La guerra oltre il ponte.
La
guerra oltre il ponte.
Ucraina
- Russia, le news
dalla
guerra del 15 dicembre.
Repubblica.it
– Redazione – Iacopo Scaramuzzi - (15 -16 dicembre 2022) – ci dice:
Onu:
"Documentati almeno 441 crimini di guerra dai russi". Il Cremlino:
"Nessuna tregua a Natale e Capodanno". Droni russi su Kiev, Putin
annulla la partita di hockey e il messaggio al Parlamento
Punti
chiave
13:30
Putin,
dall'Occidente guerra economica contro la Russia
11:22
Mosca:
scuse dal Vaticano, appello dialogo esige rispetto
23:42
Gas,
Macron: "L'Ue si prepari a un altro inverno difficile".
"Ci
dobbiamo preparare" ad affrontare la volatilità dei prezzi del gas
"perché non abbiamo superato il peggio" e la "situazione per il
prossimo inverno" sarà "molto seria".
Lo ha
detto il presidente francese, Emmanuel Macron, in conferenza stampa al termine
del vertice Ue.
"Non dobbiamo dimenticare che la scorsa
primavera avevamo comunque il gas russo, l'anno prossimo invece partiremo senza
gas" da Mosca, ha indicato Macron, sottolineando che il price cap "servirà contro la
volatilità" ma che serviranno anche "acquisti comuni" e
"contratti a lungo termine".
23:17
Energia, Von der Leyen: "Fiduciosa
accordo price
cap lunedì"
"Sono
fiduciosa che i ministri riusciranno a raggiungere un accordo su tutti i tre
pacchetti dell'Energia" che comprendono il price cap al gas.
Lo ha dichiarato la presidente della
Commissione europea, Ursula von der Leyen, al termine del vertice Ue.
Anche
il premier ceco, Petr Fiala, presidente di turno del Consiglio Ue, ha
confermato che "lunedì i ministri raggiungeranno un accordo".
22:53
Meloni:
"Sì a minimum tax e a aiuti a Kiev grande successo"
"Il
presidente del Consiglio Giorgia Meloni, accoglie con grande soddisfazione
l'accordo raggiunto con l'approvazione attraverso procedura scritta del
pacchetto riguardante la tassazione minima delle multinazionali, l'assistenza
macro-finanziaria all'Ucraina con garanzia sul bilancio Ue, e l'approvazione
del Pnrr ungherese.
È quanto rende noto Palazzo Chigi.
"Ritengo che sia un grande successo
essere riusciti a sciogliere un nodo politico così importante.
Stamane ho avuto interlocuzioni fruttuose con
i premier di Polonia e Repubblica Ceca - ha sottolineato Meloni -, un incontro
decisivo che di fatto ha sbloccato la situazione".
22:52
Michel:
"Soddisfatti, mantenuti gli impegni verso Ucraina."
"Siamo
molto soddisfatti, siamo riusciti a raggiungere decisioni e abbiamo mostrato
l'unità europea.
Iniziando dall'Ucraina: con i 18 miliardi di
aiuti mostriamo che l'Ue rispetta i suoi impegni".
Lo ha
detto il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel al termine del Consiglio Europeo.
22:40
Zelensky:
"Kherson bombardata oggi più di 16 volte".
Le
forze russe hanno bombardato oggi la città ucraina di Kherson più di 16 volte.
Lo ha
affermato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, aggiungendo che ci sono
stati anche "brutali attacchi russi" nel Donbass e nelle regioni di
Kharkiv.
22:14
Russia:
accordo fra gli ambasciatori Ue per nono pacchetto sanzioni
Gli
ambasciatori degli Stati Ue hanno raggiunto l'accordo sull'introduzione del
nono pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia.
Lo si
apprende da un messaggio Twitter della presidenza ceca.
"Gli
ambasciatori hanno raggiunto un accordo di principio su un pacchetto di
sanzioni contro la Russia nell'ambito del continuo sostegno dell'Ue
all'Ucraina.
Il terzo pacchetto di sanzioni contro la
Russia negoziato nell'ambito della presidenza ceca dovrebbe essere confermato
domani tramite procedura scritta", si legge nel tweet della presidenza
ceca.
19:41
Zuppi:
"Una tregua della guerra per Natale."
Il
presidente Cei e arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi ha scelto di dedicare la
chiusura del suo discorso in occasione del conferimento della cittadinanza
onoraria nel capoluogo emiliano con una richiesta di "tregua per
Natale" della guerra in Ucraina e con un appello per la pace.
"Sono
nostre - ha detto - le sofferenze di coloro che sono colpiti dalla violenza e
dalla guerra, di tutte le vittime di quella mostruosità che è la guerra".
Una
guerra "causata da aggressori e contro gli interessi del loro stesso
popolo, distruggono e si distruggono
. Quindi
come non sentire il dolore dell'Ucraina, dei suoi tanti figli che lavorano qui,
che sono per certi versi anche nostri concittadini.
Una ferita terribile", la loro, "che
crediamo che debba essere quanto prima sanata.
Di qui "la richiesta, con insistenza, di
una tregua per Natale".
19:39
Intelligence
Kiev, Mosca fortifica coste Crimea, teme sbarco.
La
direzione dell'intelligence ucraina ha dichiarato che gli occupanti russi in
Crimea stanno cercando di rafforzare ulteriormente la costa, "temendo
l'arrivo della forza di sbarco ucraina".
Secondo
il rapporto - citato da “Kyiv Independent” - la Russia sta scavando trincee e
minando la costa vicino al villaggio di Molochne, che non è lontano dalla città
di Saky.
"Inoltre,
vengono installati i cosiddetti 'denti di drago', le file di piramidi di
cemento che dovrebbero fermare l'avanzata di mezzi pesanti", dicono i
servizi di intelligence di Kiev.
19:02
Media,
accordo Kiev-Aie per ricostruire sistema energetico.
Il
governo ucraino ha firmato un accordo con l'Agenzia internazionale per
l'energia (Aiea) per ricostruire e sviluppare il sistema energetico del Paese.
Lo
riporta il Guardian, precisando che l'accordo biennale si concentrerà sulla
sicurezza energetica, la transizione verso l'energia pulita, il risparmio
energetico e la ricostruzione del settore energetico.
Secondo
l'agenzia di stampa Interfax il ministro dell'Energia ucraino, German
Galushchenko ha dichiarato che "il rafforzamento della sicurezza e la
transizione verso un'energia priva di emissioni di carbonio sono principi
fondamentali su cui si baserà la ripresa del settore energetico ucraino.
Non
stiamo abbandonando i nostri piani precedenti per sviluppare fonti di energia
rinnovabile e unirci alla tendenza della transizione verde globale".
18:00
Meloni:
"Con Repubblica Ceca e Polonia lavoriamo su energia e Ucraina".
"Oggi
a Bruxelles proficuo colloquio con Petr Fiala e Mateusz Morawiecki.
Abbiamo
parlato degli ultimi sviluppi riguardo l'aggressione russa all'Ucraina e della
questione energetica.
Lavoriamo
insieme per affrontare le difficili sfide globali e costruire un futuro di pace
e sicurezza".
Lo scrive su Twitter la premier, Giorgia
Meloni, postando una foto assieme ai primi ministri di Repubblica Ceca e
Polonia.
17:33
Fonti
Ue, Polonia dà l'ok a pacchetto di aiuti all'Ucraina.
È stato
trovato l'accordo per sbloccare gli aiuti da 18 miliardi di euro all'Ucraina.
Lo
riportano fonti qualificate.
La
Polonia ha infatti ritirato l'obiezione sulla global minimum tax, circostanza
che aveva bloccato il via libera all'intero pacchetto, che comprende anche l'ok
condizionato al Pnrr ungherese e il congelamento del 55% dei fondi di coesione Ue destinati a
Budapest.
16:43
Gli
Usa sanzionano l'oligarca russo Potanin.
Gli
Stati Uniti hanno imposto sanzioni finanziarie contro uno degli uomini più ricchi
della Russia, Vladimir Potanin, storico magnate del nichel fin dall'epoca di
Boris Yeltsin.
Lo hanno annunciato oggi il dipartimento del
Tesoro e il dipartimento di Stato, in una nota.
L'oligarca
vicino al presidente russo Vladimir Putin è già stato colpito dalle misure
dell'Ue.
16:40
H&M
lascia Russia e Bielorussia, chiusi gli ultimi negozi.
L'azienda
di moda H&M ha dichiarato di aver chiuso i suoi ultimi negozi in Russia e
Bielorussia, concludendo così il suo progressivo ritiro da quei Paesi a causa
del conflitto ucraino.
Lo
riporta il Guardian.
Dopo
aver interrotto le vendite in Russia a marzo dopo l'invasione dell'Ucraina,
H&M ha annunciato a luglio che si sarebbe ritirata dalla Russia al costo di
2,1 miliardi di corone svedesi (circa 193 milioni di euro).
"Le operazioni del gruppo H&M in
Russia e Bielorussia sono state chiuse durante il trimestre, con lo stock
rimanente venduto e gli ultimi negozi chiusi il 30 novembre", ha
dichiarato il gruppo in una nota.
La Russia era il sesto mercato più grande del
gruppo alla fine del 2021 e ha rappresentato oltre 2 miliardi di corone di
entrate nell'ultimo trimestre dello scorso anno.
16:15
Forze
Kiev, "prepariamo nuova grande operazione militare".
Le
forze armate dell'Ucraina si stanno preparando ad una nuova grande operazione
militare.
Lo ha detto, senza fornire altri dettagli, il
comandante in capo delle forze armate ucraine, generale Valerii Zaluzhnyi,
intervistato dall'Economist.
"Con
le risorse che abbiamo non possiamo condurre nuove grandi operazioni, anche se
stiamo lavorando ad una di queste proprio ora.
È stata avviata, ma ancora non potete
vederla", ha affermato il generale.
15:44
Regalo
ucraino esplode in stazione polizia in Polonia, 2 feriti.
Un
regalo che un comandante della polizia polacca ha ricevuto durante una recente
visita in Ucraina è esploso nel quartier generale della polizia a Varsavia,
provocando lievi ferite al comandante e a un impiegato civile.
Lo ha
riferito il ministero dell'Interno polacco, citato da Sky News.
L'esplosione
è avvenuta ieri mattina alle 7:50, ha aggiunto il ministero senza specificare
quale oggetto abbia ricevuto in regalo il comandante polacco durante la visita
di lavoro in Ucraina.
Il
comandante ha incontrato domenica e lunedì i leader della polizia ucraina e del
servizio per l'emergenza.
Dopo l'esplosione, "la parte polacca ha
chiesto a quella ucraina di fornire spiegazioni pertinenti", ha affermato.
15:39
Zelensky
a leader Ue, prossimi 6 mesi decisivi.
"I prossimi sei mesi saranno decisivi
sotto molti aspetti nel confronto che la Russia ha avviato con questa
aggressione.
Aggressione
contro l'Ucraina e contro ognuno di voi, perché l'obiettivo finale della Russia
è molto oltre il nostro confine e la sovranità ucraina.
I
prossimi sei mesi richiederanno da parte nostra sforzi ancora maggiori rispetto
a questo passato".
Lo ha detto il presidente ucraino, Volodymyr
Zelensky, nel suo intervento da remoto al Consiglio europeo.
15:05
Zelensky,
"bene il price cap, sia il più basso possibile"
"L'idea
di fissare dei 'price cap' per le esportazioni energetiche russe è estremamente
utile.
Più
forte sarà questo strumento, più bassi saranno i price cap, più stabile sarà il
mercato energetico globale.
Vi invitiamo quindi a concordare dei massimali
di prezzo efficaci per il petrolio, i prodotti petroliferi e il gas provenienti
dalla Russia.
Questi
tetti dovrebbero assolutamente privare lo Stato terrorista russo della capacità
di finanziare la guerra a spese del mercato globale".
Lo ha
detto Volodymyr Zelensky ai leader Ue.
14:57
Putin,
regioni annesse da Ucraina saranno tutt'uno con Russia.
Il
presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che Mosca "raggiungerà i
suoi obiettivi" sulle "nuove regioni russe" di Lugansk, Donetsk,
Zaporizhzhia e Kherson che "diventeranno tutt'uno" con la Russia.
Lo riporta “Ria Novosti”.
"Intendo garantire la sicurezza,
ripristinare la vita pacifica nelle repubbliche di Lugansk, Donetsk,
Zaporizhzhia e Kherson.
Raggiungeremo
sicuramente il nostro obiettivo", ha detto Putin in una riunione del
Consiglio per lo sviluppo strategico e progetti nazionali.
"In
futuro, su tutte le questioni chiave per le persone nell'economia, nella sfera
sociale e nel campo della governance, queste regioni diventeranno tutt'uno con
il Paese".
Il
presidente ha chiesto al Consiglio dei ministri di "preparare un programma
speciale per lo sviluppo socio-economico di nuovi soggetti della federazione
entro la fine del primo trimestre del prossimo anno", aggiungendo che
"entro il 2030", le regioni annesse dall'Ucraina "dovrebbero
raggiungere il livello tutto russo in termini di qualità delle infrastrutture,
servizi sociali e molti altri parametri della qualità della vita". I ministri e i vicepremier
competenti si assumeranno personalmente la responsabilità di questo lavoro, ha
aggiunto il presidente russo.
14:47
Nyt,
Pentagono intende raddoppiare addestramento truppe ucraine.
Il
Pentagono intende più che raddoppiare l'addestramento dei militari ucraini
nella sua base di Grafenwoehr in Germania.
Secondo
il New York Times, il piano, approvato da Joe Biden questa settimana,
consentirà di addestrare ogni mese un intero battaglione ucraino (circa 600-800
uomini), a partire dall'inizio del prossimo anno.
14:34
Putin,
dobbiamo lanciare nuovi programmi per droni.
Il
presidente russo Vladimir Putin ha chiesto il lancio di nuovi programmi per lo
studio della robotica e dei droni.
"Vi ricordo che ho già chiesto di
preparare e lanciare nuovi programmi nel campo della robotica e dei droni nel
prossimo anno.
Naturalmente,
la sovranità tecnologica non può essere conquistata in un solo momento,
dobbiamo continuare a lavorare sistematicamente per il futuro", ha
dichiarato il presidente durante una riunione del Consiglio per lo sviluppo
strategico e i progetti nazionali, ripreso da “Ria Novosti”.
14:08
Putin,
la Russia ha esportato 22 milioni tonnellate di grano.
La
Russia ha esportato circa 22 milioni di tonnellate di grano negli ultimi cinque
mesi ed è pronta a fornire altri 4-5 milioni di tonnellate entro la fine
dell'anno:
lo ha
dichiarato il presidente russo Vladimir Putin alla riunione del Consiglio per
lo sviluppo strategico e i progetti nazionali.
"La
Russia ha esportato - ha detto - circa 22 milioni di tonnellate di grano solo
negli ultimi cinque mesi, prevalentemente verso Paesi asiatici e africani.
Siamo
pronti a fornire altri 4-5 milioni di tonnellate di grano entro la fine di
quest'anno, ed entro la fine dell'anno agricolo, cioè entro il 30 giugno 2023,
considerando il raccolto da record - e abbiamo un raccolto da record, vorrei
congratularmi ancora una volta con la comunità rurale - saremo in grado di
portare le forniture totali per l'esportazione a 50 milioni di
tonnellate".
13:50
Il
portavoce vaticano sulle scuse a Mosca per le parole del Papa: "Contatti
diplomatici sul tema"
(Iacopo
Scaramuzzi)
Il
portavoce vaticano ha confermato i contatti diplomatici tesi all'appeasement
con la Russia dopo gli attriti innescati da alcune dichiarazioni di papa
Francesco.
La
portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha riferito che Mosca ha
ricevuto dalla Santa Sede una dichiarazione in cui la Segreteria di Stato
vaticana "si scusa con la parte russa" per le dichiarazioni con le
quali il pontefice aveva attribuito a ceceni e buriati le "maggiori
crudeltà" della guerra in Ucraina.
Parole
criticate a stretto giro di posta dall'ambasciatore russo presso la Santa Sede
Alexander Avdeev, del ministro degli esteri russo in persona, Sergei Lavrov,
nonché della stessa Zakharova.
Che
anche nei giorni passati non ha mancato di pungere il Vaticano con
dichiarazioni piuttosto bellicose che tornavano ad escludere una possibile
mediazione vaticana per arrivare ad una trattativa di pace.
Oggi, infine, il ramoscello d'ulivo.
E la conferma vaticana per bocca del portavoce
Matteo Bruni:
"Al momento posso confermare che ci sono
stati contatti diplomatici in tal senso".
13:44
Putin:
"Inflazione record in Europa, si sta deindustrializzando."
"C'è
un'inflazione senza precedenti nell'Ue.
Le
autorità Ue hanno ammesso che la politica degli Stati Uniti" nei confronti
della Russia "sta portando alla deindustrializzazione dell'Europa".
Lo ha
detto il presidente russo Vladimir Putin secondo quanto riferisce “Ria Novosti”.
Putin ha dichiarato che "la contrazione
del Pil" della Russia "entro la fine dell'anno è prevista intorno al
2,5%".
13:40
Ucraina:
Polonia blocca pacchetto sanzioni, "troppe deroghe".
La
Polonia blocca il nono pacchetto di sanzioni contro la Russia perché
"comprende troppe deroghe e rimuove alcuni oligarchi dalla lista delle
restrizioni".
"Purtroppo
alcuni Paesi hanno suggerito di rimuovere diversi oligarchi russi dalla lista,
tra cui Vyacheslav Kantor.
E noi
ci opponiamo fermamente", ha confermato il primo ministro polacco Mateos
Morawiecki, al suo arrivo al vertice.
"Insinuare
che la Polonia opterebbe per un indebolimento delle sanzioni non funzionerà.
Chiediamo
a tutti gli Stati membri, in particolare Germania, Francia e Paesi Bassi, di
rafforzare ed estendere le sanzioni", ha aggiunto.
In un
altro filone, la Polonia sta bloccando anche il maxi pacchetto di dossier, tra
cui 18 miliardi di euro di prestiti all'Ucraina;
il
Pnrr ungherese (combinato con un congelamento di 6,3 miliardi di euro di fondi
europei) e l'accordo sulla tassazione minima al 15%.
I
polacchi vogliono che l'imposta minima, nota come secondo pilastro, proceda
parallelamente al primo pilastro: la riallocazione dei diritti di tassazione
delle multinazionali in base a dove realizzano i profitti.
"Le
società internazionali devono ovviamente pagare le tasse, ma il sostegno
all'Ucraina è una questione morale e un'importante questione geopolitica.
Ci
opponiamo fermamente al collegamento tra questi e al ricatto", ha
affermato Morawiecki.
13:30
Putin,
dall'Occidente guerra economica contro la Russia.
Il
presidente russo Vladimir Putin ha definito le azioni dell'Occidente contro la
Russia "una guerra economica", aggiungendo tuttavia che le finanze
russe restano "resilienti" e che il piano di distruggere l'economia
russa "è fallito".
Lo
riporta la “Tass”.
Putin
ha definito la politica europea sul tetto al prezzo del gas "folle".
13:19
Mosca,
formula pace proposta da Zelensky è irreale.
Mosca
considera la "formula di pace" per il conflitto in Ucraina espressa
dal presidente di Kiev, Volodymyr Zelensky, "separata dalla realtà".
Lo ha detto la portavoce del ministero degli
Esteri russo, Maria Zakharova.
Lo riporta “Ria Novosti”.
12:54
Ucraina:
Vaticano conferma contatti diplomatici con Russia.
Dopo
le parole odierne della portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria
Zakharova, in merito alle "scuse" che il Vaticano avrebbe fatto alla
Russia per le parole di Papa Francesco su ceceni e buriati fonti della Santa
Sede confermano che "ci sono stati contatti diplomatici" con Mosca.
12:37
Pe,
Holodomor fu genocidio sovietico in Ucraina.
Il
Parlamento europeo ha riconosciuto come genocidio la carestia artificiale, nota
come 'Holodomor', provocata dal regime sovietico in Ucraina nel 1932-1933.
Gli eurodeputati "condannano fermamente
questi atti che causarono la morte di milioni di ucraini e invitano tutti i
Paesi e le organizzazioni che non l'hanno ancora fatto a riconoscere
l'Holodomor come genocidio".
Il testo non legislativo è stato adottato con 507
voti favorevoli, 12 contrari e 17 astensioni.
12:28
Cremlino,
Putin a seduta Consiglio di Stato la settimana prossima.
Il
presidente russo Vladimir Putin "terrà un grande Consiglio di Stato",
in programma la prossima settimana.
Lo ha
annunciato il portavoce de Cremlino Dmitry Peskov, in conferenza stampa, come
riporta Ria Novosti.
12:25
La
città di Kherson "totalmente" priva di elettricità a causa dei
bombardamenti
La città ucraina di Kherson è rimasta
"totalmente" senza elettricità a causa di "pesanti
bombardamenti" sulle sue "infrastrutture", ha dichiarato il
governatore regionale Jaroslavl Yanushevich.
"Continuano i pesanti bombardamenti su un
sito di infrastrutture critiche" nei dintorni di questa grande città, ha
aggiunto.
12:21
Michel:
Zelensky ha illustrato suo piano pace; Ue lo sostiene.
"Il
presidente Volodymyr Zelensky ha dettagliato il suo piano di pace.
L'Ue è
pronta a sostenere l'iniziativa dell'Ucraina".
Lo ha
annunciato il presidente del Consiglio, Charles Michel, in un tweet dopo
l'intervento del capo di Stato ucraino al vertice Ue in corso.
"Gli
attacchi missilistici della Russia contro i civili e le infrastrutture civili
sono un crimine di guerra e devono cessare.
L'Ue è
unita nel sostenere l'Ucraina per tutto il tempo necessario", ha spiegato
Michel.
"Intensificheremo
ulteriormente il nostro sostegno finanziario, militare e umanitario per aiutare
l'Ucraina a difendersi e a superare l'inverno", ha assicurato Michel.
12:06
Cremlino,
quelle su dimissioni Lavrov sono solo voci.
Il
portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha esortato a non credere alle voci
sulle presunte imminenti dimissioni del ministro degli Esteri russo Sergey
Lavrov.
"Si
tratta di voci, quindi vanno trattate di conseguenza", ha affermato
Peskov, come riportano le agenzie russe.
11:59
Kiev,
ieri uccisi 7 civili dalle bombe russe.
Sette
civili sono stati uccisi e altri 19 sono rimasti feriti negli attacchi russi di
ieri sul territorio ucraino: lo ha reso noto su Telegram il vice capo
dell'Ufficio del presidente, Kyrylo Tymoshenko, come riporta Ukrinform.
Secondo i dati delle amministrazioni militari
regionali, due civili sono stati uccisi nella regione di Donetsk, due nella
regione di Zaporizhzhya e tre nella regione di Kherson.
11:22
Mosca:
scuse dal Vaticano, appello dialogo esige rispetto.
Il
Vaticano si è scusato per le dichiarazioni di Papa Francesco contro ceceni e
buriati e il governo di Mosca adesso ritiene il caso chiuso.
Lo ha detto la portavoce del ministero degli
Esteri, Maria Zakharova, che aggiunge:
"La
capacità di ammettere i propri errori sta diventando sempre meno comune nella
moderna comunicazione internazionale.
Questa
situazione mostra che dietro gli appelli al dialogo (sull'Ucraina, ndr) del Vaticano c'è la capacità di
condurre questo dialogo e di ascoltare gli interlocutori. Tutto ciò esige
sincero rispetto".
Lo riferisce l'agenzia russa “Tass”.
10:41
Ucraina:
Onu documenta almeno 441 crimini guerra russi.
L'Alto
Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Turk, ha presentato
un rapporto in cui documenta gli omicidi di almeno 441 civili in Ucraina (341
uomini, 72 donne, 20 ragazzi e otto ragazze), omicidi che, a suo giudizio,
possono rappresentare crimini di guerra commessi dall'esercito russo.
Lo
studio, presentato in una sessione speciale del Consiglio per i diritti umani
delle Nazioni Unite sull'Ucraina, è stato messo a punto dopo tre visite sul
campo e si concentra in particolare sulle violazioni commesse tra il 24
febbraio e il 6 aprile in 102 città nelle regioni di Kiev, Chernikov e Sumi.
"In
alcuni casi i soldati russi hanno giustiziato i civili in luoghi di detenzione
improvvisati, mentre in altre occasioni lo hanno fatto nelle loro case, nei
cortili, alle porte o ai posti di blocco di sicurezza sul terreno", ha
denunciato l'alto commissario.
10:38
Kiev,
"Bombe su Kherson, 3 morti tra i quali bimbo."
Il
capo dell'amministrazione di Kiev, "Bombe su Kherson, 3 morti tra i quali
bimbo" Jaroslaw Yanushevich ha denunciato che, nelle ultime 24 ore, la
regione è stato 'martellata in maniera continua e che almeno 3 persone sono
rimaste uccise sotto i bombardamenti, tra le quali un bimbo di 8 anni.
10:03
Ucraina,
filorussi: “Bombe su Donetsk, mai così dal 2014"
Donetsk
è stata colpita dal "più massiccio attacco dal 2014": lo ha riferito
Alexei Koulemzine, il capo dell'amministrazione filorussa.
Il
bombardamento ucraino sulla roccaforte separatista nell'Est dell'Ucraina ha
causato il ferimento di almeno 9 civili, ha aggiunto Koulemzine.
09:26
Ministero
degli Esteri russo: con Patriot a Kiev Usa coinvolti direttamente.
La
portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato
giovedì che tutte le armi fornite all'Ucraina dall'Occidente sono obiettivi
legittimi per la Russia e che sarebbero state distrutte o sequestrate.
La
consegna di sistemi di difesa aerea Patriot a Kiev aumenterà il rischio di un
coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto ucraino, ha aggiunto
Zakharova.
05:24
Ucraina:
intelligence Gb rassicura su potenziale truppe Minsk.
Le
truppe bielorusse e le unità di riservisti dispiegati da Mosca in Bielorussia
non costituiscono una minaccia per l'Ucraina: è questa la valutazione del
ministero della Difesa britannico nel suo ultimo rapporto di intelligence.
"Si
starebbero svolgendo esercitazioni militare nel settore nord-occidentale del
Paese, lontano dal confine ucraino; e inoltre la Russia di recente ha
dispiegato altre unità di riservisti in Bielorussia", osserva l’intelligence
militare britannica su Twitter.
"La
Bielorussia ha svolto un ruolo cruciale nell'assalto russo a Kiev partito il 24
febbraio 2022.
Tuttavia,
è improbabile che le esercitazioni delle truppe bielorusse e delle unità russe
costituiscano al momento una forza in grado di condurre con successo un nuovo
assalto nel nord dell'Ucraina".
03:47
Zelensky,
rafforziamo costantemente difesa antiaerea.
"Stiamo
costantemente rafforzando la nostra difesa antiaerea e anti drone.
E stiamo facendo di tutto per ottenere sistemi
più moderni e più potenti per l'Ucraina.
Questa
settimana abbiamo compiuto importanti progressi nella questione della difesa
aerea".
Lo ha
detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo videomessaggio serale.
Zelensky ha poi comunicato che la situazione
nel Donbass e in altre aree attive delle ostilità è stata discussa in dettaglio
durante la riunione dello Stato maggiore. "Non c'è pace in prima linea.
Non c'è niente di facile o semplice. Ogni giorno e ogni metro è estremamente
difficile", ha spiegato.
00:47
Usa
valutano invio kit elettronico bombe intelligenti.
Gli
Stati Uniti stanno valutando la possibilità di inviare in Ucraina un
particolare equipaggiamento elettronico in grado di trasformare le munizioni
aeree non controllate in 'bombe intelligenti', in grado di colpire il bersaglio
con la massima precisione.
Lo
riferisce il Washington Post che cita autorità vicine al dossier.
23:57
Zelensky,
184 atleti uccisi da Russia da febbraio.
"Da
febbraio, 184 atleti ucraini sono morti a causa delle azioni della Russia, e la
stessa Russia usa lo sport per scopi di propaganda".
Lo ha detto il presidente dell'Ucraina
Volodymyr Zelensky durante una conversazione con il presidente del Comitato
olimpico internazionale Thomas Bach.
Zelensky
ha anche invitato il Cio a contribuire al ripristino delle infrastrutture sportive
ucraine distrutte dalla Russia.
"Una risposta equa per uno stato
terrorista non può che essere il completo isolamento nell'arena internazionale,
in particolare, questo vale per gli eventi sportivi internazionali", ha
spiegato.
04:14
Kiev:
base aerea russa colpita da drone non identificato.
Una
base aerea russa a Kursk, nel territorio della Federazione, è stata colpita
nella tarda serata di ieri da un "drone non identificato".
A
darne notizia su Telegram è stato Anton Gerashchenko, consigliere presidenziale
di Volodymyr Zelenskiy, citando in un primo momento fonti russe secondo cui ci
sarebbero state "due esplosioni" a Kursk vicino all'aeroporto".
Successivamente
Gerashchenko ha precisato che "un drone non identificato" aveva
colpito "una struttura militare a Kursk".
Secondo
il governatore regionale Roman Staratoti, citato da Ria, "non sono stati
riportati danni o feriti".
L’umanità
verso il Nuovo Ordine
Mondiale
o verso la libertà?
Liberopensiero.com
– Cesare Sacchetti – (4 Aprile, 2021) – ci dice:
La
domanda che molti si stanno ponendo in queste settimane è come sia stato
possibile arrivare a questo punto.
O
meglio, come è stato possibile per l’umanità ridursi ad un ammasso di zombie
disumanizzati che non hanno altro pensiero se non quello di mettere sul proprio
volto una mascherina inutile e dannosa.
Non è
accaduto in un giorno, e non è nemmeno esclusivamente il risultato della
massiccia operazione terroristica che i media nelle mani dei grandi poteri
finanziari e bancari stanno portando avanti da più di un anno. Per poter giungere a questo punto è
stato necessario prima di tutto un lungo e lento inesorabile processo di
demoralizzazione che ha portato di fatto l’umanità al punto più basso della sua
storia.
Per
demoralizzazione si intende la completa assenza di valori, una condizione nella
quale il male in pratica si trova sullo stesso piano del bene.
Si può
tranquillamente affermare che non è mai esistita un’epoca storica come quella
attuale nella quale le persone non sono mai state così stupide e depensanti
come lo sono ora.
L’operazione
terroristica del coronavirus è però riuscita ad attecchire con facilità in una
moltitudine che come si accennava precedentemente ha perso ogni senso di valore
morale.
Questa
crisi è stata preparata accuratamente così come il disegno molto più grande che
c’è dietro di essa.
La
crisi del coronavirus ha infatti tutte le caratteristiche dell’evento
catalizzatore che i circoli più influenti del mondialismo stavano cercando da
tempo.
Il
fine ultimo non è altro che quello di dominare il mondo attraverso l’instaurazione
di un totalitarismo molto più feroce e oppressivo di tutti quelli del secolo
scorso.
Se si
pensa che la storia sia solo il risultato di mera casualità e che i poteri che
dominano questo mondo non abbiano alcuna strategia non si comprende praticamente
nulla di quanto sta accadendo ora.
Se si
adotta quest’ottica si resta confinati nel mondo delle categorie attraverso le
quali il sistema marchia tutti coloro che sono ancora dotati di pensiero
critico e non hanno paura della verità, per quanto essa possa essere spesso
difficile e amara da accettare.
Il
sistema infatti ama definire “complottisti” o “terrapiattisti” tutti quelli che
hanno compreso piuttosto bene che non esiste alcuna “emergenza sanitaria”.
L’unico
modo che ha il regime per sopravvivere è quello di mettere al bando le menti
che pensano indipendentemente da ciò che i media dicono.
I
media infatti come spiegato dal sociologo Marshall McLuhan non rivestono in
alcun modo la funzione di informare le masse.
I
media sono lo strumento del potere per programmare le masse.
In
altre parole, essi non sono altro che una macchina da guerra mentale per
decidere quello che le persone devono o non devono pensare.
Fin
dall’inizio della loro esistenza, gli uomini vengono programmati in ogni
singolo aspetto della loro vita quotidiana.
Le
istituzioni hanno da tempo perduto la funzione di educare e di preparare le
persone alla vita. Il loro compito non è quello di nutrire il senso critico
delle persone, quanto quello di reprimere in ogni modo tutti coloro che fanno
domande sulla narrazione dominante e ne intuiscono l’enorme fallacia.
L’ideologia
globalista per poter esistere deve creare delle masse che non pensano, e che
non fanno altro che ripetere quanto è stato fatto loro trangugiare dagli agenti
del regime nelle vesti degli insegnanti propagandisti, o dei giornalisti che
non sono altro che porta voci dei grandi interessi finanziari che ormai hanno
il controllo assoluto dell’informazione italiana e mondiale.
A
questo punto, la domanda che viene naturale porsi è quella relativa al fine
ultimo di questo nuovo totalitarismo.
Qual è
il tipo di società che questo sistema vuole e che non ammette altra opinione se
non quella imposta dal sistema stesso?
Il
fine ultimo lo ha svelato il sistema stesso in numerose occasioni, ed è un
governo mondiale dominato da una ristretta élite di eletti che appartengono ai
più ristretti circoli del globalismo, quali il club di Roma, il Club Bilderberg
e il Consiglio delle Relazioni Estere, solamente per citarne alcuni.
Questi
circoli non sono altro che parte della struttura del potere che governa il
mondo e che lavora incessantemente ad un solo obbiettivo da molto tempo, ovvero
quello di cancellare dalla faccia della Terra le nazioni, la loro storia, la
loro religione e la loro cultura.
Dalle
ceneri delle nazioni dovrà sorgere, nell’idea del mondialismo, il Leviatano universale che sarà dominato dalla figura di un
tiranno globale che perseguiterà tutti coloro che oseranno opporsi e fare
resistenza.
Sono
state le élite stesse a rivelare i loro piani già decenni prima, ma le masse
non hanno preso mai veramente sul serio le loro intenzioni.
Nel
1950, il potente banchiere James Warburg legato alla famiglia al vertice del
potere mondialista, i Rothschild, dichiarava senza alcun pudore davanti al
Congresso americano che un giorno ci sarebbe stato “un governo mondiale”.
Non
era in discussione il raggiungimento di questo obbiettivo, secondo Warburg,
quanto il mezzo per raggiungerlo, o attraverso il consenso delle masse stesse o
attraverso l’uso della forza.
A
giudicare dalla situazione attuale, si dovrebbe propendere più per la prima
opzione.
Le
masse nel mondo, salvo rare eccezioni, non si stanno opponendo al disegno della
dittatura mondiale.
Al
contrario, lo stanno accettando passivamente e nel peggiore dei casi molti
applaudono entusiasti alla loro rovina, a quella del loro vicino e maledicono
quelli che invece ancora sono dotati di umanità e intelletto e non vogliono
farsi distruggere.
La
demoralizzazione delle masse ha favorito l’ascesa del totalitarismo mondiale.
Non si
è giunti a questo punto per caso, come si è detto precedentemente.
Per portare l’umanità a questo stato di
abbrutimento completo è stato necessario portare avanti nel corso dei decenni
un programma di demoralizzazione delle masse, come spiegato profeticamente
dall’ex agente del KGB Yuri Bezmenov già nel 1984.
Se si
toglie ad una persona ogni tipo di valore che la rende incapace di distinguere
il bene dal male, la si rende capace di accettare qualsiasi cosa.
Più
semplicemente, se un uomo non sa cos’è il bene, non si porrà nemmeno il
problema di commettere il male, proprio perché ai suoi occhi non esiste nessuna
differenza sostanziale tra il primo e il secondo.
Qui si
spiega quanto sta accadendo in questi giorni.
Le
masse non vedono la verità perché queste non si pongono nemmeno il problema che
possa esistere il male e la menzogna nel messaggio del sistema.
Lo
accettano senza alcuno scrupolo morale, e una volta che ricevono l’ordine del
regime, anche il più disumano, folle e criminale non fanno altro che portarlo
avanti ed eseguirlo senza discutere.
Il
pensiero libero è bandito nella dittatura mondiale.
Per
poter però giungere alla demoralizzazione odierna è stato necessario rimuovere
dalla scena ciò che più di tutto definisce e indirizza la moralità di un
popolo, ovvero la sua religione, e nel caso dell’Italia e dell’Occidente, la
scristianizzazione sta portando rapidamente questa civiltà alla sua fine.
Era
questo l’obbiettivo della massoneria che da più di un secolo ha pianificato
scientificamente l’infiltrazione della Chiesa Cattolica.
In
questo senso, il Concilio Vaticano II dei primi anni’60, come già spiegato da
monsignor Viganò, ha rivestito un ruolo fondamentale nell’accelerazione dei
piani massonici e della manifestazione del Nuovo Ordine Mondiale.
Da
quando la Chiesa si è aperta al mondo e ha rinnegato la sua tradizione di 19
secoli, il declino morale dell’Italia, dell’Europa e del mondo è stato
pressoché inarrestabile.
Compito
della Chiesa era quello di resistere alla secolarizzazione e al laicismo, non
farsi sua portavoce.
La
chiesa anticattolica di Bergoglio non è altro quindi che la scontata conseguenza
di questo lungo processo di infiltrazione.
La
società è malata perché la Chiesa è malata.
La
salute della seconda influenza la prima, e più forte e resistente è la Chiesa
cattolica, più debole e meno influente è il potere della massoneria.
Esiste
pertanto una relazione inversamente proporzionale tra questi due poteri, Chiesa
e massoneria.
È
comunque indubitabile che il governo mondiale prima ancora di una natura
politica ha soprattutto una natura spirituale.
La
radice ideologica della massoneria non è altro che quella delle religioni
misteriche che in ultima istanza sono devote null’altro che al culto di
Lucifero.
I
massoni che hanno lasciato quest’organizzazione hanno svelato al mondo come la
verità sulla religione della massoneria viene rivelata solo a coloro che
arrivano ai gradi più alti delle logge, su tutti il 33° grado, il culmine della
carriera massonica.
Anche
coloro che non hanno lasciato la massoneria e sono stati tra i più influenti
massoni della storia hanno consegnato la verità su questa setta in alcuni dei
loro scritti.
Albert
Pike, granmaestro del 33° grado della loggia del rito scozzese della
giurisdizione del Sud degli USA, scriveva nella sua corrispondenza con Mazzini,
altro massone di grado elevato, nel 1871 che il fine ultimo della massoneria
era proprio quella di trascinare l’umanità verso una tirannia mondiale fondata
su un odio profondo e viscerale della cristianità.
La
distruzione del cristianesimo e della Chiesa cattolica è dunque semplicemente
indispensabile per la massoneria e i poteri mondialisti per poter arrivare al
loro obbiettivo.
Il
governo mondiale non potrà nascere se non quando ci sarà quella gerarchia di
disvalori che avrà sostituito completamente i valori cristiani.
Se si
nega la radice spirituale della storia e del periodo storico attuale, non si
riesce a comprendere ciò che sta accadendo ora.
Si
resta confinati al piano materialista della visione della storia che è incapace
di spiegare quanto sta accadendo ora perché appunto non ammette minimamente il
lato preternaturale.
La
crisi del coronavirus è sicuramente anche un modo per aumentare i profitti del
grande capitale delle multinazionali e del cartello farmaceutico, ma non è
questo l’obbiettivo principale.
L’esempio
più pratico viene proprio dal programma di distribuzione dei vaccini Covid.
Michael
Yeadon, scienziato ed ex vicepresidente della Pfizer, ha spiegato chiaramente
che il profitto non è l’obbiettivo primario di tutto questo programma di
distribuzione.
Si
potrebbero fare più soldi gonfiando i costi per la produzione di dosi e
distribuendo meno vaccini alla popolazione.
In
questo caso si potrebbero fare profitti enormemente superiori a quelli attuali.
Invece
il cartello farmaceutico sta producendo dosi in quantità industriale per
un’altra ragione.
Il
sistema vuole vaccinare tutti per arrivare a ridurre la popolazione mondiale,
come ha rivelato lo stesso Yeadon.
La
distribuzione di vaccini sperimentali mRNA sta già producendo gravi effetti
collaterali sulla popolazione e porterà anche ad una inevitabile riduzione
della fertilità.
Le
élite vogliono ridurre la popolazione mondiale perché la loro concezione è
neomalthusiana.
Il neo-malthusianesimo
ha conosciuto vigore in particolare dagli anni’70 in poi quando dietro la
buonista e ipocrita facciata della tutela dell’ambiente, si nascondeva il vero
obbiettivo di questa ideologia che è quello di eliminare l’umanità.
Non è
certamente un caso che questa ideologia sia stata diffusa da tutti i grandi
gruppi del globalismo, quali il Club di Roma e la Commissione Trilaterale.
L’operazione
del coronavirus serve dunque nell’ottica dei suoi architetti ad abbattere
drasticamente il numero degli abitanti sulla Terra, e ad edificare un governo
mondiale che non lascerà scelta ai superstiti se non quella di accettare la
nuova società del totalitarismo globale.
Una
società dove il lavoro non ci sarà più, sostituito dal reddito universale che
verrà dato solo a coloro che si inoculeranno vaccini e accetteranno il futuro
marchio della Bestia.
Il
recente trattato pandemico firmato da 23 leader mondiali va esattamente nella
direzione di esautorare progressivamente il ruolo dei governi nazionali che
saranno sostituiti appunto dal futuro superstato globale.
Il
mondo verso la dittatura mondiale o verso un ritorno degli Stati nazionali?
Non è
affatto azzardato affermare che mai come ora l’umanità è stata così vicina al
raggiungimento di questo obbiettivo.
Se
però si ricorre ad una lettura spirituale e cristiana del corso degli eventi,
si deve necessariamente cercare di comprendere meglio questa visione.
Le
scienze sociali, quali l’economia, la sociologia e la geopolitica sono tutte
certamente utili nell’analisi della realtà contemporanea ma ognuna di queste
singolarmente non riesce a cogliere l’ideologia e la natura del totalitarismo
globale.
Se si
ricorre alla chiave di lettura cristiana, tutto quello che ora non sembra avere
un senso lo assume.
Il vero senso di questa storia non è
null’altro se non quello di distruggere l’umanità e farle patire le peggiori
sofferenze possibile.
Se il
mondo si trova in uno stato di grande confusione e molto prossimo a tempi
apocalittici, occorre domandarsi necessariamente se ci si trova nel punto della
storia dove si manifesta l’ascesa finale del tiranno globale e della sua
spietata dittatura.
Esistono
diverse ragioni sia di carattere spirituale che geopolitico che fanno pensare
che l’umanità ancora non si trovi completamente sull’orlo del precipizio.
Quelle
che attengono alla sfera più spirituale fanno pensare che il mondo si trovi in
questo momento in quella che viene descritta come la quinta delle sette età
della Chiesa.
Questa
classificazione della storia è stata fatta per la prima volta dal beato tedesco
Bartolomeo Holzhauser che scrisse anche degli eccellenti commentari
sull’Apocalisse.
Holzhauser
divideva la storia dell’umanità in queste sette grandi epoche che vanno dalla
nascita di Cristo, la prima, alla venuta dell’Anticristo, la settima.
Secondo
diverse letture e interpretazioni, tra le quali quella di monsignor Williamson,
il mondo ora si troverebbe nella quinta età.
Questa
epoca è una di grande dissoluzione e abiezione morale nella quale l’umanità si
lascia andare a grandi apostasie e si allontana completamente dalla fede.
Il
caos regna e grandi disordini e tumulti investono le nazioni in diverse parti
del mondo.
Questo
periodo ha delle somiglianze estreme con l’attuale epoca nella quale appunto
l’umanità ha probabilmente toccato il gradino più basso della sua storia,
ridotta ormai al culto della mascherina e fedele solo alla parola dei nuovi
stregoni scientisti.
Questo
periodo comunque dovrebbe essere vicino alla sua fine e l’apostasia
generalizzata dovrebbe giungere al termine.
Una
volta che questo sistema profondamente infetto dal punto di vista morale
tramonterà, allora la Chiesa tornerà alla grandezza di un tempo guidata da una
figura che è nota come il “Papa santo”.
Non
sono stati in pochi a pensare che questa figura non sia altro che monsignor
Viganò che in questo momento è certamente il leader spirituale nella battaglia
contro la falsa chiesa che si è fatta portavoce della massoneria e della
religione esoterica globale piuttosto che sua avversaria.
Gli
elementi più materiali che invece fanno pensare che ancora non è il tempo del
governo mondiale sono quelli che le grandi potenze mondiali non sono saldamente
nelle mani del Nuovo Ordine Mondiale.
Uno
degli intellettuali più importanti finanziati dai Rothschild e dai Warburg, e
padre ideologico dell’attuale Unione europea, il Conte Kalergi, anch’egli
massone, spiegava già negli anni’20 che il governo mondiale per vedere la luce
avrebbe dovuto vedere la partecipazione degli Stati Uniti, dell’Europa unificata
negli Stati Uniti d’Europa, della Gran Bretagna e dell’allora URSS.
(Coudenhove-Kalergi's
plan for five superstates: Pan-Europe, Pan-America, East Asia, the British
Empire, and the Russian Empire).
La
divisione del mondo secondo Kalergi.
Solamente
la partecipazione dei grandi blocchi geopolitici ed economici più influenti del
mondo può permettere la nascita di un governo unico mondiale.
Winston
Churchill, altro membro della massoneria, giungeva alle stesse conclusioni nel
1950. In questo momento storico, il grande potere mondialista ha certamente il
controllo assoluto dell’UE, laddove l’infezione anticristiana è
particolarmente, della Gran Bretagna e della Cina comunista ma non ha con sé né
gli Stati Uniti né la Russia.
Gli
Stati Uniti infatti sembrano essere sospesi in una sorta di limbo.
L’amministrazione
Biden-Harris è un’amministrazione fantoccio che non sembra essere destinata a
durare.
L’operazione
che Trump sembra essere riuscito a compiere dopo il 20 gennaio è quella di
farsi da parte temporaneamente per consegnare il potere alle forze armate.
Tutto
questo in attesa di rovesciare ufficialmente il risultato della frode
elettorale del 2020 e tornare ufficialmente al potere, ma ben prima del 2024.
Le
ultime dichiarazioni dell’imprenditore Mike Lindell e le notizie della perizia
legale sui voti in Arizona lasciano pensare che questa eventualità si stia
avvicinando.
Ad
oggi, l’amministrazione Biden-Harris non è stata in grado nemmeno di porre la
propria firma sul trattato pandemico che disegna appunto l’impalcatura del
governo mondiale.
In
ogni caso, non ci sarà un governo mondiale se gli Stati Uniti non ne faranno
parte.
È per
questo che le grandi lobby del mondialismo hanno cercato, e stanno cercando,
disperatamente di riprendersi il controllo dell’America.
Sono
perfettamente consapevoli che non c’è modo di giungere a questo fine senza la
superpotenza americana.
Dall’altro
lato dell’emisfero c’è la Russia di Putin che da prima dell’avvento di Trump è
stata un vero e proprio argine di contenimento del piano di espansione
globalista.
Lo
stesso presidente russo nel suo recente discorso a Davos, club della finanza
mondiale, ha chiaramente fatto capire che il tempo della visione unica globale
è giunto al termine e che il mondo non andrà verso il Grande Reset.
In
altre parole, il mondialismo sta cercando di accelerare disperatamente verso il
suo obbiettivo finale, ma non ha portato con sé le due grandi superpotenze che
dovrebbero costituire l’architrave della dittatura mondiale.
La
finestra di opportunità si sta richiudendo e non sarà certo la debole e
ininfluente UE a portare il mondo verso il superstato universale.
Bill
Gates è tornato recentemente a parlare e ha fatto capire che serve più tempo
per arrivare al Grande Reset.
La
fine della falsa pandemia è stata posticipata al 2022, e se si guarda alla
tabella di marcia pubblicata dagli informatori governativi lo scorso anno, le
cose non stanno andando come esattamente pianificato.
Le élite
avevano programmato di riprendersi il controllo degli USA già nel 2021, ma si è
visto che a Washington c’è un’amministrazione fantoccio.
In
questo scenario oscuro dunque si intravede ancora un po’ di luce che lascia
presagire che in questo momento storico forse i piani dei Rothschild e della
massoneria non andranno a buon fine, ma occorre avere la consapevolezza che non
sarà per nulla facile.
Il
mondo comunque è destinato ad andare incontro a grandi tumulti anche se le
aspirazioni globaliste dovessero andare in fumo già in questo frangente storico.
Solo
chi resisterà fino alla fine ce la farà.
Solo
soprattutto chi riesce a cogliere la visione spirituale riuscirà ad arrivare in
fondo al traguardo.
Oggi è
la Pasqua di Resurrezione, e questo forse potrebbe essere l’auspicio anche di
una resurrezione delle forze che si stanno opponendo a tutto questo.
Alla
fine, in ogni caso, il male non vincerà.
(Cesare
Sacchetti)
LA
CRISI DEL “NUOVO ORDINE MONDIALE”.
Fondazionefeltrinelli.it – (23-3-2022) – Alessandro
Colombo – ci dice:
Sebbene
non sia ancora possibile prevedere i suoi esiti immediati, è certo che
l’attuale guerra in Ucraina segnerà una svolta nelle relazioni internazionali
del XXI secolo.
Intanto
perché alimenterà o, meglio, accentuerà una tendenza già riconoscibile negli
ultimi anni alla rimilitarizzazione dei rapporti tra gli stati, anzi la
estenderà definitivamente anche ai rapporti tra le principali potenze.
Questo
elemento è già sufficiente a segnare uno stacco rispetto all’epoca d’oro del
dopoguerra fredda.
Per
quasi trent’anni larga parte dell’opinione pubblica, dei decisori politici e
degli stessi studiosi si era abituata a ritenere che la guerra, almeno nella
sua forma classica e nelle sue principali manifestazioni, avesse cessato di
costituire un elemento-cardine della politica internazionale e dei calcoli
degli attori, per lasciare spazio a due tipi residuali e, appunto, marginali di
conflitti armati:
le
guerre civili combattute al di fuori dello spazio centrale del sistema
internazionale da fazioni a propria volta marginali delle rispettive società;
e il
complesso delle “guerre di polizia” condotte dai paesi occidentali nelle aree
periferiche, attraverso l’uso di uno strumento militare incomparabilmente
superiore per capacità tecnologiche e organizzative ai propri nemici.
La
guerra in Ucraina ci riporta, invece, alla più tradizionale delle guerre
interstatali.
Con
l’aggravante che a questa eventualità torneranno a prepararsi anche tutti gli
altri Stati, aumentando come prima cosa le rispettive spese per la difesa.
Fianco
a fianco alla militarizzazione, è prevedibile che la guerra in Ucraina
contribuisca alla pericolosa bipolarizzazione del sistema internazionale già
implicita nella retorica dello scontro tra democrazie ed autocrazie che aveva
appena sostituito la bipolarizzazione ancora più irrealistica della cosiddetta
“guerra globale al terrore”.
Come
quest’ultima, anche la bipolarizzazione emergente lungo l’asse democrazie/
autocrazie avrà i suoi problemi a conciliarsi con la crescente scomposizione
geopolitica del sistema internazionale in insiemi regionali sempre più
eterogenei tra loro.
Ma,
nel frattempo, la bipolarizzazione ha un impatto ambivalente sull’Europa.
Da un
lato, essa ha il vantaggio di allontanare lo spettro dell’abbandono
periodicamente agitato dalla precedente amministrazione Trump, restituendo
all’Europa il ruolo di interlocutore e partner privilegiato degli Stati Uniti.
Ma,
dall’altro lato, il “richiamo all’ordine” dell’Europa ha il triplice svantaggio
di intralciare sul nascere la flessibilità diplomatica che sembrerebbe più
consona a un contesto multipolare quale quello a cui la stessa Unione Europea
dichiara di ispirarsi; di intrappolarla, al contrario, in una competizione
regionale con la Russia e globale con la Cina;
di
sfumare ulteriormente le velleità già deboli di una autonomia politica e
strategica dell’Unione.
A
propria volta, l’approfondimento delle fratture politiche e strategiche rischia
di disarticolare lo spazio economico internazionale, rovesciando anche un altro
dei luoghi comuni della fase di ascesa del nuovo ordine liberale seguito alla
fine della guerra fredda.
Se,
ancora fino a pochi anni fa, la convinzione prevalente era che la
globalizzazione economica si sarebbe portata dietro presto o tardi qualche
forma di globalizzazione politica e culturale, oggi scopriamo che sono le
fratture politiche a mettere a rischio la globalizzazione economica.
I
segnali in questa direzione sono inequivocabili, a maggior ragione in quanto si
sommano a quelli già prodotti dalla pandemia del Covid 19:
la spinta (politica più ancora che economica)
a “riportare a casa” attività in precedenza delocalizzate, almeno in settori
nuovamente dichiarati “sensibili”;
la riscoperta della promessa di “confinamento”
e “messa in sicurezza” dei confini dei singoli Stati nazionali e delle stesse
organizzazioni regionali (Unione Europea compresa);
più in
generale, la rinnovata enfasi sulla necessità strategica dell’autonomia (a
cominciare da quella energetica), che vede sempre di più la globalizzazione
come un vettore di vulnerabilità invece che di mutuo arricchimento.
Ma
l’effetto più impressionante della guerra in Ucraina è quello di portare
definitivamente allo scoperto i grandi nodi irrisolti del passaggio dal XX al
XXI secolo.
Il
primo è il fallimento politico, e diplomatico e strategico del progetto di
“Nuovo Ordine Mondiale” varato all’inizio degli anni Novanta ed entrato in
crisi irreversibile dalla metà del primo decennio del nuovo secolo.
Almeno
due capitoli di questo fallimento si sono manifestati in pieno in questa crisi.
Il
primo è la
mancata risposta al problema capitale di tutti i grandi dopoguerra, quello di
come trattare il nemico sconfitto:
lo
stesso problema che aveva già costituito il contrassegno di tutti i grandi
dopoguerra degli ultimi duecento anni, oltre che il primo e decisivo criterio
distintivo tra di loro.
All’indomani
delle guerre napoleoniche, la Francia era stata rapidamente riammessa nel
concerto delle grandi potenze;
dopo
la Prima guerra mondiale, la Germania era stata invece duramente punita sia sul
piano politico che su quello economico che su quello cerimoniale;
dopo
la Seconda guerra mondiale, la Germania era stata punita ancora più duramente
attraverso la sua stessa divisione territoriale, ma le due Germanie erano state
prontamente accolte nei rispettivi sistemi di alleanza.
Tra il
1990 e oggi, al contrario, alla Russia sono stati rivolti segnali ambigui, a
volte clamorosamente contraddittori.
Da un
lato, non è mancata soprattutto nel primo decennio del dopoguerra fredda la
suggestione (mai pienamente realizzata) di coinvolgerla in un’architettura
comune di sicurezza europea – proprio per evitare lo spettro già evocato allora
di una “Russia mesmeriana”.
Ma,
dall’altro lato, i successivi allargamenti a Est della Nato, la guerra unilaterale
della Nato contro la Jugoslavia nel 1999 e, negli ultimi mesi, la ripetuta
allusione al possibile ingresso della stessa Ucraina nella Nato hanno spinto
sempre di più la Russia ai margini di quell’architettura.
L’altro
capitolo, strettamente (anzi forse troppo
strettamente) legato al primo, è quello di come rilanciare l’alleanza
vittoriosa, nel nostro caso la Nato.
Dopo
il brillante adattamento del primo decennio del dopoguerra fredda, culminato
nel Concetto strategico del 1999, la Nato ha arrancato per trovare un posto
nell’architettura della guerra globale al terrore e ha condiviso con gli Stati
Uniti il clamoroso fallimento in Afghanistan.
Il
rilancio attuale dell’alleanza in funzione antirussa è il sigillo finale del
fallimento del Nuovo Ordine:
a trent’anni
dalla fine della guerra fredda, le relazioni tra Occidente e Russia si
ritrovano paradossalmente al punto di partenza.
Il
secondo nodo è la vera e propria “crisi costituente” che la società
internazionale sta attraversando per effetto del riflusso contemporaneo delle
due centralità sulle quali si era strutturata la convivenza internazionale
moderna:
la
centralità dello Stato e la centralità dell’Occidente.
Nessuno
dei prìncipi fondamentali della convivenza internazionale è risparmiato da
questa transizione.
L’idea
che gli stati siano gli unici o i principali soggetti dell’ordinamento
internazionale è controbilanciata e, almeno in parte, minata dal riconoscimento
di diritti inalienabili in capo ai singoli individui.
Il
principio stesso di sovranità tende a essere eroso in una direzione e
riappropriato in un’altra, per effetto della diffusione dei principi di
ingerenza da un lato ma, dall’altro, per la pretesa avanzata da sempre più
stati di tutelare se necessario anche al di sopra delle norme restrittive della
Carta delle Nazioni Unite i propri interessi irrinunciabili di sicurezza.
Il
tradizionale principio dell’eguaglianza formale degli stati è contestato (e non
da attori deboli e marginali, ma dallo stesso paese più forte) in nome di un
nuovo e controverso principio di discriminazione a favore delle democrazie.
Il
ricorso alla guerra continua in linea di principio a essere vietato dalla Carta
delle Nazioni Unite;
ma,
nei fatti, l’introduzione di una serie di eccezioni non necessariamente
coerenti tra loro (l’ingerenza umanitaria, la lotta contro il terrorismo,
l’estensione della legittima difesa preventiva a casi nei quali la minaccia non
è ancora imminente) ha già eroso surrettiziamente il divieto.
Soprattutto,
è sempre più apertamente contestata dai grandi paesi non occidentali emergenti
la tradizionale pretesa dei paesi occidentali di parlare a nome dell’intera
comunità internazionale, dettando la soglia di accesso alla piena appartenenza
e i criteri di normalità politica, economica e culturale validi per tutti.
E
proprio a ciò si collega l’ultimo nodo – più paradossale ma, con ogni
probabilità, ancora più importante.
La
guerra in Ucraina rimette l’Europa al centro delle tensioni e dei calcoli
strategici dei principali attori; ma lo fa in un contesto nel quale è evidente
a tutti – a cominciare dai protagonisti diretti e indiretti della guerra – che
il baricentro politico, economico e strategico del sistema internazionale si
sta spostando altrove.
Su
questo spostamento sarà bene che nessuno si faccia troppe illusioni.
Anzi,
se negli ultimi decenni la guerra aperta era giunta a essere considerata come
un fatto periferico, se non addirittura come il sigillo della propria
perifericità, ci sarebbe da chiedersi se la spaventosa guerra in Ucraina non
sia l’ultimo segno della detronizzazione dell’Europa da centro del mondo.
La
Lotta alle “Fake News”
è una
Trovata del
Sistema
Liberticida.
Conoscenzealconfine.it
– (16 Dicembre 2022) - Redazione lapekoranera.it – ci dice:
Chi
decide se una notizia sia da considerare vera o falsa, e se il popolo meriti o
meno di essere informato su cosa progetti il potere?
Queste
domande se le stanno ponendo in tanti, soprattutto a seguito della campagna
planetaria occidentale contro le “fake news”.
Il
“sistema” ovviamente non è italiano né tedesco o Usa, il “sistema” è quel
gabinetto di poteri bancari europei ed occidentali che esercita i propri
desiderata tramite azioni concrete di Nato, Onu, Ue e grande speculazione
finanziaria (per esempio BlackRock e Goldman varie…)
Oggi
le emergenze che preoccupano il “sistema” sono di due tipi, produttive e
valutarie:
nelle produttive insistono le politiche
d’indirizzo sanitario ed ecologista, quindi ciò che fa l’uomo comune quando
lavora in campagna e in bottega artigiana, se è propenso o meno ad aggiornare
vetture, frigorifero, lavatrice e televisore, ed ovviamente tutti gli strumenti
tecnologici obbligatori e collegati al lavoro (computer, sistemi per scambio di
dati, pos di pagamento…);
quelle valutarie riguardano il risparmio dei
cittadini, l’uso che fa del danaro l’uomo di strada, e per questo motivo
gradirebbero l’abolizione planetaria totale del contante, così che il “sistema
finanziario” possa controllare ogni mossa dei comuni cittadini, bloccando
eventualmente le manovre economiche di chi non é politicamente gradito.
Ecco
perché nessuno governo eletto dal popolo (e solo dal popolo) sarebbe gradito al
“sistema”:
del resto potrebbe mai un governo eletto dal
popolo prendersi la responsabilità di bruciare i risparmi dei cittadini o
mettere ipoteca sulle case perché i cittadini paghino la tangente al “sistema”?
Il “sistema” non è affatto sconfitto dalle urne del 25
settembre:
in
questo momento sta facendo l’esame del sangue e la radiografia al governo
Meloni.
Per
capire chi della “nuova” classe dirigente potrebbe obbedire ai poteri
internazionali e chi, invece, avrebbe la voglia di dissentire, di dire di no ai
padroni finanziari dell’Occidente.
Infatti
sta già prendendo forma su giornali e tivù prezzolate dal “sistema”, la
probabilità d’una nuova epidemia o pandemia, la possibilità d’un veto
finanziario internazionale sull’uso del contante, e più rigide norme alle
esportazioni europee per scongiurare qualsiasi rapporto commerciale con la
Russia.
Il
“sistema” oggi vuole sondare se tra gli eletti in Italia ci siano soldati
capaci di chiuderci nuovamente in casa, soprattutto quanti siano ancora i
ribelli in grado di non rispettare gli ordini di Onu ed Oms.
Il
potere fa momentaneamente giocare il popolo come il gatto col topo in un locale
chiuso:
lascia gli italiani alla momentanea euforia
elettorale, come nel 1870 quando i parigini della Comune credettero di poter
imporre la loro visione al mondo (quasi 50mila vennero fucilati in tutta
Parigi, i giornali scrissero “la Repubblica ha vinto sul popolo”).
La
gente sa benissimo cosa sia il “sistema”, ma finge d’ignorarne l’esistenza:
anzi per rabbonirsi le guardie pinocchiesche punta l’indice accusatorio contro
chiunque commetta “lesa maestà”.
Ricordate quando ci avevano chiuso in casa?
Ricordate che in quei giorni su internet e tivù faceva capolino la notizia che
sotto pandemia da Covid sarebbero enormemente aumentate le “fake news contro
poteri bancari europei e istituzioni”?
Ma
cosa c’entra la pandemia con eventuali bufale contro il potere?
Ma volete proprio passare da coglioni che
credono a queste frescacce?
Le televisioni generaliste, popolate da uomini
equivoci e donne spregiudicate, sono arrivate a sostenere che dietro le “fake
news” su Mario Draghi, Joe Biden, Ursula von der Leyen, Christine Lagarde,
poteri finanziari e multinazionali occidentali, ci sarebbe lo zampino dei
“complottisti filorussi”:
ma
veramente possiamo credere a queste barzellette?
Roba
degna delle esilaranti commedie con Renato Pozzetto e Massimo Boldi: nemmeno
Fantozzi e Fracchia crederebbero a simili frottole, forse fingerebbero di stare
al gioco per non dispiacere il “pan-direttore-megagalattico”.
Di
fronte a queste notizie che spandono (a mo’ di letame) i cosiddetti “media
istituzionali”, dovremmo reagire ridendo, spegnendo la tivù o cambiando canale.
Sconcerta invece che ancora troppa gente per strada, nei bar ed ovunque,
continui a credere all’informazione istituzionale, che ripeta a mo’ d’uccello
esotico “dietro le fake news su Onu e Nato c’è l’accordo tra Donald Trump e
Vladimir Putin”.
E
genera rabbia ascoltare dalla voce di qualche insegnate: “io ripeto sempre,
soprattutto ai miei alunni, che necessita informarsi solo dalla stampa istituzionale
“.
Quest’ultima
un tempo veniva appellata come stampa di regime, capace solo di riportare
veline e onorare quel patto col potere noto come “politica del consenso”.
Questo
è il modello di libertà che l’Occidente vorrebbe imporre all’intero Pianeta e,
parafrasando un imprenditore Usa, all’intero Universo?
Un
modello di pensiero che utilizzi a reti unificate le tivù pubbliche e private
per dirci che “dietro le fake news contro i poteri occidentali c’è la
disinformazia russa”?
E la politica glissa, temendo di finire nel
tritacarne mediatico.
Ha
Vinto Enver Hoxha.
Sconcerta
la popolazione italiana sia regredita allo stato mentale che ha caratterizzato
il popolo albanese durante il governo di Enver Halil Hoxha, dal 1944 al 1985:
Pia (così appellavano Hoxha i suoi stretti e
fidati compagni) non era affatto un negletto, era figlio d’un ricco mercante ed
aveva prima studiato e poi insegnato all’Università di Montpellier in Francia,
ma tornato a governare l’Albania ebbe lo spudorato coraggio di vietare ogni
forma d’informazione estera al suo popolo (forse oggi ne avrebbe ben donde).
Motivo? Hoxha asseriva che “cinema, media e
letteratura occidentale vogliono distruggere l’Albania ed il suo popolo” quindi
aggiungeva di “tenere gli occhi ben aperti, di levarli al cielo, perché gli
americani si sono alleati anche con i marziani”.
Persino
Stalin e Tito sollevarono nel Comintern il problema Hoxha, ovvero contro le
ossessioni di Pia che recavano danno alla politica sovietica.
Ovviamente dopo la sua dipartita, nel 1985,
gli albanesi incrementarono l’uso delle parabole, ed attraverso le tivù
italiane scoprirono d’essere vissuti per più di quarant’anni in balia delle
favole di Pia.
Infatti
i primi a dirci che ci stiamo rimbecillendo sono gli europei orientali e
balcanici.
Un
amico albanese (oggi valido imprenditore a Bari) s’è rivolto allo scrivente
così: “ormai credete a tutto quello che vi dice il potere, mi ricordate gli
albanesi ai tempi di Hoxha”.
Certo
Usa e Londra non vorrebbero mai un Pia in Italia, ma gradirebbero un economista
alla Antonio de Olivera Salazar, che ha governato il Portogallo dal 1932 al
1974:
e
Salazar Draghi lo abbiamo visto nuovamente all’opera al Meeting di Rimini di
Comunione e Liberazione, dove a pochi giorni dalle passate urne una platea di
scimmiette ammaestrale lo ha applaudito al grido di “Bis! Bisss!”.
Al
pari di Draghi, anche Salazar era stato prima alle Finanze portoghesi (una
sorta di ministro del Tesoro portoghese dal 1928 al 1932), e chiunque
criticasse la linea di politica economica di Lisbona veniva arrestato e
detenuto come nemico del potere:
è inutile rammentarvi che il massone Salazar
godeva d’un certo consenso internazionale, le logge bancarie europee ed
atlantiche ne garantirono l’inamovibilità.
Draghi
non è ancora andato via, sta dicendo al Mondo che Giorgia Meloni non farà di
testa sua.
Sappiamo
anche che i seicento deputati eletti a settembre (prima della riforma erano più
di ottocento) saranno presto messi a lavoro per cambiare la Costituzione, per
partorire una riforma presidenziale che possa premiare il Draghi di turno.
Secondo
“radio fante” pare che Draghi abbia in mano un dossier contro i propri nemici,
un report redatto dai “professionisti della sicurezza”.
In
forza di certe informazioni, ancora oggi viene spacciata dagli “istituzionali”
per “fake news” ogni critica rivolta alle misure economiche dell’ex Governo
Draghi, all’Agenzia delle Entrate, alle banche che requisiscono i soldi dei
cittadini, alle normative europee che fanno chiudere le botteghe.
Per
chiunque non accetti il potere del “sistema” c’è ancora oggi la lista di
proscrizione, l’inserimento del dissidente nell’elenco dei “filorussi” o degli
untori di “fake news”: in questa logica è stato ordito il complotto Rai contro
Enrico Montesano.
Il
popolo intimorito osserva tutto, ben sapendo che in questo Parlamento siede
ancora chi proponeva “pene pecuniarie severe contro i giornalisti e serie pene
detentive che frenino l’informazione lesiva del sistema”: ovviamente la galera raggiungerebbe
il giornalista dopo che, per legge, siano state portate via anche le mutande.
C’è
malessere diffuso nella popolazione, c’è insofferenza verso le regole,
disaffezione dalla propaganda di regime: la cappa omologata su pensieri, idee e
parole la percepiamo da televisori, rete e giornali.
Così
si spegne la tivù e non si compra il Corriere perché non si crede più al
sistema, ai suoi moniti, alle sue regole, alla propaganda liberticida.
Chiamati
al Voto dai Soliti Noti.
Le
campagne elettorali sono sempre state dominate dall’ipocrisia, dalle bugie
all’elettorato, dalla consapevolezza che si tratti d’un rito da dover fare per salvare
il fascino discreto della borghesia, che dell’apparenza democratica ha fatto la
propria essenza quanto la precedente aristocrazia del rango e dell’alterigia.
Tra il
popolo votante c’è chi ama pensar male, alla luce delle condotte di certi
partiti collusi con dirigenza di stato, magistratura e media.
Pochi mesi fa il Partito democratico è
riuscito a seppellire le tracce dei fondi Dem Usa:
inviati
circa due anni fa al Pd per sostenerne l’azione sul territorio italiano.
Oggi apprendiamo che la candidatura di Elly Schlein
alla segreteria Pd sarebbe supportata dai “fondi colorati” di George Soros.
La
notizia campeggiava timidamente sui giornali, e nessun “giornalista
istituzionale” si permette di scivolare sull’argomento.
Il
deputato Giovanni Donzelli (FdI) aveva denunciato che erano stati tracciati
soldi provenienti da una organizzazione vicina all’ex presidente Usa Obama,
fondi statunitensi indirizzati ai candidati del Pd.
Ecco
la prova delle ingerenze straniere, con ampio spettro d’illecito, sulla vita
politica italiana.
Nessuno
sembra si sia indignato, e qualcuno ha anche detto “cosa volete che siano…
aiuti americani”:
aiutini
degli stessi esponenti di Wall Street che nel ’92 ordivano il golpe del
Britannia contro il governo Craxi, perché “gli invisibili, gli 007 della
speculazione finanziaria, non si fidavano di Craxi” (per dirla con le parole di
Rino Formica, che denunciava queste ingerenze in uno storico vertice del Psi).
Il
Foglio sosteneva che i “Social Changes” Usa avrebbero dato soldi per aiutare il partito di
Enrico Letta a postare su Facebook notizie di propaganda, soprattutto nelle
ultime settimane di campagna elettorale.
“L’utilizzo
di fondi stranieri, americani come di chiunque altro, per la politica è illecito
– scriveva il deputato Donzelli.
Il decreto crescita del 2019, ultimo approvato
in materia in vigore, vieta i finanziamenti diretti.
I
finanziamenti dall’estero, pubblici o privati, possono andare solo a fondazioni
e associazioni.
A
patto che i soldi non vengano poi girati alle casse di partiti e movimenti
politici”.
Donzelli
chiedeva lumi con interrogazioni al passato governo e al ministro dell’Interno,
sporgeva denunce e segnalava il tutto ad ogni organo competente: non sembra
abbia ricevuto alcuna risposta.
Anzi,
chiunque sollevi l’argomento rischia il linciaggio in rete, d’essere bloccato
dai social network e non mancano le minacce di querela:
non
perché il fatto sia diffamante o calunnioso, ma perché la magistratura italiana
gode della facoltà arbitraria di poter condannare la “continenza”, ovvero
l’effetto nefando e roboante della notizia, seppur vera ed accertata;
l’incapacità di saper ritenere, a mo’ di
urina, il fragore della notizia.
In parole povere, il magistrato può accusare
d’incontinenza chiunque ne parli, limitando così di fatto il diritto di critica
politica, il diritto d’espressione.
Sarebbe
oltremodo interessante avere un quadro completo delle denunce fatte dal Pd
contro avversari politici e giornalisti poco compiacenti, per parametrare il
dato con il lavoro svolto dalla magistratura, per appurare le effettive fonti
di finanziamento che giungono al Pd da organizzazioni estere, associazioni ed
imprese:
il tutto servirebbe anche a fare luce sulla
poca libertà di stampa in Italia.
È
sotto gli occhi di tutti che la maggior parte dei giornali italiani temano
aprire la porta della questione morale interna al Pd.
Timore di ricadute giudiziarie o una sorta di
compiacenza e fedeltà Dem?
C’è un
po’ di tutto.
Resta
il fatto che la classe dirigente dell’ex Pci-Pds-Pd non abbia mai creduto nel
sistema Italia.
Sarebbero
tantissimi gli esempi dei dirigenti politici, dei vertici di ministeri e
magistratura, come di Regioni ed enti locali vari, che hanno prima mandato i
loro figliuoli a studiare all’estero e poi li hanno fatti raggiungere dai loro
risparmi.
Si
sono francescanamente liberati di ogni avere nell’avito paese, reputandolo non
degno d’alcun investimento.
In
questa posizione di nullatenenti hanno continuato a fare i vertici Pd, i
magistrati, i dirigenti di Stato ed enti vari.
Forti
della loro posizione hanno perorato la causa d’infliggere la patrimoniale
contro case e terreni degli italiani, d’aumentare accise e balzelli, di rendere
l’Imu un deterrente all’acquisto d’immobili, di chiudere il rubinetto
creditizio agli italiani perché vivrebbero sopra le loro possibilità.
Insomma, loro garantiti e con i beni all’estero, ed
una bella “povertà sostenibile” per chi sputa sangue in Italia.
(Redazione
de lapekoranera.it)
(lapekoranera.it/2022/12/10/la-lotta-alle-fake-news-e-una-trovata-del-sistema-liberticida/)
Florida,
il
Governatore Ron de Santis:
“Produttori
di Vaccini Covid
responsabili
di Effetti avversi
e Morti improvvise”.
Conoscenzealconfine.it
– (15 Dicembre 2022) - ilgiornaleditalia.it – ci dice:
Il governatore
della Florida (USA) Roni De Santis ha dichiarato che nel suo stato i produttori
di vaccini non godranno dell’immunità penale come avviene in altre parti del
mondo.
“Il
nostro Stato riterrà responsabili i produttori di vaccini per le false affermazioni
riguardanti i prodotti Covid che hanno causato lesioni e morti”.
Ron de
Santis promette che la Florida riterrà i produttori di vaccini responsabili
delle morti improvvise.
Le
parole sono state pronunciate da Roni De Santis, il governatore della Florida,
che in passato ha garantito – mettendosi contro gli obblighi di Washington –
che in Florida la popolazione continuasse a lavorare e a enere l’economia a
livelli alti.
Adesso
che stanno venendo a galla numerosi segreti in merito alla composizione dei
vaccini, agli effetti avversi come quelli rilevati anche dalla CDC oppure dei
report v-safe, ha promesso alla popolazione che i produttori dei sieri saranno
considerati responsabili “penalmente e civilmente” dei danni arrecati alla
popolazione.
Sono
numerosi infatti gli effetti avversi e le morti improvvise che, recentemente,
hanno interessato anche il mondo agonistico con la morte di ben 42 atleti.
Recentemente
in America è stato anche diffuso il film “Died suddenly”, vale a dire “morti
improvvise”.
Si
tratta di un docufilm che fa luce proprio sulle morti che si sono succedute in
questi mesi da quando i sieri sono stati diffusi a più riprese e secondo una
metodologia di dosi booster tra la popolazione.
(ilgiornaleditalia.it/video/esteri/434866/florida-ron-de-santis-produttori-vaccini-covid-responsabili-effetti-avversi-morti-improvvise.html)
L’Ucraina, le contraddizioni dell’Occidente
e il
nuovo ordine mondiale.
Micromega.net
- Cinzia Sciuto – (1° Luglio 2022) – ci dice:
Vittorio
Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali, analizza le recenti
decisioni della Nato e le prospettive della guerra in Ucraina.
Al
recente vertice della Nato di Madrid è stato messo nero su bianco che “la
Federazione Russa è la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza
degli alleati e alla pace e stabilità nell’area euro-atlantica”.
Che
giudizio di queste prese di posizione?
Mi
pare si possa dire che è la presa d’atto che il 24 febbraio la Russia ha
scatenato una guerra calda, portando il mondo in una nuova guerra fredda.
Un’alleanza
come la Nato, sopravvissuta oltre vent’anni fa all’estinzione del suo nemico
istituzionale, ha rischiato di essere travolta dall’erede di quel nemico, la
Russia di Putin.
Questo
è il rischio che è stato corso, e che è stato sventato.
La
definizione della Russia come principale minaccia, e direi minaccia esistenziale,
alla sicurezza delle democrazie occidentali è semplicemente la registrazione di
come la Russia si comporta ormai da anni, in maniera diretta dal 2014, ma in
maniera indiretta dal 2006.
Se la
durezza delle parole usate nei confronti della Russia era prevedibile, molti
osservatori sono rimasti sopresi dai toni usati nei confronti della Cina,
espressamente indicata come una delle forze che “sfidano i nostri interessi, la
nostra sicurezza e i nostri valori e cercano di minare l’ordine internazionale
basato sulle regole”.
La
Nato è un’alleanza militare e in questo momento non si può dire che la Cina
rappresenti una minaccia sul piano militare per i Paesi alleati.
Questi
toni non rischiano di esasperare le tensioni geopolitiche?
Penso
sia stato importante avere preso una posizione molto netta anche nei confronti
della Cina, qualificandola come uno sfidante.
E questo sia per l’atteggiamento che la Cina
ha avuto recentemente sulla questione della guerra in Ucraina sia più in
generale per un atteggiamento che persegue da diversi anni.
Mi
spiego.
Sul
primo punto, nonostante le ambiguità e nonostante Putin non abbia avuto da Xi
Jinping tutto il sostegno che chiedeva, è innegabile che se non ci fosse
stato una sorta di disco verde da parte del leader cinese a Putin le cose in
questi mesi sarebbero andate molto diversamente.
Per
cui la Cina ha una responsabilità diretta nell’attuale situazione.
Più in
generale poi la Cina, con Xi in particolar modo e soprattutto negli anni più
recenti, è passata da un atteggiamento di richiesta di revisione delle
relazioni internazionali in termini maggiormente multilaterali anzi, meglio, di
una sorta di bipolarismo sino-americano, a una politica di aperto attacco alla
centralità occidentale.
Ora,
con tutte le enormi contraddizioni che l’Occidente si porta appresso,
francamente le alternative proposte fino a questo momento sono chiaramente
peggiori.
Nelle agende alternative proposte dai Paesi autoritari
non c’è nessuno spazio per la democrazia, l’eguaglianza di genere, la lotta
effettiva alle diseguaglianze, la protezione e l’avanzamento dei diritti. Ma la Nato non è un’alleanza politica
bensì militare e al suo interno ci sono anche Paesi non democratici, penso per
esempio alla Turchia.
In
realtà la Turchia è l’unico Paese Nato a non essere una democrazia, e all’epoca
era stato ammesso proprio per evitare che finisse nella sfera di influenza
della Russia.
Era il 1952 e sulla Turchia si esercitavano
pressioni molto forti.
Detto
questo, penso che il punto debole sia della Nato sia dell’Unione Europea sia
proprio quello dei criteri per la membership dei Paesi, molto criticabili dal
punto di vista della democrazia.
Rimanendo
alla Turchia, come legge la decisione di togliere il veto alla richiesta di
ingresso di Svezia e Finlandia?
Erdogan
ha cercato di massimizzare un potere di veto che sapeva benissimo essere del
tutto temporaneo, destinato a non essere esercitato in maniera permanente.
Ha
portato a casa alcune forniture militari che chiedeva da tempo e la promessa
che Svezia e Finlandia non saranno più quella terra d’asilo che sono state
finora per i militanti curdi.
Che
quindi sono stati trattati come merce di scambio in questa vicenda…
A
livello politico certamente sì, come purtroppo è accaduto svariate volte in
questi anni.
Ma
ricordiamo che Svezia e Finlandia sono degli Stati di diritto, le decisioni
politiche contano fino a un certo punto, ci sono poi dei giudici che devono
decidere sulle eventuali estradizioni.
E io
non sono così sicuro che ne vedremo molte. A Erdogan interessava avere un
messaggio politico da dare in pasto alla sua opinione pubblica.
In
ogni caso quei valori “occidentali” di cui parlava prima non ci fanno una gran
bella figura…
Non
c’è alcun dubbio, e sono esattamente quelle contraddizioni e ambiguità di cui
parlavo.
Vede,
quando parliamo di Occidente parliamo in realtà di due cose diverse.
Da un lato ci riferiamo al ruolo di
“trascinamento” che l’Occidente ha avuto nel mondo negli ultimi 5-600 anni,
cioè grossomodo da quella che chiamiamo l’età delle scoperte, che ha dato
all’Occidente un enorme potere mettendo le basi per la nascita e il
consolidamento della forma Stato.
Poi
c’è un secondo Occidente, inteso come l’insieme dei regimi democratici che sono
in pace perpetua tra loro a partire dal secondo dopoguerra.
Tra
questi due sensi di Occidente ci sono certamente continuità, eredità eccetera
ma ci sono anche tensioni e discontinuità.
Se chi
sta fuori dall’Occidente, comprensibilmente, ha in mente sostanzialmente il
primo, guai se noi che stiamo dentro avessimo in mente esclusivamente il
secondo perché le contraddizioni ci sono e noi dobbiamo lavorare per superarle:
la tensione tra democrazia e mercato, la
spinta dei politici a trasformarsi in oligarchie, le diseguaglianze eccetera.
Ma
senza democrazia non c’è neanche l’agenda politica per affrontare questi
problemi.
Sono
le questioni di cui parla nel suo ultimo lavoro, Titanic. Naufragio o cambio di
rotta per l’ordine liberale (il Mulino, 2022).
Sì,
due terzi del libro sono dedicati a una puntuale autocritica della
trasformazione dell’Occidente a seguito della cosiddetta globalizzazione
neoliberale, neoconservatrice, ordoliberale, e alla necessità di rimettere in
equilibrio l’agenda progressista con la crescita economica.
Un
terzo del libro è dedicato alle minacce esterne.
Ecco, quest’anno una di queste minacce esterne
si è palesata in maniera eclatante.
Guardiamola
allora più da vicino questa minaccia.
Negli
ultimi giorni, con il ritiro della Russia dall’Isola dei serpenti, che sembra
preludere a una rinuncia alla conquista di Odessa, pare ci troviamo di fronte
all’ennesimo cambio di strategia di Putin, è d’accordo con questa lettura?
Nessuno
di noi ha accesso ai piani militari russi e quindi ci facciamo un’idea da
quello che la Russia fa.
Ecco, la sensazione è che stia continuando a
ridefinire obiettivi politici e quindi anche militari.
Prima
pensava di risolvere la questione con gli ucraini semplicemente minacciando
l’uso della forza, poi applicando appena un po’ di forza pensando che nessuno
la contrastasse, poi sembrava volersi concentrare sul Donbass, poi invece anche
chiudere il Mar d’Azov e poi il Mar Nero…
In
questo momento la strategia sembrerebbe:
impediamo
agli ucraini di usare il Mar Nero.
Da
tutti questi cambi di strategia mi pare si possa dire con chiarezza che la
Russia non sia in grado di sostenere un conflitto di logoramento che duri mesi.
Non
c’è dubbio che gli ucraini hanno molte meno risorse umane…
Problema
che non si risolverebbe inviando ancora più armi…
Beh,
dipende dalle armi.
Perché
più sono sofisticate meno risorse umane servono per usarle.
È proprio per questo che gli ucraini chiedono
armi moderne ed efficienti.
In ogni caso gli ucraini, pur essendo in
numero nettamente inferiore, hanno una capacità di combattimento che invece i
russi non hanno.
Quando un ucraino muore la famiglia sa perché
è morto.
Ma i
soldati russi per cosa muoiono?
A oggi
sono già 35mila i soldati russi morti in Ucraina: una cifra spaventosa per una
guerra di pochi mesi.
Pensiamo
che gli americani in vent’anni hanno perso 3.500 soldati.
Chi glielo spiega alle famiglie russe per cosa
sono morti i loro figli?
Aggiungiamo
a questo la pessima organizzazione dell’esercito russo e avremo come risultato
che la Russia non sarà in grado di condurre ancora a lungo questa guerra.
Ma non
possiamo neanche dire che l’Ucraina è in grado di vincerla…
Dipende
cosa intendiamo per “vittoria”.
Vincere
è una questione politica.
I talebani in Afghanistan hanno vinto, ci
hanno messo vent’anni ma il fatto di non aver ceduto ha consentito loro,
vent’anni dopo, di dire che hanno vinto, a prescindere dal numero di morti e
dalla devastazione del Paese.
A meno
che l’Ucraina e l’Occidente che la sostiene non lo vogliano, la Russia non è
nelle condizioni di vincere politicamente questa guerra.
Posto
che sono gli ucraini a decidere a quali condizioni accedere a una tregua, penso
che il respingimento della Russia sostanzialmente alle frontiere del 24
febbraio – anche se con delle eccezioni perché non penso che sarà possibile,
per esempio, riconquistare Mariupol – sia una ragionevole condizione per
potersi sedere e negoziare.
In
questo quadro che significato ha la decisione del Consiglio europeo di
accettare la candidatura dell’Ucraina a Paese membro dell’Unione Europea?
Innanzitutto,
dà una risposta chiara alla richiesta ucraina che già dai tempi di Euro-majdan,
ma anche da prima, aveva indicato chiaramente la sua volontà di orientarsi
verso l’Ue.
Questa
decisione significa dunque che si riprende quel percorso e si garantisce agli
ucraini che quel percorso non gli può essere nuovamente scippato, come fu dopo
Euro-majdan.
È
dunque un segnale forte, che significa anche riconoscere che gli ucraini stanno
combattendo anche per noi.
CONTRO
TUTTI
GLI
IMPERIALISMI.
Pane-rose.it
– Redazione - (3 Marzo 2022) – ci dice:
L’invasione
russa dell’Ucraina per noi è certamente un atto da condannare, ma non ci uniamo
al coro degli apologeti dei guerrafondai degli Usa, dell’Unione Europea e della
NATO che, in tutto il mondo, parlano di pace mentre continuano a fomentare
massacri e guerre per i loro interessi.
Minacciare,
demonizzare il nemico, istigare la paura del diverso, reprimere, sono da sempre
alcuni dei modi usati dal nemico di classe per ottenere il consenso del popolo
a politiche reazionarie, mobilitandolo a sostegno dei suoi interessi.
In
questo gli USA e la NATO sono stati – e sono - dei maestri, come dimostra anche
il tentativo di isolare la Russia allargando i confini della NATO per
accerchiarla.
Distruggere
l’identità di un popolo o di una classe, cancellare la sua memoria storica, imporre
quella del nemico è essenziale e funzionale a perpetuare il saccheggio e lo
sfruttamento, perché una classe o un popolo senza memoria è facilmente
manipolabile e sfruttabile.
Manipolare
l’opinione pubblica attraverso i media è una delle forme di controllo del
potere economico, che è anche padrone dei mezzi di comunicazione.
Gli editori, i padroni dei mezzi di
comunicazione, dei giornali, delle TV via cavo, film ecc., in tutti i paesi
sono gli stessi che detengono il potere politico.
In
Italia sono i Berlusconi, De Benedetti, Cairo, Caltagirone, il Vaticano e le
industrie multinazionali, gli Agnelli, i Pirelli e tutti quelli foraggiati
direttamente dagli USA.
In
questi anni di relativa “pace sociale” nei paesi imperialisti, gli USA e la
NATO - di cui l’Italia fa parte - hanno condotto guerre di saccheggio,
distrutto nazioni che resistevano e si opponevano alla penetrazione
imperialista, compiendo massacri di civili (donne, vecchi e bambini):
tutto
questo è stato giustificato con la “difesa della democrazia” e dei “diritti
umani”.
Si
sono persino inventati le guerre “umanitarie” per nascondere i loro interessi e
il massacro di centinaia di migliaia di persone (ricordiamoci della Palestina,
della Yugoslavia così vicina a noi, dell’Iraq; dell’Afganistan, della Libia e
della Siria ...).
Julian
Assange, il fondatore di WikiLeaks, è stato diffamato, torturato e arrestato
proprio per aver denunciato i crimini commessi dai soldati dagli Usa e della
NATO sui civili durante tutte le guerre imperialiste.
Oggi il
governo di unità nazionale – presieduto dal banchiere Draghi - all’unanimità si
è messo l’elmetto, scendendo a fianco degli USA, con il plauso anche
dell’opposizione.
Da
oggi l’Italia è in guerra e invierà militari e “armi letali” all’Ucraina.
Noi
operai e lavoratori italiani siamo al fianco degli operai e dei lavoratori di
tutto il mondo che lottano contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per una
società in cui il profitto e lo sfruttamento siano considerati un crimine
contro l’umanità.
Per
noi ogni popolo – non solo alcuni - è legittimato a scegliere liberamente il
suo governo noi siamo per l’autodeterminazione.
L’internazionalismo
proletario afferma che la classe operaia e proletaria è una e internazionale, e
che il primo dovere internazionalista consiste nel lottare contro i propri
governi, comitati d’affari dei capitalisti.
L’imperialismo
impone ai popoli del mondo sottosviluppo, prestiti usurai, debiti con interessi
impossibili da pagare, scambio diseguale, speculazioni finanziarie non produttive,
corruzione generalizzata, commercio di armi, guerre, violenza, massacri, cui
partecipa l’imperialismo italiano per spartirsi il bottino.
Nel
mondo e in Italia tutti i governi borghesi hanno attuato politiche antioperaie
e antiproletarie e finanziato tutte le missioni di guerra italiane nel mondo,
chiamandole ipocritamente “missioni di pace o umanitarie”.La “democrazia”
capitalista, imperialista, con le sue frasi altisonanti ma vuote, è la maschera
dietro cui si nasconde la brutale dittatura del capitale.
Le guerre imperialiste sono sempre contro i
lavoratori e le classi popolari, che pagano il prezzo più alto.
Il
capitalismo e l’imperialismo sono il vero cancro dell’umanità.
Distruggere
il sistema di sfruttamento capitalistico e chi si arricchisce su di esso,
provocando fame, sofferenze, miseria e morte a milioni di persone nel mondo,
questa è l’unica guerra giusta.
Noi
siamo contro tutte le guerre imperialiste, ma non siamo pacifisti.
A
differenza dei pacifisti - che oggi scendono in piazza a fianco dei loro
governi “contro tutte le guerre”, ma in realtà a sostegno degli USA,
dell’Unione Europea e della NATO - noi ribadiamo che l’unica guerra giusta è
quella di classe fra padroni e operai, tra sfruttati e sfruttatori.
Il
nemico è in casa nostra: i padroni e i loro governi.
Fuori
la NATO dall’Italia, fuori l’Italia dalla NATO!
(Centro
di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”)
(ciptagarelli.jimdofree.com)
La
narrativa russa della guerra:
un
nuovo ordine mondiale.
Genteeterritorio.it
- Luigi Gravagnuolo – (25 Luglio 2022) – ci dice:
Affrontiamo
qui il nodo centrale della narrazione russa del conflitto: l’operazione
militare speciale avviata lo scorso 24 febbraio segna il momento del riscatto
della Russia da anni di umiliazioni e l’avvio di un’azione a largo raggio volta
a contenere prima, e a sconfiggere infine, il dominio degli Stati Uniti sul
resto del mondo.
Non ci
sarebbero quindi solo le pur più volte richiamate esigenze di protezione delle
popolazioni russofone del Donbass, vessate dai ‘nazisti’ ucraini, a spiegare
l’invasione, ma la necessità di ridisegnare l’ordine mondiale alterato
abnormemente a vantaggio degli USA dopo il crollo dell’URSS.
Putin
al riguardo ha sviluppato una organica visione dell’attuale assetto geopolitico
del pianeta e della sua genesi storica.
Utilissima
è, a questo riguardo, la lettura integrale dei suoi due interventi del 21 e del
24 febbraio scorsi.
Il primo, più organico, volto a rappresentare al popolo russo
le ragioni dell’imminente avvio dell’operazione militare speciale ed a porre
una sorta di ultimatum al governo ucraino ed ai suoi sostenitori euroatlantici;
il secondo, rivolto al popolo ed all’esercito
ucraini nel giorno stesso dell’invasione per invitarli a rovesciare il governo
Zelens’kyi ed a ricongiungersi senza opporre resistenza alla loro vera ed unica
patria, la Santa Russia.
Tutto
nasce, nella ricostruzione storica del neo-zar, dalla tragedia della
dissoluzione dell’URSS, su cui a suo dire i dirigenti del PCUS ebbero
gravissime responsabilità.
Il
leader della Federazione Russa risale fino alle colpe di Lenin – salito al
potere tramite un colpo di stato, quale fu a suo avviso l’assalto al Palazzo
d’Inverno ‘17 – ed a quelle dei suoi successori.
Tuttavia,
pur nel disastro della distruzione dell’impero zarista, la conclusione della
Seconda guerra mondiale con la divisione del mondo e dell’Europa in particolare
in sfere di influenza ben delimitate aveva portato ad un accettabile ordine
mondiale, stravolto con prepotenza, menzogne e iniziative militari dagli USA
dopo il collasso dell’URSS.
Qui,
nel crollo dell’Unione Sovietica, lui fissa l’inizio delle dinamiche che hanno
portato alla guerra russo-ucraina.
Gli
USA ed i loro satelliti europei avrebbero approfittato della crisi economica,
sociale, istituzionale e politica della Russia negli anni ’90, per annettere ed
assimilare alla loro civiltà i paesi ex Patto di Varsavia, portando
progressivamente la NATO ai confini della Federazione russa.
Ci
sono voluti trent’anni – è sempre Putin che parla – perché la Russia
ricostruisse le proprie strutture statuali e politiche ed ora essa è finalmente
nelle condizioni di rintuzzare l’avanzata americana, aggregando in questa sfida
il resto del mondo non dominato dall’impero della menzogna.
Putin
candida quindi la Federazione russa a guida di un movimento mondiale anti-USA,
composto da tutti i Paesi che intendono difendere la propria civiltà autoctona,
distinta dalla civiltà occidentale, e la propria indipendenza politica e
militare: dalla Cina all’India, dalla Siria ai Paesi del Nord e Centro Africa,
fino agli Stati del Sudamerica.
È una lotta a tutto campo contro la
globalizzazione e per il sovranismo, unica barriera a difesa delle culture e
tradizioni dei popoli.
La
battaglia in corso oggi nel Donbass non è dunque fine a sé stessa, pur se ha
motivazioni intrinseche, ma è solo il primo passo verso un nuovo ordine
mondiale. Questa in sintesi la sua narrazione.
È
importante richiamare due passaggi contenuti nei suoi interventi.
Il
primo è storico, l’altro geo politico.
Il
riferimento storico è al Patto Ribbentrop-Molotov del ’39.
Si era
alla vigilia dell’invasione nazista della Polonia e, a pochi giorni dal suo
avvio, Hitler volle assicurarsi che l’URSS non sarebbe intervenuta in sua
difesa.
Propose
dunque a Stalin, che accettò, un patto di ‘non belligeranza’.
In
cambio avrebbe garantito all’Unione Sovietica la non ingerenza del Reich in una
sua eventuale azione militare di espansione verso Ovest.
In pratica, Hitler e Stalin concordarono di
spartirsi l’Europa orientale.
Siglato
il Patto il 23 agosto 1939, il primo settembre Hitler invase la Polonia e fu la
Seconda guerra mondiale.
Il 16
settembre successivo Stalin invase la Polonia da Oriente.
Poi, il 30 novembre dello stesso anno, l’URSS
invase la Finlandia.
Stalin
mantenne dunque gli accordi e ne trasse profitto, ma nel ’41, unilateralmente
ed improvvisamente per i sovietici, Hitler mosse le sue armate contro l’Unione
Sovietica, cogliendola impreparata.
I costi per i Russi furono altissimi; poi, un
po’ alla volta, riuscirono ad organizzarsi ed infine respinsero gli invasori
nazisti al prezzo terribile di venti milioni di morti.
Fu la
Grande Guerra Patriottica.
Putin, nel suo intervento del 21 febbraio, ha
ricordato questa dolorosa vicenda, per dire che la Federazione russa non può
commettere lo stesso errore di Stalin nel ‘39 e fidarsi oggi delle
rassicurazioni euroccidentali; deve attaccare subito, prima che lo faccia la NATO.
L’accusa putiniana a Stalin si limita quindi
all’ingenuità per aver sottoscritto e creduto a quel patto, non investe il suo
calcolo cinico, quale difatti fu. I due dittatori avevano concordato di
spartirsi l’Europa; questo Putin lo sot
tace,
forse perché qualcosa del genere gli starebbe bene anche oggi, se ci fosse un
altro Hitler con cui trovare l’intesa.
Ci era
arrivato vicino con Trump, pronto a lasciargli campo libero in Europa Orientale
ed anche a ridurre l’impegno USA nella NATO, in cambio di una posizione russa
di convergenza nel Pacifico in funzione anticinese.
Ma
Trump non risiede più alla Casa Bianca.
L’altro
passaggio riguarda l’attuale assetto geopolitico dell’Europa.
Ai
Paesi euroccidentali Putin offre la promessa della pace e della concordia nella
reciproca sicurezza, se solo avessero il coraggio di emanciparsi dal dominio
USA. Qui mette il dito su una questione reale.
Effettivamente
gli USA vedono con preoccupazione l’eventuale costituzione di uno spazio
economico euroasiatico, con la Russia in posizione rilevante.
Ed in realtà questo enorme spazio geofisico ed
economico ne farebbe un competitore strategico di assoluto rilievo per gli USA.
Non c’è dunque da meravigliarsi se, ogni volta
che ci sono stati passi in avanti in questa direzione, gli USA si siano messi
di traverso.
Ma, se
questo fosse stato davvero l’obiettivo, il Cremlino avrebbe fatto tutt’altra
cosa che invadere l’Ucraina, determinando così la rottura diplomatica frontale
con l’UE.
In
realtà il progetto non è la coesione interna al vecchio continente, ma la
ricostituzione della cortina di ferro, col dominio russo sui paesi euro orientali.
I
popoli che vivono in questi paesi, però, soggiogati da secoli dai Russi, avendo
dal ’91 ad oggi finalmente respirato aria di libertà e di autonomia, non hanno
alcuna intenzione di finire di nuovo sotto il loro tallone di ferro.
Chissà se tra voi lettori ci sia qualcuno che
durante gli anni dell’Unione sovietica è stato in Cecoslovacchia, o in Romania,
o in Lituania, per citare solo alcuni di questi Paesi.
Se ci
è tornato recentemente, non ha certamente bisogno di tante spiegazioni per
capire le ragioni per cui i loro cittadini vedono col fumo negli occhi
qualsiasi prospettiva di restaurazione imperiale russa.
Un abisso separa la qualità della vita della
Praga di oggi da quella degli anni del dominio sovietico.
E questo vale per tutte le altre città
dell’Est europeo.
Quello
che Putin volutamente non dice è la pura verità, vale a dire che la NATO si è
espansa a ritmi accelerati verso Est non per una volontà aggressiva verso la
Federazione russa, ma perché chiamata da quei popoli a tutelarli da probabili
nuove pretese egemoniche dei Russi.
Questa
realtà proprio non gli va giù: come è possibile che questi popoli preferiscano
la libertà e lo stato di diritto al ritorno alle proprie sacre tradizioni ed
alla propria storia, lasciandosi assimilare dalla civiltà decadente
dell’Occidente?
Solo
gli ingannevoli messaggi dell’impero della menzogna posso spiegare tale
perversione!
Ma no,
sig. Putin, il fatto è che hanno assaggiato la mela della libertà e non hanno
voglia di tornare nel suo meraviglioso paradiso russo asiatico.
È la
libertà il frutto maligno dell’impero della menzogna che sta ingannando il
mondo, non la presunta preparazione della NATO ad una guerra di aggressione
contro la Russia.
La
minaccia vera per l’autocrazia moscovita è il contagio della democrazia, che è
arrivato alle porte della Russia.
Ciò
non toglie che è altresì vero che l’ordine mondiale determinatosi dopo il
collasso dell’Unione Sovietica, l’impetuosa ascesa economica, militare e
politica della Cina, la crescita dei Paesi del Brics, il diverso e più
rilevante peso dell’Islam, richieda una sua definizione equilibratrice e
stabilizzatrice.
Mission
conseguibile solo per il tramite di una conferenza mondiale sotto l’egida
dell’ONU. Il mondo ne ha bisogno, ma per perseguire la via diplomatica,
occorrerebbe che i diversi attori della negoziazione fossero affidabili.
Guerra
in Ucraina e
Nuovo
Ordine Mondiale
Codice-rosso.net
– (10 Luglio 2022) - Nello Gradirà – Raffaele Picarelli - ci dicono:
Gli
effetti nell’economia, nella finanza, nelle relazioni internazionali.
Terza
tranche atti
del seminario “Guerra in Ucraina: effetti sull’economia, sulla finanza e nelle
relazioni internazionali”.
Prima
tranche: (codice-rosso.net/atti-del-seminario-guerra-in-ucraina-effetti-nelleconomia-nella-finanza-nelle-relazioni-internazionali/)
Seconda
tranche: (codice-rosso.net/il-vero-atto-di-nascita-dellincremento-dei-prezzi-dellenergia-dellinflazione-e-dellaumento-dei-tassi/)
Inflazione,
alti tassi, recessione.
Il 31 maggio scorso i dati preliminari di Eurostat
hanno mostrato che l’indice dei prezzi al consumo nell’Eurozona è salito all’
8,1% su base annua, dal 7,4% di aprile, ben al di sopra del “consenso” degli
analisti che era di un aumento del 7,7%.
In
Germania l’inflazione a maggio ha toccato il 7,9% anno su anno come ai tempi
della crisi petrolifera del 1973, in Spagna ha registrato un aumento dell’8,7%.
In
Italia, dopo il lieve rallentamento di aprile, l’inflazione è tornata ad
accelerare in maggio, portandosi al 6,9% anno su anno, un livello che non si
registrava dal 1986. In USA in aprile l’inflazione era all’8,3%. In maggio è
cresciuta all’8,6%, nuovo massimo dal dicembre del 1981.
Biden: “I nuovi dati dimostrano il perché l’inflazione è la mia
priorità […]. I rialzi dei prezzi causati da Vladimir Putin hanno colpito duramente
in maggio […]. Faremo il possibile per ridurre i prezzi.” (“Il Sole – 24 Ore” dell’11 giugno).
Non c’è limite alla menzogna e alla spudoratezza!
Le cause dell’inflazione sono varie e, si è detto,
anteriori all’attuale conflitto in Ucraina, anche se la guerra, in alcuni casi,
ha funzionato da acceleratore:
prezzi
energetici, rottura delle catene di approvvigionamento di materie prime,
semilavorati e merci, “rarità” di alcune materie prime.
“Bisogna
dare uno sguardo ai cambiamenti in atto.
Il
primo riguarda la globalizzazione: […] dopo aver […] guidato il mondo dagli
anni ’80, si sta bruscamente invertendo.
Ormai
la maggior parte delle aziende ha capito che tenere catene globali delle
forniture troppo lunghe rappresenta un rischio.
Basta una pandemia, un porto chiuso o un
conflitto che non arriva più nulla.
Tanti
stanno dunque accorciando le catene. O intendono farlo. Questo terrà alta
l’inflazione.
Stesso discorso per le materie prime:
improvvisamente ci si accorge quanto siano scarse e dislocate nelle parti più
instabili […].
Il 44% del palladio globale arriva dalla
Russia.
Idem per oltre il 16-17% del gas naturale e
dei fertilizzanti.
Scarsità,
in economia, significa rincari. Prezzi alti. Insomma: inflazione […].
L’inflazione
è diventata strutturale.” (M. Longo ne “Il Sole – 24 Ore” del 13 giugno).
E
ancora:
“Per
anni le aziende hanno aumentato i margini pur in un’economia stagnante, perché
potevano tagliare i costi.
Riuscivano a farlo perché potevano allungare
le “supply chain” e sfruttare la manodopera dove il costo del lavoro era basso,
oppure perché potevano usare materie prime anche di scarsa sostenibilità
ambientale da qualche parte del mondo. Nessuno lo sapeva.”
(R. Almeida di Mfs Investment Management, ibidem).
Ora
tutto questo (sfruttamento selvaggio del lavoro, devastazione ambientale ecc.)
è più difficile.
Allora
“i costi salgono. E l’accorciamento delle catene globali fa il resto.”
E “la
domanda è: chi pagherà questi maggiori costi industriali?
Le aziende riducendo i margini oppure i
consumatori con prezzi più alti?” (Ibidem).
Un’analisi
dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo (risalente a fine marzo) dimostra che
oggi, in Europa, il balzo dei prezzi è in gran parte causato dall’energia.
Prendendo
come punto di partenza il maggio 2018, quando l’indice dei prezzi in Eurozona
raggiunse l’obiettivo della BCE del 2%, Intesa Sanpaolo ha calcolato da cosa “è
stata causata l’extra inflazione di oggi [fine marzo].
Si
tratta di 3,9 punti percentuali in più [ora l’inflazione ufficiale è ancora più
alta di almeno un punto].
Due
terzi sono dovuti proprio alla componente energetica.
E
un’altra fetta importante (0,8 punti su 3,9) va cercata nel settore alimentare,
anch’esso in gran parte gravato dai maggiori costi dell’energia e dei
fertilizzanti.
Insomma:
senza il petrolio e il gas alle stelle, in Eurozona l’inflazione sarebbe ben
più bassa.” (M. Longo, “Il Sole – 24 Ore” del 31 marzo).
Diversa
la situazione in USA dove la componente energia ha causato solo un terzo del
rincaro, mentre la parte più pesante è costituita dai rincari da domanda per
consumi.
Di
alcuni fattori che rendono strutturale il carovita abbiamo già trattato.
La deglobalizzazione, è utile ribadirlo, è uno
di questi.
Il
rischio di filiere produttive lunghe e globali concerne settori sensibili come
i semiconduttori, l’energia, i prodotti farmaceutici, ed è opinione diffusa
che. principalmente in questi settori, avverrà un rimpatrio delle produzioni (reshoring).
E
questo farà salire i prezzi.
Altro
fenomeno inflattivo è la transizione energetica: almeno per un certo lasso di
tempo la transizione produce un aumento dei prezzi.
Giordano
Lombardo della
casa d’investimento Plenisfer, in un’intervista del 7 aprile scorso al giornale
confindustriale dichiarava:
“In un
mondo che va verso una nuova divisione in blocchi è inevitabile che aumenti il
potere geopolitico e negoziale di Paesi non allineati con il blocco occidentale
ma fondamentali per l’approvvigionamento di materie prime.
[E
quindi aumentino i prezzi]”.
In una realtà fatta “di blocchi antagonisti,
uno guidato dalla Cina [e dalla Russia] e uno dall’Occidente, le supply chain
(le catene di approvvigionamento) si devono accorciare
. Ma
[…] questo farà salire l’inflazione”.
Per il fattore inflattivo rappresentato dalla
transizione energetica, il problema è che “da anni è in corso un deciso calo
degli investimenti in tutti i combustibili fossili.
Peccato
che oggi proprio questi combustibili rappresentino ancora l’80% del fabbisogno
energetico globale.
Si
stima che per soddisfarlo con altre fonti, bisognerebbe moltiplicare per tre
l’energia nucleare esistente oggi, oppure per cinque quella solare, oppure per
10 quella eolica.
Nel
breve periodo è impossibile che queste fonti rinnovabili riescano a soddisfare
le necessità” (Ibidem).
Allora,
dato che in Europa l’inflazione non è da consumi ma quasi interamente causata
da rincari eccezionali delle materie prime (accelerati, talora, dal conflitto
in corso), si tratta di un’inflazione da costi, un’“inflazione importata”.
Essa
riduce gli investimenti perché non sempre si è in grado di trasferire in tutto,
ma anche in parte, l’aumento dei costi (prezzi di produzione) sul prezzo finale
dei beni e dei servizi.
E se
questo avviene, l’inflazione riduce il potere d’acquisto dei ceti deboli, dei
lavoratori a reddito fisso, dei pensionati, dei piccoli risparmiatori.
Scrive
Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo:
“Quando
l’inflazione dipende dal rincaro dell’energia e delle materie prime, si
distruggono i consumi”.
Inoltre,
le politiche delle banche centrali sono poco efficaci quando l’inflazione è
causata da energia e materie prime:
per
quanto alzino i tassi, i prezzi di petrolio e gas restano elevati.
L’unica
cosa che possono fare è causare una “devastante” recessione:
diminuendo
drasticamente i consumi, crolla la domanda di energia e materie prime e quindi,
piano piano, anche i prezzi calano.
Tutto questo processo, con conseguente aumento
dei tassi, accade, non dimentichiamolo, in una fase di contrazione
dell’economia europea e globale.
Ma “in
Europa i salari non stanno salendo” e se aumenti ci saranno “non saranno
elevati […].
Oggi invece l’occupazione è ben diversa: tanti
lavoratori sono precari, a tempo determinato, impiegati nella gig economy e in
generale meno sindacalizzati” (“II Sole – 24 Ore” cit.).
L’inflazione
da costi è per definizione un massacro sociale.
Lo è
direttamente perché distrugge redditi e consumi e, in certa misura, cioè nella
misura in cui le aziende non riescono a trasferirla sui prezzi finali, anche
gli investimenti.
I più
colpiti sono naturalmente i gruppi sociali più fragili.
Lo è
indirettamente, con l’aumento dei tassi di interesse praticato dalle banche
centrali e, a cascata, da tutto il sistema creditizio.
Questo
aumento se, come si è detto, è vano direttamente contro l’inflazione importata,
fa crollare più o meno rapidamente tutti i consumi (perché tende a propagarsi a
tutti settori) e anche la domanda di energia e materie prime.
Quindi
i prezzi cadono proprio attraverso e a causa di un massacro sociale.
Da qui
il passo verso la recessione (forse attraverso una fase di stagflazione) è breve.
Le
“stazioni” di tale massacro (riduzione del potere d’acquisto, impoverimento
soprattutto dei ceti deboli, svalorizzazione dei risparmi e degli asset,
liquidazione degli ultimi brandelli di welfare, disoccupazione, riduzione
ulteriore degli investimenti, ulteriore disoccupazione, etc.), hanno anche un
contraltare positivo per i governi molto indebitati:
il
debito pubblico (anche quello privato) con l’inflazione si svaluta.
A
fronte di tutto questo, in Italia e non solo, i ceti popolari non hanno nessun
valido strumento di protezione e recupero. Ma di ciò parleremo più avanti.
La
dinamica dell’adozione dei tassi e delle condizioni finanziarie più restrittive.
Il 10
giugno scorso la presidente Christine Lagarde ha anticipato gli aumenti dei prossimi
mesi, “rebus sic stantibus”.
Il 1° luglio terminerà il programma APP di
acquisti netti di titoli pubblici da parte della BCE;
il 21
luglio, alla prossima riunione del Consiglio della BCE, i tassi di riferimento
saliranno dello 0,25% e di un altro 0,25 o 0,50% (a seconda dell’inflazione)
alla riunione successiva dell’8 settembre.
Mercoledì
15 giugno la Federal Reserve ha deciso di alzare i tassi di 75 punti base
(0,75%).
È la
prima volta dal novembre 1994 che un rialzo è così forte. E ulteriori consistenti
rialzi sono previsti nei prossimi mesi.
Le
borse mondiali hanno reagito con pesanti perdite, e titoli pubblici e corporate
bond hanno visto aumentare in modo rilevante i rendimenti e scendere
altrettanto cospicuamente i prezzi.
L’aumento
dei tassi e la conseguente caduta della domanda non piace a Confindustria
perché, in prospettiva, aumenta i costi di produzione e affievolisce le
vendite.
Per
Carlo Bonomi l’aumento dei tassi della BCE “non è la soluzione per controllare
l’inflazione […].
Il
Paese è fermo, e abbiamo un debito pubblico enorme.
Capisco
che si debba controllare l’inflazione.
Ma con
il rialzo dei tassi avremo sicuramente dei problemi” (“Il sole-24 ore” 11 giugno).
Di
fronte a possibili rivendicazioni salariali, il fuoco di sbarramento è la
richiesta di soldi pubblici per il taglio del cuneo fiscale e contributivo.
Alla
luce di quanto detto finora è semplicemente inconcepibile che un’inflazione da
costi diventi, sic et simpliciter, un’inflazione da domanda.
Eppure
la parola d’ordine in questi tempi del governo e della Banca d’Italia è di “non
disancorare” l’inflazione e impedire la spirale prezzi-salari.
Se i
salari sono fermi, se non esistono meccanismi di indicizzazione e recupero,
tali affermazioni surreali e spudorate che senso hanno?
Hanno
il senso di un fuoco di sbarramento contro ogni futura, possibile richiesta
salariale.
È una
menzogna, nella situazione attuale, evocare la spirale prezzi-salari.
Nelle
“Considerazioni finali” del 31 maggio scorso, il Governatore della Banca
d’Italia Visco ammette che se è concepibile una spirale prezzi-salari in USA
ove esiste un’inflazione da domanda, nell’area euro “la dinamica delle
retribuzioni è sinora rimasta moderata”.
Ciò
nonostante, le richieste di adeguamenti salariali sarebbero accettabili solo se
si risolvessero “in aumenti una tantum [perché in tal caso] il rischio di un
circolo vizioso tra inflazione e crescita salariale sarebbe ridotto”.
Anziché ad una “vana rincorsa tra prezzi e
salari”, ci ricorda Visco, bisogna mettere mano alla produttività.
Il
governo Draghi, in stretta assonanza, ribadisce il salvifico appello:
“Sindacati, imprese e governo lavorino insieme”.
Indice
IPCA / massacro sociale / un cenno ancora al gas.
È
giunto ora il momento di affrontare la questione dell’indice IPCA e della
contrattazione collettiva.
Ho
presente al riguardo la pubblicazione online della collana “ADAPT – Scuola di
alta formazione in relazioni industriali e di lavoro, numero del 2013”.
La collana è (o almeno era) diretta da Michele
Tiraboschi e si ispirava a Ezio Tarantelli.
Il
paragrafo che ci interessa reca appunto il titolo “Indice IPCA e contrattazione
collettiva”.
Vi
leggiamo:
“Le
crisi petrolifere del 1973-74 e del 1979-1980 hanno restituito all’Italia degli
anni Ottanta un’inflazione galoppante, contrastata dagli interventi di politica
dei redditi studiati dal professor Ezio Tarantelli (lodo Scotti e decreto di San
Valentino),
volti ad
arrestare la spirale prezzi-salari-prezzi e ridurre l’inflazione giocando una
politica salariale d’anticipo in grado di programmare gli aumenti retributivi
in linea con l’inflazione attesa”.
Si
legge inoltre che, nel Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione
e sugli assetti contrattuali del 1993, le parti sociali “abbandonarono
definitivamente il meccanismo della scala mobile, concordando l’utilizzo
dell’inflazione programmata nel primo livello di contrattazione e garantendo,
quale elemento di tutela del potere d’acquisto dei lavoratori, il recupero
dello scostamento tra inflazione programmata ed effettiva.
Al
secondo livello di contrattazione spettava invece la regolazione delle
retribuzioni sulla base dei risultati di produttività e redditività aziendale”.
Questo
meccanismo ha funzionato fino al 2009, allorché, con l’Accordo Quadro sulla
riforma degli assetti contrattuali,
“governo
e parti sociali hanno stabilito un nuovo indice previsionale di inflazione:
l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea
(IPCA) depurato della dinamica dei prezzi dei beni energetici importati.
L’elaborazione è stata affidata ad un soggetto
terzo, identificato […] a partire dal 2011 […] nell’Istat”.
L’IPCA
è una delle innovazioni più note dell’Accordo del 2009, (la Cgil non aderì denunciando la
minore protezione fornita da questo indice al potere d’acquisto dei salari).
“L’Accordo
ha confermato il sistema di salvaguardia del potere d’acquisto [?] attraverso
la verifica di eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista [non più
programmata] e quella reale effettivamente osservata”.
Quindi,
tale indice istituzionalmente non contiene l’inflazione importata.
I
meccanismi dell’inflazione programmata prima e dell’inflazione prevista poi,
prevedono recuperi degli altri tipi di inflazione ex post e solo in parte con
l’inevitabile effetto che una parte del salario è sottratta ai lavoratori.
Se
l’inflazione prevista non contempla, come non contempla, l’inflazione
importata, quale strumento di difesa rimane ai lavoratori?
I
rinnovi contrattuali che sono lenti, farraginosi, sempre rinviati.
Leggiamo
su “Il Fatto Quotidiano” del 4 giugno scorso:
“Quasi
sette milioni di lavoratori italiani sono in attesa del rinnovo del contratto
nazionale.
Per dirla meglio, quasi sette milioni di
persone aspettano un aumento in busta paga che permetta quantomeno di far
fronte ai rincari.
Non è
tutto: oltre a questi, tanti altri lavoratori hanno ottenuto di recente il
rinnovo, ma non ancorato all’inflazione [ora al 6,9%]. […].
Una
serie di trattative è in corso, ma di solito si ragiona prendendo come riferimento
l’indice IPCA che non tiene conto dei rincari energetici importati […].
A
marzo 2022, secondo l’Istat, il tempo medio di rinnovo dei contratti scaduti
risulta pari a 30,8 mesi”.
Dall’abolizione
della scala mobile, avviata con il referendum del 1985, i salari hanno molto
perduto.
La situazione si è aggravata negli ultimi
trent’anni (è
del 23 luglio 1993, abbiamo visto, il primo accordo interconfederale post scala
mobile).
La
massa salariale è scemata in modo esponenziale.
l’Istat
prevede che quest’anno il potere d’acquisto delle famiglie calerà almeno del 5%
(la
valutazione è benevola).
Secondo
l’OCSE, l’Italia è l’unico Paese sviluppato nel quale durante gli ultimi
trent’anni i salari sono calati del 3%, mentre in Germania sono aumentati del
34%, in Francia del 31% e in Spagna del 6%.
Guerra
in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale.
Dinamica
degli stipendi nei Paesi Ocse fra il 1990 e il 2020. Fonte Ocse.
In
conclusione, il governo e le élite dei gruppi capitalistici dominanti italiani
ed europei (oltre gli USA) che hanno alimentato il carovita prima della guerra
in Ucraina, e lo hanno incrementato con le loro politiche guerrafondaie e
sanzionatorie nel corso del conflitto, stanno scaricando, e hanno in progetto
di continuare a scaricare in futuro, tutto il peso della crisi sui subalterni,
sulle masse popolari, le quali non dispongono in Italia (e non solo), di
adeguati strumenti di difesa e di soggetti sociali e politici che abbiano la
volontà e/o i mezzi per sostenerli.
Inflazione,
riarmo, politiche monetarie restrittive, stagflazione, incipiente recessione
(in alcuni paesi, esempio Regno Unito, già cruda realtà), disoccupazione,
erosione dei risparmi, sostanziale estinzione dei pochi residui di welfare, è
questo il quadro d’insieme che abbiamo davanti.
Solo
un’ampia mobilitazione di massa dei lavoratori e dei pensionati contro il
carovita e la guerra, per la difesa dei salari e delle pensioni, per il lavoro,
può contrastare la deriva alla quale UE e USA hanno condannato gran parte dei
loro popoli.
Abbiamo
precedentemente affrontato le dinamiche dei prezzi energetici e della loro
riferibilità, se non in termini assai parziali, al conflitto in corso in
Ucraina.
Dedichiamo
ora un cenno al caso degli ultimi giorni del prezzo del gas e alle parziali
sospensioni della sua erogazione, da parte di Gazprom, a Germania e Italia (totale la sospensione del poco gas
erogato alla Francia).
Nelle
ultime settimane l’UE ha proposto il piano “REPower EU” (confronta sopra) di chiusura strategica all’apporto
del gas russo alle sue economie, ha stipulato accordi con l’Algeria per la
fornitura di gas a parziale copertura di quello russo (gas che l’Algeria ha
potuto fornire perché, per ragioni legate ai suoi rapporti bilaterali con la
Spagna per la questione del Sahara Occidentale, lo ha completamente sottratto a
quest’ultima).
Sono
stati stipulati accordi tra UE, Israele ed Egitto per la fornitura di GNL,
trasformato dall’Egitto, ed arbitrariamente estratto come gas naturale da
Israele nel Mediterraneo, senza intesa alcuna con altri Stati, come il Libano,
che ne rivendicano pure la propria giurisdizione.
Tale
accordo prelude a un ridisegno dell’area mediorientale con l’emarginazione
definitiva di Libano e Siria dai grandi movimenti e interessi d’area e con
l’allineamento, pressoché completo, (e questo è un fatto nuovo) delle politiche
dell’UE e degli USA anche relativamente alla questione palestinese (a quando il riconoscimento di
Gerusalemme capitale da parte della burocrazia di Bruxelles?).
È nota
poi l’estensione della ricerca di fonti di approvvigionamento alternativo
dell’UE a paesi africani e all’Azerbaigian.
Non si
può sottacere inoltre che la Germania ha espropriato “Gazprom Germania”, nodo
distributivo e finanziario importante di Gazprom nella diramazione del gas in
Germania (e
non solo).
L’UE
ha varato, si è visto, la sesta tornata di sanzioni alla Russia per il petrolio
e i prodotti petroliferi.
Dopo
tutto questo, si attendeva dall’Occidente che tutto continuasse come prima da
parte della Russia, in modo da permettere all’Occidente stesso di completare,
in tempo utile per l’inverno, le operazioni di stoccaggio con il gas russo!
Sembrano
le pretese di un bambino prepotente che sottrae i giocattoli, tutti i
giocattoli, a un altro bambino e vuole continuare, col consenso di
quest’ultimo, a giocare con lui.
Inflazione
e recessione: il caso emblematico dell’Inghilterra.
All’inizio
dell’anno la banconota britannica era ai massimi degli ultimi anni sull’euro.
Nel
giro di poche settimane la sterlina è di nuovo nel ciclone e sta perdendo
rapidamente posizioni contro euro e dollaro.
Ora il
Pound è definito “il malato del mondo” tra le valute.
Ha
subito un calo del 10% sull’euro in tre mesi.
È una
flessione molto rapida che si spiega con una scommessa al ribasso sul Paese:
gli hedge fund hanno cambiato posizione sulla sterlina.
I dati del mercato dei future statunitensi
mostrano che i fondi speculativi hanno iniziato a scommettere contro la
sterlina: una scommessa che ora vale quasi 5 miliardi di dollari.
Poco
prima dell’inizio della guerra, il 24 febbraio, i dati della “Commodity Futures
Trading Commission” hanno mostrato che i fondi detenevano una piccola posizione
lunga scadenza sulla sterlina e la stessa valuta veniva scambiata a 1,4 sul
dollaro.
Nove
settimane dopo, i fondi sono short (corti) in sterline per un totale di circa
59 mila contratti: è la più grande scommessa contro la sterlina da tempo.
La
giravolta degli hadge fund è conseguenza dell’imminente recessione economica.
La Banca d’Inghilterra teme una “apocalisse”
economica nel 2022.
Scrive” Il Sole – 24 Ore” del 25 maggio:
“Sono
gli effetti del mondo post covid, che ha visto l’inflazione salire; e della
guerra in Ucraina che ha dato una mazzata al costo dell’energia. Il costo della
vita sta salendo a ritmi insostenibili:
l’inflazione
è attesa al 10% a fine anno, e i redditi delle famiglie sono erosi per pagare
le bollette e gli affitti.
Con
meno consumi, in un’economia che vive di servizi, l’economia rallenta.
Ecco
che allora hedge fund fiutano la preda e [prendono] posizione.
Il
Regno Unito [che importa energia] ma anche molto cibo e semilavorati, ha fatto
forza su accordi commerciali extra Ue per compensare le perdite del mercato
unico.
Accordi
che finora hanno funzionato anche grazie una valuta forte.
Per un paese importatore, significa potere
d’acquisto.
Ma con
una sterlina debole […] diventa molto più costoso.
E
quindi, a cascata, ancora più inflazione e un’economia ancora più in
difficoltà”.
E
quindi ancora più vendite sulla valuta da parte dei fondi speculativi. Allora
rialzo dei tassi e recessione.
Economia
di guerra / armi / dollaro.
L’Osservatorio
del sulle spese militari italiane (Milex) – fondato nel 2016 con la
collaborazione del Movimento Nonviolento, nell’ambito di attività della Rete
italiana per il disarmo – il 16 marzo scorso riporta il voto a larghissima
maggioranza (391 voti favorevoli su 421 presenti, 19 contrari) di un ordine del
giorno collegato al decreto “Ucraina” proposto dalla Lega e sottoscritto da PD,
FI, IV, M5S, e FdI.
Il
voto di tale odg impegna il governo ad avviare l’incremento delle spese per la
“Difesa” verso il traguardo del 2% del Pil.
Nella
parte dispositiva del testo approvato, si legge che tale risultato dovrebbe
essere raggiunto “predisponendo un sentiero di aumento stabile nel tempo, che
garantisca al Paese una capacità di deterrenza e di protezione”.
Mentre nell’immediato bisogna agire per
“incrementare alla prima occasione utile il Fondo per le esigenze di difesa
nazionale”.
Ciò
significherebbe, citando le cifre fornite dal ministro Guerini, passare da 25,8
miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno
(104 milioni al giorno).
L’indicazione
di spese militari pari ad almeno il 2% del Pil in ambito Nato deriva da un
accordo informale del 2006 dei Ministri della difesa dei Paesi membri
dell’Alleanza atlantica, poi confermato e rilanciato al vertice dei Capi di
Stato e di Governo del 2014 in Galles.
Era
stato deciso che l’obiettivo dovesse essere raggiunto entro il 2024, con un 20%
di spesa da destinare a investimenti in nuovi sistemi d’arma.
La
quota indicata del 2% del Pil non ha mai avuto una giustificazione specifica e
di natura militare, cioè dettata da esigenze operative, ma è stata vista come
spinta alla crescita della spesa.
Accanto
e oltre l’obiettivo del 2% dei paesi Nato, c’è un ulteriore fondo, “European
Defence Fund” (Edf), per cofinanziare progetti transfrontalieri insieme ai
bilanci nazionali.
L’Edf (cfr. “Il Fatto Quotidiano” del 26
maggio) ha il compito di assemblare le
proposte della lobby delle armi di cui è espressione il Commissario europeo
alla Difesa Thierry Breton.
“L’anno
scorso Breton ha ufficialmente istituito un comitato di esperti in cui cura a
porte chiuse i suoi rapporti personali con i giganti del business della guerra
che ambiscono a spartirsi gli 8 miliardi stanziati dall’Edf dal 2021 al 2027”.
Al
comitato partecipano 61 enti, la stragrande maggioranza produttori di armi. Tra
questi l’italiana Leonardo, le francesi Thales e Safran, la spagnola Indra e
Airbus, la società transeuropea con sede in Olanda.
Leonardo
è tra i produttori di armi con cifre record per finanziamenti UE, spese di
lobbyng ed export.
Nell’elenco
dei primi 100 esportatori di armi al mondo, stilato nel dicembre 2021
dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace (Sipri) di Stoccolma,
Leonardo occupa il 13º posto con vendite per un valore di 10,6 miliardi.
In
Europa è terza, alle spalle solo del britannico Bae Systems (22,7 miliardi) e
della franco-tedesca Airbus (11,3 miliardi).
L’annunciato
riarmo europeo (cfr. “Il Fatto Quotidiano” del 27 maggio), spingerà i Paesi a una
ristrutturazione dell’industrie nazionali per sedersi al tavolo della futura
Difesa comune, evitando duplicazioni nei programmi.
Per questa ragione il governo sta mettendo a
punto un “polo militare italiano”, secondo le parole di Giorgetti, ministro
dello Sviluppo economico, che potrebbe passare dalla fusione tra Fincantieri e
Leonardo.
Se la
guerra darà impulso al progetto di Difesa europea bisognerà presentarsi con
gruppi solidi e punti di forza di fronte ai concorrenti e in tale quadro va
vista la liquidazione di Giuseppe Bono di Fincantieri, considerato un ostacolo
all’operazione (era proprio quel Bono della cena con D’Alema, quest’ultimo scoperto a
fare da mediatore per una commessa alla Colombia di armi di Leonardo e
Fincantieri).
Germania
e armi.
“Quello
che non è riuscito all’ex presidente USA Donald Trump”, (“Il Fatto” del 5 giugno scorso)” è riuscito al democratico Joe
Biden.
La Germania pagherà.
Comincerà
col fondo straordinario di 100 miliardi di euro [da spendere in 3-4 anni] […]
per ammodernare le forze armate tedesche […].
Gran
parte di questi soldi verranno usati per comprare armi prodotte da aziende
americane, a partire dagli F-35.”
Il
Parlamento federale ha approvato il 3 giugno scorso la modifica della
Costituzione necessaria per creare, con nuovo debito pubblico, il fondo di 100
miliardi annunciato dal cancelliere Scholz il 27 febbraio.
È pure
confermato l’impegno ad aumentare lo stanziamento annuale per la difesa al 2%
del Pil, prodotto che nel 2021 ha superato 3.500 miliardi di euro (il doppio di
quello italiano).
Il che
significa che raggiungere il 2% entro il 2024 vuol dire spendere quasi 17
miliardi in più all’anno.
Ne è
conseguita naturalmente una grande impennata delle quotazioni delle industrie
tedesche di armi, in primis la Rheinmetall, colosso degli armamenti terrestri,
e poi la Hensoldt, che produce sensori elettronici per i caccia Eurofighter.
Giulio
Da Silva sul “Fatto” cit., ci spiega che appunto buona parte (dei 100 miliardi) verrà
usata per armi statunitensi.
La
Germania in marzo ha deciso di comprare 35 cacciabombardieri F-35 prodotti
dalla Lockheed, gli unici in grado di trasportare bombe atomiche.
E
intende comprare anche 60 elicotteri pesanti da trasporto prodotti dalla
Boeing. Dagli USA verranno comprati anche missili della Raytheon.
Se
l’80% degli stanziamenti tedeschi sarà mandato altrove (USA in particolare), il
60% delle armi già comprate dai Paesi UE tra il 2007 e 2016 è di provenienza
USA (e Israele).
Regime
militare USA e dollaro.
Il
Sipri (Istituto
Internazionale di Ricerche per Pace di Stoccolma) ha calcolato che i primi 100
produttori di armi del mercato mondiale hanno totalizzato nel 2020 vendite per
531 miliardi di dollari. Mentre la spesa militare mondiale del 2021 ha superato
per la prima volta i 2.000 miliardi, tenendo conto di tutte le voci ad esempio
il personale .
Guerra
in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale.
Andamento
delle spese militari mondiali dal 1988 al 2021. Fonte Sipri.
Sempre
nel 2021 il Paese che ha speso di più sono stati gli USA (801 miliardi di
dollari), seguiti da Cina (293 miliardi), India (76,6 miliardi), Regno Unito e
Russia.
Guerra
in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale
La
spesa militare per Stato nel 2021. Fonte Sipri
Dati
più recenti che tengono conto dell’incremento poderoso delle spese militari nel
corso dell’attuale conflitto, proiettano la spesa USA non lontana da 1.000
miliardi nel 2022.
Le
aziende statunitensi dominano, sono 41 tra le prime 100.
I dati
elaborati dal Sipri sono riferiti al 2020 e solo ai ricavi nelle “armi e
servizi militari”.
Al
primo posto c’è Lockheed Martin: 58,2 miliardi di dollari di ricavi su 65,4 del
gruppo; al secondo Raytheon, si è visto primo produttore mondiale di missili,
quali i noti Patriot.
Produce anche gli Stinger e, con Lockheed, i
Javelin anticarro forniti anche, e abbondantemente, all’Ucraina.
Terza
è la Boeing, 32,1 miliardi di ricavi nella difesa (produce aerei da caccia e armi da
rifornimento).
La
prima europea è la britannica Bae Systems, sesta con 24 miliardi di ricavi nel
settore delle armi. Di Leonardo abbiamo già detto.
La
strategia, ormai quasi di ottanta anni degli USA, di “costruire nemici”, meglio
se stabili e di lunga durata, è propria delle logiche di ogni Stato e regime
militare. Serve a più scopi rimasti nel tempo abbastanza invariati.
In
primo luogo è utile ai fini interni per compattare la popolazione e ottenere
consenso all’azione del regime.
L’adesione
acritica diffusa, infantile, della gran parte dei nordamericani è “costruita”,
direi scientificamente, utilizzando le più moderne tecnologie e un apparato
vasto e complesso di personale e competenze permanentemente mobilitati allo
scopo.
Spesso collegati o addirittura emanazione
della CIA e delle altre strutture simili (negli ultimi trent’anni soprattutto
nell’est Europa sotto la veste esteriore di Ong).
In
secondo luogo è basilare per la per la riproduzione capitalistica USA, cioè per
quella parte di essa, assai importante, che si fonda sul complesso
militar-industriale.
Una spesa militare di quasi 1.000 miliardi
all’anno destinata in misura rilevante a commesse verso le proprie aziende
militari le quali grazie anche al trasferimento dell’innovazione tecnologica
realizzata con fondi pubblici facilitano l’export di armamenti che risulta una
voce di primo piano del Pil statunitense e della sua bilancia dei pagamenti.
Guerra
in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale
I
principali 10 Paesi esportatori di armamenti nel quinquennio 2017-21. Fonte:
Sipri.
Qual è
lo strumento che si è rivelato storicamente più efficace non solo per il
predominio geopolitico, ma per la supremazia valutaria e finanziaria su scala
planetaria?
È la
forza, la forza militare, la preponderanza strategico-militare. Che è (o è
stata) anche preponderanza tecnologico-scientifica.
La
forza del dollaro, la possibilità per gli USA di ottenere “in perpetuo” il
finanziamento del proprio cronico deficit esterno mediante l’uso dell’avanzo
delle bilance dei pagamenti degli altri Stati, cioè con il risparmio mondiale,
dipendono dalla (finora) grande affidabilità del dollaro e dall’enorme
movimento di capitali planetari verso i porti della finanza americana.
E
tutto questo discende da varie cose, di cui una è essenziale: la primazia
militare.
Per
tale ragione le opposizioni – quale quella russa per interposta Ucraina –
all’ormai longevo modello statunitense, destano reazioni viscerali e un’aspra
volontà di annichilimento dell’oppositore, meglio se attraverso conflitti
(degli altri) di lunga durata.
Quindi
opporsi ai disegni guerrafondai degli USA, per interposta Nato e con
l’assistenza ancillare dell’UE, è opporsi a quel modello e al conseguente
signoraggio del dollaro.
Quale
Russia?
Due
mesi e mezzo fa (a 45 giorni dall’inizio delle ostilità) erano state valutate in più di 600 le
multinazionali che si supponeva avessero deciso o annunciato di uscire in tutto
o in parte dalla Russia.
Nei
settori più diversi, da petrolio e hamburger all’high tech, media e banche.
Secondo
Jeffrey Sonnenfeld, dell’Università di Yale, gran parte delle imprese in uscita
era statunitense ed europea con alcune rilevanti eccezioni asiatiche come
Samsung e Toyota.
Del
complesso delle aziende alcune si ritirarono (all’aprile scorso 250), altre
sospesero le attività (257), altre si ridimensionarono (72), altre ancora presero
tempo (99), rinviando gli investimenti.
Secondo
Sonnenfeld erano 194 i gruppi, per così dire, “arroccati” in Russia.
Tra
questi la conglomerata USA Koch Industries, Astra-Zeneca, J&J (“Il Sole – 24 Ore”del 9 aprile
scorso).
Tra le
italiane, l’ad (Amministratore Delegato) di Intesa San Paolo, Carlo Messina,
ebbe a dichiarare in aprile che l’impatto sulla banca fosse “assolutamente
gestibile”, mentre la presenza in Russia fosse ormai “in fase di revisione
strategica”.
Intesa “sin dall’inizio della crisi […] non ha
perfezionato nuovi finanziamenti con controparti russe e bielorusse e ha
interrotto le attività di investimento in strumenti finanziari”.
L’esposizione
complessiva di Intesa San Paolo verso la Russia era al momento di circa 5,1
miliardi di euro.
Più
significativa era l’esposizione di Unicredit Russia (13,3 miliardi), presente
al Forum di San Pietroburgo del 15-18 giugno (Spief) con Vadim Aparkhov, membro
del consiglio di amministrazione della controllata russa AO Unicredit Bank.
Andrea
Orcel, ad di Unicredit, nei giorni a ridosso del Forum, a proposito
dell’attività della banca in Russia, ha dichiarato:
“La nostra esposizione in Russia è stata gestita in
modo razionale: l’abbiamo ridotta, ma svalutare il business non è corretto e
non è nemmeno in linea con le sanzioni”. In sostanza Unicredit non intende
svendere le sue attività in Russia.
L’ad
di Enel, Francesco Starace, nei mesi scorsi a più riprese ebbe a dichiarare che
il gruppo “non poteva avere un ulteriore crescita in Russia”, ove controlla tre
impianti di generazione a ciclo combinato e due impianti eolici.
Tutte
le strade per lui “erano percorribili”.
Il 16
giugno scorso (cfr. “Il Sole – 24 Ore” del 17 giugno), prima energy company, Enel ha
concluso un accordo di vendita di tutti gli asset in Russia.
I
compratori sono Lukoil (la più importante società petrolifera russa e una delle
principali al mondo) e il Fondo privato di investimento Gazprombank-Frezia, non
colpiti dalle sanzioni.
Enel
ha ceduto per 137 milioni di euro il 56,43% che deteneva di Enel Russia.
L’operazione
deve ancora ottenere il via libera della Commissione governativa russa per il
monitoraggio degli investimenti esteri, autorizzazione che non dovrebbe mancare
perché, ci spiega Starace, “i compratori hanno già avuto un via libera quando
hanno rilevato le catene di distribuzione che la Shell ha venduto in Russia”.
Gli
azionisti di riferimento di Lukoil, fino alle dimissioni in aprile di
Alekperov, erano appunto Vagit Alekperov (28,30%) e Leonid Fedun (9,32%).
Alekperov
era un giovanissimo dirigente d’azienda sovietico, il quale, nella veloce
transizione dei primi anni Novanta è diventato dirigente dell’azienda
privatizzata e poi socio di riferimento della medesima.
Le
dimissioni, apparentemente per dissenso con l’“operazione speciale” in Ucraina,
per molti in Russia, sono stati un “escamotage” per salvare Lukoil in caso di
esito infausto per la Russia della vicenda Ucraina (e per salvare Alekperov
stesso). Non si può dire.
Vedremo.
Senz’altro
la cessione degli importanti asset dell’Enel in Russia è avvenuta a favore di
soggetti privati, uno dei quali è un soggetto finanziario.
Per
come si presenta, sembrerebbe un’operazione in continuità con il passato.
Un
brevissimo cenno a Eni, la quale ha dichiarato di essere pronta a cedere le
quote in Blue Stream (detenute con Gazprom). Fermiamoci qui.
La
Duma, la Camera bassa del Parlamento russo, il 25 maggio scorso ha approvato
una legge che consente al governo russo di nominare un nuovo management e di
fatto espropriare le società (soprattutto USA, giapponesi ed europee) che hanno
interrotto la loro attività nel paese, dopo l’inizio del conflitto in Ucraina,
non per motivi economici ma “per sentimenti antirussi” (“Il Sole 24 – Ore” del 26 maggio).
Secondo
la Yale School of Management, a fine maggio, sono 500 le società che hanno
deciso di lasciare la Russia.
Esse
rappresentano il 63% delle aziende straniere presenti nel territorio russo
prima della guerra, con quasi 40 mila dipendenti e un fatturato di circa 7,5
miliardi di euro.
“La
lista nera stilata da Mosca comprende decine di multinazionali della logistica,
dell’industria energetica, delle tecnologie, delle automotive, della grande
distribuzione:
da
Maersk a Msc; da Shell a Bp; da Volkswagen-Porsche a Toyota, Volvo e Renault;
da Apple a Microsoft a Ibm; da McDonald’s a Starbuks, Levi’s, Ikea [etc.].
Molte di queste hanno sospeso le operazioni, […] altre hanno abbandonato tutto,
nonostante i notevoli investimenti” (ib.).
Il 25°
International Economic Forum di San Pietroburgo (SPIEF).
Il 6
giugno scorso, in un messaggio agli organizzatori del Forum, il presidente
Putin ha parlato dei settori industriali in difficoltà.
Si
tratta in primo luogo del settore automobilistico sul quale pesa (oltre la
partenza di importanti case straniere come Renault e Volkswagen), la mancanza,
a causa delle sanzioni, di componenti importate.
Ciò
costringerà le fabbriche a chiudere via via che le scorte si esauriranno.
Anche
l’industria siderurgica rischia “sostanziali tagli produttivi nel medio
termine”.
Entro
fine luglio il Governo, secondo una direttiva presidenziale, dovrà definire una
nuova impostazione del budget federale per i prossimi anni, che miri a ridare
slancio alla crescita.
Sono
molte le domande che nascono di fronte alla genericità del progetto di
espropriazione delle realtà industriali dei “paesi ostili” e all’altrettale
genericità del “nuovo” budget federale.
A chi
andranno le industrie espropriate o acquistate?
Saranno
puramente e semplicemente privatizzate?
Chi costruirà i loro progetti industriali?
Il
management proverrà dal bacino del modello economico putiniano dei decenni
precedenti?
Le
aziende pubbliche e/o pubblicizzate che ruolo avranno nella Russia del
post-conflitto?
L’intervento
di Putin del 17 giugno scorso alla sessione plenaria del Forum, qualche
risposta (non molte) l’ha data.
Dividiamo
il suo intervento in due parti: quella dell’attacco (fondato e condivisibile)
all’Occidente e quella progettuale.
“Gli
Stati Uniti si consideravano l’emissario di dio sulla terra ma ora la Russia
sta prendendo il proprio posto in un nuovo ordine mondiale le cui regole sono
stabilite da Stati forti e sovrani […].
L’era dell’ordine mondiale unipolare fondato
sullo strapotere degli USA è finita”.
“Nulla
sarà come prima, nulla è eterno” dice poi il presidente della federazione
russa.
“Il
blitzkrieg economico contro la Russia non è riuscito, non aveva alcuna
possibilità di riuscire fin dall’inizio”.
E ora
danneggerà di più chi ha imposto le sanzioni “folli e insensate”, una spada a
doppio taglio che potrebbe far perdere all’UE più di 400 miliardi di dollari.
“La
Russia” prosegue, “non ha alcuna responsabilità” per la crisi economica e per
un’inflazione in Occidente le cui radici, sottolinea, risalgono a prima del
conflitto. “La Russia perseguirà l’obiettivo di inflazione al 4% […]”.
“Abbiamo
sentito parlare tutti di inflazione putiniana […]. Io penso: ma chi ha ideato
questa stupidaggine? Chi non sa né leggere né scrivere. Ecco tutto”.
E
ancora: “L’UE
ha perso la sua sovranità politica, adottando sanzioni che le si sono ritorte
contro e i cui costi ricadranno sulle popolazioni […]. Hanno fatto tutto con le
loro mani”.
Per
l’Europa poi già si intravede “un aggravamento delle disparità, delle tensioni
sociali, dei radicalismi […] e in prospettiva il cambio delle élite al potere”.
Passando
alla seconda parte, Putin dichiara che la Russia è “pronta ai cambiamenti
globali e propone nuove soluzioni alla crisi”.
Bisogna
trasformare i problemi in possibilità.
“Dobbiamo
fare un lavoro sistemico, un piano di sviluppo a lungo termine impostato su
alcuni principi chiave”.
In
primis il rifiuto dell’isolamento: “La Russia si svilupperà come un’economia
aperta, non imboccherà la strada dell’autarchia”.
Il
secondo elemento fondamentale è l’appello al contributo degli imprenditori
privati, come Oleg Deripaska, che ascolta in prima fila.
La
Russia “deve essere in grado di produrre tecnologie chiave”.
È fondamentale raggiungere “l’indipendenza”
nelle alte tecnologie.
E,
rivolto agli investitori, anche occidentali: “Il nostro Paese ha un enorme
potenziale […] investite qui, investite nella creazione di nuove imprese […]”.
Un
ruolo centrale nella Russia post-conflitto sembra destinato allora all’impresa
privata interna ed esterna.
L’inquietante
presenza di gente come Deripaska, lascia aperto il dubbio che si tratti solo di
un parziale rimescolamento di ceti capitalistici russi sempre interni al
modello e alle caratteristiche proprie del ceto dirigente economico-finanziario
russo degli ultimi decenni.
Non
basta il riferimento, nella relazione, alle indicizzazioni che sono effettive,
al mantenimento di una qualche forma di welfare e a misure di tutela dei ceti
subalterni, quali i crediti agevolati, i sussidi, mutui a tassi bassi.
Ne basta l’importante aumento (10%), operato
nei mesi scorsi, di salari e pensioni medio-bassi per fronteggiare
l’inflazione.
Parte
di tutto questo, e in misura certamente minore, lo vediamo anche in Occidente.
Non è
visibile al momento, a giudicare dalle parole di Putin, una chiara volontà di
costruire un’architettura economico-sociale “alla cinese”, con un ruolo
importante deferito al capitale pubblico (e ai soggetti economici pubblici) e
con la relativa capacità di orientamento e controllo, se e quando strettamente
necessario, da parte del ceto politico nei confronti di un consistente e
intraprendente ceto capitalistico.
Nel
discorso di Putin al Forum, le aziende a partecipazione statale, per il futuro,
sembrano relegate a un ruolo economicamente e politicamente non più rilevante
di quello che occupano ora.
Ma
esiste un progetto alternativo e di opposizione nella Russia post-bellica,
escludendo, il dissenso dei ceti filo-occidentali delle grandi città legati,
per rapporti materiali e culturali, alle multinazionali occidentali?
Non è
dato sapere con chiarezza. Di certo il partito comunista di Gennadij Zjuganov ha
mostrato da tempo subalternità rispetto al disegno e alla prassi politica dei
partiti che hanno sostenuto i vari governi russi.
Concludo
affermando che sarebbe un’occasione perduta, per la Russia e anche per le masse
popolari dell’Occidente, se tutto o gran parte di quello che è successo e sta
succedendo fuori dalla Russia e dentro la Russia si risolvesse alla fine in una
operazione puramente geopolitica, oltre naturalmente che di difesa delle
popolazioni vessate del Donbass e di resistenza all’aggressività della Nato per
interposta Ucraina.
E non favorisse i “cambiamenti strutturali”
economico-sociali e politici (quantomeno verso un’economia mista del tipo
cinese), con la comparsa di nuove soggettività, di nuove rivendicazioni e di
nuova democrazia sociale, economica e politica.
(Raffaele
Picarelli)
Due
poli e una serie di satelliti.
Un
nuovo ordine mondiale.
Uffingtonpost.it - Alfredo Luís Somoza – (16
Novembre 2022) – ci dice:
Cina e
Stati Uniti con attorno i Paesi del G20.
Per la
prima volta, senza un ruolo da protagonista per l’Europa, aggrovigliata nei
suoi problemi.
Con la
crescita di alcune potenze regionali come Turchia, Indonesia, Brasile e,
malgrado il conflitto, Russia.
Dopo
anni di caos, il mondo sembra avviarsi verso un nuovo ordine.
Le elezioni di midterm che hanno rafforzato
Joe Biden negli Stati Uniti, il ritorno del Brasile tra i protagonisti globali,
lo stallo del conflitto ucraino-russo e la continuità al potere di Xi Jinping
in Cina lasciano intuire che sta iniziando una nuova fase nel tormentato
scenario internazionale, messo a dura prova dalla pandemia e dal ritorno dei
conflitti che coinvolgono potenze nucleari.
Il
tutto si può sintetizzare nel discorso che Biden ha pronunciato davanti al
leader cinese a margine del G20 di Bali, quando ha affermato che “come leader
delle principali economie del mondo, dobbiamo gestire la competizione dei due
nostri Paesi”.
Da un
lato, si è appellato alla Cina perché cessi la competizione, ormai arrivata
sull’orlo della guerra commerciale, che in realtà è stata iniziata da Donald
Trump.
Dall’altro,
ha riconosciuto a Pechino lo status di unica potenza mondiale con la quale gli
Stati Uniti si devono misurare.
Si
potrebbe dunque concludere che un nuovo bipolarismo sia alle porte, ma bisogna
essere cauti.
Anzitutto,
qui non si parla di equilibrio militare: su quel piano, la Cina è lontana anni
luce dal poter essere considerata un vero rischio per gli Stati Uniti, come
invece lo fu l’Unione Sovietica.
Soprattutto,
Cina e USA sono fortemente legati tra loro da rapporti commerciali e finanziari
costruiti nei decenni precedenti.
Nella
lunga storia delle potenze mondiali, mai si erano visti due Paesi così vicini
economicamente e così lontani politicamente.
Ma questa è la complessità e la contraddizione
dell’odierna globalizzazione:
pur
restando politicamente molto distanti si può vendere e comprare lo stesso, e
consumare lo stesso.
Proprio
questo è stato il quadro definito dal discorso di Xi Jinping durante l’incontro
con Biden:
possiamo
essere soci commerciali, possiamo anche lavorare per la pace nel mondo e
cercare insieme una soluzione ai cambiamenti climatici, ma non sono permesse
critiche né intromissioni nella politica interna di ciascuno.
Questo
significa che Washington non deve interferire su Hong Kong, deve dimenticare
gli uiguri che Pechino “rieduca” in campi di concentramento e non spingere
Taiwan sulla via dell’indipendenza, perché l’isola prima o poi tornerà nella
madrepatria.
Xi
Jinping propone quindi una rilettura aggiornata dei rapporti tra statunitensi e
sovietici durante la Guerra Fredda.
All’epoca, quando le due potenze discutevano
di disarmo, non parlavano di ideologie, ma solo di missili.
Pechino
vorrebbe ora che, quando Stati Uniti e Cina parlano di commercio, si discutesse
solo di dazi e non di diritti umani.
Questa
impostazione pragmatica contraddice però la linea perseguita negli ultimi anni
dalla politica estera di Washington.
Se
verrà accettata, come lascia intuire il discorso di Biden, si toglierà dal
tavolo il tema – o meglio, l’alibi – finora usato per fare pressione sulla
Cina, quello dei diritti umani.
La
questione dei diritti, infatti, non interessava più di tanto nemmeno prima, ma
serviva a rafforzare la posizione negoziale americana.
Se i
rapporti tra i due Paesi saranno schietti, come chiesto da Xi Jinping, sulle
violazioni cinesi dei diritti umani calerà un velo di silenzio, in patria e
all’estero.
Non è
certo una bella cosa, anche se eliminerebbe l’uso ipocrita del tema, brandito
contro l’avversario come una clava ma rispettato solo a giorni alterni.
Il
nuovo ordine internazionale che potrebbe nascere dall’indiscutibile supremazia
di Stati Uniti e Cina nega, per la prima volta, un ruolo da protagonista all’Europa,
aggrovigliata nei suoi problemi, mentre è destinato ad accrescere il peso di
alcune potenze regionali come Turchia, Indonesia, Brasile e, malgrado il
conflitto, Russia.
Quello
che si stabilirà sarà infatti un equilibrio con due poli centrali, Cina e Stati
Uniti, e una serie di satelliti, i Paesi del G20.
Sarà
l’ultima tappa del declino dell’Occidente, al quale resteranno solo gli Stati
Uniti come simbolo, in un contesto globale più plurale da tutti i punti di
vista:
la pretesa superiorità di una parte del mondo
rispetto all’altra sarà una questione del passato, relegata nei manuali di
storia.
GUERRA
MILITARE E GUERRA IDEOLOGICA:
IL
"MANIFESTO DESTINO" DELL’OCCIDENTE.
Web.peacelink.it
- Giulio Girardi – (20-6-2022) – ci dice:
La
guerra in corso non è soltanto militare, è anche ideologica. La stessa Nato lo
ha riconosciuto quando, bombardando la televisione serba e trucidando i suoi
giornalisti, ha spiegato che essa era in realtà un obbiettivo militare, perché
la disinformazione era una delle armi più micidiali di Milosevic. Decretando la
morte di quei giornalisti "menzogneri", la Nato intendeva allo stesso
tempo affermare l’oggettività della sua rete informativa, e la validità
dell’ideologia che la ispira. Problema: l’ideologia che la Nato difende
militarmente è davvero meno menzognera e meno micidiale di quella del dittatore
Milosevic?
L’Occidente protagonista e norma etica del nuovo
ordine mondiale.
Vorrei
fare qualche riflessione su questo aspetto, ideologico, della guerra in corso,
richiamando l’attenzione sull’importanza che in essa assumono le categorie
"Occidente" ed "occidentale". Categorie politiche e
filosofiche che sembrano astratte, lontane dalle nostre storie personali; ma
che in realtà come cercherò di mostrare, ci coinvolgono profondamente.
Con il
termine "Occidente" si designa il blocco dei paesi del capitalismo
centrale transnazionale, egemonizzati dagli Stati Uniti. L’ideologia
occidentale, liberaldemocratica, che rappresenta il suo sistema di valori
economici, politici e morali, costituisce il collante dello schieramento. Essa
coincide sostanzialmente con il "pensiero unico" imposto dalla
globalizzazione capitalista, della quale esplicita la dimensione militare e
militarista.
Pertanto
l’Occidente non si afferma solo, con questa guerra, come il protagonista
indiscusso del nuovo ordine mondiale, ma anche come la sua norma etica,
politica e giuridica; quindi anche come punto di riferimento della
"normalità". Nella sua prospettiva, la superiorità economica e militare
coincide con la superiorità morale: per cui diventa il segno di una missione
storica, di un "manifesto destino", quello di difendere nel mondo i
valori di cui l’Occidente è depositario. Con la guerra l’Occidente, sotto
l’egida degli Stati Uniti, ha affermato clamorosamente questa missione
espropriando del loro ruolo le Nazioni Unite. Ha anche fornito la sua
interpretazione del nuovo ordine mondiale unipolare e del ruolo che al suo
interno esso si attribuisce.
Per
cogliere la portata di questa svolta storica, partirei da una considerazione
abbastanza ovvia: l’Occidente non sarebbe mai intervenuto in Iugoslavia, se
l’Unione Sovietica fosse rimasta la grande potenza che era. In quel contesto
geopolitico, l’Occidente avrebbe magari condannato verbalmente la pulizia
etnica compiuta da Milosevic, ma la Nato, consapevole della sua natura di
organizzazione difensiva, e constatando che nessun paese occidentale era
aggredito dalla Serbia, avrebbe escluso un suo dovere e un suo diritto
d’intervento. Una reazione così moderata sarebbe stata imposta, in ultima
istanza, più che da considerazioni etiche e giuridiche, dal cosiddetto
"equilibrio del terrore", ossia dal timore di una rappresaglia
sovietica.
I
nuovi compiti storici che oggi l’Occidente si arroga trovano qui la loro
spiegazione. Siamo passati dall’equilibrio del terrore allo squilibrio del
terrore. Scomparso il terrore della rappresaglia, il diritto del più forte può
scatenarsi senza remore, con la maschera dell’intervento umanitario.
Nell’antico
ordine mondiale, segnato dalla guerra fredda fra Oriente ed Occidente, la Nato
era, almeno ufficialmente, un’organizzazione militare difensiva, destinata a
proteggere i paesi occidentali da possibili aggressioni del blocco comunista.
Tale compito difensivo essa assolveva anche con la sua forza militare, che
garantiva l’equilibrio del terrore e fungeva così da deterrente nei confronti
del patto di Varsavia. Fu accolta allora con sorpresa e sconcerto la
dichiarazione di Enrico Berlinguer, che progettava di costruire il socialismo
sotto "l’ombrello della Nato".
Conclusa
con la vittoria dell’Occidente la guerra fredda, alla Nato è venuto a mancare
l’obbiettivo che costituiva la sua ragion d’essere. Essa doveva quindi
sciogliersi oppure ristrutturarsi, assegnandosi un altro obbiettivo. Ha optato
per la seconda soluzione, trasformandosi in strumento di affermazione
dell’egemonia occidentale, in particolare nordamericana, nel mondo. Nella nuova
prospettiva, il nemico da abbattere non è più il comunismo, ma qualunque paese,
movimento o ideologia che voglia sottrarsi all’egemonia occidentale od al
pensiero unico. La dottrina classica della sicurezza nazionale ha conosciuto
così un nuovo sviluppo geopolitico La prima vittima di esso è stata, come
vedremo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite., esautorata dalla Nato, perché
non più disponibile ad operare come suo strumento.
Ma sul
cambiamento di obbiettivi della Nato hanno pesato indubbiamente, oltre le
ragioni politiche che ho ricordato, anche forti ragioni economiche. La fine
della guerra fredda rischiava infatti di provocare una grave crisi della
potentissima industria delle armi, se avesse determinato la fine delle guerre
senz’altro. La trasformazione della Nato da organizzazione difensiva a
organizzazione d’intervento universale apriva per essa una possibilità
indefinita di guerre giuste e per l’industria delle armi nuove possibilità di
affari lucrosi. Di queste guerre giuste quella del Kosovo è solo la prima.
Un’intervista
rilasciata da Javier Solana, segretario generale della Nato (a Panorama del
29.4.99, p. 40), mi sembra esprimere in modo particolarmente incisivo questa
ideologia: "Vorrei ricordare che in questo conflitto non sono in gioco né
il petrolio né altre materie prime né altri sbocchi commerciali. L’unica cosa
in gioco sono i valori morali (sottolineatura mia). E credo che se l’Europa
vuole mantenere la sua grandezza etica, (sottolineatura mia) debba fare tutto
il possibile per fermare queste brutalità che non conoscevamo più dalla seconda
guerra mondiale. Se non lo facciamo, difficilmente potremo entrare a testa alta
nel 2000. Molti degli attuali dirigenti europei sono figli del ‘68, non hanno
vissuto la guerra, eppure hanno assunto un impegno forte in difesa dei valori
che hanno ispirato la loro vita." Nella stessa logica si muovono quei
commentatori che vedono nella guerra della Nato una guerra non solo giusta, ma
santa e la esaltano come una crociata laica.
Per
parte sua l’Italia, riconoscendo l’Occidente quale punto di riferimento della
"normalità", si assegna come obbiettivo del suo progresso economico
politico e culturale quello di "entrare in Europa", diventando un
"paese normale", cioè pienamente occidentale. Essa sa che solo
accettando di rispettare le regole del gioco fissate dall’Occidente, le sarà
possibile assolvere un ruolo, nel presente e nel futuro dell’Europa.
Nella
stessa logica, l’evoluzione della sinistra come della destra, in Italia e altrove,
consiste nel diventare una sinistra o una destra "occidentali" Giunta
al potere in gran parte dei paesi europei, la sinistra ha applicato
sostanzialmente, a livello economico, politico e militare, il programma della
destra. Ha dovuto scegliere tra rinunciare al potere e rinunciare a se stessa:
ha scelto di rinunciare a se stessa., alle sue opzioni generatrici, alla sua
identità. Ha dovuto scegliere, in definitiva, tra essere sinistra ed essere
occidentale, ha scelto di essere occidentale L’involuzione della sinistra a
livello mondiale, la sua subalternità economica, politica e culturale, è uno
dei segni più gravi della colonizzazione degli spiriti che il potere mondiale,
politico, economico e militare sta realizzando.
Con il
riferimento ai "figli del ’68" i quali hanno assunto un impegno forte
in difesa dei valori che hanno ispirato la loro vita, Javier Solana indica una
importante pista di riflessione: sul ruolo decisivo che la sinistra europea sta
assolvendo nella conduzione e nella legittimazione della guerra. Per noi questo
ruolo è lo sbocco naturale del processo di "occidentalizzazione"
della sinistra: accogliendo la chiamata alle armi, la sinistra è diventata a
pieno titolo cittadina dell’occidente; assumendo un ruolo decisivo nella legittimazione
ed il consolidamento del nuovo ordine mondiale. Sul tema dovremo tornare.
Solidarietà occidentale e soffocamento delle
autonomie.
Tutte
le obiezioni sulla legittimità giuridica e morale e sull’opportunità politica
della guerra scatenata dalla Nato vengono respinte dai nostri dirigenti facendo
appello alla "solidarietà occidentale" od "atlantica" ed ai
"valori occidentali" che abbiamo l’obbligo di difendere. I patti, si
dice, devono essere rispettati (ma anche se sono immorali? anche se il loro
rispetto significa complicità con imprese criminali?) La solidarietà
occidentale, che si concretizza abitualmente come subalternità alle decisioni
ed al progetto storico degli Stati Uniti, è diventata il primo comandamento del
nuovo ordine mondiale, il criterio supremo del bene e del male, di fronte al
quale tutti gli altri debbono cedere. E’ nata così un’ortodossia occidentale,
un’etica politica eteronoma, espressione del diritto del più forte. E’ con
questo criterio che i popoli dell’Occidente e del mondo sono chiamati a
giudicare la legittimità della guerra. È con questo criterio, pensano quasi
all’unanimità i membri della classe politica occidentale, che dovrà essere
stabilita la legittimità dell’invasione via terra del Kosovo, che è chiaramente
nei progetti e nelle aspirazioni di molti strateghi nostrani: quella nuova
carneficina sarà, sì o no, imposta dalla "solidarietà occidentale"?
sarà sì o no, favorevole agli "interessi occidentali"?
In
questa discussione, l’obbiezione principale che si pongono gli alleati è che
l’attacco terrestre implicherebbe la perdita di molte "vite
occidentali": le quali, evidentemente, hanno un peso immensamente
superiore alle vite non occidentali stroncate dai bombardamenti aerei e dalle
loro conseguenze. Così per combattere il razzismo di Milosevic, l’Occidente si
è ispirato ad un razzismo non meno micidiale: in nome del quale esso non si
limita a condurre una guerra, ma orienta il governo del mondo.
Scrive
al riguardo un politologo non certo sospetto di antiamericanismo, Zbigniew
Brzezinski: "Ogni governo democratico è comprensibilmente riluttante a
perdere le vite dei suoi soldati. Ma condurre una guerra in cui non venga fatto
nessuno sforzo - anche se la vita dei suoi combattenti professionisti è esposta
a qualche rischio - per proteggere le maggioranze indifese, priva la sua stessa
attuazione del suo più alto obbiettivo morale" (Repubblica, 29 maggio
1999, p.13)
Sulla
base di questo criterio, il rifiuto politico e morale della guerra e l’insieme
delle argomentazioni con cui si cerca di fondarlo vengono squalificati come
frutto di "antiamericanismo", come residuo di "vetero marxismo"o
come segno di connivenza con la pulizia etnica perpetrata da Milosevic.: quasi
che solo un atteggiamento pregiudizialmente antioccidentale potesse giustificare
una condanna di queste atrocità. Alcuni osservatori poi, partendo dalla
definizione occidentale della normalità, arrivano a considerare il dissenso
sulla guerra come una forma patologica, che dev’essere curata anziché discussa.
Inoltre
la solidarietà occidentale soffoca qualunque velleità di autonomia da parte dei
membri secondari dell’alleanza, quali sono in definitiva tutti eccetto gli
Stati Uniti. Per gli altri, l’appartenenza all’Occidente è politicamente e
culturalmente subalterna. Richiede loro l’abdicazione al diritto di
autodeterminarsi e di partecipare in condizioni paritarie alle decisioni
collettive. Ciò è vero non solo per i singoli membri, ma anche per l’Europa.
Soffocare
l’autonomia dei governi e dei parlamenti nazionali significa tanto più
condannare all’impotenza i cittadini dei paesi occidentali, che possono, certo,
liberamente indire "manifestazioni" contro la guerra, ma con la piena
coscienza della loro totale inefficacia. La subalternità politica ha come
conseguenza l’emarginazione delle ragioni della pace dal dibattito dei potenti.
Per tutti gli "occidentali" che non si sentono gratificati
dall’identificazione con i più forti, l’appartenenza all’alleanza è segnata
decisamente da questo sentimento angoscioso d’impotenza e di emarginazione.
Ma
l’Occidente non è solo, di questa guerra, il protagonista e la norma
etico-giuridica, ne è anche il fine principale. E’ infatti assai significativa
la rapida evoluzione che ha subito la definizione del fine della guerra.
Originariamente, essa sembrava destinata a bloccare la pulizia etnica praticata
da Milosevic, obbligandolo a trattare. Su tale base la guerra, con il suo
bagaglio di distruzione e di morte, non era considerata guerra, ma intervento
etico ed umanitario. Oggi questi obbiettivi non sono stati solo mancati, sono
stati abbandonati. Oggi il fine è diventato vincere la guerra e distruggere
Milosevic. La necessità in cui l’Occidente si trova di vincere la guerra, costi
quel che costi, non scaturisce dal fatto che solo così i kosovari saranno
liberati, ma che solo così l’Occidente "salverà la faccia", cioè la
sua egemonia, e la Nato avrà un futuro. A questo obbiettivo vengono sacrificate
migliaia di vittime serbe e kosovare
L’Occidente
dalla conquista dell’America e alla conquista del mondo.
Vi è
un’impressionante continuità fra la conquista dell’America compiuta 500 anni fa
dagli europei e la conquista del mondo intrapresa oggi dall’Occidente sotto la
guida degli Stati Uniti e di cui la guerra del Kosovo è una tappa
significativa. La trasformazione della Nato da organizzazione difensiva a
strumento di intervento universale la promuove ufficialmente, come abbiamo
ricordato, a strumento di conquista del mondo.
Tale
conquista, come allora la conquista dell’America, persegue la salvezza dei
popoli: non quella delle anime, ma quella dei corpi. La guerra santa di allora,
laicizzata, è diventata una guerra etica od umanitaria, ma sempre di conquista.
La superiorità del cristianesimo sulle altre religioni aveva giustificato e
sacralizzato la conquista dell’America. La superiorità della civiltà
occidentale su tutte le altre giustifiche e sacralizza la conquista del mondo.
I
conquistatori dell’America giustificavano il loro intervento militare anche con
l’obbiettivo di liberare i popoli indigeni da religioni che praticavano
sacrifici umani. Per raggiungere questo nobile scopo massacrarono, in nome
della civiltà cristiana, milioni di "pagani"; compirono, in altre
parole, milioni di sacrifici umani.
I
conquistatori di oggi giustificano il loro intervento con l’obbiettivo di
liberare il Kosovo dalla pulizia etnica imposta da Milosevic. Ma per questo
nobile scopo distruggono un popolo, le sue città, le sue infrastrutture, la sua
economia per molti decenni, massacrano con una sequela allucinante di
"errori inevitabili", un grande numero di innocenti.
I
conquistatori dell’America pretendevano, con le loro guerre sante, di affermare
la presenza salvifica del cristianesimo nei territori conquistati. In realtà il
modello imperiale di cristianesimo da essi adottato come strumento di
colonizzazione politica e culturale dei popoli contraddice radicalmente il
messaggio di Gesù, rivolto essenzialmente alla liberazione degli oppressi; esso
non ha solo giustificato per secoli la violazione dei diritti umani e dei
diritti dei popoli indigeni, ma ha anche contribuito ad occultare e de figurare
il messaggio liberatore di Gesù.
Analogamente
la guerra etica della Nato, volta a difendere i diritti umani e i diritti dei
popoli, li viola invece clamorosamente e si arroga il diritto di violarli in
qualunque parte del mondo, dove siano minacciati gli interessi occidentali.
Essa contribuisce così a consolidare un ordine mondiale nel quale i diritti
umani e i diritti dei popoli sono strutturalmente violati, ed ai violatori
potenti è garantita l’impunità.
I
conquistatori dell’America nascondevano dietro motivazioni religiose ed
umanitarie il loro obbiettivo più fondamentale, quello di affermare il dominio
politico-militare delle potenze europee e di favorire, attraverso la
depredazione e lo sfruttamento di quelle terre, l’arricchimento degli europei.
Analogamente, i conquistatori di oggi nascondono dietro motivazioni etiche ed
umanitarie il loro obbiettivo più fondamentale: quello di affermare il dominio
politico-militare delle potenze occidentali e di favorire gl’interessi
economici delle multinazionali produttrici di armi.
Allo
scoppio di questa guerra, molti espressero il timore che essa potesse scatenare
una guerra mondiale. In realtà la guerra mondiale era già scoppiata: è la
guerra di colonizzazione del mondo da parte dell’Occidente, egemonizzato dagli
Stati Uniti, scatenata dalla globalizzazione neoliberale, che caratterizza il
nuovo ordine mondiale. Di questa guerra mondiale, la guerra del Kosovo è solo
un episodio.
Le
analisi della globalizzazione neoliberale compiute dal punto di vista degli
esclusi ne avevano infatti già denunciato il carattere terribilmente violento,
scorgendo in essa una guerra di colonizzazione, la più lunga e micidiale della
storia. Ma si trattava di una guerra occulta, della quale solo minoranze
dell’umanità giungevano a prendere coscienza. Perché il blocco economico
dominante domina anche la cultura: colonizza cioè anche le coscienze, plasmando
un modello di persona e di popolo "occidentale", che considera
normale la violenza dei più forti e demonizza la violenza dei più deboli.
La
guerra della Nato smaschera la dimensione militare e militarista della
globalizzazione neoliberale e della civiltà occidentale: anche se il suo
apparato ideologico ultrapotente consente all’Occidente di farla rientrare
nella "normalità" della guerra giusta, etica, umanitaria.
Una
delle più clamorose violazioni dei diritti umani, dei diritti dei popoli e dei
diritti dell’umanità commesse con questa guerra dall’Occidente, particolarmente
dagli Stati Uniti, è il colpo di stato con cui ha spodestato l’organizzazione
delle Nazioni Unite. Ad essa non ha solo rifiutato il ruolo di presiedere ai
rapporti fra i popoli e di decidere sull’opportunità e legittimità di
interventi armati; le ha rifiutato anche il ruolo di mediatrice fra i
contendenti. Le ha ricordato che essa non possiede in proprio nessuna divisione,
che possa fondare un diritto d’intervento. La Signora Albright ha quindi
intimato al Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan (con quale autorità, di
grazia?) di non intromettersi nei negoziati e di attenersi al suo ruolo
umanitario (ruolo che , a quanto pare, la Nato ha cessato di rivendicare). Lo
ha fatto subito dopo che i rappresentanti del G8 si erano detti d’accordo per
mettere sotto l’autorità dell’ONU sia le trattative di pace sia le truppe che
saranno chiamate a vigilare sul rispetto degli accordi.
Quindi
nel nuovo ordine mondiale, l’ONU non è più un’istanza di coordinamento politico
fra gli Stati, è diventata un’organizzazione umanitaria. Il ruolo invece di
direzione politico-militare del mondo è assunto anche ufficialmente
dall’Occidente, e in esso dagli Stati Uniti. Con questa decisione l’ONU, autrice
di molte importanti dichiarazioni e convenzioni sui diritti umani e sui diritti
dei popoli, viene privata di qualsiasi autorità nel vigilare sul rispetto di
esse. Questo diventa compito esclusivo delle potenze occidentali. Ma chi
giudicherà i giudici? Chi giudicherà le innumerevoli e gravissime violazioni
dei diritti umani e dei diritti dei popoli compiute dalle grandi potenze
occidentali e in primo luogo dagli Stati Uniti?
Fondamento
dell’autorità morale dell’Occidente.
Atra
domanda di fondo: su che cosa si fonda l’autorità morale che l’Occidente si
attribuisce nel mondo e sul mondo, e di cui questa guerra è uno spaventoso
esercizio? Si fonda unicamente, unicamente, sulla sua superiorità economica e
militare. La menzogna fondamentale della sua ideologia è quella che traveste la
superiorità economica e militare da superiorità etica e politica; o, per usare
il linguaggio del segretario generale della Nato, da "grandezza
etica". Menzogna tanto più grave in quanto quella superiorità economica e
militare è il frutto di secoli di depredazioni e genocidi; ossia di violazioni
sistematiche dei diritti umani, dei diritti dei popoli e delle più elementari
norme etiche della convivenza umana. In realtà, con la sua guerra l’Occidente riafferma
tragicamente quel diritto del più forte, che ha segnato tutta la sua storia e
che ha generato la sua potenza. Così una storia criminale dovrebbe fondare
un’autorità morale su scala mondiale.
La
presunta autorità morale dell’Occidente è squalificata anche dalle sue
flagranti contraddizioni. Così solerte nella difesa dei diritti umani dei
kosovari, esso tace clamorosamente sulle innumerevoli e non meno gravi
violazioni dei diritti umani e dei diritti dei popoli di cui le grandi potenze
occidentali sono colpevoli in tutto il mondo.
Sono
di ritorno dalla Colombia, dove ho partecipato ad un tribunale internazionale
di opinione, costituito dalle organizzazioni popolari e di difesa dei diritti
umani per giudicare la strage di Barrancabermeja, nella quale furono trucidati
sette cittadini e venticinque vennero fatti scomparire; delitto che a un anno
di distanza rimane impunito, anche perché in esso, come il tribunale ha potuto
dimostrare, è gravemente coinvolta la responsabilità dello Stato. Su tale
delitto, le organizzazioni promotrici del tribunale hanno voluto richiamare
l’attenzione nazionale e internazionale, perché lo considerano emblematico di un’interminabile
catena di violenze politiche, che gravano come un incubo sulla vita del popolo,
e che rimangono impunite.
Nel
momento in cui le grandi potenze occidentali si attribuiscono il diritto e il
dovere d’intervenire militarmente in difesa dei diritti umani, sembra
particolarmente importante richiamare l’attenzione su un luogo del mondo in cui
si compiono da decenni violazioni dei diritti umani non meno atroci di quelle
che insanguinano il Kosovo e sulle quali le grandi potenze mantengono il più
assoluto silenzio: non sarà perché in queste violazioni sono gravemente
coinvolte esse stesse, a cominciare dagli Stati Uniti?
Questi
comportamenti contraddittori dell’Occidente sono denunciati lucidamente da due
autorevoli osservatori, Mickhail Gorbaciov e Noam Chomsky. Gorbaciov, in
occasione del recente incontro romano dei Premi Nobel per la Pace, ha dichiarato
fra l’altro: "ci sono stati degli episodi deplorevoli (nella
ex-Yugoslavia); ma a questo proposito vorrei porvi una domanda. In Colombia
ogni anno muoiono decine di migliaia di persone, anche lì i profughi sono un
milione. Questo accade sotto i nostri occhi. Come reagiscono la Nato e gli
Stati Uniti? Gli USA forniscono le armi a quel governo militare."
(Avvenimenti, 2 maggio 1999, p.21)
Noam
Chomsky, in un articolo apparso su Repubblica del 25 Aprile 1999, sente
anch’egli l’esigenza di fare un accostamento fra la situazione del Kosovo e
quella della Colombia. "In questo paese, scrive, secondo le valutazioni
del Dipartimento di Stato, ogni anno il numero degli assassinii politici ad
opera del governo e dei gruppi paramilitari legati ad esso è analogo a quello
del Kosovo prima dei bombardamenti, e i profughi che fuggono per sottrarsi a
quelle atrocità superano dl molto il milione. La Colombia occupa il primo posto
tra i paesi dell'emisfero occidentale che hanno ricevuto armi e addestramento
militare dagli Stati Uniti durante tutti gli anni '90, in cui la spirale della
violenza ha continuato a crescere. Questi aiuti sono oggi in ulteriore aumento,
con il pretesto della "guerra alla droga", giudicato del tutto
inattendibile da quasi tutti gli osservatori seri. L'amministrazione Clinton ha
elogiato con particolare entusiasmo il presidente colombiano Cesar Gaviria, il
cui governo, secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, è
responsabile di "livelli di violenza spaventosi", che hanno segnato
un peggioramento anche rispetto ai precedenti governi."
Se
questo è vero, come non dubitare della autenticità di ragioni etiche, che
funzionano a senso unico? Come non sospettare che le vere ragioni
dell’intervento siano altre?
L’Occidente
e la conquista del consenso popolare.
Uno
degli aspetti più preoccupanti dell’ideologia occidentale è che essa non si
limita a legittimare la violenza criminale dei più forti, ma riesce a
conquistare il consenso di grandi maggioranze popolari, all’interno dei paesi
occidentali e fuori di essi. Il dominio economico, politico e militare sul
mondo crea le condizioni del dominio culturale e della colonizzazione degli
spiriti. La violenza è così penetrante da poter strappare il consenso delle sue
vittime. Il nuovo ordine mondiale riposa su una colossale sindrome di
Stoccolma.
La
colonizzazione degli spiriti è il frutto del sistema occidentale inteso come
enorme, potentissimo e capillare sistema educativo. Il bombardamento ideologico
non è meno micidiale di quello militare, del quale garantisce la legittimità.
Esso riesce ad imporre un modello di persona "occidentale", che trova
normale un ordine mondiale imperniato su rapporti di dominio e sulla
discriminazione; un modello di persona che vede la sua realizzazione nell’identificazione
con i più forti, o, come si preferisce dire, con le "democrazie più
avanzate". Un modello di persona che ha interiorizzato i valori
dell’american way of life, dello stile nordamericano di vita, di vestito, di
alimentazione, di divertimento ecc.; che sogna di raggiungere il suo livello di
benessere. Un modello di persona, che, in virtù di questa identificazione, ha
abdicato alla sua autonomia intellettuale e morale, ed è pienamente disponibile
alla dipendenza politica ed economica.
Così
l’Occidente distrugge la televisione serba, accusandola di diffondere menzogne
sulla guerra, ma sostiene un apparato ideologico transnazionale, che impone al
mondo una visione menzognera non solo di questa guerra, ma anche del mondo e
della vita.
Per
quanto riguarda le menzogne sulla guerra, una in particolare viene inculcata
sistematicamente dall’apparato ideologico occidentale. Ed è l’equazione
Milosevic= Hitler, pulizia etnica serba=olocausto degli ebrei, guerra contro
Milosevic= guerra contro il nazismo. Sulla base di tali premesse si conclude: la
guerra della Nato è una guerra giusta, come lo è stata la seconda guerra
mondiale contro il nazismo.
In
quest’analisi si omette, tra l’altro, di osservare che Milosevic, a differenza
di Hitler, non ha mai aggredito un paese straniero, né ha minacciato di farlo
in futuro. Si omette di osservare che i bombardamenti Nato, a differenza della
guerra condotta dagli alleati contro il nazifascismo, non ha interrotto la
pulizia etnica, ma ha peggiorato la situazione dei kosovari.
Questa
menzogna viene autorevolmente smascherata da 300 ebrei americani, primo
firmatario Noam Chomsky, i quali dichiarano fra l’altro: "Molti fautori
dei bombardamenti hanno fatto analogie con l’Olocausto, sostenendo che il mondo
non può stare a guardare la pulizia etnica in Kosovo... Noi sollecitiamo il
rifiuto di queste analogie false ed esagerate con l’Olocausto e la seconda
guerra mondiale, che sono usate per raccogliere sostegno per i bombardamenti
che stanno aggravando le condizioni di vita di tutte le nazionalità che vivono
in Jugoslavia"
"
Non crediamo, recita ancora il documento, che la guerra del nostro governo
contro la Jugoslavia sia motivata da preoccupazioni umanitarie. Ciò è reso
evidente dal rifiuto di portare per via aerea cibo e acqua ai rifugiati
disperati all’interno del Kosovo, così come dalle ridicole somme stanziate per
soccorrere i profughi in confronto ai miliardi di dollari spesi nei
bombardamenti. La grande riluttanza dell’amministrazione Clinton di perseguire
una soluzione negoziata del conflitto indica che questo intervento è
soprattutto determinato da questioni di potere: mostrare al mondo che gli Stati
Uniti e la Nato che essi controllano si sono autonominati poliziotti
internazionali e sono al di sopra della legge e delle Nazioni Unite. Stanno
combattendo la loro guerra contro i civili, distruggendo l’economia jugoslava e
uccidendo centinaia di persone innocenti per dimostrare e rafforzare il loro
potere." (Il manifesto, 13 maggio 1999, p.10)
Dell’impatto
dei mezzi di comunicazione di massa sulla formazione delle personalità si è
rivelato particolarmente consapevole e preoccupato Bill Clinton. Poco dopo la
strage di Littleton in Florida, avvenuta in aprile, dove due ragazzi "di
buona famiglia" avevano quasi per gioco ucciso, nella scuola 13 dei loro
compagni e ferito altri 17, il presidente, profondamente turbato, rivolse due
messaggi alla nazione. Egli disse in sostanza, rivolto specialmente ai
genitori: "è ora di insegnare ai nostri figli a risolvere i conflitti con
le parole, non con le armi" Ripeto: per Clinton, "è ora di insegnare
ai nostri figli a risolvere i conflitti con le parole, non con le armi".
Cercando
poi di spiegare un comportamento così folle, egli denuncia la responsabilità
dei film violenti; particolarmente del film Ritorno dal nulla, in cui Leonardo
Di Caprio spara in classe, indossando come a Littleton, un impermeabile nero.
Clinton non è neppure sfiorato dal sospetto che la follia di quei ragazzi possa
essere ispirata dalla follia dei grandi, che risolvono i conflitti con una
tempesta infinita di bombe e con una strage d’innocenti. Non è sfiorato dal
sospetto che le bombe, destinate a seminare in Serbia distruzione e morte,
ricadano anche sugli Stati Uniti e sul resto del mondo distruggendo qualsiasi
residuo di sensibilità umana e formando generazioni di persone esaltate dal
mito della forza. Clinton non è sfiorato da questo sospetto perché la sua etica
politica di grande potenza è totalmente dissociata dalla sua etica individuale:
quello che secondo l’etica individuale è un comportamento folle diventa per
l’etica politica espressione di grandezza e di coerenza.
Le bombe della Nato hanno ferito mortalmente
la sinistra.
Desidero
ora affrontare più da vicino il tema che ho segnalato all’inizio di questa riflessione:
il ruolo della sinistra europea nella guerra della Nato. Il fatto da analizzare
è che questa guerra scoppia quando nella maggioranza dei paesi europei, tredici
su quindici, tra cui la Germania, la Francia, l’Inghilterra e l’Italia, la
sinistra è al potere; che la sinistra al potere non solo non è riuscita ad
evitare la guerra, non solo non ci ha nemmeno provato, ma ne è diventata
protagonista. La sua adesione alla guerra è stata, come ho ricordato
precedentemente, lo sbocco naturale di un processo di occidentalizzazione, cioè
di integrazione nel nuovo ordine mondiale e di interiorizzazione del pensiero
unico.
Aderendo
alla guerra, essa ha completato il suo processo di legittimazione ed ha
acquisito pieno diritto di cittadinanza nella società occidentale. Si ha anzi
spesso l’impressione che i pentiti della sinistra antagonista siano diventati i
più accesi sostenitori della guerra giusta e della Realpolitik, quasi volessero
farsi perdonare (dagli altri e da se stessi) le ingenuità e l’idealismo del
loro passato.
Ma vi
è di più. Nel processo di legittimazione popolare della guerra, la sinistra ha
assolto una funzione che per la destra sarebbe stata assai difficile se non
impossibile: quella cioè di ottenere il consenso maggioritario delle masse popolari
e di disinnescare proteste di massa., facendo proprie le giustificazioni della
guerra diffuse dagli Stati Uniti; avallando, per esempio, il parallelismo tra
la guerra della Nato e la seconda guerra mondiale.
Scrive
a questo proposito, con la sua abituale lucidità, Rossana Rossanda: "La
sinistra non protesta né propone alternative , quando gli USA e la Gran
Bretagna lanciano la crociata contro il "cuore di tenebra" del
mondo...Né obietta che il vessillo sia la democrazia nell’accezione americana,
non quella europea resa spuria dai diritti sociali, e che i suoi mezzi siano
quel che di meno democratico si possa pensare. Anzi l’antiamericanismo diventa
il nuovo peccato mortale.
"Non
sono le Nazioni Unite che consacrano la crociata, ma che importa, l’ONU non è
operativa. Si violano le costituzioni nazionali? Non importa , esse riflettono
un modello superato di sovranità. L’egemonia americana si propone come etica e
la Nato ne è il braccio secolare. Fra riluttanti e consenzienti le sinistre si
adeguano e ne siamo ancora trasecolati." (il manifesto, 29 maggio 1999,
p.3)
La
sinistra è morta, viva la sinistra!
Se
queste premesse sono valide, la ribellione alla guerra della Nato non si può
dissociare, in prospettiva, dalla ribellione al nuovo ordine mondiale ed alla
globalizzazione neoliberale che lo caratterizza. Se queste premesse sono
valide, la ribellione deve fare leva su una mobilitazione delle coscienze, che
coinvolga le persone, i paesi, l’Europa, e, in definitiva tutto il mondo. Una
mobilitazione di cui dovrebbe rendersi protagonista una sinistra italiana ed
europea preoccupata di ritrovare le sue ragioni e la sua identità nel nuovo
ordine mondiale; preoccupata, anziché di integrarsi nella cultura occidentale,
di cercare le strade di un’alternativa liberatrice ad essa.
La
provocazione per il rilancio della sinistra dovrebbe partire appunto dalla
constatazione del suo tradimento e della sua morte ingloriosa, sotto le bombe
della Nato. Protagonisti del rilancio dovrebbero essere i compagni e le compagne
della sinistra che non sono pentiti, che non sono disposti ad omologarsi, e che
intendono trasformare questa crisi in un momento di presa di coscienza e di
riscoperta delle ragioni originarie della sinistra.
Il
tema fondamentale di questa mobilitazione e di questa ribellione dovrebbe
essere, a mio giudizio, quello dell’autonomia: autonomia che, appunto, la
globalizzazione neoliberale sta soffocando a tutti i livelli. Questa
mobilitazione sarà possibile solo sulla base di una rivoluzione culturale, che contrapponga
al punto di vista sulla società e sulla storia dei paesi e dei gruppi
dominanti, il punto di vista degli oppressi concettizzati e ribelli; e che
riconosca a questo punto di vista maggiore apertura alla verità ed alla
giustizia.
Il
primo e più decisivo momento dell’autonomia, che si tratta di riconquistare, è
quello personale. Ritrovare e consolidare, di fronte al bombardamento
ideologico cui siamo sottoposti, la capacità di pensare con la nostra testa, di
rifiutare il pensiero unico, di nuotare contro corrente. Ritrovare una capacità
critica nei confronti dei luoghi comuni sulla "morte del marxismo" e
della teologia della liberazione. Ritrovare la capacità di resistere alla
cultura del fatalismo, mantenendo viva la tensione utopica e la ricerca
dell’alternativa.
Il
contesto della guerra e quello più generale della globalizzazione ripropongono
poi in termini nuovi e drammatici il problema della sovranità nazionale. Lo
ripropongono a partire dalla scomparsa dell’autodeterminazione dei popoli che
sia il processo di globalizzazione neoliberale sia la guerra della Nato
sembrano sanzionare. Lo ripropongono a partire dal sentimento d’impotenza da
cui siamo presi, quando ci mobilitiamo per contestare le stragi provocate sia
dalla guerra etica sia dalle misure economiche imposte dal neoliberalismo. Si
tratta di porre oggi al centro del dibattito, valorizzando anche lo stimolo che
viene dall’insurrezione indigena, il diritto dei popoli all’autodeterminazione
solidale nel nuovo ordine mondiale: autodeterminazione sia nei confronti delle
leggi del mercato sia nei confronti delle grandi potenze. Si tratta di
discutere il dogma del pensiero unico, secondo cui le sovranità nazionali sono
un residuo del passato e di interrogarsi sulle nuove forme del suo esercizio
nel nuovo ordine mondiale.
Certo,
le sovranità nazionali hanno perso qualunque validità giuridica, quando sono
espressione di una classe politica autoritaria e repressiva, preoccupata di
garantire la sua impunità Mantengono invece, mi pare, la loro sostanziale
validità, quando sono espressione di un popolo che afferma il suo diritto di
autodeterminazione nei confronti di poteri politici ed economici che pretendono
di orientare la sua vita subordinandola, in nome della globalizzazione e dell’unificazione
del mondo, ai loro propri interessi. Si tratta infatti di ridefinire il
concetto di unità occidentale e mondiale in termini rispettosi del diritto alla
diversità all’interno dell’Occidente e del mondo, del diritto cioè di ogni
popolo di essere se stesso, riconoscendo lo stesso diritto a tutti gli altri
popoli.
Il
contesto della guerra e quello della globalizzazione ripropongono infine il
problema dell’autonomia dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti, non solo a
livello economico ma anche a livello politico. Anche qui il problema sorge per
il fatto che la guerra ha rivelato all’Europa la sua totale mancanza di
autonomia politica e militare all’interno dell’alleanza occidentale. Alleanza
che non è nata dalla convergenza di autonome decisioni, ma dalla subalternità
dell’Europa al suo grande fratello nordamericano. Abbiamo scoperto che
all’Europa dei mercanti non corrisponde ancora un’Europa dei cittadini. Abbiamo
deluso le attese di quanti, specialmente nel terzo mondo, speravano che la nuova
Europa sarebbe stata in grado di contrapporsi all’arroganza ed invadenza degli
Stati Uniti; che la nuova Europa avrebbe rappresentato un’inversione di
tendenza storica, diventando, dopo secoli di conquiste e colonizzazioni,
alleata dei popoli oppressi in lotta per la loro liberazione. Hanno dovuto
constatare che no, che la nuova Europa non ha abbandonato le ambizioni
imperiali dell’antica; che la nuova Europa non è in grado di contrapporsi
all’invadenza ed all’arroganza degli Stati Uniti, ma contribuisce piuttosto a
rafforzarle ed a legittimarle.
La
solidarietà atlantica è diventata, come abbiamo ricordato, il primo
comandamento del nuovo ordine mondiale cui le persone ed i popoli sono chiamati
a sacrificare la loro autonomia e la loro coscienza morale. Riconquistare
l’autonomia significa riportare al centro dell’etica politica il diritto delle
persone e dei popoli alla vita.
Adottando
questo criterio, se l’unica strada per porre fine alla guerra e per consentire
alle persone ed ai popoli di decidere in funzione della loro coscienza etica, è
la rottura dell’alleanza atlantica, allora rompiamola questa alleanza, che sta
diventando un’associazione terroristica, la più poderosa e micidiale di tutti i
tempi ; associazione cui la superiorità militare garantisce l’impunità anche
per i crimini di lesa umanità dei quali si rende colpevole. Gettiamolo questo
ombrello che non ci protegge da nessuna aggressione, e che ci coinvolge invece
nelle aggressioni di cui è diventato strumento.
Una sinistra italiana ed europea che s’impegnasse decisamente in questa battaglia per le autonomie, ritroverebbe in essa la sua propria autonomia e la strada per ricostruire la sua identità.
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