cui Roma aveva trionfato su tutti i suoi nemici, trasformandosi da potenza regionale italica in superpotenza «mondiale», è stato Arthur Eckstein, nell’ultimo capitolo del suo Mediterranean Anarchy, Interstate War and the Rise of Rome (University of California Press, 2009) ad avanzare un’altra possibile comparazione, chiedendosi se sia davvero esistito un eccezionalismo romano sulla falsariga di quello americano.

Innanzitutto, secondo Eckstein, alcune caratteristiche cruciali della Roma repubblicana – ovvero la bellicosità, la militarizzazione della sua società, una diplomazia aggressiva, la presenza di un’etica fortemente improntata alla guerra – erano in effetti condivise dalla gran parte degli altri Stati presenti nello scacchiere mediterraneo (p. 243), per cui le ragioni di un eventuale eccezionalismo romano dovranno essere cercate altrove.

 

 

 

Gli scolari di “Rhodes” guidano

la presidenza Biden.

Nexusedizioni.it - Matthew Ehret – (2-5-2022) – ci dice:

 

Gli anni recenti, saturati di pandemia, hanno comportato una curva di apprendimento ripida e spesso traumatica per molti cittadini sulle due sponde dell'Atlantico. Una rivelazione particolarmente scioccante che è apparsa virale su Internet negli ultimi giorni ruota attorno alle rivelazioni secondo cui i "Young Global Leaders" del World Economic Forum di Klaus Schwab sono stati posizionati tra i governi occidentali e le potenti istituzioni private negli ultimi tre decenni. 

I video di Klaus Schwab che si vanta del posizionamento di Young Leaders nei governi di Canada, Argentina, Europa e oltre vengono ora pubblicati quotidianamente sulle piattaforme di social media, confermando i sospetti di molti che il World Economic Forum non sia una benigna operazione di business networking, come questo ha cercato di esternare per i creduloni. Piuttosto, è qualcosa di molto più oscuro e insidioso. 

Istituito nel 1993 come Global Leaders of Tomorrow e ribattezzato WEF Young Leaders Forum nel 2004 (alimentato con fondi di istituzioni benevole come JP Morgan Chase e Bill and Melinda Gates Foundation), oltre 1400 giovani leader (sotto i 38 anni) dal settore pubblico e privato sono stati formati attraverso il programma. Coloro che sono stati scelti per diventare membri di questa cricca elitaria, accettano di partecipare a sei anni di conferenze regolari del WEF con seminari, focus group e altre esperienze speciali sia a Davos che agli eventi regionali del WEF, a quel punto si diplomano e diventano "allievi" che, a loro volta, diventano capaci di nominare futuri giovani leader.

Solo un piccolo campione delle figure di spicco che sono state istruite e insediate in posizioni di influenza per far avanzare l'agenda globalista del WEF negli ultimi 30 anni includono Angela Merkel, Nicholas Sarkozy, Emmanuel Macron, Tony Blair, Mark Zuckerberg, José Manuel Barroso, Bill Gates, Chrystia Freeland, Pete Buttigieg, Jacinda Arden (PM Nuova Zelanda), Jack Ma (fondatore di Ali Baba), Larry Fink (CEO di Blackrock), Larry Page (fondatore di Google), Lynn Forrester de Rothschild (fondatore del Council for Inclusive Capitalism), Jimmy Wales (fondatore di Wikipedia), Peter Thiel (fondatore di PayPal), Leonardo Di Caprio (strumento), Richard Branson (CEO di Virgin Records), Jeff Bezos (fondatore di Amazon), Stephan Bancel (CEO di Moderna), Pierre Omidyar (co-fondatore di eBay ), Alizia Garza (co-fondatrice di BLM), Jonathan Soros (figlio del sociopatico) e, secondo Schwab, lui stesso "metà del gabinetto canadese" sotto il primo ministro Justin Trudeau.

Per quanto importante sia tenere a mente questo fatto inquietante, è ancora più importante non perdere di vista le forze storiche più profonde in gioco e la vecchia pratica istituzionale di ricerca di talenti giovani sangue su cui si basa il Programma YGL.

Proprio come Klaus Schwab non è mai stato il suo uomo in proprio, essendo stato addestrato dal suo mentore Maurice Strong (co-fondatore del WEF) e dal suo mentore di Harvard Henry Kissinger, così anche i giovani leader di Klaus Schwab erano semplicemente una versione moderna di una vecchia pratica che è in gioco da oltre 114 anni. Questa istituzione più antica è il sistema di borse di studio di Rhodes e il relativo Round Table Movement, che ha creato sia la Chatham House nel 1919 che la sua filiale americana, soprannominata "The Council on Foreign Relations", nel 1921.

Questo programma è stato incredibilmente influente e ha anche generato immensi danni nel secolo scorso. Migliaia di giovani americani sono stati formati attraverso le sale di Oxford sin dalla sua fondazione, che sono poi stati reinseriti nella loro terra natale con uno zelo simile a un religioso per portare avanti un'agenda, la cui portata è veramente poco comprensibile.

L'esempio dell'amministrazione Biden.

Durante il primo anno dell'amministrazione Biden, sciami di "Rhodes Scholars" formati a Oxford furono trascinati in posizioni di potere dominanti nel panorama della politica interna ed estera americana. 

Anche l'egemonia del Council on Foreign Relations come importante centro di pianificazione dall'alto per l'"Ordine internazionale basato sulle regole" è stata saldamente ristabilita dopo essere stato relegato in secondo piano durante i quattro anni della presidenza di Donald Trump.

Il mandato di Trump è stato definito dal presidente del CFR Richard Haass come "l'aberrazione".

Haass stesso è un Rhodes Scholar, essendosi laureato all'Oberlin College di Oxford nel 1978.

 Il CFR e il programma di borse di studio Rhodes sono semplicemente due lati dello stesso processo che ha agito come un pilastro chiave per l'istituzione di operazioni di quinta colonna all'interno degli Stati Uniti, e della Comunità transatlantica più in generale, durante il secolo scorso. Sia il CFR che la Rhodes Scholarship sono stati istituiti dalle fortune illecite di Cecil Rhodes.

La visione di Cecil Rhodes rivisitata.

Ogni anno dalla sua creazione nel 1902, oltre 30 giovani studiosi americani di talento sono stati premiati ogni anno con il privilegio di un lavaggio del cervello interamente pagato nelle sale dell'Università di Oxford, sulla base delle ricchezze lasciate ai posteri dal defunto magnate dei diamanti Cecil Rhodes, rima di essere riassegnati alle loro nazioni d'origine.

Lo stesso Rhodes era un magnate minerario di primo piano che è stato utilizzato dai potenti finanzieri di Londra per consolidare le operazioni minerarie in tutto il Sud Africa, conquistando così il mercato globale dei diamanti e fondando istituzioni rapaci come DeBeers. Rhodes usò la sua influenza economica per salire rapidamente nei ranghi delle cariche politiche, diventando primo ministro della Colonia del Capo, che comprendeva gran parte dell'attuale Sudafrica, dal 1890 al 1896.

Durante questo periodo, Rhodes ha supervisionato il vasto furto di terre ai nativi africani, garantendo anche che nessun nero sarebbe stato autorizzato a svolgere alcun ruolo nel processo politico, innalzando di tre volte la soglia minima di censo per accedere al voto.

Rhodes consolidò il controllo imperiale britannico su gran parte dell'Africa meridionale dirigendo l'invasione e la conquista della regione a nord di Città del Capo (l'odierno Zambia e Zimbabwe), che in seguito fu soprannominata Rhodesia.

Durante la seconda guerra boera contro la Repubblica del Transvaal (una coalizione di coloni olandesi e Zulu), la rete di manager imperiali sociopatici di Rhodes, soprannominata "Milner's Kindergarten", lavorò con Lord Kitchener a introdurre nuove tecniche di genocidio per la guerra asimmetrica.

Queste tecniche includevano l'avvelenamento dei sistemi idrici e la creazione di un nuovo modello di campi di concentramento, che uccisero oltre quarantamila civili innocenti per fame e malattie. 

Commentando il tasso di mortalità dei bambini nei campi di concentramento, Lord Milner, uno stretto alleato di Rhodes, affermò che “il tasso di mortalità tra i bambini piccoli nei campi non era ancora in calo. “La teoria secondo cui, essendo morti tutti i bambini deboli, il tasso sarebbe diminuito non è così confermata dai fatti… I forti devono morire ora e saranno tutti morti entro la primavera del 1903.'”

Questo sistema di campi di concentramento si dimostrò incredibilmente efficace nello spezzare gli spiriti dei soldati del Transvaal che presto cedettero alla morsa dell'impero in tutto il Sud Africa. Successivamente fu adottato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.

I primi discepoli di Rhodes includevano luminari come Lord Alfred Milner, Sir Halford Mackinder, George Parkin, WT Stead e l'oligarca canadese Vincent Massey (solo per citarne alcuni).

I suoi primi sostenitori includevano figure di alto livello tra l'intellighenzia britannica, tra cui il principe Edward Albert e Lord Nathaniel Rothschild, che videro che era necessaria una nuova strategia per fermare la diffusione del sistema americano e delle sue politiche in tutto il mondo, in particolare sulla scia della vittoria di Lincoln nel sud durante la guerra civile.

Empire in Crisis: il crollo dell'unipolarismo della fine del XIX secolo.

Durante gli ultimi decenni del 19° secolo, per molti stava diventando sempre più chiaro che i giorni unipolari dell'Impero Britannico poggiavano su fondamenta instabili. A partire dal 1870, un nuovo sistema multipolare di cooperazione vantaggiosa per tutti stava emergendo a livello internazionale a causa della diffusione di sistemi nazionalisti di economia politica, modellati sui migliori attributi del sistema hamiltoniano americano. 

In Germania, lo Zollverein è stato istituito sotto il cancelliere Bismarck, che ha unificato lo stato compartimentato attorno a una tariffa protettiva generalizzata per bloccare il dumping di beni a basso costo dall'estero, unendo le regioni tedesche attorno al libero scambio interno, al credito produttivo, allo sviluppo ferroviario, alla crescita industriale e ad altre riforme del lavoro. Queste riforme erano state guidate dagli insegnamenti dell'influente economista tedesco Friedrich List, che formulò il suo sistema durante i suoi cinque anni negli Stati Uniti. Fu tra i primi a coniare il termine “sistema americano di economia politica” nel 1827. 

In Russia, il ministro delle Finanze Sergei Witte ha guidato una riforma parallela, adottando il protezionismo per favorire la crescita del potere agroindustriale autoctono mentre guidava l'inter-connettività continentale attraverso la Trans Siberian Railway (realizzata con la Baldwin Locomotives di Filadelfia), assistita da squadre di ingegneri americani. Witte lavorò a stretto contatto con una rete di nazionalisti che avevano collaborato strettamente con Lincoln per salvare il sindacato dallo scioglimento diretto dagli inglesi durante la guerra civile. Ha avviato la vendita dell'Alaska con l'intenzione di estendere la ferrovia e il telegrafo attraverso lo Stretto di Bering e ha lanciato un vasto programma anticorruzione nella stessa Russia.

Protezionismo, riforme anticorruzione e miglioramenti interni furono adottati in Francia dal governo di Sadi Carnot e dal suo ministro degli Esteri Gabriel Hanotaux e anche in Giappone, dove consulenti americani come Erasmus Peshine Smith stavano aiutando il restaurato governo Meiji ad adottare programmi bancari nazionali e sviluppo ferroviario. 

La cosa più spaventosa per le alte sfere dell'élite britannica era che questi sviluppi non erano isolati ai confini di vari stati che desideravano liberarsi dal dominio britannico della finanza privata e della navigazione marittima: ora si estendevano oltre i confini. La ferrovia Berlino-Baghdad di Bismarck ne era un esempio, così come la ferrovia Russia-Cinese attraverso la Manciuria.

I progetti ferroviari che estendevano la ferrovia Trans Continental di nuova costruzione attraverso la Columbia Britannica, e poi attraverso l'Alaska e lo Stretto di Bering in Eurasia, furono discussi da statisti e ingegneri su entrambe le sponde dell'Atlantico dal momento in cui l'Alaska fu venduta agli Stati Uniti nel 1867. Questi le discussioni continuarono fino al giorno in cui Witte fu estromesso dal potere nel 1906. La mappa della Cosmopolitan Railway del 1890 pubblicata dall'alleato di Lincoln e dall'ex governatore del Colorado William Gilpin ricorda la traiettoria del tipo di mondo che allora stava nascendo.

La crescita di una comunità di cooperazione vantaggiosa per tutti come base del diritto internazionale era una prospettiva ritenuta intollerabile da molti devoti darwinisti sociali ed eugenisti della classe dirigente britannica.

Delineando la sua visione del nuovo paradigma che stava nascendo, Gilpin scrisse nel 1890:

“Le armi del massacro reciproco vengono scagliate via; le passioni sanguinarie trovano un freno, una maggioranza della famiglia umana si trova ad accettare gli insegnamenti essenziali del cristianesimo IN PRATICA… Si scopre spazio per virtù industriale e potenza industriale. Le masse civili del mondo si incontrano; si illuminano reciprocamente e fraternizzano per ricostituire i rapporti umani in armonia con la natura e con Dio. Il mondo cessa di essere un campo militare, incubato solo dai principi militari della forza arbitraria e dell'abietta sottomissione. Da queste immense scoperte ed eventi simultanei si inaugura un nuovo e grandioso ordine nelle cose umane

[Ferrovia Cosmopolita p. 213].

Questo non era un sistema operativo accettabile per gli ideali misantropici degli ingegneri sociali malthusiani, il cui interesse personale era localizzato nel mantenere il mondo diviso, ignorante, affamato e in guerra. Qualcosa doveva essere fatto.

Cecil Rhodes e la creazione di una nuova religione.

I primi membri dell'alveare del Rhodes Trust si sono interfacciati strettamente con la Fabian Society (social – comunista. Ndr) di Londra per tutto il 20° secolo e sono diventati la nuova élite disciplinata che gradualmente si è infiltrata nella società. Questa nuova specie di gestione imperiale esercitò la sua influenza più o meno allo stesso modo in cui le precedenti operazioni dei gesuiti erano state formate e dispiegate in tutta Europa a partire dal XVI secolo.

 

Per chiunque sia confuso sullo scopo di questo programma di borse di studio di Rhodhes, non è necessario guardare oltre le "Confessioni di fede" e le "Sette volontà" di Rhodes del 1877, che richiedeva il dominio delle "razze inferiori" da parte della superiorità anglosassone, nonché il massimo riconquista dell'America e creazione di una nuova Chiesa dell'Impero Britannico:

'Formiamo lo stesso tipo di società, una Chiesa per l'estensione dell'Impero Britannico. Una società che dovrebbe avere i suoi membri in ogni parte dell'Impero Britannico che lavorano con un obiettivo e un'idea, dovremmo avere i suoi membri collocati nelle nostre università e nelle nostre scuole e dovremmo osservare la gioventù inglese che passa per le loro mani, solo uno forse su mille avrebbe la mente e i sentimenti per un tale obiettivo, dovrebbe essere messo alla prova in ogni modo, dovrebbe essere testato se è resistente, in possesso di eloquenza, incurante dei piccoli dettagli della vita, e se trovato tale, allora eletto e legato con giuramento a servire per il resto della sua vita nel suo paese. Dovrebbe poi essere sostenuto, se privo di mezzi, dalla Società e inviato in quella parte dell'Impero dove si ritiene che sia necessario'

In un altro testamento, Rhodes ha descritto in modo più dettagliato la sua intenzione di creare un'organizzazione: 

'Per l'istituzione, la promozione e lo sviluppo di una Società Segreta, il cui vero scopo e oggetto sarà l'estensione del dominio britannico in tutto il mondo.

La colonizzazione da parte di sudditi britannici di tutte le terre in cui i mezzi di sussistenza sono raggiungibili con l'energia, il lavoro e l'intraprendenza e in particolare l'occupazione da parte dei coloni britannici dell'intero continente africano, della Terra Santa, della Valle dell'Eufrate, delle isole di Cipro e Candia, l'intero Sud America, le isole del Pacifico non finora possedute dalla Gran Bretagna, l'intero arcipelago malese, quelle a largo della Cina e del Giappone, [e] la definitiva ripresa degli Stati Uniti d'America come parte integrante parte dell'Impero Britannico'.

Descrivendo il suo pensiero al suo discepolo WT Stead, Rhodes scrisse: "Per favore, ricorda che la chiave della mia idea discussa con te è una Società, copiata dai Gesuiti per quanto riguarda l'organizzazione".

Un XX secolo calamitoso.

Con il passare delle generazioni, la continuità di intenti che trascendeva le vite individuali degli attori sulla scena fu mantenuta da alcune organizzazioni che crebbero dai movimenti originali della Rhodes/Milner Round Table, che ora avevano rami nei paesi a maggioranza anglosassone che avevano fatto parte dell'Impero Britannico. Nel 1919, dopo che la Tavola Rotonda aveva preso il controllo dei governi canadese e britannico durante i colpi di stato del 1911 e del 1916, questo gruppo creò il Royal Institute for International Affairs (noto anche come Chatham House). 

Nel 1921 fu istituita una filiale americana chiamata Council on Foreign Relations (CFR), che era composta da Rhodes Scholars e Fabiani e ha mantenuto una continuità di intenzioni fino ai giorni nostri.

Questa organizzazione ha generato dozzine di influenti sotto-organizzazioni, che si interfacciano sempre con una forma di "comando centrale". Quando Hillary Clinton una volta ha definito il CFR la "nave madre" nel 2009, questo è ciò a cui si riferiva.

Sebbene sia stato inaugurato nel 1921, la creazione del CFR può essere fatta risalire allo stesso incontro del 30 maggio 1919 all'Hotel Celeste in Francia che vide anche la nascita del Royal Institute for International Affairs.

I membri di spicco tra i 50 delegati angloamericani presenti a quella riunione di fondazione includevano il leader della Round Table Lionel Curtis, Lord Eustice Percy, il finanziere tedesco-americano Paul Warburg e il consigliere di Wilson Edward M. House. Molte di queste figure (tra cui House e Warburg) erano state determinanti nell'istituire il sistema della Federal Reserve degli Stati Uniti nel 1913, e si erano anche spinte lontano per finanziare la rivoluzione bolscevica che ha rovesciato la Russia.

Il sito web ufficiale di Chatham House ha descritto l'incontro di fondazione nei seguenti termini: 

"All'Hotel Majestic, Curtis ha tenuto un discorso travolgente in cui ha detto agli studiosi e ai funzionari riuniti che spettava a loro, persone che operavano all'incrocio tra alta politica ed erudizione, plasmare la nuova pace educando il pubblico su questioni internazionali. C'era anche l'aspettativa, sostenuta dalle connessioni sociali e dalle istituzioni anglo-americane come le borse di studio di Rhodes, che spettasse alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti determinare il corso della politica internazionale nel dopoguerra".

Filiali in Canada, Australia e Sud Africa furono istituite rispettivamente nel 1928, 1933 e 1934. 

Sebbene molti storici si riferiscano al “Council on Foreign Relations” come "un'organizzazione americana", con la precedente Chatham House che fungeva da partner minore, la verità è esattamente l'opposto.

Un giovane studente di William Yandell Elliot di Harvard (lui stesso un importante studioso di Rhodes) non era altro che l'ex Segretario di Stato Sir Henry Kissinger che dichiarò con entusiasmo in un evento della Chatham House del 10 maggio 1981:

"I britannici erano così disponibili che divennero partecipi delle deliberazioni interne americane, in una misura probabilmente mai praticata tra nazioni sovrane… Nella mia incarnazione alla Casa Bianca, allora, tenevo il Ministero degli Esteri britannico meglio informato e più strettamente impegnato di quanto facessi con il Dipartimento di Stato americano… Era sintomatico"

Non è esagerato affermare che molti eventi importanti accaduti durante gli oscuri anni del bipolarismo della Guerra Fredda hanno coinvolto intimamente il ruolo verticistico dei Rhodes Scholars.

Occupando posizioni critiche all'interno del Dipartimento di Stato sia negli Stati Uniti che in Canada, nella burocrazia e nelle Fondazioni delle Nazioni Unite, i laureati "Rhodes" hanno operato con un livello di disciplina, entusiasmo e coerenza mai visto in nessun moderno servizio civile imperiale.

Dai progetti di Escott Reid per la NATO due anni prima che l'organizzazione anti-russa fosse messa in linea, all'avanzata della Dottrina Truman di George McGhee, alla guida di Dean Rusk dietro la guerra di Corea, al sostegno degli Stati Uniti ai francesi in Vietnam e successivamente al coinvolgimento USA in Vietnam, alla promozione del globalismo e dell'Unione Europea da parte del senatore J. William Fulbright, ovunque si veda una cattiva idea nascere negli anni del secondo dopoguerra, c'è quasi invariabilmente un Rhodes Scholar o "Rhodie" dietro di essa.

Due anni prima della sua morte, il 12 aprile 1945, il presidente Franklin Roosevelt ha condiviso le sue preoccupazioni riguardo a questa agenda estera e ai suoi discepoli che permeavano il suo stesso Dipartimento di Stato, in attesa di assumere il controllo della politica estera degli Stati Uniti in qualsiasi momento, quando disse a suo figlio Elliot:

«Sai, un numero qualsiasi di volte gli uomini del Dipartimento di Stato hanno cercato di nascondermi messaggi, ritardarli, trattenerli in qualche modo, solo perché alcuni di quei diplomatici di carriera laggiù non sono d'accordo con quello che sanno che io pensi. Dovrebbero lavorare per Winston.

In effetti, la maggior parte delle volte [lavorano per Churchill]. Fermatevi a pensare a loro: alcuni di loro sono convinti che il modo in cui l'America deve condurre la sua politica estera è quello di scoprire cosa fanno gli inglesi e poi copiarlo! Mi è stato detto… sei anni fa, di ripulire il Dipartimento di Stato. È come il Ministero degli Esteri britannico…».

Naturalmente, la visione di Franklin D.Roosvelt per un mondo di cooperazione USA-Russia-Cina e internazionalizzazione del New Deal era più che una piccola maledizione per la Guerra Fredda, che i Rhodes Scholars avevano preparato in modo da poter modellare l'ordine mondiale dopo la seconda guerra mondiale. Né Roosvelt, né i suoi alleati né il suo grande progetto, potevano essere tollerati a lungo.

Mentre gli alveari dei borsisti di Rhodes sono riusciti a permeare le scuole della Ivy League, i media, le società private, gli uffici elettivi e il servizio civile durante il 20° secolo, come esposto nel libro postumo del professor The Anglo-American Establishment, il premio della presidenza è rimasto un trofeo sfuggente… fino al giorno in cui uno degli studenti di Quigley tornò da Oxford e presto divenne governatore dell'Arkansas.

Clinton apre le cateratte.

Con la vittoria presidenziale di Bill Clinton nel 1992,  dei Rhodes Scholars come Strobe Talbott (assistente segretario di Stato e co-architetto della Perestroika) e Robert Reich (segretario del lavoro), sono stati raggiunti da altri "Rhodies" Ira Magaziner, Derek Shearer (Senior Economic Advisors), Susan Rice (assistente segretario di Stato per gli affari africani), Kevin Thurme (capo di stato maggiore dei servizi sanitari e umani), George Stephanopoulos (direttore delle comunicazioni), Richard Celeste (ambasciatore in India) e dozzine di altri borsisti di Rhodes. Questi individui furono incanalati in posizioni di influenza che miravano a supervisionare la "fine della storia", come celebrata dal pensatore neocon Francis Fukuyama, mentre l'Unione Sovietica si disintegrava.

Mentre alcuni Rhodies rimasero in posizioni di potere durante il periodo della presidenza di George W. Bush, i Rhodes Hives godettero di nuovo di una vasta influenza nella definizione delle politiche sotto l'era Obama, dove l'architettura per la governance globale veniva costruita sulle macerie di una nazione problematica Stati come Libia, Siria e Ucraina.

Nonostante la battuta d'arresto causata da Trump, la cui vittoria ha interferito con l'incoronazione di Hillary Clinton, i Rhodies sono creature testarde, se non altro. Successivamente è stato rivelato nel 2020 che sia Talbott che Rice erano nel cuore del Russia-gate.

Mentre era ancora presidente del Brookings Institute nel 2015-17, è stato Talbott a interfacciarsi con Sir Richard Dearlove e Christopher Steele dell'MI6 nei mesi precedenti le elezioni inventando e facendo circolare il "dossier losco". È stata la Rice a rivelarsi essere al centro dell'operazione di preteso "smascheramento" che ha preso di mira Michael Flynn nel gennaio 2017 per incastrarlo. 

 Sarebbe il massimo della follia presumere, come hanno fatto alcuni commentatori, che il ruolo di Talbott in questa operazione indichi una guida americana nello sforzo di annullare le elezioni del 2016. Tuttavia, il fatto è che l'intera vita e la visione del mondo di Talbott sono state modellate dai principi dell'impero britannico che sono programmati nelle menti della maggior parte dei borsisti laureati di Rhodes come lui.

Infatti Strobe Talbott, Bill Clinton e Frank Aller durante i loro giorni a Oxford.

 

Come dimostra Jeremy Kuzmarov nel suo recente saggio pubblicato su Covert Action Magazine, sia Talbott che il suo compagno di stanza di Oxford Bill Clinton erano stati probabilmente reclutati dalla CIA molto prima di ricevere le loro borse di studio.

 Kuzmarov dimostra anche che Bill Clinton ha svolto un ruolo chiave nel contrabbandare le memorie di Krusciov fuori dalla Russia durante una missione di "ricerca" a Mosca.

 Il ruolo di Clinton in questa operazione dà un nuovo significato al ruolo svolto da Talbott nel tradurre quel libro di memorie in inglese come parte di un'operazione di intelligence anglo-americana molto più ampia progettata per fare revisionismo sulla storia sovietica.

Fu anche durante la sua permanenza a Oxford che il giovane Talbott adottò un impegno quasi religioso per un ordine mondiale post Stati-nazionali.  

Al suo ritorno in America, Talbott è stato cooptato in un ruolo di primo piano nel bureau della propaganda occidentale, servendo come caporedattore di Time Magazine.

 È stato durante la fine di questa fase della sua carriera che il futuro Segretario di Stato aggiunto ha delineato il suo manifesto per il Nuovo Ordine Mondiale in un articolo del 20 luglio 1992 intitolato "La nascita di una nazione globale".

In quell'articolo, Talbott ha affermato:

"Tutti i paesi sono fondamentalmente contratti sociali… Non importa quanto permanenti o addirittura sacri possano sembrare in qualsiasi momento, in realtà sono tutti artificiali e temporanei… Forse la sovranità nazionale non è stata una grande idea dopo tutto… Ma ci sono voluti gli eventi del nostro meraviglioso e terribile secolo per sostenere la causa del governo mondiale”.

Nel suo manifesto del 1992, Talbott descrive la NATO come “l'esercizio di sicurezza collettiva più ambizioso, duraturo e di successo della storia” e poi celebra il Fondo Monetario Internazionale.

Talbott ha affermato che “il mondo libero ha formato istituzioni finanziarie multilaterali che dipendono dalla volontà degli Stati membri di rinunciare a un certo grado di sovranità nazionale.

Il Fondo Monetario Internazionale può virtualmente dettare le politiche fiscali, includendo anche la quantità di tasse che un governo dovrebbe imporre ai suoi cittadini”.

Prevedendo il protocollo Blair-Cheney "Responsibility to Protect" che avrebbe presto giustificato i bombardamenti umanitari di Kosovo, Iraq, Libia e Siria, Talbott ha sostenuto la distruzione della sovranità nazionale resa possibile dall'invasione del Kuwait nel 1991, affermando che "Gli affari interni di una nazione erano un tempo off limits per la comunità mondiale. Ma il principio dell'intervento umanitario sta guadagnando consenso".

 

Durante l'intera presidenza Clinton, Talbott si assicurò che le sue convinzioni utopiche non sarebbero rimaste inchiostro sulla carta, ma sarebbero state rapidamente messe in atto, interfacciandosi da vicino con le Open Society Foundations di Soros e supervisionando la terapia d'urto della Russia negli anni '90.

La vendetta della Rice e dei "Rhodies".

Tra i primi Rhodies che guidano il presidente degli Stati Uniti Joe Biden c'è nientemeno che Susan Rice, che ora è direttrice del Consiglio per la politica interna di Biden. 

Nel 1990, la Rice ha conseguito il dottorato di ricerca in Relazioni internazionali presso il New College di Oxford e, nel 1992, ha ricevuto il primo premio annuale dalla Chatham House per "la tesi più illustre nel Regno Unito nel campo degli studi internazionali" per la sua tesi "The Commonwealth Initiative in Zimbabwe 1979-80”.

Nella sua tesi, la Rice ha elogiato la transizione di pace britannica dopo i 13 anni di guerra dell'impero contro la liberazione dello Zimbabwe.

 

(Il presidente Barack Obama e il consigliere per la sicurezza nazionale Susan E. Rice parlano al telefono con il consigliere per la sicurezza interna Lisa Monaco in merito a un attacco terroristico a Bruxelles, Belgio, marzo 2016.)

 

Descrivendo il suo amore per Oxford, Rice ha pronunciato osservazioni alla Rhodes House nel 1999 dicendo: 

“Essere alla Rhodes House stasera con così tanti amici, benefattori e mentori è un privilegio personale. È come un ritorno a casa per me perché molto di ciò che so sull'Africa è stato scoperto tra queste mura, perfezionato in questa grande università con il generoso sostegno del Rhodes Trust".

Vale la pena ricordare che mentre pronunciava queste parole, la Rice aveva recentemente dimostrato la sua visione del mondo imperiale coordinando la distruzione di una fabbrica farmaceutica sudanese nel 1998 e minacciando il Sud Africa di distruzione economica a meno che non rinunciasse quello stesso anno al suo desiderio di produrre un farmaco anti-AIDS generico e conveniente.

Mentre prestava servizio come assistente speciale di Bill Clinton e Direttore senior degli affari africani presso il Consiglio di sicurezza nazionale, la Rice ha supervisionato un'operazione canaglia della CIA ben documentata che ha assicurato il sostegno degli Stati Uniti all'invasione della Repubblica Democratica del Congo da parte dei ribelli sponsorizzati dall'Uganda e dal Ruanda.

 Un articolo della New York Review of Books del settembre 2009 di Howard French ha documentato il ruolo della Rice in questa operazione genocida:

“Museveni [dell'Uganda] e Kagame [del Ruanda] concordano sul fatto che il problema fondamentale nei Grandi Laghi è il pericolo di una recrudescenza del genocidio e sanno come affrontarlo. L'unica cosa che dobbiamo fare è guardare dall'altra parte".

Durante queste operazioni che hanno preso di mira i rifugiati hutu, i funzionari delle Nazioni Unite stimano che oltre 200.000 persone siano state massacrate semplicemente perché la Rice ha chiesto agli Stati Uniti di "guardare dall'altra parte".

La Rice ha lavorato per balcanizzare il Sudan e per promuovere l'intervento militare nel mondo arabo e africano secondo la dottrina della responsabilità di proteggere (R2P) con la cooperazione di organizzazioni sovranazionali come la Corte penale internazionale (CPI), che ha emesso un mandato d'arresto per il presidente Bashir. Il suo lavoro avrebbe reso orgoglioso Cecil Rhodes. 

Non dobbiamo dimenticare che l'alleanza Sudan-Libia-Egitto sotto la guida combinata di Mubarak, Gheddafi e Bashir, si era mossa per stabilire un nuovo sistema finanziario garantito dall'oro al di fuori del FMI/Banca mondiale per finanziare lo sviluppo su larga scala in Africa.

Se questo programma non fosse stato minato dalla distruzione della Libia guidata dalla NATO, dalla spartizione del Sudan e dal cambio di regime in Egitto, il mondo avrebbe assistito all'emergere di un importante blocco regionale di Stati africani che, per la prima volta nella storia, modellava i propri destini al di fuori dei giochi truccati della finanza controllata anglo-americana.

Seguendo il modello di Rhodes di sfruttamento economico delle popolazioni colonizzate, i modelli finanziari neocoloniali angloamericani odierni hanno imparato l'arte di fornire prestiti usurari con molti vincoli e misure di adeguamento strutturale che assicurerebbero che le popolazioni bersaglio non traggano mai beneficio o si liberino dal predominio economico di una masterclass che sfrutta la loro terra e il loro lavoro.

Oltre a Rice, altri studiosi di Rhodes che emergono in posizioni di controllo nell'attuale amministrazione Biden includono il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, che si è laureato al Magdalene College di Oxford e ha lavorato sotto Strobe Talbott presso il Center for the Study for Globalization del Brookings Institute a Yale nel 2000.

Durante questa volta, Rice aveva anche lavorato come Senior Fellow presso Brookings, seguito da un periodo come ambasciatore delle Nazioni Unite dal 2009 al 2013 e consigliere per la sicurezza nazionale di Obama dal 2013 al 2017, mentre Sullivan è diventato il principale aiuto alla sicurezza di Biden durante gli anni di Obama.

(Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan discute del viaggio del presidente Biden in Europa in una conferenza stampa nel marzo 2022.)

La storia di due sindaci falliti: Buttigieg e Garcetti.

A causa di una serie imbarazzante di scandali, il laureato "Rhodes" Eric Garcetti (ex sindaco di Los Angeles) è stato ritirato dal primo governo di Biden.

Ma ora, con un anno intero in area di rigore, la riabilitazione di Garcetti è stata annunciata nel luglio 2021 con la sua nomina ad ambasciatore degli Stati Uniti in India.

Agendo come presidente della C40 Cities (una rete di 97 grandi città in tutto il mondo), e anche co-fondatore di Climate Mayors (che rappresentano 400 sindaci statunitensi che hanno firmato gli Accordi di Parigi sul clima), Garcetti è una forza trainante del “Green New Deal”, che è esso stesso parte integrante del “Great Reset” di Klaus Schwab. 

Garcetti ha reso noto che le sue priorità in India saranno l'espansione del programma "città verdi" più in profondità nell'India, il lavoro per combattere le relazioni della Russia con l'esercito indiano e la promozione di una prospettiva anti-cinese tra l'élite indiana.

(Pete Buttigieg parla alla Convenzione di Stato del Partito Democratico della California del 2019 a San Francisco, California, giugno 2019.)

Un altro Rhodes Scholar ed ex sindaco, Pete Buttigieg, è stato più fortunato di Garcetti e ha ricevuto le chiavi del portafoglio dei Trasporti, sebbene fosse stato inizialmente considerato per la posizione di ambasciatore degli Stati Uniti in Cina.

Sebbene i conservatori siano pronti a dipingere Buttigieg e i Democratici come tirapiedi della "Cina malvagia", è stato infatti Buttigieg a dire nel maggio 2020:

 "Pechino vede un'opportunità per mettere in discussione il progetto americano e la stessa democrazia liberale. Una cosa su cui puntano sono altri quattro anni di Trump".

Come ho esposto nei miei precedenti rapporti, lo stesso Soros ha ripetutamente etichettato le due maggiori minacce alla sua "società aperta" come

1) la Cina di Xi Jinping e 2) gli USA di Trump,

e anche recentemente ha chiesto il rovesciamento del presidente X i in difesa di la sua configurazione preferita dell'ordine globale.

Bruce Reed: agente politico.

Un altro Rhodie di nome Bruce Reed era originariamente entrato a Washington come parte della prima infusione di Rhodes Scholar del 1992 come manager della campagna Clinton-Gore e successivamente direttore del Consiglio per la politica interna di Clinton.

Da allora Reed è stato scelto come il miglior consulente tecnologico di Biden e da allora ha apertamente chiesto di reprimere la libertà di parola online annullando la Sezione 230 della legge federale su Internet. 

Questa legge ha mantenuto i proprietari di siti Web liberi da procedimenti giudiziari sui contenuti pubblicati sui loro siti.

 La sua cancellazione schiaccerebbe la crescente libertà di parola che esiste ancora sui social media.

L'argomento avanzato da Reed è stato che la Sezione 230 è stata utilizzata da agenti russi e cinesi per infiltrarsi nell'ecosistema dell'informazione e manipolare le elezioni occidentali.

Con la sua abrogazione, Facebook e altri siti di social media saranno costretti a censurare tutti i reati di pensiero "illeciti" per paura di essere perseguiti a livello federale.

(L'allora vicepresidente Joe Biden e Bruce Reed su un balcone dell'edificio dell'Old Executive Office del complesso della Casa Bianca nel 2013.)

Reed aveva precedentemente collaborato con Biden nella stesura del famigerato disegno di legge sul crimine del 1994, che prevedeva condanne a lungo termine a innumerevoli piccoli criminali, a vantaggio del complesso carcerario di manodopera a basso costo. Durante gli anni di Obama, Reed ha lavorato come capo di stato maggiore di Biden e lead handler. Attualmente è anche vice capo di stato maggiore della Casa Bianca ed è comunemente descritto come un "agente politico".

Eric Lander: Rhodie, Genetista e Zar della Scienza.

Uno studioso di Rhodes particolarmente degno di nota che ha guidato la politica scientifica degli Stati Uniti tra il 2 giugno 2021 e il 28 febbraio 2022 è il genetista Eric Lander.

Sebbene il suo abuso sistematico di dozzine di donne nel suo staff lo abbia costretto a lasciare la sua posizione di potere e sostituito con il suo collega Francis Collins, il lavoro della vita di Lander, al ritorno dal suo condizionamento di Oxford, è stato dedicato all'imposizione della teoria dell'informazione (aka: analisi dei sistemi matematici) sulla biologia e la genetica.

(Eric Lander parla alla conferenza scientifica sulla biobanca del Regno Unito, giugno 2018).

Dopo aver scalato le fila del Whitehead Institute e aver co-fondato il Broad Institute con il genetista David Baltimore, Lander ha guidato lo Human Genome Project dal 1995 al 2002.

Insieme, Lander e Baltimora hanno supervisionato un'importante conferenza del 2015 sulla "nuova era della ricerca biomedica" che ha svelato una nuova tecnologia di modifica genetica nota come CRISPR.

 CRISPR prevede l'uso di enzimi e RNA presenti nei batteri, che si è scoperto avere la capacità di mirare alle sequenze di DNA e indurre varie mutazioni.

Mentre è ovvio che questa potente tecnologia può offrire potenziali benefici all'umanità come strumento per eliminare le malattie ereditarie, l'incredibile potere di CRISPR di alterare radicalmente il DNA umano per sempre può causare danni inimmaginabili se messo nelle mani sbagliate.

Allo "storico" vertice internazionale sull'editing genetico umano nel dicembre 2015, il presidente della conferenza David Baltimore ha fatto eco alle parole raccapriccianti di Julian Huxley, ex capo della società eugenetica britannica e poi dell'UNESCO, durante il suo discorso di apertura: "nel corso degli anni, l'impensabile è diventato concepibile. Siamo alla vigilia di una nuova era nella storia umana". 

Nel gennaio 2021, John Holdren si è congratulato con Eric Lander per essere stato nominato "Zar" della scienza di Joe Biden (Direttore della politica scientifica e tecnologica della Casa Bianca), la posizione precedentemente ricoperta dallo stesso Holdren .

In questa posizione, Lander ha supervisionato la riattivazione di ogni politica scientifica comportamentista dell'era Obama come parte di una revisione tecnocratica del governo degli Stati Uniti che è pienamente allineata con la Great Reset Agenda del World Economic Forum di Klaus Schwab . 

Per coloro che potrebbero non essere a conoscenza, il Great Reset di Klaus Schwab  (a volte definito "l'Agenda di Davos") è un progetto che afferma di utilizzare il duplice catalizzatore del riscaldamento globale antropogenico e della pandemia di Covid-19 per indurre un ripristino di tutti gli aspetti della civiltà (politica, economica, di sicurezza e culturale), con l'obiettivo finale di realizzare il tipo di ordine mondiale post-stato-nazione che era stato delineato da Strobe Talbott nella sua diatriba del 1992 sopra menzionata.

Utilizzando il pretesto del Covid-19 e la conseguente legislazione di emergenza per aggirare la FDA e far avanzare le tecnologie di terapia genica ribattezzandole "vaccini", è iniziato un nuovo esperimento sociale.

La tecnologia CRISPR è già stata salutata come la chiave per affrontare i ceppi mutanti di Covid-19 e viene utilizzata come "vaccino" per alcune malattie tropicali al momento della stesura di questo articolo.

 L'ovvia connessione tra le organizzazioni eugenetiche e l'ascesa delle moderne operazioni di mRNA associate a GAVI e Astra Zeneca di Oxford, come svelato dalla giornalista investigativa Whitney Webb, dovrebbe essere tenuta ben presente.

Blinken, Malley e Soros.

Sebbene la scelta di Biden per il Segretario di Stato Anthony Blinken non sia lui stesso uno studioso di Rodi, è un amico di lunga data ed ex compagno di classe di Robert Malley.

Malley è uno studioso di Rhodes che in precedenza ha agito come assistente speciale di Obama e ha servito come suo "uomo di punta in Medio Oriente" presso il Consiglio di sicurezza nazionale. Nel gennaio 2021, Malley è stato nominato inviato speciale degli Stati Uniti in Iran per l'amministrazione Biden.

 In precedenza, Malley era stato assistente speciale di Bill Clinton per gli affari arabi israeliani ed è sempre stato profondamente coinvolto nelle operazioni di George Soros dal giorno in cui è entrato in politica.

Tra il 2016 e il 2021, Malley ha agito come Presidente e CEO dell'International Crisis Group (ICG), fondato da George Soros e Lord Malloch Brown nel 1994 come strumento per promuovere guerre umanitarie globali con il pretesto di Responsibility to Protect (R2P).

Unendosi a Soros, Malloch-Brown e Malley all'ICG, non dovremmo essere sorpresi di trovare nientemeno che l'attuale consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan.

 

(Il Segretario di Stato americano Anthony Blinken alla Lancaster House di Londra, Regno Unito, maggio 2021.)

Inoltre, il padre di Blinken, Donald Blinken, si è fatto un nome come uomo di punta di Soros in Ungheria dal 1994 al 1998, dove ha servito come ambasciatore degli Stati Uniti facilitando la crescita della Open Society Foundation di Soros.

Successivamente è stato premiato dallo speculatore ungherese con un "Donald and Vera Blinken Open Society Archive" (OSA) presso l'Università dell'Europa centrale di Budapest.

L'università finanziata da Soros è stata creata sulla scia del crollo dell'Unione Sovietica e Blinken è stato determinante in quell'operazione.

Il presidente Viktor Orbán sapeva esattamente cosa stava facendo quando ha espulso questa operazione straniera dai confini dell'Ungheria nel 2018. All'epoca, il presidente dell'Università dell'Europa centrale, il conte Michael Ignatieff, gridò: "Questo non ha precedenti. Un'istituzione statunitense è stata cacciata da un Paese alleato della NATO”.

Un seguito sul conte Ignatieff.

È interessante notare che Ignatieff è lui stesso figlio del globalista Rhodie Scholar George Ignatieff e pronipote del conte Nikolai Pavlovich Ignatiev (fondatore della polizia segreta russa di Okhrana), la cui famiglia è stata generosamente ricompensata per i servizi resi durante il rovesciamento del sistema zarista in Russia.

Questa storia è parzialmente raccontata nell'articolo Permanent War Madness di Cheney Revives Parvus di Jeff Steinberg (2005).

Come nota a margine, il bisnonno di Michael Ignatieff da parte materna non è altro che George Parkin, il primo controllore del Rhodes Trust dal 1902 al 1922 e l'uomo le cui lezioni e libri di Oxford hanno ispirato Cecil Rhodes e Milner a dedicare la propria vita alla causa dell'Impero.

Michael è anche un membro del consiglio globale della Open Society Foundations di Soros, guidata da Mark Malloch Brown.

 

(George Soros all'Annual Meeting 2013 del World Economic Forum di Davos, Svizzera.)

Come ho esposto in un recente rapporto, non solo questi due dirigenti di livello superiore sono emersi come figure centrali nelle recriminazioni per frode elettorale che circondano le elezioni presidenziali americane del 2020, ma entrambi hanno anche aperto la strada alla nuova era delle rivoluzioni colorate del cambio di regime che iniziò con la cacciata di Marcos nel 1986 durante la rivoluzione del potere popolare nelle Filippine e da allora ha attraversato i Balcani, la Georgia, l'Ucraina, il Kirghizistan, la Bielorussia, la Moldova, la Bolivia, ecc.

Alcuni pensieri finali.

Sebbene il Rhodes Trust sia stato vicino al nesso causale di gran parte della storia mondiale recente, nessuno dovrebbe presumere che ogni Rhodes Scholar sia colpevole per associazione, proprio come non si possono fare tali ipotesi su ogni giovane leader del WEF di Klaus Schwab. 

È un fatto innegabile che alcuni borsisti Rhodes hanno rotto con la loro formazione e hanno continuato a vivere vite utili. Non vedo alcun motivo per presumere, ad esempio, che l'attore/cantante e studioso di Rhodes Kris Kristofferson abbia giocato un ruolo nefasto in qualcosa (anche se alcune delle sue scelte cinematografiche erano un po' deboli).

 Allo stesso modo, il canadese John Turner ha fatto alcune cose molto utili nel suo breve periodo come Primo Ministro canadese, cosa che gli è valsa le ire di molti unipolarismi che allora promuovevano il NAFTA, Maastricht e l'Euro. 

La cosa fondamentale da tenere a mente è che ondate storiche più lunghe stanno plasmando il presente più di quanto la maggior parte degli storici vorrebbe ammettere.

Chiunque adotti un approccio all'analisi storica basato sull'intenzione arriverà a riconoscere abbastanza rapidamente che gli eventi accaduti secoli fa hanno un impatto attivo sugli eventi che si svolgono oggi.

Come e perché è così? Perché la storia è plasmata dalle idee. Buone idee che sono in sintonia con la natura veritiera della realtà vs cattive idee che non sono in sintonia con detta realtà.

Questa battaglia sulle idee (e le idee sulle idee, ad esempio: l'ipotesi superiore di Platone) è dove si trova il nesso causale della storia universale.

Con questo in mente, possiamo vedere chiaramente come alcune persone usano la loro influenza per cospirare e creare istituzioni culturali e politiche che trasmettono quelle idee e principi organizzativi attraverso molte generazioni.

A volte troviamo che queste forze agiscono in armonia con la legge naturale e talvolta molto in contrasto con la legge naturale.

La battaglia odierna tra i paradigmi opposti dell'alleanza multipolare guidata da Russia e Cina da un lato e la visione del mondo unipolarista/post-stato nazionale dall'altro, ha tutto a che fare con queste onde lunghe della storia.

 L'unico modo per comprendere le ideologie che spingono il mondo verso una nuova cortina di ferro oggi e per gestire le quinte colonne internazionali attraverso le molte nazioni del mondo è riconoscere questa realtà superiore.

Questo esercizio può far pensare a pensare diversamente, e in un primo momento può essere scomodo, ma proprio come la figura uscita dalla caverna che lentamente abitua i suoi occhi alla luce del sole e della realtà, la soddisfazione di godere di un ordine superiore di veridicità è incomparabilmente più piacevole per una vita che crede nelle ombre proiettate da una classe d'élite di burattinai.

 (unlimitedhangout.com/2022/03/investigative-reports/the-rhodes-scholars-guiding-bidens-presidency/)

 

 

Russia: esempio di difesa

della sua civiltà.

Semanariouniversidad-com.traslate.goog -Daniel Martinez – (30-3-2022) – ci dice:

 

Molte scuole di geopolitica studiano la dialettica delle ecumeni di civiltà, su come costruire grandi blocchi in base alla loro civiltà, come base per raggiungere una soglia di potere che consenta loro di contestare la difesa dei propri interessi, contro attacchi di terzi, nel panorama della politica internazionale.

In questo senso, ci sono due approcci:

 1- la costruzione unipolarista: l'Anglosfera, che impone un progetto unipolare globale-finanziario, attraverso il Commonwealth, a livello politico, e con i 5 Occhi e l'AUKUS a livello militare, è comprendente anche la strumentalizzazione dell'UE e della NATO come meccanismi di integrazione di una presunta "civiltà occidentale", creata dai valori dell'asse protestante anglo-franco-germanico.

A quel tempo, l'Anglosfera usava mezzi di propaganda per smembrare l'Impero spagnolo in repubbliche delle banane deboli e sottomesse. Da allora si è concentrato sulla balcanizzazione del mondo slavo (l'Heartland eurasiatico), in entrambi i casi è stata utilizzata la guerra dell'informazione: la leggenda nera e i complessi sono stati inventati contro gli ispanici. Contro la Russia si fa appello alla manipolazione per generare russofobia, accusandola che i problemi dell'Europa siano causati dalla Russia, l'isteria è così vasta che sono arrivato a leggere storici che affermano che anche la caduta dell'Impero Romano, nel V secolo fu il Colpa dei russi.

L'altro approccio è il 2- multipolarismo, che cerca un equilibrio nella politica internazionale, pur rispettando internamente la tradizione, le manifestazioni culturali e lo sviluppo economico attraverso la piena industrializzazione e un commercio internazionale equo dinamico, senza sanzioni.

 Questa visione è rappresentata nei valori che la Russia, principalmente, e la Cina difendono. Vale a dire, è un'alternativa contro l'unipolarità globalista anglosassone.

Entrambi gli approcci sono sostanzialmente l'espressione della disputa e della dialettica di stati e imperi e l'adozione dell'uno o dell'altro dipenderà da molte variabili, che verranno approfondite in un altro articolo.

Crisi ucraina: una balcanizzazione del dialogo tra civiltà panslave.

Sia la Russia che l'Ucraina sono popoli slavi. Con una storia comune, di resistenza alle varie invasioni sia dall'Europa (Carolus Rex, Napoleone, Hitler e un lungo eccetera), dal sud, con la voracità ottomana della Turchia (sultano dopo sultano, dal XII secolo), sia come dall'Asia: i khanati e le loro orde.

Dopo averli sconfitti tutti con l'uso disciplinato del ferro, dell'artiglieria, dell'inverno e forse, in futuro, dei missili ipersonici Kinzhal (pugnale) e della balistica termonucleare: Yars, Sarmat, Satan, tra gli altri, nel suo arsenale di oltre 7.000 bombe.

In questo senso, dal XVII secolo (Impero russo) e fino al 1954 (Krushev), la Russia ha annesso territori all'Ucraina; vale a dire, dalla formazione imperiale zarista all'URSS, a livello politico-amministrativo, la Russia cedeva territori delle sue province a quella che oggi viene chiamata Ucraina.

 Ad esempio a livello locale, è come se Puntarenas cedesse la sua parte all'interno della penisola di Nicoya, a Guanacaste, ma all'interno dell'unità territoriale del Costa Rica, come un unico paese. E nel caso della Crimea (2014), è stato simile all'annessione pacifica, libera e sovrana del Partito di Nicoya (Guanacaste) al Costa Rica.

Il problema dell'Ucraina è che si è lasciata influenzare da tutta la propaganda antirussa occidentale-unipolare, al punto da dare potere politico e mezzi militari avanzatissimi a bande criminali filonaziste.

E dalla rivoluzione colorata (guerra ibrida) del 2014, una politica anti-russa basata sul genocidio è stata stabilita contro le popolazioni di lingua russa del Donbas e di altri territori, mentre mostrava un atteggiamento sottomesso e sottomesso al regime degli Stati Uniti. NATO; vale a dire, l'Ucraina è la versione del tipico governo latinoamericano di gorilla di destra: implacabile nell'attaccare-reprimere la sua popolazione, ma sottomesso agli Stati Uniti.

Per quanto riguarda la misura difensiva di un'operazione militare speciale della Russia per proteggere gli abitanti di lingua russa che vivono in Ucraina, si sottolinea che si tratta di un'operazione limitata e "politicamente corretta" (guerra pulita) perché si concentra sulle infrastrutture militari, non sul terrore contro la popolazione (davanti alla quale cercano il minor numero possibile di vittime civili), di conseguenza, i grandi mezzi di (dis)informazione, anglosassoni e le loro colonie europee, accusano la Russia di: espansionismo e imperialismo. Ma la Russia attacca ciò che rappresenta una minaccia e non il resto dell'infrastruttura.

Quindi, i suoi tre obiettivi sono chiari: 1- salvare le popolazioni di lingua russa della regione del Donbas, 2- smilitarizzare l'Ucraina (non aderire alla NATO), 3- denazificare (perseguire ed eliminare i terroristi).

Questa guerra sarà lunga nel suo spettro multidimensionale (politico, economico, mediatico, militare), perché se i tre obiettivi precedenti vengono raggiunti, finalmente l'obiettivo della Russia è quello di attirare l'Ucraina verso il progetto di civiltà pan-slavo indicato, al minimo possibile costo;

Inoltre, la Russia ha bisogno di formare qualcosa di simile a quelli che un tempo erano i suoi confini dell'URSS, sigillando il "corridoio della morte" (grandi pianure della Bielorussia e dell'Ucraina), questo significa un passo nella sua sicurezza nazionale, per difendersi dagli Stati Uniti Gli Stati Uniti e il loro procuratore NATO.

Pertanto, i russi stanno adempiendo al loro dovere morale, culturale ed etnico di salvaguardare l'integrità dei loro fratelli popoli slavi, attirandoli alla loro protezione, valori e progetto di civiltà basati sulla tradizione e fratellanza slava, proprio in un momento in cui alcuni lo faranno dobbiamo scoprire che l'unipolarismo globalista è in caduta libera.

 

 

 

Azzurro.

Conoscenzealconfine.it – (4 Novembre 2022) - Lorenzo Merlo – ci dice:

 

Qualche considerazione relativa a “La Grande Narrazione”, l’ultimo libro di Klaus Schwab.

Il potere della comunicazione permette a chi lo detiene di pensare di guidare il mondo.

È sempre stato così, ma l’epoca digitale e la relativa capacità tecnologica consentono ai potentati privati di realizzare un’uniformità dell’informazione che permetterà loro di dirigerlo verso lidi che non potremo scegliere, navigando su barconi di cui saremo sguatteri.

Qualche considerazione relativa a “La Grande Narrazione”, l’ultimo libro di Klaus Schwab, e al linguaggio con il quale espone le idee del Great Reset.

Che fa della trasparenza il suo cavallo di battaglia, anzi, il suo vischio per catturare le ignare e innocenti mosche che, in grande maggioranza, siamo.

L’Intento.

Incalzante. Quattro libri in sei anni. Dedicati a come è opportuno – secondo loro – dirigere il mondo.

Loro sono i potentati della terra. Quelli in prima pagina su tutti i giornali dei complottisti.

Sono entità potenzialmente volatili, ma ferree quando radunate intorno al miele a causa di un comune intento: dirigere il mondo appunto.

Intento che ha tutti i riflessi sociali e filantropici possibili immaginabili – possiedono la comunicazione, è normale li realizzino quando, quanto e come utile all’abbacinante scopo diversivo per il quale sono messi in circolazione – ma che è mosso dalla soddisfazione del potere.

La stessa che rende creativo e vivace l’aguzzino finché la vittima non lo supplica di smettere.

Loro sono coloro che possono più di molti stati della terra. Hanno una forza economica maggiore e non hanno debiti, non devono rendere conto ad un elettorato, stanno là per sostanziale plebiscito, un po’ come il Grande fratello, finché qualcuno non vorrà lasciare il divano consapevole d’aver perso la sua vita, d’averla consacrata – per tanto o per poco – a qualcosa che gli avevano fatto credere contasse.

Loro occupano posti di potere privato, istituzionale e sovranazionale. Si sono tradizionalmente nascosti dietro le spalle di politici e giornalisti stipendiati, ma ora il paravento non serve più. Senza dubbio alcuno.

Nel quarto libro, “La grande narrazione”. Per un futuro migliore, opera voluta e diretta da Klaus Schwab e scritta da Thierry Malleret, di recente pubblicazione presso Franco Angeli editore, c’è tutto il necessario per intendere la modalità di avanzamento del progetto Great Reset.

 Non che prima mancasse il necessario per riconoscerlo, molti, da tempo, l’avevano riconosciuto e ne avevano scritto. Vale la pena riprendere il discorso, a causa del tempismo di quest’ultimo lavoro dedicato a contenere la contro-narrazione dei complottisti.

Questi ultimi vedono nelle parole e nei fatti del Great Reset – apparentemente dedicate alla risoluzione dei problemi mondiali, ma di fatto soltanto espedienti per ridurre i costi del capitalismo occidentale per il mantenimento dell’egemonia mondiale – la sofferenza sociale, il controllo degli individui attraverso la digitalizzazione, i danni del 5G, quelli della diffusione delle nanotecnologie, le strategie di sfruttamento delle pandemie e dei relativi vaccini, la riduzione delle libertà di movimento e di espressione e molto altro, come la cosiddetta “cancel culture”, la globalizzazione dei pensieri e l’uniformizzazione della lingua, lo “sfascio delle identità nazionali”, la riduzione organizzata della popolazione mondiale e molto altro.

In funzione di tutto ciò, il patron del World Economic Forum (ossia Klaus Schwab) scrive chiaro e tondo la modalità di avanzamento del progetto per un futuro migliore.

Egli sa che un messaggio trasparente porterà con sé quello della credibilità. Porterà a sé tutto il popolo e il supporto democratico al progetto che ciò implica.

E sa anche che quel popolo sarà la sua migliore armatura.

Lo scrive con semplice autenticità, come fosse in inchiostro azzurro. Proprio il colore scelto per gli sfondi dei convegni e per le comunicazioni pubbliche, per il sito del World Economic Forum e per le copertine dei libri.

Pagina 14.

Lo scrive cristallino. Iniziamo da un brano di pagina 14 del quarto libro dedicato all’abbrivio del Nuovo ordine mondiale, tratto dal capitoletto “I social media e l’era delle fake news”.

“Non sorprende che una ricerca condotta durante la pandemia abbia mostrato un legame tra l’incertezza e l’ansia legate al COVID e a una maggiore probabilità di aderire alle teorie del complotto.

È questo uno dei motivi per cui i potenti movimenti anti-scienza prolungano la fase di lento declino della pandemia di COVID-19, ostacolando sia la salute pubblica sia, in modo più sostanziale, la nostra capacità di andare avanti all’unisono”.

È un tipo di comunicazione intelligentemente faziosa. In essa si sente il respiro della serenità, dell’autorevolezza, del desiderio univoco e deciso di parlare a noi, a quel popolo frastornato dalle parole dei complottisti.

“Non sorprende che una ricerca condotta durante la pandemia abbia mostrato un legame tra l’incertezza e l’ansia legate al COVID e a una maggiore probabilità di aderire alle teorie del complotto 4”.

Chi andrà a guardare la nota “4”? Penso sia accettabile dire che, tra tutti i lettori, una percentuale minore. La nota porta al sito counterhate.com. La cui matrice – qualcuno potrà indagare per verificarlo – non pare estranea ma, anzi, sinergica al progetto di far avanzare la narrazione dei buoni contro i cattivi complottisti.

“È questo uno dei motivi per cui i potenti movimenti anti-scienza prolungano la fase di lento declino della pandemia di COVID-19, ostacolando sia la salute pubblica sia, in modo più sostanziale, la nostra capacità di andare avanti all’unisono”.

 I potenti movimenti anti-scienza? Se è stato tanto onesto da segnalare la fonte della ricerca con la nota numero 4, relativa alla maggiore probabilità di aderire alle teorie del complotto, come mai non accenna a qualcuno di questi potenti movimenti complottisti?

Non solo. Questi movimenti prolungano la fase di lento declino della pandemia di COVID-19, ostacolando sia la salute pubblica sia, in modo più sostanziale, la nostra capacità di andare avanti all’unisono.

A parte la costrizione di dover citare nuovamente Orwell, “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”, in quanto non dice in che modo la salute pubblica sia stata ostacolata, vi sono qui altre tre forze agenti sul lettore, diciamo così, ingenuo, vergine, ancora orientato a credere alle autorevoli voci pur di sottrarsi al proprio disorientamento.

Psicosociologia da trattoria, ma sempre valida finché l’emancipazione non avvenga.

La prima è il lento declino della pandemia. La seconda è l’ostacola mento della salute pubblica. La terza è la nostra capacità di andare avanti all’unisono. Qui siamo all’incantatore di serpenti.

Ma siamo anche all’azzurro cristallino. Sono parole pronunciate, come detto, in totale serenità, in quanto loro hanno piena consapevolezza che esprimere possibilità, opinabilità, discutibilità e incertezza non fa gioco alla narrazione.

Se si dovesse rappresentare la psicologia di chi scrive e di chi legge, si dovrebbe fare ricorso al bimbo e al padre, al timoroso e alla guida, al timorato e al confessore, allo studente e al docente, al disperato e al terapista, al ferito e al medico.

Così siamo – non tanto concepiti – bensì indotti a credere di essere. È un procedere che ha già dato i suoi frutti in passato e che la pandemia, con gel, guanti, maschere, vaccini, criminalizzazione di chi si poneva domande ed esprimeva critiche alla gestione della stessa e della menzognera comunicazione, ci ha dimostrato.

Ma poi con pari modalità e creatività mutuate alla questione della guerra Nato-Russia.

In ambi questi ultimi due casi, l’efficacia della narrazione pervasiva, permanente, uniforme ha dimostrato come si possa ridurre a bimbo qualunque adulto incapace di essere sé stesso.

Come arrivare a permettersi sennò di scrivere la nostra capacità di andare avanti all’unisono, se non ponendosi come badanti e formatori di noi stessi?

Il brano citato di pagina 14 prosegue così: “Al di là della pandemia, l’abbondanza di fake news e la loro capacità d’ingrandire e manipolare la polarizzazione bloccano la nostra capacità di affrontare efficacemente i problemi di azione collettiva fondamentali che l’umanità deve affrontare”.

Non esiste critica.

Esiste qualcuno a noi superiore che ci dice esserci le fake news. Ci dice cioè che tutto ciò che è contrario e che infastidisce il Great reset è sbagliato, delinquente, criminale, da rigettare e denunciare.

Dice che è qualcosa contro il nostro stesso interesse. Fake che manipolano, che bloccano la nostra capacità di affrontare efficacemente i problemi di azione collettiva fondamentali che l’umanità deve affrontare.

Davvero chi detiene la Comunicazione globale dice a chi detiene quella di qualche testata, sito e blog – peraltro corrotti e infiltrati da testate, siti e blog filo-azzurri – che questi manipolano?

Che bloccano la nostra capacità di affrontare efficacemente i problemi di azione collettiva fondamentali che l’umanità deve affrontare?

Bisogna ripeterlo.

Se si arriva a scrivere tanto, nero su bianco, senza remora, spudoratamente, significa solo essere certi della propria impunibilità e soprattutto che il progetto ha bisogno di quella serena linearità cristallina. Se il flauto interrompe la sua melodia, il cobra potrebbe mordere.

Pagina 15, stesso capitoletto.

“Di conseguenza, la nostra risposta a nuovi fatti o a nuove situazioni e il modo in cui diamo un senso al mondo è dipendente e, in ultima analisi, modellato da come le persone che conosciamo o di cui ci fidiamo pensano e agiscono. Questo processo fondamentale di scambio, comprensione e valutazione avviene attraverso le storie e le narrazioni “

Papale papale.

Chiunque si occupi di comunicazione evince dall’osservazione delle relazioni la medesima considerazione. Ma, nel contesto in cui questa banalità è inserita, contiene un subliminale messaggio che caldeggia noi bimbi di stare dalla parte di chi narra giusto e che dice a noi bimbi qual è la parte che narra giusto.

Loro sanno bene che nelle parole c’è la realtà, sanno della magia delle parole e anche che null’altro è necessario se non reiterarle con serenità. Perché sanno anche che il medium è il messaggio. Quindi che un messaggio urlato, che un risultato preteso con forza e coercizione è assai meno magico, efficace di quello pronunciato su sfondo azzurro.

Pagina 15 – “Il Potere della Narrazioni”

“[…] potremmo dire che una narrazione è anche ‘un modo di presentare o comprendere una situazione o una serie di eventi che riflette e promuove un particolare punto di vista o un insieme di valori’ “.

Il libro, con azzurra fermezza, adotta la definizione di un importante vocabolario (Merriam-Webster) allo scopo di fare unire i puntini, gli eventi, secondo il loro disegno e, contemporaneamente, di evocare che il disegno complottista è fuorviante.

Pagina 16, stesso capitoletto.

Non c’è equivoco. Parlano chiaro.

E, parlando chiaro, fondano la loro potenza sul credito di narrazione trasparente, reiterata, pulita, senza acredine verso la parte che indicano come avversa, non a loro stessi, ma alla verità.

 Prosegue così a pagina 16: “Il futuro potrebbe presentare una grande minaccia oppure una grande opportunità […]. La soluzione della narrazione dipende da voi, ossia dalle persone a cui essa si rivolge. Le vostre scelte e le vostre azioni contribuiranno a determinare lo sviluppo “.

Pagina 17, idem.

Prosegue a pagina 17: “Questo libro offre una serie di narrazioni interconnesse che fanno luce su ciò che sta succedendo e su cosa fare al riguardo”.

Si tratta di una “Grande Narrazione [che] si articola attorno a una storia centrale e deriva da uno sforzo collaborativo di alcuni dei pensatori più importanti del mondo per modellare prospettive a lungo termine e co-creare una narrazione in grado di aiutare a guidare la creazione di una visione più resiliente, inclusiva e sostenibile del nostro futuro”.

Dunque, c’è chi si permette di fare classifiche di pensatori e autoreferenzialmente ritenerle oggettive. E c’è anche una specie di democratica interdisciplinarità, visto che di estrazione professionale differente si tratta. C’è potere che si sta facendo atto in quel modo di scrivere. C’è dominio che si sta facendo coercizione di pensiero e di azione. C’è volontà di comprimere la creatività degli individui entro gli schemi dei migliori esperti del pianeta.

E di nuovo un colpo azzurro.

Sempre pagina 17: “Senza dubbio, esistono migliaia di accademici, ricercatori, scienziati, professori, specialisti in previsioni e scrittori influenti che avrebbero potuto essere inseriti nell’elenco. C’è stato, quindi, un certo grado di arbitrarietà nel decidere la rosa dei 50“. Praticamente dice ai quattro venti ciò che tutti noi avremmo fatto. Quindi, non si tratta solo di informazione, ma di induzione di cristallinità.

Un’azione ordinaria in una strategia di affabulazione. Tutti i venditori di aspirapolveri porta a porta la adottano. L’accredito della fonte da parte dell’acquirente è una conditio di tutte le vendite. Per verifiche, chiedere a Goebbels, a Bernays, alla Pnl, a qualunque commerciante e banchista del mercato.

 

Sempre alla 17 c’è un affondo dedicato a inculcare che è il momento di lasciare la banchina dove affondano le nostre radici e dove ci muoviamo senza necessità di guida né di mappa, per salpare verso un futuro che loro hanno ben chiaro e che – è chiaro – ci piacerà molto.

“Che siamo o meno d’accordo con loro [ndr, i 50 pensatori migliori del mondo], queste narrazioni sollecitano la nostra immaginazione e ci invogliano a sperimentare (e anche a impegnarci) con le idee da esse presentate. Questo è fondamentale”.

Che ci dice l’amico Klaus?

Sembra dica qualcosa di neutro, ma non lo è.

 Ci dice immettetevi fattivamente nella discussione, senza aggiungere che una discussione tra elementi con il medesimo intento (tipo stiamo lavorando per voi), difficilmente fa di noi qualcosa di contrario allo scopo e più facilmente, invece, qualcosa di utile, fosse anche solo un respiro a favore del progetto.

Del resto Foucault, a sua volta, non ci metteva in guardia dicendoci che la verità è nel discorso? Klaus lo sa bene.

Ci vuole buoni. È gentile con noi affinché non ci si distragga con qualche lazzo d’origine complottista e si possa così, insieme a lui, arrivare al lieto fine. Dove lui e i suoi accoliti mirano.

L’affondo prosegue di seguito:

“Troppo spesso, tendiamo a favorire idee consolidate che sono profondamente intrecciate e influenzate dalla nostra vita personale e professionale. Detto altrimenti, non pensiamo abbastanza ‘fuori dagli schemi’. Di conseguenza, limitiamo la nostra esposizione a quelle altre idee che possono sorprenderci o ispirarci, costringendoci a pensare un po’ diversamente, a mettere in discussione alcune delle nostre credenze e supposizioni, a creare nuove connessioni mentali”.

Sbaglio o sta dando il là ai benpensanti dubbiosi, timorosi, incerti su come porsi nei confronti dello sfascio della famiglia eterosessuale, dell’ideologia gender, dell’individualismo, dell’ordoliberalismo (che mai capiranno né vedranno, se non intendendolo come progresso, quindi inevitabile), di cibi ancora processati ma verdi in quanto ecologici, di condivisione dei concetti impatto zero, sostenibilità, economia circolare, della restrizione delle libertà, di nuovi vaccini necessari, di inclusione senza contegno, di abbandono di ciò che siamo? E di abbraccio di ciò che loro vogliano si sia? Sbaglio o se chiederemo chiarimenti, o non accetteremo le istruzioni pensate per il nostro bene, saremo colpevolizzati? Poi esclusi e così avanti? Forse no.

Pagina 18, idem.

La pagina 17 si conclude con queste righe, che poi girano alla 18:

Durante la lettura di questo libro [espressione perentoria, che dice: certamente lo leggerete, siamo il vero, ndr], speriamo che vi rendiate conto che queste 50 narrazioni possono aiutarci a vedere il mondo in modo diverso e [apoteosi, ndr] espandere la nostra mappa mentale su ciò che deve essere fatto per renderlo migliore “.

 

Chi non si adegua rema contro il progresso. Avremo le schiere di mascherati ancora contro, vera inerzia e problema. Vero ostacolo, ancora più solido di quanto non possano essere gli azzurri di Klaus.

 

Seguendo le idee dei 50 “possiamo impegnarci per dare forma alla società e all’economia che vogliamo”. “Esporre e discutere le idee integrate nelle diverse narrazioni è l’obiettivo di questo libro. Anche farle progredire nell’ambito del processo decisionale e politico è parte del nostro impegno”.

Giocano facile.

All’epoca non ci è riuscito Cristo, non ci è riuscito il Buddha, ma è chiaro ce la faranno loro. Anzi, hanno già avviato i loro successi, ne abbiamo dimostrazione e prova. Sono riusciti a colpire i passaporti della gente comune.

 Parlo dei comuni cittadini russi discriminati come nel razzismo più profondo e raffinato in quanto condiviso dai più.

Parlo delle ragioni politiche del vaccino ai più giovani, rei di essere contagiati, e di una mortalità ampiamente risibile.

E parlo delle pari ragioni politiche dell’esclusione dal lavoro di individui che avevano la libertà legale di non vaccinarsi.

Parlo di anni di genuflessione mediatica trasmessa come altoparlante della scienza.

 Parlo dello scientismo pervasivo.

E del popolo mascherato e di quello pacifista, quali viventi dimostrazioni quotidiane che l’avvento del Great Reset è in essere.

Il tempo degli annunci e dei proclami è già passato. Ce la faranno dunque, perché, a differenza del Cristo e del Buddha, hanno la comunicazione.

Le due ulteriori pagine che ultimano l’Introduzione, riprendono quanto già detto finora. Ma, Klaus sa che “repetita iuvant” e che seguitare ad adulare, incensare, lusingare quelli come noi, in quanto necessari, è sempre utile e sorprendentemente efficace. Chi legge può sentirsi accolto, può sentire l’afflato del lavoro di squadra nel quale è invitato a coinvolgersi. Può sentirsi protagonista di un cambiamento che – non lo sa – consisterà in dolori per la maggioranza. Come potrebbe il capitalismo risolvere i problemi che ha creato senza condannare sé stesso?

Tutto sarà sempre più disorientante, affinché la “Grande Narrazione” possa fare da bussola agli smarriti e possa fare degli smarriti i suoi principali prodi.

Ci sono condizioni da guerra civile.

Chi potrà combatterla?

Quelli che non hanno niente da perdere, i soli disposti a mettersi in gioco, saranno i nullatenenti, quindi impotenti.

I consapevoli compongono arcipelaghi di cui non sanno l’entità. Accettare linfa esterna comporterà compromessi.

 Gli azzurri pare possano vincerla facile.

(E pensare che tutto questo “utile pensare per noi” è lo sforzo intellettuale sincero di chi produce bombe atoniche illegali ma reali in Sud Africa! Ndr.)

(Lorenzo Merlo)

 

 

 

Evitate di Definirvi “Liber-qualcosa”

se Legittimate lo Stato e i suoi Abusi.

Conoscenzealconfine.it – (3 Novembre 2022) - Aurelio Mustacciuoli – ci dice:

 

Non giochiamo con le parole. Il vero liberalismo non può prescindere da un punto fondamentale, lo stato non può appropriarsi delle risorse dei cittadini oltre ogni limite e senza chiederne l’autorizzazione.

Pertanto non si possono dare allo Stato gli strumenti per poterlo fare. Quali sono questi strumenti?

Limitare l’uso del nostro denaro (ad esempio, ma non solo, limitando l’uso del contante), escludere la possibilità di difenderci usando armi, gestire liberamente il nostro corpo (ad esempio, obbligandoci a terapie mediche/vaccinazioni), vietare la libertà di movimento, limitare il diritto a intraprendere, a fare transazioni volontarie, a esprimersi, ecc.

Tutti modi che uno stato può usare per semplificare la sua attività di espansione arbitraria e di esproprio coatto delle risorse dei cittadini.

Il modo con cui gli stati affermano il loro diritto a queste azioni è subdolo, perché è sempre in nome di un bene collettivo superiore. Ma non può esistere un bene collettivo che si fondi sulla negazione del bene individuale.

La storia poi insegna, senza alcuna eccezione, che se uno Stato ha a disposizione questi strumenti, prima o poi li userà per espandere sé stesso senza chiederne il permesso. Non può essergli consentito.

Non rendersene conto è da sprovveduti, approvarlo è da socialisti. Nessuna persona che approvi l’uso di questi strumenti, anche solo in circostanze considerate eccezionali, può usare la radice “liber” nelle parole usate per autodefinirsi.

(Aurelio Mustacciuoli - miglioverde.eu/evitate-di-definirvi-liber-qualcosa-se-legittimate-lo-stato-e-i-suoi-abusi/)

 

Vaccini Aerei” in Australia.

Conoscenzealconfine.it – Redazione – (2 Novembre 2022) – ci dice:

 

L’Australia ha approvato la richiesta di licenza della società Big Pharma, PaxVax, che consentirà loro di rilasciare intenzionalmente un” vaccino OGM costituito da batteri vivi” nel Queensland, tramite scie chimiche.

“PaxVax” sta cercando l’approvazione per condurre la sperimentazione clinica di un vaccino batterico vivo geneticamente modificato contro il colera.

Una volta avviato, il processo dovrebbe essere completato entro un anno, con siti di prova selezionati dalle aree del governo locale (LGA) nel Queensland, nell’Australia meridionale, nel Victoria e nell’Australia occidentale.

“PaxVax” ha proposto una serie di misure di controllo che secondo loro limiteranno la diffusione e la persistenza del vaccino OGM e del suo materiale genetico introdotto, tuttavia, c’è sempre la possibilità che queste restrizioni falliscano e infettino la fauna selvatica e gli ecosistemi.

I “vaccini aerei” sono stati utilizzati negli Stati Uniti diretti verso gli animali mediante l’uso di pacchetti di plastica sganciati da aerei o elicotteri.

(worldtruth.tv/australia-to-forcibly-vaccinate-citizens-via-chemtrails/?amp=1&s=09)

 

 

 

 

I VACCINI E LA PIAGA DEI BUGIARDI,

NORIMBERGA 75 ANNI DOPO È ANCORA

LA BASE DELLA SOPRAVVIVENZA UMANA.

Toba60.com - Redazione – (25-5-2022) – ci dice:

 

In momenti come questi parlare di legge significa toccare un tasto molto dolente per coloro che in questo momento stanno destabilizzando il mondo attraverso una continua prevaricazione di questa.

Io che vivo in Italia per esempio, ho un governo illegittimo che sta legiferando a sua volta delle normative anticostituzionali, le quali però devono essere rispettate dai cittadini, detto così pare una follia partorita nei meandri della più’ folle ideologia nazista dei tempi passati, ma è sotto l’aspetto giuridico quello che sta succedendo proprio in questo momento sotto gli occhi di tutti.

Il problema imminente non è ciò che fanno coloro i quali stanno cavalcando l’onda del potere, ma la completa ignoranza da parte delle masse nel non conoscere le leggi basilari che vengono costantemente prevaricate ogni giorno in ogni angolo del pianeta.

Dovere sapere che la conoscenza è la sola molla motivazionale necessaria per dare il via finalmente a qualcosa di concreto, di fronte a dei soggetti che definirli lestofanti significa fare loro un autentico complimento.

I Vaccini e La Piaga dei Bugiardi.

“Le trasgressioni che cerchiamo di condannare e punire sono state così calcolate, così feroci e così distruttive che la civiltà non può tollerare che siano ignorate perché non si può sopravvivere alla loro ripetizione.

Che quattro grandi nazioni, inondate dalla vittoria e colpite dalle ferite, riposino la mano della vendetta e sottomettano volontariamente i loro prigionieri al giudizio della legge è uno dei più significativi riconoscimenti che il potere abbia mai accordato alla ragione”

(Giudice Robert Jackson, 21 novembre 1945)

Tribunale di Norimberga.

 

Spesso si dimentica che tipo di lotta è sorta dopo la seconda guerra mondiale per stabilire il Tribunale di Norimberga, che ha dato al mondo un codice di legge rivoluzionario che ancora oggi contiene molti dei rimedi per i nodi gordiani che bloccano il nostro cammino verso un futuro di pace.

 Alla fine della guerra, molti leader europei delle nazioni alleate avrebbero semplicemente messo i leader nazisti contro un muro per affrontare un plotone d’esecuzione e tornare al “business come al solito”.

Come ho sottolineato in molti scritti recenti, fu solo grazie agli intensi sforzi del presidente americano Franklin Roosevelt e dei suoi principali alleati sia negli Stati Uniti che in Russia che fu deciso un approccio diverso e fu creato un tribunale internazionale ufficiale attraverso un totale cambio di paradigma giuridico nel diritto internazionale che è troppo facilmente dato per scontato (in gran parte a causa della mancanza di impatto che queste leggi hanno avuto nella pratica del secondo dopoguerra).

Tra queste riforme rivoluzionarie c’era il mandato senza precedenti che le guerre di aggressione sarebbero state d’ora in poi illegali agli occhi della legge.

 La tendenza degli alti funzionari che eseguono ordini disumani a sfuggire alla responsabilità per le loro azioni o mancanze di agire correttamente è stata vista come una difesa inadeguata secondo il principio morale superiore del “sapeva o avrebbe dovuto sapere”.

 

Il presupposto di base di queste leggi di Norimberga è:

1) “Il potere non rende giusti” nonostante ciò che generazioni di hobbesiani e nietzschiani hanno scelto di credere.

2) Che ogni individuo è responsabile delle proprie decisioni basate non sugli standard arbitrari di qualsiasi società degenerata in cui vive, ma piuttosto sulla fede nei poteri intrinseci della ragione e della coscienza a cui tutti gli esseri umani hanno accesso e sono obbligati a guidare le nostre azioni nella vita.

Al termine della lettura non sarai più lo stesso.

Filosofi nazisti e giuristi della corona come Martin Heidegger e Carl Schmidt, i cui pensieri sono penetrati nella zeitgeist occidentale negli ultimi 70 anni, avrebbero ovviamente trovato tali concetti ripugnanti e deplorevoli.

Il fatto che il “mondo libero” abbia ignorato questi fondamenti del diritto internazionale non ha cambiato il fatto che sono ancora veri.

Oggi, molti di quei potenti ideologi unipolari che hanno gestito il disastroso ambiente geopolitico della Guerra Fredda e post-Guerra Fredda hanno tentato di cancellare i precedenti di Norimberga con atrocità come il Tribunale Penale Internazionale di Soros, e la dottrina della “Responsabilità di proteggere” (R2P) in difesa delle “guerre umanitarie” come si è visto in Bosnia, Iraq, Afghanistan, Libia e Siria negli ultimi anni.

L’inquietante ascesa dell’avvocatura unipolare R2P dilagante tra la classe dirigente britannica come Lord Mark Malloch Brown, Tony Blair e tutti i globalisti dell’era Obama che circondano Biden rendono molto più importanti le recenti osservazioni di Vladimir Putin e Sergey Lavrov alla conferenza del 75° anniversario di Mosca che celebra l’inizio dei processi di Norimberga.

Putin e Lavrov celebrano il 75° anniversario dei processi di Norimberga.

In questo evento, Putin ha ricordato ai partecipanti l’importanza dei tribunali storici che si sono svolti dal 21 novembre 1945 all’ottobre 1946, dicendo:

“Facciamo costantemente riferimento alle lezioni dei processi di Norimberga; comprendiamo la loro importanza per la difesa delle verità della memoria storica, per la difesa di una causa fondata e solida contro le distorsioni e le falsificazioni deliberate degli eventi della seconda guerra mondiale, specialmente i tentativi sfacciati e ingannevoli di riabilitare e persino glorificare i criminali nazisti e i loro complici…

 È dovere di tutta la comunità internazionale salvaguardare le decisioni del Processo di Norimberga, perché esse riguardano i principi che sono alla base dei valori dell’ordine mondiale del dopoguerra e le norme del diritto internazionale.”

Le osservazioni di Putin sono state amplificate da Sergey Lavrov che ha elaborato il nuovo paradigma giuridico creato a Norimberga che fornisce una cura ovvia per l’aumento del revisionismo della seconda guerra mondiale, l’igienizzazione del nazismo in Ucraina e oltre, nonché la rinascita di molte delle pratiche che hanno reso il nazismo una minaccia virale per l’umanità.

“Il processo di Norimberga un esempio di giustizia penale internazionale – ha dimostrato che la giustizia può essere raggiunta con un approccio professionale basato su un’ampia cooperazione interstatale, sul consenso e sul rispetto reciproco.

Chiaramente, l’eredità del Tribunale di Norimberga non si limita al diritto, ma ha un enorme valore politico, morale ed educativo. Un forte vaccino contro la rinascita del nazismo in tutte le sue forme e manifestazioni è stato fatto 75 anni fa. Sfortunatamente, l’immunità alla peste bruna che è stata sviluppata a Norimberga si è seriamente consumata in alcuni paesi europei.

 La Russia continuerà ad opporsi vigorosamente e coerentemente a qualsiasi tentativo di falsificare la storia, di glorificare i criminali nazisti e i loro scagnozzi, e di opporsi alla revisione dei risultati internazionalmente riconosciuti della seconda guerra mondiale, comprese le sentenze di Norimberga”.

Cos’è successo a Norimberga?

In mezzo alle ceneri della seconda guerra mondiale, una grande battaglia fu combattuta tra quelle forze dello stato profondo che avevano finanziato il fascismo come “soluzione ai guai della grande depressione” contro quei patrioti genuini che capirono che il tessuto stesso dell’impero e il suo paradigma finanziario, culturale e legale associato doveva essere distrutto e sostituito con un paradigma più consono alla civiltà umana.

Tra i principali rappresentanti delle forze patriottiche fedeli alla visione anticoloniale di FDR c’era un uomo che è stato quasi perso dalla storia, Robert H. Jackson (1892-1954).

 Jackson sarebbe stato il più fidato consigliere legale di Franklin Roosevelt, che per primo si fece un nome lavorando a stretto contatto con Ferdinand Pecora nel perseguire decine di finanzieri di Wall Street e industriali filofascisti di alto livello che orchestrarono la depressione del 1929 e i successivi tentativi di colpo di stato e di assassinio contro FDR nel 1933-1934.

Dopo aver dato prova di sé in combattimento, Jackson si alzò per diventare U.S. Solicitor General (1938-1940), Attorney General (1940-41) e membro di spicco della Corte Suprema dal 1941 fino alla sua morte nel 1954.

 

Sapendo che il colpo di stato profondo che spodestò il vicepresidente Henry Wallace e impose lo strumento anglofilo Harry Truman negli Stati Uniti avrebbe potuto distruggere le speranze di un ordine post-guerra di cooperazione pacifica come delineato dalla Carta delle Nazioni Unite, il giudice Jackson prese l’iniziativa e organizzò i Tribunali di Norimberga pronunciando il discorso di apertura il 21 novembre 1945:

(Nuremberg Day 2 Justice Robert H. Jackson’s Opening Statement, Nuremberg, November 21, 1945.)

 

Uno dei motivi principali dietro le udienze era l’intenzione di dare significato legale e azione agli ideali universali trasmessi nella Carta delle Nazioni Unite. Questa carta racchiudeva i principi che FDR e Henry Wallace delinearono ripetutamente nelle Quattro Libertà.

 Queste libertà affermavano che tutta l’umanità senza distinzione di razza, sesso, credo o nazionalità:

1) avere la libertà dal bisogno,

2) la libertà di praticare il culto secondo la propria coscienza,

3) libertà dalla paura, e

4) la libertà di parola.

 

Se il diritto internazionale potesse tollerare le guerre di aggressione, o se l’abdicazione della responsabilità per le proprie azioni criminali potesse essere tollerata sulla base del “stavo solo eseguendo gli ordini”, allora la Carta delle Nazioni Unite potrebbe avere davvero poco peso.

Come scrisse Jackson nel suo rapporto al presidente nell’estate del 1945 per giustificare la creazione del tribunale di Norimberga:

“Proponiamo quindi di accusare che una guerra di aggressione è un crimine, e che il diritto internazionale moderno ha abolito la difesa che coloro che la incitano o la scatenano sono impegnati in affari legittimi. Così, che le forze del diritto siano mobilitate dalla parte della pace”.

Nel corso degli 11 mesi di processo, non solo furono processati i principali membri del gabinetto, generali, avvocati e altri alti ufficiali, ma le sfaccettature più profonde del diritto naturale contro la “legge del più forte” nietzschiana furono indagate con rigore platonico, come esposto nel brillante e premiato film Giudizio di Norimberga (1960).

(Judgment at Nuremberg (1961) – The Guilt of the World Scene (8/11) )

 

Grazie alla leadership del giudice Jackson, il trattamento dell’INTENZIONE e della cospirazione è stato reso l’obiettivo primario nel perseguimento della giustizia e della causa di colpevolezza criminale.

Questo non era un approccio popolare allora o oggi per il semplice fatto che il nostro mondo è modellato da molte forze dall’alto verso il basso che vogliono che le menti delle loro vittime siano intrappolate per sempre nel mondo materiale dal basso verso l’alto della logica deduttiva/induttiva dove le intenzioni e le idee causali immateriali non possono mai essere trovate.

 Per chiunque voglia approfondire questa fruttuosa linea di pensiero, suggerisco la lettura di Eureka di Edgar Allan Poe.

Quando si adotta il punto di vista che le intenzioni e le cospirazioni (cioè: l’effetto delle intenzioni + idee quando vengono messe in azione) NON sono una forza trainante della politica e della vita, allora perdiamo per sempre la nostra capacità di giudicare la veridicità in qualsiasi modo serio.

 Questa era la premessa filosofica del principale finanziere nazista Hjalmar Schachter, il cui relativismo morale e i freddi principi calcolatori dell’economia giustificavano direttamente i campi di lavoro a basso costo che lavoravano milioni di persone fino alla morte nello sforzo di produzione della guerra tedesca.

Questa stessa filosofia ha trovato di nuovo terreno fertile nella società dei consumi post-1971 che ha fatto rivivere la logica della produzione di lavoro a basso costo nell’era della globalizzazione del “prezzo più basso è la legge”.

 

Citando Schachter che disse “La verità è qualsiasi storia che ha successo”, il giudice Jackson ha scherzato “Penso che si possano ottenere molti più successi…

quando si vuole guidare qualcuno, se non si dice la verità, che se si dice la verità”.

Spiegando l’intenzione di principio del processo al popolo americano, Jackson ha detto:

“Il buon senso dell’umanità esige che la legge non si fermi alla punizione di crimini insignificanti da parte di piccole persone. Essa deve anche raggiungere gli uomini che possiedono un grande potere e ne fanno un uso deliberato e concertato per mettere in moto mali che non lasciano intatta nessuna casa nel mondo …

 

“Il caso presentato dagli Stati Uniti riguarderà i cervelli e l’autorità dietro a tutti i crimini. Questi imputati erano uomini di una stazione e di un rango che non sporca le proprie mani di sangue. Erano uomini che sapevano come usare gente inferiore come strumenti. Vogliamo raggiungere i pianificatori e i progettisti, gli incitatori e i leader…

 

“Non è lo scopo della mia parte di questo caso di trattare i crimini individuali. Mi sto occupando del piano comune o del disegno del crimine e non mi soffermerò sui singoli reati. Il mio compito è solo quello di mostrare la scala in cui questi crimini si sono verificati, e di mostrare che questi sono gli uomini che erano nelle posizioni di responsabilità e che hanno concepito il piano e il disegno che li rende responsabili, indipendentemente dal fatto che il piano è stato effettivamente eseguito da altri…

“La Carta riconosce che chi ha commesso atti criminali non può rifugiarsi in ordini superiori né nella dottrina che i suoi crimini erano atti di Stato…

“La vera parte lesa al vostro bar è la civiltà…. Il rifugio degli imputati può essere solo la loro speranza che il diritto internazionale rimanga così indietro rispetto al senso morale dell’umanità che una condotta che è un crimine in senso morale debba essere considerata innocente in diritto. La civiltà si chiede se il diritto sia così ritardato da essere totalmente impotente di fronte a crimini di questa portata da parte di criminali di questo ordine di importanza”.

Oggi, il mondo si trova ancora una volta sull’orlo di un nuovo ordine mondiale, e l’emergere di un sistema di governo che è modellato interamente sullo stesso sistema operativo darwinista sociale/nietzschiano che ha dato origine al fascismo nella seconda guerra mondiale.

 La stessa negazione della verità universale che animava le menti di Schachter, Goebbels, Heidegger o Schmidt è diventata egemone anche nel mondo accademico occidentale.

Pochissimi statisti hanno avuto il coraggio e l’intuizione di resistere a questo sistema unipolare anti-stato nazione, ma tra quelli che l’hanno fatto abbiamo la fortuna di aver trovato l’attuale leader della Russia e i suoi alleati che per molti versi stanno giocando lo stesso ruolo storico di quello giocato 75 anni prima dal giudice Robert Jackson, Henry Wallace e il presidente Roosevelt.

Resta da vedere se il resto del mondo si sveglierà in tempo per riconoscere la superiorità dell’alleanza multipolare sull’ordine regressivo degli unipolarismi che ci portano minacciosamente verso la terza guerra mondiale.

La Piaga dei bugiardi: la legge di Norimberga proibisce le procedure mediche forzate, comprese le vaccinazioni obbligatorie.

Alcune persone potrebbero non avere familiarità con il verbo ‘mascherare’, ma tutti abbiamo bisogno di familiarizzare con esso perché c’è un sacco di mascheramento in corso.

Fondamentalmente significa nascondere deliberatamente qualcosa o coprirlo in modo che l’attenzione sia sviata o deviata da ciò che coloro che stanno mascherando vogliono coprire.

Come la verità, per esempio.

E in questo caso la verità sul Codice di Norimberga e la protezione che ci dà dall’accettare qualsiasi procedura o trattamento medico forzato.

Insieme al dubbio e alla calunnia, la diffusione è uno degli strumenti più importanti nella cassetta degli attrezzi del propagandista. Qualche giorno fa, ho scritto un articolo per spiegare che le vaccinazioni forzate sono una violazione del Codice di Norimberga. Notate la parola ‘forzato’. Infatti, qualsiasi procedura o terapia medica forzata è in violazione del Codice di Norimberga.

Tutte le procedure e le terapie mediche devono avere un consenso pienamente informato e dato liberamente nella misura più ampia possibile – il che significa che le persone che sono coscienti e in grado di decidere da sole rimangono in controllo del loro destino medico.

È solo quando sei in uno stato disperato e incosciente che i medici possono intervenire e prendere decisioni “per te”.

Questo è tutto tagliato e secco e fissato nel cemento dagli anni ’40, ma ora abbiamo persone che cercano di smontarlo e annacquarlo e reinterpretare il Codice di Norimberga come applicabile solo alla sperimentazione medica.

Non è così.

Il Codice stesso spiega esattamente a cosa si applica, e anche se i casi che hanno dato origine al Codice sono nati dagli esperimenti medici nei campi di concentramento e hanno coinvolto la sperimentazione medica forzata su soggetti non consenzienti, il nucleo del Codice di Norimberga è stato all’altezza della situazione e ha messo fuori legge tutti i tipi di procedure e terapie mediche forzate. Non solo le procedure sperimentali.

Qualsiasi procedura o terapia medica a cui non si vuole partecipare, si ha il pieno, libero e senza pregiudizi diritto di rifiutare. Punto.

Andate a rileggere l’articolo 6, sezioni 1 e 3, del Codice di Norimberga.

Non prendete per buona la parola di nessun altro. Nemmeno la mia. Siate sicuri. E fate buon uso dell’informazione se qualcuno viene alla vostra porta con un ago in mano.

Un’altra buona da citarli in faccia è la loro cara decisione Roe vs. Wade, la scusa per permettere l’aborto su richiesta. Il mio corpo, la mia scelta. Questo si applica ad ogni aspetto del tuo corpo, quello che togli e quello che ci metti dentro, anche.

Qui c’è un esempio di un articolo di ‘notizie’ dissimulato, in modo che possiate vedere esattamente come smontano l’informazione importante reale e la travisano per significare qualcos’altro:

Lo stesso articolo richiama l’attenzione sul fatto che il Codice di Norimberga non rende illegale la vaccinazione. Chi ha detto che lo fa? Stanno deliberatamente creando un falso argomento come mezzo per offuscare.

Il Codice di Norimberga rende illegale la vaccinazione forzata insieme a tutte le altre procedure e terapie mediche forzate. Il Codice di Norimberga non esclude le vaccinazioni o qualsiasi altra procedura o terapia mette fuori legge tutte le procedure e terapie forzate con lo stesso ampio pennello.

Quindi, se volete essere vaccinati, dopo essere stati pienamente informati di tutti i possibili svantaggi e conseguenze, dopo aver capito esattamente cosa contiene il vaccino, dopo aver capito che avrete diritti di ricorso estremamente limitati se prendete volontariamente l’iniezione e qualcosa va storto allora siete liberi di correre i vostri rischi e fare come volete.

È una vostra scelta.

Il Codice di Norimberga non vi proteggerà dal vostro stesso consenso completamente rivelato. Ma vi proteggerà dall’essere imposti dai politici e dalle “forze di sicurezza private” ingaggiate dalle banche che stanno colludendo in questo schema per frodare l’America sotto il colore della legge.

Il Codice di Norimberga vi dà piena legittimità, se tentano di violarlo e di forzare qualsiasi tipo di vaccinazione involontaria o non dichiarata su di voi con qualsiasi mezzo – sia lottandovi a terra o minacciando di privarvi di qualsiasi altro diritto o privilegio, incluso il diritto di viaggiare e usare strutture pubbliche.

Tutto indica che stiamo entrando in un capitolo molto oscuro della storia americana.

Dovrete stare all’erta e rimanere informati, e non vi stanno dando informazioni dirette da nessuno dei canali dei media commerciali o dai loro accoliti e troll pagati.

 Dovete leggere le cose con un occhio critico ed essere in grado di discernere i trucchi che i propagandisti impiegano.

Ora leggete le vere sezioni del Codice di Norimberga – articolo 6, sezioni 1 e 3.

Poi, prendete posizione contro le procedure mediche forzate di qualsiasi tipo e anche contro tutti i dissimulatori di stronzate là fuori, perché si stanno moltiplicando come coniglietti in primavera.

Potete prendere posizione contro questa peste di bugiardi, unendovi ad altri americani attenti e ben disposti che hanno reclamato la loro posizione politica per diritto di nascita e che ora si stanno assumendo la responsabilità dell’autogoverno riguardo alla loro salute e a tutte le altre questioni attraverso la loro Assemblea di Stato.

Articolo 6, sezione 1:

Qualsiasi intervento medico preventivo, diagnostico e terapeutico deve essere effettuato solo con il consenso preventivo, libero e informato della persona interessata, basato su un’informazione adeguata.                               Il consenso dovrebbe, se del caso, essere espresso e può essere ritirato dalla persona interessata in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo senza svantaggio o pregiudizio.

Articolo 6, sezione 3:

In nessun caso un accordo collettivo della comunità o il consenso di un capo della comunità o di un’altra autorità dovrebbero sostituire il consenso informato di un individuo.

Il Codice di Norimberga consiste infatti nei seguenti dieci punti, stabiliti dal diritto internazionale durante uno dei processi di Norimberga (fonte: The Holocaust Encyclopedia).

Il 9 dicembre 1946, un tribunale militare americano aprì un procedimento penale contro 23 importanti medici e amministratori tedeschi per la loro partecipazione volontaria a crimini di guerra e contro l’umanità.

Questo caso è conosciuto come il “Processo dei Medici” (USA contro Karl Brandt e altri). Il 19 agosto 1947, i giudici del tribunale emisero il loro verdetto.

Ma prima di annunciare la colpevolezza o l’innocenza di ogni imputato, affrontarono la difficile questione della sperimentazione medica sugli esseri umani.

Diversi medici tedeschi avevano sostenuto in propria difesa che i loro esperimenti differivano poco da quelli condotti prima della guerra da scienziati tedeschi e americani. Inoltre hanno dimostrato che nessuna legge internazionale o dichiarazione informale differenziava tra sperimentazione umana legale e illegale. Questo argomento preoccupava molto due medici statunitensi che avevano lavorato con l’accusa durante il processo, il dottor Andrew Ivy e il dottor Leo Alexander.

Di conseguenza, il 17 aprile 1947, il dottor Alexander presentò un memorandum al Consiglio degli Stati Uniti per i crimini di guerra. Il memorandum delineava sei punti che definivano la ricerca medica legittima. Il verdetto del processo del 19 agosto ribadì quasi tutti questi punti in una sezione intitolata “Esperimenti medici ammissibili”.

Ha anche rivisto i sei punti originali in dieci, e questi dieci punti sono diventati noti come il “Codice di Norimberga”.

Nel mezzo secolo successivo al processo, il codice ha informato numerose dichiarazioni etiche internazionali. La sua forza legale, tuttavia, non era ben stabilita. Tuttavia, rimane un documento di riferimento sull’etica medica e uno dei prodotti più duraturi del “Processo dei Medici”.

Esperimenti medici ammessi.

Dalla trascrizione del processo.

Il grande peso dell’evidenza di fronte a noi è nel senso che certi tipi di esperimenti medici sugli esseri umani, quando sono tenuti entro limiti ragionevolmente ben definiti, sono conformi all’etica della professione medica in generale.

I protagonisti della pratica della sperimentazione umana giustificano i loro punti di vista sulla base del fatto che tali esperimenti danno risultati per il bene della società che non sono ottenibili con altri metodi o mezzi di studio.

Tutti sono d’accordo, tuttavia, che alcuni principi di base devono essere osservati per soddisfare i concetti morali, etici e legali:

1) Il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale.

Ciò significa che la persona coinvolta deve avere la capacità giuridica di dare il consenso; deve essere situata in modo tale da poter esercitare il libero potere di scelta, senza l’intervento di alcun elemento di forza, frode, inganno, costrizione, sopraffazione o altra forma ulteriore di costrizione o coercizione; e deve avere una conoscenza e una comprensione sufficienti degli elementi della materia in questione da permettergli di prendere una decisione consapevole e illuminata.

Quest’ultimo elemento richiede che, prima dell’accettazione di una decisione affermativa da parte del soggetto sperimentale, gli siano resi noti la natura, la durata e lo scopo dell’esperimento;

il metodo e i mezzi con cui sarà condotto; tutti gli inconvenienti e i pericoli che ci si può ragionevolmente aspettare; e gli effetti sulla sua salute o sulla sua persona che possono derivare dalla sua partecipazione all’esperimento.

Il dovere e la responsabilità di accertare la qualità del consenso ricadono su ogni individuo che inizia, dirige o si impegna nell’esperimento. È un dovere e una responsabilità personale che non può essere impunemente delegato ad altri.

2) L’esperimento dovrebbe essere tale da produrre risultati fruttuosi per il bene della società, non procurabili con altri metodi o mezzi di studio, e non di natura casuale e inutile.

3) L’esperimento dovrebbe essere così progettato e basato sui risultati della sperimentazione animale e sulla conoscenza della storia naturale della malattia o di un altro problema in studio che i risultati previsti giustifichino l’esecuzione dell’esperimento.

4) L’esperimento dovrebbe essere condotto in modo da evitare ogni inutile sofferenza e lesione fisica e mentale.

5) Nessun esperimento dovrebbe essere condotto dove c’è una ragione a priori di credere che si verificherà la morte o una lesione invalidante; tranne, forse, in quegli esperimenti in cui i medici sperimentali servono anche come soggetti.

6) Il grado di rischio da correre non dovrebbe mai superare quello determinato dall’importanza umanitaria del problema da risolvere con l’esperimento.

 

7) Dovrebbero essere fatti i preparativi appropriati e dovrebbero essere fornite strutture adeguate a proteggere il soggetto sperimentale contro le possibilità anche remote di lesioni, disabilità o morte.

8) L’esperimento dovrebbe essere condotto solo da persone scientificamente qualificate. Il più alto grado di abilità e cura dovrebbe essere richiesto in tutte le fasi dell’esperimento a coloro che conducono o si impegnano nell’esperimento.

9) Durante il corso dell’esperimento il soggetto umano dovrebbe essere libero di porre fine all’esperimento se ha raggiunto uno stato fisico o mentale in cui la continuazione dell’esperimento gli sembra impossibile.

10) Durante il corso dell’esperimento lo scienziato responsabile deve essere pronto a terminare l’esperimento in qualsiasi fase, se ha probabilmente motivo di credere, nell’esercizio della buona fede, dell’abilità superiore e dell’attento giudizio richiestogli, che una continuazione dell’esperimento potrebbe provocare lesioni, invalidità o morte al soggetto sperimentale.

 

Condanne a morte eseguite a seguito del processo ai medici di Norimberga (1947).

Chiaramente, le vaccinazioni obbligatorie del Covid-19 sono in contrasto con il Codice di Norimberga, sotto molteplici aspetti.

I Covidiani naturalmente aggireranno il Codice di Norimberga sostenendo che si applica solo agli esperimenti medici, mentre i vaccini Covid-19 sono timbrati come “legittimi programmi sanitari approvati dal governo”.

Non lo sono.

Sono completamente sperimentali, e cadono in fallo anche dei regolamenti sui vaccini di oggi, che sono stati “sospesi” sotto l’affermazione palesemente falsa che il Covid-19 è una “pandemia mortale” che presenta una “terribile minaccia alla salute pubblica globale”.

Chiunque sia coinvolto nello spingere o portare avanti programmi di vaccinazione obbligatoria ‘perché Covid’ sarà in violazione del Codice di Norimberga e del diritto internazionale. In quanto tale sarà “diventato nazista” e sarà personalmente responsabile in qualsiasi futuro processo per crimini contro l’umanità.

Ricordate, i processi dopo la seconda guerra mondiale per crimini contro l’umanità hanno stabilito che “stavo solo eseguendo degli ordini” NON è una difesa legale.

Anna Von Reitz & Matthew Ehret.

(strategic-culture.org & paulstramer.net)

 

 

 

Cina e Russia; Alleanza militare o

complementarietà strategica.

Cambiopolitico-com.translate.goog - Osvaldo Espinoza – (6-1-2022) – Redazione -ci dice:

 

Prendendo coscienza dei punti di forza e di debolezza di Russia e Cina, entrambe le potenze potrebbero avanzare in progetti concreti di complementarietà strategica, senza doversi impegnare in un'alleanza militare formale.

Nell'Occidente collettivo, i governi, i loro uffici stampa, i media internazionali e l'industria dello spettacolo hanno fabbricato la matrice dell'opinione sull'imminente "pericolo cinese" e sulla permanente "minaccia russa", allertando il "mondo civile e democratico" del perverso intenzioni di questa lega del male composta dalle più grandi autocrazie del pianeta.

Con questo discorso installato nell'immaginario collettivo, si giustifica la necessità di essere preparati a respingere l'aggressione russa ea contenere l'espansionismo cinese;

Questo copre le spiegazioni necessarie per giustificare le ingenti spese in armi, le alleanze militari, il dispiegamento di forze sempre più vicine ai confini terrestri, nonché la stretta incursione negli spazi aerei e marittimi dei rivali strategici russi e cinesi.

 È ironico che colui che accusa di pericoli e minacce sia colui che deliberatamente e sistematicamente molesta i suoi rivali; dopo tutto, come dichiarerà di recente il presidente Putin: sono gli Stati Uniti e i loro alleati a mobilitare le loro forze ai nostri confini e non il contrario.

Gli Stati Uniti e l'Occidente collettivo hanno dichiarato la Cina e la Russia come loro rivali strategiche, e anche direttamente come loro nemici, e hanno proceduto di conseguenza.

La NATO si espande verso est, anche se ha promesso di non farlo, mobilita e colloca truppe, equipaggiamenti e armi, comprese le armi nucleari, nell'Europa orientale; promuove rivoluzioni colorate nello spazio post-sovietico, e dove riesce a cambiare il governo favorisce la russofobia e rafforza la sua capacità bellica con armi e consiglieri militari occidentali, come è avvenuto nel caso dell'Ucraina, oggi strumento fondamentale contro la Russia e  all'apice delle relazioni tra quest'ultimo e l'Occidente, è attualmente uno scenario in attesa della risposta di USA e NATO alle proposte inviate dalla Russia; inoltre, gli Stati Uniti e i loro alleati effettuano incursioni nel Mar Nero e dispiegamenti aerei vicino alla Crimea; da parte sua, il Giappone rinnova le sue pretese sulle Isole Curili nell'Estremo Oriente russo.

Rispetto all'altro rivale strategico, gli USA stabiliscono alleanze militari per il contenimento della Cina, sia con le più importanti forze armate della regione dopo la Cina stessa, come Giappone, India e Australia, nel meccanismo QUAD, con la partecipazione indiretta e off il record di altri alleati filo-occidentali come la Corea del Sud; crea anche AUKUS con i suoi fratelli Anglo-sphere, il Regno Unito e l'Australia, in un'alleanza che include lo scambio di risorse di intelligence e tecnologie belliche come i sottomarini nucleari per l'Australia; l'assedio cinese si completa con la rete di spionaggio dei 5 occhi (i membri dell'AUKUS più Canada e Nuova Zelanda), le famose operazioni di libertà di navigazione, le esercitazioni navali MALABAR, i voli di aerei spia e bombardieri strategici, così come pattuglie di sottomarini nucleari.

 Tuttavia, lo strumento privilegiato nella strategia anti-cinese è Taiwan, una provincia che l'ONU e ufficialmente gli USA ammettono come parte della Cina, ma che riceve sostegno nelle sue rivendicazioni secessioniste dall'Occidente collettivo; un supporto che si traduce in armi, equipaggiamento e consiglieri militari.

 La strategia di contenimento contro la Cina crea almeno 5 punti di pressione intorno alla Cina: Taiwan, il Mar Cinese Meridionale, il Mar Cinese Orientale, la linea di controllo reale tra Cina e India, e le Isole Diaoyu/Senkaku con il Giappone. un supporto che si traduce in armi, equipaggiamento e consiglieri militari.

 Di fronte a NATO/AUKUS, ci sarà un'alleanza militare Cina/Russia?

Sia il presidente XI che il presidente Putin hanno dichiarato che le relazioni tra i loro paesi sono le migliori di tutta la loro storia, ma ciò non significa necessariamente o si traduce in un'alleanza formale di natura militare, almeno non per ora; tuttavia, la dichiarazione di nemici giurati degli Stati Uniti e dell'Occidente collettivo, con la conseguente pressione militare contro i suoi confini e le aree vitali di sicurezza, sta costringendo la Russia risorgente e la Cina emergente a unirsi sempre più in materia difensiva, come dimostra il esercitazioni binazionali congiunte e nell'ambito della Shanghai Cooperation Organization (SCO), con la partecipazione delle forze di terra e aeree di entrambi i paesi, sia in territorio cinese che in terra russa.

I voli congiunti dell'aviazione strategica di entrambi gli stati vicino al Giappone e alla Corea del Sud e il pattugliamento congiunto di 10 navi da guerra di entrambe le marine intorno al Giappone; senza dimenticare l'importante supporto fornito dalla Russia per migliorare la capacità antimissilistica cinese.

Finora la cooperazione militare tra le due potenze non può essere considerata un'alleanza, né sembra essere nell'interesse di entrambe le nazioni arrivare a quel punto, almeno non nei termini di un'alleanza di stampo occidentale, dove gli USA comandano e decide e gli altri agiscono come vassalli obbedienti e incondizionati.

Né la Cina né la Russia accetterebbero quel tipo di relazione sottomessa; tuttavia, la cooperazione può andare oltre, consentendo ai punti di forza di un paese di completare i punti deboli dell'altro.

Complementarità strategica Cina/Russia.

La Russia è l'erede del complesso militare-industriale e delle tecnologie militari sovietiche, che per molti aspetti hanno saputo preservare, sviluppare e addirittura superare in alcuni aspetti, come nel caso della tecnologia ipersonica di cui la Russia è finora il leader indiscusso, tuttavia , l'eredità sovietica si deteriora e diventa obsoleta, interessando rami importanti come la marina, che non ha ancora potuto recuperare pienamente la capacità di costruire navi oceaniche, o quelle di primo grado nella classificazione russa.

L'aviazione è rimasta forte, anche se la scarsità di risorse, soprattutto negli anni '90 e nei primi anni 2000, ha costretto a una diminuzione dei numeri e ritardato l'implementazione di velivoli di 5a generazione, lo stesso non si può dire per l'aviazione navale, molto più colpita dalle suddette problematiche.

 Un altro aspetto in cui la Russia conserva una forza molto importante è nella forza sottomarina, così come nell'aviazione strategica che rimane in buone condizioni. Inutile dire che le capacità nucleari della Russia mantengono e migliorano costantemente le capacità di deterrenza strategica, al pari degli Stati Uniti.

La Cina, supportata dalla sua enorme economia e dalla pianificazione centralizzata e disciplinata, ha sviluppato tecnologie di prim'ordine, raggiungendo e persino prendendo il comando in aree come il 5G, già avanzando al 6G, l'intelligenza artificiale, il calcolo quantistico, le tecnologie spaziali, tra gli altri, e naturalmente nelle applicazioni militari di tutte queste innovazioni.

 È anche dietro la saga russa, ma molto più avanti degli Stati Uniti nella tecnologia ipersonica. L'aspetto più rilevante della fulminea ascesa della Cina in materia di difesa è lo sviluppo di un gigantesco complesso militare industriale, che ha consentito la rapida modernizzazione e l'equipaggiamento delle sue forze armate, aumentando di diversi ordini di grandezza i suoi indicatori quantitativi e qualitativi; sia le forze di terra che quelle aeree hanno beneficiato della potenza costruttiva del complesso industriale militare cinese per soddisfare le loro esigenze di equipaggiamento, facendo sempre meno affidamento sulle importazioni.

Ma quella che ha guadagnato più slancio è la marina cinese, la capacità di costruzione navale militare cinese non ha eguali al mondo al momento, in breve tempo sono riuscite a rendere le forze marittime cinesi la più grande marina del mondo per numero di navi e il secondo per tonnellaggio.

Può produrre praticamente qualsiasi tipo di nave, di qualsiasi dimensione e per qualsiasi esigenza in tempi brevi, come testimoniano la costruzione e il varo di portaerei, portaelicotteri, anfibi, cacciatorpediniere e fregate.

Non tutto è roseo nelle difese cinesi.

 Tra le debolezze attuali c'è l'aviazione strategica, molto numerosa in quantità, ma in ritardo in termini di portata, velocità, munizioni e stealth, anche se il prossimo H20 risolverà la prima e l'ultima di queste variabili, oggi rappresenta un punto debole.

 Lo stesso si può dire delle forze sottomarine, tecnologicamente ancora indietro rispetto a USA e Russia; Un altro punto chiave riguarda la capacità missilistica e antimissilistica cinese: nel primo caso si stanno costruendo silos per aumentare significativamente l'arsenale nucleare e passare da una minima deterrenza a una vera e propria capacità di ritorsione.

 Sul secondo aspetto era già ha detto qui che la Russia ha dato un contributo, ma potrebbe ancora migliorare. munizioni e stealth, sebbene il prossimo H20 risolverà la prima e l'ultima di queste variabili, al momento rappresenta un punto debole.

Possibili scenari di complementarietà strategica.

Prendendo coscienza dei reciproci punti di forza e di debolezza, entrambe le potenze potrebbero avanzare in progetti specifici di complementarietà strategica, senza doversi impegnare in un'alleanza militare formale.

Successivamente, analizzeremo le possibili manifestazioni di complementarietà, che richiederanno la volontà politica, economica e militare di entrambi i partner, nonché il superamento di timori, pregiudizi e persino orgoglio nell'industria nazionale.

Si tratta semplicemente di accettare la realtà attuale e prendere decisioni tempestive di fronte alle minacce comuni.

Aumenta l'interoperabilità.

Aumentare il numero di esercitazioni e manovre congiunte delle forze terrestri, aeree e marittime delle forze combinate nel territorio di entrambe le nazioni, soprattutto nelle aree dove l'Occidente collettivo esibisce costantemente le sue dimostrazioni di forza ed esibizioni muscolari, come il mare dalla Cina e il Mar Nero, così come nell'Oceano Baltico e nel Pacifico, pur continuando a condurre le proprie operazioni di libertà di navigazione vicino ai possedimenti statunitensi nel Pacifico e persino nei Caraibi, come la Cina ha recentemente promesso.

 i voli strategici dell'aviazione di Russia e Cina e il pattugliamento delle loro flotte combinate quest'anno sono un esempio di questo primo scenario, solo moltiplicato e ampliato. Per contrastare i 5 Occhi è necessaria una maggiore integrazione delle reti di intelligence e anti-spionaggio.

Un'altra manifestazione di questo scenario sarebbe la firma di accordi per l'utilizzo di basi navali e aeroporti nel territorio del Paese partner, che potrebbero fungere sia da centri di addestramento congiunti che da stazioni di rifornimento e salto per le navi e gli aerei del partner; ciò consentirebbe alle navi della grande marina cinese di visitare le basi russe nell'assediato Mar Nero, nel Mediterraneo o nel Baltico, senza dimenticare l'Estremo Oriente russo.

 Allo stesso modo, l'aviazione strategica russa potrebbe utilizzare gli aeroporti cinesi come stazioni di salto per pattugliare vaste aree del Mar Cinese e dell'Oceano Pacifico sotto la protezione dei caccia cinesi, senza dubbio i cacciatorpediniere di classe 055 Renhai nel Mar Nero.

Il TU-160M ​​White I cigni sul Mar Cinese manderebbero un forte e chiaro messaggio di complementarità.

Accordo di costruzione navale.

I missili anti-nave Zircon della Russia sono entrati in produzione in serie e hanno il potenziale per cambiare le regole del gioco nei mari e negli oceani del mondo, sono come i proiettili d'argento necessari per affrontare una minaccia più forte, ma si può dire che la Russia ha i proiettili ma non le armi per spararle, o almeno non abbastanza, le fregate del progetto classe Gorshkov 22350 saranno le prime portaerei, molto buone, ma la Russia ne ha solo 2 in servizio e la velocità di costruzione è relativamente lenta, mentre la classe 22350M delle dimensioni di un cacciatorpediniere ha ancora da iniziare la costruzione.

Chi ha armi per quei proiettili d'argento e può costruirli grandi e veloci è la Cina; un accordo di costruzione navale potrebbe generare le navi da guerra più potenti per servire come ambite navi di punta per la Russia e migliori guardie del corpo per i gruppi di portaerei cinesi.

Immagina 8 cacciatorpediniere di tipo 055 e 8 di tipo 052D, ma invece della configurazione dell'armamento cinese originale, trasportavano una combinazione di S-400 navali per la difesa aerea a lungo raggio e missili ipersonici Zircon come armi offensive.

 4 per  ciascuno per la Russia e l'altra metà per la Cina, per i russi i Type 055 più grandi potrebbero andare alle flotte del Nord e del Pacifico al ritmo di una coppia ciascuno, mentre gli 052D più piccoli andrebbero nel Mar Nero e nel Baltico; dal canto suo la Cina potrebbe destinare uno di ogni modello ai suoi gruppi di portaerei, insieme alle versioni originali con configurazione cinese.

 Ovviamente l'accordo può prevedere altre tipologie di navi, ma considerando le priorità si tratta di una possibilità non indifferente.

 

Nel frattempo, i russi potrebbero concentrarsi sulla produzione locale di fregate 22350M in un cantiere e delegare a un altro la continuazione del progetto 22350+ (uguale all'originale ma con celle di lancio più verticali), nonché le corvette e altri modelli che sono già padroneggiati, dando all'industria locale l'opportunità di continuare la sua ripresa; In questo modo si favorisce il recupero delle capacità locali mentre si risolvono i più urgenti bisogni di difesa.

Un aspetto in cui l'esperienza e le tecnologie russe avvantaggerebbero in particolare le capacità della marina cinese sarebbero le tecnologie per lo sviluppo dei rompighiaccio e l'ottimizzazione dei sottomarini nucleari, i primi essenziali per la rotta della seta artica in collaborazione con la Russia, e il vitale secondi, soprattutto dopo l'accordo, nell'ambito dell'AUKUS, di sottomarini nucleari per la marina australiana, oltre all'effetto che detto accordo ha prodotto nella regione e che ha ravvivato l'interesse di altre nazioni per il dispiegamento di sottomarini nucleari, tali è il caso di India e Corea del Sud, guarda caso in entrambi i casi sarebbe coinvolta la Francia, proprio la potenza europea che è stata esclusa dal contratto con l'Australia attraverso l'accordo AUKUS.

Acquisizioni incrociate del settore aeronautico.

È vero che l'industria aeronautica cinese è già diventata ampiamente autosufficiente ed è quasi completamente in grado di soddisfare tutte le esigenze di equipaggiamento sia dell'aviazione militare che navale, produzione in serie del J-20 di 5a generazione, con motori nazionali e anche una nuova variante a 2 posti, nonché lo sviluppo di una versione per portaerei del J-31 anche di 5a generazione, oltre alla massiccia produzione di caccia 4++, lo attestano.

Tuttavia, il livello di minaccia potrebbe rendere necessario integrare la produzione locale con l'acquisizione di prodotti russi dai quali si possono trarre vantaggio dai loro particolari vantaggi; ad esempio il lungo raggio (soprattutto con il prossimo motore di 30 prodotti) e la maggiore capacità del vano armi, così come le munizioni che sono state sviluppate e continuano ad essere sviluppate per esso, rendono l'SU-57 un candidato ideale per equipaggiare l'aviazione navale cinese con un velivolo di 5a generazione, in particolare per le funzioni di intercettore aereo navale con un reggimento del monoposto versione equipaggiata con missili R-37M e futuri missili PL-XX di fabbricazione nazionale, entrambi con gittata molto lunga e in grado di abbattere gli AWACS e gli aerei di supporto delle navi cisterna di una forza d'attacco nemica, e persino i caccia nemici a distanza ravvicinata gamma.

Un secondo reggimento sarebbe preposto alla funzione di cacciabombardiere navale, per questo sarebbe sicuramente necessaria una versione biposto (da sviluppare) armata con avanzati missili antinave russi e cinesi, tra cui, perché no, una versione in miniatura di lo Zircone.

D'altra parte, la Russia potrebbe trovare in Cina una rapida risposta alle sue esigenze di velivoli di supporto all'aviazione navale, in particolare velivoli da pattugliamento marittimo e antisommergibile, che i russi non stanno nemmeno producendo, ma di cui hanno urgente bisogno, soprattutto per l'esaurimento e l'obsolescenza dell'eredità sovietica a questo proposito, oltre alla minaccia delle enormi forze sottomarine degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

 Inoltre, non sarebbe male acquistare un lotto aggiuntivo di velivoli di allerta precoce KJ-200 e KJ-500 AWACS, almeno come misura temporanea fino a quando l'A-100 russo non entrerà in piena produzione.

Chi minaccia e chi è un pericolo per chi?

Come abbiamo visto, le aree più critiche del pianeta e che potrebbero generare conflitti nel mondo, sono concentrate intorno alla Russia e alla Cina, in entrambi i casi per la presenza costante di forze militari statunitensi e dei suoi alleati europei ed orientali, che condividono risorse, intelligence e potere militare per intimidire entrambi i poteri e farli ritirare dalla difesa dei loro interessi nazionali, territoriali e di sicurezza, minacciando la loro stabilità e persino la loro stessa esistenza.

Ok, ora diamo un'occhiata ai confini degli Stati Uniti e al loro livello di pericolo e minaccia.

Dal Sud, la più grande minaccia che arriva dal Messico è l'ondata di immigrati a seguito dei profondi squilibri e della crisi strutturale del sistema mondiale occidentale, si potrebbe aggiungere anche l'attività dei narcotrafficanti, la cui forza viene proprio dall'enorme numero di consumatori dall'altra parte del confine.

 Cuba rappresenta più una sfida politica che militare, mentre dal Canada il fastidio più grande potrebbe essere il freddo che scende dalla tundra, soprattutto durante l'inverno settentrionale.

 

Penso che la risposta alla domanda nel sottotitolo sia più che ovvia; In ogni caso, bisogna riconoscere che gli Stati Uniti sono davvero una minaccia e un pericolo terribile, solo che questo non viene dall'estero, ma viene gestito e sviluppato nelle sue stesse viscere, a seguito della crisi sistemica prodotta da l'economia finanziaria e il dollaro inorganico, i profondi squilibri e ingiustizie sociali, soprattutto nei confronti delle minoranze nazionali, e il confronto politico ai massimi livelli tra un'élite nazionalista/industriale/continentale  e un'altra élite globalista/finanziaria/imperialista/unipolarista.

Insomma, sono proprio gli Stati Uniti la più grande minaccia e il più grande pericolo, non solo per la Cina e la Russia, ma per il mondo intero, poiché si aggrappano alla condizione insostenibile dell'egemonia mondiale.

(Oswaldo Espinoza)

 

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