La guerra oltre il ponte.

La guerra oltre il ponte.

 

 

Ucraina - Russia, le news

dalla guerra del 15 dicembre.

Repubblica.it – Redazione – Iacopo Scaramuzzi - (15 -16 dicembre 2022) – ci dice:

 

Onu: "Documentati almeno 441 crimini di guerra dai russi". Il Cremlino: "Nessuna tregua a Natale e Capodanno". Droni russi su Kiev, Putin annulla la partita di hockey e il messaggio al Parlamento

Punti chiave

13:30

Putin, dall'Occidente guerra economica contro la Russia

11:22

Mosca: scuse dal Vaticano, appello dialogo esige rispetto

23:42

Gas, Macron: "L'Ue si prepari a un altro inverno difficile".

"Ci dobbiamo preparare" ad affrontare la volatilità dei prezzi del gas "perché non abbiamo superato il peggio" e la "situazione per il prossimo inverno" sarà "molto seria".

Lo ha detto il presidente francese, Emmanuel Macron, in conferenza stampa al termine del vertice Ue.

 "Non dobbiamo dimenticare che la scorsa primavera avevamo comunque il gas russo, l'anno prossimo invece partiremo senza gas" da Mosca, ha indicato Macron, sottolineando che il price cap "servirà contro la volatilità" ma che serviranno anche "acquisti comuni" e "contratti a lungo termine".

23:17

 Energia, Von der Leyen: "Fiduciosa accordo price cap lunedì"

"Sono fiduciosa che i ministri riusciranno a raggiungere un accordo su tutti i tre pacchetti dell'Energia" che comprendono il price cap al gas.

 Lo ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al termine del vertice Ue.

Anche il premier ceco, Petr Fiala, presidente di turno del Consiglio Ue, ha confermato che "lunedì i ministri raggiungeranno un accordo".

22:53

Meloni: "Sì a minimum tax e a aiuti a Kiev grande successo"

"Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, accoglie con grande soddisfazione l'accordo raggiunto con l'approvazione attraverso procedura scritta del pacchetto riguardante la tassazione minima delle multinazionali, l'assistenza macro-finanziaria all'Ucraina con garanzia sul bilancio Ue, e l'approvazione del Pnrr ungherese.

 È quanto rende noto Palazzo Chigi.

 "Ritengo che sia un grande successo essere riusciti a sciogliere un nodo politico così importante.

 Stamane ho avuto interlocuzioni fruttuose con i premier di Polonia e Repubblica Ceca - ha sottolineato Meloni -, un incontro decisivo che di fatto ha sbloccato la situazione".

22:52

Michel: "Soddisfatti, mantenuti gli impegni verso Ucraina."

"Siamo molto soddisfatti, siamo riusciti a raggiungere decisioni e abbiamo mostrato l'unità europea.

 Iniziando dall'Ucraina: con i 18 miliardi di aiuti mostriamo che l'Ue rispetta i suoi impegni".

Lo ha detto il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel al termine del Consiglio Europeo.

22:40

Zelensky: "Kherson bombardata oggi più di 16 volte".

Le forze russe hanno bombardato oggi la città ucraina di Kherson più di 16 volte.

Lo ha affermato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, aggiungendo che ci sono stati anche "brutali attacchi russi" nel Donbass e nelle regioni di Kharkiv.

22:14

Russia: accordo fra gli ambasciatori Ue per nono pacchetto sanzioni

Gli ambasciatori degli Stati Ue hanno raggiunto l'accordo sull'introduzione del nono pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia.

Lo si apprende da un messaggio Twitter della presidenza ceca.

"Gli ambasciatori hanno raggiunto un accordo di principio su un pacchetto di sanzioni contro la Russia nell'ambito del continuo sostegno dell'Ue all'Ucraina.

 Il terzo pacchetto di sanzioni contro la Russia negoziato nell'ambito della presidenza ceca dovrebbe essere confermato domani tramite procedura scritta", si legge nel tweet della presidenza ceca.

19:41

Zuppi: "Una tregua della guerra per Natale."

Il presidente Cei e arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi ha scelto di dedicare la chiusura del suo discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria nel capoluogo emiliano con una richiesta di "tregua per Natale" della guerra in Ucraina e con un appello per la pace.

"Sono nostre - ha detto - le sofferenze di coloro che sono colpiti dalla violenza e dalla guerra, di tutte le vittime di quella mostruosità che è la guerra".

Una guerra "causata da aggressori e contro gli interessi del loro stesso popolo, distruggono e si distruggono

. Quindi come non sentire il dolore dell'Ucraina, dei suoi tanti figli che lavorano qui, che sono per certi versi anche nostri concittadini.

 Una ferita terribile", la loro, "che crediamo che debba essere quanto prima sanata.

 Di qui "la richiesta, con insistenza, di una tregua per Natale".

19:39

Intelligence Kiev, Mosca fortifica coste Crimea, teme sbarco.

La direzione dell'intelligence ucraina ha dichiarato che gli occupanti russi in Crimea stanno cercando di rafforzare ulteriormente la costa, "temendo l'arrivo della forza di sbarco ucraina".

Secondo il rapporto - citato da “Kyiv Independent” - la Russia sta scavando trincee e minando la costa vicino al villaggio di Molochne, che non è lontano dalla città di Saky.

"Inoltre, vengono installati i cosiddetti 'denti di drago', le file di piramidi di cemento che dovrebbero fermare l'avanzata di mezzi pesanti", dicono i servizi di intelligence di Kiev.

19:02

Media, accordo Kiev-Aie per ricostruire sistema energetico.

Il governo ucraino ha firmato un accordo con l'Agenzia internazionale per l'energia (Aiea) per ricostruire e sviluppare il sistema energetico del Paese.

Lo riporta il Guardian, precisando che l'accordo biennale si concentrerà sulla sicurezza energetica, la transizione verso l'energia pulita, il risparmio energetico e la ricostruzione del settore energetico.

Secondo l'agenzia di stampa Interfax il ministro dell'Energia ucraino, German Galushchenko ha dichiarato che "il rafforzamento della sicurezza e la transizione verso un'energia priva di emissioni di carbonio sono principi fondamentali su cui si baserà la ripresa del settore energetico ucraino.

Non stiamo abbandonando i nostri piani precedenti per sviluppare fonti di energia rinnovabile e unirci alla tendenza della transizione verde globale".

18:00

Meloni: "Con Repubblica Ceca e Polonia lavoriamo su energia e Ucraina".

"Oggi a Bruxelles proficuo colloquio con Petr Fiala e Mateusz Morawiecki.

Abbiamo parlato degli ultimi sviluppi riguardo l'aggressione russa all'Ucraina e della questione energetica.

Lavoriamo insieme per affrontare le difficili sfide globali e costruire un futuro di pace e sicurezza".

 Lo scrive su Twitter la premier, Giorgia Meloni, postando una foto assieme ai primi ministri di Repubblica Ceca e Polonia.

17:33

Fonti Ue, Polonia dà l'ok a pacchetto di aiuti all'Ucraina.

È stato trovato l'accordo per sbloccare gli aiuti da 18 miliardi di euro all'Ucraina.

Lo riportano fonti qualificate.

La Polonia ha infatti ritirato l'obiezione sulla global minimum tax, circostanza che aveva bloccato il via libera all'intero pacchetto, che comprende anche l'ok condizionato al Pnrr ungherese e il congelamento del 55% dei fondi di coesione Ue destinati a Budapest.

16:43

Gli Usa sanzionano l'oligarca russo Potanin.

Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni finanziarie contro uno degli uomini più ricchi della Russia, Vladimir Potanin, storico magnate del nichel fin dall'epoca di Boris Yeltsin.

 Lo hanno annunciato oggi il dipartimento del Tesoro e il dipartimento di Stato, in una nota.

L'oligarca vicino al presidente russo Vladimir Putin è già stato colpito dalle misure dell'Ue.

16:40

H&M lascia Russia e Bielorussia, chiusi gli ultimi negozi.

L'azienda di moda H&M ha dichiarato di aver chiuso i suoi ultimi negozi in Russia e Bielorussia, concludendo così il suo progressivo ritiro da quei Paesi a causa del conflitto ucraino.

Lo riporta il Guardian.

Dopo aver interrotto le vendite in Russia a marzo dopo l'invasione dell'Ucraina, H&M ha annunciato a luglio che si sarebbe ritirata dalla Russia al costo di 2,1 miliardi di corone svedesi (circa 193 milioni di euro).

 "Le operazioni del gruppo H&M in Russia e Bielorussia sono state chiuse durante il trimestre, con lo stock rimanente venduto e gli ultimi negozi chiusi il 30 novembre", ha dichiarato il gruppo in una nota.

 La Russia era il sesto mercato più grande del gruppo alla fine del 2021 e ha rappresentato oltre 2 miliardi di corone di entrate nell'ultimo trimestre dello scorso anno.

16:15

Forze Kiev, "prepariamo nuova grande operazione militare".

Le forze armate dell'Ucraina si stanno preparando ad una nuova grande operazione militare.

 Lo ha detto, senza fornire altri dettagli, il comandante in capo delle forze armate ucraine, generale Valerii Zaluzhnyi, intervistato dall'Economist.

"Con le risorse che abbiamo non possiamo condurre nuove grandi operazioni, anche se stiamo lavorando ad una di queste proprio ora.

 È stata avviata, ma ancora non potete vederla", ha affermato il generale.

15:44

Regalo ucraino esplode in stazione polizia in Polonia, 2 feriti.

Un regalo che un comandante della polizia polacca ha ricevuto durante una recente visita in Ucraina è esploso nel quartier generale della polizia a Varsavia, provocando lievi ferite al comandante e a un impiegato civile.

Lo ha riferito il ministero dell'Interno polacco, citato da Sky News.

L'esplosione è avvenuta ieri mattina alle 7:50, ha aggiunto il ministero senza specificare quale oggetto abbia ricevuto in regalo il comandante polacco durante la visita di lavoro in Ucraina.

Il comandante ha incontrato domenica e lunedì i leader della polizia ucraina e del servizio per l'emergenza.

 Dopo l'esplosione, "la parte polacca ha chiesto a quella ucraina di fornire spiegazioni pertinenti", ha affermato.

15:39

Zelensky a leader Ue, prossimi 6 mesi decisivi.

 "I prossimi sei mesi saranno decisivi sotto molti aspetti nel confronto che la Russia ha avviato con questa aggressione.

Aggressione contro l'Ucraina e contro ognuno di voi, perché l'obiettivo finale della Russia è molto oltre il nostro confine e la sovranità ucraina.

I prossimi sei mesi richiederanno da parte nostra sforzi ancora maggiori rispetto a questo passato".

 Lo ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, nel suo intervento da remoto al Consiglio europeo.

15:05

Zelensky, "bene il price cap, sia il più basso possibile"

"L'idea di fissare dei 'price cap' per le esportazioni energetiche russe è estremamente utile.

Più forte sarà questo strumento, più bassi saranno i price cap, più stabile sarà il mercato energetico globale.

 Vi invitiamo quindi a concordare dei massimali di prezzo efficaci per il petrolio, i prodotti petroliferi e il gas provenienti dalla Russia.

Questi tetti dovrebbero assolutamente privare lo Stato terrorista russo della capacità di finanziare la guerra a spese del mercato globale".

Lo ha detto Volodymyr Zelensky ai leader Ue.

14:57

Putin, regioni annesse da Ucraina saranno tutt'uno con Russia.

Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che Mosca "raggiungerà i suoi obiettivi" sulle "nuove regioni russe" di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson che "diventeranno tutt'uno" con la Russia.

 Lo riporta “Ria Novosti”.

 "Intendo garantire la sicurezza, ripristinare la vita pacifica nelle repubbliche di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson.

Raggiungeremo sicuramente il nostro obiettivo", ha detto Putin in una riunione del Consiglio per lo sviluppo strategico e progetti nazionali.

"In futuro, su tutte le questioni chiave per le persone nell'economia, nella sfera sociale e nel campo della governance, queste regioni diventeranno tutt'uno con il Paese".

Il presidente ha chiesto al Consiglio dei ministri di "preparare un programma speciale per lo sviluppo socio-economico di nuovi soggetti della federazione entro la fine del primo trimestre del prossimo anno", aggiungendo che "entro il 2030", le regioni annesse dall'Ucraina "dovrebbero raggiungere il livello tutto russo in termini di qualità delle infrastrutture, servizi sociali e molti altri parametri della qualità della vita". I ministri e i vicepremier competenti si assumeranno personalmente la responsabilità di questo lavoro, ha aggiunto il presidente russo.

14:47

Nyt, Pentagono intende raddoppiare addestramento truppe ucraine.

Il Pentagono intende più che raddoppiare l'addestramento dei militari ucraini nella sua base di Grafenwoehr in Germania.

Secondo il New York Times, il piano, approvato da Joe Biden questa settimana, consentirà di addestrare ogni mese un intero battaglione ucraino (circa 600-800 uomini), a partire dall'inizio del prossimo anno.

14:34

Putin, dobbiamo lanciare nuovi programmi per droni.

Il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto il lancio di nuovi programmi per lo studio della robotica e dei droni.

 "Vi ricordo che ho già chiesto di preparare e lanciare nuovi programmi nel campo della robotica e dei droni nel prossimo anno.

Naturalmente, la sovranità tecnologica non può essere conquistata in un solo momento, dobbiamo continuare a lavorare sistematicamente per il futuro", ha dichiarato il presidente durante una riunione del Consiglio per lo sviluppo strategico e i progetti nazionali, ripreso da “Ria Novosti”.

14:08

Putin, la Russia ha esportato 22 milioni tonnellate di grano.

La Russia ha esportato circa 22 milioni di tonnellate di grano negli ultimi cinque mesi ed è pronta a fornire altri 4-5 milioni di tonnellate entro la fine dell'anno:

lo ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin alla riunione del Consiglio per lo sviluppo strategico e i progetti nazionali.

"La Russia ha esportato - ha detto - circa 22 milioni di tonnellate di grano solo negli ultimi cinque mesi, prevalentemente verso Paesi asiatici e africani.

Siamo pronti a fornire altri 4-5 milioni di tonnellate di grano entro la fine di quest'anno, ed entro la fine dell'anno agricolo, cioè entro il 30 giugno 2023, considerando il raccolto da record - e abbiamo un raccolto da record, vorrei congratularmi ancora una volta con la comunità rurale - saremo in grado di portare le forniture totali per l'esportazione a 50 milioni di tonnellate".

13:50

Il portavoce vaticano sulle scuse a Mosca per le parole del Papa: "Contatti diplomatici sul tema"

(Iacopo Scaramuzzi)

Il portavoce vaticano ha confermato i contatti diplomatici tesi all'appeasement con la Russia dopo gli attriti innescati da alcune dichiarazioni di papa Francesco.

La portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha riferito che Mosca ha ricevuto dalla Santa Sede una dichiarazione in cui la Segreteria di Stato vaticana "si scusa con la parte russa" per le dichiarazioni con le quali il pontefice aveva attribuito a ceceni e buriati le "maggiori crudeltà" della guerra in Ucraina.

Parole criticate a stretto giro di posta dall'ambasciatore russo presso la Santa Sede Alexander Avdeev, del ministro degli esteri russo in persona, Sergei Lavrov, nonché della stessa Zakharova.

Che anche nei giorni passati non ha mancato di pungere il Vaticano con dichiarazioni piuttosto bellicose che tornavano ad escludere una possibile mediazione vaticana per arrivare ad una trattativa di pace.

 Oggi, infine, il ramoscello d'ulivo.

 E la conferma vaticana per bocca del portavoce Matteo Bruni:

 "Al momento posso confermare che ci sono stati contatti diplomatici in tal senso".

13:44

Putin: "Inflazione record in Europa, si sta deindustrializzando."

"C'è un'inflazione senza precedenti nell'Ue.

Le autorità Ue hanno ammesso che la politica degli Stati Uniti" nei confronti della Russia "sta portando alla deindustrializzazione dell'Europa".

Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin secondo quanto riferisce “Ria Novosti”.

 Putin ha dichiarato che "la contrazione del Pil" della Russia "entro la fine dell'anno è prevista intorno al 2,5%".

13:40

Ucraina: Polonia blocca pacchetto sanzioni, "troppe deroghe".

La Polonia blocca il nono pacchetto di sanzioni contro la Russia perché "comprende troppe deroghe e rimuove alcuni oligarchi dalla lista delle restrizioni".

"Purtroppo alcuni Paesi hanno suggerito di rimuovere diversi oligarchi russi dalla lista, tra cui Vyacheslav Kantor.

E noi ci opponiamo fermamente", ha confermato il primo ministro polacco Mateos Morawiecki, al suo arrivo al vertice.

"Insinuare che la Polonia opterebbe per un indebolimento delle sanzioni non funzionerà.

Chiediamo a tutti gli Stati membri, in particolare Germania, Francia e Paesi Bassi, di rafforzare ed estendere le sanzioni", ha aggiunto.

 

In un altro filone, la Polonia sta bloccando anche il maxi pacchetto di dossier, tra cui 18 miliardi di euro di prestiti all'Ucraina;

il Pnrr ungherese (combinato con un congelamento di 6,3 miliardi di euro di fondi europei) e l'accordo sulla tassazione minima al 15%.

I polacchi vogliono che l'imposta minima, nota come secondo pilastro, proceda parallelamente al primo pilastro: la riallocazione dei diritti di tassazione delle multinazionali in base a dove realizzano i profitti.

"Le società internazionali devono ovviamente pagare le tasse, ma il sostegno all'Ucraina è una questione morale e un'importante questione geopolitica.

Ci opponiamo fermamente al collegamento tra questi e al ricatto", ha affermato Morawiecki.

13:30

Putin, dall'Occidente guerra economica contro la Russia.

Il presidente russo Vladimir Putin ha definito le azioni dell'Occidente contro la Russia "una guerra economica", aggiungendo tuttavia che le finanze russe restano "resilienti" e che il piano di distruggere l'economia russa "è fallito".

Lo riporta la “Tass”.

Putin ha definito la politica europea sul tetto al prezzo del gas "folle".

13:19

Mosca, formula pace proposta da Zelensky è irreale.

Mosca considera la "formula di pace" per il conflitto in Ucraina espressa dal presidente di Kiev, Volodymyr Zelensky, "separata dalla realtà".

 Lo ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.

 Lo riporta “Ria Novosti”.

12:54

Ucraina: Vaticano conferma contatti diplomatici con Russia.

Dopo le parole odierne della portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, in merito alle "scuse" che il Vaticano avrebbe fatto alla Russia per le parole di Papa Francesco su ceceni e buriati fonti della Santa Sede confermano che "ci sono stati contatti diplomatici" con Mosca.

12:37

Pe, Holodomor fu genocidio sovietico in Ucraina.

Il Parlamento europeo ha riconosciuto come genocidio la carestia artificiale, nota come 'Holodomor', provocata dal regime sovietico in Ucraina nel 1932-1933.

 Gli eurodeputati "condannano fermamente questi atti che causarono la morte di milioni di ucraini e invitano tutti i Paesi e le organizzazioni che non l'hanno ancora fatto a riconoscere l'Holodomor come genocidio".

 Il testo non legislativo è stato adottato con 507 voti favorevoli, 12 contrari e 17 astensioni.

12:28

Cremlino, Putin a seduta Consiglio di Stato la settimana prossima.

Il presidente russo Vladimir Putin "terrà un grande Consiglio di Stato", in programma la prossima settimana.

Lo ha annunciato il portavoce de Cremlino Dmitry Peskov, in conferenza stampa, come riporta Ria Novosti.

12:25

La città di Kherson "totalmente" priva di elettricità a causa dei bombardamenti

 La città ucraina di Kherson è rimasta "totalmente" senza elettricità a causa di "pesanti bombardamenti" sulle sue "infrastrutture", ha dichiarato il governatore regionale Jaroslavl Yanushevich.

 "Continuano i pesanti bombardamenti su un sito di infrastrutture critiche" nei dintorni di questa grande città, ha aggiunto.

12:21

Michel: Zelensky ha illustrato suo piano pace; Ue lo sostiene.

"Il presidente Volodymyr Zelensky ha dettagliato il suo piano di pace.

L'Ue è pronta a sostenere l'iniziativa dell'Ucraina".

Lo ha annunciato il presidente del Consiglio, Charles Michel, in un tweet dopo l'intervento del capo di Stato ucraino al vertice Ue in corso.

"Gli attacchi missilistici della Russia contro i civili e le infrastrutture civili sono un crimine di guerra e devono cessare.

L'Ue è unita nel sostenere l'Ucraina per tutto il tempo necessario", ha spiegato Michel.

"Intensificheremo ulteriormente il nostro sostegno finanziario, militare e umanitario per aiutare l'Ucraina a difendersi e a superare l'inverno", ha assicurato Michel.

12:06

Cremlino, quelle su dimissioni Lavrov sono solo voci.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha esortato a non credere alle voci sulle presunte imminenti dimissioni del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.

"Si tratta di voci, quindi vanno trattate di conseguenza", ha affermato Peskov, come riportano le agenzie russe.

11:59

Kiev, ieri uccisi 7 civili dalle bombe russe.

Sette civili sono stati uccisi e altri 19 sono rimasti feriti negli attacchi russi di ieri sul territorio ucraino: lo ha reso noto su Telegram il vice capo dell'Ufficio del presidente, Kyrylo Tymoshenko, come riporta Ukrinform.

 Secondo i dati delle amministrazioni militari regionali, due civili sono stati uccisi nella regione di Donetsk, due nella regione di Zaporizhzhya e tre nella regione di Kherson.

11:22

Mosca: scuse dal Vaticano, appello dialogo esige rispetto.

Il Vaticano si è scusato per le dichiarazioni di Papa Francesco contro ceceni e buriati e il governo di Mosca adesso ritiene il caso chiuso.

 Lo ha detto la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, che aggiunge:

"La capacità di ammettere i propri errori sta diventando sempre meno comune nella moderna comunicazione internazionale.

Questa situazione mostra che dietro gli appelli al dialogo (sull'Ucraina, ndr) del Vaticano c'è la capacità di condurre questo dialogo e di ascoltare gli interlocutori. Tutto ciò esige sincero rispetto".

 Lo riferisce l'agenzia russa “Tass”.

10:41

Ucraina: Onu documenta almeno 441 crimini guerra russi.

L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Turk, ha presentato un rapporto in cui documenta gli omicidi di almeno 441 civili in Ucraina (341 uomini, 72 donne, 20 ragazzi e otto ragazze), omicidi che, a suo giudizio, possono rappresentare crimini di guerra commessi dall'esercito russo.

Lo studio, presentato in una sessione speciale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sull'Ucraina, è stato messo a punto dopo tre visite sul campo e si concentra in particolare sulle violazioni commesse tra il 24 febbraio e il 6 aprile in 102 città nelle regioni di Kiev, Chernikov e Sumi.

"In alcuni casi i soldati russi hanno giustiziato i civili in luoghi di detenzione improvvisati, mentre in altre occasioni lo hanno fatto nelle loro case, nei cortili, alle porte o ai posti di blocco di sicurezza sul terreno", ha denunciato l'alto commissario.

10:38

Kiev, "Bombe su Kherson, 3 morti tra i quali bimbo."

Il capo dell'amministrazione di Kiev, "Bombe su Kherson, 3 morti tra i quali bimbo" Jaroslaw Yanushevich ha denunciato che, nelle ultime 24 ore, la regione è stato 'martellata in maniera continua e che almeno 3 persone sono rimaste uccise sotto i bombardamenti, tra le quali un bimbo di 8 anni.

10:03

Ucraina, filorussi: “Bombe su Donetsk, mai così dal 2014"

Donetsk è stata colpita dal "più massiccio attacco dal 2014": lo ha riferito Alexei Koulemzine, il capo dell'amministrazione filorussa.

Il bombardamento ucraino sulla roccaforte separatista nell'Est dell'Ucraina ha causato il ferimento di almeno 9 civili, ha aggiunto Koulemzine.

09:26

Ministero degli Esteri russo: con Patriot a Kiev Usa coinvolti direttamente.

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato giovedì che tutte le armi fornite all'Ucraina dall'Occidente sono obiettivi legittimi per la Russia e che sarebbero state distrutte o sequestrate.

 

La consegna di sistemi di difesa aerea Patriot a Kiev aumenterà il rischio di un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto ucraino, ha aggiunto Zakharova.

05:24

Ucraina: intelligence Gb rassicura su potenziale truppe Minsk.

Le truppe bielorusse e le unità di riservisti dispiegati da Mosca in Bielorussia non costituiscono una minaccia per l'Ucraina: è questa la valutazione del ministero della Difesa britannico nel suo ultimo rapporto di intelligence.

"Si starebbero svolgendo esercitazioni militare nel settore nord-occidentale del Paese, lontano dal confine ucraino; e inoltre la Russia di recente ha dispiegato altre unità di riservisti in Bielorussia", osserva l’intelligence militare britannica su Twitter.

"La Bielorussia ha svolto un ruolo cruciale nell'assalto russo a Kiev partito il 24 febbraio 2022.

Tuttavia, è improbabile che le esercitazioni delle truppe bielorusse e delle unità russe costituiscano al momento una forza in grado di condurre con successo un nuovo assalto nel nord dell'Ucraina".

03:47

Zelensky, rafforziamo costantemente difesa antiaerea.

"Stiamo costantemente rafforzando la nostra difesa antiaerea e anti drone.

 E stiamo facendo di tutto per ottenere sistemi più moderni e più potenti per l'Ucraina.

Questa settimana abbiamo compiuto importanti progressi nella questione della difesa aerea".

Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo videomessaggio serale.

 Zelensky ha poi comunicato che la situazione nel Donbass e in altre aree attive delle ostilità è stata discussa in dettaglio durante la riunione dello Stato maggiore. "Non c'è pace in prima linea. Non c'è niente di facile o semplice. Ogni giorno e ogni metro è estremamente difficile", ha spiegato.

00:47

Usa valutano invio kit elettronico bombe intelligenti.

Gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di inviare in Ucraina un particolare equipaggiamento elettronico in grado di trasformare le munizioni aeree non controllate in 'bombe intelligenti', in grado di colpire il bersaglio con la massima precisione.

Lo riferisce il Washington Post che cita autorità vicine al dossier.

23:57

Zelensky, 184 atleti uccisi da Russia da febbraio.

"Da febbraio, 184 atleti ucraini sono morti a causa delle azioni della Russia, e la stessa Russia usa lo sport per scopi di propaganda".

 Lo ha detto il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky durante una conversazione con il presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach.

Zelensky ha anche invitato il Cio a contribuire al ripristino delle infrastrutture sportive ucraine distrutte dalla Russia.

 "Una risposta equa per uno stato terrorista non può che essere il completo isolamento nell'arena internazionale, in particolare, questo vale per gli eventi sportivi internazionali", ha spiegato.

04:14

Kiev: base aerea russa colpita da drone non identificato.

Una base aerea russa a Kursk, nel territorio della Federazione, è stata colpita nella tarda serata di ieri da un "drone non identificato".

A darne notizia su Telegram è stato Anton Gerashchenko, consigliere presidenziale di Volodymyr Zelenskiy, citando in un primo momento fonti russe secondo cui ci sarebbero state "due esplosioni" a Kursk vicino all'aeroporto".

Successivamente Gerashchenko ha precisato che "un drone non identificato" aveva colpito "una struttura militare a Kursk".

Secondo il governatore regionale Roman Staratoti, citato da Ria, "non sono stati riportati danni o feriti".

 

 

 

L’umanità verso il Nuovo Ordine

Mondiale o verso la libertà?

Liberopensiero.com – Cesare Sacchetti – (4 Aprile, 2021) – ci dice:

La domanda che molti si stanno ponendo in queste settimane è come sia stato possibile arrivare a questo punto.

O meglio, come è stato possibile per l’umanità ridursi ad un ammasso di zombie disumanizzati che non hanno altro pensiero se non quello di mettere sul proprio volto una mascherina inutile e dannosa.

Non è accaduto in un giorno, e non è nemmeno esclusivamente il risultato della massiccia operazione terroristica che i media nelle mani dei grandi poteri finanziari e bancari stanno portando avanti da più di un anno. Per poter giungere a questo punto è stato necessario prima di tutto un lungo e lento inesorabile processo di demoralizzazione che ha portato di fatto l’umanità al punto più basso della sua storia.

Per demoralizzazione si intende la completa assenza di valori, una condizione nella quale il male in pratica si trova sullo stesso piano del bene.

Si può tranquillamente affermare che non è mai esistita un’epoca storica come quella attuale nella quale le persone non sono mai state così stupide e depensanti come lo sono ora.

L’operazione terroristica del coronavirus è però riuscita ad attecchire con facilità in una moltitudine che come si accennava precedentemente ha perso ogni senso di valore morale.

Questa crisi è stata preparata accuratamente così come il disegno molto più grande che c’è dietro di essa.

La crisi del coronavirus ha infatti tutte le caratteristiche dell’evento catalizzatore che i circoli più influenti del mondialismo stavano cercando da tempo.

Il fine ultimo non è altro che quello di dominare il mondo attraverso l’instaurazione di un totalitarismo molto più feroce e oppressivo di tutti quelli del secolo scorso.

Se si pensa che la storia sia solo il risultato di mera casualità e che i poteri che dominano questo mondo non abbiano alcuna strategia non si comprende praticamente nulla di quanto sta accadendo ora.

Se si adotta quest’ottica si resta confinati nel mondo delle categorie attraverso le quali il sistema marchia tutti coloro che sono ancora dotati di pensiero critico e non hanno paura della verità, per quanto essa possa essere spesso difficile e amara da accettare.

Il sistema infatti ama definire “complottisti” o “terrapiattisti” tutti quelli che hanno compreso piuttosto bene che non esiste alcuna “emergenza sanitaria”.

L’unico modo che ha il regime per sopravvivere è quello di mettere al bando le menti che pensano indipendentemente da ciò che i media dicono.

I media infatti come spiegato dal sociologo Marshall McLuhan non rivestono in alcun modo la funzione di informare le masse.

I media sono lo strumento del potere per programmare le masse.

In altre parole, essi non sono altro che una macchina da guerra mentale per decidere quello che le persone devono o non devono pensare.

Fin dall’inizio della loro esistenza, gli uomini vengono programmati in ogni singolo aspetto della loro vita quotidiana.

Le istituzioni hanno da tempo perduto la funzione di educare e di preparare le persone alla vita. Il loro compito non è quello di nutrire il senso critico delle persone, quanto quello di reprimere in ogni modo tutti coloro che fanno domande sulla narrazione dominante e ne intuiscono l’enorme fallacia.

L’ideologia globalista per poter esistere deve creare delle masse che non pensano, e che non fanno altro che ripetere quanto è stato fatto loro trangugiare dagli agenti del regime nelle vesti degli insegnanti propagandisti, o dei giornalisti che non sono altro che porta voci dei grandi interessi finanziari che ormai hanno il controllo assoluto dell’informazione italiana e mondiale.

A questo punto, la domanda che viene naturale porsi è quella relativa al fine ultimo di questo nuovo totalitarismo.

Qual è il tipo di società che questo sistema vuole e che non ammette altra opinione se non quella imposta dal sistema stesso?

Il fine ultimo lo ha svelato il sistema stesso in numerose occasioni, ed è un governo mondiale dominato da una ristretta élite di eletti che appartengono ai più ristretti circoli del globalismo, quali il club di Roma, il Club Bilderberg e il Consiglio delle Relazioni Estere, solamente per citarne alcuni.

Questi circoli non sono altro che parte della struttura del potere che governa il mondo e che lavora incessantemente ad un solo obbiettivo da molto tempo, ovvero quello di cancellare dalla faccia della Terra le nazioni, la loro storia, la loro religione e la loro cultura.

Dalle ceneri delle nazioni dovrà sorgere, nell’idea del mondialismo, il Leviatano universale che sarà dominato dalla figura di un tiranno globale che perseguiterà tutti coloro che oseranno opporsi e fare resistenza.

Sono state le élite stesse a rivelare i loro piani già decenni prima, ma le masse non hanno preso mai veramente sul serio le loro intenzioni.

Nel 1950, il potente banchiere James Warburg legato alla famiglia al vertice del potere mondialista, i Rothschild, dichiarava senza alcun pudore davanti al Congresso americano che un giorno ci sarebbe stato “un governo mondiale”.

Non era in discussione il raggiungimento di questo obbiettivo, secondo Warburg, quanto il mezzo per raggiungerlo, o attraverso il consenso delle masse stesse o attraverso l’uso della forza.

A giudicare dalla situazione attuale, si dovrebbe propendere più per la prima opzione.

Le masse nel mondo, salvo rare eccezioni, non si stanno opponendo al disegno della dittatura mondiale.

Al contrario, lo stanno accettando passivamente e nel peggiore dei casi molti applaudono entusiasti alla loro rovina, a quella del loro vicino e maledicono quelli che invece ancora sono dotati di umanità e intelletto e non vogliono farsi distruggere.

La demoralizzazione delle masse ha favorito l’ascesa del totalitarismo mondiale.

Non si è giunti a questo punto per caso, come si è detto precedentemente.

 Per portare l’umanità a questo stato di abbrutimento completo è stato necessario portare avanti nel corso dei decenni un programma di demoralizzazione delle masse, come spiegato profeticamente dall’ex agente del KGB Yuri Bezmenov già nel 1984.

Se si toglie ad una persona ogni tipo di valore che la rende incapace di distinguere il bene dal male, la si rende capace di accettare qualsiasi cosa.

Più semplicemente, se un uomo non sa cos’è il bene, non si porrà nemmeno il problema di commettere il male, proprio perché ai suoi occhi non esiste nessuna differenza sostanziale tra il primo e il secondo.

Qui si spiega quanto sta accadendo in questi giorni.

Le masse non vedono la verità perché queste non si pongono nemmeno il problema che possa esistere il male e la menzogna nel messaggio del sistema.

Lo accettano senza alcuno scrupolo morale, e una volta che ricevono l’ordine del regime, anche il più disumano, folle e criminale non fanno altro che portarlo avanti ed eseguirlo senza discutere.

Il pensiero libero è bandito nella dittatura mondiale.

Per poter però giungere alla demoralizzazione odierna è stato necessario rimuovere dalla scena ciò che più di tutto definisce e indirizza la moralità di un popolo, ovvero la sua religione, e nel caso dell’Italia e dell’Occidente, la scristianizzazione sta portando rapidamente questa civiltà alla sua fine.

Era questo l’obbiettivo della massoneria che da più di un secolo ha pianificato scientificamente l’infiltrazione della Chiesa Cattolica.

In questo senso, il Concilio Vaticano II dei primi anni’60, come già spiegato da monsignor Viganò, ha rivestito un ruolo fondamentale nell’accelerazione dei piani massonici e della manifestazione del Nuovo Ordine Mondiale.

Da quando la Chiesa si è aperta al mondo e ha rinnegato la sua tradizione di 19 secoli, il declino morale dell’Italia, dell’Europa e del mondo è stato pressoché inarrestabile.

Compito della Chiesa era quello di resistere alla secolarizzazione e al laicismo, non farsi sua portavoce.

La chiesa anticattolica di Bergoglio non è altro quindi che la scontata conseguenza di questo lungo processo di infiltrazione.

La società è malata perché la Chiesa è malata.

La salute della seconda influenza la prima, e più forte e resistente è la Chiesa cattolica, più debole e meno influente è il potere della massoneria.

Esiste pertanto una relazione inversamente proporzionale tra questi due poteri, Chiesa e massoneria.

È comunque indubitabile che il governo mondiale prima ancora di una natura politica ha soprattutto una natura spirituale.

La radice ideologica della massoneria non è altro che quella delle religioni misteriche che in ultima istanza sono devote null’altro che al culto di Lucifero.

I massoni che hanno lasciato quest’organizzazione hanno svelato al mondo come la verità sulla religione della massoneria viene rivelata solo a coloro che arrivano ai gradi più alti delle logge, su tutti il 33° grado, il culmine della carriera massonica.

Anche coloro che non hanno lasciato la massoneria e sono stati tra i più influenti massoni della storia hanno consegnato la verità su questa setta in alcuni dei loro scritti.

Albert Pike, granmaestro del 33° grado della loggia del rito scozzese della giurisdizione del Sud degli USA, scriveva nella sua corrispondenza con Mazzini, altro massone di grado elevato, nel 1871 che il fine ultimo della massoneria era proprio quella di trascinare l’umanità verso una tirannia mondiale fondata su un odio profondo e viscerale della cristianità.

La distruzione del cristianesimo e della Chiesa cattolica è dunque semplicemente indispensabile per la massoneria e i poteri mondialisti per poter arrivare al loro obbiettivo.

Il governo mondiale non potrà nascere se non quando ci sarà quella gerarchia di disvalori che avrà sostituito completamente i valori cristiani.

Se si nega la radice spirituale della storia e del periodo storico attuale, non si riesce a comprendere ciò che sta accadendo ora.

Si resta confinati al piano materialista della visione della storia che è incapace di spiegare quanto sta accadendo ora perché appunto non ammette minimamente il lato preternaturale.

La crisi del coronavirus è sicuramente anche un modo per aumentare i profitti del grande capitale delle multinazionali e del cartello farmaceutico, ma non è questo l’obbiettivo principale.

L’esempio più pratico viene proprio dal programma di distribuzione dei vaccini Covid.

Michael Yeadon, scienziato ed ex vicepresidente della Pfizer, ha spiegato chiaramente che il profitto non è l’obbiettivo primario di tutto questo programma di distribuzione.

Si potrebbero fare più soldi gonfiando i costi per la produzione di dosi e distribuendo meno vaccini alla popolazione.

In questo caso si potrebbero fare profitti enormemente superiori a quelli attuali.

Invece il cartello farmaceutico sta producendo dosi in quantità industriale per un’altra ragione.

Il sistema vuole vaccinare tutti per arrivare a ridurre la popolazione mondiale, come ha rivelato lo stesso Yeadon.

La distribuzione di vaccini sperimentali mRNA sta già producendo gravi effetti collaterali sulla popolazione e porterà anche ad una inevitabile riduzione della fertilità.

Le élite vogliono ridurre la popolazione mondiale perché la loro concezione è neomalthusiana.

Il neo-malthusianesimo ha conosciuto vigore in particolare dagli anni’70 in poi quando dietro la buonista e ipocrita facciata della tutela dell’ambiente, si nascondeva il vero obbiettivo di questa ideologia che è quello di eliminare l’umanità.

Non è certamente un caso che questa ideologia sia stata diffusa da tutti i grandi gruppi del globalismo, quali il Club di Roma e la Commissione Trilaterale.

L’operazione del coronavirus serve dunque nell’ottica dei suoi architetti ad abbattere drasticamente il numero degli abitanti sulla Terra, e ad edificare un governo mondiale che non lascerà scelta ai superstiti se non quella di accettare la nuova società del totalitarismo globale.

Una società dove il lavoro non ci sarà più, sostituito dal reddito universale che verrà dato solo a coloro che si inoculeranno vaccini e accetteranno il futuro marchio della Bestia.

Il recente trattato pandemico firmato da 23 leader mondiali va esattamente nella direzione di esautorare progressivamente il ruolo dei governi nazionali che saranno sostituiti appunto dal futuro superstato globale.

Il mondo verso la dittatura mondiale o verso un ritorno degli Stati nazionali?

Non è affatto azzardato affermare che mai come ora l’umanità è stata così vicina al raggiungimento di questo obbiettivo.

Se però si ricorre ad una lettura spirituale e cristiana del corso degli eventi, si deve necessariamente cercare di comprendere meglio questa visione.

Le scienze sociali, quali l’economia, la sociologia e la geopolitica sono tutte certamente utili nell’analisi della realtà contemporanea ma ognuna di queste singolarmente non riesce a cogliere l’ideologia e la natura del totalitarismo globale.

Se si ricorre alla chiave di lettura cristiana, tutto quello che ora non sembra avere un senso lo assume.

 Il vero senso di questa storia non è null’altro se non quello di distruggere l’umanità e farle patire le peggiori sofferenze possibile.

Se il mondo si trova in uno stato di grande confusione e molto prossimo a tempi apocalittici, occorre domandarsi necessariamente se ci si trova nel punto della storia dove si manifesta l’ascesa finale del tiranno globale e della sua spietata dittatura.

Esistono diverse ragioni sia di carattere spirituale che geopolitico che fanno pensare che l’umanità ancora non si trovi completamente sull’orlo del precipizio.

Quelle che attengono alla sfera più spirituale fanno pensare che il mondo si trovi in questo momento in quella che viene descritta come la quinta delle sette età della Chiesa.

Questa classificazione della storia è stata fatta per la prima volta dal beato tedesco Bartolomeo Holzhauser che scrisse anche degli eccellenti commentari sull’Apocalisse.

Holzhauser divideva la storia dell’umanità in queste sette grandi epoche che vanno dalla nascita di Cristo, la prima, alla venuta dell’Anticristo, la settima.

Secondo diverse letture e interpretazioni, tra le quali quella di monsignor Williamson, il mondo ora si troverebbe nella quinta età.

Questa epoca è una di grande dissoluzione e abiezione morale nella quale l’umanità si lascia andare a grandi apostasie e si allontana completamente dalla fede.

Il caos regna e grandi disordini e tumulti investono le nazioni in diverse parti del mondo.

Questo periodo ha delle somiglianze estreme con l’attuale epoca nella quale appunto l’umanità ha probabilmente toccato il gradino più basso della sua storia, ridotta ormai al culto della mascherina e fedele solo alla parola dei nuovi stregoni scientisti.

Questo periodo comunque dovrebbe essere vicino alla sua fine e l’apostasia generalizzata dovrebbe giungere al termine.

Una volta che questo sistema profondamente infetto dal punto di vista morale tramonterà, allora la Chiesa tornerà alla grandezza di un tempo guidata da una figura che è nota come il “Papa santo”.

Non sono stati in pochi a pensare che questa figura non sia altro che monsignor Viganò che in questo momento è certamente il leader spirituale nella battaglia contro la falsa chiesa che si è fatta portavoce della massoneria e della religione esoterica globale piuttosto che sua avversaria.

Gli elementi più materiali che invece fanno pensare che ancora non è il tempo del governo mondiale sono quelli che le grandi potenze mondiali non sono saldamente nelle mani del Nuovo Ordine Mondiale.

Uno degli intellettuali più importanti finanziati dai Rothschild e dai Warburg, e padre ideologico dell’attuale Unione europea, il Conte Kalergi, anch’egli massone, spiegava già negli anni’20 che il governo mondiale per vedere la luce avrebbe dovuto vedere la partecipazione degli Stati Uniti, dell’Europa unificata negli Stati Uniti d’Europa, della Gran Bretagna e dell’allora URSS.

(Coudenhove-Kalergi's plan for five superstates: Pan-Europe, Pan-America, East Asia, the British Empire, and the Russian Empire).

 

La divisione del mondo secondo Kalergi.

Solamente la partecipazione dei grandi blocchi geopolitici ed economici più influenti del mondo può permettere la nascita di un governo unico mondiale.

Winston Churchill, altro membro della massoneria, giungeva alle stesse conclusioni nel 1950. In questo momento storico, il grande potere mondialista ha certamente il controllo assoluto dell’UE, laddove l’infezione anticristiana è particolarmente, della Gran Bretagna e della Cina comunista ma non ha con sé né gli Stati Uniti né la Russia.

Gli Stati Uniti infatti sembrano essere sospesi in una sorta di limbo.

L’amministrazione Biden-Harris è un’amministrazione fantoccio che non sembra essere destinata a durare.

L’operazione che Trump sembra essere riuscito a compiere dopo il 20 gennaio è quella di farsi da parte temporaneamente per consegnare il potere alle forze armate.

Tutto questo in attesa di rovesciare ufficialmente il risultato della frode elettorale del 2020 e tornare ufficialmente al potere, ma ben prima del 2024.

Le ultime dichiarazioni dell’imprenditore Mike Lindell e le notizie della perizia legale sui voti in Arizona lasciano pensare che questa eventualità si stia avvicinando.

Ad oggi, l’amministrazione Biden-Harris non è stata in grado nemmeno di porre la propria firma sul trattato pandemico che disegna appunto l’impalcatura del governo mondiale.

In ogni caso, non ci sarà un governo mondiale se gli Stati Uniti non ne faranno parte.

È per questo che le grandi lobby del mondialismo hanno cercato, e stanno cercando, disperatamente di riprendersi il controllo dell’America.

Sono perfettamente consapevoli che non c’è modo di giungere a questo fine senza la superpotenza americana.

Dall’altro lato dell’emisfero c’è la Russia di Putin che da prima dell’avvento di Trump è stata un vero e proprio argine di contenimento del piano di espansione globalista.

Lo stesso presidente russo nel suo recente discorso a Davos, club della finanza mondiale, ha chiaramente fatto capire che il tempo della visione unica globale è giunto al termine e che il mondo non andrà verso il Grande Reset.

In altre parole, il mondialismo sta cercando di accelerare disperatamente verso il suo obbiettivo finale, ma non ha portato con sé le due grandi superpotenze che dovrebbero costituire l’architrave della dittatura mondiale.

La finestra di opportunità si sta richiudendo e non sarà certo la debole e ininfluente UE a portare il mondo verso il superstato universale.

Bill Gates è tornato recentemente a parlare e ha fatto capire che serve più tempo per arrivare al Grande Reset.

La fine della falsa pandemia è stata posticipata al 2022, e se si guarda alla tabella di marcia pubblicata dagli informatori governativi lo scorso anno, le cose non stanno andando come esattamente pianificato.

Le élite avevano programmato di riprendersi il controllo degli USA già nel 2021, ma si è visto che a Washington c’è un’amministrazione fantoccio.

In questo scenario oscuro dunque si intravede ancora un po’ di luce che lascia presagire che in questo momento storico forse i piani dei Rothschild e della massoneria non andranno a buon fine, ma occorre avere la consapevolezza che non sarà per nulla facile.

Il mondo comunque è destinato ad andare incontro a grandi tumulti anche se le aspirazioni globaliste dovessero andare in fumo già in questo frangente storico.

Solo chi resisterà fino alla fine ce la farà.

Solo soprattutto chi riesce a cogliere la visione spirituale riuscirà ad arrivare in fondo al traguardo.

Oggi è la Pasqua di Resurrezione, e questo forse potrebbe essere l’auspicio anche di una resurrezione delle forze che si stanno opponendo a tutto questo.

Alla fine, in ogni caso, il male non vincerà.

(Cesare Sacchetti)

 

 

 

 

LA CRISI DEL “NUOVO ORDINE MONDIALE”.

Fondazionefeltrinelli.it – (23-3-2022) – Alessandro Colombo – ci dice:

 

Sebbene non sia ancora possibile prevedere i suoi esiti immediati, è certo che l’attuale guerra in Ucraina segnerà una svolta nelle relazioni internazionali del XXI secolo.

Intanto perché alimenterà o, meglio, accentuerà una tendenza già riconoscibile negli ultimi anni alla rimilitarizzazione dei rapporti tra gli stati, anzi la estenderà definitivamente anche ai rapporti tra le principali potenze.

Questo elemento è già sufficiente a segnare uno stacco rispetto all’epoca d’oro del dopoguerra fredda.

Per quasi trent’anni larga parte dell’opinione pubblica, dei decisori politici e degli stessi studiosi si era abituata a ritenere che la guerra, almeno nella sua forma classica e nelle sue principali manifestazioni, avesse cessato di costituire un elemento-cardine della politica internazionale e dei calcoli degli attori, per lasciare spazio a due tipi residuali e, appunto, marginali di conflitti armati:

le guerre civili combattute al di fuori dello spazio centrale del sistema internazionale da fazioni a propria volta marginali delle rispettive società;

e il complesso delle “guerre di polizia” condotte dai paesi occidentali nelle aree periferiche, attraverso l’uso di uno strumento militare incomparabilmente superiore per capacità tecnologiche e organizzative ai propri nemici.

La guerra in Ucraina ci riporta, invece, alla più tradizionale delle guerre interstatali.

Con l’aggravante che a questa eventualità torneranno a prepararsi anche tutti gli altri Stati, aumentando come prima cosa le rispettive spese per la difesa.

Fianco a fianco alla militarizzazione, è prevedibile che la guerra in Ucraina contribuisca alla pericolosa bipolarizzazione del sistema internazionale già implicita nella retorica dello scontro tra democrazie ed autocrazie che aveva appena sostituito la bipolarizzazione ancora più irrealistica della cosiddetta “guerra globale al terrore”.

Come quest’ultima, anche la bipolarizzazione emergente lungo l’asse democrazie/ autocrazie avrà i suoi problemi a conciliarsi con la crescente scomposizione geopolitica del sistema internazionale in insiemi regionali sempre più eterogenei tra loro.

Ma, nel frattempo, la bipolarizzazione ha un impatto ambivalente sull’Europa.

Da un lato, essa ha il vantaggio di allontanare lo spettro dell’abbandono periodicamente agitato dalla precedente amministrazione Trump, restituendo all’Europa il ruolo di interlocutore e partner privilegiato degli Stati Uniti.

Ma, dall’altro lato, il “richiamo all’ordine” dell’Europa ha il triplice svantaggio di intralciare sul nascere la flessibilità diplomatica che sembrerebbe più consona a un contesto multipolare quale quello a cui la stessa Unione Europea dichiara di ispirarsi; di intrappolarla, al contrario, in una competizione regionale con la Russia e globale con la Cina;

di sfumare ulteriormente le velleità già deboli di una autonomia politica e strategica dell’Unione.

 

A propria volta, l’approfondimento delle fratture politiche e strategiche rischia di disarticolare lo spazio economico internazionale, rovesciando anche un altro dei luoghi comuni della fase di ascesa del nuovo ordine liberale seguito alla fine della guerra fredda.

Se, ancora fino a pochi anni fa, la convinzione prevalente era che la globalizzazione economica si sarebbe portata dietro presto o tardi qualche forma di globalizzazione politica e culturale, oggi scopriamo che sono le fratture politiche a mettere a rischio la globalizzazione economica.

I segnali in questa direzione sono inequivocabili, a maggior ragione in quanto si sommano a quelli già prodotti dalla pandemia del Covid 19:

 la spinta (politica più ancora che economica) a “riportare a casa” attività in precedenza delocalizzate, almeno in settori nuovamente dichiarati “sensibili”;

 la riscoperta della promessa di “confinamento” e “messa in sicurezza” dei confini dei singoli Stati nazionali e delle stesse organizzazioni regionali (Unione Europea compresa);

più in generale, la rinnovata enfasi sulla necessità strategica dell’autonomia (a cominciare da quella energetica), che vede sempre di più la globalizzazione come un vettore di vulnerabilità invece che di mutuo arricchimento.

Ma l’effetto più impressionante della guerra in Ucraina è quello di portare definitivamente allo scoperto i grandi nodi irrisolti del passaggio dal XX al XXI secolo.

Il primo è il fallimento politico, e diplomatico e strategico del progetto di “Nuovo Ordine Mondiale” varato all’inizio degli anni Novanta ed entrato in crisi irreversibile dalla metà del primo decennio del nuovo secolo.

Almeno due capitoli di questo fallimento si sono manifestati in pieno in questa crisi.

Il primo è la mancata risposta al problema capitale di tutti i grandi dopoguerra, quello di come trattare il nemico sconfitto:

lo stesso problema che aveva già costituito il contrassegno di tutti i grandi dopoguerra degli ultimi duecento anni, oltre che il primo e decisivo criterio distintivo tra di loro.

All’indomani delle guerre napoleoniche, la Francia era stata rapidamente riammessa nel concerto delle grandi potenze;

dopo la Prima guerra mondiale, la Germania era stata invece duramente punita sia sul piano politico che su quello economico che su quello cerimoniale;

dopo la Seconda guerra mondiale, la Germania era stata punita ancora più duramente attraverso la sua stessa divisione territoriale, ma le due Germanie erano state prontamente accolte nei rispettivi sistemi di alleanza.

Tra il 1990 e oggi, al contrario, alla Russia sono stati rivolti segnali ambigui, a volte clamorosamente contraddittori.

Da un lato, non è mancata soprattutto nel primo decennio del dopoguerra fredda la suggestione (mai pienamente realizzata) di coinvolgerla in un’architettura comune di sicurezza europea – proprio per evitare lo spettro già evocato allora di una “Russia mesmeriana”.

Ma, dall’altro lato, i successivi allargamenti a Est della Nato, la guerra unilaterale della Nato contro la Jugoslavia nel 1999 e, negli ultimi mesi, la ripetuta allusione al possibile ingresso della stessa Ucraina nella Nato hanno spinto sempre di più la Russia ai margini di quell’architettura.

L’altro capitolo, strettamente (anzi forse troppo strettamente) legato al primo, è quello di come rilanciare l’alleanza vittoriosa, nel nostro caso la Nato.

Dopo il brillante adattamento del primo decennio del dopoguerra fredda, culminato nel Concetto strategico del 1999, la Nato ha arrancato per trovare un posto nell’architettura della guerra globale al terrore e ha condiviso con gli Stati Uniti il clamoroso fallimento in Afghanistan.

Il rilancio attuale dell’alleanza in funzione antirussa è il sigillo finale del fallimento del Nuovo Ordine:

a trent’anni dalla fine della guerra fredda, le relazioni tra Occidente e Russia si ritrovano paradossalmente al punto di partenza.

Il secondo nodo è la vera e propria “crisi costituente” che la società internazionale sta attraversando per effetto del riflusso contemporaneo delle due centralità sulle quali si era strutturata la convivenza internazionale moderna:

la centralità dello Stato e la centralità dell’Occidente.

Nessuno dei prìncipi fondamentali della convivenza internazionale è risparmiato da questa transizione.

L’idea che gli stati siano gli unici o i principali soggetti dell’ordinamento internazionale è controbilanciata e, almeno in parte, minata dal riconoscimento di diritti inalienabili in capo ai singoli individui.

Il principio stesso di sovranità tende a essere eroso in una direzione e riappropriato in un’altra, per effetto della diffusione dei principi di ingerenza da un lato ma, dall’altro, per la pretesa avanzata da sempre più stati di tutelare se necessario anche al di sopra delle norme restrittive della Carta delle Nazioni Unite i propri interessi irrinunciabili di sicurezza.

Il tradizionale principio dell’eguaglianza formale degli stati è contestato (e non da attori deboli e marginali, ma dallo stesso paese più forte) in nome di un nuovo e controverso principio di discriminazione a favore delle democrazie.

Il ricorso alla guerra continua in linea di principio a essere vietato dalla Carta delle Nazioni Unite;

ma, nei fatti, l’introduzione di una serie di eccezioni non necessariamente coerenti tra loro (l’ingerenza umanitaria, la lotta contro il terrorismo, l’estensione della legittima difesa preventiva a casi nei quali la minaccia non è ancora imminente) ha già eroso surrettiziamente il divieto.

Soprattutto, è sempre più apertamente contestata dai grandi paesi non occidentali emergenti la tradizionale pretesa dei paesi occidentali di parlare a nome dell’intera comunità internazionale, dettando la soglia di accesso alla piena appartenenza e i criteri di normalità politica, economica e culturale validi per tutti.

E proprio a ciò si collega l’ultimo nodo – più paradossale ma, con ogni probabilità, ancora più importante.

La guerra in Ucraina rimette l’Europa al centro delle tensioni e dei calcoli strategici dei principali attori; ma lo fa in un contesto nel quale è evidente a tutti – a cominciare dai protagonisti diretti e indiretti della guerra – che il baricentro politico, economico e strategico del sistema internazionale si sta spostando altrove.

Su questo spostamento sarà bene che nessuno si faccia troppe illusioni.

Anzi, se negli ultimi decenni la guerra aperta era giunta a essere considerata come un fatto periferico, se non addirittura come il sigillo della propria perifericità, ci sarebbe da chiedersi se la spaventosa guerra in Ucraina non sia l’ultimo segno della detronizzazione dell’Europa da centro del mondo.

 

La Lotta alle “Fake News”

è una Trovata del

Sistema Liberticida.

Conoscenzealconfine.it – (16 Dicembre 2022) - Redazione lapekoranera.it – ci dice:

Chi decide se una notizia sia da considerare vera o falsa, e se il popolo meriti o meno di essere informato su cosa progetti il potere?

Queste domande se le stanno ponendo in tanti, soprattutto a seguito della campagna planetaria occidentale contro le “fake news”.

Il “sistema” ovviamente non è italiano né tedesco o Usa, il “sistema” è quel gabinetto di poteri bancari europei ed occidentali che esercita i propri desiderata tramite azioni concrete di Nato, Onu, Ue e grande speculazione finanziaria (per esempio BlackRock e Goldman varie…)

Oggi le emergenze che preoccupano il “sistema” sono di due tipi, produttive e valutarie:

 nelle produttive insistono le politiche d’indirizzo sanitario ed ecologista, quindi ciò che fa l’uomo comune quando lavora in campagna e in bottega artigiana, se è propenso o meno ad aggiornare vetture, frigorifero, lavatrice e televisore, ed ovviamente tutti gli strumenti tecnologici obbligatori e collegati al lavoro (computer, sistemi per scambio di dati, pos di pagamento…);

 quelle valutarie riguardano il risparmio dei cittadini, l’uso che fa del danaro l’uomo di strada, e per questo motivo gradirebbero l’abolizione planetaria totale del contante, così che il “sistema finanziario” possa controllare ogni mossa dei comuni cittadini, bloccando eventualmente le manovre economiche di chi non é politicamente gradito.

Ecco perché nessuno governo eletto dal popolo (e solo dal popolo) sarebbe gradito al “sistema”:

 del resto potrebbe mai un governo eletto dal popolo prendersi la responsabilità di bruciare i risparmi dei cittadini o mettere ipoteca sulle case perché i cittadini paghino la tangente al “sistema”?

 Il “sistema” non è affatto sconfitto dalle urne del 25 settembre:

in questo momento sta facendo l’esame del sangue e la radiografia al governo Meloni.

Per capire chi della “nuova” classe dirigente potrebbe obbedire ai poteri internazionali e chi, invece, avrebbe la voglia di dissentire, di dire di no ai padroni finanziari dell’Occidente.

Infatti sta già prendendo forma su giornali e tivù prezzolate dal “sistema”, la probabilità d’una nuova epidemia o pandemia, la possibilità d’un veto finanziario internazionale sull’uso del contante, e più rigide norme alle esportazioni europee per scongiurare qualsiasi rapporto commerciale con la Russia.

Il “sistema” oggi vuole sondare se tra gli eletti in Italia ci siano soldati capaci di chiuderci nuovamente in casa, soprattutto quanti siano ancora i ribelli in grado di non rispettare gli ordini di Onu ed Oms.

Il potere fa momentaneamente giocare il popolo come il gatto col topo in un locale chiuso:

 lascia gli italiani alla momentanea euforia elettorale, come nel 1870 quando i parigini della Comune credettero di poter imporre la loro visione al mondo (quasi 50mila vennero fucilati in tutta Parigi, i giornali scrissero “la Repubblica ha vinto sul popolo”).

La gente sa benissimo cosa sia il “sistema”, ma finge d’ignorarne l’esistenza: anzi per rabbonirsi le guardie pinocchiesche punta l’indice accusatorio contro chiunque commetta “lesa maestà”.

 Ricordate quando ci avevano chiuso in casa? Ricordate che in quei giorni su internet e tivù faceva capolino la notizia che sotto pandemia da Covid sarebbero enormemente aumentate le “fake news contro poteri bancari europei e istituzioni”?

Ma cosa c’entra la pandemia con eventuali bufale contro il potere?

 Ma volete proprio passare da coglioni che credono a queste frescacce?

 Le televisioni generaliste, popolate da uomini equivoci e donne spregiudicate, sono arrivate a sostenere che dietro le “fake news” su Mario Draghi, Joe Biden, Ursula von der Leyen, Christine Lagarde, poteri finanziari e multinazionali occidentali, ci sarebbe lo zampino dei “complottisti filorussi”:

ma veramente possiamo credere a queste barzellette?

Roba degna delle esilaranti commedie con Renato Pozzetto e Massimo Boldi: nemmeno Fantozzi e Fracchia crederebbero a simili frottole, forse fingerebbero di stare al gioco per non dispiacere il “pan-direttore-megagalattico”.

Di fronte a queste notizie che spandono (a mo’ di letame) i cosiddetti “media istituzionali”, dovremmo reagire ridendo, spegnendo la tivù o cambiando canale. Sconcerta invece che ancora troppa gente per strada, nei bar ed ovunque, continui a credere all’informazione istituzionale, che ripeta a mo’ d’uccello esotico “dietro le fake news su Onu e Nato c’è l’accordo tra Donald Trump e Vladimir Putin”.

E genera rabbia ascoltare dalla voce di qualche insegnate: “io ripeto sempre, soprattutto ai miei alunni, che necessita informarsi solo dalla stampa istituzionale “.

Quest’ultima un tempo veniva appellata come stampa di regime, capace solo di riportare veline e onorare quel patto col potere noto come “politica del consenso”.

Questo è il modello di libertà che l’Occidente vorrebbe imporre all’intero Pianeta e, parafrasando un imprenditore Usa, all’intero Universo?

Un modello di pensiero che utilizzi a reti unificate le tivù pubbliche e private per dirci che “dietro le fake news contro i poteri occidentali c’è la disinformazia russa”?

 E la politica glissa, temendo di finire nel tritacarne mediatico.

Ha Vinto Enver Hoxha.

Sconcerta la popolazione italiana sia regredita allo stato mentale che ha caratterizzato il popolo albanese durante il governo di Enver Halil Hoxha, dal 1944 al 1985:

 Pia (così appellavano Hoxha i suoi stretti e fidati compagni) non era affatto un negletto, era figlio d’un ricco mercante ed aveva prima studiato e poi insegnato all’Università di Montpellier in Francia, ma tornato a governare l’Albania ebbe lo spudorato coraggio di vietare ogni forma d’informazione estera al suo popolo (forse oggi ne avrebbe ben donde).

 Motivo? Hoxha asseriva che “cinema, media e letteratura occidentale vogliono distruggere l’Albania ed il suo popolo” quindi aggiungeva di “tenere gli occhi ben aperti, di levarli al cielo, perché gli americani si sono alleati anche con i marziani”.

Persino Stalin e Tito sollevarono nel Comintern il problema Hoxha, ovvero contro le ossessioni di Pia che recavano danno alla politica sovietica.

 Ovviamente dopo la sua dipartita, nel 1985, gli albanesi incrementarono l’uso delle parabole, ed attraverso le tivù italiane scoprirono d’essere vissuti per più di quarant’anni in balia delle favole di Pia.

Infatti i primi a dirci che ci stiamo rimbecillendo sono gli europei orientali e balcanici.

Un amico albanese (oggi valido imprenditore a Bari) s’è rivolto allo scrivente così: “ormai credete a tutto quello che vi dice il potere, mi ricordate gli albanesi ai tempi di Hoxha”.

Certo Usa e Londra non vorrebbero mai un Pia in Italia, ma gradirebbero un economista alla Antonio de Olivera Salazar, che ha governato il Portogallo dal 1932 al 1974:

e Salazar Draghi lo abbiamo visto nuovamente all’opera al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, dove a pochi giorni dalle passate urne una platea di scimmiette ammaestrale lo ha applaudito al grido di “Bis! Bisss!”.

Al pari di Draghi, anche Salazar era stato prima alle Finanze portoghesi (una sorta di ministro del Tesoro portoghese dal 1928 al 1932), e chiunque criticasse la linea di politica economica di Lisbona veniva arrestato e detenuto come nemico del potere:

 è inutile rammentarvi che il massone Salazar godeva d’un certo consenso internazionale, le logge bancarie europee ed atlantiche ne garantirono l’inamovibilità.

Draghi non è ancora andato via, sta dicendo al Mondo che Giorgia Meloni non farà di testa sua.

Sappiamo anche che i seicento deputati eletti a settembre (prima della riforma erano più di ottocento) saranno presto messi a lavoro per cambiare la Costituzione, per partorire una riforma presidenziale che possa premiare il Draghi di turno.

Secondo “radio fante” pare che Draghi abbia in mano un dossier contro i propri nemici, un report redatto dai “professionisti della sicurezza”.

In forza di certe informazioni, ancora oggi viene spacciata dagli “istituzionali” per “fake news” ogni critica rivolta alle misure economiche dell’ex Governo Draghi, all’Agenzia delle Entrate, alle banche che requisiscono i soldi dei cittadini, alle normative europee che fanno chiudere le botteghe.

Per chiunque non accetti il potere del “sistema” c’è ancora oggi la lista di proscrizione, l’inserimento del dissidente nell’elenco dei “filorussi” o degli untori di “fake news”: in questa logica è stato ordito il complotto Rai contro Enrico Montesano.

Il popolo intimorito osserva tutto, ben sapendo che in questo Parlamento siede ancora chi proponeva “pene pecuniarie severe contro i giornalisti e serie pene detentive che frenino l’informazione lesiva del sistema”: ovviamente la galera raggiungerebbe il giornalista dopo che, per legge, siano state portate via anche le mutande.

C’è malessere diffuso nella popolazione, c’è insofferenza verso le regole, disaffezione dalla propaganda di regime: la cappa omologata su pensieri, idee e parole la percepiamo da televisori, rete e giornali.

Così si spegne la tivù e non si compra il Corriere perché non si crede più al sistema, ai suoi moniti, alle sue regole, alla propaganda liberticida.

Chiamati al Voto dai Soliti Noti.

Le campagne elettorali sono sempre state dominate dall’ipocrisia, dalle bugie all’elettorato, dalla consapevolezza che si tratti d’un rito da dover fare per salvare il fascino discreto della borghesia, che dell’apparenza democratica ha fatto la propria essenza quanto la precedente aristocrazia del rango e dell’alterigia.

Tra il popolo votante c’è chi ama pensar male, alla luce delle condotte di certi partiti collusi con dirigenza di stato, magistratura e media.

 Pochi mesi fa il Partito democratico è riuscito a seppellire le tracce dei fondi Dem Usa:

inviati circa due anni fa al Pd per sostenerne l’azione sul territorio italiano.

 Oggi apprendiamo che la candidatura di Elly Schlein alla segreteria Pd sarebbe supportata dai “fondi colorati” di George Soros.

La notizia campeggiava timidamente sui giornali, e nessun “giornalista istituzionale” si permette di scivolare sull’argomento.

Il deputato Giovanni Donzelli (FdI) aveva denunciato che erano stati tracciati soldi provenienti da una organizzazione vicina all’ex presidente Usa Obama, fondi statunitensi indirizzati ai candidati del Pd.

Ecco la prova delle ingerenze straniere, con ampio spettro d’illecito, sulla vita politica italiana.

Nessuno sembra si sia indignato, e qualcuno ha anche detto “cosa volete che siano… aiuti americani”:

aiutini degli stessi esponenti di Wall Street che nel ’92 ordivano il golpe del Britannia contro il governo Craxi, perché “gli invisibili, gli 007 della speculazione finanziaria, non si fidavano di Craxi” (per dirla con le parole di Rino Formica, che denunciava queste ingerenze in uno storico vertice del Psi).

Il Foglio sosteneva che i “Social Changes” Usa avrebbero dato soldi per aiutare il partito di Enrico Letta a postare su Facebook notizie di propaganda, soprattutto nelle ultime settimane di campagna elettorale.

“L’utilizzo di fondi stranieri, americani come di chiunque altro, per la politica è illecito – scriveva il deputato Donzelli.

 Il decreto crescita del 2019, ultimo approvato in materia in vigore, vieta i finanziamenti diretti.

I finanziamenti dall’estero, pubblici o privati, possono andare solo a fondazioni e associazioni.

A patto che i soldi non vengano poi girati alle casse di partiti e movimenti politici”.

Donzelli chiedeva lumi con interrogazioni al passato governo e al ministro dell’Interno, sporgeva denunce e segnalava il tutto ad ogni organo competente: non sembra abbia ricevuto alcuna risposta.

Anzi, chiunque sollevi l’argomento rischia il linciaggio in rete, d’essere bloccato dai social network e non mancano le minacce di querela:

non perché il fatto sia diffamante o calunnioso, ma perché la magistratura italiana gode della facoltà arbitraria di poter condannare la “continenza”, ovvero l’effetto nefando e roboante della notizia, seppur vera ed accertata;

 l’incapacità di saper ritenere, a mo’ di urina, il fragore della notizia.

 In parole povere, il magistrato può accusare d’incontinenza chiunque ne parli, limitando così di fatto il diritto di critica politica, il diritto d’espressione.

Sarebbe oltremodo interessante avere un quadro completo delle denunce fatte dal Pd contro avversari politici e giornalisti poco compiacenti, per parametrare il dato con il lavoro svolto dalla magistratura, per appurare le effettive fonti di finanziamento che giungono al Pd da organizzazioni estere, associazioni ed imprese:

 il tutto servirebbe anche a fare luce sulla poca libertà di stampa in Italia.

È sotto gli occhi di tutti che la maggior parte dei giornali italiani temano aprire la porta della questione morale interna al Pd.

 Timore di ricadute giudiziarie o una sorta di compiacenza e fedeltà Dem?

C’è un po’ di tutto.

Resta il fatto che la classe dirigente dell’ex Pci-Pds-Pd non abbia mai creduto nel sistema Italia.

Sarebbero tantissimi gli esempi dei dirigenti politici, dei vertici di ministeri e magistratura, come di Regioni ed enti locali vari, che hanno prima mandato i loro figliuoli a studiare all’estero e poi li hanno fatti raggiungere dai loro risparmi.

Si sono francescanamente liberati di ogni avere nell’avito paese, reputandolo non degno d’alcun investimento.

 

In questa posizione di nullatenenti hanno continuato a fare i vertici Pd, i magistrati, i dirigenti di Stato ed enti vari.

Forti della loro posizione hanno perorato la causa d’infliggere la patrimoniale contro case e terreni degli italiani, d’aumentare accise e balzelli, di rendere l’Imu un deterrente all’acquisto d’immobili, di chiudere il rubinetto creditizio agli italiani perché vivrebbero sopra le loro possibilità.

 Insomma, loro garantiti e con i beni all’estero, ed una bella “povertà sostenibile” per chi sputa sangue in Italia.

(Redazione de lapekoranera.it)

(lapekoranera.it/2022/12/10/la-lotta-alle-fake-news-e-una-trovata-del-sistema-liberticida/)

 

 

 

 

Florida, il Governatore Ron de Santis:

“Produttori di Vaccini Covid

responsabili di Effetti avversi

 e Morti improvvise”.

Conoscenzealconfine.it – (15 Dicembre 2022) - ilgiornaleditalia.it – ci dice:

 

Il governatore della Florida (USA) Roni De Santis ha dichiarato che nel suo stato i produttori di vaccini non godranno dell’immunità penale come avviene in altre parti del mondo.

“Il nostro Stato riterrà responsabili i produttori di vaccini per le false affermazioni riguardanti i prodotti Covid che hanno causato lesioni e morti”.

Ron de Santis promette che la Florida riterrà i produttori di vaccini responsabili delle morti improvvise.

Le parole sono state pronunciate da Roni De Santis, il governatore della Florida, che in passato ha garantito – mettendosi contro gli obblighi di Washington – che in Florida la popolazione continuasse a lavorare e a enere l’economia a livelli alti.

Adesso che stanno venendo a galla numerosi segreti in merito alla composizione dei vaccini, agli effetti avversi come quelli rilevati anche dalla CDC oppure dei report v-safe, ha promesso alla popolazione che i produttori dei sieri saranno considerati responsabili “penalmente e civilmente” dei danni arrecati alla popolazione.

Sono numerosi infatti gli effetti avversi e le morti improvvise che, recentemente, hanno interessato anche il mondo agonistico con la morte di ben 42 atleti.

Recentemente in America è stato anche diffuso il film “Died suddenly”, vale a dire “morti improvvise”.

Si tratta di un docufilm che fa luce proprio sulle morti che si sono succedute in questi mesi da quando i sieri sono stati diffusi a più riprese e secondo una metodologia di dosi booster tra la popolazione.

(ilgiornaleditalia.it/video/esteri/434866/florida-ron-de-santis-produttori-vaccini-covid-responsabili-effetti-avversi-morti-improvvise.html)

 

 

L’Ucraina, le contraddizioni dell’Occidente

e il nuovo ordine mondiale.

Micromega.net - Cinzia Sciuto – (1° Luglio 2022) – ci dice:

 

Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali, analizza le recenti decisioni della Nato e le prospettive della guerra in Ucraina.

Al recente vertice della Nato di Madrid è stato messo nero su bianco che “la Federazione Russa è la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati e alla pace e stabilità nell’area euro-atlantica”.

Che giudizio di queste prese di posizione?

Mi pare si possa dire che è la presa d’atto che il 24 febbraio la Russia ha scatenato una guerra calda, portando il mondo in una nuova guerra fredda.

Un’alleanza come la Nato, sopravvissuta oltre vent’anni fa all’estinzione del suo nemico istituzionale, ha rischiato di essere travolta dall’erede di quel nemico, la Russia di Putin.

Questo è il rischio che è stato corso, e che è stato sventato.

La definizione della Russia come principale minaccia, e direi minaccia esistenziale, alla sicurezza delle democrazie occidentali è semplicemente la registrazione di come la Russia si comporta ormai da anni, in maniera diretta dal 2014, ma in maniera indiretta dal 2006.

Se la durezza delle parole usate nei confronti della Russia era prevedibile, molti osservatori sono rimasti sopresi dai toni usati nei confronti della Cina, espressamente indicata come una delle forze che “sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori e cercano di minare l’ordine internazionale basato sulle regole”.

La Nato è un’alleanza militare e in questo momento non si può dire che la Cina rappresenti una minaccia sul piano militare per i Paesi alleati.

Questi toni non rischiano di esasperare le tensioni geopolitiche?

Penso sia stato importante avere preso una posizione molto netta anche nei confronti della Cina, qualificandola come uno sfidante.

 E questo sia per l’atteggiamento che la Cina ha avuto recentemente sulla questione della guerra in Ucraina sia più in generale per un atteggiamento che persegue da diversi anni.

Mi spiego.

Sul primo punto, nonostante le ambiguità e nonostante Putin non abbia avuto da Xi Jinping tutto il sostegno che chiedeva, è innegabile che se non ci fosse stato una sorta di disco verde da parte del leader cinese a Putin le cose in questi mesi sarebbero andate molto diversamente.

Per cui la Cina ha una responsabilità diretta nell’attuale situazione.

Più in generale poi la Cina, con Xi in particolar modo e soprattutto negli anni più recenti, è passata da un atteggiamento di richiesta di revisione delle relazioni internazionali in termini maggiormente multilaterali anzi, meglio, di una sorta di bipolarismo sino-americano, a una politica di aperto attacco alla centralità occidentale.

Ora, con tutte le enormi contraddizioni che l’Occidente si porta appresso, francamente le alternative proposte fino a questo momento sono chiaramente peggiori.

 Nelle agende alternative proposte dai Paesi autoritari non c’è nessuno spazio per la democrazia, l’eguaglianza di genere, la lotta effettiva alle diseguaglianze, la protezione e l’avanzamento dei diritti. Ma la Nato non è un’alleanza politica bensì militare e al suo interno ci sono anche Paesi non democratici, penso per esempio alla Turchia.

In realtà la Turchia è l’unico Paese Nato a non essere una democrazia, e all’epoca era stato ammesso proprio per evitare che finisse nella sfera di influenza della Russia.

 Era il 1952 e sulla Turchia si esercitavano pressioni molto forti.

Detto questo, penso che il punto debole sia della Nato sia dell’Unione Europea sia proprio quello dei criteri per la membership dei Paesi, molto criticabili dal punto di vista della democrazia.

Rimanendo alla Turchia, come legge la decisione di togliere il veto alla richiesta di ingresso di Svezia e Finlandia?

Erdogan ha cercato di massimizzare un potere di veto che sapeva benissimo essere del tutto temporaneo, destinato a non essere esercitato in maniera permanente.

Ha portato a casa alcune forniture militari che chiedeva da tempo e la promessa che Svezia e Finlandia non saranno più quella terra d’asilo che sono state finora per i militanti curdi.

Che quindi sono stati trattati come merce di scambio in questa vicenda…

A livello politico certamente sì, come purtroppo è accaduto svariate volte in questi anni.

Ma ricordiamo che Svezia e Finlandia sono degli Stati di diritto, le decisioni politiche contano fino a un certo punto, ci sono poi dei giudici che devono decidere sulle eventuali estradizioni.

E io non sono così sicuro che ne vedremo molte. A Erdogan interessava avere un messaggio politico da dare in pasto alla sua opinione pubblica.

In ogni caso quei valori “occidentali” di cui parlava prima non ci fanno una gran bella figura…

Non c’è alcun dubbio, e sono esattamente quelle contraddizioni e ambiguità di cui parlavo.

Vede, quando parliamo di Occidente parliamo in realtà di due cose diverse.

 Da un lato ci riferiamo al ruolo di “trascinamento” che l’Occidente ha avuto nel mondo negli ultimi 5-600 anni, cioè grossomodo da quella che chiamiamo l’età delle scoperte, che ha dato all’Occidente un enorme potere mettendo le basi per la nascita e il consolidamento della forma Stato.

Poi c’è un secondo Occidente, inteso come l’insieme dei regimi democratici che sono in pace perpetua tra loro a partire dal secondo dopoguerra.

Tra questi due sensi di Occidente ci sono certamente continuità, eredità eccetera ma ci sono anche tensioni e discontinuità.

Se chi sta fuori dall’Occidente, comprensibilmente, ha in mente sostanzialmente il primo, guai se noi che stiamo dentro avessimo in mente esclusivamente il secondo perché le contraddizioni ci sono e noi dobbiamo lavorare per superarle:

 la tensione tra democrazia e mercato, la spinta dei politici a trasformarsi in oligarchie, le diseguaglianze eccetera.

Ma senza democrazia non c’è neanche l’agenda politica per affrontare questi problemi.

Sono le questioni di cui parla nel suo ultimo lavoro, Titanic. Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale (il Mulino, 2022).

Sì, due terzi del libro sono dedicati a una puntuale autocritica della trasformazione dell’Occidente a seguito della cosiddetta globalizzazione neoliberale, neoconservatrice, ordoliberale, e alla necessità di rimettere in equilibrio l’agenda progressista con la crescita economica.

Un terzo del libro è dedicato alle minacce esterne.

 Ecco, quest’anno una di queste minacce esterne si è palesata in maniera eclatante.

Guardiamola allora più da vicino questa minaccia.

Negli ultimi giorni, con il ritiro della Russia dall’Isola dei serpenti, che sembra preludere a una rinuncia alla conquista di Odessa, pare ci troviamo di fronte all’ennesimo cambio di strategia di Putin, è d’accordo con questa lettura?

Nessuno di noi ha accesso ai piani militari russi e quindi ci facciamo un’idea da quello che la Russia fa.

 Ecco, la sensazione è che stia continuando a ridefinire obiettivi politici e quindi anche militari.

Prima pensava di risolvere la questione con gli ucraini semplicemente minacciando l’uso della forza, poi applicando appena un po’ di forza pensando che nessuno la contrastasse, poi sembrava volersi concentrare sul Donbass, poi invece anche chiudere il Mar d’Azov e poi il Mar Nero…

In questo momento la strategia sembrerebbe:

impediamo agli ucraini di usare il Mar Nero.

Da tutti questi cambi di strategia mi pare si possa dire con chiarezza che la Russia non sia in grado di sostenere un conflitto di logoramento che duri mesi.

Non c’è dubbio che gli ucraini hanno molte meno risorse umane…

Problema che non si risolverebbe inviando ancora più armi…

Beh, dipende dalle armi.

Perché più sono sofisticate meno risorse umane servono per usarle.

 È proprio per questo che gli ucraini chiedono armi moderne ed efficienti.

 In ogni caso gli ucraini, pur essendo in numero nettamente inferiore, hanno una capacità di combattimento che invece i russi non hanno.

 Quando un ucraino muore la famiglia sa perché è morto.

Ma i soldati russi per cosa muoiono?

A oggi sono già 35mila i soldati russi morti in Ucraina: una cifra spaventosa per una guerra di pochi mesi.

Pensiamo che gli americani in vent’anni hanno perso 3.500 soldati.

 Chi glielo spiega alle famiglie russe per cosa sono morti i loro figli?

Aggiungiamo a questo la pessima organizzazione dell’esercito russo e avremo come risultato che la Russia non sarà in grado di condurre ancora a lungo questa guerra.

Ma non possiamo neanche dire che l’Ucraina è in grado di vincerla…

Dipende cosa intendiamo per “vittoria”.

Vincere è una questione politica.

 I talebani in Afghanistan hanno vinto, ci hanno messo vent’anni ma il fatto di non aver ceduto ha consentito loro, vent’anni dopo, di dire che hanno vinto, a prescindere dal numero di morti e dalla devastazione del Paese.

A meno che l’Ucraina e l’Occidente che la sostiene non lo vogliano, la Russia non è nelle condizioni di vincere politicamente questa guerra.

Posto che sono gli ucraini a decidere a quali condizioni accedere a una tregua, penso che il respingimento della Russia sostanzialmente alle frontiere del 24 febbraio – anche se con delle eccezioni perché non penso che sarà possibile, per esempio, riconquistare Mariupol – sia una ragionevole condizione per potersi sedere e negoziare.

In questo quadro che significato ha la decisione del Consiglio europeo di accettare la candidatura dell’Ucraina a Paese membro dell’Unione Europea?

Innanzitutto, dà una risposta chiara alla richiesta ucraina che già dai tempi di Euro-majdan, ma anche da prima, aveva indicato chiaramente la sua volontà di orientarsi verso l’Ue.

Questa decisione significa dunque che si riprende quel percorso e si garantisce agli ucraini che quel percorso non gli può essere nuovamente scippato, come fu dopo Euro-majdan.

È dunque un segnale forte, che significa anche riconoscere che gli ucraini stanno combattendo anche per noi.

 

 

 

 

CONTRO TUTTI

GLI IMPERIALISMI.

Pane-rose.it – Redazione - (3 Marzo 2022) – ci dice:

 

L’invasione russa dell’Ucraina per noi è certamente un atto da condannare, ma non ci uniamo al coro degli apologeti dei guerrafondai degli Usa, dell’Unione Europea e della NATO che, in tutto il mondo, parlano di pace mentre continuano a fomentare massacri e guerre per i loro interessi.

Minacciare, demonizzare il nemico, istigare la paura del diverso, reprimere, sono da sempre alcuni dei modi usati dal nemico di classe per ottenere il consenso del popolo a politiche reazionarie, mobilitandolo a sostegno dei suoi interessi.

In questo gli USA e la NATO sono stati – e sono - dei maestri, come dimostra anche il tentativo di isolare la Russia allargando i confini della NATO per accerchiarla.

Distruggere l’identità di un popolo o di una classe, cancellare la sua memoria storica, imporre quella del nemico è essenziale e funzionale a perpetuare il saccheggio e lo sfruttamento, perché una classe o un popolo senza memoria è facilmente manipolabile e sfruttabile.

Manipolare l’opinione pubblica attraverso i media è una delle forme di controllo del potere economico, che è anche padrone dei mezzi di comunicazione.

 Gli editori, i padroni dei mezzi di comunicazione, dei giornali, delle TV via cavo, film ecc., in tutti i paesi sono gli stessi che detengono il potere politico.

In Italia sono i Berlusconi, De Benedetti, Cairo, Caltagirone, il Vaticano e le industrie multinazionali, gli Agnelli, i Pirelli e tutti quelli foraggiati direttamente dagli USA.

In questi anni di relativa “pace sociale” nei paesi imperialisti, gli USA e la NATO - di cui l’Italia fa parte - hanno condotto guerre di saccheggio, distrutto nazioni che resistevano e si opponevano alla penetrazione imperialista, compiendo massacri di civili (donne, vecchi e bambini):

tutto questo è stato giustificato con la “difesa della democrazia” e dei “diritti umani”.

Si sono persino inventati le guerre “umanitarie” per nascondere i loro interessi e il massacro di centinaia di migliaia di persone (ricordiamoci della Palestina, della Yugoslavia così vicina a noi, dell’Iraq; dell’Afganistan, della Libia e della Siria ...).

 

Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, è stato diffamato, torturato e arrestato proprio per aver denunciato i crimini commessi dai soldati dagli Usa e della NATO sui civili durante tutte le guerre imperialiste.

Oggi il governo di unità nazionale – presieduto dal banchiere Draghi - all’unanimità si è messo l’elmetto, scendendo a fianco degli USA, con il plauso anche dell’opposizione.

Da oggi l’Italia è in guerra e invierà militari e “armi letali” all’Ucraina.

Noi operai e lavoratori italiani siamo al fianco degli operai e dei lavoratori di tutto il mondo che lottano contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per una società in cui il profitto e lo sfruttamento siano considerati un crimine contro l’umanità.

Per noi ogni popolo – non solo alcuni - è legittimato a scegliere liberamente il suo governo noi siamo per l’autodeterminazione.

L’internazionalismo proletario afferma che la classe operaia e proletaria è una e internazionale, e che il primo dovere internazionalista consiste nel lottare contro i propri governi, comitati d’affari dei capitalisti.

L’imperialismo impone ai popoli del mondo sottosviluppo, prestiti usurai, debiti con interessi impossibili da pagare, scambio diseguale, speculazioni finanziarie non produttive, corruzione generalizzata, commercio di armi, guerre, violenza, massacri, cui partecipa l’imperialismo italiano per spartirsi il bottino.

Nel mondo e in Italia tutti i governi borghesi hanno attuato politiche antioperaie e antiproletarie e finanziato tutte le missioni di guerra italiane nel mondo, chiamandole ipocritamente “missioni di pace o umanitarie”.La “democrazia” capitalista, imperialista, con le sue frasi altisonanti ma vuote, è la maschera dietro cui si nasconde la brutale dittatura del capitale.

 Le guerre imperialiste sono sempre contro i lavoratori e le classi popolari, che pagano il prezzo più alto.

Il capitalismo e l’imperialismo sono il vero cancro dell’umanità.

Distruggere il sistema di sfruttamento capitalistico e chi si arricchisce su di esso, provocando fame, sofferenze, miseria e morte a milioni di persone nel mondo, questa è l’unica guerra giusta.

Noi siamo contro tutte le guerre imperialiste, ma non siamo pacifisti.

A differenza dei pacifisti - che oggi scendono in piazza a fianco dei loro governi “contro tutte le guerre”, ma in realtà a sostegno degli USA, dell’Unione Europea e della NATO - noi ribadiamo che l’unica guerra giusta è quella di classe fra padroni e operai, tra sfruttati e sfruttatori.

Il nemico è in casa nostra: i padroni e i loro governi.

Fuori la NATO dall’Italia, fuori l’Italia dalla NATO!

(Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”)

(ciptagarelli.jimdofree.com)

 

 

 

La narrativa russa della guerra:

un nuovo ordine mondiale.

 

Genteeterritorio.it - Luigi Gravagnuolo – (25 Luglio 2022) – ci dice:

 

Affrontiamo qui il nodo centrale della narrazione russa del conflitto: l’operazione militare speciale avviata lo scorso 24 febbraio segna il momento del riscatto della Russia da anni di umiliazioni e l’avvio di un’azione a largo raggio volta a contenere prima, e a sconfiggere infine, il dominio degli Stati Uniti sul resto del mondo.

Non ci sarebbero quindi solo le pur più volte richiamate esigenze di protezione delle popolazioni russofone del Donbass, vessate dai ‘nazisti’ ucraini, a spiegare l’invasione, ma la necessità di ridisegnare l’ordine mondiale alterato abnormemente a vantaggio degli USA dopo il crollo dell’URSS.

Putin al riguardo ha sviluppato una organica visione dell’attuale assetto geopolitico del pianeta e della sua genesi storica.

Utilissima è, a questo riguardo, la lettura integrale dei suoi due interventi del 21 e del 24 febbraio scorsi.

 Il primo, più organico, volto a rappresentare al popolo russo le ragioni dell’imminente avvio dell’operazione militare speciale ed a porre una sorta di ultimatum al governo ucraino ed ai suoi sostenitori euroatlantici;

 il secondo, rivolto al popolo ed all’esercito ucraini nel giorno stesso dell’invasione per invitarli a rovesciare il governo Zelens’kyi ed a ricongiungersi senza opporre resistenza alla loro vera ed unica patria, la Santa Russia.

Tutto nasce, nella ricostruzione storica del neo-zar, dalla tragedia della dissoluzione dell’URSS, su cui a suo dire i dirigenti del PCUS ebbero gravissime responsabilità.

Il leader della Federazione Russa risale fino alle colpe di Lenin – salito al potere tramite un colpo di stato, quale fu a suo avviso l’assalto al Palazzo d’Inverno ‘17 – ed a quelle dei suoi successori.

Tuttavia, pur nel disastro della distruzione dell’impero zarista, la conclusione della Seconda guerra mondiale con la divisione del mondo e dell’Europa in particolare in sfere di influenza ben delimitate aveva portato ad un accettabile ordine mondiale, stravolto con prepotenza, menzogne e iniziative militari dagli USA dopo il collasso dell’URSS.

Qui, nel crollo dell’Unione Sovietica, lui fissa l’inizio delle dinamiche che hanno portato alla guerra russo-ucraina.

Gli USA ed i loro satelliti europei avrebbero approfittato della crisi economica, sociale, istituzionale e politica della Russia negli anni ’90, per annettere ed assimilare alla loro civiltà i paesi ex Patto di Varsavia, portando progressivamente la NATO ai confini della Federazione russa.

Ci sono voluti trent’anni – è sempre Putin che parla – perché la Russia ricostruisse le proprie strutture statuali e politiche ed ora essa è finalmente nelle condizioni di rintuzzare l’avanzata americana, aggregando in questa sfida il resto del mondo non dominato dall’impero della menzogna.

Putin candida quindi la Federazione russa a guida di un movimento mondiale anti-USA, composto da tutti i Paesi che intendono difendere la propria civiltà autoctona, distinta dalla civiltà occidentale, e la propria indipendenza politica e militare: dalla Cina all’India, dalla Siria ai Paesi del Nord e Centro Africa, fino agli Stati del Sudamerica.

 È una lotta a tutto campo contro la globalizzazione e per il sovranismo, unica barriera a difesa delle culture e tradizioni dei popoli.

La battaglia in corso oggi nel Donbass non è dunque fine a sé stessa, pur se ha motivazioni intrinseche, ma è solo il primo passo verso un nuovo ordine mondiale. Questa in sintesi la sua narrazione.

È importante richiamare due passaggi contenuti nei suoi interventi.

Il primo è storico, l’altro geo politico.

Il riferimento storico è al Patto Ribbentrop-Molotov del ’39.

Si era alla vigilia dell’invasione nazista della Polonia e, a pochi giorni dal suo avvio, Hitler volle assicurarsi che l’URSS non sarebbe intervenuta in sua difesa.

Propose dunque a Stalin, che accettò, un patto di ‘non belligeranza’.

In cambio avrebbe garantito all’Unione Sovietica la non ingerenza del Reich in una sua eventuale azione militare di espansione verso Ovest.

 In pratica, Hitler e Stalin concordarono di spartirsi l’Europa orientale.

Siglato il Patto il 23 agosto 1939, il primo settembre Hitler invase la Polonia e fu la Seconda guerra mondiale.

Il 16 settembre successivo Stalin invase la Polonia da Oriente.

 Poi, il 30 novembre dello stesso anno, l’URSS invase la Finlandia.

Stalin mantenne dunque gli accordi e ne trasse profitto, ma nel ’41, unilateralmente ed improvvisamente per i sovietici, Hitler mosse le sue armate contro l’Unione Sovietica, cogliendola impreparata.

 I costi per i Russi furono altissimi; poi, un po’ alla volta, riuscirono ad organizzarsi ed infine respinsero gli invasori nazisti al prezzo terribile di venti milioni di morti.

Fu la Grande Guerra Patriottica.

 Putin, nel suo intervento del 21 febbraio, ha ricordato questa dolorosa vicenda, per dire che la Federazione russa non può commettere lo stesso errore di Stalin nel ‘39 e fidarsi oggi delle rassicurazioni euroccidentali; deve attaccare subito, prima che lo faccia la NATO.

 L’accusa putiniana a Stalin si limita quindi all’ingenuità per aver sottoscritto e creduto a quel patto, non investe il suo calcolo cinico, quale difatti fu. I due dittatori avevano concordato di spartirsi l’Europa; questo Putin lo sot

tace, forse perché qualcosa del genere gli starebbe bene anche oggi, se ci fosse un altro Hitler con cui trovare l’intesa.

Ci era arrivato vicino con Trump, pronto a lasciargli campo libero in Europa Orientale ed anche a ridurre l’impegno USA nella NATO, in cambio di una posizione russa di convergenza nel Pacifico in funzione anticinese.

Ma Trump non risiede più alla Casa Bianca.

L’altro passaggio riguarda l’attuale assetto geopolitico dell’Europa.

Ai Paesi euroccidentali Putin offre la promessa della pace e della concordia nella reciproca sicurezza, se solo avessero il coraggio di emanciparsi dal dominio USA. Qui mette il dito su una questione reale.

Effettivamente gli USA vedono con preoccupazione l’eventuale costituzione di uno spazio economico euroasiatico, con la Russia in posizione rilevante.

 Ed in realtà questo enorme spazio geofisico ed economico ne farebbe un competitore strategico di assoluto rilievo per gli USA.

 Non c’è dunque da meravigliarsi se, ogni volta che ci sono stati passi in avanti in questa direzione, gli USA si siano messi di traverso.

Ma, se questo fosse stato davvero l’obiettivo, il Cremlino avrebbe fatto tutt’altra cosa che invadere l’Ucraina, determinando così la rottura diplomatica frontale con l’UE.

In realtà il progetto non è la coesione interna al vecchio continente, ma la ricostituzione della cortina di ferro, col dominio russo sui paesi euro orientali.

I popoli che vivono in questi paesi, però, soggiogati da secoli dai Russi, avendo dal ’91 ad oggi finalmente respirato aria di libertà e di autonomia, non hanno alcuna intenzione di finire di nuovo sotto il loro tallone di ferro.

 Chissà se tra voi lettori ci sia qualcuno che durante gli anni dell’Unione sovietica è stato in Cecoslovacchia, o in Romania, o in Lituania, per citare solo alcuni di questi Paesi.

Se ci è tornato recentemente, non ha certamente bisogno di tante spiegazioni per capire le ragioni per cui i loro cittadini vedono col fumo negli occhi qualsiasi prospettiva di restaurazione imperiale russa.

 Un abisso separa la qualità della vita della Praga di oggi da quella degli anni del dominio sovietico.

 E questo vale per tutte le altre città dell’Est europeo.

Quello che Putin volutamente non dice è la pura verità, vale a dire che la NATO si è espansa a ritmi accelerati verso Est non per una volontà aggressiva verso la Federazione russa, ma perché chiamata da quei popoli a tutelarli da probabili nuove pretese egemoniche dei Russi.

Questa realtà proprio non gli va giù: come è possibile che questi popoli preferiscano la libertà e lo stato di diritto al ritorno alle proprie sacre tradizioni ed alla propria storia, lasciandosi assimilare dalla civiltà decadente dell’Occidente?

Solo gli ingannevoli messaggi dell’impero della menzogna posso spiegare tale perversione!

Ma no, sig. Putin, il fatto è che hanno assaggiato la mela della libertà e non hanno voglia di tornare nel suo meraviglioso paradiso russo asiatico.

È la libertà il frutto maligno dell’impero della menzogna che sta ingannando il mondo, non la presunta preparazione della NATO ad una guerra di aggressione contro la Russia.

La minaccia vera per l’autocrazia moscovita è il contagio della democrazia, che è arrivato alle porte della Russia.

Ciò non toglie che è altresì vero che l’ordine mondiale determinatosi dopo il collasso dell’Unione Sovietica, l’impetuosa ascesa economica, militare e politica della Cina, la crescita dei Paesi del Brics, il diverso e più rilevante peso dell’Islam, richieda una sua definizione equilibratrice e stabilizzatrice.

Mission conseguibile solo per il tramite di una conferenza mondiale sotto l’egida dell’ONU. Il mondo ne ha bisogno, ma per perseguire la via diplomatica, occorrerebbe che i diversi attori della negoziazione fossero affidabili.

Guerra in Ucraina e

Nuovo Ordine Mondiale

Codice-rosso.net – (10 Luglio 2022) - Nello Gradirà – Raffaele Picarelli - ci dicono:

 

Gli effetti nell’economia, nella finanza, nelle relazioni internazionali.

Terza tranche atti del seminario “Guerra in Ucraina: effetti sull’economia, sulla finanza e nelle relazioni internazionali”.

Prima tranche: (codice-rosso.net/atti-del-seminario-guerra-in-ucraina-effetti-nelleconomia-nella-finanza-nelle-relazioni-internazionali/)

Seconda tranche: (codice-rosso.net/il-vero-atto-di-nascita-dellincremento-dei-prezzi-dellenergia-dellinflazione-e-dellaumento-dei-tassi/)

Inflazione, alti tassi, recessione.

 Il 31 maggio scorso i dati preliminari di Eurostat hanno mostrato che l’indice dei prezzi al consumo nell’Eurozona è salito all’ 8,1% su base annua, dal 7,4% di aprile, ben al di sopra del “consenso” degli analisti che era di un aumento del 7,7%.

In Germania l’inflazione a maggio ha toccato il 7,9% anno su anno come ai tempi della crisi petrolifera del 1973, in Spagna ha registrato un aumento dell’8,7%.

In Italia, dopo il lieve rallentamento di aprile, l’inflazione è tornata ad accelerare in maggio, portandosi al 6,9% anno su anno, un livello che non si registrava dal 1986. In USA in aprile l’inflazione era all’8,3%. In maggio è cresciuta all’8,6%, nuovo massimo dal dicembre del 1981.

 Biden: “I nuovi dati dimostrano il perché l’inflazione è la mia priorità […]. I rialzi dei prezzi causati da Vladimir Putin hanno colpito duramente in maggio […]. Faremo il possibile per ridurre i prezzi.” (“Il Sole – 24 Ore” dell’11 giugno).

 Non c’è limite alla menzogna e alla spudoratezza!

 Le cause dell’inflazione sono varie e, si è detto, anteriori all’attuale conflitto in Ucraina, anche se la guerra, in alcuni casi, ha funzionato da acceleratore:

prezzi energetici, rottura delle catene di approvvigionamento di materie prime, semilavorati e merci, “rarità” di alcune materie prime.

“Bisogna dare uno sguardo ai cambiamenti in atto.

Il primo riguarda la globalizzazione: […] dopo aver […] guidato il mondo dagli anni ’80, si sta bruscamente invertendo.

Ormai la maggior parte delle aziende ha capito che tenere catene globali delle forniture troppo lunghe rappresenta un rischio.

 Basta una pandemia, un porto chiuso o un conflitto che non arriva più nulla.

Tanti stanno dunque accorciando le catene. O intendono farlo. Questo terrà alta l’inflazione.

 Stesso discorso per le materie prime: improvvisamente ci si accorge quanto siano scarse e dislocate nelle parti più instabili […].

 Il 44% del palladio globale arriva dalla Russia.

 Idem per oltre il 16-17% del gas naturale e dei fertilizzanti.

Scarsità, in economia, significa rincari. Prezzi alti. Insomma: inflazione […].

L’inflazione è diventata strutturale.” (M. Longo ne “Il Sole – 24 Ore” del 13 giugno).

E ancora:

“Per anni le aziende hanno aumentato i margini pur in un’economia stagnante, perché potevano tagliare i costi.

 Riuscivano a farlo perché potevano allungare le “supply chain” e sfruttare la manodopera dove il costo del lavoro era basso, oppure perché potevano usare materie prime anche di scarsa sostenibilità ambientale da qualche parte del mondo. Nessuno lo sapeva.”

 (R. Almeida di Mfs Investment Management, ibidem).

Ora tutto questo (sfruttamento selvaggio del lavoro, devastazione ambientale ecc.) è più difficile.

Allora “i costi salgono. E l’accorciamento delle catene globali fa il resto.”

E “la domanda è: chi pagherà questi maggiori costi industriali?

 Le aziende riducendo i margini oppure i consumatori con prezzi più alti?” (Ibidem).

Un’analisi dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo (risalente a fine marzo) dimostra che oggi, in Europa, il balzo dei prezzi è in gran parte causato dall’energia.

Prendendo come punto di partenza il maggio 2018, quando l’indice dei prezzi in Eurozona raggiunse l’obiettivo della BCE del 2%, Intesa Sanpaolo ha calcolato da cosa “è stata causata l’extra inflazione di oggi [fine marzo].

Si tratta di 3,9 punti percentuali in più [ora l’inflazione ufficiale è ancora più alta di almeno un punto].

Due terzi sono dovuti proprio alla componente energetica.

E un’altra fetta importante (0,8 punti su 3,9) va cercata nel settore alimentare, anch’esso in gran parte gravato dai maggiori costi dell’energia e dei fertilizzanti.

Insomma: senza il petrolio e il gas alle stelle, in Eurozona l’inflazione sarebbe ben più bassa.” (M. Longo, “Il Sole – 24 Ore” del 31 marzo).

Diversa la situazione in USA dove la componente energia ha causato solo un terzo del rincaro, mentre la parte più pesante è costituita dai rincari da domanda per consumi.

Di alcuni fattori che rendono strutturale il carovita abbiamo già trattato.

 La deglobalizzazione, è utile ribadirlo, è uno di questi.

Il rischio di filiere produttive lunghe e globali concerne settori sensibili come i semiconduttori, l’energia, i prodotti farmaceutici, ed è opinione diffusa che. principalmente in questi settori, avverrà un rimpatrio delle produzioni (reshoring).

E questo farà salire i prezzi.

Altro fenomeno inflattivo è la transizione energetica: almeno per un certo lasso di tempo la transizione produce un aumento dei prezzi.

Giordano Lombardo della casa d’investimento Plenisfer, in un’intervista del 7 aprile scorso al giornale confindustriale dichiarava:

“In un mondo che va verso una nuova divisione in blocchi è inevitabile che aumenti il potere geopolitico e negoziale di Paesi non allineati con il blocco occidentale ma fondamentali per l’approvvigionamento di materie prime.

[E quindi aumentino i prezzi]”.

 In una realtà fatta “di blocchi antagonisti, uno guidato dalla Cina [e dalla Russia] e uno dall’Occidente, le supply chain (le catene di approvvigionamento) si devono accorciare

. Ma […] questo farà salire l’inflazione”.

 Per il fattore inflattivo rappresentato dalla transizione energetica, il problema è che “da anni è in corso un deciso calo degli investimenti in tutti i combustibili fossili.

Peccato che oggi proprio questi combustibili rappresentino ancora l’80% del fabbisogno energetico globale.

Si stima che per soddisfarlo con altre fonti, bisognerebbe moltiplicare per tre l’energia nucleare esistente oggi, oppure per cinque quella solare, oppure per 10 quella eolica.

Nel breve periodo è impossibile che queste fonti rinnovabili riescano a soddisfare le necessità” (Ibidem).

Allora, dato che in Europa l’inflazione non è da consumi ma quasi interamente causata da rincari eccezionali delle materie prime (accelerati, talora, dal conflitto in corso), si tratta di un’inflazione da costi, un’“inflazione importata”.

Essa riduce gli investimenti perché non sempre si è in grado di trasferire in tutto, ma anche in parte, l’aumento dei costi (prezzi di produzione) sul prezzo finale dei beni e dei servizi.

E se questo avviene, l’inflazione riduce il potere d’acquisto dei ceti deboli, dei lavoratori a reddito fisso, dei pensionati, dei piccoli risparmiatori.

Scrive Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo:

“Quando l’inflazione dipende dal rincaro dell’energia e delle materie prime, si distruggono i consumi”.

Inoltre, le politiche delle banche centrali sono poco efficaci quando l’inflazione è causata da energia e materie prime:

per quanto alzino i tassi, i prezzi di petrolio e gas restano elevati.

L’unica cosa che possono fare è causare una “devastante” recessione:

diminuendo drasticamente i consumi, crolla la domanda di energia e materie prime e quindi, piano piano, anche i prezzi calano.

 Tutto questo processo, con conseguente aumento dei tassi, accade, non dimentichiamolo, in una fase di contrazione dell’economia europea e globale.

Ma “in Europa i salari non stanno salendo” e se aumenti ci saranno “non saranno elevati […].

 Oggi invece l’occupazione è ben diversa: tanti lavoratori sono precari, a tempo determinato, impiegati nella gig economy e in generale meno sindacalizzati(“II Sole – 24 Ore” cit.).

L’inflazione da costi è per definizione un massacro sociale.

Lo è direttamente perché distrugge redditi e consumi e, in certa misura, cioè nella misura in cui le aziende non riescono a trasferirla sui prezzi finali, anche gli investimenti.

I più colpiti sono naturalmente i gruppi sociali più fragili.

Lo è indirettamente, con l’aumento dei tassi di interesse praticato dalle banche centrali e, a cascata, da tutto il sistema creditizio.

Questo aumento se, come si è detto, è vano direttamente contro l’inflazione importata, fa crollare più o meno rapidamente tutti i consumi (perché tende a propagarsi a tutti settori) e anche la domanda di energia e materie prime.

Quindi i prezzi cadono proprio attraverso e a causa di un massacro sociale.

Da qui il passo verso la recessione (forse attraverso una fase di stagflazione) è breve.

Le “stazioni” di tale massacro (riduzione del potere d’acquisto, impoverimento soprattutto dei ceti deboli, svalorizzazione dei risparmi e degli asset, liquidazione degli ultimi brandelli di welfare, disoccupazione, riduzione ulteriore degli investimenti, ulteriore disoccupazione, etc.), hanno anche un contraltare positivo per i governi molto indebitati:

il debito pubblico (anche quello privato) con l’inflazione si svaluta.

A fronte di tutto questo, in Italia e non solo, i ceti popolari non hanno nessun valido strumento di protezione e recupero. Ma di ciò parleremo più avanti.

La dinamica dell’adozione dei tassi e delle condizioni finanziarie più restrittive.

Il 10 giugno scorso la presidente Christine Lagarde ha anticipato gli aumenti dei prossimi mesi, “rebus sic stantibus”.

 Il 1° luglio terminerà il programma APP di acquisti netti di titoli pubblici da parte della BCE;

il 21 luglio, alla prossima riunione del Consiglio della BCE, i tassi di riferimento saliranno dello 0,25% e di un altro 0,25 o 0,50% (a seconda dell’inflazione) alla riunione successiva dell’8 settembre.

Mercoledì 15 giugno la Federal Reserve ha deciso di alzare i tassi di 75 punti base (0,75%).

È la prima volta dal novembre 1994 che un rialzo è così forte. E ulteriori consistenti rialzi sono previsti nei prossimi mesi.

Le borse mondiali hanno reagito con pesanti perdite, e titoli pubblici e corporate bond hanno visto aumentare in modo rilevante i rendimenti e scendere altrettanto cospicuamente i prezzi.

L’aumento dei tassi e la conseguente caduta della domanda non piace a Confindustria perché, in prospettiva, aumenta i costi di produzione e affievolisce le vendite.

Per Carlo Bonomi l’aumento dei tassi della BCE “non è la soluzione per controllare l’inflazione […].

Il Paese è fermo, e abbiamo un debito pubblico enorme.

Capisco che si debba controllare l’inflazione.

Ma con il rialzo dei tassi avremo sicuramente dei problemi” (“Il sole-24 ore” 11 giugno).

Di fronte a possibili rivendicazioni salariali, il fuoco di sbarramento è la richiesta di soldi pubblici per il taglio del cuneo fiscale e contributivo.

Alla luce di quanto detto finora è semplicemente inconcepibile che un’inflazione da costi diventi, sic et simpliciter, un’inflazione da domanda.

Eppure la parola d’ordine in questi tempi del governo e della Banca d’Italia è di “non disancorare” l’inflazione e impedire la spirale prezzi-salari.

Se i salari sono fermi, se non esistono meccanismi di indicizzazione e recupero, tali affermazioni surreali e spudorate che senso hanno?

Hanno il senso di un fuoco di sbarramento contro ogni futura, possibile richiesta salariale.

È una menzogna, nella situazione attuale, evocare la spirale prezzi-salari.

Nelle “Considerazioni finali” del 31 maggio scorso, il Governatore della Banca d’Italia Visco ammette che se è concepibile una spirale prezzi-salari in USA ove esiste un’inflazione da domanda, nell’area euro “la dinamica delle retribuzioni è sinora rimasta moderata”.

Ciò nonostante, le richieste di adeguamenti salariali sarebbero accettabili solo se si risolvessero “in aumenti una tantum [perché in tal caso] il rischio di un circolo vizioso tra inflazione e crescita salariale sarebbe ridotto”.

 Anziché ad una “vana rincorsa tra prezzi e salari”, ci ricorda Visco, bisogna mettere mano alla produttività.

Il governo Draghi, in stretta assonanza, ribadisce il salvifico appello: “Sindacati, imprese e governo lavorino insieme”.

Indice IPCA / massacro sociale / un cenno ancora al gas.

È giunto ora il momento di affrontare la questione dell’indice IPCA e della contrattazione collettiva.

Ho presente al riguardo la pubblicazione online della collana “ADAPT – Scuola di alta formazione in relazioni industriali e di lavoro, numero del 2013”.

 La collana è (o almeno era) diretta da Michele Tiraboschi e si ispirava a Ezio Tarantelli.

Il paragrafo che ci interessa reca appunto il titolo “Indice IPCA e contrattazione collettiva”.

Vi leggiamo:

“Le crisi petrolifere del 1973-74 e del 1979-1980 hanno restituito all’Italia degli anni Ottanta un’inflazione galoppante, contrastata dagli interventi di politica dei redditi studiati dal professor Ezio Tarantelli (lodo Scotti e decreto di San Valentino), volti ad arrestare la spirale prezzi-salari-prezzi e ridurre l’inflazione giocando una politica salariale d’anticipo in grado di programmare gli aumenti retributivi in linea con l’inflazione attesa”.

Si legge inoltre che, nel Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione e sugli assetti contrattuali del 1993, le parti sociali “abbandonarono definitivamente il meccanismo della scala mobile, concordando l’utilizzo dell’inflazione programmata nel primo livello di contrattazione e garantendo, quale elemento di tutela del potere d’acquisto dei lavoratori, il recupero dello scostamento tra inflazione programmata ed effettiva.

Al secondo livello di contrattazione spettava invece la regolazione delle retribuzioni sulla base dei risultati di produttività e redditività aziendale”.

Questo meccanismo ha funzionato fino al 2009, allorché, con l’Accordo Quadro sulla riforma degli assetti contrattuali,

“governo e parti sociali hanno stabilito un nuovo indice previsionale di inflazione: l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea (IPCA) depurato della dinamica dei prezzi dei beni energetici importati.

 L’elaborazione è stata affidata ad un soggetto terzo, identificato […] a partire dal 2011 […] nell’Istat”.

L’IPCA è una delle innovazioni più note dell’Accordo del 2009, (la Cgil non aderì denunciando la minore protezione fornita da questo indice al potere d’acquisto dei salari).

“L’Accordo ha confermato il sistema di salvaguardia del potere d’acquisto [?] attraverso la verifica di eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista [non più programmata] e quella reale effettivamente osservata”.

 

Quindi, tale indice istituzionalmente non contiene l’inflazione importata.

I meccanismi dell’inflazione programmata prima e dell’inflazione prevista poi, prevedono recuperi degli altri tipi di inflazione ex post e solo in parte con l’inevitabile effetto che una parte del salario è sottratta ai lavoratori.

Se l’inflazione prevista non contempla, come non contempla, l’inflazione importata, quale strumento di difesa rimane ai lavoratori?

I rinnovi contrattuali che sono lenti, farraginosi, sempre rinviati.

Leggiamo su “Il Fatto Quotidiano” del 4 giugno scorso:

“Quasi sette milioni di lavoratori italiani sono in attesa del rinnovo del contratto nazionale.

 Per dirla meglio, quasi sette milioni di persone aspettano un aumento in busta paga che permetta quantomeno di far fronte ai rincari.

Non è tutto: oltre a questi, tanti altri lavoratori hanno ottenuto di recente il rinnovo, ma non ancorato all’inflazione [ora al 6,9%]. […].

Una serie di trattative è in corso, ma di solito si ragiona prendendo come riferimento l’indice IPCA che non tiene conto dei rincari energetici importati […].

A marzo 2022, secondo l’Istat, il tempo medio di rinnovo dei contratti scaduti risulta pari a 30,8 mesi”.

Dall’abolizione della scala mobile, avviata con il referendum del 1985, i salari hanno molto perduto.

 La situazione si è aggravata negli ultimi trent’anni (è del 23 luglio 1993, abbiamo visto, il primo accordo interconfederale post scala mobile).

 

La massa salariale è scemata in modo esponenziale.

l’Istat prevede che quest’anno il potere d’acquisto delle famiglie calerà almeno del 5% (la valutazione è benevola).

Secondo l’OCSE, l’Italia è l’unico Paese sviluppato nel quale durante gli ultimi trent’anni i salari sono calati del 3%, mentre in Germania sono aumentati del 34%, in Francia del 31% e in Spagna del 6%.

Guerra in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale.

Dinamica degli stipendi nei Paesi Ocse fra il 1990 e il 2020. Fonte Ocse.

In conclusione, il governo e le élite dei gruppi capitalistici dominanti italiani ed europei (oltre gli USA) che hanno alimentato il carovita prima della guerra in Ucraina, e lo hanno incrementato con le loro politiche guerrafondaie e sanzionatorie nel corso del conflitto, stanno scaricando, e hanno in progetto di continuare a scaricare in futuro, tutto il peso della crisi sui subalterni, sulle masse popolari, le quali non dispongono in Italia (e non solo), di adeguati strumenti di difesa e di soggetti sociali e politici che abbiano la volontà e/o i mezzi per sostenerli.

Inflazione, riarmo, politiche monetarie restrittive, stagflazione, incipiente recessione (in alcuni paesi, esempio Regno Unito, già cruda realtà), disoccupazione, erosione dei risparmi, sostanziale estinzione dei pochi residui di welfare, è questo il quadro d’insieme che abbiamo davanti.

Solo un’ampia mobilitazione di massa dei lavoratori e dei pensionati contro il carovita e la guerra, per la difesa dei salari e delle pensioni, per il lavoro, può contrastare la deriva alla quale UE e USA hanno condannato gran parte dei loro popoli.

Abbiamo precedentemente affrontato le dinamiche dei prezzi energetici e della loro riferibilità, se non in termini assai parziali, al conflitto in corso in Ucraina.

Dedichiamo ora un cenno al caso degli ultimi giorni del prezzo del gas e alle parziali sospensioni della sua erogazione, da parte di Gazprom, a Germania e Italia (totale la sospensione del poco gas erogato alla Francia).

Nelle ultime settimane l’UE ha proposto il piano “REPower EU” (confronta sopra) di chiusura strategica all’apporto del gas russo alle sue economie, ha stipulato accordi con l’Algeria per la fornitura di gas a parziale copertura di quello russo (gas che l’Algeria ha potuto fornire perché, per ragioni legate ai suoi rapporti bilaterali con la Spagna per la questione del Sahara Occidentale, lo ha completamente sottratto a quest’ultima).

Sono stati stipulati accordi tra UE, Israele ed Egitto per la fornitura di GNL, trasformato dall’Egitto, ed arbitrariamente estratto come gas naturale da Israele nel Mediterraneo, senza intesa alcuna con altri Stati, come il Libano, che ne rivendicano pure la propria giurisdizione.

Tale accordo prelude a un ridisegno dell’area mediorientale con l’emarginazione definitiva di Libano e Siria dai grandi movimenti e interessi d’area e con l’allineamento, pressoché completo, (e questo è un fatto nuovo) delle politiche dell’UE e degli USA anche relativamente alla questione palestinese (a quando il riconoscimento di Gerusalemme capitale da parte della burocrazia di Bruxelles?).

È nota poi l’estensione della ricerca di fonti di approvvigionamento alternativo dell’UE a paesi africani e all’Azerbaigian.

Non si può sottacere inoltre che la Germania ha espropriato “Gazprom Germania”, nodo distributivo e finanziario importante di Gazprom nella diramazione del gas in Germania (e non solo).

L’UE ha varato, si è visto, la sesta tornata di sanzioni alla Russia per il petrolio e i prodotti petroliferi.

Dopo tutto questo, si attendeva dall’Occidente che tutto continuasse come prima da parte della Russia, in modo da permettere all’Occidente stesso di completare, in tempo utile per l’inverno, le operazioni di stoccaggio con il gas russo!

Sembrano le pretese di un bambino prepotente che sottrae i giocattoli, tutti i giocattoli, a un altro bambino e vuole continuare, col consenso di quest’ultimo, a giocare con lui.

Inflazione e recessione: il caso emblematico dell’Inghilterra.

All’inizio dell’anno la banconota britannica era ai massimi degli ultimi anni sull’euro.

Nel giro di poche settimane la sterlina è di nuovo nel ciclone e sta perdendo rapidamente posizioni contro euro e dollaro.

Ora il Pound è definito “il malato del mondo” tra le valute.

Ha subito un calo del 10% sull’euro in tre mesi.

È una flessione molto rapida che si spiega con una scommessa al ribasso sul Paese: gli hedge fund hanno cambiato posizione sulla sterlina.

 I dati del mercato dei future statunitensi mostrano che i fondi speculativi hanno iniziato a scommettere contro la sterlina: una scommessa che ora vale quasi 5 miliardi di dollari.

Poco prima dell’inizio della guerra, il 24 febbraio, i dati della “Commodity Futures Trading Commission” hanno mostrato che i fondi detenevano una piccola posizione lunga scadenza sulla sterlina e la stessa valuta veniva scambiata a 1,4 sul dollaro.

Nove settimane dopo, i fondi sono short (corti) in sterline per un totale di circa 59 mila contratti: è la più grande scommessa contro la sterlina da tempo.

La giravolta degli hadge fund è conseguenza dell’imminente recessione economica.

 La Banca d’Inghilterra teme una “apocalisse” economica nel 2022.

Scrive” Il Sole – 24 Ore” del 25 maggio:

“Sono gli effetti del mondo post covid, che ha visto l’inflazione salire; e della guerra in Ucraina che ha dato una mazzata al costo dell’energia. Il costo della vita sta salendo a ritmi insostenibili:

l’inflazione è attesa al 10% a fine anno, e i redditi delle famiglie sono erosi per pagare le bollette e gli affitti.

Con meno consumi, in un’economia che vive di servizi, l’economia rallenta.

Ecco che allora hedge fund fiutano la preda e [prendono] posizione.

Il Regno Unito [che importa energia] ma anche molto cibo e semilavorati, ha fatto forza su accordi commerciali extra Ue per compensare le perdite del mercato unico.

Accordi che finora hanno funzionato anche grazie una valuta forte.

 Per un paese importatore, significa potere d’acquisto.

Ma con una sterlina debole […] diventa molto più costoso.

E quindi, a cascata, ancora più inflazione e un’economia ancora più in difficoltà”.

E quindi ancora più vendite sulla valuta da parte dei fondi speculativi. Allora rialzo dei tassi e recessione.

Economia di guerra / armi / dollaro.

L’Osservatorio del sulle spese militari italiane (Milex) – fondato nel 2016 con la collaborazione del Movimento Nonviolento, nell’ambito di attività della Rete italiana per il disarmo – il 16 marzo scorso riporta il voto a larghissima maggioranza (391 voti favorevoli su 421 presenti, 19 contrari) di un ordine del giorno collegato al decreto “Ucraina” proposto dalla Lega e sottoscritto da PD, FI, IV, M5S, e FdI.

Il voto di tale odg impegna il governo ad avviare l’incremento delle spese per la “Difesa” verso il traguardo del 2% del Pil.

Nella parte dispositiva del testo approvato, si legge che tale risultato dovrebbe essere raggiunto “predisponendo un sentiero di aumento stabile nel tempo, che garantisca al Paese una capacità di deterrenza e di protezione”.

 Mentre nell’immediato bisogna agire per “incrementare alla prima occasione utile il Fondo per le esigenze di difesa nazionale”.

Ciò significherebbe, citando le cifre fornite dal ministro Guerini, passare da 25,8 miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno).

L’indicazione di spese militari pari ad almeno il 2% del Pil in ambito Nato deriva da un accordo informale del 2006 dei Ministri della difesa dei Paesi membri dell’Alleanza atlantica, poi confermato e rilanciato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles.

Era stato deciso che l’obiettivo dovesse essere raggiunto entro il 2024, con un 20% di spesa da destinare a investimenti in nuovi sistemi d’arma.

La quota indicata del 2% del Pil non ha mai avuto una giustificazione specifica e di natura militare, cioè dettata da esigenze operative, ma è stata vista come spinta alla crescita della spesa.

Accanto e oltre l’obiettivo del 2% dei paesi Nato, c’è un ulteriore fondo, “European Defence Fund” (Edf), per cofinanziare progetti transfrontalieri insieme ai bilanci nazionali.

L’Edf (cfr. “Il Fatto Quotidiano” del 26 maggio) ha il compito di assemblare le proposte della lobby delle armi di cui è espressione il Commissario europeo alla Difesa Thierry Breton.

“L’anno scorso Breton ha ufficialmente istituito un comitato di esperti in cui cura a porte chiuse i suoi rapporti personali con i giganti del business della guerra che ambiscono a spartirsi gli 8 miliardi stanziati dall’Edf dal 2021 al 2027”.

Al comitato partecipano 61 enti, la stragrande maggioranza produttori di armi. Tra questi l’italiana Leonardo, le francesi Thales e Safran, la spagnola Indra e Airbus, la società transeuropea con sede in Olanda.

Leonardo è tra i produttori di armi con cifre record per finanziamenti UE, spese di lobbyng ed export.

Nell’elenco dei primi 100 esportatori di armi al mondo, stilato nel dicembre 2021 dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace (Sipri) di Stoccolma, Leonardo occupa il 13º posto con vendite per un valore di 10,6 miliardi.

In Europa è terza, alle spalle solo del britannico Bae Systems (22,7 miliardi) e della franco-tedesca Airbus (11,3 miliardi).

L’annunciato riarmo europeo (cfr. “Il Fatto Quotidiano” del 27 maggio), spingerà i Paesi a una ristrutturazione dell’industrie nazionali per sedersi al tavolo della futura Difesa comune, evitando duplicazioni nei programmi.

 Per questa ragione il governo sta mettendo a punto un “polo militare italiano”, secondo le parole di Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, che potrebbe passare dalla fusione tra Fincantieri e Leonardo.

Se la guerra darà impulso al progetto di Difesa europea bisognerà presentarsi con gruppi solidi e punti di forza di fronte ai concorrenti e in tale quadro va vista la liquidazione di Giuseppe Bono di Fincantieri, considerato un ostacolo all’operazione (era proprio quel Bono della cena con D’Alema, quest’ultimo scoperto a fare da mediatore per una commessa alla Colombia di armi di Leonardo e Fincantieri).

Germania e armi.

“Quello che non è riuscito all’ex presidente USA Donald Trump”, (“Il Fatto” del 5 giugno scorso)” è riuscito al democratico Joe Biden.

 La Germania pagherà.

Comincerà col fondo straordinario di 100 miliardi di euro [da spendere in 3-4 anni] […] per ammodernare le forze armate tedesche […].

Gran parte di questi soldi verranno usati per comprare armi prodotte da aziende americane, a partire dagli F-35.”

Il Parlamento federale ha approvato il 3 giugno scorso la modifica della Costituzione necessaria per creare, con nuovo debito pubblico, il fondo di 100 miliardi annunciato dal cancelliere Scholz il 27 febbraio.

È pure confermato l’impegno ad aumentare lo stanziamento annuale per la difesa al 2% del Pil, prodotto che nel 2021 ha superato 3.500 miliardi di euro (il doppio di quello italiano).

Il che significa che raggiungere il 2% entro il 2024 vuol dire spendere quasi 17 miliardi in più all’anno.

Ne è conseguita naturalmente una grande impennata delle quotazioni delle industrie tedesche di armi, in primis la Rheinmetall, colosso degli armamenti terrestri, e poi la Hensoldt, che produce sensori elettronici per i caccia Eurofighter.

Giulio Da Silva sul “Fatto” cit., ci spiega che appunto buona parte (dei 100 miliardi) verrà usata per armi statunitensi.

La Germania in marzo ha deciso di comprare 35 cacciabombardieri F-35 prodotti dalla Lockheed, gli unici in grado di trasportare bombe atomiche.

E intende comprare anche 60 elicotteri pesanti da trasporto prodotti dalla Boeing. Dagli USA verranno comprati anche missili della Raytheon.

 

Se l’80% degli stanziamenti tedeschi sarà mandato altrove (USA in particolare), il 60% delle armi già comprate dai Paesi UE tra il 2007 e 2016 è di provenienza USA (e Israele).

Regime militare USA e dollaro.

Il Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche per Pace di Stoccolma) ha calcolato che i primi 100 produttori di armi del mercato mondiale hanno totalizzato nel 2020 vendite per 531 miliardi di dollari. Mentre la spesa militare mondiale del 2021 ha superato per la prima volta i 2.000 miliardi, tenendo conto di tutte le voci ad esempio il personale .

Guerra in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale.

Andamento delle spese militari mondiali dal 1988 al 2021. Fonte Sipri.

Sempre nel 2021 il Paese che ha speso di più sono stati gli USA (801 miliardi di dollari), seguiti da Cina (293 miliardi), India (76,6 miliardi), Regno Unito e Russia.

Guerra in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale

La spesa militare per Stato nel 2021. Fonte Sipri

Dati più recenti che tengono conto dell’incremento poderoso delle spese militari nel corso dell’attuale conflitto, proiettano la spesa USA non lontana da 1.000 miliardi nel 2022.

Le aziende statunitensi dominano, sono 41 tra le prime 100.

I dati elaborati dal Sipri sono riferiti al 2020 e solo ai ricavi nelle “armi e servizi militari”.

Al primo posto c’è Lockheed Martin: 58,2 miliardi di dollari di ricavi su 65,4 del gruppo; al secondo Raytheon, si è visto primo produttore mondiale di missili, quali i noti Patriot.

 Produce anche gli Stinger e, con Lockheed, i Javelin anticarro forniti anche, e abbondantemente, all’Ucraina.

Terza è la Boeing, 32,1 miliardi di ricavi nella difesa (produce aerei da caccia e armi da rifornimento).

La prima europea è la britannica Bae Systems, sesta con 24 miliardi di ricavi nel settore delle armi. Di Leonardo abbiamo già detto.

La strategia, ormai quasi di ottanta anni degli USA, di “costruire nemici”, meglio se stabili e di lunga durata, è propria delle logiche di ogni Stato e regime militare. Serve a più scopi rimasti nel tempo abbastanza invariati.

In primo luogo è utile ai fini interni per compattare la popolazione e ottenere consenso all’azione del regime.

L’adesione acritica diffusa, infantile, della gran parte dei nordamericani è “costruita”, direi scientificamente, utilizzando le più moderne tecnologie e un apparato vasto e complesso di personale e competenze permanentemente mobilitati allo scopo.

 Spesso collegati o addirittura emanazione della CIA e delle altre strutture simili (negli ultimi trent’anni soprattutto nell’est Europa sotto la veste esteriore di Ong).

In secondo luogo è basilare per la per la riproduzione capitalistica USA, cioè per quella parte di essa, assai importante, che si fonda sul complesso militar-industriale.

 Una spesa militare di quasi 1.000 miliardi all’anno destinata in misura rilevante a commesse verso le proprie aziende militari le quali grazie anche al trasferimento dell’innovazione tecnologica realizzata con fondi pubblici facilitano l’export di armamenti che risulta una voce di primo piano del Pil statunitense e della sua bilancia dei pagamenti.

Guerra in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale

I principali 10 Paesi esportatori di armamenti nel quinquennio 2017-21. Fonte: Sipri.

Qual è lo strumento che si è rivelato storicamente più efficace non solo per il predominio geopolitico, ma per la supremazia valutaria e finanziaria su scala planetaria?

È la forza, la forza militare, la preponderanza strategico-militare. Che è (o è stata) anche preponderanza tecnologico-scientifica.

La forza del dollaro, la possibilità per gli USA di ottenere “in perpetuo” il finanziamento del proprio cronico deficit esterno mediante l’uso dell’avanzo delle bilance dei pagamenti degli altri Stati, cioè con il risparmio mondiale, dipendono dalla (finora) grande affidabilità del dollaro e dall’enorme movimento di capitali planetari verso i porti della finanza americana.

E tutto questo discende da varie cose, di cui una è essenziale: la primazia militare.

Per tale ragione le opposizioni – quale quella russa per interposta Ucraina – all’ormai longevo modello statunitense, destano reazioni viscerali e un’aspra volontà di annichilimento dell’oppositore, meglio se attraverso conflitti (degli altri) di lunga durata.

Quindi opporsi ai disegni guerrafondai degli USA, per interposta Nato e con l’assistenza ancillare dell’UE, è opporsi a quel modello e al conseguente signoraggio del dollaro.

Quale Russia?

Due mesi e mezzo fa (a 45 giorni dall’inizio delle ostilità) erano state valutate in più di 600 le multinazionali che si supponeva avessero deciso o annunciato di uscire in tutto o in parte dalla Russia.

Nei settori più diversi, da petrolio e hamburger all’high tech, media e banche.

Secondo Jeffrey Sonnenfeld, dell’Università di Yale, gran parte delle imprese in uscita era statunitense ed europea con alcune rilevanti eccezioni asiatiche come Samsung e Toyota.

Del complesso delle aziende alcune si ritirarono (all’aprile scorso 250), altre sospesero le attività (257), altre si ridimensionarono (72), altre ancora presero tempo (99), rinviando gli investimenti.

Secondo Sonnenfeld erano 194 i gruppi, per così dire, “arroccati” in Russia.

Tra questi la conglomerata USA Koch Industries, Astra-Zeneca, J&J (“Il Sole – 24 Ore”del 9 aprile scorso).

Tra le italiane, l’ad (Amministratore Delegato) di Intesa San Paolo, Carlo Messina, ebbe a dichiarare in aprile che l’impatto sulla banca fosse “assolutamente gestibile”, mentre la presenza in Russia fosse ormai “in fase di revisione strategica”.

 Intesa “sin dall’inizio della crisi […] non ha perfezionato nuovi finanziamenti con controparti russe e bielorusse e ha interrotto le attività di investimento in strumenti finanziari”.

L’esposizione complessiva di Intesa San Paolo verso la Russia era al momento di circa 5,1 miliardi di euro.

Più significativa era l’esposizione di Unicredit Russia (13,3 miliardi), presente al Forum di San Pietroburgo del 15-18 giugno (Spief) con Vadim Aparkhov, membro del consiglio di amministrazione della controllata russa AO Unicredit Bank.

Andrea Orcel, ad di Unicredit, nei giorni a ridosso del Forum, a proposito dell’attività della banca in Russia, ha dichiarato:

 “La nostra esposizione in Russia è stata gestita in modo razionale: l’abbiamo ridotta, ma svalutare il business non è corretto e non è nemmeno in linea con le sanzioni”. In sostanza Unicredit non intende svendere le sue attività in Russia.

L’ad di Enel, Francesco Starace, nei mesi scorsi a più riprese ebbe a dichiarare che il gruppo “non poteva avere un ulteriore crescita in Russia”, ove controlla tre impianti di generazione a ciclo combinato e due impianti eolici.

Tutte le strade per lui “erano percorribili”.

Il 16 giugno scorso (cfr. “Il Sole – 24 Ore” del 17 giugno), prima energy company, Enel ha concluso un accordo di vendita di tutti gli asset in Russia.

I compratori sono Lukoil (la più importante società petrolifera russa e una delle principali al mondo) e il Fondo privato di investimento Gazprombank-Frezia, non colpiti dalle sanzioni.

Enel ha ceduto per 137 milioni di euro il 56,43% che deteneva di Enel Russia.

L’operazione deve ancora ottenere il via libera della Commissione governativa russa per il monitoraggio degli investimenti esteri, autorizzazione che non dovrebbe mancare perché, ci spiega Starace, “i compratori hanno già avuto un via libera quando hanno rilevato le catene di distribuzione che la Shell ha venduto in Russia”.

Gli azionisti di riferimento di Lukoil, fino alle dimissioni in aprile di Alekperov, erano appunto Vagit Alekperov (28,30%) e Leonid Fedun (9,32%).

Alekperov era un giovanissimo dirigente d’azienda sovietico, il quale, nella veloce transizione dei primi anni Novanta è diventato dirigente dell’azienda privatizzata e poi socio di riferimento della medesima.

Le dimissioni, apparentemente per dissenso con l’“operazione speciale” in Ucraina, per molti in Russia, sono stati un “escamotage” per salvare Lukoil in caso di esito infausto per la Russia della vicenda Ucraina (e per salvare Alekperov stesso). Non si può dire.

Vedremo.

Senz’altro la cessione degli importanti asset dell’Enel in Russia è avvenuta a favore di soggetti privati, uno dei quali è un soggetto finanziario.

Per come si presenta, sembrerebbe un’operazione in continuità con il passato.

Un brevissimo cenno a Eni, la quale ha dichiarato di essere pronta a cedere le quote in Blue Stream (detenute con Gazprom). Fermiamoci qui.

La Duma, la Camera bassa del Parlamento russo, il 25 maggio scorso ha approvato una legge che consente al governo russo di nominare un nuovo management e di fatto espropriare le società (soprattutto USA, giapponesi ed europee) che hanno interrotto la loro attività nel paese, dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, non per motivi economici ma “per sentimenti antirussi” (“Il Sole 24 – Ore” del 26 maggio).

Secondo la Yale School of Management, a fine maggio, sono 500 le società che hanno deciso di lasciare la Russia.

Esse rappresentano il 63% delle aziende straniere presenti nel territorio russo prima della guerra, con quasi 40 mila dipendenti e un fatturato di circa 7,5 miliardi di euro.

“La lista nera stilata da Mosca comprende decine di multinazionali della logistica, dell’industria energetica, delle tecnologie, delle automotive, della grande distribuzione:

da Maersk a Msc; da Shell a Bp; da Volkswagen-Porsche a Toyota, Volvo e Renault; da Apple a Microsoft a Ibm; da McDonald’s a Starbuks, Levi’s, Ikea [etc.]. Molte di queste hanno sospeso le operazioni, […] altre hanno abbandonato tutto, nonostante i notevoli investimenti” (ib.).

Il 25° International Economic Forum di San Pietroburgo (SPIEF).

Il 6 giugno scorso, in un messaggio agli organizzatori del Forum, il presidente Putin ha parlato dei settori industriali in difficoltà.

Si tratta in primo luogo del settore automobilistico sul quale pesa (oltre la partenza di importanti case straniere come Renault e Volkswagen), la mancanza, a causa delle sanzioni, di componenti importate.

Ciò costringerà le fabbriche a chiudere via via che le scorte si esauriranno.

Anche l’industria siderurgica rischia “sostanziali tagli produttivi nel medio termine”.

 

Entro fine luglio il Governo, secondo una direttiva presidenziale, dovrà definire una nuova impostazione del budget federale per i prossimi anni, che miri a ridare slancio alla crescita.

Sono molte le domande che nascono di fronte alla genericità del progetto di espropriazione delle realtà industriali dei “paesi ostili” e all’altrettale genericità del “nuovo” budget federale.

A chi andranno le industrie espropriate o acquistate?

Saranno puramente e semplicemente privatizzate?

 Chi costruirà i loro progetti industriali?

Il management proverrà dal bacino del modello economico putiniano dei decenni precedenti?

Le aziende pubbliche e/o pubblicizzate che ruolo avranno nella Russia del post-conflitto?

L’intervento di Putin del 17 giugno scorso alla sessione plenaria del Forum, qualche risposta (non molte) l’ha data.

Dividiamo il suo intervento in due parti: quella dell’attacco (fondato e condivisibile) all’Occidente e quella progettuale.

“Gli Stati Uniti si consideravano l’emissario di dio sulla terra ma ora la Russia sta prendendo il proprio posto in un nuovo ordine mondiale le cui regole sono stabilite da Stati forti e sovrani […].

 L’era dell’ordine mondiale unipolare fondato sullo strapotere degli USA è finita”.

“Nulla sarà come prima, nulla è eterno” dice poi il presidente della federazione russa.

“Il blitzkrieg economico contro la Russia non è riuscito, non aveva alcuna possibilità di riuscire fin dall’inizio”.

E ora danneggerà di più chi ha imposto le sanzioni “folli e insensate”, una spada a doppio taglio che potrebbe far perdere all’UE più di 400 miliardi di dollari.

“La Russia” prosegue, “non ha alcuna responsabilità” per la crisi economica e per un’inflazione in Occidente le cui radici, sottolinea, risalgono a prima del conflitto. “La Russia perseguirà l’obiettivo di inflazione al 4% […]”.

“Abbiamo sentito parlare tutti di inflazione putiniana […]. Io penso: ma chi ha ideato questa stupidaggine? Chi non sa né leggere né scrivere. Ecco tutto”.

E ancora: “L’UE ha perso la sua sovranità politica, adottando sanzioni che le si sono ritorte contro e i cui costi ricadranno sulle popolazioni […]. Hanno fatto tutto con le loro mani”.

Per l’Europa poi già si intravede “un aggravamento delle disparità, delle tensioni sociali, dei radicalismi […] e in prospettiva il cambio delle élite al potere”.

Passando alla seconda parte, Putin dichiara che la Russia è “pronta ai cambiamenti globali e propone nuove soluzioni alla crisi”.

Bisogna trasformare i problemi in possibilità.

“Dobbiamo fare un lavoro sistemico, un piano di sviluppo a lungo termine impostato su alcuni principi chiave”.

In primis il rifiuto dell’isolamento: “La Russia si svilupperà come un’economia aperta, non imboccherà la strada dell’autarchia”.

Il secondo elemento fondamentale è l’appello al contributo degli imprenditori privati, come Oleg Deripaska, che ascolta in prima fila.

La Russia “deve essere in grado di produrre tecnologie chiave”.

 È fondamentale raggiungere “l’indipendenza” nelle alte tecnologie.

E, rivolto agli investitori, anche occidentali: “Il nostro Paese ha un enorme potenziale […] investite qui, investite nella creazione di nuove imprese […]”.

Un ruolo centrale nella Russia post-conflitto sembra destinato allora all’impresa privata interna ed esterna.

L’inquietante presenza di gente come Deripaska, lascia aperto il dubbio che si tratti solo di un parziale rimescolamento di ceti capitalistici russi sempre interni al modello e alle caratteristiche proprie del ceto dirigente economico-finanziario russo degli ultimi decenni.

Non basta il riferimento, nella relazione, alle indicizzazioni che sono effettive, al mantenimento di una qualche forma di welfare e a misure di tutela dei ceti subalterni, quali i crediti agevolati, i sussidi, mutui a tassi bassi.

 Ne basta l’importante aumento (10%), operato nei mesi scorsi, di salari e pensioni medio-bassi per fronteggiare l’inflazione.

Parte di tutto questo, e in misura certamente minore, lo vediamo anche in Occidente.

Non è visibile al momento, a giudicare dalle parole di Putin, una chiara volontà di costruire un’architettura economico-sociale “alla cinese”, con un ruolo importante deferito al capitale pubblico (e ai soggetti economici pubblici) e con la relativa capacità di orientamento e controllo, se e quando strettamente necessario, da parte del ceto politico nei confronti di un consistente e intraprendente ceto capitalistico.

 

Nel discorso di Putin al Forum, le aziende a partecipazione statale, per il futuro, sembrano relegate a un ruolo economicamente e politicamente non più rilevante di quello che occupano ora.

Ma esiste un progetto alternativo e di opposizione nella Russia post-bellica, escludendo, il dissenso dei ceti filo-occidentali delle grandi città legati, per rapporti materiali e culturali, alle multinazionali occidentali?

Non è dato sapere con chiarezza. Di certo il partito comunista di Gennadij Zjuganov ha mostrato da tempo subalternità rispetto al disegno e alla prassi politica dei partiti che hanno sostenuto i vari governi russi.

Concludo affermando che sarebbe un’occasione perduta, per la Russia e anche per le masse popolari dell’Occidente, se tutto o gran parte di quello che è successo e sta succedendo fuori dalla Russia e dentro la Russia si risolvesse alla fine in una operazione puramente geopolitica, oltre naturalmente che di difesa delle popolazioni vessate del Donbass e di resistenza all’aggressività della Nato per interposta Ucraina.

 E non favorisse i “cambiamenti strutturali” economico-sociali e politici (quantomeno verso un’economia mista del tipo cinese), con la comparsa di nuove soggettività, di nuove rivendicazioni e di nuova democrazia sociale, economica e politica.

(Raffaele Picarelli)

 

 

 

 

 

 

 

Due poli e una serie di satelliti.

Un nuovo ordine mondiale.

 Uffingtonpost.it - Alfredo Luís Somoza – (16 Novembre 2022) – ci dice:

 

Cina e Stati Uniti con attorno i Paesi del G20.

Per la prima volta, senza un ruolo da protagonista per l’Europa, aggrovigliata nei suoi problemi.

Con la crescita di alcune potenze regionali come Turchia, Indonesia, Brasile e, malgrado il conflitto, Russia.

Dopo anni di caos, il mondo sembra avviarsi verso un nuovo ordine.

 Le elezioni di midterm che hanno rafforzato Joe Biden negli Stati Uniti, il ritorno del Brasile tra i protagonisti globali, lo stallo del conflitto ucraino-russo e la continuità al potere di Xi Jinping in Cina lasciano intuire che sta iniziando una nuova fase nel tormentato scenario internazionale, messo a dura prova dalla pandemia e dal ritorno dei conflitti che coinvolgono potenze nucleari.

Il tutto si può sintetizzare nel discorso che Biden ha pronunciato davanti al leader cinese a margine del G20 di Bali, quando ha affermato che “come leader delle principali economie del mondo, dobbiamo gestire la competizione dei due nostri Paesi”.

Da un lato, si è appellato alla Cina perché cessi la competizione, ormai arrivata sull’orlo della guerra commerciale, che in realtà è stata iniziata da Donald Trump.

Dall’altro, ha riconosciuto a Pechino lo status di unica potenza mondiale con la quale gli Stati Uniti si devono misurare.

Si potrebbe dunque concludere che un nuovo bipolarismo sia alle porte, ma bisogna essere cauti.

Anzitutto, qui non si parla di equilibrio militare: su quel piano, la Cina è lontana anni luce dal poter essere considerata un vero rischio per gli Stati Uniti, come invece lo fu l’Unione Sovietica.

Soprattutto, Cina e USA sono fortemente legati tra loro da rapporti commerciali e finanziari costruiti nei decenni precedenti.

Nella lunga storia delle potenze mondiali, mai si erano visti due Paesi così vicini economicamente e così lontani politicamente.

 Ma questa è la complessità e la contraddizione dell’odierna globalizzazione:

pur restando politicamente molto distanti si può vendere e comprare lo stesso, e consumare lo stesso.

Proprio questo è stato il quadro definito dal discorso di Xi Jinping durante l’incontro con Biden:

possiamo essere soci commerciali, possiamo anche lavorare per la pace nel mondo e cercare insieme una soluzione ai cambiamenti climatici, ma non sono permesse critiche né intromissioni nella politica interna di ciascuno.

Questo significa che Washington non deve interferire su Hong Kong, deve dimenticare gli uiguri che Pechino “rieduca” in campi di concentramento e non spingere Taiwan sulla via dell’indipendenza, perché l’isola prima o poi tornerà nella madrepatria.

Xi Jinping propone quindi una rilettura aggiornata dei rapporti tra statunitensi e sovietici durante la Guerra Fredda.

 All’epoca, quando le due potenze discutevano di disarmo, non parlavano di ideologie, ma solo di missili.

Pechino vorrebbe ora che, quando Stati Uniti e Cina parlano di commercio, si discutesse solo di dazi e non di diritti umani.

Questa impostazione pragmatica contraddice però la linea perseguita negli ultimi anni dalla politica estera di Washington.

Se verrà accettata, come lascia intuire il discorso di Biden, si toglierà dal tavolo il tema – o meglio, l’alibi – finora usato per fare pressione sulla Cina, quello dei diritti umani.

La questione dei diritti, infatti, non interessava più di tanto nemmeno prima, ma serviva a rafforzare la posizione negoziale americana.

Se i rapporti tra i due Paesi saranno schietti, come chiesto da Xi Jinping, sulle violazioni cinesi dei diritti umani calerà un velo di silenzio, in patria e all’estero.

Non è certo una bella cosa, anche se eliminerebbe l’uso ipocrita del tema, brandito contro l’avversario come una clava ma rispettato solo a giorni alterni.

Il nuovo ordine internazionale che potrebbe nascere dall’indiscutibile supremazia di Stati Uniti e Cina nega, per la prima volta, un ruolo da protagonista all’Europa, aggrovigliata nei suoi problemi, mentre è destinato ad accrescere il peso di alcune potenze regionali come Turchia, Indonesia, Brasile e, malgrado il conflitto, Russia.

Quello che si stabilirà sarà infatti un equilibrio con due poli centrali, Cina e Stati Uniti, e una serie di satelliti, i Paesi del G20.

Sarà l’ultima tappa del declino dell’Occidente, al quale resteranno solo gli Stati Uniti come simbolo, in un contesto globale più plurale da tutti i punti di vista:

 la pretesa superiorità di una parte del mondo rispetto all’altra sarà una questione del passato, relegata nei manuali di storia.

 

 

 

GUERRA MILITARE E GUERRA IDEOLOGICA:

IL "MANIFESTO DESTINO" DELL’OCCIDENTE.

Web.peacelink.it - Giulio Girardi – (20-6-2022) – ci dice:

 

La guerra in corso non è soltanto militare, è anche ideologica. La stessa Nato lo ha riconosciuto quando, bombardando la televisione serba e trucidando i suoi giornalisti, ha spiegato che essa era in realtà un obbiettivo militare, perché la disinformazione era una delle armi più micidiali di Milosevic. Decretando la morte di quei giornalisti "menzogneri", la Nato intendeva allo stesso tempo affermare l’oggettività della sua rete informativa, e la validità dell’ideologia che la ispira. Problema: l’ideologia che la Nato difende militarmente è davvero meno menzognera e meno micidiale di quella del dittatore Milosevic?

 

 L’Occidente protagonista e norma etica del nuovo ordine mondiale.

Vorrei fare qualche riflessione su questo aspetto, ideologico, della guerra in corso, richiamando l’attenzione sull’importanza che in essa assumono le categorie "Occidente" ed "occidentale". Categorie politiche e filosofiche che sembrano astratte, lontane dalle nostre storie personali; ma che in realtà come cercherò di mostrare, ci coinvolgono profondamente.

 

Con il termine "Occidente" si designa il blocco dei paesi del capitalismo centrale transnazionale, egemonizzati dagli Stati Uniti. L’ideologia occidentale, liberaldemocratica, che rappresenta il suo sistema di valori economici, politici e morali, costituisce il collante dello schieramento. Essa coincide sostanzialmente con il "pensiero unico" imposto dalla globalizzazione capitalista, della quale esplicita la dimensione militare e militarista.

Pertanto l’Occidente non si afferma solo, con questa guerra, come il protagonista indiscusso del nuovo ordine mondiale, ma anche come la sua norma etica, politica e giuridica; quindi anche come punto di riferimento della "normalità". Nella sua prospettiva, la superiorità economica e militare coincide con la superiorità morale: per cui diventa il segno di una missione storica, di un "manifesto destino", quello di difendere nel mondo i valori di cui l’Occidente è depositario. Con la guerra l’Occidente, sotto l’egida degli Stati Uniti, ha affermato clamorosamente questa missione espropriando del loro ruolo le Nazioni Unite. Ha anche fornito la sua interpretazione del nuovo ordine mondiale unipolare e del ruolo che al suo interno esso si attribuisce.

 

Per cogliere la portata di questa svolta storica, partirei da una considerazione abbastanza ovvia: l’Occidente non sarebbe mai intervenuto in Iugoslavia, se l’Unione Sovietica fosse rimasta la grande potenza che era. In quel contesto geopolitico, l’Occidente avrebbe magari condannato verbalmente la pulizia etnica compiuta da Milosevic, ma la Nato, consapevole della sua natura di organizzazione difensiva, e constatando che nessun paese occidentale era aggredito dalla Serbia, avrebbe escluso un suo dovere e un suo diritto d’intervento. Una reazione così moderata sarebbe stata imposta, in ultima istanza, più che da considerazioni etiche e giuridiche, dal cosiddetto "equilibrio del terrore", ossia dal timore di una rappresaglia sovietica.

 

I nuovi compiti storici che oggi l’Occidente si arroga trovano qui la loro spiegazione. Siamo passati dall’equilibrio del terrore allo squilibrio del terrore. Scomparso il terrore della rappresaglia, il diritto del più forte può scatenarsi senza remore, con la maschera dell’intervento umanitario.

 

Nell’antico ordine mondiale, segnato dalla guerra fredda fra Oriente ed Occidente, la Nato era, almeno ufficialmente, un’organizzazione militare difensiva, destinata a proteggere i paesi occidentali da possibili aggressioni del blocco comunista. Tale compito difensivo essa assolveva anche con la sua forza militare, che garantiva l’equilibrio del terrore e fungeva così da deterrente nei confronti del patto di Varsavia. Fu accolta allora con sorpresa e sconcerto la dichiarazione di Enrico Berlinguer, che progettava di costruire il socialismo sotto "l’ombrello della Nato".

 

Conclusa con la vittoria dell’Occidente la guerra fredda, alla Nato è venuto a mancare l’obbiettivo che costituiva la sua ragion d’essere. Essa doveva quindi sciogliersi oppure ristrutturarsi, assegnandosi un altro obbiettivo. Ha optato per la seconda soluzione, trasformandosi in strumento di affermazione dell’egemonia occidentale, in particolare nordamericana, nel mondo. Nella nuova prospettiva, il nemico da abbattere non è più il comunismo, ma qualunque paese, movimento o ideologia che voglia sottrarsi all’egemonia occidentale od al pensiero unico. La dottrina classica della sicurezza nazionale ha conosciuto così un nuovo sviluppo geopolitico La prima vittima di esso è stata, come vedremo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite., esautorata dalla Nato, perché non più disponibile ad operare come suo strumento.

 

Ma sul cambiamento di obbiettivi della Nato hanno pesato indubbiamente, oltre le ragioni politiche che ho ricordato, anche forti ragioni economiche. La fine della guerra fredda rischiava infatti di provocare una grave crisi della potentissima industria delle armi, se avesse determinato la fine delle guerre senz’altro. La trasformazione della Nato da organizzazione difensiva a organizzazione d’intervento universale apriva per essa una possibilità indefinita di guerre giuste e per l’industria delle armi nuove possibilità di affari lucrosi. Di queste guerre giuste quella del Kosovo è solo la prima.

 

Un’intervista rilasciata da Javier Solana, segretario generale della Nato (a Panorama del 29.4.99, p. 40), mi sembra esprimere in modo particolarmente incisivo questa ideologia: "Vorrei ricordare che in questo conflitto non sono in gioco né il petrolio né altre materie prime né altri sbocchi commerciali. L’unica cosa in gioco sono i valori morali (sottolineatura mia). E credo che se l’Europa vuole mantenere la sua grandezza etica, (sottolineatura mia) debba fare tutto il possibile per fermare queste brutalità che non conoscevamo più dalla seconda guerra mondiale. Se non lo facciamo, difficilmente potremo entrare a testa alta nel 2000. Molti degli attuali dirigenti europei sono figli del ‘68, non hanno vissuto la guerra, eppure hanno assunto un impegno forte in difesa dei valori che hanno ispirato la loro vita." Nella stessa logica si muovono quei commentatori che vedono nella guerra della Nato una guerra non solo giusta, ma santa e la esaltano come una crociata laica.

 

Per parte sua l’Italia, riconoscendo l’Occidente quale punto di riferimento della "normalità", si assegna come obbiettivo del suo progresso economico politico e culturale quello di "entrare in Europa", diventando un "paese normale", cioè pienamente occidentale. Essa sa che solo accettando di rispettare le regole del gioco fissate dall’Occidente, le sarà possibile assolvere un ruolo, nel presente e nel futuro dell’Europa.

 

Nella stessa logica, l’evoluzione della sinistra come della destra, in Italia e altrove, consiste nel diventare una sinistra o una destra "occidentali" Giunta al potere in gran parte dei paesi europei, la sinistra ha applicato sostanzialmente, a livello economico, politico e militare, il programma della destra. Ha dovuto scegliere tra rinunciare al potere e rinunciare a se stessa: ha scelto di rinunciare a se stessa., alle sue opzioni generatrici, alla sua identità. Ha dovuto scegliere, in definitiva, tra essere sinistra ed essere occidentale, ha scelto di essere occidentale L’involuzione della sinistra a livello mondiale, la sua subalternità economica, politica e culturale, è uno dei segni più gravi della colonizzazione degli spiriti che il potere mondiale, politico, economico e militare sta realizzando.

 

Con il riferimento ai "figli del ’68" i quali hanno assunto un impegno forte in difesa dei valori che hanno ispirato la loro vita, Javier Solana indica una importante pista di riflessione: sul ruolo decisivo che la sinistra europea sta assolvendo nella conduzione e nella legittimazione della guerra. Per noi questo ruolo è lo sbocco naturale del processo di "occidentalizzazione" della sinistra: accogliendo la chiamata alle armi, la sinistra è diventata a pieno titolo cittadina dell’occidente; assumendo un ruolo decisivo nella legittimazione ed il consolidamento del nuovo ordine mondiale. Sul tema dovremo tornare.

 

 Solidarietà occidentale e soffocamento delle autonomie.

 

Tutte le obiezioni sulla legittimità giuridica e morale e sull’opportunità politica della guerra scatenata dalla Nato vengono respinte dai nostri dirigenti facendo appello alla "solidarietà occidentale" od "atlantica" ed ai "valori occidentali" che abbiamo l’obbligo di difendere. I patti, si dice, devono essere rispettati (ma anche se sono immorali? anche se il loro rispetto significa complicità con imprese criminali?) La solidarietà occidentale, che si concretizza abitualmente come subalternità alle decisioni ed al progetto storico degli Stati Uniti, è diventata il primo comandamento del nuovo ordine mondiale, il criterio supremo del bene e del male, di fronte al quale tutti gli altri debbono cedere. E’ nata così un’ortodossia occidentale, un’etica politica eteronoma, espressione del diritto del più forte. E’ con questo criterio che i popoli dell’Occidente e del mondo sono chiamati a giudicare la legittimità della guerra. È con questo criterio, pensano quasi all’unanimità i membri della classe politica occidentale, che dovrà essere stabilita la legittimità dell’invasione via terra del Kosovo, che è chiaramente nei progetti e nelle aspirazioni di molti strateghi nostrani: quella nuova carneficina sarà, sì o no, imposta dalla "solidarietà occidentale"? sarà sì o no, favorevole agli "interessi occidentali"?

 

In questa discussione, l’obbiezione principale che si pongono gli alleati è che l’attacco terrestre implicherebbe la perdita di molte "vite occidentali": le quali, evidentemente, hanno un peso immensamente superiore alle vite non occidentali stroncate dai bombardamenti aerei e dalle loro conseguenze. Così per combattere il razzismo di Milosevic, l’Occidente si è ispirato ad un razzismo non meno micidiale: in nome del quale esso non si limita a condurre una guerra, ma orienta il governo del mondo.

 

Scrive al riguardo un politologo non certo sospetto di antiamericanismo, Zbigniew Brzezinski: "Ogni governo democratico è comprensibilmente riluttante a perdere le vite dei suoi soldati. Ma condurre una guerra in cui non venga fatto nessuno sforzo - anche se la vita dei suoi combattenti professionisti è esposta a qualche rischio - per proteggere le maggioranze indifese, priva la sua stessa attuazione del suo più alto obbiettivo morale" (Repubblica, 29 maggio 1999, p.13)

 

Sulla base di questo criterio, il rifiuto politico e morale della guerra e l’insieme delle argomentazioni con cui si cerca di fondarlo vengono squalificati come frutto di "antiamericanismo", come residuo di "vetero marxismo"o come segno di connivenza con la pulizia etnica perpetrata da Milosevic.: quasi che solo un atteggiamento pregiudizialmente antioccidentale potesse giustificare una condanna di queste atrocità. Alcuni osservatori poi, partendo dalla definizione occidentale della normalità, arrivano a considerare il dissenso sulla guerra come una forma patologica, che dev’essere curata anziché discussa.

 

Inoltre la solidarietà occidentale soffoca qualunque velleità di autonomia da parte dei membri secondari dell’alleanza, quali sono in definitiva tutti eccetto gli Stati Uniti. Per gli altri, l’appartenenza all’Occidente è politicamente e culturalmente subalterna. Richiede loro l’abdicazione al diritto di autodeterminarsi e di partecipare in condizioni paritarie alle decisioni collettive. Ciò è vero non solo per i singoli membri, ma anche per l’Europa.

 

Soffocare l’autonomia dei governi e dei parlamenti nazionali significa tanto più condannare all’impotenza i cittadini dei paesi occidentali, che possono, certo, liberamente indire "manifestazioni" contro la guerra, ma con la piena coscienza della loro totale inefficacia. La subalternità politica ha come conseguenza l’emarginazione delle ragioni della pace dal dibattito dei potenti. Per tutti gli "occidentali" che non si sentono gratificati dall’identificazione con i più forti, l’appartenenza all’alleanza è segnata decisamente da questo sentimento angoscioso d’impotenza e di emarginazione.

 

Ma l’Occidente non è solo, di questa guerra, il protagonista e la norma etico-giuridica, ne è anche il fine principale. E’ infatti assai significativa la rapida evoluzione che ha subito la definizione del fine della guerra. Originariamente, essa sembrava destinata a bloccare la pulizia etnica praticata da Milosevic, obbligandolo a trattare. Su tale base la guerra, con il suo bagaglio di distruzione e di morte, non era considerata guerra, ma intervento etico ed umanitario. Oggi questi obbiettivi non sono stati solo mancati, sono stati abbandonati. Oggi il fine è diventato vincere la guerra e distruggere Milosevic. La necessità in cui l’Occidente si trova di vincere la guerra, costi quel che costi, non scaturisce dal fatto che solo così i kosovari saranno liberati, ma che solo così l’Occidente "salverà la faccia", cioè la sua egemonia, e la Nato avrà un futuro. A questo obbiettivo vengono sacrificate migliaia di vittime serbe e kosovare

L’Occidente dalla conquista dell’America e alla conquista del mondo.

Vi è un’impressionante continuità fra la conquista dell’America compiuta 500 anni fa dagli europei e la conquista del mondo intrapresa oggi dall’Occidente sotto la guida degli Stati Uniti e di cui la guerra del Kosovo è una tappa significativa. La trasformazione della Nato da organizzazione difensiva a strumento di intervento universale la promuove ufficialmente, come abbiamo ricordato, a strumento di conquista del mondo.

Tale conquista, come allora la conquista dell’America, persegue la salvezza dei popoli: non quella delle anime, ma quella dei corpi. La guerra santa di allora, laicizzata, è diventata una guerra etica od umanitaria, ma sempre di conquista. La superiorità del cristianesimo sulle altre religioni aveva giustificato e sacralizzato la conquista dell’America. La superiorità della civiltà occidentale su tutte le altre giustifiche e sacralizza la conquista del mondo.

 

I conquistatori dell’America giustificavano il loro intervento militare anche con l’obbiettivo di liberare i popoli indigeni da religioni che praticavano sacrifici umani. Per raggiungere questo nobile scopo massacrarono, in nome della civiltà cristiana, milioni di "pagani"; compirono, in altre parole, milioni di sacrifici umani.

 

I conquistatori di oggi giustificano il loro intervento con l’obbiettivo di liberare il Kosovo dalla pulizia etnica imposta da Milosevic. Ma per questo nobile scopo distruggono un popolo, le sue città, le sue infrastrutture, la sua economia per molti decenni, massacrano con una sequela allucinante di "errori inevitabili", un grande numero di innocenti.

 

I conquistatori dell’America pretendevano, con le loro guerre sante, di affermare la presenza salvifica del cristianesimo nei territori conquistati. In realtà il modello imperiale di cristianesimo da essi adottato come strumento di colonizzazione politica e culturale dei popoli contraddice radicalmente il messaggio di Gesù, rivolto essenzialmente alla liberazione degli oppressi; esso non ha solo giustificato per secoli la violazione dei diritti umani e dei diritti dei popoli indigeni, ma ha anche contribuito ad occultare e de figurare il messaggio liberatore di Gesù.

 

Analogamente la guerra etica della Nato, volta a difendere i diritti umani e i diritti dei popoli, li viola invece clamorosamente e si arroga il diritto di violarli in qualunque parte del mondo, dove siano minacciati gli interessi occidentali. Essa contribuisce così a consolidare un ordine mondiale nel quale i diritti umani e i diritti dei popoli sono strutturalmente violati, ed ai violatori potenti è garantita l’impunità.

 

I conquistatori dell’America nascondevano dietro motivazioni religiose ed umanitarie il loro obbiettivo più fondamentale, quello di affermare il dominio politico-militare delle potenze europee e di favorire, attraverso la depredazione e lo sfruttamento di quelle terre, l’arricchimento degli europei. Analogamente, i conquistatori di oggi nascondono dietro motivazioni etiche ed umanitarie il loro obbiettivo più fondamentale: quello di affermare il dominio politico-militare delle potenze occidentali e di favorire gl’interessi economici delle multinazionali produttrici di armi.

 

Allo scoppio di questa guerra, molti espressero il timore che essa potesse scatenare una guerra mondiale. In realtà la guerra mondiale era già scoppiata: è la guerra di colonizzazione del mondo da parte dell’Occidente, egemonizzato dagli Stati Uniti, scatenata dalla globalizzazione neoliberale, che caratterizza il nuovo ordine mondiale. Di questa guerra mondiale, la guerra del Kosovo è solo un episodio.

 

Le analisi della globalizzazione neoliberale compiute dal punto di vista degli esclusi ne avevano infatti già denunciato il carattere terribilmente violento, scorgendo in essa una guerra di colonizzazione, la più lunga e micidiale della storia. Ma si trattava di una guerra occulta, della quale solo minoranze dell’umanità giungevano a prendere coscienza. Perché il blocco economico dominante domina anche la cultura: colonizza cioè anche le coscienze, plasmando un modello di persona e di popolo "occidentale", che considera normale la violenza dei più forti e demonizza la violenza dei più deboli.

 

La guerra della Nato smaschera la dimensione militare e militarista della globalizzazione neoliberale e della civiltà occidentale: anche se il suo apparato ideologico ultrapotente consente all’Occidente di farla rientrare nella "normalità" della guerra giusta, etica, umanitaria.

 

Una delle più clamorose violazioni dei diritti umani, dei diritti dei popoli e dei diritti dell’umanità commesse con questa guerra dall’Occidente, particolarmente dagli Stati Uniti, è il colpo di stato con cui ha spodestato l’organizzazione delle Nazioni Unite. Ad essa non ha solo rifiutato il ruolo di presiedere ai rapporti fra i popoli e di decidere sull’opportunità e legittimità di interventi armati; le ha rifiutato anche il ruolo di mediatrice fra i contendenti. Le ha ricordato che essa non possiede in proprio nessuna divisione, che possa fondare un diritto d’intervento. La Signora Albright ha quindi intimato al Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan (con quale autorità, di grazia?) di non intromettersi nei negoziati e di attenersi al suo ruolo umanitario (ruolo che , a quanto pare, la Nato ha cessato di rivendicare). Lo ha fatto subito dopo che i rappresentanti del G8 si erano detti d’accordo per mettere sotto l’autorità dell’ONU sia le trattative di pace sia le truppe che saranno chiamate a vigilare sul rispetto degli accordi.

 

Quindi nel nuovo ordine mondiale, l’ONU non è più un’istanza di coordinamento politico fra gli Stati, è diventata un’organizzazione umanitaria. Il ruolo invece di direzione politico-militare del mondo è assunto anche ufficialmente dall’Occidente, e in esso dagli Stati Uniti. Con questa decisione l’ONU, autrice di molte importanti dichiarazioni e convenzioni sui diritti umani e sui diritti dei popoli, viene privata di qualsiasi autorità nel vigilare sul rispetto di esse. Questo diventa compito esclusivo delle potenze occidentali. Ma chi giudicherà i giudici? Chi giudicherà le innumerevoli e gravissime violazioni dei diritti umani e dei diritti dei popoli compiute dalle grandi potenze occidentali e in primo luogo dagli Stati Uniti?

 

Fondamento dell’autorità morale dell’Occidente.

Atra domanda di fondo: su che cosa si fonda l’autorità morale che l’Occidente si attribuisce nel mondo e sul mondo, e di cui questa guerra è uno spaventoso esercizio? Si fonda unicamente, unicamente, sulla sua superiorità economica e militare. La menzogna fondamentale della sua ideologia è quella che traveste la superiorità economica e militare da superiorità etica e politica; o, per usare il linguaggio del segretario generale della Nato, da "grandezza etica". Menzogna tanto più grave in quanto quella superiorità economica e militare è il frutto di secoli di depredazioni e genocidi; ossia di violazioni sistematiche dei diritti umani, dei diritti dei popoli e delle più elementari norme etiche della convivenza umana. In realtà, con la sua guerra l’Occidente riafferma tragicamente quel diritto del più forte, che ha segnato tutta la sua storia e che ha generato la sua potenza. Così una storia criminale dovrebbe fondare un’autorità morale su scala mondiale.

 

La presunta autorità morale dell’Occidente è squalificata anche dalle sue flagranti contraddizioni. Così solerte nella difesa dei diritti umani dei kosovari, esso tace clamorosamente sulle innumerevoli e non meno gravi violazioni dei diritti umani e dei diritti dei popoli di cui le grandi potenze occidentali sono colpevoli in tutto il mondo.

 

Sono di ritorno dalla Colombia, dove ho partecipato ad un tribunale internazionale di opinione, costituito dalle organizzazioni popolari e di difesa dei diritti umani per giudicare la strage di Barrancabermeja, nella quale furono trucidati sette cittadini e venticinque vennero fatti scomparire; delitto che a un anno di distanza rimane impunito, anche perché in esso, come il tribunale ha potuto dimostrare, è gravemente coinvolta la responsabilità dello Stato. Su tale delitto, le organizzazioni promotrici del tribunale hanno voluto richiamare l’attenzione nazionale e internazionale, perché lo considerano emblematico di un’interminabile catena di violenze politiche, che gravano come un incubo sulla vita del popolo, e che rimangono impunite.

 

Nel momento in cui le grandi potenze occidentali si attribuiscono il diritto e il dovere d’intervenire militarmente in difesa dei diritti umani, sembra particolarmente importante richiamare l’attenzione su un luogo del mondo in cui si compiono da decenni violazioni dei diritti umani non meno atroci di quelle che insanguinano il Kosovo e sulle quali le grandi potenze mantengono il più assoluto silenzio: non sarà perché in queste violazioni sono gravemente coinvolte esse stesse, a cominciare dagli Stati Uniti?

 

Questi comportamenti contraddittori dell’Occidente sono denunciati lucidamente da due autorevoli osservatori, Mickhail Gorbaciov e Noam Chomsky. Gorbaciov, in occasione del recente incontro romano dei Premi Nobel per la Pace, ha dichiarato fra l’altro: "ci sono stati degli episodi deplorevoli (nella ex-Yugoslavia); ma a questo proposito vorrei porvi una domanda. In Colombia ogni anno muoiono decine di migliaia di persone, anche lì i profughi sono un milione. Questo accade sotto i nostri occhi. Come reagiscono la Nato e gli Stati Uniti? Gli USA forniscono le armi a quel governo militare." (Avvenimenti, 2 maggio 1999, p.21)

 

Noam Chomsky, in un articolo apparso su Repubblica del 25 Aprile 1999, sente anch’egli l’esigenza di fare un accostamento fra la situazione del Kosovo e quella della Colombia. "In questo paese, scrive, secondo le valutazioni del Dipartimento di Stato, ogni anno il numero degli assassinii politici ad opera del governo e dei gruppi paramilitari legati ad esso è analogo a quello del Kosovo prima dei bombardamenti, e i profughi che fuggono per sottrarsi a quelle atrocità superano dl molto il milione. La Colombia occupa il primo posto tra i paesi dell'emisfero occidentale che hanno ricevuto armi e addestramento militare dagli Stati Uniti durante tutti gli anni '90, in cui la spirale della violenza ha continuato a crescere. Questi aiuti sono oggi in ulteriore aumento, con il pretesto della "guerra alla droga", giudicato del tutto inattendibile da quasi tutti gli osservatori seri. L'amministrazione Clinton ha elogiato con particolare entusiasmo il presidente colombiano Cesar Gaviria, il cui governo, secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, è responsabile di "livelli di violenza spaventosi", che hanno segnato un peggioramento anche rispetto ai precedenti governi."

 

Se questo è vero, come non dubitare della autenticità di ragioni etiche, che funzionano a senso unico? Come non sospettare che le vere ragioni dell’intervento siano altre?

L’Occidente e la conquista del consenso popolare.

 

Uno degli aspetti più preoccupanti dell’ideologia occidentale è che essa non si limita a legittimare la violenza criminale dei più forti, ma riesce a conquistare il consenso di grandi maggioranze popolari, all’interno dei paesi occidentali e fuori di essi. Il dominio economico, politico e militare sul mondo crea le condizioni del dominio culturale e della colonizzazione degli spiriti. La violenza è così penetrante da poter strappare il consenso delle sue vittime. Il nuovo ordine mondiale riposa su una colossale sindrome di Stoccolma.

 

La colonizzazione degli spiriti è il frutto del sistema occidentale inteso come enorme, potentissimo e capillare sistema educativo. Il bombardamento ideologico non è meno micidiale di quello militare, del quale garantisce la legittimità. Esso riesce ad imporre un modello di persona "occidentale", che trova normale un ordine mondiale imperniato su rapporti di dominio e sulla discriminazione; un modello di persona che vede la sua realizzazione nell’identificazione con i più forti, o, come si preferisce dire, con le "democrazie più avanzate". Un modello di persona che ha interiorizzato i valori dell’american way of life, dello stile nordamericano di vita, di vestito, di alimentazione, di divertimento ecc.; che sogna di raggiungere il suo livello di benessere. Un modello di persona, che, in virtù di questa identificazione, ha abdicato alla sua autonomia intellettuale e morale, ed è pienamente disponibile alla dipendenza politica ed economica.

 

Così l’Occidente distrugge la televisione serba, accusandola di diffondere menzogne sulla guerra, ma sostiene un apparato ideologico transnazionale, che impone al mondo una visione menzognera non solo di questa guerra, ma anche del mondo e della vita.

 

Per quanto riguarda le menzogne sulla guerra, una in particolare viene inculcata sistematicamente dall’apparato ideologico occidentale. Ed è l’equazione Milosevic= Hitler, pulizia etnica serba=olocausto degli ebrei, guerra contro Milosevic= guerra contro il nazismo. Sulla base di tali premesse si conclude: la guerra della Nato è una guerra giusta, come lo è stata la seconda guerra mondiale contro il nazismo.

 

In quest’analisi si omette, tra l’altro, di osservare che Milosevic, a differenza di Hitler, non ha mai aggredito un paese straniero, né ha minacciato di farlo in futuro. Si omette di osservare che i bombardamenti Nato, a differenza della guerra condotta dagli alleati contro il nazifascismo, non ha interrotto la pulizia etnica, ma ha peggiorato la situazione dei kosovari.

 

Questa menzogna viene autorevolmente smascherata da 300 ebrei americani, primo firmatario Noam Chomsky, i quali dichiarano fra l’altro: "Molti fautori dei bombardamenti hanno fatto analogie con l’Olocausto, sostenendo che il mondo non può stare a guardare la pulizia etnica in Kosovo... Noi sollecitiamo il rifiuto di queste analogie false ed esagerate con l’Olocausto e la seconda guerra mondiale, che sono usate per raccogliere sostegno per i bombardamenti che stanno aggravando le condizioni di vita di tutte le nazionalità che vivono in Jugoslavia"

 

" Non crediamo, recita ancora il documento, che la guerra del nostro governo contro la Jugoslavia sia motivata da preoccupazioni umanitarie. Ciò è reso evidente dal rifiuto di portare per via aerea cibo e acqua ai rifugiati disperati all’interno del Kosovo, così come dalle ridicole somme stanziate per soccorrere i profughi in confronto ai miliardi di dollari spesi nei bombardamenti. La grande riluttanza dell’amministrazione Clinton di perseguire una soluzione negoziata del conflitto indica che questo intervento è soprattutto determinato da questioni di potere: mostrare al mondo che gli Stati Uniti e la Nato che essi controllano si sono autonominati poliziotti internazionali e sono al di sopra della legge e delle Nazioni Unite. Stanno combattendo la loro guerra contro i civili, distruggendo l’economia jugoslava e uccidendo centinaia di persone innocenti per dimostrare e rafforzare il loro potere." (Il manifesto, 13 maggio 1999, p.10)

 

Dell’impatto dei mezzi di comunicazione di massa sulla formazione delle personalità si è rivelato particolarmente consapevole e preoccupato Bill Clinton. Poco dopo la strage di Littleton in Florida, avvenuta in aprile, dove due ragazzi "di buona famiglia" avevano quasi per gioco ucciso, nella scuola 13 dei loro compagni e ferito altri 17, il presidente, profondamente turbato, rivolse due messaggi alla nazione. Egli disse in sostanza, rivolto specialmente ai genitori: "è ora di insegnare ai nostri figli a risolvere i conflitti con le parole, non con le armi" Ripeto: per Clinton, "è ora di insegnare ai nostri figli a risolvere i conflitti con le parole, non con le armi".

Cercando poi di spiegare un comportamento così folle, egli denuncia la responsabilità dei film violenti; particolarmente del film Ritorno dal nulla, in cui Leonardo Di Caprio spara in classe, indossando come a Littleton, un impermeabile nero. Clinton non è neppure sfiorato dal sospetto che la follia di quei ragazzi possa essere ispirata dalla follia dei grandi, che risolvono i conflitti con una tempesta infinita di bombe e con una strage d’innocenti. Non è sfiorato dal sospetto che le bombe, destinate a seminare in Serbia distruzione e morte, ricadano anche sugli Stati Uniti e sul resto del mondo distruggendo qualsiasi residuo di sensibilità umana e formando generazioni di persone esaltate dal mito della forza. Clinton non è sfiorato da questo sospetto perché la sua etica politica di grande potenza è totalmente dissociata dalla sua etica individuale: quello che secondo l’etica individuale è un comportamento folle diventa per l’etica politica espressione di grandezza e di coerenza.

 

 Le bombe della Nato hanno ferito mortalmente la sinistra.

 

Desidero ora affrontare più da vicino il tema che ho segnalato all’inizio di questa riflessione: il ruolo della sinistra europea nella guerra della Nato. Il fatto da analizzare è che questa guerra scoppia quando nella maggioranza dei paesi europei, tredici su quindici, tra cui la Germania, la Francia, l’Inghilterra e l’Italia, la sinistra è al potere; che la sinistra al potere non solo non è riuscita ad evitare la guerra, non solo non ci ha nemmeno provato, ma ne è diventata protagonista. La sua adesione alla guerra è stata, come ho ricordato precedentemente, lo sbocco naturale di un processo di occidentalizzazione, cioè di integrazione nel nuovo ordine mondiale e di interiorizzazione del pensiero unico.

 

Aderendo alla guerra, essa ha completato il suo processo di legittimazione ed ha acquisito pieno diritto di cittadinanza nella società occidentale. Si ha anzi spesso l’impressione che i pentiti della sinistra antagonista siano diventati i più accesi sostenitori della guerra giusta e della Realpolitik, quasi volessero farsi perdonare (dagli altri e da se stessi) le ingenuità e l’idealismo del loro passato.

 

Ma vi è di più. Nel processo di legittimazione popolare della guerra, la sinistra ha assolto una funzione che per la destra sarebbe stata assai difficile se non impossibile: quella cioè di ottenere il consenso maggioritario delle masse popolari e di disinnescare proteste di massa., facendo proprie le giustificazioni della guerra diffuse dagli Stati Uniti; avallando, per esempio, il parallelismo tra la guerra della Nato e la seconda guerra mondiale.

 

Scrive a questo proposito, con la sua abituale lucidità, Rossana Rossanda: "La sinistra non protesta né propone alternative , quando gli USA e la Gran Bretagna lanciano la crociata contro il "cuore di tenebra" del mondo...Né obietta che il vessillo sia la democrazia nell’accezione americana, non quella europea resa spuria dai diritti sociali, e che i suoi mezzi siano quel che di meno democratico si possa pensare. Anzi l’antiamericanismo diventa il nuovo peccato mortale.

 

"Non sono le Nazioni Unite che consacrano la crociata, ma che importa, l’ONU non è operativa. Si violano le costituzioni nazionali? Non importa , esse riflettono un modello superato di sovranità. L’egemonia americana si propone come etica e la Nato ne è il braccio secolare. Fra riluttanti e consenzienti le sinistre si adeguano e ne siamo ancora trasecolati." (il manifesto, 29 maggio 1999, p.3)

 

La sinistra è morta, viva la sinistra!

 

Se queste premesse sono valide, la ribellione alla guerra della Nato non si può dissociare, in prospettiva, dalla ribellione al nuovo ordine mondiale ed alla globalizzazione neoliberale che lo caratterizza. Se queste premesse sono valide, la ribellione deve fare leva su una mobilitazione delle coscienze, che coinvolga le persone, i paesi, l’Europa, e, in definitiva tutto il mondo. Una mobilitazione di cui dovrebbe rendersi protagonista una sinistra italiana ed europea preoccupata di ritrovare le sue ragioni e la sua identità nel nuovo ordine mondiale; preoccupata, anziché di integrarsi nella cultura occidentale, di cercare le strade di un’alternativa liberatrice ad essa.

 

La provocazione per il rilancio della sinistra dovrebbe partire appunto dalla constatazione del suo tradimento e della sua morte ingloriosa, sotto le bombe della Nato. Protagonisti del rilancio dovrebbero essere i compagni e le compagne della sinistra che non sono pentiti, che non sono disposti ad omologarsi, e che intendono trasformare questa crisi in un momento di presa di coscienza e di riscoperta delle ragioni originarie della sinistra.

 

Il tema fondamentale di questa mobilitazione e di questa ribellione dovrebbe essere, a mio giudizio, quello dell’autonomia: autonomia che, appunto, la globalizzazione neoliberale sta soffocando a tutti i livelli. Questa mobilitazione sarà possibile solo sulla base di una rivoluzione culturale, che contrapponga al punto di vista sulla società e sulla storia dei paesi e dei gruppi dominanti, il punto di vista degli oppressi concettizzati e ribelli; e che riconosca a questo punto di vista maggiore apertura alla verità ed alla giustizia.

 

Il primo e più decisivo momento dell’autonomia, che si tratta di riconquistare, è quello personale. Ritrovare e consolidare, di fronte al bombardamento ideologico cui siamo sottoposti, la capacità di pensare con la nostra testa, di rifiutare il pensiero unico, di nuotare contro corrente. Ritrovare una capacità critica nei confronti dei luoghi comuni sulla "morte del marxismo" e della teologia della liberazione. Ritrovare la capacità di resistere alla cultura del fatalismo, mantenendo viva la tensione utopica e la ricerca dell’alternativa.

 

Il contesto della guerra e quello più generale della globalizzazione ripropongono poi in termini nuovi e drammatici il problema della sovranità nazionale. Lo ripropongono a partire dalla scomparsa dell’autodeterminazione dei popoli che sia il processo di globalizzazione neoliberale sia la guerra della Nato sembrano sanzionare. Lo ripropongono a partire dal sentimento d’impotenza da cui siamo presi, quando ci mobilitiamo per contestare le stragi provocate sia dalla guerra etica sia dalle misure economiche imposte dal neoliberalismo. Si tratta di porre oggi al centro del dibattito, valorizzando anche lo stimolo che viene dall’insurrezione indigena, il diritto dei popoli all’autodeterminazione solidale nel nuovo ordine mondiale: autodeterminazione sia nei confronti delle leggi del mercato sia nei confronti delle grandi potenze. Si tratta di discutere il dogma del pensiero unico, secondo cui le sovranità nazionali sono un residuo del passato e di interrogarsi sulle nuove forme del suo esercizio nel nuovo ordine mondiale.

 

Certo, le sovranità nazionali hanno perso qualunque validità giuridica, quando sono espressione di una classe politica autoritaria e repressiva, preoccupata di garantire la sua impunità Mantengono invece, mi pare, la loro sostanziale validità, quando sono espressione di un popolo che afferma il suo diritto di autodeterminazione nei confronti di poteri politici ed economici che pretendono di orientare la sua vita subordinandola, in nome della globalizzazione e dell’unificazione del mondo, ai loro propri interessi. Si tratta infatti di ridefinire il concetto di unità occidentale e mondiale in termini rispettosi del diritto alla diversità all’interno dell’Occidente e del mondo, del diritto cioè di ogni popolo di essere se stesso, riconoscendo lo stesso diritto a tutti gli altri popoli.

 

Il contesto della guerra e quello della globalizzazione ripropongono infine il problema dell’autonomia dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti, non solo a livello economico ma anche a livello politico. Anche qui il problema sorge per il fatto che la guerra ha rivelato all’Europa la sua totale mancanza di autonomia politica e militare all’interno dell’alleanza occidentale. Alleanza che non è nata dalla convergenza di autonome decisioni, ma dalla subalternità dell’Europa al suo grande fratello nordamericano. Abbiamo scoperto che all’Europa dei mercanti non corrisponde ancora un’Europa dei cittadini. Abbiamo deluso le attese di quanti, specialmente nel terzo mondo, speravano che la nuova Europa sarebbe stata in grado di contrapporsi all’arroganza ed invadenza degli Stati Uniti; che la nuova Europa avrebbe rappresentato un’inversione di tendenza storica, diventando, dopo secoli di conquiste e colonizzazioni, alleata dei popoli oppressi in lotta per la loro liberazione. Hanno dovuto constatare che no, che la nuova Europa non ha abbandonato le ambizioni imperiali dell’antica; che la nuova Europa non è in grado di contrapporsi all’invadenza ed all’arroganza degli Stati Uniti, ma contribuisce piuttosto a rafforzarle ed a legittimarle.

 

La solidarietà atlantica è diventata, come abbiamo ricordato, il primo comandamento del nuovo ordine mondiale cui le persone ed i popoli sono chiamati a sacrificare la loro autonomia e la loro coscienza morale. Riconquistare l’autonomia significa riportare al centro dell’etica politica il diritto delle persone e dei popoli alla vita.

 

Adottando questo criterio, se l’unica strada per porre fine alla guerra e per consentire alle persone ed ai popoli di decidere in funzione della loro coscienza etica, è la rottura dell’alleanza atlantica, allora rompiamola questa alleanza, che sta diventando un’associazione terroristica, la più poderosa e micidiale di tutti i tempi ; associazione cui la superiorità militare garantisce l’impunità anche per i crimini di lesa umanità dei quali si rende colpevole. Gettiamolo questo ombrello che non ci protegge da nessuna aggressione, e che ci coinvolge invece nelle aggressioni di cui è diventato strumento.

 

Una sinistra italiana ed europea che s’impegnasse decisamente in questa battaglia per le autonomie, ritroverebbe in essa la sua propria autonomia e la strada per ricostruire la sua identità. 

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