GLOBALISTI UNIPOLARISTI
GLOBALISTI UNIPOLARISTI.
Sovranisti
vs Globalisti…
Tutto
chiaro. O no?
Libertaeguale.it - Antonio Preiti - (29 Giugno
2018) – ci dice:
Stranissimo:
le parole sono rigide e i fatti mobili. Si potrebbe sintetizzare così,
l’incredibile situazione politica di oggi. Quali parole, quali fatti?
Vediamoli.
Andiamo
al cuore della questione: qual è oggi la natura e la ragione della
contrapposizione politica principale? È tra sovranisti e globalisti.
Sembra chiara, netta, limpida, ma non lo è,
almeno se guardiamo alle cose che accadono. Facciamo un passo indietro.
Sul
piano ideologico la contrapposizione era prima tra comunismo e liberalismo:
idee contrapposte, società contrapposte, antropologie contrapposte.
Poi è arrivata la socialdemocrazia a mischiare
un po’ le carte, ma anche in questo caso la chiarezza non mancava: una società
liberale attenta al sociale.
La
contrapposizione destra-sinistra.
Adesso
un passo avanti. Quella che conosciamo meglio, la contrapposizione
destra-sinistra, perché più recente, è la figlia della prima contrapposizione,
ma non è ugualmente “limpida”.
Qui al
modello contrapposto di società, si è sostituito un modello contrapposto di
sensibilità, con la grande ambiguità sul ruolo dello stato.
Statalisti
di sinistra e statalisti di destra hanno un po’ confuso le cose. Siccome però
restava sempre il problema di come indirizzare il frutto dello statalismo (cioè
le entrate della tassazione) ancora la contrapposizione destra-sinistra
reggeva.
A mano
a mano che l’influenza
di Berkeley cresceva nel mondo (il nome-simbolo sintetizza una visione della sinistra
non più ancorata al sociale e all’economico, ma alle differenti sensibilità, in
una parola, all’antropologia) la natura della sinistra si è trasformata, e così
anche quella della destra.
Sempre
meno scontro sociale ed economico, sempre più scontro sui simboli, sulle
definizioni (di qui il dominio del politicamente corretto), insomma sulle parole.
La contrapposizione sovranismo-globalismo.
Teniamo
a mente queste differenze per arrivare finalmente a noi. Oggi si dice che non
ci sia più la contrapposizione destra-sinistra (anche se da sinistra si tende,
pavlovianamente, a riproporla comunque e dovunque), sostituita da quella
sovranismo-globalismo.
L’attrazione è fatale. I globalisti sono (sarebbero) per una
società aperta; per lo scambio di idee, merci e persone; a favore delle
ideologie “liquide”.
I
sovranisti sono (sarebbero) per una società più riferita alla nazione; per un rallentamento, se non
cessazione, dello scambio di idee, merci e persone; per idee tradizionaliste da
difendere, perciò rigide.
Benvenuti
nel nuovo secolo, si potrebbe dire. Ma è proprio così?
Che
cosa significa ‘sovranismo’?
Prendiamo
il sovranismo. Detto in una parola: ciascuno per sé e (si spera) Dio per tutti.
Corollario implicito: se tutti fossero sovranisti, i problemi sarebbero
risolti. Prendiamo il primo di questi problemi, cioè l’immigrazione
dall’Africa. Salvini, in quanto sovranista, dice l’Europa s’accolli il problema di
queste persone che cercano rifugio da noi.
Questo
sarebbe perfetto se tutti gli altri paesi europei fossero (o diventassero)
coerentemente globalisti. Il leader con cui ha però maggiori sentimenti di
vicinanza è Orbán, il re dei sovranisti, il quale, per essere tale, non vuole
accogliere nessuno.
La signora Merkel non è sovranista, naturalmente, ma
non vuole gli immigrati neppure lei, e neppure quelli che arrivassero da altri
paesi europei, Italia in primis. Macron è il nemico numero uno dei sovranisti e
contro di loro spende parole infiammate. Però non accetta che la Francia
accolga le navi del Mediterraneo. Come la mettiamo?
In
sostanza sono tutti sovranisti nei fatti, ma divisi nel riferimento ideologico.
Che vuol dire ‘globalista’?
Andiamo
ai globalisti. Intanto, il ruolo di globalista sta meglio a chi ha una taglia
maggiore. Non è necessario, ma è più “naturale”.
Fondamentalmente
abbiamo tre paesi globalisti: gli Stati Uniti, la Cina e la Russia.
Poi
c’è un non-paese che è (sarebbe/dovrebbe essere) globalista per sua natura,
cioè l’Europa, ma è appunto un non-paese, o meglio un paese non ancora compiuto
(si spera che lo diventi).
Trump
vuole rafforzare la politica globale del suo paese rafforzando la capacità di
produrre reddito, mette perciò nuovi dazi e affronta una battaglia commerciale
globale.
Il paese globalista quasi per mandato divino
(basta rileggere la Dichiarazione di Indipendenza di quel paese e i discorsi
dai padri fondatori fino a Obama) agisce oggi da sovranista.
La
Cina, che insidia fortissimamente la leadership globale degli Stati Uniti, ha
un programma globalista formidabile (si veda la loro politica in Africa,
l’acquisto del debito americano e gli immensi investimenti nella tecnologia),
ma è totalmente sovranista nella politica interna, improntata a quello che i
sovranisti di tutto il mondo fanno o sognano di fare.
Resta la Russia, ma il discorso, in scala molto
ridotta, è pressoché uguale a quello che vale per la Cina. L’Europa di tutto si
occupa tranne che di rafforzarsi come sovrana di sé stessa. Perciò discorso
rinviato.
Allora
anche i globalisti, in fondo, rivelano, o come politica interna o estera,
programmi che possono, senza troppe forzature, essere definiti sovranisti.
Ovviamente
c’è un abisso incommensurabile tra la meravigliosa apertura interna della società americana, globalista
per natura e gli altri paesi autoritari per vocazione. Però il segno sovranista
che Trump ha impresso alla politica estera americana ha il suo peso.
Tutti
sovranisti, allora?
È
difficile negare totalmente questa affermazione, con i mille distinguo di cui
si è detto o che si potrebbero dire. Se così fosse che fine farebbe la
contrapposizione che sembra così evidente tra sovranisti e globalisti?
O, per
riformulare meglio la domanda, cos’è davvero la visione globalista? Che natura
ha? Dove si esplica?
È il nuovo sinonimo per dire sinistra? Qual è il suo nucleo di verità, di
emozione, di visione politica che si possa abbracciare, sentendo che questo
abbraccio ci eviterà quel sovranismo autoritario a cui non desideriamo
approdare?
Conviene
dire anche quello che il globalismo non può essere.
Quello
che il globalismo non può essere.
Non
può essere assenza di identità.
Il cittadino del mondo è una fantasia: ognuno
appartiene a qualcosa di terragno (la sua città, o il suo quartiere, o la sua
nazione o qualunque altra cosa). In fondo solo (o quasi) il pensiero cristiano
propone un’identità universale fondata sulla persona).
Pensate
al progetto impossibile dell’esperanto. L’ipotesi è di una lingua
universale, che prenda le regole migliori da ciascuna e le amalgami per farne
una sola lingua, che possa essere parlata in tutto il mondo. Progetto
meraviglioso, ma meravigliosamente fallito.
Ogni
lingua crea e nutre una identità: togliere la lingua significa togliere l’identità. E
chi davvero parla bene una lingua straniera, sa che gli è impossibile, se non
si immedesima (o prova a farlo) nella cultura e nella realtà del popolo da cui
quella lingua trae origine.
Non
può essere scambio di merci senza nessuna regola. Il vecchio Marx sosteneva che ogni
economia capitalistica tende al monopolio. Si sbagliava.
Ma si
sbaglia anche chi pensa che l’era della finanza globale sia come la situazione
di perfetta concorrenza e equa distribuzione delle risorse, ipotizzata dai
manuali di economia e su cui si basano le leggi di libero mercato.
Oggi
il fatturato delle maggiori aziende capitalizzate americane vale molto di più
del Pil di interi paesi, e non irrilevanti.
Detto
in termini meno teorici: i salari occidentali sarebbero annientati dalla concorrenza
sic et simpliciter dei lavoratori che vengono pagati un decimo o un centesimo
di quelli occidentali;
le
risorse naturali di un paese potrebbero essere acquistate con un semplice
battito di ciglia da un’impresa top mondiale; chi controlla le tecnologie
potrebbe usarle per destabilizzare (o peggio) qualunque paese. Perciò il
commercio mondiale è causa di ricchezza per tutti, ma non può essere una ideologia senza
limiti per nessuno.
Non
può essere l’abbattimento dei confini delle nazioni.
Demografia
dell’Africa ed economia dell’Europa sono asimmetriche: la prima cresce a un
ritmo esponenziale, la seconda è quasi ferma. La conseguenza è una spinta
epocale verso l’Europa. I confini sono necessari, ma la porosità dei confini è
altrettanto necessaria.
Detto
più chiaramente: nessuno può pensare di abbattere i confini, materiali, ideali
o astratti che siano.
Si
veda al punto precedente dell’identità. Però nessuno ha mai pensato (salvo i
regressisti) che il confine sia un muro o una barriera impermeabile.
Un
confine è qualcosa che è bene sia messo in discussione, superato, spostato ogni
volta di un pezzo, sia materialmente sia idealmente.
Avere
un confine ed essere permeabili: oltre è impossibile andare.
Persino
gli Stati Uniti, una delle rare nazioni che si è formata unendo stati diversi,
piuttosto che dividendo stati esistenti, è una federazione che mantiene e
coltiva la diversità tra gli stati.
Società
aperta e società chiusa.
Allora,
se le cose sono così complicate, se la differenza non sta nel sovranismo e nel
globalismo, la frattura politica di questi anni (soprattutto di quelli a
venire) sta da un’altra parte.
Forse sta proprio tra una società aperta, occidentale,
dai valori liberali e una società chiusa, dimentica della sua nascita,
statalista, autoritaria.
Questo
sì che può incendiare i cuori.
Questo
sì che riconnette parole e cose. Questo sì che parla della nostra identità in
divenire.
(Antonio
Preiti)
Un
No-global a tutto tondo.
Generation-online.org - Antonio Castronovi – (19 Gennaio 2018)
- ci dice:
Quelli
che sono in alto hanno dichiarato guerra ai popoli. Come resistere, come ricostruire
comunità solidali passando “dalla cooperazione per competere” alla
“competizione per cooperare” per dirla con Bruno Amoroso? La priorità, al tempo
della globalizzazione, dovrebbe essere liberare territori e comunità. “La
globalizzazione non è un fenomeno oggettivo della modernizzazione, è una forma
contingente assunta dal capitalismo – scrive Amoroso -, uno stadio particolare
ed eventualmente, il suo ultimo stadio. È il capitalismo nella sua forma più
maligna, poiché si diffonde come una forma tumorale; come una metastasi si
concentra su poche aree strategiche, … sul resto enormi effetti distruttivi.
Con buona pace delle moltitudini di Toni Negri e dei new-global della
globalizzazione buona…”. Mondializzazione, comunità, bene comune: un viaggio nel
pensiero di Bruno Amoroso.
Il 20
gennaio di un anno fa ci ha lasciati Bruno Amoroso, economista e saggista
italiano, allievo di Federico Caffè (qui gli articoli inviati a Comune). Per
ricordarlo pubblichiamo questo articolo (titolo originale Mondializzazione e
comunità, lavoro e bene comune in Bruno Amoroso), uscito in Ciao Bruno
(Castelvecchi) di Antonio Castronovi.
“Ci
sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e
sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi,
però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”
(Bertolt Brecht, In morte di Lenin).
(Antonio
Castronovi)
Da
alcuni anni, anzi decenni, è in corso nel mondo una guerra che è stata definita
come “terzo conflitto mondiale”. I protagonisti ne sono le élite globali del
capitalismo triadico che la combattono – con gli strumenti della guerra
democratica, della politica, del terrorismo, della guerra economica e delle
guerre di religione – contro i popoli, gli stati sovrani, le comunità locali
che non intendono sottomettersi ai diktat della omologazione del mondo ai
dettami dell’impero globale. Non ci sarebbe posto nel mondo globalizzato per i
popoli e le comunità che praticano la sovranità nei loro territori, che aspirano
a vivere in territori de-globalizzati e liberi dal dominio delle transnazionali
e della finanza, che aspirano alla sovranità politica ed economica, orientate e
centrate sullo sviluppo locale, sull’autodeterminazione, sulla democrazia
sovrana. Lo scontro in atto è tra fautori di un mondo unipolare e fautori di un
mondo multipolare. Questa guerra distrugge e disintegra stati, nazioni, popoli
ed economie locali e nazionali attraverso le guerre democratiche e religiose,
la depredazione delle risorse pregiate, il monopolio e la privatizzazione della
conoscenza e attraverso le migrazioni forzate di milioni di disperati e
profughi ambientali, di guerre e di conflitti religiosi, verso altri paesi,
specie europei.
Come
affrontare il presente stato del mondo? Come schierarsi in questo immane
conflitto che divide e supera le antiche contrapposizioni tra destra e
sinistra? Schierarsi dalla parte della globalizzazione, universalizzando i
diritti umani contro i nazionalismi e i “vecchi” Stati-Nazione, oppure dalla parte
dei no-global e propugnare una de-globalizzazione del mondo, difendendo spazi
di sovranità di popoli e comunità in un quadro di nuova solidarietà e
cooperazione reciproca per rispondere alla sfida della mondializzazione? Come
si ricostruisce una comunità solidale passando “dalla cooperazione per
competere” alla “competizione per cooperare” per dirla con le parole di Bruno
Amoroso?
Come
affrontano questi dilemmi l’opera e il pensiero di Bruno Amoroso? Sono convinto
che per rispondere a queste alternative, sfuggendo da tentazioni new
globaliste, occorra sporcarsi le mani e interrogare e attraversare i vari populismi,
nazionalismi, sovranismi, l’opposizione popolare all’immigrazione, le domane
identitarie, le comunità ribelli, e interpretarli come forme, anche se non
tutte accettabili, della attuale resistenza alla globalizzazione.
La
parola d’ordine prioritaria dovrebbe essere quella di “liberare” territori,
comunità, nazioni, popoli dal potere globale e dalle sue influenze locali: è
l’”agire locale e pensare globale” del primo movimento no-global. La
rivoluzione, che in parte è già in atto in forme a noi estranee, sarà
innanzitutto politica e non economica, e sarà dei popoli contro la attuale
globalizzazione e i suoi poteri. I lavoratori, orfani della classe e del
partito operaio e rivoluzionario – illusi prima e vittime poi del fallimento
dei miti del progresso e della rivoluzione proletaria – devono provare a fare e
a farsi popolo e mettersi alla testa o comunque diventare parte del movimento
di resistenza nelle comunità, nei territori, nelle nazioni, contro il dominio
della globalizzazione. Il fronte del
conflitto nel mondo oggi passa, infatti, nella divisione tra globalizzatori e
antiglobalizzatori, tra unipolaristi e multipolaristi, che destabilizza le
antiche divisioni tra destra e sinistra storica incentrata sul conflitto
capitale-lavoro, e su quello democrazia-autoritarismo. “La lotta alla
globalizzazione – afferma Amoroso – non viene dal centro, dalla destra o dalla
sinistra, ma da forze trasversali, in quanto le vecchie divisioni non
rappresentano più i poli del conflitto” (Per il Bene Comune). Esistono,
infatti, oggi nel mondo una destra e una sinistra sia globalista che
antiglobalista. La sinistra
globalizzatrice parla di diritti universali ed è antisovranista e cosmopolita
come le élite globali. La sinistra no-global aspira e lotta invece
per un mondo multipolare che cooperi fra
popoli, stati, regioni, nazioni, comunità per una economia sostenibile e
solidale radicata nei territori e nelle comunità sottratti al dominio e al
controllo delle grandi multinazionali e governati da popoli sovrani. Il disegno
dei globalizzatori liberisti è il dominio sul mondo, regolato da un solo
potere, quello delle transnazionali e dei loro organi, senza stati sovrani ma
frantumati in protettorati divisi tra loro per linee etniche e religiose, per
poter essere più facilmente dominati. Non c’è posto in questa visione del mondo
per grandi Sati meso-regionali come la Russia, la Cina, l’India, per l’Europa
politica e federata, perché troppo grandi e perché ostacolano il potere e il
pieno dispiegarsi degli interessi dei globalizzatori e dei loro stati-guida,
USA e Gran Bretagna. Il sovranismo è una bandiera in prevalenza delle élite
locali e statali di destra tradizionale, non inserite fra le élite globali, che
resistono alla omologazione e alla distruzione della loro sovranità minacciata.
Questi Stati vengono additati come stati-canaglia e antidemocratici, quindi da
destabilizzare anche attraverso le “guerre umanitarie” o condotte per procura,
oppure attraverso rivoluzioni finanziate ed orchestrate dalle élite globali,
come le cosiddette “rivoluzioni colorate”.
Penso,
senza tema di sbagliare, che Bruno Amoroso sia stato tra i più convinti e
combattivi sostenitori di una lotta senza tregua alla globalizzazione e ai suoi
apologeti, che lui ha definito come progetto criminale. Così lui la descrive:
“La globalizzazione non è un fenomeno oggettivo della modernizzazione, è una
forma contingente assunta dal capitalismo, uno stadio particolare ed
eventualmente, il suo ultimo stadio. È il capitalismo nella sua forma più
maligna, poiché si diffonde come una
forma tumorale; come una metastasi si concentra su poche aree strategiche,
..sul resto enormi effetti distruttivi. Con buona pace delle moltitudini di
Toni Negri e dei new-global della globalizzazione buona” (Persone e Comunità).
Citando K. Galbraith (Lo Stato Predatore) definisce, nè Il Bene Comune,
criminale e predatorio il sistema della globalizzazione: “Lo stato industriale
– scrive Galbraith – è stato sostituito dallo stato predatorio, una coalizione
di instancabili oppositori ad ogni idea di interesse pubblico che ha lo scopo
di controllare la struttura dello stato per dare potere a un’alta plutocrazia
provvista solo di obiettivi immorali e di rapina”.
Lui è
stato, senza dubbio alcuno, un no- global a tutto tondo!
Mondializzazione
e comunità.
C’è
una domanda e un bisogno di comunità crescente nel mondo, anche nei paesi che
hanno vissuto la stagione dell’abbondanza e della ricchezza e che soffrono oggi
i morsi della crisi e dell’emarginazione progressiva dal nucleo dei paesi più
forti della economia della Triade. Questa domanda e questo bisogno trovano
risposte diverse e non sempre piacevoli e condivisibili – il ritorno alla
sovranità, alla Stato-Nazione, al nazionalismo o alle comunità e alla
cooperazione fra Stati – ma hanno un comune carattere: contestare e
contrapporsi alla globalizzazione dei vincenti. Tardano invece a trovare
risposte da parte delle culture e del pensiero della vecchia sinistra sociale e
politica. Anzi, a tale bisogno di ricucitura dei legami comunitari, distrutti
dal capitalismo globalizzato, si risponde in prevalenza con le categorie
dell’universalismo e dei diritti universali, rinnegando o avversando queste
aspirazioni alla sovranità e alla comunità delle popolazioni – derubricate come
populismi – spingendo così questo legittimo bisogno di sicurezza popolare verso
ideologie e pratiche razziste ed identitarie. Chi ha conosciuto Bruno sa che
spesso le sue posizioni eretiche in politica potevano procurare “scandalo” per
le preferenze da lui spesso accordate a posizioni antisistemiche, rispetto a
quelle politically correct, quando erano orientate a contrastare l’oligarchia
finanziaria europea o a difendere il capitalismo nazionale.
Bruno
non avrebbe certo disdegnato di autodefinirsi “populista” o di polemizzare
contro quelli che etichettano i vari
populismi come proto-fascismo diventato questo, purtroppo, uno slogan
semplificatorio di una certa sinistra
rivoluzionaria globalista nonché della vecchia sinistra neo-liberista
dal “volto umano”, che osteggiano come
“sovranisti” quelli che vogliono ricostruire comunità riunificando le
comunità frantumate dalla globalizzazione e dalla
finanziarizzazione capitalistica e che sostengono la necessità che popoli e territori lottino per
riconquistare autonomia scollegandosi
dal mercato globale. È, questa, una sinistra incapace di distinguere fra
mondializzazione dei mercati (tendenza insita nella natura del capitalismo fin
dalle sue origini) e globalizzazione, che è la forma assunta dal capitalismo
triadico contemporaneo. Senza comprendere o voler comprendere che la
globalizzazione è la risposta delle élite dominanti dell’occidente al processo
di mondializzazione e all’ingresso di popoli e paese nuovi (Cina e India, e non
solo) nell’economia e nel mercato mondiale che si vogliono invece ingabbiare ed
escludere dallo sviluppo. Confusione che porta a esaltare sia la
globalizzazione come apportatrice di benessere per i popoli del mondo per la
sua presunta capacità di liberarli dalla miseria e dall’indigenza, e sia il
cosmopolitismo come forma suprema della moderna libertà!
Devo
confessare un certo fastidio, per non dire rabbia, verso l’ideologia
cosmopolita del nomadismo e la sua esaltazione acritica da parte di questa
sinistra. Nel futuro saremo davvero tutti apolidi? L’ideologia del nomadismo ci
racconta che siamo tutti cittadini del mondo. Sarà vero? O si dimentica che il 99 per cento
dell’umanità è per sua natura stanziale e che il nomadismo e l’emigrazione sono
una tragedia, una rottura forzata con la propria storia e cultura, con le
proprie radici, con le amicizie, con gli affetti e con la famiglia, una
lacerazione profonda nella identità che provoca spaesamento e sofferenze? È
questo il lato oscuro del cosmopolitismo che viene nascosto in questa
narrazione edulcorata del nomadismo! Ma chi sono i veri cittadini del mondo?
Adam Smith, il fondatore dell’economia classica, ce lo spiega nella Ricchezza
delle nazioni: “Il possessore di capitali è propriamente un cittadino del mondo
e non è necessariamente legato a nessun paese particolare. Egli sarebbe pronto
ad abbandonare il paese in cui è stato esposto a una indagine vessatoria per
l’accertamento di un’imposta gravosa e trasferirebbe i suoi fondi in qualche
altro paese dove poter svolgere la sua attività o godersi la sua ricchezza a
suo agio”. Il cosmopolitismo è oggi una ideologia costruita su misura per le
élite del capitalismo globalizzato, per quell’1 per cento che si considerano
“cittadini del mondo” ma senza gli obblighi che la cittadinanza normalmente
comporta. È l’ideologia della libertà irresponsabile.
Ma
“senza comunità non c’è libertà – ci ricorda Bruno Amoroso in L’apartheid
globale – ma solo la concorrenza di tutti contro tutti. Proprio le spinte
disgregatrici della globalizzazione rendono urgente ridefinire il concetto di
comunità. Il primo elemento costitutivo
della comunità è la popolazione. La
globalizzazione immagina sistemi di
società in cui la popolazione non serve, non ha ruolo. Le economie si
delocalizzano rispetto alla gente di cui non hanno bisogno oppure trasferiscono
altre persone da altre comunità all’interno del paese. Non esiste comunità
senza popolazione. Il secondo elemento è il territorio, il radicamento della
popolazione nel territorio. La caratteristica principale della globalizzazione,
invece, è la de-territorializzazione: il territorio non conta perché si può
produrre ovunque… Altro aspetto fondamentale della comunità sono le
istituzioni, basate su forme di rappresentanza dal basso di persone saldamente
ancorate al territorio. La globalizzazione distrugge il sistema istituzionale
esistente e lo evolve in forme tecnocratiche di rappresentanza”.
Bruno
Amoroso è stato un fervente sostenitore dell’idea e del progetto di costruzione
di comunità.
In
Memorie di un intruso è narrato lo svilupparsi del suo senso della comunità a
partire dalla sua precoce militanza nella sezione del Pci di Donna Olimpia a
Monteverde, che si esplicava con la sua attitudine a coniugare la militanza
politica con forme di vita collettive e di svago. Per lui “comunismo” non era
solo espressione di un’adesione ideale ma di una “empatia che trasformava il
gruppo in comunità” e la vita culturale della sezione era animata: si
ospitavano gruppi teatrali e il “teatro
di massa” e le persone del quartiere partecipavano con grande passione alle
domeniche del ballo, alle gite, alle
feste, alle attività sportive, alle cene collettive. Combinare
militanza, amicizia, affetti era l’essenza del suo fare comunità che gli valse
una crescente ostilità nel partito che le considerava estranee e nocive
all’impegno politico.
Scrive
Bruno in Persone e Comunità: “La comunità è una costruzione umana e sociale. Il
locale è la comunità. La sua dimensione è variabile. La cellula fondamentale è
la persona e il suo nucleo di appartenenza (la famiglia, gli amici). Questi diversi
nuclei s’intrecciano tra di loro come anelli olimpici e formano la comunità.
Essa è fortemente connessa a un determinato territorio e con forte identità
culturale. Questo spazio vitale scopre il bisogno di organizzarsi per far
fronte alle sollecitazioni esterne della mondializzazione e della
globalizzazione. Alla mondializzazione la comunità risponde, per far fronte
alla crescente interdipendenza delle varie comunità, con politiche di
cooperazione e solidali nel campo sociale, ambientale e nell’uso delle risorse
(gli anelli e le reti della solidarietà). Alla globalizzazione, alla quale non
ci si può opporre col localismo, (la comunità risponde) con strutture nazionali
di cooperazioni tra Stati della medesima meso-regione per proteggere le
comunità dalle forze omologanti della globalizzazione”.
Questa
concezione della comunità penso debba molto al progetto di Stato
comunitario, propugnato da Adriano
Olivetti e illustrato nel Manifesto programmatico di Comunità nel 1953: “Lo
Stato comunitario… fondato sulla integrazione armonica delle forze del lavoro e
della cultura con quelle della democrazia, su una proprietà socializzata e
radicata agli Enti territoriali autonomi (le Comunità), insisterà sulla
tradizionale separazione dei poteri e sul principio di un nuovo integrale
federalismo interno, inteso nel senso di equilibrio di autonomie tra periferia
e centro”. Visione, questa, coniugata alla “necessità di concentrare gli sforzi
in favore del superamento degli Stati nazionali interamente sovrani e in favore
della costituzione di ordinamenti giuridici superiori, federazioni continentali
o sub continentali”. La Federazione europea, che Olivetti auspicava, “darà
all’Europa autonomia e salvezza, ma ciò stabilmente per sé e in modo esemplare
per gli esterni, solo se federazione è intesa nel senso integrale di
decentramento assoluto, di autonomia generale anche nei confini degli Stati, di
articolazione politica e amministrativa antimonopolistica in ogni senso”.
La
costruzione di un’alternativa al capitalismo globale si fonda per Bruno proprio
su un progetto di alleanze solidali di comunità, di paesi, di nazioni (le
meso-regioni), di tipo federalista, che restituiscano loro la possibilità di
scegliere le proprie forme di organizzazione economica, sociale e politica in
una configurazione policentrica e plurale del mondo.
La
rifondazione delle comunità in un quadro di mondializzazione è la risposta
all’affermarsi della globalizzazione come sistema dell’apartheid globale del
capitalismo triadico dei paesi ricchi contro il resto del pianeta. Lui guardava
alla modernità non dalla prospettiva dei globalizzatori, ma da quella delle
comunità e dei villaggi del mondo per sette miliardi di persone”.
Fare
comunità e “risocializzare” lo Stato, passare dallo “Stato del Benessere” alla
“Società del Benessere”, questo è stato il suo programma e il filo rosso della
sua elaborazione.
Bruno
Amoroso e il sindacato.
Bruno
Amoroso è stato in vita un attento e acuto studioso e osservatore delle
trasformazioni dell’economia-mondo e dei sistemi sociali, in particolare di
quelli scandinavi, nonché del movimento sindacale e del suo ruolo nel sistema
produttivo e nello Stato del Benessere. Fin da giovane, da militante comunista, da osservatore e
partecipe delle vicende sindacali della Manifattura Tabacchi in cui lui lavorò
per un breve periodo – del cui sindacato suo padre Pelino fu segretario
nazionale nella Cgil unitaria – mostrò una capacità straordinaria di saper
cogliere la natura e l’essenza delle questioni in campo. Comprese in anticipo
sui tempi la deriva burocratica in cui stava scivolando il sindacato con la
decisione verticistica del PCI e della Cgil, non più unitaria, di sopprimere la
Federazione sindacale dei Monopoli di Stato per accorparla alla Federazione degli Statali
– con l’umiliante e cinica estromissione del padre dalla direzione del
sindacato – e colse con lucida preveggenza
l’errore della scelta dell’americanizzazione del sistema produttivo
nazionale che anche il PCI e la Cgil a loro modo sostennero.
La Manifattura
Tabacchi a Roma con le vicende sindacali dell’epoca a cui suo padre partecipò,
furono il companatico quotidiano di cui si nutrì la sua formazione e la sua
concezione del sindacato che “trasforma gli interessi corporativi e i bisogni
diversi in un progetto comune di organizzazione aziendale ispirato alla
solidarietà verso i più deboli”. Bruno ricorda che suo padre era solito
“saggiare le sue tesi politiche, o le sue relazioni per convegni o congressi
discutendone in famiglia, sul tavola di cucina fino a tarda notte e questa fu
in parte – racconta – la nostra scuola”. Non amava Bruno i sindacalisti col
sigaro e la sigaretta e poi quelli con la pipa.
Lui amava i sindacalisti alla Di Vittorio che diventarono comunisti per
esperienza di vita famigliare e di povertà e non per scelte ideologiche o per
ambizioni politiche e di carriera personale. Bruno riporta in Memorie di un
intruso una risposta di Giuseppe Di Vittorio alla domanda di un giornalista sul
perché fosse diventato comunista: “Da bambini – rispose Di Vittorio – le nostre
mamme lavoravano sui campi dei padroni dall’alba alla sera per la raccolta
della frutta, ed erano costrette a portarci con loro. Noi venivamo deposti
intorno ad un albero e i ‘caporali’ ci mettevano la museruola per essere sicuri
che non mangiassimo la frutta. Io sono uno di quei bambini ed è per questo che
sono diventato comunista”.
Bruno
era stato un convinto assertore dell’unità del sindacato e del mondo del lavoro
contro le rotture che intervennero nel 1948, ma anche della sua autonomia come
motore di una alleanza popolare più vasta con il ceto medio e i vari e diversi
settori produttivi della società che lui auspicava anche in polemica contro le
tendenze opposte che avanzavano nel partito e nel sindacato.
L’americanizzazione
delle forme di produzione e consumo. Il fordismo e il post- fordismo.
Bruno
Amoroso è sempre stato un critico avveduto
del processo di “americanizzazione” delle forme di produzione e consumo
introdotti in Italia dopo la liberazione e che improntò il miracolo economico
del dopoguerra con una forte crescita e sviluppo del sistema industriale
incentrato sulla grande impresa e con un forte incremento dei consumi popolari.
Il prezzo pagato per questo tipo di sviluppo è inscritto nelle devastazioni del
territorio, nella crescita abnorme delle città, nello spopolamento dei piccoli
centri e nel biblico flusso migratorio da Sud verso il Nord che svuotò le
campagne in pochi anni di oltre due milioni di addetti.
Nel
dibattito all’interno del PCI e del Sindacato convivevano due Italie: quella di
Emilio Sereni che indicava una via alla modernità che includesse il mondo
rurale e contadino, e quella di Manlio Rossi Doria che spingeva per una più
spinta applicazione del modello fordista della grande impresa da estendere
anche alla produzione agricola, per incrementare la produttività del settore.
La
sinistra e il sindacato abbracciarono il modello di produzione fordista
contrastando le posizioni di Emilio Sereni e il modello “comunitario” propugnato da
Adriano Olivetti.
Il
convegno dell’Istituto Gramsci del 1962 sulle Tendenze del capitalismo italiano
legittimò teoricamente questa scelta con l’illusione che questo salto forzato
nello sviluppo sarebbe stato ricambiato con una maggiore partecipazione dei
lavoratori alla spartizione dei dividendi dello sviluppo illimitato e del
crescente profitto. Il sindacato fu così ridisegnato sul modello della grande
impresa fordista, abbandonando il sindacalismo popolare e confederale di Di
Vittorio, per il nuovo sindacalismo contrattualista e verticale degli anni
60-70, che godette dell’introduzione dell’istituto della contrattazione
articolata con i contratti del 1962.
Scrive
in Persone e Comunità: “Il paradigma fordista (grande impresa, economia di
scala, consumi di massa, organizzazione taylorista del lavoro) fu
immediatamente percepito come il paradigma della modernizzazione assunto
passivamente anche dai sindacati e dai partiti operai, socialisti e
comunisti. Il suo effetto fu la
distruzione delle pluralità dei sistemi produttivi e dei saperi locali, dei
territori e delle città, l’emigrazione di massa, il declino dell’artigianato
tradizionale, lo spopolamento delle aree interne montane e collinari,
l’abbandono delle campagne, l’americanizzazione dell’agricoltura e la fine
delle società rurali”, che fornì con gli esodi biblici dalle campagne del
sud la manodopera necessaria per
l’impresa fordista del Nord industrializzato. E così prosegue: “Tutta
l’organizzazione della società e delle città ruota attorno alla fabbrica
capitalistica e la serve. Le strategie sindacali e loro strutture organizzative
furono ridisegnate sul modello della produzione di massa e delle economie di
scala del fordismo. Partiti e sindacato della classe operaia videro nella
crescita accelerata della classe operaia fordista e nel proletariato agricolo e
bracciantile – formatosi con la crisi della famiglia e dell’impresa contadina –
il formarsi delle forze che avrebbero messo in crisi il capitalismo. Il mito
dello sviluppo infinito e del progresso sotto il segno dell’industrialismo
segnò una stagione di lotte e di rivendicazioni del movimento operaio che
arrivò a toccare livelli di consumi e di benessere materiale mai raggiunti
nella storia, né prima e mai più dopo. L’altra faccia nascosta di questo
progresso fu, come denunciava un inascoltato Pasolini, l’integrazione della
classe operaia nel meccanismo distributivo e la sua omologazione culturale in
quello della mercificazione consumistica”.
L’abbandono
del modello di produzione fordista, a partire dalla seconda metà degli anni
’70, da parte del capitalismo “pensante” per rispondere alle crescenti
pressioni redistributive del movimento operaio e ai costi crescenti dello Stato
del benessere – per riprendere il controllo della produzione e dello Stato e
ridurre l’influenza dei sindacati in una fase di sovrapproduzione di merci e di
costi crescenti delle materie prime – colse di sorpresa il movimento operaio e
i sindacati. La vertenza Fiat con la
successiva sconfitta operaia agli inizi degli anni ‘80 segnò una lunga fase
difensiva del conflitto sindacale che,
di cedimento in cedimento, ha accompagnato in questi decenni lo “smantellamento
progressivo del sistema produttivo nazionale e del welfare pubblico, la
de-centralizzazione dell’impresa nei territori,
la fine del ruolo propulsivo dei contratti collettivi”, la
precarizzazione del lavoro, la nascita
dei contratti individuali (Pacchetto Treu) e, infine, il declino stesso del
sindacato.
Scrive
ancora in Persone e Comunità: “Un errore interpretativo della globalizzazione
che ha coinvolto la sinistra e il Movimento Operaio, è stato quello di
concepirla come uno stadio di rilancio del ciclo di accumulazione, con il
risultato di alimentare strategie rivendicative difensive in vista di una
ripresa futura del ciclo espansivo. Il suo effetto è stato quello di non
cogliere la novità propria della natura della globalizzazione che espelleva dal
suo interno aree di mercato e sistemi produttivi, de-centralizzandoli e
de-nazionalizzandoli, per sottrarre la produzione al controllo sociale e
politico locale e nazionale”. Nella sua relazione al seminario del circolo
romano del Manifesto nel 2011 su Lavoro e Territorio all’indomani del
referendum della Fiat di Pomigliano, così concluse questa riflessione: “L’assenza
di questa consapevolezza ha fatto si che siamo rimasti a lungo attaccati alla
speranza di poterci integrare in un modello che non ci comprendeva, anzi ci
respingeva, e per di più a noi in gran parte estraneo. Trascurando invece
scelte possibili di un altro modello di organizzazione sociale, di crescita
territoriale e sociale e di cooperazione sia europea sia mediterranea”.
Bruno
Trentin fu forse l’unico che nel movimento sindacale avvertì nel 1989 la
tempesta che si avvicinava e colse correttamente la novità della fine di un
ciclo storico, dell’epoca dello sviluppo infinito e dell’occupazione come
variabile da questo dipendente, insieme al tramonto di politiche salariali
espansive. Nella sua relazione alla Conferenza di Programma della Cgil di
quell’anno a Chianciano, così introdusse il suo intervento: “Le trasformazioni
delle società industriali, i vincoli crescenti…rimettono in questione la stessa
concezione dello sviluppo economico… ma,
soprattutto, il presupposto economico e ideologico sul quale il sindacato
fondava, sin dalle sue origini, la sua funzione di unificazione del mondo del
lavoro…ossia uno sviluppo economico, pieno di contraddizioni e di
diseguaglianze, ma senza limiti quantitativi di lungo periodo, uno sviluppo
economico «inarrestabile» e, come tale, condizione e garanzia di un progresso
sociale e umano, condizione materiale dell’azione emancipatrice del movimento
operaio; questo presupposto e questa premessa di valore dell’azione solidale
del sindacato sono stati duramente contestati dalle trasformazioni
intervenute..”. E così proseguì:“ Lo sviluppo quantitativo
dell’economia, la crescita della produzione di merci e di servizi, e lo
sviluppo dell’occupazione e del lavoro salariato, che del primo sono stati
sempre considerati come dei fattori derivanti e rigidamente subordinati (delle
variabili dipendenti si usava dire), si scontrano sempre più con dei limiti
oggettivi, strutturali… Al punto che oggi l’idea di progresso, quella di
civiltà e quella stessa di solidarietà sono sempre più associate al rispetto di
questi vincoli e alla subordinazione dello sviluppo dell’economia ai limiti
qualitativi che rimettono in questione i suoi obiettivi e le sue regole”. Aggiunse che era destinata alla sconfitta “una
solidarietà difensiva fondata sulla salvaguardia di un modello autarchico di
sviluppo, sul rifiuto di confrontarsi con le scelte ardue di una nuova
divisione internazionale del lavoro e con la ricerca di una nuova solidarietà
dei lavoratori in Europa”.
Per
proteggere il lavoro da questi rischi
incombenti, delineò così una strategia difensiva fondata sui diritti
individuali e collettivi, sulla valorizzazione della persona e della sua
prestazione lavorativa, sulla formazione permanente, sulla contrattazione anche individuale nel posto di lavoro: “Dobbiamo
compiere il tentativo di ricondurre alla contrattazione collettiva e ad una
difesa solidale dei diritti individuali fondamentali relazioni di lavoro, anche
molto diverse fra loro, che non coincidono più con il modello tradizionale
dell’occupazione a tempo pieno per tutta la vita…. Non crediamo al salario o al costo del lavoro
come variabili indipendenti. Ma crediamo ad una strategia rivendicativa che
liberi tutte le potenzialità culturali e professionali delle lavoratrici e dei
lavoratori e che trasformi la persona al lavoro in un patrimonio ricco e
costoso nella sua formazione.”. Ancora:
“Diventerà sempre più un tema della contrattazione collettiva nei luoghi di
lavoro quella dell’informazione sui percorsi professionali individuali e sui
sistemi di remunerazione individuali, in modo da offrire la garanzia di criteri
trasparenti anche all’estendersi di forme di contrattazione individuale del
salario e delle condizioni di lavoro.”. Caratteristiche queste –
dell’autonomia, dell’autodeterminazione, della libertà e della creatività del
lavoro – che sarebbero state fatte proprie dal capitalismo post-fordista sotto
le sembianze del lavoratore imprenditore di se stesso e artefice del suo stesso
auto-sfruttamento.
Mancò
però in Trentin, ed è mancata nel
sindacato anche dopo lui, la visione di un progetto alternativo al modello di
sviluppo e di produzione fordista e industrialista abbandonato dal capitalismo;
e anche lui fu costretto ad accettare di contrattare nel 1992, con l’accordo
che abolì la scala mobile,
l’arretramento del movimento operaio dalle posizioni conquistate in
precedenza per allineare il paese alle
politiche deflazioniste dell’Unione Europea,
che lo costrinse alle dimissioni da segretario generale della Cgil prima
e all’uscita definitiva di scena successivamente.
L’occasione
persa dal sindacato è stata quella di non aver scommesso sul rilancio dei
luoghi, delle produzioni e dei sistemi produttivi abbandonati al loro destino
dal fordismo prima e dalla globalizzazione poi, ricreando forme di aggregazione
tra produttori locali, rilanciando un nuovo modello di sviluppo a partire dalla
rigenerazione delle città devastate dall’inurbamento selvaggio e dal consumo di
suolo, dal ripopolamento delle zone interne abbandonate con politiche di
sviluppo locale e culturale e mettendo in sicurezza il territorio. Di non aver
offerto in questo modo un’alternativa di mercati locali e regionali al quel
mondo della produzione radicato nei territori, ed estromessi dai mercati della
globalizzazione, attraverso il rilancio dell’Altra Economia, dei mercati
contadini, della nuova ruralità. Da ciò derivava e deriva la necessità di una
alleanza tra questa economia e la società civile per ricostruire comunità di
vita, di produzione e consumo. Invece abbiamo stoltamente continuato sulla
strada delle sconfitte difendendo e promuovendo
lo sviluppo dei grandi centri commerciali delle multinazionali
straniere, che hanno ancor più indebolito
la piccola impresa locale e regionale che fatica a trovare sbocchi autonomi nel
mercato e che ora, ironia della sorte, per effetto dell’automazione
crescente, stanno espellendo
proprio quei lavoratori che avevano giustificato l’iniziale consenso sindacale e politico locale al loro
insediamento nel territorio.
Lavoro
e Bene Comune.
Cos’è
per Amoroso il Bene Comune? “Bisogna evitare, usciti dall’incubo della fabbrica
fordista e del consumismo di massa (con i quali abbiamo perso mezzo secolo di
storia), di inseguire ancora una volta il capitalismo nelle sue convulsioni con il mito delle tecnologie, della società
dell’informazione, della società dei servizi e, ora, con la società della
conoscenza”.
E
ancora: “Decrescita e sobrietà significano partire dai nostri bisogni, dai
bisogni delle comunità -società nelle quali viviamo, per ricostruire intorno a
noi quelle istituzioni, saperi e sistemi produttivi che ridiano spazio ad una
vita normale” e per riscoprire quella che lui chiama “l’acqua calda” della
“buona vita” e del “bene comune”.
Il
progetto del Bene Comune, così introdotto da Amoroso in Per il Bene Comune,
nasce come risposta all’esaurirsi dell’esperienza dello Stato del Benessere,
sorto nel novecento per far fronte alle crisi del mercato capitalistico e ai disastri della guerra e della
ricostruzione successiva. Il suo stretto legame col capitalismo fordista, il
suo carattere prevalentemente corporativo, ne ha segnato anche la progressiva
decadenza con l’affermarsi di politiche neoliberiste di contenimento della
spesa pubblica e del welfare. Il bene
comune è un progetto diverso di società e di modernizzazione che per le società
europee significa anzitutto il “distacco dalla crescita quantitativa e
individualistica e un rifiuto della globalizzazione e delle sue politiche
neoliberali”.
“Il
bene comune non è il singolare di beni comuni, né la somma dei beni
individuali” ma, citando Robert Vachon, Bruno afferma che “è l’essere
comunitario non riconducibile alla somma delle parti e che non può essere
proprietà di qualcuno”. È, continua
ancora in Per il Bene Comune, “l’essenza del progetto, il nucleo fondamentale
della vita materiale delle persone e delle comunità, intorno al quale si
articolano gli obiettivi e le funzioni economiche, sociali e culturali della
società. È quel nucleo che sprigiona i valori, i principi che danno contenuto e
forma in una certa epoca storica al vivere insieme e dal quale si possono
derivare i beni comuni necessari, come strumenti per riavviare un discorso su
una diversa forma di organizzazione sociale e di partecipazione”. Insomma un
nuovo patto sociale che sostituisca lo Stato del Benessere, creato intorno
all’obiettivo della crescita economica, con quello della Società del Benessere
costruita sul Bene Comune.
Così
definito il progetto di Bene Comune, la nuova Società del Benessere non può
prescindere dalla solidarietà tra lavoratori e cittadini, cioè dal concepire il
lavoro come bene comune legato alla comunità e al territorio di appartenenza.
Di
questa concezione del lavoro sono debitore verso l’opera di Bruno Amoroso che
ha nutrito, negli ultimi anni della mia esperienza di dirigente sindacale della
Cgil,la mia rielaborazione, inascoltata,
di un nuovo e diverso approccio al rapporto tra sindacato e società, come chiave del rinnovamento del sindacato stesso e della sua
fuoriuscita dall’orbita dello schema fordista di rappresentanza del lavoro.
Nella
sua Prefazione al mio libro, Il Lavoro tra Globalizzazione e Bene Comune (2006),
individua gli elementi forti della esperienza politica e sindacale in Italia
nella natura popolare del sindacato nel
dopoguerra e nella sua costante preoccupazione di legare rivendicazioni e
proposte parziali a una idea e progetto di società più giusta e solidale.
Infatti, scrive: “Le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori hanno
rappresentato sia la forza maggiore di difesa e di elaborazione di proposte
alternative allo sfruttamento capitalistico e alla degenerazione della società
e del mercato da questo prodotto, sia il punto di fusione di tutte le
componenti e le istituzioni della società civile. L’emancipazione della ‘classe
operaia’ coinvolgeva tutte le componenti personali e sociali della società e
produceva un cambiamento di liberazione (dalle ineguaglianze e dalle
discriminazioni) per tutti”. Questo legame organico tra sindacato e società “si
è venuto via via indebolendo dagli anni Sessanta in poi fino alla rottura verso
la fine del decennio. Le ragioni sono da ricercare nell’affermarsi di un
modello industrialista e fordista di crescita economica che ha plagiato anche i
sindacati e i partiti del movimento operaio acquisendoli così ad una linea di
subordinazione al modello della crescita capitalistica in Italia su basi
corporative”. E così conclude: “Questa è la ragione per il venir meno della
anima popolare del movimento… Ma il primo anello da ricostruire è la
ricongiunzione tra movimento operaio e società civile, sulla base di un
progetto di società fuori della globalizzazione e diverso da quello del
capitalismo di mercato”.
Commentando
nel 2011 un mio articolo su il Manifesto, Ripartiamo dal binomio
locale-globale, nella sua relazione al già citato seminario organizzato dal
circolo romano de il manifesto, così si espresse a proposito di lavoro e bene
comune: “Ricordo che di questo tema si parlò in ambito sindacale. Reagendo al grande
interesse che i sindacati mostravano per l’‘acqua bene comune’ proposi di
trattare invece del tema ‘lavoro bene comune’. Gelo totale, perché avevano
intuito che se il lavoro è un bene comune è compito delle comunità
salvaguardarlo, regolarlo, inserirlo nelle funzioni necessarie, retribuirlo
ecc. Al che tutta l’impalcatura del lavoro e dei suoi diritti costruita per una
società industriale capitalistica crolla. Ma con ciò anche il ruolo che il
sindacato si è disegnato dentro di questa. Dobbiamo prendere atto positivamente
che espressioni recenti anche da parte del sindacato indicano una riflessione
critica su questi temi e sul bisogno di ripensarsi insieme alle altre
istituzioni e organizzazioni della società civile”.
Cioè
il lavoro come bene comune è parte costitutiva dell’essere, del vivere nella
comunità con gli obblighi ed i doveri che ne derivano, esce cioè dalla pura
funzione contrattuale-redistributiva del rapporto di lavoro.
Questo
dato implica che il progetto del bene comune va visto come “superamento della
retorica della solidarietà all’interno de movimento operaio, che non tocca mai
gli interessi costituiti, i diritti acquisiti in una fase storica”. Concludeva
il commento al mio articolo con queste mie parole: “Il lavoro può affermare la
sua utilità e responsabilità verso la società e le comunità locali, solo
pensandosi ed agendo come lavoro non alienato, come produttore consapevole che
crea l’economia e non ne rimane succube”.
Se si riconcilia, quindi, col sapere e si mette al servizio del progetto
di comunità e del bene comune e non di una solidarietà ristretta di tipo
corporativo.
Se
nella fase della fabbrica fordista il luogo classico della socializzazione e
dell’istituzione dei legami sociali e di classe era la fabbrica oggi, con il
decentramento produttivo, non è più così. Lo spazio della socializzazione
ridiviene il territorio, luogo di esistenza-resistenza e di convivenza
quotidiana. E gli attori sociali della trasformazione sono quelli partecipi al
territorio e ai suoi bisogni, a partire dai lavoratori, dalle loro famiglie, e
dalle loro organizzazioni sindacali, dal mondo delle periferie urbane, del
non-lavoro e della precarietà esistenziale. Il lavoro con le sue forme di
esercizio e di rapportarsi alla società e al bene comune assume ora una precisa responsabilità sociale verso le comunità. Se il lavoro è un bene
comune, può essere compatibile con alcune modalità di esercizio corporativo del
conflitto sindacale in particolar modo nei servizi di pubblica utilità, cioè
dei beni comuni sociali? È compatibile con qualsiasi occupazione, anche in quelle
produzioni inquinanti che distruggono e devastano l’ambiente, la terra, l’aria,
l’acqua e la vita – cioè i beni comuni naturali – come nel caso di
Taranto? Come conciliare la
responsabilità sociale del lavoro con il suo essere anche un mezzo di
riproduzione sociale? Come affrontare l’alienazione del lavoro dai fini della
produzione nell’impresa capitalistica, irresponsabile verso le comunità e
l’ambiente vitale? Come rispondere alla domanda di inclusione sociale del mondo
degli esclusi, dei perdenti della globalizzazione, degli operai senza-fabbrica,
dei giovani senza futuro? Sono domande, queste, che attendono ancora risposte
compiute.
Nel
momento in cui l’impresa transnazionale separa territori e sistemi produttivi,
istituzioni e popolazioni, si estranea dalle comunità e dai paesi d’origine e
diventa apolide e globale, si può superare tale processo di scissione solo se
lavoro e impresa, comunità e cittadini diventano partecipi di una rifondazione
del paradigma dell’economia diversa e alternativa a quella impostasi con la
globalizzazione. Il lavoro ritroverebbe così una sua ragione sociale non
alienante ri-mettendo in discussione la stessa divisione operata dal fordismo
fra lavoro e sapere che aveva trasformato l’operaio in gorilla ammaestrato, per
dirla con la celebre metafora di Gramsci in Americanismo e Fordismo.
È,
questa, una sfida ancora aperta per una sinistra che voglia rinascere e
ritrovare le proprie radici popolari e per un sindacato che abbia voglia di
misurarsi con i suoi ritardi e le proprie granitiche in-certezze che certamente
non hanno aiutato lo svilupparsi di un movimento popolare e democratico di
resistenza alla tragedia della globalizzazione capitalistica preferendo spesso
cavalcare il cavallo vincente piuttosto che rischiare le sconfitte in proprio.
In un
mio recente articolo, Considerazioni dalla parte dei vinti, pubblicato su
Comune-info, così concludevo l’ultimo paragrafo destinato al riscatto dei
vinti: “La Storia non è solo un susseguirsi di eventi lineari in cui il passato
sta alle nostre spalle. Essa ci parla anche con il linguaggio e la memoria dei
vinti e degli sconfitti redenti e non solo con quello dei vincitori, affinché
quello che non fu possibile ieri diventi possibile oggi o domani…Non so se un
giorno il mondo cambierà in meglio. Ma
se sarà così, lo sarà non grazie a quelli che sono saliti sul carro dei
vincitori, ma grazie ai popoli vinti ma non domati, alle classi oppresse, ai
sacrifici e alle testimonianze di tutti quelli che pur sconfitti ed emarginati,
non si sono mai arresi”. Grazie anche a
uomini come Bruno Amoroso.
(Articolo
tratto dal libro Ciao Bruno testimonianze e ricordi per Bruno Amoroso amico,
collega, maestro. Edizioni Castelvecchi)
Da Caracas
ad Aquisgrana:
gli USA contro il mondo
multipolare
e lo storytelling sovranista.
Blog.ilgiornale.it
– Cristiano Puglisi – (24-1-2019) – ci dice:
Che
l’annuncio del ritiro delle truppe americane dal teatro siriano fosse
semplicemente dovuto a un cambio nella strategia comunque imperialista della
presidenza degli Stati Uniti (rispetto a quella precedentemente impostata dal
deep state), piuttosto che a una supposta volontà “antisistema” di Donald
Trump, lo si era chiaramente anticipato su questo blog.
Il
caos esploso ieri in Venezuela, con l’autoproclamazione del presidente
dell’Assemblea Nazionale e leader dell’opposizione Juan Guaidò a presidente
della Repubblica in luogo del capo di Stato eletto Nicolas Maduro, appoggiata
dagli Stati Uniti, dimostra ora che le previsioni erano corrette. Ovviamente,
come c’era da attendersi, è partito il coro dei media occidentali, pronti a
chiedere la testa del “tiranno Maduro”.
“Nicolas
Maduro e il suo regime sono illegittimi – ha affermato Donald Trump – e il
popolo del Venezuela ha fatto sentire con coraggio la sua voce chiedendo
libertà e rispetto della legge “
“Ci difenderemo a ogni costo “è stata la
replica di Maduro, rieletto presidente a maggio dello scorso anno con il 67,84%
delle preferenze, sebbene il voto sia stato disconosciuto dall’opposizione per
la scarsa affluenza alle urne.
Il
Venezuela, travolto da una grave crisi economica, è certamente un Paese in
difficoltà. Ma, altrettanto certamente, hanno pesato le dure sanzioni imposte
dagli Stati Uniti, che hanno vietato qualsiasi transazione finanziaria con le
aziende di Stato venezuelane, in primis quelle relative ai bond emessi dal
gigante petrolifero PDVSA, primo motore dell’economia nazionale. Un motore che,
logicamente, fa gola alle compagnie private del petrolio.
Sembra
di rivivere quanto avvenuto, tra il 2011 e pochi mesi fa, con il presidente
siriano Bashar Al Assad. E anche gli schieramenti internazionali seguono le
medesime logiche di allora: da un lato gli Stati Uniti, l’Unione Europea (anche
se, questa volta, in maniera molto più tiepida) e gli altri alleati occidentali
(in testa il Brasile del neo-eletto Jair Bolsonaro), dall’altro, il gruppo di
Paesi che supportano il presidente regolarmente eletto Maduro, tra cui la
Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese.
“Le
dichiarazioni degli ultimi giorni dei dirigenti brasiliani e americani sono
inquietanti”, ha detto il ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov, che ha
promesso a Maduro (che si era recato in visita a Mosca lo scorso dicembre) le
“armi necessarie per difendersi”. Il riferimento ai brasiliani riguardava anche
le dichiarazioni di Jair Bolsonaro che aveva affermato la propria disponibilità
a ospitare basi americane per “bloccare la penetrazione russa nel continente
attraverso Cuba e Venezuela”.
Altro
alleato di Maduro è il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con cui è in
vigore un accordo in base al quale la Turchia raffinerà l’oro venezuelano e lo
utilizzerà come mezzo di scambio per evitare a sua volta le misure USA contro
l’Iran.
Il
sovranismo è stato inglobato dallo storytelling della geopolitica USA?
Quello
cui si sta assistendo è, in realtà, lo scontro tra la superpotenza dominante,
gli Stati Uniti, e le potenze regionali emergenti.
La prima spinge nettamente per conservare un dominio
unipolare sul mondo, i secondi (Cina, Russia, Turchia, Iran e probabilmente in
futuro anche Germania e Francia) spingono invece per spezzare l’egemonia
statunitense e giungere a un mondo multipolare.
Lo si
vede a Caracas, lo si vede con la conferma, fatta arrivare nelle ultime ore
dagli USA a Mosca, dell’uscita unilaterale definitiva dal trattato INF sui
missili a raggio corto e intermedio (che prelude chiaramente a una preoccupante
uscita dal trattato New Start sui missili nucleari intercontinentali…), lo si
anche vede per l’ostilità con cui è stato accolto il cosiddetto Trattato di
Aquisgrana tra Francia e Germania, il cui sodalizio è ormai stato attaccato
anche dall’interno dell’Unione Europea (il presidente del Consiglio Europeo, il
polacco Donald Tusk – da notare che non casualmente la Polonia è uno dei più
solidi partner di Washington in seno al consesso comunitario -, ha affermato
che Parigi e Berlino debbano chiarire quanto prima che la loro iniziativa, che
comprende anche la realizzazione di un esercito europeo, non sia in contrasto
con le finalità dell’unione).
In
questo frangente è ormai chiaro e lampante come non esista più in realtà
nessuna lotta tra sovranisti e globalisti e che questa, inizialmente figlia di
giuste recriminazioni della classe lavoratrice schiacciata dalla
globalizzazione e dalla finanziarizzazione dell’economia, sia piuttosto ormai
evoluta (o involuta, a seconda dei punti di vista) in un prodotto dello
storytelling della geopolitica americana (e finalmente qualche osservatore,
sebbene esterno al circuito mainstream, inizia a prenderne atto…).
Il
globalismo ideologico (ma non quello pratico) è stato de facto già seppellito
dai suoi creatori, gli Stati Uniti, e il supporto ai supposti (ormai è
necessario affermarlo) movimenti sovranisti in giro per il globo (tra cui verrà
presto annoverata anche l’opposizione venezuelana) mira esclusivamente a non
consentire il sorpasso da parte della Cina in campo diplomatico, politico e
militare.
Roma
antica e Stati Uniti
sono davvero
comparabili?
Ilprimatonazionale.it
- Giovanni Damiano – (15 Ottobre 2022) – ci dice:
Tra
l’impero della Città eterna e il dominio americano sono stati spesso istituiti
arditi parallelismi. Alcune similitudini sono innegabili, ma le analogie
storiche rappresentano sempre un rischio.
Senza
cadere in mode attualizzanti e senza cedere al «demone» dell’analogia o a
spericolati parallelismi, qui si tenteranno, semplicemente, due possibili
comparazioni tra Stati Uniti e Roma antica.
In un
articolo del 1999 uscito su Foreign Affairs, e tradotto in italiano nella
silloge Ordine politico e scontro di civiltà (il Mulino, 2013), Samuel
Huntington sin dal titolo definiva gli Stati Uniti La superpotenza solitaria.
Per il
politologo americano, agendo in uno scenario a torto ritenuto unipolare, gli
Stati Uniti stavano diventando «sempre più soli» (p. 309), in quanto percepiti
«dalla maggior parte dei Paesi» (p. 310) come «invadenti, interventisti,
sfruttatori, unilateralisti, egemonici, ipocriti, ambigui, “doppio pesisti”»
(pp. 310-311), e pertanto del tutto dimentichi del fatto che il mondo in cui
agivano era invece «un sistema uni-multipolare con una superpotenza e varie
grandi potenze» (p. 304).
Questo
articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di ottobre 2022.
Il
paragone tra Roma e Stati Uniti regge?
Adesso,
pur in presenza di ragioni sostanzialmente diverse, a cominciare dall’assenza
di reali competitori strategici, non è stata piuttosto la Roma vittoriosa sulle
popolazioni galliche, su Cartagine e sui regni ellenistici (il macedone e il
seleucide) la vera superpotenza solitaria?
Ossia,
una potenza che regnava incontrastata in solitudine, e non tanto perché
contestata – anche se le voci critiche del dominio romano non sono mai venute
meno; una su tutte, quella del caledone Calgaco – ma proprio perché non
esistevano «varie grandi potenze» che potessero in qualche modo minacciarla.
In altre parole, il «sistema internazionale»
dell’epoca, ovviamente relativo al mondo storico e geopolitico in cui agiva
Roma, era, a mio parere, schiettamente unipolare.
La superpotenza
solitaria.
Seppure
in maniera assai schematica, al riguardo sono almeno due i punti su cui occorre
soffermarsi.
Quando Sallustio scrive, in un passo celebre,
che con i Galli «si combatteva per la salvezza, non per la gloria» (Bellum
Iugurthinum 114, 2), si comprende quale sia stato il vero nemico esistenziale
di Roma.
Non a
caso, perlomeno dal sacco di Roma (388 o 386 a.C.) alla battaglia di Talamone
(225 a.C.), che bloccò per sempre le loro avanzate a sud degli Appennini, «i
Galli costituirono per Roma il nemico atavico, l’avversario che faceva paura e
suscitava appunto il metus Gallicus», come scrive Giuseppe Zecchini nel suo Le
guerre galliche di Roma (Carocci, 2009, p. 11).
Tant’è vero che sempre Sallustio ricordava
come l’Italia intera avesse tremato di paura all’epoca della disfatta di
Arausio (105 a.C.), attribuendola appunto ancora ai «Galli» – quando in realtà
Cimbri e Teutoni erano di stirpe germanica – a testimonianza del persistere del
timore da loro suscitato.
Quindi,
paradossalmente, un insieme disomogeneo di tribù, del tutto privo di
centralizzazione «statuale», ha rappresentato, più ancora di Cartagine,
l’autentico nemico di Roma in senso schmittiano, il che ha poi finito per
favorire, in ultima analisi, lo stesso affermarsi dell’unipolarismo romano.
Ma,
per venire al secondo punto, l’obiezione più forte alla tesi unipolarista è
quella della presenza degl’imperi orientali iranici, degli Arsacidi prima e dei
Sasanidi poi, per cui non pochi studiosi hanno parlato, in merito, di bipolarismo.
Io
credo però che tale obiezione sia, in buona misura, infondata. Né i Parti né i
Sasanidi – che pure, richiamandosi entrambi all’eredità achemenide, aspiravano
al dominio universale – hanno mai rappresentato, e nonostante alcune vittorie
anche clamorose (Carre, Edessa), una reale minaccia per Roma: questo sia per un
evidente differenziale di risorse (demografiche, territoriali, economiche,
tecnologiche ecc.), sia soprattutto perché impossibilitate a creare alleanze
antiromane, data l’assenza, nello scenario orientale, di una qualsiasi altra
entità con caratteristiche anche minimamente «statuali», fatto salvo il regno
d’Armenia, non a caso «stato cliente» di Roma.
In
breve, mentre il bipolarismo rimanda a un equilibrio dovuto a una sostanziale simmetria
delle forze in campo, in virtù della quale nessuno dei due attori, da solo o
tramite alleanze, può dominare l’altro, gl’imperi iranici erano, al più,
potenze regionali, mai capaci di mettere in discussione l’egemonia romana o di
sfidarla con una qualche speranza di successo.
Lo testimonia, ad esempio, il fatto che,
mentre Roma ha più volte sconfitto Arsacidi e Sasanidi, sino a conquistarne la
capitale Ctesifonte, grazie alle campagne di Traiano, Settimo Severo e Galerio,
gli eserciti iranici si limitavano a contenderle aree confinarie.
A conferma, soltanto nel VII secolo d.C. la
Persia sasanide, con Cosroe II, sarà in grado di scatenare un’offensiva su
larga scala, avendo però di fronte un impero bizantino all’epoca ridotto
anch’esso al ruolo di potenza regionale.
Un
destino manifesto?
Ora,
proprio in relazione a quel momento storico decisivo in cui Roma aveva
trionfato su tutti i suoi nemici, trasformandosi da potenza regionale italica
in superpotenza «mondiale», è stato Arthur Eckstein, nell’ultimo capitolo del suo
Mediterranean Anarchy, Interstate War and the Rise of Rome (University of
California Press, 2009) ad avanzare un’altra possibile comparazione, chiedendosi se
sia davvero esistito un eccezionalismo romano sulla falsariga di quello americano.
Innanzitutto,
secondo Eckstein, alcune caratteristiche cruciali della Roma repubblicana –
ovvero la bellicosità, la militarizzazione della sua società, una diplomazia
aggressiva, la presenza di un’etica fortemente improntata alla guerra – erano
in effetti condivise dalla gran parte degli altri Stati presenti nello
scacchiere mediterraneo (p. 243), per cui le ragioni di un eventuale
eccezionalismo romano dovranno essere cercate altrove.
Gli
scolari di “Rhodes” guidano
la
presidenza Biden.
Nexusedizioni.it
- Matthew Ehret – (2-5-2022) – ci dice:
Gli
anni recenti, saturati di pandemia, hanno comportato una curva di apprendimento
ripida e spesso traumatica per molti cittadini sulle due sponde dell'Atlantico.
Una rivelazione particolarmente scioccante che è apparsa virale su Internet
negli ultimi giorni ruota attorno alle rivelazioni secondo cui i "Young Global
Leaders" del World Economic Forum di Klaus Schwab sono stati posizionati
tra i governi occidentali e le potenti istituzioni private negli ultimi tre
decenni.
I
video di Klaus Schwab che si vanta del posizionamento di Young Leaders nei
governi di Canada, Argentina, Europa e oltre vengono ora pubblicati
quotidianamente sulle piattaforme di social media, confermando i sospetti di
molti che il World Economic Forum non sia una benigna operazione di business
networking, come questo ha cercato di esternare per i creduloni. Piuttosto, è
qualcosa di molto più oscuro e insidioso.
Istituito
nel 1993 come Global Leaders of Tomorrow e ribattezzato WEF Young Leaders Forum
nel 2004 (alimentato con fondi di istituzioni benevole come JP Morgan Chase e
Bill and Melinda Gates Foundation), oltre 1400 giovani leader (sotto i 38 anni)
dal settore pubblico e privato sono stati formati attraverso il programma.
Coloro che sono stati scelti per diventare membri di questa cricca elitaria,
accettano di partecipare a sei anni di conferenze regolari del WEF con
seminari, focus group e altre esperienze speciali sia a Davos che agli eventi
regionali del WEF, a quel punto si diplomano e diventano "allievi"
che, a loro volta, diventano capaci di nominare futuri giovani leader.
Solo
un piccolo campione delle figure di spicco che sono state istruite e insediate
in posizioni di influenza per far avanzare l'agenda globalista del WEF negli
ultimi 30 anni includono Angela Merkel, Nicholas Sarkozy, Emmanuel Macron, Tony
Blair, Mark Zuckerberg, José Manuel Barroso, Bill Gates, Chrystia Freeland,
Pete Buttigieg, Jacinda Arden (PM Nuova Zelanda), Jack Ma (fondatore di Ali
Baba), Larry Fink (CEO di Blackrock), Larry Page (fondatore di Google), Lynn
Forrester de Rothschild (fondatore del Council for Inclusive Capitalism), Jimmy
Wales (fondatore di Wikipedia), Peter Thiel (fondatore di PayPal), Leonardo Di
Caprio (strumento), Richard Branson (CEO di Virgin Records), Jeff Bezos
(fondatore di Amazon), Stephan Bancel (CEO di Moderna), Pierre Omidyar
(co-fondatore di eBay ), Alizia Garza (co-fondatrice di BLM), Jonathan Soros
(figlio del sociopatico) e, secondo Schwab, lui stesso "metà del gabinetto
canadese" sotto il primo ministro Justin Trudeau.
Per
quanto importante sia tenere a mente questo fatto inquietante, è ancora più
importante non perdere di vista le forze storiche più profonde in gioco e la
vecchia pratica istituzionale di ricerca di talenti giovani sangue su cui si
basa il Programma YGL.
Proprio
come Klaus Schwab non è mai stato il suo uomo in proprio, essendo stato
addestrato dal suo mentore Maurice Strong (co-fondatore del WEF) e dal suo
mentore di Harvard Henry Kissinger, così anche i giovani leader di Klaus Schwab
erano semplicemente una versione moderna di una vecchia pratica che è in gioco
da oltre 114 anni. Questa istituzione più antica è il sistema di borse di
studio di Rhodes e il relativo Round Table Movement, che ha creato sia la
Chatham House nel 1919 che la sua filiale americana, soprannominata "The
Council on Foreign Relations", nel 1921.
Questo
programma è stato incredibilmente influente e ha anche generato immensi danni
nel secolo scorso. Migliaia di giovani americani sono stati formati attraverso
le sale di Oxford sin dalla sua fondazione, che sono poi stati reinseriti nella
loro terra natale con uno zelo simile a un religioso per portare avanti
un'agenda,
la cui portata è veramente poco comprensibile.
L'esempio
dell'amministrazione Biden.
Durante
il primo anno dell'amministrazione Biden, sciami di "Rhodes Scholars"
formati a Oxford furono trascinati in posizioni di potere dominanti nel
panorama della politica interna ed estera americana.
Anche
l'egemonia del Council on Foreign Relations come importante centro di
pianificazione dall'alto per l'"Ordine internazionale basato sulle
regole"
è stata saldamente ristabilita dopo essere stato relegato in secondo piano
durante i quattro anni della presidenza di Donald Trump.
Il
mandato di Trump è stato definito dal presidente del CFR Richard Haass come
"l'aberrazione".
Haass
stesso è un Rhodes Scholar, essendosi laureato all'Oberlin College di Oxford nel 1978.
Il CFR e il programma di borse di studio
Rhodes sono semplicemente due lati dello stesso processo che ha agito come un
pilastro chiave per l'istituzione di operazioni di quinta colonna all'interno
degli Stati Uniti, e della Comunità transatlantica più in generale, durante il
secolo scorso. Sia il CFR che la Rhodes Scholarship sono stati istituiti dalle fortune
illecite di Cecil Rhodes.
La
visione di Cecil Rhodes rivisitata.
Ogni
anno dalla sua creazione nel 1902, oltre 30 giovani studiosi americani di
talento sono stati premiati ogni anno con il privilegio di un lavaggio del
cervello interamente pagato nelle sale dell'Università di Oxford, sulla base delle ricchezze lasciate ai
posteri dal defunto magnate dei diamanti Cecil Rhodes, rima di essere
riassegnati alle loro nazioni d'origine.
Lo
stesso Rhodes era un magnate minerario di primo piano che è stato utilizzato
dai potenti finanzieri di Londra per consolidare le operazioni minerarie in
tutto il Sud Africa, conquistando così il mercato globale dei diamanti e
fondando istituzioni rapaci come DeBeers. Rhodes usò la sua influenza economica
per salire rapidamente nei ranghi delle cariche politiche, diventando primo
ministro della Colonia del Capo, che comprendeva gran parte dell'attuale
Sudafrica, dal 1890 al 1896.
Durante
questo periodo, Rhodes ha supervisionato il vasto furto di terre ai nativi
africani, garantendo anche che nessun nero sarebbe stato autorizzato a svolgere
alcun ruolo nel processo politico, innalzando di tre volte la soglia minima di
censo per accedere al voto.
Rhodes
consolidò il controllo imperiale britannico su gran parte dell'Africa
meridionale dirigendo l'invasione e la conquista della regione a nord di Città
del Capo (l'odierno Zambia e Zimbabwe), che in seguito fu soprannominata
Rhodesia.
Durante
la seconda guerra boera contro la Repubblica del Transvaal (una coalizione di
coloni olandesi e Zulu), la rete di manager imperiali sociopatici di Rhodes, soprannominata
"Milner's Kindergarten", lavorò con Lord Kitchener a introdurre nuove tecniche di
genocidio per la guerra asimmetrica.
Queste
tecniche includevano l'avvelenamento dei sistemi idrici e la creazione di un
nuovo modello di campi di concentramento, che uccisero oltre quarantamila
civili innocenti per fame e malattie.
Commentando
il tasso di mortalità dei bambini nei campi di concentramento, Lord Milner, uno
stretto alleato di Rhodes, affermò che “il tasso di mortalità tra i bambini
piccoli nei campi non era ancora in calo. “La teoria secondo cui, essendo morti
tutti i bambini deboli, il tasso sarebbe diminuito non è così confermata dai
fatti… I forti devono morire ora e saranno tutti morti entro la primavera del
1903.'”
Questo
sistema di campi di concentramento si dimostrò incredibilmente efficace nello
spezzare gli spiriti dei soldati del Transvaal che presto cedettero alla morsa
dell'impero in tutto il Sud Africa. Successivamente fu adottato dai nazisti
durante la seconda guerra mondiale.
I
primi discepoli di Rhodes includevano luminari come Lord Alfred Milner, Sir
Halford Mackinder, George Parkin, WT Stead e l'oligarca canadese Vincent Massey
(solo per citarne alcuni).
I suoi
primi sostenitori includevano figure di alto livello tra l'intellighenzia
britannica, tra cui il principe Edward Albert e Lord Nathaniel Rothschild, che
videro che era necessaria una nuova strategia per fermare la diffusione del
sistema americano e delle sue politiche in tutto il mondo, in particolare sulla
scia della vittoria di Lincoln nel sud durante la guerra civile.
Empire
in Crisis: il crollo dell'unipolarismo della fine del XIX secolo.
Durante
gli ultimi decenni del 19° secolo, per molti stava diventando sempre più chiaro
che i giorni unipolari dell'Impero Britannico poggiavano su fondamenta
instabili. A partire dal 1870, un nuovo sistema multipolare di cooperazione
vantaggiosa per tutti stava emergendo a livello internazionale a causa della
diffusione di sistemi nazionalisti di economia politica, modellati sui migliori
attributi del sistema hamiltoniano americano.
In
Germania, lo Zollverein è stato istituito sotto il cancelliere Bismarck, che ha
unificato lo stato compartimentato attorno a una tariffa protettiva
generalizzata per bloccare il dumping di beni a basso costo dall'estero, unendo
le regioni tedesche attorno al libero scambio interno, al credito produttivo,
allo sviluppo ferroviario, alla crescita industriale e ad altre riforme del
lavoro.
Queste riforme erano state guidate dagli insegnamenti dell'influente economista
tedesco Friedrich List, che formulò il suo sistema durante i suoi cinque anni
negli Stati Uniti. Fu tra i primi a coniare il termine “sistema americano di
economia politica” nel 1827.
In
Russia, il ministro delle Finanze Sergei Witte ha guidato una riforma
parallela, adottando il protezionismo per favorire la crescita del potere
agroindustriale autoctono mentre guidava l'inter-connettività continentale
attraverso la Trans Siberian Railway (realizzata con la Baldwin Locomotives di
Filadelfia), assistita da squadre di ingegneri americani. Witte lavorò a
stretto contatto con una rete di nazionalisti che avevano collaborato
strettamente con Lincoln per salvare il sindacato dallo scioglimento diretto
dagli inglesi durante la guerra civile. Ha avviato la vendita dell'Alaska con
l'intenzione di estendere la ferrovia e il telegrafo attraverso lo Stretto di
Bering e ha lanciato un vasto programma anticorruzione nella stessa Russia.
Protezionismo,
riforme anticorruzione e miglioramenti interni furono adottati in Francia dal
governo di Sadi Carnot e dal suo ministro degli Esteri Gabriel Hanotaux e anche
in Giappone, dove consulenti americani come Erasmus Peshine Smith stavano aiutando il
restaurato governo Meiji ad adottare programmi bancari nazionali e sviluppo
ferroviario.
La
cosa più spaventosa per le alte sfere dell'élite britannica era che questi
sviluppi non erano isolati ai confini di vari stati che desideravano liberarsi
dal dominio britannico della finanza privata e della navigazione marittima: ora
si estendevano oltre i confini. La ferrovia Berlino-Baghdad di Bismarck ne era
un esempio, così come la ferrovia Russia-Cinese attraverso la Manciuria.
I
progetti ferroviari che estendevano la ferrovia Trans Continental di nuova
costruzione attraverso la Columbia Britannica, e poi attraverso l'Alaska e lo
Stretto di Bering in Eurasia, furono discussi da statisti e ingegneri su
entrambe le sponde dell'Atlantico dal momento in cui l'Alaska fu venduta agli
Stati Uniti nel 1867. Questi le discussioni continuarono fino al giorno in cui
Witte fu estromesso dal potere nel 1906. La mappa della Cosmopolitan Railway
del 1890 pubblicata dall'alleato di Lincoln e dall'ex governatore del Colorado
William Gilpin ricorda la traiettoria del tipo di mondo che allora stava
nascendo.
La
crescita di una comunità di cooperazione vantaggiosa per tutti come base del
diritto internazionale era una prospettiva ritenuta intollerabile da molti
devoti darwinisti sociali ed eugenisti della classe dirigente britannica.
Delineando
la sua visione del nuovo paradigma che stava nascendo, Gilpin scrisse nel 1890:
“Le
armi del massacro reciproco vengono scagliate via; le passioni sanguinarie
trovano un freno, una maggioranza della famiglia umana si trova ad accettare
gli insegnamenti essenziali del cristianesimo IN PRATICA… Si scopre spazio per
virtù industriale e potenza industriale. Le masse civili del mondo si
incontrano; si illuminano reciprocamente e fraternizzano per ricostituire i
rapporti umani in armonia con la natura e con Dio. Il mondo cessa di essere un
campo militare, incubato solo dai principi militari della forza arbitraria e
dell'abietta sottomissione. Da queste immense scoperte ed eventi simultanei si inaugura
un nuovo e grandioso ordine nelle cose umane”
[Ferrovia
Cosmopolita p. 213].
Questo
non era un sistema operativo accettabile per gli ideali misantropici degli
ingegneri sociali malthusiani, il cui interesse personale era localizzato nel
mantenere il mondo diviso, ignorante, affamato e in guerra. Qualcosa doveva
essere fatto.
Cecil
Rhodes e la creazione di una nuova religione.
I
primi membri dell'alveare del Rhodes Trust si sono interfacciati strettamente
con la Fabian
Society (social – comunista. Ndr) di Londra per tutto il 20° secolo e
sono diventati la nuova élite disciplinata che gradualmente si è infiltrata
nella società. Questa nuova specie di gestione imperiale esercitò la sua
influenza più o meno allo stesso modo in cui le precedenti operazioni dei
gesuiti erano state formate e dispiegate in tutta Europa a partire dal XVI secolo.
Per
chiunque sia confuso sullo scopo di questo programma di borse di studio di
Rhodhes, non è necessario guardare oltre le "Confessioni di fede" e
le "Sette volontà" di Rhodes del 1877, che richiedeva il dominio
delle "razze inferiori" da parte della superiorità anglosassone,
nonché il massimo riconquista dell'America e creazione di una nuova Chiesa
dell'Impero Britannico:
'Formiamo
lo stesso tipo di società, una Chiesa per l'estensione dell'Impero Britannico.
Una società che dovrebbe avere i suoi membri in ogni parte dell'Impero
Britannico che lavorano con un obiettivo e un'idea, dovremmo avere i suoi
membri collocati nelle nostre università e nelle nostre scuole e dovremmo
osservare la gioventù inglese che passa per le loro mani, solo uno forse su
mille avrebbe la mente e i sentimenti per un tale obiettivo, dovrebbe essere
messo alla prova in ogni modo, dovrebbe essere testato se è resistente, in
possesso di eloquenza, incurante dei piccoli dettagli della vita, e se trovato
tale, allora eletto e legato con giuramento a servire per il resto della sua
vita nel suo paese. Dovrebbe poi essere sostenuto, se privo di mezzi, dalla
Società e inviato in quella parte dell'Impero dove si ritiene che sia
necessario'
In un
altro testamento, Rhodes ha descritto in modo più dettagliato la sua intenzione
di creare un'organizzazione:
'Per
l'istituzione, la promozione e lo sviluppo di una Società Segreta, il cui vero scopo e oggetto sarà
l'estensione del dominio britannico in tutto il mondo.
La
colonizzazione da parte di sudditi britannici di tutte le terre in cui i mezzi
di sussistenza sono raggiungibili con l'energia, il lavoro e l'intraprendenza e
in particolare l'occupazione da parte dei coloni britannici dell'intero
continente africano, della Terra Santa, della Valle dell'Eufrate, delle isole
di Cipro e Candia, l'intero Sud America, le isole del Pacifico non finora
possedute dalla Gran Bretagna, l'intero arcipelago malese, quelle a largo della
Cina e del Giappone, [e] la definitiva ripresa degli Stati Uniti d'America come
parte integrante parte dell'Impero Britannico'.
Descrivendo
il suo pensiero al suo discepolo WT Stead, Rhodes scrisse: "Per favore, ricorda che la
chiave della mia idea discussa con te è una Società, copiata dai Gesuiti per
quanto riguarda l'organizzazione".
Un XX
secolo calamitoso.
Con il
passare delle generazioni, la continuità di intenti che trascendeva le vite
individuali degli attori sulla scena fu mantenuta da alcune organizzazioni che
crebbero dai movimenti originali della Rhodes/Milner Round Table, che ora
avevano rami nei paesi a maggioranza anglosassone che avevano fatto parte dell'Impero
Britannico. Nel 1919, dopo che la Tavola Rotonda aveva preso il controllo dei governi
canadese e britannico durante i colpi di stato del 1911 e del 1916, questo
gruppo creò il Royal Institute for International Affairs (noto anche come
Chatham House).
Nel
1921 fu istituita una filiale americana chiamata Council on Foreign Relations
(CFR), che era composta da Rhodes Scholars e Fabiani e ha mantenuto una
continuità di intenzioni fino ai giorni nostri.
Questa
organizzazione ha generato dozzine di influenti sotto-organizzazioni, che si
interfacciano sempre con una forma di "comando centrale". Quando
Hillary Clinton una volta ha definito il CFR la "nave madre" nel
2009, questo è ciò a cui si riferiva.
Sebbene
sia stato inaugurato nel 1921, la creazione del CFR può essere fatta risalire
allo stesso incontro del 30 maggio 1919 all'Hotel Celeste in Francia che vide
anche la nascita del Royal Institute for International Affairs.
I
membri di spicco tra i 50 delegati angloamericani presenti a quella riunione di
fondazione includevano il leader della Round Table Lionel Curtis, Lord Eustice
Percy, il finanziere tedesco-americano Paul Warburg e il consigliere di Wilson
Edward M. House. Molte di queste figure (tra cui House e Warburg) erano state determinanti
nell'istituire il sistema della Federal Reserve degli Stati Uniti nel 1913, e
si erano anche spinte lontano per finanziare la rivoluzione bolscevica che ha
rovesciato la Russia.
Il
sito web ufficiale di Chatham House ha descritto l'incontro di fondazione nei
seguenti termini:
"All'Hotel
Majestic, Curtis ha tenuto un discorso travolgente in cui ha detto agli
studiosi e ai funzionari riuniti che spettava a loro, persone che operavano
all'incrocio tra alta politica ed erudizione, plasmare la nuova pace educando
il pubblico su questioni internazionali. C'era anche l'aspettativa, sostenuta
dalle connessioni sociali e dalle istituzioni anglo-americane come le borse di
studio di Rhodes, che spettasse alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti
determinare il corso della politica internazionale nel dopoguerra".
Filiali
in Canada, Australia e Sud Africa furono istituite rispettivamente nel 1928, 1933 e
1934.
Sebbene
molti storici si riferiscano al “Council on Foreign Relations” come
"un'organizzazione americana", con la precedente Chatham House che
fungeva da partner minore, la verità è esattamente l'opposto.
Un
giovane studente di William Yandell Elliot di Harvard (lui stesso un importante
studioso di Rhodes) non era altro che l'ex Segretario di Stato Sir Henry
Kissinger che dichiarò con entusiasmo in un evento della Chatham House del 10
maggio 1981:
"I
britannici erano così disponibili che divennero partecipi delle deliberazioni
interne americane, in una misura probabilmente mai praticata tra nazioni
sovrane… Nella mia incarnazione alla Casa Bianca, allora, tenevo il Ministero
degli Esteri britannico meglio informato e più strettamente impegnato di quanto
facessi con il Dipartimento di Stato americano… Era sintomatico"
Non è
esagerato affermare che molti eventi importanti accaduti durante gli oscuri
anni del bipolarismo della Guerra Fredda hanno coinvolto intimamente il ruolo
verticistico dei Rhodes Scholars.
Occupando
posizioni critiche all'interno del Dipartimento di Stato sia negli Stati Uniti
che in Canada, nella burocrazia e nelle Fondazioni delle Nazioni Unite, i
laureati "Rhodes" hanno operato con un livello di disciplina,
entusiasmo e coerenza mai visto in nessun moderno servizio civile imperiale.
Dai
progetti di Escott Reid per la NATO due anni prima che l'organizzazione
anti-russa fosse messa in linea, all'avanzata della Dottrina Truman di George
McGhee, alla guida di Dean Rusk dietro la guerra di Corea, al sostegno degli
Stati Uniti ai francesi in Vietnam e successivamente al coinvolgimento USA in
Vietnam, alla promozione del globalismo e dell'Unione Europea da parte del
senatore J. William Fulbright, ovunque si veda una cattiva idea nascere negli
anni del secondo dopoguerra, c'è quasi invariabilmente un Rhodes Scholar o
"Rhodie" dietro di essa.
Due
anni prima della sua morte, il 12 aprile 1945, il presidente Franklin Roosevelt
ha condiviso le sue preoccupazioni riguardo a questa agenda estera e ai suoi
discepoli che permeavano il suo stesso Dipartimento di Stato, in attesa di
assumere il controllo della politica estera degli Stati Uniti in qualsiasi
momento, quando disse a suo figlio Elliot:
«Sai,
un numero qualsiasi di volte gli uomini del Dipartimento di Stato hanno cercato
di nascondermi messaggi, ritardarli, trattenerli in qualche modo, solo perché
alcuni di quei diplomatici di carriera laggiù non sono d'accordo con quello che
sanno che io pensi. Dovrebbero lavorare per Winston.
In
effetti, la maggior parte delle volte [lavorano per Churchill]. Fermatevi a
pensare a loro: alcuni di loro sono convinti che il modo in cui l'America deve
condurre la sua politica estera è quello di scoprire cosa fanno gli inglesi e
poi copiarlo! Mi è stato detto… sei anni fa, di ripulire il Dipartimento di
Stato. È come il Ministero degli Esteri britannico…».
Naturalmente,
la visione di Franklin D.Roosvelt per un mondo di cooperazione USA-Russia-Cina
e internazionalizzazione del New Deal era più che una piccola maledizione per
la Guerra Fredda, che i Rhodes Scholars avevano preparato in modo da poter
modellare l'ordine mondiale dopo la seconda guerra mondiale. Né Roosvelt, né i suoi alleati né il
suo grande progetto, potevano essere tollerati a lungo.
Mentre
gli alveari dei borsisti di Rhodes sono riusciti a permeare le scuole della Ivy
League, i media, le società private, gli uffici elettivi e il servizio civile
durante il 20° secolo, come esposto nel libro postumo del professor The
Anglo-American Establishment, il premio della presidenza è rimasto un trofeo
sfuggente… fino al giorno in cui uno degli studenti di Quigley tornò da Oxford
e presto divenne governatore dell'Arkansas.
Clinton
apre le cateratte.
Con la
vittoria presidenziale di Bill Clinton nel 1992, dei Rhodes Scholars come Strobe Talbott
(assistente segretario di Stato e co-architetto della Perestroika) e Robert
Reich (segretario del lavoro), sono stati raggiunti da altri
"Rhodies" Ira Magaziner, Derek Shearer (Senior Economic Advisors),
Susan Rice (assistente segretario di Stato per gli affari africani), Kevin
Thurme (capo di stato maggiore dei servizi sanitari e umani), George
Stephanopoulos (direttore delle comunicazioni), Richard Celeste (ambasciatore
in India) e dozzine di altri borsisti di Rhodes. Questi individui furono
incanalati in posizioni di influenza che miravano a supervisionare la
"fine della storia", come celebrata dal pensatore neocon Francis
Fukuyama, mentre l'Unione Sovietica si disintegrava.
Mentre
alcuni Rhodies rimasero in posizioni di potere durante il periodo della
presidenza di George W. Bush, i Rhodes Hives godettero di nuovo di una vasta
influenza nella definizione delle politiche sotto l'era Obama, dove
l'architettura per la governance globale veniva costruita sulle macerie di una
nazione problematica Stati come Libia, Siria e Ucraina.
Nonostante
la battuta d'arresto causata da Trump, la cui vittoria ha interferito con
l'incoronazione di Hillary Clinton, i Rhodies sono creature testarde, se non
altro. Successivamente è stato rivelato nel 2020 che sia Talbott che Rice erano
nel cuore del Russia-gate.
Mentre
era ancora presidente del Brookings Institute nel 2015-17, è stato Talbott a
interfacciarsi con Sir Richard Dearlove e Christopher Steele dell'MI6 nei mesi
precedenti le elezioni inventando e facendo circolare il "dossier losco".
È stata la Rice a rivelarsi essere al centro dell'operazione di preteso
"smascheramento" che ha preso di mira Michael Flynn nel gennaio 2017
per incastrarlo.
Sarebbe il massimo della follia presumere,
come hanno fatto alcuni commentatori, che il ruolo di Talbott in questa
operazione indichi una guida americana nello sforzo di annullare le elezioni
del 2016.
Tuttavia, il fatto è che l'intera vita e la visione del mondo di Talbott sono
state modellate dai principi dell'impero britannico che sono programmati nelle
menti della maggior parte dei borsisti laureati di Rhodes come lui.
Infatti
Strobe Talbott, Bill Clinton e Frank Aller durante i loro giorni a Oxford.
Come
dimostra Jeremy Kuzmarov nel suo recente saggio pubblicato su Covert Action
Magazine, sia Talbott che il suo compagno di stanza di Oxford Bill Clinton
erano stati probabilmente reclutati dalla CIA molto prima di ricevere le loro
borse di studio.
Kuzmarov dimostra anche che Bill Clinton ha
svolto un ruolo chiave nel contrabbandare le memorie di Krusciov fuori dalla
Russia durante una missione di "ricerca" a Mosca.
Il ruolo di Clinton in questa operazione dà un
nuovo significato al ruolo svolto da Talbott nel tradurre quel libro di memorie
in inglese come parte di un'operazione di intelligence anglo-americana molto
più ampia progettata per fare revisionismo sulla storia sovietica.
Fu
anche durante la sua permanenza a Oxford che il giovane Talbott adottò un
impegno quasi religioso per un ordine mondiale post Stati-nazionali.
Al suo
ritorno in America, Talbott è stato cooptato in un ruolo di primo piano nel
bureau della propaganda occidentale, servendo come caporedattore di Time
Magazine.
È stato durante la fine di questa fase della
sua carriera che il futuro Segretario di Stato aggiunto ha delineato il suo
manifesto per il Nuovo Ordine Mondiale in un articolo del 20 luglio 1992
intitolato "La nascita di una nazione globale".
In
quell'articolo, Talbott ha affermato:
"Tutti
i paesi sono fondamentalmente contratti sociali… Non importa quanto permanenti
o addirittura sacri possano sembrare in qualsiasi momento, in realtà sono tutti
artificiali e temporanei… Forse la sovranità nazionale non è stata una grande idea dopo
tutto… Ma
ci sono voluti gli eventi del nostro meraviglioso e terribile secolo per sostenere la causa del governo
mondiale”.
Nel
suo manifesto del 1992, Talbott descrive la NATO come “l'esercizio di sicurezza
collettiva più ambizioso, duraturo e di successo della storia” e poi celebra il
Fondo Monetario Internazionale.
Talbott
ha affermato che “il mondo libero ha formato istituzioni finanziarie
multilaterali che dipendono dalla volontà degli Stati membri di rinunciare a un
certo grado di sovranità nazionale.
Il
Fondo Monetario Internazionale può virtualmente dettare le politiche fiscali,
includendo anche la quantità di tasse che un governo dovrebbe imporre ai suoi
cittadini”.
Prevedendo
il protocollo Blair-Cheney "Responsibility to Protect" che avrebbe
presto giustificato i bombardamenti umanitari di Kosovo, Iraq, Libia e Siria,
Talbott ha sostenuto la distruzione della sovranità nazionale resa possibile
dall'invasione del Kuwait nel 1991, affermando che "Gli affari interni di una nazione erano
un tempo off limits per la comunità mondiale. Ma il principio dell'intervento
umanitario sta guadagnando consenso".
Durante
l'intera presidenza Clinton, Talbott si assicurò che le sue convinzioni
utopiche non sarebbero rimaste inchiostro sulla carta, ma sarebbero state
rapidamente messe in atto, interfacciandosi da vicino con le Open Society
Foundations di Soros e supervisionando la terapia d'urto della Russia negli
anni '90.
La
vendetta della Rice e dei "Rhodies".
Tra i
primi Rhodies che guidano il presidente degli Stati Uniti Joe Biden c'è
nientemeno che Susan Rice, che ora è direttrice del Consiglio per la politica
interna di Biden.
Nel
1990, la Rice ha conseguito il dottorato di ricerca in Relazioni internazionali
presso il New College di Oxford e, nel 1992, ha ricevuto il primo premio
annuale dalla Chatham House per "la tesi più illustre nel Regno Unito nel campo
degli studi internazionali" per la sua tesi "The Commonwealth Initiative in
Zimbabwe 1979-80”.
Nella
sua tesi, la Rice ha elogiato la transizione di pace britannica dopo i 13 anni
di guerra dell'impero contro la liberazione dello Zimbabwe.
(Il
presidente Barack Obama e il consigliere per la sicurezza nazionale Susan E.
Rice parlano al telefono con il consigliere per la sicurezza interna Lisa
Monaco in merito a un attacco terroristico a Bruxelles, Belgio, marzo 2016.)
Descrivendo
il suo amore per Oxford, Rice ha pronunciato osservazioni alla Rhodes House nel
1999 dicendo:
“Essere
alla Rhodes House stasera con così tanti amici, benefattori e mentori è un
privilegio personale. È come un ritorno a casa per me perché molto di ciò che
so sull'Africa è stato scoperto tra queste mura, perfezionato in questa grande
università con il generoso sostegno del Rhodes Trust".
Vale
la pena ricordare che mentre pronunciava queste parole, la Rice aveva
recentemente dimostrato la sua visione del mondo imperiale coordinando la
distruzione di una fabbrica farmaceutica sudanese nel 1998 e minacciando il Sud
Africa di distruzione economica a meno che non rinunciasse quello stesso anno
al suo desiderio di produrre un farmaco anti-AIDS generico e conveniente.
Mentre
prestava servizio come assistente speciale di Bill Clinton e Direttore senior
degli affari africani presso il Consiglio di sicurezza nazionale, la Rice ha
supervisionato un'operazione canaglia della CIA ben documentata che ha
assicurato il sostegno degli Stati Uniti all'invasione della Repubblica Democratica
del Congo da parte dei ribelli sponsorizzati dall'Uganda e dal Ruanda.
Un articolo della New York Review of Books del settembre
2009 di Howard French ha documentato il ruolo della Rice in questa operazione
genocida:
“Museveni
[dell'Uganda] e Kagame [del Ruanda] concordano sul fatto che il problema
fondamentale nei Grandi Laghi è il pericolo di una recrudescenza del genocidio
e sanno come affrontarlo. L'unica cosa che dobbiamo fare è guardare dall'altra
parte".
Durante
queste operazioni che hanno preso di mira i rifugiati hutu, i funzionari delle
Nazioni Unite stimano che oltre 200.000 persone siano state massacrate
semplicemente perché la Rice ha chiesto agli Stati Uniti di "guardare
dall'altra parte".
La
Rice ha lavorato per balcanizzare il Sudan e per promuovere l'intervento
militare nel mondo arabo e africano secondo la dottrina della responsabilità di
proteggere (R2P) con la cooperazione di organizzazioni sovranazionali come la
Corte penale internazionale (CPI), che ha emesso un mandato d'arresto per il
presidente Bashir. Il suo lavoro avrebbe reso orgoglioso Cecil Rhodes.
Non
dobbiamo dimenticare che l'alleanza Sudan-Libia-Egitto sotto la guida combinata
di Mubarak, Gheddafi e Bashir, si era mossa per stabilire un nuovo sistema
finanziario garantito dall'oro al di fuori del FMI/Banca mondiale per
finanziare lo sviluppo su larga scala in Africa.
Se
questo programma non fosse stato minato dalla distruzione della Libia guidata
dalla NATO, dalla spartizione del Sudan e dal cambio di regime in Egitto, il
mondo avrebbe assistito all'emergere di un importante blocco regionale di Stati
africani che, per la prima volta nella storia, modellava i propri destini al di
fuori dei giochi truccati della finanza controllata anglo-americana.
Seguendo
il modello di Rhodes di sfruttamento economico delle popolazioni colonizzate, i
modelli finanziari neocoloniali angloamericani odierni hanno imparato l'arte di
fornire prestiti usurari con molti vincoli e misure di adeguamento strutturale
che assicurerebbero che le popolazioni bersaglio non traggano mai beneficio o
si liberino dal predominio economico di una masterclass che sfrutta la loro
terra e il loro lavoro.
Oltre
a Rice, altri studiosi di Rhodes che emergono in posizioni di controllo
nell'attuale amministrazione Biden includono il consigliere per la sicurezza
nazionale Jake Sullivan, che si è laureato al Magdalene College di Oxford e ha
lavorato sotto Strobe Talbott presso il Center for the Study for Globalization
del Brookings Institute a Yale nel 2000.
Durante
questa volta, Rice aveva anche lavorato come Senior Fellow presso Brookings,
seguito da un periodo come ambasciatore delle Nazioni Unite dal 2009 al 2013 e
consigliere per la sicurezza nazionale di Obama dal 2013 al 2017, mentre
Sullivan è diventato il principale aiuto alla sicurezza di Biden durante gli
anni di Obama.
(Il
consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan discute del viaggio del
presidente Biden in Europa in una conferenza stampa nel marzo 2022.)
La
storia di due sindaci falliti: Buttigieg e Garcetti.
A
causa di una serie imbarazzante di scandali, il laureato "Rhodes"
Eric Garcetti (ex sindaco di Los Angeles) è stato ritirato dal primo governo di
Biden.
Ma
ora, con un anno intero in area di rigore, la riabilitazione di Garcetti è
stata annunciata nel luglio 2021 con la sua nomina ad ambasciatore degli Stati
Uniti in India.
Agendo
come presidente della C40 Cities (una rete di 97 grandi città in tutto il mondo),
e anche co-fondatore di Climate Mayors (che rappresentano 400 sindaci
statunitensi che hanno firmato gli Accordi di Parigi sul clima), Garcetti è una forza trainante del “Green
New Deal”, che è esso stesso parte integrante del “Great Reset” di Klaus
Schwab.
Garcetti
ha reso noto che le sue priorità in India saranno l'espansione del programma
"città verdi" più in profondità nell'India, il lavoro per combattere
le relazioni della Russia con l'esercito indiano e la promozione di una
prospettiva anti-cinese tra l'élite indiana.
(Pete
Buttigieg parla alla Convenzione di Stato del Partito Democratico della
California del 2019 a San Francisco, California, giugno 2019.)
Un
altro Rhodes Scholar ed ex sindaco, Pete Buttigieg, è stato più fortunato di
Garcetti e ha ricevuto le chiavi del portafoglio dei Trasporti, sebbene fosse
stato inizialmente considerato per la posizione di ambasciatore degli Stati
Uniti in Cina.
Sebbene
i conservatori siano pronti a dipingere Buttigieg e i Democratici come
tirapiedi della "Cina malvagia", è stato infatti Buttigieg a dire nel
maggio 2020:
"Pechino vede un'opportunità per mettere in
discussione il progetto americano e la stessa democrazia liberale. Una cosa su
cui puntano sono altri quattro anni di Trump".
Come
ho esposto nei miei precedenti rapporti, lo stesso Soros ha ripetutamente
etichettato le due maggiori minacce alla sua "società aperta" come
1) la
Cina di Xi Jinping e 2) gli USA di Trump,
e
anche recentemente ha chiesto il rovesciamento del presidente X i in difesa di
la sua configurazione preferita dell'ordine globale.
Bruce
Reed: agente politico.
Un
altro Rhodie di nome Bruce Reed era originariamente entrato a Washington come
parte della prima infusione di Rhodes Scholar del 1992 come manager della
campagna Clinton-Gore e successivamente direttore del Consiglio per la politica
interna di Clinton.
Da
allora Reed è stato scelto come il miglior consulente tecnologico di Biden e da
allora ha apertamente chiesto di reprimere la libertà di parola online
annullando la Sezione 230 della legge federale su Internet.
Questa
legge ha mantenuto i proprietari di siti Web liberi da procedimenti giudiziari
sui contenuti pubblicati sui loro siti.
La sua cancellazione schiaccerebbe la
crescente libertà di parola che esiste ancora sui social media.
L'argomento
avanzato da Reed è stato che la Sezione 230 è stata utilizzata da agenti russi
e cinesi per infiltrarsi nell'ecosistema dell'informazione e manipolare le
elezioni occidentali.
Con la
sua abrogazione, Facebook e altri siti di social media saranno costretti a
censurare tutti i reati di pensiero "illeciti" per paura di essere
perseguiti a livello federale.
(L'allora
vicepresidente Joe Biden e Bruce Reed su un balcone dell'edificio dell'Old
Executive Office del complesso della Casa Bianca nel 2013.)
Reed
aveva precedentemente collaborato con Biden nella stesura del famigerato
disegno di legge sul crimine del 1994, che prevedeva condanne a lungo termine a
innumerevoli piccoli criminali, a vantaggio del complesso carcerario di
manodopera a basso costo. Durante gli anni di Obama, Reed ha lavorato come capo
di stato maggiore di Biden e lead handler. Attualmente è anche vice capo di
stato maggiore della Casa Bianca ed è comunemente descritto come un
"agente politico".
Eric
Lander: Rhodie, Genetista e Zar della Scienza.
Uno
studioso di Rhodes particolarmente degno di nota che ha guidato la politica
scientifica degli Stati Uniti tra il 2 giugno 2021 e il 28 febbraio 2022 è il
genetista Eric Lander.
Sebbene
il suo abuso sistematico di dozzine di donne nel suo staff lo abbia costretto a
lasciare la sua posizione di potere e sostituito con il suo collega Francis
Collins, il lavoro della vita di Lander, al ritorno dal suo condizionamento di
Oxford, è stato dedicato all'imposizione della teoria dell'informazione (aka:
analisi dei sistemi matematici) sulla biologia e la genetica.
(Eric
Lander parla alla conferenza scientifica sulla biobanca del Regno Unito, giugno
2018).
Dopo
aver scalato le fila del Whitehead Institute e aver co-fondato il Broad Institute
con il genetista David Baltimore, Lander ha guidato lo Human Genome Project dal 1995
al 2002.
Insieme,
Lander e Baltimora hanno supervisionato un'importante conferenza del 2015 sulla
"nuova era della ricerca biomedica" che ha svelato una nuova
tecnologia di modifica genetica nota come CRISPR.
CRISPR prevede l'uso di enzimi e RNA presenti
nei batteri, che si è scoperto avere la capacità di mirare alle sequenze di DNA
e indurre varie mutazioni.
Mentre
è ovvio che questa potente tecnologia può offrire potenziali benefici
all'umanità come strumento per eliminare le malattie ereditarie, l'incredibile
potere di CRISPR di alterare radicalmente il DNA umano per sempre può causare
danni inimmaginabili se messo nelle mani sbagliate.
Allo
"storico" vertice internazionale sull'editing genetico umano nel
dicembre 2015, il presidente della conferenza David Baltimore ha fatto eco alle
parole raccapriccianti di Julian Huxley, ex capo della società eugenetica
britannica e poi dell'UNESCO, durante il suo discorso di apertura: "nel corso degli anni,
l'impensabile è diventato concepibile. Siamo alla vigilia di una nuova era
nella storia umana".
Nel
gennaio 2021, John Holdren si è congratulato con Eric Lander per essere stato
nominato "Zar" della scienza di Joe Biden (Direttore della politica
scientifica e tecnologica della Casa Bianca), la posizione precedentemente
ricoperta dallo stesso Holdren .
In
questa posizione, Lander ha supervisionato la riattivazione di ogni politica
scientifica comportamentista dell'era Obama come parte di una revisione
tecnocratica del governo degli Stati Uniti che è pienamente allineata con la
Great Reset Agenda del World Economic Forum di Klaus Schwab .
Per
coloro che potrebbero non essere a conoscenza, il Great Reset di Klaus Schwab (a volte definito "l'Agenda di
Davos") è un progetto che afferma di utilizzare il duplice catalizzatore
del riscaldamento globale antropogenico e della pandemia di Covid-19 per
indurre un ripristino di tutti gli aspetti della civiltà (politica, economica,
di sicurezza e culturale), con l'obiettivo finale di realizzare il tipo di
ordine mondiale post-stato-nazione che era stato delineato da Strobe Talbott
nella sua diatriba del 1992 sopra menzionata.
Utilizzando
il pretesto del Covid-19 e la conseguente legislazione di emergenza per
aggirare la FDA e far avanzare le tecnologie di terapia genica ribattezzandole
"vaccini", è iniziato un nuovo esperimento sociale.
La
tecnologia CRISPR è già stata salutata come la chiave per affrontare i ceppi
mutanti di Covid-19 e viene utilizzata come "vaccino" per alcune
malattie tropicali al momento della stesura di questo articolo.
L'ovvia connessione tra le organizzazioni
eugenetiche e l'ascesa delle moderne operazioni di mRNA associate a GAVI e
Astra Zeneca di Oxford, come svelato dalla giornalista investigativa Whitney
Webb, dovrebbe essere tenuta ben presente.
Blinken,
Malley e Soros.
Sebbene
la scelta di Biden per il Segretario di Stato Anthony Blinken non sia lui
stesso uno studioso di Rodi, è un amico di lunga data ed ex compagno di classe
di Robert Malley.
Malley
è uno studioso di Rhodes che in precedenza ha agito come assistente speciale di
Obama e ha servito come suo "uomo di punta in Medio Oriente" presso
il Consiglio di sicurezza nazionale. Nel gennaio 2021, Malley è stato nominato
inviato speciale degli Stati Uniti in Iran per l'amministrazione Biden.
In precedenza, Malley era stato assistente speciale di
Bill Clinton per gli affari arabi israeliani ed è sempre stato profondamente
coinvolto nelle operazioni di George Soros dal giorno in cui è entrato in politica.
Tra il
2016 e il 2021, Malley ha agito come Presidente e CEO dell'International Crisis
Group (ICG), fondato da George Soros e Lord Malloch Brown nel 1994 come
strumento per promuovere guerre umanitarie globali con il pretesto di
Responsibility to Protect (R2P).
Unendosi
a Soros, Malloch-Brown e Malley all'ICG, non dovremmo essere sorpresi di
trovare nientemeno che l'attuale consigliere per la sicurezza nazionale di
Biden, Jake Sullivan.
(Il
Segretario di Stato americano Anthony Blinken alla Lancaster House di Londra,
Regno Unito, maggio 2021.)
Inoltre,
il padre di Blinken, Donald Blinken, si è fatto un nome come uomo di punta di
Soros in Ungheria dal 1994 al 1998, dove ha servito come ambasciatore degli
Stati Uniti facilitando la crescita della Open Society Foundation di Soros.
Successivamente
è stato premiato dallo speculatore ungherese con un "Donald and Vera
Blinken Open Society Archive" (OSA) presso l'Università dell'Europa
centrale di Budapest.
L'università
finanziata da Soros è stata creata sulla scia del crollo dell'Unione Sovietica
e Blinken è stato determinante in quell'operazione.
Il
presidente Viktor Orbán sapeva esattamente cosa stava facendo quando ha espulso
questa operazione straniera dai confini dell'Ungheria nel 2018. All'epoca, il
presidente dell'Università dell'Europa centrale, il conte Michael Ignatieff,
gridò: "Questo non ha precedenti. Un'istituzione statunitense è stata
cacciata da un Paese alleato della NATO”.
Un
seguito sul conte Ignatieff.
È
interessante notare che Ignatieff è lui stesso figlio del globalista Rhodie
Scholar George Ignatieff e pronipote del conte Nikolai Pavlovich Ignatiev
(fondatore della polizia segreta russa di Okhrana), la cui famiglia è stata
generosamente ricompensata per i servizi resi durante il rovesciamento del
sistema zarista in Russia.
Questa
storia è parzialmente raccontata nell'articolo Permanent War Madness di Cheney
Revives Parvus di Jeff Steinberg (2005).
Come
nota a margine, il bisnonno di Michael Ignatieff da parte materna non è altro
che George Parkin, il primo controllore del Rhodes Trust dal 1902 al 1922 e
l'uomo le cui lezioni e libri di Oxford hanno ispirato Cecil Rhodes e Milner a
dedicare la propria vita alla causa dell'Impero.
Michael
è anche un membro del consiglio globale della Open Society Foundations di
Soros, guidata da Mark Malloch Brown.
(George
Soros all'Annual Meeting 2013 del World Economic Forum di Davos, Svizzera.)
Come
ho esposto in un recente rapporto, non solo questi due dirigenti di livello
superiore sono emersi come figure centrali nelle recriminazioni per frode
elettorale che circondano le elezioni presidenziali americane del 2020, ma
entrambi hanno anche aperto la strada alla nuova era delle rivoluzioni colorate
del cambio di regime che iniziò con la cacciata di Marcos nel 1986 durante la
rivoluzione del potere popolare nelle Filippine e da allora ha attraversato i
Balcani, la Georgia, l'Ucraina, il Kirghizistan, la Bielorussia, la Moldova, la
Bolivia, ecc.
Alcuni
pensieri finali.
Sebbene
il Rhodes Trust sia stato vicino al nesso causale di gran parte della storia
mondiale recente, nessuno dovrebbe presumere che ogni Rhodes Scholar sia
colpevole per associazione, proprio come non si possono fare tali ipotesi su
ogni giovane leader del WEF di Klaus Schwab.
È un
fatto innegabile che alcuni borsisti Rhodes hanno rotto con la loro formazione
e hanno continuato a vivere vite utili. Non vedo alcun motivo per presumere, ad
esempio, che l'attore/cantante e studioso di Rhodes Kris Kristofferson abbia
giocato un ruolo nefasto in qualcosa (anche se alcune delle sue scelte
cinematografiche erano un po' deboli).
Allo stesso modo, il canadese John Turner ha
fatto alcune cose molto utili nel suo breve periodo come Primo Ministro
canadese, cosa che gli è valsa le ire di molti unipolarismi che allora
promuovevano il NAFTA, Maastricht e l'Euro.
La
cosa fondamentale da tenere a mente è che ondate storiche più lunghe stanno
plasmando il presente più di quanto la maggior parte degli storici vorrebbe ammettere.
Chiunque
adotti un approccio all'analisi storica basato sull'intenzione arriverà a
riconoscere abbastanza rapidamente che gli eventi accaduti secoli fa hanno un
impatto attivo sugli eventi che si svolgono oggi.
Come e
perché è così? Perché la storia è plasmata dalle idee. Buone idee che sono in
sintonia con la natura veritiera della realtà vs cattive idee che non sono in
sintonia con detta realtà.
Questa
battaglia sulle idee (e le idee sulle idee, ad esempio: l'ipotesi superiore di
Platone) è dove si trova il nesso causale della storia universale.
Con
questo in mente, possiamo vedere chiaramente come alcune persone usano la loro
influenza per cospirare e creare istituzioni culturali e politiche che
trasmettono quelle idee e principi organizzativi attraverso molte generazioni.
A
volte troviamo che queste forze agiscono in armonia con la legge naturale e
talvolta molto in contrasto con la legge naturale.
La
battaglia odierna tra i paradigmi opposti dell'alleanza multipolare guidata da
Russia e Cina da un lato e la visione del mondo unipolarista/post-stato
nazionale dall'altro, ha tutto a che fare con queste onde lunghe della storia.
L'unico modo per comprendere le ideologie che
spingono il mondo verso una nuova cortina di ferro oggi e per gestire le quinte
colonne internazionali attraverso le molte nazioni del mondo è riconoscere
questa realtà superiore.
Questo
esercizio può far pensare a pensare diversamente, e in un primo momento può
essere scomodo, ma proprio come la figura uscita dalla caverna che lentamente
abitua i suoi occhi alla luce del sole e della realtà, la soddisfazione di godere di un
ordine superiore di veridicità è incomparabilmente più piacevole per una vita
che crede nelle ombre proiettate da una classe d'élite di burattinai.
(unlimitedhangout.com/2022/03/investigative-reports/the-rhodes-scholars-guiding-bidens-presidency/)
Russia:
esempio di difesa
della
sua civiltà.
Semanariouniversidad-com.traslate.goog
-Daniel Martinez – (30-3-2022) – ci dice:
Molte
scuole di geopolitica studiano la dialettica delle ecumeni di civiltà, su come
costruire grandi blocchi in base alla loro civiltà, come base per raggiungere
una soglia di potere che consenta loro di contestare la difesa dei propri
interessi, contro attacchi di terzi, nel panorama della politica
internazionale.
In
questo senso, ci sono due approcci:
1- la costruzione unipolarista: l'Anglosfera,
che impone un progetto unipolare globale-finanziario, attraverso il
Commonwealth, a livello politico, e con i 5 Occhi e l'AUKUS a livello militare,
è comprendente anche la strumentalizzazione dell'UE e della NATO come
meccanismi di integrazione di una presunta "civiltà occidentale",
creata dai valori dell'asse protestante anglo-franco-germanico.
A quel
tempo, l'Anglosfera usava mezzi di propaganda per smembrare l'Impero spagnolo
in repubbliche delle banane deboli e sottomesse. Da allora si è concentrato
sulla balcanizzazione del mondo slavo (l'Heartland eurasiatico), in entrambi i
casi è stata utilizzata la guerra dell'informazione: la leggenda nera e i
complessi sono stati inventati contro gli ispanici. Contro la Russia si fa
appello alla manipolazione per generare russofobia, accusandola che i problemi
dell'Europa siano causati dalla Russia, l'isteria è così vasta che sono
arrivato a leggere storici che affermano che anche la caduta dell'Impero
Romano, nel V secolo fu il Colpa dei russi.
L'altro
approccio è il 2- multipolarismo, che cerca un equilibrio nella politica
internazionale, pur rispettando internamente la tradizione, le manifestazioni
culturali e lo sviluppo economico attraverso la piena industrializzazione e un
commercio internazionale equo dinamico, senza sanzioni.
Questa visione è rappresentata nei valori che
la Russia, principalmente, e la Cina difendono. Vale a dire, è un'alternativa
contro l'unipolarità globalista anglosassone.
Entrambi
gli approcci sono sostanzialmente l'espressione della disputa e della
dialettica di stati e imperi e l'adozione dell'uno o dell'altro dipenderà da
molte variabili, che verranno approfondite in un altro articolo.
Crisi
ucraina: una balcanizzazione del dialogo tra civiltà panslave.
Sia la
Russia che l'Ucraina sono popoli slavi. Con una storia comune, di resistenza
alle varie invasioni sia dall'Europa (Carolus Rex, Napoleone, Hitler e un lungo
eccetera), dal sud, con la voracità ottomana della Turchia (sultano dopo
sultano, dal XII secolo), sia come dall'Asia: i khanati e le loro orde.
Dopo
averli sconfitti tutti con l'uso disciplinato del ferro, dell'artiglieria,
dell'inverno e forse, in futuro, dei missili ipersonici Kinzhal (pugnale) e
della balistica termonucleare: Yars, Sarmat, Satan, tra gli altri, nel suo
arsenale di oltre 7.000 bombe.
In
questo senso, dal XVII secolo (Impero russo) e fino al 1954 (Krushev), la
Russia ha annesso territori all'Ucraina; vale a dire, dalla formazione
imperiale zarista all'URSS, a livello politico-amministrativo, la Russia cedeva
territori delle sue province a quella che oggi viene chiamata Ucraina.
Ad esempio a livello locale, è come se
Puntarenas cedesse la sua parte all'interno della penisola di Nicoya, a
Guanacaste, ma all'interno dell'unità territoriale del Costa Rica, come un
unico paese. E nel caso della Crimea (2014), è stato simile all'annessione
pacifica, libera e sovrana del Partito di Nicoya (Guanacaste) al Costa Rica.
Il
problema dell'Ucraina è che si è lasciata influenzare da tutta la propaganda
antirussa occidentale-unipolare, al punto da dare potere politico e mezzi
militari avanzatissimi a bande criminali filonaziste.
E
dalla rivoluzione colorata (guerra ibrida) del 2014, una politica anti-russa
basata sul genocidio è stata stabilita contro le popolazioni di lingua russa
del Donbas e di altri territori, mentre mostrava un atteggiamento sottomesso e
sottomesso al regime degli Stati Uniti. NATO; vale a dire, l'Ucraina è la
versione del tipico governo latinoamericano di gorilla di destra: implacabile
nell'attaccare-reprimere la sua popolazione, ma sottomesso agli Stati Uniti.
Per
quanto riguarda la misura difensiva di un'operazione militare speciale della
Russia per proteggere gli abitanti di lingua russa che vivono in Ucraina, si
sottolinea che si tratta di un'operazione limitata e "politicamente
corretta" (guerra pulita) perché si concentra sulle infrastrutture
militari, non sul terrore contro la popolazione (davanti alla quale cercano il
minor numero possibile di vittime civili), di conseguenza, i grandi mezzi di
(dis)informazione, anglosassoni e le loro colonie europee, accusano la Russia
di: espansionismo e imperialismo. Ma la Russia attacca ciò che rappresenta una
minaccia e non il resto dell'infrastruttura.
Quindi,
i suoi tre obiettivi sono chiari: 1- salvare le popolazioni di lingua russa
della regione del Donbas, 2- smilitarizzare l'Ucraina (non aderire alla NATO),
3- denazificare (perseguire ed eliminare i terroristi).
Questa
guerra sarà lunga nel suo spettro multidimensionale (politico, economico,
mediatico, militare), perché se i tre obiettivi precedenti vengono raggiunti,
finalmente l'obiettivo della Russia è quello di attirare l'Ucraina verso il
progetto di civiltà pan-slavo indicato, al minimo possibile costo;
Inoltre,
la Russia ha bisogno di formare qualcosa di simile a quelli che un tempo erano
i suoi confini dell'URSS, sigillando il "corridoio della morte"
(grandi pianure della Bielorussia e dell'Ucraina), questo significa un passo
nella sua sicurezza nazionale, per difendersi dagli Stati Uniti Gli Stati Uniti
e il loro procuratore NATO.
Pertanto,
i russi stanno adempiendo al loro dovere morale, culturale ed etnico di
salvaguardare l'integrità dei loro fratelli popoli slavi, attirandoli alla loro
protezione, valori e progetto di civiltà basati sulla tradizione e fratellanza
slava, proprio in un momento in cui alcuni lo faranno dobbiamo scoprire che
l'unipolarismo globalista è in caduta libera.
Azzurro.
Conoscenzealconfine.it
– (4 Novembre 2022) - Lorenzo Merlo – ci dice:
Qualche
considerazione relativa a “La Grande Narrazione”, l’ultimo libro di Klaus
Schwab.
Il
potere della comunicazione permette a chi lo detiene di pensare di guidare il
mondo.
È
sempre stato così, ma l’epoca digitale e la relativa capacità tecnologica
consentono ai potentati privati di realizzare un’uniformità dell’informazione
che permetterà loro di dirigerlo verso lidi che non potremo scegliere,
navigando su barconi di cui saremo sguatteri.
Qualche
considerazione relativa a “La Grande Narrazione”, l’ultimo libro di Klaus
Schwab, e al linguaggio con il quale espone le idee del Great Reset.
Che fa
della trasparenza il suo cavallo di battaglia, anzi, il suo vischio per
catturare le ignare e innocenti mosche che, in grande maggioranza, siamo.
L’Intento.
Incalzante.
Quattro libri in sei anni. Dedicati a come è opportuno – secondo loro –
dirigere il mondo.
Loro
sono i potentati della terra. Quelli in prima pagina su tutti i giornali dei
complottisti.
Sono
entità potenzialmente volatili, ma ferree quando radunate intorno al miele a
causa di un comune intento: dirigere il mondo appunto.
Intento
che ha tutti i riflessi sociali e filantropici possibili immaginabili –
possiedono la comunicazione, è normale li realizzino quando, quanto e come
utile all’abbacinante scopo diversivo per il quale sono messi in circolazione –
ma che è mosso dalla soddisfazione del potere.
La
stessa che rende creativo e vivace l’aguzzino finché la vittima non lo supplica
di smettere.
Loro
sono coloro che possono più di molti stati della terra. Hanno una forza
economica maggiore e non hanno debiti, non devono rendere conto ad un
elettorato, stanno là per sostanziale plebiscito, un po’ come il Grande
fratello, finché qualcuno non vorrà lasciare il divano consapevole d’aver perso
la sua vita, d’averla consacrata – per tanto o per poco – a qualcosa che gli
avevano fatto credere contasse.
Loro
occupano posti di potere privato, istituzionale e sovranazionale. Si sono
tradizionalmente nascosti dietro le spalle di politici e giornalisti
stipendiati, ma ora il paravento non serve più. Senza dubbio alcuno.
Nel
quarto libro, “La grande narrazione”. Per un futuro migliore, opera voluta e
diretta da Klaus Schwab e scritta da Thierry Malleret, di recente pubblicazione
presso Franco Angeli editore, c’è tutto il necessario per intendere la modalità
di avanzamento del progetto Great Reset.
Non che prima mancasse il necessario per
riconoscerlo, molti, da tempo, l’avevano riconosciuto e ne avevano scritto.
Vale la pena riprendere il discorso, a causa del tempismo di quest’ultimo
lavoro dedicato a contenere la contro-narrazione dei complottisti.
Questi
ultimi vedono nelle parole e nei fatti del Great Reset – apparentemente
dedicate alla risoluzione dei problemi mondiali, ma di fatto soltanto
espedienti per ridurre i costi del capitalismo occidentale per il mantenimento
dell’egemonia mondiale – la sofferenza sociale, il controllo degli individui
attraverso la digitalizzazione, i danni del 5G, quelli della diffusione delle
nanotecnologie, le strategie di sfruttamento delle pandemie e dei relativi
vaccini, la riduzione delle libertà di movimento e di espressione e molto
altro, come la cosiddetta “cancel culture”, la globalizzazione dei pensieri e
l’uniformizzazione della lingua, lo “sfascio delle identità nazionali”, la riduzione organizzata della
popolazione mondiale e molto altro.
In
funzione di tutto ciò, il patron del World Economic Forum (ossia Klaus Schwab) scrive
chiaro e tondo la modalità di avanzamento del progetto per un futuro migliore.
Egli
sa che un messaggio trasparente porterà con sé quello della credibilità.
Porterà a sé tutto il popolo e il supporto democratico al progetto che ciò
implica.
E sa
anche che quel popolo sarà la sua migliore armatura.
Lo
scrive con semplice autenticità, come fosse in inchiostro azzurro. Proprio il
colore scelto per gli sfondi dei convegni e per le comunicazioni pubbliche, per
il sito del World Economic Forum e per le copertine dei libri.
Pagina
14.
Lo
scrive cristallino. Iniziamo da un brano di pagina 14 del quarto libro dedicato
all’abbrivio del Nuovo ordine mondiale, tratto dal capitoletto “I social media
e l’era delle fake news”.
“Non
sorprende che una ricerca condotta durante la pandemia abbia mostrato un legame
tra l’incertezza e l’ansia legate al COVID e a una maggiore probabilità di
aderire alle teorie del complotto.
È
questo uno dei motivi per cui i potenti movimenti anti-scienza prolungano la
fase di lento declino della pandemia di COVID-19, ostacolando sia la salute
pubblica sia, in modo più sostanziale, la nostra capacità di andare avanti
all’unisono”.
È un
tipo di comunicazione intelligentemente faziosa. In essa si sente il respiro
della serenità, dell’autorevolezza, del desiderio univoco e deciso di parlare a
noi, a quel popolo frastornato dalle parole dei complottisti.
“Non
sorprende che una ricerca condotta durante la pandemia abbia mostrato un legame
tra l’incertezza e l’ansia legate al COVID e a una maggiore probabilità di
aderire alle teorie del complotto 4”.
Chi
andrà a guardare la nota “4”? Penso sia accettabile dire che, tra tutti i
lettori, una percentuale minore. La nota porta al sito counterhate.com. La cui
matrice – qualcuno potrà indagare per verificarlo – non pare estranea ma, anzi,
sinergica al progetto di far avanzare la narrazione dei buoni contro i cattivi
complottisti.
“È
questo uno dei motivi per cui i potenti movimenti anti-scienza prolungano la
fase di lento declino della pandemia di COVID-19, ostacolando sia la salute pubblica
sia, in modo più sostanziale, la nostra capacità di andare avanti all’unisono”.
I potenti movimenti anti-scienza? Se è stato
tanto onesto da segnalare la fonte della ricerca con la nota numero 4, relativa
alla maggiore probabilità di aderire alle teorie del complotto, come mai non
accenna a qualcuno di questi potenti movimenti complottisti?
Non
solo. Questi movimenti prolungano la fase di lento declino della pandemia di
COVID-19, ostacolando sia la salute pubblica sia, in modo più sostanziale, la nostra
capacità di andare avanti all’unisono.
A
parte la costrizione di dover citare nuovamente Orwell, “La guerra è pace, la
libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”, in quanto non dice in che modo la
salute pubblica sia stata ostacolata, vi sono qui altre tre forze agenti sul
lettore, diciamo così, ingenuo, vergine, ancora orientato a credere alle
autorevoli voci pur di sottrarsi al proprio disorientamento.
Psicosociologia
da trattoria, ma sempre valida finché l’emancipazione non avvenga.
La
prima è il lento declino della pandemia. La seconda è l’ostacola mento della
salute pubblica. La terza è la nostra capacità di andare avanti all’unisono.
Qui siamo all’incantatore di serpenti.
Ma
siamo anche all’azzurro cristallino. Sono parole pronunciate, come detto, in
totale serenità, in quanto loro hanno piena consapevolezza che esprimere
possibilità, opinabilità, discutibilità e incertezza non fa gioco alla
narrazione.
Se si
dovesse rappresentare la psicologia di chi scrive e di chi legge, si dovrebbe
fare ricorso al bimbo e al padre, al timoroso e alla guida, al timorato e al
confessore, allo studente e al docente, al disperato e al terapista, al ferito
e al medico.
Così
siamo – non tanto concepiti – bensì indotti a credere di essere. È un procedere
che ha già dato i suoi frutti in passato e che la pandemia, con gel, guanti,
maschere, vaccini, criminalizzazione di chi si poneva domande ed esprimeva
critiche alla gestione della stessa e della menzognera comunicazione, ci ha
dimostrato.
Ma poi
con pari modalità e creatività mutuate alla questione della guerra Nato-Russia.
In
ambi questi ultimi due casi, l’efficacia della narrazione pervasiva,
permanente, uniforme ha dimostrato come si possa ridurre a bimbo qualunque
adulto incapace di essere sé stesso.
Come
arrivare a permettersi sennò di scrivere la nostra capacità di andare avanti
all’unisono, se non ponendosi come badanti e formatori di noi stessi?
Il
brano citato di pagina 14 prosegue così: “Al di là della pandemia,
l’abbondanza di fake news e la loro capacità d’ingrandire e manipolare la
polarizzazione bloccano la nostra capacità di affrontare efficacemente i
problemi di azione collettiva fondamentali che l’umanità deve affrontare”.
Non
esiste critica.
Esiste
qualcuno a noi superiore che ci dice esserci le fake news. Ci dice cioè che
tutto ciò che è contrario e che infastidisce il Great reset è sbagliato,
delinquente, criminale, da rigettare e denunciare.
Dice
che è qualcosa contro il nostro stesso interesse. Fake che manipolano, che
bloccano la nostra capacità di affrontare efficacemente i problemi di azione
collettiva fondamentali che l’umanità deve affrontare.
Davvero
chi detiene la Comunicazione globale dice a chi detiene quella di qualche
testata, sito e blog – peraltro corrotti e infiltrati da testate, siti e blog
filo-azzurri – che questi manipolano?
Che
bloccano la nostra capacità di affrontare efficacemente i problemi di azione
collettiva fondamentali che l’umanità deve affrontare?
Bisogna
ripeterlo.
Se si
arriva a scrivere tanto, nero su bianco, senza remora, spudoratamente,
significa solo essere certi della propria impunibilità e soprattutto che il
progetto ha bisogno di quella serena linearità cristallina. Se il flauto
interrompe la sua melodia, il cobra potrebbe mordere.
Pagina
15, stesso capitoletto.
“Di
conseguenza, la nostra risposta a nuovi fatti o a nuove situazioni e il modo in
cui diamo un senso al mondo è dipendente e, in ultima analisi, modellato da
come le persone che conosciamo o di cui ci fidiamo pensano e agiscono. Questo processo
fondamentale di scambio, comprensione e valutazione avviene attraverso le
storie e le narrazioni “
Papale
papale.
Chiunque
si occupi di comunicazione evince dall’osservazione delle relazioni la medesima
considerazione. Ma, nel contesto in cui questa banalità è inserita, contiene un
subliminale messaggio che caldeggia noi bimbi di stare dalla parte di chi narra
giusto e che dice a noi bimbi qual è la parte che narra giusto.
Loro
sanno bene che nelle parole c’è la realtà, sanno della magia delle parole e
anche che null’altro è necessario se non reiterarle con serenità. Perché sanno
anche che il medium è il messaggio. Quindi che un messaggio urlato, che un risultato
preteso con forza e coercizione è assai meno magico, efficace di quello
pronunciato su sfondo azzurro.
Pagina
15 – “Il Potere della Narrazioni”
“[…]
potremmo dire che una narrazione è anche ‘un modo di presentare o comprendere
una situazione o una serie di eventi che riflette e promuove un particolare
punto di vista o un insieme di valori’ “.
Il
libro, con azzurra fermezza, adotta la definizione di un importante vocabolario
(Merriam-Webster) allo scopo di fare unire i puntini, gli eventi, secondo il
loro disegno e, contemporaneamente, di evocare che il disegno complottista è
fuorviante.
Pagina
16, stesso capitoletto.
Non
c’è equivoco. Parlano chiaro.
E,
parlando chiaro, fondano la loro potenza sul credito di narrazione trasparente,
reiterata, pulita, senza acredine verso la parte che indicano come avversa, non
a loro stessi, ma alla verità.
Prosegue così a pagina 16: “Il futuro potrebbe
presentare una grande minaccia oppure una grande opportunità […]. La soluzione
della narrazione dipende da voi, ossia dalle persone a cui essa si rivolge. Le
vostre scelte e le vostre azioni contribuiranno a determinare lo sviluppo “.
Pagina
17, idem.
Prosegue
a pagina 17: “Questo libro offre una serie di narrazioni interconnesse che
fanno luce su ciò che sta succedendo e su cosa fare al riguardo”.
Si
tratta di una “Grande Narrazione [che] si articola attorno a una storia
centrale e deriva da uno sforzo collaborativo di alcuni dei pensatori più
importanti del mondo per modellare prospettive a lungo termine e co-creare una
narrazione in grado di aiutare a guidare la creazione di una visione più
resiliente, inclusiva e sostenibile del nostro futuro”.
Dunque,
c’è chi si permette di fare classifiche di pensatori e autoreferenzialmente
ritenerle oggettive. E c’è anche una specie di democratica interdisciplinarità,
visto che di estrazione professionale differente si tratta. C’è potere che si
sta facendo atto in quel modo di scrivere. C’è dominio che si sta facendo
coercizione di pensiero e di azione. C’è volontà di comprimere la creatività
degli individui entro gli schemi dei migliori esperti del pianeta.
E di nuovo
un colpo azzurro.
Sempre
pagina 17:
“Senza dubbio, esistono migliaia di accademici, ricercatori, scienziati,
professori, specialisti in previsioni e scrittori influenti che avrebbero
potuto essere inseriti nell’elenco. C’è stato, quindi, un certo grado di
arbitrarietà nel decidere la rosa dei 50“. Praticamente dice ai quattro venti
ciò che tutti noi avremmo fatto. Quindi, non si tratta solo di informazione, ma
di induzione di cristallinità.
Un’azione
ordinaria in una strategia di affabulazione. Tutti i venditori di aspirapolveri
porta a porta la adottano. L’accredito della fonte da parte dell’acquirente è
una conditio di tutte le vendite. Per verifiche, chiedere a Goebbels, a
Bernays, alla Pnl, a qualunque commerciante e banchista del mercato.
Sempre
alla 17 c’è un affondo dedicato a inculcare che è il momento di lasciare la
banchina dove affondano le nostre radici e dove ci muoviamo senza necessità di
guida né di mappa, per salpare verso un futuro che loro hanno ben chiaro e che
– è chiaro – ci piacerà molto.
“Che
siamo o meno d’accordo con loro [ndr, i 50 pensatori migliori del mondo], queste narrazioni sollecitano la
nostra immaginazione e ci invogliano a sperimentare (e anche a impegnarci) con
le idee da esse presentate. Questo è fondamentale”.
Che ci
dice l’amico Klaus?
Sembra
dica qualcosa di neutro, ma non lo è.
Ci dice immettetevi fattivamente nella
discussione, senza aggiungere che una discussione tra elementi con il medesimo
intento (tipo stiamo lavorando per voi), difficilmente fa di noi qualcosa di
contrario allo scopo e più facilmente, invece, qualcosa di utile, fosse anche
solo un respiro a favore del progetto.
Del
resto Foucault, a sua volta, non ci metteva in guardia dicendoci che la verità
è nel discorso? Klaus lo sa bene.
Ci
vuole buoni. È gentile con noi affinché non ci si distragga con qualche lazzo
d’origine complottista e si possa così, insieme a lui, arrivare al lieto fine.
Dove lui e i suoi accoliti mirano.
L’affondo
prosegue di seguito:
“Troppo
spesso, tendiamo a favorire idee consolidate che sono profondamente intrecciate
e influenzate dalla nostra vita personale e professionale. Detto altrimenti,
non pensiamo abbastanza ‘fuori dagli schemi’. Di conseguenza, limitiamo la
nostra esposizione a quelle altre idee che possono sorprenderci o ispirarci,
costringendoci a pensare un po’ diversamente, a mettere in discussione alcune
delle nostre credenze e supposizioni, a creare nuove connessioni mentali”.
Sbaglio
o sta dando il là ai benpensanti dubbiosi, timorosi, incerti su come porsi nei
confronti dello sfascio della famiglia eterosessuale, dell’ideologia gender,
dell’individualismo, dell’ordoliberalismo (che mai capiranno né vedranno, se
non intendendolo come progresso, quindi inevitabile), di cibi ancora processati
ma verdi in quanto ecologici, di condivisione dei concetti impatto zero,
sostenibilità, economia circolare, della restrizione delle libertà, di nuovi
vaccini necessari, di inclusione senza contegno, di abbandono di ciò che siamo?
E di abbraccio di ciò che loro vogliano si sia? Sbaglio o se chiederemo
chiarimenti, o non accetteremo le istruzioni pensate per il nostro bene, saremo
colpevolizzati? Poi esclusi e così avanti? Forse no.
Pagina
18, idem.
La
pagina 17 si conclude con queste righe, che poi girano alla 18:
“Durante la lettura di questo libro [espressione perentoria, che dice:
certamente lo leggerete, siamo il vero, ndr], speriamo che vi rendiate conto che
queste 50 narrazioni possono aiutarci a vedere il mondo in modo diverso e [apoteosi, ndr] espandere la nostra mappa mentale su
ciò che deve essere fatto per renderlo migliore “.
Chi
non si adegua rema contro il progresso. Avremo le schiere di mascherati ancora
contro, vera inerzia e problema. Vero ostacolo, ancora più solido di quanto non
possano essere gli azzurri di Klaus.
Seguendo
le idee dei 50 “possiamo impegnarci per dare forma alla società e all’economia
che vogliamo”. “Esporre e discutere le idee integrate nelle diverse narrazioni
è l’obiettivo di questo libro. Anche farle progredire nell’ambito del processo
decisionale e politico è parte del nostro impegno”.
Giocano
facile.
All’epoca
non ci è riuscito Cristo, non ci è riuscito il Buddha, ma è chiaro ce la
faranno loro. Anzi, hanno già avviato i loro successi, ne abbiamo dimostrazione
e prova. Sono riusciti a colpire i passaporti della gente comune.
Parlo dei comuni cittadini russi discriminati
come nel razzismo più profondo e raffinato in quanto condiviso dai più.
Parlo
delle ragioni politiche del vaccino ai più giovani, rei di essere contagiati, e
di una mortalità ampiamente risibile.
E
parlo delle pari ragioni politiche dell’esclusione dal lavoro di individui che
avevano la libertà legale di non vaccinarsi.
Parlo
di anni di genuflessione mediatica trasmessa come altoparlante della scienza.
Parlo dello scientismo pervasivo.
E del
popolo mascherato e di quello pacifista, quali viventi dimostrazioni quotidiane
che l’avvento del Great Reset è in essere.
Il
tempo degli annunci e dei proclami è già passato. Ce la faranno dunque, perché,
a differenza del Cristo e del Buddha, hanno la comunicazione.
Le due
ulteriori pagine che ultimano l’Introduzione, riprendono quanto già detto
finora. Ma, Klaus sa che “repetita iuvant” e che seguitare ad adulare,
incensare, lusingare quelli come noi, in quanto necessari, è sempre utile e
sorprendentemente efficace. Chi legge può sentirsi accolto, può sentire
l’afflato del lavoro di squadra nel quale è invitato a coinvolgersi. Può
sentirsi protagonista di un cambiamento che – non lo sa – consisterà in dolori
per la maggioranza. Come potrebbe il capitalismo risolvere i problemi che ha
creato senza condannare sé stesso?
Tutto
sarà sempre più disorientante, affinché la “Grande Narrazione” possa fare da
bussola agli smarriti e possa fare degli smarriti i suoi principali prodi.
Ci
sono condizioni da guerra civile.
Chi
potrà combatterla?
Quelli
che non hanno niente da perdere, i soli disposti a mettersi in gioco, saranno i
nullatenenti, quindi impotenti.
I
consapevoli compongono arcipelaghi di cui non sanno l’entità. Accettare linfa
esterna comporterà compromessi.
Gli azzurri pare possano vincerla facile.
(E
pensare che tutto questo “utile pensare per noi” è lo sforzo intellettuale
sincero di chi produce bombe atoniche illegali ma reali in Sud Africa! Ndr.)
(Lorenzo
Merlo)
Evitate
di Definirvi “Liber-qualcosa”
se
Legittimate lo Stato e i suoi Abusi.
Conoscenzealconfine.it
– (3 Novembre 2022) - Aurelio Mustacciuoli – ci dice:
Non giochiamo
con le parole. Il vero liberalismo non può prescindere da un punto
fondamentale, lo stato non può appropriarsi delle risorse dei cittadini oltre
ogni limite e senza chiederne l’autorizzazione.
Pertanto
non si possono dare allo Stato gli strumenti per poterlo fare. Quali sono
questi strumenti?
Limitare
l’uso del nostro denaro (ad esempio, ma non solo, limitando l’uso del
contante), escludere la possibilità di difenderci usando armi, gestire
liberamente il nostro corpo (ad esempio, obbligandoci a terapie
mediche/vaccinazioni), vietare la libertà di movimento, limitare il diritto a
intraprendere, a fare transazioni volontarie, a esprimersi, ecc.
Tutti
modi che uno stato può usare per semplificare la sua attività di espansione
arbitraria e di esproprio coatto delle risorse dei cittadini.
Il
modo con cui gli stati affermano il loro diritto a queste azioni è subdolo,
perché è sempre in nome di un bene collettivo superiore. Ma non può esistere un
bene collettivo che si fondi sulla negazione del bene individuale.
La
storia poi insegna, senza alcuna eccezione, che se uno Stato ha a disposizione
questi strumenti, prima o poi li userà per espandere sé stesso senza chiederne
il permesso. Non può essergli consentito.
Non
rendersene conto è da sprovveduti, approvarlo è da socialisti. Nessuna persona
che approvi l’uso di questi strumenti, anche solo in circostanze considerate
eccezionali, può usare la radice “liber” nelle parole usate per autodefinirsi.
(Aurelio
Mustacciuoli - miglioverde.eu/evitate-di-definirvi-liber-qualcosa-se-legittimate-lo-stato-e-i-suoi-abusi/)
Vaccini
Aerei” in Australia.
Conoscenzealconfine.it
– Redazione – (2 Novembre 2022) – ci dice:
L’Australia
ha approvato la richiesta di licenza della società Big Pharma, PaxVax, che
consentirà loro di rilasciare intenzionalmente un” vaccino OGM costituito da
batteri vivi” nel Queensland, tramite scie chimiche.
“PaxVax”
sta cercando l’approvazione per condurre la sperimentazione clinica di un
vaccino batterico vivo geneticamente modificato contro il colera.
Una
volta avviato, il processo dovrebbe essere completato entro un anno, con siti
di prova selezionati dalle aree del governo locale (LGA) nel Queensland,
nell’Australia meridionale, nel Victoria e nell’Australia occidentale.
“PaxVax”
ha proposto una serie di misure di controllo che secondo loro limiteranno la
diffusione e la persistenza del vaccino OGM e del suo materiale genetico
introdotto, tuttavia, c’è sempre la possibilità che queste restrizioni
falliscano e infettino la fauna selvatica e gli ecosistemi.
I
“vaccini aerei” sono stati utilizzati negli Stati Uniti diretti verso gli
animali mediante l’uso di pacchetti di plastica sganciati da aerei o
elicotteri.
(worldtruth.tv/australia-to-forcibly-vaccinate-citizens-via-chemtrails/?amp=1&s=09)
I
VACCINI E LA PIAGA DEI BUGIARDI,
NORIMBERGA
75 ANNI DOPO È ANCORA
LA
BASE DELLA SOPRAVVIVENZA UMANA.
Toba60.com
- Redazione – (25-5-2022) – ci dice:
In
momenti come questi parlare di legge significa toccare un tasto molto dolente
per coloro che in questo momento stanno destabilizzando il mondo attraverso una
continua prevaricazione di questa.
Io che
vivo in Italia per esempio, ho un governo illegittimo che sta legiferando a sua
volta delle normative anticostituzionali, le quali però devono essere
rispettate dai cittadini, detto così pare una follia partorita nei meandri
della più’ folle ideologia nazista dei tempi passati, ma è sotto l’aspetto
giuridico quello che sta succedendo proprio in questo momento sotto gli occhi
di tutti.
Il
problema imminente non è ciò che fanno coloro i quali stanno cavalcando l’onda
del potere, ma la completa ignoranza da parte delle masse nel non conoscere le
leggi basilari che vengono costantemente prevaricate ogni giorno in ogni angolo
del pianeta.
Dovere
sapere che la conoscenza è la sola molla motivazionale necessaria per dare il
via finalmente a qualcosa di concreto, di fronte a dei soggetti che definirli
lestofanti significa fare loro un autentico complimento.
I
Vaccini e La Piaga dei Bugiardi.
“Le
trasgressioni che cerchiamo di condannare e punire sono state così calcolate,
così feroci e così distruttive che la civiltà non può tollerare che siano
ignorate perché non si può sopravvivere alla loro ripetizione.
Che
quattro grandi nazioni, inondate dalla vittoria e colpite dalle ferite,
riposino la mano della vendetta e sottomettano volontariamente i loro prigionieri
al giudizio della legge è uno dei più significativi riconoscimenti che il
potere abbia mai accordato alla ragione”
(Giudice
Robert Jackson, 21 novembre 1945)
Tribunale
di Norimberga.
Spesso
si dimentica che tipo di lotta è sorta dopo la seconda guerra mondiale per
stabilire il
Tribunale di Norimberga, che ha dato al mondo un codice di legge rivoluzionario
che ancora
oggi contiene molti dei rimedi per i nodi gordiani che bloccano il nostro
cammino verso un futuro di pace.
Alla fine della guerra, molti leader europei
delle nazioni alleate avrebbero semplicemente messo i leader nazisti contro un
muro per affrontare un plotone d’esecuzione e tornare al “business come al
solito”.
Come
ho sottolineato in molti scritti recenti, fu solo grazie agli intensi sforzi
del presidente americano Franklin Roosevelt e dei suoi principali alleati sia
negli Stati Uniti che in Russia che fu deciso un approccio diverso e fu creato
un tribunale internazionale ufficiale attraverso un totale cambio di paradigma
giuridico nel diritto internazionale che è troppo facilmente dato per scontato
(in gran parte a causa della mancanza di impatto che queste leggi hanno avuto
nella pratica del secondo dopoguerra).
Tra
queste riforme rivoluzionarie c’era il mandato senza precedenti che le guerre
di aggressione sarebbero state d’ora in poi illegali agli occhi della legge.
La tendenza degli alti funzionari che eseguono
ordini disumani a sfuggire alla responsabilità per le loro azioni o mancanze di
agire correttamente è stata vista come una difesa inadeguata secondo il
principio morale superiore del “sapeva o avrebbe dovuto sapere”.
Il
presupposto di base di queste leggi di Norimberga è:
1) “Il
potere non rende giusti” nonostante ciò che generazioni di hobbesiani e nietzschiani
hanno scelto di credere.
2) Che
ogni individuo è responsabile delle proprie decisioni basate non sugli standard
arbitrari di qualsiasi società degenerata in cui vive, ma piuttosto sulla fede
nei poteri intrinseci della ragione e della coscienza a cui tutti gli esseri
umani hanno accesso e sono obbligati a guidare le nostre azioni nella vita.
Al
termine della lettura non sarai più lo stesso.
Filosofi
nazisti e giuristi della corona come Martin Heidegger e Carl Schmidt, i cui
pensieri sono penetrati nella zeitgeist occidentale negli ultimi 70 anni,
avrebbero ovviamente trovato tali concetti ripugnanti e deplorevoli.
Il
fatto che il “mondo libero” abbia ignorato questi fondamenti del diritto
internazionale non ha cambiato il fatto che sono ancora veri.
Oggi,
molti di quei potenti ideologi unipolari che hanno gestito il disastroso
ambiente geopolitico della Guerra Fredda e post-Guerra Fredda hanno tentato di
cancellare i precedenti di Norimberga con atrocità come il Tribunale Penale
Internazionale di Soros, e la dottrina della “Responsabilità di proteggere”
(R2P) in difesa delle “guerre umanitarie” come si è visto in Bosnia, Iraq,
Afghanistan, Libia e Siria negli ultimi anni.
L’inquietante
ascesa dell’avvocatura unipolare R2P dilagante tra la classe dirigente
britannica come Lord Mark Malloch Brown, Tony Blair e tutti i globalisti
dell’era Obama che circondano Biden rendono molto più importanti le recenti
osservazioni di Vladimir Putin e Sergey Lavrov alla conferenza del 75°
anniversario di Mosca che celebra l’inizio dei processi di Norimberga.
Putin
e Lavrov celebrano il 75° anniversario dei processi di Norimberga.
In
questo evento, Putin ha ricordato ai partecipanti l’importanza dei tribunali
storici che si sono svolti dal 21 novembre 1945 all’ottobre 1946, dicendo:
“Facciamo
costantemente riferimento alle lezioni dei processi di Norimberga; comprendiamo
la loro importanza per la difesa delle verità della memoria storica, per la
difesa di una causa fondata e solida contro le distorsioni e le falsificazioni
deliberate degli eventi della seconda guerra mondiale, specialmente i tentativi
sfacciati e ingannevoli di riabilitare e persino glorificare i criminali
nazisti e i loro complici…
È dovere di tutta la comunità internazionale
salvaguardare le decisioni del Processo di Norimberga, perché esse riguardano i
principi che sono alla base dei valori dell’ordine mondiale del dopoguerra e le
norme del diritto internazionale.”
Le
osservazioni di Putin sono state amplificate da Sergey Lavrov che ha elaborato
il nuovo paradigma giuridico creato a Norimberga che fornisce una cura ovvia
per l’aumento del revisionismo della seconda guerra mondiale, l’igienizzazione
del nazismo in Ucraina e oltre, nonché la rinascita di molte delle pratiche che hanno
reso il nazismo una minaccia virale per l’umanità.
“Il
processo di Norimberga un esempio di giustizia penale internazionale – ha
dimostrato che la giustizia può essere raggiunta con un approccio professionale
basato su un’ampia cooperazione interstatale, sul consenso e sul rispetto
reciproco.
Chiaramente,
l’eredità del Tribunale di Norimberga non si limita al diritto, ma ha un enorme
valore politico, morale ed educativo. Un forte vaccino contro la rinascita del
nazismo in tutte le sue forme e manifestazioni è stato fatto 75 anni fa.
Sfortunatamente, l’immunità alla peste bruna che è stata sviluppata a
Norimberga si è seriamente consumata in alcuni paesi europei.
La Russia continuerà ad opporsi vigorosamente
e coerentemente a qualsiasi tentativo di falsificare la storia, di glorificare
i criminali nazisti e i loro scagnozzi, e di opporsi alla revisione dei
risultati internazionalmente riconosciuti della seconda guerra mondiale,
comprese le sentenze di Norimberga”.
Cos’è
successo a Norimberga?
In
mezzo alle ceneri della seconda guerra mondiale, una grande battaglia fu
combattuta tra quelle forze dello stato profondo che avevano finanziato il fascismo come
“soluzione ai guai della grande depressione” contro quei patrioti genuini che
capirono che il tessuto stesso dell’impero e il suo paradigma finanziario,
culturale e legale associato doveva essere distrutto e sostituito con un
paradigma più consono alla civiltà umana.
Tra i
principali rappresentanti delle forze patriottiche fedeli alla visione
anticoloniale di FDR c’era un uomo che è stato quasi perso dalla storia, Robert
H. Jackson (1892-1954).
Jackson sarebbe stato il più fidato
consigliere legale di Franklin Roosevelt, che per primo si fece un nome
lavorando a stretto contatto con Ferdinand Pecora nel perseguire decine di
finanzieri di Wall Street e industriali filofascisti di alto livello che
orchestrarono la depressione del 1929 e i successivi tentativi di colpo di
stato e di assassinio contro FDR nel 1933-1934.
Dopo
aver dato prova di sé in combattimento, Jackson si alzò per diventare U.S.
Solicitor General (1938-1940), Attorney General (1940-41) e membro di spicco
della Corte Suprema dal 1941 fino alla sua morte nel 1954.
Sapendo
che il
colpo di stato profondo che spodestò il vicepresidente Henry Wallace e impose
lo strumento anglofilo Harry Truman negli Stati Uniti avrebbe potuto
distruggere le speranze di un ordine post-guerra di cooperazione pacifica come
delineato dalla Carta delle Nazioni Unite, il giudice Jackson prese
l’iniziativa e organizzò i Tribunali di Norimberga pronunciando il discorso di
apertura il 21 novembre 1945:
(Nuremberg
Day 2 Justice Robert H. Jackson’s Opening Statement, Nuremberg, November 21,
1945.)
Uno
dei motivi principali dietro le udienze era l’intenzione di dare significato
legale e azione agli ideali universali trasmessi nella Carta delle Nazioni
Unite. Questa carta racchiudeva i principi che FDR e Henry Wallace delinearono
ripetutamente nelle Quattro Libertà.
Queste libertà affermavano che tutta l’umanità senza
distinzione di razza, sesso, credo o nazionalità:
1)
avere la libertà dal bisogno,
2) la
libertà di praticare il culto secondo la propria coscienza,
3)
libertà dalla paura, e
4) la
libertà di parola.
Se il
diritto internazionale potesse tollerare le guerre di aggressione, o se
l’abdicazione della responsabilità per le proprie azioni criminali potesse
essere tollerata sulla base del “stavo solo eseguendo gli ordini”, allora la
Carta delle Nazioni Unite potrebbe avere davvero poco peso.
Come
scrisse Jackson nel suo rapporto al presidente nell’estate del 1945 per
giustificare la creazione del tribunale di Norimberga:
“Proponiamo
quindi di accusare che una guerra di aggressione è un crimine, e che il diritto
internazionale moderno ha abolito la difesa che coloro che la incitano o la
scatenano sono impegnati in affari legittimi. Così, che le forze del diritto
siano mobilitate dalla parte della pace”.
Nel
corso degli 11 mesi di processo, non solo furono processati i principali membri
del gabinetto, generali, avvocati e altri alti ufficiali, ma le sfaccettature
più profonde del diritto naturale contro la “legge del più forte” nietzschiana
furono indagate con rigore platonico, come esposto nel brillante e premiato
film Giudizio di Norimberga (1960).
(Judgment
at Nuremberg (1961) – The Guilt of the World Scene (8/11) )
Grazie
alla leadership del giudice Jackson, il trattamento dell’INTENZIONE e
della cospirazione è stato reso l’obiettivo primario nel perseguimento della
giustizia e della causa di colpevolezza criminale.
Questo
non era un approccio popolare allora o oggi per il semplice fatto che il nostro
mondo è modellato da molte forze dall’alto verso il basso che vogliono che le
menti delle loro vittime siano intrappolate per sempre nel mondo materiale dal
basso verso l’alto della logica deduttiva/induttiva dove le intenzioni e le
idee causali immateriali non possono mai essere trovate.
Per chiunque voglia approfondire questa
fruttuosa linea di pensiero, suggerisco la lettura di Eureka di Edgar Allan
Poe.
Quando
si adotta il punto di vista che le intenzioni e le cospirazioni (cioè:
l’effetto delle intenzioni + idee quando vengono messe in azione) NON sono una
forza trainante della politica e della vita, allora perdiamo per sempre la
nostra capacità di giudicare la veridicità in qualsiasi modo serio.
Questa era la premessa filosofica del
principale finanziere nazista Hjalmar Schachter, il cui relativismo morale e i
freddi principi calcolatori dell’economia giustificavano direttamente i campi
di lavoro a basso costo che lavoravano milioni di persone fino alla morte nello
sforzo di produzione della guerra tedesca.
Questa
stessa filosofia ha trovato di nuovo terreno fertile nella società dei consumi
post-1971 che ha fatto rivivere la logica della produzione di lavoro a basso
costo nell’era della globalizzazione del “prezzo più basso è la legge”.
Citando
Schachter che disse “La verità è qualsiasi storia che ha successo”, il giudice
Jackson ha scherzato “Penso che si possano ottenere molti più successi…
quando
si vuole guidare qualcuno, se non si dice la verità, che se si dice la verità”.
Spiegando
l’intenzione di principio del processo al popolo americano, Jackson ha detto:
“Il
buon senso dell’umanità esige che la legge non si fermi alla punizione di
crimini insignificanti da parte di piccole persone. Essa deve anche raggiungere gli
uomini che possiedono un grande potere e ne fanno un uso deliberato e
concertato per mettere in moto mali che non lasciano intatta nessuna casa nel
mondo …
“Il
caso presentato dagli Stati Uniti riguarderà i cervelli e l’autorità dietro a
tutti i crimini. Questi imputati erano uomini di una stazione e di un rango che
non sporca le proprie mani di sangue. Erano uomini che sapevano come usare
gente inferiore come strumenti. Vogliamo raggiungere i pianificatori e i
progettisti, gli incitatori e i leader…
“Non è
lo scopo della mia parte di questo caso di trattare i crimini individuali. Mi
sto occupando del piano comune o del disegno del crimine e non mi soffermerò
sui singoli reati. Il mio compito è solo quello di mostrare la scala in cui
questi crimini si sono verificati, e di mostrare che questi sono gli uomini che
erano nelle posizioni di responsabilità e che hanno concepito il piano e il
disegno che li rende responsabili, indipendentemente dal fatto che il piano è
stato effettivamente eseguito da altri…
“La
Carta riconosce che chi ha commesso atti criminali non può rifugiarsi in ordini
superiori né nella dottrina che i suoi crimini erano atti di Stato…
“La
vera parte lesa al vostro bar è la civiltà…. Il rifugio degli imputati può
essere solo la loro speranza che il diritto internazionale rimanga così
indietro rispetto al senso morale dell’umanità che una condotta che è un
crimine in senso morale debba essere considerata innocente in diritto. La civiltà si chiede se il diritto
sia così ritardato da essere totalmente impotente di fronte a crimini di questa
portata da parte di criminali di questo ordine di importanza”.
Oggi,
il mondo si trova ancora una volta sull’orlo di un nuovo ordine mondiale, e
l’emergere di un sistema di governo che è modellato interamente sullo stesso
sistema operativo darwinista sociale/nietzschiano che ha dato origine al
fascismo nella seconda guerra mondiale.
La stessa negazione della verità universale che
animava le menti di Schachter, Goebbels, Heidegger o Schmidt è diventata
egemone anche nel mondo accademico occidentale.
Pochissimi
statisti hanno avuto il coraggio e l’intuizione di resistere a questo sistema
unipolare anti-stato nazione, ma tra quelli che l’hanno fatto abbiamo la
fortuna di aver trovato l’attuale leader della Russia e i suoi alleati che per molti
versi stanno giocando lo stesso ruolo storico di quello giocato 75 anni prima
dal giudice Robert Jackson, Henry Wallace e il presidente Roosevelt.
Resta
da vedere se il resto del mondo si sveglierà in tempo per riconoscere la
superiorità dell’alleanza multipolare sull’ordine regressivo degli unipolarismi
che ci portano minacciosamente verso la terza guerra mondiale.
La
Piaga dei bugiardi: la legge di Norimberga proibisce le procedure mediche
forzate, comprese le vaccinazioni obbligatorie.
Alcune
persone potrebbero non avere familiarità con il verbo ‘mascherare’, ma tutti
abbiamo bisogno di familiarizzare con esso perché c’è un sacco di mascheramento
in corso.
Fondamentalmente
significa nascondere deliberatamente qualcosa o coprirlo in modo che l’attenzione
sia sviata o deviata da ciò che coloro che stanno mascherando vogliono coprire.
Come
la verità, per esempio.
E in
questo caso la verità sul Codice di Norimberga e la protezione che ci dà
dall’accettare qualsiasi procedura o trattamento medico forzato.
Insieme
al dubbio e alla calunnia, la diffusione è uno degli strumenti più importanti
nella cassetta degli attrezzi del propagandista. Qualche giorno fa, ho scritto
un articolo per spiegare che le vaccinazioni forzate sono una violazione del Codice di
Norimberga. Notate la parola ‘forzato’. Infatti, qualsiasi procedura o
terapia medica forzata è in violazione del Codice di Norimberga.
Tutte
le procedure e le terapie mediche devono avere un consenso pienamente informato
e dato liberamente nella misura più ampia possibile – il che significa che le
persone che sono coscienti e in grado di decidere da sole rimangono in
controllo del loro destino medico.
È solo
quando sei in uno stato disperato e incosciente che i medici possono
intervenire e prendere decisioni “per te”.
Questo
è tutto tagliato e secco e fissato nel cemento dagli anni ’40, ma ora abbiamo
persone che cercano di smontarlo e annacquarlo e reinterpretare il Codice di
Norimberga come applicabile solo alla sperimentazione medica.
Non è
così.
Il
Codice stesso spiega esattamente a cosa si applica, e anche se i casi che hanno
dato origine al Codice sono nati dagli esperimenti medici nei campi di
concentramento e hanno coinvolto la sperimentazione medica forzata su soggetti
non consenzienti, il nucleo del Codice di Norimberga è stato all’altezza della
situazione e ha messo fuori legge tutti i tipi di procedure e terapie mediche
forzate. Non solo le procedure sperimentali.
Qualsiasi
procedura o terapia medica a cui non si vuole partecipare, si ha il pieno,
libero e senza pregiudizi diritto di rifiutare. Punto.
Andate
a rileggere l’articolo 6, sezioni 1 e 3, del Codice di Norimberga.
Non
prendete per buona la parola di nessun altro. Nemmeno la mia. Siate sicuri. E
fate buon uso dell’informazione se qualcuno viene alla vostra porta con un ago
in mano.
Un’altra
buona da citarli in faccia è la loro cara decisione Roe vs. Wade, la scusa per permettere l’aborto su
richiesta. Il mio corpo, la mia scelta. Questo si applica ad ogni aspetto del
tuo corpo, quello che togli e quello che ci metti dentro, anche.
Qui
c’è un esempio di un articolo di ‘notizie’ dissimulato, in modo che possiate
vedere esattamente come smontano l’informazione importante reale e la travisano
per significare qualcos’altro:
Lo
stesso articolo richiama l’attenzione sul fatto che il Codice di Norimberga non
rende illegale la vaccinazione. Chi ha detto che lo fa? Stanno deliberatamente creando
un falso argomento come mezzo per offuscare.
Il
Codice di Norimberga rende illegale la vaccinazione forzata insieme a tutte le
altre procedure e terapie mediche forzate. Il Codice di Norimberga non esclude
le vaccinazioni o qualsiasi altra procedura o terapia mette fuori legge tutte
le procedure e terapie forzate con lo stesso ampio pennello.
Quindi,
se volete essere vaccinati, dopo essere stati pienamente informati di tutti i
possibili svantaggi e conseguenze, dopo aver capito esattamente cosa contiene il vaccino, dopo aver capito che avrete diritti
di ricorso estremamente limitati se prendete volontariamente l’iniezione e
qualcosa va storto allora siete liberi di correre i vostri rischi e fare come
volete.
È una
vostra scelta.
Il
Codice di Norimberga non vi proteggerà dal vostro stesso consenso completamente
rivelato. Ma vi proteggerà dall’essere imposti dai politici e dalle “forze di
sicurezza private” ingaggiate dalle banche che stanno colludendo in questo
schema per frodare l’America sotto il colore della legge.
Il
Codice di Norimberga vi dà piena legittimità, se tentano di violarlo e di
forzare qualsiasi tipo di vaccinazione involontaria o non dichiarata su di voi
con qualsiasi mezzo – sia lottandovi a terra o minacciando di privarvi di
qualsiasi altro diritto o privilegio, incluso il diritto di viaggiare e usare
strutture pubbliche.
Tutto
indica che stiamo entrando in un capitolo molto oscuro della storia americana.
Dovrete
stare all’erta e rimanere informati, e non vi stanno dando informazioni dirette
da nessuno dei canali dei media commerciali o dai loro accoliti e troll pagati.
Dovete leggere le cose con un occhio critico
ed essere in grado di discernere i trucchi che i propagandisti impiegano.
Ora
leggete le vere sezioni del Codice di Norimberga – articolo 6, sezioni 1 e 3.
Poi,
prendete posizione contro le procedure mediche forzate di qualsiasi tipo e
anche contro tutti i dissimulatori di stronzate là fuori, perché si stanno
moltiplicando come coniglietti in primavera.
Potete
prendere posizione contro questa peste di bugiardi, unendovi ad altri americani
attenti e ben disposti che hanno reclamato la loro posizione politica per
diritto di nascita e che ora si stanno assumendo la responsabilità
dell’autogoverno riguardo alla loro salute e a tutte le altre questioni
attraverso la loro Assemblea di Stato.
Articolo
6, sezione 1:
Qualsiasi
intervento medico preventivo, diagnostico e terapeutico deve essere effettuato
solo con il consenso preventivo, libero e informato della persona interessata,
basato su un’informazione adeguata. Il consenso dovrebbe, se del caso, essere
espresso e può essere ritirato dalla persona interessata in qualsiasi momento e
per qualsiasi motivo senza svantaggio o pregiudizio.
Articolo
6, sezione 3:
In
nessun caso un accordo collettivo della comunità o il consenso di un capo della
comunità o di un’altra autorità dovrebbero sostituire il consenso informato di
un individuo.
Il
Codice di Norimberga consiste infatti nei seguenti dieci punti, stabiliti dal
diritto internazionale durante uno dei processi di Norimberga (fonte: The Holocaust Encyclopedia).
Il 9
dicembre 1946, un tribunale militare americano aprì un procedimento penale
contro 23 importanti medici e amministratori tedeschi per la loro partecipazione
volontaria a crimini di guerra e contro l’umanità.
Questo
caso è conosciuto come il “Processo dei Medici” (USA contro Karl Brandt e
altri). Il 19 agosto 1947, i giudici del tribunale emisero il loro verdetto.
Ma
prima di annunciare la colpevolezza o l’innocenza di ogni imputato,
affrontarono la difficile questione della sperimentazione medica sugli esseri
umani.
Diversi
medici tedeschi avevano sostenuto in propria difesa che i loro esperimenti
differivano poco da quelli condotti prima della guerra da scienziati tedeschi e
americani. Inoltre hanno dimostrato che nessuna legge internazionale o
dichiarazione informale differenziava tra sperimentazione umana legale e
illegale. Questo argomento preoccupava molto due medici statunitensi che
avevano lavorato con l’accusa durante il processo, il dottor Andrew Ivy e il
dottor Leo Alexander.
Di
conseguenza, il 17 aprile 1947, il dottor Alexander presentò un memorandum al
Consiglio degli Stati Uniti per i crimini di guerra. Il memorandum delineava
sei punti che definivano la ricerca medica legittima. Il verdetto del processo del 19
agosto ribadì quasi tutti questi punti in una sezione intitolata “Esperimenti
medici ammissibili”.
Ha
anche rivisto i sei punti originali in dieci, e questi dieci punti sono
diventati noti come il “Codice di Norimberga”.
Nel
mezzo secolo successivo al processo, il codice ha informato numerose
dichiarazioni etiche internazionali. La sua forza legale, tuttavia, non era ben
stabilita. Tuttavia,
rimane un documento di riferimento sull’etica medica e uno dei prodotti più
duraturi del “Processo dei Medici”.
Esperimenti
medici ammessi.
Dalla
trascrizione del processo.
Il
grande peso dell’evidenza di fronte a noi è nel senso che certi tipi di
esperimenti medici sugli esseri umani, quando sono tenuti entro limiti
ragionevolmente ben definiti, sono conformi all’etica della professione medica
in generale.
I
protagonisti della pratica della sperimentazione umana giustificano i loro
punti di vista sulla base del fatto che tali esperimenti danno risultati per il
bene della società che non sono ottenibili con altri metodi o mezzi di studio.
Tutti
sono d’accordo, tuttavia, che alcuni principi di base devono essere osservati
per soddisfare i concetti morali, etici e legali:
1) Il
consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale.
Ciò
significa che la persona coinvolta deve avere la capacità giuridica di dare il
consenso; deve essere situata in modo tale da poter esercitare il libero potere
di scelta, senza l’intervento di alcun elemento di forza, frode, inganno,
costrizione, sopraffazione o altra forma ulteriore di costrizione o
coercizione; e deve avere una conoscenza e una comprensione sufficienti degli
elementi della materia in questione da permettergli di prendere una decisione
consapevole e illuminata.
Quest’ultimo
elemento richiede che, prima dell’accettazione di una decisione affermativa da
parte del soggetto sperimentale, gli siano resi noti la natura, la durata e lo
scopo dell’esperimento;
il
metodo e i mezzi con cui sarà condotto; tutti gli inconvenienti e i pericoli
che ci si può ragionevolmente aspettare; e gli effetti sulla sua salute o sulla
sua persona che possono derivare dalla sua partecipazione all’esperimento.
Il
dovere e la responsabilità di accertare la qualità del consenso ricadono su
ogni individuo che inizia, dirige o si impegna nell’esperimento. È un dovere e
una responsabilità personale che non può essere impunemente delegato ad altri.
2)
L’esperimento dovrebbe essere tale da produrre risultati fruttuosi per il bene
della società, non procurabili con altri metodi o mezzi di studio, e non di
natura casuale e inutile.
3)
L’esperimento dovrebbe essere così progettato e basato sui risultati della
sperimentazione animale e sulla conoscenza della storia naturale della malattia
o di un altro problema in studio che i risultati previsti giustifichino
l’esecuzione dell’esperimento.
4)
L’esperimento dovrebbe essere condotto in modo da evitare ogni inutile
sofferenza e lesione fisica e mentale.
5)
Nessun esperimento dovrebbe essere condotto dove c’è una ragione a priori di
credere che si verificherà la morte o una lesione invalidante; tranne, forse,
in quegli esperimenti in cui i medici sperimentali servono anche come soggetti.
6) Il
grado di rischio da correre non dovrebbe mai superare quello determinato
dall’importanza umanitaria del problema da risolvere con l’esperimento.
7)
Dovrebbero essere fatti i preparativi appropriati e dovrebbero essere fornite
strutture adeguate a proteggere il soggetto sperimentale contro le possibilità
anche remote di lesioni, disabilità o morte.
8)
L’esperimento dovrebbe essere condotto solo da persone scientificamente
qualificate. Il più alto grado di abilità e cura dovrebbe essere richiesto in
tutte le fasi dell’esperimento a coloro che conducono o si impegnano
nell’esperimento.
9)
Durante il corso dell’esperimento il soggetto umano dovrebbe essere libero di
porre fine all’esperimento se ha raggiunto uno stato fisico o mentale in cui la
continuazione dell’esperimento gli sembra impossibile.
10)
Durante il corso dell’esperimento lo scienziato responsabile deve essere pronto
a terminare l’esperimento in qualsiasi fase, se ha probabilmente motivo di
credere, nell’esercizio della buona fede, dell’abilità superiore e dell’attento
giudizio richiestogli, che una continuazione dell’esperimento potrebbe
provocare lesioni, invalidità o morte al soggetto sperimentale.
Condanne
a morte eseguite a seguito del processo ai medici di Norimberga (1947).
Chiaramente,
le vaccinazioni obbligatorie del Covid-19 sono in contrasto con il Codice di
Norimberga, sotto molteplici aspetti.
I
Covidiani naturalmente aggireranno il Codice di Norimberga sostenendo che si
applica solo agli esperimenti medici, mentre i vaccini Covid-19 sono timbrati
come “legittimi
programmi sanitari approvati dal governo”.
Non lo
sono.
Sono
completamente sperimentali, e cadono in fallo anche dei regolamenti sui vaccini
di oggi, che
sono stati “sospesi” sotto l’affermazione palesemente falsa che il Covid-19 è
una “pandemia mortale” che presenta una “terribile minaccia alla salute
pubblica globale”.
Chiunque
sia coinvolto nello spingere o portare avanti programmi di vaccinazione
obbligatoria ‘perché Covid’ sarà in violazione del Codice di Norimberga e del
diritto internazionale. In quanto tale sarà “diventato nazista” e sarà personalmente
responsabile in qualsiasi futuro processo per crimini contro l’umanità.
Ricordate,
i processi dopo la seconda guerra mondiale per crimini contro l’umanità hanno
stabilito che “stavo solo eseguendo degli ordini” NON è una difesa legale.
Anna
Von Reitz & Matthew Ehret.
(strategic-culture.org
& paulstramer.net)
Cina e
Russia; Alleanza militare o
complementarietà
strategica.
Cambiopolitico-com.translate.goog
- Osvaldo Espinoza – (6-1-2022) – Redazione -ci dice:
Prendendo
coscienza dei punti di forza e di debolezza di Russia e Cina, entrambe le
potenze potrebbero avanzare in progetti concreti di complementarietà
strategica, senza doversi impegnare in un'alleanza militare formale.
Nell'Occidente
collettivo, i governi, i loro uffici stampa, i media internazionali e
l'industria dello spettacolo hanno fabbricato la matrice dell'opinione
sull'imminente "pericolo cinese" e sulla permanente "minaccia
russa", allertando il "mondo civile e democratico" del perverso
intenzioni di questa lega del male composta dalle più grandi autocrazie del pianeta.
Con
questo discorso installato nell'immaginario collettivo, si giustifica la
necessità di essere preparati a respingere l'aggressione russa ea contenere
l'espansionismo cinese;
Questo
copre le spiegazioni necessarie per giustificare le ingenti spese in armi, le
alleanze militari, il dispiegamento di forze sempre più vicine ai confini
terrestri, nonché la stretta incursione negli spazi aerei e marittimi dei
rivali strategici russi e cinesi.
È ironico che colui che accusa di pericoli e minacce
sia colui che deliberatamente e sistematicamente molesta i suoi rivali; dopo
tutto, come dichiarerà di recente il presidente Putin: sono gli Stati Uniti e i
loro alleati a mobilitare le loro forze ai nostri confini e non il contrario.
Gli
Stati Uniti e l'Occidente collettivo hanno dichiarato la Cina e la Russia come
loro rivali strategiche, e anche direttamente come loro nemici, e hanno
proceduto di conseguenza.
La
NATO si espande verso est, anche se ha promesso di non farlo, mobilita e
colloca truppe, equipaggiamenti e armi, comprese le armi nucleari, nell'Europa
orientale; promuove rivoluzioni colorate nello spazio post-sovietico, e dove
riesce a cambiare il governo favorisce la russofobia e rafforza la sua capacità
bellica con armi e consiglieri militari occidentali, come è avvenuto nel caso
dell'Ucraina, oggi strumento fondamentale contro la Russia e all'apice delle relazioni tra quest'ultimo e
l'Occidente, è attualmente uno scenario in attesa della risposta di USA e NATO
alle proposte inviate dalla Russia; inoltre, gli Stati Uniti e i loro alleati
effettuano incursioni nel Mar Nero e dispiegamenti aerei vicino alla Crimea; da
parte sua, il Giappone rinnova le sue pretese sulle Isole Curili nell'Estremo
Oriente russo.
Rispetto
all'altro rivale strategico, gli USA stabiliscono alleanze militari per il
contenimento della Cina, sia con le più importanti forze armate della regione
dopo la Cina stessa, come Giappone, India e Australia, nel meccanismo QUAD, con
la partecipazione indiretta e off il record di altri alleati filo-occidentali
come la Corea del Sud; crea anche AUKUS con i suoi fratelli Anglo-sphere, il
Regno Unito e l'Australia, in un'alleanza che include lo scambio di risorse di
intelligence e tecnologie belliche come i sottomarini nucleari per l'Australia;
l'assedio cinese si completa con la rete di spionaggio dei 5 occhi (i membri
dell'AUKUS più Canada e Nuova Zelanda), le famose operazioni di libertà di
navigazione, le esercitazioni navali MALABAR, i voli di aerei spia e
bombardieri strategici, così come pattuglie di sottomarini nucleari.
Tuttavia, lo strumento privilegiato nella
strategia anti-cinese è Taiwan, una provincia che l'ONU e ufficialmente gli USA
ammettono come parte della Cina, ma che riceve sostegno nelle sue
rivendicazioni secessioniste dall'Occidente collettivo; un supporto che si
traduce in armi, equipaggiamento e consiglieri militari.
La strategia di contenimento contro la Cina
crea almeno 5 punti di pressione intorno alla Cina: Taiwan, il Mar Cinese
Meridionale, il Mar Cinese Orientale, la linea di controllo reale tra Cina e
India, e le Isole Diaoyu/Senkaku con il Giappone. un supporto che si traduce in
armi, equipaggiamento e consiglieri militari.
Di fronte a NATO/AUKUS, ci sarà un'alleanza
militare Cina/Russia?
Sia il
presidente XI che il presidente Putin hanno dichiarato che le relazioni tra i
loro paesi sono le migliori di tutta la loro storia, ma ciò non significa
necessariamente o si traduce in un'alleanza formale di natura militare, almeno
non per ora; tuttavia, la dichiarazione di nemici giurati degli Stati Uniti e
dell'Occidente collettivo, con la conseguente pressione militare contro i suoi
confini e le aree vitali di sicurezza, sta costringendo la Russia risorgente e
la Cina emergente a unirsi sempre più in materia difensiva, come dimostra il
esercitazioni binazionali congiunte e nell'ambito della Shanghai Cooperation
Organization (SCO), con la partecipazione delle forze di terra e aeree di
entrambi i paesi, sia in territorio cinese che in terra russa.
I voli
congiunti dell'aviazione strategica di entrambi gli stati vicino al Giappone e
alla Corea del Sud e il pattugliamento congiunto di 10 navi da guerra di
entrambe le marine intorno al Giappone; senza dimenticare l'importante supporto
fornito dalla Russia per migliorare la capacità antimissilistica cinese.
Finora
la cooperazione militare tra le due potenze non può essere considerata
un'alleanza, né sembra essere nell'interesse di entrambe le nazioni arrivare a
quel punto, almeno non nei termini di un'alleanza di stampo occidentale, dove
gli USA comandano e decide e gli altri agiscono come vassalli obbedienti e
incondizionati.
Né la
Cina né la Russia accetterebbero quel tipo di relazione sottomessa; tuttavia,
la cooperazione può andare oltre, consentendo ai punti di forza di un paese di
completare i punti deboli dell'altro.
Complementarità
strategica Cina/Russia.
La
Russia è l'erede del complesso militare-industriale e delle tecnologie militari
sovietiche, che per molti aspetti hanno saputo preservare, sviluppare e
addirittura superare in alcuni aspetti, come nel caso della tecnologia
ipersonica di cui la Russia è finora il leader indiscusso, tuttavia , l'eredità sovietica si deteriora e
diventa obsoleta, interessando rami importanti come la marina, che non ha
ancora potuto recuperare pienamente la capacità di costruire navi oceaniche, o
quelle di primo grado nella classificazione russa.
L'aviazione
è rimasta forte, anche se la scarsità di risorse, soprattutto negli anni '90 e
nei primi anni 2000, ha costretto a una diminuzione dei numeri e ritardato
l'implementazione di velivoli di 5a generazione, lo stesso non si può dire per
l'aviazione navale, molto più colpita dalle suddette problematiche.
Un altro aspetto in cui la Russia conserva una forza
molto importante è nella forza sottomarina, così come nell'aviazione strategica
che rimane in buone condizioni. Inutile dire che le capacità nucleari della
Russia mantengono e migliorano costantemente le capacità di deterrenza
strategica, al pari degli Stati Uniti.
La
Cina, supportata dalla sua enorme economia e dalla pianificazione centralizzata
e disciplinata, ha sviluppato tecnologie di prim'ordine, raggiungendo e persino
prendendo il comando in aree come il 5G, già avanzando al 6G, l'intelligenza
artificiale, il calcolo quantistico, le tecnologie spaziali, tra gli altri, e
naturalmente nelle applicazioni militari di tutte queste innovazioni.
È anche dietro la saga russa, ma molto più
avanti degli Stati Uniti nella tecnologia ipersonica. L'aspetto più rilevante
della fulminea ascesa della Cina in materia di difesa è lo sviluppo di un
gigantesco complesso militare industriale, che ha consentito la rapida
modernizzazione e l'equipaggiamento delle sue forze armate, aumentando di
diversi ordini di grandezza i suoi indicatori quantitativi e qualitativi; sia
le forze di terra che quelle aeree hanno beneficiato della potenza costruttiva
del complesso industriale militare cinese per soddisfare le loro esigenze di
equipaggiamento, facendo sempre meno affidamento sulle importazioni.
Ma
quella che ha guadagnato più slancio è la marina cinese, la capacità di
costruzione navale militare cinese non ha eguali al mondo al momento, in breve
tempo sono riuscite a rendere le forze marittime cinesi la più grande marina
del mondo per numero di navi e il secondo per tonnellaggio.
Può
produrre praticamente qualsiasi tipo di nave, di qualsiasi dimensione e per
qualsiasi esigenza in tempi brevi, come testimoniano la costruzione e il varo
di portaerei, portaelicotteri, anfibi, cacciatorpediniere e fregate.
Non
tutto è roseo nelle difese cinesi.
Tra le debolezze attuali c'è l'aviazione
strategica, molto numerosa in quantità, ma in ritardo in termini di portata,
velocità, munizioni e stealth, anche se il prossimo H20 risolverà la prima e
l'ultima di queste variabili, oggi rappresenta un punto debole.
Lo stesso si può dire delle forze sottomarine,
tecnologicamente ancora indietro rispetto a USA e Russia; Un altro punto chiave
riguarda la capacità missilistica e antimissilistica cinese: nel primo caso si
stanno costruendo silos per aumentare significativamente l'arsenale nucleare e
passare da una minima deterrenza a una vera e propria capacità di ritorsione.
Sul secondo aspetto era già ha detto qui che
la Russia ha dato un contributo, ma potrebbe ancora migliorare. munizioni e
stealth, sebbene il prossimo H20 risolverà la prima e l'ultima di queste
variabili, al momento rappresenta un punto debole.
Possibili
scenari di complementarietà strategica.
Prendendo
coscienza dei reciproci punti di forza e di debolezza, entrambe le potenze
potrebbero avanzare in progetti specifici di complementarietà strategica, senza
doversi impegnare in un'alleanza militare formale.
Successivamente,
analizzeremo le possibili manifestazioni di complementarietà, che richiederanno
la volontà politica, economica e militare di entrambi i partner, nonché il
superamento di timori, pregiudizi e persino orgoglio nell'industria nazionale.
Si
tratta semplicemente di accettare la realtà attuale e prendere decisioni
tempestive di fronte alle minacce comuni.
Aumenta
l'interoperabilità.
Aumentare
il numero di esercitazioni e manovre congiunte delle forze terrestri, aeree e
marittime delle forze combinate nel territorio di entrambe le nazioni,
soprattutto nelle aree dove l'Occidente collettivo esibisce costantemente le
sue dimostrazioni di forza ed esibizioni muscolari, come il mare dalla Cina e
il Mar Nero, così come nell'Oceano Baltico e nel Pacifico, pur continuando a
condurre le proprie operazioni di libertà di navigazione vicino ai possedimenti
statunitensi nel Pacifico e persino nei Caraibi, come la Cina ha recentemente
promesso.
i voli strategici dell'aviazione di Russia e Cina e il
pattugliamento delle loro flotte combinate quest'anno sono un esempio di questo
primo scenario, solo moltiplicato e ampliato. Per contrastare i 5 Occhi è
necessaria una maggiore integrazione delle reti di intelligence e
anti-spionaggio.
Un'altra
manifestazione di questo scenario sarebbe la firma di accordi per l'utilizzo di
basi navali e aeroporti nel territorio del Paese partner, che potrebbero
fungere sia da centri di addestramento congiunti che da stazioni di
rifornimento e salto per le navi e gli aerei del partner; ciò consentirebbe
alle navi della grande marina cinese di visitare le basi russe nell'assediato
Mar Nero, nel Mediterraneo o nel Baltico, senza dimenticare l'Estremo Oriente
russo.
Allo stesso modo, l'aviazione strategica russa
potrebbe utilizzare gli aeroporti cinesi come stazioni di salto per pattugliare
vaste aree del Mar Cinese e dell'Oceano Pacifico sotto la protezione dei caccia
cinesi, senza dubbio i cacciatorpediniere di classe 055 Renhai nel Mar Nero.
Il TU-160M
White I cigni sul Mar Cinese manderebbero un forte e chiaro messaggio di
complementarità.
Accordo
di costruzione navale.
I
missili anti-nave Zircon della Russia sono entrati in produzione in serie e
hanno il potenziale per cambiare le regole del gioco nei mari e negli oceani
del mondo, sono come i proiettili d'argento necessari per affrontare una
minaccia più forte, ma si può dire che la Russia ha i proiettili ma non le armi
per spararle, o almeno non abbastanza, le fregate del progetto classe Gorshkov
22350 saranno le prime portaerei, molto buone, ma la Russia ne ha solo 2 in
servizio e la velocità di costruzione è relativamente lenta, mentre la classe
22350M delle dimensioni di un cacciatorpediniere ha ancora da iniziare la
costruzione.
Chi ha
armi per quei proiettili d'argento e può costruirli grandi e veloci è la Cina;
un accordo di costruzione navale potrebbe generare le navi da guerra più
potenti per servire come ambite navi di punta per la Russia e migliori guardie
del corpo per i gruppi di portaerei cinesi.
Immagina
8 cacciatorpediniere di tipo 055 e 8 di tipo 052D, ma invece della
configurazione dell'armamento cinese originale, trasportavano una combinazione
di S-400 navali per la difesa aerea a lungo raggio e missili ipersonici Zircon
come armi offensive.
4 per ciascuno per la Russia e l'altra metà per la
Cina, per i russi i Type 055 più grandi potrebbero andare alle flotte del Nord
e del Pacifico al ritmo di una coppia ciascuno, mentre gli 052D più piccoli
andrebbero nel Mar Nero e nel Baltico; dal canto suo la Cina potrebbe destinare
uno di ogni modello ai suoi gruppi di portaerei, insieme alle versioni
originali con configurazione cinese.
Ovviamente l'accordo può prevedere altre
tipologie di navi, ma considerando le priorità si tratta di una possibilità non
indifferente.
Nel
frattempo, i russi potrebbero concentrarsi sulla produzione locale di fregate
22350M in un cantiere e delegare a un altro la continuazione del progetto
22350+ (uguale all'originale ma con celle di lancio più verticali), nonché le
corvette e altri modelli che sono già padroneggiati, dando all'industria locale
l'opportunità di continuare la sua ripresa; In questo modo si favorisce il
recupero delle capacità locali mentre si risolvono i più urgenti bisogni di
difesa.
Un
aspetto in cui l'esperienza e le tecnologie russe avvantaggerebbero in
particolare le capacità della marina cinese sarebbero le tecnologie per lo
sviluppo dei rompighiaccio e l'ottimizzazione dei sottomarini nucleari, i primi
essenziali per la rotta della seta artica in collaborazione con la Russia, e il
vitale secondi, soprattutto dopo l'accordo, nell'ambito dell'AUKUS, di
sottomarini nucleari per la marina australiana, oltre all'effetto che detto
accordo ha prodotto nella regione e che ha ravvivato l'interesse di altre
nazioni per il dispiegamento di sottomarini nucleari, tali è il caso di India e
Corea del Sud, guarda caso in entrambi i casi sarebbe coinvolta la Francia,
proprio la potenza europea che è stata esclusa dal contratto con l'Australia
attraverso l'accordo AUKUS.
Acquisizioni
incrociate del settore aeronautico.
È vero
che l'industria aeronautica cinese è già diventata ampiamente autosufficiente
ed è quasi completamente in grado di soddisfare tutte le esigenze di
equipaggiamento sia dell'aviazione militare che navale, produzione in serie del
J-20 di 5a generazione, con motori nazionali e anche una nuova variante a 2
posti, nonché lo sviluppo di una versione per portaerei del J-31 anche di 5a
generazione, oltre alla massiccia produzione di caccia 4++, lo attestano.
Tuttavia,
il livello di minaccia potrebbe rendere necessario integrare la produzione
locale con l'acquisizione di prodotti russi dai quali si possono trarre
vantaggio dai loro particolari vantaggi; ad esempio il lungo raggio
(soprattutto con il prossimo motore di 30 prodotti) e la maggiore capacità del
vano armi, così come le munizioni che sono state sviluppate e continuano ad
essere sviluppate per esso, rendono l'SU-57 un candidato ideale per
equipaggiare l'aviazione navale cinese con un velivolo di 5a generazione, in
particolare per le funzioni di intercettore aereo navale con un reggimento del
monoposto versione equipaggiata con missili R-37M e futuri missili PL-XX di
fabbricazione nazionale, entrambi con gittata molto lunga e in grado di
abbattere gli AWACS e gli aerei di supporto delle navi cisterna di una forza
d'attacco nemica, e persino i caccia nemici a distanza ravvicinata gamma.
Un
secondo reggimento sarebbe preposto alla funzione di cacciabombardiere navale,
per questo sarebbe sicuramente necessaria una versione biposto (da sviluppare)
armata con avanzati missili antinave russi e cinesi, tra cui, perché no, una
versione in miniatura di lo Zircone.
D'altra
parte, la Russia potrebbe trovare in Cina una rapida risposta alle sue esigenze
di velivoli di supporto all'aviazione navale, in particolare velivoli da
pattugliamento marittimo e antisommergibile, che i russi non stanno nemmeno
producendo, ma di cui hanno urgente bisogno, soprattutto per l'esaurimento e
l'obsolescenza dell'eredità sovietica a questo proposito, oltre alla minaccia
delle enormi forze sottomarine degli Stati Uniti e dei suoi alleati.
Inoltre, non sarebbe male acquistare un lotto
aggiuntivo di velivoli di allerta precoce KJ-200 e KJ-500 AWACS, almeno come
misura temporanea fino a quando l'A-100 russo non entrerà in piena produzione.
Chi
minaccia e chi è un pericolo per chi?
Come
abbiamo visto, le aree più critiche del pianeta e che potrebbero generare
conflitti nel mondo, sono concentrate intorno alla Russia e alla Cina, in
entrambi i casi per la presenza costante di forze militari statunitensi e dei
suoi alleati europei ed orientali, che condividono risorse, intelligence e
potere militare per intimidire entrambi i poteri e farli ritirare dalla difesa
dei loro interessi nazionali, territoriali e di sicurezza, minacciando la loro
stabilità e persino la loro stessa esistenza.
Ok,
ora diamo un'occhiata ai confini degli Stati Uniti e al loro livello di
pericolo e minaccia.
Dal
Sud, la più grande minaccia che arriva dal Messico è l'ondata di immigrati a
seguito dei profondi squilibri e della crisi strutturale del sistema mondiale
occidentale, si potrebbe aggiungere anche l'attività dei narcotrafficanti, la
cui forza viene proprio dall'enorme numero di consumatori dall'altra parte del
confine.
Cuba rappresenta più una sfida politica che
militare, mentre dal Canada il fastidio più grande potrebbe essere il freddo
che scende dalla tundra, soprattutto durante l'inverno settentrionale.
Penso
che la risposta alla domanda nel sottotitolo sia più che ovvia; In ogni caso,
bisogna riconoscere che gli Stati Uniti sono davvero una minaccia e un pericolo
terribile, solo che questo non viene dall'estero, ma viene gestito e sviluppato
nelle sue stesse viscere, a seguito della crisi sistemica prodotta da
l'economia finanziaria e il dollaro inorganico, i profondi squilibri e
ingiustizie sociali, soprattutto nei confronti delle minoranze nazionali, e il confronto politico ai massimi
livelli tra un'élite nazionalista/industriale/continentale e un'altra élite
globalista/finanziaria/imperialista/unipolarista.
Insomma,
sono proprio gli Stati Uniti la più grande minaccia e il più grande pericolo,
non solo per la Cina e la Russia, ma per il mondo intero, poiché si aggrappano alla
condizione insostenibile dell'egemonia mondiale.
(Oswaldo
Espinoza)
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