DENTRO I PALAZZI DEL POTERE.
DENTRO
I PALAZZI DEL POTERE.
I
Palazzi del Potere a Roma.
Lasinodoro.it
– Redazione – (10-10-2022) – ci dice:
Da
secoli e secoli l’Urbe è il centro del potere, un potere che ha trovato
“dimora” all’interno di alcuni dei palazzi più monumentali ed importanti della
città.
Passeggiando
in centro è possibile scorgere, a poca distanza l’uno dall’altro, questi
edifici, in grado di raccontare la storia politica e sociale non solo di Roma
ma spesso dell’Italia intera.
Vediamo
insieme i
Palazzi del Potere a Roma.
Palazzo del Quirinale.
Tra
questi il più importante, poiché ospita la Presidenza della Repubblica, è il
Quirinale, che sorge sull’omonimo colle.
Il
palazzo infatti venne costruito nel corso di oltre tre secoli su quella che nel
Cinquecento era la vigna di una nobile famiglia e che ben presto, grazie alla
posizione strategica, divenne una delle sedi pontificie.
Molti furono gli architetti e gli artisti che
parteciparono alla sua realizzazione:
la sua bellezza fece sì che lo stesso
Napoleone la scelse come sua residenza – sebbene non fece in tempo a recarsi
personalmente a Roma – per divenire successivamente la residenza ufficiale dei
re d’Italia.
Fu
proprio la regina Margherita a promuovere i cambiamenti più importanti al suo
interno, trasformando il palazzo in un vero gioiello in stile Luigi XV!
Dal
1948 è sede della più alta carica dello Stato e negli ultimi anni è stato
aperto al pubblico in quanto “casa degli Italiani”.
Palazzo Chigi.
All’incrocio
con via del Corso, in piazza Colonna, sorge un altro fondamentale palazzo del
potere: Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Prima di
essere acquistato dallo Stato Italiano nel 1916 per essere destinato
inizialmente a sede del Ministero delle Colonie e poi al Ministero degli
Esteri, era stato di proprietà di diverse famiglie nobili, tra cui gli
Aldobrandini che nel Cinquecento diedero avvio alla sua costruzione e poi ai
Chigi, da cui prende appunto il nome, che nel Seicento lo restaurarono quasi
completamente.
Palazzo
Montecitorio.
Adiacente
ad esso, in piazza Montecitorio, di fronte allo gnomone di Augusto, vi è la
sede della Camera dei Deputati e del Parlamento Italiano: Palazzo Montecitorio.
L’edificio
venne costruito nel Seicento per volere della famiglia Ludovisi che incaricò
Gian Lorenzo Bernini nella sua realizzazione.
Alcuni
anni dopo il palazzo fu destinato da papa Innocenzo XII a Curia Pontificia,
sede del Dazio, del Governatorato di Roma e della direzione di polizia ed i
lavori di ammodernamento furono affidati all’architetto Carlo Fontana.
Dopo l’Unità d’Italia venne destinato alle
funzioni parlamentari e fu così deciso di affidare i lavori di ampliamento
all’architetto Ernesto Basile, esponente di primo piano della stagione liberty
italiana, che eseguì importanti interventi costruendo un nuovo edificio alle
spalle dell’originale.
Palazzo Madama.
Non
lontano dal Pantheon si trova invece Palazzo Madama:
scelto nel 1871 come sede del Senato del Regno
(poi della Repubblica), deve il suo attuale aspetto ai lavori seicenteschi
realizzati da Paolo Malucelli, sebbene notevoli trasformazioni furono poi
apportate nei secoli successivi, fino all’aggiunta novecentesca su via della
Dogana Vecchia.
L’edificio prende il nome dalla Regina
Margherita d’Austria, detta la Madama, che nel Cinquecento ereditò la residenza
in quanto vedova di un esponente della famiglia dei Medici, al tempo
proprietari di alcuni immobili nella zona.
Alle
spalle del palazzo, vi è il meno noto – ma non per questo meno importante –
Palazzo Giustiniani, sede di alcuni uffici del Senato e luogo in cui il 27
Dicembre del 1947 venne firmata la Costituzione della Repubblica!
Si
chiudono le porte dei palazzi del potere?
Cari
amici della Destra dovete rendervi conto che…
Trucioli.it
- Sergio Bevilacqua – (8-12-2022) – ci dice:
Ci
risiamo? E non dico per scherzare.
C’è la
netta sensazione che i palazzi del potere, quatti - quatti
stiano
chiudendo le porte.
Sergio
Bevilacqua che collabora a trucioli.it, è sociologo clinico progettista dello
sviluppo economico e sociale di area vasta presso Enti pubblici e consorzi
pubblico-privati.
Allora,
che le bugie siano peggio dei silenzi, è certamente vero dal punto di vista
morale, ma che, invece, dal punto di vista informativo, almeno una bugia porti
un segno, e su quel segno si possa riflettere è altrettanto un dato di fatto…
Invece,
il silenzio è soporifero, ti porta al sonno e al deliquio, così interessante
per i sistemi antidemocratici.
Il
dosaggio microscopico dell’informazione sui mass media, può significare 2 cose
principali, dai megafoni di Palazzo:
“Ora
facciamo i fatti nostri, per cui Voi (chi sia poi questo “supremo voi”, di una
settimana estiva di campagna elettorale senza possibilità di voci alternative
per i tempi terroristici delle elezioni…), ci avete eletto e Voi non c’entrate
più”;
o,
nella migliore delle ipotesi, “Fidatevi, che siamo qui per Voi”.
Ma
almeno il partito esiste e funziona, nel suo top-down e bottom-up, cioè dal
Popolo ai palazzi del potere e viceversa, dal Paese legale al Paese reale…
Oppure
non funziona nemmeno quello: targhette a iosa, e poi quando parli
approfondisci, capisci che i coraggiosi tribuni del popolo sono in folle corsa
verso quei palazzi del potere, per chiudercisi dentro il più in fretta
possibile, alla faccia del Partito e a quella degli italiani.
Beninteso,
male diffuso e soprattutto dove la tradizione del partito non c’è:
non
che Fratelli d’Italia soffra di più del M5S o di Calenda/Renzi.
La
storia organizzativa di Fratelli d’Italia vede un’origine nel vecchio Movimento
Sociale, quello di Almirante e poi anche di Fini.
Qui non m’interessa la sua ideologia,
assolutamente no:
qui
svolgo delle considerazioni di carattere organizzativo su quella forza politica
e civile che è il Partito nelle Costituzioni democratiche, e constato in velocità che, anche
in epoca di partiti organizzati e rispettati (anche troppo, per come davvero si
comportavano…) cioè dal 1945 agli anni ’90, il partito della fiamma tricolore
era quello messo peggio.
E non
per tradizione, che, se mai fosse stata nel partito fascista, non mancava certo
di modello, ma certo per le gravi difficoltà indotte dalla limitazione della
ricostituzione del disciolto partito fascista evocato dalla Costituzione
democratica italiana con ampie giustificazioni storiche e pratiche.
La
cautela organizzativa d’antan lo rese di certo struttura molto più fragile
delle altre, e non solo per le dimensioni dei vecchi DC e PCI, anche proprio
per una “sindrome del covo”, indotto dalle scelte costituzionali.
L’abbraccio
liberale finiano del dopo Fiuggi ha liberato la forza politica da quella
sindrome e, previa parentesi berlusconiana disastrosa, ha aperto la via allo
spirito della destra democratica, di una destra consapevole del proprio ruolo
sociale e specificamente societario in democrazia;
e non tardo liberale, se non per il doveroso
riconoscimento dell’individuo, della persona come attore sociale e societario,
ma ben consapevole della doverosa subordinazione al meccanismo societario.
Di
organizzazioni, cioè, con basso livello di “cagnara”.
E
allora il partito viene confuso con gli sbandieratori delle feste medievali:
chiuse le feste (elettorali) viene cessato il
dialogo col popolo, con mille ottime (per loro) scuse per farlo.
Intuisco
che la resistenza di improvvisatori, forsennati arrivisti e anche politici di
lungo corso reduci e usciti sproporzionatamente forti dalla atomica di Mani
Pulite e dalla grottesca e terminale chemioterapia Grillo-Casa/dileggio,
disturbi un Partito che li mette quotidianamente di fronte al popolo di cui
dovrebbero essere onesti rappresentanti…
E che
quindi la realizzazione del vero Partito della Costituzione, cinghia di
trasmissione tra Paese reale e Paese legale, che consiste in servizi reali,
connessione stabile con i corpi sociali intermedi, sia per valorizzazione
dell’esistente che per creazione ulteriore, implichi una riduzione della ebete
felicità di essere arrivati a chiudersi nella Kinderheime dorata, dove giocare
in 600 col bel puzzle dello Stato italiano…
Ma,
cari amici soprattutto della Destra, dovete rendervi rendete conto che
il
comunismo non è tutto ciò che limita l’opera del privato, come è stato
battezzato opportunisticamente da Berlusconi 30 anni fa, ma c’è anche il buon
senso e la organizzazione civile, (e per fortuna c’è notevolissima
documentazione storica e filosofica a documentarlo…), si è buttato via il bambino, il
Partito, con l’acqua sporca, sia un poco per Mani Pulite, con una cura da
cavallo che ha mezzo ucciso l’animale, e coi i falsi profeti, ignoranti e
sprovveduti come Grillo e Casaleggio.
Lo
Stato è dei cittadini e la cinghia di trasmissione deve essere mantenuta, e i
cari deputati e senatori devono mettersi almeno 2 giorni alla settimana al
servizio dei cittadini come in UK e poi non contar balle, ma rivolgersi a
competenti uffici del partito per le risposte professionali a persone fisiche e
giuridiche, gente e aziende.
Se
almeno ciò non succede, e prestissimo, non credo davvero che questo Governo
possa fare meglio degli altri.
Sì, un poco di ricambio… Ma molto?
No,
pochissimo.
Cervelli
di QI più o meno uguali, qualche lavoraccio di differenza, ma sempre da giocare
al centro, come ha fatto anche la sinistra nei fatti (Zan sì sì, e poi quasi
no, ecc.).
E
soprattutto lo stesso distacco dalla gente.
Perché in Democrazia senza buoni Partiti non
c’è buon Governo…
(Sergio
Bevilacqua)
I
TROJAN DI STATO SONO
LA
NUOVA ARMA DEL POTERE.
Thevision.com - GIOVANNI BITETTO - (6 AGOSTO
2020) – ci dice:
Nel
film “Minority report” si metteva in scena il funzionamento di un’ipotetica
divisione di polizia che operava attraverso un meccanismo di prevenzione,
sfruttando le capacità di tre gemelli sensitivi.
Oggi,
la fantascienza è diventata realtà, e non serve affidarsi alle arti magiche, è
sufficiente saper usare gli strumenti tecnologici predisposti per la
sorveglianza.
Il ricorso massiccio alle nuove tecnologie per
svolgere le indagini è sempre più diffuso.
Basti
pensare a software come PredPol – usato in 60 dipartimenti americani fra cui quello di Los
Angeles – che incrocia e analizza i dati su effrazioni e furti con la
composizione sociale di un determinato quartiere, così da “prevedere” le
probabilità di un crimine in un’area specifica.
Non mancano
le polemiche, perché gli algoritmi sono programmati da umani, e sono dunque
soggetti all’influenza di pregiudizi che possono essere discriminatori, come
l’idea che certi gruppi etnici o ceti sociali siano più inclini a commettere
crimini.
Still
dal film “Minority Report”.
“Per
capire l’autoritarismo moderno dobbiamo mischiare elementi di Orwell e elementi
di Huxley,” scrive il sociologo Evgenij Morozov nell’Ingenuità della rete.
“Alcuni
credono che solo nelle dittature prevalgano gli strumenti repressivi, e
viceversa. In realtà ci sono molte componenti huxleyane nei sistemi non
democratici e, al contrario, molte componenti orwelliane in quelli che si
credono tali.”
Le
componenti orwelliane della nostra società sono rappresentate dagli strumenti
di sorveglianza caratterizzati da una tendenza al controllo che opera in
maniera preventiva piuttosto che repressiva.
(Evgenij
Morozov)
Senza
spingerci verso frontiere futuribili come quelle della sorveglianza
algoritmica, una delle pratiche investigative oggi più utilizzate dalle forze
dell’ordine, anche italiane, riguarda i cosiddetti “captatori informatici”,
comunemente conosciuti come trojan.
I
trojan sono virus piuttosto comuni che agiscono installando sui dispositivi
software che ne aggirano la protezione, per potervi accedere da remoto, o che
danneggiano e controllano i dati senza il consenso dell’utente.
A tutti, prima o poi, è capitato che il
proprio computer ne venisse infettato.
I trojan di Stato possono funzionare in due
modi differenti: sotto forma di “online search” oppure come “online
surveillance”.
Nel
primo caso si tratta di programmi che permettono di copiare dati, tutti o in
parte, dal dispositivo infettato.
Nel
secondo invece si intende l’attività di acquisizione del flusso informatico che
passa attraverso le periferiche – schermo, microfono, tastiera, webcam.
La
pericolosità di questi sistemi d’indagine riguarda la sfera della privacy:
le
critiche sottolineano l’incapacità di questi programmi di stabilire cosa sia
oggetto dell’attività d’indagine e cosa invece sia lecita attività di tutti
giorni:
il trojan opera quindi una raccolta diffusa e
invasiva.
Questo
tipo di spionaggio, inoltre, ha potenzialità infinite perché può essere
applicato a qualsiasi dispositivo tecnologico: non solo il computer, ma anche
il telefono, il tablet, la televisione, l’auto.
Si
predispone dunque una continua violazione della privacy dell’utente messo sotto
controllo.
Un’invasione
così massiccia della vita privata non potrebbe essere legalmente permessa, se
non in casi specifici, come avviene già nell’autorizzazione di altri mezzi di
ricerca della prova – l’intercettazione, la perquisizione, l’ispezione, il
sequestro – regolati dal codice di procedura penale.
Ma le
tecnologie di intelligenza artificiale hanno molte potenzialità in più rispetto
ai mezzi “tradizionali” e spesso risultano più efficaci.
Secondo Fabio Pietrosanti, presidente e
co-fondatore del Centro Hermes per la trasparenza dei diritti umani digitali,
“Le
frontiere verso cui si spinge la profilazione comportamentale degli utenti,
grazie alle tecnologie di intelligenza artificiale, sono sempre più
preoccupanti soprattutto perché spesso riescono a sfuggire agli interventi
regolatori dei garanti privacy.”
Le
vicende di cronaca giudiziaria legate ai trojan hanno sollevato molte polemiche.
Dal
caso del “Querela”, il trojan installato sul computer di Luigi Bisignani e
utilizzato dalle forze dell’ordine come cimice, nell’ambito dell’inchiesta
della procura di Napoli sulla P4 nel 2011;
a
quello del Remote Control System Galileo, il malware prodotto – fino al 2016,
prima che ne fosse revocata l’autorizzazione alla commercializzazione –
dall’azienda milanese Hacking Team (HT) e venduto a diversi sistemi governativi
nel mondo, tra cui l’Egitto.
Secondo
alcune ipotesi sarebbe stato utilizzato dalla “National Defense Council” per
accedere al telefono del ricercatore Giulio Regeni.
(Luigi
Bisignani)
Eyepiramid
è invece
il software malevolo alla base di una vasta operazione di cyberspionaggio che i
fratelli Giulio e Francesca Maria Occhionero avrebbero sfruttato per introdursi
nei dispositivi di personaggi di spicco, con lo scopo di conservarne le
informazioni probabilmente a fini di estorsione.
Nel corso dell’indagine, agli inizi del 2017, è stato
emanato un provvedimento di custodia cautelare nei loro confronti, che però
sono riusciti a impugnare, lamentando l’inutilizzabilità in sede processuale
degli elementi estratti dai loro computer attraverso trojan di Stato.
La polizia infatti aveva captato i dati in
tempo reale mentre il computer si trovava in casa, principalmente attraverso screenshot, e non flussi informatici.
Dunque, secondo la difesa degli Occhionero le
autorità avrebbero superato il limite di controllo informatico previsto dalla
legge.
La
Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, aprendo di fatto la strada
all’utilizzo di questi software anche in caso di delitti ordinari, come hanno
sottolineato gli avvocati Giovanni Battista Gallus e Francesco Micozzi.
Il
dibattito nato tra i tecnici ha contribuito ad arrivare, lo scorso anno, alla
cosiddetta legge Orlando.
Con
questo provvedimento, tra le altre cose, si delega al governo di rivedere le
regole sulle intercettazioni e, in particolare, sui captatori informatici,
lasciando molta libertà ai gruppi investigativi.
La nuova norma apre la strada
all’intercettazione tramite trojan – ovvero all’utilizzo del computer come una
cimice – non solo per reati di mafia e terrorismo, ma anche per quelli meno
gravi come le molestie e le minacce.
Persino
l’Ong
britannica Privacy International si è sbilanciata, producendo un’analisi approfondita
sui rischi in questione, e chiedendo in un comunicato alle Camere italiane di
riportare la normativa in linea con gli standard internazionali di protezione
dei diritti umani.
Lo scopo delle politiche in materia di
sicurezza è normalizzare gradualmente queste misure, far sì che non siano più
giudicate estreme, ampliandone lo spettro d’azione e il ventaglio di
possibilità in cui è lecito utilizzarle.
Così,
si erode silenziosamente la sfera della privacy fino a instaurare una forma di
controllo onnicomprensiva, che si definisce “preventiva” ma non ha nulla di
diverso dalla normale repressione da cui si dice lontana la retorica
democratica.
La
regolamentazione in materia di diritto informatico è molto in ritardo rispetto
alle possibilità del mezzo tecnologico, e non solo in Italia.
In
Olanda una legge per impedire la violazione della privacy informatica è stata
approvata solo l’anno scorso, negli Stati Uniti il fondatore di Silk Road, Ross
Ulbricht, ha basato la sua difesa sulla presunta acquisizione illegale di dati
informatici da parte dell’accusa.
Nel
clima di confusione e disinformazione che si crea quando si parla di
legislazione digitale, l’unico a guadagnarci è lo Stato, che può introdurre
misure coercitive senza che queste siano contestate dall’opinione pubblica.
Anche se lo Stato e le pubbliche autorità
dovranno in ogni caso attenersi ai disposti del GDPR e anche della recepita
direttiva europea circa il trattamento dei dati personali ai fini di indagine,
prevenzione e repressione dei reati, dovremo aspettare ancora molto prima di
metterci al passo con i tempi e avere tutte le garanzie necessarie.
Lo ha
già fatto la Corte Costituzionale tedesca nel 2008, che ha inaugurato un nuovo
diritto costituzionale di “autodeterminazione informatica” o “sicurezza
informatica”, davanti all’inadeguatezza dei diritti “classici” di tutelare in
modo efficace l’integrità e la riservatezza dei dati telematici.
Si
tratta di un ritardo decennale che è indispensabile colmare, prima di tutto,
informandosi sulla materia.
(Giovanni Bitetto su Thevision.com)
Covid,
i lockdown sono l'arma del potere:
presto
in arrivo nuove chiusure.
Affaritaliani.it
– Diego Fusaro -Lampi del pensiero- (23 novembre 2021) – ci dice:
La
società a venire sarà sempre più plausibilmente una società con lockdown a
rocchetto o a yo-yo.
Coronavirus,
i lockdown sono la nuova arma nelle mani delle classi dominanti.
A tal punto che si potrebbe ragionevolmente
asserire che il lemma lockdown è la parola chiave della filosofia politica a
partire dal 2020, quando fece la sua epifania in relazione all'emergenza
epidemica.
Non è
difficile immaginare come presto potrebbero arrivare nuovi lockdown di ordine
climatico, energetico e di molti altri generi ancora.
La
parola lockdown rinvia, come sappiamo, al vocabolario carcerario:
allude
alla reclusione forzata nelle celle di massima sicurezza.
Per
estensione, dice la nuova tendenza dei gruppi padronali turbo-capitalistici
organici al blocco oligarchico a costringere al confinamento domiciliare coatto
le masse nazionali popolari.
Il
vecchio sogno del potere di paralizzare ogni possibile impeto contestativo è
realizzato.
La
società a venire sarà sempre più plausibilmente una società con lockdown a
rocchetto o a yo-yo che dir si voglia, con masse nazionali popolari umiliate,
impoverite, disumanizzate, condannate a una vita ridotta a mera sopravvivenza.
(Diego
Fusaro (Torino 1983) insegna storia della filosofia presso lo IASSP di Milano
(Istituto Alti Studi Strategici e Politici).
La
nuova Space Force: ecco l’arma
di
Donald Trump per conquistare lo spazio.
Repubblica.it
- GIANLUCA DI FEO – (26 SETTEMBRE 2020) – ci dice:
Il
Pentagono dettaglia scopi e organizzazione dei soldati che saranno impegnati a
sorvegliare le stelle.
«LE
Space Forces devono impadronirsi della scienza e dell’arte della guerra
spaziale:
conoscere perfettamente Keplero e Clausewitz,
Maxwell e Sun Tzu, Newton e Liddle Hart».
L’identikit
del soldato del futuro prossimo è un ritratto a metà strada tra l’astrofisico e
il parà, tra il nerd e il samurai: «Servono agilità, innovazione, audacia».
Lo ha teorizzato un documento pubblicato poco
più di un mese fa, destinato a rivoluzionare la natura dei conflitti: la prima
definizione dottrinaria del potere spaziale.
L’hanno redatto gli strateghi della Space
Force, la nuova forza armata autonoma voluta nel 2019 dal presidente Donald
Trump con l’ambizione di essere «catastroficamente determinante nelle guerre
del domani».
Finora
ogni iniziativa è stata accolta con ilarità.
Dal
simbolo che imita quello di Star Trek all’adozione di tute mimetiche vegetate
(«Lo sanno che nella stratosfera non ci sono piante?»)
fino
al “phisique du role” del capo, il generale Jay Raymond («Ha un’aria vagamente
vulcaniana…»).
Prima
ancora che diventasse operativa, Netflix gli ha dedicato una serie satirica,
con Steve Carell e John Malkovich obbligati dalla Casa Bianca a mandare “boots
on the moon”: fanti sulla Luna per sfidare i cinesi.
Scherzi
a parte, le 41 pagine che teorizzano “la supremazia spaziale” sono un testo da
brivido.
Lo introduce una frase di Lyndon Johnson, il
presidente dell’escalation in Vietnam: «C’è qualcosa di più importante di ogni
arma finale.
È la posizione finale: la posizione di totale
controllo sulla Terra che si trova da qualche parte nello spazio».
Dalla
notte dei tempi, le battaglie si vincono conquistando la posizione più alta.
E ora questo concetto viene declinato nella
modernità per occupare la posizione più alta di tutte:
chi domina le orbite è padrone di qualunque
campo di battaglia, in ogni angolo del pianeta. «Lo “space power” è intrinsecamente
globale», recita il manuale.
Questa
la teoria.
Che
comincia a essere messa in pratica, partendo dal primo dei cinque pilastri
della dottrina statunitense: garantire la sicurezza dei satelliti.
Negli
ultimi anni sono stati segnalati esperimenti russi, cinesi, indiani e persino
iraniani per distruggere o “accecare” le stazioni orbitanti.
Dalle
quali dipendono le comunicazioni intercontinentali, la possibilità di
sorvegliare gli avversari e soprattutto il geo-posizionamento: oggi senza le coordinate gps nessuna arma funziona.
Missili,
bombe, aerei, navi, tank, persino le pattuglie di incursori in azione dei monti
afgani hanno bisogno dei segnali dei satelliti per muoversi e colpire.
Così
in una base nel deserto del Colorado è entrata in funzione la Delta-6, un’unità
di cyber-combattimento spaziale:
il suo
compito è impedire che le trasmissioni dei satelliti americani vengano
compromesse e — ovviamente — riuscire a manipolare quelle dei congegni nemici.
Nel bunker di Schreiber ben 8.100 militari gestiscono 170 satelliti.
La
Delta-6 è una creatura che viene dal passato: dalla pista di Nha Trang ha
combattuto i primi duelli elettronici della storia, contrastando i dispositivi
con cui nordvietnamiti e sovietici disturbavano le frequenze dei bombardieri
B-52.
Adesso alza gli occhi alle stelle e ripete la
stessa missione ma con tecnologie infinitamente più sofisticate.
Che il
generale Raymond vuole comprare senza stare dietro alla burocrazia: «Ci sono 65
organizzazioni diverse che se ne occupano.
Dobbiamo
unificare gli sforzi del Pentagono, riducendo i costi e aumentando la rapidità.
Siamo
nella cuspide di un cambiamento tettonico nel concetto di guerra».
Washington
ha fretta.
Per
quasi un ventennio ha pensato solo alla sfida contro il terrorismo islamico,
perdendo terreno nel confronto con le altre potenze.
I
piani per la Space Force prevedono entro quattro anni di raggiungere un
organico di 18 mila militari.
Il generale Raymond vuole che gli “space warrior” siano dei «pionieri dotati di
creatività e immaginazione»:
un’armata di «esploratori, innovatori,
diplomatici, scienziati, manager ma soprattutto combattenti», con una
«comprensione intuitiva della dimensione in cui devono agire».
Piccoli
reparti ma altamente qualificati, che si stanno già schierando in tutto il
mondo, da Sigonella al Qatar, per presidiare le vedette orbitanti che vigilano
sui lanci di missili balistici.
Poi si
passerà alla fase due, la più segreta: le armi offensive.
Ci
sono test su laser dislocati a terra in grado di mettere fuori uso i satelliti
e altri da imbarcare sugli shuttle.
Il
punto dolente è proprio questo: gli Usa non hanno più navette.
L’unica
è il Boeing X-37 telecomandato che da dieci anni compie voli misteriosi ma è
già considerato obsoleto.
C’è un programma per potenziarlo, con un
sistema di guida affidato all’intelligenza artificiale.
Nel
frattempo, però, i cinesi lo hanno già copiato: la prima missione si è conclusa
due settimane fa.
Segnando
l’esordio nello spazio della nuova Guerra fredda.
Il
nemico, la paura:
armi
utili al potere.
Focus.it
– Aldo Cairoli - Focus Storia – (8 settembre 2021) – ci dice:
Le
radici antiche di un "vizietto" di chi governa: usare la paura come
arma politica e di propaganda...
(L'ingresso
degli Unni a Roma in un dipinto di fine Ottocento. Di Ulpiano Checa
Sanz/WikiMedia)
Paura.
È il
più vecchio strumento del potere.
Quando
c’è una crisi in vista o ci si trova in un momento di difficoltà sociale e i
pilastri di una nazione o di un popolo vacillano, la paura diventa spesso una
risorsa da tenere viva, per tenere viva la collettività stessa.
Ma per
farlo ci vuole un nemico. Nella storia sono stati molti i nemici che hanno
contribuire a rafforzare l'identità dei popoli: a partire dai barbari, il
nemico perfetto degli antichi Greci.
Comportamento.
Perché
avere paura può farci bene?
Alessandro
Magno, ritratto nel busto, in soli 12 anni conquistò l'impero persiano.
Nel
480 a.C. i Greci avevano fermata l'avanzata dell'impero persiano durante la
decisiva battaglia di Salamina.
IDENTITÀ
CERCASI.
Le
città greche definivano “barbari” (parola onomatopeica inventata proprio dai
Greci) la gente che parlava una lingua incomprensibile.
E i più barbari tra i barbari erano i
Persiani.
Il
barbaro era descritto come diverso in tutto: non solo non parlava come i Greci,
ma nemmeno mangiava come loro.
In più, i Persiani erano comandati da un re
investito di un potere assoluto e non conoscevano la democrazia.
Nel
teatro (che plasmava l’opinione pubblica) e nella storiografia (che era
destinata a pubbliche letture) la contrapposizione divenne ideologica e
religiosa:
la
terra dell’uno (la Persia monoteista e assolutista) minacciava quella del
molteplice (la Grecia delle città-Stato politeiste).
Le pratiche rituali, i miti e tutto ciò che
chiamiamo religione greca si assunse così il compito di cementare e celebrare
l’identità collettiva greca.
Cultura.
Le 10
cose che fecero grande l'impero romano.
INVASIONI
O MIGRAZIONI?
I
barbari furono gli sparring partner della politica della paura anche per i
Romani. Al campionario di accuse i Romani ne aggiunsero una usata in seguito da
regni, imperi e governi alle prese con grandi migrazioni:
i barbari, oltre che brutti e cattivi, erano
per definizione anche tanti e inarrestabili.
Gli
spostamenti dei nomadi sono descritti dalle fonti romane come una marea che
monta a ondate successive: i Celti e i Galli in età repubblicana, i popoli
dell’Est in quella imperiale.
«Questo nonostante la vera minaccia alla pace
fossero piuttosto i Romani stessi, che si affermarono con violenze e massacri»
sottolinea lo storico Alessandro Barbero.
«Erano
i “barbari” ad aver paura dei legionari.
Tanto
che alla fine quasi tutti furono romanizzati e integrati nell’impero.
L’integrazione fu un modo politico per esorcizzare la paura del diverso».
Eppure
la retorica ufficiale continuò a parlare dei presunti sacrifici umani praticati
dagli stranieri anche quando ai vertici di esercito e province c’erano ormai
molti ex barbari.
(Una
carica dei Templari in Terrasanta nel XII secolo, in un’illustrazione moderna).
L’
ordine dei Templari fu fondato nel 1118 (e le regole fissate da San Bernardo)
con lo scopo di proteggere le vie di comunicazione con la Terrasanta e
custodire luoghi come il Calvario o il Santo Sepolcro.
Si
distinsero per la quasi disumana disciplina che li regolava, e per ferocia e la
determinazione in battaglia (gli arabi li chiamavano “diavoli bianchi”).
INFEDELI.
Quando il cristianesimo divenne religione di Stato (IV secolo) l’identità del
nuovo potere si compattò invece non più grazie ai barbari ma grazie agli
eretici.
«Gli
ariani, in particolare, dal IV-V secolo furono descritti come mostri dopo che
la loro dottrina fu bollata come eretica. Il nemico non era più definito su
base etnica, ma su base religiosa» dice Barbero.
La
demonizzazione era ormai diventata parte di un aperto gioco di potere.
Non a caso il diavolo, una figura quasi sconosciuta
nei primi secoli del cristianesimo, debuttò proprio nel Medioevo.
E con
lui altri spauracchi.
«Fra l’età di Carlo Magno (IX secolo) e il
Mille, nelle cronache apparvero “nuovi barbari” da contrapporre alla civiltà
cristiana» continua lo storico.
«I loro nomi erano Vichinghi, Ungari,
Saraceni: erano saccheggiatori e, in più, pagani».
Cultura.
Chi
erano i templari?
IL
NEMICO PERFETTO.
Le
crociate non avevano però nel loro mirino solo musulmani e saraceni come
comunemente si crede.
Già la
prima (1095) fu illuminata infatti dai roghi delle spedizioni punitive contro
gli ebrei.
«Tra
Medioevo e Rinascimento, un tempo dominato dall'insicurezza, la paranoia
collettiva raggiunse l'apice e cercò disperatamente cause all'origine di eventi
apocalittici come la peste» continua Barbero.
Serviva
un capro espiatorio e gli ebrei sembravano creati apposta per quello. «Furono
accusati di avvelenare pozzi e rapire bambini, isolati dalla società di cui
erano parte integrante e messi nei ghetti (che prima non esistevano), indicati
a dito con l’imposizione di segni distintivi (il colore giallo) e massacrati
come untori».
(Locandina
del film "Ebreo errante" (1940) film documentario antisemita prodotto
e finanziato dal ministero della propaganda nazista.)
Un
fenomeno strumentalizzato dalla Chiesa con un potente argomento suggerito ai
fedeli: la
favola degli ebrei popolo deicida.
Tra
’800 e ’900, quando l’identità delle nazioni europee entrò in crisi (e loro,
con il 1914, in guerra) l’antisemitismo divenne uno strumento di propaganda
potentissimo, rafforzato dalle teorie razziste.
Nacquero
così clamorosi falsi storici preparati a tavolino, come i Protocolli dei Saggi
di Sion:
scritti
da un gruppo di antisemiti russi legati alla polizia segreta dello zar e
pubblicati nel 1903 come un testo concepito in ambito ebraico, prefiguravano la
conquista del mondo da parte di una “cospirazione giudaica”.
Cultura.
Gli
eventi più sanguinosi della storia.
RICETTA
SEMPREVERDE.
Amplificata dai giornali e dalla radio, poi
anche dal cinema e dalla televisione, la demonizzazione del nemico (non solo
ebraico) si trasformò in manipolazione di massa con i due conflitti mondiali e
con la Guerra fredda, tra gli Anni ’50 e gli ’80.
La
ricetta, nell’ultimo secolo e mezzo, è rimasta la stessa.
Dapprima alimentare il sentimento di
insicurezza.
Poi
identificare l’obiettivo delle paure: nemici interni che minano la tenuta
del Paese.
Un
copione sempre uguale che nel 1948 fece sentenziare allo scrittore inglese
Aldous Huxley: “Il
potere si regge su tre pilastri: paura, nemico, nazione”.
(Articolo
di Aldo Cairoli pubblicato su Focus Storia).
Sorveglianza
biometrica nuova arma
nella
cyber guerra, dall’Afghanistan
all’Ucraina:
usi e scenari.
Agendadigitale.eu
– Angelo Alù - (1°aprile 2022) – ci dice:
Sicurezza
Digitale.
A
livello mondiale, la proliferazione di tecnologie invasive di riconoscimento
facciale rappresenta una strategia non del tutto nuova, spesso utilizzata –
soprattutto in epoche recenti – anche per finalità militari.
(Il
precedente dell’Afghanistan, gli usi nel conflitto ucraino, le ripercussioni
sulla sicurezza di tutti.)
Facial
recognition.
Anche
l’Ucraina starebbe iniziando a puntare sulla tecnologia di riconoscimento
facciale per scansionare i volti dei soldati russi e identificare le migliaia
di persone che hanno perso la vita in occasione dei bombardamenti pianificati
dal Cremlino, sfruttando le potenzialità – ancora ritenute non del tutto
affidabili – della controversa piattaforma Clearview AI (ove sono raccolte
oltre 2 miliardi di immagini estrapolate, tra l’altro, anche dai più noti e
popolari social media russi).
Questo
nell’ottica di predisporre un database aggiornato e completo in grado di
selezionare e processare le foto caricate e indicizzate sul web, anche per
verificare la presenza di eventuali infiltrati russi, riconoscere i soldati
senza bisogno di impronte digitali e intensificare la lotta alla
disinformazione mediante la supervisione centralizzata del flusso comunicativo
che circola online.
L’uso
del riconoscimento facciale in zone di guerra.
L’uso
del riconoscimento facciale nelle zone di guerra, infatti, consentirebbe
all’intelligence ucraina di abbinare le immagini dei soldati russi uccisi in
combattimento ai profili dei social proprio grazie all’app biometrica di “Clearview
AI”, identificando anche i militari ucraini deceduti dai loro account
registrati sulle piattaforme sociali media, per poi inviare i messaggi alle
famiglie e consentire loro di recuperare i corpi delle vittime.
Mentre
in Ucraina si ricorre a simili servizi digitali per le descritte finalità di
monitoraggio, anche in Russia si registra il ricorso sistemico alla tecnologia
di riconoscimento facciale, mediante la massiva installazione di un numero
crescente di telecamere posizionate in molte città per inquadrare costantemente
il flusso di mobilità interno, cercando di reprimere con la costante
supervisione esercitata da un invasivo “occhio elettronico”, in funzione
preventiva, il dissenso degli oppositori a presidio di prioritarie esigenze di
sicurezza nazionale, in nome di una vera e propria “guerra alle bugie” che il
Cremlino sta prioritariamente combattendo entro i propri confini territoriali.
Si
tratta peraltro di una strategia a lungo perfezionata dal governo russo che, da
tempo interessato a implementare le potenzialità della biometria di
sorveglianza, ha cominciato a intensificare l’utilizzo di telecamere con
tecnologia di riconoscimento facciale nei luoghi pubblici inizialmente al fine
di multare i trasgressori responsabili di comportamenti vietati in violazione
delle norme anti “Covid-19”, oltre a potenziare il sistema di Intelligenza
Artificiale nei servizi pubblici, per poi identificare e perseguire i
manifestanti dissenzienti con il pretesto di proteggere la sicurezza nazionale.
Per
tale ragione, a partire dalla creazione di una banca dati centralizzata di dati
biometrici (USB) – gestita da una società statale (recante la raccolta di
immagini e riconoscimenti vocali dei clienti di istituti bancari per
identificarne l’identità virtuale) – praticamente il database biometrico
primario del paese è integralmente posto sotto il controllo del Cremlino e
delle autorità pubbliche (Ministero dell’Interno e Servizio di Sicurezza
Federale) per qualsivoglia finalità di controllo, selezione e monitoraggio
delle relative informazioni.
L’obiettivo
è di raggiungere la soglia di 70 milioni di utenti “schedati” con le proprie
corrispondenti informazioni personali (visive e sonore) entro il 2024, nel
rispetto della regolamentazione legislativa – oggetto di recenti correttivi di
riforma – che affida appunto allo Stato la piena responsabilità della relativa
gestione per garantirne sicurezza e protezione come necessario presupposto del
prospettato intervento di nazionalizzazione che giustifica il processo
centralizzato di archiviazione dei dati biometrici associati ai cittadini
russi.
L’uso
di tecnologie invasive a livello globale.
In
realtà, anche a livello mondiale, la proliferazione di tecnologie invasive di
riconoscimento facciale rappresenta una strategia non del tutto nuova, spesso
utilizzata – soprattutto in epoche recenti – anche per finalità militari.
Il
patrimonio informativo Usa nelle mani dei talebani.
Emblematico,
in tal senso, lo scenario che si potrebbe prospettare dopo la presa del potere
da parte dei talebani, a seguito del ritiro delle forze della coalizione
filo-americane che hanno lasciato nel territorio afgano non solo una serie di
armi da fuoco e veicoli vari ma anche strumenti high-tech, tra cui scanner
biometrici e computer con database di alleati e nemici.
Si
tratta di dispositivi di cui l’esercito militare ha usufruito per rintracciare
terroristi e altri insorti, processando migliaia di dati biometrici sugli
afghani, già ai tempi in cui è stato possibile identificare Osama bin Laden
durante il raid del 2011 nel suo nascondiglio pakistano.
Tale
strategia di intelligence, risalente alle operazioni belliche avviate in
Afghanistan e Iraq già nei primi anni del 2000, ha determinato
l’implementazione di set di strumenti automatizzati biometrici e di
attrezzatura per il rilevamento dell’identità tra le agenzie che prevedono
l’installazione di lettori di impronte digitali, scanner dell’iride e
fotocamere in grado di processare le foto del viso e abbinarle alle voci nei
database militari e nelle liste biometriche, consentendo di verificare se un
individuo risulta segnalato nel sistema come sospetto.
Con il
passare degli anni il database ha accumulato circa 4,8 milioni di set
biometrici di persone in Afghanistan e Iraq, grazie a dispositivi di
intelligence biometrica o di cyber intelligence per identificare e rintracciare
gli insorti mediante uno screening profilato biometrico che registra le
scansioni dell’iride, le impronte digitali e le foto digitali del volto di
“persone di interesse” in Afghanistan, perseguendo l’obiettivo di raccogliere
informazioni dettagliate sull’80% della popolazione afgana.
Tale
patrimonio informativo è passato ora nella disponibilità dei talebani che
potrebbero essere avvantaggiati dalle potenzialità tecnologiche di un sistema
in grado di individuare e neutralizzare gli attacchi esterni e l’eliminazione
di avversari interni al regime.
La
tecnologia HIIDE.
I
talebani hanno, infatti, sequestrato tali dispositivi biometrici militari
dotati di tecnologia HIIDE, che potrebbero facilitare l’identificazione degli
afghani che hanno supportato le forze della coalizione, grazie all’utilizzo di
apparecchiature di rilevazione dell’identità, scansioni dell’iride e impronte
digitali, contenenti informazioni utilizzati per accedere a grandi database
centralizzati gestiti dal Pentagono con l’obiettivo di raccogliere dati
biometrici sull’80% della popolazione afghana per individuare terroristi e
criminali, compresi i dati biometrici anche dagli afgani che assistevano gli
sforzi diplomatici, oltre a quelli che lavoravano con i militari.
Molti
afghani temono che i documenti di identità e le banche dati contenenti dati
personali, che hanno cercato di nascondere per distruggere le prove della loro
identità associata ad organizzazioni filo-statunitensi, rappresentino una vera
e propria “condanna a morte” per un elevato numero di persone giustiziate dai
talebani.
Sebbene
sia stata esclusa l’esistenza di una “lista dei morti”, il rischio di possibili
ritorsioni, uccisioni e vendette trasversali da parte dei Talebani nei
confronti della popolazione afgana non allineata alla matrice ideologica del
regime resta alto, e ancor più pericoloso per la disponibilità, nelle mani dei
talebani, dei dispositivi biometrici militari statunitensi che potrebbero
aiutare a scoprire persone che hanno lavorato con le forze internazionali.
Si
teme, infatti, che le informazioni raccolte vengano utilizzate per identificare
i collaboratori statunitensi e attaccare cittadini, come peraltro già accaduto
nel 2016, quando gli insorti, nella città afgana di Kunduz, avevano utilizzato
un sistema biometrico del governo per verificare se i passeggeri degli autobus
fossero membri delle forze di sicurezza.
Ripercussioni
etiche sulla sicurezza e sulla tutela della privacy.
Alle
implicazioni prettamente belliche legate alla preoccupazione di un uso
politicamente discutibile da parte dei talebani del database tecnologico
ereditato dall’ormai deposto governo afgano, si aggiungono ulteriori
ripercussioni etiche sulla sicurezza e sulla tutela della privacy a fronte
della rilevante mole di dati tracciati e archiviati su milioni di afgani, come
rilevato anche da un’indagine delle Nazioni Unite.
Oltre
all’uso di dati biometrici per scopi di sicurezza, i database, sviluppati anche
per ulteriori finalità quotidiane di monitoraggio dei procedimenti giudiziari,
dei flussi occupazionali e per la sicurezza delle elezioni, contengono
rilevanti dati sensibili, anche sull’etnia e l’ e-Tazkira costituente il
documento di identificazione elettronico che include dati biometrici , con conseguenti
rischi per la privacy.
Le
linee guida di Human Rights First.
Per
fronteggiare tali pericoli, l’Human Rights First ha pubblicato un elenco di
linee guida (disponibili in lingua inglese, pashtu e dair), su come eludere il
riconoscimento basato su dati biometrici, pur consapevole che bypassare il
controllo della tecnologia sia davvero difficile e rischioso.
Secondo
il citato documento, “il modo migliore per aggirare il riconoscimento facciale
è guardare in basso” per evitare di essere inquadrato da una telecamera di
qualsiasi tipo e in qualsiasi momento.
Un
ulteriore tecnica consiste nell’alterare il maggior numero possibile di
caratteristiche strutturali del viso, aggiungendo dettagli che possono cambiare
la forma, o indossando cose che le oscurano anche con strati di trucco, oppure
ancora nel distorcere la struttura facciale, usando principalmente i muscoli
delle guance e della fronte.
Pur
nell’incertezza sull’effettivo possibile uso di tali strumenti biometrici che
dipenderà dalla capacità tecnologica dei talebani, i quali potrebbero anche non
essere in grado di accedere ai dati biometrici raccolti (come sembra sostenere
il Dipartimento della Difesa Stati Uniti), esiste il rischio reale di una
“cyber-guerra” su scala globale aperta anche ad altri attori politici.
I
talebani, ad esempio, potrebbero avvalersi del supporto dell’agenzia di
intelligence di forze alleate per potenziare il sistema biometrico al fine di
realizzare un’imponente archiviazione di massa di dati sensibili e
intercettazioni di comunicazioni in grado di compromettere la tutela effettiva
dei diritti umani, come nuova preoccupante frontiera di un’insidiosa
prospettiva bellica basata su strategie di cyber intelligence biometrica in
grado di raccogliere informazioni per finalità militari di contrasto alle forze
esterne e agli avversari politici interni.
Conclusioni.
Siamo,
quindi, di fronte ad uno scenario basato sull’uso esponenziale della tecnologia
di riconoscimento facciale:
il controllo centralizzato delle informazioni
biometriche, giustificato da esigenze di sicurezza pubblica nazionale che
prevedono invasive forme di controllo sulla vita delle persone, risulta inevitabilmente
esposto a rilevanti rischi per la tutela degli individui, i cui dati potrebbero
essere hackerati per svariati crimini informatici associati al crescente
fenomeno del cosiddetto “spoofing biometrico”, rendendo così vulnerabili tutti
i dispositivi utilizzati, ove risultano memorizzate svariate informazioni
registrate dagli utenti.
La
raccolta di un’ingente quantità di dati biometrici in grado di tracciare le
persone sospettate di essere una potenziale minaccia per la sicurezza, anche
nella pianificazione operativa di strategie militari, mira a raggiungere il
“dominio dell’identità” per finalità antiterroristiche e contro-insurrezionali.
Si
prospetta all’orizzonte l’avvento di un’insidiosa era “orwelliana” su scala
globale, con l’inizio di una vera e propria “cyber-guerra”?
(Ndr. Marcello Foa, nel suo
illuminante saggio, ha scritto:
“Il
principale obiettivo della globalizzazione non riguarda solo l’economia.
Infatti
la globalizzazione persegue il trasferimento dei poteri reali verso l’alto e
vede di buon occhio l’indebolimento dei poteri nazionali.
D’altro
canto mira a omologare i popoli disgregandone l’identità “.)
Uno
scudo aereo europeo
è la
nuova arma della NATO.
it.euronews.com
- Christopher Pilcher & Efi Koutsokosta – (13/10/2022) – ci dice:
(Jens
Stoltenberg è Segretario generale della Nato dal 2014).
La
NATO prende molto sul serio le minacce nucleari della Russia e qualsiasi uso di
armi atomiche da parte di Mosca avrebbe gravi conseguenze.
Questo
il messaggio principale del Segretario generale dell'Alleanza atlantica Jens
Stoltenberg dopo la riunione dei ministri della difesa dei Paesi Nato a
Bruxelles.
Il
rischio di una guerra nucleare, comunque, non sembra al momento elevato, ha
fatto intendere Stoltenberg.
"Le
circostanze in cui la NATO potrebbe dover usare armi nucleari sono estremamente
remote.
La
retorica nucleare della Russia è pericolosa, sconsiderata e sanno che se
useranno questo tipo di armi contro l'Ucraina, ci saranno gravi conseguenze.
E
sanno anche che una guerra nucleare non può essere vinta e non dovrebbe mai
essere combattuta".
Nasce
lo scudo aereo europeo.
Con le
minacce nucleari sullo sfondo e la guerra in Ucraina davanti agli occhi, la
NATO lavora intanto per rinforzare le proprie difese.
14
Paesi europei dell'Alleanza, più la Finlandia che ne farà presto parte, hanno
firmato una lettera di intenti per istituire l'European Sky Shield, un sistema congiunto di difesa
aerea e missilistica sotto il coordinamento tedesco.
Tra i
firmatari, non c'è l'Italia, oltre alla Germania figurano nella lista Belgio, Bulgaria, Repubblica
Ceca, Estonia, Germania, Ungheria, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia,
Slovacchia, Slovenia, Romania, Regno Unito.
I
passi avanti della Nato a difesa dei confini orientali.
"Vogliamo
costruire un progetto comune nella difesa aerea, sia tramite armamenti di terra
che tramite l'aeronautica militare.
Firmando
oggi il Memorandum d'intesa, lanciamo questa iniziativa e condividiamo una
comune responsabilità per la sicurezza del nostro continente", ha spiegato
la ministra della Difesa tedesca Christine Lambrecht.
Il
cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva dichiarato a fine agosto la sua
intenzione di investire in modo massiccio nelle difese aeree, con un sistema realizzato
in modo che gli alleati europei della Germania potessero aderirvi.
Ucraina,
nuovo appello del Papa:
“Tacciano
le armi e chi ha potere
fermi
la guerra”.
Il
patriarca Kirill: “Russi difendano la patria”.
Ilfattoquotidiano.it
– Redazione – (27 APRILE 2022) – ci dice:
Ucraina,
nuovo appello del Papa: “Tacciano le armi e chi ha potere fermi la guerra”. Il
patriarca Kirill: “Russi difendano la patria”.
Il
Pontefice chiede ancora il cessate il fuoco e l'impegno dei potenti per porre
fine al conflitto.
Parole diametralmente opposte a quelle del
patriarca di Mosca, che nel suo sermone per la Pasqua ortodossa ha espresso
posizioni che sostengono lo sforzo bellico di Putin.
“Vi
chiedo di perseverare nella preghiera incessante per la pace.
Tacciano
le armi, affinché quelli che hanno il potere di fermare la guerra, sentano il
grido di pace dell’intera umanità!”.
L’ennesimo
appello di Papa Francesco per la pace in Ucraina arriva durante l’udienza
generale e a tre giorni dalla Pasqua ortodossa che poteva essere l’occasione
per un cessate il fuoco e che invece è trascorsa senza che le armi abbiano
smesso di riversare fuoco e morte nei territori invasi dalla Russia.
“Ogni guerra nasce da un’ingiustizia – ha
detto il Pontefice – ogni guerra, comprese quelle che a volte si fanno nelle
nostre famiglie e comunità, che si combattono o che si fanno in silenzio, anche
quelle nascono dall’ingiustizia.
È triste vedere che l’umanità non riesce a
essere capace di pensare con schemi e progetti di pace – ha aggiunto Bergoglio
–
Tutti
pensiamo con schemi di guerra.
È il
cainismo esistenziale. La fratellanza di tutti è di tutti!
E non
si concretizza in schemi che trasformino la vita delle famiglie, comunità,
popoli, nazione e del mondo” ha sottolineato Bergoglio nel videomessaggio al
congresso della leadership cattolica del ministero Ispano, Radici e Ali 2022.
Il
Congresso è promosso dal Consiglio Nazionale Cattolico per il Ministero Ispano
degli Stati Uniti d’America, e si svolge a Washington D.C. da oggi al 30 aprile
sul tema “Voci Profetiche – Essere ponti per una nuova epoca”.
“Io ho bisogno di pace, tu hai bisogno di
pace, il mondo ha bisogno di pace, respirare pace è salutare – ha detto
Francesco – Abbiamo bisogno di segni concreti di pace.
I cristiani devono dare l’esempio.
Vi chiedo di essere ponti, di creare ponti, di
pregare e lavorare per la pace, e non dimenticatevi di pregare per me”.
Parole, quelle del Pontefice, che si scontrano con la
nuova presa di posizione del patriarca di Mosca Kirill, che durante le
celebrazioni concomitanti con la Pasqua ortodossa ha espresso posizioni che
nulla hanno a che fare con uno spirito di pace e che al contrario sostengono lo
sforzo bellico di Putin.
Il capo della Chiesa ortodossa russa, infatti,
ha invitato i connazionali a radunarsi attorno al governo e a non lasciare che
centri di potere stranieri rovinino l’indipendenza della Russia.
“Oggi il nostro popolo ha particolarmente
bisogno di unità interna.
Tutto
è complicato attorno alla nostra Patria (…).
Pertanto
– ha detto Kirill – il nostro popolo oggi dovrebbe unirsi attorno a questo
centro storico di tutta la Russia, attorno alla città di Mosca, rendendosi
conto che solo nell’unità è la nostra forza, e finché saremo uniti e forti,
finché conserveremo la fede nei nostri cuori, finché saremo ispirati dal grande
esempio dei nostri predecessori, fino ad allora la Russia sarà invincibile”.
Nel
suo sermone dopo la Divina Liturgia presso la Cattedrale patriarcale della
Dormizione al Cremlino di Mosca, il patriarca ha ripercorso uno dei cavalli di
battaglia della propaganda di Putin, ovvero il tentativo dell’Occidente di
distruggere la società e i valori russi dall’interno:
“Oggi
molte persone vorrebbero che quello spirito scomparisse – ha ammonito – E
perché sia così, è necessario seminare discordia, creare nuovi idoli, attirare
l’attenzione su nuovi pseudo valori e trasferire la coscienza umana dalla
verticale dimensione della vita, che connette l’uomo con il Dio,
all’orizzontale, su cui si collocano tutti i bisogni del corpo umano”.
Il
patriarca ha poi notato che la divina liturgia da lui presieduta aveva luogo
nella chiesa commemorativa, creata nel XV secolo come segno dell’unificazione
delle terre russe, e ha auspicato che gli esempi eroici del passato ispirassero
i russi a difendere la patria, “la nostra vera indipendenza dai potenti centri
di potere che esistono oggi nel mondo”.
Proprio
in occasione della Pasqua ortodossa, Papa Francesco aveva inviato una lettera a
Kirill:
“Caro fratello! Possa lo Spirito Santo
trasformare i nostri cuori e renderci veri operatori di pace, specialmente per
l’Ucraina dilaniata dalla guerra, affinché il grande passaggio pasquale dalla
morte alla nuova vita in Cristo diventi una realtà per il popolo ucraino,
desideroso di una nuova alba che porrà fine all’oscurità della guerra”.
Ma i
sermoni del patriarca di Mosca continuano ad avere tutt’altro tenore.
Le
armi come fondamento
della
civiltà umana.
Lafionda.org
- Alessandro Alfieri – (18 Maggio, 2022) – ci dice:
La
crisi ucraina ha riportato in auge il dibattito sulla funzione degli armamenti
e sul ruolo del possesso degli arsenali come deterrente nei confronti del
nemico.
Quali
sono i rapporti tra immaginario, diritto, violenza e armi?
Al di là di una ingenua rinuncia alle armi,
che utilità possiamo trarre da una riflessione di ordine sociologico,
antropologico e filosofico sul tema?
(A
seguire un estratto di VIDEO WEB ARMI. DALL’IMMAGINARIO DELLA VIOLENZA ALLA
VIOLENZA DEL POTERE (Rogas, 2021) di Alessandro Alfieri).
“La
sociologia intende da sempre spiegare le dinamiche collettive nonché
individuali partendo dall’analisi dei contesti storicamente e topograficamente
determinati.
È innegabile che forme determinate come il
linguaggio e soprattutto l’immaginario abbiano contribuito a rispondere
all’annosa domanda:
sì
obbedisce e si mantiene l’obbedienza dei sudditi solo quando la logica della
forza impositiva viene trasfigurata nelle forme di vita, ovvero diviene
“abitudine” (habitus) del comportamento.
Con
l’azzeramento dello iato della coscienza del suddito, ovvero operando nella
piena identificazione di comportamento e pensiero, diventa superflua qualsiasi
forma esibita di violenza.
L’obiettivo dei totalitarismi, obiettivo
asintotico, è il raggiungimento di tale stato, che può essere conseguito solo
insistendo sulla piena identificazione di politica e vita quotidiana, o di
politica ed estetica ad esempio.
Qualsiasi
principio assume l’autentico valore veritativo e legittimo solo quando non
viene riconosciuto neanche più in quanto principio, perché già riconoscere
l’autorità del principio significa ammettere, seppure lievemente e allo stato
originario, l’incrinatura del cristallo perfetto e della piena identificazione
– per questo Pol Pot negli anni Settanta metteva i kalashnikov in mano ai
bambini di otto anni affinché li puntassero contro i genitori, perché secondo
la sua terrificante e mostruosa convinzione i bambini erano gli unici ancora
non totalmente contaminati dal sistema che si voleva annientare, e perciò gli
unici a poter aderire totalmente e spontaneamente al nuovo ordine, senza dubbi
né domande, con una totale e piena adesione di azione, pensiero, credenza.
Poniamo
l’interrogativo in altri termini:
il potere è stato mai in grado di fare totalmente a
meno del controllo concreto delle forze “armate” e delle forze di polizia, e
perciò stesso dei tribunali e dei codici legislativi che di fatto hanno valore
ed efficacia a partire dalle armi?
A
questo punto, si apre lo spazio della dimensione “empirica” e “analitica”:
empiricamente, il principio di ragione ci dice che si obbedisce alla legge per
paura della sanzione amministrativa.
La
paura è l’altra faccia però dell’immaginario, e restiamo ancora lontani dalla
svolta radicale sul tema.
L’approccio
empirista rileva che il potere si ottiene e si preserva grazie alla forza.
Il
passaggio ulteriore e di tipo “analitico”:
la
tradizione della filosofia analitica ha ottenuto storicamente particolare
rilevanza nell’ambito della logica e dell’estetica, e forse in quello della
morale, ma sicuramente la filosofia analitica ha sempre avuto poco da dire a
proposito di politica.
Forse
perché la politica è tacciata dagli analitici da subito come “metafisica”,
proprio per le ragioni che abbiamo descritto fino a questo punto.
Ma
chiediamo allora a un analitico: perché esiste il potere?
O
ancora meglio, perché tu obbedisci a certe cose e non ad altre?
Perché riconosci l’autorità, ammettendo che
non riconoscere l’autorità significa trarsi fuori dal consorzio umano
determinato dal contesto nel quale si vive?
Il
filosofo analitico potrà dire che i simboli, i riti, le immagini, il linguaggio
sono a fondamento dell’obbedienza e perciò del potere, ma questo lo sostengono
“egregiamente” già i sociologi, i fenomenologi, gli empiristi persino.
Il filosofo analitico ama la radicalità del
pensiero, ed è questa radicalità che può essere utile, anche quando si
rifiutano i bizantinismi sofistici delle argomentazioni analitiche.
Non è
vero che la forza agita è secondaria rispetto all’immaginario, è vero bensì il
contrario:
immaginario,
simbolismo, ritualità hanno senso solo col sostegno di un esercito che
convalidino l’istituzione.
Una massa
non si rivolterà contro il potere e i suoi simboli se non armata, e a sua volta
alimentata da un’altra serie (avversa alla prima) di simboli e immagini, ma
comunque armata (armata anche della non-violenza, sia chiaro).
Per
questo che risalire al principio analitico significa flirtare con
l’antropologia: cos’è infatti l’esercito?
I
militari fanno giuramento di servire le istituzioni, ma non è un caso che le
rivoluzioni e il sovvertimento degli ordini costituiti partano sempre da organi
militari che violano il giuramento, rinunciando all’obbedienza per un capo e
volgendo invece le loro armi a favore di qualcun altro.
Perché
a fare un esercito non sono solo “uomini”, ma “uomini armati che sanno usare le
loro armi”:
come
per i mezzi di produzione della filosofia marxiana, eccolo il nucleo autentico
del potere, ovvero le armi.
Chi
detiene le armi? Chi le sa usare? E come si pone l’equilibrio tra forze armate
opposte, quando esistono?
Avere
un’arma più potente, o avere il monopolio della sua capacità d’uso, significa
ottenere una posizione di forza;
avere
una posizione di forza significa da subito mettere a repentaglio il
riconoscimento dell’autorità dominante.
È a
questo punto, ma solo a questo punto, allora, che la trasfigurazione diventa
simbolica e ci si affida al pensiero, alle idee, alle narrazioni e al
desiderio.
Così, circolarmente, il possesso delle armi
diventa il principio analitico che regola i rapporti di forza, l’immaginario è
l’elemento intermedio che anima lo spirito del “nuovo esercito” avversario, che
poi torna nuovamente all’atto violento nell’insurrezione armata.
L’
“invenzione” o sarebbe meglio dire la “scoperta” della clava, ovvero di un
bastone o di un osso come strumento di attacco o di difesa – messo in luce
nella celeberrima ellissi temporale di Stanley Kubrick in 2001.
Odissea nello spazio, dove la nascita
dell’umano e della coscienza umana determinate dall’intervento
dell’intelligenza aliena si esprime proprio nell’azione violenta e irosa
dell’australopiteco che inveisce sulle ossa in maniera furente – assieme all’
“amigdala” (pietra di forma appuntita ottenuta attraverso l’urto con un’altra
pietra che scaglia la prima), anticipano di gran lunga la nascita
dell’organizzazione politica nonché la nascita delle immagini parietali che
segnano il sorgere della sensibilità artistica (disinteressata e de funzionalizzata
rispetto alla creazione di strumenti legati a un principio di uso specifico,
come appunto le armi).
Quell’animale
manchevole e condannato all’incompiutezza che è l’uomo, privo delle protezioni
e degli strumenti di difesa di cui dispongono in particolar modo i predatori
(artigli e fauci), secondo Arnold Gehlen sopperisce in maniera mai definitiva a
tale mancanza strutturale, provando l’esigenza di amplificare tale funzione
tecnico-creativa fino a proporzioni distruttive incalcolabili.
La
millenaria storia dell’antropologia umana, con le connessioni tra la sviluppo
della tecnica e il progresso, non potrebbe in alcun modo escludere
un’attenzione specifica all’evoluzione delle armi, fino ad arrivare alla
sproporzione infernale tra i mezzi di distruzione di massa e le stesse facoltà
cognitive ed etiche dell’uomo.
D’altronde,
tale sproporzione non è specifica esclusivamente all’epoca moderna, e neppure
all’invenzione delle armi in genere, ma riguarda in senso più ampio l’intero
orizzonte di creazione di media da sempre: se i media, ovvero i mezzi, sono
protesi dell’uomo, estensioni delle sue facoltà e dei suoi organi originari, da
un lato tutti i media sorgono sotto il segno della sproporzione processuale
dettata dall’indeterminato e continuo rilancio dell’umano ridefinito
eternamente dalle sue invenzioni tecniche;
dall’altro lato, l’uomo si dimostra sempre
arretrato rispetto alle sue invenzioni ed estensioni tecniche, anche perché
tutte le tecnologie create dall’uomo possono venire interpretate come “armi”.
Jared
Diamond si chiede perché furono gli europei a possedere le armi e le
strumentazioni utili al dominio, proponendo una ricostruzione della “sequenza”;
in prima battuta, l’aggressività si esprime
prima ancora della fabbricazione delle armi, e probabilmente la fabbricazione
delle armi deriva da una chiara predisposizione culturale – Diamond fa
l’esempio degli indigeni moriori, pacifici e innocui, che vennero sopraffatti
dai maori, che invece sono notoriamente una civiltà di guerrieri.
La
conquista europea dei territori centro e sudamericani dimostrò la superiorità
delle strumentazioni militari degli spagnoli sulle popolazioni native prima
ancora dell’avvento e della diffusione dei fucili.
Assai
più importanti furono le spade, le lance e i pugnali di acciaio, le cui lame
robuste massacrarono i poveri indigeni dalle armature intessute. Le mazze
primitive usate dagli inca erano in grado al massimo di ferire.
Secondo
Pierre Castres, è riduttivo ricondurre in maniera unilaterale l’impulso
violento della specie umana alla linea del determinismo biologico:
in
realtà lo studio delle società primitive mette in luce come le dinamiche
dell’economia primitiva siano strettamente connesse alla predazione, ovvero
allo sviluppo dell’aggressività.
Ciò
che differenzia la guerra dalla caccia, essendo la prima il “raddoppiamento”
della seconda, è infatti proprio l’impulso dell’aggressività:
la guerra è infatti un carattere sociale e non
meramente biologico, e d’altro canto sarebbe sbagliato tentare di risolvere la
violenza ancestrale dei primitivi nella prospettiva marxista, dal momento che
non si tratta di una “lotta per la sopravvivenza” dettata dalla scarsità dei
beni primari perché l’economia primitiva era un’economia di abbondanza.
Guerra
e commercio devono essere pensate in rapporto di continuità: al “commercio va
ascritta una priorità sociologica in rapporto alla guerra – una priorità in
qualche modo ontologica dal momento che si situa proprio nel nucleo dell’essere
sociale”.
Castres
perciò insiste sulla continuità di guerra e scambio: la prima infatti sarebbe
un fenomeno negativo e accidentale rispetto allo scambio, che invece è
l’essenza autentica della società primitiva:
“La
società primitiva vuole lo scambio: è questo il suo discorso sociologico, che
di continuo tende a realizzarsi e si realizza in realtà quasi sempre, salvo in
caso di incidenti. È allora che emergono la violenza e la guerra”.
Di
fatti, la società primitiva sarebbe pensabile anche senza la guerra ma non senza
lo scambio: “La società primitiva è il luogo dello scambio ed anche il luogo
della violenza: la guerra appartiene all’essere sociale primitivo nella misura
in cui appartiene allo scambio”.
Lo
scambio emerge come effetto tattico della guerra, perché è la guerra che
determina lo scambio e non viceversa.
In altri termini, le origini della violenza
della guerra precedono l’economia e l’economia è una forma trasfigurata della
violenza originaria, una guerra attraverso altri modi.
Questo
resta evidente anche ai nostri giorni, se guardiamo ai legami in ambito
geopolitico tra guerra ed economia, e a come spesso la “guerra economica” sia
un fenomeno preparatorio, conseguente o strettamente connesso alla “guerra
effettiva”.
Indebolire
economicamente il nemico significa ridurre la sua corsa agli armamenti
ovviamente, e d’altronde sanzioni del diritto internazionale come quello
dell’embargo evidenziano come per colpire l’economia di un paese sia però
necessario che ci sia l’avvallo e la prestazione militare – affinché un embargo
sia efficace è necessaria l’adozione di una flotta che sorvegli il confine del
paese sanzionato.
Se la
legge è reale, concreta, ciò che avvalora la legge cos’è se non l’immaginario?
Ma con
l’immaginario esauriamo il processo analitico e decostruttivo della legge
stessa?
Quando
il Re compare nudo, cosa lo difende se non le armi dei propri cavalieri?
Se
“dietro la Legge, che è ‘reale’, che è un’istituzione sociale effettiva, c’è il
Signore immaginario, sua fonte e sanzione ultima”, allora si capisce perché il
trono dove siede il Re dei Sette Regni nel Trono di spade debba essere composto
letteralmente e brutalmente da “spade”: sono le armi che permettono al sovrano
di esprimere il proprio potere.
Nell’Anello
del Nibelungo di Richard Wagner, non è un caso che le rune della Legge, ovvero
i principi degli antichi patti stabiliti tra dio e gli uomini, siano non tanto
trascritte su una tavola o su una pergamena, ma siano incise sulla lancia di
Wotan, ovvero arma e legge si concretizzano nel medesimo oggetto.
Spesso,
dietro l’apparenza le armi neppure ci sono, ed è tutto per l’appunto
“immaginario”, perché l’immaginario radicale precede ogni esplicita razionalità;
spesso
la realizzazione della libertà passa attraverso lo squarcio nell’immaginario,
perché d’altronde cosa è la libertà?
Il significato della parola di libertà viene
rinnovato e ridefinito dall’immaginario radicale che istituisce il nuovo senso
predominante, che viene fondato dalla comunità in maniera più o meno spontanea.
Perciò
l’immaginario è solo una parte della complessità sociale;
o
sarebbe meglio dire, l’immaginario è tutto nel suo movimento di auto-istituzione
della società fino a quando mantiene la sua efficacia, perché quando il
cristallo si incrina, allora la violenza dall’immaginario si trasferisce
all’azione concreta.
Dalla violenza raccontata, minacciata, ma
anche trasfigurata esteticamente, contenuta, persino agita ma “parlata”, si passa alla violenza reale che l’immaginario non sa
più contenere.”
Il Caos
è l’arma del Potere.
Giorgiopasian.wordpress.com
– (20 gennaio 2022) – Giorgio Pasian -
ci dice:
Fin
dalle origini l’uomo ha gestito il potere con la clava, lancia, frecce, spada,
armi da fuoco, nucleari, batteriologiche, ecc., al fine di dominare e
soggiogare ogni essere vivente che striscia sulla terra, uomo in primis (componente del regno animale). Tutto nell’osservanza della Bibbia. [soggiogatela e dominate sui pesci
del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
terra] Genesi 1: 28.
Da che
mondo è mondo, la ricerca per scoprire nuove armi di distruzione al solo fine
di sottomettere tutti, esseri umani in primis mai si è interrotta e mai si
fermerà.
Il
virus Covid-19 è la nuova arma ultimamente utilizzata, molto meno costosa di
quelle conosciute, utilizzata dal potere per sottomettere e/o schiavizzare
l’umanità.
Ovviamente nessuno saprà mai come, da chi e
perché il virus è stato scoperto e messo in circolo nell’intero pianeta, tutto
è e rimarrà ignoto, ad esclusione delle menti diaboliche che certe madri
partoriranno sempre.
Attraverso
il Covid-19 tentano incessantemente di imporre una nuova schiavitù attraverso i
vari e confusionari lockdown (confinamento e/o isolamento), parola che ricorda
moltissimo la fine fatta dai contrari al fascismo, comunismo, nazismo, ecc…,
regimi che hanno privato le genti della libertà.
Oggi,
che i tempi sono cambiati i “capi” sono diventati i cani pastore a disposizione
del vero padrone del gregge mondiale, “sconosciuto”.
Leggi
e/o disposizioni dimostrano, con i fatti, il potere esercitato da chi con un
misero 3% (rappresentante la coalizione di ben tre partiti – Articolo Uno,
Sinistra Italiana, Possibile) governa il paese.
Con l’occasione, è giusto anche rammentare che
il popolo italiano è rappresentato da 945 eletti, assidui frequentatori delle
stanze del potere e della facoltosa società ma sconosciuti dalla quasi totalità
del popolo.
Popolo
governato, salvo E&O, da 9 su 14 prezzolati ministri, più il capo dello
stato anche lui mai passato dal voto del popolo italiano.
Popolo
che ovviamente raccoglie sempre quello che ha precedentemente seminato.
Le
numerosissime proteste dimostrano che le leggi, norme e disposizioni emanate a
tamburo battente, senza alcuna considerazione degli effetti, hanno oltrepassato
ogni limite della normale sopportazione e comprensione.
Infatti,
la sanità essendo totalmente preoccupata e dedicata per i problemi creati dal
Covid-19, ha annullato qualsiasi attenzione, cure e interventi chirurgici per
altre e più svariate patologie.
Piccoli
esempi della attuale gestione della Sanità.
Il
14.01.2021 ore 9,30 circa in TV a mattino 5, viene trasmessa la notizia che a
una persona, nel rispetto della legge, è stato vietato di salire sul traghetto
dalla Calabria alla Sicilia perché privo di vaccino.
Nel
luglio 2021, una prenotazione di “eco” da effettuare entro 60/90 giorni, dopo
oltre 150 giorni il CUP comunica l’impossibilità dell’esecuzione e nessuna
previsione.
L’esame richiesto “a pagamento” è stato
eseguito due giorni dopo e ironia della sorte, nello stesso ospedale e con lo
stesso specialista, tra l’altro stupito dell’odissea poiché senza pazienti
quasi tutto il giorno.
Chi
sta scrivendo, invalido al 100% e grave per patologia cardiocircolatoria, la
visita cardiologica richiesta è stata rinviata a tempo da destinarsi (ignote le
motivazioni).
Sono
esempi di due pesi e due misure oppure di sproporzionata confusione?
Infatti,
nel primo caso il non vaccinato, trattato da untore, non può entrare a contatto
con nessuno, nel secondo e terzo caso, come da rifiuto alla prestazione
sanitaria, il vaccinato è trattato anch’esso da untore.
Domanda: con queste leggi e/o disposizioni il
politico di turno ha stabilito chi deve vivere e chi deve morire?
Innocenti
(?) o falsi allarmismi oppure disposizioni al solo fine di creare Caos?
Quando
milioni di cittadini protestano sfidando freddo, pioggia e pericolo, dovrebbero
essere degnamente ascoltati, perché evidenziano che qualcosa comincia a
incrinarsi.
Anche
il TAR del Lazio, come a confermare quanto sopra esposto, ha bocciato l’operato
del ministro della sanità Speranza e di conseguenza tutto lo staff di
“scienziati suoi collaboratori” sul “paracetamolo e vigile attesa” dimostrando con
i fatti la loro incompetenza e/o incapacità?
Altri
esempi di dubbia onestà, politica amministrativa e comunicativa.
Premesso
che, dai dati degli ultimi anni dell’ISTAT riferiti agli ultimi anni, in Italia
la mortalità per varie cause è di circa 650.000 persone all’anno.
Nella
pubblicazione dei dati relativi all’anno 2020 il numero delle morti, in Italia,
è stato in totale di 746.146, cui circa 100.000 in aumento.
Semplici
domande rivolte a chi, ovviamente, non risponderà mai.
Quante
sono le persone morte per altre patologie come Tumori, Cuore, Infettive, ecc.,
per mancanza di assistenza e cure specialistiche, che abilmente e numericamente
sono finite nel calderone del Covid-19?
Domanda
più che lecita visto che iniziando dal governo Conte è stato impedito di
effettuare autopsie e qualsivoglia controllo.
Le
richieste di conoscenza presentate alle autorità preposte avranno mai una
risposta?
Semplici
domande e osservazioni che evidenziano, dai fatti, l’incompetenza e lo
sproporzionato allarmismo messo in atto dai nostri pseudo scienziati che, mai
hanno avuto due versioni uguali.
La
verità è tutta qui? Assolutamente no!
Invito
il lettore, ancora una volta, ad ascoltare attentamente il discorso di David
Rockefeller all’ONU, di molti anni or sono.
E a
riflettere con la dovuta attenzione sulla causa/effetto di tutte le migrazioni
che da molti decenni avvengono nel pianeta, Italia compresa.
Per
chi ha mente per capire, forse, riesce a comprendere quello che menti occulte
stanno preparando da tantissimo tempo (o forse da sempre) nell’indifferenza e/o
menefreghismo dell’umanità, ossia il
NUOVO ORDINE MONDIALE.
Argomento
scritto tanti anni or sono in questo blog.
Da che
mondo è mondo ogni goccia d’acqua è destinata a giungere al mare, alla stessa
stregua ogni energia di queste “occulte” persone è indirizzata e destinata a
realizzare quanto progettano.
E il
popolo cosa dice?
Chissenefrega!
E come
ripete quel detto: ognuno raccoglie ciò che semina.
È
forse il coronavirus
la
nuova arma silenziosa?
Bombagiù.it
– Anthony Ceresa – (18-2-2022) - ci dice:
L'Organizzazione
Mondiale delle Nazioni Unite (ONU) può definirsi totalmente zoppa ed incapace
di proteggere l'uomo dalle tante pazzie dei Tiranni.
È
forse il coronavirus la nuova arma silenziosa che conduce alla pace eterna e
alla rettitudine?
Signori
e Signore, potete incominciare a cagarvi sotto (scusate l’espressione ma non
trovo un’altra allocuzione più adatta ai tempi che cambiano e ai tanti
mascalzoni che non cambiano e continuano a seminare terrore).
L’evoluzione
disumana che avanza seminando confusione e paure fra il bene e il male e le
continue sofferenze inflitte dal Potere malsano dominante, ci guidano alla
ricerca di nuove armi di distruzione di massa possibilmente invisibili e
silenziose.
Dopo
la scoperta del Nucleare come sommo mezzo di Potere per l’eliminazione di massa
di chi alza troppo la voce fra gli scervellati al Potere Mondiale, si rende
necessario trovare soluzioni meno rumorose degli esplosivi, per continuare a
mantenere o rovesciare chi attualmente concorre malvagiamente e senza meriti al
comando del Pianeta.
L’Organizzazione
Mondiale delle Nazioni Unite (ONU) può definirsi totalmente zoppa ed incapace
di proteggere l’uomo dalle tante pazzie dei Tiranni.
Lo
studio e la ricerca ci regalano nuove armi elettroniche con controllo a
distanza, oppure vari tipi di droghe da sballo per i più deboli, o armi
invisibili di morte certa, che si concentrano sulla produzione di nuovi Batteri
e Virus quasi sconosciuti, i quali escludono una tempestiva possibilità di
difesa.
In
verità, è in corso d’opera una gara globale per creare un mezzo atto ad agire
sull’ombelico del mondo per ridurre le nascite, perché alcuni Nababbi ritengono
che siamo in troppi a spartire il pallone Planetario.
In
Europa hanno trovato la soluzione alzando le tasse per ridurre le nascite,
mentre in alcune aree del Pianeta come ad esempio in Cina, India e Africa come
Nazione e non come Continente, hanno superato il miliardo di esseri in ciascuno
Stato, totalizzando circa quattro miliardi di bipedi, e sempre secondo i
Nababbi, la terra potrebbe non sopportare il peso sprofondando nell’infinito,
per trovarci a tu per tu con gli “ET” (Extra Terrestri).
Forse è
dovuto alla paura che i Gialli o gli Abbronzati superino il Potere dominante in
fase di declino.
Pensandoci
bene, non sarebbe del tutto sbagliato se l’umanità si fondesse in una unica
famiglia, un solo Governo, una sola Religione.
Una
sola bocca per cibarsi, dove le Leggi sarebbero uguali per tutti, senza
privilegi o filosofie spirituali astratte in continuo conflitto, le quali
conducono immancabilmente a rivendicazioni e guerre.
Considerando
che l’uomo nel corso dei vari millenni non è stato capace di trovare formule
matematiche sociali e umanitarie per giungere alla pace interna, ossia alla
pace della propria coscienza, o forse meglio quella dell’anima che rappresenta
la vita, sarebbe alquanto necessario per la salvezza dell’umanità, naturalmente
quella più evoluta scientificamente, sperimentare mezzi idonei ad eliminare le
tante mele marce dal paniere Planetario.
Immaginate
di entrare in Parlamento o in un Tribunale dove sono ben protetti i produttori
del nulla, i quali per tradizione ingrassano sui più deboli, sui lavoratori, e
tentare di oltrepassare l’ingresso con un Coltello o peggio con una Pistola
oppure una Bomba a mano, per pretendere di diritto la Giustizia negata.
Sicuramente
verreste fermati all’istante e incarcerati, mentre se entrate col sorriso
portando un virus invisibile di morte per avere subito una ingiustizia, nessuno
se ne accorgerebbe ed il cameriere al servizio del Potere corrotto, sarebbe
ampiamente servito, spedendolo al creatore con qualche giorno di acuta
sofferenza.
Il
Virus imperiale con tanto di corna e corona che attualmente sta scombussolando
il mondo, diffondendosi in ben 25 o 26 Nazioni, seminando sofferenze e morte, è
soltanto una delle tante nuove armi di prova per imporre la Pace e la
rettitudine nell’uso del Potere.
Da
questa prova di forza, seminando la morte fra le dieci o venti mila
malcapitati, molte Nazioni verranno semi distrutte economicamente dal
proseguire del Virus, auspicando che alla fine della pandemia infettiva, l’uomo
si ravveda con il dovuto rispetto verso i propri fratelli.
Questo
Virus denominato della Pace e della rettitudine riuscirà a cambiare il mondo?
Il
coronavirus la nuova arma silenziosa che darà vita ad un nuovo sistema di
Ordine Mondiale formulato sull’equità, l’etica, eliminazione dell’ebetismo
politico, ecologia, economia: ossia riduzione costi e tasse, educazione,
efficienza, vivere e non sopravvivere?
Citando
come esempio il nostro Paese Italia, che si ritiene erroneamente la culla della
cultura, esercitando quella forma di Potere assoluto denominato lo spirito del
male, il quale è cento anni avanti su tutti i Partiti di Destra e Sinistra, con
tanto di Organizzazione ultra ventennale attraverso un sistema piramidale con
Presidenza, Colonnelli, Magistrati, Sindaci, Sindacati, Santoni, tutti scelti
dalla cupola Romana che Governa lo Stato come una Organizzazione fondata sulla
Sacra Famiglia o la Corona Unita.
Droni,
robot, intelligenza artificiale.
La
guerra alla sua terza rivoluzione
Huffingtonpost.it
- Alberto Flores – (17 Ottobre 2021) – ci dice:
Dopo
polvere da sparo e nucleare, è il tempo delle armi autonome.
Usa in prima fila, ma anche Cina e Russia.
Nascosti
in piccole basi militari, senza equipaggio, saranno pronti a decollare, a
scansionare ogni singolo chilometro del territorio, ad analizzare le immagini
che raccolgono, a identificare e colpire ogni “attività nemica”, si tratti di
armi, di soldati, di terroristi.
Saranno
in grado di capire se nell’obiettivo preso di mira ci siano o meno civili
innocenti, potranno sparare missili ad alta precisione, confermare in tempo
reale la distruzione (o l’uccisione) del ‘nemico’.
Per
poi tornare alla base senza che sia necessario alcun intervento umano.
Le
guerre del prossimo futuro si faranno con l’Intelligenza Artificiale.
Droni,
truppe ed armamenti saranno in prevalenza robot dotati di tecnologia
sofisticata, in grado di decidere in modo ‘autonomo’ e in pochi centesimi di
secondo cosa fare.
Robot
che diventeranno sempre più intelligenti, più precisi, più veloci e più
economici, auto-perfezionandosi con la stessa rapidità con cui sta avanzando
l’intelligenza artificiale.
Capofila
di questa ‘rivoluzione della guerra’ sono gli Stati Uniti, prima potenza
militare, tecnologica ed economica del pianeta, ma anche Cina e Russia (e altri
paesi in misura minore) stanno investendo massicciamente nell’uso
dell’intelligenza artificiale in campo militare.
Il
Pentagono già spende oltre un miliardo di dollari all’anno per l’Intelligenza
Artificiale, cifra che include solo le spese dei bilanci rilasciati
pubblicamente dal ministero della Difesa Usa. Altri fondi arrivano da quel 10
per cento di budget del Pentagono che è coperto dal segreto, altri ancora (per
centinaia di milioni di dollari) dai conti di diverse agenzie federali.
Si
punta molto sui droni, che come per l’aviazione tradizionale sono e saranno
determinanti per decidere le sorti di una guerra moderna, ma le forze armate
americane hanno già schierato anche navi ‘autonome’ per la ricerca di
sottomarini e missili di piccole dimensioni in grado di trovare e distruggere
carri armati.
La
Cina ha testato lanciarazzi mobili guidati da intelligenza artificiale,
sottomarini e altre armi segrete attualmente in fase di sviluppo, la Russia
punta sui carri armati e sui missili, Turchia, Israele ed Iran stanno
accelerando la conversione robotica per diventare la prima potenza a sfruttare
l’intelligenza artificiale in una delle aree a più alto rischio di guerre
locali del mondo.
Le
armi autonome sono la terza grande rivoluzione nella storia dei conflitti dopo
la polvere da sparo e le armi nucleari.
Non
sono una novità assoluta perché da decenni sono state usate armi che cercano
obiettivi senza diretto controllo umano (i siluri Usa contro gli U-Boot
tedeschi i primi) ma quello che è diverso nei sistemi di armi guidati
dall’intelligenza artificiale è la natura e il potere del software decisionale.
Fino a
poco tempo fa tutti i programmi per computer che venivano inseriti nel sistema
di controllo di un’arma dovevano essere scritti da programmatori umani,
fornendo indicazioni passo dopo passo per eseguire compiti semplici e limitati.
Oggi, il
software si basa su algoritmi di “apprendimento automatico” che scrivono il
proprio codice dopo aver analizzato migliaia di esempi reali (missioni portate
a termine ma anche insuccessi) e che non assomiglia affatto alla programmazione
convenzionale dei computer militari.
Le armi autonome convenzionali devono essere
puntate su obiettivi nemici isolati o facilmente riconoscibili, le armi IA
possono essere lasciate libere di sorvegliare o dare la caccia a quasi ogni
tipo di obiettivo, decidendo da sole quale attaccare e quando.
È
quest’ultimo punto quello che più preoccupa scienziati, analisti politici e
militanti per i diritti umani.
Diversi
tra loro ritengono i prossimi nuovi arsenali troppo vulnerabili agli errori e
agli hacker, cosa che finirebbe per minacciare persone innocenti.
Per
altri lasciare che le macchine inizino attacchi mortali da sole non è etico e
pone un rischio morale inaccettabile.
Altri ancora temono che le armi IA diano alle
cosiddette “nazioni canaglia” e alle organizzazioni terroristiche la
possibilità di modificare a loro vantaggio l’equilibrio globale del potere,
portando a più conflitti (potenzialmente coinvolgendo armi nucleari) e più
guerre.
Obiezioni
che negli Stati Uniti (in Cina e Russia non se le pongono proprio) i vertici
delle forze armate respingono così:
l’Intelligenza
artificiale ha un duplice scopo, quello (ovvio) di ottenere un vantaggio
militare e quello umanitario (molto più pubblicizzato) perché permetterà di
evitare i “danni collaterali” che altro non sono che vittime innocenti dovute
spesso ad errori umani (circa 2mila civili sono stati uccisi negli attacchi dei
droni statunitensi negli ultimi venti anni, 300 di loro sono bambini, secondo
il Bureau of Investigative Journalism di Londra).
Dopo
il disastroso ritiro dall’Afghanistan gli Stati Uniti sono ancora più
riluttanti a impegnare le proprie truppe in altri conflitti, per cui la
capacità di attaccare il nemico anche da una distanza molto elevata (e senza
soldati) diventa una strategia praticabile e decisiva chiunque sia adesso o nel
prossimo futuro alla Casa Bianca.
Altro
problema (insieme militare ed etico) è che l’Intelligenza artificiale è
limitata dalla sua mancanza di ‘senso comune’ e dalla capacità di ragionamento
umana.
Per
quanto ‘addestrata’ non potrà mai comprendere pienamente le conseguenze delle
sue azioni.
Se nella seconda metà del secolo scorso la
guerra nucleare è stata resa impossibile grazie alla deterrenza - qualsiasi
paese che inizi un primo attacco atomico rischia la reciprocità e quindi
l’autodistruzione - nel caso delle armi autonome il primo attacco a sorpresa
potrebbe essere ‘non tracciabile’, innescando rapidamente una risposta e
un’escalation molto veloce.
Al
Pentagono sono decine gli scenari che vengono ipotizzati per la prima possibile
“guerra con Intelligenza Artificiale”.
Scenari
molto diversi tra loro con una cosa in comune: le capacità delle armi autonome
saranno limitate più dalle leggi della fisica che da una carenza nei sistemi
che le controllano.
Come
gli americani combatteranno le guerre del futuro nessuno è realmente in grado
di prevederlo.
L’internazionale
neo-nazista
sogna
il potere con le armi della NATO.
Lindipendente.online – Michele Manfrin – (30
MAGGIO 2022) – ci dice:
La
presenza di potenti gruppi neonazisti armati in Ucraina è nota almeno dal 2014,
documentata oltre ogni ragionevole dubbio.
Tuttavia dopo lo scoppio della guerra
russo-ucraina la narrazione sui media è profondamente cambiata:
nell’ansia di glorificare la resistenza di
Kiev i battaglioni nazisti sono stati dipinti come nazionalisti o patriottici,
definizioni che nascondono e mistificano la portata della questione.
In verità sono gli stessi protagonisti ad aver
rivendicato la propria ideologia in molteplici occasioni, e non è tutto.
Quella
che abbiamo ricostruito, attraverso fonti e collegamenti verificabili, è una
rete solida e strutturata che connette battaglioni ormai noti come Azov e
Pravyï Sektor a centinaia di fazioni alleate in tutto il mondo, da molti stati
europei – Italia inclusa – passando per gli Stati Uniti, fino a Canada,
Brasile, Hong Kong e persino Israele.
Il
filo che lega questi movimenti neofascisti e neonazisti in giro per il mondo
forma una vasta rete che ben facilmente potremmo chiamare Internazionale Nera.
L’Ucraina,
in questi anni, ha costituito l’epicentro teorico e militare di quella che
Olena Semenyaka, l’ideologa di Azov, definisce la “rivoluzione conservatrice
mondiale”.
L’obiettivo, senza mezzi termini, è quello di
prendere il potere.
Un
intento che nel prossimo futuro i gruppi neonazisti potranno alimentare
condividendo le tecniche di combattimento insegnate alle milizie ucraine
direttamente dalla NATO e provando a mantenere sotto il proprio controllo una
parte dell’immensa dotazione di armi che l’Occidente sta inviando a Kiev.
Se le
giornate della memoria non sono mera retorica, dovremmo iniziare a preoccuparci
seriamente della faccenda.
L’ideologia
di Azov: la “rivoluzione conservatrice mondiale”.
Olena
Semenyaka, classe 1987, dottoranda in filosofia al momento dello scoppio della
“rivoluzione” del 2014, è considerata la first lady del nazionalismo ucraino.
Dopo
aver militato in Pravyj Sektor (Settore Destro), dal 2014 al 2015, Semenya,
insieme al noto neonazista Andriy Biletsky, nel 2016 ha creato il partito che
funge da braccio politico del battaglione Azov, il Corpo Nazionale, e dal 2018
ricopre il ruolo di Segretario Internazionale del Corpo Nazionale.
Andriy
Biletsky, leader del Corpo Nazionale, nonché primo comandate del Battaglione
Azov e tenente colonnello della Guardia Nazionale, parlamentare ucraino dal
2014 al 2019, soprannominato il “Führer bianco”, nel 2010, quando faceva parte
di un’altra formazione della galassia ultranazionalista di nome Patriot of
Ukraine, affermò che la missione dell’Ucraina è quella di «guidare le razze
bianche del mondo in una crociata finale contro gli Untermenschen [subumani]
guidati dai semiti».
La
Semenya ha fatto avanzare il movimento Azov verso una dimensione continentale,
abbracciando sia l’Europa orientale che il continente più ampio, riattivando e
riadattando il vecchio credo geopolitico dell’Intermarium:
il
sogno di una grande confederazione est-europea, abbastanza forte da contrastare
Mosca.
Grazie
al ruolo ricoperto all’interno di Azov, Semenya ha potuto consolidare fruttuosi
legami con altri movimenti nazionalisti europei ed extraeuropei attraverso la
piattaforma politica internazionale chiamata Reconquista-Pan Europa, destinata
ad ancorare la causa ucraina ad una nuova meta-geopolitica europea, e non solo.
Mark
Segwick, in Key Figures of the Radical Right: Behind the New Threat on Liberal
Democracy (2019), spiega che le pubblicazioni di Semenya contengono riferimenti
intellettuali che non sono legati esclusivamente ai tradizionali riferimenti
incentrati sulla nazione, come si trova in Stefan Bandera (collaborazionista
dei nazisti all’epoca della Seconda Guerra Mondiale), mitizzato dall’estremismo
nazionalista ucraino.
Semenya
cerca, sempre sulla base della tradizione, di ammantare di un velo più europeo
l’ideologia e la cultura nazionalista ucraina.
I suoi
riferimenti includono figure tedesche come Friedrich Nietzsche, Martin
Heidegger, Carl Schmitt e Armin Mahler, così come citazioni della sfera
intellettuale francese della Nuova Destra come, ad esempio, Dominique Vener, ex
OAS (gruppo paramilitare dell’Organizzazione dell’esercito segreto francese) e
fondatore del gruppo Europe Action, e Alain de Benoist, fondatore della Nuova
Destra francese (Nouvelle Droite), oltre allo scrittore collaborazionista
Pierre Drieu de la Rochelle e il filosofo religioso René Guénon.
Semenya colloca nella sfera della genealogia
tradizionalista comune ai vari movimenti neofascisti e neonazisti anche
l’italiano Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola, il
quale era convinto della necessità di un “ritorno alla romanità” e sostenitore
di una teoria della razza in chiave spirituale.
Il
nichilismo attivo e la terza via tra Occidente e cultura russa.
La
crisi di significato che le società europee contemporanee stanno attraversando,
secondo Semenya, deve essere risolta grazie ad un nuovo ordine simbolico che
sia in grado di prospettare un forte e diverso futuro in un’ottica paneuropea
che sappia al contempo rifiutare la visione russa come anche quella
occidentale: viene chiamata la Terza Via.
Come
ha spiegato Semenya in uno scritto del 2019, The Conservative Revolution and
Right-Wing Anarchism, “la rivoluzione conservatrice è anche qualcosa di simile
alla trasvalutazione di tutti i valori.
È un
approccio rivoluzionario.
Non è
reazionario e non è conservatore, nonostante il titolo.
Si sta
muovendo verso il nuovo ordine mondiale, nuovi valori e nuova metafisica
dell’Occidente”. I
n
questo suo scritto, per descrivere il processo rivoluzionario, fa ampio
riferimento a Ernst Junker e Friedrich Nietzsche.
Semenya identifica la prima fase del processo
rivoluzionario odierno con il nichilismo attivo spiegato da Nietzsche, che lo
differenziava dal nichilismo passivo.
“Il
primo è il nichilismo passivo. È come una diminuzione della forza dello
spirito. È stanchezza. È debolezza. È come un “no” quasi buddista alla vita.
È la
volontà di nascondersi dalla sofferenza della vita”, scrive Semenya.
La Segretario Internazionale di Azov prosegue
dicendo: “Il nichilismo attivo è sano.
È un segno della crescita della forza dello
spirito.
Significa
che i vecchi ideali non sono più validi, ma è anche un processo creativo.
La distruzione è solo un lato di esso. Si
dirige verso nuovi valori.
È come la trasvalutazione di tutti i valori da
parte di un Superuomo che distrugge tutti gli ordini screditati e si sforza per
qualcosa di nuovo, per qualcosa che sarà degno di seguire, svilupparsi,
credere.
Ed è per questo che la prima fase della
trasvalutazione di tutti i valori è naturalmente nichilista, rivoluzionaria,
distruttiva.
Ma non
è, ancora una volta, fine a sé stessa. È solo una fase.
Ed è
per questo che è una rivoluzione conservatrice, non una sorta di filosofia
conservatrice o una filosofia reazionaria.
È rivoluzione”.
In un
suo scritto del 2012, intitolato When the Gods Hear the Call: The
Conservative-Revolutionary Potential of Black Metal Art in Black Metal,
pubblicato originariamente da Black Front Press, gestito dall’attivista
nazionalista britannico Troy Southgate, la Semenya analizza la filosofia
eretica del genere musicale Black Metal attraverso il concetto di
“luciferianismo ariano”, ispirato ai riferimenti dell’Ariosofia, del nichilismo
di Ernst Junker e allo “spirito aristocratico” di Julius Evola.
Vede
questo “luciferianesimo ariano” come un appello per una forma estrema di
romanticismo: potere e violenza caratterizzata da principi e simboli neopagani,
anche se preferisce riferirsi allo gnosticismo come principio filosofico per
questa interpretazione metafisica del Black Metal.
Movimento
Reconquista.
Il
movimento Reconquista è una piattaforma internazionale di confronto tra i vari
gruppi estremisti di destra e il suo nome si riferisce alla famosa cacciata dei
musulmani dalla penisola iberica, culminata nel 1492, che vide gli eserciti
cristiani riprendere i territori che i musulmani avevano conquistato quasi 800
anni prima.
Il 15
ottobre 2018, a Kiev, si è tenuta la Seconda Conferenza Paneuropa del movimento
Reconquista ove è stato evidenziato l’imperativo del perseguimento della Terza
Via geopolitica contro il “protettorato” della Federazione Russa e contro la
“falsa alternativa” proposta dal globalismo occidentale.
Questa impostazione è stata condivisa da tutte
le forze nazionaliste ucraine che hanno preso la parola alla conferenza (Corpo
Nazionale, Svoboda, Karpatska Sich) ed è stato evidenziato in dettaglio dalla
coordinatrice del Movimento Reconquista, nonché Segretario Internazionale del
Corpo Nazionale di Azov, Olena Semenya. Hanno partecipato alla conferenza anche
rappresentanti delle forze nazionaliste, neofasciste e neonaziste della sfera
euroatlantica.
Era
presente il nazionalista russo Denis Vikhorev (coordinatore del Centro russo)
come anche l’italiano Alberto Palladino di CasaPound, oltre ai tedeschi Maik
Schmidt e Remo Matz dei Giovani Nazionalisti del JN-NDP e una delegazione del
partito neonazista tedesco Der III Weg (La Terza Via), il quale, questo primo
maggio, ha sfilato per le strade di Berlino in sostegno al battaglione Azov.
Presente
alla conferenza anche una delegazione svedese con la presenza del politologo
Anton Stigermark, oltre a Marcus Follin (conosciuto come The Golden One) e
Jonas Nilsson, coordinatore di The Boer Project, i quali sostengono la
battaglia in terra natia del partito estremista Alternative for Sweden.
All’evento ha preso parte anche Bjørn Christian Rødal, rappresentante del
giovane partito norvegese Alliansen – Alternativ for Norge, mentre una
testimonianza video di sostengo all’iniziativa è stata inviata anche dal fight
club greco ProPatria.
Presente
in Ucraina in quei giorni del 2018 anche Greg Johnson, motore intellettuale
della destra alternativa americana (la cosiddetta alt-right), teorico del
nazionalismo bianco, redattore capo di Counter-Currents Portal e di una casa
editrice con lo stesso nome.
Egli,
che è autore altamente produttivo i cui libri vengono tradotti in varie lingue,
compreso l’ucraino, si è presentato con le fresche copie del suo libro, “White
Nationalist Manifesto”.
La
geopolitica di Intermarium.
Intermarium
(dal latino, “Tra i mari”) è un progetto geopolitico ripreso e riadattato nel
corso del tempo e che per primo fu concepito da Józef Klemens Piłsudski, Capo
di Stato polacco tra il 1918 e il 1922, traendo l’ispirazione dalla
Confederazione Polacco-Lituana (esistita tra il 1569 e il 1795).
Secondo
Azov, l’Intermarium odierno dovrebbe riunire i Paesi che si estendono tra il
Mar Baltico, il Mar Nero e il Mar Adriatico; i Paesi coinvolti sarebbero:
Ucraina, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Croazia, Slovacchia, Repubblica
Ceca, Romania, Bulgaria, Ungheria, Bielorussia, Slovenia e Macedonia.
Semenya,
durante la Seconda Conferenza Paneuropea di Reconquista, ha proceduto nella
spiegazione della geo strategia della Reconquista europea: Intermarium come
piattaforma, o trampolino di lancio, per l’integrazione europea alternativa.
Date
le tendenze di crisi nell’UE, tale opportunità è considerata tale non solo dai
gruppi estremisti ma anche dai rappresentanti governativi ufficiali dell’Europa
orientale e centrale.
Al
fine di portare avanti l’idea geostrategica dei gruppi nazionalisti,
neofascisti e neonazisti, è stato creato nel 2016 l’Intermarium Support Group,
arrivando, sul finire del 2020, alla sua quarta conferenza. Il progetto di
Intermarium è sostenuto anche da personalità del calibro di George Friedman,
analista e stratega geopolitico statunitense molto influente, il quale, durante
un’intervista per la televisione pubblica bulgara BNT, andata in onda il 3
aprile scorso, ha detto di credere che i Paesi del fianco orientale dell’Europa
debbano formare un’alleanza ispirata al progetto del già citatao Józef
Piłsudski, l’Intermarium.
L'”Alleanza
Centrale”, spiega Friedman, che coinvolgerebbe una popolazione di circa 80
milioni di persone, sarebbe in grado di formare uno scudo difensivo slegato
dagli interessi del resto dell’Europa e della NATO.
Alle
riunioni di Intermarium Support Group hanno preso parte i rappresentanti delle
missioni diplomatiche, dei partiti politici e delle strutture ufficiali dei
Paesi della regione.
L’attuale
congiuntura geopolitica in Europa e nel mondo è abbastanza favorevole: il
Gruppo di Visegrad (formato da Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia)
e “L’iniziativa dei tre mari” (forum attivo dal 2016 che comprende Austria,
Bulgaria, Croazia, Cechia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia,
Romania, Slovacchia, e Slovenia) sono supportati dagli Stati Uniti in chiara
chiave antirussa e potrebbero costituire una base per il futuro blocco militare
e geopolitico di Intermarium.
Negli
obiettivi più ambiziosi dei suoi teorici diventerebbe un asse dell’integrazione
europea alternativa (una piattaforma per Paneuropa) possibilmente in grado di
portare a una nuova Europa nel suo complesso e non solo nella sua parte
orientale. All’inizio di aprile 2022 si è svolto il VII Congresso europeo dei
governi locali, a Mikolajki, città a nord-est della Polonia, a pochi chilometri
dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad.
Durante il panel chiamato “L’Europa in cerca
di leadership”, tutti i partecipanti hanno ripetuto la necessità di una unione
polacco-ucraina.
Sul
sito si legge che tutti i politici intervenuti hanno fatto notare che tale
unione si stia già formando in maniera informale, con circa 3,5-4 milioni di
profughi ucraini arrivati su suolo polacco.
Importante
sapere anche che Azov è stato definito come Stato nello Stato, grazie alla sua
fitta rete di legami interni ed esterni al Paese ed alla presenza di propri
uomini nei gangli decisivi degli apparati di potere, oltre ad essere da tempo
divenuta una forza regolare per volontà dell’ormai ex Ministro dell’Interno,
Arsen Avakov, sostenitore di Azov ancor prima della sua ribalta.
Infatti, sebbene la base del battaglione sia
considerata Mariupol, situata sul Mar d’Azov (da cui il nome del gruppo), il
suo nucleo principale proviene dalla città di Kharkiv, nell’Ucraina orientale,
quando il gruppo neonazista si chiamava “Patriot of Ukraine”, proprio negli
anni in cui Arsen Avakov era governatore dell’Oblast di Kharkiv.
Il
neonazismo Nordamericano.
Nel
gennaio dello scorso anno, in occasione del memoriale del 76° anniversario
della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, Antonio
Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, presso Park East Synagogue e
all’International Holocaust Remembrance Service delle Nazioni Unite, a New
York, ha affermato che occorre un’alleanza globale contro la rinascita e la
crescita di gruppi neonazisti.
«In
Europa, negli Stati Uniti e altrove, i suprematisti bianchi si stanno
organizzando e reclutando oltre i confini, ostentando i simboli e i tropi dei
nazisti e le loro ambizioni omicide.
Tragicamente,
dopo decenni nell’ombra, i neonazisti e le loro idee stanno guadagnando
credito», ebbe a dire Guterres.
Nel
febbraio 2020, in occasione del 70° anniversario della Lega dei canadesi
ucraini (LUC) e del suo giornale, Homin Ukrainy, nonché il 65° anniversario
della Lega delle donne ucraine canadesi (LUCW), Stephen Harper, personaggio di
spicco del Partito Conservatore canadese, Primo Ministro del Canada dal 2006 al
2015, nonché Presidente in carica dell’Unione Democratica Internazionale, si è
rivolto al pubblico con il saluto “Slava Ukraini!” (“Gloria all’Ucraina!”), il
quale ha risposto con “Heroyam Slava!” (“Gloria agli eroi”). Questo era il
saluto ai tempi dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) – poi OUN-B
dopo la scissione – e di Stepan Bandera, noto leader politico collaborazionista
dei nazisti che giurò fedeltà ad Hitler, oggi osannato dai vari gruppi
nazionalisti ucraini.
Il gruppo che ha ospitato Harper è parte della
rete di ONG ucraine di estrazione neonazista che operano in vari paesi del
mondo.
Il suo organismo di coordinamento globale si
chiama Consiglio internazionale a sostegno dell’Ucraina (ICSU) che a sua volta
guarda all’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, prima OUN e poi all’OUN-B
di Bandera (la cui famiglia si è rifugiata in Canada dopo l’uccisione di
Bandera nel 1959, in Germania, ad opera dei servizi segreti sovietici).
L’ICSU
e il Congresso mondiale ucraino hanno sede a Toronto.
Tra la
fine del 2019 e l’inizio del 2020, elementi del partito conservatore avrebbero
collaborato con i gruppi sopramenzionati al fine di sabotare l’azione di
Zelensky che mirava ad interrompere le ostilità nel Donbass.
Infatti,
in quel periodo, Zelensky fece visita al presidente canadese Trudeau e, subito
dopo, come da noi già riportato, il Presidente ucraino compì un viaggio nella
cittadina di Zolote, nell’Est dell’Ucraina, con l’intento di porre fine alle
ostilità chiedendo al battaglione di deporre le armi e il cui risultato portò
alla sua stessa capitolazione di fronte al potere accumulato dai gruppi
neonazisti ucraini, ormai presenti nei maggiori gangli statali e con appoggio
internazionale.
Recentemente,
Efraim Zuroff del Simon Wiesenthal Center (centro per la memoria
dell’Olocausto, ong accreditata presso l’ONU) ha attaccato il governo canadese
durante un’intervista allo Ottawa Citizen, dicendo che il Canada non è riuscito
a monitorare adeguatamente il proprio programma di addestramento militare:
«Il governo canadese non ha avuto la sua
dovuta diligenza [..] È responsabilità del ministero della Difesa canadese
sapere esattamente chi stanno addestrando».
Il riferimento è all’addestramento fornito nel
2020 dalle forze canadesi ad un gruppo del battaglione Azov.
Zuroff
ha poi aggiunto: «Non c’è dubbio che ci siano neonazisti in diverse forme in
Ucraina, sia che si tratti del reggimento Azov o di altre organizzazioni.
Non è
propaganda russa, tutt’altro. Queste persone sono neonaziste.
C’è un elemento di estrema destra in Ucraina
ed è assurdo ignorarlo».
Un’investigazione
dell’FBI del 2017, portata avanti dell’agente speciale Scott Bierwirth, ha
causato, nell’ottobre dell’anno seguente, l’arresto di quattro persone legate
al Rise Above Movement (RAM), una rete di estremisti che collega attivisti di
vari gruppi statunitensi, avente sede nel Sud della California, tra San Diego e
Orange County.
A
finire in manette, con l’accusa di rivolta e cospirazione, sono stati Robert
Rundo, Robert Boman, Tayler Laube e Aaron Eason.
Nell’indagine
dell’FBI, tra le varie accuse di violenza e terrorismo, si porta ad evidenza
del fatto che Rundo, insieme a Michael Miselis e Benjamin Daley – altri membri
di RAM, abbia fatto visita a gruppi nazionalisti in Italia e in Germania, dopo
che si era recato in Ucraina per incontrare Olena Semenya, la Segretario
Internazionale del Corpo Nazionale di Azov.
Circa
l’incontro avvenuto con i tre statunitensi, Semenya ha detto:
«Sono venuti per imparare le nostre vie,
mostrando interesse nell’imparare come creare forze giovanili nel modo in cui
ha fatto Azov».
Durante
la visita, i tre statunitensi hanno partecipato ad un concerto della band metal
neonazista Sokyra Peruna, facendo ampio sfoggio di saluti romani.
Urge
qui ricordare, come da noi già affrontato, proprio nel periodo del viaggio di
Zelensky a Zolote, il Primo Ministro ucraino, Oleksiy Honcharuk, e il ministro
per i Territori Temporaneamente Occupati (ovvero al Donbass e all Crimea),
Oksana Koliada, presenziavano ad un evento di beneficenza di un movimento
neonazista chiamato C14 (o S14) e capitanato da Yehven Karas, con la
partecipazione della sopracitata band Sokyra Peruna.
Nel
repertorio di questo gruppo musicale neonazista si trovano canzoni che negano
l’olocauso come “Six Million Words of Lies” (“Sei milioni di parole di bugie”).
Gli
ospiti statunitensi di RAM si sono uniti ai membri di Azov nella famosa
palestra all’aperto di Piazza dell’Indipendenza di Kiev, Kachalka, per una
sessione di allenamento e per promuovere la linea di abbigliamento creata da
Rundo, The Right Brand, prima di combattere in incontri di MMA presso il
Reconquista Club di Kiev.
Nell’occasione,
Semenya ha detto che Azov spera di conquistare forze politiche occidentali di
estrema destra più grandi e più «mainstream» che «possano essere i nostri
potenziali simpatizzanti».
Quello
con RAM non è il solo collegamento tra Azov e gli Stati Uniti.
Il giovanissimo Andrew Oneschuk ha infatti
preso i contatti con Azov nel 2016 quando è comparso in un podcast del canale
gestito dal gruppo neonazista ucraino, A-Radio. Oneschuk faceva parte del
gruppo denominato Atomwaffen Division (AWD), una rete internazionale nata negli
Stati Uniti e che avrebbe adesso anche sedi estere: Columbia Britannica
(Canada), Tampere (Finlandia) e Savona (Italia).
La Atomwaffen Division, fondata da Brandon
Russell, opera principalmente, oltre che negli USA, Canada, Italia e Finlandia,
anche nel Regno Unito, Irlanda, Polonia, Estonia, Lituania e Lettonia.
Oneschuk
si diceva pronto per partire per l’Ucraina ed unirsi ad Azov, prima di essere
ucciso a Tampa (USA), nel 2017, insieme ad un altro membro di AWD, Jeremy
Himmelman, da parte di uno stesso appartenente del gruppo, Devon Arthurs,
coinquilino di Oneschuk.
Nella casa condivisa dai due, la polizia ha
rinvenuto diverso materiale esplosivo, tutto il necessario per la fabbricazione
di ordigni e varie armi da fuoco.
Nel gennaio di quest’anno, Kaleb Cole,
personaggio di spicco della Atomwaffen Division è stato condannato ad otto anni
di carcere per aver progettato e praticato un piano volto ad attaccare
giornalisti e avvocati in territorio statunitense.
Vi è
poi il caso di Craig Lang e Jarrett William Smith. Il primo, ex soldato e poi
mercenario in vari conflitti tra Africa e Sud America, nel 2015 si è recato in
Ucraina e si è unito alla Legione Georgiana – accusata di aver utilizzato i
suoi cecchini per sparare sia sulla folla di civili che sui poliziotti durante
la rivolta Euromaidan nel 2014, col fine di esacerbare lo scontro e portarlo
sulla via di non ritorno. Lang è accusato negli USA, insieme a Smith, di
duplice omicidio in Florida, avvenuto nel 2018 in un suo viaggio di riposo
dall’Ucraina.
Oltre
al duplice omicidio, Lang è stato accusato di frode sui passaporti e nominato
nei documenti del tribunale federale come mentore dello stesso Smith, arrestato
per complicità nel tentativo di organizzare un attacco terroristico alle
maggiori testate giornalistiche statunitensi.
Smith,
anch’egli ex soldato, avrebbe infatti fornito le istruzioni per fabbricare
bombe ad un non meglio identificato gruppo di estrema destra che stava
pianificando attacchi su tutto il territorio nazionale.
Inoltre, nel 2019, secondo una dichiarazione
giurata dell’agente speciale dell’FBI, Brandon LaMar, vi sarebbe stata
l’intenzione di assassinare il candidato presidenziale democratico, e nativo di
El Paso, Beto O’Rourke.
In un’intercettazione,
Smith avrebbe affermato:
«Non
conosco abbastanza persone che sarebbero abbastanza rilevanti da causare un
cambiamento se morissero».
Lang è sempre in Ucraina e la sua richiesta di
estradizione sembra essere ignorata dalle autorità ucraine e potrebbe
addirittura tornare in libertà, come emerso nel marzo di questo anno.
Smith, che si è poi dichiarato colpevole, nel
2020 è stato condannato a due anni e mezzo da scontare in un carcere federale.
I
legami di Azov in Europa.
Nel
2018, sulla statunitense Radio Wehrwolf, condotta da Black Luccasson, il quale
nel 2017 scrisse sul proprio profilo twitter “Hail Azov hail Ukraine hail
europeans”, comparve Joachim Furholm, cittadino norvegese che si autodefinisce
“rivoluzionario nazionalsocialista”, il quale incoraggiò gli statunitensi ad
unirsi al battaglione Azov in Ucraina.
Un’intervista
è stata fatta da Azov a Furholm, in tenuta mimetica, nell’ottobre dello stesso
anno, in concomitanza con la Seconda Conferenza Paneuropea che si è tenuta a
Kiev (di cui abbiamo precedentemente parlato), in cui spiega di essere andato
in Ucraina per guidare un gruppo di occidentali al fine di acquisire esperienza
militare utile ai vari movimenti nei rispettivi paesi.
Rivolgendosi al pubblico statunitense, Furholm
spiega che l’Ucraina è un’occasione imperdibile per la causa dell’estrema
destra dicendo che vi «sono le condizioni perfette».
Le
attività di Furholm, nella misura in cui sono state aiutate dall’ala politica
di Azov, avevano lo scopo di andare oltre la semplice sensibilizzazione online
e i discorsi pubblici.
Il
Corpo Nazionale di Azov gli ha fornito alloggi e strutture di addestramento per
i volontari stranieri che riusciva a reclutare per l’arruolamento in Ucraina.
Le strutture sono state mostrate in un
documentario del regista britannico Emile Ghessen, “Robin Hood Complex Ukraine
– Europe’s Forgotten War”, creato dopo aver trascorso alcuni mesi in Ucraina a
filmare volontari stranieri presenti nel Paese, tra cui Furholm.
Il
norvegese ha detto al regista: «Questo è il motivo per cui siamo stati presi in
prestito dalle persone con cui stiamo lavorando.
Questa
è una struttura di addestramento e una struttura abitativa per le persone che
vengono qui a combattere per l’Ucraina».
Furholm ha poi aggiunto che una volta che avrà
finito con ciò che ci si aspettava da lui, procederà all’azione rivolta
all’Occidente, compresi gli attacchi al governo della Norvegia:
«Prenderei di mira il governo con tutto ciò
che è necessario; ogni mezzo necessario».
Nel
novembre del 2018 Furholm ha lasciato l’Ucraina.
Sebbene
non si sappia con certezza la motivazione, probabilmente la decisione è
arrivata dopo un’azione del ministero degli Esteri ucraino, interceduto per
pressione operata da funzionari norvegesi che non avrebbero gradito la troppa
notorietà acquisita dallo stesso Furholm.
Un
altro legame della galassia di gruppi eversivi neonazisti con l’Internazionale
Nera promossa da Azov, si ha con il Nordic Resistance Movement (NMR).
Il
gruppo è stato fondato in Svezia nel 1997 e si è poi espanso in Norvegia,
Danimarca, Islanda e Finlandia.
Quest’ultima,
nel 2019, ha messo il gruppo fuori legge e lo ha dichiarato come entità terroristica,
invitando gli altri stati a fare la stessa cosa.
NMR ha
più volte mostrato apertamente il proprio sostegno alla battaglia di Azov e
alla sua visione di “rivoluzione conservatrice mondiale” interagendo spesso con
i membri di Azov, promuovendone anche la simbologia.
Nel
2018, il “Nordic Resistance Movement” intervistò la Segretaria Internazionale
del Corpo Nazionale di Azov, la già citata Olena Semenya, alla quale si
chiedeva, oltre all’illustrazione della situazione politica ucraina e
internazionale di Azov, come potessero arruolarsi gli stranieri simpatizzanti
con la causa.
La
connessione israeliana.
Nel
2018, un gruppo di oltre 40 attivisti per i diritti umani ha presentato una
petizione all’Alta Corte di Giustizia israeliana, chiedendo la cessazione delle
esportazioni di armi da Israele verso l’Ucraina.
Essi
hanno sostenuto che queste armi finissero nelle mani di forze che sposano
apertamente un’ideologia neonazista, come Azov, i cui membri fanno parte delle
forze armate regolari ucraine, sostenuti dal Ministero degli Affari Interni del
Paese, Avakov.
Come riportato anche dal Jerusalem Post,
Efraim Zuroff, capo dell’ufficio di Gerusalemme del Simon Wiesenthal Center, in
occasione della nomina di Vadym Troyan a capo della polizia per la regione di
Kiev – poi divenuto vice capo della polizia nazionale – ad opera di Avakov,
ebbe ad affermare:
«Se
stanno nominando persone come questa a posizioni di tale importanza e potere è
un segnale molto pericoloso per la comunità ebraica dell’Ucraina».
Occorre
anche ricordare il pieno sostegno di Benjamin Netanyahu, potentissimo ex Primo
Ministro di Israele, nei riguardi del blocco di Visegrad, che Azov vede come
primo mattoncino della Terza Via per la Reconquista Pan-europea.
Uno
dei maggiori finanziatori dei gruppi neonazisti ucraini, nonché colui che ha
portato alla ribalta l’attuale Presidente dell’Ucraina Zelensky, è stato il
miliardario Ihor Kolomoyskyi, proprietario di un impero che lo mette in cima
alla classifica dei paperoni del Paese guidato, almeno formalmente, da Zelensky.
Sembrerebbe
strano, eppure, Kolomoyskyi, che è ebreo e con cittadinanza israeliana e
cipriota oltre che ucraina, ha speso milioni di dollari per finanziare milizie
neonaziste come Azov, Donbas e Aidar, nonché Dnepr 1 e Dnepr 2, i battaglioni
dell’oblast di cui Kolomoyskyi è stato Governatore, Dnipropetrovsk.
Egli è
stato uno dei maggiori finanziatori di queste milizie paramilitari, con
organizzazioni politiche annesse, che nel corso del tempo, come da noi già spiegato,
hanno acquisito un enorme potere in Ucraina, al di sopra dello stesso Zelensky.
E
mentre Kolomoyskyi è accusato di aver fatto sparire 5,5 miliardi di dollari da
PrivatBank verso società cipriote offshore, Zelensky, al contrario di quanto
sbandierato durante la campagna elettorale circa la corruzione nel Paese,
spostava milioni di dollari in conti offshore con sede nelle Isole Vergini
britanniche, a Cipro e in Belize, in compagnia di altri della sua cerchia
politica.
Kolomoyskyi
non è l’unico ebreo che ha sposato la causa di gruppi apertamente di matrice
nazista.
Konstantyn Batozsky, ex consigliere del
Governatore di Donetsk, Serhiy Taruta, è stato consulente del Battaglione Azov
tra il 2014 e il 2015.
In
merito al lavoro svolto assieme ai membri di Azov, Batozsky ha detto:
«Erano teppisti del calcio e volevano
attenzione, quindi sì, sono rimasto scioccato quando ho visto ragazzi con
tatuaggi con la svastica ma ho parlato con loro tutto il tempo del mio essere
ebreo e non avevano nulla di negativo da dire.
Non
hanno un’ideologia antiebraica».
Daniel Kovzhun, ebreo di Kiev, gestiva la
logistica durante la guerra condotta dall’Ucraina contro i suoi stessi
cittadini del Donbass, per conto di unità paramilitari neonaziste, ha
affermato:
«C’erano ebrei ortodossi ad Azov. Lo so perché
ero lì sulle linee di battaglia.
A
nessuno importava chi fosse ebreo, ci importava di tenere insieme il nostro
paese».
Come Batozsky, Kovzhun ha vissuto e studiato
in Israele prima di tornare a Kiev e unirsi al nuovo esercito civile della
capitale, le Forze di Difesa Territoriale – una milizia di volontari che ha
attirato combattenti ebrei da tutto il Paese e anche dall’estero.
Vi è
poi il caso dei Cento Ebrei, gruppo di soli ebrei che hanno combattuto, fin da
Euromaidan, al fianco dei battaglioni neonazisti, creando dei simboli propri,
come la bandiera rossa e nera di Pravyï Sektor (Settore Destro) con la stella
di David sopra.
Nathan Khazin, ufficiale dei Cento Ebrei, ha
spiegato: «Abbiamo lavorato nell’intelligence, abbiamo lavorato insieme a
ragazzi del Settore Destro, Maidan Self-Defense».
Khazin
ha poi aggiunto: «Quattro ragazzi dei Cento Ebrei sono andati con me a est per
difendere l’Ucraina, era nell’aprile 2014.
Noto
che il nostro gruppo appartiene a coloro che hanno formato il reggimento Azov,
ma in seguito lo abbiamo lasciato e abbiamo cercato di trasferirci dalla
Guardia Nazionale alle Forze Armate dell’Ucraina».
Khazin è un veterano delle Forze di Difesa
Israeliane che ha servito e combattuto nella Striscia di Gaza.
Il giornale ebraico The Forward ha
intervistato Khazin facendone la seguente presentazione:
“Il
Khazin che indossa lo yarmulke, un veterano delle Forze di Difesa Israeliane e
un rabbino ordinato, è rappresentativo di molti giovani ebrei ucraini che sono
sionisti, religiosamente osservanti e allo stesso tempo forti patrioti ucraini.
Alcuni
di loro si riferiscono a sé stessi umoristicamente come Zhido-Banderisti – una
fusione del termine peggiorativo per “ebreo” con il nome Stepan Bandera, leader
dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini, che ha combattuto per
l’indipendenza ucraina durante la seconda guerra mondiale.
Le forze dell’organizzazione hanno anche
partecipato al massacro degli ebrei, quindi il termine Zhido-Banderist è
consapevolmente ironico”.
(La
bandiera dei Cento Ebrei, miliziani ebraici di Pravyï Sektor (Settore Destro),
con la stella di David sopra alla bandiera della milizia neonazista ucraina).
Grigory
Pivovarov è invece un cittadino israeliano che ha servito nel 24° battaglione
d’assalto separato “Aidar” (dal nome del battaglione neonazista prima che fosse
assorbito nell’esercito regolare), nel 2018 affermava:
«Vedo parallelismi tra gli eventi nel Donbass
e l’attuale lotta degli ucraini contro l’aggressione esterna e ciò che è
accaduto sul territorio del moderno Israele nel periodo iniziale dell’esistenza
di questo stato.
Ora si
ritiene che l’esercito israeliano sia uno dei migliori al mondo, che gli
israeliani abbiano imparato ad essere pronti per la guerra e contemporaneamente
a sviluppare la statualità».
Sono
poi varie le organizzazioni di estrema destra israeliane, macchiate di feroci
violenze nei riguardi dei palestinesi e sostenitrici della legge dello
Stato-Nazione, emanata nel 2018, la quale ha dichiarato ufficialmente lo Stato
d’Israele come Stato ebraico, istituzionalizzando la discriminazione, che
sostengono i gruppi nazionalisti ucraini ed europei, oltreché statunitensi.
Il sentimento è certamente ricambiato; un
esempio ne è quello del leader suprematista bianco Richard Spencer, aperto
sostenitore di Israele.
L’estremismo
brasiliano.
All’inizio
di marzo di quest’anno, un gruppo di volontari brasiliani è arrivato in Ucraina
per arruolarsi nella Legione Internazionale Ucraina.
Il 13 marzo, molti di loro hanno perso la vita
nell’attacco compiuto dalla Russia sulla base ucraina vicina a Leopoli e al
confine polacco, l’International Center for Peacekeeping and Security, ove,
almeno dal 2015, si sono svolti gli addestramenti e le esercitazioni militari
sotto il controllo della NATO.
Al momento
dell’attacco, nella base venivano fatti confluire tutti coloro che si
arruolavano da Paesi stranieri.
Tiago
Rossi, istruttore di poligono di tiro e fanatico di Bolsonaro, ha twittato un
video in cui afferma: «Tutta la nostra legione è stata distrutta,
l’informazione che ho è che sono tutti morti».
Secondo
il rapporto di Adriana Dias, ricercatrice dell’Università di Campinas, con più
di 530 cellule attive, il Brasile è il Paese in cui l’estremismo di destra è
avanzato maggiormente negli ultimi anni:
San
Paolo è lo stato con la maggiore presenza di questi gruppi, se be contano 51
sul totale di 137 mappato in tutta la nazione.
Secondo Michel Gherman, membro
dell’Observatório da Extrema Direita (formato da accademici di più di dieci
università brasiliane e di altri paesi), professore di Sociologia
all’Università Federale di Rio de Janeiro e coordinatore dell’Istituto
Brasile-Israele, questo fenomeno ha a che fare con l’elezione di Jair Bolsonaro
che, a livello clandestino, è legato a queste ideologie.
Gherman
stima che il 15% dei brasiliani sia oggi di estrema destra.
Va ricordato che Bolsonaro ha iniziato la sua
carriera come capitano dell’esercito durante la dittatura militare fascista
(1964-1984), che ha impiegato tattiche della Gestapo come squadroni della morte
e torture contro leader sindacali, intellettuali e comunisti.
Nel
2016, la polizia civile nello stato meridionale del Rio Grande do Sul, sede di
diverse ondate di immigrazione tedesca e italiana e di una lunga tradizione
fascista, ha condotto un’indagine contro gruppi neonazisti che stavano
pianificando attacchi violenti contro afro-brasiliani, ebrei e LGBT+ e ha
scoperto che la milizia neonazista ucraina Divisione Misantropica stava
reclutando nazisti brasiliani in sette città dello stato per servire come
combattenti volontari con Azov nella Regione del Donbass.
L’indagine, che è stata soprannominata
“Operazione Azov”, ha ricevuto all’epoca ampia copertura dalla stampa
brasiliana e israeliana.
I
neonazisti ucraini e le proteste di Hong Kong.
Un gruppo
di neonazisti ucraini, nel 2019, ha partecipato alle violente proteste di Hong
Kong contro il centralismo cinese, rivendicando l’indipendenza dell’isola.
Nel dicembre 2019, Serhii Filimonov ha postato
su Facebook alcune sue foto che lo ritraggono all’interno delle proteste, sotto
lo slogan “Fight for Freedom, Stand with Hong Kong”.
Tale
slogan è la fabbricazione di una ONG, Stand With Hong Kong (SWHK), i cui membri
“rappresentano la voce degli hongkonghesi che operano nel Regno Unito, negli
Stati Uniti e nell’Unione europea”.
Il
gruppo ucraino Gonor alle proteste di Hong Kong.
Tale
organizzazione ha compiuto azione di pressione politica sui governi occidentali
al fine di sostenere la protesta anticinese e di imporre sanzioni economiche
nei confronti della Cina. Il Free Hong Kong Center (FHKC), dopo numerose
richieste di chiarimento, ha dovuto ammettere la presenza dei nazionalisti
ucraini, presentati come gruppo Gonor, salvo emettere una nota finale ove si
dice che le posizioni di Gonor non sono quelle di FHKC.
Nel
comunicato in questione si palesa, quantomeno, la loro passata storia
all’interno di Azov ma si spiega che non ne farebbero più parte.
All’interno
del comunicato giustificazionista si può leggere:
“Ci
hanno assicurato che sono davvero contro il nazismo e ogni tipo di ideologia
alt-right.
Le loro opinioni sono nazionaliste, ma non
significa qualcosa di male.
Molte
persone sono rimaste deluse dai tatuaggi di questi ragazzi.
Hanno
spiegato che tutti i simboli provengono dal paganesimo slavo, tradizionalmente
usato ai tempi della Rus’ di Kiev.
La
religione potrebbe essere paragonabile allo shintoismo giapponese. Attualmente,
rappresentano il gruppo sportivo-sociale “Gonor” e sono grandi appassionati di
calcio”.
Molti
di questi personaggi appartenenti a Gonor, come anche di altri gruppi
neonazisti ucraini, tra i vari tatuaggi di svastiche e simboli nazisti vari,
spesso hanno la scritta tatuata “Victory or Valhalla”, titolo di una raccolta
di scritti del famoso suprematista bianco americano David Lane, il cui gruppo
terroristico, The Order, nel 1984 si è reso responsabile dell’assassinio del
conduttore radiofonico ebreo, Alan Berg, oltre la pianificazione di altri
omicidi di ebrei di sinistra.
Lane,
che per numerosi crimini è stato condannato a 190 anni di carcere in una
prigione federale degli Stati Uniti, ha creato il più famoso slogan
suprematista bianco, noto come le 14 parole – che ha ispirato il nome del già
citato gruppo neonazista ucraino C14 – il quale recita:
“We must secure the existence of our people
and a future for white children” (“Dobbiamo garantire l’esistenza della nostra
gente e un futuro per i bambini bianchi “).
Serhii Filimonov è uno di coloro che hanno tatuato sul
proprio corpo il titolo della raccolta di scritti di Lane.
Filomonov
con tatuaggio “Victory or Valhalla”.
Il
Free Hong Kong Center è un progetto di una ONG che si chiama Lega Liberal
Democratica dell’Ucraina.
La Lega Liberal Democratica dell’Ucraina è
un’organizzazione di advocacy pro Unione Europea, parte della Gioventù liberale
europea e della Federazione Internazionale della Gioventù Liberale, entrambi
finanziati dall’UE.
Il principale coordinatore del Free Hong Kong
Center è un attivista ucraino di nome Arthur Kharytonov, che è anche il
Presidente della Lega Liberal Democratica dell’Ucraina.
Kharytonov
è stato profondamente coinvolto nelle proteste di Euromaidan in Ucraina e
spesso ha paragonato quanto avvenuto ad Hong Kong con quanto era accaduto in
Ucraina, affermando la necessità di un legame profondo tra i gruppi coinvolti
nelle due diverse zone geografiche.
“Gloria
a Hong Kong”, mutuando lo slogan “Gloria all’Ucraina”, divenne “l’inno
nazionale” dei manifestanti anti-cinesi.
Conclusione
Non vi
può essere una vera e propria conclusione per un tema vasto e ancora da approfondire,
il quale risulta essere di fondamentale importanza per leggere il presente, e
le piste future, dell’Ucraina e non solo.
Certamente
sono molte le domande che sorgono.
Quali saranno infatti le conseguenze di questa
Internazionale Nera?
Se il conflitto non dovesse andare come
auspicato da questi gruppi estremisti, cosa decideranno di fare?
Cosa avverrà se migliaia di miliziani
nazifascisti dovessero migrare in altri Paesi, nel caso il conflitto fosse
perso?
Vorranno
forse esportare la guerra – a bassa intensità, di tipo terroristico?
Inoltre, moltissimi sono i volontari non
ucraini arruolati sul fronte e, come abbiamo visto, alcuni hanno anche palesato
la volontà di apprendere e fare esperienza di azioni di battaglia e di
operazioni di intelligence, sabotaggio, propaganda e proselitismo (e tanto
altro) da portare a casa una volta rientrati dalla guerra.
Inoltre,
dobbiamo porci delle domande anche riguardo alle armi fornite dai Paesi
occidentali di cui non si può avere il tracciamento e che possono essere cedute
a terze parti proprio da gruppi come Azov, ormai parte importante dello Stato
ucraino.
Occorre infatti ricordare che tali gruppi
nazifascisti hanno più volte palesato l’idea di Terza Via, ovvero il rifiuto
ideologico legato al blocco russo-cinese come anche del globalismo Occidentale
dominato dagli USA e sostenuto dalla NATO.
Quindi,
a prescindere da come si concluderà il conflitto, sia che l’Ucraina (e la NATO)
vinca o perda, l’Internazionale Nera vorrà rivoltarsi contro i suoi stessi
sostenitori attuali, forti dei soldi e delle conoscenze sfruttate nel
momentaneo sodalizio, affinché possa realizzarsi la propugnata Terza Via?
Quello
che è certo è che questi gruppi in Ucraina stanno ricevendo direttamente armi
ad alta tecnologia dagli stati occidentali, e molti di essi sono stati formati
– sempre dai paesi della NATO – a saperle utilizzare.
Nonostante dall’inizio della guerra in Ucraina
vi sia l’evidente disegno mediatico di negare l’ideologia di questi gruppi,
facendoli passare come semplici patrioti che combattono per la libertà
dell’Ucraina, quanto abbiamo documentato non lascia spazio a dubbi: Azov,
Pravyï Sektor e altri gruppi paramilitari ucraini sono apertamente neonazisti e
l’Ucraina è divenuta il centro teorico e militare di una Internazionale Nera
che sogna di imporre il proprio disegno di “rivoluzione conservatrice”.
Bene ribadire anche che questi gruppi sono
stati inquadrati dal governo Ucraino all’interno dell’esercito regolare, un
fatto che rende automatico, e noto anche ai paesi occidentali, che gli
armamenti forniti a Kiev finiscano anche nelle loro mani.
(Michele
Manfrin).
L'ecologismo,
una
religione
occidentale.
Ilfoglio.it-
GIULIO MEOTTI – ( 09 SET 2020) – ci dice:
Non
solo Greta. Ci sono santoni, diavoli ed eretici, giorni sacri e tabù
alimentari, torve profezie e un’idea di salvezza.
L’ambientalismo
ora ha tutto per funzionare come la fede del Terzo millennio.
È
l'ecologia il giusto baricentro del governo.
Gli
sberleffi pretenziosi della scienza che studia geni e cervello.
“L’ambientalismo
è la religione degli atei urbanizzati”, ha detto lo scrittore Michael Crichton.
“Il cibo biologico è la sua comunione”.
La
preoccupazione e la cura dell’ambiente sono ormai universali (almeno in
occidente):
ci
hanno messo in casa una infinita varietà di cestini per riciclare, siamo
invitati a non abusare dell’aria condizionata (abbassate però quei trenta gradi
negli edifici pubblici d’inverno), facciamo del nostro meglio, e qualche sfida
che sembrava insormontabile l’abbiamo già vinta.
Il
buco dell’ozono, l’angoscia del decennio precedente, si sta restringendo.
Dal
1990, c’è stata una riduzione del 90 per cento delle emissioni automobilistiche
(e una riduzione del 99 per cento dal 1960), anche se l’auto rimane il nemico
pubblico numero uno.
Intanto, un miliardo di persone è uscito dalla
povertà assoluta, l’aspettativa di vita è aumentata, la guerra è più rara,
molte malattie gravi sono state sradicate, il cibo è abbondante, la Nasa ci
dice che la terra è più verde oggi di vent’anni fa, la popolazione mondiale si
stabilizzerà a metà del secolo per poi scendere, e considerando la mortalità
infantile, il reddito medio mondiale e la disponibilità di risorse, lo stato di
salute dell’umanità e del mondo non è mai stato migliore, e persino in via di
costante miglioramento.
Eppure,
una nuova religione del pessimismo si profila all’orizzonte e macina fedeli.
In
Islanda, alla presenza del primo ministro, hanno appena celebrato il funerale
di un ghiacciaio.
Era il
15 settembre 2003 quando lo scrittore Michael Crichton tenne un discorso al
Commonwealth Club di San Francisco.
Titolo: “L’ambientalismo è una religione”.
“Oggi,
una delle religioni più potenti del mondo occidentale è l’ambientalismo.
È la
religione degli atei urbanizzati.
C’è un
Eden iniziale, un paradiso, uno stato di grazia e unità con la natura, c’è la
caduta dalla grazia in uno stato di inquinamento risultato dell’aver mangiato
dall’albero della conoscenza e c’è un giorno del giudizio che verrà per tutti
noi.
Siamo
tutti peccatori di energia, destinati a morire, a meno che non cerchiamo la
salvezza, che ora si chiama ‘sostenibilità’.
La sostenibilità è la salvezza nella chiesa
dell’ambiente.
Proprio
come il cibo biologico è la sua comunione”.
Crichton
voleva parodiare la trasformazione dell’ecologismo in una chiesa.
Come
il suo gran sacerdote David Brower, il fondatore dei Friends of the Earth, che
ha scritto:
“I sei
giorni della Genesi sono un’immagine per rappresentare ciò che è accaduto in
quattro miliardi di anni.
Il
nostro pianeta è nato lunedì.
Da
martedì a mercoledì, fino a mezzogiorno, si è formata la terra.
La vita inizia mercoledì e si sviluppa in
tutta la sua bellezza per i successivi quattro giorni.
Domenica
alle quattro del pomeriggio compaiono i rettili.
Alle
nove di sera, le sequoie spuntano dal terreno.
Un
quarantesimo di secondo prima di mezzanotte inizia la rivoluzione industriale.
Adesso è mezzanotte e siamo circondati da persone che credono che quello che
hanno fatto possa continuare indefinitamente”.
Il
Nobel Ivan Giaver paragona l’ecologismo a una “chiesa”.
Per
Bruckner, sorge sulle “macerie di un mondo miscredente”.
Sei
giorni, sei gradi alla dannazione.
Un
grado in più: gran parte delle barriere coralline e dei ghiacciai scomparsi.
Due gradi: l’arcipelago di Tuvalu, nell’oceano
Pacifico, completamente sommerso.
Tre
gradi: la foresta amazzonica distrutta da incendi e siccità.
Quattro
gradi: il livello degli oceani si innalza al punto di distruggere paesi come il
Bangladesh e sommergere città come Venezia.
Cinque gradi: milioni di persone costrette a
lasciare le aree in cui vivono, scatenando possibili conflitti per il controllo
delle ultime risorse presenti sul pianeta.
Con
sei gradi in più, quasi tutte le forme di vita (compresa quella umana)
scompaiono.
Benvenuti
in un mondo più caldo di sei gradi.
E per
prefigurarlo si coniano nuovi termini ricolmi di panico, come “insectopocalypse”.
Michael Crichton fece quella denuncia quando ancora un certo estremismo
ecologis
ta
doveva sfoderare tutto il proprio millenarismo e sembrava ancora soltanto
un’industria di gruppi di interesse, lobbisti, periti e burocrati.
Adesso
il clima è una fede insindacabile.
Le
multinazionali e i governi dei paesi ricchi da una parte, dall’altra i popoli
del sud e le ong che li difendono, i nuovi missionari.
Nei
giorni scorsi, in Islanda, gli ecologisti hanno celebrato un funerale a un
ghiacciaio.
Una vera e propria cerimonia paganeggiante nel
terreno arido ma un tempo coperto dal ghiaccio dell’Okjökull.
C’erano anche il primo ministro islandese,
Katrín Jakobsdóttir, e l’ex commissario delle Nazioni Unite per i diritti
umani, Mary Robinson.
È
stata apposta una targa che reca la scritta “Una lettera al futuro”.
Pochi
giorni prima, alla Cattedrale anglicana di Liverpool (la più grande
d’Inghilterra) è arrivato un modello di Gaia, installato al centro della navata
principale.
Ivar
Giaever, vincitore del premio Nobel per la Fisica, teme che questa ortodossia
sui cambiamenti climatici sia diventata una “nuova religione”:
“Non
se ne può discutere, è una verità incontrovertibile, è una chiesa”.
Greta
Thunberg, la giovanissima santona di questa religione, è appena arrivata a New
York, “uno dei tanti eventi recenti che illustrano quanto rapidamente
l’ambientalismo moderno stia degenerando in un culto millenaristico”, scrive
Niall Ferguson sul Times.
Questi accusatori gnostici del progresso
stanno scagliando i loro esorcismi verdi.
“L’ambiente
è la nuova religione laica che s’innalza, almeno in Europa, sulle macerie di un
mondo miscredente, una religione che a sua volta andrebbe sottoposta a critica,
per stanare questa malattia infantile che la corrode e la scredita:
il catastrofismo”, spiega Pascal Bruckner.
Per il
marxismo, il nemico era il borghese. Per il Terzo mondo, era l’occidente. Per
l’ecologismo è l’uomo: un nuovo peccato originale.
L’atteggiamento
allarmista degli ambientalisti assomiglia molto a quello delle sette
millenariste che aspettavano la fine del mondo o la seconda venuta del Messia.
Alcune di esse erano convinte che Cristo
sarebbe tornato esattamente il 22 ottobre 1844; e quando gli eventi
estremamente improbabili da loro profetizzati non si verificavano,
semplicemente ne spostavano in avanti la data.
Intanto, l’ecologismo è diventato il nuovo
“marcatore” delle società europee.
Ne
parla al Figaro di questa settimana Jérôme Fourquet dell’istituto Ifop e
massimo studioso di opinione pubblica francese.
“Greta
Thunberg è una figura profetica, una sorta di ibrido tra Giovanna d’Arco e
Bernadette Soubirous (quella delle visioni di Lourdes, ndr)”, dice Fourquet.
“Come loro, è una novizia, nata dal popolo,
che niente aveva destinato a questo, ma che all’improvviso ha ricevuto una
rivelazione che ora deve annunciare ai potenti di questo mondo e all’opinione
pubblica”.
L’ecologismo
in Francia ha già scalzato il cattolicesimo come segno della società.
“Stiamo
assistendo alla nascita di una nuova matrice, laica e non più religiosa,
attorno all’ecologia.
L’ecologismo funziona sociologicamente e
culturalmente come in passato la matrice cattolica.
Esistono somiglianze sorprendenti nei termini
e nei riferimenti utilizzati.
Stiamo
parlando anche di ‘santuari’ della biodiversità.
C’è
un’ecologia ricorrente di annunci apocalittici: questo è l’effetto delle
immagini terrificanti dei roghi in Amazzonia”.
E sull’Amazzonia a ottobre si tiene il sinodo
in Vaticano.
Non
mancheranno flirt con il panteismo ecologista.
Da qui
una visione binaria del mondo, che oppone il Bene al Male: da un lato le
multinazionali e i governi dei paesi ricchi, dall’altro i popoli del sud,
nonché le ong che li difendono, i nuovi missionari del nostro tempo.
Per ripristinare la creazione, l’occidente
deve essere svezzato!
“Africa, contribuisci al nostro sviluppo
mentale”, scrive sul Monde Hervé Kempf. “Africa, aiuta l’Europa a intraprendere
una nuova storia.
L’Africa
può insegnare all’occidente ad abituarsi alla frugalità”.
Spiega
Harald Welzer, autore di “Climate Wars: Why People Will Be Killed in the 21st
Century” (uno dei tanti manifesti green che incitano all’isteria), che “il
modello capitalista si autodistruggerà” e “l’era del consumo finirà” grazie ai
numerosi flagelli climatici che si abbattono su di noi.
Si odono echi cristiano-dolciniani.
I
verdi con la loro mistica della decrescita si vedono come i vettori ideologici
di una nuova austerity, dettata non più dai mercati finanziari ma dalla salute
del pianeta.
Sul
Nouveau Magazine Littéraire di luglio, il filosofo Fabrice Flipo si chiede se
l’ecologismo non sia diventato una “nuova religione” che invita l’occidente a
una nuova astinenza.
Ci
viene chiesto di fare tante cose per pentirci.
Per il
marxismo, il nemico era il borghese.
Per il Terzo mondo era l’occidente, il grande
predatore della storia.
Per
l’ecologismo religioso è l’uomo il grande colpevole, l’equivalente del peccato
originale.
L’ambientalismo
radicale non vuole, come il marxismo, promettere il paradiso in terra o, come
il cristianesimo, prepararci al paradiso dopo la morte.
Si limita a denunciare l’inferno delle nostre
società, ad abbracciarne la regressione volontaria, a idolatrare la privazione,
ad affondare nella religione del terrore, a sospettare che tutta l’innovazione
tecnologica sia oscurantismo puro e semplice.
“Il
consumismo è la più grande arma di distruzione di massa pensata dal genere
umano” (Mathis
Wackernagel).
Ci
viene chiesto di smettere di fare figli, di farne al massimo uno, guai se sono
due.
Un
deputato francese, Yves Cochet, ha proposto, insieme a uno “sciopero della
pancia”, di penalizzare le coppie che mettono al mondo un terzo figlio, perché
un bebè, in termini di inquinamento, equivale a 620 voli andata-ritorno Parigi-New
York.
La religione green è post-umana e
anti-specista, il peccato commesso da chi fa una distinzione morale tra persone
e altri animali, sottintendendo che questa abitudine discriminatoria è simile
al razzismo e al sessismo (il termine ha attecchito grazie a Peter Singer).
Ha spiegato il sociologo francese Jean-Pierre
Le Goff che “questa eco-ideologia rafforza la visione nera e penitenziale della
storia occidentale, che è responsabile di tutti i mali ecologici”.
In
contrapposizione a questa visione nera c’è “l’utopia di un’umanità riconciliata
con sé stessa e naturalizzata:
la salvaguardia del pianeta diventa il nuovo
principio unificante di un mondo fraterno e pacificato che ignorerebbe i
confini, le differenze tra nazioni e civiltà, metterebbe fine alle
contraddizioni e ai conflitti”.
Una religione che ha anche i propri catechismi
da mandare a memoria.
Dopo
l’adorazione della dea ragione, quella della dea madre.
“L’ecologia
presenta le caratteristiche di una nuova ‘religione laica’ che si pone come una
spiegazione globale del mondo e che detiene le chiavi della storia umana e
della salvezza” spiega ancora Le Goff.
“In una forma più morbida e igienizzata,
partecipa a nuove forme di spiritualità che si sono diffuse in società
democratiche de cristianizzate e in crisi di identità”.
L’appello
ecologista è ormai quasi sempre accompagnato da un riferimento a un “divino”
naturale che, rimpiazzando l’eredità ebraica e cristiana, ravviva un
“paganesimo rivisitato alla luce dell’ecologia”.
Questo cocktail religioso si è diffuso senza
problemi nelle società occidentali in un contesto di deculturazione storica.
“L’ambientalismo offre un resoconto
alternativo della religione” spiega John Kay, uno dei maggiori economisti
inglesi.
“All’ambientalismo all’inizio mancava un mito
persuasivo dell’Apocalisse.
La litania del degrado ambientale ha dovuto
affrontare il fatto evidente che molti aspetti dell’ambiente stavano
costantemente migliorando, come l’aria, più pulita, i fiumi, le spiagge.
La
scoperta del riscaldamento globale ha colmato una lacuna”.
Kay
sostiene che gli evangelisti green non sono interessati a soluzioni pragmatiche
al cambiamento climatico.
Sono
contrari a tutto, al carbone, al gas naturale, al gas di scisto, all’etanolo,
alle dighe, ai camion, al Tgv, alla macchina, all’aereo.
“I mulini a vento e andare in bicicletta al
lavoro sono insignificanti come conseguenze pratiche, ma ogni ideologia ha
bisogno di rituali che dimostrino l’impegno dei seguaci”.L’ecologismo sta edificando un vero e
proprio culto: ha
i propri giorni santi (la Giornata della Terra), i propri tabù alimentari
(veganesimo e campagne per ridurre il consumo di carne di mucca, come in
Germania), i propri templi (le università occidentali) e un proprio
proselitismo (gli scettici sono trattati da eretici e peccatori malvagi).
Per
dirla con il canadese Mark Steyn, “l’ambientalismo non ha bisogno del sostegno
della chiesa anglicana perché è esso stesso una chiesa”.
Si
rivisita anche la cristiana “tentazione” nell’idea green di “negawatt”, che
consiste nel non usare energia diminuendo così la nostra razione giornaliera di
watt (Amory Lovins).
Gli ambientalisti hanno trasformato la scienza
in una verità evangelica, che può essere usata per correggere il comportamento
peccaminoso dell’uomo.
La presunta onnipotenza dell’uomo trascritta
nel termine stesso di “Antropocene” risponderebbe alla feroce resistenza del
pianeta-martire che si vendica.
Una
doxa con cui spiegare ormai tutto, dalla guerra in Darfur alla caduta
dell’Impero romano.
Ognuno
ha la propria data fissata per la fine del mondo, che chiamano “Envirogeddon”
(l’Armageddon ecologica), in un “domani” infinitamente aggiornabile. Alluvione?
Cambiamento climatico.
Siccità?
Cambiamento climatico.
Niente neve? Cambiamento climatico.
Troppa neve? Cambiamento climatico.
Uragani?
Cambiamento climatico.
Mancanza
di uragani? Cambiamento climatico.
Cos’è
questa, se non una religione?
Nel
Medioevo i cataclismi naturali venivano interpretati come una punizione di Dio;
oggi sono imputati all’orgoglio dell’uomo. E quando finirà il mondo?
Per il
francese Jean-Pierre Le Goff, “è una nuova ‘religione laica’ che detiene le
chiavi della storia umana e della salvezza”
Nel
1967 uscì un libro di notevole successo, “Famine 1975”, che per quell’anno annunciava la fame di massa nel
mondo.
“La
maggior parte delle persone che moriranno nel più grande cataclisma della
storia dell’uomo sono già nate”, scrisse Paul Ehrlich (il guru della population
bomb) in un saggio del 1969 intitolato “Eco-Catastrofe!”.
Ehrlich predisse per il 1980 “l’estinzione di
tutti i cetacei” e la trasformazione dell’Inghilterra in una landa sterile.
Peter
Gunter, professore della North Texas State University, annunciò nel 1970:
“Entro
il 1975 inizieranno le carestie in India; si diffonderanno nel 1990 per includere
Pakistan, Cina e Africa. Entro il 2000, o presumibilmente prima, l’America del
Sud e quella Centrale saranno in carestia…”.
Harrison
Brown, uno scienziato della National Academy of Sciences, pubblicò un grafico
su Scientific American che esaminava le riserve di metallo e stimava che
l’umanità sarebbe finita completamente a corto di rame dopo il 2000.
Piombo, zinco, oro e argento sarebbero spariti
prima del 1990.
Nel
1982, il funzionario delle Nazioni Unite Mostafa Tolba, direttore esecutivo del
Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, avvertì:
“All’inizio del secolo, una catastrofe
ambientale causerà la devastazione”.
Nel
1989, Noel Brown, direttore dell’ufficio di New York del Programma ambientale
delle Nazioni Unite, profetizzò:
“Entro
il 2000 intere nazioni potrebbero essere spazzate via dalla faccia della terra
dall’innalzamento del livello del mare”.
Il
raffreddamento globale una volta era una preoccupazione per molti ecologisti,
come il professore dell’Università della California Kenneth Watt, che avvertì
che le tendenze attuali avrebbero reso il mondo “undici gradi più freddo nel
2000…”.
Nel
2006, mentre promuoveva il film “An Inconvenient Truth”, Al Gore disse che
all’umanità mancavano soltanto dieci anni prima di raggiungere il punto di non
ritorno, suggerendolo con scene di inondazioni di Manhattan e della Florida.
È arrivato il 2016 e abbiamo tirato un sospiro
di sollievo.
Ora la
deputata dem americana Alexandria Ocasio-Cortez, quella del New Green Deal, ci
avverte: “Il mondo finirà tra dodici anni se non affronteremo i cambiamenti
climatici”.
Nel
2031 ci penserà qualcun altro a fissare la nuova data per la fine del mondo.
È
diventato una religione che ha soppiantato il cristianesimo” (James Lovelock,
l’ideatore dell’ipotesi di Gaia).
Nel
frattempo, chi osa criticare Greta, la “ragazza che vuole salvare il mondo”?
I
green agitano cartelli con scritto “Gli scienziati hanno parlato”, come un
tempo si faceva con “Questa è la parola del Signore”.
È stato James Lovelock, lo scienziato inglese
divenuto noto per la “teoria di Gaia”, a spiegare che l’ambientalismo è mutato,
da pragmatico e razionalistico si è fatto messianico e religioso.
La sua storia inizia nel 1965, quando venne
invitato ai Jet Propulsion Laboratories di Pasadena a condurre ricerca
spaziale, in particolare studi sulla possibilità di vita sul pianeta Marte.
Lovelock propose un metodo nuovo per scoprire
se su un pianeta c’è vita o no: osservare l’evoluzione nella composizione
chimica della sua atmosfera.
Lovelock ebbe l’ispirazione di considerare il
pianeta come un essere vivente.
Secondo
alcuni critici si trattava già di mera teleologia dai risvolti mistici e
filosofici. Lovelock dice oggi dell’ambientalismo:
È diventato una religione, una religione che
ha soppiantato il cristianesimo”.
Lovelock
è un appassionato di energia nucleare, il che lo ha reso impopolare fra i
verdi.
“Sono
uno scienziato e un inventore ed è assurdo rifiutare l’energia nucleare.
Tutto
proviene dal lato religioso. Si sentono in colpa per aver lanciato bombe
atomiche.
E
questo dono dato agli esseri umani – una fonte di energia sicura ed economica –
viene orribilmente maltrattato.
Stiamo ancora manifestando i sensi di colpa a
riguardo”.
È
stato scritto un libro, “Dark Green Religion”, a firma di Bron Taylor,
professore di religione e natura all’Università della Florida, su pratiche
molto diffuse per entrare “in comunione con la natura”.
Lo
scrittore verde Mark Lynas ha ammonito che Poseidone, il dio del mare, “è
irritato da semplici mortali come noi.
Lo abbiamo svegliato da un sonno millenario e
questa volta la sua ira non conoscerà limiti”.
Altri
ambientalisti parlano della “vendetta di Gaia” e di parti dell’umanità spazzate
via da inondazioni e uragani (mancano soltanto gli sciami di locuste).
È un mix di ecologismo, psicoterapia e
buddismo meditativo.
Meglio
se condito con del pauperismo di religiosa memoria, perché nella propaganda
ambientalista lo scopo è trasformare il consumismo in una patologia spaventosa,
“la
più grande arma di distruzione di massa pensata dal genere umano” (scrive l’ambientalista
svizzero Mathis Wackernagel in “Il nostro pianeta si sta esaurendo”).
Proliferano gruppi di verdi apocalittici, come gli
ambientalisti più radicali del Regno Unito, “Extinction Rebellion”, battezzati
addirittura dall’ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, che si veste da
druido.
C’è
chi considera spacciata metà della terra e vorrebbe proteggere l’altra metà
facendone un parco naturale, riedizione dell’arca di Noè.
È “Half Earth” del fondatore della
sociobiologia, il guru di Harvard Edward Wilson.
Ha una
proposta su come fermare l’estinzione della biosfera: mettere da parte la metà
del pianeta e farne un parco naturale senza esseri umani.
“Dopo tutto, è la diffusione dell’umanità che
ha accelerato i tassi di estinzione”, si legge nel libro.
Il
clima diventa lo strumento della nostra stessa espiazione.
Un
ambientalista negli anni Settanta, Edward Abbey, propose che la natura selvaggia
dovesse essere riservata a un numero relativamente piccolo di persone, solo i
soggetti fisicamente in forma e attenti all’ambiente.
“The
world without us”, il mondo senza di noi esseri umani, scrive Alan Weisman nel
suo romanzo di successo su un pianeta che si è liberato di quel virus che è
l’umanità.
Lo scrittore inglese Paul Kingsnorth ha
scritto “Uncivilization”, libro di culto fra gli ecologisti.
Siamo
entrati nella fase dell’“ecocidio”, il futuro consiste nella
“decivilizzazione”.
Non si
perora più l’uso della tecnologia o delle risorse come al Sierra Club.
Siamo allo stadio finale dell’ambientalismo,
atarassia e attesa della fine, come gli gnostici catari sul Montségur.
Non esistono più santuari, siamo circondati.
È il nuovo oppio dei popoli occidentali.
Dio
non è morto. È soltanto diventato verde.
Latouche:
"L'economia
ha fallito
, il
capitalismo è guerra,
la
globalizzazione violenza".
Repubblica.it
- Giuliano Balestreri - Serge Latouche – (10 MAGGIO 2020) – ci dicono:
Il
teorico della decrescita felice interviene al Bergamo Festival: "Il libero
scambio è come la libera volpe nel libero pollaio".
E poi
critica l'Expo: "E' la vittoria delle multinazionali, non certo dei
produttori. Serve un passo indietro, siamo ossessionati dall'accumulo e dai
numeri".
MILANO
- "La
globalizzazione è mercificazione".
Peggio:
"Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio".
E
ancora: "L'Expo è la vittoria delle multinazionali, non certo dei
produttori".
Serge
Latouche, francese, classe 1940, è l'economista-filosofo teorico della
decrescita felice, dell'abbondanza frugale "che serve a costruire una
società solidale".
Un'idea
maturata anni fa in Laos, "dove non esiste un'economia capitalistica,
all'insegna della crescita, eppure la gente vive serena".
Di
più: la decrescita felice è una delle strade che portano alla pace.
E Latouche ne parlerà il 12 maggio al Bergamo
Festival (dall'8 al 24 maggio) dedicato al tema "Fare la pace", anche
attraverso l'economia.
L'economista
francese, in particolare, si concentrerà sulla critica alle dinamiche del
capitalismo forzato che allarga la distanza fra chi riesce a mantenere il
potere economico e chi ne viene escluso.
Ecco
perché, secondo Latouche, la decrescita sarebbe garanzia e compensazione di una
qualità della vita umana da poter estendere a tutti.
Anche per questo "considerare il Pil non
ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l'ossessione della
misura fa parte dell'economicizzazione.
Il
nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio".
Abbiamo
sempre pensato che la pace passasse per la crescita e che le recessioni non
facessero altro che acuire i conflitti.
Lei, invece, ribalta l'assioma.
Fa
tutto parte del dibattito.
Per anni abbiamo pensato proprio che la
crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche
grazie a stipendi sempre più elevati.
E in effetti abbiamo vissuto un trentennio
d'oro, tra la fine della Seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni
Settanta.
Un
periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di
un'intensità senza precedenti.
Poi è
iniziata la fase successiva, quella dell'accumulazione continua, anche senza
crescita.
Una guerra vera, tutti contro tutti.
Una
guerra?
Sì, un
conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più
possibile, il più rapidamente possibile.
È una guerra contro la natura, perché non ci
accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta.
Stiamo facendo la guerra agli uomini.
Anche
un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere:
una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo
capiremo finché non lo avremo distrutto.
Per
fare la pace dobbiamo abbandonarci all'abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo
imparare a ricostruire i rapporti sociali.
Un
cambio rotta radicale. Sapersi accontentare, essere felici con quello che si ha
non è certo nel dna
di una società improntata sulla concorrenza.
È
evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio a consumatori, ma
deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini.
La concorrenza non deve distruggere il tessuto
sociale.
Il
livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del
Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita.
Adesso
invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l'obiettivo di
creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici.
Invece
non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo.
Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va
direttamente nella spazzatura:
scade senza che nessuno lo comperi.
La globalizzazione estremizza la concorrenza,
perché superando i confini azzera i limiti imposti dallo stato sociale e
diventa distruttiva.
Sapersi accontentare è una forma di ricchezza:
non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più
dell'importanza che ha realmente.
I
consumatori però possono trarre beneficio dalla concorrenza.
Benefici
effimeri:
in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre
più bassi.
Penso
al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli
stessi contadini cinesi messi in crisi dall'agricoltura occidentale.
Stiamo
assistendo a una guerra.
Non
possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà
mai: ci sono leggi fiscali e sociali.
E per i piccoli non c'è la possibilità di
controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata.
Il
Ttip, il trattato di libero scambio da Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo
l'ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori.
Come
si fa la pace?
Dobbiamo
decolonizzare la nostra mente dall'invenzione dell'economia.
Dobbiamo
ricordare come siamo stati economicizzati.
Abbiamo
iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione
che distrugge le felicità.
Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la
rotta.
Il
progetto economico, capitalista è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa
con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro.
Eppure
lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società.
Ci
sono voluti secoli per cancellare la società pre economica, ci vorranno secoli
per tornare indietro.
Oggi
preferisce definirsi filosofo, ma lei nasce come economista.
Sì,
perché ho perso la fede nell'economia.
Ho
capito che si tratta di una menzogna, l'ho capito in Laos dove la gente vive
felice senza avere una vera economia perché quella serva solo a distruggere
l'equilibrio.
È una
religione occidentale che ci rende infelici.
Eppure
ai vertici della politica gli economisti sono molti.
E
infatti hanno una visione molto corta della realtà.
Mario
Monti, per esempio, non mi è piaciuto; Enrico Letta, invece, sì: ha una visione
più aperta, è pronto allo scambio.
Io mi sono allontanato dalla politica
politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma
sociale.
Per
avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neo
zapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia.
Ma ci
sono esempi anche in Europa:
Syriza
in Grecia e Podemos in Spagna si avvicinano alla strada. Insomma vedo molto
passi in avanti.
A
proposito, Bergamo è vicina a Milano. Potrebbe essere un'occasione per visitare
l'Expo.
Non mi
interessa.
Non è
una vera esposizione dei produttori, è una fiera per le multinazionali come
Coca Cola.
Mi sarebbe piaciuto se l'avesse fatto il mio
amico Carlo Petrini.
Si poteva
fare un evento come Terra Madre: vado sempre a Torino al Salone del Gusto, ma
questo no, non mi interessa.
È il trionfo della globalizzazione, non si
parla della produzione.
E poi non si parla di alimentazione: noi, per
esempio, mangiamo troppa carne. Troppa e di cattiva qualità.
Ci facciamo male alla salute.
Dovremmo riscoprire la dieta mediterranea.
Però, nonostante tutto, sul fronte
dell'alimentazione vedo progressi.
Basti
pensare al successo del movimento Slow Food.
Elezioni
Francia, rischio
di rivolte?
«È
possibile, ma per la religione».
Corriere.it
- Aldo Cazzullo – (25 aprile 2022) – ci dice:
Intervista
al sociologo Alain Touraine:
«Il tema è l’Islam. Marine non si è mostrata
all’altezza. Un europeista che fa il bis è una pagina di storia politica»
PARIGI
— Dal
dodicesimo piano della sua casa di Montparnasse, e più ancora dall’alto dei
suoi novantasette anni ad agosto, si può spaziare per tutta Parigi — le chiese,
la storia — e avere la sensazione che il mondo possa ancora essere studiato,
pensato, forse capito.
Professor
Alain Touraine, la vittoria di Macron è stata netta? O di risulta?
«Vittoria
netta. Quasi venti punti: di cosa stiamo parlando? Un europeista che vince due
volte in Francia al tempo di Brexit, Trump e della rivolta contro la globalizzazione
è una pagina di storia politica».
Però
l’estrema destra è al massimo storico.
«Certo.
In Francia esiste un forte sentimento antieuropeo. Come esiste la xenofobia.
Marine
Le Pen ha fatto una campagna sociale di sinistra, su lavoro e salari.
Ma i francesi
non sono idioti: sanno che il fondo del suo pensiero resta xenofobo.
E anche antisemita. Di estrema destra,
appunto».
I
partiti tradizionali sono stati travolti.
«All’apparenza,
è impressionante: la candidata socialista Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, non
arriva all’1,8%... In realtà, è del tutto normale».
Perché?
«Perché
quando cambia il tipo di società, cambiano gli attori politici.
Nel
1848 fecero irruzione nella storia gli operai: i moti di Parigi deposero
l’ultimo re, Luigi Filippo.
Cominciava
la lotta di classe con i padroni, la storia del socialismo e della destra
borghese.
Ora quel mondo è finito».
Ma
resta la frattura tra chi sta sopra e chi sotto, chi vive in città e chi in
provincia, chi vota Macron e chi Le Pen.
«Vede,
la Francia
fu uno Stato prima di essere una società; e questo è un problema che non
abbiamo ancora risolto.
La
Francia nasce dall’alleanza tra il re e la borghesia contro gli aristocratici:
Il Re Sole e il gran borghese Colbert contro la Fronda.
Ma
ancora oggi l’alta amministrazione — il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti,
le grandi scuole della capitale, insomma il mondo da cui viene Macron — è
considerato dai francesi come la corte del re; quindi nemica del popolo».
Emmanuel
Carrère ha detto al «Corriere» che, a differenza dei socialisti, la destra
repubblicana esiste ancora; perché la destra repubblicana è Macron.
«La
vera domanda dovrebbe essere: chi è Macron?».
Appunto:
chi è? Lei ha scritto un libro su di lui. Ce lo dica.
«Macron
non viene da destra.
Il suo maestro è stato Paul Ricoeur, il più
importante filosofo della propria generazione, cresciuto in contatto con i
grandi che avevano pochi anni più di lui: Jean-Paul Sartre, Maurice
Merleau-Ponty, Simone de Beauvoir.
Anche
gli uomini che hanno inventato Macron sono di sinistra».
In che
senso inventato?
«Macron
ha fatto studi umanisti, letterari.
Poi
gli è stato spiegato che per fare politica occorreva denaro; per questo è
entrato nella banca Rotschild.
Prima
ha distrutto il partito socialista, con un colpo di Stato non tanto contro il
presidente Hollande quanto contro la sinistra interna.
Poi
dall’Eliseo ha distrutto il partito neogollista.
Macron
è un grande tattico. Ma quale sia il suo progetto politico, oltre a
distruggere, non è chiaro».
L’Europa,
no?
«Certo:
gli Stati Uniti d’Europa, o almeno un nocciolo duro che comprenda Germania,
Italia, Spagna. E l’Olanda, grande potenza finanziaria.
Il momento è propizio perché la Germania non è
troppo forte: la Merkel è uscita di scena, il suo bilancio è in discussione; e
quando la parola tocca alle armi, come in Ucraina, la Germania è ancora
debole».
La
guerra ha influito sulle elezioni?
«Avrebbe
potuto: Marine Le Pen è un’amica di Putin, ha preso soldi dalla Russia. Putin
se l’è comprata».
Come
mai allora i francesi le hanno dato oltre 13 milioni di voti?
«Perché
rivendicano di poter scegliere il proprio presidente.
Pensi del resto a quanti politici europei si
sono comprati gli americani… L’elezione non è stata decisa dalla guerra, ma
dalla pandemia».
Perché?
«Nel
2021 stavo scrivendo un capitolo di un libro molto critico verso Macron, e mi
sono fermato: pensavo ci fosse davvero il pericolo di una vittoria dell’estrema
destra.
Poi però il presidente ha fatto la mossa
giusta. Ha rifiutato un secondo lockdown.
Non ha
dato retta alla comunità medico-scientifica, che chiedeva nuove restrizioni. Ha
liberato i francesi.
È
stato allora che ha vinto le elezioni.
Il resto l’ha fatto Marine Le Pen, che si è
mostrata non all’altezza, non abbastanza colta».
La
cultura è così importante?
«Non siamo mai stati una grande
potenza industriale. I
l
nostro impero faceva ridere rispetto a quello inglese.
Il nostro esercito da tempo non è più così
potente.
Il
potere culturale, la lingua, la letteratura è l’unico motivo per cui la Francia
resta un Paese importante nel mondo».
Però
gli studenti della Sorbona scrivevano «né con Macron né con Le Pen».
«La
Sorbona è da sempre una pessima università.
Era
buona nel XIII secolo, forse nel XIV.
L’ultimo
studente che ha imparato qualcosa alla Sorbona è stato Dante.
Eppure
è proprio nelle università che Macron può lasciare un segno di sé nella storia
di Francia».
Perché?
«Ogni
secolo ha la sua istituzione necessaria.
L’Ottocento ha avuto le grandi banche
commerciali: in Italia sono nate a Milano, che per questo è tuttora la capitale
economica.
Il
Novecento ha avuto la grande industria.
Questo
è il secolo delle “research university”.
Macron
dovrebbe dare alla Francia grandi università di ricerca.
Per
realizzare il progetto del mio compagno all’École Normale, Michel Foucault».
Andava
all’università con Foucault?
«Entrò
un anno dopo di me. Diceva che l’università deve essere il luogo in cui si
trasforma un giovane in un soggetto umano; vale a dire un dio».
Il
mondo della scuola non ama Macron.
(Macron
è un “uomo di Davos”, ossia di Klaus Schwab. Ndr.)
«Lo
detesta.
In particolare gli studenti delle materie
umanistiche.
E i
professori delle materie scientifiche:
pagati troppo poco rispetto ai compagni di
corso assunti dalle imprese private. Tutti costoro hanno votato Mélenchon.
Come
dice il giovane Piketty…».
Piketty
ha 52 anni.
«Appunto:
giovanissimo.
Piketty
fa notare che la forza motrice della sinistra un tempo erano i militanti, gli
operai; oggi è la gente dell’università».
La
Francia è sull’orlo di una nuova rivolta sociale?
«Il
pericolo c’è, e Macron farebbe bene a negoziare la sua riforma delle pensioni,
anziché imporla.
Ma il
motivo per cui da vent’anni esplodono le rivolte e si combattono le guerre non
sono le pensioni, né l’economia».
Qual’
è allora?
«La
religione. E religione, in uno Stato laico come la Francia, vuol dire Islam.
Ricordo che con mia sorella più grande, Jeanne…».
Quanti
anni ha sua sorella?
«Cento.
Andammo a vedere i leader mondiali venuti a sostenere la Francia dopo il
Bataclan.
Abbiamo
avuto stragi terribili, da Charlie Hebdo al 14 luglio a Nizza.
Eppure
il Paese ha tenuto».
Nel
dibattito con Marine Le Pen, Macron ha parlato di rischio di guerra civile.
«La
guerra con l’Islam dura dai tempi delle crociate.
Perché
non possono intendersi i fedeli di una religione come il cristianesimo — per
cui l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, e Dio si è fatto uomo — e l’Islam, per cui Dio è tutto e
l’uomo è nulla».
Grazie
professore, io e i lettori del «Corriere» la ascolteremmo ancora; ma il
pomeriggio è finito, e la pagina pure.
«Grazie
a voi per avermi ascoltato parlare sulla società francese. Che, come spero
abbiate capito, non esiste».
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