DENTRO I PALAZZI DEL POTERE.

 

DENTRO I PALAZZI DEL POTERE.

 

I Palazzi del Potere a Roma.

Lasinodoro.it – Redazione – (10-10-2022) – ci dice:

 

Da secoli e secoli l’Urbe è il centro del potere, un potere che ha trovato “dimora” all’interno di alcuni dei palazzi più monumentali ed importanti della città.

Passeggiando in centro è possibile scorgere, a poca distanza l’uno dall’altro, questi edifici, in grado di raccontare la storia politica e sociale non solo di Roma ma spesso dell’Italia intera.

Vediamo insieme i Palazzi del Potere a Roma.

 

 Palazzo del Quirinale.

Tra questi il più importante, poiché ospita la Presidenza della Repubblica, è il Quirinale, che sorge sull’omonimo colle.

Il palazzo infatti venne costruito nel corso di oltre tre secoli su quella che nel Cinquecento era la vigna di una nobile famiglia e che ben presto, grazie alla posizione strategica, divenne una delle sedi pontificie.

 Molti furono gli architetti e gli artisti che parteciparono alla sua realizzazione:

 la sua bellezza fece sì che lo stesso Napoleone la scelse come sua residenza – sebbene non fece in tempo a recarsi personalmente a Roma – per divenire successivamente la residenza ufficiale dei re d’Italia.

Fu proprio la regina Margherita a promuovere i cambiamenti più importanti al suo interno, trasformando il palazzo in un vero gioiello in stile Luigi XV!

Dal 1948 è sede della più alta carica dello Stato e negli ultimi anni è stato aperto al pubblico in quanto “casa degli Italiani”.

 

 Palazzo Chigi.

All’incrocio con via del Corso, in piazza Colonna, sorge un altro fondamentale palazzo del potere: Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Prima di essere acquistato dallo Stato Italiano nel 1916 per essere destinato inizialmente a sede del Ministero delle Colonie e poi al Ministero degli Esteri, era stato di proprietà di diverse famiglie nobili, tra cui gli Aldobrandini che nel Cinquecento diedero avvio alla sua costruzione e poi ai Chigi, da cui prende appunto il nome, che nel Seicento lo restaurarono quasi completamente.

 

Palazzo Montecitorio.

Adiacente ad esso, in piazza Montecitorio, di fronte allo gnomone di Augusto, vi è la sede della Camera dei Deputati e del Parlamento Italiano: Palazzo Montecitorio.

L’edificio venne costruito nel Seicento per volere della famiglia Ludovisi che incaricò Gian Lorenzo Bernini nella sua realizzazione.

Alcuni anni dopo il palazzo fu destinato da papa Innocenzo XII a Curia Pontificia, sede del Dazio, del Governatorato di Roma e della direzione di polizia ed i lavori di ammodernamento furono affidati all’architetto Carlo Fontana.

 Dopo l’Unità d’Italia venne destinato alle funzioni parlamentari e fu così deciso di affidare i lavori di ampliamento all’architetto Ernesto Basile, esponente di primo piano della stagione liberty italiana, che eseguì importanti interventi costruendo un nuovo edificio alle spalle dell’originale.

 

 Palazzo Madama.

Non lontano dal Pantheon si trova invece Palazzo Madama:

 scelto nel 1871 come sede del Senato del Regno (poi della Repubblica), deve il suo attuale aspetto ai lavori seicenteschi realizzati da Paolo Malucelli, sebbene notevoli trasformazioni furono poi apportate nei secoli successivi, fino all’aggiunta novecentesca su via della Dogana Vecchia.

 L’edificio prende il nome dalla Regina Margherita d’Austria, detta la Madama, che nel Cinquecento ereditò la residenza in quanto vedova di un esponente della famiglia dei Medici, al tempo proprietari di alcuni immobili nella zona.

Alle spalle del palazzo, vi è il meno noto – ma non per questo meno importante – Palazzo Giustiniani, sede di alcuni uffici del Senato e luogo in cui il 27 Dicembre del 1947 venne firmata la Costituzione della Repubblica!

 

 

Si chiudono le porte dei palazzi del potere?

Cari amici della Destra dovete rendervi conto che…

Trucioli.it - Sergio Bevilacqua – (8-12-2022) – ci dice:

 

Ci risiamo? E non dico per scherzare.

C’è la netta sensazione che i palazzi del potere, quatti - quatti

stiano chiudendo le porte.

Sergio Bevilacqua che collabora a trucioli.it, è sociologo clinico progettista dello sviluppo economico e sociale di area vasta presso Enti pubblici e consorzi pubblico-privati.

Allora, che le bugie siano peggio dei silenzi, è certamente vero dal punto di vista morale, ma che, invece, dal punto di vista informativo, almeno una bugia porti un segno, e su quel segno si possa riflettere è altrettanto un dato di fatto…

Invece, il silenzio è soporifero, ti porta al sonno e al deliquio, così interessante per i sistemi antidemocratici.

 

Il dosaggio microscopico dell’informazione sui mass media, può significare 2 cose principali, dai megafoni di Palazzo:

“Ora facciamo i fatti nostri, per cui Voi (chi sia poi questo “supremo voi”, di una settimana estiva di campagna elettorale senza possibilità di voci alternative per i tempi terroristici delle elezioni…), ci avete eletto e Voi non c’entrate più”;

o, nella migliore delle ipotesi, “Fidatevi, che siamo qui per Voi”.

Ma almeno il partito esiste e funziona, nel suo top-down e bottom-up, cioè dal Popolo ai palazzi del potere e viceversa, dal Paese legale al Paese reale

Oppure non funziona nemmeno quello: targhette a iosa, e poi quando parli approfondisci, capisci che i coraggiosi tribuni del popolo sono in folle corsa verso quei palazzi del potere, per chiudercisi dentro il più in fretta possibile, alla faccia del Partito e a quella degli italiani.

Beninteso, male diffuso e soprattutto dove la tradizione del partito non c’è:

non che Fratelli d’Italia soffra di più del M5S o di Calenda/Renzi.

La storia organizzativa di Fratelli d’Italia vede un’origine nel vecchio Movimento Sociale, quello di Almirante e poi anche di Fini.

 Qui non m’interessa la sua ideologia, assolutamente no:

qui svolgo delle considerazioni di carattere organizzativo su quella forza politica e civile che è il Partito nelle Costituzioni democratiche, e constato in velocità che, anche in epoca di partiti organizzati e rispettati (anche troppo, per come davvero si comportavano…) cioè dal 1945 agli anni ’90, il partito della fiamma tricolore era quello messo peggio.

E non per tradizione, che, se mai fosse stata nel partito fascista, non mancava certo di modello, ma certo per le gravi difficoltà indotte dalla limitazione della ricostituzione del disciolto partito fascista evocato dalla Costituzione democratica italiana con ampie giustificazioni storiche e pratiche.

La cautela organizzativa d’antan lo rese di certo struttura molto più fragile delle altre, e non solo per le dimensioni dei vecchi DC e PCI, anche proprio per una “sindrome del covo”, indotto dalle scelte costituzionali.

L’abbraccio liberale finiano del dopo Fiuggi ha liberato la forza politica da quella sindrome e, previa parentesi berlusconiana disastrosa, ha aperto la via allo spirito della destra democratica, di una destra consapevole del proprio ruolo sociale e specificamente societario in democrazia;

 e non tardo liberale, se non per il doveroso riconoscimento dell’individuo, della persona come attore sociale e societario, ma ben consapevole della doverosa subordinazione al meccanismo societario.

Di organizzazioni, cioè, con basso livello di “cagnara”.

E allora il partito viene confuso con gli sbandieratori delle feste medievali:

 chiuse le feste (elettorali) viene cessato il dialogo col popolo, con mille ottime (per loro) scuse per farlo.

Intuisco che la resistenza di improvvisatori, forsennati arrivisti e anche politici di lungo corso reduci e usciti sproporzionatamente forti dalla atomica di Mani Pulite e dalla grottesca e terminale chemioterapia Grillo-Casa/dileggio, disturbi un Partito che li mette quotidianamente di fronte al popolo di cui dovrebbero essere onesti rappresentanti…

E che quindi la realizzazione del vero Partito della Costituzione, cinghia di trasmissione tra Paese reale e Paese legale, che consiste in servizi reali, connessione stabile con i corpi sociali intermedi, sia per valorizzazione dell’esistente che per creazione ulteriore, implichi una riduzione della ebete felicità di essere arrivati a chiudersi nella Kinderheime dorata, dove giocare in 600 col bel puzzle dello Stato italiano…

Ma, cari amici soprattutto della Destra, dovete rendervi rendete conto che

il comunismo non è tutto ciò che limita l’opera del privato, come è stato battezzato opportunisticamente da Berlusconi 30 anni fa, ma c’è anche il buon senso e la organizzazione civile, (e per fortuna c’è notevolissima documentazione storica e filosofica a documentarlo…), si è buttato via il bambino, il Partito, con l’acqua sporca, sia un poco per Mani Pulite, con una cura da cavallo che ha mezzo ucciso l’animale, e coi i falsi profeti, ignoranti e sprovveduti come Grillo e Casaleggio.

Lo Stato è dei cittadini e la cinghia di trasmissione deve essere mantenuta, e i cari deputati e senatori devono mettersi almeno 2 giorni alla settimana al servizio dei cittadini come in UK e poi non contar balle, ma rivolgersi a competenti uffici del partito per le risposte professionali a persone fisiche e giuridiche, gente e aziende.

Se almeno ciò non succede, e prestissimo, non credo davvero che questo Governo possa fare meglio degli altri.

 Sì, un poco di ricambio… Ma molto?

No, pochissimo.

Cervelli di QI più o meno uguali, qualche lavoraccio di differenza, ma sempre da giocare al centro, come ha fatto anche la sinistra nei fatti (Zan sì sì, e poi quasi no, ecc.).

E soprattutto lo stesso distacco dalla gente.

 Perché in Democrazia senza buoni Partiti non c’è buon Governo

(Sergio Bevilacqua)

 

 

 

I TROJAN DI STATO SONO

LA NUOVA ARMA DEL POTERE.

   Thevision.com - GIOVANNI BITETTO - (6 AGOSTO 2020) – ci dice:

 

Nel film “Minority report” si metteva in scena il funzionamento di un’ipotetica divisione di polizia che operava attraverso un meccanismo di prevenzione, sfruttando le capacità di tre gemelli sensitivi.

Oggi, la fantascienza è diventata realtà, e non serve affidarsi alle arti magiche, è sufficiente saper usare gli strumenti tecnologici predisposti per la sorveglianza.

 Il ricorso massiccio alle nuove tecnologie per svolgere le indagini è sempre più diffuso.

Basti pensare a software come PredPol – usato in 60 dipartimenti americani fra cui quello di Los Angeles – che incrocia e analizza i dati su effrazioni e furti con la composizione sociale di un determinato quartiere, così da “prevedere” le probabilità di un crimine in un’area specifica.

Non mancano le polemiche, perché gli algoritmi sono programmati da umani, e sono dunque soggetti all’influenza di pregiudizi che possono essere discriminatori, come l’idea che certi gruppi etnici o ceti sociali siano più inclini a commettere crimini.

Still dal film “Minority Report”.

“Per capire l’autoritarismo moderno dobbiamo mischiare elementi di Orwell e elementi di Huxley,” scrive il sociologo Evgenij Morozov nell’Ingenuità della rete.

“Alcuni credono che solo nelle dittature prevalgano gli strumenti repressivi, e viceversa. In realtà ci sono molte componenti huxleyane nei sistemi non democratici e, al contrario, molte componenti orwelliane in quelli che si credono tali.”

Le componenti orwelliane della nostra società sono rappresentate dagli strumenti di sorveglianza caratterizzati da una tendenza al controllo che opera in maniera preventiva piuttosto che repressiva.

(Evgenij Morozov)

Senza spingerci verso frontiere futuribili come quelle della sorveglianza algoritmica, una delle pratiche investigative oggi più utilizzate dalle forze dell’ordine, anche italiane, riguarda i cosiddetti “captatori informatici”, comunemente conosciuti come trojan.

I trojan sono virus piuttosto comuni che agiscono installando sui dispositivi software che ne aggirano la protezione, per potervi accedere da remoto, o che danneggiano e controllano i dati senza il consenso dell’utente.

 A tutti, prima o poi, è capitato che il proprio computer ne venisse infettato.

 I trojan di Stato possono funzionare in due modi differenti: sotto forma di “online search” oppure come “online surveillance”.

Nel primo caso si tratta di programmi che permettono di copiare dati, tutti o in parte, dal dispositivo infettato.

Nel secondo invece si intende l’attività di acquisizione del flusso informatico che passa attraverso le periferiche – schermo, microfono, tastiera, webcam.

La pericolosità di questi sistemi d’indagine riguarda la sfera della privacy: 

le critiche sottolineano l’incapacità di questi programmi di stabilire cosa sia oggetto dell’attività d’indagine e cosa invece sia lecita attività di tutti giorni:

 il trojan opera quindi una raccolta diffusa e invasiva.

Questo tipo di spionaggio, inoltre, ha potenzialità infinite perché può essere applicato a qualsiasi dispositivo tecnologico: non solo il computer, ma anche il telefono, il tablet, la televisione, l’auto.

Si predispone dunque una continua violazione della privacy dell’utente messo sotto controllo.

Un’invasione così massiccia della vita privata non potrebbe essere legalmente permessa, se non in casi specifici, come avviene già nell’autorizzazione di altri mezzi di ricerca della prova – l’intercettazione, la perquisizione, l’ispezione, il sequestro – regolati dal codice di procedura penale.

Ma le tecnologie di intelligenza artificiale hanno molte potenzialità in più rispetto ai mezzi “tradizionali” e spesso risultano più efficaci.

 Secondo Fabio Pietrosanti, presidente e co-fondatore del Centro Hermes per la trasparenza dei diritti umani digitali,

“Le frontiere verso cui si spinge la profilazione comportamentale degli utenti, grazie alle tecnologie di intelligenza artificiale, sono sempre più preoccupanti soprattutto perché spesso riescono a sfuggire agli interventi regolatori dei garanti privacy.”

Le vicende di cronaca giudiziaria legate ai trojan hanno sollevato molte polemiche.

Dal caso del “Querela”, il trojan installato sul computer di Luigi Bisignani e utilizzato dalle forze dell’ordine come cimice, nell’ambito dell’inchiesta della procura di Napoli sulla P4 nel 2011;

a quello del Remote Control System Galileo, il malware prodotto – fino al 2016, prima che ne fosse revocata l’autorizzazione alla commercializzazione – dall’azienda milanese Hacking Team (HT) e venduto a diversi sistemi governativi nel mondo, tra cui l’Egitto.

Secondo alcune ipotesi sarebbe stato utilizzato dalla “National Defense Council” per accedere al telefono del ricercatore Giulio Regeni.

(Luigi Bisignani)

Eyepiramid è invece il software malevolo alla base di una vasta operazione di cyberspionaggio che i fratelli Giulio e Francesca Maria Occhionero avrebbero sfruttato per introdursi nei dispositivi di personaggi di spicco, con lo scopo di conservarne le informazioni probabilmente a fini di estorsione.

 Nel corso dell’indagine, agli inizi del 2017, è stato emanato un provvedimento di custodia cautelare nei loro confronti, che però sono riusciti a impugnare, lamentando l’inutilizzabilità in sede processuale degli elementi estratti dai loro computer attraverso trojan di Stato.

 La polizia infatti aveva captato i dati in tempo reale mentre il computer si trovava in casa, principalmente attraverso screenshot, e non flussi informatici.

 Dunque, secondo la difesa degli Occhionero le autorità avrebbero superato il limite di controllo informatico previsto dalla legge.

La Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, aprendo di fatto la strada all’utilizzo di questi software anche in caso di delitti ordinari, come hanno sottolineato gli avvocati Giovanni Battista Gallus e Francesco Micozzi.

Il dibattito nato tra i tecnici ha contribuito ad arrivare, lo scorso anno, alla cosiddetta legge Orlando.

Con questo provvedimento, tra le altre cose, si delega al governo di rivedere le regole sulle intercettazioni e, in particolare, sui captatori informatici, lasciando molta libertà ai gruppi investigativi.

  La nuova norma apre la strada all’intercettazione tramite trojan – ovvero all’utilizzo del computer come una cimice – non solo per reati di mafia e terrorismo, ma anche per quelli meno gravi come le molestie e le minacce.

Persino l’Ong britannica Privacy International si è sbilanciata, producendo un’analisi approfondita sui rischi in questione, e chiedendo in un comunicato alle Camere italiane di riportare la normativa in linea con gli standard internazionali di protezione dei diritti umani.

 Lo scopo delle politiche in materia di sicurezza è normalizzare gradualmente queste misure, far sì che non siano più giudicate estreme, ampliandone lo spettro d’azione e il ventaglio di possibilità in cui è lecito utilizzarle.

Così, si erode silenziosamente la sfera della privacy fino a instaurare una forma di controllo onnicomprensiva, che si definisce “preventiva” ma non ha nulla di diverso dalla normale repressione da cui si dice lontana la retorica democratica.

La regolamentazione in materia di diritto informatico è molto in ritardo rispetto alle possibilità del mezzo tecnologico, e non solo in Italia.

In Olanda una legge per impedire la violazione della privacy informatica è stata approvata solo l’anno scorso, negli Stati Uniti il fondatore di Silk Road, Ross Ulbricht, ha basato la sua difesa sulla presunta acquisizione illegale di dati informatici da parte dell’accusa.

Nel clima di confusione e disinformazione che si crea quando si parla di legislazione digitale, l’unico a guadagnarci è lo Stato, che può introdurre misure coercitive senza che queste siano contestate dall’opinione pubblica.

 Anche se lo Stato e le pubbliche autorità dovranno in ogni caso attenersi ai disposti del GDPR e anche della recepita direttiva europea circa il trattamento dei dati personali ai fini di indagine, prevenzione e repressione dei reati, dovremo aspettare ancora molto prima di metterci al passo con i tempi e avere tutte le garanzie necessarie.

Lo ha già fatto la Corte Costituzionale tedesca nel 2008, che ha inaugurato un nuovo diritto costituzionale di “autodeterminazione informatica” o “sicurezza informatica”, davanti all’inadeguatezza dei diritti “classici” di tutelare in modo efficace l’integrità e la riservatezza dei dati telematici.

Si tratta di un ritardo decennale che è indispensabile colmare, prima di tutto, informandosi sulla materia.

(Giovanni Bitetto su Thevision.com)

 

 

 

Covid, i lockdown sono l'arma del potere:

presto in arrivo nuove chiusure.

Affaritaliani.it – Diego Fusaro -Lampi del pensiero- (23 novembre 2021) – ci dice:

La società a venire sarà sempre più plausibilmente una società con lockdown a rocchetto o a yo-yo.

Coronavirus, i lockdown sono la nuova arma nelle mani delle classi dominanti.

 A tal punto che si potrebbe ragionevolmente asserire che il lemma lockdown è la parola chiave della filosofia politica a partire dal 2020, quando fece la sua epifania in relazione all'emergenza epidemica.

Non è difficile immaginare come presto potrebbero arrivare nuovi lockdown di ordine climatico, energetico e di molti altri generi ancora.

La parola lockdown rinvia, come sappiamo, al vocabolario carcerario:

allude alla reclusione forzata nelle celle di massima sicurezza.

Per estensione, dice la nuova tendenza dei gruppi padronali turbo-capitalistici organici al blocco oligarchico a costringere al confinamento domiciliare coatto le masse nazionali popolari.

Il vecchio sogno del potere di paralizzare ogni possibile impeto contestativo è realizzato.

 

La società a venire sarà sempre più plausibilmente una società con lockdown a rocchetto o a yo-yo che dir si voglia, con masse nazionali popolari umiliate, impoverite, disumanizzate, condannate a una vita ridotta a mera sopravvivenza.

(Diego Fusaro (Torino 1983) insegna storia della filosofia presso lo IASSP di Milano (Istituto Alti Studi Strategici e Politici).

 

 

 

 

La nuova Space Force: ecco l’arma

di Donald Trump per conquistare lo spazio.

Repubblica.it - GIANLUCA DI FEO – (26 SETTEMBRE 2020) – ci dice:

 

Il Pentagono dettaglia scopi e organizzazione dei soldati che saranno impegnati a sorvegliare le stelle.

«LE Space Forces devono impadronirsi della scienza e dell’arte della guerra spaziale:

 conoscere perfettamente Keplero e Clausewitz, Maxwell e Sun Tzu, Newton e Liddle Hart».

L’identikit del soldato del futuro prossimo è un ritratto a metà strada tra l’astrofisico e il parà, tra il nerd e il samurai: «Servono agilità, innovazione, audacia».

 Lo ha teorizzato un documento pubblicato poco più di un mese fa, destinato a rivoluzionare la natura dei conflitti: la prima definizione dottrinaria del potere spaziale.

 L’hanno redatto gli strateghi della Space Force, la nuova forza armata autonoma voluta nel 2019 dal presidente Donald Trump con l’ambizione di essere «catastroficamente determinante nelle guerre del domani».

Finora ogni iniziativa è stata accolta con ilarità.

Dal simbolo che imita quello di Star Trek all’adozione di tute mimetiche vegetate («Lo sanno che nella stratosfera non ci sono piante?»)

fino al “phisique du role” del capo, il generale Jay Raymond («Ha un’aria vagamente vulcaniana…»).

Prima ancora che diventasse operativa, Netflix gli ha dedicato una serie satirica, con Steve Carell e John Malkovich obbligati dalla Casa Bianca a mandare “boots on the moon”: fanti sulla Luna per sfidare i cinesi.

Scherzi a parte, le 41 pagine che teorizzano “la supremazia spaziale” sono un testo da brivido.

 Lo introduce una frase di Lyndon Johnson, il presidente dell’escalation in Vietnam: «C’è qualcosa di più importante di ogni arma finale.

 È la posizione finale: la posizione di totale controllo sulla Terra che si trova da qualche parte nello spazio».

Dalla notte dei tempi, le battaglie si vincono conquistando la posizione più alta.

 E ora questo concetto viene declinato nella modernità per occupare la posizione più alta di tutte:

 chi domina le orbite è padrone di qualunque campo di battaglia, in ogni angolo del pianeta. «Lo “space power” è intrinsecamente globale», recita il manuale.

 

Questa la teoria.

Che comincia a essere messa in pratica, partendo dal primo dei cinque pilastri della dottrina statunitense: garantire la sicurezza dei satelliti.

Negli ultimi anni sono stati segnalati esperimenti russi, cinesi, indiani e persino iraniani per distruggere o “accecare” le stazioni orbitanti.

Dalle quali dipendono le comunicazioni intercontinentali, la possibilità di sorvegliare gli avversari e soprattutto il geo-posizionamento: oggi senza le coordinate gps nessuna arma funziona.

Missili, bombe, aerei, navi, tank, persino le pattuglie di incursori in azione dei monti afgani hanno bisogno dei segnali dei satelliti per muoversi e colpire.

Così in una base nel deserto del Colorado è entrata in funzione la Delta-6, un’unità di cyber-combattimento spaziale:

il suo compito è impedire che le trasmissioni dei satelliti americani vengano compromesse e — ovviamente — riuscire a manipolare quelle dei congegni nemici. Nel bunker di Schreiber ben 8.100 militari gestiscono 170 satelliti.

La Delta-6 è una creatura che viene dal passato: dalla pista di Nha Trang ha combattuto i primi duelli elettronici della storia, contrastando i dispositivi con cui nordvietnamiti e sovietici disturbavano le frequenze dei bombardieri B-52.

 Adesso alza gli occhi alle stelle e ripete la stessa missione ma con tecnologie infinitamente più sofisticate.

Che il generale Raymond vuole comprare senza stare dietro alla burocrazia: «Ci sono 65 organizzazioni diverse che se ne occupano.

Dobbiamo unificare gli sforzi del Pentagono, riducendo i costi e aumentando la rapidità.

Siamo nella cuspide di un cambiamento tettonico nel concetto di guerra».

Washington ha fretta.

Per quasi un ventennio ha pensato solo alla sfida contro il terrorismo islamico, perdendo terreno nel confronto con le altre potenze.

I piani per la Space Force prevedono entro quattro anni di raggiungere un organico di 18 mila militari.

 Il generale Raymond vuole che gli “space warrior” siano dei «pionieri dotati di creatività e immaginazione»:

 un’armata di «esploratori, innovatori, diplomatici, scienziati, manager ma soprattutto combattenti», con una «comprensione intuitiva della dimensione in cui devono agire».

Piccoli reparti ma altamente qualificati, che si stanno già schierando in tutto il mondo, da Sigonella al Qatar, per presidiare le vedette orbitanti che vigilano sui lanci di missili balistici.

Poi si passerà alla fase due, la più segreta: le armi offensive.

Ci sono test su laser dislocati a terra in grado di mettere fuori uso i satelliti e altri da imbarcare sugli shuttle.

Il punto dolente è proprio questo: gli Usa non hanno più navette.

L’unica è il Boeing X-37 telecomandato che da dieci anni compie voli misteriosi ma è già considerato obsoleto.

 C’è un programma per potenziarlo, con un sistema di guida affidato all’intelligenza artificiale.

Nel frattempo, però, i cinesi lo hanno già copiato: la prima missione si è conclusa due settimane fa.

Segnando l’esordio nello spazio della nuova Guerra fredda.

 

 

 

Il nemico, la paura:

armi utili al potere.

Focus.it – Aldo Cairoli - Focus Storia – (8 settembre 2021) – ci dice:

 

Le radici antiche di un "vizietto" di chi governa: usare la paura come arma politica e di propaganda...

(L'ingresso degli Unni a Roma in un dipinto di fine Ottocento. Di Ulpiano Checa Sanz/WikiMedia)

Paura.

È il più vecchio strumento del potere.

Quando c’è una crisi in vista o ci si trova in un momento di difficoltà sociale e i pilastri di una nazione o di un popolo vacillano, la paura diventa spesso una risorsa da tenere viva, per tenere viva la collettività stessa.

Ma per farlo ci vuole un nemico. Nella storia sono stati molti i nemici che hanno contribuire a rafforzare l'identità dei popoli: a partire dai barbari, il nemico perfetto degli antichi Greci.

 

Comportamento.

Perché avere paura può farci bene?

Alessandro Magno, ritratto nel busto, in soli 12 anni conquistò l'impero persiano.

Nel 480 a.C. i Greci avevano fermata l'avanzata dell'impero persiano durante la decisiva battaglia di Salamina.

IDENTITÀ CERCASI.

Le città greche definivano “barbari” (parola onomatopeica inventata proprio dai Greci) la gente che parlava una lingua incomprensibile.

 E i più barbari tra i barbari erano i Persiani.

Il barbaro era descritto come diverso in tutto: non solo non parlava come i Greci, ma nemmeno mangiava come loro.

 In più, i Persiani erano comandati da un re investito di un potere assoluto e non conoscevano la democrazia.

Nel teatro (che plasmava l’opinione pubblica) e nella storiografia (che era destinata a pubbliche letture) la contrapposizione divenne ideologica e religiosa:

la terra dell’uno (la Persia monoteista e assolutista) minacciava quella del molteplice (la Grecia delle città-Stato politeiste).

 Le pratiche rituali, i miti e tutto ciò che chiamiamo religione greca si assunse così il compito di cementare e celebrare l’identità collettiva greca.

Cultura.

Le 10 cose che fecero grande l'impero romano.

 

INVASIONI O MIGRAZIONI?

I barbari furono gli sparring partner della politica della paura anche per i Romani. Al campionario di accuse i Romani ne aggiunsero una usata in seguito da regni, imperi e governi alle prese con grandi migrazioni:

 i barbari, oltre che brutti e cattivi, erano per definizione anche tanti e inarrestabili.

Gli spostamenti dei nomadi sono descritti dalle fonti romane come una marea che monta a ondate successive: i Celti e i Galli in età repubblicana, i popoli dell’Est in quella imperiale.

 «Questo nonostante la vera minaccia alla pace fossero piuttosto i Romani stessi, che si affermarono con violenze e massacri» sottolinea lo storico Alessandro Barbero.

«Erano i “barbari” ad aver paura dei legionari.

Tanto che alla fine quasi tutti furono romanizzati e integrati nell’impero. L’integrazione fu un modo politico per esorcizzare la paura del diverso».

Eppure la retorica ufficiale continuò a parlare dei presunti sacrifici umani praticati dagli stranieri anche quando ai vertici di esercito e province c’erano ormai molti ex barbari.

(Una carica dei Templari in Terrasanta nel XII secolo, in un’illustrazione moderna).

L’ ordine dei Templari fu fondato nel 1118 (e le regole fissate da San Bernardo) con lo scopo di proteggere le vie di comunicazione con la Terrasanta e custodire luoghi come il Calvario o il Santo Sepolcro.

Si distinsero per la quasi disumana disciplina che li regolava, e per ferocia e la determinazione in battaglia (gli arabi li chiamavano “diavoli bianchi”).

INFEDELI. Quando il cristianesimo divenne religione di Stato (IV secolo) l’identità del nuovo potere si compattò invece non più grazie ai barbari ma grazie agli eretici.

«Gli ariani, in particolare, dal IV-V secolo furono descritti come mostri dopo che la loro dottrina fu bollata come eretica. Il nemico non era più definito su base etnica, ma su base religiosa» dice Barbero.

La demonizzazione era ormai diventata parte di un aperto gioco di potere.

 Non a caso il diavolo, una figura quasi sconosciuta nei primi secoli del cristianesimo, debuttò proprio nel Medioevo.

E con lui altri spauracchi.

 «Fra l’età di Carlo Magno (IX secolo) e il Mille, nelle cronache apparvero “nuovi barbari” da contrapporre alla civiltà cristiana» continua lo storico.

 «I loro nomi erano Vichinghi, Ungari, Saraceni: erano saccheggiatori e, in più, pagani».

Cultura.

Chi erano i templari?

IL NEMICO PERFETTO.

Le crociate non avevano però nel loro mirino solo musulmani e saraceni come comunemente si crede.

Già la prima (1095) fu illuminata infatti dai roghi delle spedizioni punitive contro gli ebrei.

«Tra Medioevo e Rinascimento, un tempo dominato dall'insicurezza, la paranoia collettiva raggiunse l'apice e cercò disperatamente cause all'origine di eventi apocalittici come la peste» continua Barbero.

Serviva un capro espiatorio e gli ebrei sembravano creati apposta per quello. «Furono accusati di avvelenare pozzi e rapire bambini, isolati dalla società di cui erano parte integrante e messi nei ghetti (che prima non esistevano), indicati a dito con l’imposizione di segni distintivi (il colore giallo) e massacrati come untori».

(Locandina del film "Ebreo errante" (1940) film documentario antisemita prodotto e finanziato dal ministero della propaganda nazista.)

Un fenomeno strumentalizzato dalla Chiesa con un potente argomento suggerito ai fedeli: la favola degli ebrei popolo deicida.

Tra ’800 e ’900, quando l’identità delle nazioni europee entrò in crisi (e loro, con il 1914, in guerra) l’antisemitismo divenne uno strumento di propaganda potentissimo, rafforzato dalle teorie razziste.

Nacquero così clamorosi falsi storici preparati a tavolino, come i Protocolli dei Saggi di Sion:

scritti da un gruppo di antisemiti russi legati alla polizia segreta dello zar e pubblicati nel 1903 come un testo concepito in ambito ebraico, prefiguravano la conquista del mondo da parte di una “cospirazione giudaica”.

Cultura.

Gli eventi più sanguinosi della storia.

RICETTA SEMPREVERDE.

 Amplificata dai giornali e dalla radio, poi anche dal cinema e dalla televisione, la demonizzazione del nemico (non solo ebraico) si trasformò in manipolazione di massa con i due conflitti mondiali e con la Guerra fredda, tra gli Anni ’50 e gli ’80.

La ricetta, nell’ultimo secolo e mezzo, è rimasta la stessa.

 Dapprima alimentare il sentimento di insicurezza.

Poi identificare l’obiettivo delle paure: nemici interni che minano la tenuta del Paese.

Un copione sempre uguale che nel 1948 fece sentenziare allo scrittore inglese Aldous Huxley: “Il potere si regge su tre pilastri: paura, nemico, nazione”.

(Articolo di Aldo Cairoli pubblicato su Focus Storia).

 

 

 

Sorveglianza biometrica nuova arma

nella cyber guerra, dall’Afghanistan

all’Ucraina: usi e scenari.

Agendadigitale.eu – Angelo Alù - (1°aprile 2022) – ci dice:

 

Sicurezza Digitale.

A livello mondiale, la proliferazione di tecnologie invasive di riconoscimento facciale rappresenta una strategia non del tutto nuova, spesso utilizzata – soprattutto in epoche recenti – anche per finalità militari.

(Il precedente dell’Afghanistan, gli usi nel conflitto ucraino, le ripercussioni sulla sicurezza di tutti.)

Facial recognition.

Anche l’Ucraina starebbe iniziando a puntare sulla tecnologia di riconoscimento facciale per scansionare i volti dei soldati russi e identificare le migliaia di persone che hanno perso la vita in occasione dei bombardamenti pianificati dal Cremlino, sfruttando le potenzialità – ancora ritenute non del tutto affidabili – della controversa piattaforma Clearview AI (ove sono raccolte oltre 2 miliardi di immagini estrapolate, tra l’altro, anche dai più noti e popolari social media russi).

Questo nell’ottica di predisporre un database aggiornato e completo in grado di selezionare e processare le foto caricate e indicizzate sul web, anche per verificare la presenza di eventuali infiltrati russi, riconoscere i soldati senza bisogno di impronte digitali e intensificare la lotta alla disinformazione mediante la supervisione centralizzata del flusso comunicativo che circola online.

 

L’uso del riconoscimento facciale in zone di guerra.

L’uso del riconoscimento facciale nelle zone di guerra, infatti, consentirebbe all’intelligence ucraina di abbinare le immagini dei soldati russi uccisi in combattimento ai profili dei social proprio grazie all’app biometrica di “Clearview AI”, identificando anche i militari ucraini deceduti dai loro account registrati sulle piattaforme sociali media, per poi inviare i messaggi alle famiglie e consentire loro di recuperare i corpi delle vittime.

Mentre in Ucraina si ricorre a simili servizi digitali per le descritte finalità di monitoraggio, anche in Russia si registra il ricorso sistemico alla tecnologia di riconoscimento facciale, mediante la massiva installazione di un numero crescente di telecamere posizionate in molte città per inquadrare costantemente il flusso di mobilità interno, cercando di reprimere con la costante supervisione esercitata da un invasivo “occhio elettronico”, in funzione preventiva, il dissenso degli oppositori a presidio di prioritarie esigenze di sicurezza nazionale, in nome di una vera e propria “guerra alle bugie” che il Cremlino sta prioritariamente combattendo entro i propri confini territoriali.

 

Si tratta peraltro di una strategia a lungo perfezionata dal governo russo che, da tempo interessato a implementare le potenzialità della biometria di sorveglianza, ha cominciato a intensificare l’utilizzo di telecamere con tecnologia di riconoscimento facciale nei luoghi pubblici inizialmente al fine di multare i trasgressori responsabili di comportamenti vietati in violazione delle norme anti “Covid-19”, oltre a potenziare il sistema di Intelligenza Artificiale nei servizi pubblici, per poi identificare e perseguire i manifestanti dissenzienti con il pretesto di proteggere la sicurezza nazionale.

Per tale ragione, a partire dalla creazione di una banca dati centralizzata di dati biometrici (USB) – gestita da una società statale (recante la raccolta di immagini e riconoscimenti vocali dei clienti di istituti bancari per identificarne l’identità virtuale) – praticamente il database biometrico primario del paese è integralmente posto sotto il controllo del Cremlino e delle autorità pubbliche (Ministero dell’Interno e Servizio di Sicurezza Federale) per qualsivoglia finalità di controllo, selezione e monitoraggio delle relative informazioni.

L’obiettivo è di raggiungere la soglia di 70 milioni di utenti “schedati” con le proprie corrispondenti informazioni personali (visive e sonore) entro il 2024, nel rispetto della regolamentazione legislativa – oggetto di recenti correttivi di riforma – che affida appunto allo Stato la piena responsabilità della relativa gestione per garantirne sicurezza e protezione come necessario presupposto del prospettato intervento di nazionalizzazione che giustifica il processo centralizzato di archiviazione dei dati biometrici associati ai cittadini russi.

L’uso di tecnologie invasive a livello globale.

In realtà, anche a livello mondiale, la proliferazione di tecnologie invasive di riconoscimento facciale rappresenta una strategia non del tutto nuova, spesso utilizzata – soprattutto in epoche recenti – anche per finalità militari.

 

Il patrimonio informativo Usa nelle mani dei talebani.

Emblematico, in tal senso, lo scenario che si potrebbe prospettare dopo la presa del potere da parte dei talebani, a seguito del ritiro delle forze della coalizione filo-americane che hanno lasciato nel territorio afgano non solo una serie di armi da fuoco e veicoli vari ma anche strumenti high-tech, tra cui scanner biometrici e computer con database di alleati e nemici.

Si tratta di dispositivi di cui l’esercito militare ha usufruito per rintracciare terroristi e altri insorti, processando migliaia di dati biometrici sugli afghani, già ai tempi in cui è stato possibile identificare Osama bin Laden durante il raid del 2011 nel suo nascondiglio pakistano.

Tale strategia di intelligence, risalente alle operazioni belliche avviate in Afghanistan e Iraq già nei primi anni del 2000, ha determinato l’implementazione di set di strumenti automatizzati biometrici e di attrezzatura per il rilevamento dell’identità tra le agenzie che prevedono l’installazione di lettori di impronte digitali, scanner dell’iride e fotocamere in grado di processare le foto del viso e abbinarle alle voci nei database militari e nelle liste biometriche, consentendo di verificare se un individuo risulta segnalato nel sistema come sospetto.

Con il passare degli anni il database ha accumulato circa 4,8 milioni di set biometrici di persone in Afghanistan e Iraq, grazie a dispositivi di intelligence biometrica o di cyber intelligence per identificare e rintracciare gli insorti mediante uno screening profilato biometrico che registra le scansioni dell’iride, le impronte digitali e le foto digitali del volto di “persone di interesse” in Afghanistan, perseguendo l’obiettivo di raccogliere informazioni dettagliate sull’80% della popolazione afgana.

Tale patrimonio informativo è passato ora nella disponibilità dei talebani che potrebbero essere avvantaggiati dalle potenzialità tecnologiche di un sistema in grado di individuare e neutralizzare gli attacchi esterni e l’eliminazione di avversari interni al regime.

La tecnologia HIIDE.

I talebani hanno, infatti, sequestrato tali dispositivi biometrici militari dotati di tecnologia HIIDE, che potrebbero facilitare l’identificazione degli afghani che hanno supportato le forze della coalizione, grazie all’utilizzo di apparecchiature di rilevazione dell’identità, scansioni dell’iride e impronte digitali, contenenti informazioni utilizzati per accedere a grandi database centralizzati gestiti dal Pentagono con l’obiettivo di raccogliere dati biometrici sull’80% della popolazione afghana per individuare terroristi e criminali, compresi i dati biometrici anche dagli afgani che assistevano gli sforzi diplomatici, oltre a quelli che lavoravano con i militari.

Molti afghani temono che i documenti di identità e le banche dati contenenti dati personali, che hanno cercato di nascondere per distruggere le prove della loro identità associata ad organizzazioni filo-statunitensi, rappresentino una vera e propria “condanna a morte” per un elevato numero di persone giustiziate dai talebani.

Sebbene sia stata esclusa l’esistenza di una “lista dei morti”, il rischio di possibili ritorsioni, uccisioni e vendette trasversali da parte dei Talebani nei confronti della popolazione afgana non allineata alla matrice ideologica del regime resta alto, e ancor più pericoloso per la disponibilità, nelle mani dei talebani, dei dispositivi biometrici militari statunitensi che potrebbero aiutare a scoprire persone che hanno lavorato con le forze internazionali.

Si teme, infatti, che le informazioni raccolte vengano utilizzate per identificare i collaboratori statunitensi e attaccare cittadini, come peraltro già accaduto nel 2016, quando gli insorti, nella città afgana di Kunduz, avevano utilizzato un sistema biometrico del governo per verificare se i passeggeri degli autobus fossero membri delle forze di sicurezza.

Ripercussioni etiche sulla sicurezza e sulla tutela della privacy.

Alle implicazioni prettamente belliche legate alla preoccupazione di un uso politicamente discutibile da parte dei talebani del database tecnologico ereditato dall’ormai deposto governo afgano, si aggiungono ulteriori ripercussioni etiche sulla sicurezza e sulla tutela della privacy a fronte della rilevante mole di dati tracciati e archiviati su milioni di afgani, come rilevato anche da un’indagine delle Nazioni Unite.

Oltre all’uso di dati biometrici per scopi di sicurezza, i database, sviluppati anche per ulteriori finalità quotidiane di monitoraggio dei procedimenti giudiziari, dei flussi occupazionali e per la sicurezza delle elezioni, contengono rilevanti dati sensibili, anche sull’etnia e l’ e-Tazkira costituente il documento di identificazione elettronico che include dati biometrici , con conseguenti rischi per la privacy.

Le linee guida di Human Rights First.

Per fronteggiare tali pericoli, l’Human Rights First ha pubblicato un elenco di linee guida (disponibili in lingua inglese, pashtu e dair), su come eludere il riconoscimento basato su dati biometrici, pur consapevole che bypassare il controllo della tecnologia sia davvero difficile e rischioso.

Secondo il citato documento, “il modo migliore per aggirare il riconoscimento facciale è guardare in basso” per evitare di essere inquadrato da una telecamera di qualsiasi tipo e in qualsiasi momento.

Un ulteriore tecnica consiste nell’alterare il maggior numero possibile di caratteristiche strutturali del viso, aggiungendo dettagli che possono cambiare la forma, o indossando cose che le oscurano anche con strati di trucco, oppure ancora nel distorcere la struttura facciale, usando principalmente i muscoli delle guance e della fronte.

Pur nell’incertezza sull’effettivo possibile uso di tali strumenti biometrici che dipenderà dalla capacità tecnologica dei talebani, i quali potrebbero anche non essere in grado di accedere ai dati biometrici raccolti (come sembra sostenere il Dipartimento della Difesa Stati Uniti), esiste il rischio reale di una “cyber-guerra” su scala globale aperta anche ad altri attori politici.

I talebani, ad esempio, potrebbero avvalersi del supporto dell’agenzia di intelligence di forze alleate per potenziare il sistema biometrico al fine di realizzare un’imponente archiviazione di massa di dati sensibili e intercettazioni di comunicazioni in grado di compromettere la tutela effettiva dei diritti umani, come nuova preoccupante frontiera di un’insidiosa prospettiva bellica basata su strategie di cyber intelligence biometrica in grado di raccogliere informazioni per finalità militari di contrasto alle forze esterne e agli avversari politici interni.

Conclusioni.

Siamo, quindi, di fronte ad uno scenario basato sull’uso esponenziale della tecnologia di riconoscimento facciale:

 il controllo centralizzato delle informazioni biometriche, giustificato da esigenze di sicurezza pubblica nazionale che prevedono invasive forme di controllo sulla vita delle persone, risulta inevitabilmente esposto a rilevanti rischi per la tutela degli individui, i cui dati potrebbero essere hackerati per svariati crimini informatici associati al crescente fenomeno del cosiddetto “spoofing biometrico”, rendendo così vulnerabili tutti i dispositivi utilizzati, ove risultano memorizzate svariate informazioni registrate dagli utenti.

La raccolta di un’ingente quantità di dati biometrici in grado di tracciare le persone sospettate di essere una potenziale minaccia per la sicurezza, anche nella pianificazione operativa di strategie militari, mira a raggiungere il “dominio dell’identità” per finalità antiterroristiche e contro-insurrezionali.

Si prospetta all’orizzonte l’avvento di un’insidiosa era “orwelliana” su scala globale, con l’inizio di una vera e propria “cyber-guerra”?

(Ndr. Marcello Foa, nel suo illuminante saggio, ha scritto:

“Il principale obiettivo della globalizzazione non riguarda solo l’economia.

Infatti la globalizzazione persegue il trasferimento dei poteri reali verso l’alto e vede di buon occhio l’indebolimento dei poteri nazionali.

D’altro canto mira a omologare i popoli disgregandone l’identità “.)

 

 

 

Uno scudo aereo europeo

è la nuova arma della NATO.

it.euronews.com - Christopher Pilcher & Efi Koutsokosta – (13/10/2022) – ci dice:

 

(Jens Stoltenberg è Segretario generale della Nato dal 2014).

La NATO prende molto sul serio le minacce nucleari della Russia e qualsiasi uso di armi atomiche da parte di Mosca avrebbe gravi conseguenze.

Questo il messaggio principale del Segretario generale dell'Alleanza atlantica Jens Stoltenberg dopo la riunione dei ministri della difesa dei Paesi Nato a Bruxelles.

Il rischio di una guerra nucleare, comunque, non sembra al momento elevato, ha fatto intendere Stoltenberg.

"Le circostanze in cui la NATO potrebbe dover usare armi nucleari sono estremamente remote.

La retorica nucleare della Russia è pericolosa, sconsiderata e sanno che se useranno questo tipo di armi contro l'Ucraina, ci saranno gravi conseguenze.

E sanno anche che una guerra nucleare non può essere vinta e non dovrebbe mai essere combattuta".

Nasce lo scudo aereo europeo.

Con le minacce nucleari sullo sfondo e la guerra in Ucraina davanti agli occhi, la NATO lavora intanto per rinforzare le proprie difese.

14 Paesi europei dell'Alleanza, più la Finlandia che ne farà presto parte, hanno firmato una lettera di intenti per istituire l'European Sky Shield, un sistema congiunto di difesa aerea e missilistica sotto il coordinamento tedesco.

Tra i firmatari, non c'è l'Italia, oltre alla Germania figurano nella lista Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Ungheria, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Slovacchia, Slovenia, Romania, Regno Unito.

I passi avanti della Nato a difesa dei confini orientali.

"Vogliamo costruire un progetto comune nella difesa aerea, sia tramite armamenti di terra che tramite l'aeronautica militare.

Firmando oggi il Memorandum d'intesa, lanciamo questa iniziativa e condividiamo una comune responsabilità per la sicurezza del nostro continente", ha spiegato la ministra della Difesa tedesca Christine Lambrecht.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva dichiarato a fine agosto la sua intenzione di investire in modo massiccio nelle difese aeree, con un sistema realizzato in modo che gli alleati europei della Germania potessero aderirvi.

 

 

 

Ucraina, nuovo appello del Papa:

“Tacciano le armi e chi ha potere

fermi la guerra”.

Il patriarca Kirill: “Russi difendano la patria”.

Ilfattoquotidiano.it – Redazione – (27 APRILE 2022) – ci dice:

 

Ucraina, nuovo appello del Papa: “Tacciano le armi e chi ha potere fermi la guerra”. Il patriarca Kirill: “Russi difendano la patria”.

Il Pontefice chiede ancora il cessate il fuoco e l'impegno dei potenti per porre fine al conflitto.

 Parole diametralmente opposte a quelle del patriarca di Mosca, che nel suo sermone per la Pasqua ortodossa ha espresso posizioni che sostengono lo sforzo bellico di Putin.

Vi chiedo di perseverare nella preghiera incessante per la pace.

Tacciano le armi, affinché quelli che hanno il potere di fermare la guerra, sentano il grido di pace dell’intera umanità!”.

L’ennesimo appello di Papa Francesco per la pace in Ucraina arriva durante l’udienza generale e a tre giorni dalla Pasqua ortodossa che poteva essere l’occasione per un cessate il fuoco e che invece è trascorsa senza che le armi abbiano smesso di riversare fuoco e morte nei territori invasi dalla Russia.

 “Ogni guerra nasce da un’ingiustizia – ha detto il Pontefice – ogni guerra, comprese quelle che a volte si fanno nelle nostre famiglie e comunità, che si combattono o che si fanno in silenzio, anche quelle nascono dall’ingiustizia.

 È triste vedere che l’umanità non riesce a essere capace di pensare con schemi e progetti di pace – ha aggiunto Bergoglio –

Tutti pensiamo con schemi di guerra.

È il cainismo esistenziale. La fratellanza di tutti è di tutti!

E non si concretizza in schemi che trasformino la vita delle famiglie, comunità, popoli, nazione e del mondo” ha sottolineato Bergoglio nel videomessaggio al congresso della leadership cattolica del ministero Ispano, Radici e Ali 2022.

Il Congresso è promosso dal Consiglio Nazionale Cattolico per il Ministero Ispano degli Stati Uniti d’America, e si svolge a Washington D.C. da oggi al 30 aprile sul tema “Voci Profetiche – Essere ponti per una nuova epoca”.

 “Io ho bisogno di pace, tu hai bisogno di pace, il mondo ha bisogno di pace, respirare pace è salutare – ha detto Francesco – Abbiamo bisogno di segni concreti di pace.

 I cristiani devono dare l’esempio.

 Vi chiedo di essere ponti, di creare ponti, di pregare e lavorare per la pace, e non dimenticatevi di pregare per me”.

 Parole, quelle del Pontefice, che si scontrano con la nuova presa di posizione del patriarca di Mosca Kirill, che durante le celebrazioni concomitanti con la Pasqua ortodossa ha espresso posizioni che nulla hanno a che fare con uno spirito di pace e che al contrario sostengono lo sforzo bellico di Putin.

 Il capo della Chiesa ortodossa russa, infatti, ha invitato i connazionali a radunarsi attorno al governo e a non lasciare che centri di potere stranieri rovinino l’indipendenza della Russia.

 “Oggi il nostro popolo ha particolarmente bisogno di unità interna.

Tutto è complicato attorno alla nostra Patria (…).

Pertanto – ha detto Kirill – il nostro popolo oggi dovrebbe unirsi attorno a questo centro storico di tutta la Russia, attorno alla città di Mosca, rendendosi conto che solo nell’unità è la nostra forza, e finché saremo uniti e forti, finché conserveremo la fede nei nostri cuori, finché saremo ispirati dal grande esempio dei nostri predecessori, fino ad allora la Russia sarà invincibile”.

Nel suo sermone dopo la Divina Liturgia presso la Cattedrale patriarcale della Dormizione al Cremlino di Mosca, il patriarca ha ripercorso uno dei cavalli di battaglia della propaganda di Putin, ovvero il tentativo dell’Occidente di distruggere la società e i valori russi dall’interno:

“Oggi molte persone vorrebbero che quello spirito scomparisse – ha ammonito – E perché sia così, è necessario seminare discordia, creare nuovi idoli, attirare l’attenzione su nuovi pseudo valori e trasferire la coscienza umana dalla verticale dimensione della vita, che connette l’uomo con il Dio, all’orizzontale, su cui si collocano tutti i bisogni del corpo umano”.

Il patriarca ha poi notato che la divina liturgia da lui presieduta aveva luogo nella chiesa commemorativa, creata nel XV secolo come segno dell’unificazione delle terre russe, e ha auspicato che gli esempi eroici del passato ispirassero i russi a difendere la patria, “la nostra vera indipendenza dai potenti centri di potere che esistono oggi nel mondo”.

Proprio in occasione della Pasqua ortodossa, Papa Francesco aveva inviato una lettera a Kirill:

 “Caro fratello! Possa lo Spirito Santo trasformare i nostri cuori e renderci veri operatori di pace, specialmente per l’Ucraina dilaniata dalla guerra, affinché il grande passaggio pasquale dalla morte alla nuova vita in Cristo diventi una realtà per il popolo ucraino, desideroso di una nuova alba che porrà fine all’oscurità della guerra”.

Ma i sermoni del patriarca di Mosca continuano ad avere tutt’altro tenore.

 

 

 

Le armi come fondamento

della civiltà umana.

Lafionda.org - Alessandro Alfieri – (18 Maggio, 2022) – ci dice:

 

La crisi ucraina ha riportato in auge il dibattito sulla funzione degli armamenti e sul ruolo del possesso degli arsenali come deterrente nei confronti del nemico.

Quali sono i rapporti tra immaginario, diritto, violenza e armi?

 Al di là di una ingenua rinuncia alle armi, che utilità possiamo trarre da una riflessione di ordine sociologico, antropologico e filosofico sul tema?

(A seguire un estratto di VIDEO WEB ARMI. DALL’IMMAGINARIO DELLA VIOLENZA ALLA VIOLENZA DEL POTERE (Rogas, 2021) di Alessandro Alfieri).

 

“La sociologia intende da sempre spiegare le dinamiche collettive nonché individuali partendo dall’analisi dei contesti storicamente e topograficamente determinati.

 È innegabile che forme determinate come il linguaggio e soprattutto l’immaginario abbiano contribuito a rispondere all’annosa domanda:

sì obbedisce e si mantiene l’obbedienza dei sudditi solo quando la logica della forza impositiva viene trasfigurata nelle forme di vita, ovvero diviene “abitudine” (habitus) del comportamento.

Con l’azzeramento dello iato della coscienza del suddito, ovvero operando nella piena identificazione di comportamento e pensiero, diventa superflua qualsiasi forma esibita di violenza.

 L’obiettivo dei totalitarismi, obiettivo asintotico, è il raggiungimento di tale stato, che può essere conseguito solo insistendo sulla piena identificazione di politica e vita quotidiana, o di politica ed estetica ad esempio.

Qualsiasi principio assume l’autentico valore veritativo e legittimo solo quando non viene riconosciuto neanche più in quanto principio, perché già riconoscere l’autorità del principio significa ammettere, seppure lievemente e allo stato originario, l’incrinatura del cristallo perfetto e della piena identificazione – per questo Pol Pot negli anni Settanta metteva i kalashnikov in mano ai bambini di otto anni affinché li puntassero contro i genitori, perché secondo la sua terrificante e mostruosa convinzione i bambini erano gli unici ancora non totalmente contaminati dal sistema che si voleva annientare, e perciò gli unici a poter aderire totalmente e spontaneamente al nuovo ordine, senza dubbi né domande, con una totale e piena adesione di azione, pensiero, credenza.

Poniamo l’interrogativo in altri termini:

 il potere è stato mai in grado di fare totalmente a meno del controllo concreto delle forze “armate” e delle forze di polizia, e perciò stesso dei tribunali e dei codici legislativi che di fatto hanno valore ed efficacia a partire dalle armi?

A questo punto, si apre lo spazio della dimensione “empirica” e “analitica”: empiricamente, il principio di ragione ci dice che si obbedisce alla legge per paura della sanzione amministrativa.

La paura è l’altra faccia però dell’immaginario, e restiamo ancora lontani dalla svolta radicale sul tema.

L’approccio empirista rileva che il potere si ottiene e si preserva grazie alla forza.

Il passaggio ulteriore e di tipo “analitico”:

la tradizione della filosofia analitica ha ottenuto storicamente particolare rilevanza nell’ambito della logica e dell’estetica, e forse in quello della morale, ma sicuramente la filosofia analitica ha sempre avuto poco da dire a proposito di politica.

Forse perché la politica è tacciata dagli analitici da subito come “metafisica”, proprio per le ragioni che abbiamo descritto fino a questo punto.

Ma chiediamo allora a un analitico: perché esiste il potere?

O ancora meglio, perché tu obbedisci a certe cose e non ad altre?

 Perché riconosci l’autorità, ammettendo che non riconoscere l’autorità significa trarsi fuori dal consorzio umano determinato dal contesto nel quale si vive?

Il filosofo analitico potrà dire che i simboli, i riti, le immagini, il linguaggio sono a fondamento dell’obbedienza e perciò del potere, ma questo lo sostengono “egregiamente” già i sociologi, i fenomenologi, gli empiristi persino.

 Il filosofo analitico ama la radicalità del pensiero, ed è questa radicalità che può essere utile, anche quando si rifiutano i bizantinismi sofistici delle argomentazioni analitiche.

Non è vero che la forza agita è secondaria rispetto all’immaginario, è vero bensì il contrario:

immaginario, simbolismo, ritualità hanno senso solo col sostegno di un esercito che convalidino l’istituzione.

Una massa non si rivolterà contro il potere e i suoi simboli se non armata, e a sua volta alimentata da un’altra serie (avversa alla prima) di simboli e immagini, ma comunque armata (armata anche della non-violenza, sia chiaro).

Per questo che risalire al principio analitico significa flirtare con l’antropologia: cos’è infatti l’esercito?

I militari fanno giuramento di servire le istituzioni, ma non è un caso che le rivoluzioni e il sovvertimento degli ordini costituiti partano sempre da organi militari che violano il giuramento, rinunciando all’obbedienza per un capo e volgendo invece le loro armi a favore di qualcun altro.

Perché a fare un esercito non sono solo “uomini”, ma “uomini armati che sanno usare le loro armi”:

come per i mezzi di produzione della filosofia marxiana, eccolo il nucleo autentico del potere, ovvero le armi.

Chi detiene le armi? Chi le sa usare? E come si pone l’equilibrio tra forze armate opposte, quando esistono?

Avere un’arma più potente, o avere il monopolio della sua capacità d’uso, significa ottenere una posizione di forza;

avere una posizione di forza significa da subito mettere a repentaglio il riconoscimento dell’autorità dominante.

È a questo punto, ma solo a questo punto, allora, che la trasfigurazione diventa simbolica e ci si affida al pensiero, alle idee, alle narrazioni e al desiderio.

 Così, circolarmente, il possesso delle armi diventa il principio analitico che regola i rapporti di forza, l’immaginario è l’elemento intermedio che anima lo spirito del “nuovo esercito” avversario, che poi torna nuovamente all’atto violento nell’insurrezione armata.

L’ “invenzione” o sarebbe meglio dire la “scoperta” della clava, ovvero di un bastone o di un osso come strumento di attacco o di difesa – messo in luce nella celeberrima ellissi temporale di Stanley Kubrick in 2001.

 Odissea nello spazio, dove la nascita dell’umano e della coscienza umana determinate dall’intervento dell’intelligenza aliena si esprime proprio nell’azione violenta e irosa dell’australopiteco che inveisce sulle ossa in maniera furente – assieme all’ “amigdala” (pietra di forma appuntita ottenuta attraverso l’urto con un’altra pietra che scaglia la prima), anticipano di gran lunga la nascita dell’organizzazione politica nonché la nascita delle immagini parietali che segnano il sorgere della sensibilità artistica (disinteressata e de funzionalizzata rispetto alla creazione di strumenti legati a un principio di uso specifico, come appunto le armi).

Quell’animale manchevole e condannato all’incompiutezza che è l’uomo, privo delle protezioni e degli strumenti di difesa di cui dispongono in particolar modo i predatori (artigli e fauci), secondo Arnold Gehlen sopperisce in maniera mai definitiva a tale mancanza strutturale, provando l’esigenza di amplificare tale funzione tecnico-creativa fino a proporzioni distruttive incalcolabili.

La millenaria storia dell’antropologia umana, con le connessioni tra la sviluppo della tecnica e il progresso, non potrebbe in alcun modo escludere un’attenzione specifica all’evoluzione delle armi, fino ad arrivare alla sproporzione infernale tra i mezzi di distruzione di massa e le stesse facoltà cognitive ed etiche dell’uomo.

D’altronde, tale sproporzione non è specifica esclusivamente all’epoca moderna, e neppure all’invenzione delle armi in genere, ma riguarda in senso più ampio l’intero orizzonte di creazione di media da sempre: se i media, ovvero i mezzi, sono protesi dell’uomo, estensioni delle sue facoltà e dei suoi organi originari, da un lato tutti i media sorgono sotto il segno della sproporzione processuale dettata dall’indeterminato e continuo rilancio dell’umano ridefinito eternamente dalle sue invenzioni tecniche;

 dall’altro lato, l’uomo si dimostra sempre arretrato rispetto alle sue invenzioni ed estensioni tecniche, anche perché tutte le tecnologie create dall’uomo possono venire interpretate come “armi”.

Jared Diamond si chiede perché furono gli europei a possedere le armi e le strumentazioni utili al dominio, proponendo una ricostruzione della “sequenza”;

 in prima battuta, l’aggressività si esprime prima ancora della fabbricazione delle armi, e probabilmente la fabbricazione delle armi deriva da una chiara predisposizione culturale – Diamond fa l’esempio degli indigeni moriori, pacifici e innocui, che vennero sopraffatti dai maori, che invece sono notoriamente una civiltà di guerrieri.

La conquista europea dei territori centro e sudamericani dimostrò la superiorità delle strumentazioni militari degli spagnoli sulle popolazioni native prima ancora dell’avvento e della diffusione dei fucili.

Assai più importanti furono le spade, le lance e i pugnali di acciaio, le cui lame robuste massacrarono i poveri indigeni dalle armature intessute. Le mazze primitive usate dagli inca erano in grado al massimo di ferire.

Secondo Pierre Castres, è riduttivo ricondurre in maniera unilaterale l’impulso violento della specie umana alla linea del determinismo biologico:

in realtà lo studio delle società primitive mette in luce come le dinamiche dell’economia primitiva siano strettamente connesse alla predazione, ovvero allo sviluppo dell’aggressività.

Ciò che differenzia la guerra dalla caccia, essendo la prima il “raddoppiamento” della seconda, è infatti proprio l’impulso dell’aggressività:

 la guerra è infatti un carattere sociale e non meramente biologico, e d’altro canto sarebbe sbagliato tentare di risolvere la violenza ancestrale dei primitivi nella prospettiva marxista, dal momento che non si tratta di una “lotta per la sopravvivenza” dettata dalla scarsità dei beni primari perché l’economia primitiva era un’economia di abbondanza.

Guerra e commercio devono essere pensate in rapporto di continuità: al “commercio va ascritta una priorità sociologica in rapporto alla guerra – una priorità in qualche modo ontologica dal momento che si situa proprio nel nucleo dell’essere sociale”.

Castres perciò insiste sulla continuità di guerra e scambio: la prima infatti sarebbe un fenomeno negativo e accidentale rispetto allo scambio, che invece è l’essenza autentica della società primitiva:

“La società primitiva vuole lo scambio: è questo il suo discorso sociologico, che di continuo tende a realizzarsi e si realizza in realtà quasi sempre, salvo in caso di incidenti. È allora che emergono la violenza e la guerra”.

Di fatti, la società primitiva sarebbe pensabile anche senza la guerra ma non senza lo scambio: “La società primitiva è il luogo dello scambio ed anche il luogo della violenza: la guerra appartiene all’essere sociale primitivo nella misura in cui appartiene allo scambio”.

Lo scambio emerge come effetto tattico della guerra, perché è la guerra che determina lo scambio e non viceversa.

 In altri termini, le origini della violenza della guerra precedono l’economia e l’economia è una forma trasfigurata della violenza originaria, una guerra attraverso altri modi.

Questo resta evidente anche ai nostri giorni, se guardiamo ai legami in ambito geopolitico tra guerra ed economia, e a come spesso la “guerra economica” sia un fenomeno preparatorio, conseguente o strettamente connesso alla “guerra effettiva”.

Indebolire economicamente il nemico significa ridurre la sua corsa agli armamenti ovviamente, e d’altronde sanzioni del diritto internazionale come quello dell’embargo evidenziano come per colpire l’economia di un paese sia però necessario che ci sia l’avvallo e la prestazione militare – affinché un embargo sia efficace è necessaria l’adozione di una flotta che sorvegli il confine del paese sanzionato.

Se la legge è reale, concreta, ciò che avvalora la legge cos’è se non l’immaginario?

Ma con l’immaginario esauriamo il processo analitico e decostruttivo della legge stessa?

Quando il Re compare nudo, cosa lo difende se non le armi dei propri cavalieri?

Se “dietro la Legge, che è ‘reale’, che è un’istituzione sociale effettiva, c’è il Signore immaginario, sua fonte e sanzione ultima”, allora si capisce perché il trono dove siede il Re dei Sette Regni nel Trono di spade debba essere composto letteralmente e brutalmente da “spade”: sono le armi che permettono al sovrano di esprimere il proprio potere.

Nell’Anello del Nibelungo di Richard Wagner, non è un caso che le rune della Legge, ovvero i principi degli antichi patti stabiliti tra dio e gli uomini, siano non tanto trascritte su una tavola o su una pergamena, ma siano incise sulla lancia di Wotan, ovvero arma e legge si concretizzano nel medesimo oggetto.

Spesso, dietro l’apparenza le armi neppure ci sono, ed è tutto per l’appunto “immaginario”, perché l’immaginario radicale precede ogni esplicita razionalità;

spesso la realizzazione della libertà passa attraverso lo squarcio nell’immaginario, perché d’altronde cosa è la libertà?

 Il significato della parola di libertà viene rinnovato e ridefinito dall’immaginario radicale che istituisce il nuovo senso predominante, che viene fondato dalla comunità in maniera più o meno spontanea.

Perciò l’immaginario è solo una parte della complessità sociale;

o sarebbe meglio dire, l’immaginario è tutto nel suo movimento di auto-istituzione della società fino a quando mantiene la sua efficacia, perché quando il cristallo si incrina, allora la violenza dall’immaginario si trasferisce all’azione concreta.

 Dalla violenza raccontata, minacciata, ma anche trasfigurata esteticamente, contenuta, persino agita ma “parlata”, si passa alla violenza reale che l’immaginario non sa più contenere.”

 

 

 

Il Caos è l’arma del Potere. 

Giorgiopasian.wordpress.com – (20 gennaio 2022) – Giorgio Pasian -  ci dice:

 

Fin dalle origini l’uomo ha gestito il potere con la clava, lancia, frecce, spada, armi da fuoco, nucleari, batteriologiche, ecc., al fine di dominare e soggiogare ogni essere vivente che striscia sulla terra, uomo in primis (componente del regno animale). Tutto nell’osservanza della Bibbia. [soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra] Genesi 1: 28.

Da che mondo è mondo, la ricerca per scoprire nuove armi di distruzione al solo fine di sottomettere tutti, esseri umani in primis mai si è interrotta e mai si fermerà.

Il virus Covid-19 è la nuova arma ultimamente utilizzata, molto meno costosa di quelle conosciute, utilizzata dal potere per sottomettere e/o schiavizzare l’umanità.

 Ovviamente nessuno saprà mai come, da chi e perché il virus è stato scoperto e messo in circolo nell’intero pianeta, tutto è e rimarrà ignoto, ad esclusione delle menti diaboliche che certe madri partoriranno sempre.

Attraverso il Covid-19 tentano incessantemente di imporre una nuova schiavitù attraverso i vari e confusionari lockdown (confinamento e/o isolamento), parola che ricorda moltissimo la fine fatta dai contrari al fascismo, comunismo, nazismo, ecc…, regimi che hanno privato le genti della libertà.

Oggi, che i tempi sono cambiati i “capi” sono diventati i cani pastore a disposizione del vero padrone del gregge mondiale, “sconosciuto”.

 

Leggi e/o disposizioni dimostrano, con i fatti, il potere esercitato da chi con un misero 3% (rappresentante la coalizione di ben tre partiti – Articolo Uno, Sinistra Italiana, Possibile) governa il paese.

 Con l’occasione, è giusto anche rammentare che il popolo italiano è rappresentato da 945 eletti, assidui frequentatori delle stanze del potere e della facoltosa società ma sconosciuti dalla quasi totalità del popolo.

Popolo governato, salvo E&O, da 9 su 14 prezzolati ministri, più il capo dello stato anche lui mai passato dal voto del popolo italiano.

Popolo che ovviamente raccoglie sempre quello che ha precedentemente seminato.

Le numerosissime proteste dimostrano che le leggi, norme e disposizioni emanate a tamburo battente, senza alcuna considerazione degli effetti, hanno oltrepassato ogni limite della normale sopportazione e comprensione.

Infatti, la sanità essendo totalmente preoccupata e dedicata per i problemi creati dal Covid-19, ha annullato qualsiasi attenzione, cure e interventi chirurgici per altre e più svariate patologie.

Piccoli esempi della attuale gestione della Sanità.

Il 14.01.2021 ore 9,30 circa in TV a mattino 5, viene trasmessa la notizia che a una persona, nel rispetto della legge, è stato vietato di salire sul traghetto dalla Calabria alla Sicilia perché privo di vaccino.

Nel luglio 2021, una prenotazione di “eco” da effettuare entro 60/90 giorni, dopo oltre 150 giorni il CUP comunica l’impossibilità dell’esecuzione e nessuna previsione.

 L’esame richiesto “a pagamento” è stato eseguito due giorni dopo e ironia della sorte, nello stesso ospedale e con lo stesso specialista, tra l’altro stupito dell’odissea poiché senza pazienti quasi tutto il giorno.

Chi sta scrivendo, invalido al 100% e grave per patologia cardiocircolatoria, la visita cardiologica richiesta è stata rinviata a tempo da destinarsi (ignote le motivazioni).

Sono esempi di due pesi e due misure oppure di sproporzionata confusione?

Infatti, nel primo caso il non vaccinato, trattato da untore, non può entrare a contatto con nessuno, nel secondo e terzo caso, come da rifiuto alla prestazione sanitaria, il vaccinato è trattato anch’esso da untore.

 Domanda: con queste leggi e/o disposizioni il politico di turno ha stabilito chi deve vivere e chi deve morire? 

 

Innocenti (?) o falsi allarmismi oppure disposizioni al solo fine di creare Caos?

Quando milioni di cittadini protestano sfidando freddo, pioggia e pericolo, dovrebbero essere degnamente ascoltati, perché evidenziano che qualcosa comincia a incrinarsi.

Anche il TAR del Lazio, come a confermare quanto sopra esposto, ha bocciato l’operato del ministro della sanità Speranza e di conseguenza tutto lo staff di “scienziati suoi collaboratori” sul “paracetamolo e vigile attesa” dimostrando con i fatti la loro incompetenza e/o incapacità?

Altri esempi di dubbia onestà, politica amministrativa e comunicativa.

Premesso che, dai dati degli ultimi anni dell’ISTAT riferiti agli ultimi anni, in Italia la mortalità per varie cause è di circa 650.000 persone all’anno.

Nella pubblicazione dei dati relativi all’anno 2020 il numero delle morti, in Italia, è stato in totale di 746.146, cui circa 100.000 in aumento.

Semplici domande rivolte a chi, ovviamente, non risponderà mai.

Quante sono le persone morte per altre patologie come Tumori, Cuore, Infettive, ecc., per mancanza di assistenza e cure specialistiche, che abilmente e numericamente sono finite nel calderone del Covid-19?

Domanda più che lecita visto che iniziando dal governo Conte è stato impedito di effettuare autopsie e qualsivoglia controllo.

Le richieste di conoscenza presentate alle autorità preposte avranno mai una risposta?

Semplici domande e osservazioni che evidenziano, dai fatti, l’incompetenza e lo sproporzionato allarmismo messo in atto dai nostri pseudo scienziati che, mai hanno avuto due versioni uguali.

La verità è tutta qui? Assolutamente no!

Invito il lettore, ancora una volta, ad ascoltare attentamente il discorso di David Rockefeller all’ONU, di molti anni or sono.

E a riflettere con la dovuta attenzione sulla causa/effetto di tutte le migrazioni che da molti decenni avvengono nel pianeta, Italia compresa.

Per chi ha mente per capire, forse, riesce a comprendere quello che menti occulte stanno preparando da tantissimo tempo (o forse da sempre) nell’indifferenza e/o menefreghismo dell’umanità, ossia il

 NUOVO ORDINE MONDIALE.

Argomento scritto tanti anni or sono in questo blog.

Da che mondo è mondo ogni goccia d’acqua è destinata a giungere al mare, alla stessa stregua ogni energia di queste “occulte” persone è indirizzata e destinata a realizzare quanto progettano.

E il popolo cosa dice?  

Chissenefrega!

E come ripete quel detto: ognuno raccoglie ciò che semina.

 

 

 

È forse il coronavirus

la nuova arma silenziosa?

Bombagiù.it – Anthony Ceresa – (18-2-2022) - ci dice:

L'Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite (ONU) può definirsi totalmente zoppa ed incapace di proteggere l'uomo dalle tante pazzie dei Tiranni.

È forse il coronavirus la nuova arma silenziosa che conduce alla pace eterna e alla rettitudine?

Signori e Signore, potete incominciare a cagarvi sotto (scusate l’espressione ma non trovo un’altra allocuzione più adatta ai tempi che cambiano e ai tanti mascalzoni che non cambiano e continuano a seminare terrore).

L’evoluzione disumana che avanza seminando confusione e paure fra il bene e il male e le continue sofferenze inflitte dal Potere malsano dominante, ci guidano alla ricerca di nuove armi di distruzione di massa possibilmente invisibili e silenziose.

Dopo la scoperta del Nucleare come sommo mezzo di Potere per l’eliminazione di massa di chi alza troppo la voce fra gli scervellati al Potere Mondiale, si rende necessario trovare soluzioni meno rumorose degli esplosivi, per continuare a mantenere o rovesciare chi attualmente concorre malvagiamente e senza meriti al comando del Pianeta.

L’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite (ONU) può definirsi totalmente zoppa ed incapace di proteggere l’uomo dalle tante pazzie dei Tiranni.

Lo studio e la ricerca ci regalano nuove armi elettroniche con controllo a distanza, oppure vari tipi di droghe da sballo per i più deboli, o armi invisibili di morte certa, che si concentrano sulla produzione di nuovi Batteri e Virus quasi sconosciuti, i quali escludono una tempestiva possibilità di difesa.

In verità, è in corso d’opera una gara globale per creare un mezzo atto ad agire sull’ombelico del mondo per ridurre le nascite, perché alcuni Nababbi ritengono che siamo in troppi a spartire il pallone Planetario.

In Europa hanno trovato la soluzione alzando le tasse per ridurre le nascite, mentre in alcune aree del Pianeta come ad esempio in Cina, India e Africa come Nazione e non come Continente, hanno superato il miliardo di esseri in ciascuno Stato, totalizzando circa quattro miliardi di bipedi, e sempre secondo i Nababbi, la terra potrebbe non sopportare il peso sprofondando nell’infinito, per trovarci a tu per tu con gli “ET” (Extra Terrestri).

Forse è dovuto alla paura che i Gialli o gli Abbronzati superino il Potere dominante in fase di declino.

Pensandoci bene, non sarebbe del tutto sbagliato se l’umanità si fondesse in una unica famiglia, un solo Governo, una sola Religione.

Una sola bocca per cibarsi, dove le Leggi sarebbero uguali per tutti, senza privilegi o filosofie spirituali astratte in continuo conflitto, le quali conducono immancabilmente a rivendicazioni e guerre.

Considerando che l’uomo nel corso dei vari millenni non è stato capace di trovare formule matematiche sociali e umanitarie per giungere alla pace interna, ossia alla pace della propria coscienza, o forse meglio quella dell’anima che rappresenta la vita, sarebbe alquanto necessario per la salvezza dell’umanità, naturalmente quella più evoluta scientificamente, sperimentare mezzi idonei ad eliminare le tante mele marce dal paniere Planetario.

Immaginate di entrare in Parlamento o in un Tribunale dove sono ben protetti i produttori del nulla, i quali per tradizione ingrassano sui più deboli, sui lavoratori, e tentare di oltrepassare l’ingresso con un Coltello o peggio con una Pistola oppure una Bomba a mano, per pretendere di diritto la Giustizia negata.

Sicuramente verreste fermati all’istante e incarcerati, mentre se entrate col sorriso portando un virus invisibile di morte per avere subito una ingiustizia, nessuno se ne accorgerebbe ed il cameriere al servizio del Potere corrotto, sarebbe ampiamente servito, spedendolo al creatore con qualche giorno di acuta sofferenza.

Il Virus imperiale con tanto di corna e corona che attualmente sta scombussolando il mondo, diffondendosi in ben 25 o 26 Nazioni, seminando sofferenze e morte, è soltanto una delle tante nuove armi di prova per imporre la Pace e la rettitudine nell’uso del Potere.

Da questa prova di forza, seminando la morte fra le dieci o venti mila malcapitati, molte Nazioni verranno semi distrutte economicamente dal proseguire del Virus, auspicando che alla fine della pandemia infettiva, l’uomo si ravveda con il dovuto rispetto verso i propri fratelli.

Questo Virus denominato della Pace e della rettitudine riuscirà a cambiare il mondo?

Il coronavirus la nuova arma silenziosa che darà vita ad un nuovo sistema di Ordine Mondiale formulato sull’equità, l’etica, eliminazione dell’ebetismo politico, ecologia, economia: ossia riduzione costi e tasse, educazione, efficienza, vivere e non sopravvivere?

Citando come esempio il nostro Paese Italia, che si ritiene erroneamente la culla della cultura, esercitando quella forma di Potere assoluto denominato lo spirito del male, il quale è cento anni avanti su tutti i Partiti di Destra e Sinistra, con tanto di Organizzazione ultra ventennale attraverso un sistema piramidale con Presidenza, Colonnelli, Magistrati, Sindaci, Sindacati, Santoni, tutti scelti dalla cupola Romana che Governa lo Stato come una Organizzazione fondata sulla Sacra Famiglia o la Corona Unita.

 

 

Droni, robot, intelligenza artificiale.

La guerra alla sua terza rivoluzione

Huffingtonpost.it - Alberto Flores – (17 Ottobre 2021) – ci dice:

 

Dopo polvere da sparo e nucleare, è il tempo delle armi autonome.

 Usa in prima fila, ma anche Cina e Russia.

Nascosti in piccole basi militari, senza equipaggio, saranno pronti a decollare, a scansionare ogni singolo chilometro del territorio, ad analizzare le immagini che raccolgono, a identificare e colpire ogni “attività nemica”, si tratti di armi, di soldati, di terroristi.

Saranno in grado di capire se nell’obiettivo preso di mira ci siano o meno civili innocenti, potranno sparare missili ad alta precisione, confermare in tempo reale la distruzione (o l’uccisione) del ‘nemico’.

Per poi tornare alla base senza che sia necessario alcun intervento umano.

Le guerre del prossimo futuro si faranno con l’Intelligenza Artificiale.

Droni, truppe ed armamenti saranno in prevalenza robot dotati di tecnologia sofisticata, in grado di decidere in modo ‘autonomo’ e in pochi centesimi di secondo cosa fare.

Robot che diventeranno sempre più intelligenti, più precisi, più veloci e più economici, auto-perfezionandosi con la stessa rapidità con cui sta avanzando l’intelligenza artificiale.

Capofila di questa ‘rivoluzione della guerra’ sono gli Stati Uniti, prima potenza militare, tecnologica ed economica del pianeta, ma anche Cina e Russia (e altri paesi in misura minore) stanno investendo massicciamente nell’uso dell’intelligenza artificiale in campo militare.

Il Pentagono già spende oltre un miliardo di dollari all’anno per l’Intelligenza Artificiale, cifra che include solo le spese dei bilanci rilasciati pubblicamente dal ministero della Difesa Usa. Altri fondi arrivano da quel 10 per cento di budget del Pentagono che è coperto dal segreto, altri ancora (per centinaia di milioni di dollari) dai conti di diverse agenzie federali.

Si punta molto sui droni, che come per l’aviazione tradizionale sono e saranno determinanti per decidere le sorti di una guerra moderna, ma le forze armate americane hanno già schierato anche navi ‘autonome’ per la ricerca di sottomarini e missili di piccole dimensioni in grado di trovare e distruggere carri armati.

La Cina ha testato lanciarazzi mobili guidati da intelligenza artificiale, sottomarini e altre armi segrete attualmente in fase di sviluppo, la Russia punta sui carri armati e sui missili, Turchia, Israele ed Iran stanno accelerando la conversione robotica per diventare la prima potenza a sfruttare l’intelligenza artificiale in una delle aree a più alto rischio di guerre locali del mondo.

Le armi autonome sono la terza grande rivoluzione nella storia dei conflitti dopo la polvere da sparo e le armi nucleari.

Non sono una novità assoluta perché da decenni sono state usate armi che cercano obiettivi senza diretto controllo umano (i siluri Usa contro gli U-Boot tedeschi i primi) ma quello che è diverso nei sistemi di armi guidati dall’intelligenza artificiale è la natura e il potere del software decisionale.

Fino a poco tempo fa tutti i programmi per computer che venivano inseriti nel sistema di controllo di un’arma dovevano essere scritti da programmatori umani, fornendo indicazioni passo dopo passo per eseguire compiti semplici e limitati.

Oggi, il software si basa su algoritmi di “apprendimento automatico” che scrivono il proprio codice dopo aver analizzato migliaia di esempi reali (missioni portate a termine ma anche insuccessi) e che non assomiglia affatto alla programmazione convenzionale dei computer militari.

 Le armi autonome convenzionali devono essere puntate su obiettivi nemici isolati o facilmente riconoscibili, le armi IA possono essere lasciate libere di sorvegliare o dare la caccia a quasi ogni tipo di obiettivo, decidendo da sole quale attaccare e quando.

È quest’ultimo punto quello che più preoccupa scienziati, analisti politici e militanti per i diritti umani.

Diversi tra loro ritengono i prossimi nuovi arsenali troppo vulnerabili agli errori e agli hacker, cosa che finirebbe per minacciare persone innocenti.

Per altri lasciare che le macchine inizino attacchi mortali da sole non è etico e pone un rischio morale inaccettabile.

 Altri ancora temono che le armi IA diano alle cosiddette “nazioni canaglia” e alle organizzazioni terroristiche la possibilità di modificare a loro vantaggio l’equilibrio globale del potere, portando a più conflitti (potenzialmente coinvolgendo armi nucleari) e più guerre.

Obiezioni che negli Stati Uniti (in Cina e Russia non se le pongono proprio) i vertici delle forze armate respingono così:

l’Intelligenza artificiale ha un duplice scopo, quello (ovvio) di ottenere un vantaggio militare e quello umanitario (molto più pubblicizzato) perché permetterà di evitare i “danni collaterali” che altro non sono che vittime innocenti dovute spesso ad errori umani (circa 2mila civili sono stati uccisi negli attacchi dei droni statunitensi negli ultimi venti anni, 300 di loro sono bambini, secondo il Bureau of Investigative Journalism di Londra).

Dopo il disastroso ritiro dall’Afghanistan gli Stati Uniti sono ancora più riluttanti a impegnare le proprie truppe in altri conflitti, per cui la capacità di attaccare il nemico anche da una distanza molto elevata (e senza soldati) diventa una strategia praticabile e decisiva chiunque sia adesso o nel prossimo futuro alla Casa Bianca.

 

Altro problema (insieme militare ed etico) è che l’Intelligenza artificiale è limitata dalla sua mancanza di ‘senso comune’ e dalla capacità di ragionamento umana.

Per quanto ‘addestrata’ non potrà mai comprendere pienamente le conseguenze delle sue azioni.

 Se nella seconda metà del secolo scorso la guerra nucleare è stata resa impossibile grazie alla deterrenza - qualsiasi paese che inizi un primo attacco atomico rischia la reciprocità e quindi l’autodistruzione - nel caso delle armi autonome il primo attacco a sorpresa potrebbe essere ‘non tracciabile’, innescando rapidamente una risposta e un’escalation molto veloce.

Al Pentagono sono decine gli scenari che vengono ipotizzati per la prima possibile “guerra con Intelligenza Artificiale”.

Scenari molto diversi tra loro con una cosa in comune: le capacità delle armi autonome saranno limitate più dalle leggi della fisica che da una carenza nei sistemi che le controllano.

Come gli americani combatteranno le guerre del futuro nessuno è realmente in grado di prevederlo.

 

 

 

L’internazionale neo-nazista

sogna il potere con le armi della NATO.

    Lindipendente.online – Michele Manfrin – (30 MAGGIO 2022) – ci dice:

 

La presenza di potenti gruppi neonazisti armati in Ucraina è nota almeno dal 2014, documentata oltre ogni ragionevole dubbio.

 Tuttavia dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina la narrazione sui media è profondamente cambiata:

 nell’ansia di glorificare la resistenza di Kiev i battaglioni nazisti sono stati dipinti come nazionalisti o patriottici, definizioni che nascondono e mistificano la portata della questione.

 In verità sono gli stessi protagonisti ad aver rivendicato la propria ideologia in molteplici occasioni, e non è tutto.

Quella che abbiamo ricostruito, attraverso fonti e collegamenti verificabili, è una rete solida e strutturata che connette battaglioni ormai noti come Azov e Pravyï Sektor a centinaia di fazioni alleate in tutto il mondo, da molti stati europei – Italia inclusa – passando per gli Stati Uniti, fino a Canada, Brasile, Hong Kong e persino Israele.

Il filo che lega questi movimenti neofascisti e neonazisti in giro per il mondo forma una vasta rete che ben facilmente potremmo chiamare Internazionale Nera.

L’Ucraina, in questi anni, ha costituito l’epicentro teorico e militare di quella che Olena Semenyaka, l’ideologa di Azov, definisce la “rivoluzione conservatrice mondiale”.

 L’obiettivo, senza mezzi termini, è quello di prendere il potere.

Un intento che nel prossimo futuro i gruppi neonazisti potranno alimentare condividendo le tecniche di combattimento insegnate alle milizie ucraine direttamente dalla NATO e provando a mantenere sotto il proprio controllo una parte dell’immensa dotazione di armi che l’Occidente sta inviando a Kiev.

Se le giornate della memoria non sono mera retorica, dovremmo iniziare a preoccuparci seriamente della faccenda.

 

L’ideologia di Azov: la “rivoluzione conservatrice mondiale”.

Olena Semenyaka, classe 1987, dottoranda in filosofia al momento dello scoppio della “rivoluzione” del 2014, è considerata la first lady del nazionalismo ucraino.

Dopo aver militato in Pravyj Sektor (Settore Destro), dal 2014 al 2015, Semenya, insieme al noto neonazista Andriy Biletsky, nel 2016 ha creato il partito che funge da braccio politico del battaglione Azov, il Corpo Nazionale, e dal 2018 ricopre il ruolo di Segretario Internazionale del Corpo Nazionale.

Andriy Biletsky, leader del Corpo Nazionale, nonché primo comandate del Battaglione Azov e tenente colonnello della Guardia Nazionale, parlamentare ucraino dal 2014 al 2019, soprannominato il “Führer bianco”, nel 2010, quando faceva parte di un’altra formazione della galassia ultranazionalista di nome Patriot of Ukraine, affermò che la missione dell’Ucraina è quella di «guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale contro gli Untermenschen [subumani] guidati dai semiti».

La Semenya ha fatto avanzare il movimento Azov verso una dimensione continentale, abbracciando sia l’Europa orientale che il continente più ampio, riattivando e riadattando il vecchio credo geopolitico dell’Intermarium:

il sogno di una grande confederazione est-europea, abbastanza forte da contrastare Mosca.

Grazie al ruolo ricoperto all’interno di Azov, Semenya ha potuto consolidare fruttuosi legami con altri movimenti nazionalisti europei ed extraeuropei attraverso la piattaforma politica internazionale chiamata Reconquista-Pan Europa, destinata ad ancorare la causa ucraina ad una nuova meta-geopolitica europea, e non solo.

 

Mark Segwick, in Key Figures of the Radical Right: Behind the New Threat on Liberal Democracy (2019), spiega che le pubblicazioni di Semenya contengono riferimenti intellettuali che non sono legati esclusivamente ai tradizionali riferimenti incentrati sulla nazione, come si trova in Stefan Bandera (collaborazionista dei nazisti all’epoca della Seconda Guerra Mondiale), mitizzato dall’estremismo nazionalista ucraino.

Semenya cerca, sempre sulla base della tradizione, di ammantare di un velo più europeo l’ideologia e la cultura nazionalista ucraina.

I suoi riferimenti includono figure tedesche come Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Carl Schmitt e Armin Mahler, così come citazioni della sfera intellettuale francese della Nuova Destra come, ad esempio, Dominique Vener, ex OAS (gruppo paramilitare dell’Organizzazione dell’esercito segreto francese) e fondatore del gruppo Europe Action, e Alain de Benoist, fondatore della Nuova Destra francese (Nouvelle Droite), oltre allo scrittore collaborazionista Pierre Drieu de la Rochelle e il filosofo religioso René Guénon.

 Semenya colloca nella sfera della genealogia tradizionalista comune ai vari movimenti neofascisti e neonazisti anche l’italiano Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola, il quale era convinto della necessità di un “ritorno alla romanità” e sostenitore di una teoria della razza in chiave spirituale.

Il nichilismo attivo e la terza via tra Occidente e cultura russa.

La crisi di significato che le società europee contemporanee stanno attraversando, secondo Semenya, deve essere risolta grazie ad un nuovo ordine simbolico che sia in grado di prospettare un forte e diverso futuro in un’ottica paneuropea che sappia al contempo rifiutare la visione russa come anche quella occidentale: viene chiamata la Terza Via.

Come ha spiegato Semenya in uno scritto del 2019, The Conservative Revolution and Right-Wing Anarchism, “la rivoluzione conservatrice è anche qualcosa di simile alla trasvalutazione di tutti i valori.

È un approccio rivoluzionario.

Non è reazionario e non è conservatore, nonostante il titolo.

Si sta muovendo verso il nuovo ordine mondiale, nuovi valori e nuova metafisica dell’Occidente”. I

n questo suo scritto, per descrivere il processo rivoluzionario, fa ampio riferimento a Ernst Junker e Friedrich Nietzsche.

 Semenya identifica la prima fase del processo rivoluzionario odierno con il nichilismo attivo spiegato da Nietzsche, che lo differenziava dal nichilismo passivo.

“Il primo è il nichilismo passivo. È come una diminuzione della forza dello spirito. È stanchezza. È debolezza. È come un “no” quasi buddista alla vita.

È la volontà di nascondersi dalla sofferenza della vita”, scrive Semenya.

 La Segretario Internazionale di Azov prosegue dicendo: “Il nichilismo attivo è sano.

 È un segno della crescita della forza dello spirito.

Significa che i vecchi ideali non sono più validi, ma è anche un processo creativo.

 La distruzione è solo un lato di esso. Si dirige verso nuovi valori.

 È come la trasvalutazione di tutti i valori da parte di un Superuomo che distrugge tutti gli ordini screditati e si sforza per qualcosa di nuovo, per qualcosa che sarà degno di seguire, svilupparsi, credere.

 Ed è per questo che la prima fase della trasvalutazione di tutti i valori è naturalmente nichilista, rivoluzionaria, distruttiva.

Ma non è, ancora una volta, fine a sé stessa. È solo una fase.

Ed è per questo che è una rivoluzione conservatrice, non una sorta di filosofia conservatrice o una filosofia reazionaria.

 È rivoluzione”.

In un suo scritto del 2012, intitolato When the Gods Hear the Call: The Conservative-Revolutionary Potential of Black Metal Art in Black Metal, pubblicato originariamente da Black Front Press, gestito dall’attivista nazionalista britannico Troy Southgate, la Semenya analizza la filosofia eretica del genere musicale Black Metal attraverso il concetto di “luciferianismo ariano”, ispirato ai riferimenti dell’Ariosofia, del nichilismo di Ernst Junker e allo “spirito aristocratico” di Julius Evola.

Vede questo “luciferianesimo ariano” come un appello per una forma estrema di romanticismo: potere e violenza caratterizzata da principi e simboli neopagani, anche se preferisce riferirsi allo gnosticismo come principio filosofico per questa interpretazione metafisica del Black Metal.

Movimento Reconquista.

Il movimento Reconquista è una piattaforma internazionale di confronto tra i vari gruppi estremisti di destra e il suo nome si riferisce alla famosa cacciata dei musulmani dalla penisola iberica, culminata nel 1492, che vide gli eserciti cristiani riprendere i territori che i musulmani avevano conquistato quasi 800 anni prima.

Il 15 ottobre 2018, a Kiev, si è tenuta la Seconda Conferenza Paneuropa del movimento Reconquista ove è stato evidenziato l’imperativo del perseguimento della Terza Via geopolitica contro il “protettorato” della Federazione Russa e contro la “falsa alternativa” proposta dal globalismo occidentale.

 Questa impostazione è stata condivisa da tutte le forze nazionaliste ucraine che hanno preso la parola alla conferenza (Corpo Nazionale, Svoboda, Karpatska Sich) ed è stato evidenziato in dettaglio dalla coordinatrice del Movimento Reconquista, nonché Segretario Internazionale del Corpo Nazionale di Azov, Olena Semenya. Hanno partecipato alla conferenza anche rappresentanti delle forze nazionaliste, neofasciste e neonaziste della sfera euroatlantica.

Era presente il nazionalista russo Denis Vikhorev (coordinatore del Centro russo) come anche l’italiano Alberto Palladino di CasaPound, oltre ai tedeschi Maik Schmidt e Remo Matz dei Giovani Nazionalisti del JN-NDP e una delegazione del partito neonazista tedesco Der III Weg (La Terza Via), il quale, questo primo maggio, ha sfilato per le strade di Berlino in sostegno al battaglione Azov.

Presente alla conferenza anche una delegazione svedese con la presenza del politologo Anton Stigermark, oltre a Marcus Follin (conosciuto come The Golden One) e Jonas Nilsson, coordinatore di The Boer Project, i quali sostengono la battaglia in terra natia del partito estremista Alternative for Sweden. All’evento ha preso parte anche Bjørn Christian Rødal, rappresentante del giovane partito norvegese Alliansen – Alternativ for Norge, mentre una testimonianza video di sostengo all’iniziativa è stata inviata anche dal fight club greco ProPatria.

Presente in Ucraina in quei giorni del 2018 anche Greg Johnson, motore intellettuale della destra alternativa americana (la cosiddetta alt-right), teorico del nazionalismo bianco, redattore capo di Counter-Currents Portal e di una casa editrice con lo stesso nome.

Egli, che è autore altamente produttivo i cui libri vengono tradotti in varie lingue, compreso l’ucraino, si è presentato con le fresche copie del suo libro, “White Nationalist Manifesto”.

La geopolitica di Intermarium.

Intermarium (dal latino, “Tra i mari”) è un progetto geopolitico ripreso e riadattato nel corso del tempo e che per primo fu concepito da Józef Klemens Piłsudski, Capo di Stato polacco tra il 1918 e il 1922, traendo l’ispirazione dalla Confederazione Polacco-Lituana (esistita tra il 1569 e il 1795).

Secondo Azov, l’Intermarium odierno dovrebbe riunire i Paesi che si estendono tra il Mar Baltico, il Mar Nero e il Mar Adriatico; i Paesi coinvolti sarebbero: Ucraina, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Croazia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Ungheria, Bielorussia, Slovenia e Macedonia.

Semenya, durante la Seconda Conferenza Paneuropea di Reconquista, ha proceduto nella spiegazione della geo strategia della Reconquista europea: Intermarium come piattaforma, o trampolino di lancio, per l’integrazione europea alternativa.

Date le tendenze di crisi nell’UE, tale opportunità è considerata tale non solo dai gruppi estremisti ma anche dai rappresentanti governativi ufficiali dell’Europa orientale e centrale.

Al fine di portare avanti l’idea geostrategica dei gruppi nazionalisti, neofascisti e neonazisti, è stato creato nel 2016 l’Intermarium Support Group, arrivando, sul finire del 2020, alla sua quarta conferenza. Il progetto di Intermarium è sostenuto anche da personalità del calibro di George Friedman, analista e stratega geopolitico statunitense molto influente, il quale, durante un’intervista per la televisione pubblica bulgara BNT, andata in onda il 3 aprile scorso, ha detto di credere che i Paesi del fianco orientale dell’Europa debbano formare un’alleanza ispirata al progetto del già citatao Józef Piłsudski, l’Intermarium.

L'”Alleanza Centrale”, spiega Friedman, che coinvolgerebbe una popolazione di circa 80 milioni di persone, sarebbe in grado di formare uno scudo difensivo slegato dagli interessi del resto dell’Europa e della NATO.

Alle riunioni di Intermarium Support Group hanno preso parte i rappresentanti delle missioni diplomatiche, dei partiti politici e delle strutture ufficiali dei Paesi della regione.

L’attuale congiuntura geopolitica in Europa e nel mondo è abbastanza favorevole: il Gruppo di Visegrad (formato da Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia) e “L’iniziativa dei tre mari” (forum attivo dal 2016 che comprende Austria, Bulgaria, Croazia, Cechia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, e Slovenia) sono supportati dagli Stati Uniti in chiara chiave antirussa e potrebbero costituire una base per il futuro blocco militare e geopolitico di Intermarium.

Negli obiettivi più ambiziosi dei suoi teorici diventerebbe un asse dell’integrazione europea alternativa (una piattaforma per Paneuropa) possibilmente in grado di portare a una nuova Europa nel suo complesso e non solo nella sua parte orientale. All’inizio di aprile 2022 si è svolto il VII Congresso europeo dei governi locali, a Mikolajki, città a nord-est della Polonia, a pochi chilometri dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad.

 Durante il panel chiamato “L’Europa in cerca di leadership”, tutti i partecipanti hanno ripetuto la necessità di una unione polacco-ucraina.

Sul sito si legge che tutti i politici intervenuti hanno fatto notare che tale unione si stia già formando in maniera informale, con circa 3,5-4 milioni di profughi ucraini arrivati su suolo polacco.

Importante sapere anche che Azov è stato definito come Stato nello Stato, grazie alla sua fitta rete di legami interni ed esterni al Paese ed alla presenza di propri uomini nei gangli decisivi degli apparati di potere, oltre ad essere da tempo divenuta una forza regolare per volontà dell’ormai ex Ministro dell’Interno, Arsen Avakov, sostenitore di Azov ancor prima della sua ribalta.

 Infatti, sebbene la base del battaglione sia considerata Mariupol, situata sul Mar d’Azov (da cui il nome del gruppo), il suo nucleo principale proviene dalla città di Kharkiv, nell’Ucraina orientale, quando il gruppo neonazista si chiamava “Patriot of Ukraine”, proprio negli anni in cui Arsen Avakov era governatore dell’Oblast di Kharkiv.

Il neonazismo Nordamericano.

Nel gennaio dello scorso anno, in occasione del memoriale del 76° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, presso Park East Synagogue e all’International Holocaust Remembrance Service delle Nazioni Unite, a New York, ha affermato che occorre un’alleanza globale contro la rinascita e la crescita di gruppi neonazisti.

«In Europa, negli Stati Uniti e altrove, i suprematisti bianchi si stanno organizzando e reclutando oltre i confini, ostentando i simboli e i tropi dei nazisti e le loro ambizioni omicide.

Tragicamente, dopo decenni nell’ombra, i neonazisti e le loro idee stanno guadagnando credito», ebbe a dire Guterres.

 

Nel febbraio 2020, in occasione del 70° anniversario della Lega dei canadesi ucraini (LUC) e del suo giornale, Homin Ukrainy, nonché il 65° anniversario della Lega delle donne ucraine canadesi (LUCW), Stephen Harper, personaggio di spicco del Partito Conservatore canadese, Primo Ministro del Canada dal 2006 al 2015, nonché Presidente in carica dell’Unione Democratica Internazionale, si è rivolto al pubblico con il saluto “Slava Ukraini!” (“Gloria all’Ucraina!”), il quale ha risposto con “Heroyam Slava!” (“Gloria agli eroi”). Questo era il saluto ai tempi dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) – poi OUN-B dopo la scissione – e di Stepan Bandera, noto leader politico collaborazionista dei nazisti che giurò fedeltà ad Hitler, oggi osannato dai vari gruppi nazionalisti ucraini.

 Il gruppo che ha ospitato Harper è parte della rete di ONG ucraine di estrazione neonazista che operano in vari paesi del mondo.

 Il suo organismo di coordinamento globale si chiama Consiglio internazionale a sostegno dell’Ucraina (ICSU) che a sua volta guarda all’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, prima OUN e poi all’OUN-B di Bandera (la cui famiglia si è rifugiata in Canada dopo l’uccisione di Bandera nel 1959, in Germania, ad opera dei servizi segreti sovietici).

L’ICSU e il Congresso mondiale ucraino hanno sede a Toronto.

Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, elementi del partito conservatore avrebbero collaborato con i gruppi sopramenzionati al fine di sabotare l’azione di Zelensky che mirava ad interrompere le ostilità nel Donbass.

Infatti, in quel periodo, Zelensky fece visita al presidente canadese Trudeau e, subito dopo, come da noi già riportato, il Presidente ucraino compì un viaggio nella cittadina di Zolote, nell’Est dell’Ucraina, con l’intento di porre fine alle ostilità chiedendo al battaglione di deporre le armi e il cui risultato portò alla sua stessa capitolazione di fronte al potere accumulato dai gruppi neonazisti ucraini, ormai presenti nei maggiori gangli statali e con appoggio internazionale.

Recentemente, Efraim Zuroff del Simon Wiesenthal Center (centro per la memoria dell’Olocausto, ong accreditata presso l’ONU) ha attaccato il governo canadese durante un’intervista allo Ottawa Citizen, dicendo che il Canada non è riuscito a monitorare adeguatamente il proprio programma di addestramento militare:

 «Il governo canadese non ha avuto la sua dovuta diligenza [..] È responsabilità del ministero della Difesa canadese sapere esattamente chi stanno addestrando».

 Il riferimento è all’addestramento fornito nel 2020 dalle forze canadesi ad un gruppo del battaglione Azov.

Zuroff ha poi aggiunto: «Non c’è dubbio che ci siano neonazisti in diverse forme in Ucraina, sia che si tratti del reggimento Azov o di altre organizzazioni.

Non è propaganda russa, tutt’altro. Queste persone sono neonaziste.

 C’è un elemento di estrema destra in Ucraina ed è assurdo ignorarlo».

 

Un’investigazione dell’FBI del 2017, portata avanti dell’agente speciale Scott Bierwirth, ha causato, nell’ottobre dell’anno seguente, l’arresto di quattro persone legate al Rise Above Movement (RAM), una rete di estremisti che collega attivisti di vari gruppi statunitensi, avente sede nel Sud della California, tra San Diego e Orange County.

A finire in manette, con l’accusa di rivolta e cospirazione, sono stati Robert Rundo, Robert Boman, Tayler Laube e Aaron Eason.

Nell’indagine dell’FBI, tra le varie accuse di violenza e terrorismo, si porta ad evidenza del fatto che Rundo, insieme a Michael Miselis e Benjamin Daley – altri membri di RAM, abbia fatto visita a gruppi nazionalisti in Italia e in Germania, dopo che si era recato in Ucraina per incontrare Olena Semenya, la Segretario Internazionale del Corpo Nazionale di Azov.

Circa l’incontro avvenuto con i tre statunitensi, Semenya ha detto:

 «Sono venuti per imparare le nostre vie, mostrando interesse nell’imparare come creare forze giovanili nel modo in cui ha fatto Azov».

Durante la visita, i tre statunitensi hanno partecipato ad un concerto della band metal neonazista Sokyra Peruna, facendo ampio sfoggio di saluti romani.

Urge qui ricordare, come da noi già affrontato, proprio nel periodo del viaggio di Zelensky a Zolote, il Primo Ministro ucraino, Oleksiy Honcharuk, e il ministro per i Territori Temporaneamente Occupati (ovvero al Donbass e all Crimea), Oksana Koliada, presenziavano ad un evento di beneficenza di un movimento neonazista chiamato C14 (o S14) e capitanato da Yehven Karas, con la partecipazione della sopracitata band Sokyra Peruna.

Nel repertorio di questo gruppo musicale neonazista si trovano canzoni che negano l’olocauso come “Six Million Words of Lies” (“Sei milioni di parole di bugie”).

Gli ospiti statunitensi di RAM si sono uniti ai membri di Azov nella famosa palestra all’aperto di Piazza dell’Indipendenza di Kiev, Kachalka, per una sessione di allenamento e per promuovere la linea di abbigliamento creata da Rundo, The Right Brand, prima di combattere in incontri di MMA presso il Reconquista Club di Kiev.

Nell’occasione, Semenya ha detto che Azov spera di conquistare forze politiche occidentali di estrema destra più grandi e più «mainstream» che «possano essere i nostri potenziali simpatizzanti».

Quello con RAM non è il solo collegamento tra Azov e gli Stati Uniti.

 Il giovanissimo Andrew Oneschuk ha infatti preso i contatti con Azov nel 2016 quando è comparso in un podcast del canale gestito dal gruppo neonazista ucraino, A-Radio. Oneschuk faceva parte del gruppo denominato Atomwaffen Division (AWD), una rete internazionale nata negli Stati Uniti e che avrebbe adesso anche sedi estere: Columbia Britannica (Canada), Tampere (Finlandia) e Savona (Italia).

 La Atomwaffen Division, fondata da Brandon Russell, opera principalmente, oltre che negli USA, Canada, Italia e Finlandia, anche nel Regno Unito, Irlanda, Polonia, Estonia, Lituania e Lettonia.

Oneschuk si diceva pronto per partire per l’Ucraina ed unirsi ad Azov, prima di essere ucciso a Tampa (USA), nel 2017, insieme ad un altro membro di AWD, Jeremy Himmelman, da parte di uno stesso appartenente del gruppo, Devon Arthurs, coinquilino di Oneschuk.

 Nella casa condivisa dai due, la polizia ha rinvenuto diverso materiale esplosivo, tutto il necessario per la fabbricazione di ordigni e varie armi da fuoco.

 Nel gennaio di quest’anno, Kaleb Cole, personaggio di spicco della Atomwaffen Division è stato condannato ad otto anni di carcere per aver progettato e praticato un piano volto ad attaccare giornalisti e avvocati in territorio statunitense.

 

Vi è poi il caso di Craig Lang e Jarrett William Smith. Il primo, ex soldato e poi mercenario in vari conflitti tra Africa e Sud America, nel 2015 si è recato in Ucraina e si è unito alla Legione Georgiana – accusata di aver utilizzato i suoi cecchini per sparare sia sulla folla di civili che sui poliziotti durante la rivolta Euromaidan nel 2014, col fine di esacerbare lo scontro e portarlo sulla via di non ritorno. Lang è accusato negli USA, insieme a Smith, di duplice omicidio in Florida, avvenuto nel 2018 in un suo viaggio di riposo dall’Ucraina.

Oltre al duplice omicidio, Lang è stato accusato di frode sui passaporti e nominato nei documenti del tribunale federale come mentore dello stesso Smith, arrestato per complicità nel tentativo di organizzare un attacco terroristico alle maggiori testate giornalistiche statunitensi.

Smith, anch’egli ex soldato, avrebbe infatti fornito le istruzioni per fabbricare bombe ad un non meglio identificato gruppo di estrema destra che stava pianificando attacchi su tutto il territorio nazionale.

 Inoltre, nel 2019, secondo una dichiarazione giurata dell’agente speciale dell’FBI, Brandon LaMar, vi sarebbe stata l’intenzione di assassinare il candidato presidenziale democratico, e nativo di El Paso, Beto O’Rourke.

In un’intercettazione, Smith avrebbe affermato:

«Non conosco abbastanza persone che sarebbero abbastanza rilevanti da causare un cambiamento se morissero».

 Lang è sempre in Ucraina e la sua richiesta di estradizione sembra essere ignorata dalle autorità ucraine e potrebbe addirittura tornare in libertà, come emerso nel marzo di questo anno.

 Smith, che si è poi dichiarato colpevole, nel 2020 è stato condannato a due anni e mezzo da scontare in un carcere federale.

I legami di Azov in Europa.

Nel 2018, sulla statunitense Radio Wehrwolf, condotta da Black Luccasson, il quale nel 2017 scrisse sul proprio profilo twitter “Hail Azov hail Ukraine hail europeans”, comparve Joachim Furholm, cittadino norvegese che si autodefinisce “rivoluzionario nazionalsocialista”, il quale incoraggiò gli statunitensi ad unirsi al battaglione Azov in Ucraina.

Un’intervista è stata fatta da Azov a Furholm, in tenuta mimetica, nell’ottobre dello stesso anno, in concomitanza con la Seconda Conferenza Paneuropea che si è tenuta a Kiev (di cui abbiamo precedentemente parlato), in cui spiega di essere andato in Ucraina per guidare un gruppo di occidentali al fine di acquisire esperienza militare utile ai vari movimenti nei rispettivi paesi.

 Rivolgendosi al pubblico statunitense, Furholm spiega che l’Ucraina è un’occasione imperdibile per la causa dell’estrema destra dicendo che vi «sono le condizioni perfette».

Le attività di Furholm, nella misura in cui sono state aiutate dall’ala politica di Azov, avevano lo scopo di andare oltre la semplice sensibilizzazione online e i discorsi pubblici.

Il Corpo Nazionale di Azov gli ha fornito alloggi e strutture di addestramento per i volontari stranieri che riusciva a reclutare per l’arruolamento in Ucraina.

 Le strutture sono state mostrate in un documentario del regista britannico Emile Ghessen, “Robin Hood Complex Ukraine – Europe’s Forgotten War”, creato dopo aver trascorso alcuni mesi in Ucraina a filmare volontari stranieri presenti nel Paese, tra cui Furholm.

Il norvegese ha detto al regista: «Questo è il motivo per cui siamo stati presi in prestito dalle persone con cui stiamo lavorando.

Questa è una struttura di addestramento e una struttura abitativa per le persone che vengono qui a combattere per l’Ucraina».

 Furholm ha poi aggiunto che una volta che avrà finito con ciò che ci si aspettava da lui, procederà all’azione rivolta all’Occidente, compresi gli attacchi al governo della Norvegia:

 «Prenderei di mira il governo con tutto ciò che è necessario; ogni mezzo necessario».

Nel novembre del 2018 Furholm ha lasciato l’Ucraina.

Sebbene non si sappia con certezza la motivazione, probabilmente la decisione è arrivata dopo un’azione del ministero degli Esteri ucraino, interceduto per pressione operata da funzionari norvegesi che non avrebbero gradito la troppa notorietà acquisita dallo stesso Furholm.

Un altro legame della galassia di gruppi eversivi neonazisti con l’Internazionale Nera promossa da Azov, si ha con il Nordic Resistance Movement (NMR).

Il gruppo è stato fondato in Svezia nel 1997 e si è poi espanso in Norvegia, Danimarca, Islanda e Finlandia.

Quest’ultima, nel 2019, ha messo il gruppo fuori legge e lo ha dichiarato come entità terroristica, invitando gli altri stati a fare la stessa cosa.

NMR ha più volte mostrato apertamente il proprio sostegno alla battaglia di Azov e alla sua visione di “rivoluzione conservatrice mondiale” interagendo spesso con i membri di Azov, promuovendone anche la simbologia.

Nel 2018, il “Nordic Resistance Movement” intervistò la Segretaria Internazionale del Corpo Nazionale di Azov, la già citata Olena Semenya, alla quale si chiedeva, oltre all’illustrazione della situazione politica ucraina e internazionale di Azov, come potessero arruolarsi gli stranieri simpatizzanti con la causa.

La connessione israeliana.

Nel 2018, un gruppo di oltre 40 attivisti per i diritti umani ha presentato una petizione all’Alta Corte di Giustizia israeliana, chiedendo la cessazione delle esportazioni di armi da Israele verso l’Ucraina.

Essi hanno sostenuto che queste armi finissero nelle mani di forze che sposano apertamente un’ideologia neonazista, come Azov, i cui membri fanno parte delle forze armate regolari ucraine, sostenuti dal Ministero degli Affari Interni del Paese, Avakov.

 Come riportato anche dal Jerusalem Post, Efraim Zuroff, capo dell’ufficio di Gerusalemme del Simon Wiesenthal Center, in occasione della nomina di Vadym Troyan a capo della polizia per la regione di Kiev – poi divenuto vice capo della polizia nazionale – ad opera di Avakov, ebbe ad affermare:

«Se stanno nominando persone come questa a posizioni di tale importanza e potere è un segnale molto pericoloso per la comunità ebraica dell’Ucraina».

Occorre anche ricordare il pieno sostegno di Benjamin Netanyahu, potentissimo ex Primo Ministro di Israele, nei riguardi del blocco di Visegrad, che Azov vede come primo mattoncino della Terza Via per la Reconquista Pan-europea.

Uno dei maggiori finanziatori dei gruppi neonazisti ucraini, nonché colui che ha portato alla ribalta l’attuale Presidente dell’Ucraina Zelensky, è stato il miliardario Ihor Kolomoyskyi, proprietario di un impero che lo mette in cima alla classifica dei paperoni del Paese guidato, almeno formalmente, da Zelensky.

Sembrerebbe strano, eppure, Kolomoyskyi, che è ebreo e con cittadinanza israeliana e cipriota oltre che ucraina, ha speso milioni di dollari per finanziare milizie neonaziste come Azov, Donbas e Aidar, nonché Dnepr 1 e Dnepr 2, i battaglioni dell’oblast di cui Kolomoyskyi è stato Governatore, Dnipropetrovsk.

Egli è stato uno dei maggiori finanziatori di queste milizie paramilitari, con organizzazioni politiche annesse, che nel corso del tempo, come da noi già spiegato, hanno acquisito un enorme potere in Ucraina, al di sopra dello stesso Zelensky.

E mentre Kolomoyskyi è accusato di aver fatto sparire 5,5 miliardi di dollari da PrivatBank verso società cipriote offshore, Zelensky, al contrario di quanto sbandierato durante la campagna elettorale circa la corruzione nel Paese, spostava milioni di dollari in conti offshore con sede nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e in Belize, in compagnia di altri della sua cerchia politica.

Kolomoyskyi non è l’unico ebreo che ha sposato la causa di gruppi apertamente di matrice nazista.

 Konstantyn Batozsky, ex consigliere del Governatore di Donetsk, Serhiy Taruta, è stato consulente del Battaglione Azov tra il 2014 e il 2015.

In merito al lavoro svolto assieme ai membri di Azov, Batozsky ha detto:

 «Erano teppisti del calcio e volevano attenzione, quindi sì, sono rimasto scioccato quando ho visto ragazzi con tatuaggi con la svastica ma ho parlato con loro tutto il tempo del mio essere ebreo e non avevano nulla di negativo da dire.

Non hanno un’ideologia antiebraica».

 Daniel Kovzhun, ebreo di Kiev, gestiva la logistica durante la guerra condotta dall’Ucraina contro i suoi stessi cittadini del Donbass, per conto di unità paramilitari neonaziste, ha affermato:

 «C’erano ebrei ortodossi ad Azov. Lo so perché ero lì sulle linee di battaglia.

A nessuno importava chi fosse ebreo, ci importava di tenere insieme il nostro paese».

 Come Batozsky, Kovzhun ha vissuto e studiato in Israele prima di tornare a Kiev e unirsi al nuovo esercito civile della capitale, le Forze di Difesa Territoriale – una milizia di volontari che ha attirato combattenti ebrei da tutto il Paese e anche dall’estero.

Vi è poi il caso dei Cento Ebrei, gruppo di soli ebrei che hanno combattuto, fin da Euromaidan, al fianco dei battaglioni neonazisti, creando dei simboli propri, come la bandiera rossa e nera di Pravyï Sektor (Settore Destro) con la stella di David sopra.

 Nathan Khazin, ufficiale dei Cento Ebrei, ha spiegato: «Abbiamo lavorato nell’intelligence, abbiamo lavorato insieme a ragazzi del Settore Destro, Maidan Self-Defense».

Khazin ha poi aggiunto: «Quattro ragazzi dei Cento Ebrei sono andati con me a est per difendere l’Ucraina, era nell’aprile 2014.

Noto che il nostro gruppo appartiene a coloro che hanno formato il reggimento Azov, ma in seguito lo abbiamo lasciato e abbiamo cercato di trasferirci dalla Guardia Nazionale alle Forze Armate dell’Ucraina».

 Khazin è un veterano delle Forze di Difesa Israeliane che ha servito e combattuto nella Striscia di Gaza.

 Il giornale ebraico The Forward ha intervistato Khazin facendone la seguente presentazione:

“Il Khazin che indossa lo yarmulke, un veterano delle Forze di Difesa Israeliane e un rabbino ordinato, è rappresentativo di molti giovani ebrei ucraini che sono sionisti, religiosamente osservanti e allo stesso tempo forti patrioti ucraini.

Alcuni di loro si riferiscono a sé stessi umoristicamente come Zhido-Banderisti – una fusione del termine peggiorativo per “ebreo” con il nome Stepan Bandera, leader dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini, che ha combattuto per l’indipendenza ucraina durante la seconda guerra mondiale.

 Le forze dell’organizzazione hanno anche partecipato al massacro degli ebrei, quindi il termine Zhido-Banderist è consapevolmente ironico”.

(La bandiera dei Cento Ebrei, miliziani ebraici di Pravyï Sektor (Settore Destro), con la stella di David sopra alla bandiera della milizia neonazista ucraina).

Grigory Pivovarov è invece un cittadino israeliano che ha servito nel 24° battaglione d’assalto separato “Aidar” (dal nome del battaglione neonazista prima che fosse assorbito nell’esercito regolare), nel 2018 affermava:

 «Vedo parallelismi tra gli eventi nel Donbass e l’attuale lotta degli ucraini contro l’aggressione esterna e ciò che è accaduto sul territorio del moderno Israele nel periodo iniziale dell’esistenza di questo stato.

Ora si ritiene che l’esercito israeliano sia uno dei migliori al mondo, che gli israeliani abbiano imparato ad essere pronti per la guerra e contemporaneamente a sviluppare la statualità».

Sono poi varie le organizzazioni di estrema destra israeliane, macchiate di feroci violenze nei riguardi dei palestinesi e sostenitrici della legge dello Stato-Nazione, emanata nel 2018, la quale ha dichiarato ufficialmente lo Stato d’Israele come Stato ebraico, istituzionalizzando la discriminazione, che sostengono i gruppi nazionalisti ucraini ed europei, oltreché statunitensi.

 Il sentimento è certamente ricambiato; un esempio ne è quello del leader suprematista bianco Richard Spencer, aperto sostenitore di Israele.

L’estremismo brasiliano.

All’inizio di marzo di quest’anno, un gruppo di volontari brasiliani è arrivato in Ucraina per arruolarsi nella Legione Internazionale Ucraina.

 Il 13 marzo, molti di loro hanno perso la vita nell’attacco compiuto dalla Russia sulla base ucraina vicina a Leopoli e al confine polacco, l’International Center for Peacekeeping and Security, ove, almeno dal 2015, si sono svolti gli addestramenti e le esercitazioni militari sotto il controllo della NATO.

Al momento dell’attacco, nella base venivano fatti confluire tutti coloro che si arruolavano da Paesi stranieri.

Tiago Rossi, istruttore di poligono di tiro e fanatico di Bolsonaro, ha twittato un video in cui afferma: «Tutta la nostra legione è stata distrutta, l’informazione che ho è che sono tutti morti».

 

Secondo il rapporto di Adriana Dias, ricercatrice dell’Università di Campinas, con più di 530 cellule attive, il Brasile è il Paese in cui l’estremismo di destra è avanzato maggiormente negli ultimi anni:

San Paolo è lo stato con la maggiore presenza di questi gruppi, se be contano 51 sul totale di 137 mappato in tutta la nazione.

 Secondo Michel Gherman, membro dell’Observatório da Extrema Direita (formato da accademici di più di dieci università brasiliane e di altri paesi), professore di Sociologia all’Università Federale di Rio de Janeiro e coordinatore dell’Istituto Brasile-Israele, questo fenomeno ha a che fare con l’elezione di Jair Bolsonaro che, a livello clandestino, è legato a queste ideologie.

Gherman stima che il 15% dei brasiliani sia oggi di estrema destra.

 Va ricordato che Bolsonaro ha iniziato la sua carriera come capitano dell’esercito durante la dittatura militare fascista (1964-1984), che ha impiegato tattiche della Gestapo come squadroni della morte e torture contro leader sindacali, intellettuali e comunisti.

Nel 2016, la polizia civile nello stato meridionale del Rio Grande do Sul, sede di diverse ondate di immigrazione tedesca e italiana e di una lunga tradizione fascista, ha condotto un’indagine contro gruppi neonazisti che stavano pianificando attacchi violenti contro afro-brasiliani, ebrei e LGBT+ e ha scoperto che la milizia neonazista ucraina Divisione Misantropica stava reclutando nazisti brasiliani in sette città dello stato per servire come combattenti volontari con Azov nella Regione del Donbass.

 L’indagine, che è stata soprannominata “Operazione Azov”, ha ricevuto all’epoca ampia copertura dalla stampa brasiliana e israeliana.

I neonazisti ucraini e le proteste di Hong Kong.

Un gruppo di neonazisti ucraini, nel 2019, ha partecipato alle violente proteste di Hong Kong contro il centralismo cinese, rivendicando l’indipendenza dell’isola.

 Nel dicembre 2019, Serhii Filimonov ha postato su Facebook alcune sue foto che lo ritraggono all’interno delle proteste, sotto lo slogan “Fight for Freedom, Stand with Hong Kong”.

Tale slogan è la fabbricazione di una ONG, Stand With Hong Kong (SWHK), i cui membri “rappresentano la voce degli hongkonghesi che operano nel Regno Unito, negli Stati Uniti e nell’Unione europea”.

Il gruppo ucraino Gonor alle proteste di Hong Kong.

Tale organizzazione ha compiuto azione di pressione politica sui governi occidentali al fine di sostenere la protesta anticinese e di imporre sanzioni economiche nei confronti della Cina. Il Free Hong Kong Center (FHKC), dopo numerose richieste di chiarimento, ha dovuto ammettere la presenza dei nazionalisti ucraini, presentati come gruppo Gonor, salvo emettere una nota finale ove si dice che le posizioni di Gonor non sono quelle di FHKC.

Nel comunicato in questione si palesa, quantomeno, la loro passata storia all’interno di Azov ma si spiega che non ne farebbero più parte.

All’interno del comunicato giustificazionista si può leggere:

“Ci hanno assicurato che sono davvero contro il nazismo e ogni tipo di ideologia alt-right.

 Le loro opinioni sono nazionaliste, ma non significa qualcosa di male.

Molte persone sono rimaste deluse dai tatuaggi di questi ragazzi.

Hanno spiegato che tutti i simboli provengono dal paganesimo slavo, tradizionalmente usato ai tempi della Rus’ di Kiev.

La religione potrebbe essere paragonabile allo shintoismo giapponese. Attualmente, rappresentano il gruppo sportivo-sociale “Gonor” e sono grandi appassionati di calcio”.

Molti di questi personaggi appartenenti a Gonor, come anche di altri gruppi neonazisti ucraini, tra i vari tatuaggi di svastiche e simboli nazisti vari, spesso hanno la scritta tatuata “Victory or Valhalla”, titolo di una raccolta di scritti del famoso suprematista bianco americano David Lane, il cui gruppo terroristico, The Order, nel 1984 si è reso responsabile dell’assassinio del conduttore radiofonico ebreo, Alan Berg, oltre la pianificazione di altri omicidi di ebrei di sinistra.

Lane, che per numerosi crimini è stato condannato a 190 anni di carcere in una prigione federale degli Stati Uniti, ha creato il più famoso slogan suprematista bianco, noto come le 14 parole – che ha ispirato il nome del già citato gruppo neonazista ucraino C14 – il quale recita:

 “We must secure the existence of our people and a future for white children” (“Dobbiamo garantire l’esistenza della nostra gente e un futuro per i bambini bianchi “).

 Serhii Filimonov è uno di coloro che hanno tatuato sul proprio corpo il titolo della raccolta di scritti di Lane.

Filomonov con tatuaggio “Victory or Valhalla”.

Il Free Hong Kong Center è un progetto di una ONG che si chiama Lega Liberal Democratica dell’Ucraina.

 La Lega Liberal Democratica dell’Ucraina è un’organizzazione di advocacy pro Unione Europea, parte della Gioventù liberale europea e della Federazione Internazionale della Gioventù Liberale, entrambi finanziati dall’UE.

 Il principale coordinatore del Free Hong Kong Center è un attivista ucraino di nome Arthur Kharytonov, che è anche il Presidente della Lega Liberal Democratica dell’Ucraina.

Kharytonov è stato profondamente coinvolto nelle proteste di Euromaidan in Ucraina e spesso ha paragonato quanto avvenuto ad Hong Kong con quanto era accaduto in Ucraina, affermando la necessità di un legame profondo tra i gruppi coinvolti nelle due diverse zone geografiche.

“Gloria a Hong Kong”, mutuando lo slogan “Gloria all’Ucraina”, divenne “l’inno nazionale” dei manifestanti anti-cinesi.

Conclusione

Non vi può essere una vera e propria conclusione per un tema vasto e ancora da approfondire, il quale risulta essere di fondamentale importanza per leggere il presente, e le piste future, dell’Ucraina e non solo.

Certamente sono molte le domande che sorgono.

 Quali saranno infatti le conseguenze di questa Internazionale Nera?

 Se il conflitto non dovesse andare come auspicato da questi gruppi estremisti, cosa decideranno di fare?

 Cosa avverrà se migliaia di miliziani nazifascisti dovessero migrare in altri Paesi, nel caso il conflitto fosse perso?

Vorranno forse esportare la guerra – a bassa intensità, di tipo terroristico?

 Inoltre, moltissimi sono i volontari non ucraini arruolati sul fronte e, come abbiamo visto, alcuni hanno anche palesato la volontà di apprendere e fare esperienza di azioni di battaglia e di operazioni di intelligence, sabotaggio, propaganda e proselitismo (e tanto altro) da portare a casa una volta rientrati dalla guerra.

Inoltre, dobbiamo porci delle domande anche riguardo alle armi fornite dai Paesi occidentali di cui non si può avere il tracciamento e che possono essere cedute a terze parti proprio da gruppi come Azov, ormai parte importante dello Stato ucraino.

 Occorre infatti ricordare che tali gruppi nazifascisti hanno più volte palesato l’idea di Terza Via, ovvero il rifiuto ideologico legato al blocco russo-cinese come anche del globalismo Occidentale dominato dagli USA e sostenuto dalla NATO.

Quindi, a prescindere da come si concluderà il conflitto, sia che l’Ucraina (e la NATO) vinca o perda, l’Internazionale Nera vorrà rivoltarsi contro i suoi stessi sostenitori attuali, forti dei soldi e delle conoscenze sfruttate nel momentaneo sodalizio, affinché possa realizzarsi la propugnata Terza Via?

Quello che è certo è che questi gruppi in Ucraina stanno ricevendo direttamente armi ad alta tecnologia dagli stati occidentali, e molti di essi sono stati formati – sempre dai paesi della NATO – a saperle utilizzare.

 Nonostante dall’inizio della guerra in Ucraina vi sia l’evidente disegno mediatico di negare l’ideologia di questi gruppi, facendoli passare come semplici patrioti che combattono per la libertà dell’Ucraina, quanto abbiamo documentato non lascia spazio a dubbi: Azov, Pravyï Sektor e altri gruppi paramilitari ucraini sono apertamente neonazisti e l’Ucraina è divenuta il centro teorico e militare di una Internazionale Nera che sogna di imporre il proprio disegno di “rivoluzione conservatrice”.

 Bene ribadire anche che questi gruppi sono stati inquadrati dal governo Ucraino all’interno dell’esercito regolare, un fatto che rende automatico, e noto anche ai paesi occidentali, che gli armamenti forniti a Kiev finiscano anche nelle loro mani.

(Michele Manfrin).

 

 

 

 

L'ecologismo, una

religione occidentale.

Ilfoglio.it- GIULIO MEOTTI – ( 09 SET 2020) – ci dice:

 

  Non solo Greta. Ci sono santoni, diavoli ed eretici, giorni sacri e tabù alimentari, torve profezie e un’idea di salvezza.

L’ambientalismo ora ha tutto per funzionare come la fede del Terzo millennio.

È l'ecologia il giusto baricentro del governo.

Gli sberleffi pretenziosi della scienza che studia geni e cervello.

“L’ambientalismo è la religione degli atei urbanizzati”, ha detto lo scrittore Michael Crichton. “Il cibo biologico è la sua comunione”.

La preoccupazione e la cura dell’ambiente sono ormai universali (almeno in occidente):

ci hanno messo in casa una infinita varietà di cestini per riciclare, siamo invitati a non abusare dell’aria condizionata (abbassate però quei trenta gradi negli edifici pubblici d’inverno), facciamo del nostro meglio, e qualche sfida che sembrava insormontabile l’abbiamo già vinta.

Il buco dell’ozono, l’angoscia del decennio precedente, si sta restringendo.

Dal 1990, c’è stata una riduzione del 90 per cento delle emissioni automobilistiche (e una riduzione del 99 per cento dal 1960), anche se l’auto rimane il nemico pubblico numero uno.

 Intanto, un miliardo di persone è uscito dalla povertà assoluta, l’aspettativa di vita è aumentata, la guerra è più rara, molte malattie gravi sono state sradicate, il cibo è abbondante, la Nasa ci dice che la terra è più verde oggi di vent’anni fa, la popolazione mondiale si stabilizzerà a metà del secolo per poi scendere, e considerando la mortalità infantile, il reddito medio mondiale e la disponibilità di risorse, lo stato di salute dell’umanità e del mondo non è mai stato migliore, e persino in via di costante miglioramento.

Eppure, una nuova religione del pessimismo si profila all’orizzonte e macina fedeli.

In Islanda, alla presenza del primo ministro, hanno appena celebrato il funerale di un ghiacciaio.

Era il 15 settembre 2003 quando lo scrittore Michael Crichton tenne un discorso al Commonwealth Club di San Francisco.

 Titolo: “L’ambientalismo è una religione”.

“Oggi, una delle religioni più potenti del mondo occidentale è l’ambientalismo.

È la religione degli atei urbanizzati.

C’è un Eden iniziale, un paradiso, uno stato di grazia e unità con la natura, c’è la caduta dalla grazia in uno stato di inquinamento risultato dell’aver mangiato dall’albero della conoscenza e c’è un giorno del giudizio che verrà per tutti noi.

Siamo tutti peccatori di energia, destinati a morire, a meno che non cerchiamo la salvezza, che ora si chiama ‘sostenibilità’.

 La sostenibilità è la salvezza nella chiesa dell’ambiente.

Proprio come il cibo biologico è la sua comunione”.

Crichton voleva parodiare la trasformazione dell’ecologismo in una chiesa.

Come il suo gran sacerdote David Brower, il fondatore dei Friends of the Earth, che ha scritto:

“I sei giorni della Genesi sono un’immagine per rappresentare ciò che è accaduto in quattro miliardi di anni.

Il nostro pianeta è nato lunedì.

Da martedì a mercoledì, fino a mezzogiorno, si è formata la terra.

 La vita inizia mercoledì e si sviluppa in tutta la sua bellezza per i successivi quattro giorni.

Domenica alle quattro del pomeriggio compaiono i rettili.

Alle nove di sera, le sequoie spuntano dal terreno.

Un quarantesimo di secondo prima di mezzanotte inizia la rivoluzione industriale. Adesso è mezzanotte e siamo circondati da persone che credono che quello che hanno fatto possa continuare indefinitamente”.

Il Nobel Ivan Giaver paragona l’ecologismo a una “chiesa”.

Per Bruckner, sorge sulle “macerie di un mondo miscredente”.

Sei giorni, sei gradi alla dannazione.

Un grado in più: gran parte delle barriere coralline e dei ghiacciai scomparsi.

 Due gradi: l’arcipelago di Tuvalu, nell’oceano Pacifico, completamente sommerso.

Tre gradi: la foresta amazzonica distrutta da incendi e siccità.

Quattro gradi: il livello degli oceani si innalza al punto di distruggere paesi come il Bangladesh e sommergere città come Venezia.

 Cinque gradi: milioni di persone costrette a lasciare le aree in cui vivono, scatenando possibili conflitti per il controllo delle ultime risorse presenti sul pianeta.

Con sei gradi in più, quasi tutte le forme di vita (compresa quella umana) scompaiono.

Benvenuti in un mondo più caldo di sei gradi.

E per prefigurarlo si coniano nuovi termini ricolmi di panico, come “insectopocalypse”. Michael Crichton fece quella denuncia quando ancora un certo estremismo ecologis

ta doveva sfoderare tutto il proprio millenarismo e sembrava ancora soltanto un’industria di gruppi di interesse, lobbisti, periti e burocrati.

Adesso il clima è una fede insindacabile.

Le multinazionali e i governi dei paesi ricchi da una parte, dall’altra i popoli del sud e le ong che li difendono, i nuovi missionari.

Nei giorni scorsi, in Islanda, gli ecologisti hanno celebrato un funerale a un ghiacciaio.

 Una vera e propria cerimonia paganeggiante nel terreno arido ma un tempo coperto dal ghiaccio dell’Okjökull.

 C’erano anche il primo ministro islandese, Katrín Jakobsdóttir, e l’ex commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Mary Robinson.

È stata apposta una targa che reca la scritta “Una lettera al futuro”.

Pochi giorni prima, alla Cattedrale anglicana di Liverpool (la più grande d’Inghilterra) è arrivato un modello di Gaia, installato al centro della navata principale.

Ivar Giaever, vincitore del premio Nobel per la Fisica, teme che questa ortodossia sui cambiamenti climatici sia diventata una “nuova religione”:

“Non se ne può discutere, è una verità incontrovertibile, è una chiesa”.

Greta Thunberg, la giovanissima santona di questa religione, è appena arrivata a New York, “uno dei tanti eventi recenti che illustrano quanto rapidamente l’ambientalismo moderno stia degenerando in un culto millenaristico”, scrive Niall Ferguson sul Times.

 Questi accusatori gnostici del progresso stanno scagliando i loro esorcismi verdi.

“L’ambiente è la nuova religione laica che s’innalza, almeno in Europa, sulle macerie di un mondo miscredente, una religione che a sua volta andrebbe sottoposta a critica, per stanare questa malattia infantile che la corrode e la scredita:

 il catastrofismo”, spiega Pascal Bruckner.

Per il marxismo, il nemico era il borghese. Per il Terzo mondo, era l’occidente. Per l’ecologismo è l’uomo: un nuovo peccato originale.

L’atteggiamento allarmista degli ambientalisti assomiglia molto a quello delle sette millenariste che aspettavano la fine del mondo o la seconda venuta del Messia.

 Alcune di esse erano convinte che Cristo sarebbe tornato esattamente il 22 ottobre 1844; e quando gli eventi estremamente improbabili da loro profetizzati non si verificavano, semplicemente ne spostavano in avanti la data.

 Intanto, l’ecologismo è diventato il nuovo “marcatore” delle società europee.

Ne parla al Figaro di questa settimana Jérôme Fourquet dell’istituto Ifop e massimo studioso di opinione pubblica francese.

“Greta Thunberg è una figura profetica, una sorta di ibrido tra Giovanna d’Arco e Bernadette Soubirous (quella delle visioni di Lourdes, ndr)”, dice Fourquet.

 “Come loro, è una novizia, nata dal popolo, che niente aveva destinato a questo, ma che all’improvviso ha ricevuto una rivelazione che ora deve annunciare ai potenti di questo mondo e all’opinione pubblica”.

L’ecologismo in Francia ha già scalzato il cattolicesimo come segno della società.

“Stiamo assistendo alla nascita di una nuova matrice, laica e non più religiosa, attorno all’ecologia.

 L’ecologismo funziona sociologicamente e culturalmente come in passato la matrice cattolica.

 Esistono somiglianze sorprendenti nei termini e nei riferimenti utilizzati.

Stiamo parlando anche di ‘santuari’ della biodiversità.

C’è un’ecologia ricorrente di annunci apocalittici: questo è l’effetto delle immagini terrificanti dei roghi in Amazzonia”.

 E sull’Amazzonia a ottobre si tiene il sinodo in Vaticano.

Non mancheranno flirt con il panteismo ecologista.

Da qui una visione binaria del mondo, che oppone il Bene al Male: da un lato le multinazionali e i governi dei paesi ricchi, dall’altro i popoli del sud, nonché le ong che li difendono, i nuovi missionari del nostro tempo.

 Per ripristinare la creazione, l’occidente deve essere svezzato!

 “Africa, contribuisci al nostro sviluppo mentale”, scrive sul Monde Hervé Kempf. “Africa, aiuta l’Europa a intraprendere una nuova storia.

L’Africa può insegnare all’occidente ad abituarsi alla frugalità”.

Spiega Harald Welzer, autore di “Climate Wars: Why People Will Be Killed in the 21st Century” (uno dei tanti manifesti green che incitano all’isteria), che “il modello capitalista si autodistruggerà” e “l’era del consumo finirà” grazie ai numerosi flagelli climatici che si abbattono su di noi.

 Si odono echi cristiano-dolciniani.

I verdi con la loro mistica della decrescita si vedono come i vettori ideologici di una nuova austerity, dettata non più dai mercati finanziari ma dalla salute del pianeta.

Sul Nouveau Magazine Littéraire di luglio, il filosofo Fabrice Flipo si chiede se l’ecologismo non sia diventato una “nuova religione” che invita l’occidente a una nuova astinenza.

Ci viene chiesto di fare tante cose per pentirci.

Per il marxismo, il nemico era il borghese.

 Per il Terzo mondo era l’occidente, il grande predatore della storia.

Per l’ecologismo religioso è l’uomo il grande colpevole, l’equivalente del peccato originale.

L’ambientalismo radicale non vuole, come il marxismo, promettere il paradiso in terra o, come il cristianesimo, prepararci al paradiso dopo la morte.

 Si limita a denunciare l’inferno delle nostre società, ad abbracciarne la regressione volontaria, a idolatrare la privazione, ad affondare nella religione del terrore, a sospettare che tutta l’innovazione tecnologica sia oscurantismo puro e semplice.

“Il consumismo è la più grande arma di distruzione di massa pensata dal genere umano” (Mathis Wackernagel).

Ci viene chiesto di smettere di fare figli, di farne al massimo uno, guai se sono due.

Un deputato francese, Yves Cochet, ha proposto, insieme a uno “sciopero della pancia”, di penalizzare le coppie che mettono al mondo un terzo figlio, perché un bebè, in termini di inquinamento, equivale a 620 voli andata-ritorno Parigi-New York.

 La religione green è post-umana e anti-specista, il peccato commesso da chi fa una distinzione morale tra persone e altri animali, sottintendendo che questa abitudine discriminatoria è simile al razzismo e al sessismo (il termine ha attecchito grazie a Peter Singer).

 Ha spiegato il sociologo francese Jean-Pierre Le Goff che “questa eco-ideologia rafforza la visione nera e penitenziale della storia occidentale, che è responsabile di tutti i mali ecologici”.

In contrapposizione a questa visione nera c’è “l’utopia di un’umanità riconciliata con sé stessa e naturalizzata:

 la salvaguardia del pianeta diventa il nuovo principio unificante di un mondo fraterno e pacificato che ignorerebbe i confini, le differenze tra nazioni e civiltà, metterebbe fine alle contraddizioni e ai conflitti”.

 Una religione che ha anche i propri catechismi da mandare a memoria.

Dopo l’adorazione della dea ragione, quella della dea madre.

“L’ecologia presenta le caratteristiche di una nuova ‘religione laica’ che si pone come una spiegazione globale del mondo e che detiene le chiavi della storia umana e della salvezza” spiega ancora Le Goff.

 “In una forma più morbida e igienizzata, partecipa a nuove forme di spiritualità che si sono diffuse in società democratiche de cristianizzate e in crisi di identità”.

L’appello ecologista è ormai quasi sempre accompagnato da un riferimento a un “divino” naturale che, rimpiazzando l’eredità ebraica e cristiana, ravviva un “paganesimo rivisitato alla luce dell’ecologia”.

 Questo cocktail religioso si è diffuso senza problemi nelle società occidentali in un contesto di deculturazione storica.

 “L’ambientalismo offre un resoconto alternativo della religione” spiega John Kay, uno dei maggiori economisti inglesi.

 “All’ambientalismo all’inizio mancava un mito persuasivo dell’Apocalisse.

 La litania del degrado ambientale ha dovuto affrontare il fatto evidente che molti aspetti dell’ambiente stavano costantemente migliorando, come l’aria, più pulita, i fiumi, le spiagge.

La scoperta del riscaldamento globale ha colmato una lacuna”.

Kay sostiene che gli evangelisti green non sono interessati a soluzioni pragmatiche al cambiamento climatico.

Sono contrari a tutto, al carbone, al gas naturale, al gas di scisto, all’etanolo, alle dighe, ai camion, al Tgv, alla macchina, all’aereo.

 “I mulini a vento e andare in bicicletta al lavoro sono insignificanti come conseguenze pratiche, ma ogni ideologia ha bisogno di rituali che dimostrino l’impegno dei seguaci”.L’ecologismo sta edificando un vero e proprio culto: ha i propri giorni santi (la Giornata della Terra), i propri tabù alimentari (veganesimo e campagne per ridurre il consumo di carne di mucca, come in Germania), i propri templi (le università occidentali) e un proprio proselitismo (gli scettici sono trattati da eretici e peccatori malvagi).

Per dirla con il canadese Mark Steyn, “l’ambientalismo non ha bisogno del sostegno della chiesa anglicana perché è esso stesso una chiesa”.

Si rivisita anche la cristiana “tentazione” nell’idea green di “negawatt”, che consiste nel non usare energia diminuendo così la nostra razione giornaliera di watt (Amory Lovins).

 Gli ambientalisti hanno trasformato la scienza in una verità evangelica, che può essere usata per correggere il comportamento peccaminoso dell’uomo.

 La presunta onnipotenza dell’uomo trascritta nel termine stesso di “Antropocene” risponderebbe alla feroce resistenza del pianeta-martire che si vendica.

Una doxa con cui spiegare ormai tutto, dalla guerra in Darfur alla caduta dell’Impero romano.

Ognuno ha la propria data fissata per la fine del mondo, che chiamano “Envirogeddon” (l’Armageddon ecologica), in un “domani” infinitamente aggiornabile. Alluvione? Cambiamento climatico.

Siccità? Cambiamento climatico.

 Niente neve? Cambiamento climatico.

 Troppa neve? Cambiamento climatico.

Uragani? Cambiamento climatico.

Mancanza di uragani? Cambiamento climatico.

Cos’è questa, se non una religione?

Nel Medioevo i cataclismi naturali venivano interpretati come una punizione di Dio; oggi sono imputati all’orgoglio dell’uomo. E quando finirà il mondo?

Per il francese Jean-Pierre Le Goff, “è una nuova ‘religione laica’ che detiene le chiavi della storia umana e della salvezza”

Nel 1967 uscì un libro di notevole successo, “Famine 1975”, che per    quell’anno annunciava la fame di massa nel mondo.

“La maggior parte delle persone che moriranno nel più grande cataclisma della storia dell’uomo sono già nate”, scrisse Paul Ehrlich (il guru della population bomb) in un saggio del 1969 intitolato “Eco-Catastrofe!”.

 Ehrlich predisse per il 1980 “l’estinzione di tutti i cetacei” e la trasformazione dell’Inghilterra in una landa sterile.

Peter Gunter, professore della North Texas State University, annunciò nel 1970:

“Entro il 1975 inizieranno le carestie in India; si diffonderanno nel 1990 per includere Pakistan, Cina e Africa. Entro il 2000, o presumibilmente prima, l’America del Sud e quella Centrale saranno in carestia…”.

Harrison Brown, uno scienziato della National Academy of Sciences, pubblicò un grafico su Scientific American che esaminava le riserve di metallo e stimava che l’umanità sarebbe finita completamente a corto di rame dopo il 2000.

 Piombo, zinco, oro e argento sarebbero spariti prima del 1990.

Nel 1982, il funzionario delle Nazioni Unite Mostafa Tolba, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, avvertì:

 “All’inizio del secolo, una catastrofe ambientale causerà la devastazione”.

Nel 1989, Noel Brown, direttore dell’ufficio di New York del Programma ambientale delle Nazioni Unite, profetizzò:

“Entro il 2000 intere nazioni potrebbero essere spazzate via dalla faccia della terra dall’innalzamento del livello del mare”.

Il raffreddamento globale una volta era una preoccupazione per molti ecologisti, come il professore dell’Università della California Kenneth Watt, che avvertì che le tendenze attuali avrebbero reso il mondo “undici gradi più freddo nel 2000…”.

Nel 2006, mentre promuoveva il film “An Inconvenient Truth”, Al Gore disse che all’umanità mancavano soltanto dieci anni prima di raggiungere il punto di non ritorno, suggerendolo con scene di inondazioni di Manhattan e della Florida.

 È arrivato il 2016 e abbiamo tirato un sospiro di sollievo.

Ora la deputata dem americana Alexandria Ocasio-Cortez, quella del New Green Deal, ci avverte: “Il mondo finirà tra dodici anni se non affronteremo i cambiamenti climatici”.

Nel 2031 ci penserà qualcun altro a fissare la nuova data per la fine del mondo.

È diventato una religione che ha soppiantato il cristianesimo” (James Lovelock, l’ideatore dell’ipotesi di Gaia).

Nel frattempo, chi osa criticare Greta, la “ragazza che vuole salvare il mondo”?

I green agitano cartelli con scritto “Gli scienziati hanno parlato”, come un tempo si faceva con “Questa è la parola del Signore”.

 È stato James Lovelock, lo scienziato inglese divenuto noto per la “teoria di Gaia”, a spiegare che l’ambientalismo è mutato, da pragmatico e razionalistico si è fatto messianico e religioso.

 La sua storia inizia nel 1965, quando venne invitato ai Jet Propulsion Laboratories di Pasadena a condurre ricerca spaziale, in particolare studi sulla possibilità di vita sul pianeta Marte.

 Lovelock propose un metodo nuovo per scoprire se su un pianeta c’è vita o no: osservare l’evoluzione nella composizione chimica della sua atmosfera.

 Lovelock ebbe l’ispirazione di considerare il pianeta come un essere vivente.

Secondo alcuni critici si trattava già di mera teleologia dai risvolti mistici e filosofici. Lovelock dice oggi dell’ambientalismo:

 È diventato una religione, una religione che ha soppiantato il cristianesimo”.

Lovelock è un appassionato di energia nucleare, il che lo ha reso impopolare fra i verdi.

“Sono uno scienziato e un inventore ed è assurdo rifiutare l’energia nucleare.

Tutto proviene dal lato religioso. Si sentono in colpa per aver lanciato bombe atomiche.

E questo dono dato agli esseri umani – una fonte di energia sicura ed economica – viene orribilmente maltrattato.

 Stiamo ancora manifestando i sensi di colpa a riguardo”.

È stato scritto un libro, “Dark Green Religion”, a firma di Bron Taylor, professore di religione e natura all’Università della Florida, su pratiche molto diffuse per entrare “in comunione con la natura”.

Lo scrittore verde Mark Lynas ha ammonito che Poseidone, il dio del mare, “è irritato da semplici mortali come noi.

 Lo abbiamo svegliato da un sonno millenario e questa volta la sua ira non conoscerà limiti”.

Altri ambientalisti parlano della “vendetta di Gaia” e di parti dell’umanità spazzate via da inondazioni e uragani (mancano soltanto gli sciami di locuste).

 È un mix di ecologismo, psicoterapia e buddismo meditativo.

Meglio se condito con del pauperismo di religiosa memoria, perché nella propaganda ambientalista lo scopo è trasformare il consumismo in una patologia spaventosa,

“la più grande arma di distruzione di massa pensata dal genere umano” (scrive l’ambientalista svizzero Mathis Wackernagel in “Il nostro pianeta si sta esaurendo”).

 Proliferano gruppi di verdi apocalittici, come gli ambientalisti più radicali del Regno Unito, “Extinction Rebellion”, battezzati addirittura dall’ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, che si veste da druido.

C’è chi considera spacciata metà della terra e vorrebbe proteggere l’altra metà facendone un parco naturale, riedizione dell’arca di Noè.

 È “Half Earth” del fondatore della sociobiologia, il guru di Harvard Edward Wilson.

Ha una proposta su come fermare l’estinzione della biosfera: mettere da parte la metà del pianeta e farne un parco naturale senza esseri umani.

 “Dopo tutto, è la diffusione dell’umanità che ha accelerato i tassi di estinzione”, si legge nel libro.

Il clima diventa lo strumento della nostra stessa espiazione.

Un ambientalista negli anni Settanta, Edward Abbey, propose che la natura selvaggia dovesse essere riservata a un numero relativamente piccolo di persone, solo i soggetti fisicamente in forma e attenti all’ambiente.

“The world without us”, il mondo senza di noi esseri umani, scrive Alan Weisman nel suo romanzo di successo su un pianeta che si è liberato di quel virus che è l’umanità.

 Lo scrittore inglese Paul Kingsnorth ha scritto “Uncivilization”, libro di culto fra gli ecologisti.

Siamo entrati nella fase dell’“ecocidio”, il futuro consiste nella “decivilizzazione”.

Non si perora più l’uso della tecnologia o delle risorse come al Sierra Club.

 Siamo allo stadio finale dell’ambientalismo, atarassia e attesa della fine, come gli gnostici catari sul Montségur.

 Non esistono più santuari, siamo circondati.

 È il nuovo oppio dei popoli occidentali.

Dio non è morto. È soltanto diventato verde.

 

 

 

 

Latouche: "L'economia ha fallito

, il capitalismo è guerra,

la globalizzazione violenza".

Repubblica.it - Giuliano Balestreri - Serge Latouche – (10 MAGGIO 2020) – ci dicono:

Il teorico della decrescita felice interviene al Bergamo Festival: "Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio".

E poi critica l'Expo: "E' la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori. Serve un passo indietro, siamo ossessionati dall'accumulo e dai numeri".

MILANO - "La globalizzazione è mercificazione".

Peggio: "Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio".

E ancora: "L'Expo è la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori".

Serge Latouche, francese, classe 1940, è l'economista-filosofo teorico della decrescita felice, dell'abbondanza frugale "che serve a costruire una società solidale".

Un'idea maturata anni fa in Laos, "dove non esiste un'economia capitalistica, all'insegna della crescita, eppure la gente vive serena".

Di più: la decrescita felice è una delle strade che portano alla pace.

 E Latouche ne parlerà il 12 maggio al Bergamo Festival (dall'8 al 24 maggio) dedicato al tema "Fare la pace", anche attraverso l'economia.

L'economista francese, in particolare, si concentrerà sulla critica alle dinamiche del capitalismo forzato che allarga la distanza fra chi riesce a mantenere il potere economico e chi ne viene escluso.

Ecco perché, secondo Latouche, la decrescita sarebbe garanzia e compensazione di una qualità della vita umana da poter estendere a tutti.

 Anche per questo "considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l'ossessione della misura fa parte dell'economicizzazione.

Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio".

Abbiamo sempre pensato che la pace passasse per la crescita e che le recessioni non facessero altro che acuire i conflitti.

 Lei, invece, ribalta l'assioma.

Fa tutto parte del dibattito.

 Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati.

 E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d'oro, tra la fine della Seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni Settanta.

Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un'intensità senza precedenti.

Poi è iniziata la fase successiva, quella dell'accumulazione continua, anche senza crescita.

 Una guerra vera, tutti contro tutti.

Una guerra?

Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile.

 È una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta.

 Stiamo facendo la guerra agli uomini.

Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.

Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all'abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali.

Un cambio rotta radicale. Sapersi accontentare, essere felici con quello che si ha non è certo nel dna di una società improntata sulla concorrenza.

È evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio a consumatori, ma deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini.

 La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale.

Il livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita.

Adesso invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l'obiettivo di creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici.

Invece non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo.

 Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va direttamente nella spazzatura:

 scade senza che nessuno lo comperi.

 La globalizzazione estremizza la concorrenza, perché superando i confini azzera i limiti imposti dallo stato sociale e diventa distruttiva.

 Sapersi accontentare è una forma di ricchezza: non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più dell'importanza che ha realmente.

I consumatori però possono trarre beneficio dalla concorrenza.

Benefici effimeri:

 in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre più bassi.

Penso al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli stessi contadini cinesi messi in crisi dall'agricoltura occidentale.

Stiamo assistendo a una guerra.

Non possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà mai: ci sono leggi fiscali e sociali.

 E per i piccoli non c'è la possibilità di controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata.

Il Ttip, il trattato di libero scambio da Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo l'ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori.

Come si fa la pace?

Dobbiamo decolonizzare la nostra mente dall'invenzione dell'economia.

Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati.

Abbiamo iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione che distrugge le felicità.

 Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la rotta.

Il progetto economico, capitalista è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro.

Eppure lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società.

Ci sono voluti secoli per cancellare la società pre economica, ci vorranno secoli per tornare indietro.

Oggi preferisce definirsi filosofo, ma lei nasce come economista.

Sì, perché ho perso la fede nell'economia.

Ho capito che si tratta di una menzogna, l'ho capito in Laos dove la gente vive felice senza avere una vera economia perché quella serva solo a distruggere l'equilibrio.

È una religione occidentale che ci rende infelici.

Eppure ai vertici della politica gli economisti sono molti.

E infatti hanno una visione molto corta della realtà.

Mario Monti, per esempio, non mi è piaciuto; Enrico Letta, invece, sì: ha una visione più aperta, è pronto allo scambio.

 Io mi sono allontanato dalla politica politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma sociale.

Per avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neo zapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia.

Ma ci sono esempi anche in Europa:

Syriza in Grecia e Podemos in Spagna si avvicinano alla strada. Insomma vedo molto passi in avanti.

A proposito, Bergamo è vicina a Milano. Potrebbe essere un'occasione per visitare l'Expo.

Non mi interessa.

Non è una vera esposizione dei produttori, è una fiera per le multinazionali come Coca Cola.

 Mi sarebbe piaciuto se l'avesse fatto il mio amico Carlo Petrini.

Si poteva fare un evento come Terra Madre: vado sempre a Torino al Salone del Gusto, ma questo no, non mi interessa.

 È il trionfo della globalizzazione, non si parla della produzione.

 E poi non si parla di alimentazione: noi, per esempio, mangiamo troppa carne. Troppa e di cattiva qualità.

 Ci facciamo male alla salute.

 Dovremmo riscoprire la dieta mediterranea.

 Però, nonostante tutto, sul fronte dell'alimentazione vedo progressi.

Basti pensare al successo del movimento Slow Food.

 

 

Elezioni Francia, rischio di rivolte?

«È possibile, ma per la religione».

Corriere.it - Aldo Cazzullo – (25 aprile 2022) – ci dice:

Intervista al sociologo Alain Touraine:

 «Il tema è l’Islam. Marine non si è mostrata all’altezza. Un europeista che fa il bis è una pagina di storia politica»

PARIGI — Dal dodicesimo piano della sua casa di Montparnasse, e più ancora dall’alto dei suoi novantasette anni ad agosto, si può spaziare per tutta Parigi — le chiese, la storia — e avere la sensazione che il mondo possa ancora essere studiato, pensato, forse capito.

Professor Alain Touraine, la vittoria di Macron è stata netta? O di risulta?

«Vittoria netta. Quasi venti punti: di cosa stiamo parlando? Un europeista che vince due volte in Francia al tempo di Brexit, Trump e della rivolta contro la globalizzazione è una pagina di storia politica».

Però l’estrema destra è al massimo storico.

«Certo. In Francia esiste un forte sentimento antieuropeo. Come esiste la xenofobia.

Marine Le Pen ha fatto una campagna sociale di sinistra, su lavoro e salari.

Ma i francesi non sono idioti: sanno che il fondo del suo pensiero resta xenofobo.

 E anche antisemita. Di estrema destra, appunto».

 

I partiti tradizionali sono stati travolti.

«All’apparenza, è impressionante: la candidata socialista Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, non arriva all’1,8%... In realtà, è del tutto normale».

Perché?

«Perché quando cambia il tipo di società, cambiano gli attori politici.

Nel 1848 fecero irruzione nella storia gli operai: i moti di Parigi deposero l’ultimo re, Luigi Filippo.

Cominciava la lotta di classe con i padroni, la storia del socialismo e della destra borghese.

 Ora quel mondo è finito».

Ma resta la frattura tra chi sta sopra e chi sotto, chi vive in città e chi in provincia, chi vota Macron e chi Le Pen.

«Vede, la Francia fu uno Stato prima di essere una società; e questo è un problema che non abbiamo ancora risolto.

La Francia nasce dall’alleanza tra il re e la borghesia contro gli aristocratici: Il Re Sole e il gran borghese Colbert contro la Fronda.

Ma ancora oggi l’alta amministrazione — il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, le grandi scuole della capitale, insomma il mondo da cui viene Macron — è considerato dai francesi come la corte del re; quindi nemica del popolo».

Emmanuel Carrère ha detto al «Corriere» che, a differenza dei socialisti, la destra repubblicana esiste ancora; perché la destra repubblicana è Macron.

«La vera domanda dovrebbe essere: chi è Macron?».

Appunto: chi è? Lei ha scritto un libro su di lui. Ce lo dica.

«Macron non viene da destra.

 Il suo maestro è stato Paul Ricoeur, il più importante filosofo della propria generazione, cresciuto in contatto con i grandi che avevano pochi anni più di lui: Jean-Paul Sartre, Maurice Merleau-Ponty, Simone de Beauvoir.

Anche gli uomini che hanno inventato Macron sono di sinistra».

In che senso inventato?

«Macron ha fatto studi umanisti, letterari.

Poi gli è stato spiegato che per fare politica occorreva denaro; per questo è entrato nella banca Rotschild.

Prima ha distrutto il partito socialista, con un colpo di Stato non tanto contro il presidente Hollande quanto contro la sinistra interna.

Poi dall’Eliseo ha distrutto il partito neogollista.

Macron è un grande tattico. Ma quale sia il suo progetto politico, oltre a distruggere, non è chiaro».

L’Europa, no?

«Certo: gli Stati Uniti d’Europa, o almeno un nocciolo duro che comprenda Germania, Italia, Spagna. E l’Olanda, grande potenza finanziaria.

 Il momento è propizio perché la Germania non è troppo forte: la Merkel è uscita di scena, il suo bilancio è in discussione; e quando la parola tocca alle armi, come in Ucraina, la Germania è ancora debole».

La guerra ha influito sulle elezioni?

«Avrebbe potuto: Marine Le Pen è un’amica di Putin, ha preso soldi dalla Russia. Putin se l’è comprata».

Come mai allora i francesi le hanno dato oltre 13 milioni di voti?

«Perché rivendicano di poter scegliere il proprio presidente.

 Pensi del resto a quanti politici europei si sono comprati gli americani… L’elezione non è stata decisa dalla guerra, ma dalla pandemia».

Perché?

«Nel 2021 stavo scrivendo un capitolo di un libro molto critico verso Macron, e mi sono fermato: pensavo ci fosse davvero il pericolo di una vittoria dell’estrema destra.

 Poi però il presidente ha fatto la mossa giusta. Ha rifiutato un secondo lockdown.

Non ha dato retta alla comunità medico-scientifica, che chiedeva nuove restrizioni. Ha liberato i francesi.

È stato allora che ha vinto le elezioni.

 Il resto l’ha fatto Marine Le Pen, che si è mostrata non all’altezza, non abbastanza colta».

La cultura è così importante?

«Non siamo mai stati una grande potenza industriale. I

l nostro impero faceva ridere rispetto a quello inglese.

 Il nostro esercito da tempo non è più così potente.

Il potere culturale, la lingua, la letteratura è l’unico motivo per cui la Francia resta un Paese importante nel mondo».

Però gli studenti della Sorbona scrivevano «né con Macron né con Le Pen».

«La Sorbona è da sempre una pessima università.

Era buona nel XIII secolo, forse nel XIV.

L’ultimo studente che ha imparato qualcosa alla Sorbona è stato Dante.

Eppure è proprio nelle università che Macron può lasciare un segno di sé nella storia di Francia».

 

Perché?

«Ogni secolo ha la sua istituzione necessaria.

 L’Ottocento ha avuto le grandi banche commerciali: in Italia sono nate a Milano, che per questo è tuttora la capitale economica.

Il Novecento ha avuto la grande industria.

Questo è il secolo delle “research university”.

Macron dovrebbe dare alla Francia grandi università di ricerca.

Per realizzare il progetto del mio compagno all’École Normale, Michel Foucault».

Andava all’università con Foucault?

«Entrò un anno dopo di me. Diceva che l’università deve essere il luogo in cui si trasforma un giovane in un soggetto umano; vale a dire un dio».

Il mondo della scuola non ama Macron.

(Macron è un “uomo di Davos”, ossia di Klaus Schwab. Ndr.)

«Lo detesta.

 In particolare gli studenti delle materie umanistiche.

E i professori delle materie scientifiche:

 pagati troppo poco rispetto ai compagni di corso assunti dalle imprese private. Tutti costoro hanno votato Mélenchon.

Come dice il giovane Piketty…».

Piketty ha 52 anni.

«Appunto: giovanissimo.

Piketty fa notare che la forza motrice della sinistra un tempo erano i militanti, gli operai; oggi è la gente dell’università».

 

La Francia è sull’orlo di una nuova rivolta sociale?

«Il pericolo c’è, e Macron farebbe bene a negoziare la sua riforma delle pensioni, anziché imporla.

Ma il motivo per cui da vent’anni esplodono le rivolte e si combattono le guerre non sono le pensioni, né l’economia».

Qual’ è allora?

«La religione. E religione, in uno Stato laico come la Francia, vuol dire Islam. Ricordo che con mia sorella più grande, Jeanne…».

Quanti anni ha sua sorella?

«Cento. Andammo a vedere i leader mondiali venuti a sostenere la Francia dopo il Bataclan.

Abbiamo avuto stragi terribili, da Charlie Hebdo al 14 luglio a Nizza.

Eppure il Paese ha tenuto».

Nel dibattito con Marine Le Pen, Macron ha parlato di rischio di guerra civile.

«La guerra con l’Islam dura dai tempi delle crociate.

Perché non possono intendersi i fedeli di una religione come il cristianesimo — per cui l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, e Dio si è fatto uomo — e l’Islam, per cui Dio è tutto e l’uomo è nulla».

Grazie professore, io e i lettori del «Corriere» la ascolteremmo ancora; ma il pomeriggio è finito, e la pagina pure.

«Grazie a voi per avermi ascoltato parlare sulla società francese. Che, come spero abbiate capito, non esiste».

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