L’ITALIA E UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIALE.

L’ITALIA E UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIALE.

 

 Il nuovo governo e le imprese, Meloni:

“L’Italia deve tornare ad avere

una politica industriale”.

 Innovationpost.it – (25 Ottobre 2022) - Franco Canna – ci dice:

 

“L’Italia deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo”. Così il presidente del Consiglio incaricato Giorgia Meloni ha introdotto la parte dedicata al mondo delle imprese del suo discorso sulla fiducia al nuovo governo.

I settori citati da Meloni sono moda, lusso, design e anche “l’alta tecnologia”. Oltre naturalmente alle eccellenze in campo agroalimentare, sulle quali Meloni ha chiarito che “sovranità alimentare non significa, ovviamente, mettere fuori commercio l’ananas, come qualcuno ha detto, ma più banalmente garantire che non dipenderemo da Nazioni distanti da noi per dare da mangiare ai nostri figli”.

 

Tornando alle imprese, la premier ha detto che “serve una rivoluzione culturale nel rapporto tra Stato e sistema produttivo, che deve essere paritetico e di reciproca fiducia. Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia va sostenuto e agevolato, non vessato e guardato con sospetto, perché la ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori, non lo Stato con decreti o editti”.

Si inaugura quindi una stagione improntata al “lasseiz faire”, anche se di termini in lingua straniera nel discorso di Meloni non c’è traccia (ha tradotto persino la flat tax come tassa piatta).

 “Il motto di questo Governo sarà: «non disturbare chi vuole fare».

Le imprese chiedono soprattutto meno burocrazia, regole chiare e certe, risposte celeri e trasparenti. Affronteremo il problema partendo da una strutturale semplificazione e deregolamentazione dei procedimenti amministrativi per dare stimolo all’economia, alla crescita e agli investimenti, anche perché tutti sappiamo quanto l’eccesso normativo, burocratico e regolamentare aumenti esponenzialmente il rischio di irregolarità, contenziosi e corruzione. Un male che abbiamo il dovere di estirpare”.

Meloni promette “un nuovo patto fiscale” basato su tre pilastri.

Il primo consisterà nel “ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso una riforma all’insegna dell’equità”.

Ci sarà quindi l’estensione della flat tax per le partite IVA dagli attuali 65 mila euro a 100 mila euro di fatturato.

 Non solo: per non penalizzare chi cresce, spiega Meloni, ci sarà “l’introduzione della tassa piatta sull’incremento di reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente: una misura virtuosa con limitato impatto per le casse dello Stato che può essere un forte incentivo alla crescita”.

 

Il secondo pilastro è la tregua fiscale “per consentire a cittadini e imprese, in particolare PMI, in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco”.

Il terzo punto è la lotta all’evasione che – assicura la premier – non sarà una “caccia al gettito”.

Il cuneo fiscale.

Meloni ha poi affrontato il tema del cuneo fiscale.

“L’obiettivo che ci diamo – ha detto – è intervenire gradualmente per arrivare a un taglio di almeno cinque punti del cuneo in favore di imprese e lavoratori per alleggerire il carico fiscale delle prime e aumentare le buste paga dei secondi”.

Le aziende ad alta densità di lavoro saranno premiate con un meccanismo fiscale del tipo “più assumi meno paghi” senza “far venir meno il necessario sostegno all’innovazione tecnologica”.

Un ultimo cenno al tema delle competenze: “Serve colmare il grande divario esistente tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro con percorsi formativi specifici, certamente, ma ancora prima grazie a una formazione scolastica e universitaria più attenta alle dinamiche del mercato del lavoro”.

 

Una nuova politica industriale

per l’Italia (e l’Europa).

i-com.it - Michele Masulli – (29-5-2020) – ci dice:

 

La richiesta di FCA Italy della garanzia di SACE su un prestito da 6,3 miliardi di euro, accordato da Intesa San Paolo, ha aperto un’ampia discussione pubblica.

 I temi non solo sono noti (i rapporti Stato-impresa, il ruolo e i confini dell’azione delle istituzioni, i doveri delle imprese nei confronti della collettività), ma trovano periodicamente posto nel dibattito secondo la conosciuta metafora del pendolo.

Nelle fasi di crisi si sposta verso lo Stato, quando si manifesta in maniera pressante l’urgenza di un intervento pubblico a tutela di imprese e banche sull’orlo del baratro, mentre, nella parte ascendente del ciclo economico, il pendolo vira verso il mercato, sospinto dall’esigenza di liberare lo spirito di libera intrapresa, voglioso di cogliere i venti favorevoli della ripresa.

La disputa che ha attraversato rappresentanti delle istituzioni, addetti ai lavori e opinionisti si innesta su un terreno fertile poiché, dall’estensione del Golden Power alla costituzione del Patrimonio Rilancio conferito a Cdp per avviare operazioni di ricapitalizzazione, sono diversi i tasselli che fanno prefigurare una funzione più assertiva dello Stato italiano nel sistema economico.

Tuttavia, questa discussione non si limita ai confini del nostro Paese. Il pendolo oscilla anche oltre le Alpi, dove la crisi morde in modo risoluto.

 Dominique Strauss-Kahn, più volte ministro in Francia e direttore generale del Fondo monetario internazionale, ha recentemente ricordato al Corriere della Sera la frase che Mervyn King, già governatore della Banca d’Inghilterra, pronunciò ai tempi della crisi dei mutui sub-prime e degli imponenti piano di salvataggio delle banche: “Le banche sono mondiali quando vivono e nazionali quando muoiono”.

Rispetto alla Grande recessione del 2008 e alla successiva crisi dei debiti sovrani, quando si è realizzato un massiccio e in larga parte incondizionato trasferimento di risorse pubbliche a operatori privati “too big to fail”, oggi sembra che il ricorso senza precedenti a politiche fiscali e monetarie espansive venga accompagnato da una funzione più decisa di indirizzo e di intervento dello Stato, tale da far pensare a una tendenza che va oltre l’emergenza e si afferma nel medio periodo.

 

 Si tratta di un orientamento necessario e sarà estremamente utile se spogliato da suggestioni ormai infondate. Agitare lo spettro di uno Stato che sceglie i vincitori e salva i perdenti e di un’industria pubblica che produce dai sistemi di difesa ai pomodori pelati appare da un lato come una nostalgia superata, dall’altro come un’arma spuntata.

Ѐ la stessa normativa europea a porre limiti stringenti ad ambizioni di questo tipo. Si pensi in ultimo al conflitto Merkel-Vestager per il salvataggio di Lufthansa.

Non è tanto e solo l’allargamento del perimetro d’azione dello Stato a dover essere oggetto di discussione, né tantomeno l’estensione delle partecipazioni dirette del pubblico, ma l’innovazione della sua funzione nel sistema economico.

Non è il “se” al centro del quesito sul ruolo delle istituzioni nel sistema produttivo, ma il “come”. Lungi dall’essere una limitazione della funzione del pubblico, questo implica un salto di qualità per lo Stato: da una vocazione alla mera gestione a una capacità di indirizzo agile ed efficace dei processi economici. In questo senso, è necessario innanzitutto che le istituzioni definiscano grandi obiettivi nazionali a cui orientare i propri strumenti di politica industriale.

E quindi, per ritornare alla questione FCA, non è rilevante soltanto chiedere impegni sugli investimenti produttivi e sul fronte occupazionale alla multinazionale del settore, ma altresì definire se l’automotive rappresenta una filiera cardine per il Paese, su cui investire con continuità per la crescita dell’Italia e, se sì, come.

Ѐ la continuità l’ingrediente che spesso manca alle politiche pubbliche e che, in questo caso, diventa dirimente, poiché il settore industriale si muove per piani pluriennali, finanche decennali.

Lo stesso disegno strategico andrebbe applicato alla filiera della siderurgia (vedi la questione dell’Ilva) o allo sviluppo infrastrutturale e dei trasporti del Paese (vedi la richiesta di garanzia Sace da parte di Atlantia o la ricapitalizzazione da 3 miliardi di euro di Alitalia).

Per il ministero dell’Economia e delle Finanze, e più in generale per le istituzioni, si tratta pertanto non solo di condurre scrupolosamente le istruttorie sulle richieste del settore privato e chiedere specifici obblighi di interesse pubblico, ma di delineare traguardi di sistema verso cui accompagnare l’industria nazionale.

Alcuni di questi sono chiari. Pensiamo alla crescita dimensionale delle aziende, all’approccio al mercato dei capitali per tante piccole e medie imprese e all’innovazione di un tessuto produttivo eccessivamente frammentato e inadeguato alla competizione su ampia scala.

Similmente, c’è l’esigenza per l’Italia di promuovere la formazione di campioni nazionali, non necessariamente di proprietà pubblica (già oggi, su 6 imprese italiane che compaiono nella classifica Global 500 di Fortune 3 sono partecipate), e di fare in modo che società italiane contribuiscano alla costruzione di campioni europei (si pensi alla vicenda Airbus, a cui l’Italia non ha preso parte).

 Una grande sfida per la politica industriale dei Paesi del Vecchio continente e un volano utile affinché l’Italia sappia pensarsi non solo come terreno di conquista da parte di capitali esteri, ma come soggetto in grado di promuovere una propria proiezione all’estero.

Il rafforzamento della politica industriale europea diventa ancora più importante poiché, come segnalato dall’emergenza Covid-19, potrebbe palesarsi l’esigenza di accorciare le catene globali del valore.

E se un reshoring della filiera nei confini nazionali è impossibile da pensare per ogni Paese al mondo, la regionalizzazione delle catene del valore è un obiettivo maggiormente praticabile, verso il quale l’Est asiatico e il Nord America si stanno già avviando, e che rischia di vedere l’Unione europea nuovamente in ritardo.

L’Ue è fondamentale anche per disegnare un quadro di reciprocità che permetta agli Stati che ne fanno parte di misurarsi alla pari con i competitori cinesi e statunitensi.

 Nella nuova Strategia industriale europea sono presenti elementi che vanno in questo senso. Vedremo anche se il Parlamento europeo, con il rapporto sulla politica industriale di cui è relatore l’italiano Carlo Calenda, saprà produrre un avanzamento.

 Nel complesso, ciò che torna ad avere rilievo nell’emergenza in corso è la nazionalità dell’impresa, intesa come localizzazione della sede, degli impianti di produzione, dei centri di ricerca e sviluppo e provenienza dei dirigenti e dei capitali: in pratica tutto ciò che determina il centro di gravità di un’impresa, la cui collocazione rimane fondamentale per la creazione di occupazione e ricchezza, l’influenza di un Paese nel mondo e la sua indipendenza strategica.

A tal proposito, non si può omettere che il 20% dei diritti di voto di Volkswagen, il maggiore gruppo automobilistico al mondo, è detenuto dallo Stato della Bassa Sassonia, così come il 12% di PSA è in mano allo Stato francese, che esprimerà anche il 6% del gruppo FCA-PSA, con buona pace delle inquietudini nostrane per le incursioni statali nei grandi gruppi industriali.

Allo stesso modo non si può dimenticare che a gestire la presenza pubblica francese nell’industria non è Caisse des Dépôts et Consignations, istituto omologo di Cdp, ma l’apposita Agence des Participations d’Etat.

Tuttavia, affinché l’Italia possa dotarsi di una strategia industriale di lungo periodo, favorire l’innovazione e gli investimenti per la competitività, creare un ambiente regolatorio accogliente per le opportunità di impresa e rafforzare e rinnovare in modo efficace il ruolo dello Stato, c’è bisogno di competenze adeguate, di cui la nostra pubblica amministrazione sembra non poter disporre in misura opportuna.

Se non si provvederà a dotarla di intelligenze, conoscenze e strumenti idonei, il rischio è che l’azione pubblica si limiti a un interventismo erogatorio e di sussistenza e che il rapporto Stato-imprese si faccia poco trasparente.

 

 

 

La risposta italiana alla richiesta europea

di una nuova politica industriale per l’Unione:

cambiamenti e risultati raggiunti nel settore

strategico dell’industria della difesa nella sfida post Covid-19.

 

Geopolitica.info - LUCREZIA PIZZICHINI – (11/09/2022) - ci dice:

 

In Europa, l’industria della difesa è tanto sviluppata a livello nazionale e un vanto per alcuni tra i singoli paesi che ne fanno parte, come l’Italia e la Francia, quanto risulta allo stesso tempo penalizzata a livello comunitario.

Ciò nonostante, già prima dell’esplosione del conflitto russo-ucraino, qualcosa ha iniziato a muoversi, sulla scia della crisi economica legata al Covid-19 e nella speranza di rendere l’industria della difesa uno dei motori della ripresa, non solo italiana, ma anche europea.

A partire dai primi anni 2000, la Commissione ha iniziato a prendere iniziative riguardo l’industria della difesa europea.

Malgrado i primi sforzi compiuti dalle istituzioni europee in questa direzione, queste iniziative sembrano aver sofferto di scarsa attenzione negli investimenti e nella cooperazione industriale degli Stati membri dell’Unione, oltre che, più recentemente, della crisi pandemica.

Le principali misure prese negli anni dalla Commissione includono dunque l’istituzione del Political and Security Committee e dello EU Military Staff nel 2001 e della European Defence Agency nel 2004.

Nonostante queste prime misure in ambito comunitario, le decisioni in materia di politica industriale della difesa e dell’interscambio di merci ed equipaggiamenti per la difesa sono rimaste esclusivamente nella sfera d’influenza dei governi nazionali.

 Quest’ultimo fattore ha condizionato in negativo la cooperazione europea sul fronte dell’industria, in quanto ha favorito un approccio diviso alla materia. Per questo motivo, nel 2009 la Commissione ha deciso di regolamentare in maniera più definita anche l’interscambio di equipaggiamenti e merci per la difesa all’interno dell’Unione Europea.

Su questa stessa linea di provvedimenti, che l’Unione ha avviato prima della crisi pandemica, l’avviamento della PESCO nel 2017.

 Si tratta di un programma di finanziamenti consistenti volti allo sviluppo di innovazione nel quadro della difesa e sicurezza europea. La PESCO è stata rinnovata nel 2020 grazie ad un ulteriore stanziamento di fondi e l’Italia vi partecipa in modo molto attivo, risultando il secondo paese con più progetti aperti dopo la Francia.

Gli ultimi sviluppi europei nel sostegno all’industria della difesa.

Nel 2021 la Commissione ha creato lo European Defence Fund, inizialmente previsto con uno stanziamento di 13 miliardi di euro, successivamente ridotti ad 8. Nel quadro del NGEU, la difesa viene citata soltanto nella parte generale, con uno stanziamento pari a 1,9 miliardi e a 13,2 nel MFF 2021-27, di cui 7 stanziati tramite lo strumento dell’EDF.

Nel marzo di quest’anno è stata pubblicata la Bussola Strategica dell’Unione Europea, un documento che serve a stabilire un piano di difesa comune del territorio.

Qui viene reso noto che bisognerà innanzitutto investire nelle industrie europee del settore, anche tramite la BEI, al fine di sviluppare un’industria innovativa, in grado di interfacciarsi con i propri competitor a livello globale.

Bisognerà inoltre potenziare le partnership dell’UE per rafforzare l’incisività della sicurezza e dell’azione europea.

Nella Bussola non si impone una soglia minima di investimento, tuttavia, viene resa esplicita la necessità di un’azione univoca e concertata da parte di tutti gli Stati Membri dell’Unione.

Soprattutto, questo documento accorda a questa necessità una posizione centrale nei temi attualmente trattati dall’UE.

Se, come ormai è noto, la maggior parte degli Stati, in Europa, non sono stati in grado di ottemperare alla richiesta che ha origine dagli accordi NATO di dedicare il 2% del PIL nazionale alla spesa per la difesa, bisognerà fare degli sforzi aggiuntivi e prendere la questione molto più seriamente a causa del conflitto russo-ucraino.

Il contesto industriale italiano tra criticità…

Nel caso dell’Italia questo tema si rivela particolarmente sensibile per vari fattori. Non solo perché bisogna considerare che il sistema economico italiano ha un andamento più fragile, che risulta in prospettive di crescita meno costanti, rispetto a quello degli altri componenti dell’UE e a molti suoi partner commerciali.

Bisogna infatti considerare che il sistema economico italiano si regge su alcuni settori che trainano tutta l’economia, come ad esempio le esportazioni manifatturiere, alle quali contribuisce in modo non trascurabile anche l’industria della difesa, anche grazie ai suoi campioni nazionali Leonardo e Fincantieri.

 Queste due società rivestono un’importanza di spicco a livello internazionale e possono essere trovate rispettivamente al 13° e 47° posto dei maggiori produttori di armi a livello mondiale nel 2020, secondo ad esempio le analisi del SIPRI.

Un altro fattore che non bisogna tralasciare per avere il quadro completo della situazione è che queste due società rappresentano un riferimento per le tante PMI in attività nello stesso ambito.

 Queste ultime sono dunque da considerare come delle realtà che, pur avendo un raggio d’azione meno evidente rispetto ai due colossi già menzionati, riescono ad impattare grandemente il panorama industriale italiano del settore.

Ciò avviene attraverso una distribuzione capillare e massiva sul territorio di un know-how altamente specializzato, vitale per lo sviluppo di un’industria che rende l’Italia una Lead Nation all’interno dei progetti europei dell’area.

Bisognerebbe tutelare queste realtà, che nonostante siano importanti per l’attività del settore su scala nazionale, risultano molto esposte alle difficoltà che emergono ogni qual volta ci sia una scossa nel sistema economico del paese.

Di conseguenza, andrebbero tutelate l’occupazione, le competenze e la specializzazione tecnica che esse generano, tutt’altro che trascurabili.

Ricordiamo però che questa vulnerabilità agli shock economici riguarda anche le realtà maggiori.

La stessa Leonardo ha avuto problemi dovuti alla crisi economica da Covid-19, che si sono manifestati in modo particolare tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022.

L’annullamento di alcuni ordini importanti, oltre al perdurare delle chiusure dovute all’emergenza pandemica, ha causato ulteriori difficoltà all’azienda, che si è ritrovata costretta a prevedere la cassa integrazione per quasi quattromila dei suoi dipendenti e a farne infine ricorso per più di duemila unità del personale, soprattutto negli stabilimenti del sud Italia.

 Gli ordini annullati costituivano il 75% delle comande di Boeing e Airbus nel settore delle aerostrutture civili e hanno causato diversi mesi di inattività negli stabilimenti menzionati in precedenza.

…e potenziali contributi al settore della difesa europeo.

Nel caso citato, per risolvere questo momento di criticità sono stati presi accordi con i sindacati riguardo numerosi investimenti (pari a 300 milioni) che verranno portati avanti negli stabilimenti e che riguarderanno settori strategici come l’innovazione e la trasformazione industriale, lo sviluppo tecnologico e la transizione digitale.

Una parte degli investimenti previsti riguarda anche la formazione del personale nei settori strategici di riferimento.

Questi settori di investimento sono dunque considerati chiave per il mantenimento e lo sviluppo del vantaggio tecnologico di cui gode l’industria italiana e risultano in questo momento allineati ai bisogni e alla linea di sviluppo promossa dalle istituzioni europee.

Secondo dati pubblicati da Deloitte, il governo italiano ha deciso di riservare la quota di 2,3 miliardi del NGEU alla transizione digitale e alle tecnologie, soprattutto per lo spazio, ma secondo le stesse stime saranno utilizzati anche nell’A&D perché molte tecnologie sono dual-use.

Le istituzioni europee hanno adottato misure che nel tempo si sono rivelate scontanti e disattente alla politica industriale per la difesa.

Tuttavia, predisponendo degli investimenti e accennando il rilancio della centralità del settore in Europa, lasciano sperare che in futuro saranno loro stesse a prendere una nuova centralità e un ruolo di guida per l’azione dei governi dei Paesi Membri.

Resta da vedere come e in quale misura verrà integrato questo nuovo approccio europeo nel sistema-Paese dal governo italiano.

La risposta più chiara è stata lanciata a luglio scorso dal Ministero della Difesa, che ha emanato la direttiva ministeriale sulla politica industriale.

L’importanza accordata all’integrazione europea di questo tipo di industria e alla collaborazione con la NATO è esplicita, in quanto il primo capitolo della direttiva è dedicato proprio a questo aspetto.

Dai successivi capitoli si evince inoltre la condivisione della linea europea.

Nella prefazione del Ministro, sottolineando il valore nazionale del settore, si prende atto esplicitamente della necessità italiana di integrarsi nel panorama europeo, come punto di partenza per amplificare il ruolo e l’importanza geostrategica nazionale agli occhi della comunità internazionale. L‘importanza dell’export viene evidenziata anche per ottenere delle capacità di azione che al momento non sono uguali per tutti gli Stati Membri dell’UE.

 È reso chiaro che nelle trattative e negli interscambi relativi all’esportazione di prodotti nell’ambito della difesa, sarà preferito lo strumento del G2G agli intermediari, per ragioni di regolamentazione.

Vengono evidenziati anche i ruoli del Segretariato Generale per la Difesa e dello Stato Maggiore della Difesa, ma anche di attori che dovranno collaborare con il Ministero della Difesa, come il Ministero dello Sviluppo Economico e l’industria.

Inoltre, si istituisce il Tavolo Tecnico di coordinamento della Politica Industriale della Difesa, che assicuri il coordinamento di tutti gli attori coinvolti nella definizione e nell’attuazione degli obiettivi fissati per l’industria della Difesa, nonché del Piano di innovazione tecnologica della Difesa.

In ultimo, la Direttiva stabilisce come prima priorità la cooperazione europea e internazionale.

Concludendo, che queste misure siano in grado di sopperire alla debolezza del dialogo italiano con la Commissione e che l’Italia riesca ad implementare al meglio queste misure lo dirà il tempo.

Per ora, possiamo constatare che, nonostante alcuni fallimenti preannunciati, come la mancata partecipazione di Leonardo al progetto franco-tedesco del carro armato europeo, il governo non si esime dall’utilizzare gli strumenti citati in questa direttiva con lo scopo di garantire l’export e la cooperazione industriale europea e che sta indirizzando gli investimenti promessi al settore.

Questa linea può essere osservata ad esempio nel caso di velivoli ad uso militare che sono stati destinati quest’anno alla Slovenia e, se accordi di tale impronta fossero applicati con decisione, potrebbero favorire la transizione del settore per soddisfare il mercato in mutamento.

Un altro esempio che lascia sperare in un buon contributo allo sviluppo di una cooperazione industriale di successo è il Trattato del Quirinale tra Italia e Francia. Quest’ultimo batte l’accento primariamente su tematiche legate ai temi degli esteri e della sicurezza, esposti negli articoli 1 e 2 del Trattato, laddove si riserva l’articolo 5 alla cooperazione economica, industriale e digitale.

In conclusione dell’articolo 5, si annuncia l’adozione di una misura come l’istituzione del Forum di consultazione tra i ministeri dell’economia, delle finanze e dello sviluppo economico italiani e francesi.

Si tratta di una misura notevole, in quanto vengono finalmente create delle consultazioni a livello istituzionale, che trovano già degli equivalenti a livello nazionale, nelle organizzazioni delle industrie e del commercio in entrambi i paesi.

A titolo di esempio, si possono citare i vertici tra Confindustria e la sua controparte francese Medef (Mouvement des Entreprises de France) a livello bilaterale, che hanno luogo da alcuni anni e che hanno dimostrato una certa solidità durante i recenti periodi di tensioni politiche tra i due paesi.

 Un esempio di consultazioni a livello globale è invece il B20, dove in ogni caso Italia e Francia avranno l’opportunità di dimostrare un allineamento in campo industriale.  

Il Trattato del Quirinale prospetta dunque una collaborazione governativa interessante, che cela delle grandi opportunità per l’Italia non solo di allineamento industriale, ma anche di supplire ad alcune mancanze che risultano penalizzanti verso l’Europa, come il già citato bisogno di maggior dialogo verso la comunità europea.

Su questo ultimo tema del Trattato del Quirinale e dei rapporti industriali tra Italia e Francia potremo infine fare alcune prime valutazioni in occasione del primo anniversario del Trattato, che ricorrerà questo autunno.

 

 

Midterm: la possibilità di un Congresso

repubblicano e la politica estera Usa.

Affarinternazionali.it – (1°novembre 2022) - Dario Cristiani - Riccardo Alcaro – ci dicono:

Il prossimo 8 novembre gli elettori americani si recheranno alle urne per eleggere un nuovo Congresso – specificamente, tutti e 435 i membri della Camera dei Rappresentanti e 35 (su cento) membri del Senato – in carica a partire da gennaio 2023.

Le elezioni congressuali, dette di metà mandato (mid-term) poiché cadono a metà del mandato presidenziale, sono un appuntamento la cui rilevanza non è sempre riconosciuta adeguatamente.

Questo passaggio elettorale sarà di grande importanza per trarre indicazioni sulle mosse future dell’attuale presidente Joe Biden e dell’ex presidente Donald Trump rispetto a una loro eventuale ricandidatura nel 2024.

Il “potere della borsa”.

In questa elezione i temi di politica estera non sono centrali, nonostante le evidenti ricadute che le dinamiche internazionali hanno su inflazione ed economia, che sono al centro delle preoccupazioni degli elettori americani e che pertanto favoriscono (nettamente, stando ai sondaggi) i Repubblicani.

Nonostante la Costituzione degli Stati Uniti assegni al solo presidente la responsabilità dell’azione internazionale del paese, il Congresso può influenzarne le scelte attraverso il “potere della borsa” – è infatti il Congresso che distribuisce i fondi pubblici sulle varie politiche (inclusa quella estera) –, bloccando le nomine presidenziali di membri del gabinetto e ambasciatori e la ratifica di trattati internazionali (in entrambi i casi l’approvazione spetta al Senato).

Più indirettamente il Congresso contribuisce a rafforzare o ridurre il capitale politico del presidente in carica.

Se i Repubblicani dovessero ottenere la maggioranza alla Camera (molto probabile), o in entrambe le camere (come sembra possibile), certamente proverranno a influenzare la politica estera del presidente Biden, non solo con l’obiettivo di modificarne l’azione ma anche per ostacolarne l’agenda a fini elettorali in vista delle presidenziali di novembre 2024.

Se invece i Democratici dovessero mantenere il controllo del Senato, o addirittura quello dell’intero Congresso, Biden avrebbe maggiore margine per portare avanti la sua agenda internazionale.

Continuità su Medio Oriente e Cina.

Su determinati questioni difficilmente si vedranno cambiamenti, anche qualora ci sia un governo diviso e un Congresso dominato dai Repubblicani. Ad esempio, l’approccio a molte questioni medio orientali e mediterranee – dallo stretto rapporto con Israele al sostegno agli Accordi di Abramo che hanno normalizzato le relazioni tra Israele stesso e alcuni Paesi arabi – è rimasto lo stesso dell’amministrazione Trump.

Anche rispetto alla Cina si è avuta sostanziale continuità. Anzi, Biden ha presieduto a un ulteriore consolidamento di un approccio impostato sulla competizione sistemica, quasi di contenimento, del gigante asiatico.

 L’ostilità anti-cinese mostrata da Trump, che pure era stato aperto a qualche compromesso, si è invece tradotta in un sostanziale accoglimento da parte dei Repubblicani dell’idea che la rivalità con la Cina ha radici strutturali.

Eventuali cambi di maggioranza al Congresso non porteranno quindi a un cambio di rotta nelle relazioni di Washington con Pechino.

Vi sono invece tre dossier su cui è possibile anticipare cambiamenti in caso le elezioni risultino in un governo federale diviso tra un presidente democratico e un Congresso totalmente o parzialmente in mano repubblicana.

 Il primo riguarda le relazioni con la Russia, che coinvolge chiaramente anche l’approccio verso l’Ucraina e le relazioni con gli alleati europei.

Il secondo è l’attitudine di Washington verso il contrasto al cambiamento climatico.

 Il terzo riguarda la questione nucleare iraniana.

Russia e Ucraina.

Una buona parte dell’elettorato repubblicano, soprattutto quella larga parte di esso che riconosce in Trump il proprio indiscusso leader carismatico, ha mostrato insofferenza verso il coinvolgimento americano nella guerra d’Ucraina.

Cinquantasette Repubblicani alla Camera e undici al Senato hanno votato contro la legge sugli aiuti all’Ucraina da 40 miliardi di dollari a maggio.

Voci influenti nel mondo politico culturale repubblicano, come quelle del seguitissimo host della Fox, l’ultraconservatore Tucker Carlson, e di Donald Trump Jr. (il figlio dell’ex presidente), continuano a sostenere che sia il caso di tagliare gli aiuti all’Ucraina.

Nelle ultime settimane, il leader dei Repubblicani alla Camera Kevin McCarthy ha annunciato che, se i Repubblicani dovessero ottenere la maggioranza, rivedranno gli aiuti Usa all’Ucraina alla luce della loro sostenibilità per il fisco federale e di altre priorità di politica interna.

Non si può escludere che i Repubblicani spingano per una revisione del massiccio – e costoso – sostegno militare offerto da Biden all’Ucraina.

Ciò non vuol dire che i Repubblicani chiuderanno il rubinetto degli aiuti, ma che potrebbero condizionarli a cedimenti su temi di politica interna da parte di Biden e anche a una maggiore pressione sugli alleati europei perché destinino più risorse all’assistenza a Kiev.

I repubblicani e il sostegno all’Europa.

Una maggioranza repubblicana dominata dai trumpiani al Congresso spingerebbe infatti per un generale ridimensionamento dell’impegno americano alla sicurezza dell’Europa, che pure è stato indispensabile per la coesione della risposta transatlantica di sostegno all’Ucraina e pressione sulla Russia.

Trump si è mostrato in passato piuttosto allergico alle necessità legate alla solidarietà atlantica.

 In tempi di profonda crisi economica, parte dei Repubblicani potrebbero giustificare un progressivo disimpegno dall’Europa come salvifico per i contribuenti.

Ciò detto, c’è una parte del Partito repubblicano che mantiene un atteggiamento più tradizionale, di confronto e chiusura, rispetto alla Russia.

Il cosiddetto “blocco reaganiano” che si contrappone al “blocco trumpiano“, di cui fa parte il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, sostiene la necessità di continuare a sostenere l’Ucraina.

 

Un cambiamento radicale della politica estera Usa verso l’Ucraina è pertanto da escludere.

Tuttavia, la Russia tenterà di capitalizzare in ogni modo sull’insofferenza di parte dell’elettorato repubblicano tramite azioni di disinformazione e manipolazione del web che hanno visto i russi protagonisti negli ultimi anni.

Spazio ridotto per il clima.

Sulle altre due questioni, la distinzione tra Repubblicani trumpiani e non trumpiani è meno rilevante.

Già con l’attuale Senato, in cui i Democratici hanno la più risicata delle maggioranze, Biden ha avuto difficoltà ad avanzare un’ambiziosa legislazione climatica, sebbene abbia infine colto un importante successo con l’approvazione dell’Inflation Reduction Act, che contiene numerose misure di sostegno alla lotta al riscaldamento climatico.

Un Congresso dominato dai Repubblicani ridurrà però lo spazio per Biden praticamente a zero.

La complessa questione del nucleare iraniano.

Stesso dicasi per l’eventuale riattivazione dell’accordo nucleare con l’Iran del 2015, che Trump abbandonò unilateralmente nel 2018.

Fino a poche settimane fa, Biden ancora sperava di poter riportare in vita l’accordo, che aveva posto il programma nucleare iraniano sotto limiti molto severi (anche se temporanei) e un intrusivo regime di ispezioni Onu.

La repressione delle proteste antigovernative e la vendita alla Russia di droni e altri sistemi d’arma hanno però spinto il presidente ad adottare un approccio molto più duro nei confronti di Teheran.

Ciò detto, l’amministrazione è rimasta aperta a una qualche forma di diplomazia nucleare, almeno in teoria.

Se i Repubblicani, che si sono sempre opposti all’accordo nucleare, dovessero uscire vincitori dalle elezioni di metà mandato, è quasi certo che Biden si orienterebbe verso una politica di contenimento e massima pressione economica verso l’Iran – la stessa inaugurata da Trump – nonostante Biden stesso abbia più volte rilevato come questa politica non abbia portato a nessun risultato positivo.

 

 

 

 

 

L’Impossibile Rimozione

delle False Nozioni

Conoscenzealconfine.it – (1° Novembre 2022) - Massimo Mazzucco – ci dice:

 

Non c’è niente da fare. Ormai l’idea che vaccinarsi sia servito “a proteggere l’intera popolazione” è entrata nel subconscio della maggioranza degli italiani, e di lì non uscirà più.

 

A nulla è servito rendersi conto che il virus ha tranquillamente continuato a girare, nonostante l’odioso green pass.

A nulla è servito scoprire che gente quadri-vaccinata – come Massimo Galli – si beccava comunque l’infezione da gente altrettanto vaccinata.

A nulla è servito scoprire che la Pfizer non avesse mai nemmeno testato il vaccino contro la diffusione del virus, prima di metterlo in commercio.

Quella del “vaccino che salva la società” è ormai una verità acquisita, a livello popolare.

E adesso che si parla di reintegrare prima del previsto i medici non vaccinati, ecco che l’accademia insorge contro questo “favoritismo” che andrebbe a premiare gli alunni “disobbedienti”.

Nino Caltabellotta, dell’Istituto Gimbe, ha affermato: “Il reintegro dei sanitari non vaccinati contro Covid-19 e le ‘sanatorie’ per i no-vax rappresentano un’amnistia anti-scientifica e diseducativa”.

È proprio nella parola “diseducativa” che Caltabellotta tradisce il vero intento della campagna vaccinale: non quello – appunto – di fermare l’infezione, ma quello ben più subdolo di “insegnare” a tutti che bisogna obbedire ai diktat delle farmaceutiche, whatever it takes.

E questo purtroppo è anche il sentire della maggioranza della popolazione, che si è vaccinata anche come forma di responsabilità verso gli altri.

Chi si è vaccinato è convinto di “aver fatto il bravo”, e ora gli dà fastidio vedere che i “cattivi” vengano perdonati.

Purtroppo ciò che è stato acquisito come verità a livello emozionale (tramite la paura del virus), non potrà mai essere rimosso con un semplice ragionamento logico.

 L’unico modo per rimuoverlo sarà un equivalente evento emozionale, uguale e contrario, che vada a toccare ciascun cittadino nel suo livello più intimo. È triste doverselo augurare, ma forse solo quando le cosiddette “morti improvvise” saranno diventate abbastanza numerose da non poter più essere nascoste sotto il tappeto, la gente comincerà a smantellare quella sovrastruttura emotiva che fino ad oggi le ha impedito di vedere i fatti nella loro verità più lampante.

(Massimo Mazzucco - luogocomune.net/21-medicina-salute/6107-l-impossibile-rimozione-delle-false-nozioni)

 

 

 

 

Davos Agenda, dal World Economic

Forum l’appello a collaborare per

sfruttare le opportunità delle tecnologie 4.0.

innovationpost.it – (18 Gennaio 2022) - Michelle Crisantemi – ci dice:

 

La spinta accelerativa che la pandemia ha dato alla digitalizzazione rende necessario rafforzare gli sforzi per estendere l’accesso a Internet a tutti i cittadini del mondo, per poter garantire l’accesso a tanti servizi essenziali che si sono ora spostati sul Web.

A questo si aggiungono le sfide legate alle fragilità emerse e causate dalla pandemia:

da un lato la riorganizzazione delle Supply Chain, nell’ottica di una maggiore resilienza, sostenibilità e trasparenza.

Dall’altro, la carenza di materie prime con il conseguente rialzo dei prezzi, che ha alterato gli equilibri geopolitici e alimentato le competizioni tra i mercati internazionali.

In questo scenario, nessuna istituzione, azienda o individuo da solo può affrontare le sfide economiche, ambientali, sociali e tecnologiche di un mondo sempre più complesso e interdipendente.

Sono dunque necessarie nuove partnership e alleanze per raggiungere gli scopi comuni e far sì che tutti gli stakeholder traggano beneficio dalle tecnologie che, nell’era della Quarta Rivoluzione Industriale, permettono l’accesso a nuovi vantaggi competitivi per le aziende e la fruizione di diritti fondamentali per i cittadini.

È questo il messaggio che emerge dalla prima giornata di incontri online di The Davos Agenda, l’evento che quest’anno sostituiscono l’annuale appuntamento del World Economic Forum, cancellato a causa dell’aumento dei contagi da Covid-19 trainato dalla variante Omicron.

Internet accessibile a tutti: la priorità per il 2022.

“Non siamo mai stati così dipendenti dalle tecnologie digitali nel nostro quotidiano.

Da quasi due anni a questa parte, le piattaforme digitali ci hanno permesso di lavorare da remoto, accedere a tanti servizi che non erano più fruibili offline e restare in contatto con i nostri cari.

Alla luce di questo, siamo convinti che estendere l’accesso a Internet a tutti i cittadini, a livello mondiale, deve essere la priorità per questo 2022“, commenta Samir Saran, Presidente della Observer Research Foundation (ORF), una delle think tank più influenti in Asia.

I dati, infatti, evidenziano che circa 3,6 miliardi di cittadini non hanno accesso a una connessione Internet.

Tuttavia, l’85% di questi cittadini vivono in aree dove è presente una copertura broadband. Questo sottolinea un altro importante fattore che, oltre alla necessità di costruire nuove infrastrutture, deve essere preso in considerazione: l’accessibilità delle connessioni Internet, in termini di prezzi.

“La pandemia ha contribuito a aumentare le disuguaglianze in termini di accesso ai servizi digitali tra i cittadini.

Oggi essere connessi non è un’opzione, ma un diritto fondamentale”, commenta Hans Vestberg, CEO di Verizion Communications e Presidente della Edison Alliance, l’alleanza promossa dal World Economic Forum che riunisce leader governativi e industriali per promuovere lo sviluppo delle tecnologie digitali e il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

In questo scenario di forti disuguaglianze – dove ancora 2 miliardi di persone non hanno accesso ai servizi sanitari, oltre 1,7 miliardi a un conto in banca e più di 260 milioni di bambini sono esclusi dal sistema educativo – l’Edison Alliance sostiene l’importanza di utilizzare le infrastrutture del XXI secolo per rendere questi servizi accessibili e convenienti su larga scala.

Dello stesso pensiero Sunil Bharti Mittal, fondatore e Presidente di Bharti Enterprises, azienda indiana che opera nel campo delle telecomunicazioni, del commercio, dei servizi finanziari e dell’agricoltura. “La Quarta Rivoluzione Industriale ci ha finora dimostrato che non c’è modo migliore per rispondere ai problemi che affliggono la nostra società che attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali”, commenta.

Tra i cittadini che ancora non hanno accesso a Internet c’è circa un miliardo di persone che vive in aree del pianeta dove la fibra non potrà raggiungerli, per impedimenti geografici.

La nuova generazione di satelliti LEO (Low Earth Orbit) consentirà di raggiungere anche questi cittadini, ma saranno necessari investimenti considerevoli.

 

Tecnologie molto costose, precisa Mittal – nei prossimi 9 anni serviranno oltre 425 miliardi di dollari di investimenti per raggiungere questa ultima fetta di popolazione – che richiedono a tutti gli stakeholder che operano nell’ambito delle tecnologie digitali, governi compresi, uno sforzo condiviso.

Per questo, nel 2022 l’Edison Alliance si concentrerà su quattro sfide:

promuovere il trasferimento tecnologico tra le singole giurisdizioni nazionali;

abilitare le competenze necessarie queste trasformazioni digitali;

sbloccare modelli di finanziamento innovativi necessari per accelerare l’implementazione;

creare un quadro normativo che favorisca queste innovazioni a livello globale;

La riduzione delle disuguaglianze digitali come impegno strategico per le imprese.

Un impegno che ovviamente non può prescindere dagli sforzi delle imprese, soprattutto di quelle che operano nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni.

 

Impegno che, sottolinea Vestberg, deve essere vissuto come una scelta strategica per le aziende e non più come un impegno filantropico.

 Da questa scelta strategica non possono essere escluse le piccole e medie imprese, che in molti Paesi e in diverse filiere rappresentano una componente fondamentale della catena di fornitura di grandi aziende.

Per questo, è importante che siano messe in condizioni di accedere ai fattori abilitanti questa trasformazione, come opportunità di investimento e supporto alla formazione dei propri dipendenti.

Le opportunità e le sfide per le economie emergenti.

La costruzione di queste partnership tra governi e imprese è ancora di maggiore importanza per le economie emergenti, dove le tecnologie digitali si sono già dimostrate di grande supporto nell’affrontare la carenza di servizi di primaria importanza per i cittadini.

È questo il caso del Ruanda e dell’utilizzo di droni per portare farmaci emergenziali anche a quelli ospedali che si trovano nelle aree più remote del Paese.

Ci siamo trovati davanti a questa opportunità senza che però ci fosse una normativa o degli standard a livello mondiale per l’utilizzo dei droni. Invece di aspettare che qualcun altro si impegnasse in questo, abbiamo avviato una cooperazione con il World Economic Forum”, spiega Paula Ingabire, Ministro dell’ICT e dell’Innovazione.

Una cooperazione che ha portato il Paese a individuare gli standard necessari per supportare la creazione di una regolamentazione agile in grado di adattarsi ai bisogni, ancora in evoluzione, della tecnologia.

Un approccio che può essere ripetuto, sottolinea il Ministro, anche per le altre tecnologie 4.0. Per i policy maker, tuttavia, questa sfida è resa ancora più ardua dalla conoscenza ancora non sufficiente – soprattutto nelle economie emergenti di queste tecnologie.

 

“Queste tecnologie evolvono a ritmi così veloci che la sfida è anche quella di trovare il giusto approccio alla regolamentazione in modo che non si blocchi l’innovazione, ma al tempo stesso si proteggano i cittadini”, commenta Ingabire.

Per le economie emergenti, come quelle dei Paesi africani, si tratterà anche di trovare il giusto equilibrio tra assimilare le lezioni apprese da ciò che è stato fatto nei Paesi tecnologicamente più avanzati e ciò che è necessario ai bisogni interni nazionali, per non rischiare di essere tagliati fuori anche da questa ondata di innovazione tecnologica.

In questo ambito, l’assenza di infrastrutture e sistemi legacy può essere vista come un’opportunità che richiede, tuttavia, libertà nella creazione di alleanze internazionali e l’individuazione di scopi e politiche condivise.

Creare fiducia nelle tecnologie digitali per sfruttare le opportunità delle tecnologie 4.0.

Per non perdere queste opportunità sarà però anche necessario alimentare – e in alcuni casi costruire – la fiducia dei cittadini verso le tecnologie digitali.

Per le imprese, questo vuol dire più trasparenza. “Come aziende, dobbiamo essere trasparenti con gli utenti riguardo le nostre attività e, soprattutto, su come raccogliamo e utilizziamo i dati. Oltre alla regolamentazione delle tecnologie, sarà importante anche regolare le strategie delle organizzazioni per aumentare la fiducia degli utenti”, sottolinea Vestberg.

Fiducia che si costruisce non soltanto con l’informazione, ma anche dando agli utenti la possibilità di scegliere come verranno utilizzati i loro dati personali. Fornire questa scelta gli utenti sarà fondamentale, sostiene Vestberg, poiché la tecnologia avrà un ruolo sempre più importante nella vita dei cittadini e perché costituisce lo strumento migliore per creare un mondo più inclusivo.

“Nell’era dell’Industria 4.0, dove tutto ruota intorno alla raccolta e l’utilizzo dei dati, aziende e governi devono assicurare che i cittadini siano protetti.

Questo vuol dire prevenire gli abusi, quindi che i loro dati vengano utilizzati incorrettamente, ma anche assicurare la sicurezza informatica dei sistemi. Ecco perché occorre mobilitare più investimenti in cyber security “, conclude Mittal.

 

 

 

 

Forum di Davos 2022: lavorare

insieme per riconquistare la fiducia.

Bbva.com - David Corral - Carmen Álvarez - Miriam Gidrón – (25-5-2022) – ci dicono:

(Creatività BBVA)

Dopo due anni di restrizioni legate alla pandemia, il Forum Davos , ospitato dal WEF (World Economic Forum) e che si terrà dal 22 al 26 maggio 2022, è tornato a un formato di incontro di persona.

Questa edizione è una delle più critiche finora, a causa dei grandi cambiamenti che il mondo ha visto dall'ultima volta che si è tenuto l'evento e della dura prova che la società ora deve affrontare.

 Con la pandemia sullo sfondo e l'invasione dell'Ucraina in primo piano, il vertice giunge in un momento geopolitico ed economico decisivo, quando il mondo affronta sfide urgenti in emergenze umanitarie, energia e sicurezza, senza perdere di vista gli impegni a lungo termine per trasformare, nutrire e de-carbonizzare il pianeta.

Da oltre 50 anni, il World Economic Forum , noto anche come Forum di Davos, funge da piattaforma globale in cui i leader delle imprese, del governo, delle organizzazioni internazionali, della società civile e del mondo accademico si riuniscono per affrontare le domande critiche all’inizio di ogni anno.

Nel 2021 il forum ha dovuto essere cancellato a causa della pandemia. In questa occasione, gli organizzatori hanno suddiviso l'agenda in una serie di incontri virtuali che si svolgeranno nel mese di gennaio, ed è previsto un incontro di persona per la metà dell'anno in Svizzera.

 

La guerra in Ucraina e la tragedia umana che essa comporta ha imposto un cambio di programma.

 I leader riuniti a Davos devono quindi affrontare le sfide derivanti dal conflitto, ma non perdere di vista le priorità ambientali, tecnologico e termine sociali a più lungo. Gli incontri sono strutturati intorno a sei temi:

 1) Promuovere la cooperazione globale e regionale; 2) Assicurare la ripresa economica e costruire una nuova era di crescita; 3) Costruire società sane ed eque; 4) Tutela del clima, dell'approvvigionamento alimentare e della natura; 5) Promuovere la trasformazione dell'industria; 6) Sfruttare il potere della Quarta Rivoluzione Industriale.

 

Dal 22 maggio 2022 al 26 maggio 2022, Davos si terrà nuovamente di persona dopo una pausa di due anni a causa della pandemia.

Un'agenda globale per un mondo a una svolta.

I leader globali che partecipano all'incontro ogni anno lavoreranno su otto priorità: cooperazione globale; riequilibrio economico; società ed equità; clima e natura; innovazione e governance; trasformazione industriale, rischi e resilienza; e la salute globale.

L'agenda prevede la partecipazione di circa 2.000 persone tra cui capi di stato e di governo, amministratori delegati di società civile, leader dei media globali e giovanili di Africa, Asia, Europa, Medio Oriente, America Latina e Nord America.

L'incontro incarnerà lo "spirito di Davos" definito dalle idee per elaborare idee e innescare l'impatto globale necessario per lo sviluppo del mondo.

La Spagna sarà rappresentata dal Presidente del Governo, Pedro Sánchez, dal Ministro per la Transizione Ecologica, Teresa Ribera, e dal Ministro degli Affari Esteri, José Manuel Albares.

 Saranno presenti anche di spicco del mondo imprenditoriale spagnolo, come il presidente di BBVA, Carlos Torres Vila, ei presidenti di Iberdrola, Telefónica, Ferrovial Naturgy e Repsol.

Le uniche che circondano incontro questo annuale rendono più importanti che mai avere obiettivi circostanze chiari. Il WEF ne sottolinea due in particolare:

La priorità principale è destinata i progressi e l'impatto del forum per affrontare le sfide globali, dal COVID e dai cambiamenti climatici all'istruzione e alla tecnologia globale.

Il secondo obiettivo è fornire una piattaforma di connessione, favorendo così la generazione di nuove idee e innovazioni, coinvolgendo comunità, progetti e individui disposti a condividere i propri contributi. La tecnologia attraverso connessioni pubbliche di osservare e interagire con il forum lo streaming live di sessioni, social network e virtual network.

Cos'è Davos?

Davos è la città più alta d'Europa.

Cos'è il Forum di Davos?

Il Forum si tiene a Davos, la città più alta d'Europa (1.560 metri). Circondato dalle montagne, ospita la stazione sciistica più grande della Svizzera. Tuttavia, Davos non è famoso per la sua neve ma per aver ospitato il World Economic Forum (WEF). A questo incontro annuale e leader politici, economici, culturali dei media che vogliono prendere parte all'agenda internazionale.

Davos è stata fondata nel 1971 a Ginevra (Svizzera) come organizzazione no-profit "indipendente, imparziale e non legato a interessi particolari". Il suo fondatore è Klaus M. Schwab professore all'Università di Ginevra, che inizialmente ha invitato 444 dirigenti di Imprese europee ad un incontro sulla corporate governance nel centro congressi di Davos.

La sua idea era di americano adottare l'approccio di gestione aziendale alle aziende europee. Non avresti immaginato che quell'incontro sarebbe stato portato al vertice internazionale senza precedenti che è oggi.

Migliaia di idee escono dal Forum di Davos. Non tutti si sono concretizzati, ma alcuni sono arrivati ​​​​lontano: l'accordo di libero scambio nordamericano, firmato tra Canada, Messico e Stati Uniti, è stato proposto per la prima volta in un incontro informale a Davos.

Nel 1971, il professor Klaus M. Schwab dell'Università di Ginevra ha invitato 444 dirigenti a partecipare, più di quattro decenni fa.

Un vertice ispirato da un manifesto sostenibile.

Il 2020 ha visto il lancio di un nuovo 'Manifesto di Davos' con l'unico obiettivo di costruire un mondo più sostenibile e inclusivo.

L'anno scorso è stato il vertice annuale più sostenibile fino ad oggi. Ha ricevuto la certificazione IS0 20121 per eventi sostenibili e sarà totalmente carbon neutral.

Questo risultato è stato possibile grazie a politiche volte all'utilizzo di fornitori alimentari di provenienza locale, all'introduzione di fonti proteiche alternative per ridurre il consumo di carne, all'approvvigionamento di energia elettrica rinnovabile al 100%, alla riduzione o all'eliminazione dell'uso di materiali che non possono essere riciclati o facilmente riutilizzati e aumentare la disponibilità di veicoli elettrici.

Come seguire il World Economic Forum di Davos?

L'Agenda di Davos mira a informare il pubblico globale e gli oltre 25.000.000 di follower sui social media del Forum sulle domande chiave che caratterizzeranno l'anno a venire.

Coinvolgerà anche oltre 430 città in 150 paesi che ospitano “Global Shapers”, una rete di giovani che guida il dialogo, l'azione e il cambiamento.

Si possono trovare un questo link.  Più di 20.000 membri di “Top Link”, la sua piattaforma di interazione digitale, e oltre 400.000 abbonati a “Strategic Intelligence”, la sua app di conoscenza leader a livello mondiale, saranno anche attivi online durante il programma della settimana.

Non ci sono scuse per perdersi: sono stati allestiti diversi canali in cui è possibile seguire le discussioni degli eventi e le attività dell'agenda.

 

 

 

IL GREAT RESET HA BISOGNO

DELLA TERZA GUERRA MONDIALE?

Opinione.it - Gerardo Coco – (06 giugno 2022) - ci dice:

 

Il Great Reset ha bisogno della Terza guerra mondiale?

Fino a qualche anno fa il famoso forum mondiale, World Economic Forum (Wef) di Davos, nelle Alpi svizzere – l’ultima edizione del quale si è conclusa alla fine di maggio – sembrava un evento innocuo: il ridicolo spettacolo dell’uno per cento della ricchezza mondiale, che si sposta in jet privati, intasa l’aeroporto di Zurigo e poi ha la pretesa di spiegare come rispettare l’ambiente. In verità, il Wef è l’organizzazione non governativa più pericolosa oggi esistente.

E il suo fondatore, Klaus Schwab, (noto produttore di bombe atomiche illegali in Sud Africa!Ndr.) un accademico/tecnocrate di fede marxista con una forte tendenza transumanista che vagheggia circa la fusione degli esseri umani con le macchine e le forze dell’ordine capaci di leggere la nostra mente (come ha scritto nel suo libro Shaping the Future of The Fourth Industrial Revolution), è oggi l’uomo più influente del mondo.

Per tre decenni ha indottrinato politici, finanzieri e industriali a diventare “Young Global Leaders”, con la missione di plasmare un futuro “più inclusivo e sostenibile”.

 Tra coloro che sono usciti dalla sua accademia figurano vecchi e nuovi capi di Stato come Angela Merkel, Nicolas Sarkozy, Emmanuel Macron, Justin Trudeau. Inoltre, Jacinda Ardern, primo ministro della Nuova Zelanda e Scott Morrison (Australia).

Fra gli ultimi allievi di Schwab c’è Sanna Marin, primo ministro finlandese, sollecitata da Schwab ad accelerare l’adesione del suo Paese alla Nato.

Partner del Wef sono le maggiori multinazionali globaliste occidentali, istituzioni come l’Organizzazione mondiale della sanità, i leader dell’attivismo climatico e le più grandi società dei media.

Il Consiglio di amministrazione di questa congrega include Kristalina Georgieva e Christine Lagarde, capi, rispettivamente, del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale europea.

C’è anche Larry Fink, numero uno di BlackRock, la più grande società di investimento mondiale.

Ovvio che con tale potenza di fuoco, finanziaria e mediatica, utilizzabile come mezzo di pressione, Schwab sia diventato il temuto “burattinaio” dei leader occidentali di cui si sta servendo per pianificare, con il pretesto dell’emergenza climatica, un Governo globale con conseguente eliminazione della democrazia.

Come sarebbe possibile, infatti, governare il mondo se le persone hanno il diritto di rimuoverti?

È stato Schwab, nel 2015, a ordinare ai leader occidentali, tranne che all’ex presidente americano Donald Trump, di adottare l’Agenda 2030, il piano autoritario per smantellare le industrie basate sui combustibili fossili per “ricostruirle meglio” con le energie rinnovabili.

Che siano tutti sotto il suo incantesimo è dimostrato dai pochi secondi di questo video, in cui li vediamo ripetere, come pappagalli ammaestrati, “Build Back Better”, lo slogan coniato dallo stesso Schwab nel 2019 prima dello scoppio della pandemia.

Teoricamente, dovremmo vivere in Repubbliche e democrazie. Ma quando funzionari eletti sono fedeli al Forum economico mondiale, invece che ai loro elettori, la democrazia diventa una farsa.

Anzi, alto tradimento.

Di sicuro, a rendere così influente Schwab è stata l’attuale, monumentale crisi economica e sociale.

 Le economie si stanno sbriciolando, perché il loro finanziamento, attraverso il debito perpetuo senza intenzione di ripagarlo, è giunto al termine.

Gli stimoli da parte delle banche centrali sono falliti. E a stento i governi si mantengono in condizioni di sopravvivenza.

Ai politici, abbastanza intelligenti per capire che un default dello Stato sociale significherebbe l’assalto della folla ai loro parlamenti, Schwab ha prospettato il modo di mantenere il potere: trasferirsi nel suo Stato autoritario, con il pretesto della falsa emergenza climatica.

Una volta sprofondati nel caos, le sovranità statali scompariranno per essere sostituite da grandi strutture sovranazionali, che gestiranno il Governo globale.

Questo è lo scopo del Great Reset: ridisegnare da zero l’economia, forzando il collasso come unica soluzione praticabile, perché tanto l’economia crollerà comunque.

I blocchi del 2020 hanno offerto un’anteprima della governance globale. Basta seminare il panico per far approvare, con poche resistenze, agende politiche da horror.

Il controllo totalitario attraverso quarantene, vaccini, mascherine e passaporti sanitari, insieme al distanziamento sociale per prevenire disordini e rivolte, hanno abituato il pubblico a ricevere ordini da fonti governative centralizzate.

Tutto questo si ripeterà e i governi in bancarotta, nell’imporre l’emergenza, non avranno altra scelta che agire di nuovo all’unisono, seguendo le direttive del Wef che detta le condizioni per poter beneficiare di prestiti e finanziamenti. Tutto ciò che stiamo subendo oggi, dal collasso dell’economia, alla scarsità alimentare, energetica, ai disordini civili e alla guerra in Ucraina è il risultato del Great Reset.

È significativo che, in questo ultimo forum, Schwab – che si vanta di perseguire la missione di migliorare il mondo – non abbia speso una parola per mediare la pace.

Invece, ha fatto parlare il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, altro suo accolito, che si è rivolto al Wef con tono aggressivo, chiedendo all’Occidente più miliardi e armi, ricevendo una standing ovation dalla folla del Wef.

Il fatto è che Schwab vede nella guerra in Ucraina un potenziale significativo per spingere nuove restrizioni alle libertà e per lanciare nuovi programmi. Anzi, un allargamento del fronte sarebbe ancora più funzionale alla sua folle utopia.

Prima, a ostacolarla, c’era stato Trump, di cui l’Occidente è riuscito a sbarazzarsi e imporre, nel 2020, il “burattino” Joe Biden, nuovo presidente degli Stati Uniti, nell’elezione palesemente più scorretta della storia americana.

Biden, seguendo le istruzioni di Schwab, ha deliberatamente rovinato la capacità dell’America di essere indipendente dal punto di vista energetico.

Nel suo primo giorno in carica ha emesso tre ordini esecutivi:

l’approvazione dell’Agenda 2030 ripudiata dal predecessore, la cancellazione del gasdotto Keystone Xl tra Canada e Stati Uniti, e il blocco delle trivellazioni nel suo Paese.

Ora gli ostacoli al Great Reset rimangono Russia e Cina.

Schwab è tanto folle da credere che con la Terza guerra mondiale si possano sottomettere queste due potenze.

 E unire il mondo sotto l’ombrello delle Nazioni Unite, organizzazione che dal conflitto emergerebbe come grande pacificatore.

La Terza guerra mondiale potrebbe essere proprio ciò di cui le classi dirigenti occidentali hanno bisogno per coprire il loro default, ridisegnare l’economia e istituire un Governo globale.

Sarebbe edificato col sangue, ma sarebbe l’unico modo in Redazione

 

 

 

Davos, Zelensky in collegamento

al World Economic Forum:

"Sanzioni massime" contro Mosca.

  Tg24.sky.it - Redazione – (23 mag. 2022) – ci dice:

 

Da oggi fino a giovedì nella cittadina della Svizzera tedesca si tiene il Forum economico globale. In agenda diverse emergenze, dalle pandemie all’economia in crisi, dalle guerre al clima e alla transizione energetica.

Uno dei temi principali è il conflitto russo in Ucraina, al centro di decine di sessioni e incontri. Il vertice, dal quale sono stati esclusi i russi, si apre con l'intervento del presidente ucraino: "Questo è il momento in cui si decide se la forza bruta dominerà il mondo".

Si è aperto oggi a Davos il Forum economico globale, che andrà avanti fino a giovedì. Al centro dell’appuntamento economico più importante dell'anno, che torna nella cittadina della Svizzera tedesca dopo oltre due anni di Covid e l'edizione 2021 cancellata, ci sono diverse emergenze: dalle pandemie all’economia in crisi, dalle guerre al clima.

 Il conflitto russo in Ucraina, in particolare, è uno dei temi di cui si discuterà di più, con il World Economic Forum che vuole dimostrare il suo sostegno al Paese e la sua condanna nei confronti di Mosca.

 Per questo, è intervenuto anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Il vertice, dal quale sono stati esclusi i russi, si è aperto con l'intervento in collegamento video di Zelensky.

 Il presidente ucraino, che è stato accolto con un applauso, ha chiesto "sanzioni massime" contro la Russia.

Serve un "embargo completo sul petrolio, che "tutte le banche russe siano escluse dai sistemi globali e che non ci sia nessun commercio con la Russia", ha aggiunto. Poi ha spiegato: “Serve sbloccare i nostri porti marittimi. Bisogna usare tutti i canali diplomatici, perché da soli non possiamo lottare contro la Russia. Noi parliamo con la Commissione europea, il Regno Unito, la Svizzera, la Polonia e l'Onu e chiediamo loro di prendere misure per un corridoio per l'export del nostro grano e dei cereali, altrimenti la penuria avrà effetti sul mondo e ci sarà una estensione della crisi energetica”.

Secondo Zelensky, “questo è il momento in cui si decide se la forza bruta dominerà il mondo. Se così accadrà, non avrà più senso organizzare raduni come quello di Davos". Il presidente ucraino ha poi chiesto il ritiro completo di tutti i Paesi stranieri dalla Russia, in modo che non vengano utilizzati per gli "interessi sanguinari" di Mosca.

Ha anche invitato i Paesi alla ricostruzione. "Offriamo al mondo la possibilità di creare un precedente per ciò che sta accadendo quando si tenta di distruggere un" Paese "vicino. Vi invito a prendere parte a questa ricostruzione", ha detto. “Dobbiamo fare in modo che l'Ucraina diventi una nazione sicura, una nazione attraente, ed è quello che sogno per l'Ucraina.

 Io sono riconoscente al mondo, non perdete questo sentimento di unità, è il segno della forza che i russi temono. Spero che ognuno di voi potrà svegliarsi al mattino chiedendosi: cosa posso fare per l'Ucraina oggi?", ha concluso.

Dopo l'intervento di Zelensky, si è aperta una sessione dal titolo “Spirito di resilienza: voci ucraine” a cui partecipano la vice premier e ministra dell'Economia ucraina Yuliia Svyrydenko e la parlamentare ucraina Yvhenia Kravchuk. Ma sono decine le sessioni in cui si discute della guerra.

Incontri sul conflitto si tengono anche al casinò, che ospita la “Casa Ucraina”, mentre a pochi metri si trova la “Casa dei crimini di guerra russi”, dove è stata allestita una mostra fotografica e video che denuncia l'aggressione russa.

 E il sostegno all’Ucraina si respira anche al Media Village, dove vengono distribuite le copie del Time Magazine dedicate a quest’edizione del Forum: il titolo della copertina è “Di nuovo insieme” e accanto si legge “Ciò di cui l'Ucraina ha bisogno”, con la foto di Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo dell’evento, che indica la strada ad alcuni leader, come il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.

Ma, come ha spiegato Schwab nei giorni scorsi durante la presentazione online, i temi del Forum sono anche altri. "Sarà un summit centrato sul clima e sulla transizione energetica", ha detto.

La Davos di quest'anno, ha aggiunto, "è densa di conseguenze e arriva in un momento storico cruciale, come mai prima d'ora". Con una serie di circostanze politiche, economiche e sociali "senza precedenti".

Il titolo dell’appuntamento è: “La storia a un punto di svolta: politiche governative e strategie di business”.

 Il programma prevede sei pilastri tematici:

promuovere la cooperazione globale e regionale; assicurare la ripresa economica e dare forma a una nuova era di crescita; costruire società sane ed eque; salvaguardare il clima, il cibo e la natura; guidare la trasformazione industriale; sfruttare il potere della Quarta Rivoluzione Industriale.

Si parla, quindi, di cambiamento climatico, ma anche dell'impennata dei prezzi dell'energia e della minaccia di una crisi alimentare mondiale.

 E poi della parità di genere, delle diseguaglianze, della necessità di creare posti di lavoro che siano anche correttamente retribuiti.

L'appuntamento è anche l'occasione per le diplomazie di affrontare in segreto questioni delicate.

Gli ospiti a Davos, super ricchi al World Economic Forum: "Fateci pagare più tasse".

WEF, una panoramica sul destino

delle economie mondiali nel 2022.

Lavocedinewyork.com - Andreas Grandi – (24 gennaio 2022) – ci dice:

 

Davos Agenda: migliori prospettive grazie ai vaccini, ma difficile prevedere il punto di arrivo. Rallenta l'economia cinese, in USA e UE aumenta l'inflazione.

Il fondatore del WEF Klaus Schwab durante i lavori di Davos Agenda 2022 - World Economic Forum dove è il suggeritore e dominatore dell’economa mondiale occidentale.

Non confondiamo la forma con la sostanza. Anche quest’anno, per i noti problemi causati dalla emergenza sanitaria mondiale, in assenza di un dialogo fra i partecipanti, l’incontro di gennaio a Davos del World Economic Forum-WEF, uno dei maggiori centri mondiali di ricerche socio-economiche, si è svolto nella forma semplificata di Davos Agenda, rassegna di contributi video cui, fra gli altri, hanno contribuito in modalità informatica alcuni dei più importanti protagonisti della scena politica mondiale, fra i quali il leader cinese Xi Jinping, Ursula von der Leyen per l’Unione Europea, ed il nuovo cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Tuttavia, anche in forma digitale la forma non equivale alla sostanza.

 Perché i discorsi dei partecipanti sono apparsi concilianti in teoria, divergenti in pratica, e quindi lontani da conseguire soluzioni condivise. Con risultati talvolta paradossali quanto difficilmente giustificabili.

Ad esempio, è incomprensibile perché, approfittando della pandemia internazionale, i governi non si coalizzino per mettere al bando gli esperimenti in tema di guerra batteriologica e risparmiare alla popolazione mondiale la eventualità di nuovi disagi sanitari, la cui attuale origine, è bene ricordarlo, rimane ancora misteriosa.

Concentriamoci quindi sulle tematiche finanziarie. Insomma: back to basics, torniamo alle origini, alle questioni economiche che da oltre mezzo secolo caratterizzano il WEF.

Tutti gli intervenuti hanno riconosciuto che una ripresa economica è indispensabile a riprendere i progetti di sviluppo bloccati dalla pandemia. Nel 2021 gli indicatori hanno generalmente confermato una intonazione al rialzo, come ricordato da Christine Lagarde, subentrata a Mario Draghi alla presidenza della European Central Bank.

Si tratta di un risultato facile a prevedersi, dopo un 2020 dove l’industria mondiale si è vista costretta ad una sosta forzata, conseguente ad una logica di mercato che non trova economico produrre beni quando i consumatori non li acquistano semplicemente perché non possono uscire di casa.

Grazie all’arrivo dei vaccini, il 2022 si è aperto sotto una diversa prospettiva, con un rimbalzo economico di cui però si fatica prevedere il punto di arrivo.

Come in politica, anche in economia le interpretazioni non sono univoche. Rallenta l’economia della fabbrica del mondo, la Cina; questo ne aumenta la voracità di materie prime e di risorse energetiche, oltre che la esportazione di inflazione verso quei paesi che sinora si erano abituati a considerare il paese del Celeste Impero come un fornitore senza troppe pretese di beni a buon mercato.

In Europa l’inflazione al momento ha raggiunto il 5%, ma dalla ECB viene ancora considerata un fenomeno temporaneo. Si tratta di una interpretazione probabilmente dettata dalle circostanze.

Altrimenti il Vecchio Continente dovrebbe riconoscere la necessità di aumentare i tassi di interesse.

 Ma così facendo non solo svaluterebbe la efficacia dei Recovery Plan, i finanziamenti concessi da Bruxelles alle economie maggiormente colpite dalla pandemia, ma indebolirebbe anche il sistema industriale del nostro continente proprio quando invece quest’ultimo è chiamato a generare valore per rimborsare i crediti ricevuti.

E allora cerchiamo di interpretare quanto sta accadendo rivolgendoci agli Stati Uniti, dove la inflazione nei soli dieci mesi dello scorso anno è balzata dall’1.4% al 7%, e sono già stati annunciati incrementi degli interessi.

 La Segretaria al Tesoro Janet Yellen, grazie anche ad una politica di sussidi pubblici ed investimenti in ambito climatico decisa dalla amministrazione Biden, può chiudere il bilancio del 2021 con un invidiabile elenco di dati al rialzo: aumento di quasi il 5% del PIL, la redditività economica del paese; creazione di oltre sei milioni di nuovi posti di lavoro; arretramento dei senza lavoro sotto la soglia del 4%, e previsioni di sviluppo economico per l’anno in corso superiori al 3%.

“Al momento non intravediamo una ripresa della disoccupazione, dei fallimenti aziendali e delle insolvenze, insomma degli elementi che anticipano l’arrivo di difficoltà”.

Inoltre, i pacchetti di ripresa economica Bipartisan Infrastructure Bill e Build Back Better dovrebbero confermare la volontà della amministrazione Biden, “di prediligere una ripresa sostenibile e socialmente inclusiva”, continua Yellen, e quindi non supportata da semplici incrementi dei valori di bilancio.

Tuttavia, anche oltre oceano il diavolo si nasconde nei dettagli. Perché i valori positivi ora segnalati si concentrano nella logistica, nei servizi, nella grande distribuzione; insomma: nel terziario, più che nella industria, che invece è il vero terreno dove crea valore e si vince la partita della recovery, della ripresa mondiale.

Ora non resta che attendere poche settimane per ricevere aggiornamenti di Klaus Schwab sul destino delle economie mondiali.

Perché, terminati i video-contributi di Davos Agenda, il WEF ha aggiornato i lavori alla prossima sessione, finalmente in presenza e non più virtuale, che si svolgerà nella cittadina svizzera dal prossimo 22 al 26 maggio.

 

 

 

AGENDA 2030 di Klaus Schwab.

Davos: Guerre, pandemia, energia creano

 nuovi ‘Paperoni’, poveri al palo secondo Oxfam.

OnuItalia.com – Redazione – (24/05/2022) ci dice:

 

DAVOS, 24 MAGGIO – Una forbice che si allarga sempre più: ricchi sempre più ricchi, e numerosi – soprattutto grazie alla pandemia che ha fatto registrare profitti record per le loro aziende energetiche, farmaceutiche e alimentari – poveri che restano tali o peggiorano.

(La regia di questo sfacelo è il genio malefico di Klaus Schwab! Ndr). Una ricchezza aumentata negli ultimi due anni più di quanto non lo abbia fatto in 23 anni, e che porta l’ong Oxfam a chiedere ai Governi di tassare subito gli extraprofitti realizzati sulle spalle delle famiglie che invece hanno redditi al palo e spese sempre più alte per l’inflazione e il caro-bollette.

In un report pubblicato all’apertura del vertice in corso a Davos, Oxfam sottolinea come il Covid abbia fatto schizzare la ricchezza dei miliardari al 13,9% del PIL mondiale, una quota più che triplicata dal 4,4% del 2000. Non solo: è anche aumentato il numero dei miliardari. Se ne contano 573 in più negli ultimi due anni, uno ogni 30 ore. Mentre quest’anno, ogni 33 ore, un milione di persone rischia la povertà estrema, vale a dire 263 milioni.

Le cifre di Oxfam sono scioccanti: mentre aumentano vertiginosamente i prezzi al consumo dei prodotti alimentari e dei beni energetici, e la spirale della povertà estrema rischia di inghiottire 1 milione di persone ogni giorno e mezzo nel 2022, i super ricchi che controllano le grandi imprese nei settori alimentare e dell’energia continuano ad accrescere le proprie fortune, aumentate dall’inizio della pandemia di 453 miliardi di dollari, al ritmo di 1 miliardo di dollari ogni due giorni.

Oggi, 2.668 miliardari – 573 in più rispetto al 2020 – possiedono una ricchezza netta pari a 12.700 miliardi di dollari, con un incremento pandemico, in termini reali, di 3.780 miliardi di dollari.

A registrare profitti record sono state le imprese nei settori caratterizzati da un forte monopolio, come quello energetico, alimentare e farmaceutico.

 Per dare un ordine di grandezza, cinque delle più grandi multinazionali energetiche (BP, Shell, Total Energies, Exxon e Chevron) fanno 2.600 dollari di profitto al secondo.

Nel settore alimentare, la pandemia ha prodotto 62 nuovi miliardari. Insieme ad altre tre imprese, la famiglia Cargill controlla il 70% del mercato agricolo globale, e ha realizzato l’anno scorso il più grande profitto nella sua storia (5 miliardi di dollari di utile netto), record che potrebbe essere battuto nel 2022. La stessa famiglia conta ora 12 miliardari, rispetto agli 8 di prima della pandemia.

Anche nel settore farmaceutico, i cui profitti sono stati spinti alle stelle dalla pandemia, ci sono ben 40 paperoni in più.

Imprese come Moderna e Pfizer hanno realizzato 1.000 dollari di profitto al secondo grazie al solo vaccino COVID-19 ed Oxfam ricorda che, nonostante abbiano usufruito di ingenti risorse pubbliche per il suo sviluppo, fanno pagare ai governi le dosi fino a 24 volte in più rispetto al costo di produzione stimato.

Tutto questo mentre l’87% dei cittadini nei Paesi a basso reddito non ha ancora completato il ciclo vaccinale.

E mentre le grandi ricchezze salgono, i salari invece rimangono stagnanti e i lavoratori sono esposti a un aumento esorbitante del costo della vita se paragonato agli ultimi decenni, spiega Oxfam.

Un esempio su tutti: un lavoratore che si trova nel 50% degli occupati con retribuzioni più basse, dovrebbe lavorare 112 anni per guadagnare quello che un lavoratore nel top 1% guadagna in media in un solo anno.

(Questo fatto è giusto per Klaus Schwab ed i suoi seguaci! Ndr)

 

 

 

ONU e Forum di Davos dietro

la “guerra agli agricoltori” globale.

Vk.com – maurizioblondet.it – Blondet & Friends- Alex Neuman tramite “The Epoch Times” –

(31 luglio 2022).

 

Il crescente attacco normativo ai produttori agricoli dall’Olanda e dagli Stati Uniti allo Sri Lanka e oltre è strettamente legato agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e ai partner delle Nazioni Unite al World Economic Forum (WEF), hanno detto numerosi esperti a “The Tempi d’epoca”.

(Un segno del World Economic Forum (WEF) è visibile al centro congressi durante il suo incontro annuale a Davos il 23 maggio 2022).

I membri di alto livello del Partito Comunista Cinese (PCC) all’interno del sistema delle Nazioni Unite hanno contribuito a creare gli SDG e stanno attualmente aiutando a guidare l’attuazione del piano globale da parte dell’organizzazione, come ha precedentemente documentato “The Epoch Times”.

Se non vengono controllate, hanno affermato diversi esperti, le politiche di sostenibilità sostenute dalle Nazioni Unite sull’agricoltura e la produzione alimentare porterebbero a devastazione economica, carenza di beni fondamentali, carestia diffusa e una drammatica perdita delle libertà individuali.

(Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum (WEF), è visto all’apertura dell’Agenda di Davos del WEF a Cologny, in Svizzera, il 17 gennaio 2022.)

Già milioni di persone in tutto il mondo stanno affrontando una pericolosa carenza di cibo e funzionari di tutto il mondo affermano che è destinata a peggiorare con il passare dell’anno.

C’è un’agenda dietro a tutto, hanno detto gli esperti a “The Epoch Times”.

 

Anche la proprietà privata della terra è nel mirino, poiché la produzione alimentare globale e l’economia mondiale si stanno trasformando per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità globale, mostrano i documenti delle Nazioni Unite recensiti da “The Epoch Times”.

Come spiegato dall’ONU sul suo sito web SDG , gli obiettivi adottati nel 2015 “si basano su decenni di lavoro dei Paesi e dell’ONU.” (L’Onu è foraggiata dai riccastri globalisti occidentali! Ndr.)

Uno dei primi incontri che hanno definito l’agenda della “sostenibilità” è stata la Conferenza delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani nota come “Habitat I”, che ha adottato la “Dichiarazione di Vancouver” .

L’accordo affermava che “la terra non può essere trattata come un bene ordinario controllato da individui” e che la proprietà privata della terra è “uno strumento principale di accumulazione e concentrazione della ricchezza, quindi contribuisce all’ingiustizia sociale”.

“Il controllo pubblico dell’uso del suolo è quindi indispensabile”, affermava la dichiarazione delle Nazioni Unite, preludio all’ormai famigerata “previsione” del “World Economic Forum di Klaus Schwab” secondo cui entro il 2030 “non possiedi nulla”.

Da allora numerose agenzie e funzionari delle Nazioni Unite hanno delineato la loro visione di “sostenibilità”, comprese le richieste di restrizioni drastiche su energia, consumo di carne, viaggi, spazio vitale e prosperità materiale.

Gli esperti intervistati da “The Epoch Times” affermano che alcuni dei leader aziendali più ricchi e potenti del mondo stanno lavorando con i comunisti in Cina e altrove nel tentativo di centralizzare il controllo sulla produzione alimentare e schiacciare agricoltori e allevatori indipendenti.

Si sono visti trattori guidati da agenti di polizia olandesi di guardia mentre la polizia chiude l’accesso ad Apeldoorn sull’autostrada A1 per impedire agli agricoltori di manifestare contro i piani del governo olandese di ridurre le emissioni di azoto, il 29 giugno 2022.

Secondo i critici delle politiche, tuttavia, l’obiettivo non è affatto quello di preservare l’ambiente o combattere il cambiamento climatico. Invece, gli esperti avvertono che la narrativa della “sostenibilità” e le altre giustificazioni sono uno strumento per ottenere il controllo su cibo, agricoltura e persone.

“L’obiettivo finale di questi sforzi è ridurre la sovranità sia sulle singole nazioni che sulle persone”, ha affermato Craig Rucker, presidente del Comitato per un domani costruttivo (CFACT), un’organizzazione di politica pubblica specializzata in questioni ambientali e di sviluppo.

“L’intento di coloro che spingono questo programma di Klaus Schwab non è quello di salvare il pianeta, come sostengono, ma di aumentare il controllo sulle persone”, ha detto a “The Epoch Times”, aggiungendo che l’obiettivo è centralizzare il potere a livello nazionale e persino internazionale.

Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: Agenda 2030

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, spesso indicati come Agenda 2030, sono stati adottati nel 2015 dall’organizzazione e dai suoi Stati membri come guida per “trasformare il nostro mondo”.

Acclamato come un “piano generale per l’umanità” (redatto da Klaus Schwab, ndr.)  e una “dichiarazione di interdipendenza” globale da alti funzionari delle Nazioni Unite, i 17 obiettivi includono 169 obiettivi che coinvolgono ogni aspetto dell’economia e della vita.

“Tutti i paesi e tutte le parti interessate, agendo in partenariato collaborativo, attueranno questo piano”, dichiara il preambolo del documento, sottolineando ripetutamente che “nessuno sarà lasciato indietro”.

Tra gli altri elementi, il piano delle Nazioni Unite prevede la ridistribuzione della ricchezza nazionale e internazionale nell’obiettivo 10, nonché “cambiamenti fondamentali nel modo in cui le nostre società producono e consumano beni e servizi”.

(Ecco una Panoramica della sessione del Consiglio per i diritti umani durante il discorso dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet alle Nazioni Unite a Ginevra il 27 febbraio 2020.)

L’uso del governo per trasformare tutta l’attività economica è una parte fondamentale degli SDG, con l’obiettivo 12 che richiede “modelli di consumo e produzione sostenibili”.

Tra gli obiettivi specifici delineati nel Goal 12 vi sono diversi direttamente collegati alle politiche agricole che minano la produzione alimentare. Questi includono “gestione sostenibile e uso efficiente delle risorse naturali”.

Forse ancora più importante, il documento (fornito da Klaus Schwab) richiede “una gestione ecologicamente corretta delle sostanze chimiche e di tutti i rifiuti durante tutto il loro ciclo di vita, in conformità con i quadri internazionali concordati”.

Di conseguenza, le persone e in particolare gli agricoltori devono “ridurre significativamente il loro rilascio nell’aria, nell’acqua e nel suolo al fine di ridurre al minimo i loro impatti negativi sulla salute umana e sull’ambiente”.

Altri SDG che sono direttamente legati a quella che i critici hanno chiamato la “guerra agli agricoltori” includono l’obiettivo 14, che affronta “l’inquinamento marino di ogni tipo, in particolare da attività a terra, incluso … l’inquinamento da nutrienti”. L’ONU descrive regolarmente l’agricoltura e la produzione alimentare come una minaccia per l’oceano.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), guidata dall’ex vice ministro dell’agricoltura e degli affari rurali del PCC Qu Dongyu, sta aiutando “finanziariamente” a guidare la carica.

Nel suo rapporto del 2014” Costruire una visione comune per un’alimentazione e un’agricoltura sostenibili: principi e approcci “, l’agenzia delle Nazioni Unite (finanziata anche dalla Cina, Ndr) chiede restrizioni drastiche sull’uso di fertilizzanti, pesticidi, emissioni e acqua nel settore agricolo.

Come esempio di come l’agricoltura debba essere riformata per essere considerata sostenibile dalle Nazioni Unite, il rapporto della FAO afferma che “l’uso eccessivo di fertilizzanti azotati è una delle principali cause dell’inquinamento idrico e delle emissioni di gas serra”.

La “Fao” con sede a Roma non ha risposto a una richiesta di commento.

 

L’allora presidente francese Nicolas Sarkozy (L) ha pronunciato un discorso durante un vertice di tre giorni sulla sicurezza alimentare presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) a Roma il 3 giugno 2008.

Un altro dei 17 SDG con un impatto diretto sull’agricoltura e la produzione alimentare è l’“Obiettivo 2”, con i suoi appelli all'”agricoltura sostenibile” e alla “produzione alimentare sostenibile”.

L’ “obiettivo 6”, nel frattempo, chiede una “gestione sostenibile dell’acqua”, che include vari obiettivi che coinvolgono l’uso e il deflusso dell’acqua agricola.

Poiché i leader delle Nazioni Unite vedono l’agricoltura e la produzione alimentare come fattori chiave di ciò che chiamano cambiamento climatico provocato dall’uomo, anche l’”obiettivo 13” è importante.

Chiede ai governi di “integrare le misure sui cambiamenti climatici nelle politiche, nelle strategie e nella pianificazione nazionali”.

L’obiettivo 15, che si occupa dell’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, ha anche molteplici obiettivi che riguardano l’agricoltura e la produzione alimentare.

In tutto il mondo, i governi nazionali e regionali (quelli sotto la direzione di Klaus Schwab! Ndr.) stanno collaborando con le agenzie delle Nazioni Unite per implementare questi obiettivi di sostenibilità nell’agricoltura e in altri settori.

Ad esempio, in risposta agli accordi delle Nazioni Unite sulla biodiversità, l’Unione Europea ha varato vari programmi sulla biodiversità sostenuti dalle Nazioni Unite come “Natura 2000” e la “Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030”, che sono stati citati dal governo olandese e altri nelle loro politiche agricole.

L’ONU si vanta anche pubblicamente del proprio ruolo nell’imporre gli SDG in Sri Lanka e in altre nazioni che soffrono per la carenza di cibo e le calamità economiche legate agli stessi programmi globali di sostenibilità.

In tutto il mondo, quasi tutti i governi nazionali affermano di incorporare gli SDG nelle proprie leggi e regolamenti.

‘Partenariato’ del “Forum Economico Mondiale” di Klaus Schwab.

Accanto alle Nazioni Unite ci sono vari “stakeholder” critici per l’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile attraverso “partenariati pubblico-privato”.

Al centro di questo sforzo c’è il WEF, che dal 2020 ha promosso una trasformazione totale della società nota come il “Grande Reset”.

 Nel 2019, il WEF ha firmato una “partenariato strategico” con le Nazioni Unite per far avanzare l’Agenda 2030 all’interno della comunità imprenditoriale globale.

ONU e Forum di Davos dietro la “guerra agli agricoltori” globale:

L’accordo ufficiale ha definito “aree di cooperazione per approfondire l’impegno istituzionale e accelerare congiuntamente l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”.

Molti dei funzionari chiave dietro Agenda 2030, inclusi i massimi leader delle Nazioni Unite come l’attuale Segretario generale António Guterres, un socialista autoproclamato, lavorano (lautamente finanziati, ndr ) anche con il WEF da decenni.

Nel frattempo, il WEF è stato esplicito con i suoi obiettivi. Ha recentemente lanciato una “Food Action Alliance” (FAA) che riconosce sul suo sito web che Agenda 2030 “informa l’ambizione della FAA di fornire una piattaforma duratura e a lungo termine per un’azione multi-stakeholder sui sistemi alimentari per soddisfare gli SDGs”.

Insieme al “Vertice sui sistemi alimentari” delle Nazioni Unite nel settembre 2021, la FAA del WEF ha pubblicato un rapporto che delinea la propria” agenda di leadership per la collaborazione multi-stakeholder per trasformare i sistemi alimentari “.

Tra gli altri elementi, il documento riassume le intuizioni della FAA sul “sostenere le partnership trasformative del sistema alimentare e la sua proposta di valore oltre il Vertice dei sistemi alimentari delle Nazioni Unite 2021 verso il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”.

L’interesse pubblico del WEF per la trasformazione dell’agricoltura e dell’approvvigionamento alimentare risale almeno a un decennio fa.

In collaborazione con varie aziende, il WEF ha pubblicato un rapporto del 2010 che delinea una “nuova visione per l’agricoltura” che includeva una “tabella di marcia per le parti interessate”. Sono coinvolte molte delle più grandi aziende alimentari del mondo che dominano il mercato e possiedono innumerevoli marchi famosi.

Il sito web del WEF è ricco di informazioni che pretendono di giustificare una trasformazione totale dell’approvvigionamento alimentare da parte degli “stakeholder”. (I burattini di Klaus Schwab! Ndr.).

“Dato che i sistemi alimentari globali diventano sempre più interconnessi, sarà necessario un coordinamento efficace tra un insieme diversificato di parti interessate”, afferma il WEF sulla sua piattaforma” Intelligenza strategica “, citando spesso la FAO come fonte.

“Il potenziale per creare nuovi approcci sistemici ai sistemi alimentari che includono una vasta gamma di parti interessate offre opportunità per aiutare a nutrire in modo sostenibile il mondo nel futuro”.

I frequenti riferimenti dell’organizzazione agli “stakeholder” si riferiscono a governi, aziende e cosiddette organizzazioni non governative che sono spesso finanziate dalle stesse società e governi. Stanno tutti lavorando insieme sulla questione.

Ad esempio, il WEF di Klaus Schwab si vanta di aver coinvolto giganti aziendali come Coca-Cola e Unilever nella promozione di un “futuro più sostenibile”.

Anche la Rockefeller Foundation, che ha recentemente pubblicato un rapporto su come “Reset the Table” e “Transform the US Food System”, è un attore chiave.

I “Food Innovation Hub” del WEF di Klaus Schwab  in tutto il mondo sono destinati a essere una parte importante di questa trasformazione globale.

Parlando al Forum economico mondiale sulla “trasformazione dei sistemi alimentari e dell’uso del suolo” alla Davos Agenda Week dell’anno scorso, il primo ministro olandese Mark Rutte ha annunciato che i Paesi Bassi ospiteranno il “Segretariato di coordinamento globale degli hub economici mondiali per l’innovazione alimentare”.

Il segretariato, ha affermato, “collegherà tutti gli altri Food Innovation Hub” per facilitare la creazione “delle partnership di cui abbiamo bisogno”.

Né il WEF di Klaus Schwab né la Fondazione Rockefeller hanno risposto alle richieste di commento sul loro ruolo nell’Agenda 2030 e sulle politiche agricole perseguite nel mondo.

Altre organizzazioni ed entità coinvolte nella spinta includono potenti fondazioni esenti da tasse come la “Gates Foundation”, i governi regionali in stile UE che proliferano in tutto il mondo e vari gruppi finanziati da loro.

Spremere gli agricoltori e l’approvvigionamento alimentare .

In tutto il mondo, le politiche governative allineate agli SDG delle Nazioni Unite stanno schiacciando gli agricoltori, in particolare i produttori indipendenti più piccoli, incapaci di assorbire i costi aggiuntivi di una maggiore regolamentazione e controllo.

Celebrando le idee di sostenibilità delle Nazioni Unite, il presidente dello Sri Lanka recentemente estromesso Gotabaya Rajapaksa ha annunciato al vertice delle Nazioni Unite sul clima della COP26 nel 2021 che il suo governo stava vietando i fertilizzanti chimici e i pesticidi.

(zerohedge.com/geopolitical/un-world-economic-forum-behind-global-war-farmers-experts)

 

 

 

 

” Non sapevamo niente,

Abbiamo vaccinato alla cieca”.

 

 Maurizioblondet.it – Maurizio Blondet – (1° Novembre 2022) – ci dice:

Il professore Bernabei Roberto è un famoso geriatra.

Nel frattempo però, qualcosa dovrebbero aver imparato.

Le proteine ​​Spike interrompono l’immunità in milioni di persone dopo la vaccinazione da COVID: ecco come vengono trattate.

Le proteine ​​​​spike causano infiammazione, disattivano la risposta all’interferone di tipo 1 e riducono l’autofagia tra le altre cose, il che si aggiunge a un sistema immunitario di-sregolato.

(SPIKE DI PROTEINE-Marina Zhang-23 ottobre 2022)

 La proteina spike del coronavirus (rossa) media l'ingresso del virus nelle cellule ospiti. Si lega all'enzima di conversione dell'angiotensina 2 (blu) e fonde le membrane virali e dell'ospite.

(Juan Gaertner/Shutterstock)

Numerosi studi hanno dimostrato che la proteina spike SARS-CoV-2 è una proteina altamente tossica e infiammatoria, in grado di causare patologie nei suoi ospiti.

La presenza della proteina spike è stata fortemente collegata a lunghi sintomi di COVID e post-vaccino. Gli studi hanno dimostrato che le proteine ​​spike sono spesso presenti nei pazienti sintomatici, a volte anche mesi dopo le infezioni o le vaccinazioni.

Il numero di lunghi casi di COVID e post-vaccino è in aumento negli Stati Uniti, ponendosi sempre più come un problema sanitario.

I dati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) stimano che circa il 7% degli americani sta attualmente sperimentando lunghi sintomi di COVID, che sarebbero oltre 15 milioni di persone.

Alcune persone con COVID lungo sono state così debilitate da non poter andare al lavoro, lo stesso è stato riportato in persone che hanno manifestato sintomi post-vaccino.

Nel database del Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) sono stati segnalati oltre 880.000 eventi avversi per possibili sintomi del vaccino post-COVID.

Tuttavia, gli statistici sostengono che il numero di persone che soffrono di sindromi post-vaccino è molto più alto.

La biologa molecolare canadese Jessica Rose ha stimato un fattore di sottostima di 31, sommando a una stima che più di 27 milioni di americani potrebbero aver sofferto di eventi avversi dopo la vaccinazione.

“I feriti da vaccino sono vasti”, ha affermato il dottor Pierre Kory il 15 ottobre in una conferenza Front Line COVID-19 Critical Care Alliance ( FLCCC ).

“I numeri sono enormi… sono sotto serviti e i loro bisogni non vengono soddisfatti”.

Tuttavia, molti medici stanno cercando di cambiare questa situazione. Il FLCCC è stato in prima linea nel trattamento dei sintomi di COVID-19, COVID-19 e post-vaccino.

Non sono stati condotti studi su larga scala sul trattamento dei sintomi post-vaccino. Sulla base di osservazioni cliniche, feedback dei pazienti e ricerche approfondite, l’FLCCC ha pubblicato le sue raccomandazioni terapeutiche aggiornate.

Il co-fondatore e direttore scientifico dell’FLCCC, il dottor Paul Marik , ha dichiarato a “The Epoch Times “che le raccomandazioni sono sempre soggette a modifiche in base al feedback dei pazienti, nonché alla ricerca su una nuova opzione di trattamento.

Tuttavia, per comprendere le opzioni di trattamento, è necessario prima capire in che modo la proteina spike sta causando danni.

Patologia delle proteine ​​​​spike.

La lunga COVID e la sindrome post-vaccino condividono un alto grado di sovrapposizione poiché le due condizioni sono state entrambe collegate alla presenza di proteine ​​spike a lungo termine e anche i sintomi sono spesso simili.

“Il problema principale nella sindrome post-vaccino è la ‘disregolazione immunitaria’ cronica”, ha condiviso Marik alla conferenza FLCCC.

Le proteine ​​della punta possono causare infiammazioni croniche. Gli studi hanno dimostrato che l’infiammazione può portare a stress cellulare, danni e persino la morte.

 Le cellule costituiscono i tessuti, i diversi tessuti formano gli organi e gli organi fanno parte dei nostri sistemi fisiologici. Pertanto le lesioni da proteine ​​spike sono una sindrome sistemica.

Le proteine ​​della punta innescano l’infiammazione cronica causando una deregolazione immunitaria.

 Le proteine ​​​​spike entrano nelle cellule immunitarie, disattivano le normali risposte immunitarie e attivano invece percorsi pro-infiammatori.

La normale risposta immunitaria per le cellule immunitarie infette consiste nel rilasciare interferoni di tipo 1, questo fornisce segnali ad altre cellule immunitarie per migliorare la difesa contro le particelle virali.

Ma la proteina spike riduce questa segnalazione nelle cellule infette e anche le cellule non infette assorbiranno e verranno danneggiate dalla proteina spike quando l’infezione va fuori controllo.

 

Marik ha detto che un aspetto critico del danno proteico a lungo termine è che inibisce l’autofagia, il modo in cui il tuo corpo ricicla le cellule danneggiate.

Di solito, quando le cellule sono state infettate da particelle virali, le cellule cercheranno di scomporre queste particelle e rimuoverle come rifiuti.

Tuttavia, studi sui virus SARS-CoV-2 hanno dimostrato che i processi di autofagia sono ridotti nei pazienti infetti con proteine ​​spike presenti molti mesi dopo l’esposizione iniziale.

“La proteina spike è una proteina davvero malvagia”, ha detto Marik. “Disattiva l’autofagia, ecco perché il picco può rimanere nelle cellule per così tanto tempo.”

(Il dottor Paul Marik, è co-fondatore della Front Line COVID-19 Critical Care Alliance (FLCCC) ed ex capo della divisione di medicina polmonare e di terapia intensiva presso la Eastern Virginia Medical School, alla conferenza FLCCC “Understanding & Treating Spike Protein- Malattie indotte” a Kissimmee, in Florida, il 14 ottobre 2022. (The Epoch Times)

Disfunzione delle cellule immunitarie.

La disfunzione immunitaria causata dalla proteina spike non solo provoca infiammazione, ma può anche contribuire alla proliferazione del cancro e all’autoimmunità.

Gli studi hanno dimostrato che le proteine ​​spike possono ridurre ed esaurire l’azione delle cellule T e natural killer

Questi due tipi cellulari sono responsabili dell’uccisione delle cellule infette e delle cellule cancerose. Pertanto una ridotta immunità cellulare da parte delle cellule T e natural killer può contribuire a una rimozione prematura delle cellule infettate da spike.

I danni causati dalle proteine ​​spike possono portare a DNA danneggiato e  gli studi hanno dimostrato che le proteine ​​spike possono anche ridurre la riparazione del DNA. Lo stress psicologico e ambientale come la luce ultravioletta, le sostanze inquinanti, gli ossidanti e molti altri fattori possono danneggiare regolarmente il DNA, richiedendo una riparazione costante.

Il DNA danneggiato mette le cellule a rischio di diventare cancerose e queste cellule dovrebbero essere uccise per prevenire le formazioni tumorali.

Tuttavia, con una ridotta attività delle cellule T e natural killer, ciò può portare a una proliferazione incontrollata di cellule potenzialmente cancerose.

Altre disfunzioni che sono state segnalate a seguito di vaccinazioni includono malattie autoimmuni.

Queste malattie possono essere collegate alle proteine ​​spike che hanno un alto livello di mimetismo molecolare, il che significa che le proteine ​​spike hanno molte regioni simili ad altre proteine ​​del corpo umano.

Quindi, quando il sistema immunitario attacca la proteina spike, a causa di somiglianze strutturali, gli anticorpi prodotti contro le regioni proteiche spike possono anche reagire contro le proteine ​​e i tessuti del corpo.

Gli studi hanno dimostrato che gli anticorpi prodotti contro la proteina spike possono anche legarsi e attaccare i tessuti interni.

Le proteine ​​della punta spike provocano affaticamento.

La proteina spike è anche collegata alla disfunzione nei mitocondri. Colloquialmente conosciuti come la centrale elettrica della cellula, i mitocondri sono responsabili dello sfruttamento dell’energia dallo zucchero che ingeriamo.

È stato dimostrato che le cellule neurali umane trattate con la proteina spike producono specie di ossigeno più reattive e questa è un’indicazione di disfunzione mitocondriale, suggerendo una possibile riduzione della produzione di energia.

Le persone con lunghe sindromi da COVID e post-vaccino spesso sperimentano affaticamento cronico, nebbia del cervello, intolleranza all’esercizio e debolezza muscolare.

Questi sintomi si osservano spesso anche nelle persone con disfunzione mitocondriale, indicando un possibile collegamento.

(Le diapositive del Dr. Paul Marik presentate alla conferenza FLCCC a Orlando in Florida -per gentile concessione della FLCCC)

Danno delle proteine ​​​​spike ai vasi sanguigni e agli organi.

Le proteine ​​Spike hanno dimostrato di essere particolarmente dannose per le cellule che rivestono i vasi sanguigni. Le proteine ​​​​spike possono legarsi ai recettori ACE2 e CD147 e innescare vie infiammatorie.

Questi recettori sono particolarmente abbondanti nelle cellule dei vasi sanguigni, del cuore, del sistema immunitario, delle ovaie e di molte altre aree. La proteina Spike può quindi innescare infiammazioni e danni ai vasi sanguigni e ai relativi organi, causando danni sistemici.

Marik ha detto che il danno da proteine ​​spike è più vicino a una sindrome sistemica piuttosto che a una malattia.

Non è una malattia. Non si adatta al modello tradizionale di una malattia. Questa è una sindrome che colpisce ogni singolo organo… il picco va ovunque… quindi questa è una malattia multi-sistemica e non segue il paradigma tradizionale di una malattia che è un sintomo, una diagnosi”.

(Le diapositive del Dr. Pierre Kory presentate alla conferenza FLCCC a Kissimmee, in Florida -per gentile concessione di FLCCC)

I trattamenti di prima linea di FLCCC.

Poiché i lunghi sintomi COVID e post-vaccino sono entrambi associati alla presenza di proteine ​​spike, i trattamenti di prima linea raccomandati dall’FLCCC si concentrano quindi su due passaggi principali.

Il primo passo è rimuovere la proteina spike, il secondo passo è ridurne la tossicità.

Il corpo poi guarirà da solo, e questo è “l’obiettivo primario del trattamento”, ha detto Marik.

La maggior parte dei trattamenti di prima linea si sono concentrati sull’eliminazione della proteina spike riattivando l’autofagia, un processo che è sotto regolato dalla proteina spike.

Le implementazioni dello stile di vita possono aumentare l’autofagia attraverso il digiuno intermittente e la foto rimodulazione.

 La foto rimodulazione può essere eseguita esponendosi al sole, poiché la luce solare contiene raggi infrarossi che aumentano l’autofagia nelle cellule.

Il digiuno intermittente può comportare molteplici benefici per la salute, tra cui una migliore sensibilità all’insulina, perdita di peso, riduzione dell’infiammazione e dell’autoimmunità e molti altri.

Tuttavia, va notato che il digiuno intermittente non è raccomandato per le persone di età inferiore ai 18 anni, poiché può impedire la crescita.

Anche le donne incinte e che allattano non sono raccomandate di digiunare in modo intermittente.

Si raccomanda inoltre alle persone con diabete e malattie renali di consultare il proprio medico di base prima di considerare il digiuno intermittente.

Mentre il digiuno intermittente potrebbe non essere adatto a tutti, ci sono altre opzioni di trattamento che possono aumentare l’autofagia e ridurre la tossicità delle proteine ​​spike.

Ivermectina

L’ivermectina è stata altamente raccomandata dall’FLCCC e da molti medici che trattano il COVID, il COVID lungo e la sindrome post-vaccino, sulla base del fatto che è poco costoso, altamente accessibile, ha un alto profilo di sicurezza e un alto tasso di risposta.

Il farmaco è altamente dinamico ed è stato anche documentato con una varietà di funzioni: antivirale, antiparassitario, antinfiammatorio e stimola anche l’autofagia.

L’ivermectina può aiutare con la rimozione della proteina spike. Gli studi hanno dimostrato che l’ivermectina ha una maggiore affinità per la proteina spike e si legherà alle sue regioni, neutralizzandola e immobilizzandola efficacemente per la distruzione.

L’ ivermectina si oppone anche direttamente alle vie pro-infiammatorie che sono attivate dalla proteina spike, inclusa la via NF-KB che attiva le citochine infiammatorie e il recettore toll-like 4.

I medici dell’FLCCC ritengono che l’ivermectina e il digiuno intermittente possano agire “in sinergia” per rimuovere la proteina spike del corpo e raccomandano di assumere l’ivermectina con o subito dopo un pasto.

L’ivermectina è anche in grado di legarsi a ACE2 e CD147, e quindi impedisce alla proteina spike di entrare e innescare l’infiammazione nelle cellule che mostrano questi recettori. Gli studi hanno anche dimostrato che l’ivermectina può mantenere l’energia prodotta dai mitocondri anche in condizioni di basso livello di ossigeno.

Kory ha affermato che circa il 70-90% dei suoi pazienti con sindrome post-vaccino risponde al farmaco, generalmente entro 10 giorni.

 

“I pazienti possono essere classificati come responder o non responder all’ivermectina … i non responder – [sono] in realtà un gruppo di pazienti che sono più difficili da trattare”, ha affermato Marik.

Ai pazienti che non rispondono, in genere dopo 4-6 settimane di trattamento, si raccomanda di sottoporsi a un trattamento più aggressivo.

In caso di sovradosaggio, l’ivermectina può causare confusione, disorientamento e forse anche la morte. Tuttavia, il farmaco ha un alto profilo di sicurezza se usato in dosi ragionevoli. C’è poca letteratura sul suo uso nelle donne in gravidanza, quindi l’FLCCC mette in guardia contro l’uso durante la gravidanza.

“L’ivermectina ha dimostrato continuamente di essere sorprendentemente sicura per l’uso umano”, ha scritto il dottor Satoshi Ohmura, lo scopritore dell’ivermectina nel suo studio coautore.

In effetti, è un farmaco così sicuro, con effetti collaterali minimi, che può essere somministrato da personale non medico e persino da individui analfabeti nelle comunità rurali remote, a condizione che abbiano ricevuto una formazione molto semplice e appropriata”.

(Screenshot di una foto di naltrexone, un farmaco approvato per la dipendenza da oppioidi e alcol che viene utilizzato a basse dosi per il trattamento del COVID lungo. The Epoch Times)

Naltrexone a basso dosaggio.

Il naltrexone a basso dosaggio (LDN) ha recentemente fatto notizia come un’opzione per il trattamento lungo del COVID.

“Lo usiamo da molti, molti mesi”, ha detto Marik. “Il naltrexone a basso dosaggio è un farmaco antinfiammatorio molto potente. È stato utilizzato in molte malattie infiammatorie croniche”.

 

Clinicamente, i medici FLCCC hanno visto migliorare i sintomi di molti dei loro pazienti dopo il trattamento con LDN, anche se potrebbero essere necessari mesi prima che i benefici siano chiaramente visibili.

Il naltrexone normale è comunemente usato per prevenire il sovradosaggio nei tossicodipendenti. Tuttavia, quando ridotto a circa un decimo della sua concentrazione normale, da 1 mg a 4,5 mg di LDN, il meccanismo del farmaco cambia drasticamente.

LDN ha un effetto antinfiammatorio; gli studi dimostrano che è in grado di bloccare i recettori toll-like infiammatori, ridurre la produzione di citochine pro-infiammatorie e bloccare le cascate infiammatorie.

LDN lavora per bilanciare l’attività tra le citochine di tipo Th1 e Th2.

Le citochine di tipo Th1 tendono a produrre una risposta pro-infiammatoria per uccidere i parassiti intracellulari e stimolare le attività autoimmuni. Le citochine di tipo Th2 hanno tipicamente un’attività più antinfiammatoria e possono contrastare l’attività delle citochine Th1.

LDN modula selettivamente questo equilibrio riducendo l’attività Th1 e aumentando le attività delle citochine Th2.

Clinicamente, LDN ha dimostrato di essere efficace contro i sintomi neurologici post-COVID e post-vaccino. È stato elencato dalla FLCCC come efficace contro il dolore neuropatico, la nebbia cerebrale, l’affaticamento, la paralisi di Bell e la parestesia facciale.

Questo perché LDN riduce anche la neuro infiammazione . È neuroprotettivo ed è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e ridurre le azioni infiammatorie della microglia, che funzionano come cellule immunitarie nel cervello.

Resveratrolo.

Il resveratrolo è un nutraceutico che si trova comunemente nella frutta. Si trova in arachidi, pistacchi, uva, vino rosso e bianco, mirtilli, mirtilli e persino cacao e cioccolato fondente.

Può essere ottenuto anche attraverso integratori, sebbene in genere vi sia una bassa biodisponibilità del resveratrolo, e quindi l’FLCCC ne consiglia l’assunzione con la quercetina.

Il resveratrolo è antinfiammatorio e antiossidante. Gli studi hanno dimostrato che è selettivo nell’uccidere le cellule tumorali. Attiva le vie di riparazione del DNA e quindi può ridurre lo stress cellulare e prevenire la formazione di cellule cancerose.

Nelle cellule stressate, il resveratrolo può ridurre le specie reattive dell’ossigeno prodotte dai mitocondri e promuovere l’autofagia. Negli studi sugli animali su moscerini della frutta e nematodi, l’uso del resveratrolo ne ha aumentato la durata della vita, indicando le proprietà anti-invecchiamento e prolunganti della molecola.

Aspirina-Cuore

Aspirina a basso dosaggio.

Simile all’ivermectina, l’aspirina è un altro farmaco che è stato trovato per essere sfaccettato nei suoi effetti sulla salute.

L’aspirina è un antinfiammatorio e un anticoagulante. Il farmaco riduce quindi la possibilità di formazione di micro-coaguli nei vasi sanguigni. Gli studi hanno dimostrato che può anche ridurre le vie pro-infiammatorie, lo stress ossidativo ed è anche neuroprotettivo.

La compromissione neuro cognitiva è stata una delle principali lamentele di molte persone che soffrono di sindromi da vaccino post-COVID. Ciò include nebbia cerebrale e dolore neuropatico periferico.

Gli studi sui pazienti con malattia di Alzheimer hanno dimostrato che l’assunzione di aspirina era associata a un declino cognitivo più lento, sebbene i risultati siano stati contrastanti in diversi studi.

Studi sugli animali hanno mostrato che i ratti a cui è stata somministrata l’aspirina avevano un declino cognitivo inferiore. Studi su ratti con nervi danneggiati hanno suggerito che l’aspirina può anche essere neuroprotettiva a causa della sua natura antinfiammatoria.

L’uso dell’aspirina può causare effetti collaterali in gravidanza come sanguinamento.

Melatonina.

La melatonina è un ormone prodotto dalla ghiandola pineale per favorire un sonno ristoratore. Ha proprietà sia antinfiammatorie che antiossidanti.

Nelle cellule, la melatonina promuove la salute dei mitocondri riducendo le specie di ossigeno attivo. Poiché i mitocondri utilizzano molto ossigeno, quando sono stressati da tossine ambientali come radiazioni o esposizione a proteine ​​spike, possono produrre specie reattive dell’ossigeno.

La melatonina, un antiossidante, può quindi prevenire il danno ossidativo. Gli studi dimostrano che impedisce anche la fuoriuscita di elettroni dai mitocondri e quindi massimizza la produzione di energia.

Promuove anche l’autofagia sbloccando il percorso dell’autofagia, aiutando la cellula ad abbattere le proteine ​​​​spike e aumentare la rimozione di queste proteine ​​​​tossiche.

Grazie alla sua proprietà antiossidante, la melatonina ripara il DNA danneggiato dai radicali liberi.

La melatonina e i suoi metaboliti attivano anche i geni che promuovono la riparazione del DNA e sopprimono l’attività genica che può portare al DNA danneggiato.

La melatonina ha anche proprietà antitumorali. Studi sugli animali sulla melatonina hanno dimostrato che gli animali a cui è stata somministrata melatonina avevano un tasso più basso di generazione del tumore.

 

La melatonina è stata anche raccomandata dall’FLCCC nel trattamento dell’acufene, un sintomo del post-vaccino e del lungo COVID. Il sintomo è un ronzio nelle orecchie e può disturbare il sonno se grave. La melatonina può aiutare a ridurre il ronzio e aiutare le persone a dormire bene la notte.

Differenze tra COVID lungo e sindrome post-vaccino.

Sia la lunga COVID che la sindrome post-vaccino sono guidate dal carico proteico spike e dai danni causati dall’esposizione al picco e quindi condividono un alto grado di sovrapposizione nel trattamento.

Tuttavia, i medici notano lievi differenze in alcune presentazioni cliniche tra le due condizioni e pertanto l’FLCCC ha dato priorità a trattamenti diversi.

“Sembra che con il vaccino danneggiato, il sintomo predominante e l’organo predominante sia neurologico”, ha detto Marik. Nella sua osservazione, circa “più dell’80% dei pazienti con danno da vaccino ha un certo grado di compromissione neurologica”.

Marik ha affermato che i sintomi post-vaccino possono anche essere più difficili da trattare rispetto al lungo COVID e sono più persistenti, con alcuni pazienti che presentano sintomi debilitanti per quasi due anni.

Pertanto, il trattamento per le persone con sintomi post-vaccino è “più aggressivo e più mirato al cervello”, ha affermato Marik.

“Sembra che il lungo COVID migliori con il tempo. Mentre alcuni pazienti persistono, sembra in qualche modo risolversi da soli”, ha affermato Marik. “Il problema con i feriti da vaccino è che può persistere. Abbiamo pazienti che sono stati vaccinati nel dicembre del 2020 … [che] sono ancora gravemente, gravemente feriti”.

“I due sono simili, ma abbiamo posto molta più enfasi sul danno da vaccino perché è una malattia molto più difficile da trattare”.

(Marina Zhang ha sede a New York e si occupa di salute e scienza)

Putin: “La Situazione è, in una

certa Misura, Rivoluzionaria”.

Conoscenzealconfine.it – (2 Novembre 2022) - Pepe Escobar – ci dice:

 

Putin ha centrato il punto in cui ci troviamo: sull’orlo di una rivoluzione!

In un discorso onnicomprensivo tenuto alla sessione plenaria del 19° incontro annuale del Valdai Club, il Presidente Putin ha lanciato una critica devastante e a più livelli dell’unipolarismo.

Da Shakespeare all’assassinio del generale Soleimani; dalle riflessioni sulla spiritualità alla struttura dell’ONU; dall’Eurasia come culla della civiltà umana all’interconnessione tra BRI, SCO e INSTC; dai pericoli nucleari a quella penisola periferica dell’Eurasia “accecata dall’idea che gli Europei siano migliori degli altri”, il discorso ha evidenziato, in stile Brueghel, un quadro della “pietra miliare storica” che abbiamo di fronte, nel bel mezzo del “decennio più pericoloso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.”

Putin si è persino spinto a dire che, secondo le parole dei classici, “la situazione è, in una certa misura, rivoluzionaria” poiché “le classi superiori non possono e le classi inferiori non vogliono più vivere così”. Quindi tutto è in gioco, perché “il futuro del nuovo ordine mondiale si sta delineando davanti ai nostri occhi.”

Al di là di uno slogan accattivante sui giochi dell’Occidente, “sanguinosi, pericolosi e sporchi”, il discorso e gli interventi di Putin alla successiva sessione di domande e risposte dovrebbero essere analizzati come una visione coerente di passato, presente e futuro.

Qui proponiamo solo alcuni dei punti salienti:

– “Il mondo sta assistendo al degrado delle istituzioni mondiali, all’erosione del principio della sicurezza collettiva, alla sostituzione del diritto internazionale con le ‘regole.’ “

– “Anche all’apice della Guerra Fredda, nessuno negava l’esistenza della cultura e dell’arte dell’avversario. In Occidente, ora, ogni punto di vista alternativo è dichiarato sovversivo “

– “I nazisti bruciavano i libri. Ora i padri occidentali del ‘liberalismo’ mettono al bando Dostoevskij.”

– “Esistono almeno due ‘Occidente.’ Il primo è tradizionale, con una ricca cultura. Il secondo è aggressivo e colonialista.”

– “La Russia non si è mai considerata e non si considera un nemico dell’Occidente. La Russia ha cercato di costruire relazioni con l’Occidente e la NATO – per vivere insieme in pace e armonia. La loro risposta a ogni cooperazione è stata semplicemente un ‘no.’ “

– “Non abbiamo bisogno di un attacco nucleare all’Ucraina, non ha senso – né politico né militare.”

– In parte la situazione tra Russia e Ucraina può essere considerata una guerra civile: “Quando avevano creato l’Ucraina, i Bolscevichi l’avevano costituita con territori primordialmente russi – le avevano dato tutta la Piccola Russia, l’intera regione del Mar Nero, l’intero Donbass. L’Ucraina si è evoluta come uno Stato artificiale.”

– “Ucraini e Russi sono un unico popolo – questo è un fatto storico.

L’Ucraina si è evoluta come uno Stato artificiale. L’unico Paese che può garantire la sua sovranità è quello che l’aveva creata: la Russia.”

– “Il mondo unipolare sta per finire. L’Occidente non è in grado di governare il mondo da solo. Il mondo si trova ad una tappa storica prima del decennio più pericoloso e importante dalla Seconda Guerra Mondiale.”

– “L’umanità ha due opzioni: o continuiamo ad accumulare il fardello di problemi che sicuramente ci schiaccerà tutti, o possiamo lavorare insieme per trovare soluzioni.”

In mezzo ad una serie di discussioni coinvolgenti, al Valdai il cuore della questione è il suo rapporto del 2022, “Un mondo senza superpotenze “

La tesi centrale del rapporto – eminentemente corretta – è che “gli Stati Uniti e i loro alleati non godono più dello status di superpotenza dominante, ma l’infrastruttura globale che li serve è ancora in piedi.”

Naturalmente tutte le principali questioni interconnesse attualmente al centro del dibattito si sono esacerbate perché “la Russia è diventata la prima grande potenza che, guidata dalle proprie idee di sicurezza ed equità, ha scelto di rifiutare i benefici della ‘pace globale’ creata dall’unica superpotenza.” Beh… non proprio “pace globale” piuttosto un’etica mafiosa del “o la borsa o la vita”.

Il rapporto caratterizza in modo assai diplomatico il congelamento delle riserve d’oro e di valuta estera della Russia e lo “smantellamento” delle proprietà russe all’estero come “giurisdizioni occidentali,” “se necessario” guidate “dall’opportunità politica piuttosto che dalla legge.” Si tratta, in realtà, di un vero e proprio furto, all’ombra dell’“ordine internazionale basato sulle regole.”

Il rapporto – ottimisticamente – prevede l’avvento di una sorta di “pace fredda” normalizzata come “la migliore soluzione oggi disponibile” – riconoscendo che almeno questo è tutt’altro che garantito, e che non fermerà la totale ricostruzione del sistema internazionale su nuove basi.”

La base per l’evoluzione del multipolarismo era stata infatti presentata dal partenariato strategico Russia-Cina solo tre settimane prima che le provocazioni imperialmente ordinate costringessero la Russia a lanciare l’Operazione militare speciale (OMS).

Parallelamente, i lineamenti finanziari del multipolarismo erano stati proposti almeno dal luglio 2021, in un documento scritto congiuntamente dai professori Michael Hudson e Radhika Desai.

Il rapporto del Valdai riconosce opportunamente il ruolo delle medie potenze del Sud globale che “esemplificano la democratizzazione della politica internazionale” e possono “agire come ammortizzatori durante i periodi di sconvolgimento.” Si tratta di un riferimento diretto al ruolo di protagonisti dei BRICS+.

Nel quadro generale dello scacchiere, l’analisi tende a diventare più realistica se si considera che “il trionfo dell’unica vera idea rende impossibile per definizione un dialogo e un accordo efficaci con i sostenitori di opinioni e valori diversi.”

Putin vi ha alluso più volte nel suo discorso. Non c’è alcuna prova che l’Impero e i suoi vassalli si discosteranno dal loro unilateralismo normativo imposto.

Quanto al fatto che la politica mondiale stia iniziando a “tornare rapidamente ad uno stato di anarchia costruito sulla forza” è evidente: solo l’Impero del Caos vuole imporre l’anarchia, poiché ha completamente esaurito gli strumenti geopolitici e geoeconomici per controllare le nazioni ribelli, a parte lo tsunami delle sanzioni.

 

Quindi il rapporto ha ragione quando identifica che il sogno infantile neo-hegeliano della “fine della storia” è andato a sbattere contro il muro della Storia: siamo tornati allo schema dei conflitti su larga scala tra centri di potere.

Ed è anche un fatto che “cambiare semplicemente l’‘operatore’ com’era successo nei secoli precedenti” (come gli Stati Uniti quando avevano preso il posto della Gran Bretagna) “non funzionerà.”

La Cina potrebbe nutrire il desiderio di diventare il nuovo sceriffo, ma la leadership di Pechino non è assolutamente interessata.

 E anche se ciò accadesse, l’egemone (USA) si opporrebbe ferocemente, poiché “l’intero sistema rimane sotto il suo controllo (soprattutto la finanza e l’economia).”

Quindi l’unica via d’uscita, ancora una volta, è il multipolarismo – che il rapporto caratterizza, piuttosto vagamente, come “un mondo senza superpotenze,” ancora bisognoso di “un sistema di autoregolamentazione, cosa che implica una libertà d’azione molto maggiore e la responsabilità per tali azioni.”

Nella Storia sono successe cose più strane. Allo stato attuale, siamo immersi nel vortice di un collasso totale. Putin ha in effetti centrato il punto in cui ci troviamo: sull’orlo di una rivoluzione.

(A completamento dell’articolo aggiungiamo un video con la sintesi del discorso di Putin al Valdai Club, ottimamente doppiato da Massimo Mazzucco. Il testo integrale lo potete trovare sul sito di La Casa del Sole).

(Pepe Escobar - strategic-culture.org/news/2022/10/28/putin-situation-is-to-certain-extent-revolutionary/) - (comedonchisciotte.org/putin-la-situazione-e-in-una-certa-misura-rivoluzionaria/)

Truffa al Fisco Italiano per 1,2 miliardi:

la Guardia di Finanza indaga Pfizer.

Conoscenzealconfine.it – (1° Novembre 2022) – Redazione – ci dice:

 

Una verifica fiscale condotta da Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate è ancora in corso nei confronti della multinazionale del farmaco Pfizer.

L’accusa, secondo quanto riportato in anteprima dal media finanziario americano Bloomberg, sarebbe quella di aver evaso 1,2 miliardi di euro di tasse in Italia, distraendo i fondi a capo della divisione italiana della multinazionale, la Pfizer Italia Srl, verso altre divisioni estere negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi.

Il periodo sotto indagine sarebbe quello relativo agli anni 2017, 2018 e 2019. In questi tre anni di esercizio – quindi antecedenti agli incassi ottenuti dal vaccino anti Covid – la multinazionale farmaceutica che ha il proprio quartier generale a Manhattan, New York, avrebbe sistematicamente trasferito i ricavi generati dal mercato italiano, e fatturati dalla Pfizer Italia Srl, verso le controllate Pfizer Production LLC e Pfizer Manifacturing LLC con sede nel Delaware (USA) e nei Paesi Bassi, per evitare di pagare allo stato italiano le tasse sui profitti.

La notizia al momento non è stata commentata ufficialmente né dal colosso farmaceutico, né dalle autorità italiane. Tuttavia una portavoce della multinazionale ha confermato le indagini in corso a Bloomberg, provando – come prevedibile – a derubricarle a questioni di routine. “Le autorità fiscali italiane controllano e indagano regolarmente sulle tasse Pfizer e Pfizer collabora con tali controlli e indagini – ha affermato la portavoce Pam Eisele – Pfizer è conforme alle leggi e ai requisiti fiscali italiani”.

Naturalmente il fatto che una indagine sia stata avviata non significa automaticamente che sarà riscontrato un illecito, ma evidentemente Guardia di Finanzia e Agenzia delle Entrate intendono vederci chiaro.

La divisione italiana di Pfizer impiega circa 2.000 persone. L’azienda dispone di uno stabilimento nelle Marche centrali, dove produce pillole per il cancro e per i disturbi del sistema nervoso, e uno a Catania che produce farmaci iniettabili sterili come gli antibiotici.

(lindipendente.online /2022/10/27/truffa-al-fisco-italiano-per-12-miliardi-la-guardia-di-finanza-indaga-pfizer/)

 

 

 

Tornano i padroni di Davos: tutto

quello che stanno orchestrando,

il vero obiettivo della loro agenda.

Radioradio.it - Diego Fusaro – (26 Maggio 2022) – ci dice:

 

Si sta svolgendo, in questi giorni sulle alpi svizzere, il celeberrimo o forse sarebbe meglio dire famigerato forum di Davos. Noto anche come il “World Economic Forum”, presieduto dal suo fondatore Klaus Schwab, è un consesso nel quale si ritrovano tutti i principali oligarchi del turbo-capitale.

Essi si danno convegno per concertare e stabilire insieme le linee guida del loro programma di azione cosmopolitico.

Vale a dire i soli interessi di classe su scala planetaria.

Ogni anno si danno ritrovo al World Economic Forum di Davos e dopo due anni di convegno a distanza online, quest’anno si sono ritrovati a parlarsi in presenza. Hanno chiarito senza ambagi che la loro potenza è sovrana, che sono essi e essi soltanto a decidere quali devono essere le sorti del mondo.

Ovviamente plasmate secondo il loro interesse di classe.

Tra questi interessi vi è imposizione sicuramente non secondaria, che gli Stati Nazionali non debbano più contare nulla come potenze sovrane in grado di governare l’economia e magari di esprimere in qualche misura la volontà democratica nazionale popolare.

I gruppi dominanti del capitale cosmopolita già da tempo cercano di produrre in ogni guisa la sovra nazionalizzazione e quindi la traslazione dei centri del potere, dai Parlamenti nazionali più o meno democratici a enti sovranazionali sicuramente non democratici.

Come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Centrale Europea, per menzionarne due fra i tanti.

I padroni di Davos stanno insomma orchestrando e dirigendo la globalizzazione unipolare pienamente in coerenza con i loro interessi di classe e tra questi, oltre alla neutralizzazione della potenza sovrana degli Stati come ultimo fortilizio della democrazia e dei diritti sociali, vi è giusto appunto un altro interesse che merita di essere menzionato: i pochi diritti delle classi lavoratrici dei ceti medi vengano spazzati via per sempre, in nome delle superiori ragioni della competitività globale ossia del fondamento precipuo del globalismo neoliberale o, se preferite, per chiamare le cose con il loro nome, del ‘competitivismo no border’ su cui la reason neoliberale intrinsecamente si fonda.

Alle classi dominate e ai popoli, i padroni di Davos chiedono una cosa semplice, ribadita poi con le stesse parole da Klaus Schwab: la resilienza.

Cioè la supina accettazione di tutto questo in silenzio, le classi dominate non devono far altro che subire silenziosamente i desiderata e le decisioni dei gruppi dominanti.

Insomma, il “World Economic Forum”, anche quest’anno si conferma per quello che strutturalmente è.

(Tutto studiato e realizzato astutamente dal ciarlatano Klaus Schwab.Ndr.)

Il consesso in cui i plutocrati di Davos e del mondo intero si radunano periodicamente con un solo obiettivo: quello di delineare al meglio il tabloid de board dei loro interessi e dei modi con cui portarli a compimento.

Quello che più desta inquietudine è il modo con cui i più accettino tutto questo, cioè questa lotta di classe univocamente gestita che ho da tempo appellato “massacro di classe a senso unico”.

I dominati avrebbero le sacrosante ragioni per sollevarsi, insorgere, contestare questo dominio di classe. Invece lo subiscono con resilienza, appunto, come i padroni desiderano.

 Questo è l’apice di quello che Gramsci chiamava la subalternità, cioè subire il proprio dominio senza ribellarsi ma orientandosi anzi con le mappe padronali che giustificano quel dominio presentandolo come giusto e buono o comunque come non trasformabile.

Da accettarsi senza batter ciglio, con resilienza, appunto.

 

 

 

 

USA, SPAVENTOSE E SPUDORATE

MENZOGNE: ECCO LA VERITA’.

  Ilbenevincera.wordpress.com – Redazione – (8 GENNAIO 2021) – ci dice:

 

Ha dell’incredibile il livello raggiunto dai media mainstream di propagare la menzogna.

E, come ben sappiamo, non si tratta di una cosa locale –che già sarebbe gravissimo- relativa ad uno o più stati (come per esempio è accaduto per ben 70 anni nella Russia comunista) bensì è un sistema planetario, una menzogna globale che ha in mano tutto: non gli sfugge più niente.

E, cosa non da poco, dal 2013 ha pure in mano gli uomini che indegnamente sono ai vertici massimi della Chiesa.

La ragazza sorridente che vedete si chiamava Ashly Babbit. Era una pacifica manifestante. È stata uccisa con colpi di pistola al cuore.

Quanto è accaduto le scorse ore a Washington nei pressi di Capital Hill è l’ennesimo episodio di menzogna organizzata: a tutti i livelli e su scala planetaria la narrazione “ufficiale” è spaventosamente menzognera.

 (E con MENZOGNA è stata coperta la crudele ed immotivata UCCISIONE CON UN COLPO SECCO AL CUORE della giovane e pacifica Ashly Babbit!)

Al termine di queste mie note troverete un video in cui un testimone racconta quanto è veramente accaduto nella Capitale Usa ed una serie di articoli che forniscono elementi veritieri per provare a comprendere quello che davvero sta avvenendo negli States.

Infine –ed è il caso di dire “last but not least” – invitiamo i lettori a prendere visione delle Dichiarazioni di Sua Eccellenza Carlo Maria Viganò:

 l’ex Nunzio della Santa Sede negli Usa ben conosce le infinite storture sia del “deep state” che del “deep church” di quella grande ma corrotta Nazione.

Corrotta soprattutto ai vertici istituzionali, finanziari e purtroppo ecclesiali: la vergognosa vicenda dello sporcaccione vizioso e sodomita Mc Carrick è solo la punta di un iceberg infernale che ha oramai avvelenato l’intera Chiesa cattolica americana.

Il professor John C. Rao è un testimone diretto delle vicende di Capitol Hill.

 

 

 

Biden è esausto, ma il deep state Usa regge

Inflazione Biden

 

di Francesco Galietti

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Joe Biden è esausto, ma il deep state Usa regge

Joe Biden è esausto, ma

il deep state Usa regge.

Starmag.it - Francesco Galetti – (1-5-2022) – ci dice:

 

Il presidente Usa non governa ma cerca di assecondare la de-globalizzazione in atto.

Storia di una presidenza complessa nell’articolo dell’analista geostrategico, fondatore di “Policy Sonar” di Francesco Galetti.

Le aspettative riposte su Joe Biden erano alte.

Contribuivano ad alimentarle gli anni trascorsi dallo stesso Biden al Senato (dal 1973 al 2009, un’infinità di tempo), la vicepresidenza al fianco di Barack Obama e un profilo che dalle nostre parti si definirebbe da consumato centrista.

Sul fronte domestico, ce n’era forse abbastanza per mettere fine alla polarizzazione molto marcata della politica statunitense, precipitata da anni in una logica binaria autodistruttiva, in cui nativisti e ‘woke’ si scontrano senza requie.

In Biden, insomma, molti vedevano non tanto un anti-Trump, quanto una figura composta in grado di pacificare un intero Paese e consentire così la riunificazione delle numerose anime dell’Occidente.

Aspettative enormi, andate in parte deluse.

Un aspetto critico è rappresentato dal pallottoliere dei voti di cui Biden ha bisogno per disporre di una maggioranza al Congresso.

Già oggi, Biden pattina sul ghiaccio sottile. Le enormi difficoltà nel nominare ambasciatori in giro per il mondo ne sono forse la testimonianza più vistosa. Le presidenziali Usa che hanno visto prevalere Biden risalgono ormai al novembre del 2020, ma quasi un anno e mezzo dopo in molte capitali del mondo (Roma compresa) non c’è un ambasciatore americano.

 Il vero punto, però, è un altro: a Biden non è finora riuscito il miracolo di arginare l’ala più radicale del suo partito.

 Il gioco, tuttavia, sembra passare ancora una volta dalla capacità dei leader di mobilitare elettorati inferociti, vincendo sul filo di lana elezioni roventi.

La conciliazione degli Usa non è alle viste, Biden non è l’uomo della riappacificazione.

Questo spiega anche il perdurare sulla scena di Donald Trump, convinto di portare a casa la nomination repubblicana nel 2024 e giocarsela nuovamente per la Casa Bianca.

Sul fronte esterno il bottino non può dirsi altrettanto magro, ma gli elementi di preoccupazione non mancano.

Ecco perché.

Con Biden alla Casa Bianca, l’Occidente appare più compatto. A questa sensazione di unità contribuiscono senza dubbio l’invasione russa dell’Ucraina e il sostegno offerto a Mosca dalla Cina.

La stessa Cina, con una torsione autoritaria fattasi vieppiù evidente durante la pandemia Covid, non è più una sirena in grado di ammaliare l’Occidente.

Biden, insomma, è stato il beneficiario di nuove linee di marcia. Tendenze profonde, dinamiche impersonali, che Biden non governa ma in qualche modo cerca di assecondare.

I suoi durissimi giudizi su Vladimir Putin, che Biden già nel marzo del 2021 definì un ‘assassino’, vennero lì per lì derubricati a intemperanze verbali, gaffe di un presidente non sempre attentissimo alle forme, ma possono oggi dirsi azzeccati.

 

Non era Biden che straparlava, bensì una pletora di individui che si ostinava a non voler vedere la realtà per quello che è. Con la de-globalizzazione che procede a tappe accelerate, tuttavia, lo stesso Biden è talora preso in contropiede.

L’Eurasia sta divenendo in men che non si dica un vasto quanto lugubre club di potenze autoritarie, mentre l’Atlantico si sta richiudendo in una sorta di risveglio euro-atlantico che procede a tappe forzate.

 L’Africa, per anni un’autostrada spianata ai colossi di Stato cinesi, è tornato continente conteso tra Occidente e sino-russi. È un mondo nuovo, terra incognita anche per Joe Biden.

A fianco di Barack Obama nei due mandati alla Casa Bianca, Biden ha ben presente la sfida con la Cina ma sembra sorpreso dalla dinamica di tipo accelerato che è in atto.

Ai tedeschi, che gli propongono a mezzo stampa un trattato di libero scambio euro-atlantico, Biden non risponde.

 Esita, forse vuole riportare in vita il complicatissimo accordo TTIP inseguito da Obama, o forse ha altro in mente.

L’incontro con papa Bergoglio, a cui il cattolico Biden teneva non poco, non a sua volta è di chiara lettura.

Può dirsi scongiurato lo sbarellamento del Vaticano di Bergoglio verso la Cina?

Davanti alla Russia che invade l’Ucraina, Biden si mostra risoluto ma non troppo. A dettare la linea della fermezza sono gli apparati militari e di intelligence statunitensi.

Attestati su questa linea (‘l’unica opzione è sconfiggere la Russia sul campo”) sono anche gli inglesi, alleati di sempre e molto attenti a cosa combina Mosca fin dai tempi di Lord Salisbury.

 

Note preoccupanti arrivano dal Golfo. Le monarchie degli emirati e saudite sono sul chi va là, temono che Biden voglia ‘scongelare’ l’Iran e non apprezzano il costante richiamo a valori democratici che considerano destabilizzante.

Anche l’India, sebbene coinvolta nel contenimento della Cina al fianco di Usa, Australia e Giappone, non ne vuole sapere di chiudere i boccaporti con la Russia.

Biden è esausto, ma può contare su Jake Sullivan, il tenace consigliere per la sicurezza nazionale che non fa mai sosta.

Altri esponenti della formidabile burocrazia imperiale a stelle e strisce sono all’opera. È il miracolo del potere americano che si rinnova: non i presidenti che a turno calcano le scene, ma lo ‘Stato profondo ’ che li sorregge.

 

 

 

UKRAINEGATE, COMPLOTTO

DEEP STATE CONTRO TRUMP:

tra i due informatori CIA spunta anche Renzi.

 Gospanews.net - Fabio Giuseppe Carlo Carisio – (9 Novembre 2019) – ci dice: 

 

«Grazie a Dio per il Deep State (Stato Profondo)».

 È questa la lezione propinata dall’ex direttore Cia John E. McLaughlin, alla presenza di John Brennan che ricoprì lo stesso ruolo sotto il presidente Barack Obama, agli studenti della” Schar School of Policy and Government della George Mason University”

La frase conferma l’esistenza di quell’entità nascosta in cui si coagulano poteri forti, massoneria, lobby sioniste, servizi segreti internazionali e apparati militari.

È stata pronunciata dall’ex capo della Central Intelligence Agency, il controspionaggio americano, per commentare l’avvio dell’impeachment contro il presidente americano Donald Trump per l’Ukraine Gate, descrivendo i diplomatici e gli ufficiali dell’intelligence che testimoniano nel caso come “persone che stanno facendo il loro dovere o stanno rispondendo a un livello superiore di chiamata”.

 Tanto che qualcuno di loro ha persino cambiato la sua versione pur di mettere nei guai il presidente: successivamente prosciolto dal Senato, controllato dai suoi sostenitori Repubblicani, come avevamo previsto fin dal primo articolo...

L’intervento dell’ex CIA è stato riportato con risalto solo da Fox News nello spazio di Tucker Carlson e rilanciato da Russia Today che ha rammentato come proprio le impronte digitali di Brennan siano sul Dossier Steele da cui nacque il caso Russia Gate ora al centro di una contro-inchiesta del Dipartimento di Giustizia.

Ma il network di Mosca RT ha anche evidenziato che pochi media hanno dato risalto alla clamorosa affermazione ricordando invece una frase pubblicata in un articolo di opinione del New York Times sulla stessa lunghezza d’onda del pensiero di Laughlin: «Lo stato profondo non è una cabala segreta e antidemocratica. È una raccolta di dipendenti pubblici che cercano di proteggere la Repubblica dagli eccessi del presidente Trump».

L’attuale presidente americano è certamente un criminale internazionale. Lo è per come ha apertamente finanziato gli amici dell’Arabia Saudita nella guerra dello Yemen anche con la fornitura di armi, lo è per come ha portato avanti le operazioni militari finalizzate prima al fallito regime-chance e poi al furto di petrolio in Siria, lo è anche per come ha continuato ad appoggiare l’Ucraina nel suo tentativo di conquista del Donbass, ricco di giacimenti ancora inutilizzati di gas naturali, in mano alle repubbliche separatiste filorusse di Doneck e Lugansk.

L’INCHIESTA SUI BIDEN VOLUTA DA TRUMP.

Ma nello scandalo Ukraine Gate sta dalla parte della ragione: perché ha semplicemente spinto affinché si facesse luce su presunti reati commessi da altri criminali politici peggiori di lui.

 Mi riferisco all’ex vicepresidente americano Joe Biden, ora candidato dei Democratici contro il Repubblicano Trump alle prossime presidenziali del 2020, che sotto la regia dell’ex presidente Barack Obama, proprio ubbidendo al Deep State, ha fomentato e finanziato il golpe di Kiev per la rimozione del presidente della Repubblica filo-russo Viktor Janukovic, da cui è scaturita la Guerra Civile in Ucraina che ha provocato più di 10mila morti, e non è ancora terminata.

Tutti questi morti sono anche sulla coscienza di Biden che nel 2016 ha persino ricattato Kiev affinché non procedesse con l’inchiesta per la nomina del figlio Hunter nel Consiglio di Amministrazione di Burisma, società energetica ucraina con concessioni proprio nel Donbass, minacciando di interrompere i contributi finanziari Usa.

Trump è sotto impeachment proprio per la telefonata del 25 luglio con cui ha sollecitato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ad indagare sul caso dopo aver paventato, con la medesima intimidazione di Biden mai indagato dal Congresso per quello, di ritirare 400 milioni di dollari di contributi, secondo quando sostenuto dalla denuncia ma negato dal presidente.

La vicenda dei Biden è ancora oggetto di attenzione del procuratore generale dell’Ucraina Ruslan Ryaboshapka che si è premurato di chiarire che l’inchiesta era ripartita prima della telefonata e delle visite dell’avvocato di Trump Rudy Giuliani.

Allo stesso tempo l’Ufficio nazionale anticorruzione dell’Ucraina (Nabu) ha avviato un’indagine penale per abuso d’ufficio contro l’ex procuratore generale Yuriy Lutsenko su richiesta del tribunale distrettuale di Solomyansky di Kiev.

 Il sospetto è che questa inchiesta sia in qualche modo collegata proprio alla riapertura del fascicolo Burisma avvenuta prima che Lutsenko desse le dimissioni (il 29 agosto scorso): va però ricordato che il NABU è un’organismo costituito e finanziato in Ucraina proprio dall’amministrazione Obama-Biden.

I DUE WHISTLEBLOWER DELL’IMPEACHMENT.

A Washington è invece Trump ad essere stato posto sotto procedura di impeachment dalla Camera del Congresso, formalizzata nei giorni scorsi coi 232 voti favorevoli dei Democratici (tutti tranne tre) e 196 contrari dei Repubblicani in blocco, nonostante sia palese il complotto dell’intelligence internazionale, o del Deep State per dirla secondo Laughlin, che comincia con il democratico Adam Schiff, finanziato nella campagna elettorale del 2013 da un produttori di armi ucraino emigrato negli Usa che ha fatto molti affari grazie alle forniture per la guerra del Donbass, e culminato con la denuncia di un agente della Cia che si sarebbe vendicato contro la Casa Bianca per essere stato eliminato dal National Security Council (NSC), l’apparato governativo che coordina le attività del controspionaggio internazionale della Central Intelligence Agency, dei servizi segreti nazionali Nsa e della FBI.

 

E’il democratico Adam Schiff, presidente del Comitato di Intelligence della Camera del Congresso Usa.

Secondo alcuni siti americani l’informatore ora sotto protezione, il cosiddetto “Whistleblower”, sarebbe il veterano Michael Barry, ritenuto da vari media uno degli 007 dell’”Assasination Program Cia”, la sezione speciale con licenza di uccidere, attraverso operazioni militari clandestine, anche personaggi eccellenti.

 Ha prestato servizio nell’Aeronautica militare dal 1982 al 1992, anche come agente speciale nel suo Ufficio delle indagini speciali di tale corpo d’armata ed ha operato in Europa.

È stato direttore Senior per l’Intelligence Program del NSC dall’agosto 2017, in sostituzione di Ezra Asa Cohen-Watnick, fino al luglio 2018 quando è stato rimosso per decisione dell’ex consulente di sicurezza della Casa Bianca John Bolton, ed è rientrato nei ranghi della Central Intelligence Agency.

I due funzionari della CIA Eric Ciaramella e John Brennan.

Ma negli ultimi giorni è stato accreditato dai giornali come talpa il nome di un altro funzionario della CIA, quello dell’analista Eric Ciaramella che pur non vantando l’esperienza del suo collega è stato direttore per l’Ucraina nell’ambito dello stesso NSC durante la presidenza Obama quale stretto collaboratore dell’allora direttore CIA John Brennan, e lavorò soprattutto con il vicepresidente Biden proprio mentre il figlio intascava migliaia di euro da Burisma, tramite al società Rosemont Seneca Partners in cui era socio con Devon Archer, stretto collaboratore dell’ex Segretario di Stato John Kerry durante la sua campagna elettorale nei Democratici.

Come si spiega questa apparente contraddizione tra le indiscrezioni riportate dal sito “The Conservative Tree House” che già il 27 settembre menzionava “Barry e Real Clear Investigations” che in un articolo del 10 ottobre scorso ha fatto il nome di Ciaramella?

 Semplicissimo: perché come ammesso dagli stessi avvocati dell’autore della denuncia Mark Zaid ed Andrew Bakaj i whistleblowers sono due…

Ora resta da capire se davvero l’estensore della prima comunicazione sia stato Barry, e quindi Ciaramella sia il secondo informatore, oppure il contrario: ammesso che siano davvero loro gli agenti segreti coinvolti.

IL DOSSIER DI SCHIFF E LE ARMI IN UCRAINA.

Se fosse Barry la prima talpa apparirebbe più chiaro il motivo per cui ha avuto tanta enfasi su alcuni media americani il secondo nome proprio nel momento in cui il presidente del Comitato d’Intelligence della Camera, Adam Schiff ha annunciato di aver cambiato strategia.

Schiff ha infatti disposto che il denunciante rilascerà solo una testimonianza scritta alla Commissione d’Inchiesta della Camera sulla procedura di Impeachment. La diffusione enfatizzata del nome di Ciaramella, tweettato anche da Trump junior, potrebbe forse essere una tecnica di depistaggio dell’attenzione dal più influente e potente Barry.

 

Il contributo da Igor Pasternak ad Adam Schiff – fonte Open Secrets.

In qualsiasi caso emerge da tutti i reportage che la denuncia sarebbe stata maneggiata, rivista o secondo alcuni addirittura impostata dallo stesso democratico Schiff che ne era il destinatario:

un palese conflitto d’interessi ingigantito dalla circostanza che lo stesso presidente dell’HIC (House Intelligence Commitee) nel 2013 ottenne un contributo per la sua campagna elettorale da Igor Pasternak, il proprietario dell’industria di armi americana Worldwide Aeros Corp originario dell’Ucraina, nazione in cui poi ottenne, durante l’amministrazione di Obama e Biden, un appalto per la fornitura di mitragliatori M16, come ben evidenziato da Fox News ed altri media.

 

Igor Pasternak, il produttore di armi di origini ucraine al centro dell’inchiesta di Fox News per i suoi contributi alla campagna elettorale di Adam Schiff.

Ecco perché sempre il sito “The Conservative Tree House”, di evidente impronta repubblicana GOP, riprende un intervento del deputato repubblicano Devin Nunes, membro del Comitato di Intelligence della Camera, e definisce l’UkraineGate il “Dossier Schiff” similare come tipologia al Russiagate:

«Sembra che la rete Lawfare (un sito di intelligence – ndr) abbia costruito il Dossier Schiff e lo abbia consegnato all’agente della CIA alleato Michael Barry per presentare una denuncia formale IC. Questo processo è quasi identico alla rete Fusion-GPS / Lawfare che consegna il dossier Steele all’FBI da utilizzare come prova per la cospirazione della Russia 2016/2017».

In mezzo a questi dossier saltano fuori collegamenti anche con lo SpyGate italiano che ha indotto il procuratore generale William Barr ed il procuratore John Durham, titolare della contro-inchiesta dell’amministrazione Trump sul Russia gate, a venire a Roma per raccogliere informazioni.

 

In un libro l’ex agente CIA a Roma Duane Clarridg rivela le relazioni con il PCI di Giorgio Napolitano.

Proprio Ciaramella, infatti, come rivelato da” Inside Over”, rubrica di geopolitica de Il Giornale, sarebbe l’anello di congiunzione tra l’Ukrania gate e l’ex primo ministro italiano Matteo Renzi, già segretario del Partito Democratico, la cui nomina fu caldeggiata dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (anch’egli PD), ritenuto uno degli attori dell’accordo PCI-CIA ordito nel 1980 dallo stratega Duane Clarridge, capostazione della Central Intelligence Agency a Roma, e poi benedetta dall’immediata visita (una settimana dopo) dello stesso Obama a Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio.

LE ACCUSE PER SENTITO DIRE CONTRO TRUMP.

La cospirazione nel segno Dem da Washington passa per Roma per arrivare a Kiev in quella nuova colonia degli Stati Uniti d’America che è diventata l’Ucraina dopo il golpe e la strage di piazza Euromaidan. Ma, come rivelato da Sean Davis sul Federalist, è stata attuata anche attraverso il cambio del modulo di denuncia di “Divulgazione Preoccupazione Urgente” degli informatori in virtù del quale è scattata la loro protezione.

«Tra maggio 2018 e agosto 2019, la comunità dell’intelligence ha segretamente eliminato l’obbligo per gli informatori di fornire una conoscenza diretta di prima mano di presunti illeciti – scrive Sean Davis sul Federalist come rimarcato da “The Conseravtive TreeHouse” .

La nuovissima versione del modulo di denuncia per informatori, che non è stata resa pubblica fino a dopo che la trascrizione della telefonata del 25 luglio di Trump con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la denuncia indirizzata al Congresso sono state rese pubbliche, elimina il requisito della conoscenza diretta e consente ai dipendenti intenzionati a presentare denunce di informatori anche se non hanno una conoscenza diretta delle prove sottostanti e solo “sentito parlare di [illeciti] da parte di altri”».

Proprio come la segnalazione del whistleblower dell’Ukraine Gate che riferisce per sentito dire… Ma il giornalista investigativo nota un’altra curiosa coincidenza: le caratteristiche del nuovo modulo “Divulgazione della preoccupazione urgente” risultano aggiornate il 24 settembre 2019, alle 16:25, pochi giorni prima che la denuncia contro Trump fosse declassificato e rilasciato al pubblico.

GLI INTRECCI CIA-ITALIA E QUELLI DI SOROS IN UCRAINA.

Vediamo ora più nel dettaglio gli intrecci tra Ucraina, Usa e Italia e i vari attori del Deep International State di cui abbiamo più volte parlato in varie inchieste precedenti che cominciano, tanto per cambiare, dalle operazioni di propaganda del plutarca ungaro-americano George Soros

I forti condizionamenti della Cia nella politica italiana dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia nel 1943 sono ben descritti in precedenti reportage in cui si illustra l’inizio della carriera politica di Bernardo Mattarella, padre dell’ex deputato Pd Sergio, attuale presidente della Repubblica.

Passiamo quindi a tempi più recenti. Nel 2006 il futuro premier italiano Renzi, in qualità di Presidente della Provincia di Firenze, organizza un convegno sui Neocon ed ospita un importante esperto di geopolitica ed intelligence internazionale: il giornalista americano Michael Ledeen, già informatore del Sismi, consulente dell’appena citato Comitato di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca.

Nell’aprile 2007 in Ucraina viene organizzata la prima edizione del convegno internazionale “Kiev Security Forum” da parte dell’”ong Open Ukraine” dell’economista ed avvocato Arseniy Yatsenyuk, che diventerà premier con la benedizione di Obama dopo il golpe 2014: l’evento è finanziato da International Renaissance, braccio ucraino della Open Society di New York di Soros.

Oggi lo stesso forum vanta come sponsor anche il Centro Ricerca Nato e dal Dipartimento di Stato Usa.

Pochi mesi dopo, a giugno, la stessa ong di Soros dà un contributo alla conferenza internazionale Democrazia e Sicurezza organizzata a Praga da “Adelson Institute for Strategic Studies”, la fondazione del sionista americano Sheldon Adelson, grande amico e sponsor di Benjamin Netanyahu, e dalla “Prague Security Studies Institute” (PSSI) che poteva vantare tra i suoi consiglieri anche James Woolsey, ex direttore della CIA (ed ex presidente del Board di Freedom House), e Madeleine Albright, la 64° segretaria di Stato USA e, a tempo perso, presidente del Board di NDI.

 Ci parteciperanno anche il presidente George Bush junior ed Eli Khouri, regista della Rivoluzione dei Cedri in Libano e poi fondatore del colosso mediatico Omnicom Media Group MENA (Medio Oriente e Nord Africa) a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.

MILIONI DAGLI USA AI PARENTI DI RENZI.

Il 27 giugno 2007 la senatrice democratica Hillary Clinton, futuro Segretario di Stato, vola a Firenze per incontrare Matteo Renzi grazie alla mediazione dell’ex Sindaco di Roma Francesco Rutelli, membro dell’Alleanza dei Democratici Americani ed Europei, che l’anno successivo porterà a Washington il suo protetto esponente della Margherita (partito disciolto per un ammanco di 25 milioni euro).

(Ecco l’allora Presidente della Provincia Matteo Renzi, con il ministro e vicepremier Francesco Rutelli e la futura Segretaria di Stato degli Usa Hillary Clinton durante la sua visita a Firenze il 27 giugno 2007.)

Nel 2008 Unicef International di New York stipula un contratto per una missione di aiuto ai bambini etiopi con la società Play Therapy Africa diretta da Alessandro Conticini, fratello di Andrea, cognato del futuro premier Renzi.

 Le erogazioni proseguirono fino a raggiungere la cifra di 3,9 milioni di dollari nel 2013 durante la direzione Unicef di Anthony Lake, un politico democratico americano nominato da Barack Obama che lo propose quale direttore della CIA ricevendo però la bocciatura del Congresso.

I fratelli Conticini sono indagati dalla Procura di Firenze per appropriazione indebita perché quei soldi sarebbero finiti in una società dei genitori di Renzi (poi arrestati per operazioni finanziarie gravitanti intorno a tale società) e sui loro conti alle Seychelles.

Loro si dichiarano innocenti ed incredibilmente Unicef International non ha presentato querela.

Mentre per lo stesso motivo e per un finanziamento ancora superiore pari a 5,5 milioni di dollari la fondazione “Operation Usa” che ha come testimonial la famosa attrice Julie Andrews ha presentato denuncia contro i parenti di Renzi.

È curioso notare come nel Board of Directors di Operation Usa siede Gary Hart, il senatore democratico vicepresidente del Comitato di Sicurezza Nazionale con Obama e divenuto famoso per aver previsto l’attentato aereo dell’11 settembre a New York.

Secondo il magistrato Luca Turco, procuratore aggiunto di Firenze, su 10 milioni di euro di fondi ricevuti ben 6,6 sarebbero stati sottratti….

Mentre dagli Usa piovono milioni di euro per i suoi parenti che finiscono anche nella società di famiglia, Renzi brucia le tappe grazie a campagne elettorali ben orchestrate dalla fondazione Open per circa 6,6 milioni di euro (la stessa somma del presunto ammanco, ma non esiste prova di una minima correlazione al momento): prima viene eletto Sindaco di Firenze nel 2009, quindi segretario del Partito Democratico nel 2013, infine premier il 22 febbraio 2014.

Due giorni prima, nella piazza Euromaidan di Kiev, 70 manifestanti e 17 poliziotti vengono uccisi dal fuoco di cecchini ancora non identificati dalle autorità ma individuati e intervistati dal reporter di guerra Gian Micalessin come mercenari georgiani. Il presidente ucraino Janukovic è costretto a fuggire: il golpe Usa è compiuto!

LE OMBRE DELLO SPYGATE ANCHE SULL’EX PREMIER.

Al Presidente del Consiglio in Italia è affidata l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, ovvero l’Intelligence, che secondo alcune fonti avrebbe svolto un ruolo nella vicenda Spy Gate italiana nella quale si toccano gli scandali Russia Gate e Ukraine Gate, sebbene intrinsecamente anti-podici:

il primo Dossier Steele accusa infatti Trump di essere stato appoggiato dalla Russia, il secondo, da alcuni denominato, Dossier Schiff, sostiene che il presidente americano abbia condizionato il presidente dell’Ucraina che sta portando avanti la guerra civile contro le Repubbliche del Donbass alleate di Mosca.

 Anche un bimbo capirebbe la contraddizione logica… Ma le inchieste proseguono e fanno saltare fuori anche le relazioni di Renzi.

 

 

(L’ex presidente degli Usa Barack Obama accanto all’ex premier Matteo Renzi a Roma nel marzo 2014).

Come riportato dal giornalista Roberto Vivaldelli sul Giornale, secondo George Papadopoulos, l’ex consigliere di Trump «Renzi è stato usato da Barack Obama per attuare questo colpo basso nei confronti di Trump» e ora lo stesso ex premier «rimarrà esposto e a causa di questa storia la sua carriera politica verrà distrutta, così come quella di altri esponenti di sinistra in Italia.

Ritengo impossibile che un’operazione del genere si potesse svolgere senza che il governo dell’epoca ne fosse a conoscenza. Renzi stava prendendo ordini da qualcuno, ed era ben felice di obbedire».

Nel corso dell’intervista Papadopoulos racconta del suo primo incontro con il docente maltese della Link University di Roma, Joseph Mifsud, ritenuto al centro di un complotto dell’intelligence internazionale e svanito nel nulla… Nei giorni scorsi ecco emergere un altro dato a conferma di questi intrighi.

«L’ufficiale della Cia specializzato in Russia e Ucraina, Eric Ciaramella ha collaborato con il Consiglio di sicurezza nazionale dall’estate del 2015, lavorando sotto Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Obama – scrive Inside Over – Ha anche lavorato a stretto contatto con l’ex vicepresidente Joe Biden.

 I registri federali, riporta “RealClear Investigations”, mostrano che l’ufficio di Joe Biden ha invitato Ciaramella a un pranzo di stato nell’ottobre 2016 con l’allora premier italiano Matteo Renzi.

Tra gli altri erano presenti John Brennan e l’allora direttore dell’Fbi James Comey, oltre all’allora direttore dell’intelligence nazionale James Clapper».

L’agente CIA Eric Ciaramella che partecipò ad un pranzo di Stato con l’ex premier italiano Matteo Renzi.

Laureato a Yale, l’analista della Cia parla russo, ucraino e arabo, ha solo 33 anni ma è già stato promosso da John Brennan, direttore sotto l’amministrazione Obama, che come ipotizza Antonio Grizzuti su La Verità, potrebbe essere un legame fra Ciaramella, lo Spy-gate che coinvolge anche l’Italia e l’impeachment contro Trump.

Ecco quindi tutte le ombre del Deep State, pubblicamente ringraziato dall’ex capo della Cia McLaughlin, pian piano prendere un volto mentre pochi si pongono la domanda cruciale su cui si avvita tutta la vicenda Ukraine Gate: ha il diritto il presidente di una nazione straniera di segnalare e sollecitare indagini a carico di un concittadino che, come nel caso dei Biden, potrebbe aver favorito illeciti guadagni per il figlio Hunter in contropartita a finanziamenti di stato del padre Joe?

Se la risposta è sì l’impeachment, destinato a sciogliersi in Senato dove i Repubblicani detengono la maggioranza, non è altro che un tentativo di occultare l’inchiesta riavviata dalla Procura generale di Kiev.

 Se la risposta è no significa che in politica vale ormai tutto e pertanto le ingerenze di Trump sono acqua fresca rispetto alle azioni dei suoi predecessori alla Casa Bianca che hanno sostenuto un sanguinario golpe sfociato in una guerra civile ancora in essere.

La presenza del Deep Stete ormai confermato dalla CIA aleggia anche su altre tremende storie di delitti eccellenti e stragi che vanno dall’assassinio del presidente Usa Abramo Lincoln a quello dello statista democristiano Aldo Moro, di cui riportiamo tutti i precedenti reportage di Gospa News nelle categorie Massoneria – Cospirazioni, Inchieste – Osint e Giustizia – Mafia.

(Fabio Giuseppe Carlo Carisio)

 

 

 

 

 

Pisa. Armi invece di aiuti umanitari.

I lavoratori rifiutano di caricare.

Contropiano.org - Unione Sindacale Di Base – Pisa –(14 -13-2022) – ci dice:

 

Dall’aeroporto di Pisa armi all’Ucraina mascherate da “aiuti umanitari”: i lavoratori rifiutano di caricare gli aerei. Sabato 19 manifestazione convocata dall’USB all’aerporto Galilei.

Alcuni lavoratori dell’aeroporto civile Galileo Galilei di Pisa ci hanno informato di un fatto gravissimo: dal Cargo Village sito presso l’Aeroporto civile partono voli “umanitari”, che dovrebbero essere riempiti di vettovaglie, viveri, medicinali e quant’altro utile per le popolazioni ucraine tormentate da settimane da bombardamenti e combattimenti. Ma non è così!

Quando si sono presentati sotto l’aereo, i lavoratori addetti al carico si sono trovati di fronte casse piene di armi di vario tipo, munizioni ed esplosivi.

Una amara e terribile sorpresa, che conferma il clima di guerra nel quale ci sta trascinando il governo Draghi.

Di fronte a questo fatto gravissimo, i lavoratori si sono rifiutati di caricare il cargo:

questi aerei atterrano prima nelle basi USA/NATO in Polonia, poi i carichi sono inviati in Ucraina, dove infine sono bombardati dall’esercito russo, determinando la morte di altri lavoratori, impiegati nelle basi interessate agli attacchi.

Denunciamo con forza questa vera e propria falsificazione, che usa cinicamente la copertura “umanitaria” per continuare ad alimentare la guerra in Ucraina

Chiediamo:

1) alle strutture di controllo del traffico aereo dell’aeroporto civile di bloccare immediatamente questi voli di morte mascherati da aiuti “umanitari”;

2) ai lavoratori di continuare a rifiutarsi di caricare armi ed esplosivi che vanno ad alimentare una spirale di guerra, che potremo fermare solo con un immediato cessate il fuoco e il rilancio di dialoghi di pace;

3) alla cittadinanza di partecipare alla manifestazione di sabato 19 marzo di fronte all’aeroporto Galilei (ore 15) sulla parola d’ordine “Dalla Toscana ponti di pace, non voli di guerra!”.

 

 

 

 

Soros VS Musk.

Ilconciliatore.it – Ander Norén – (10-10-2022) – ci dice:

 

SOROS RIVENDICA IL DOMINIO IDEOLOGICO SU TWITTER.

Ho salutato con algido disappunto il fatto che TWITTER sia stato acquistato in un sol boccone da Elon Musk un fatto che certo non migliorava l’assetto di un sistema mediatico troppo concentrato!

Anzi confermava la pericolosità del sistema dei media ma la vicenda ha delle derive interessanti.

 

Soros si è addirittura adirato perché uno dei principali canali d’informazione mondiale era sfuggito alla sua personale rete eversiva che in questi anni ha condizionato tutti i media.

Nel video di “Epoch Time” si comprende anche come SOROS stringe i testicoli dei Media e dei Social – ovvero – contro quanti non obbediscono – aizza il cartello ideologico di pacifiche ONG – organizza un boicottaggio pubblicitario preventivo, diramando una circolare a tutti SPONSOR affinché si boicotti chi non segue le rette linee guida ideologiche del Pensiero Unico dominante il Mondo!

Ora permanendo negativo che Elon Musk abbia acquistato TWITTER – Vi basti pensare che fin da subito si è schierato contro la Russia – finanziando addirittura la difesa militare dell’Ucraina.

Dobbiamo però approfittare per raccogliere tra i documenti che formano questo video la prova che le ONG sono una Associazione a delinquere di stampo mafioso intimidatorio se arriva a esprimere un boicottaggio preventivo al nuovo proprietario di Twitter!

Nell’appello ai sottoscrittori si esprime una formale minaccia affinché  Elon Musk non reintegri nel Social quanti sono stati precedentemente emarginati!

Il riferimento a Trump e ai dissidenti boicottati in passato da YOUTUBE Facebook e appunto Twitter è implicito.

Elon Musk ha infatti espresso che intende dare la parola a quanti se la sono vista negare nel recente passato e dovendo propagandare i suoi prodotti e la nuova moneta virtuale – potrà anche ignorare le defezioni di alcuni sponsor intimiditi da Soros e dalle ONG collegate!

 

Non per nulla il 13 maggio Elon Musk ha pubblicato un post su Twitter in cui ha annunciato che Tesla avrebbe smesso di accettare criptovalute come mezzi di pagamento.

Provocando un crollo delle quotazioni del 17% – nessuno poi mi leva dalla testa che il crollo sia stato perfino anticipato (reato di aggiotaggio) dalla dismissione dei 2 miliardi di Crypto valute detenute da Musk.

La Banca centrale cinese ha di seguito assestato un ulteriore duro colpo al mondo delle criptovalute, affondando i bitcoin del 30% – sono stati bruciati fino a 500miliardi di capitalizzazione di mercato! Perdono il 40% Ether, la moneta principale per la rete blockchain di Ethereum e Coinbase. (Tutto questo crollo in 24ore)

Chiara la Manovra di Musk:

abbatto la concorrenza e contestualmente immetto una Criptovaluta sicura ed asseverata il Doge coin!

Normale che dopo tale acquisizione il Deep State USA sia in subbuglio – si palesa infatti un ulteriore ostacolo alla realizzazione del Grande Reset, IV Rivoluzione Industriale o meglio al Nuovo Ordine Mondiale Globalista di ispirazione Neo Nazista!

Declaration for the Future of the Internet.

Il Governo ha infatti subito emanato un documento (PDF) anch ‘esso di intimidazione preventiva e formato un nuovo comitato o ministero della Verità – per condizionare, veicolare e manipolare l’informazione ufficiale verso la mera Propaganda e il Pensiero Unico!

La sua traduzione:

Per chi è coinvolto:

L’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk intossica ulteriormente il nostro ecosistema informativo ed essere una minaccia diretta per la sicurezza pubblica, soprattutto tra quelle già più numerose vulnerabili ed emarginati.

Twitter ha un’influenza smisurata nel plasmare sia il discorso pubblico che l’intero settore standard di governance della piattaforma.

Mentre l’azienda non è certo un poster Child (poster Child è il manifesto per la campagna contro le devianze sociali) per social media sani, negli ultimi anni ha compiuto passi positivi per mitigare i rischi sistemici, aumentando la pressione su “Mi piace” di Facebook e YouTube a seguire l’esempio.

Musk intende potenziare quelle salvaguardie e fornire un megafono per gli estremisti che trafficano in disinformazione, odio e molestie.

Con il pretesto della “libertà di parola”, la sua visione metterà a tacere e metterà in pericolo gli emarginati della comunità, lacerando il tessuto labile della democrazia.

Le organizzazioni sottoscritte ritengono che Twitter dovrebbe continuare a sostenere quelle pratiche che fungono da linee guida per altre piattaforme Big Tech.

Noi invitiamo i migliori inserzionisti di Twitter: a impegnarsi a far rispettare questi standard in quanto non negoziabili requisiti per la pubblicità sulla piattaforma:

1. Tenere conti compresi quelli di personaggi pubblici e politici che erano rimosso per gravi violazioni delle regole di Twitter, come molestie, violenza e condotta odiosa – abbandonare la piattaforma e continuare a farla rispettare la politica di integrità civica insieme alla politica di condotta odiosa.

 

Dal 2020, Twitter ha applicato la sua politica di integrità civica a tutti gli utenti, inclusi gli eletti funzionari.

Le dichiarazioni di Musk a Ted2022 la scorsa settimana indicano che farà   annullare i divieti permanenti ed evitare di consentire contenuti dannosi rimanere sulla piattaforma con il pretesto della “libertà di parola”.

Un capovolgimento delle politiche di moderazione dei contenuti di Twitter, incluso il clima rilasciato di recente impegni, le sue protezioni per le persone transgender e le sue restrizioni altre forme di odio, molestie e violenza sarebbero tossiche non solo per quelle mirato, ma anche per le aziende che fanno pubblicità sulla piattaforma.

2. Oltre alla trasparenza algoritmica, garantire la responsabilità algoritmica, preservare la privacy delle persone e impegnarsi a depolarizzare l’algoritmo.

Considera le implicazioni della visibilità pubblica su vasta scala nell’algoritmo di Twitter e mettere in atto protezioni per impedire ai malintenzionati di giocare con il sistema.

Ascolta gli esperti di privacy e altri la cui esperienza include la protezione comunità discriminate nel dire la verità al potere.

Continua il lavoro del suo team di ricerca interno chiamato “Machine Learning” Etica, Trasparenza e Responsabilità che esamina i potenziali pregiudizi i suoi algoritmi, inclusa la ricerca pubblicata, ad esempio, sul fatto che gli algoritmi che ritagliano automaticamente le foto del profilo contenevano pregiudizi involontari.

3. Continuare l’impegno di Twitter per la trasparenza e l’accesso dei ricercatori.

Twitter si distingue per il supporto ai ricercatori, sia interni che esterni alla società.

Dalla sua API per la ricerca accademica alla sua volontà di farlo pubblicare la critica e le sue conoscenze interne, Twitter ha dimostrato a impegno per la trasparenza e l’accesso per i ricercatori che dà l’esempio per altre società Big Tech e consente la responsabilità.

In qualità di migliori inserzionisti su Twitter, il tuo marchio rischia l’associazione con una piattaforma amplificando odio, estremismo, disinformazione sanitaria e cospirazione teorici.

Sotto la gestione di Musk, Twitter rischia di diventare un pozzo nero di disinformazione, con il tuo marchio attaccato, inquinando il nostro ecosistema informativo in un momento in cui la fiducia nelle istituzioni e nei media è già ai minimi storici.

I tuoi dollari pubblicitari possono finanziare il progetto di vanità di Musk o tenerlo in conto.

Noi ti invitiamo a chiedere a Musk di sostenere questi standard di base della fiducia della comunità e sicurezza e di ritirare le tue spese pubblicitarie da Twitter se non lo sono.

Cordiali saluti.

  

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