L’ITALIA E UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIALE.
L’ITALIA
E UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIALE.
Il nuovo governo e le imprese, Meloni:
“L’Italia
deve tornare ad avere
una
politica industriale”.
Innovationpost.it – (25 Ottobre 2022) - Franco
Canna – ci dice:
“L’Italia
deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei
quali può contare su un vantaggio competitivo”. Così il presidente del
Consiglio incaricato Giorgia Meloni ha introdotto la parte dedicata al mondo
delle imprese del suo discorso sulla fiducia al nuovo governo.
I
settori citati da Meloni sono moda, lusso, design e anche “l’alta tecnologia”.
Oltre naturalmente alle eccellenze in campo agroalimentare, sulle quali Meloni
ha chiarito che “sovranità alimentare non significa, ovviamente, mettere fuori commercio
l’ananas, come qualcuno ha detto, ma più banalmente garantire che non
dipenderemo da Nazioni distanti da noi per dare da mangiare ai nostri figli”.
Tornando
alle imprese, la premier ha detto che “serve una rivoluzione culturale nel
rapporto tra Stato e sistema produttivo, che deve essere paritetico e di
reciproca fiducia. Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia
va sostenuto e agevolato, non vessato e guardato con sospetto, perché la
ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori, non lo Stato con decreti
o editti”.
Si
inaugura quindi una stagione improntata al “lasseiz faire”, anche se di termini in lingua
straniera nel discorso di Meloni non c’è traccia (ha tradotto persino la flat
tax come tassa piatta).
“Il motto di questo Governo sarà: «non
disturbare chi vuole fare».
Le
imprese chiedono soprattutto meno burocrazia, regole chiare e certe, risposte
celeri e trasparenti. Affronteremo il problema partendo da una strutturale
semplificazione e deregolamentazione dei procedimenti amministrativi per dare
stimolo all’economia, alla crescita e agli investimenti, anche perché tutti
sappiamo quanto l’eccesso normativo, burocratico e regolamentare aumenti
esponenzialmente il rischio di irregolarità, contenziosi e corruzione. Un male che abbiamo il dovere di
estirpare”.
Meloni
promette “un
nuovo patto fiscale” basato su tre pilastri.
Il
primo consisterà nel “ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso
una riforma all’insegna dell’equità”.
Ci
sarà quindi l’estensione della flat tax per le partite IVA dagli attuali 65
mila euro a 100 mila euro di fatturato.
Non solo: per non penalizzare chi cresce,
spiega Meloni, ci sarà “l’introduzione della tassa piatta sull’incremento di
reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente: una misura
virtuosa con limitato impatto per le casse dello Stato che può essere un forte
incentivo alla crescita”.
Il
secondo pilastro è la tregua fiscale “per consentire a cittadini e imprese, in
particolare PMI, in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il
fisco”.
Il terzo
punto è la lotta all’evasione che – assicura la premier – non sarà una “caccia
al gettito”.
Il
cuneo fiscale.
Meloni
ha poi affrontato il tema del cuneo fiscale.
“L’obiettivo
che ci diamo – ha detto – è intervenire gradualmente per arrivare a un taglio
di almeno cinque punti del cuneo in favore di imprese e lavoratori per
alleggerire il carico fiscale delle prime e aumentare le buste paga dei secondi”.
Le
aziende ad alta densità di lavoro saranno premiate con un meccanismo fiscale del tipo
“più assumi meno paghi” senza “far venir meno il necessario sostegno
all’innovazione tecnologica”.
Un
ultimo cenno al tema delle competenze: “Serve colmare il grande divario
esistente tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro con
percorsi formativi specifici, certamente, ma ancora prima grazie a una
formazione scolastica e universitaria più attenta alle dinamiche del mercato
del lavoro”.
Una
nuova politica industriale
per
l’Italia (e l’Europa).
i-com.it
- Michele Masulli – (29-5-2020) – ci dice:
La
richiesta di FCA Italy della garanzia di SACE su un prestito da 6,3 miliardi di
euro, accordato da Intesa San Paolo, ha aperto un’ampia discussione pubblica.
I temi non solo sono noti (i rapporti Stato-impresa,
il ruolo e i confini dell’azione delle istituzioni, i doveri delle imprese nei
confronti della collettività), ma trovano periodicamente posto nel dibattito
secondo la conosciuta metafora del pendolo.
Nelle
fasi di crisi si sposta verso lo Stato, quando si manifesta in maniera
pressante l’urgenza di un intervento pubblico a tutela di imprese e banche
sull’orlo del baratro, mentre, nella parte ascendente del ciclo economico, il
pendolo vira verso il mercato, sospinto dall’esigenza di liberare lo spirito di
libera intrapresa, voglioso di cogliere i venti favorevoli della ripresa.
La
disputa che ha attraversato rappresentanti delle istituzioni, addetti ai lavori
e opinionisti si innesta su un terreno fertile poiché, dall’estensione del
Golden Power alla costituzione del Patrimonio Rilancio conferito a Cdp per
avviare operazioni di ricapitalizzazione, sono diversi i tasselli che fanno
prefigurare una funzione più assertiva dello Stato italiano nel sistema
economico.
Tuttavia,
questa discussione non si limita ai confini del nostro Paese. Il pendolo
oscilla anche oltre le Alpi, dove la crisi morde in modo risoluto.
Dominique Strauss-Kahn, più volte ministro in
Francia e direttore generale del Fondo monetario internazionale, ha
recentemente ricordato al Corriere della Sera la frase che Mervyn King, già
governatore della Banca d’Inghilterra, pronunciò ai tempi della crisi dei mutui
sub-prime e degli imponenti piano di salvataggio delle banche: “Le banche sono
mondiali quando vivono e nazionali quando muoiono”.
Rispetto
alla Grande recessione del 2008 e alla successiva crisi dei debiti sovrani,
quando si è realizzato un massiccio e in larga parte incondizionato
trasferimento di risorse pubbliche a operatori privati “too big to fail”, oggi
sembra che il ricorso senza precedenti a politiche fiscali e monetarie
espansive venga accompagnato da una funzione più decisa di indirizzo e di
intervento dello Stato, tale da far pensare a una tendenza che va oltre
l’emergenza e si afferma nel medio periodo.
Si tratta di un orientamento necessario e sarà
estremamente utile se spogliato da suggestioni ormai infondate. Agitare lo
spettro di uno Stato che sceglie i vincitori e salva i perdenti e di
un’industria pubblica che produce dai sistemi di difesa ai pomodori pelati
appare da un lato come una nostalgia superata, dall’altro come un’arma spuntata.
Ѐ la
stessa normativa europea a porre limiti stringenti ad ambizioni di questo tipo.
Si pensi in ultimo al conflitto Merkel-Vestager per il salvataggio di
Lufthansa.
Non è
tanto e solo l’allargamento del perimetro d’azione dello Stato a dover essere
oggetto di discussione, né tantomeno l’estensione delle partecipazioni dirette
del pubblico, ma l’innovazione della sua funzione nel sistema economico.
Non è
il “se” al centro del quesito sul ruolo delle istituzioni nel sistema
produttivo, ma il “come”. Lungi dall’essere una limitazione della funzione del
pubblico, questo implica un salto di qualità per lo Stato: da una vocazione
alla mera gestione a una capacità di indirizzo agile ed efficace dei processi
economici. In questo senso, è necessario innanzitutto che le istituzioni
definiscano grandi obiettivi nazionali a cui orientare i propri strumenti di
politica industriale.
E
quindi, per ritornare alla questione FCA, non è rilevante soltanto chiedere
impegni sugli investimenti produttivi e sul fronte occupazionale alla
multinazionale del settore, ma altresì definire se l’automotive rappresenta una
filiera cardine per il Paese, su cui investire con continuità per la crescita
dell’Italia e, se sì, come.
Ѐ la
continuità l’ingrediente che spesso manca alle politiche pubbliche e che, in
questo caso, diventa dirimente, poiché il settore industriale si muove per
piani pluriennali, finanche decennali.
Lo
stesso disegno strategico andrebbe applicato alla filiera della siderurgia
(vedi la questione dell’Ilva) o allo sviluppo infrastrutturale e dei trasporti
del Paese (vedi la richiesta di garanzia Sace da parte di Atlantia o la
ricapitalizzazione da 3 miliardi di euro di Alitalia).
Per il
ministero dell’Economia e delle Finanze, e più in generale per le istituzioni,
si tratta pertanto non solo di condurre scrupolosamente le istruttorie sulle
richieste del settore privato e chiedere specifici obblighi di interesse
pubblico, ma di delineare traguardi di sistema verso cui accompagnare
l’industria nazionale.
Alcuni
di questi sono chiari. Pensiamo alla crescita dimensionale delle aziende,
all’approccio al mercato dei capitali per tante piccole e medie imprese e
all’innovazione di un tessuto produttivo eccessivamente frammentato e
inadeguato alla competizione su ampia scala.
Similmente,
c’è l’esigenza per l’Italia di promuovere la formazione di campioni nazionali,
non necessariamente di proprietà pubblica (già oggi, su 6 imprese italiane che
compaiono nella classifica Global 500 di Fortune 3 sono partecipate), e di fare
in modo che società italiane contribuiscano alla costruzione di campioni
europei (si pensi alla vicenda Airbus, a cui l’Italia non ha preso parte).
Una grande sfida per la politica industriale
dei Paesi del Vecchio continente e un volano utile affinché l’Italia sappia
pensarsi non solo come terreno di conquista da parte di capitali esteri, ma
come soggetto in grado di promuovere una propria proiezione all’estero.
Il rafforzamento della politica industriale
europea diventa ancora più importante poiché, come segnalato dall’emergenza
Covid-19, potrebbe palesarsi l’esigenza di accorciare le catene globali del
valore.
E se
un reshoring della filiera nei confini nazionali è impossibile da pensare per
ogni Paese al mondo, la regionalizzazione delle catene del valore è un
obiettivo maggiormente praticabile, verso il quale l’Est asiatico e il Nord
America si stanno già avviando, e che rischia di vedere l’Unione europea
nuovamente in ritardo.
L’Ue è
fondamentale anche per disegnare un quadro di reciprocità che permetta agli
Stati che ne fanno parte di misurarsi alla pari con i competitori cinesi e
statunitensi.
Nella nuova Strategia industriale europea sono
presenti elementi che vanno in questo senso. Vedremo anche se il Parlamento
europeo, con il rapporto sulla politica industriale di cui è relatore
l’italiano Carlo Calenda, saprà produrre un avanzamento.
Nel complesso, ciò che torna ad avere rilievo
nell’emergenza in corso è la nazionalità dell’impresa, intesa come
localizzazione della sede, degli impianti di produzione, dei centri di ricerca
e sviluppo e provenienza dei dirigenti e dei capitali: in pratica tutto ciò che
determina il centro di gravità di un’impresa, la cui collocazione rimane
fondamentale per la creazione di occupazione e ricchezza, l’influenza di un
Paese nel mondo e la sua indipendenza strategica.
A tal
proposito, non si può omettere che il 20% dei diritti di voto di Volkswagen, il
maggiore gruppo automobilistico al mondo, è detenuto dallo Stato della Bassa
Sassonia, così come il 12% di PSA è in mano allo Stato francese, che esprimerà
anche il 6% del gruppo FCA-PSA, con buona pace delle inquietudini nostrane per
le incursioni statali nei grandi gruppi industriali.
Allo
stesso modo non si può dimenticare che a gestire la presenza pubblica francese
nell’industria non è Caisse des Dépôts et Consignations, istituto omologo di
Cdp, ma l’apposita Agence des Participations d’Etat.
Tuttavia,
affinché l’Italia possa dotarsi di una strategia industriale di lungo periodo,
favorire l’innovazione e gli investimenti per la competitività, creare un
ambiente regolatorio accogliente per le opportunità di impresa e rafforzare e
rinnovare in modo efficace il ruolo dello Stato, c’è bisogno di competenze
adeguate, di cui la nostra pubblica amministrazione sembra non poter disporre
in misura opportuna.
Se non
si provvederà a dotarla di intelligenze, conoscenze e strumenti idonei, il
rischio è che l’azione pubblica si limiti a un interventismo erogatorio e di
sussistenza e che il rapporto Stato-imprese si faccia poco trasparente.
La
risposta italiana alla richiesta europea
di una
nuova politica industriale per l’Unione:
cambiamenti
e risultati raggiunti nel settore
strategico
dell’industria della difesa nella sfida post Covid-19.
Geopolitica.info
- LUCREZIA PIZZICHINI – (11/09/2022) - ci dice:
In
Europa, l’industria della difesa è tanto sviluppata a livello nazionale e un
vanto per alcuni tra i singoli paesi che ne fanno parte, come l’Italia e la
Francia, quanto risulta allo stesso tempo penalizzata a livello comunitario.
Ciò
nonostante, già prima dell’esplosione del conflitto russo-ucraino, qualcosa ha
iniziato a muoversi, sulla scia della crisi economica legata al Covid-19 e
nella speranza di rendere l’industria della difesa uno dei motori della
ripresa, non solo italiana, ma anche europea.
A
partire dai primi anni 2000, la Commissione ha iniziato a prendere iniziative
riguardo l’industria della difesa europea.
Malgrado
i primi sforzi compiuti dalle istituzioni europee in questa direzione, queste
iniziative sembrano aver sofferto di scarsa attenzione negli investimenti e
nella cooperazione industriale degli Stati membri dell’Unione, oltre che, più
recentemente, della crisi pandemica.
Le
principali misure prese negli anni dalla Commissione includono dunque
l’istituzione del Political and Security Committee e dello EU Military Staff
nel 2001 e della European Defence Agency nel 2004.
Nonostante
queste prime misure in ambito comunitario, le decisioni in materia di politica
industriale della difesa e dell’interscambio di merci ed equipaggiamenti per la
difesa sono rimaste esclusivamente nella sfera d’influenza dei governi
nazionali.
Quest’ultimo fattore ha condizionato in
negativo la cooperazione europea sul fronte dell’industria, in quanto ha
favorito un approccio diviso alla materia. Per questo motivo, nel 2009 la
Commissione ha deciso di regolamentare in maniera più definita anche
l’interscambio di equipaggiamenti e merci per la difesa all’interno dell’Unione
Europea.
Su
questa stessa linea di provvedimenti, che l’Unione ha avviato prima della crisi
pandemica, l’avviamento della PESCO nel 2017.
Si tratta di un programma di finanziamenti consistenti
volti allo sviluppo di innovazione nel quadro della difesa e sicurezza europea.
La PESCO è stata rinnovata nel 2020 grazie ad un ulteriore stanziamento di
fondi e l’Italia vi partecipa in modo molto attivo, risultando il secondo paese
con più progetti aperti dopo la Francia.
Gli
ultimi sviluppi europei nel sostegno all’industria della difesa.
Nel
2021 la Commissione ha creato lo European Defence Fund, inizialmente previsto
con uno stanziamento di 13 miliardi di euro, successivamente ridotti ad 8. Nel
quadro del NGEU, la difesa viene citata soltanto nella parte generale, con uno
stanziamento pari a 1,9 miliardi e a 13,2 nel MFF 2021-27, di cui 7 stanziati
tramite lo strumento dell’EDF.
Nel
marzo di quest’anno è stata pubblicata la Bussola Strategica dell’Unione
Europea, un documento che serve a stabilire un piano di difesa comune del
territorio.
Qui
viene reso noto che bisognerà innanzitutto investire nelle industrie europee
del settore, anche tramite la BEI, al fine di sviluppare un’industria
innovativa, in grado di interfacciarsi con i propri competitor a livello
globale.
Bisognerà
inoltre potenziare le partnership dell’UE per rafforzare l’incisività della
sicurezza e dell’azione europea.
Nella
Bussola non si impone una soglia minima di investimento, tuttavia, viene resa
esplicita la necessità di un’azione univoca e concertata da parte di tutti gli
Stati Membri dell’Unione.
Soprattutto,
questo documento accorda a questa necessità una posizione centrale nei temi
attualmente trattati dall’UE.
Se,
come ormai è noto, la maggior parte degli Stati, in Europa, non sono stati in
grado di ottemperare alla richiesta che ha origine dagli accordi NATO di
dedicare il 2% del PIL nazionale alla spesa per la difesa, bisognerà fare degli
sforzi aggiuntivi e prendere la questione molto più seriamente a causa del
conflitto russo-ucraino.
Il
contesto industriale italiano tra criticità…
Nel
caso dell’Italia questo tema si rivela particolarmente sensibile per vari
fattori. Non solo perché bisogna considerare che il sistema economico italiano
ha un andamento più fragile, che risulta in prospettive di crescita meno costanti,
rispetto a quello degli altri componenti dell’UE e a molti suoi partner
commerciali.
Bisogna
infatti considerare che il sistema economico italiano si regge su alcuni
settori che trainano tutta l’economia, come ad esempio le esportazioni
manifatturiere, alle quali contribuisce in modo non trascurabile anche
l’industria della difesa, anche grazie ai suoi campioni nazionali Leonardo e
Fincantieri.
Queste due società rivestono un’importanza di
spicco a livello internazionale e possono essere trovate rispettivamente al 13°
e 47° posto dei maggiori produttori di armi a livello mondiale nel 2020,
secondo ad esempio le analisi del SIPRI.
Un
altro fattore che non bisogna tralasciare per avere il quadro completo della
situazione è che queste due società rappresentano un riferimento per le tante
PMI in attività nello stesso ambito.
Queste ultime sono dunque da considerare come
delle realtà che, pur avendo un raggio d’azione meno evidente rispetto ai due
colossi già menzionati, riescono ad impattare grandemente il panorama
industriale italiano del settore.
Ciò
avviene attraverso una distribuzione capillare e massiva sul territorio di un
know-how altamente specializzato, vitale per lo sviluppo di un’industria che
rende l’Italia una Lead Nation all’interno dei progetti europei dell’area.
Bisognerebbe
tutelare queste realtà, che nonostante siano importanti per l’attività del
settore su scala nazionale, risultano molto esposte alle difficoltà che
emergono ogni qual volta ci sia una scossa nel sistema economico del paese.
Di
conseguenza, andrebbero tutelate l’occupazione, le competenze e la
specializzazione tecnica che esse generano, tutt’altro che trascurabili.
Ricordiamo
però che questa vulnerabilità agli shock economici riguarda anche le realtà
maggiori.
La
stessa Leonardo ha avuto problemi dovuti alla crisi economica da Covid-19, che
si sono manifestati in modo particolare tra la fine del 2021 e l’inizio del
2022.
L’annullamento
di alcuni ordini importanti, oltre al perdurare delle chiusure dovute
all’emergenza pandemica, ha causato ulteriori difficoltà all’azienda, che si è
ritrovata costretta a prevedere la cassa integrazione per quasi quattromila dei
suoi dipendenti e a farne infine ricorso per più di duemila unità del
personale, soprattutto negli stabilimenti del sud Italia.
Gli ordini annullati costituivano il 75% delle comande
di Boeing e Airbus nel settore delle aerostrutture civili e hanno causato
diversi mesi di inattività negli stabilimenti menzionati in precedenza.
…e
potenziali contributi al settore della difesa europeo.
Nel caso
citato, per risolvere questo momento di criticità sono stati presi accordi con
i sindacati riguardo numerosi investimenti (pari a 300 milioni) che verranno
portati avanti negli stabilimenti e che riguarderanno settori strategici come
l’innovazione e la trasformazione industriale, lo sviluppo tecnologico e la
transizione digitale.
Una
parte degli investimenti previsti riguarda anche la formazione del personale
nei settori strategici di riferimento.
Questi
settori di investimento sono dunque considerati chiave per il mantenimento e lo
sviluppo del vantaggio tecnologico di cui gode l’industria italiana e risultano
in questo momento allineati ai bisogni e alla linea di sviluppo promossa dalle
istituzioni europee.
Secondo
dati pubblicati da Deloitte, il governo italiano ha deciso di riservare la
quota di 2,3 miliardi del NGEU alla transizione digitale e alle tecnologie,
soprattutto per lo spazio, ma secondo le stesse stime saranno utilizzati anche
nell’A&D perché molte tecnologie sono dual-use.
Le
istituzioni europee hanno adottato misure che nel tempo si sono rivelate
scontanti e disattente alla politica industriale per la difesa.
Tuttavia,
predisponendo degli investimenti e accennando il rilancio della centralità del
settore in Europa, lasciano sperare che in futuro saranno loro stesse a
prendere una nuova centralità e un ruolo di guida per l’azione dei governi dei
Paesi Membri.
Resta
da vedere come e in quale misura verrà integrato questo nuovo approccio europeo
nel sistema-Paese dal governo italiano.
La risposta
più chiara è stata lanciata a luglio scorso dal Ministero della Difesa, che ha
emanato la direttiva ministeriale sulla politica industriale.
L’importanza
accordata all’integrazione europea di questo tipo di industria e alla
collaborazione con la NATO è esplicita, in quanto il primo capitolo della
direttiva è dedicato proprio a questo aspetto.
Dai
successivi capitoli si evince inoltre la condivisione della linea europea.
Nella
prefazione del Ministro, sottolineando il valore nazionale del settore, si
prende atto esplicitamente della necessità italiana di integrarsi nel panorama
europeo, come punto di partenza per amplificare il ruolo e l’importanza
geostrategica nazionale agli occhi della comunità internazionale. L‘importanza
dell’export viene evidenziata anche per ottenere delle capacità di azione che
al momento non sono uguali per tutti gli Stati Membri dell’UE.
È reso chiaro che nelle trattative e negli
interscambi relativi all’esportazione di prodotti nell’ambito della difesa,
sarà preferito lo strumento del G2G agli intermediari, per ragioni di
regolamentazione.
Vengono
evidenziati anche i ruoli del Segretariato Generale per la Difesa e dello Stato
Maggiore della Difesa, ma anche di attori che dovranno collaborare con il
Ministero della Difesa, come il Ministero dello Sviluppo Economico e
l’industria.
Inoltre,
si istituisce il Tavolo Tecnico di coordinamento della Politica Industriale
della Difesa, che assicuri il coordinamento di tutti gli attori coinvolti nella
definizione e nell’attuazione degli obiettivi fissati per l’industria della
Difesa, nonché del Piano di innovazione tecnologica della Difesa.
In
ultimo, la Direttiva stabilisce come prima priorità la cooperazione europea e
internazionale.
Concludendo,
che queste misure siano in grado di sopperire alla debolezza del dialogo
italiano con la Commissione e che l’Italia riesca ad implementare al meglio
queste misure lo dirà il tempo.
Per
ora, possiamo constatare che, nonostante alcuni fallimenti preannunciati, come
la mancata partecipazione di Leonardo al progetto franco-tedesco del carro
armato europeo, il governo non si esime dall’utilizzare gli strumenti citati in
questa direttiva con lo scopo di garantire l’export e la cooperazione
industriale europea e che sta indirizzando gli investimenti promessi al
settore.
Questa
linea può essere osservata ad esempio nel caso di velivoli ad uso militare che
sono stati destinati quest’anno alla Slovenia e, se accordi di tale impronta
fossero applicati con decisione, potrebbero favorire la transizione del settore
per soddisfare il mercato in mutamento.
Un
altro esempio che lascia sperare in un buon contributo allo sviluppo di una
cooperazione industriale di successo è il Trattato del Quirinale tra Italia e
Francia. Quest’ultimo batte l’accento primariamente su tematiche legate ai temi
degli esteri e della sicurezza, esposti negli articoli 1 e 2 del Trattato,
laddove si riserva l’articolo 5 alla cooperazione economica, industriale e
digitale.
In
conclusione dell’articolo 5, si annuncia l’adozione di una misura come
l’istituzione del Forum di consultazione tra i ministeri dell’economia, delle
finanze e dello sviluppo economico italiani e francesi.
Si
tratta di una misura notevole, in quanto vengono finalmente create delle
consultazioni a livello istituzionale, che trovano già degli equivalenti a
livello nazionale, nelle organizzazioni delle industrie e del commercio in
entrambi i paesi.
A
titolo di esempio, si possono citare i vertici tra Confindustria e la sua
controparte francese Medef (Mouvement des Entreprises de France) a livello
bilaterale, che hanno luogo da alcuni anni e che hanno dimostrato una certa
solidità durante i recenti periodi di tensioni politiche tra i due paesi.
Un esempio di consultazioni a livello globale
è invece il B20, dove in ogni caso Italia e Francia avranno l’opportunità di
dimostrare un allineamento in campo industriale.
Il
Trattato del Quirinale prospetta dunque una collaborazione governativa interessante,
che cela delle grandi opportunità per l’Italia non solo di allineamento
industriale, ma anche di supplire ad alcune mancanze che risultano penalizzanti
verso l’Europa, come il già citato bisogno di maggior dialogo verso la comunità
europea.
Su
questo ultimo tema del Trattato del Quirinale e dei rapporti industriali tra
Italia e Francia potremo infine fare alcune prime valutazioni in occasione del
primo anniversario del Trattato, che ricorrerà questo autunno.
Midterm:
la possibilità di un Congresso
repubblicano
e la politica estera Usa.
Affarinternazionali.it
– (1°novembre 2022) - Dario Cristiani - Riccardo Alcaro – ci dicono:
Il
prossimo 8 novembre gli elettori americani si recheranno alle urne per eleggere
un nuovo Congresso – specificamente, tutti e 435 i membri della Camera dei
Rappresentanti e 35 (su cento) membri del Senato – in carica a partire da
gennaio 2023.
Le
elezioni congressuali, dette di metà mandato (mid-term) poiché cadono a metà
del mandato presidenziale, sono un appuntamento la cui rilevanza non è sempre
riconosciuta adeguatamente.
Questo
passaggio elettorale sarà di grande importanza per trarre indicazioni sulle
mosse future dell’attuale presidente Joe Biden e dell’ex presidente Donald
Trump rispetto a una loro eventuale ricandidatura nel 2024.
Il
“potere della borsa”.
In
questa elezione i temi di politica estera non sono centrali, nonostante le evidenti
ricadute che le dinamiche internazionali hanno su inflazione ed economia, che
sono al centro delle preoccupazioni degli elettori americani e che pertanto
favoriscono (nettamente, stando ai sondaggi) i Repubblicani.
Nonostante
la Costituzione degli Stati Uniti assegni al solo presidente la responsabilità
dell’azione internazionale del paese, il Congresso può influenzarne le scelte
attraverso il “potere della borsa” – è infatti il Congresso che distribuisce i
fondi pubblici sulle varie politiche (inclusa quella estera) –, bloccando le
nomine presidenziali di membri del gabinetto e ambasciatori e la ratifica di
trattati internazionali (in entrambi i casi l’approvazione spetta al Senato).
Più
indirettamente il Congresso contribuisce a rafforzare o ridurre il capitale
politico del presidente in carica.
Se i
Repubblicani dovessero ottenere la maggioranza alla Camera (molto probabile), o
in entrambe le camere (come sembra possibile), certamente proverranno a
influenzare la politica estera del presidente Biden, non solo con l’obiettivo
di modificarne l’azione ma anche per ostacolarne l’agenda a fini elettorali in
vista delle presidenziali di novembre 2024.
Se
invece i Democratici dovessero mantenere il controllo del Senato, o addirittura
quello dell’intero Congresso, Biden avrebbe maggiore margine per portare avanti
la sua agenda internazionale.
Continuità
su Medio Oriente e Cina.
Su
determinati questioni difficilmente si vedranno cambiamenti, anche qualora ci
sia un governo diviso e un Congresso dominato dai Repubblicani. Ad esempio,
l’approccio a molte questioni medio orientali e mediterranee – dallo stretto
rapporto con Israele al sostegno agli Accordi di Abramo che hanno normalizzato
le relazioni tra Israele stesso e alcuni Paesi arabi – è rimasto lo stesso
dell’amministrazione Trump.
Anche
rispetto alla Cina si è avuta sostanziale continuità. Anzi, Biden ha presieduto
a un ulteriore consolidamento di un approccio impostato sulla competizione
sistemica, quasi di contenimento, del gigante asiatico.
L’ostilità anti-cinese mostrata da Trump, che
pure era stato aperto a qualche compromesso, si è invece tradotta in un
sostanziale accoglimento da parte dei Repubblicani dell’idea che la rivalità
con la Cina ha radici strutturali.
Eventuali
cambi di maggioranza al Congresso non porteranno quindi a un cambio di rotta
nelle relazioni di Washington con Pechino.
Vi
sono invece tre dossier su cui è possibile anticipare cambiamenti in caso le
elezioni risultino in un governo federale diviso tra un presidente democratico
e un Congresso totalmente o parzialmente in mano repubblicana.
Il primo riguarda le relazioni con la Russia,
che coinvolge chiaramente anche l’approccio verso l’Ucraina e le relazioni con
gli alleati europei.
Il
secondo è l’attitudine di Washington verso il contrasto al cambiamento
climatico.
Il terzo riguarda la questione nucleare
iraniana.
Russia
e Ucraina.
Una
buona parte dell’elettorato repubblicano, soprattutto quella larga parte di
esso che riconosce in Trump il proprio indiscusso leader carismatico, ha
mostrato insofferenza verso il coinvolgimento americano nella guerra d’Ucraina.
Cinquantasette
Repubblicani alla Camera e undici al Senato hanno votato contro la legge sugli
aiuti all’Ucraina da 40 miliardi di dollari a maggio.
Voci
influenti nel mondo politico culturale repubblicano, come quelle del
seguitissimo host della Fox, l’ultraconservatore Tucker Carlson, e di Donald
Trump Jr. (il figlio dell’ex presidente), continuano a sostenere che sia il
caso di tagliare gli aiuti all’Ucraina.
Nelle
ultime settimane, il leader dei Repubblicani alla Camera Kevin McCarthy ha
annunciato che, se i Repubblicani dovessero ottenere la maggioranza, rivedranno
gli aiuti Usa all’Ucraina alla luce della loro sostenibilità per il fisco
federale e di altre priorità di politica interna.
Non si
può escludere che i Repubblicani spingano per una revisione del massiccio – e
costoso – sostegno militare offerto da Biden all’Ucraina.
Ciò
non vuol dire che i Repubblicani chiuderanno il rubinetto degli aiuti, ma che
potrebbero condizionarli a cedimenti su temi di politica interna da parte di
Biden e anche a una maggiore pressione sugli alleati europei perché destinino
più risorse all’assistenza a Kiev.
I
repubblicani e il sostegno all’Europa.
Una
maggioranza repubblicana dominata dai trumpiani al Congresso spingerebbe
infatti per un generale ridimensionamento dell’impegno americano alla sicurezza
dell’Europa, che pure è stato indispensabile per la coesione della risposta
transatlantica di sostegno all’Ucraina e pressione sulla Russia.
Trump
si è mostrato in passato piuttosto allergico alle necessità legate alla
solidarietà atlantica.
In tempi di profonda crisi economica, parte
dei Repubblicani potrebbero giustificare un progressivo disimpegno dall’Europa
come salvifico per i contribuenti.
Ciò
detto, c’è una parte del Partito repubblicano che mantiene un atteggiamento più
tradizionale, di confronto e chiusura, rispetto alla Russia.
Il
cosiddetto “blocco reaganiano” che si contrappone al “blocco trumpiano“, di cui
fa parte il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, sostiene la
necessità di continuare a sostenere l’Ucraina.
Un cambiamento
radicale della politica estera Usa verso l’Ucraina è pertanto da escludere.
Tuttavia,
la Russia tenterà di capitalizzare in ogni modo sull’insofferenza di parte
dell’elettorato repubblicano tramite azioni di disinformazione e manipolazione
del web che hanno visto i russi protagonisti negli ultimi anni.
Spazio
ridotto per il clima.
Sulle
altre due questioni, la distinzione tra Repubblicani trumpiani e non trumpiani
è meno rilevante.
Già
con l’attuale Senato, in cui i Democratici hanno la più risicata delle
maggioranze, Biden ha avuto difficoltà ad avanzare un’ambiziosa legislazione climatica,
sebbene abbia infine colto un importante successo con l’approvazione dell’Inflation Reduction Act, che contiene numerose misure di
sostegno alla lotta al riscaldamento climatico.
Un
Congresso dominato dai Repubblicani ridurrà però lo spazio per Biden
praticamente a zero.
La
complessa questione del nucleare iraniano.
Stesso
dicasi per l’eventuale riattivazione dell’accordo nucleare con l’Iran del 2015,
che Trump abbandonò unilateralmente nel 2018.
Fino a
poche settimane fa, Biden ancora sperava di poter riportare in vita l’accordo,
che aveva posto il programma nucleare iraniano sotto limiti molto severi (anche
se temporanei) e un intrusivo regime di ispezioni Onu.
La
repressione delle proteste antigovernative e la vendita alla Russia di droni e
altri sistemi d’arma hanno però spinto il presidente ad adottare un approccio
molto più duro nei confronti di Teheran.
Ciò
detto, l’amministrazione è rimasta aperta a una qualche forma di diplomazia
nucleare, almeno in teoria.
Se i
Repubblicani, che si sono sempre opposti all’accordo nucleare, dovessero uscire
vincitori dalle elezioni di metà mandato, è quasi certo che Biden si
orienterebbe verso una politica di contenimento e massima pressione economica
verso l’Iran – la stessa inaugurata da Trump – nonostante Biden stesso abbia
più volte rilevato come questa politica non abbia portato a nessun risultato
positivo.
L’Impossibile
Rimozione
delle
False Nozioni
Conoscenzealconfine.it
– (1° Novembre 2022) - Massimo Mazzucco – ci dice:
Non
c’è niente da fare. Ormai l’idea che vaccinarsi sia servito “a proteggere
l’intera popolazione” è entrata nel subconscio della maggioranza degli
italiani, e di lì non uscirà più.
A
nulla è servito rendersi conto che il virus ha tranquillamente continuato a
girare, nonostante l’odioso green pass.
A
nulla è servito scoprire che gente quadri-vaccinata – come Massimo Galli – si
beccava comunque l’infezione da gente altrettanto vaccinata.
A
nulla è servito scoprire che la Pfizer non avesse mai nemmeno testato il
vaccino contro la diffusione del virus, prima di metterlo in commercio.
Quella
del “vaccino che salva la società” è ormai una verità acquisita, a livello
popolare.
E
adesso che si parla di reintegrare prima del previsto i medici non vaccinati,
ecco che l’accademia insorge contro questo “favoritismo” che andrebbe a
premiare gli alunni “disobbedienti”.
Nino
Caltabellotta, dell’Istituto Gimbe, ha affermato: “Il reintegro dei sanitari non
vaccinati contro Covid-19 e le ‘sanatorie’ per i no-vax rappresentano
un’amnistia anti-scientifica e diseducativa”.
È
proprio nella parola “diseducativa” che Caltabellotta tradisce il vero intento
della campagna vaccinale: non quello – appunto – di fermare l’infezione, ma
quello ben più subdolo di “insegnare” a tutti che bisogna obbedire ai diktat
delle farmaceutiche, whatever it takes.
E
questo purtroppo è anche il sentire della maggioranza della popolazione, che si
è vaccinata anche come forma di responsabilità verso gli altri.
Chi si
è vaccinato è convinto di “aver fatto il bravo”, e ora gli dà fastidio vedere
che i “cattivi” vengano perdonati.
Purtroppo
ciò che è stato acquisito come verità a livello emozionale (tramite la paura
del virus), non potrà mai essere rimosso con un semplice ragionamento logico.
L’unico modo per rimuoverlo sarà un
equivalente evento emozionale, uguale e contrario, che vada a toccare ciascun
cittadino nel suo livello più intimo. È triste doverselo augurare, ma forse
solo quando le cosiddette “morti improvvise” saranno diventate abbastanza
numerose da non poter più essere nascoste sotto il tappeto, la gente comincerà a smantellare
quella sovrastruttura emotiva che fino ad oggi le ha impedito di vedere i fatti
nella loro verità più lampante.
(Massimo
Mazzucco - luogocomune.net/21-medicina-salute/6107-l-impossibile-rimozione-delle-false-nozioni)
Davos
Agenda,
dal World
Economic
Forum l’appello a collaborare per
sfruttare
le opportunità delle tecnologie 4.0.
innovationpost.it
– (18 Gennaio 2022) - Michelle Crisantemi – ci dice:
La
spinta accelerativa che la pandemia ha dato alla digitalizzazione rende
necessario rafforzare gli sforzi per estendere l’accesso a Internet a tutti i
cittadini del mondo, per poter garantire l’accesso a tanti servizi essenziali
che si sono ora spostati sul Web.
A
questo si aggiungono le sfide legate alle fragilità emerse e causate dalla
pandemia:
da un
lato la riorganizzazione delle Supply Chain, nell’ottica di una maggiore
resilienza, sostenibilità e trasparenza.
Dall’altro,
la carenza di materie prime con il conseguente rialzo dei prezzi, che ha
alterato gli equilibri geopolitici e alimentato le competizioni tra i mercati
internazionali.
In
questo scenario, nessuna istituzione, azienda o individuo da solo può affrontare
le sfide economiche, ambientali, sociali e tecnologiche di un mondo sempre più
complesso e interdipendente.
Sono
dunque necessarie nuove partnership e alleanze per raggiungere gli scopi comuni
e far sì che tutti gli stakeholder traggano beneficio dalle tecnologie che,
nell’era della Quarta Rivoluzione Industriale, permettono l’accesso a nuovi
vantaggi competitivi per le aziende e la fruizione di diritti fondamentali per
i cittadini.
È
questo il messaggio che emerge dalla prima giornata di incontri online di The
Davos Agenda, l’evento che quest’anno sostituiscono l’annuale appuntamento del
World Economic Forum, cancellato a causa dell’aumento dei contagi da Covid-19
trainato dalla variante Omicron.
Internet
accessibile a tutti: la priorità per il 2022.
“Non
siamo mai stati così dipendenti dalle tecnologie digitali nel nostro
quotidiano.
Da
quasi due anni a questa parte, le piattaforme digitali ci hanno permesso di
lavorare da remoto, accedere a tanti servizi che non erano più fruibili offline
e restare in contatto con i nostri cari.
Alla
luce di questo, siamo convinti che estendere l’accesso a Internet a tutti i
cittadini, a livello mondiale, deve essere la priorità per questo 2022“,
commenta Samir Saran, Presidente della Observer Research Foundation (ORF), una
delle think tank più influenti in Asia.
I
dati, infatti, evidenziano che circa 3,6 miliardi di cittadini non hanno
accesso a una connessione Internet.
Tuttavia,
l’85% di questi cittadini vivono in aree dove è presente una copertura
broadband. Questo sottolinea un altro importante fattore che, oltre alla
necessità di costruire nuove infrastrutture, deve essere preso in
considerazione: l’accessibilità delle connessioni Internet, in termini di prezzi.
“La
pandemia ha contribuito a aumentare le disuguaglianze in termini di accesso ai
servizi digitali tra i cittadini.
Oggi
essere connessi non è un’opzione, ma un diritto fondamentale”, commenta Hans
Vestberg, CEO di Verizion Communications e Presidente della Edison Alliance,
l’alleanza promossa dal World Economic Forum che riunisce leader governativi e
industriali per promuovere lo sviluppo delle tecnologie digitali e il
raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).
In
questo scenario di forti disuguaglianze – dove ancora 2 miliardi di persone non
hanno accesso ai servizi sanitari, oltre 1,7 miliardi a un conto in banca e più
di 260 milioni di bambini sono esclusi dal sistema educativo – l’Edison
Alliance sostiene l’importanza di utilizzare le infrastrutture del XXI secolo
per rendere questi servizi accessibili e convenienti su larga scala.
Dello
stesso pensiero Sunil Bharti Mittal, fondatore e Presidente di Bharti
Enterprises, azienda indiana che opera nel campo delle telecomunicazioni, del
commercio, dei servizi finanziari e dell’agricoltura. “La Quarta Rivoluzione Industriale ci
ha finora dimostrato che non c’è modo migliore per rispondere ai problemi che
affliggono la nostra società che attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali”,
commenta.
Tra i
cittadini che ancora non hanno accesso a Internet c’è circa un miliardo di
persone che vive in aree del pianeta dove la fibra non potrà raggiungerli, per
impedimenti geografici.
La
nuova generazione di satelliti LEO (Low Earth Orbit) consentirà di raggiungere
anche questi cittadini, ma saranno necessari investimenti considerevoli.
Tecnologie
molto costose, precisa Mittal – nei prossimi 9 anni serviranno oltre 425
miliardi di dollari di investimenti per raggiungere questa ultima fetta di
popolazione – che richiedono a tutti gli stakeholder che operano nell’ambito
delle tecnologie digitali, governi compresi, uno sforzo condiviso.
Per
questo, nel 2022 l’Edison Alliance si concentrerà su quattro sfide:
promuovere il
trasferimento tecnologico tra le singole giurisdizioni nazionali;
abilitare le
competenze necessarie queste trasformazioni digitali;
sbloccare modelli di
finanziamento innovativi necessari per accelerare l’implementazione;
creare un quadro
normativo che favorisca queste innovazioni a livello globale;
La riduzione delle
disuguaglianze digitali come impegno strategico per le imprese.
Un impegno che
ovviamente non può prescindere dagli sforzi delle imprese, soprattutto di
quelle che operano nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle
telecomunicazioni.
Impegno
che, sottolinea Vestberg, deve essere vissuto come una scelta strategica per le
aziende e non più come un impegno filantropico.
Da questa scelta strategica non possono essere
escluse le piccole e medie imprese, che in molti Paesi e in diverse filiere
rappresentano una componente fondamentale della catena di fornitura di grandi
aziende.
Per
questo, è importante che siano messe in condizioni di accedere ai fattori
abilitanti questa trasformazione, come opportunità di investimento e supporto
alla formazione dei propri dipendenti.
Le
opportunità e le sfide per le economie emergenti.
La
costruzione di queste partnership tra governi e imprese è ancora di maggiore
importanza per le economie emergenti, dove le tecnologie digitali si sono già
dimostrate di grande supporto nell’affrontare la carenza di servizi di primaria
importanza per i cittadini.
È
questo il caso del Ruanda e dell’utilizzo di droni per portare farmaci
emergenziali anche a quelli ospedali che si trovano nelle aree più remote del
Paese.
“Ci siamo trovati davanti a questa
opportunità senza che però ci fosse una normativa o degli standard a livello
mondiale per l’utilizzo dei droni. Invece di aspettare che qualcun altro si
impegnasse in questo, abbiamo avviato una cooperazione con il World Economic
Forum”, spiega Paula Ingabire, Ministro dell’ICT e dell’Innovazione.
Una
cooperazione che ha portato il Paese a individuare gli standard necessari per
supportare la creazione di una regolamentazione agile in grado di adattarsi ai
bisogni, ancora in evoluzione, della tecnologia.
Un
approccio che può essere ripetuto, sottolinea il Ministro, anche per le altre
tecnologie 4.0. Per i policy maker, tuttavia, questa sfida è resa ancora più
ardua dalla conoscenza ancora non sufficiente – soprattutto nelle economie
emergenti di queste tecnologie.
“Queste
tecnologie evolvono a ritmi così veloci che la sfida è anche quella di trovare
il giusto approccio alla regolamentazione in modo che non si blocchi
l’innovazione, ma al tempo stesso si proteggano i cittadini”, commenta
Ingabire.
Per le
economie emergenti, come quelle dei Paesi africani, si tratterà anche di
trovare il giusto equilibrio tra assimilare le lezioni apprese da ciò che è
stato fatto nei Paesi tecnologicamente più avanzati e ciò che è necessario ai
bisogni interni nazionali, per non rischiare di essere tagliati fuori anche da
questa ondata di innovazione tecnologica.
In
questo ambito, l’assenza di infrastrutture e sistemi legacy può essere vista
come un’opportunità che richiede, tuttavia, libertà nella creazione di alleanze
internazionali e l’individuazione di scopi e politiche condivise.
Creare
fiducia nelle tecnologie digitali per sfruttare le opportunità delle tecnologie
4.0.
Per
non perdere queste opportunità sarà però anche necessario alimentare – e in
alcuni casi costruire – la fiducia dei cittadini verso le tecnologie digitali.
Per le
imprese, questo vuol dire più trasparenza. “Come aziende, dobbiamo essere
trasparenti con gli utenti riguardo le nostre attività e, soprattutto, su come
raccogliamo e utilizziamo i dati. Oltre alla regolamentazione delle tecnologie,
sarà importante anche regolare le strategie delle organizzazioni per aumentare
la fiducia degli utenti”, sottolinea Vestberg.
Fiducia
che si costruisce non soltanto con l’informazione, ma anche dando agli utenti
la possibilità di scegliere come verranno utilizzati i loro dati personali. Fornire questa scelta gli utenti sarà
fondamentale, sostiene Vestberg, poiché la tecnologia avrà un ruolo sempre più
importante nella vita dei cittadini e perché costituisce lo strumento migliore
per creare un mondo più inclusivo.
“Nell’era
dell’Industria 4.0, dove tutto ruota intorno alla raccolta e l’utilizzo dei
dati, aziende e governi devono assicurare che i cittadini siano protetti.
Questo
vuol dire prevenire gli abusi, quindi che i loro dati vengano utilizzati
incorrettamente, ma anche assicurare la sicurezza informatica dei sistemi. Ecco
perché occorre mobilitare più investimenti in cyber security “, conclude
Mittal.
Forum
di Davos 2022: lavorare
insieme
per riconquistare la fiducia.
Bbva.com
- David Corral - Carmen Álvarez - Miriam Gidrón – (25-5-2022) – ci dicono:
(Creatività
BBVA)
Dopo
due anni di restrizioni legate alla pandemia, il Forum Davos , ospitato dal WEF
(World Economic Forum) e che si terrà dal 22 al 26 maggio 2022, è tornato a un
formato di incontro di persona.
Questa
edizione è una delle più critiche finora, a causa dei grandi cambiamenti che il
mondo ha visto dall'ultima volta che si è tenuto l'evento e della dura prova
che la società ora deve affrontare.
Con la pandemia sullo sfondo e l'invasione
dell'Ucraina in primo piano, il vertice giunge in un momento geopolitico ed
economico decisivo, quando il mondo affronta sfide urgenti in emergenze
umanitarie, energia e sicurezza, senza perdere di vista gli impegni a lungo
termine per trasformare, nutrire e de-carbonizzare il pianeta.
Da
oltre 50 anni, il World Economic Forum , noto anche come Forum di Davos, funge
da piattaforma globale in cui i leader delle imprese, del governo, delle
organizzazioni internazionali, della società civile e del mondo accademico si
riuniscono per affrontare le domande critiche all’inizio di ogni anno.
Nel
2021 il forum ha dovuto essere cancellato a causa della pandemia. In questa
occasione, gli organizzatori hanno suddiviso l'agenda in una serie di incontri
virtuali che si svolgeranno nel mese di gennaio, ed è previsto un incontro di
persona per la metà dell'anno in Svizzera.
La
guerra in Ucraina e la tragedia umana che essa comporta ha imposto un cambio di
programma.
I leader riuniti a Davos devono quindi
affrontare le sfide derivanti dal conflitto, ma non perdere di vista le
priorità ambientali, tecnologico e termine sociali a più lungo. Gli incontri
sono strutturati intorno a sei temi:
1) Promuovere la cooperazione globale e
regionale; 2) Assicurare la ripresa economica e costruire una nuova era di
crescita; 3) Costruire società sane ed eque; 4) Tutela del clima,
dell'approvvigionamento alimentare e della natura; 5) Promuovere la trasformazione
dell'industria; 6) Sfruttare il potere della Quarta Rivoluzione Industriale.
Dal 22
maggio 2022 al 26 maggio 2022, Davos si terrà nuovamente di persona dopo una
pausa di due anni a causa della pandemia.
Un'agenda
globale per un mondo a una svolta.
I
leader globali che partecipano all'incontro ogni anno lavoreranno su otto
priorità: cooperazione globale; riequilibrio economico; società ed equità;
clima e natura; innovazione e governance; trasformazione industriale, rischi e
resilienza; e la salute globale.
L'agenda
prevede la partecipazione di circa 2.000 persone tra cui capi di stato e di
governo, amministratori delegati di società civile, leader dei media globali e
giovanili di Africa, Asia, Europa, Medio Oriente, America Latina e Nord America.
L'incontro
incarnerà lo "spirito di Davos" definito dalle idee per elaborare
idee e innescare l'impatto globale necessario per lo sviluppo del mondo.
La
Spagna sarà rappresentata dal Presidente del Governo, Pedro Sánchez, dal
Ministro per la Transizione Ecologica, Teresa Ribera, e dal Ministro degli
Affari Esteri, José Manuel Albares.
Saranno presenti anche di spicco del mondo
imprenditoriale spagnolo, come il presidente di BBVA, Carlos Torres Vila, ei
presidenti di Iberdrola, Telefónica, Ferrovial Naturgy e Repsol.
Le
uniche che circondano incontro questo annuale rendono più importanti che mai
avere obiettivi circostanze chiari. Il WEF ne sottolinea due in particolare:
La
priorità principale è destinata i progressi e l'impatto del forum per
affrontare le sfide globali, dal COVID e dai cambiamenti climatici
all'istruzione e alla tecnologia globale.
Il
secondo obiettivo è fornire una piattaforma di connessione, favorendo così la
generazione di nuove idee e innovazioni, coinvolgendo comunità, progetti e
individui disposti a condividere i propri contributi. La tecnologia attraverso
connessioni pubbliche di osservare e interagire con il forum lo streaming live
di sessioni, social network e virtual network.
Cos'è
Davos?
Davos
è la città più alta d'Europa.
Cos'è
il Forum di Davos?
Il
Forum si tiene a Davos, la città più alta d'Europa (1.560 metri). Circondato
dalle montagne, ospita la stazione sciistica più grande della Svizzera.
Tuttavia, Davos non è famoso per la sua neve ma per aver ospitato il World
Economic Forum (WEF). A questo incontro annuale e leader politici, economici,
culturali dei media che vogliono prendere parte all'agenda internazionale.
Davos
è stata fondata nel 1971 a Ginevra (Svizzera) come organizzazione no-profit
"indipendente, imparziale e non legato a interessi particolari". Il
suo fondatore è Klaus M. Schwab professore all'Università di Ginevra, che
inizialmente ha invitato 444 dirigenti di Imprese europee ad un incontro sulla
corporate governance nel centro congressi di Davos.
La sua
idea era di americano adottare l'approccio di gestione aziendale alle aziende
europee. Non avresti immaginato che quell'incontro sarebbe stato portato al
vertice internazionale senza precedenti che è oggi.
Migliaia
di idee escono dal Forum di Davos. Non tutti si sono concretizzati, ma alcuni
sono arrivati lontano: l'accordo di libero scambio nordamericano, firmato
tra Canada, Messico e Stati Uniti, è stato proposto per la prima volta in un
incontro informale a Davos.
Nel
1971, il professor Klaus M. Schwab dell'Università di Ginevra ha invitato 444
dirigenti a partecipare, più di quattro decenni fa.
Un
vertice ispirato da un manifesto sostenibile.
Il
2020 ha visto il lancio di un nuovo 'Manifesto di Davos' con l'unico obiettivo
di costruire un mondo più sostenibile e inclusivo.
L'anno
scorso è stato il vertice annuale più sostenibile fino ad oggi. Ha ricevuto la
certificazione IS0 20121 per eventi sostenibili e sarà totalmente carbon
neutral.
Questo
risultato è stato possibile grazie a politiche volte all'utilizzo di fornitori
alimentari di provenienza locale, all'introduzione di fonti proteiche
alternative per ridurre il consumo di carne, all'approvvigionamento di energia
elettrica rinnovabile al 100%, alla riduzione o all'eliminazione dell'uso di
materiali che non possono essere riciclati o facilmente riutilizzati e
aumentare la disponibilità di veicoli elettrici.
Come
seguire il World Economic Forum di Davos?
L'Agenda
di Davos mira a informare il pubblico globale e gli oltre 25.000.000 di
follower sui social media del Forum sulle domande chiave che caratterizzeranno
l'anno a venire.
Coinvolgerà
anche oltre 430 città in 150 paesi che ospitano “Global Shapers”, una rete di
giovani che guida il dialogo, l'azione e il cambiamento.
Si
possono trovare un questo link. Più di
20.000 membri di “Top Link”, la sua piattaforma di interazione digitale, e
oltre 400.000 abbonati a “Strategic Intelligence”, la sua app di conoscenza
leader a livello mondiale, saranno anche attivi online durante il programma
della settimana.
Non ci
sono scuse per perdersi: sono stati allestiti diversi canali in cui è possibile
seguire le discussioni degli eventi e le attività dell'agenda.
IL
GREAT RESET HA BISOGNO
DELLA
TERZA GUERRA MONDIALE?
Opinione.it
- Gerardo Coco – (06 giugno 2022) - ci dice:
Il
Great Reset ha bisogno della Terza guerra mondiale?
Fino a
qualche anno fa il famoso forum mondiale, World Economic Forum (Wef) di Davos,
nelle Alpi svizzere – l’ultima edizione del quale si è conclusa alla fine di
maggio – sembrava un evento innocuo: il ridicolo spettacolo dell’uno per
cento della ricchezza mondiale, che si sposta in jet privati, intasa
l’aeroporto di Zurigo e poi ha la pretesa di spiegare come rispettare
l’ambiente. In verità, il Wef è l’organizzazione
non governativa più pericolosa oggi esistente.
E il
suo fondatore, Klaus Schwab, (noto produttore di bombe atomiche illegali in Sud
Africa!Ndr.) un
accademico/tecnocrate di fede marxista con una forte tendenza transumanista che
vagheggia circa la fusione degli esseri umani con le macchine e le forze
dell’ordine capaci di leggere la nostra mente (come ha scritto nel suo libro Shaping
the Future of The Fourth Industrial Revolution), è oggi l’uomo più influente del
mondo.
Per
tre decenni ha indottrinato politici, finanzieri e industriali a diventare
“Young Global Leaders”, con la missione di plasmare un futuro “più inclusivo e
sostenibile”.
Tra coloro che sono usciti dalla sua accademia
figurano vecchi e nuovi capi di Stato come Angela Merkel, Nicolas Sarkozy,
Emmanuel Macron, Justin Trudeau. Inoltre, Jacinda Ardern, primo ministro della
Nuova Zelanda e Scott Morrison (Australia).
Fra
gli ultimi allievi di Schwab c’è Sanna Marin, primo ministro finlandese,
sollecitata da Schwab ad accelerare l’adesione del suo Paese alla Nato.
Partner
del Wef sono le maggiori multinazionali globaliste occidentali, istituzioni
come l’Organizzazione mondiale della sanità, i leader dell’attivismo climatico
e le più grandi società dei media.
Il
Consiglio di amministrazione di questa congrega include Kristalina Georgieva e
Christine Lagarde, capi, rispettivamente, del Fondo monetario internazionale e
della Banca centrale europea.
C’è
anche Larry Fink, numero uno di BlackRock, la più grande società di
investimento mondiale.
Ovvio
che con tale potenza di fuoco, finanziaria e mediatica, utilizzabile come mezzo
di pressione, Schwab sia diventato il temuto “burattinaio” dei leader
occidentali di cui si sta servendo per pianificare, con il pretesto
dell’emergenza climatica, un Governo globale con conseguente eliminazione della
democrazia.
Come
sarebbe possibile, infatti, governare il mondo se le persone hanno il diritto
di rimuoverti?
È
stato Schwab, nel 2015, a ordinare ai leader occidentali, tranne che all’ex
presidente americano Donald Trump, di adottare l’Agenda 2030, il piano
autoritario per smantellare le industrie basate sui combustibili fossili per
“ricostruirle meglio” con le energie rinnovabili.
Che
siano tutti sotto il suo incantesimo è dimostrato dai pochi secondi di questo
video, in cui li vediamo ripetere, come pappagalli ammaestrati, “Build Back Better”, lo slogan coniato dallo stesso
Schwab nel 2019 prima dello scoppio della pandemia.
Teoricamente,
dovremmo vivere in Repubbliche e democrazie. Ma quando funzionari eletti sono
fedeli al Forum economico mondiale, invece che ai loro elettori, la democrazia
diventa una farsa.
Anzi, alto
tradimento.
Di
sicuro, a rendere così influente Schwab è stata l’attuale, monumentale crisi
economica e sociale.
Le economie si stanno sbriciolando, perché il
loro finanziamento, attraverso il debito perpetuo senza intenzione di
ripagarlo, è giunto al termine.
Gli
stimoli da parte delle banche centrali sono falliti. E a stento i governi si
mantengono in condizioni di sopravvivenza.
Ai
politici, abbastanza intelligenti per capire che un default dello Stato sociale
significherebbe l’assalto della folla ai loro parlamenti, Schwab ha prospettato il modo di
mantenere il potere: trasferirsi nel suo Stato autoritario, con il pretesto
della falsa emergenza climatica.
Una
volta sprofondati nel caos, le sovranità statali scompariranno per essere
sostituite da grandi strutture sovranazionali, che gestiranno il Governo
globale.
Questo
è lo scopo del Great Reset: ridisegnare da zero l’economia, forzando il
collasso come unica soluzione praticabile, perché tanto l’economia crollerà
comunque.
I
blocchi del 2020 hanno offerto un’anteprima della governance globale. Basta
seminare il panico per far approvare, con poche resistenze, agende politiche da
horror.
Il
controllo totalitario attraverso quarantene, vaccini, mascherine e passaporti
sanitari, insieme al distanziamento sociale per prevenire disordini e rivolte,
hanno abituato il pubblico a ricevere ordini da fonti governative centralizzate.
Tutto
questo si ripeterà e i governi in bancarotta, nell’imporre l’emergenza, non
avranno altra scelta che agire di nuovo all’unisono, seguendo le direttive del
Wef che detta le condizioni per poter beneficiare di prestiti e finanziamenti. Tutto ciò che stiamo subendo oggi,
dal collasso dell’economia, alla scarsità alimentare, energetica, ai disordini
civili e alla guerra in Ucraina è il risultato del Great Reset.
È
significativo che, in questo ultimo forum, Schwab – che si vanta di perseguire
la missione di migliorare il mondo – non abbia speso una parola per mediare la
pace.
Invece,
ha fatto parlare il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, altro suo
accolito, che si è rivolto al Wef con tono aggressivo, chiedendo all’Occidente
più miliardi e armi, ricevendo una standing ovation dalla folla del Wef.
Il
fatto è che Schwab vede nella guerra in Ucraina un potenziale significativo per
spingere nuove restrizioni alle libertà e per lanciare nuovi programmi. Anzi,
un allargamento del fronte sarebbe ancora più funzionale alla sua folle utopia.
Prima,
a ostacolarla, c’era stato Trump, di cui l’Occidente è riuscito a sbarazzarsi e
imporre, nel 2020, il “burattino” Joe Biden, nuovo presidente degli Stati
Uniti, nell’elezione palesemente più scorretta della storia americana.
Biden,
seguendo le istruzioni di Schwab, ha deliberatamente rovinato la capacità
dell’America di essere indipendente dal punto di vista energetico.
Nel
suo primo giorno in carica ha emesso tre ordini esecutivi:
l’approvazione
dell’Agenda 2030 ripudiata dal predecessore, la cancellazione del gasdotto
Keystone Xl tra Canada e Stati Uniti, e il blocco delle trivellazioni nel suo
Paese.
Ora
gli ostacoli al Great Reset rimangono Russia e Cina.
Schwab
è tanto folle da credere che con la Terza guerra mondiale si possano
sottomettere queste due potenze.
E unire il mondo sotto l’ombrello delle
Nazioni Unite, organizzazione che dal conflitto emergerebbe come grande
pacificatore.
La
Terza guerra mondiale potrebbe essere proprio ciò di cui le classi dirigenti
occidentali hanno bisogno per coprire il loro default, ridisegnare l’economia e
istituire un Governo globale.
Sarebbe
edificato col sangue, ma sarebbe l’unico modo in Redazione
Davos,
Zelensky in
collegamento
al
World Economic Forum:
"Sanzioni
massime"
contro Mosca.
Tg24.sky.it - Redazione – (23 mag. 2022) – ci dice:
Da
oggi fino a giovedì nella cittadina della Svizzera tedesca si tiene il Forum
economico globale. In agenda diverse emergenze, dalle pandemie all’economia in
crisi, dalle guerre al clima e alla transizione energetica.
Uno
dei temi principali è il conflitto russo in Ucraina, al centro di decine di
sessioni e incontri. Il vertice, dal quale sono stati esclusi i russi, si apre
con l'intervento del presidente ucraino: "Questo è il momento in cui si
decide se la forza bruta dominerà il mondo".
Si è
aperto oggi a Davos il Forum economico globale, che andrà avanti fino a
giovedì. Al centro dell’appuntamento economico più importante dell'anno, che
torna nella cittadina della Svizzera tedesca dopo oltre due anni di Covid e
l'edizione 2021 cancellata, ci sono diverse emergenze: dalle pandemie
all’economia in crisi, dalle guerre al clima.
Il conflitto russo in Ucraina, in particolare,
è uno dei temi di cui si discuterà di più, con il World Economic Forum che
vuole dimostrare il suo sostegno al Paese e la sua condanna nei confronti di
Mosca.
Per questo, è intervenuto anche il presidente
ucraino Volodymyr Zelensky.
Il
vertice, dal quale sono stati esclusi i russi, si è aperto con l'intervento in
collegamento video di Zelensky.
Il presidente ucraino, che è stato accolto con
un applauso, ha chiesto "sanzioni massime" contro la Russia.
Serve un
"embargo completo sul petrolio, che "tutte le banche russe siano
escluse dai sistemi globali e che non ci sia nessun commercio con la
Russia", ha aggiunto. Poi ha spiegato: “Serve sbloccare i nostri porti
marittimi. Bisogna usare tutti i canali diplomatici, perché da soli non
possiamo lottare contro la Russia. Noi parliamo con la Commissione europea, il
Regno Unito, la Svizzera, la Polonia e l'Onu e chiediamo loro di prendere
misure per un corridoio per l'export del nostro grano e dei cereali, altrimenti
la penuria avrà effetti sul mondo e ci sarà una estensione della crisi
energetica”.
Secondo
Zelensky, “questo è il momento in cui si decide se la forza bruta dominerà il
mondo. Se così accadrà, non avrà più senso organizzare raduni come quello di
Davos". Il presidente ucraino ha poi chiesto il ritiro completo di tutti i
Paesi stranieri dalla Russia, in modo che non vengano utilizzati per gli
"interessi sanguinari" di Mosca.
Ha
anche invitato i Paesi alla ricostruzione. "Offriamo al mondo la
possibilità di creare un precedente per ciò che sta accadendo quando si tenta
di distruggere un" Paese "vicino. Vi invito a prendere parte a questa
ricostruzione", ha detto. “Dobbiamo fare in modo che l'Ucraina diventi una
nazione sicura, una nazione attraente, ed è quello che sogno per l'Ucraina.
Io sono riconoscente al mondo, non perdete
questo sentimento di unità, è il segno della forza che i russi temono. Spero
che ognuno di voi potrà svegliarsi al mattino chiedendosi: cosa posso fare per
l'Ucraina oggi?", ha concluso.
Dopo
l'intervento di Zelensky, si è aperta una sessione dal titolo “Spirito di
resilienza: voci ucraine” a cui partecipano la vice premier e ministra
dell'Economia ucraina Yuliia Svyrydenko e la parlamentare ucraina Yvhenia
Kravchuk. Ma sono decine le sessioni in cui si discute della guerra.
Incontri
sul conflitto si tengono anche al casinò, che ospita la “Casa Ucraina”, mentre
a pochi metri si trova la “Casa dei crimini di guerra russi”, dove è stata
allestita una mostra fotografica e video che denuncia l'aggressione russa.
E il sostegno all’Ucraina si respira anche al
Media Village, dove vengono distribuite le copie del Time Magazine dedicate a
quest’edizione del Forum: il titolo della copertina è “Di nuovo insieme” e accanto si legge “Ciò di cui
l'Ucraina ha bisogno”, con la foto di Klaus Schwab, fondatore e presidente
esecutivo dell’evento, che indica la strada ad alcuni leader, come il
cancelliere tedesco Olaf Scholz e la presidente della Commissione Ue Ursula von
der Leyen.
Ma, come ha spiegato Schwab nei giorni scorsi durante la
presentazione online, i temi del Forum sono anche altri. "Sarà un summit
centrato sul clima e sulla transizione energetica", ha detto.
La
Davos di quest'anno, ha aggiunto, "è densa di conseguenze e arriva in un
momento storico cruciale, come mai prima d'ora". Con una serie di
circostanze politiche, economiche e sociali "senza precedenti".
Il
titolo dell’appuntamento è: “La storia a un punto di svolta: politiche
governative e strategie di business”.
Il programma prevede sei pilastri tematici:
promuovere
la cooperazione globale e regionale; assicurare la ripresa economica e dare
forma a una nuova era di crescita; costruire società sane ed eque;
salvaguardare il clima, il cibo e la natura; guidare la trasformazione
industriale; sfruttare il potere della Quarta Rivoluzione Industriale.
Si
parla, quindi, di cambiamento climatico, ma anche dell'impennata dei prezzi
dell'energia e della minaccia di una crisi alimentare mondiale.
E poi della parità di genere, delle diseguaglianze, della
necessità di creare posti di lavoro che siano anche correttamente
retribuiti.
L'appuntamento
è anche l'occasione per le diplomazie di affrontare in segreto questioni
delicate.
Gli
ospiti a Davos, super ricchi al World Economic Forum: "Fateci pagare più
tasse".
WEF,
una panoramica sul destino
delle
economie mondiali nel 2022.
Lavocedinewyork.com
- Andreas Grandi – (24 gennaio 2022) – ci dice:
Davos
Agenda: migliori prospettive grazie ai vaccini, ma difficile prevedere il punto
di arrivo. Rallenta l'economia cinese, in USA e UE aumenta l'inflazione.
Il
fondatore del WEF Klaus Schwab durante i lavori di Davos Agenda 2022 - World Economic Forum dove è il suggeritore e dominatore
dell’economa mondiale occidentale.
Non confondiamo
la forma con la sostanza. Anche quest’anno, per i noti problemi causati dalla
emergenza sanitaria mondiale, in assenza di un dialogo fra i partecipanti,
l’incontro di gennaio a Davos del World Economic Forum-WEF, uno dei maggiori
centri mondiali di ricerche socio-economiche, si è svolto nella forma
semplificata di Davos Agenda, rassegna di contributi video cui, fra gli altri,
hanno contribuito in modalità informatica alcuni dei più importanti
protagonisti della scena politica mondiale, fra i quali il leader cinese Xi
Jinping, Ursula von der Leyen per l’Unione Europea, ed il nuovo cancelliere
tedesco Olaf Scholz.
Tuttavia,
anche in forma digitale la forma non equivale alla sostanza.
Perché i discorsi dei partecipanti sono
apparsi concilianti in teoria, divergenti in pratica, e quindi lontani da
conseguire soluzioni condivise. Con risultati talvolta paradossali quanto
difficilmente giustificabili.
Ad
esempio, è incomprensibile perché, approfittando della pandemia internazionale,
i governi non si coalizzino per mettere al bando gli esperimenti in tema di
guerra batteriologica e risparmiare alla popolazione mondiale la eventualità di
nuovi disagi sanitari, la cui attuale origine, è bene ricordarlo, rimane ancora
misteriosa.
Concentriamoci
quindi sulle tematiche finanziarie. Insomma: back to basics, torniamo alle origini, alle questioni economiche che da
oltre mezzo secolo caratterizzano il WEF.
Tutti
gli intervenuti hanno riconosciuto che una ripresa economica è indispensabile a
riprendere i progetti di sviluppo bloccati dalla pandemia. Nel 2021 gli
indicatori hanno generalmente confermato una intonazione al rialzo, come
ricordato da Christine Lagarde, subentrata a Mario Draghi alla presidenza della
European Central Bank.
Si
tratta di un risultato facile a prevedersi, dopo un 2020 dove l’industria
mondiale si è vista costretta ad una sosta forzata, conseguente ad una logica
di mercato che non trova economico produrre beni quando i consumatori non li
acquistano semplicemente perché non possono uscire di casa.
Grazie
all’arrivo dei vaccini, il 2022 si è aperto sotto una diversa prospettiva, con
un rimbalzo economico di cui però si fatica prevedere il punto di arrivo.
Come
in politica, anche in economia le interpretazioni non sono univoche. Rallenta
l’economia della fabbrica del mondo, la Cina; questo ne aumenta la voracità di
materie prime e di risorse energetiche, oltre che la esportazione di inflazione
verso quei paesi che sinora si erano abituati a considerare il paese del
Celeste Impero come un fornitore senza troppe pretese di beni a buon mercato.
In
Europa l’inflazione al momento ha raggiunto il 5%, ma dalla ECB viene ancora
considerata un fenomeno temporaneo. Si tratta di una interpretazione
probabilmente dettata dalle circostanze.
Altrimenti
il Vecchio Continente dovrebbe riconoscere la necessità di aumentare i tassi di
interesse.
Ma così facendo non solo svaluterebbe la efficacia dei
Recovery Plan, i finanziamenti concessi da Bruxelles alle economie maggiormente
colpite dalla pandemia, ma indebolirebbe anche il sistema industriale del
nostro continente proprio quando invece quest’ultimo è chiamato a generare
valore per rimborsare i crediti ricevuti.
E
allora cerchiamo di interpretare quanto sta accadendo rivolgendoci agli Stati
Uniti, dove la inflazione nei soli dieci mesi dello scorso anno è balzata
dall’1.4% al 7%, e sono già stati annunciati incrementi degli interessi.
La Segretaria al Tesoro Janet Yellen, grazie anche ad
una politica di sussidi pubblici ed investimenti in ambito climatico decisa
dalla amministrazione Biden, può chiudere il bilancio del 2021 con un
invidiabile elenco di dati al rialzo: aumento di quasi il 5% del PIL, la
redditività economica del paese; creazione di oltre sei milioni di nuovi posti
di lavoro; arretramento dei senza lavoro sotto la soglia del 4%, e previsioni
di sviluppo economico per l’anno in corso superiori al 3%.
“Al
momento non intravediamo una ripresa della disoccupazione, dei fallimenti
aziendali e delle insolvenze, insomma degli elementi che anticipano l’arrivo di
difficoltà”.
Inoltre, i pacchetti di ripresa economica
Bipartisan Infrastructure Bill e Build Back Better dovrebbero confermare la volontà
della amministrazione Biden, “di prediligere una ripresa sostenibile e
socialmente inclusiva”, continua Yellen, e quindi non supportata da semplici
incrementi dei valori di bilancio.
Tuttavia,
anche oltre oceano il diavolo si nasconde nei dettagli. Perché i valori
positivi ora segnalati si concentrano nella logistica, nei servizi, nella
grande distribuzione; insomma: nel terziario, più che nella industria, che
invece è il vero terreno dove crea valore e si vince la partita della recovery,
della ripresa mondiale.
Ora
non resta che attendere poche settimane per ricevere aggiornamenti di Klaus
Schwab sul destino delle economie mondiali.
Perché,
terminati i video-contributi di Davos Agenda, il WEF ha aggiornato i lavori
alla prossima sessione, finalmente in presenza e non più virtuale, che si
svolgerà nella cittadina svizzera dal prossimo 22 al 26 maggio.
AGENDA
2030 di Klaus Schwab.
Davos:
Guerre, pandemia, energia creano
nuovi ‘Paperoni’, poveri al palo secondo Oxfam.
OnuItalia.com
– Redazione – (24/05/2022) ci dice:
DAVOS,
24 MAGGIO – Una forbice che si allarga sempre più: ricchi sempre più ricchi, e
numerosi – soprattutto grazie alla pandemia che ha fatto registrare profitti
record per le loro aziende energetiche, farmaceutiche e alimentari – poveri che
restano tali o peggiorano.
(La regia
di questo sfacelo è il genio malefico di Klaus Schwab! Ndr). Una ricchezza aumentata negli ultimi
due anni più di quanto non lo abbia fatto in 23 anni, e che porta l’ong Oxfam a
chiedere ai Governi di tassare subito gli extraprofitti realizzati sulle spalle
delle famiglie che invece hanno redditi al palo e spese sempre più alte per
l’inflazione e il caro-bollette.
In un
report pubblicato all’apertura del vertice in corso a Davos, Oxfam sottolinea
come il Covid abbia fatto schizzare la ricchezza dei miliardari al 13,9% del
PIL mondiale, una quota più che triplicata dal 4,4% del 2000. Non solo: è anche
aumentato il numero dei miliardari. Se ne contano 573 in più negli ultimi due
anni, uno ogni 30 ore. Mentre quest’anno, ogni 33 ore, un milione di persone
rischia la povertà estrema, vale a dire 263 milioni.
Le
cifre di Oxfam sono scioccanti: mentre aumentano vertiginosamente i prezzi al
consumo dei prodotti alimentari e dei beni energetici, e la spirale della
povertà estrema rischia di inghiottire 1 milione di persone ogni giorno e mezzo
nel 2022, i super ricchi che controllano le grandi imprese nei settori
alimentare e dell’energia continuano ad accrescere le proprie fortune,
aumentate dall’inizio della pandemia di 453 miliardi di dollari, al ritmo di 1 miliardo
di dollari ogni due giorni.
Oggi,
2.668 miliardari – 573 in più rispetto al 2020 – possiedono una ricchezza netta
pari a 12.700 miliardi di dollari, con un incremento pandemico, in termini
reali, di 3.780 miliardi di dollari.
A
registrare profitti record sono state le imprese nei settori caratterizzati da
un forte monopolio, come quello energetico, alimentare e farmaceutico.
Per dare un ordine di grandezza, cinque delle
più grandi multinazionali energetiche (BP, Shell, Total Energies, Exxon e Chevron)
fanno 2.600 dollari di profitto al secondo.
Nel
settore alimentare, la pandemia ha prodotto 62 nuovi miliardari. Insieme ad
altre tre imprese, la famiglia Cargill controlla il 70% del mercato agricolo
globale, e ha realizzato l’anno scorso il più grande profitto nella sua storia
(5 miliardi di dollari di utile netto), record che potrebbe essere battuto nel
2022. La stessa famiglia conta ora 12 miliardari, rispetto agli 8 di prima
della pandemia.
Anche
nel settore farmaceutico, i cui profitti sono stati spinti alle stelle dalla
pandemia, ci sono ben 40 paperoni in più.
Imprese
come Moderna e Pfizer hanno realizzato 1.000 dollari di profitto al secondo
grazie al solo vaccino COVID-19 ed Oxfam ricorda che, nonostante abbiano
usufruito di ingenti risorse pubbliche per il suo sviluppo, fanno pagare ai
governi le dosi fino a 24 volte in più rispetto al costo di produzione stimato.
Tutto
questo mentre l’87% dei cittadini nei Paesi a basso reddito non ha ancora
completato il ciclo vaccinale.
E
mentre le grandi ricchezze salgono, i salari invece rimangono stagnanti e i
lavoratori sono esposti a un aumento esorbitante del costo della vita se
paragonato agli ultimi decenni, spiega Oxfam.
Un
esempio su tutti: un lavoratore che si trova nel 50% degli occupati con
retribuzioni più basse, dovrebbe lavorare 112 anni per guadagnare quello che un
lavoratore nel top 1% guadagna in media in un solo anno.
(Questo
fatto è giusto per Klaus Schwab ed i suoi seguaci! Ndr)
ONU e
Forum di Davos dietro
la “guerra
agli agricoltori” globale.
Vk.com
– maurizioblondet.it – Blondet & Friends- Alex Neuman tramite “The Epoch
Times” –
(31
luglio 2022).
Il
crescente attacco normativo ai produttori agricoli dall’Olanda e dagli Stati
Uniti allo Sri Lanka e oltre è strettamente legato agli obiettivi di sviluppo
sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e ai partner delle Nazioni
Unite al World Economic Forum (WEF), hanno detto numerosi esperti a “The Tempi
d’epoca”.
(Un segno del World Economic Forum
(WEF) è visibile al centro congressi durante il suo incontro annuale a Davos il
23 maggio 2022).
I
membri di alto livello del Partito Comunista Cinese (PCC) all’interno del
sistema delle Nazioni Unite hanno contribuito a creare gli SDG e stanno attualmente
aiutando a guidare l’attuazione del piano globale da parte dell’organizzazione,
come ha precedentemente documentato “The Epoch Times”.
Se non
vengono controllate, hanno affermato diversi esperti, le politiche di
sostenibilità sostenute dalle Nazioni Unite sull’agricoltura e la produzione
alimentare porterebbero a devastazione economica, carenza di beni fondamentali,
carestia diffusa e una drammatica perdita delle libertà individuali.
(Klaus
Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum (WEF),
è visto all’apertura dell’Agenda di Davos del WEF a Cologny, in
Svizzera, il 17 gennaio 2022.)
Già
milioni di persone in tutto il mondo stanno affrontando una pericolosa carenza
di cibo e funzionari di tutto il mondo affermano che è destinata a peggiorare
con il passare dell’anno.
C’è
un’agenda dietro a tutto, hanno detto gli esperti a “The Epoch Times”.
Anche
la proprietà privata della terra è nel mirino, poiché la produzione alimentare
globale e l’economia mondiale si stanno trasformando per raggiungere gli
obiettivi di sostenibilità globale, mostrano i documenti delle Nazioni Unite
recensiti da “The Epoch Times”.
Come
spiegato dall’ONU sul suo sito web SDG , gli obiettivi adottati nel 2015 “si
basano su decenni di lavoro dei Paesi e dell’ONU.” (L’Onu è foraggiata dai riccastri
globalisti occidentali! Ndr.)
Uno
dei primi incontri che hanno definito l’agenda della “sostenibilità” è stata la
Conferenza delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani nota come “Habitat I”,
che ha adottato la “Dichiarazione di Vancouver” .
L’accordo
affermava che “la terra non può essere trattata come un bene ordinario controllato da
individui” e che la proprietà privata della terra è “uno strumento principale
di accumulazione e concentrazione della ricchezza, quindi contribuisce
all’ingiustizia sociale”.
“Il
controllo pubblico dell’uso del suolo è quindi indispensabile”, affermava la
dichiarazione delle Nazioni Unite, preludio all’ormai famigerata “previsione”
del “World Economic Forum di Klaus Schwab” secondo cui entro il 2030 “non possiedi nulla”.
Da
allora numerose agenzie e funzionari delle Nazioni Unite hanno delineato la
loro visione di “sostenibilità”, comprese le richieste di restrizioni drastiche
su energia, consumo di carne, viaggi, spazio vitale e prosperità materiale.
Gli
esperti intervistati da “The Epoch Times” affermano che alcuni dei leader
aziendali più ricchi e potenti del mondo stanno lavorando con i comunisti in
Cina e altrove nel tentativo di centralizzare il controllo sulla produzione
alimentare e schiacciare agricoltori e allevatori indipendenti.
Si
sono visti trattori guidati da agenti di polizia olandesi di guardia mentre la
polizia chiude l’accesso ad Apeldoorn sull’autostrada A1 per impedire agli
agricoltori di manifestare contro i piani del governo olandese di ridurre le
emissioni di azoto, il 29 giugno 2022.
Secondo
i critici delle politiche, tuttavia, l’obiettivo non è affatto quello di
preservare l’ambiente o combattere il cambiamento climatico. Invece, gli
esperti avvertono che la narrativa della “sostenibilità” e le altre
giustificazioni sono uno strumento per ottenere il controllo su cibo, agricoltura e
persone.
“L’obiettivo
finale di questi sforzi è ridurre la sovranità sia sulle singole nazioni che
sulle persone”, ha
affermato Craig Rucker, presidente del Comitato per un domani costruttivo (CFACT),
un’organizzazione di politica pubblica specializzata in questioni ambientali e
di sviluppo.
“L’intento
di coloro che spingono questo programma di Klaus Schwab non è quello di salvare
il pianeta, come sostengono, ma di aumentare il controllo sulle persone”, ha
detto a “The Epoch Times”, aggiungendo che l’obiettivo è centralizzare il potere a
livello nazionale e persino internazionale.
Obiettivi
di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: Agenda 2030
Gli
obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, spesso indicati come
Agenda 2030, sono stati adottati nel 2015 dall’organizzazione e dai suoi Stati
membri come guida per “trasformare il nostro mondo”.
Acclamato
come un “piano generale per l’umanità” (redatto da Klaus Schwab, ndr.) e una “dichiarazione di interdipendenza”
globale da alti funzionari delle Nazioni Unite, i 17 obiettivi includono 169
obiettivi che coinvolgono ogni aspetto dell’economia e della vita.
“Tutti
i paesi e tutte le parti interessate, agendo in partenariato collaborativo,
attueranno questo piano”, dichiara il preambolo del documento, sottolineando
ripetutamente che “nessuno sarà lasciato indietro”.
Tra
gli altri elementi, il piano delle Nazioni Unite prevede la ridistribuzione della
ricchezza nazionale e internazionale nell’obiettivo 10, nonché “cambiamenti
fondamentali nel modo in cui le nostre società producono e consumano beni e
servizi”.
(Ecco
una Panoramica della sessione del Consiglio per i diritti umani durante il
discorso dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle
Bachelet alle Nazioni Unite a Ginevra il 27 febbraio 2020.)
L’uso
del governo per trasformare tutta l’attività economica è una parte fondamentale
degli SDG, con l’obiettivo 12 che richiede “modelli di consumo e produzione
sostenibili”.
Tra
gli obiettivi specifici delineati nel Goal 12 vi sono diversi direttamente
collegati alle politiche agricole che minano la produzione alimentare. Questi includono “gestione
sostenibile e uso efficiente delle risorse naturali”.
Forse
ancora più importante, il documento (fornito da Klaus Schwab) richiede “una gestione
ecologicamente corretta delle sostanze chimiche e di tutti i rifiuti durante
tutto il loro ciclo di vita, in conformità con i quadri internazionali
concordati”.
Di
conseguenza, le persone e in particolare gli agricoltori devono “ridurre
significativamente il loro rilascio nell’aria, nell’acqua e nel suolo al fine
di ridurre al minimo i loro impatti negativi sulla salute umana e sull’ambiente”.
Altri
SDG che sono direttamente legati a quella che i critici hanno chiamato la “guerra agli agricoltori” includono l’obiettivo 14, che
affronta “l’inquinamento
marino di ogni tipo, in particolare da attività a terra, incluso …
l’inquinamento da nutrienti”. L’ONU descrive regolarmente l’agricoltura e la produzione
alimentare come una minaccia per l’oceano.
L’Organizzazione
delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), guidata dall’ex
vice ministro dell’agricoltura e degli affari rurali del PCC Qu Dongyu, sta
aiutando “finanziariamente” a guidare la carica.
Nel
suo rapporto del 2014” Costruire una visione comune per un’alimentazione e
un’agricoltura sostenibili: principi e approcci “, l’agenzia delle Nazioni Unite (finanziata anche dalla Cina, Ndr) chiede restrizioni drastiche sull’uso di
fertilizzanti, pesticidi, emissioni e acqua nel settore agricolo.
Come
esempio di come l’agricoltura debba essere riformata per essere considerata
sostenibile dalle Nazioni Unite, il rapporto della FAO afferma che “l’uso eccessivo di fertilizzanti
azotati è una delle principali cause dell’inquinamento idrico e delle emissioni
di gas serra”.
La “Fao”
con sede a Roma non ha risposto a una richiesta di commento.
L’allora
presidente francese Nicolas Sarkozy (L) ha pronunciato un discorso durante un
vertice di tre giorni sulla sicurezza alimentare presso l’Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) a Roma il 3 giugno
2008.
Un
altro dei 17 SDG con un impatto diretto sull’agricoltura e la produzione
alimentare è l’“Obiettivo 2”, con i suoi appelli all'”agricoltura sostenibile” e alla “produzione alimentare sostenibile”.
L’ “obiettivo
6”, nel frattempo, chiede una “gestione sostenibile dell’acqua”, che include
vari obiettivi che coinvolgono l’uso e il deflusso dell’acqua agricola.
Poiché
i leader delle Nazioni Unite vedono l’agricoltura e la produzione alimentare
come fattori chiave di ciò che chiamano cambiamento climatico provocato
dall’uomo, anche l’”obiettivo 13” è importante.
Chiede
ai governi di “integrare le misure sui cambiamenti climatici nelle politiche,
nelle strategie e nella pianificazione nazionali”.
L’obiettivo
15, che si
occupa dell’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, ha anche molteplici
obiettivi che riguardano l’agricoltura e la produzione alimentare.
In
tutto il mondo, i governi nazionali e regionali (quelli sotto la direzione di Klaus
Schwab! Ndr.) stanno collaborando con le agenzie delle Nazioni Unite per implementare
questi obiettivi di sostenibilità nell’agricoltura e in altri settori.
Ad
esempio, in
risposta agli accordi delle Nazioni Unite sulla biodiversità, l’Unione Europea
ha varato vari programmi sulla biodiversità sostenuti dalle Nazioni Unite come “Natura
2000” e la “Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030”, che sono stati
citati dal governo olandese e altri nelle loro politiche agricole.
L’ONU
si vanta anche pubblicamente del proprio ruolo nell’imporre gli SDG in Sri
Lanka e in altre nazioni che soffrono per la carenza di cibo e le calamità
economiche legate agli stessi programmi globali di sostenibilità.
In
tutto il mondo, quasi tutti i governi nazionali affermano di incorporare gli
SDG nelle proprie leggi e regolamenti.
‘Partenariato’
del “Forum Economico Mondiale” di Klaus Schwab.
Accanto
alle Nazioni Unite ci sono vari “stakeholder” critici per l’attuazione di politiche
di sviluppo sostenibile attraverso “partenariati pubblico-privato”.
Al
centro di questo sforzo c’è il WEF, che dal 2020 ha promosso una trasformazione
totale della società nota come il “Grande Reset”.
Nel 2019, il WEF ha firmato una “partenariato
strategico” con le Nazioni Unite per far avanzare l’Agenda 2030 all’interno
della comunità imprenditoriale globale.
ONU e
Forum di Davos dietro la “guerra agli agricoltori” globale:
L’accordo
ufficiale ha definito “aree di cooperazione per approfondire l’impegno istituzionale
e accelerare congiuntamente l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo
sostenibile”.
Molti
dei funzionari chiave dietro Agenda 2030, inclusi i massimi leader delle
Nazioni Unite come l’attuale Segretario generale António Guterres, un
socialista autoproclamato, lavorano (lautamente finanziati, ndr ) anche con il WEF da decenni.
Nel
frattempo, il WEF è stato esplicito con i suoi obiettivi. Ha recentemente lanciato una “Food
Action Alliance” (FAA) che riconosce sul suo sito web che Agenda 2030 “informa
l’ambizione della FAA di fornire una piattaforma duratura e a lungo termine per
un’azione multi-stakeholder sui sistemi alimentari per soddisfare gli SDGs”.
Insieme
al “Vertice sui sistemi alimentari” delle Nazioni Unite nel settembre 2021, la
FAA del WEF ha pubblicato un rapporto che delinea la propria” agenda di leadership per la
collaborazione multi-stakeholder per trasformare i sistemi alimentari “.
Tra
gli altri elementi, il documento riassume le intuizioni della FAA sul “sostenere
le partnership trasformative del sistema alimentare e la sua proposta di valore
oltre il Vertice dei sistemi alimentari delle Nazioni Unite 2021 verso il
raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”.
L’interesse
pubblico del WEF per la trasformazione dell’agricoltura e
dell’approvvigionamento alimentare risale almeno a un decennio fa.
In
collaborazione con varie aziende, il WEF ha pubblicato un rapporto del 2010 che
delinea una “nuova visione per l’agricoltura” che includeva una “tabella di marcia per le parti
interessate”.
Sono coinvolte molte delle più grandi aziende alimentari del mondo che dominano
il mercato e possiedono innumerevoli marchi famosi.
Il
sito web del WEF è ricco di informazioni che pretendono di giustificare una
trasformazione totale dell’approvvigionamento alimentare da parte degli “stakeholder”. (I burattini di Klaus Schwab! Ndr.).
“Dato
che i sistemi alimentari globali diventano sempre più interconnessi, sarà
necessario un coordinamento efficace tra un insieme diversificato di parti
interessate”, afferma il WEF sulla sua piattaforma” Intelligenza strategica “,
citando spesso la FAO come fonte.
“Il
potenziale per creare nuovi approcci sistemici ai sistemi alimentari che
includono una vasta gamma di parti interessate offre opportunità per aiutare a
nutrire in modo sostenibile il mondo nel futuro”.
I
frequenti riferimenti dell’organizzazione agli “stakeholder” si riferiscono a governi, aziende e
cosiddette organizzazioni non governative che sono spesso finanziate dalle
stesse società e governi. Stanno tutti lavorando insieme sulla questione.
Ad
esempio, il WEF di Klaus Schwab si vanta di aver coinvolto giganti aziendali
come Coca-Cola e Unilever nella promozione di un “futuro più sostenibile”.
Anche
la Rockefeller Foundation, che ha recentemente pubblicato un rapporto su come “Reset the Table” e “Transform the US Food System”, è un attore chiave.
I
“Food Innovation Hub” del WEF di Klaus Schwab in tutto il mondo sono destinati a essere una parte
importante di questa trasformazione globale.
Parlando
al Forum economico mondiale sulla “trasformazione dei sistemi alimentari e
dell’uso del suolo” alla Davos Agenda Week dell’anno scorso, il primo ministro olandese Mark Rutte
ha annunciato che i Paesi Bassi ospiteranno il “Segretariato di coordinamento globale
degli hub economici mondiali per l’innovazione alimentare”.
Il
segretariato, ha affermato, “collegherà tutti gli altri Food Innovation Hub”
per facilitare la creazione “delle partnership di cui abbiamo bisogno”.
Né il
WEF di Klaus Schwab né la Fondazione Rockefeller hanno risposto alle richieste
di commento sul loro ruolo nell’Agenda 2030 e sulle politiche agricole
perseguite nel mondo.
Altre
organizzazioni ed entità coinvolte nella spinta includono potenti fondazioni esenti
da tasse come la “Gates Foundation”, i governi regionali in stile UE che
proliferano in tutto il mondo e vari gruppi finanziati da loro.
Spremere
gli agricoltori e l’approvvigionamento alimentare .
In
tutto il mondo, le politiche governative allineate agli SDG delle Nazioni Unite
stanno schiacciando gli agricoltori, in particolare i produttori indipendenti
più piccoli, incapaci di assorbire i costi aggiuntivi di una maggiore
regolamentazione e controllo.
Celebrando
le idee di sostenibilità delle Nazioni Unite, il presidente dello Sri Lanka recentemente estromesso Gotabaya Rajapaksa ha annunciato al vertice delle
Nazioni Unite sul clima della COP26 nel 2021 che il suo governo stava vietando
i fertilizzanti chimici e i pesticidi.
(zerohedge.com/geopolitical/un-world-economic-forum-behind-global-war-farmers-experts)
” Non
sapevamo niente,
Abbiamo
vaccinato alla cieca”.
Maurizioblondet.it – Maurizio Blondet – (1°
Novembre 2022) – ci dice:
Il
professore Bernabei Roberto è un famoso geriatra.
Nel
frattempo però, qualcosa dovrebbero aver imparato.
Le
proteine Spike interrompono l’immunità in milioni di persone dopo la
vaccinazione da COVID: ecco come vengono trattate.
Le
proteine spike causano infiammazione, disattivano la risposta
all’interferone di tipo 1 e riducono l’autofagia tra le altre cose, il che si
aggiunge a un sistema immunitario di-sregolato.
(SPIKE
DI PROTEINE-Marina Zhang-23 ottobre 2022)
La proteina spike del coronavirus (rossa)
media l'ingresso del virus nelle cellule ospiti. Si lega all'enzima di
conversione dell'angiotensina 2 (blu) e fonde le membrane virali e dell'ospite.
(Juan
Gaertner/Shutterstock)
Numerosi
studi hanno dimostrato che la proteina spike SARS-CoV-2 è una proteina
altamente tossica e infiammatoria, in grado di causare patologie nei suoi
ospiti.
La
presenza della proteina spike è stata fortemente collegata a lunghi sintomi di COVID
e post-vaccino. Gli studi hanno dimostrato che le proteine spike sono spesso
presenti nei pazienti sintomatici, a volte anche mesi dopo le infezioni o le
vaccinazioni.
Il
numero di lunghi casi di COVID e post-vaccino è in aumento negli Stati Uniti,
ponendosi sempre più come un problema sanitario.
I dati
dei Centers
for Disease Control and Prevention (CDC) stimano che circa il 7% degli
americani sta attualmente sperimentando lunghi sintomi di COVID, che sarebbero
oltre 15 milioni di persone.
Alcune
persone con COVID lungo sono state così debilitate da non poter andare al
lavoro, lo stesso è stato riportato in persone che hanno manifestato sintomi
post-vaccino.
Nel
database del Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) sono stati segnalati oltre 880.000
eventi avversi per possibili sintomi del vaccino post-COVID.
Tuttavia,
gli statistici sostengono che il numero di persone che soffrono di sindromi
post-vaccino è molto più alto.
La
biologa molecolare canadese Jessica Rose ha stimato un fattore di sottostima di
31, sommando a una stima che più di 27 milioni di americani potrebbero aver
sofferto di eventi avversi dopo la vaccinazione.
“I
feriti da vaccino sono vasti”, ha affermato il dottor Pierre Kory il 15 ottobre
in una conferenza Front Line COVID-19 Critical Care Alliance ( FLCCC ).
“I
numeri sono enormi… sono sotto serviti e i loro bisogni non vengono
soddisfatti”.
Tuttavia,
molti medici stanno cercando di cambiare questa situazione. Il FLCCC è stato in
prima linea nel trattamento dei sintomi di COVID-19, COVID-19 e post-vaccino.
Non
sono stati condotti studi su larga scala sul trattamento dei sintomi
post-vaccino. Sulla base di osservazioni cliniche, feedback dei pazienti e
ricerche approfondite, l’FLCCC ha pubblicato le sue raccomandazioni terapeutiche
aggiornate.
Il
co-fondatore e direttore scientifico dell’FLCCC, il dottor Paul Marik , ha
dichiarato a “The Epoch Times “che le raccomandazioni sono sempre soggette a
modifiche in base al feedback dei pazienti, nonché alla ricerca su una nuova
opzione di trattamento.
Tuttavia,
per comprendere le opzioni di trattamento, è necessario prima capire in che
modo la proteina spike sta causando danni.
Patologia
delle proteine spike.
La
lunga COVID e la sindrome post-vaccino condividono un alto grado di
sovrapposizione poiché le due condizioni sono state entrambe collegate alla
presenza di proteine spike a lungo termine e anche i sintomi sono spesso
simili.
“Il
problema principale nella sindrome post-vaccino è la ‘disregolazione
immunitaria’ cronica”, ha condiviso Marik alla conferenza FLCCC.
Le
proteine della punta possono causare infiammazioni croniche. Gli studi hanno dimostrato che
l’infiammazione può portare a stress cellulare, danni e persino la morte.
Le cellule costituiscono i tessuti, i diversi
tessuti formano gli organi e gli organi fanno parte dei nostri sistemi
fisiologici. Pertanto le lesioni da proteine spike sono una sindrome sistemica.
Le
proteine della punta innescano l’infiammazione cronica causando una deregolazione
immunitaria.
Le proteine spike entrano nelle cellule
immunitarie, disattivano le normali risposte immunitarie e attivano invece
percorsi pro-infiammatori.
La
normale risposta immunitaria per le cellule immunitarie infette consiste nel
rilasciare interferoni di tipo 1, questo fornisce segnali ad altre cellule
immunitarie per migliorare la difesa contro le particelle virali.
Ma la
proteina spike riduce questa segnalazione nelle cellule infette e anche le
cellule non infette assorbiranno e verranno danneggiate dalla proteina spike
quando l’infezione va fuori controllo.
Marik
ha detto che un aspetto critico del danno proteico a lungo termine è che
inibisce l’autofagia, il modo in cui il tuo corpo ricicla le cellule
danneggiate.
Di
solito, quando le cellule sono state infettate da particelle virali, le cellule
cercheranno di scomporre queste particelle e rimuoverle come rifiuti.
Tuttavia,
studi sui virus SARS-CoV-2 hanno dimostrato che i processi di autofagia sono
ridotti nei pazienti infetti con proteine spike presenti molti mesi dopo
l’esposizione iniziale.
“La
proteina spike è una proteina davvero malvagia”, ha detto Marik. “Disattiva
l’autofagia, ecco perché il picco può rimanere nelle cellule per così tanto
tempo.”
(Il dottor
Paul Marik, è co-fondatore della Front Line COVID-19 Critical Care Alliance
(FLCCC) ed ex capo della divisione di medicina polmonare e di terapia intensiva
presso la Eastern Virginia Medical School, alla conferenza FLCCC “Understanding
& Treating Spike Protein- Malattie indotte” a Kissimmee, in Florida, il 14
ottobre 2022. (The Epoch Times)
Disfunzione
delle cellule immunitarie.
La
disfunzione immunitaria causata dalla proteina spike non solo provoca
infiammazione, ma può anche contribuire alla proliferazione del cancro e
all’autoimmunità.
Gli
studi hanno dimostrato che le proteine spike possono ridurre ed esaurire
l’azione delle cellule T e natural killer.
Questi
due tipi cellulari sono responsabili dell’uccisione delle cellule infette e delle
cellule cancerose. Pertanto una ridotta immunità cellulare da parte delle
cellule T e natural killer può contribuire a una rimozione prematura delle
cellule infettate da spike.
I
danni causati dalle proteine spike possono portare a DNA danneggiato e gli studi hanno dimostrato che le proteine
spike possono anche ridurre la riparazione del DNA. Lo stress psicologico e
ambientale come la luce ultravioletta, le sostanze inquinanti, gli ossidanti e
molti altri fattori possono danneggiare regolarmente il DNA, richiedendo una
riparazione costante.
Il DNA
danneggiato mette le cellule a rischio di diventare cancerose e queste cellule
dovrebbero essere uccise per prevenire le formazioni tumorali.
Tuttavia,
con una ridotta attività delle cellule T e natural killer, ciò può portare a
una proliferazione incontrollata di cellule potenzialmente cancerose.
Altre
disfunzioni che sono state segnalate a seguito di vaccinazioni includono
malattie autoimmuni.
Queste
malattie possono essere collegate alle proteine spike che hanno un alto
livello di mimetismo molecolare, il che significa che le proteine spike hanno
molte regioni simili ad altre proteine del corpo umano.
Quindi,
quando il sistema immunitario attacca la proteina spike, a causa di somiglianze
strutturali, gli anticorpi prodotti contro le regioni proteiche spike possono
anche reagire contro le proteine e i tessuti del corpo.
Gli
studi hanno dimostrato che gli anticorpi prodotti contro la proteina spike
possono anche legarsi e attaccare i tessuti interni.
Le
proteine della punta spike provocano affaticamento.
La
proteina spike è anche collegata alla disfunzione nei mitocondri.
Colloquialmente conosciuti come la centrale elettrica della cellula, i
mitocondri sono responsabili dello sfruttamento dell’energia dallo zucchero che
ingeriamo.
È
stato dimostrato che le cellule neurali umane trattate con la proteina spike
producono specie di ossigeno più reattive e questa è un’indicazione di
disfunzione mitocondriale, suggerendo una possibile riduzione della produzione
di energia.
Le
persone con lunghe sindromi da COVID e post-vaccino spesso sperimentano
affaticamento cronico, nebbia del cervello, intolleranza all’esercizio e
debolezza muscolare.
Questi
sintomi si osservano spesso anche nelle persone con disfunzione mitocondriale,
indicando un possibile collegamento.
(Le
diapositive del Dr. Paul Marik presentate alla conferenza FLCCC a Orlando in
Florida -per gentile concessione della FLCCC)
Danno
delle proteine spike ai vasi sanguigni e agli organi.
Le
proteine Spike hanno dimostrato di essere particolarmente dannose per le
cellule che rivestono i vasi sanguigni. Le proteine spike possono legarsi
ai recettori ACE2 e CD147 e innescare vie infiammatorie.
Questi
recettori sono particolarmente abbondanti nelle cellule dei vasi sanguigni, del
cuore, del sistema immunitario, delle ovaie e di molte altre aree. La proteina
Spike può quindi innescare infiammazioni e danni ai vasi sanguigni e ai
relativi organi, causando danni sistemici.
Marik
ha detto che il danno da proteine spike è più vicino a una sindrome sistemica
piuttosto che a una malattia.
“Non è una malattia. Non si adatta al
modello tradizionale di una malattia. Questa è una sindrome che colpisce ogni
singolo organo… il picco va ovunque… quindi questa è una malattia multi-sistemica
e non segue il paradigma tradizionale di una malattia che è un sintomo, una
diagnosi”.
(Le diapositive del Dr. Pierre Kory
presentate alla conferenza FLCCC a Kissimmee, in Florida -per gentile
concessione di FLCCC)
I
trattamenti di prima linea di FLCCC.
Poiché
i lunghi sintomi COVID e post-vaccino sono entrambi associati alla presenza di
proteine spike, i trattamenti di prima linea raccomandati dall’FLCCC si
concentrano quindi su due passaggi principali.
Il
primo passo è rimuovere la proteina spike, il secondo passo è ridurne la
tossicità.
Il
corpo poi guarirà da solo, e questo è “l’obiettivo primario del trattamento”,
ha detto Marik.
La
maggior parte dei trattamenti di prima linea si sono concentrati
sull’eliminazione della proteina spike riattivando l’autofagia, un processo che
è sotto regolato dalla proteina spike.
Le
implementazioni dello stile di vita possono aumentare l’autofagia attraverso il
digiuno intermittente e la foto rimodulazione.
La foto rimodulazione può essere eseguita esponendosi
al sole, poiché la luce solare contiene raggi infrarossi che aumentano
l’autofagia nelle cellule.
Il
digiuno intermittente può comportare molteplici benefici per la salute, tra cui
una migliore sensibilità all’insulina, perdita di peso, riduzione
dell’infiammazione e dell’autoimmunità e molti altri.
Tuttavia,
va notato che il digiuno intermittente non è raccomandato per le persone di età
inferiore ai 18 anni, poiché può impedire la crescita.
Anche
le donne incinte e che allattano non sono raccomandate di digiunare in modo
intermittente.
Si
raccomanda inoltre alle persone con diabete e malattie renali di consultare il
proprio medico di base prima di considerare il digiuno intermittente.
Mentre
il digiuno intermittente potrebbe non essere adatto a tutti, ci sono altre
opzioni di trattamento che possono aumentare l’autofagia e ridurre la tossicità
delle proteine spike.
Ivermectina
L’ivermectina
è stata altamente raccomandata dall’FLCCC e da molti medici che trattano il
COVID, il COVID lungo e la sindrome post-vaccino, sulla base del fatto che è
poco costoso, altamente accessibile, ha un alto profilo di sicurezza e un alto
tasso di risposta.
Il farmaco
è altamente dinamico ed è stato anche documentato con una varietà di funzioni: antivirale, antiparassitario,
antinfiammatorio e stimola anche l’autofagia.
L’ivermectina
può aiutare con la rimozione della proteina spike. Gli studi hanno dimostrato che
l’ivermectina ha una maggiore affinità per la proteina spike e si legherà alle
sue regioni, neutralizzandola e immobilizzandola efficacemente per la
distruzione.
L’
ivermectina si oppone anche direttamente alle vie pro-infiammatorie che sono
attivate dalla proteina spike, inclusa la via NF-KB che attiva le citochine
infiammatorie e il recettore toll-like 4.
I
medici dell’FLCCC ritengono che l’ivermectina e il digiuno intermittente
possano agire “in sinergia” per rimuovere la proteina spike del corpo e raccomandano
di assumere l’ivermectina con o subito dopo un pasto.
L’ivermectina
è anche in grado di legarsi a ACE2 e CD147, e quindi impedisce alla proteina
spike di entrare e innescare l’infiammazione nelle cellule che mostrano questi
recettori. Gli studi hanno anche dimostrato che l’ivermectina può mantenere
l’energia prodotta dai mitocondri anche in condizioni di basso livello di
ossigeno.
Kory
ha affermato che circa il 70-90% dei suoi pazienti con sindrome post-vaccino
risponde al farmaco, generalmente entro 10 giorni.
“I
pazienti possono essere classificati come responder o non responder
all’ivermectina … i non responder – [sono] in realtà un gruppo di pazienti che
sono più difficili da trattare”, ha affermato Marik.
Ai
pazienti che non rispondono, in genere dopo 4-6 settimane di trattamento, si
raccomanda di sottoporsi a un trattamento più aggressivo.
In
caso di sovradosaggio, l’ivermectina può causare confusione, disorientamento e
forse anche la morte. Tuttavia, il farmaco ha un alto profilo di sicurezza se
usato in dosi ragionevoli. C’è poca letteratura sul suo uso nelle donne in
gravidanza, quindi l’FLCCC mette in guardia contro l’uso durante la gravidanza.
“L’ivermectina
ha dimostrato continuamente di essere sorprendentemente sicura per l’uso
umano”, ha scritto il dottor Satoshi Ohmura, lo scopritore dell’ivermectina nel
suo studio coautore.
“In effetti, è un farmaco così sicuro,
con effetti collaterali minimi, che può essere somministrato da personale non
medico e persino da individui analfabeti nelle comunità rurali remote, a
condizione che abbiano ricevuto una formazione molto semplice e appropriata”.
(Screenshot
di una foto di naltrexone, un farmaco approvato per la dipendenza da oppioidi e
alcol che viene utilizzato a basse dosi per il trattamento del COVID lungo. The
Epoch Times)
Naltrexone
a basso dosaggio.
Il
naltrexone a basso dosaggio (LDN) ha recentemente fatto notizia come un’opzione
per il trattamento lungo del COVID.
“Lo
usiamo da molti, molti mesi”, ha detto Marik. “Il naltrexone a basso dosaggio è
un farmaco antinfiammatorio molto potente. È stato utilizzato in molte malattie
infiammatorie croniche”.
Clinicamente,
i medici FLCCC hanno visto migliorare i sintomi di molti dei loro pazienti dopo
il trattamento con LDN, anche se potrebbero essere necessari mesi prima che i
benefici siano chiaramente visibili.
Il
naltrexone normale è comunemente usato per prevenire il sovradosaggio nei
tossicodipendenti. Tuttavia, quando ridotto a circa un decimo della sua
concentrazione normale, da 1 mg a 4,5 mg di LDN, il meccanismo del farmaco
cambia drasticamente.
LDN ha
un effetto antinfiammatorio; gli studi dimostrano che è in grado di bloccare i
recettori toll-like infiammatori, ridurre la produzione di citochine
pro-infiammatorie e bloccare le cascate infiammatorie.
LDN
lavora per bilanciare l’attività tra le citochine di tipo Th1 e Th2.
Le
citochine di tipo Th1 tendono a produrre una risposta pro-infiammatoria per
uccidere i parassiti intracellulari e stimolare le attività autoimmuni. Le
citochine di tipo Th2 hanno tipicamente un’attività più antinfiammatoria e
possono contrastare l’attività delle citochine Th1.
LDN
modula selettivamente questo equilibrio riducendo l’attività Th1 e aumentando
le attività delle citochine Th2.
Clinicamente,
LDN ha dimostrato di essere efficace contro i sintomi neurologici post-COVID e
post-vaccino. È stato elencato dalla FLCCC come efficace contro il dolore
neuropatico, la nebbia cerebrale, l’affaticamento, la paralisi di Bell e la
parestesia facciale.
Questo
perché LDN riduce anche la neuro infiammazione . È neuroprotettivo ed è in
grado di attraversare la barriera emato-encefalica e ridurre le azioni
infiammatorie della microglia, che funzionano come cellule immunitarie nel
cervello.
Resveratrolo.
Il resveratrolo
è un nutraceutico che si trova comunemente nella frutta. Si trova in arachidi,
pistacchi, uva, vino rosso e bianco, mirtilli, mirtilli e persino cacao e
cioccolato fondente.
Può
essere ottenuto anche attraverso integratori, sebbene in genere vi sia una
bassa biodisponibilità del resveratrolo, e quindi l’FLCCC ne consiglia
l’assunzione con la quercetina.
Il
resveratrolo è antinfiammatorio e antiossidante. Gli studi hanno dimostrato che è
selettivo nell’uccidere le cellule tumorali. Attiva le vie di riparazione del
DNA e quindi può ridurre lo stress cellulare e prevenire la formazione di
cellule cancerose.
Nelle
cellule stressate, il resveratrolo può ridurre le specie reattive dell’ossigeno
prodotte dai mitocondri e promuovere l’autofagia. Negli studi sugli animali su
moscerini della frutta e nematodi, l’uso del resveratrolo ne ha aumentato la
durata della vita, indicando le proprietà anti-invecchiamento e prolunganti
della molecola.
Aspirina-Cuore
Aspirina
a basso dosaggio.
Simile
all’ivermectina, l’aspirina è un altro farmaco che è stato trovato per essere
sfaccettato nei suoi effetti sulla salute.
L’aspirina
è un antinfiammatorio e un anticoagulante. Il farmaco riduce quindi la possibilità
di formazione di micro-coaguli nei vasi sanguigni. Gli studi hanno dimostrato che può
anche ridurre le vie pro-infiammatorie, lo stress ossidativo ed è anche
neuroprotettivo.
La
compromissione neuro cognitiva è stata una delle principali lamentele di molte
persone che soffrono di sindromi da vaccino post-COVID. Ciò include nebbia cerebrale e dolore
neuropatico periferico.
Gli
studi sui pazienti con malattia di Alzheimer hanno dimostrato che l’assunzione
di aspirina era associata a un declino cognitivo più lento, sebbene i risultati
siano stati contrastanti in diversi studi.
Studi
sugli animali hanno mostrato che i ratti a cui è stata somministrata l’aspirina
avevano un declino cognitivo inferiore. Studi su ratti con nervi danneggiati
hanno suggerito che l’aspirina può anche essere neuroprotettiva a causa della
sua natura antinfiammatoria.
L’uso
dell’aspirina può causare effetti collaterali in gravidanza come sanguinamento.
Melatonina.
La
melatonina è un ormone prodotto dalla ghiandola pineale per favorire un sonno
ristoratore. Ha proprietà sia antinfiammatorie che antiossidanti.
Nelle
cellule, la melatonina promuove la salute dei mitocondri riducendo le specie di
ossigeno attivo. Poiché i mitocondri utilizzano molto ossigeno, quando sono stressati da
tossine ambientali come radiazioni o esposizione a proteine spike, possono
produrre specie reattive dell’ossigeno.
La
melatonina, un antiossidante, può quindi prevenire il danno ossidativo. Gli
studi dimostrano che impedisce anche la fuoriuscita di elettroni dai mitocondri
e quindi massimizza la produzione di energia.
Promuove
anche l’autofagia sbloccando il percorso dell’autofagia, aiutando la cellula ad abbattere le
proteine spike e aumentare la rimozione di queste proteine tossiche.
Grazie
alla sua proprietà antiossidante, la melatonina ripara il DNA danneggiato dai
radicali liberi.
La
melatonina e i suoi metaboliti attivano anche i geni che promuovono la
riparazione del DNA e sopprimono l’attività genica che può portare al DNA
danneggiato.
La
melatonina ha anche proprietà antitumorali. Studi sugli animali sulla
melatonina hanno dimostrato che gli animali a cui è stata somministrata
melatonina avevano un tasso più basso di generazione del tumore.
La
melatonina è stata anche raccomandata dall’FLCCC nel trattamento dell’acufene,
un sintomo del post-vaccino e del lungo COVID. Il sintomo è un ronzio nelle
orecchie e può disturbare il sonno se grave. La melatonina può aiutare a ridurre
il ronzio e aiutare le persone a dormire bene la notte.
Differenze
tra COVID lungo e sindrome post-vaccino.
Sia la
lunga COVID che la sindrome post-vaccino sono guidate dal carico proteico spike
e dai danni causati dall’esposizione al picco e quindi condividono un alto
grado di sovrapposizione nel trattamento.
Tuttavia,
i medici notano lievi differenze in alcune presentazioni cliniche tra le due
condizioni e pertanto l’FLCCC ha dato priorità a trattamenti diversi.
“Sembra
che con il vaccino danneggiato, il sintomo predominante e l’organo predominante
sia neurologico”, ha detto Marik. Nella sua osservazione, circa “più dell’80%
dei pazienti con danno da vaccino ha un certo grado di compromissione
neurologica”.
Marik ha
affermato che i sintomi post-vaccino possono anche essere più difficili da
trattare rispetto al lungo COVID e sono più persistenti, con alcuni pazienti
che presentano sintomi debilitanti per quasi due anni.
Pertanto,
il trattamento per le persone con sintomi post-vaccino è “più aggressivo e più
mirato al cervello”, ha affermato Marik.
“Sembra
che il lungo COVID migliori con il tempo. Mentre alcuni pazienti persistono,
sembra in qualche modo risolversi da soli”, ha affermato Marik. “Il problema
con i feriti da vaccino è che può persistere. Abbiamo pazienti che sono stati
vaccinati nel dicembre del 2020 … [che] sono ancora gravemente, gravemente
feriti”.
“I due
sono simili, ma abbiamo posto molta più enfasi sul danno da vaccino perché è
una malattia molto più difficile da trattare”.
(Marina
Zhang ha sede a New York e si occupa di salute e scienza)
Putin:
“La Situazione è, in una
certa
Misura, Rivoluzionaria”.
Conoscenzealconfine.it
– (2 Novembre 2022) - Pepe Escobar – ci dice:
Putin
ha centrato il punto in cui ci troviamo: sull’orlo di una rivoluzione!
In un
discorso onnicomprensivo tenuto alla sessione plenaria del 19° incontro annuale
del Valdai Club, il Presidente Putin ha lanciato una critica devastante e a più
livelli dell’unipolarismo.
Da
Shakespeare all’assassinio del generale Soleimani; dalle riflessioni sulla
spiritualità alla struttura dell’ONU; dall’Eurasia come culla della civiltà
umana all’interconnessione tra BRI, SCO e INSTC; dai pericoli nucleari a quella
penisola periferica dell’Eurasia “accecata dall’idea che gli Europei siano
migliori degli altri”, il discorso ha evidenziato, in stile Brueghel, un quadro
della “pietra miliare storica” che abbiamo di fronte, nel bel mezzo del
“decennio più pericoloso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.”
Putin
si è persino spinto a dire che, secondo le parole dei classici, “la situazione è, in una certa
misura, rivoluzionaria” poiché “le classi superiori non possono e le classi inferiori non
vogliono più vivere così”. Quindi tutto è in gioco, perché “il futuro del nuovo ordine mondiale
si sta delineando davanti ai nostri occhi.”
Al di
là di uno slogan accattivante sui giochi dell’Occidente, “sanguinosi,
pericolosi e sporchi”, il discorso e gli interventi di Putin alla successiva
sessione di domande e risposte dovrebbero essere analizzati come una visione
coerente di passato, presente e futuro.
Qui
proponiamo solo alcuni dei punti salienti:
– “Il
mondo sta assistendo al degrado delle istituzioni mondiali, all’erosione del
principio della sicurezza collettiva, alla sostituzione del diritto
internazionale con le ‘regole.’ “
–
“Anche all’apice della Guerra Fredda, nessuno negava l’esistenza della cultura
e dell’arte dell’avversario. In Occidente, ora, ogni punto di vista alternativo
è dichiarato sovversivo “
– “I
nazisti bruciavano i libri. Ora i padri occidentali del ‘liberalismo’ mettono
al bando Dostoevskij.”
–
“Esistono almeno due ‘Occidente.’ Il primo è tradizionale, con una ricca
cultura. Il secondo è aggressivo e colonialista.”
– “La
Russia non si è mai considerata e non si considera un nemico dell’Occidente. La
Russia ha cercato di costruire relazioni con l’Occidente e la NATO – per vivere
insieme in pace e armonia. La loro risposta a ogni cooperazione è stata
semplicemente un ‘no.’ “
– “Non
abbiamo bisogno di un attacco nucleare all’Ucraina, non ha senso – né politico
né militare.”
– In
parte la situazione tra Russia e Ucraina può essere considerata una guerra
civile: “Quando avevano creato l’Ucraina, i Bolscevichi l’avevano costituita
con territori primordialmente russi – le avevano dato tutta la Piccola Russia,
l’intera regione del Mar Nero, l’intero Donbass. L’Ucraina si è evoluta come
uno Stato artificiale.”
–
“Ucraini e Russi sono un unico popolo – questo è un fatto storico.
L’Ucraina
si è evoluta come uno Stato artificiale. L’unico Paese che può garantire la sua
sovranità è quello che l’aveva creata: la Russia.”
– “Il mondo unipolare sta per finire.
L’Occidente non è in grado di governare il mondo da solo. Il mondo si trova ad
una tappa storica prima del decennio più pericoloso e importante dalla Seconda
Guerra Mondiale.”
–
“L’umanità ha due opzioni: o continuiamo ad accumulare il fardello di problemi
che sicuramente ci schiaccerà tutti, o possiamo lavorare insieme per trovare
soluzioni.”
In
mezzo ad una serie di discussioni coinvolgenti, al Valdai il cuore della
questione è il suo rapporto del 2022, “Un mondo senza superpotenze “
La
tesi centrale del rapporto – eminentemente corretta – è che “gli Stati Uniti e
i loro alleati non godono più dello status di superpotenza dominante, ma
l’infrastruttura globale che li serve è ancora in piedi.”
Naturalmente
tutte le principali questioni interconnesse attualmente al centro del dibattito
si sono esacerbate perché “la Russia è diventata la prima grande potenza che, guidata
dalle proprie idee di sicurezza ed equità, ha scelto di rifiutare i benefici
della ‘pace
globale’ creata dall’unica superpotenza.” Beh… non proprio “pace globale”
piuttosto un’etica mafiosa del “o la borsa o la vita”.
Il
rapporto caratterizza in modo assai diplomatico il congelamento delle riserve
d’oro e di valuta estera della Russia e lo “smantellamento” delle proprietà
russe all’estero come “giurisdizioni occidentali,” “se necessario” guidate
“dall’opportunità politica piuttosto che dalla legge.” Si tratta, in realtà, di un vero e
proprio furto, all’ombra dell’“ordine internazionale basato sulle regole.”
Il
rapporto – ottimisticamente – prevede l’avvento di una sorta di “pace fredda” normalizzata come “la migliore soluzione oggi
disponibile” – riconoscendo che almeno questo è tutt’altro che garantito, e che “non fermerà la totale ricostruzione
del sistema internazionale su nuove basi.”
La
base per l’evoluzione del multipolarismo era stata infatti presentata dal
partenariato strategico Russia-Cina solo tre settimane prima che le
provocazioni imperialmente ordinate costringessero la Russia a lanciare
l’Operazione militare speciale (OMS).
Parallelamente,
i lineamenti finanziari del multipolarismo erano stati proposti almeno dal
luglio 2021, in un documento scritto congiuntamente dai professori Michael
Hudson e Radhika Desai.
Il
rapporto del Valdai riconosce opportunamente il ruolo delle medie potenze del
Sud globale
che “esemplificano
la democratizzazione della politica internazionale” e possono “agire come
ammortizzatori durante i periodi di sconvolgimento.” Si tratta di un riferimento diretto
al ruolo di protagonisti dei BRICS+.
Nel
quadro generale dello scacchiere, l’analisi tende a diventare più realistica se
si considera che “il trionfo dell’unica vera idea rende impossibile per definizione un
dialogo e un accordo efficaci con i sostenitori di opinioni e valori diversi.”
Putin
vi ha alluso più volte nel suo discorso. Non c’è alcuna prova che l’Impero e i suoi vassalli si discosteranno dal loro
unilateralismo normativo imposto.
Quanto
al fatto che la politica mondiale stia iniziando a “tornare rapidamente ad uno stato
di anarchia costruito sulla forza” è evidente: solo l’Impero del Caos vuole imporre
l’anarchia, poiché ha completamente esaurito gli strumenti geopolitici e
geoeconomici per controllare le nazioni ribelli, a parte lo tsunami delle
sanzioni.
Quindi
il rapporto ha ragione quando identifica che il sogno infantile neo-hegeliano
della “fine della storia” è andato a sbattere contro il muro della Storia:
siamo tornati allo schema dei conflitti su larga scala tra centri di potere.
Ed è
anche un fatto che “cambiare semplicemente l’‘operatore’ com’era successo nei
secoli precedenti” (come gli Stati Uniti quando avevano preso il posto della Gran
Bretagna) “non
funzionerà.”
La
Cina potrebbe nutrire il desiderio di diventare il nuovo sceriffo, ma la
leadership di Pechino non è assolutamente interessata.
E anche se ciò accadesse, l’egemone (USA) si
opporrebbe ferocemente, poiché “l’intero sistema rimane sotto il suo controllo
(soprattutto la finanza e l’economia).”
Quindi
l’unica via d’uscita, ancora una volta, è il multipolarismo – che il rapporto
caratterizza, piuttosto vagamente, come “un mondo senza superpotenze,” ancora bisognoso di “un sistema di autoregolamentazione,
cosa che implica una libertà d’azione molto maggiore e la responsabilità per
tali azioni.”
Nella
Storia sono successe cose più strane. Allo stato attuale, siamo immersi nel
vortice di un collasso totale. Putin ha in effetti centrato il punto in cui ci
troviamo: sull’orlo
di una rivoluzione.
(A completamento dell’articolo
aggiungiamo un video con la sintesi del discorso di Putin al Valdai Club,
ottimamente doppiato da Massimo Mazzucco. Il testo integrale lo potete trovare
sul sito di La Casa del Sole).
(Pepe
Escobar - strategic-culture.org/news/2022/10/28/putin-situation-is-to-certain-extent-revolutionary/)
- (comedonchisciotte.org/putin-la-situazione-e-in-una-certa-misura-rivoluzionaria/)
Truffa
al Fisco Italiano per 1,2 miliardi:
la
Guardia di Finanza indaga Pfizer.
Conoscenzealconfine.it
– (1° Novembre 2022) – Redazione – ci dice:
Una
verifica fiscale condotta da Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate è
ancora in corso nei confronti della multinazionale del farmaco Pfizer.
L’accusa,
secondo quanto riportato in anteprima dal media finanziario americano
Bloomberg, sarebbe quella di aver evaso 1,2 miliardi di euro di tasse in
Italia, distraendo i fondi a capo della divisione italiana della
multinazionale, la Pfizer Italia Srl, verso altre divisioni estere negli Stati
Uniti e nei Paesi Bassi.
Il
periodo sotto indagine sarebbe quello relativo agli anni 2017, 2018 e 2019. In
questi tre anni di esercizio – quindi antecedenti agli incassi ottenuti dal
vaccino anti Covid – la multinazionale farmaceutica che ha il proprio quartier
generale a Manhattan, New York, avrebbe sistematicamente trasferito i ricavi
generati dal mercato italiano, e fatturati dalla Pfizer Italia Srl, verso le
controllate Pfizer Production LLC e Pfizer Manifacturing LLC con sede nel
Delaware (USA) e nei Paesi Bassi, per evitare di pagare allo stato italiano le
tasse sui profitti.
La
notizia al momento non è stata commentata ufficialmente né dal colosso
farmaceutico, né dalle autorità italiane. Tuttavia una portavoce della
multinazionale ha confermato le indagini in corso a Bloomberg, provando – come
prevedibile – a derubricarle a questioni di routine. “Le autorità fiscali
italiane controllano e indagano regolarmente sulle tasse Pfizer e Pfizer
collabora con tali controlli e indagini – ha affermato la portavoce Pam Eisele
– Pfizer è conforme alle leggi e ai requisiti fiscali italiani”.
Naturalmente
il fatto che una indagine sia stata avviata non significa automaticamente che
sarà riscontrato un illecito, ma evidentemente Guardia di Finanzia e Agenzia
delle Entrate intendono vederci chiaro.
La
divisione italiana di Pfizer impiega circa 2.000 persone. L’azienda dispone di
uno stabilimento nelle Marche centrali, dove produce pillole per il cancro e
per i disturbi del sistema nervoso, e uno a Catania che produce farmaci
iniettabili sterili come gli antibiotici.
(lindipendente.online
/2022/10/27/truffa-al-fisco-italiano-per-12-miliardi-la-guardia-di-finanza-indaga-pfizer/)
Tornano
i padroni di Davos: tutto
quello
che stanno orchestrando,
il
vero obiettivo della loro agenda.
Radioradio.it
- Diego Fusaro – (26 Maggio 2022) – ci dice:
Si sta
svolgendo, in questi giorni sulle alpi svizzere, il celeberrimo o forse sarebbe
meglio dire famigerato forum di Davos. Noto anche come il “World Economic Forum”,
presieduto dal suo fondatore Klaus Schwab, è un consesso nel quale si ritrovano
tutti i principali oligarchi del turbo-capitale.
Essi
si danno convegno per concertare e stabilire insieme le linee guida del loro programma
di azione cosmopolitico.
Vale a
dire i soli interessi di classe su scala planetaria.
Ogni
anno si danno ritrovo al World Economic Forum di Davos e dopo due anni di convegno a
distanza online, quest’anno si sono ritrovati a parlarsi in presenza. Hanno chiarito senza ambagi che la
loro potenza è sovrana, che sono essi e essi soltanto a decidere quali devono
essere le sorti del mondo.
Ovviamente
plasmate secondo il loro interesse di classe.
Tra
questi interessi vi è imposizione sicuramente non secondaria, che gli Stati
Nazionali non debbano più contare nulla come potenze sovrane in grado di
governare l’economia e magari di esprimere in qualche misura la volontà
democratica nazionale popolare.
I
gruppi dominanti del capitale cosmopolita già da tempo cercano di produrre in
ogni guisa la sovra nazionalizzazione e quindi la traslazione dei centri del
potere, dai Parlamenti nazionali più o meno democratici a enti sovranazionali
sicuramente non democratici.
Come
il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Centrale Europea, per menzionarne
due fra i tanti.
I
padroni di Davos stanno insomma orchestrando e dirigendo la globalizzazione unipolare
pienamente in coerenza con i loro interessi di classe e tra questi, oltre alla
neutralizzazione della potenza sovrana degli Stati come ultimo fortilizio della
democrazia e dei diritti sociali, vi è giusto appunto un altro interesse che
merita di essere menzionato: i pochi diritti delle classi lavoratrici dei ceti medi
vengano spazzati via per sempre, in nome delle superiori ragioni della
competitività globale ossia del fondamento precipuo del globalismo neoliberale
o, se preferite, per chiamare le cose con il loro nome, del ‘competitivismo no
border’ su cui la reason neoliberale intrinsecamente si fonda.
Alle
classi dominate e ai popoli, i padroni di Davos chiedono una cosa semplice,
ribadita poi con le stesse parole da Klaus Schwab: la resilienza.
Cioè la
supina accettazione di tutto questo in silenzio, le classi dominate non devono far
altro che subire silenziosamente i desiderata e le decisioni dei gruppi
dominanti.
Insomma,
il “World Economic Forum”, anche quest’anno si conferma per quello che
strutturalmente è.
(Tutto
studiato e realizzato astutamente dal ciarlatano Klaus Schwab.Ndr.)
Il
consesso in cui i plutocrati di Davos e del mondo intero si radunano
periodicamente con un solo obiettivo: quello di delineare al meglio il
tabloid de board dei loro interessi e dei modi con cui portarli a compimento.
Quello
che più desta inquietudine è il modo con cui i più accettino tutto questo, cioè
questa lotta di classe univocamente gestita che ho da tempo appellato “massacro di classe a senso unico”.
I
dominati avrebbero le sacrosante ragioni per sollevarsi, insorgere, contestare
questo dominio di classe. Invece lo subiscono con resilienza, appunto, come i
padroni desiderano.
Questo è l’apice di quello che Gramsci
chiamava la subalternità, cioè subire il proprio dominio senza ribellarsi
ma orientandosi anzi con le mappe padronali che giustificano quel dominio
presentandolo come giusto e buono o comunque come non trasformabile.
Da
accettarsi senza batter ciglio, con resilienza, appunto.
USA,
SPAVENTOSE E SPUDORATE
MENZOGNE:
ECCO LA VERITA’.
Ilbenevincera.wordpress.com – Redazione – (8 GENNAIO
2021) – ci dice:
Ha
dell’incredibile il livello raggiunto dai media mainstream di propagare la
menzogna.
E,
come ben sappiamo, non si tratta di una cosa locale –che già sarebbe
gravissimo- relativa ad uno o più stati (come per esempio è accaduto per ben 70
anni nella Russia comunista) bensì è un sistema planetario, una menzogna
globale che ha in mano tutto: non gli sfugge più niente.
E,
cosa non da poco, dal 2013 ha pure in mano gli uomini che indegnamente sono ai
vertici massimi della Chiesa.
La
ragazza sorridente che vedete si chiamava Ashly Babbit. Era una pacifica
manifestante. È stata uccisa con colpi di pistola al cuore.
Quanto
è accaduto le scorse ore a Washington nei pressi di Capital Hill è l’ennesimo
episodio di menzogna organizzata: a tutti i livelli e su scala planetaria la
narrazione “ufficiale” è spaventosamente menzognera.
(E con MENZOGNA è stata coperta la crudele ed
immotivata UCCISIONE CON UN COLPO SECCO AL CUORE della giovane e pacifica Ashly
Babbit!)
Al
termine di queste mie note troverete un video in cui un testimone racconta
quanto è veramente accaduto nella Capitale Usa ed una serie di articoli che
forniscono elementi veritieri per provare a comprendere quello che davvero sta
avvenendo negli States.
Infine
–ed è il caso di dire “last but not least” – invitiamo i lettori a prendere
visione delle Dichiarazioni di Sua Eccellenza Carlo Maria Viganò:
l’ex Nunzio della Santa Sede negli Usa ben
conosce le infinite storture sia del “deep state” che del “deep church” di
quella grande ma corrotta Nazione.
Corrotta
soprattutto ai vertici istituzionali, finanziari e purtroppo ecclesiali: la
vergognosa vicenda dello sporcaccione vizioso e sodomita Mc Carrick è solo la
punta di un iceberg infernale che ha oramai avvelenato l’intera Chiesa
cattolica americana.
Il professor
John C. Rao è un testimone diretto delle vicende di Capitol Hill.
Biden
è esausto, ma il deep state Usa regge
Inflazione
Biden
di
Francesco Galietti
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Joe
Biden è esausto, ma il deep state Usa regge
Joe
Biden è esausto, ma
il
deep state Usa regge.
Starmag.it
- Francesco Galetti – (1-5-2022) – ci dice:
Il
presidente Usa non governa ma cerca di assecondare la de-globalizzazione in
atto.
Storia
di una presidenza complessa nell’articolo dell’analista geostrategico,
fondatore di “Policy Sonar” di Francesco Galetti.
Le
aspettative riposte su Joe Biden erano alte.
Contribuivano
ad alimentarle gli anni trascorsi dallo stesso Biden al Senato (dal 1973 al
2009, un’infinità di tempo), la vicepresidenza al fianco di Barack Obama e un
profilo che dalle nostre parti si definirebbe da consumato centrista.
Sul
fronte domestico, ce n’era forse abbastanza per mettere fine alla
polarizzazione molto marcata della politica statunitense, precipitata da anni
in una logica binaria autodistruttiva, in cui nativisti e ‘woke’ si scontrano
senza requie.
In
Biden, insomma, molti vedevano non tanto un anti-Trump, quanto una figura
composta in grado di pacificare un intero Paese e consentire così la riunificazione
delle numerose anime dell’Occidente.
Aspettative
enormi, andate in parte deluse.
Un
aspetto critico è rappresentato dal pallottoliere dei voti di cui Biden ha
bisogno per disporre di una maggioranza al Congresso.
Già
oggi, Biden pattina sul ghiaccio sottile. Le enormi difficoltà nel nominare
ambasciatori in giro per il mondo ne sono forse la testimonianza più vistosa.
Le presidenziali Usa che hanno visto prevalere Biden risalgono ormai al
novembre del 2020, ma quasi un anno e mezzo dopo in molte capitali del mondo
(Roma compresa) non c’è un ambasciatore americano.
Il vero punto, però, è un altro: a Biden non è finora
riuscito il miracolo di arginare l’ala più radicale del suo partito.
Il gioco, tuttavia, sembra passare ancora una
volta dalla capacità dei leader di mobilitare elettorati inferociti, vincendo
sul filo di lana elezioni roventi.
La
conciliazione degli Usa non è alle viste, Biden non è l’uomo della
riappacificazione.
Questo
spiega anche il perdurare sulla scena di Donald Trump, convinto di portare a
casa la nomination repubblicana nel 2024 e giocarsela nuovamente per la Casa
Bianca.
Sul
fronte esterno il bottino non può dirsi altrettanto magro, ma gli elementi di
preoccupazione non mancano.
Ecco
perché.
Con
Biden alla Casa Bianca, l’Occidente appare più compatto. A questa sensazione di
unità contribuiscono senza dubbio l’invasione russa dell’Ucraina e il sostegno
offerto a Mosca dalla Cina.
La
stessa Cina, con una torsione autoritaria fattasi vieppiù evidente durante la
pandemia Covid, non è più una sirena in grado di ammaliare l’Occidente.
Biden,
insomma, è stato il beneficiario di nuove linee di marcia. Tendenze profonde,
dinamiche impersonali, che Biden non governa ma in qualche modo cerca di
assecondare.
I suoi
durissimi giudizi su Vladimir Putin, che Biden già nel marzo del 2021 definì un
‘assassino’, vennero lì per lì derubricati a intemperanze verbali, gaffe di un
presidente non sempre attentissimo alle forme, ma possono oggi dirsi azzeccati.
Non
era Biden che straparlava, bensì una pletora di individui che si ostinava a non
voler vedere la realtà per quello che è. Con la de-globalizzazione che procede
a tappe accelerate, tuttavia, lo stesso Biden è talora preso in contropiede.
L’Eurasia
sta divenendo in men che non si dica un vasto quanto lugubre club di potenze
autoritarie, mentre l’Atlantico si sta richiudendo in una sorta di risveglio
euro-atlantico che procede a tappe forzate.
L’Africa, per anni un’autostrada spianata ai colossi
di Stato cinesi, è tornato continente conteso tra Occidente e sino-russi. È un
mondo nuovo, terra incognita anche per Joe Biden.
A
fianco di Barack Obama nei due mandati alla Casa Bianca, Biden ha ben presente
la sfida con la Cina ma sembra sorpreso dalla dinamica di tipo accelerato che è
in atto.
Ai
tedeschi, che gli propongono a mezzo stampa un trattato di libero scambio
euro-atlantico, Biden non risponde.
Esita, forse vuole riportare in vita il
complicatissimo accordo TTIP inseguito da Obama, o forse ha altro in mente.
L’incontro
con papa Bergoglio, a cui il cattolico Biden teneva non poco, non a sua volta è
di chiara lettura.
Può
dirsi scongiurato lo sbarellamento del Vaticano di Bergoglio verso la Cina?
Davanti
alla Russia che invade l’Ucraina, Biden si mostra risoluto ma non troppo. A
dettare la linea della fermezza sono gli apparati militari e di intelligence
statunitensi.
Attestati
su questa linea (‘l’unica opzione è sconfiggere la Russia sul campo”) sono
anche gli inglesi, alleati di sempre e molto attenti a cosa combina Mosca fin
dai tempi di Lord Salisbury.
Note
preoccupanti arrivano dal Golfo. Le monarchie degli emirati e saudite sono sul
chi va là, temono che Biden voglia ‘scongelare’ l’Iran e non apprezzano il
costante richiamo a valori democratici che considerano destabilizzante.
Anche
l’India, sebbene coinvolta nel contenimento della Cina al fianco di Usa,
Australia e Giappone, non ne vuole sapere di chiudere i boccaporti con la
Russia.
Biden
è esausto, ma può contare su Jake Sullivan, il tenace consigliere per la
sicurezza nazionale che non fa mai sosta.
Altri
esponenti della formidabile burocrazia imperiale a stelle e strisce sono
all’opera. È il miracolo del potere americano che si rinnova: non i presidenti
che a turno calcano le scene, ma lo ‘Stato profondo ’ che li sorregge.
UKRAINEGATE,
COMPLOTTO
DEEP
STATE CONTRO TRUMP:
tra i
due informatori CIA spunta anche Renzi.
Gospanews.net - Fabio Giuseppe Carlo Carisio –
(9 Novembre 2019) – ci dice:
«Grazie
a Dio per il Deep State (Stato Profondo)».
È questa la lezione propinata dall’ex
direttore Cia John E. McLaughlin, alla presenza di John Brennan che ricoprì lo
stesso ruolo sotto il presidente Barack Obama, agli studenti della” Schar School of Policy and Government
della George Mason University”
La frase
conferma l’esistenza di quell’entità nascosta in cui si coagulano poteri forti,
massoneria, lobby sioniste, servizi segreti internazionali e apparati militari.
È
stata pronunciata dall’ex capo della Central Intelligence Agency, il
controspionaggio americano, per commentare l’avvio dell’impeachment contro il
presidente americano Donald Trump per l’Ukraine Gate, descrivendo i diplomatici
e gli ufficiali dell’intelligence che testimoniano nel caso come “persone che
stanno facendo il loro dovere o stanno rispondendo a un livello superiore di
chiamata”.
Tanto che qualcuno di loro ha persino cambiato la sua
versione pur di mettere nei guai il presidente: successivamente prosciolto dal
Senato, controllato dai suoi sostenitori Repubblicani, come avevamo previsto
fin dal primo articolo...
L’intervento
dell’ex CIA è stato riportato con risalto solo da Fox News nello spazio di
Tucker Carlson e rilanciato da Russia Today che ha rammentato come proprio le
impronte digitali di Brennan siano sul Dossier Steele da cui nacque il caso
Russia Gate ora al centro di una contro-inchiesta del Dipartimento di
Giustizia.
Ma il
network di Mosca RT ha anche evidenziato che pochi media hanno dato risalto
alla clamorosa affermazione ricordando invece una frase pubblicata in un articolo
di opinione del New York Times sulla stessa lunghezza d’onda del pensiero di
Laughlin: «Lo
stato profondo non è una cabala segreta e antidemocratica. È una raccolta di
dipendenti pubblici che cercano di proteggere la Repubblica dagli eccessi del
presidente Trump».
L’attuale
presidente americano è certamente un criminale internazionale. Lo è per come ha
apertamente finanziato gli amici dell’Arabia Saudita nella guerra dello Yemen
anche con la fornitura di armi, lo è per come ha portato avanti le operazioni
militari finalizzate prima al fallito regime-chance e poi al furto di petrolio
in Siria, lo è anche per come ha continuato ad appoggiare l’Ucraina nel suo
tentativo di conquista del Donbass, ricco di giacimenti ancora inutilizzati di
gas naturali, in mano alle repubbliche separatiste filorusse di Doneck e
Lugansk.
L’INCHIESTA
SUI BIDEN VOLUTA DA TRUMP.
Ma
nello scandalo Ukraine Gate sta dalla parte della ragione: perché ha
semplicemente spinto affinché si facesse luce su presunti reati commessi da
altri criminali politici peggiori di lui.
Mi riferisco all’ex vicepresidente americano Joe
Biden, ora candidato dei Democratici contro il Repubblicano Trump alle prossime
presidenziali del 2020, che sotto la regia dell’ex presidente Barack Obama,
proprio ubbidendo al Deep State, ha fomentato e finanziato il golpe di Kiev per
la rimozione del presidente della Repubblica filo-russo Viktor Janukovic, da
cui è scaturita la Guerra Civile in Ucraina che ha provocato più di 10mila
morti, e non è ancora terminata.
Tutti
questi morti sono anche sulla coscienza di Biden che nel 2016 ha persino
ricattato Kiev affinché non procedesse con l’inchiesta per la nomina del figlio
Hunter nel Consiglio di Amministrazione di Burisma, società energetica ucraina
con concessioni proprio nel Donbass, minacciando di interrompere i contributi
finanziari Usa.
Trump
è sotto impeachment proprio per la telefonata del 25 luglio con cui ha
sollecitato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ad indagare sul caso dopo
aver paventato, con la medesima intimidazione di Biden mai indagato dal
Congresso per quello, di ritirare 400 milioni di dollari di contributi, secondo
quando sostenuto dalla denuncia ma negato dal presidente.
La
vicenda dei Biden è ancora oggetto di attenzione del procuratore generale
dell’Ucraina Ruslan Ryaboshapka che si è premurato di chiarire che l’inchiesta
era ripartita prima della telefonata e delle visite dell’avvocato di Trump Rudy
Giuliani.
Allo
stesso tempo l’Ufficio nazionale anticorruzione dell’Ucraina (Nabu) ha avviato
un’indagine penale per abuso d’ufficio contro l’ex procuratore generale Yuriy
Lutsenko su richiesta del tribunale distrettuale di Solomyansky di Kiev.
Il sospetto è che questa inchiesta sia in
qualche modo collegata proprio alla riapertura del fascicolo Burisma avvenuta
prima che Lutsenko desse le dimissioni (il 29 agosto scorso): va però ricordato
che il NABU è un’organismo costituito e finanziato in Ucraina proprio
dall’amministrazione Obama-Biden.
I DUE
WHISTLEBLOWER DELL’IMPEACHMENT.
A
Washington è invece Trump ad essere stato posto sotto procedura di impeachment
dalla Camera del Congresso, formalizzata nei giorni scorsi coi 232 voti
favorevoli dei Democratici (tutti tranne tre) e 196 contrari dei Repubblicani
in blocco, nonostante sia palese il complotto dell’intelligence internazionale,
o del Deep State per dirla secondo Laughlin, che comincia con il democratico
Adam Schiff, finanziato nella campagna elettorale del 2013 da un produttori di
armi ucraino emigrato negli Usa che ha fatto molti affari grazie alle forniture
per la guerra del Donbass, e culminato con la denuncia di un agente della Cia
che si sarebbe vendicato contro la Casa Bianca per essere stato eliminato dal
National Security Council (NSC), l’apparato governativo che coordina le
attività del controspionaggio internazionale della Central Intelligence Agency,
dei servizi segreti nazionali Nsa e della FBI.
E’il
democratico Adam Schiff, presidente del Comitato di Intelligence della Camera
del Congresso Usa.
Secondo
alcuni siti americani l’informatore ora sotto protezione, il cosiddetto
“Whistleblower”, sarebbe il veterano Michael Barry, ritenuto da vari media uno degli 007
dell’”Assasination Program Cia”, la sezione speciale con licenza di uccidere,
attraverso operazioni militari clandestine, anche personaggi eccellenti.
Ha prestato servizio nell’Aeronautica militare
dal 1982 al 1992, anche come agente speciale nel suo Ufficio delle indagini
speciali di tale corpo d’armata ed ha operato in Europa.
È
stato direttore Senior per l’Intelligence Program del NSC dall’agosto 2017, in
sostituzione di Ezra Asa Cohen-Watnick, fino al luglio 2018 quando è stato
rimosso per decisione dell’ex consulente di sicurezza della Casa Bianca John
Bolton, ed è rientrato nei ranghi della Central Intelligence Agency.
I due
funzionari della CIA Eric Ciaramella e John Brennan.
Ma
negli ultimi giorni è stato accreditato dai giornali come talpa il nome di un
altro funzionario della CIA, quello dell’analista Eric Ciaramella che pur non vantando l’esperienza del
suo collega è stato direttore per l’Ucraina nell’ambito dello stesso NSC
durante la presidenza Obama quale stretto collaboratore dell’allora direttore
CIA John Brennan, e lavorò soprattutto con il vicepresidente Biden proprio
mentre il figlio intascava migliaia di euro da Burisma, tramite al società Rosemont Seneca Partners in cui era socio con Devon Archer, stretto collaboratore
dell’ex Segretario di Stato John Kerry durante la sua campagna elettorale nei
Democratici.
Come
si spiega questa apparente contraddizione tra le indiscrezioni riportate dal
sito “The
Conservative Tree House” che già il 27 settembre menzionava “Barry e Real Clear
Investigations” che in un articolo del 10 ottobre scorso ha fatto il nome di
Ciaramella?
Semplicissimo: perché come ammesso dagli
stessi avvocati dell’autore della denuncia Mark Zaid ed Andrew Bakaj i
whistleblowers sono due…
Ora
resta da capire se davvero l’estensore della prima comunicazione sia stato
Barry, e quindi Ciaramella sia il secondo informatore, oppure il contrario:
ammesso che siano davvero loro gli agenti segreti coinvolti.
IL
DOSSIER DI SCHIFF E LE ARMI IN UCRAINA.
Se
fosse Barry la prima talpa apparirebbe più chiaro il motivo per cui ha avuto
tanta enfasi su alcuni media americani il secondo nome proprio nel momento in
cui il presidente del Comitato d’Intelligence della Camera, Adam Schiff ha
annunciato di aver cambiato strategia.
Schiff
ha infatti disposto che il denunciante rilascerà solo una testimonianza scritta
alla Commissione d’Inchiesta della Camera sulla procedura di Impeachment. La
diffusione enfatizzata del nome di Ciaramella, tweettato anche da Trump junior,
potrebbe forse essere una tecnica di depistaggio dell’attenzione dal più
influente e potente Barry.
Il contributo
da Igor Pasternak ad Adam Schiff – fonte Open Secrets.
In
qualsiasi caso emerge da tutti i reportage che la denuncia sarebbe stata
maneggiata, rivista o secondo alcuni addirittura impostata dallo stesso democratico
Schiff che ne era il destinatario:
un
palese conflitto d’interessi ingigantito dalla circostanza che lo stesso
presidente dell’HIC (House Intelligence Commitee) nel 2013 ottenne un
contributo per la sua campagna elettorale da Igor Pasternak, il proprietario
dell’industria di armi americana Worldwide Aeros Corp originario dell’Ucraina,
nazione in cui poi ottenne, durante l’amministrazione di Obama e Biden, un appalto
per la fornitura di mitragliatori M16, come ben evidenziato da Fox News ed
altri media.
Igor
Pasternak, il produttore di armi di origini ucraine al centro dell’inchiesta di
Fox News per i suoi contributi alla campagna elettorale di Adam Schiff.
Ecco
perché sempre il sito “The Conservative Tree House”, di evidente impronta repubblicana
GOP, riprende un intervento del deputato repubblicano Devin Nunes, membro del
Comitato di Intelligence della Camera, e definisce l’UkraineGate il “Dossier
Schiff” similare come tipologia al Russiagate:
«Sembra
che la rete Lawfare (un sito di intelligence – ndr) abbia costruito il Dossier
Schiff e lo abbia consegnato all’agente della CIA alleato Michael Barry per
presentare una denuncia formale IC. Questo processo è quasi identico alla rete
Fusion-GPS / Lawfare che consegna il dossier Steele all’FBI da utilizzare come
prova per la cospirazione della Russia 2016/2017».
In
mezzo a questi dossier saltano fuori collegamenti anche con lo SpyGate italiano che ha indotto il procuratore generale William Barr
ed il procuratore John Durham, titolare della contro-inchiesta
dell’amministrazione Trump sul Russia gate, a venire a Roma per raccogliere
informazioni.
In un libro
l’ex agente CIA a Roma Duane Clarridg rivela le relazioni con il PCI di Giorgio
Napolitano.
Proprio
Ciaramella, infatti, come rivelato da” Inside Over”, rubrica di geopolitica de
Il Giornale, sarebbe l’anello di congiunzione tra l’Ukrania gate e l’ex primo
ministro italiano Matteo Renzi, già segretario del Partito Democratico, la cui
nomina fu caldeggiata dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
(anch’egli PD), ritenuto uno degli attori dell’accordo PCI-CIA ordito nel 1980
dallo stratega Duane Clarridge, capostazione della Central Intelligence Agency
a Roma, e poi benedetta dall’immediata visita (una settimana dopo) dello stesso
Obama a Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio.
LE
ACCUSE PER SENTITO DIRE CONTRO TRUMP.
La
cospirazione nel segno Dem da Washington passa per Roma per arrivare a Kiev in
quella nuova colonia degli Stati Uniti d’America che è diventata l’Ucraina dopo
il golpe e la strage di piazza Euromaidan. Ma, come rivelato da Sean Davis sul
Federalist, è stata attuata anche attraverso il cambio del modulo di denuncia
di “Divulgazione Preoccupazione Urgente” degli informatori in virtù del quale è
scattata la loro protezione.
«Tra maggio 2018 e agosto 2019, la
comunità dell’intelligence ha segretamente eliminato l’obbligo per gli
informatori di fornire una conoscenza diretta di prima mano di presunti
illeciti – scrive Sean Davis sul Federalist come rimarcato da “The Conseravtive
TreeHouse” .
La
nuovissima versione del modulo di denuncia per informatori, che non è stata
resa pubblica fino a dopo che la trascrizione della telefonata del 25 luglio di
Trump con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la denuncia indirizzata al
Congresso sono state rese pubbliche, elimina il requisito della conoscenza
diretta e consente ai dipendenti intenzionati a presentare denunce di
informatori anche se non hanno una conoscenza diretta delle prove sottostanti e
solo “sentito parlare di [illeciti] da parte di altri”».
Proprio
come la segnalazione del whistleblower dell’Ukraine Gate che riferisce per
sentito dire… Ma il giornalista investigativo nota un’altra curiosa
coincidenza: le caratteristiche del nuovo modulo “Divulgazione della preoccupazione
urgente” risultano aggiornate il 24 settembre 2019, alle 16:25, pochi giorni
prima che la denuncia contro Trump fosse declassificato e rilasciato al
pubblico.
GLI
INTRECCI CIA-ITALIA E QUELLI DI SOROS IN UCRAINA.
Vediamo
ora più nel dettaglio gli intrecci tra Ucraina, Usa e Italia e i vari attori
del Deep International State di cui abbiamo più volte parlato in varie
inchieste precedenti che cominciano, tanto per cambiare, dalle operazioni di
propaganda del plutarca ungaro-americano George Soros…
I
forti condizionamenti della Cia nella politica italiana dopo lo sbarco degli
Alleati in Sicilia nel 1943 sono ben descritti in precedenti reportage in cui
si illustra l’inizio della carriera politica di Bernardo Mattarella, padre
dell’ex deputato Pd Sergio, attuale presidente della Repubblica.
Passiamo
quindi a tempi più recenti. Nel 2006 il futuro premier italiano Renzi, in
qualità di Presidente della Provincia di Firenze, organizza un convegno sui
Neocon ed ospita un importante esperto di geopolitica ed intelligence
internazionale: il giornalista americano Michael Ledeen, già informatore del Sismi,
consulente dell’appena citato Comitato di Sicurezza Nazionale della Casa
Bianca.
Nell’aprile
2007 in Ucraina viene organizzata la prima edizione del convegno internazionale
“Kiev Security Forum” da parte dell’”ong Open Ukraine” dell’economista ed
avvocato Arseniy Yatsenyuk, che diventerà premier con la benedizione di Obama
dopo il golpe 2014: l’evento è finanziato da International Renaissance, braccio
ucraino della Open Society di New York di Soros.
Oggi
lo stesso forum vanta come sponsor anche il Centro Ricerca Nato e dal
Dipartimento di Stato Usa.
Pochi
mesi dopo, a giugno, la stessa ong di Soros dà un contributo alla conferenza
internazionale Democrazia e Sicurezza organizzata a Praga da “Adelson Institute
for Strategic Studies”, la fondazione del sionista americano Sheldon Adelson,
grande amico e sponsor di Benjamin Netanyahu, e dalla “Prague Security Studies
Institute” (PSSI) che poteva vantare tra i suoi consiglieri anche James
Woolsey, ex direttore della CIA (ed ex presidente del Board di Freedom House),
e Madeleine Albright, la 64° segretaria di Stato USA e, a tempo perso, presidente
del Board di NDI.
Ci parteciperanno anche il presidente George
Bush junior ed Eli Khouri, regista della Rivoluzione dei Cedri in Libano e poi
fondatore del colosso mediatico Omnicom Media Group MENA (Medio Oriente e Nord Africa) a
Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.
MILIONI
DAGLI USA AI PARENTI DI RENZI.
Il 27
giugno 2007 la senatrice democratica Hillary Clinton, futuro Segretario di
Stato, vola a Firenze per incontrare Matteo Renzi grazie alla mediazione
dell’ex Sindaco di Roma Francesco Rutelli, membro dell’Alleanza dei Democratici
Americani ed Europei, che l’anno successivo porterà a Washington il suo
protetto esponente della Margherita (partito disciolto per un ammanco di 25
milioni euro).
(Ecco
l’allora Presidente della Provincia Matteo Renzi, con il ministro e vicepremier
Francesco Rutelli e la futura Segretaria di Stato degli Usa Hillary Clinton
durante la sua visita a Firenze il 27 giugno 2007.)
Nel
2008 Unicef International di New York stipula un contratto per una missione di
aiuto ai bambini etiopi con la società Play Therapy Africa diretta da
Alessandro Conticini, fratello di Andrea, cognato del futuro premier Renzi.
Le erogazioni proseguirono fino a raggiungere
la cifra di 3,9 milioni di dollari nel 2013 durante la direzione Unicef di Anthony
Lake, un politico democratico americano nominato da Barack Obama che lo propose
quale direttore della CIA ricevendo però la bocciatura del Congresso.
I
fratelli Conticini sono indagati dalla Procura di Firenze per appropriazione
indebita perché quei soldi sarebbero finiti in una società dei genitori di
Renzi (poi arrestati per operazioni finanziarie gravitanti intorno a tale
società) e sui loro conti alle Seychelles.
Loro
si dichiarano innocenti ed incredibilmente Unicef International non ha
presentato querela.
Mentre
per lo stesso motivo e per un finanziamento ancora superiore pari a 5,5 milioni
di dollari la fondazione “Operation Usa” che ha come testimonial la famosa
attrice Julie Andrews ha presentato denuncia contro i parenti di Renzi.
È
curioso notare come nel Board of Directors di Operation Usa siede Gary Hart, il senatore
democratico vicepresidente del Comitato di Sicurezza Nazionale con Obama e
divenuto famoso per aver previsto l’attentato aereo dell’11 settembre a New
York.
Secondo
il magistrato Luca Turco, procuratore aggiunto di Firenze, su 10 milioni di
euro di fondi ricevuti ben 6,6 sarebbero stati sottratti….
Mentre
dagli Usa piovono milioni di euro per i suoi parenti che finiscono anche nella
società di famiglia, Renzi brucia le tappe grazie a campagne elettorali ben
orchestrate dalla fondazione Open per circa 6,6 milioni di euro (la stessa
somma del presunto ammanco, ma non esiste prova di una minima correlazione al
momento): prima viene eletto Sindaco di Firenze nel 2009, quindi segretario del
Partito Democratico nel 2013, infine premier il 22 febbraio 2014.
Due
giorni prima, nella piazza Euromaidan di Kiev, 70 manifestanti e 17 poliziotti
vengono uccisi dal fuoco di cecchini ancora non identificati dalle autorità ma
individuati e intervistati dal reporter di guerra Gian Micalessin come
mercenari georgiani. Il presidente ucraino Janukovic è costretto a fuggire: il
golpe Usa è compiuto!
LE
OMBRE DELLO SPYGATE ANCHE SULL’EX PREMIER.
Al
Presidente del Consiglio in Italia è affidata l’alta direzione e la
responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, ovvero
l’Intelligence, che secondo alcune fonti avrebbe svolto un ruolo nella vicenda
Spy Gate italiana nella quale si toccano gli scandali Russia Gate e Ukraine Gate,
sebbene intrinsecamente anti-podici:
il
primo Dossier Steele accusa infatti Trump di essere stato appoggiato dalla
Russia, il secondo, da alcuni denominato, Dossier Schiff, sostiene che il
presidente americano abbia condizionato il presidente dell’Ucraina che sta
portando avanti la guerra civile contro le Repubbliche del Donbass alleate di
Mosca.
Anche un bimbo capirebbe la contraddizione
logica… Ma le inchieste proseguono e fanno saltare fuori anche le relazioni di
Renzi.
(L’ex presidente
degli Usa Barack Obama accanto all’ex premier Matteo Renzi a Roma nel marzo
2014).
Come
riportato dal giornalista Roberto Vivaldelli sul Giornale, secondo George
Papadopoulos, l’ex consigliere di Trump «Renzi è stato usato da Barack Obama
per attuare questo colpo basso nei confronti di Trump» e ora lo stesso ex
premier «rimarrà esposto e a causa di questa storia la sua carriera politica
verrà distrutta, così come quella di altri esponenti di sinistra in Italia.
Ritengo
impossibile che un’operazione del genere si potesse svolgere senza che il
governo dell’epoca ne fosse a conoscenza. Renzi stava prendendo ordini da
qualcuno, ed era ben felice di obbedire».
Nel
corso dell’intervista Papadopoulos racconta del suo primo incontro con il
docente maltese della Link University di Roma, Joseph Mifsud, ritenuto al
centro di un complotto dell’intelligence internazionale e svanito nel nulla…
Nei giorni scorsi ecco emergere un altro dato a conferma di questi intrighi.
«L’ufficiale
della Cia specializzato in Russia e Ucraina, Eric Ciaramella ha collaborato con
il Consiglio di sicurezza nazionale dall’estate del 2015, lavorando sotto Susan
Rice, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Obama – scrive
Inside Over – Ha anche lavorato a stretto contatto con l’ex vicepresidente Joe
Biden.
I registri federali, riporta “RealClear
Investigations”, mostrano che l’ufficio di Joe Biden ha invitato Ciaramella a
un pranzo di stato nell’ottobre 2016 con l’allora premier italiano Matteo
Renzi.
Tra
gli altri erano presenti John Brennan e l’allora direttore dell’Fbi James
Comey, oltre all’allora direttore dell’intelligence nazionale James Clapper».
L’agente
CIA Eric Ciaramella che partecipò ad un pranzo di Stato con l’ex premier
italiano Matteo Renzi.
Laureato
a Yale, l’analista della Cia parla russo, ucraino e arabo, ha solo 33 anni ma è
già stato promosso da John Brennan, direttore sotto l’amministrazione Obama,
che come ipotizza Antonio Grizzuti su La Verità, potrebbe essere un legame fra
Ciaramella, lo Spy-gate che coinvolge anche l’Italia e l’impeachment contro
Trump.
Ecco
quindi tutte le ombre del Deep State, pubblicamente ringraziato dall’ex capo
della Cia McLaughlin, pian piano prendere un volto mentre pochi si pongono la
domanda cruciale su cui si avvita tutta la vicenda Ukraine Gate: ha il diritto
il presidente di una nazione straniera di segnalare e sollecitare indagini a
carico di un concittadino che, come nel caso dei Biden, potrebbe aver favorito
illeciti guadagni per il figlio Hunter in contropartita a finanziamenti di
stato del padre Joe?
Se la
risposta è sì l’impeachment, destinato a sciogliersi in Senato dove i
Repubblicani detengono la maggioranza, non è altro che un tentativo di
occultare l’inchiesta riavviata dalla Procura generale di Kiev.
Se la risposta è no significa che in politica
vale ormai tutto e pertanto le ingerenze di Trump sono acqua fresca rispetto
alle azioni dei suoi predecessori alla Casa Bianca che hanno sostenuto un
sanguinario golpe sfociato in una guerra civile ancora in essere.
La
presenza del Deep Stete ormai confermato dalla CIA aleggia anche su altre
tremende storie di delitti eccellenti e stragi che vanno dall’assassinio del
presidente Usa Abramo Lincoln a quello dello statista democristiano Aldo Moro,
di cui riportiamo tutti i precedenti reportage di Gospa News nelle categorie
Massoneria – Cospirazioni, Inchieste – Osint e Giustizia – Mafia.
(Fabio
Giuseppe Carlo Carisio)
Pisa.
Armi invece di aiuti umanitari.
I lavoratori
rifiutano di caricare.
Contropiano.org
- Unione Sindacale Di Base – Pisa –(14 -13-2022) – ci dice:
“Dall’aeroporto di Pisa armi
all’Ucraina mascherate da “aiuti umanitari”: i lavoratori rifiutano di caricare
gli aerei. Sabato 19 manifestazione convocata dall’USB all’aerporto Galilei.
Alcuni
lavoratori dell’aeroporto civile Galileo Galilei di Pisa ci hanno informato di
un fatto gravissimo: dal Cargo Village sito presso l’Aeroporto civile partono
voli “umanitari”, che dovrebbero essere riempiti di vettovaglie, viveri,
medicinali e quant’altro utile per le popolazioni ucraine tormentate da
settimane da bombardamenti e combattimenti. Ma non è così!
Quando
si sono presentati sotto l’aereo, i lavoratori addetti al carico si sono
trovati di fronte casse piene di armi di vario tipo, munizioni ed esplosivi.
Una
amara e terribile sorpresa, che conferma il clima di guerra nel quale ci sta
trascinando il governo Draghi.
Di
fronte a questo fatto gravissimo, i lavoratori si sono rifiutati di caricare il
cargo:
questi
aerei atterrano prima nelle basi USA/NATO in Polonia, poi i carichi sono
inviati in Ucraina, dove infine sono bombardati dall’esercito russo,
determinando la morte di altri lavoratori, impiegati nelle basi interessate
agli attacchi.
Denunciamo
con forza questa vera e propria falsificazione, che usa cinicamente la
copertura “umanitaria” per continuare ad alimentare la guerra in Ucraina
Chiediamo:
1)
alle strutture di controllo del traffico aereo dell’aeroporto civile di
bloccare immediatamente questi voli di morte mascherati da aiuti “umanitari”;
2) ai
lavoratori di continuare a rifiutarsi di caricare armi ed esplosivi che vanno
ad alimentare una spirale di guerra, che potremo fermare solo con un immediato
cessate il fuoco e il rilancio di dialoghi di pace;
3)
alla cittadinanza di partecipare alla manifestazione di sabato 19 marzo di
fronte all’aeroporto Galilei (ore 15) sulla parola d’ordine “Dalla Toscana
ponti di pace, non voli di guerra!”.
Soros
VS Musk.
Ilconciliatore.it
– Ander Norén – (10-10-2022) – ci dice:
SOROS
RIVENDICA IL DOMINIO IDEOLOGICO SU TWITTER.
Ho
salutato con algido disappunto il fatto che TWITTER sia stato acquistato in un
sol boccone da Elon Musk un fatto che certo non migliorava l’assetto di un
sistema mediatico troppo concentrato!
Anzi
confermava la pericolosità del sistema dei media ma la vicenda ha delle derive
interessanti.
Soros
si è addirittura adirato perché uno dei principali canali d’informazione
mondiale era sfuggito alla sua personale rete eversiva che in questi anni ha
condizionato tutti i media.
Nel
video di “Epoch Time” si comprende anche come SOROS stringe i testicoli dei
Media e dei Social – ovvero – contro quanti non obbediscono – aizza il cartello
ideologico di pacifiche ONG – organizza un boicottaggio pubblicitario
preventivo, diramando una circolare a tutti SPONSOR affinché si boicotti chi
non segue le rette linee guida ideologiche del Pensiero Unico dominante il
Mondo!
Ora
permanendo negativo che Elon Musk abbia acquistato TWITTER – Vi basti pensare
che fin da subito si è schierato contro la Russia – finanziando addirittura la
difesa militare dell’Ucraina.
Dobbiamo
però approfittare per raccogliere tra i documenti che formano questo video la
prova che le ONG sono una Associazione a delinquere di stampo mafioso intimidatorio se arriva a esprimere
un boicottaggio preventivo al nuovo proprietario di Twitter!
Nell’appello
ai sottoscrittori si esprime una formale minaccia affinché Elon Musk non reintegri nel Social quanti
sono stati precedentemente emarginati!
Il
riferimento a Trump e ai dissidenti boicottati in passato da YOUTUBE Facebook e
appunto Twitter è implicito.
Elon
Musk ha infatti espresso che intende dare la parola a quanti se la sono vista
negare nel recente passato e dovendo propagandare i suoi prodotti e la nuova
moneta virtuale – potrà anche ignorare le defezioni di alcuni sponsor
intimiditi da Soros e dalle ONG collegate!
Non
per nulla il 13 maggio Elon Musk ha pubblicato un post su Twitter in cui ha
annunciato che Tesla avrebbe smesso di accettare criptovalute come mezzi di
pagamento.
Provocando
un crollo delle quotazioni del 17% – nessuno poi mi leva dalla testa che il
crollo sia stato perfino anticipato (reato di aggiotaggio) dalla dismissione
dei 2 miliardi di Crypto valute detenute da Musk.
La
Banca centrale cinese ha di seguito assestato un ulteriore duro colpo al mondo
delle criptovalute, affondando i bitcoin del 30% – sono stati bruciati fino a
500miliardi di capitalizzazione di mercato! Perdono il 40% Ether, la moneta
principale per la rete blockchain di Ethereum e Coinbase. (Tutto questo crollo in 24ore)
Chiara
la Manovra di Musk:
abbatto
la concorrenza e contestualmente immetto una Criptovaluta sicura ed asseverata
il Doge coin!
Normale
che dopo tale acquisizione il Deep State USA sia in subbuglio – si palesa
infatti un ulteriore ostacolo alla realizzazione del Grande Reset, IV
Rivoluzione Industriale o meglio al Nuovo Ordine Mondiale Globalista di
ispirazione Neo Nazista!
Declaration
for the Future of the Internet.
Il
Governo ha infatti subito emanato un documento (PDF) anch ‘esso di
intimidazione preventiva e formato un nuovo comitato o ministero della Verità –
per condizionare, veicolare e manipolare l’informazione ufficiale verso la mera
Propaganda e il Pensiero Unico!
La sua
traduzione:
Per
chi è coinvolto:
L’acquisizione
di Twitter da parte di Elon Musk intossica ulteriormente il nostro ecosistema
informativo ed essere una minaccia diretta per la sicurezza pubblica,
soprattutto tra quelle già più numerose vulnerabili ed emarginati.
Twitter
ha un’influenza smisurata nel plasmare sia il discorso pubblico che l’intero
settore standard di governance della piattaforma.
Mentre
l’azienda non è certo un poster Child (poster Child è il manifesto per la
campagna contro le devianze sociali) per social media sani, negli ultimi anni
ha compiuto passi positivi per mitigare i rischi sistemici, aumentando la
pressione su “Mi piace” di Facebook e YouTube a seguire l’esempio.
Musk
intende potenziare quelle salvaguardie e fornire un megafono per gli estremisti
che trafficano in disinformazione, odio e molestie.
Con il
pretesto della “libertà di parola”, la sua visione metterà a tacere e metterà
in pericolo gli emarginati della comunità, lacerando il tessuto labile della
democrazia.
Le
organizzazioni sottoscritte ritengono che Twitter dovrebbe continuare a
sostenere quelle pratiche che fungono da linee guida per altre piattaforme Big
Tech.
Noi
invitiamo i migliori inserzionisti di Twitter: a impegnarsi a far rispettare
questi standard in quanto non negoziabili requisiti per la pubblicità sulla
piattaforma:
1. Tenere conti compresi quelli di
personaggi pubblici e politici che erano rimosso per gravi violazioni delle
regole di Twitter, come molestie, violenza e condotta odiosa – abbandonare la
piattaforma e continuare a farla rispettare la politica di integrità civica
insieme alla politica di condotta odiosa.
Dal
2020, Twitter ha applicato la sua politica di integrità civica a tutti gli
utenti, inclusi gli eletti funzionari.
Le
dichiarazioni di Musk a Ted2022 la scorsa settimana indicano che farà annullare i divieti permanenti ed evitare di
consentire contenuti dannosi rimanere sulla piattaforma con il pretesto della “libertà di parola”.
Un
capovolgimento delle politiche di moderazione dei contenuti di Twitter, incluso
il clima rilasciato di recente impegni, le sue protezioni per le persone
transgender e le sue restrizioni altre forme di odio, molestie e violenza
sarebbero tossiche non solo per quelle mirato, ma anche per le aziende che
fanno pubblicità sulla piattaforma.
2.
Oltre alla trasparenza algoritmica, garantire la responsabilità algoritmica,
preservare la privacy delle persone e impegnarsi a depolarizzare l’algoritmo.
Considera
le implicazioni della visibilità pubblica su vasta scala nell’algoritmo di
Twitter e mettere in atto protezioni per impedire ai malintenzionati di giocare
con il sistema.
Ascolta
gli esperti di privacy e altri la cui esperienza include la protezione comunità
discriminate nel dire la verità al potere.
Continua
il lavoro del suo team di ricerca interno chiamato “Machine Learning” Etica, Trasparenza e
Responsabilità che esamina i potenziali pregiudizi i suoi algoritmi, inclusa la
ricerca pubblicata, ad esempio, sul fatto che gli algoritmi che ritagliano
automaticamente le foto del profilo contenevano pregiudizi involontari.
3.
Continuare l’impegno di Twitter per la trasparenza e l’accesso dei ricercatori.
Twitter
si distingue per il supporto ai ricercatori, sia interni che esterni alla
società.
Dalla
sua API per la ricerca accademica alla sua volontà di farlo pubblicare la
critica e le sue conoscenze interne, Twitter ha dimostrato a impegno per la
trasparenza e l’accesso per i ricercatori che dà l’esempio per altre società
Big Tech e consente la responsabilità.
In
qualità di migliori inserzionisti su Twitter, il tuo marchio rischia
l’associazione con una piattaforma amplificando odio, estremismo,
disinformazione sanitaria e cospirazione teorici.
Sotto
la gestione di Musk, Twitter rischia di diventare un pozzo nero di
disinformazione, con il tuo marchio attaccato, inquinando il nostro ecosistema
informativo in un momento in cui la fiducia nelle istituzioni e nei media è già
ai minimi storici.
I tuoi
dollari pubblicitari possono finanziare il progetto di vanità di Musk o tenerlo
in conto.
Noi ti
invitiamo a chiedere a Musk di sostenere questi standard di base della fiducia
della comunità e sicurezza e di ritirare le tue spese pubblicitarie da Twitter
se non lo sono.
Cordiali
saluti.
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