PANNELLI SOLARI E DECARBONIZZAZIONI.

 

PANNELLI SOLARI E DECARBONIZZAZIONI.

 

 

Le dichiarazioni oltraggiose dell'ebreo

israeliano transumanista Yuval Noah Harari.

Unz.com - KARL HAEMERS – (19 DICEMBRE 2022) – ci dice:

 

In un recente saggio di “The Occidental Observer “intitolato "Life Without Jews: The Amazing Adventures of Israeli Trans-Pedophile and Tampon-Fetishist Jonathan Yaniv", l'autore Tobias Langdon racconta il comportamento grottesco e perverso – e tipicamente ebraico israeliano – di questo essere che ha avuto "l'attenzione di milioni di persone in tutto il mondo" solo per uno dei suoi atti vili.

Ispirati dall'argomento, qui esamineremo il comportamento oltraggioso di un altro ebreo israeliano che ha attirato l'attenzione di molti milioni di persone in tutto il mondo.

Yuval Noah Harari è descritto come un "consigliere" del culto globalista transumanista del potere noto come “World Economic Forum”, il cui presidente esecutivo Klaus Schwab ha apertamente dichiarato che sta sviluppando "una fusione delle nostre identità fisiche, biologiche e digitali" per tutta l'umanità.

Sorprendentemente, le dichiarazioni pubbliche di Harari, molte delle quali fatte dal palco principale della conferenza annuale del World Economic Forum dove è diventato un oratore principale, sono molto più oltraggiose e indignanti persino di quelle di Schwab (il capo banda! Ndr.)

 Quasi la metà dell'età di Schwab, Harari a 46 anni ha meno probabilità di essere un "consigliere" che un portavoce della futurologia transumanista sociopatica che il “World Economic Forum” non solo sta immaginando, ma si sta sempre più imponendo sul mondo di oggi attraverso i suoi numerosi partner (globalisti assassini! Ndr)

 

La popolarità e l'influenza di Harari sono immense.

Dal suo sito web About:

(Il Prof. Yuval Noah Harari è uno storico, filosofo e autore di bestseller di Sapiens: A Brief History of Humankind, Homo Deus: A Brief History of Tomorrow, 21 Lessons for the 21st Century e della serie Sapiens: A Graphic History and Unstoppable Us. I suoi libri hanno venduto 40 milioni di copie in 65 lingue ed è considerato oggi uno degli intellettuali pubblici più influenti del mondo.)

La biografia di Harari del World Economic Forum vanta inoltre che ha pubblicato con il Guardian, il Financial Times, il New York Times, l'Atlantic, l'Economist e la rivista Nature.

Il New York Times è ovviamente della famiglia ebrea Sulzberger, l'Economist è ancora al 21% di proprietà dei Rothschild con Evelyn de Rothschild presidente per oltre quindici anni fino alla fine degli anni '80, la rivista Nature è stata co-fondata dal primo transumanista Thomas Huxley (nonno di Aldous Huxley, autore di Brave New World), il Guardian "ha continuato la sua lunga tradizione di politica liberale [cioè radicale]" (principalmente globalista), e l'Atlantic è attualmente di proprietà maggioritaria dell'”Emerson Collective” che promuove l'immigrazione non bianca, lavora per "combattere il divario di risultati tra gli studenti di colore" e si impegna nel "filantrocapitalismo".

 Harari ha trovato sbocchi adatti per le sue farneticazioni transumaniste, e/o lo hanno trovato.

Il primo libro popolare di Harari, “Sapiens”, deriva dalle lezioni che ha tenuto alle sue lezioni universitarie di storia del mondo.

 Ha iniziato la sua carriera accademica nel programma delle Forze di difesa israeliane noto come Atuda, che consente ai diplomati delle scuole superiori di rinviare la loro coscrizione obbligatoria nell'IDF per frequentare l'università, a condizione che studino argomenti applicabili ai militari.

Harari pubblicò opere come "Strategy and Supply in Fourteenth-Century Western European Invasion Campaigns" nel Journal of Military History e "The Concept of 'Decisive Battles' in World History", tra molti altri.

 È stato esentato dal servizio dell'IDF a causa di "un problema di salute non rivelato", ma niente di "catastrofico".

Vive con suo marito in un moshav, una cooperativa agricola, fuori Gerusalemme. Essere gay, dice, lo ha aiutato a mettere in discussione le opinioni ricevute.

"Nulla dovrebbe essere dato per scontato", ha detto, "anche se tutti ci credono".

Il marito di Harari è anche il suo agente e manager, Itzik Yahav.

 "Gli piace dire: 'Non capisci, Yuval lavora per me!'"

Yahav ha declinato l'invito a far partecipare Harari al “World Economic Forum”, a Davos, nel 2017, perché i panel proposti non erano "abbastanza buoni".

 Un anno dopo, quando ad Harari fu offerto il palco principale, in uno slot tra Angela Merkel ed Emmanuel Macron, Yahav accettò.

Nei suoi discorsi del 2018 al “World Economic Forum”, le dichiarazioni oltraggiose di Harari hanno trovato la loro più grande portata.

Ha partecipato a quattro eventi di discorso quell'anno, tra cui due pannelli intitolati "Mettere in discussione il nostro futuro umano" e "Mettere i posti di lavoro fuori dal lavoro".

È stata la conferenza chiave di Harari "Il futuro sarà umano?" che dovrebbe preoccupare maggiormente il resto dell'umanità.

Questa è la dichiarazione di apertura di Harari:

Siamo probabilmente una delle ultime generazioni di homo sapiens.

 Entro un secolo o due, la Terra sarà dominata da entità che sono più diverse da noi di quanto siamo diversi dai Neanderthal o dagli scimpanzé.

 Perché nelle prossime generazioni impareremo come ingegnerizzare corpi, cervelli e menti.

Harari parla con certezza e persino entusiasmo dei processi per i quali l'umanità dovrebbe avere una scelta.

 Dal suo punto di vista, tuttavia, questo futuro transumanista è inevitabile.

 

"Questo sarà deciso dalle persone che possiedono i dati.

Coloro che controllano i dati controllano non solo il futuro dell'umanità, ma il futuro della vita stessa".

"Abbiamo raggiunto il punto in cui possiamo hackerare ... esseri umani e altri organismi".

"... l'ascesa dell'apprendimento automatico e dell'intelligenza artificiale ci sta dando la potenza di calcolo necessaria. E allo stesso tempo, avanza in ... La scienza del cervello ci sta dando la necessaria comprensione biologica".

"Si possono davvero riassumere 150 anni di ricerca biologica da Charles Darwin in tre parole: gli organismi sono algoritmi".

"Quando la rivoluzione infotech si fonde con la rivoluzione biotech, ciò che si ottiene è la capacità di hackerare gli esseri umani".

"Non potrai nasconderti da Amazon, da Ali Baba e dalla Polizia Sociale".

"Una volta che abbiamo algoritmi che mi capiscono meglio di quanto io capisca me stesso, potrebbero prevedere i miei desideri, manipolare le mie emozioni e persino prendere decisioni per mio conto. E se non stiamo attenti, il risultato potrebbe essere l'ascesa delle dittature digitali".

"Se la democrazia non può adattarsi a queste nuove condizioni, allora gli esseri umani arriveranno a vivere sotto il dominio delle dittature digitali. Già al momento, stiamo assistendo alla formazione di regimi di sorveglianza sempre più sofisticati in tutto il mondo".

"Hackerando gli organismi, le élite possono ottenere il potere di riprogettare il futuro della vita stessa. ... Questa sarà la più grande rivoluzione in biologia dall'inizio della vita quattro miliardi di anni fa".

"La scienza sta sostituendo l'evoluzione per selezione naturale con l'evoluzione per disegno intelligente. Non il disegno intelligente di qualche dio sopra le nuvole, ma il nostro disegno intelligente. ... Queste sono le nuove forze trainanti dell'evoluzione".

"Se non regoliamo (i dati), una piccola élite potrebbe arrivare a controllare non solo il futuro delle società umane, ma la forma delle forme di vita in futuro".

"Come storico posso dirvi due cose sul passato: ... non è stato divertente ... E non tornerà. Quindi le fantasie nostalgiche non sono davvero una soluzione".

"Faremmo meglio a chiedere ai nostri scienziati, ai nostri filosofi, ai nostri avvocati e persino ai nostri poeti – o soprattutto ai nostri poeti – di rivolgere la loro attenzione a questa grande domanda: come si regola la proprietà dei dati? Il futuro non solo dell'umanità, ma il futuro della vita stessa, può dipendere dalla risposta a questa domanda".

Così Harari conclude il suo discorso al WEF nel 2018 con una grande domanda.

 Ma non c'è dubbio che la risposta di chi regolerà i dati sono quelle "élite" di cui sembra metterci in guardia.

 Sono i partner del WEF, che includono le corporazioni più potenti del mondo, i governi della maggior parte delle nazioni attuali del globo, i "think tank" globalisti e le organizzazioni non governative (ONG), le agenzie militari e di intelligence del mondo e, soprattutto, le più ricche e potenti dinastie familiari bancarie ebraiche che sono in cima alla piramide del potere.

Queste sono le "élite" che possederanno e controlleranno i dati e, da lì, tutto il resto

 Harari deve saperlo, dal momento che è il loro portavoce.

 Sapendo che il suo popolo dominerà l'élite, una dittatura digitale è un futuro che non vede l'ora.

Guardando attraverso queste affermazioni chiave, vediamo che Harari respinge Dio più completamente di Nietzsche, e Lo sostituisce con le "élite" tecnocratiche che includono Harari stesso.

 Questo è un concetto chiaramente giudaico.

Impressiona l'inevitabilità del suo futuro tecnocratico e afferma che non possiamo tornare a un passato spiacevole per evitare la sfida.

Egli attribuisce un'onnipotenza nel futuro a coloro che possiedono i dati e trasmette un'impotenza tra il resto dell'umanità di fronte a questo potere ultimo su tutta la vita.

 Le "élite" divine stanno guardando, e non ci sarà scampo.

Harari non consente problemi nei programmi, nessun effetto collaterale dall'hacking tecnologico dell'umanità, nessun guasto alle macchine, nessun problema tranne le "dittature digitali".

Le critiche ai suoi libri sono tuttavia più feroci. Il professore canadese di antropologia Christopher Robert Hallpike ha dichiarato in una recensione di Sapiens che:

... Si è spesso dovuto sottolineare quanto sorprendentemente poco sembra aver letto su un certo numero di argomenti essenziali.

Sarebbe giusto dire che ogni volta che i suoi fatti sono ampiamente corretti non sono nuovi, e ogni volta che cerca di colpire da solo spesso sbaglia le cose, a volte seriamente. ...

Non dovremmo giudicare Sapiens come un serio contributo alla conoscenza, ma come "infotainment", un evento editoriale per solleticare i suoi lettori con una selvaggia cavalcata intellettuale attraverso il paesaggio della storia, costellato da sensazionali esibizioni di speculazioni e terminante con previsioni agghiaccianti sul destino umano.

La scorsa estate, la rivista “Current Affairs” ha pubblicato "The Dangerous Populist Science of Yuval Noah Harari", che affermava:

 "L'autore di best-seller è un narratore di talento e un oratore popolare. Ma sacrifica la scienza per il sensazionalismo, e il suo lavoro è pieno di errori".

Il mese scorso il tedesco” Frankfurter Allgemeine Zeitung” ha definito Harari un "marchio" creato dal suo partner per vendere di tutto, dai fumetti e storie per bambini ai video (un approccio chiaramente ebraico), e che i suoi fan trattano Harari come una "pop star" nonostante il suo triste messaggio che gli umani sono obsoleti e le macchine ci sostituiranno.

Harari è tornato come relatore al “World Economic Forum” nel 2020. È stato presentato dall'ebrea israeliana addestrata dall'IDF Orit Gadiesh, che si definisce il "presidente" di Bain Capital (una volta guidata da Mitt Romney), e come ho riportato in questo saggio di TOO, è nel Consiglio di fondazione del “World Economic Forum”.

Harari ha parlato insieme al primo ministro di lunga data dei Paesi Bassi Mark Rutte, sul tema "Come sopravvivere al 21 ° secolo".

Potrebbe aver superato il suo discorso del 2018 in citazioni oltraggiose.

 

"... Tre problemi pongono sfide esistenziali alla nostra specie ... guerra nucleare, collasso ecologico e sconvolgimento tecnologico".

"... La tecnologia può anche sconvolgere la società umana e il significato stesso della vita umana in numerosi modi, che vanno dalla creazione della classe inutile globale all'ascesa del colonialismo dei dati e delle dittature digitali.

"... L'automazione eliminerà milioni e milioni di posti di lavoro".

"... La rivoluzione dell'automazione ... sarà una cascata di interruzioni sempre più grandi".

"In passato, gli esseri umani hanno dovuto lottare contro lo sfruttamento. Nel 21° secolo, la vera grande lotta sarà contro l'irrilevanza. Ed è molto peggio essere irrilevanti che essere sfruttati. Coloro che falliscono nella lotta contro l'irrilevanza costituiranno una nuova classe inutile. Persone che sono inutili, non dal punto di vista dei loro amici e familiari, naturalmente, ma inutili dal punto di vista del sistema economico e politico (sic). E questa classe inutile sarà separata da un divario sempre crescente dall'élite sempre più potente".

"... L'intelligenza artificiale probabilmente creerà un'immensa ricchezza in alcuni hub high-tech, mentre altri paesi andranno in bancarotta o diventeranno colonie di dati sfruttati.

"... L'altro grande pericolo che affrontiamo è l'ascesa delle dittature digitali, che monitoreranno tutti, tutto il tempo".

"Noi umani dovremmo abituarci all'idea che non siamo più anime misteriose. Ora siamo animali hackerabili".

"Se questo potere (di hackerare gli esseri umani) cade nelle mani di uno Stalin del 21° secolo, il risultato sarà il peggior regime totalitario della storia umana".

"Se permettiamo l'emergere di tali regimi di sorveglianza totale, non pensate che i ricchi e i potenti in posti come Davos saranno al sicuro".

"... La capacità di hackerare gli esseri umani potrebbe ancora minare il significato stesso della libertà umana".

"... Gli esseri umani semplicemente non saranno in grado di comprendere le decisioni dei computer ... È probabile che gli Human perdano il controllo sulle nostre vite e perdano anche la capacità di comprendere le politiche pubbliche".

"Quale sarà il significato della vita umana quando la maggior parte delle decisioni saranno prese da algoritmi?"

"Se non riusciamo a concettualizzare il nuovo inferno abbastanza velocemente, potremmo trovarci intrappolati lì senza via d'uscita".

"... L'intelligenza artificiale e la biotecnologia ci daranno capacità divine per riprogettare la vita e persino per creare forme di vita completamente nuove".

"Il nostro design intelligente sarà la nuova forza trainante dell'evoluzione della vita. Usando i nostri nuovi poteri divini della creazione, potremmo commettere errori su scala cosmica. "

"Naturalmente questa non è una profezia. Queste sono solo possibilità. La tecnologia non è mai deterministica".

"Per fare qualcosa di efficace, abbiamo bisogno di una cooperazione globale. Tutte e tre le sfide esistenziali [guerra nucleare, collasso ecologico e sconvolgimento tecnologico] che affrontiamo sono sfide globali che richiedono soluzioni globali".

"Se permettiamo a una tale corsa agli armamenti di svilupparsi in campi come l'intelligenza artificiale e la bioingegneria, non importa davvero chi vince la corsa agli armamenti. Il perdente sarà l'umanità".

"Nel 21° secolo, anche i buoni nazionalisti devono essere globalisti".

"Se torniamo lì ora (la giungla della guerra costante), la nostra specie probabilmente si annienterà".

"Spero vivamente che possiamo contare sui leader riuniti qui, e non sui topi".

Alcune di queste cose, anche un bel po', potrebbero diventare vere.

 Stiamo già assistendo a crescenti divari tra le élite e tutti gli altri, la sorveglianza viene continuamente perfezionata e ci sono già forze potenti che cercano una dittatura, digitale o di altro tipo e sono desiderose di liberare la piazza pubblica dalle libertà tradizionali come la libertà di parola.

 Ma quella di Harari è certamente una visione distopica a cui bisogna resistere a tutti i costi.

Il modello principale del discorso di Harari è la paura che richiede il globalismo come soluzione.

Questa è la vecchia dialettica hegeliana che abbiamo visto molte volte prima, più recentemente con il virus della pandemia di Covid come paura (un'altra minaccia invisibile) e lockdown e vaccini come soluzioni.

Harari qui ammette la possibilità di errori, ma non suggerisce mai che il suo futuro prossimo tecnocratico sia tutt'altro che inevitabile.

 Le macchine prenderanno il posto di lavoro umano e la "classe inutile" crescerà. Tuttavia, ciò non è affatto inevitabile, come la Germania nazionalsocialista ha dimostrato con il suo programma di limitazione del lavoro meccanico e di promozione del lavoro manuale nella costruzione dell'autostrada, al fine di migliorare e alla fine eliminare la disoccupazione.

Il futuro tecnologico di Harari potrebbe essere il paradiso, o potrebbe essere l'inferno, e anche i "ricchi e potenti" e i "leader" di Davos potrebbero essere soggetti al paesaggio infernale.

 Più sono vicini al vertice della gerarchia globale, più saranno osservati da vicino.

 È così che ha fatto Stalin.

Anche Stalin (Dzhugashvili) aveva i suoi "consiglieri" ebrei e, come il beniamino di Davos, Harari eccellerà tra le élite tecnocratiche accanto a Klaus Schwab (il nuovo messia, ndr), che è stato anche mentore di ebrei come Henry Kissinger e Hermann Kahn, e che ha anche incitato timori di catastrofe globale.

 Schwab cita l'autore ebreo Jean-Jacques Servan-Schreiber, che ha scritto “The American Challenge, “come una grande influenza, e Harari cita l'autore ebreo Jared Diamond di Guns, “Germs and Steel” come sua influenza letteraria.

Come portavoce per instillare e normalizzare la 4a rivoluzione industriale che renderà gli esseri umani "animali hackerabili", Harari non diventerà mai inutile come molti di noi.

 I suoi folli deliri sono adorati tra le élite di potere del “WEF” come rivelazioni direttamente dalla macchina principale.

 (E tra queste élite di potere vi sono tutti i governanti globalisti occidentali, ossia gli assassini! Ndr.)

Ma tra il resto di noi umani normali, Harari deve apparire un ebreo israeliano omosessuale degenerato vegano malaticcio che detiene pericolose manie sociopatiche di grandezza distopica.

 

 

La decarbonizzazione, come si passa

dalle fonti fossili alle rinnovabili.

Enelgreenpower.com – Redazione – (10-12-2022) – ci dice:

 

Se il punto d’arrivo della transizione energetica è il passaggio alle fonti rinnovabili, il gas naturale avrà un ruolo importante nella stabilizzazione delle reti.

Mentre l’elettrificazione dei consumi ci porterà alla decarbonizzazione.

 

Pale eoliche e pannelli solari.

Si fa presto a dire addio al carbone, ma cosa intendiamo davvero per decarbonizzazione?

 La transizione energetica verso una produzione di energia più sostenibile non può risolversi nel semplice e improvviso abbandono delle fonti fossili.

Il processo, invece, deve prevedere un’eliminazione graduale e va gestito in modo da garantire la stabilità, la resilienza e l’efficienza delle reti.

Lo strumento del cambiamento è l’elettrificazione, cioè la sostituzione progressiva delle tecnologie che utilizzano combustibili fossili con tecnologie che utilizzano l’elettricità soltanto da fonti rinnovabili in tutti i settori, dalla cucina di casa, al riscaldamento, ai trasporti.

 In questo modo si abbatterà anche l’inquinamento atmosferico nelle città.

E grazie all’aiuto della digitalizzazione delle reti migliorerà nettamente l'efficienza energetica.

L’importanza della flessibilità.

Il passaggio dal fossile al rinnovabile, punto chiave nella lotta al cambiamento climatico e nella direzione della sostenibilità, rappresenta un cambio di paradigma.

Da un modello di generazione di energia del tutto programmabile, si va verso uno scenario in cui la caratteristica intrinseca è la non programmabilità.

Un percorso, quindi, che pone delle sfide tecniche e d’infrastruttura, anche perché non ci si può permettere di destabilizzare le reti, né di causare blackout o interruzioni del servizio.

Se proviamo a immaginare come dovrà essere la gestione energetica del futuro, è certo che servirà flessibilità.

Alterazioni improvvise dell’equilibrio tra domanda e offerta di energia, stress di rete e situazioni eccezionali imporranno – e già ora impongono – una gestione con impianti capaci di anticipare e tollerare le situazioni critiche, affrontandole in tempo reale e poi ritornando in condizioni di normalità.

La sfida più grande da affrontare sta nel trovare un modo di gestire le differenze quotidiane tra domanda e offerta.

Impianti eolici e fotovoltaici, infatti, generano un disallineamento tra la produzione di energia e il suo consumo, in parte prevedibile e in parte dovuto alle condizioni meteoclimatiche.

La risposta non può che orientarsi in due principali direzioni.

Anzitutto il potenziamento dei sistemi di accumulo di energia (storage) per differire l’erogazione di energia rispetto all’effettiva domanda.

E poi, in una fase temporanea, la sostituzione del carbone con altre fonti che siano sì meno inquinanti, ma anche capaci di garantire una fornitura di energia programmabile.

 In questa ottica, oggi il gas naturale rappresenta un’alternativa promettente ed efficace e un ottimo alleato della transizione energetica in atto.

Perché il gas è la migliore soluzione transitoria.

Rispetto al carbone, i vantaggi del gas naturale sono parecchi.

Quantificati dalla stessa IEA, consistono prima di tutto in un miglioramento dell’efficienza:

dal 40% dei tradizionali impianti a carbone al 50% di quelli a metano, ulteriormente migliorabile fino al 60% grazie alle tecnologie di ultima generazione.

In termini di emissioni, poi, a parità di energia elettrica generata si può ridurre la quantità di anidride carbonica prodotta fino alla metà.

Infine, meno importante per l’ambiente ma fondamentale per gli utilizzi umani, il passaggio dal carbone al gas permette una maggiore agilità in termini di utilizzo, migliorando le già citate stabilità e resilienza delle reti.

Guardando al medio periodo, se il consumo di energia si farà sempre più intermittente, il gas sembra rispondere nel modo migliore possibile alle esigenze pratiche, almeno fino a quando la combinazione di fonti rinnovabili (per la generazione) e di batterie (per l’accumulo) sarà abbastanza sviluppata da garantire performance ottimali.

Tra i vantaggi del gas c’è la possibilità di avere intensi picchi di produzione di energia.

Proprio questa peculiarità, concretizzata nei cosiddetti” peaking power plant”, è una delle caratteristiche che portano il gas naturale a fare da facilitatore per l’ingresso delle fonti rinnovabili nei mercati dell’energia.

Sopperendo alla domanda di picco, infatti, risolve il problema principale di vento e sole.

 Una prospettiva confermata dai numeri del report sull’energia 2020 elaborato da BloombergNEF, che prevede una crescita annua dell’impiego di gas dello 0,6%, in progressione costante fino al 2050.

Molto però dipenderà anche dai traguardi tecnologici raggiunti.

Basti pensare che, con l’ultima classe di turbine, si è passati da un massimo di 50 megawatt al minuto fino a quota 100.

E se con l’innovazione si punta ad alzare ulteriormente questa soglia, in parallelo si sta lavorando per ridurre ancora l’impatto ambientale, sia migliorando l’efficienza sia introducendo catalizzatori per raccogliere anidride carbonica e ossidi d’azoto, impedendone l’immissione in atmosfera.

(L’anidride carbonica Co2 è la vita delle piante sul pianeta! ndr)

 

 

 

Oms: nel 2023 Guerra ai

Non Vaccinati, definiti “Assassini”!

Conoscenzealconfine.it – (29 Dicembre 2022) - Paolo Spiga – ci dice:

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara guerra senza quartiere ai non vaccinati per il 2023 etichettandoli “assassini”.

Ai confini della realtà…

 

Ecco cosa scrive per Natural News il reporter Ethan Huff:

 “L’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha recentemente pubblicato un video sulla sua pagina Twitter, dove sostanzialmente vengono chiamate ‘assassine’ le persone non vaccinate.

La clip presenta il famigerato Dr. Peter Hotez che dichiara che ‘l’attivismo anti-vaccino ’ è una vera e propria ‘aggressione anti-scienza’.

 Hotez afferma anche che coloro i quali rifiutano specificamente i vaccini covid sono quasi sicuramente politicamente di ‘estrema destra’.

 Hotez ha poi classificato i non vaccinati come ‘una delle principali forze omicide a livello globale’”.

Davvero difficile mettere insieme un simile ammasso di idiozie in poche righe… Eppure l’OMS – che in teoria dovrebbe tutelare la salute di tutti i cittadini del mondo – in questi quasi tre anni di pandemia sta rivelando il suo vero volto.

Ne abbiamo fornito, negli ultimi mesi, un paio di lampanti esempi.

In primo luogo la ‘missione’ inviata a Wuhan per ‘scoprire’ le origini del virus.

Una missione chiaramente taroccata, la quale non poteva che rivelarsi un flop organizzato ‘scientificamente’.

Il rappresentante statunitense all’interno della task force, infatti, era Peter Daszak, un più che controverso ricercatore legato a filo doppio con il Super Virologo a stelle e strisce Anthony Fauci, andato finalmente in pensione a 81 anni suonati, dopo aver affiancato ben 7 presidenti Usa e appena dopo aver testimoniato per ben 7 ore davanti al Procuratore Generale della Louisiana, Jeffry Landry, per l’affaire covid.

Attraverso la società-paravento di Daszak, la ‘EcoHealth Alliance’, sono infatti transitati i pingui finanziamenti erogati dal NIAID (guidato a vita da Fauci) ai famigerati laboratori di Wuhan per svolgere le ricerche più che border line sul ‘gain of function’ (guadagno di funzione), che è all’origine della trasmissione del virus dall’animale (il pipistrello) all’uomo (bah… questa però è un’altra bella panzana anche lei, visto che il famigerato farlocco virus, se esiste veramente, ha sempre avuto la letalità di un normale virus influenzale.

 Anche questo quindi sarebbe fumo negli occhi per far credere che comunque il virus esiste ed è pericoloso… Ad uccidere le persone sono stati i cosiddetti “protocolli covid” di Speranza and Co. – tachipirina e vigile attesa – e ciò che combinano, tuttora, con altrettanti “protocolli” nei vari ospedali, corrotti e complici del colpo di stato mondiale covid – (nota di conoscenze al confine).

Davanti al procuratore generale Landry, in mezzo ad una sfilza di “non so” e “non ricordo”, Fauci ha infilato anche una bella menzogna, affermando di non aver mai conosciuto in vita sua Daszak!

Una bugia alta come le Twin Towers!

Ovvio, quindi, il ‘fallimento pilotato’ della missione OMS a Wuhan: poteva mai Daszak permettere che saltasse fuori la verità sui fondi dirottati dall’amico e sodale Fauci a Wuhan?

Altra chicca sull’OMS: Pochi sanno (la ‘Voce’ comunque lo ha ribadito diverse volte) che l’OMS nasce originariamente per impulso di tanti stati del mondo, che la finanziano.

Da una quindicina d’anni a questa parte sono entrati nella partita anche i privati: e, guarda caso, soprattutto le case farmaceutiche, le star di Big Pharma, in palese, clamoroso conflitto d’interesse.

Ma sapete chi è, oggi, il primo finanziatore privato, secondo in graduatoria assoluta, solo alle spalle degli Stati Uniti e ben prima di nazioni da non poco, come Francia e Germania?

 Bill Gates, o meglio la ‘Bill & Melinda Gates Foundation’.

Nell’ultimo decennio, infatti, come ben sappiamo, il miliardario-filantropo ha deciso di darsi anima e corpo ai vaccini e ai cambiamenti climatici.

 E preconizzò, addirittura, che quello 2010-2020 sarebbe stato “il decennio delle pandemie”.

Super spalleggiato, Gates, dal ‘World Economic Forum’ guidato dal banchiere tedesco di simpatie nazi Klaus Schwab (che ha elaborato il ‘Great Reset’ per il nostro futuro).

Capito, allora, in quali “mani” è finita l’Organizzazione Mondiale della Sanità?

(Paolo Spiga - imolaoggi.it)

(lavocedellevoci.it/2022/12/26/organizzazione-mondiale-sanita-guerra-nel-2023-ai-non-vaccinati-definiti-assassini/)

 

 

 

Siore e Siori… è Arrivato l’Arrotino!

Conoscenzealconfine.it – (28 Dicembre 2022) - Giuseppe Masala – ci dice:

 

La Banca d’Italia ha divulgato il saldo delle partite correnti fino ad Ottobre 2022. I dati, inutile dirlo, sono tragici…

(Il saldo delle partite correnti misura – al netto dei cosiddetti effetti di valutazione – la variazione della posizione netta di un’economia nei confronti del resto del mondo.

Un saldo positivo si associa quindi a un maggiore credito (minore debito) netto verso il resto del mondo.)

Passiamo da +67,9 miliardi di euro dei dodici mesi fino ad Ottobre 2021 ai – 11,6 mld di euro dei dodici mesi che ci portano ad Ottobre 2022.

Dati come si può capire disastrosi, per il momento legati alla devastazione dovuta alle folli sanzioni alla Russia (e alle altrettanto folli scelte “di mercato” fatte dalla UE nel corso degli anni in relazione all’energia).

 Per il momento i “Redditi Primari” reggono, questo perché affluiscono capitali sotto forma di interessi avendo una posizione finanziaria netta (NIIP) per il momento positiva.

Già… per il momento positiva: intanto il segno meno sul saldo totale di questo mese, attesta inoppugnabilmente che l’erosione del tesoretto del NIIP è iniziata, e si fa in fretta… in un ambiente economico devastato e imprevedibile come quello attuale (fase di rialzo dei tassi, inflazione alle stelle e come se non bastasse la guerra).

Ecco, Monti ci ha insegnato bene come si fanno le correzioni dei conti con l’estero: si demolisce la domanda interna con tagli di tutti i tipi ed aumenti delle imposte così da evitare che la gente spenda e importi dall’estero.

 A quel punto è chiaro che la Bilancia Commerciale si riequilibria, in un ambiente sociale “spartano” per usare un eufemismo.

Il problema è che non sappiamo (almeno, io non so) se l’Italia è in grado di reggere socialmente e politicamente una nuova “Cura Monti” peraltro in una situazione molto ma molto più deteriorata.

Senza contare che “Cura Monti” significa comunque peggioramento assoluto dei conti dello stato (che non sono i conti con l’estero, sebbene i giornalai facciano confusione) in una situazione anche qui deteriorata.

 Insomma, siamo messi male.

È arrivato l’Arrotino…

(Giuseppe Masala - lantidiplomatico.it/dettnews-gli_ultimi_tragici_dati_della_banca_ditalia_siori_siori__arrivato_larrotino/29296_48256/)

 

 

 

«La decarbonizzazione è cruciale,

impianti fotovoltaici nelle cave dismesse».

 

Ilpiacenza.it – Claudio Bassanetti – (13 ottobre 2021) – ci dice:

Confindustria Piacenza e Anepla intervengono sulla delibera della Regione per la promozione della realizzazione di impianti fotovoltaici in aree di cava dismesse.

Il tema della decarbonizzazione si è imposto con drammatica evidenza ed urgenza in questi ultimi anni ed è oggi al centro dell’agenda politica di tutte le istituzioni e sta diventando anche il faro guida dei processi di innovazione tecnologica ed investimento delle imprese.

 Il tema della sostituzione dell’energia prodotta da combustibili fossili con energie da fonti rinnovabili è comprensibilmente cruciale in ogni strategia di decarbonizzazione ed il nostro Paese in particolare ha scelto di puntare prevalentemente sulla tecnologia del fotovoltaico.

 «Il recente Decreto Legislativo “semplificazioni” – intervengono Confindustria e Anepla - ha poi individuato come aree vocate alla realizzazione di impianti fotovoltaici le aree marginali, come le discariche e le cave, al punto da ammettere per quest’ ultime al beneficio degli incentivi, laddove previsti, ancorché classificate come aree agricole.

Particolarmente apprezzato risulta quindi l’impegno di Emilia-Romagna che, prima tra le Regioni italiane, promuove concretamente, con una disciplina di dettaglio, l’installazione di impianti fotovoltaici in cava, semplificando le procedure ma al tempo stesso definendo con precisione limiti e condizioni necessarie.

Una particolare attenzione è infatti dedicata alla necessaria coerenza urbanistica e di destinazione finale delle aree, con la preclusione ad esempio della possibilità di realizzare impianti nelle aree di pregio ambientale (rete Natura 2000) o destinate a recupero ambientale, ed alla salvaguardia dei valori naturalistici dell’area. Il provvedimento di Emilia Romagna prevede innanzitutto le condizioni di facilitazione per l’installazione in aree di cava di impianti “agri-fotovoltaici”, ovvero di impianti che possono permettere di coniugare le esigenze della produzione di energia rinnovabile con il mantenimento di un’attività agricola.

 Il provvedimento prevede inoltre l’ipotesi di impianti “galleggianti”, ovvero di impianti destinati ad occupare una porzione dello specchio d’ acqua che residua al termine di un’attività estrattiva sotto falda, che con le opportune limitazioni e cautele è ben compatibile con il mantenimento dei valori di naturalità dell’area».

Il provvedimento di Regione Emilia-Romagna è particolarmente apprezzato dal mondo imprenditoriale perché sostiene i molti sforzi che le imprese emiliane e quelle legate all’esercizio dell’attività estrattiva in particolare, stanno facendo per dare il proprio contributo alla realizzazione degli ambiziosi obiettivi che il nostro Paese si è dato in materia di decarbonizzazione.

 «Attraverso la nuova legislazione regionale – commenta il presidente di Confindustria Piacenza Francesco Rolleri – si apre una nuova fase in cui le aziende avranno strumenti efficaci per produrre energia da fonti rinnovabili.

Sarà, quindi, più agevole progettare interventi green e ciò si ripercuoterà non solo sull’ambiente, ma anche sulla competitività del territorio.

Piacenza, in tal senso, ha già alcune idee nel cassetto e presto potremo iniziare a dar corso alla loro progettazione.

 Il nostro obiettivo è la realizzazione di un modello in cui sarà possibile abbattere i costi della bolletta energetica attraverso la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili con il plus di consumare direttamente in loco l’energia autoprodotta.

In tal modo la nostra economia potrà fare un ulteriore passo nella direzione della sostenibilità indicata nel “green new deal”».

 

Il presidente di Anepla, Claudio Bassanetti, nell’ esprimere il proprio plauso all’iniziativa di Regione Emilia Romagna, evidenzia invece che «Il mondo delle cave in particolare da tempo ha intrapreso un percorso di aggiornamento di tecnologia e strategie per rispondere alla complessità delle sfide del futuro, dall’economia circolare alla responsabilità sociale di impresa, e molto sta investendo anche nel campo delle energie rinnovabili.

Ne sono riprova i molti progetti attualmente incorso di perfezionamento, complessivamente per diverse centinaia di Megawatt, e l’importante evento che si è tenuto di recente a Milano, in cava, (Cav EXpotech Gaggiano – cave Merlini) per mettere a confronto il mondo delle principali imprese italiane ed estere nel campo delle tecnologie ed installazioni fotovoltaiche e le principali imprese del Nord Italia».  

 

 

 

Riscaldamento e raffrescamento:

come de carbonizzare il settore?

Qualeenergia.it - Riccardo Battisti – (9 novembre 2022) – ci dice:

 

Politiche, incentivi, ricerca ed esempi applicativi: nella tavola rotonda del 27 ottobre, tanti sono stati i temi sviscerati per analizzare le vie di decarbonizzazione del settore del riscaldamento e raffrescamento.

Come il settore del riscaldamento e raffrescamento può e deve contribuire alla decarbonizzazione dell’energia in Italia?

Per rispondere a questa domanda, la “Renewable Heating & Cooling European Technology Platform”, con un supporto specifico dell’associazione europea del solare termico, “Solar Heat Europe”, ha organizzato, il 27 ottobre, una tavola rotonda nazionale che ha visto la partecipazione di quasi 70 attori del settore.

Il webinar, che ha avuto come media partner Qualenergia.it e AIRU, l’Associazione Italiana Riscaldamento Urbano, ha toccato molti dei temi più caldi, come il quadro politico generale, la disponibilità di incentivi, alcuni filoni di ricerca e, infine, esempi applicativi.

Comunità energetiche… al caldo.

La tavola rotonda si è aperta con due interventi introduttivi, il primo dei quali è stato assegnato a Gianni Girotto, già Presidente della X Commissione del Senato e noto nel settore soprattutto per avere dato la paternità alla prima normativa sulle comunità energetiche rinnovabili.

Un aspetto molto interessante sottolineato da Girotto è che l’attuale legislazione, sebbene non nomini esplicitamente questo aspetto, consente alle comunità energetiche di produrre e condividere non solo energia elettrica ma anche calore.

Su questo tema, tra l’altro, proprio a ottobre 2022 è partito il nuovo progetto europeo “Connect Heat”, finanziato nell’ambito del programma “LIFE – Clean Energy Transition” che mira a sviluppare 7 casi pilota di comunità energetiche termiche, uno dei quali in Italia, nella regione del Friuli-Venezia Giulia.

In chiusura del suo discorso, poi, Girotto ha sottolineato la centralità della ricerca citando i casi delle pompe di calore a elevata temperatura, per produrre sia caldo sia freddo, e quello degli accumuli termici di grande dimensione che impiegano sabbia o rocce come mezzo di stoccaggio.

Un ritardo irresponsabile.

“Siamo in netto ritardo. Siamo in un pericolosissimo, critico e irresponsabile ritardo nel processo di decarbonizzazione”: l’affermazione di Livio De Santoli, che è intervenuto subito Girotto, non lascia spazio ad ambiguità.

Le tecnologie pulite, sia nel campo elettrico sia in quello termico, ci sono e funzionano, anche se a volte è ancora necessario sfatare falsi miti, “fake news” ancora associati alle energie rinnovabili e, purtroppo, duri a morire.

Un esempio lampante è quello della intermittenza di queste fonti energetiche, un problema ormai in gran parte risolto grazie ad accumuli, sia elettrici che termici, in grado di coprire anche diversi giorni di fabbisogno energetico.

Tra le scelte strategiche verso la decarbonizzazione, De Santoli ha indicato un forte e deciso potenziamento del teleriscaldamento, anche in connessione con le comunità energetiche già citate da Girotto.

Un ottimo incentivo per le rinnovabili termiche.

Alessandro Pellini del GSE, poi, ha sottolineato come le rinnovabili abbiano coperto, negli ultimi anni, una percentuale tra il 19 e il 20% dei consumi finali lordi nel settore termico, valore più elevato rispetto alle previsioni del Piano d’Azione Nazionale per le energie rinnovabili (PAN) redatto nel 2010 in attuazione della Direttiva 2009 28 /CE testimoniando, così, come anche in quella sede il contributo del settore del calore sia stato ancora una volta sottostimato.

Il focus sul Conto Termico, inoltre, ha evidenziato come, tra il 2013 e il 2021, degli oltre 1 miliardo di euro di risorse riconosciute per la produzione di energia termica tramite il meccanismo, circa 600 milioni di euro hanno riguardato i generatori a biomasse (oltre 270mila interventi), oltre 270 milioni di euro gli impianti solari termici (125mila interventi) e circa 180 milioni di euro le pompe di calore (oltre 57mila interventi).

Andando nel dettaglio in merito al solare termico, l’83% della superficie solare lorda installata in Italia è destinata alla produzione della sola acqua calda sanitaria, mentre il 14% integra anche un impianto di climatizzazione invernale.

Il 96% degli impianti supportati dal Conto Termico, in termini di superficie, afferisce al settore residenziale, il 3% al settore commerciale e solo l’1% circa all’industria, lasciando così ancora aperto un enorme potenziale agli impianti solari di media e grande taglia.

Acqua calda e come stoccarla.

Proprio focalizzandosi sulla produzione di acqua calda sanitaria tramite solare termico, Francesca Margiotta dell’ENEA, nel successivo intervento, ha mostrato i risultati di una ricerca che consente un corretto dimensionamento dell’impianto rispetto ai consumi e in dipendenza dalla località di installazione.

Si tratta di informazioni preziose per non sovradimensionare l’impianto evitando, così, di sprecare energia e scongiurando il rischio di stagnazione, soprattutto nella stagione estiva.

Sempre in tema di ricerca, Giuseppe Mandrogne dell’Università di Torino, ha presentato i principali risultati di uno studio, condotto per conto di AIRU, sugli accumuli termici sotterranei di grande dimensione.

Al di là delle numerose soluzioni possibili per questi stoccaggi, che possono operare anche su base stagionale, il relatore ha sottolineato la complessità delle attuali normative in termini autorizzativi, legata anche all’assenza di casi di riferimento.

 

Una nota positiva, però, viene proprio dallo stesso studio, nell’ambito del quale Mandrogne ha trasferito informazioni tecniche ad alcuni funzionari pubblici che, grazie a questi chiarimenti, hanno cambiato il loro atteggiamento iniziale verificando che queste soluzioni non presentano particolari criticità.

Il teleriscaldamento: una soluzione moderna e flessibile.

La giusta miscela di efficienza e fonti rinnovabili e una forte tendenza al “sector coupling” per gestire gli eccessi di rinnovabili elettriche, ad esempio mediante pompe di calore e boiler elettrici:

questo è il quadro di un teleriscaldamento moderno, flessibile e resiliente presentato dal Presidente di AIRU, Lorenzo Spadoni, nel suo intervento.

Ancora tanto, però, resta da fare: il teleriscaldamento resta troppe volte escluso da sistemi di supporto e incentivazione e ciò non permette di combattere ad armi pari con altre soluzioni tecnologiche.

 Per citare solo un paio di esempi, che hanno un notevole impatto sul mercato, l’esclusione dal Superbonus e l’assenza di un’adeguata agevolazione sull’IVA.

Sono 300 i collettori solari termici piani sottovuoto in grado di generare temperature anche di 175 °C nel periodo estivo:

è il caso dell’impianto presentato da Guglielmo Cioni di TVP Solar, davvero esemplare di cosa può fare questa tecnologia.

Si tratta di un sistema a servizio dello stabilimento della Martini & Rossi, sito nelle vicinanze della città di Torino, utilizzato per produrre vapore a 3,7 bar nella stagione estiva e, in inverno, per generare acqua calda a 90 °C destinata al riscaldamento degli ambienti.

A ulteriore testimonianza di come il solare termico vada ben oltre la semplice generazione di acqua calda, il progettista Giordano Contin ha presentato il nuovo impianto di teleriscaldamento solare, ora in fase di collaudo, connesso alla rete di Verona.

Più di 2.000 m2 di collettori a tubi sottovuoto sono stati inseriti su tre delle scarpate presenti nella centrale termica: consentiranno alla utility locale di proseguire il percorso verso un teleriscaldamento efficiente e rinnovabile.

 

 

 

 

Decarbonizzazione:

i benefici che comporta.

Otovo.it - Camilla Antonioni – (10-8-2022) – ci dice:

 

 Un articolo Otovo sul Global turning point report 2022 di Deloitte.

Il sistema produttivo attuale europeo: i rischi.

La svolta sostenibile: i cosiddetti “turning point”

Come usare con consapevolezza le risorse.

Bisogna agire adesso.

Decarbonizzazione è un concetto che sta diventando sempre più comune.

 La decarbonizzazione del sistema produttivo mondiale potrà impattare positivamente sull'economia globale entro il 2070, con una previsione di crescita di 43 mila miliardi di dollari.

 Tuttavia, nello stesso arco temporale si potrebbero perdere fino a 178 mila miliardi di dollari qualora non si investisse in azioni climatiche.

 Queste sono le previsioni del recente Global Turning Point Report del 2022 di Deloitte presentato al “World economic forum” di Davos di Klaus Schwab.

A questo punto ci si dovrebbe chiedere quanto è conveniente continuare a investire sulle fonti fossili.

In questo articolo ti spiegheremo quali sono i benefici climatici ed economici della decarbonizzazione, elemento fondamentale per rispettare gli obiettivi di sostenibilità dettati dall’Agenda 2030 e contrastare il surriscaldamento globale.

Il sistema produttivo attuale europeo: i rischi.

Ma qual è la condizione del sistema produttivo in Europa?

Gli stati europei intendono arrivare al 2030 con una capacità di 40Gw e con un contributo al mix energetico del 14% per il 2050.

Attualmente però, se le istituzioni, i governi, la società civile, le imprese e i singoli cittadini non dovessero collaborare all’attuazione di politiche di mitigazione e contrasto degli effetti del climate change, i risultati saranno catastrofici - ricorda il report.

 Le conseguenze riguarderanno, oltre che un aspetto economico di crisi, anche la perdita di terreni e raccolti dovuta all’innalzamento del livello dei mari, una mancata produttività legata al caldo estremo e un aumento delle malattie.

(È sorprendente che Klaus Schwab - un costruttore di bombe atomiche illegali in Sud Africa - si interessi così tanto al “climate chance”. Ndr)

L'impatto economico associato al cambiamento climatico.

La perdita media annua del pil ammonterebbe al 7,6% anche se, stima Deloitte, i dati non sarebbero ugualmente distribuiti all’interno delle diverse aree geografiche.

 Chi subirà i danni maggiori, infatti, sarà l’economia dell’Asia-Pacifico, equivalenti a una perdita cumulativa di 96 mila miliardi di dollari entro i prossimi 50 anni.

La svolta sostenibile: i cosiddetti “tuning point”.

Ma per fortuna c’è una strada sostenibile da percorrere per contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5° C come previsto dall’Accordo di Parigi sul clima - e ripreso dall’Agenda 2030 e ribadito dal Cop26 di Glasgow.

Il rapporto di Deloitte individua quattro punti chiave per raggiungere i cosiddetti “tuning point”, ovvero il sorpasso dei benefici (economici, ambientali e sociali) sui costi nel percorso globale di transizione ecologica.

I quattro punti chiave sono i seguenti:

Aumentare gli investimenti pubblici e privati a favore della transizione ecologica e di un comparto economico e produttivo a basse emissioni;

Implementare una collaborazione tra settore pubblico e privato e la stipula di politiche capaci di guidare il cambiamento;

Promuovere all’interno dei sistemi economici e sociali locali una green economy in grado di crescere a tassi maggiori rispetto all’equivalente a impronta fossile;

Impegnarsi a gestire i “tuning point”, ossia il momento in cui i benefici della transizione verso la carbon neutrality superano i corrispondenti costi e si imbocca la strada della crescita positiva.

Come usare con consapevolezza le risorse.

Cultura, finanza e tecnologia sono le componenti alla base della rivoluzione green. Secondo il report di Deloitte sarà necessario un cambiamento comportamentale da parte dei cittadini e delle istituzioni, e la creazione di una cultura dell’uso consapevole e razionale dell’energia e delle fonti rinnovabili.

 Il risultato? Una sensibilizzazione verso il pianeta per implementare la crescita degli investimenti responsabili in iniziative sostenibili

Un altro aspetto fondamentale è l’adozione di tecnologie innovative e a ridotto impatto ambientale.

A questo binomio si aggiunge anche la finanza sostenibile a sostegno di iniziative green e indispensabile per la creazione di nuove opportunità di crescita e sviluppo.

Punit Renjen, CEO di Deloitte Global, si è espresso così a riguardo:

“L’economia è dalla parte di un futuro a basse emissioni. Se i governi, le industrie e i mercati finanziari continueranno a riallocare il capitale nella decarbonizzazione, il mondo potrà accelerare verso le emissioni nette zero e sbloccare le opportunità economiche che ne derivano”.

Bisogna agire adesso.

Ogni stato dovrà impegnarsi per raggiungere l’obiettivo comune di emissioni nette zero e contrastare definitivamente la carbon footprint.

 Ovviamente, ogni percorso sarà a sé stante alla luce della specifica struttura economica e all’intensità di carbonio (indice che rispecchia l’efficienza di un sistema produttivo di beni e servizi), all’esposizione ai danni climatici, agli accordi istituzionali e ai propri punti di forza e capacità economiche.

In ogni caso, a prescindere dalla zona geografica, per ogni angolo del pianeta il momento di agire è adesso.

 

Il fotovoltaico può contribuire alla decarbonizzazione.

L’energia del sole è un’energia pulita che fa bene all’ambiente; è una fonte rinnovabile gratuita e inesauribile e, soprattutto, non produce emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Se deciderai di installare un impianto fotovoltaico sul tuo tetto potrai contribuire ai processi di decarbonizzazione e aiuterai a salvaguardare il pianeta (oltre che il tuo portafoglio).

Noi di Otovo ci impegniamo quotidianamente nel rispetto del nostro ecosistema, non a caso la nostra missione è installare un impianto fotovoltaico sul tetto di tutti gli italiani!

 

 

 

La Germania torna al Carbone:

la Sicurezza Energetica

supera gli Obiettivi Climatici.

Conoscenzealconfine.it – (30 Dicembre 2022) – Bloomberg – ci dice:

La Germania è pronta ad aumentare la sua dipendenza dal carbone mentre combatte una crisi energetica senza precedenti, anche a scapito dei suoi ambiziosi obiettivi climatici.

Come mostrano i dati raccolti da Bloomberg, la più grande economia europea sta bruciando il combustibile fossile per l’elettricità, al ritmo più veloce in almeno sei anni.

 È anche pronta ad essere una delle poche nazioni ad aumentare le importazioni di carbone il prossimo anno.

In tutto il mondo il carbone, altamente inquinante e relativamente economico, sta tornando in auge, mentre i paesi cercano di impedire che l’aumento dei costi energetici inneschi un tracollo economico.

In Europa, la crisi è acuta, dopo che la Russia ha ridotto le forniture di gas naturale a seguito della guerra in Ucraina.

 La Germania sta ora cercando di bilanciare la priorità a breve termine di rafforzare la sicurezza energetica con l’obiettivo a lungo termine di “zero emissioni” nette.

“Tutti mantengono i propri obiettivi climatici, ma è vero che quando si affronta il dilemma se tenere le luci accese o ridurre le emissioni di carbonio, la scelta è tenerle accese”, ha dichiarato Carlos Fernandez Alvarez, capo ad interim del settore gas, carbone e potere presso l’Agenzia Internazionale dell’Energia.

(Ma quando la metteranno i governanti globalisti dei paesi occidentali a dare retta ad un pazzo come Klaus Schwab e ad un distopico come Harari? Ndr)

Bloomberg- (bloomberg.com/news/articles/2022-12-22/germany-returns-to-coal-as-energy-security-trumps-climate-goals)

(t.me/bordernights)

 

 

 

L'America è passata dalla promozione

dell'autodeterminazione alla promozione

dell'auto-sterminio nel mondo.

Unz.com - JUNG-FREUD – (28 DICEMBRE 2022) – ci dice:

 

Perché? Perché il potere negli Stati Uniti è passato dal dominio anglo-americano al dominio ebraico-americano.

I goyim sono capaci di avere i propri dei?

Cristianesimo. Originato da ebrei.

Comunismo. Originato da ebrei.

Olocausto. Originato da ebrei.

 

Ovunque si girino i goyim, si tratta di affidarsi agli ebrei per il potere profetico.

Tuttavia, il controllo ebraico diretto è peggio dell'autocontrollo con idee di derivazione ebraica.

 Dopotutto, nonostante la sua origine, i goyim hanno modellato il cristianesimo a modo loro.

 Lo stesso vale per il comunismo.

 Anche se i marxisti chiave erano ebrei, divenne più grande del potere ebraico.

 Ma allora, sia il cristianesimo che il marxismo sono stati concepiti per essere universalisti nonostante le loro origini etnico-ebraiche.

In questo, erano diversi dal giudaismo.

L'Olocausto è una creatura ibrida. È allo stesso tempo totalmente tribalista – "Noi ebrei abbiamo sofferto più di ogni altro popolo" e "Noi ebrei non dobbiamo mai dimenticare" – e totalmente universalista – "Tutto il mondo deve riconoscere che gli ebrei hanno sofferto di più" e "Tutto il mondo deve pentirsi per non aver impedito l'Olocausto".

Se l'ebraismo è ebraico-centrico, l'Olocausto è giudeo-centrico.

L'ebraismo è indifferenza per i goyim, mentre l'Olocausto è deferenza verso gli ebrei.

L'ebraismo riguarda gli ebrei che ricordano a sé stessi ciò che sono; L'Olocausto riguarda gli ebrei che ricordano ai “goyim” ciò che devono essere: servi e cani ai padroni ebrei come i nuovi cristi.

Anche se i goyim bianchi hanno a lungo fatto affidamento su idee di origine ebraica, c'è un'enorme differenza tra appropriarsi di modi e idee straniere e soccombere alla diretta dominazione straniera.

 Dopo tutto, i goyim bianchi hanno trovato il modo di usare il cristianesimo contro il potere ebraico.

E molti popoli hanno usato il comunismo come strumento di indipendenza nazionale contro l'imperialismo straniero.

 Gli ebrei non sono estranei all'adozione di idee e modi stranieri.

Gli ebrei hanno adottato molte idee goy da varie tribù semitiche non ebraiche, egiziani, greci, romani, nordeuropei e così via.

 Ma gli ebrei usavano queste idee a modo loro per la loro auto-esaltazione.

Gli ebrei hanno reso lo straniero "ebreo".

Poiché il cristianesimo e il comunismo erano progettati per essere universalisti al centro, i goyim potevano usarli a modo loro, non ultimo contro gli ebrei.

I cristiani potevano considerare gli ebrei come assassini di Cristo.

 I comunisti potevano denunciare gli ebrei come capitalisti o sionisti.

Ma il vantaggio per i goyim è impossibile con l'Olocausto poiché il suo tema centrale è la santità ebraica e la complicità goy nell'omicidio degli ebrei come razza divina.

Non c'è da meravigliarsi che gli ebrei spingano l'Olocausto come dio supremo in tutto il mondo.

Non c'è da stupirsi che il film sull'Olocausto sia diventato un genere.

Dato come i film modellano il senso della storia e della moralità delle persone, molte persone sono ora introdotte alle storie di varie nazioni europee attraverso le narrazioni dell'Olocausto: i francesi collaborarono con i nazisti, gli ungheresi si unirono ai nazisti, i polacchi non fecero abbastanza per salvare gli ebrei, ecc.

L'acquisizione ebraica degli Stati Uniti è stato il più grande evento degli ultimi 50 anni, anzi più grande della fine della Guerra Fredda e della caduta dell'URSS.

L'impero americano passò dal dominio anglo-americano al dominio ebraico-globalista.

Questa è una delle più grandi rivoluzioni nella storia del mondo, ma è stata silenziosamente portata a termine, come l'eutanasia, e così pochi se ne sono accorti.

E mentre le figure bianche sono puntellate come marionette, molti credono ancora che gli Stati Uniti siano governati da bianchi, persino caratterizzati dal "suprematismo bianco".

Ma i leader bianchi oggi non sono molto diversi da Puyi, l'imperatore fantoccio della Manciuria i cui fili sono stati tirati dai giapponesi.

 Il potere bianco è nella fase dell'"ultimo imperatore" negli Stati Uniti, a meno che i bianchi non inizino a produrre i propri Sun Yat-Sen e Mao Zedong.

I politici bianchi oggi potrebbero anche essere chiamati "puyis".

Una metafora adatta per l'attuale gruppo di marionette bianche e le loro uova eunuche.

Ma le cose sono peggiorate molto perché gli Stati Uniti sono la metropoli di tutto il mondo.

Goy cuckery non è limitato ai bianchi in Occidente.

Quando l'Anglo-America governava, nonostante tutte le sue bugie e tradimenti, il tema politico principale era l'autodeterminazione.

Anche le prime incursioni imperialiste americane all'estero contro l'impero spagnolo si basavano sull'idea di liberare i popoli dall'egemonia imperialista: americani amanti della libertà che liberavano i cubani e i filippini dalla tirannia spagnola.

Naturalmente, gli Stati Uniti avevano i loro disegni imperiali (resi più appetibili con i loro ideali "democratici" e la generosità materiale).

Con Woodrow Wilson dopo la prima guerra mondiale, l'ideale americano di autodeterminazione divenne coniato per tutto il mondo.

 In un certo senso, aveva senso quando gli Stati Uniti sono nati combattendo per l'indipendenza dall'impero britannico.

Per i primi cento anni della sua esistenza, il tema principale dell'America era quello di svilupparsi indipendentemente dall'interferenza e dall'ingerenza straniera.

Doveva determinare la propria storia e il proprio destino.

 Eppure, gli Stati Uniti avevano anche ambizioni imperiali (ironicamente modellate sull'imperialismo britannico, anche se meno l'aperta arroganza razziale e lo snobismo di classe).

Quindi, l'ideale dell'autodeterminazione era un'arma a doppio taglio.

Era un ideale per tutto il mondo ispirato dal corso indipendente di sviluppo dell'America, ma era anche una logica per invadere e immischiarsi in altre parti del mondo: Impero della libertà contro Impero della tirannia.

 Gli Stati Uniti hanno usato la retorica contro gli imperialismi europeo e giapponese e poi contro l'imperialismo sovietico.

Tuttavia, l'ideale dell'autodeterminazione sotto il dominio anglo-americano significava che gli Stati Uniti riconoscevano il diritto di ogni nazione di preservare i propri confini, il patrimonio, la cultura, il popolo e la storia.

Gli Stati Uniti sotto il dominio anglo-americano non hanno chiesto che l'Europa si fondesse con il Medio Oriente e l'Africa.

Gli Stati Uniti sotto il dominio anglo-americano non hanno detto che il Giappone dovrebbe accogliere la "diversità".

Dopo la seconda guerra mondiale, la Germania aveva ancora la cittadinanza basata sul sangue e l'anglo-America non si opponeva.

Le cose cominciarono a cambiare drasticamente all'”American Way” quando il potere ebraico prese il sopravvento.

 Gli ebrei non solo presero il controllo delle istituzioni e delle industrie chiave, ma colonizzarono le menti più deboli dei bianchi che divennero cucky-wucky ai pregiudizi e alle richieste ebraiche.

Così, la via americana è passata dal principio di autodeterminazione alla prognosi dell'auto-sterminio.

E poiché gli Stati Uniti stabiliscono il modello per il mondo, qualsiasi popolo / cultura che rientra sotto gli ombrelli neo-americanisti (o giudeo-americanisti) finisce follemente per adottare l'auto-sterminio come panacea e salvezza.

Ora, perché l'auto-sterminio è uno strumento così efficace per il potere ebraico?

 A causa dell'elemento del "sé".

È più facile provocare il suicidio o l'eutanasia che l'omicidio/omicidio.

Qualunque cosa si pensi del suicidio o dell'eutanasia assistita, si tratta del proprio libero arbitrio.

Non è forzato sulla persona. Al contrario, l'omicidio riguarda l'uso della forza per distruggere una vita.

Anche una persona suicida resisterà all'omicidio.

Anche nella sua depressione, non vuole essere assassinato e combatterà contro un assassino.

 Anche se vuole morire, è per sua libera volontà, per sua decisione.

Il Maestro Razzismo Ebreo ha compreso questo aspetto della psicologia politica.

 Il vecchio imperialismo era come un assalto o un omicidio.

Una potenza straniera con superiorità nelle armi e nella tecnologia ha invaso e ucciso molte persone.

Ha mantenuto l'ordine attraverso la minaccia di violenza spietata: "Se disobbedite e resistete alla nostra autorità, spazzeremo via tutti voi".

O forse gli imperialisti uccideranno il vostro popolo solo per il gusto di farlo.

 Per divertirsi. Quindi, naturalmente, i nativi hanno resistito a questo tipo di imperialismo.

 La resistenza riguardava l'autodifesa e l'autodeterminazione.

 (A dire il vero, era più complicato, specialmente con l'imperialismo occidentale, poiché il potere invasore o colonizzatore poteva portare molti benefici che rendevano la vita più facile e persino aumentavano la popolazione nativa.

Tuttavia, il vecchio imperialismo significava dominio brutale da parte di potenze straniere e mancanza di sovranità nativa.)

In generale, se le forze d'invasione / imperialiste cercano di sterminare i popoli nativi (o almeno porre fine all'indipendenza e alla sovranità dei nativi), incontreranno una resistenza alimentata dalla paura, dal risentimento e dall'odio.

Ed è per questo che il vecchio imperialismo è finito in tutte le parti del mondo. C'era troppa ostilità e resistenza ad esso.

Quindi, come si fa a prendere il sopravvento sugli altri popoli?

 Come si fa a sterminarli come popolo o, per lo meno, a porre fine alla loro indipendenza e sovranità nazionale?

 Spingete per l'AUTO-sterminio o almeno l'AUTO-terminazione.

 Dal momento che i nativi resisteranno e combatteranno contro l'invasione militare e le dimostrazioni di forza esteriori, devono essere mentalmente colonizzati e manipolati per adottare idee e valori che portano alla scomparsa nazionale, alla cessazione della sovranità e persino allo sterminio della razza.

Ma il problema è che i nativi accetteranno tale destino perché credono che sia una questione di decisione fatta da sé, cioè le potenze straniere non l'hanno imposta su di loro, ma l'hanno liberamente scelta da soli.

Ma lo hanno fatto davvero?

 Potrebbe essere che le loro élite siano state addestrate da bianchi suicidi che erano caduti sotto l'incantesimo del potere ebraico?

Gli ebrei esortano i bianchi a commettere suicidi razziali-nazionali (e a bere il Kool-Aid come i kook del Jim Jones Cult Ranch), e i bianchi fanno proselitismo sulla loro auto-estinzione come modello per il resto del mondo goy.

Ma né i bianchi né gli altri goyim rimangono all'oscuro di ciò che sta realmente accadendo.

Pensano che vada bene e bene dal momento che stanno SCEGLIENDO LIBERAMENTE un tale percorso come non solo politicamente ed economicamente conveniente, ma moralmente necessario.

 La codifica "svegliata" incorporata nelle loro menti li convince che sono liberi popoli "democratici" che prendono le proprie decisioni e scelgono il proprio destino quando, in verità, sono sotto l'incantesimo degli egemonisti ebrei che cercano di sovvertire, indebolire e minare qualsiasi dominio Goy in modo che gli ebrei possano ottenere un maggiore controllo su di esso.

 La formula per i goyim è D.I.E, o diversità-inclusione-equità, ma ovviamente non si applica mai a Israele e al potere ebraico.

Israele può avere un'immigrazione di rifornimento in contrapposizione all'immigrazione sostitutiva che gli ebrei spingono sulle nazioni goy.

E non ci possono mai essere troppi ebrei o qualcosa chiamato PRIVILEGIO EBRAICO poiché gli ebrei meritano tutta la loro ricchezza e potere nelle industrie e nelle istituzioni.

"Equità" è per le piccole persone, specialmente in ossequio ai neri come alleati preferiti degli ebrei.

Da un USA controllato dagli anglo-americani che una volta predicava l'autodeterminazione a tutte le nazioni a un americano controllato dagli ebrei che propone l'auto-sterminio al mondo goy.

 E le persone sono cieche a ciò che sta accadendo perché è confezionato come una questione di AUTODECISIONE.

Gli ebrei manipolano i goyim come gli adulti con i bambini.

 Gli adulti sanno che i bambini piangono e fanno i capricci se costretti a fare qualcosa che non gli piace.

Quindi, gli adulti intelligenti usano l'approccio passivo / aggressivo.

 Si avvicinano ai bambini con facce sorridenti e giocano sulle loro emozioni e poi fanno pressione per fare come suggerito.

 I bambini, avendo legato con gli adulti e persino fatto sentire dispiaciuto per loro, tendono ad andare avanti.

Come potevano osare deludere gli adulti che venivano da loro con facce così sorridenti e suppliche gentili?

Così, gli adulti sono in grado di far credere ai bambini che loro stessi vogliono liberamente ciò che gli adulti vogliono da loro.

È la differenza tra costringerli a mangiare spinaci e fargli pensare di voler mangiare spinaci, anche per compiacere gli adulti sorridenti che sarebbero così tristi se i bambini non fossero d'accordo.

 Almeno gli spinaci fanno bene ai bambini.

Ciò che gli "adulti" ebrei stanno spingendo sui "bambini" goy è come cianuro.

 È come la scena di DOWNFALL in cui la moglie di Josef Goebbels convince i bambini a bere "medicine" che è davvero veleno.

Quando si sveglieranno i goyim?

 Quando un popolo accoglie lo "sterminio", è davvero una questione di egoismo?

Che tipo di persone libere e dotate di buon senso accoglierebbero una cosa del genere?

E se gli ebrei spingono su questo Regno Unito, Francia, Germania, Giappone e così via e credono che sia una cosa così buona, perché non lo spingono su Israele?

 La vera autoconservazione riguarda l'autoconservazione, non l'autoestinzione.

Un popolo la cui idea di autodeterminazione porta all'auto-sterminio non è veramente autodeterminato perché nessun popolo con vera identità, cultura e patrimonio inviterebbe una cosa del genere.

 Le loro menti sono state colonizzate da tossine estranee che li ingannano facendoli credere che il suicidio sia speranza.

 

 

 

IL NODO DELLE MATERIE PRIME

NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

 Renewablematter.eu - Federico M. Butera – (02 AUG 2021) – ci dice:

 

L’obiettivo di de-carbonizzare entro il 2050 il sistema energetico dei singoli paesi e mondiale comporterà un aumento vertiginoso degli impianti fotovoltaici ed eolici, perché con le rinnovabili non bisognerà solamente fare fronte all’attuale domanda di energia elettrica, ma bisognerà aggiungere anche quella causata da altri quattro fattori.

 Primo, il passaggio, nei paesi a clima temperato, dalle caldaie a gas alle pompe di calore per il riscaldamento e la produzione di acqua calda.

Secondo, la sostituzione dei veicoli a combustione interna con quelli elettrici.

Terzo, l’elettrificazione di tutti i processi industriali, oggi basati su fonti fossili, che si prestano a questa trasformazione.

Infine, la produzione di idrogeno verde, cioè prodotto mediante energia elettrica da fonte rinnovabile.

Questa trasformazione ha delle pesantissime ricadute sulla domanda di alcuni minerali-chiave.

Crescerà infatti il consumo degli elementi delle terre rare per i magneti permanenti che sono vitali per le turbine eoliche e i motori elettrici;

lo stesso avverrà per il rame che è essenziale per tutte le tecnologie legate all'elettricità, dagli interruttori, ai motori, alle reti elettriche, ai moduli fotovoltaici; aumenterà notevolmente pure la domanda di alluminio e, in misura minore, di silicone e argento per il fotovoltaico;

 crescerà enormemente il consumo di litio, nichel, cobalto, manganese e grafite che sono fondamentali per le batterie;

la domanda di nichel, zirconio e metalli del gruppo del platino verrà incrementata dalla produzione di idrogeno verde mediante idrolizzatori e dalla sua trasformazione in elettricità mediante celle a combustibile.

Secondo l’IEA, se gli accordi di Parigi verranno rispettati, nelle prossime due decadi si avrà una crescita del 40% della domanda di rame e di elementi di terre rare, del 60-70% della domanda di cobalto, del 90% di quella di litio.

Nel complesso la domanda dei minerali usati per le tecnologie “verdi” si quadruplicherebbe.

Materie prime critiche ed equilibri geopolitici.

La rapidità con cui crescerà la domanda degli elementi sopra citati inevitabilmente si rifletterà sulla volatilità dei prezzi, sugli equilibri geopolitici e sulla continuità dell’approvvigionamento.

 Ci sono diversi fattori, infatti, che rendono critica sia la disponibilità sia la continuità di rifornimento di questi elementi.

Il primo è che i minerali che li contengono provengono da un piccolo numero di paesi produttori e ancora minore è il numero di paesi che hanno la capacità di lavorarli.

Infatti, sempre secondo l’IEA, nel caso del litio, del cobalto e delle terre rare, i primi tre produttori mondiali (Australia, Cina, Congo) controllano ben oltre i tre quarti della produzione globale;

il Congo e la Cina hanno estratto, nel 2019, rispettivamente circa il 70% e il 60% di tutto il cobalto e degli elementi delle terre rare prodotti al mondo.

Inoltre circa il 35% dei minerali da cui si estrae il nichel, il 50-70% di quelli da cui si estrae il litio e il cobalto e quasi il 90% di quelli da cui si estraggono gli elementi delle terre rare viene lavorato/raffinato in Cina.

Questa concentrazione della produzione e del trattamento è aggravata da complesse catene di approvvigionamento, che aumentano i rischi che potrebbero derivare da interruzioni fisiche, restrizioni commerciali o altro nei principali paesi produttori.

Il secondo fattore riguarda la disponibilità delle quantità richieste. La IEA stima, per esempio, che la fornitura derivante dalle miniere esistenti e dalle nuove in via di attivazione potrà soddisfare, al 2030, solo la metà del fabbisogno previsto di litio e cobalto e l'80% del fabbisogno di rame.

 Occorre dunque investire in nuove attività minerarie e il tempo intercorrente fra la scoperta e l’operatività di una miniera supera in genere i 15 anni.

In questo tempo, la scarsità di materia prima potrebbe innescare una forte volatilità dei prezzi, rinforzata dalla speculazione.

Poi c’è il problema della riduzione della qualità della risorsa mineraria estratta, cioè della concentrazione dell’elemento nel minerale che lo contiene.

Per esempio, la qualità media del minerale di rame in Cile è diminuita del 30% negli ultimi 15 anni.

L'estrazione del contenuto di metallo da minerali di qualità inferiore è più difficile e costosa, con conseguente pressione al rialzo sui costi di produzione.

Lo stesso problema si comincerà a porre per tutti gli altri minerali, man mano che la quantità estratta andrà aumentando.

Pure da tenere presente è la crescente coscienza ambientale e sociale che può indurre i consumatori a escludere minerali che provengono da aree in cui l’ambiente non è preservato o le condizioni sociali dei lavoratori delle miniere non sono accettabili.

Disegnare un percorso di de-carbonizzazione resiliente.

Combinando tutti questi fattori appare chiaro come lo svolgimento dei programmi di decarbonizzazione sia come un campo minato da attraversare con grande attenzione.

 La domanda da farsi è:

si può evitare di passarci attraverso, o almeno passarci in accettabile sicurezza?

Ovvero – fuor di metafora – è possibile disegnare un percorso di decarbonizzazione che sia il più possibile resiliente, cioè capace di ridurre l’impatto negativo delle incertezze e degli eventi avversi?

Un fattore determinante che conduce all’aumento di resilienza è la riduzione della quantità di materiale occorrente per garantire la transizione energetica:

minore la quantità necessaria, minore la criticità della dipendenza dalla fornitura.

Questa riduzione può ottenersi con una doppia azione.

 Una è l’innovazione tecnologica, orientata alla diminuzione della quantità di materiale usata nelle singole apparecchiature o alla sostituzione di un materiale critico con uno meno critico.

 E in questa direzione la ricerca si è già mossa e sta andando avanti.

La seconda si basa su un approccio sistemico che coniuga innovazione tecnologica, sociale e di governance.

 Proviamo a vedere in che modo.

Precondizione è il contenimento dell’aumento della domanda di energia elettrica: minore la domanda, minore l’estensione di fotovoltaico necessaria e minore il numero di turbine eoliche, da cui minore quantità di materiale.

Per ottenere questo risultato le strade sono molteplici.

Nell’edilizia il contenimento della domanda di energia elettrica si ottiene attraverso l’efficienza energetica, cioè mediante opportuni interventi sull’involucro per ridurre le dispersioni in inverno e i guadagni solari in estate, sostituendo le caldaie con le pompe di calore e utilizzando sistemi di regolazione e controllo avanzati.

 Questa trasformazione deve necessariamente essere assistita dalle istituzioni pubbliche mediante regolamenti e finanziamenti appropriati.

Nel settore industriale, a parte il miglioramento dell’efficienza energetica dei singoli processi, la riduzione della domanda di energia e di materiali può derivare dalla piena applicazione dei principi dell’economia circolare:

 più un prodotto è durevole, riusabile, riparabile e riciclabile, meno prodotti nuovi sono necessari, quindi meno energia occorre consumare e meno materia prima si rende necessario estrarre.

L’economia circolare dunque, se applicata fino in fondo è fattore-chiave per ridurre la domanda di materiali, sia quelli fin qui citati, sia tutti gli altri, con grandissimo vantaggio per l’ambiente;

 essa implica, però, una profonda trasformazione del sistema economico (meno produzione, più manutenzione), delle norme e degli stili di vita.

 Per questo, l’introduzione di adeguata normativa e di incentivi è essenziale.

Auto elettriche e nuove forme di mobilità.

In questo quadro un posto importante occupano le auto elettriche, dato il peso che hanno sulla domanda di litio, cobalto, grafite e rame.

Domanda che può essere significativamente ridotta se si riduce il numero di veicoli prodotti, attivando al contempo un efficace sistema di riciclo;

 col vantaggio aggiuntivo di ridurre la domanda di energia elettrica necessaria per la loro produzione e quindi la quantità di impianti fotovoltaici ed eolici da realizzare.

Per ottenere questo risultato senza ridurre la mobilità delle persone ci sono due soluzioni, che vanno integrate:

una a costo quasi zero e a portata di mano subito, e l’altra un po’ più lontana.

La prima soluzione, valida per la mobilità urbana, è quella per la quale la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ha creato lo slogan “la città dei 15 minuti”.

Qualsiasi servizio di uso frequente deve trovarsi a non più di 15 minuti a piedi, o meno in bicicletta, da casa.

Questa situazione rende di fatto inutile l’uso dell’auto nella stragrande maggioranza dei casi perché si fa prima a piedi.

Fare a meno dell’auto implica anche che il consumo energetico derivante dal suo uso si azzera, riducendo quindi l’incremento della produzione elettrica rinnovabile derivante dalla elettrificazione del parco automobilistico.

Per maggiori distanze occorre che sia disponibile un efficiente sistema di trasporto pubblico e di car sharing.

Studi effettuati nel 2018 in Germania mostrano infatti che il “car sharing” induce una riduzione del numero di auto di proprietà.

Il futuro, però, può riservarci qualcosa di più, grazie all’impatto della diffusione dei cosiddetti “robo-taxi”, cioè taxi elettrici a guida autonoma, che dovrebbero essere disponibili nei prossimi anni.

Uno studio condotto per la città di Berlino, in cui si ipotizza l’esistenza di un servizio di robo-taxi capace di garantire la stessa mobilità fornita dalle auto private allo stesso costo o minore, mostra che ogni robo-taxi ne sostituirebbe 10.

Cioè a Berlino il parco auto si ridurrebbe a un decimo di quello che è oggi, garantendo la stessa libertà e comodità di movimento.

È chiaro che questo costituirebbe un grosso problema per l’industria automobilistica, a meno che – come suggerisce McKinsey – essa non cambi pelle e si trasformi in fornitore del servizio mobilità, non limitandosi più alla sola produzione delle auto.

 C’è da dire che altri studi ritengono che la riduzione del numero delle auto circolanti sarebbe molto minore ma ovviamente ciò dipende dalle ipotesi di partenza e dal disegno urbano.

 Ad ogni modo, così come si è già cominciato a incentivare l’efficienza energetica degli edifici, allo stesso modo le politiche sui trasporti dovrebbero favorire la diminuzione del numero di veicoli, iniziando dalle “città dei 15 minuti”, concetto che implica la revisione del modello corrente di pianificazione urbana.

In conclusione, la resilienza di un paese nei confronti del rifornimento dei materiali necessari alla transizione energetica passa anche attraverso una significativa ristrutturazione del modo in cui otteniamo il comfort termico, del modo in cui produciamo e consumiamo, del modo in cui ci spostiamo con un mezzo motorizzato, e del quanto.

Se il problema non si affronta in termini sistemici, il rischio di pagare duramente un forte aumento dei prezzi o l’interruzione della catena di approvvigionamento è estremamente alto, compromettendo lo svolgimento dei programmi di decarbonizzazione.

 

 

 

La decarbonizzazione

è troppo costosa?

Mondointernazionale.org- Redazione- Dott. Pierpaolo Piras – (3 ottobre 2022) – ci dice:

(A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS).

L’umanità è stata storicamente sensibile alla gestione e utilizzazione serena e proficua delle risorse e beni ambientali di questa terra.

Molto cambia nel secondo dopoguerra con la nascita dei primi movimenti ambientalisti di massa.

Da allora si è detto, scritto e comunicato davvero di tutto, colorando la comunicazione e la pubblicistica di opinioni e posizioni fortemente condizionate e spesso artefatte dalle più varie tendenze e ideologie politiche, comprese quelle estremistiche.

Sul tema attualissimo del contrasto ai cambiamenti climatici, le tre narrative più diffuse sostengono, il più delle volte in termini apocalittici, che la transizione verso le energie rinnovabili determinano un aumento delle bollette delle famiglie, comportano enormi quantità di ausili finanziari governativi e determinano disoccupazione a sei cifre un po’ dovunque.

Per fortuna, queste tre posizioni e preoccupazioni sono tutte false.

Nel mondo, negli ultimi 40 anni, sono documentabili quei casi nei quali i governi europei maggiormente illuminati (Francia, Paesi scandinavi ed altri) hanno proficuamente utilizzato importanti investimenti pubblici.

Seguendo un severo sistema di regolamentazione essi hanno aumentato in tempi rapidi la diffusione nel territorio di impianti e tecnologie in campo energetico da applicarsi nel contesto delle fonti rinnovabili come, ad esempio, i pannelli solari e le turbine eoliche.

Si è scoperto che l'approccio tradizionale alla politica energetica – come, ad esempio, la semplice effettuazione ed elaborazione delle analisi costi-benefici – tendeva a impedire l'introduzione nel mercato delle energie rinnovabili perché identificava erroneamente il sistema economico tradizionale come qualcosa di statico capace di funzionare sempre in modo ottimale.

La necessità di un'azione urgente e su larga scala sul cambiamento climatico si basa sulla grave entità del rischio climatico, sulla necessità di ridurre molto rapidamente le polluzioni atmosferiche nocive e sul dato di fatto che esiste una reale opportunità di creare una nuova, attraente e più proficua forma di crescita e sviluppo delle popolazioni e del territorio mondiale.

L'analisi deve basarsi su un approccio dinamico e positivo all'economia delle politiche pubbliche e investimenti privati, ambientato in un mondo da considerare virtualmente complesso, imperfetto e pertanto incerto.

L'economia relativa al cambiamento climatico deve cambiare per rispondere alla sfida di come promuovere una rapida trasformazione.

 È tempo che anche l'economia e gli economisti si facciano avanti come in piccola parte stanno già facendo.

Questa prospettiva presuppone che la grande politica possa fare ben poco per sconvolgere la struttura dei mercati oggi esistenti.

L'ascesa fulminea di settori completamente nuovi nell'ultimo decennio, come il mercato globale dei veicoli elettrici e l'eolico offshore, dimostra che la politica può invece effettivamente guidare i cambiamenti radicali che occorrono in questa fase storica di cambiamento dell’ordine energetico mondiale.

Per tali ragioni è tempo di sfatare le principali falsità che cercano in tutti i modi di frenare la dipartita dai combustibili fossili.

 

Nei tre casi citati si tratta di falsità eclatanti:

Uno: la decarbonizzazione renderà l'elettricità troppo costosa.

Per decarbonizzazione s’intende la riduzione della produzione e polluzione nell’atmosfera di anidride carbonica (CO2), portandola in prospettiva fino alle emissioni pari a zero.

(Ma le piante per vivere sulla terra hanno necessità di grandi quantità di CO2! Ndr)

È dimostrabile che il sovvenzionamento della tecnologia a bassa emissione di anidride carbonica (CO2) è un investimento valido nella sua progettazione e dal rendimento proficuo.

Giammai un costo. È stato anche stabilito che gli investimenti nell’economia climatica possa avere un potenziale ritorno economico globale di ben 12 trilioni di dollari.

Le politiche governative, come l'offerta di sovvenzioni alle aziende ai fini della ricerca e lo sviluppo che sperimentano (ad esempio) batterie più capaci e potenti oppure migliori garanzie sui prestiti per le imprese che sviluppano tecnologie più pulite, avanzate e rischiose, come l'energia solare concentrata, creano un ulteriore incentivo per le aziende private a investire anche in nuove iniziative in questo stesso indirizzo imprenditoriale.

I sistemi a concentrazione solare permettono di convertire l'energia solare in energia termica sfruttando la riflessione dei raggi solari ottenuta attraverso superfici riflettenti (sostanzialmente degli specchi), per concentrarla su un unico ricevitore (caldaia di sale fuso) di dimensioni contenute.

 Il calore così ottenuto viene convertito in energia meccanica tramite un motore termico al cui asse motore è collegato al secondo asse di un generatore di elettricità.

Al termine di questo processo produttivo gli investimenti creano un reale punto di svolta nel mercato in quanto la scelta naturale degli investitori o dei consumatori si sposta da una tecnologia dominante come i combustibili fossili a una emergente e innovativa come l'energia rinnovabile:

si scopre che quest'ultima è divenuta improvvisamente più economica e più redditizia della prima.

È proprio quanto sta avvenendo in questi mesi nella convenienza del motore a benzina per il minore costo di tale carburante rispetto a quello diesel.

 Una volta che ciò si realizza nel sistema sociale di base, potrà esserci una sicura crescita in forma esponenziale nella realizzazione e applicazione delle nuove tecnologie.

Questo fenomeno economico è già accaduto: il crollo dei costi di generazione di energia elettrica generata da energia solare ed eolica ha causato un aumento dei tassi di installazione dei pannelli solari sui tetti di tutta l’Europa insieme al corrispondente aumento degli investimenti in grandi parchi eolici offshore: Francia, Danimarca, Svezia, Norvegia e Spagna.

Costi ed efficienza.

Negli ultimi decenni i paesi suddetti hanno avuto una classe politica di maggiore sensibilità e operatività concreta.

 Ma non basta: per soddisfare la crescente domanda hanno utilizzato tecnologie innovative grazie alle quali i produttori hanno potuto permettersi di costruire fabbriche più grandi ed efficienti.

Ancora: i sistemi più avanzati hanno accoppiato nuove catene di approvvigionamento con percorsi commerciali più orientati verso il mercato.

E con le informazioni acquisite dalla realizzazione del lotto di un particolare prodotto, hanno ridotto sensibilmente i costi di produzione.

Sfruttando l’economia di scala, la realizzazione di un pannello solare o una turbina eolica diventa molto più economica nel tempo, il che a sua volta rende più conveniente la produzione di ogni singola unità produttiva di energia elettrica.

Tali curve di costo sono sperimentate e validate con la maggior parte delle nuove tecnologie, ma molto meno con quelle più mature (come, ad esempio, le centrali elettriche a carbone).

C'è anche un costo davvero pesante legato al pressoché totale immobilismo internazionale inteso al contrasto delle mutazioni climatiche.

Stime recenti mostrano una potenziale perdita economica globale pari a 7 trilioni di dollari legata al solo e continuo perseguimento nelle opere e programmi della crescita industriale ed economica alimentata con i soli combustibili fossili.

Due: le energie rinnovabili hanno bisogno di enormi sussidi.

Anche questa tesi non è supportata da alcun riscontro concreto.

Negli ultimi tre decenni le energie rinnovabili hanno già beneficiato di sussidi governativi come le tariffe feed-in.

Le “tariffe feed-in” rappresentano un “meccanismo di incentivazione” attraverso il quale è riconosciuta agli impianti alimentati da fonti rinnovabili (purché certificati come tali) una tariffa per tutta l'energia prodotta e immessa contrattualmente in rete per un certo periodo di tempo (es. 15 anni).

In pratica viene attribuito un pagamento aggiuntivo alle compagnie industriali per la generazione di energia elettrica proveniente da fonti eoliche, solari e/o altre fonti rinnovabili.

È vero che attualmente le energie rinnovabili superano in alcuni casi il costo di produzione di energia proveniente dalla combustione di materiali fossili.

 

Tuttavia, l'eolico offshore produce energia elettrica pari a circa un quarto del prezzo corrente (già addebitato ai consumatori nel Regno Unito), aumentato dal costo all'ingrosso del gas.

 Tant’è che nel Regno Unito la costruzione di nuove turbine eoliche non viene più assistita dalla finanza pubblica.

Al contrario, l'industria globale dei combustibili fossili beneficia enormemente di ausili finanziari statali, ricevendo quasi 700 miliardi di dollari nel solo 2021, secondo i dati dell’OECD.

L’ OECD è un’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico che lavora per costruire politiche atte a migliorare la qualità della vita delle popolazioni a livello mondiale.

I finanziamenti includono incentivi fiscali alle aziende che importano o esportano combustibili fossili purché garantiscano un livello minimo di acquisti al loro interno.

La passività di questi ultimi sussidi sta nel vincolo per gli Stati all’esclusivo utilizzo di fonti di energia sempre più costose, dovuto sia al progressivo esaurimento dei combustibili fossili e sia per la necessità di richiedere strumenti e metodologie sempre più costose.

Esattamente come avviene nella perforazione oceanica ad alte profondità o il “fracking” (estrazione dei combustibili dopo frattura idraulica in profondità degli strati geologici che li contengono), che richiede sussidi in crescita per lunghi periodi di tempo.

Tre: elevata perdita di posti di lavoro.

Si valuta che la transizione energetica dai combustibili fossili ai sistemi di energia rinnovabile comporterebbe la perdita di circa 3 milioni di posti di lavoro nel settore minerario, nella costruzione di centrali elettriche e in altri settori.

Ma, secondo l’autorevole IEA (International Energy Agency) si prevede di crearne circa 12 milioni di nuovi in tutti i settori dei trasporti, nella produzione e gestione dell’energia rinnovabile e nell'efficienza energetica entro il 2030.

La ricerca suggerisce che il cambiamento climatico causerà perdite di posti di lavoro anche in agricoltura e nell'edilizia, per via delle condizioni meteorologiche estreme che si creeranno in molte parti del mondo.

Tuttavia, i lavori “verdi” abbondanti sono in prospettiva.

 Per conto loro i governi dovranno offrire competenze e sostegno reale all'occupazione per aiutare i lavoratori a passare dalla trivellazione dei giacimenti di petrolio e gas all'installazione di turbine eoliche offshore.

Tali investimenti potrebbero produrre e sostenere posti di lavoro “verdi” in misura di oltre il 7% in più rispetto alla media dei posti di lavoro nel settore dei combustibili fossili.

L'attuale approccio alla politica sul clima e transizione energetica sia nazionale che a livello internazionale è ancora ostacolato dalla prevalenza interessata di queste falsità da parte di entità e soggetti che nutrono interessi economici opposti.

La verità è che il cospicuo investimento nell’intero sistema continentale e globale che caratterizzerà l’intera transizione verde, specie nei paesi più industrializzati, ridurrà il prezzo dell'elettricità, libererà finanziamenti da sussidi fino ad oggi radicati sui combustibili fossili e creerà nuovi e felici posti di lavoro in tutto il mondo.

E senza trascurare il lodevole fatto che si potrà respirare in una atmosfera sempre più salubre!

L'intervista. Yuval Noah Harari:

“L’energia pulita fermerà Putin”

Repubblica.it - Brunella Torresin – (25 MARZO 2022) – ci dice:

 

Parla lo storico, filosofo e scrittore israeliano Yuval Noah Harari,                             autore del bestseller "Sapiens" e tra i più autorevoli intellettuali della contemporaneità.

Vincere una guerra d'invasione che ha innescato la corsa al riarmo dell'Occidente e, quando sarà finita, difendere la pace: dall'una e l'altra sfida, spiega Yuval Noah Harari, dipendono non solo il futuro dell'Europa ma la possibilità di governare il cambiamento climatico, il rischio nucleare, la rivoluzione biotecnologica fuori controllo.

Ospite nei giorni scorsi della Fiera Internazionale del libro per ragazzi di Bologna, lo storico israeliano, autore del bestseller Sapiens e intellettuale tra i più autorevoli della contemporaneità, ha presentato il suo nuovo progetto editoriale, “Gli inarrestabili”.

È rivolto al pubblico dei giovanissimi, ma fin dal titolo del primo volume della serie, “Come ci siamo presi il mondo”, in uscita a ottobre per Bompiani, introduce interrogativi che ci riguardano tutti, non più rinviabili.

Perché il compito degli storici, sostiene Harari, non è soltanto ricostruire il passato, è fornire al presente strumento per esserne liberato.

Professor Harari, perché siamo diventati "Inarrestabili"?

"Niente sembra in grado di fermare l'uomo. Minacciato dagli animali, ha imparato a costruire armi; gli oceani separavano le terre emerse, e ha imparato a costruire imbarcazioni.

Si è diffuso sull'intero pianeta, fino a dominarlo.

L'altro aspetto, più sinistro, è che l'uomo non è capace di fermarsi.

Costruiamo astronavi, sviluppiamo l'intelligenza artificiale e tecnologie sempre più potenti, ma nello stesso tempo non siamo mai appagati di ciò che abbiamo e abbiamo fatto.

Soprattutto non troviamo pace in noi stessi.

Quindi è un titolo che suona trionfalistico da un lato e in qualche modo preoccupante dall'altro: nella nostra inarrestabile avanzata noi umani distruggiamo interi sistemi ecologici, e anche la nostra pace interiore.

 Ma il mondo non deve essere per forza così com'è, né doveva per forza diventare quel che è diventato: possiamo cambiarlo".

Eppure mai come adesso i valori del pensiero laico e scientifico che illuminano questo suo ultimo libro come i precedenti, sono sotto attacco.

Venti giorni fa lei scrisse che Vladimir Putin aveva già perso la guerra, avendo fallito le previsioni sulla reazione e la resistenza degli ucraini.

 A trenta giorni dall'inizio dell'invasione, questa guerra non si ferma e stiamo assistendo a un'escalation di atrocità.

"Quando ho scritto che Putin aveva perso la guerra, non intendevo sul piano militare contingente.

Ho scritto molto chiaramente che avrebbe anche potuto conquistare l'Ucraina.

 Ma dobbiamo capire in cosa consista questo conflitto armato.

 Putin nega la legittimità della nazione ucraina: sono russi, dice, governati da un'élite ebraica nazista, ci accoglieranno lanciando fiori sui carri armati.

È una sua radicata fantasia, e ha fallito.

Zelensky rimane coraggiosamente a Kiev, la popolazione lancia molotov e non fiori, l'esercito combatte come un leone.

Non c'è alcuna possibilità che gli ucraini si lascino assorbire dalla Russia.

E oggi nel mondo tutti ne sono consapevoli".

Nelle "21 lezioni per il XXI secolo", affrontando il tema dei conflitti armati, mette in guardia contro la sottovalutazione della stupidità umana: "una delle forze più decisive della storia".

 Il comportamento di Vladimir Putin in Ucraina, oltreché criminale, è anche stupido?

 

"Sì. Sta infliggendo

 enormi sofferenze a un numero enorme di persone, compreso il suo stesso popolo. Perché? La Russia è un paese ricco di risorse naturali, ma in media i suoi abitanti sono poveri e i servizi pubblici scadenti.

 Il regime di Putin usa la ricchezza del suo paese per finanziare la sua macchina da guerra, non il benessere del suo popolo. È una cosa stupida.

Chiediamoci come la Cina sia riuscita a ottenere quasi quarant'anni di crescita economica.

La risposta è che dall'invasione del Vietnam, 1979, e fino a oggi, la Cina è stata molto attenta a non farsi coinvolgere in alcuna guerra esterna.

La Russia di Putin è passata da un conflitto all'altro.

Un'ultima dimostrazione della stupidità della guerra è fornita dall'economia: oggi la ricchezza non proviene dalla conquista di nuove terre, bensì dalla conoscenza.

 E non puoi conquistare la conoscenza con la guerra".

In un'intervista rilasciata a Repubblica il presidente ucraino Zelensky chiede ai paesi della Nato più armi, in particolare armi di contraerea per difendere la popolazione dai bombardamenti.

E chiede che il suo paese diventi a pieno titolo un membro della comunità europea. Lei vede elementi di rischio in queste richieste?

"Un intervento diretto delle forze della Nato è molto rischioso, la Russia è in possesso di armi nucleari.

Ma la Nato ha la possibilità di fornire all'Ucraina armi per difendersi: difendersi dall'invasione, non attaccare la Russia.

 Dobbiamo ragionare su due livelli: come aiutare l'Ucraina a vincere la guerra e come aiutarla a difendere la pace.

Vincere la guerra significa fornire armi, in primo luogo, ma anche aiuti umanitari. Non solo i governi, ogni cittadino può compiere piccoli gesti concreti: donare cibo, medicine, il vecchio cappotto che non usa più, accogliere i rifugiati.

 Può sostenere le sanzioni economiche. In seconda battuta, dobbiamo chiederci come vincere la pace.

 In questo l'Europa è fondamentale: quando la guerra si fermerà, serviranno investimenti per ricostruire l'Ucraina e aiutarla a trasformarsi in una florida democrazia, una nazione economicamente e politicamente stabile.

Questa è la miglior difesa per l'Europa e la più efficace sfida al regime di Putin:

se l'Ucraina si trasforma in una florida democrazia, i russi si chiederanno perché la Russia non possa fare altrettanto.

L'Europa può garantire fin d'ora che farà la sua parte".

Ha nominato le sanzioni economiche. In Italia si è sviluppato un dibattito sulla loro applicazione al mondo della cultura, dell'arte, del teatro. Qual è la sua opinione al riguardo?

"Quando la cultura e l'arte sono usate per scopi politici, come veicolo di propaganda, ha senso sanzionarle.

 Diversamente no.

Non siamo in guerra con la cultura russa né con il popolo russo.

 Se c'è un momento in cui leggere Guerra e pace di Tolstoj o Dostoevskij è questo. Dobbiamo essere molto chiari nel nostro messaggio al popolo russo: non odiamo voi e non odiamo la vostra cultura".

I paesi dell'Unione Europea hanno fin d'ora aumentato, talvolta raddoppiato, il budget per le spese militari.

Il rischio non è di indebolire le politiche di pace e rafforzare i tre veri nemici dell'umanità: crisi climatica, minaccia nucleare e rivoluzione biotecnologica?

"Non solo i governi europei, tutti i governi hanno aumentato il budget per gli armamenti.

 I rischi che l'umanità deve fronteggiare sono globali, e abbiamo bisogno di accordi globali, non limitati all'Occidente ma estesi anche alla Cina, all'India...

 La guerra minaccia direttamente i tentativi fatti finora, non solo perché le risorse sono investite altrove, ma perché vanifica la possibilità di un accordo globale.

Questo è un altro motivo per fermarla il prima possibile e non permettere a Putin di vincerla".

È significativo, se la notizia sarà confermata, che Anatolij Chubais si sia dimesso dalla carica di inviato speciale per il clima del presidente Putin.

"Se sarà confermato, è un atto molto coraggioso e ragionevole.

Ma c'è un altro aspetto importante.

 Io spero che così come durante la seconda guerra mondiale Usa, Regno Unito e Canada si unirono nel Progetto Manhattan per costruire la bomba atomica, oggi la reazione europea alla guerra si traduca anche in un Green Manhattan Project.

L'economia russa dipende completamente da petrolio e gas.

 E in larga parte l'Europa dipende da gas e petrolio.

Nel lungo termine un modo per indebolire la macchina da guerra di Putin è creare alternative energetiche ai combustibili fossili.

Non è solo un mezzo di contrasto al cambiamento climatico, è un mezzo di difesa dell'Europa. Va fatto in fretta".

 

 

 

Yuval Noah Harari, le ideologie

e la libertà: questioni di metodo.

Pensierofilosofico.it – Albero Cassone – (21-3-2020 ) – ci dice:

I. Dal passato al presente, attraverso il futuro. Uno storico e scrittore contemporaneo di grande successo, Yuval Noah Harari, ha dedicato al passato la sua prima opera (Sapiens. Da animali a dei, 2014), al futuro la sua seconda (Homo deus. Breve storia del futuro, 2016) e al presente la terza (Ventuno lezioni per il XXI secolo, 2018).

Il suo approccio di fondo è condivisibile: per comprendere meglio il nostro mondo, partiamo dal passato.

Il successo di Harari è dovuto a una straordinaria unione di brillantezza intellettuale e sapere enciclopedico (ai nostri tempi le due cose procedono, solitamente, separate; Umberto Eco è stato una delle poche eccezioni).

Questo non significa, naturalmente, che si debba essere d’accordo con le sue tesi di fondo; ma è importante leggerle, se non per altro perché le stanno leggendo in moltissimi, soprattutto all’interno della vasta élite culturale interna alle classi medio-alte occidentali - e dunque esse avranno una grande influenza sul nostro mondo, a prescindere dalla loro correttezza.

Un punto qui non decisivo, ma che serve bene a illustrare il metodo-Harari, è la tesi (presentata nel suo libro sul passato) secondo cui l’agricoltura avrebbe rappresentato un passo indietro, una regressione nella condizione umana.

 Il grano e il mais, infatti, hanno - secondo l’autore - manipolato l'umanità per diffondersi.

In altre parole, l'umanità avrebbe subito l'agricoltura, nell'illusione di servirsene.

Una tesi non poco materialistica: l'intelligenza "ideale" (funzionante mediante idee) umana sarebbe stata infatti in questo caso sopraffatta e strumentalizzata dall'intelligenza "materiale" insita nelle piante.

Allo stesso tempo (accenno qui brevemente a un tema che merita naturalmente ben altro approfondimento e che spero di poter trattare in futuro all’interno di questo sito web) nel comportamento intelligente del grano e del mais viene individuata un’intenzionalità; i processi naturali, però, sono sì intelligenti, nel senso che contengono una loro finalità interna, ma non possiedono un’intenzionalità, perché essi hanno i propri fini in sé stessi.

Il riduzionismo materialistico è una delle correnti intellettuali più potenti del nostro tempo, anche se naturalmente non presenta sé stesso come “riduzionismo”, credendo veramente che tutto ciò che esiste sia effettivamente, in ultima analisi, materiale.

Una splendida confutazione di questo atteggiamento si trova in “Mente e cosmo” di Thomas Nagel, un saggio filosofico che menzioneremo anche più avanti e del quale vale qui la pena citare il sottotitolo: “perché la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa”.

Harari è uno storico ma non è, nel senso negativo del termine, uno “specialista”: egli conosce certamente benissimo tutta la storia e, inoltre, scrive come se conoscesse benissimo anche la scienza, la tecnologia, la filosofia e le arti.

Da una parte, non adagiarsi sulla specializzazione, osare di più, lanciarsi in una visione globale è un atteggiamento intellettuale degno di grandissima ammirazione;

dall’altra, perlomeno quando si è relativamente giovani (Harari è nato nel 1976), il rischio che ciò porti a cadere - anche a causa della consapevolezza delle proprie eccezionali qualità intellettuali - nella “tuttologia” è alto.

Intendiamoci, è un rischio che vale la pena correre, così come vale assolutamente la pena leggere (con attitudine critica) le opere di Harari.

Che nella tuttologia, in effetti, spesso cade; e la tuttologia è sempre, senza eccezioni, riduzionistica.

 

Essendo il riduzionismo di Harari del tipo materialistico (esemplare, a tale proposito, è il suo ritenere degno di menzione il fatto che gli scienziati, studiando approfonditamente il corpo umano, non hanno scoperto alcuna anima), spesso e volentieri persino evoluzionistico, dovremo accennare ancora a questo suo limite; ma ora passiamo a vedere la tesi chiave di “Sapiens”.

Guardando al passato dell’umanità, che cosa vede il suo autore?

Secondo Harari, la conquista da parte dell’uomo del dominio sulla natura si spiega con la nostra capacità di creare narrazioni, in particolar modo quelle narrazioni che vanno sotto il nome di “ideologie”.

Tutte le narrazioni ideologiche condivise, religioni incluse, sono infatti per lui delle costruzioni astratte prive di riscontri nella realtà e il cui unico senso sta nella capacità di permettere all’uomo di cooperare su larga scala in maniera flessibile.

Questa idea è composta di due tesi, una sociologica e una naturalistica, nessuna delle due originale; ma il suo interesse risiede appunto nella combinazione del ragionamento sociologico (l’ideologia non è veritiera, ma è fondamentale per la coesione sociale) con quello naturalistico (l’uomo domina la Terra perché è l’unico animale in grado di cooperare socialmente in gruppi di dimensioni talmente estese da richiedere un sistema di scambio di informazioni che oltrepassi i limiti posti dallo spazio e dal tempo e che prescinda completamente dalla necessità di instaurare rapporti personali).

Ora, possiamo problematizzare entrambe le tesi (in che senso l’uomo “domina” la Terra? Siamo così certi che le ideologie non abbiano alcun riscontro nella realtà? Gruppi sterminati di insetti sociali - per non parlare degli incredibili batteri e virus - non sono egualmente funzionali, egualmente organizzati?

 Il linguaggio scritto, che sembra violare le regole del tempo e dello spazio, non ha forse anch’esso un’evidente realtà fisica?) per poi sottoscriverle o meno, ma più interessante - per il nostro particolare percorso - è comprendere se tutti quei fenomeni che lui classifica come “ideologie”, o persino come religioni sotto mentite spoglie (tali sono ad esempio, a suo modo di vedere, il liberalismo e il comunismo, in quanto manifestazioni della più generale “religione umanistica” che sacralizza l’essere umano), siano veramente delle narrazioni ideologico/religiose, o se invece alcuni lo siano e altri no.

Smontare, mettendole sullo stesso piano, tutte le illusioni può essere infatti un’operazione salvifica, ma smontare quel che sembra un’illusione (e invece non lo è), gettandolo nel mucchio, rappresenta al contrario un’operazione culturalmente devastante.

 Ecco due esempi di come procede Harari (citiamo qui dal suo secondo libro, quello sul futuro):

La narrazione non è il male. È vitale.

Senza storie accettate da tutti su cose come il denaro, gli stati o le società per azioni, nessuna società umana complessa può funzionare [...] Ma le storie sono soltanto strumenti.

 Non dovrebbero diventare i nostri obiettivi [...] Quando dimentichiamo che si tratta solo di finzione, perdiamo il contatto con la realtà [...] Nel XXI secolo creeremo narrazioni più potenti e religioni più totalitarie che in qualsiasi epoca precedente [...]

Essere in grado di distinguere la finzione dalla realtà diventerà pertanto più difficile ma più indispensabile di quanto lo sia mai stato.

Dunque, in soldoni: dobbiamo crederci, altrimenti la società non funziona.

 Però, allo stesso tempo, non dobbiamo crederci, altrimenti perdiamo il contatto con la realtà. L’unico possibile risultato politico di una prospettiva così contraddittoria è la separazione tra un’élite che usa la finzione ideologica - magari anche a fin di bene, come teorizzava Platone - e una popolazione che la subisce.

Come fate a sapere se si tratta di un’entità reale? Molto semplice - è sufficiente che vi chiediate: “può soffrire”? [...] Quando un Paese subisce una sconfitta in guerra, il Paese in realtà non soffre. È soltanto una metafora. Al contrario, quando un soldato viene ferito in battaglia, soffre per davvero [...] Questa è realtà.

“Un Paese non soffre”: solo gli individui possono soffrire, il resto è metafora? E cosa ne è allora della comunità e della solidarietà, dell’empatia e del soffrire insieme?

Qui, inciampando nel riduzionismo psicofisico, Harari cade clamorosamente nell’individualismo.

Per ragionare bene, dunque, sulle vere o presunte ideologie, presenterò ora una schematizzazione storica estrema, che spero mi perdonerete e mediante la quale cercherò di mostrare come il liberalismo, il socialismo e il patriottismo non siano affatto delle ideologie (né, tanto meno, delle religioni).

II. Volontà umana e sviluppo storico: un quadro schematico e una riflessione.

 Nel XX secolo, il nazionalismo sociale (tipicamente rappresentato dal nazionalsocialismo e dal fascismo) ha accompagnato un’accelerazione violenta del percorso di nazionalizzazione delle masse messa in atto in due Paesi (Germania e Italia) che, già industrializzati (anche se con significative variazioni regionali), da questo punto di vista erano invece storicamente “in ritardo”.

Lo stesso percorso era stato realizzato con meno violenza - perché più diluito nel tempo - in Inghilterra e in Francia; ma non per questo dobbiamo dimenticare che esso era stato accompagnato dalla sopraffazione neocolonialista.

Sempre nel XX secolo, il socialismo reale (i cui due esempi più classici sono il regime stalinista e quello maoista) ha accompagnato anch’esso un’accelerazione violenta, ma non della nazionalizzazione delle masse, bensì del percorso di industrializzazione della vita economica.

Ciò è avvenuto in due Paesi (Russia e Cina) che, avendo già nazionalizzato (con modalità in parte divergenti da quelle occidentali) le masse popolari, rispetto a tale industrializzazione erano però “in ritardo”.

 Il medesimo percorso si era concretizzato ricorrendo a relativamente meno violenza - anche qui perché più distribuito nel tempo - in Inghilterra e negli Stati Uniti, anche se non dobbiamo sottovalutare né la violenza sociale contenuta nel modello inglese di industrializzazione né l’importanza decisiva dell’industrializzazione tra i fattori scatenanti la cruenta guerra civile americana.

Un analogo parallelismo serve a leggere fra le diverse sfumature ideologiche: da una parte un nazionalismo soft, mercantilista e “dal volto umano”, negli stati nazionali che si sono formati “con più calma”, dall’altra un nazionalismo duro, autarchico e rabbioso, in quelli che si sono formati rapidamente;

da una parte un liberismo statalistico, ossia fondato su un libero mercato falsato dal capitalismo e dall’intervento statale, nelle economie che si sono industrializzate più gradualmente;

 dall’altra, uno statalismo marxista-leninista, fondato sul primato del partito-stato e sul collettivismo pianificatore, in quelle che l’hanno fatto di fretta.

Naturalmente, quando si parla di nazionalsocialismo si parla anche, o soprattutto, di Shoah: e questa ha poco a che vedere con quanto detto sopra.

Diciamolo ancora meglio: la Storia non è un processo deterministico.

Abbiamo scritto infatti tra virgolette l’espressione “in ritardo”, perché non esiste nessuna legge di sviluppo storico a cui la volontà (quando riesce a essere ferma e unitaria, saldando la dimensione individuale a quella collettiva) umana di prendere una strada differente non possa fare eccezione.

Poiché la volontà sfida il determinismo, la libertà umana sfida le tre ideologie deterministiche:

 il marxismo-leninismo, perché basato sullo storicismo e sul riduzionismo “materialistico-dialettico” (ma non sfida Marx ed Engels, che la libertà l’amavano);

il liberismo, perché basato sul darwinismo sociale e perché oggi degenerato in neoliberalismo;

il nazionalismo, perché portato all’estremismo spiritualistico da Hegel nella teoria e all’estremismo politico da alcuni celebri dittatori nella pratica.

Si tratta infatti di tre ideologie che, implicitamente, postulano l’impossibilità della libertà.

La cultura socialista, quella liberale classica e quella patriottica non sono invece ideologie (e dunque non fanno parte di quelle che Harari considera delle costruzioni immaginarie senza alcun riferimento nella realtà, dei meri strumenti per i fini dell’uomo collettivo), non negano affatto la libertà, perché sono tre diverse forme moderne prese dall’umanesimo: sono, appunto, tre culture.

Siamo liberi di scegliere se essere socialisti (anche nella versione comunista non marxista-leninista, bensì marx-engelsiana), patrioti (ossia leali verso la nostra identità comunitaria ma per nulla ostili alle altre) o liberali (cioè difensori del costituzionalismo rappresentativo);

ma non siamo liberi di scegliere tra il marxismo-leninismo, il neoliberalismo e il nazionalismo perché, quando si aderisce a un’ideologia, è sempre perché è stata lei a sceglierci.

Una cultura differisce radicalmente da un’ideologia perché rappresenta un continuum aperto di pratiche concrete, abitudini radicate, valori, ideali, modelli autorevoli e punti di riferimento anche personali, tradizioni coltivate con cura, progetti per un futuro migliore e attitudini sentimentali;

in una cultura, entità più astratte come i valori e gli ideali si saldano senza soluzione di continuità con le pratiche e con i sentimenti, fenomeni della cui realtà concreta non è in alcun modo lecito dubitare. Inoltre, l’insieme di tutti questi elementi si tiene così bene, è legato in modo così naturale e organico, che può permettersi di essere aperto, di accogliere nuovi fattori al suo interno, di espellerne altri, insomma di rinnovarsi, di crescere: ed ecco perché essa non nega affatto la libertà.

Una narrazione ideologica è esattamente l’opposto:

per essa vale non la metafora dell’organismo, bensì quella della “macchina”, ossia di un sistema inorganico, funzionante attraverso processi quantitativi e non qualitativi, discreti e non continui, al cui interno gli elementi costitutivi - idee e pratiche - si tengono insieme meccanicamente e solo al prezzo della completa chiusura all’esterno e della negazione della libertà.

Gli elementi costitutivi di un’ideologia non differiscono da quelli di una cultura solo per il modo - organico o meccanico, continuo o discreto, aperto o chiuso - in cui le due li trattano, ma anche in parte per la propria natura:

il patriottismo è una cultura e uno dei suoi elementi costitutivi è il concreto amore per la terra sulla quale si è cresciuti, un altro è il rispetto ideale per tutti gli altri popoli, visti come fratelli;

il nazionalismo non è una cultura e al suo interno troviamo un’idealizzazione astratta della propria terra e un odio concreto per i popoli confinanti, visti come competitori/nemici.

La cultura liberale classica sente la libertà e ne pensa i limiti, l’ideologia neoliberale teorizza la libertà illimitata e desidera la prevaricazione;

 il socialismo di Marx ed Engels rifiuta l’ingiustizia con la pancia e con il cuore, il materialismo dialettico marxista-leninista impone la giustizia con la violenza della ragione (e non solo della ragione - ma tutto parte da lì).

Confondere la cultura con l’ideologia o con la religione può portare a risultati clamorosamente fuorvianti:

 per Harari, l’umanesimo (come detto) è una religione perché sacralizza l’essere umano;

ne consegue quindi che anche il nazionalsocialismo, essendo secondo lui una forma (e quale forma) presa dall’umanesimo, è classificabile come religione (più precisamente, Harari considera il nazionalsocialismo una setta religiosa umanistica).

La chiara distinzione tra ideologia e cultura permette di evitare di cadere in simili scenari da delirio:

l’umanesimo è una cultura, il nazionalsocialismo un’ideologia, dunque il secondo non può essere una forma presa dal primo.

Le differenze tra religione e ideologia sono invece molto più sottili:

ma spingersi a sostenere che il nazionalsocialismo sia una religione significa fingere che di differenze, anche significative, non ce ne siano affatto.

L’ideologia è talmente più povera di una cultura che si presta molto meglio di essa a un’interpretazione evoluzionistica, ossia a essere ridotta a semplice mezzo per il progresso o il successo umano, senza mai poter aspirare a essere un fine.

L’interpretazione evoluzionistica della storia delle idee umane, portata avanti da Harari attraverso tutto lo svolgimento del suo pensiero, non funziona invece con una cultura, la quale è sempre un fine e mai un semplice mezzo.

Per Thomas Nagel (il suo già citato Mente e cosmo è del 2012), è impossibile spiegare la nostra capacità di comprendere cose vere mediante la teoria dell'evoluzione;

a mio modo di vedere, dunque, la sostanza più profonda della differenza tra ideologia e cultura sta nell'autenticità, nella capacità di scoprire qualcosa della realtà.

Harari, il cui sguardo sorvola i millenni e i secoli con l’impareggiabile maestria di un’aquila meditante, ha dunque però semplificato troppo alcune tematiche, cadendo vittima del riduzionismo materialistico-evoluzionistico odierno, esso sì una narrazione che avrebbe meritato di esser da lui spietatamente smontata.

Come dicevamo, è ancora giovane; è un’aquila che ha davanti a sé tutto il tempo necessario per aggiustare la mira.

 E per prendere la sua posizione - del resto, non si può prendere la mira senza aver prima occupato una posizione salda.

Non ci sono vie d’uscita: o prendi posizione (come insegnano, fra gli altri, Pascal, Kierkegaard, Aristotele stesso), non facendo di tutta l’erba degli ideali un fascio riduzionistico, o non potrai mai creare altro che un gioco intellettuale, brillante, a tratti illuminante, ma irrimediabilmente individualistico.  

(Alberto Cassone)

 

 

 

Harari: Ci sarà una élite

dominante e una classe inutile.

Mariomancini.medium.com – Mario Mancini – (19 gennaio 2020) – ci dice:

 

Ecco l’innovazione che si attua in Silicon Valley.

La Valle dei paradossi e delle distopie.

Il paradosso, cioè un ragionamento corretto che ha, però, in sé una contraddizione eclatante, sembra proprio essere la nuova razionalità che modella le menti dei protagonisti del ciberspazio.

 Il principio di contraddizione sembra essere diventato il motore del modo di pensare dei tecnologi, degli imprenditori e delle persone che stanno cambiando il mondo.

Prendiamo il caso dell’intellettuale israeliano Yuval Noah Harari.

Ci stiamo occupando molto di questo, anche troppo, brillante intellettuale, le cui tesi sembrano le più adatte a darci un quadro d’insieme del punto in cui è arrivata l’evoluzione umana e delle sfide che l’attendono.

Nella sua indagine, che inizia con l’affermazione dell’homo sapiens e arriva fino ai robot, Harari è arrivato a maturare una posizione estremamente critica nei confronti di quello che sta succedendo nella Silicon Valley.

Non perde occasione per affermare quanto pernicioso sia quel modo di pensare, soprattutto per il suo agnosticismo verso le conseguenze dei modelli tecnologici ed economici praticati nella Valle.

 Le conseguenze della tecnologia, per usare una famosa locuzione di Martin Heidegger — che ha scritto qualcosa di definitivo su questo tema –, sono tutt’altro che tecnologiche, poiché la tecnica, secondo il pensatore tedesco, è sussumibile nella metafisica.

Per certi versi, le profezie di Harari sul futuro dell’umanità, plasmata sul modello tecnologico della Valle, sembrano affette dalla sindrome di Cassandra.

No è infatti un mistero che Harari ritenga la Silicon Valley l’incubatore di una montagna di rovine distopiche a cui sta andando incontro l’umanità.

 Harari è convinto che la Silicon Valley stia minando la democrazia e costruendo un mondo in cui la democrazia è un” per di più”.

È qualcosa che sta succedendo già da adesso perché, con i mastodontici meccanismi d’influenza delle menti di miliardi di persone, le grandi compagnie tecnologiche stanno distruggendo l’idea a fondamento della modernità e dell’illuminismo, quella di un individuo sovrano guidato nelle sue azioni dal libero arbitrio.

Ha scritto in proposito:

“Se gli umani sono animali hackerabili e se le nostre scelte e opinioni non riflettono il nostro libero arbitrio, quale dovrebbe essere il ruolo della democrazia?

Come vivi quando ti rendi conto che il tuo pensiero potrebbe essere plasmato dal governo, che la tua amigdala potrebbe funzionare per Putin e che la prossima idea che si affaccia nella tua mente potrebbe essere il prodotto di qualche algoritmo che ti conosce meglio di quanto tu conosca te stesso?”.

Se dovessimo cercare il corrispettivo letterario alle tesi di Harari, il pensiero potrebbe andare a un’opera poco conosciuta ma visionaria di Jack London, “Il popolo dell’abisso”, pubblicato nel 1903 e disponibile in italiano negli Oscar Mondadori.

È preoccupato anche per altre cose.

Soprattutto per la tenuta dell’assetto sociale costruito intorno alla democrazia, primo fra tutti il lavoro.

La rivoluzione tecnologica guidata dalla la Silicon Valley richiede pochi lavoratori.

Si sta creando così una nuova ristretta classe dominante, quella che possiede i dati, e una grande “classe inutile” brulicante e furiosa, che fornisce i dati.

Quest’ultima è l’equivalente di quel popolo degli abissi, della omonima e ben poco conosciuta opera di Jack London.

Nonostante queste opinioni, di cui il futurologo israeliano non fa certo mistero, succede che Harari è oggi il pensatore più in auge nella Silicon Valley.

È venerato come una star.

 La giovane classe imprenditoriale della Valle lo ascolta, lo invita e lo corteggia in ogni occasione.

Il suo primo libro “Sapiens, breve storia dell’Umanità” occupa il nono posto della classifica dei libri preferiti da Mark Zuckerberg.

Google lo ha chiamato a parlare si suoi tecnologici e i due fondatori, Larry Page e Serghey Brin, fanno spesso riferimento alle sue idee.

Bill Gates ha scritto un articolo celebrativo di 1000 parole su Homo Deus e si è prefisso di raccomandarlo, già a colazione, a Melinda Gates, inserendo 21 Lezioni per il 21° secolo, l’ultimo libro di Harari, tra i cinque migliori libri del 2018.

 

Com’è successo che CEO, tecnologici e imprenditori si sono innamorati della loro Cassandra?

È questa la domanda che si è posta la giornalista Nellie Bowles, che copre la Silicon Valley per molte testate tra cui il “New York Times”, accompagnando lo storico israeliano in un tour di conferenze e incontri tenuto nella Silicon Valley lo scorso autunno.

Proponiamo di seguito il resoconto su questo tour nella Valle delle distopie.

In viaggio con Yuval.

Il capo di Netflix, Reed Hastings, in una cena da lui organizzata in onore di Harari, ha presentato il futurologo di Haifa come “la persona che vorremmo essere e non possiamo essere”.

Se quella di una piccola élite dominate e di un popolo degli abissi è la straziante visione di Harari e la conseguenza di quello che egli chiama il datismo, perché i tecnologi della Silicon Valley lo amano così tanto da elevarlo a filosofo massimo del loro tempo?

“Una possibilità è che il mio messaggio non li stia minacciando, e così lo fanno proprio”, dice Harari un po’ perplesso. “Per me, ciò è ancor più preoccupante perché, forse, mi manca ancora qualcosa.”

Quando Harari ha visitato la Bay Area quest’autunno per promuovere il suo ultimo libro, l’accoglienza è stata incredibilmente gioiosa.

Reed Hastings, amministratore delegato di Netflix, gli ha organizzato una cena.

I capi di X, l’appartata divisione di ricerca di Alphabet, gli hanno aperto le porte che in genere sono ben serrate.

Bill Gates ha recensito il libro sul “New York Times” scrivendo “affascinante… uno scrittore così stimolante”.

Sono interessato a capire come la Silicon Valley possa essere così infatuata di Yuval.

È folle che sia così popolare, lo stanno invitando a parlare ovunque, quando quello che Yuval sta dicendo mina i fondamenti dei loro modelli economici.

Ha detto Tristan Harris, ex responsabile etico di Google e co-fondatore del Center for Human Technology.

Una spiegazione potrebbe stare nel fatto che la Silicon Valley, a un certo livello almeno, non è per niente ottimista sul futuro dell’America.

Più il caos domina a Washington, più il mondo tecnologico è interessato a creare un’alternativa che potrebbe non essere di democrazia rappresentativa.

I tecnologici sono molto diffidenti nei confronti dei programmi di regolamentazione e incuriositi dalle forme alternative di governo a quello attuale.

C’è addirittura una corrente separatista: i capitalisti di ventura chiedono la secessione della California o la sua frammentazione in stati- aziende.

E quest’estate, Mark Zuckerberg, che ha raccomandato Harari nel suo club del libro, ha manifestato la sua ammirazione per l’autocrate Cesare Augusto.

“Fondamentalmente — ha detto Zuckerberg al “New Yorker” — con mano decisa e dura, Cesare Augusto ha assicurato 200 anni di pace mondiale”.

Sapiens è stato il primo libro di Harari, quello che lo ha fatto conoscere al mondo e lo ha reso ricco.

L’opera ha venduto più di otto milioni di copie.

Harari, che ha un dottorato di ricerca a Oxford, è un filosofo israeliano di 42 anni, professore di storia all’Università ebraica di Gerusalemme.

La sua fama attuale inizia nel 2011, quando ha pubblicato un libro ambizioso: una storia globale della specie umana.

Ne è nato “Sapiens”: A “Brief History of Humankind”, pubblicato per la prima volta in ebraico.

Il libro non ha aperto nuovi orizzonti alla ricerca storica, né la sua tesi — che gli umani sono animali e il loro dominio è un incidente — sembra una ricetta in grado di garantire il successo.

Ma il tono disinvolto e il modo dolce in cui Harari ha saputo collegare le varie discipline ne fanno una lettura molto piacevole, anche se il volume si chiude con la previsione che il processo dell’evoluzione umana potrebbe essere al suo capolinea.

Tradotto in inglese nel 2014, il libro ha venduto più di otto milioni di copie e ha reso Harari una celebrità intellettuale.

A “Sapiens” è seguito” Homo Deus”:

 A “Brief History of Tomorrow”, che ha delineato la sua visione di ciò che viene dopo la fine dell’evoluzione umana.

In esso, parla del Datismo, un nuovo paradigma organizzativo basata sul potere degli algoritmi.

Il futuro per Harari è quello in cui dominano i big data, l’intelligenza artificiale supera l’intelligenza umana e alcuni umani sviluppano capacità divine.

Harari durante il recente TedTalk dedicato al fascismo.

18 minuti di assoluta genialità.

Dopo il passato e il futuro oggi ha scritto un libro sul presente: “21 Lezioni per il 21° secolo”.

È pensato per essere letto come una serie di avvertimenti. Ha intitolato suo recente TED Talk “Perché il fascismo è così seducente” — e in che modo i nostri dati potrebbero alimentarlo.

Le sue analisi avrebbero potuto trasformarlo in una “persona non grata” nella Silicon Valley.

Invece, ha avuto il piacere di scoprire di essere molto popolare e amato dalla gente del posto.

 La faccenda alla fine la vede come un’opportunità:

“Se fai in modo che le persone inizino a riflettere molto profondamente e seriamente sui problemi che sollevi — dice — alcune delle conclusioni che trarranno potrebbero non essere quelle che si vuole che traggano”.

Il “mondo nuovo” è il mondo della Valle?

Il capolavoro di Aldous Huxley potrebbe avere descritto bene il futuro dell’umanità dell’epoca del Datismo che succederà a quella del capitalismo.

Harari ha accettato che mi unissi a lui e al suo compagno durante il suo tour nella Valle.

Un pomeriggio, l’ho osservato mentre parlava nella sede di X a Mountain View.

Mi è apparso un uomo timido, magro, occhialuto, con una spolverata di capelli bianchi.

Ha un che della civetta: un aspetto meditativo, non muove molto il corpo e spesso guarda di traverso l’interlocutore.

La sua faccia non è particolarmente espressiva, ad eccezione di un sopracciglio dispettoso.

 Quando incroci i suoi occhi, nella sua espressione c’è un qualcosa di circospetto, come se volesse indagare se anche tu sia pienamente consapevole del male che sta per colpire il mondo.

Dopo il suo incontro con i tecnologici di Google, Harari ha portato la conversazione su Aldous Huxley, uno di suoi autori preferiti.

I contemporanei di Huxley sono rimasti inorriditi dal romanzo “Il mondo nuovo”, che descrive un regime sociale di controllo delle emozioni e di apparente eliminazione del dolore.

Di primo acchito i lettori che leggono il libro, osserva Harari, possono pensare che tutto vada bene in quel mondo coraggioso.

“Tutto appare così bello e perfetto e invece siamo di fronte a uno scenario intellettualmente inquietante perché è davvero difficile spiegare cosa c’è che non va.

È la stessa sensazione che si ha di fronte alla visione dei tecnologici della Silicon Valley”.

Per esempio è interessante, dice Harari, che a differenza dei politici, le aziende tecnologiche non hanno bisogno di una stampa libera, dal momento che controllano già i mezzi di comunicazione.

 Si è però rassegnato al dominio globale dei tecnologi, dopo la presa d’atto di quanto siano peggiori i politici. Dice:

Ho incontrato un certo numero di questi giganti dell’high-tech e, generalmente, sono delle brave persone.

Non sono l’unno Attila.

Nella lotteria dei leader umani, potrebbe capitare di molto peggio.

Alcuni dei suoi fan tecnologici gli si rivolgono parlando dell’ansia che gli procura il loro lavoro. “Alcuni sono molto spaventati dall’impatto di ciò che stanno facendo”, dice Harari.

Tuttavia, l’entusiasmo nei confronti del suo pensiero non lo mette del tutto a proprio agio:

È una regola empirica della storia che se vieni così tanto coccolato dall’élite, non sarai più capace di farle paura”, dice Harari. “Possono assorbirti. Puoi diventare uno dei loro tanti gingilli intellettuali.

Le prove dell’entusiasmo dell’élite tecnologica per l’acume di Harari non sono difficili da trovare.

“Sono attratto da Yuval per la sua chiarezza di pensiero”, ha scritto in una e-mail Jack Dorsey, il capo di Twitter e Square, lodando un particolare aspetto della riflessione di Harari.

E Reed Hastings, capo di Netflix, ha scritto: “Yuval è l’intellettuale anti-Silicon Valley — non porta un telefono e passa molto tempo a meditare. Vediamo in lui quello che vorremmo davvero essere”.

Ha quindi aggiunto:

 “Nel suo nuovo libro “le riflessioni sull’IA e sulle biotecnologie” estendono la nostra comprensione delle sfide e dei problemi che dovremo affrontare”.

Alla cena organizzata in onore di Harari, Hastings ha co-ospitato accademici e leader del settore che hanno discusso i rischi del datismo e il modo in cui le biotecnologie prolungheranno la durata della vita umana.

(Harari ha scritto che la classe dominante vivrà più a lungo della “classe inutile”.)

“I suoi libri hanno la capacità di riunire le persone intorno a un tavolo e di farle riflettere e questo è il contributo più grande” ha detto Fei-Fei Li, un esperto di intelligenza artificiale che lavora a Google.

L’irrilevanza dei più.

 

La locandina dell’evento di San Francisco dove Sam Harris e Harari si sono confrontati di fronte a una vasta platea sul tema “Understanding the present”.

Alcune giorni prima, Harari aveva parlato a San Francisco a 3.500 persone.

L’evento consisteva in un dialogo con Sam Harris che si è presentato in un completo grigio ben inamidato con dei vistosi bottoni bianchi.

 Harari sembrava ben meno a suo agio in un completo largheggiante che gli si accartocciava intorno al corpo, le mani intrecciate sul ventre e sprofondato nella sedia.

 Però, mentre parlava della meditazione — Harari trascorre due ore ogni giorno e due mesi all’anno in silenzio — ha conquistato la platea.

 In un luogo in cui l’auto-miglioramento è fondamentale e la meditazione è uno sport competitivo, la pratica di Harari gli conferisce lo status di eroe.

Durante la conferenza ha affermato che il libero arbitrio è un’illusione e che i diritti umani sono solo una storia che ci raccontiamo.

I partiti politici, ha aggiunto, potrebbero non avere più senso.

Ha proseguito sostenendo che l’ordine mondiale liberale si è basato su finzioni come “il cliente ha sempre ragione” e “segui il tuo cuore” e che queste idee non funzionano più nell’età dell’intelligenza artificiale, quando i cuori possono essere manipolati dalla tecnologia.

Tutti nella Silicon Valley sono concentrati sulla costruzione del futuro, ha continuato Harari, mentre la maggior parte delle persone del mondo non sono neppure abbastanza utili per essere sfruttate.

Harari precisa così il suo pensiero al riguardo:

Una persona fuori da quel ristretto circolo percepisce sempre più la propria irrilevanza nello scenario globale.

Ed è molto peggio essere irrilevanti che essere sfruttati.

La classe inutile è straordinariamente vulnerabile.

Se un secolo fa si scatenava una rivoluzione contro lo sfruttamento in fabbrica avveniva nella consapevolezza della rilevanza del proprio ruolo di lavoratori nella società e dell’economia.

La logica era: non possono eliminarci tutti perché hanno bisogno di tutti noi.

Oggi è meno chiaro il motivo per cui l’élite dominante non dovrebbe eliminare la classe inutile.

“Siete totalmente sacrificabili”, è la nuova ratio del datismo.

 Questo è il motivo, secondo Harari, per il quale la Silicon Valley è così impegnata nel promuovere il concetto di reddito universale di base, oppure l’idea di trasferire delle risorse alle persone indipendentemente dal fatto che lavorino o meno.

 Il messaggio nascosto è: “Non abbiamo bisogno di te. Ma siamo gentili, quindi ci prenderemo cura di te”.

Stile di vita e influenza.

La meditazione è una delle pratiche più importanti nello stile di vita di Harari che per certi versi costituisce un modello per i tecnologi della Silicon Valley.

 Il futurologo israeliano è anche vegano e animalista, un altro aspetto molto sentito nella Valle.

Per il proprio soggiorno nella Valle, Harari, insieme al suo coniuge, Itzik Yahav — che è anche il suo manager –, ha affittato una piccola casa a Mountain View.

Una mattina li ho trovati a preparare farina d’avena.

Harari ha osservato che, con l’aumento della sua notorietà nella Silicon Valley, i tecnologi hanno iniziato a interessarsi anche del sul suo stile di vita.

La Silicon Valley è stata una specie di incubatore di nuovi stili di vita legati alla controcultura, la alla meditazione e allo yoga.

 Dice. “Il fatto che io pratichi queste discipline è una delle cose che mi ha reso più popolare e interessante alle persone che vi abitano”.

Mentre parla, indossa una vecchia felpa su dei pantaloni di jeans.

 La sua voce è silenziosa e, facendo un largo gesto con la mano, rovescia un contenitore di posate.

Harari è cresciuto a Kiryat Ata, vicino a Haifa.

Suo padre lavorava nell’industria delle armi.

Sua madre, già dipendente delle poste, ora lavora per il figlio gestendo la sua corrispondenza; riceve circa 1.000 messaggi a settimana.

Harari non usa la suoneria al mattino e si alza spontaneamente tra le 6:30 e le 8:30.

Medita un’oretta e quindi prende una tazza di tè.

Lavora fino alle 4 o 5 del pomeriggio, poi fa un’altra ora di meditazione, seguita da una passeggiata di 60 minuti, che a volte è una nuotata, e poi si mette in TV con Yahav.

I due si sono conosciuti 16 anni fa attraverso il sito di incontri Check Me Out.

“Non siamo grandi adepti dell’innamoramento”, dice Harari. “È stata più una scelta razionale quella che ci ha spinto a metterci insieme”.

Yahav è diventato il manager di Harari.

 Nel periodo in cui gli editori di lingua inglese non erano troppo convinti della riuscita commerciale di Sapiens (il suo primo libro) — ritenendolo troppo serio per il lettore medio e non abbastanza serio per gli studiosi — Yahav ha insistito per andare avanti e ha ingaggiato Deborah Harris, un agente letterario di Gerusalemme.

Un giorno, mentre Harari era a meditare, Yahav e la Harris hanno venduto il libro alla Random House di Londra.

Oggi c’è un team di otto persone, con base a Tel Aviv, che lavora sui progetti di Harari.

Il regista Ridley Scott e il documentarista Asif Kapadia stanno adattando “Sapiens” per una serie televisiva, e Harari sta lavorando ad alcuni libri per bambini per raggiungere un pubblico più ampio.

Yahav era solito meditare, ma recentemente ha smesso.

“Ero troppo frenetico”, dice mentre ripiega il bucato.

“Non ho potuto beneficiare dei vantaggi della meditazione attraverso una pratica regolare”.

Harari rimane invece impegnato nella meditazione.

“Se dipendesse solo da lui, sarebbe come un eremita, impegnato a scrivere tutto il giorno, senza neppure tagliarsi i capelli”, dice Yahav, guardando il coniuge.

La coppia è vegana e Harari è particolarmente sensibile nei confronti degli animali. “Nel mezzo della notte”, dice Yahav, “quando c’è una zanzara, lui la prende e l’accompagna fuori”.

Essere gay, ammette Harari, ha aiutato il suo lavoro, gli ha dato una prospettiva differente.

Ha infatti messo in discussione i principi dominanti della stessa società ebraica in cui è cresciuto, una società che è molto conservatrice nei confronti dell’omosessualità.

“Se la società ha sbagliato l’approccio all’omosessualità, chi garantisce che non abbia sbagliato anche tutto il resto?”, Dice.

“Se fossi un superumano, il mio super-potere sarebbe il distacco”, aggiunge Harari.

La coppia guarda molta TV. È il loro hobby principale e l’argomento principale di conversazione.

 Yahav dice che è l’unica cosa da cui Harari non riesce a distaccarsi.

Hanno appena finito di vedere “Dear White People” dopo essere andati in sollucchero per la serie australiana “Please Like Me”.

Quella sera, avevano in programma di incontrare i dirigenti di Facebook nella sede della società e poi di guardare lo spettacolo di YouTube “Cobra Kai”.

Quando Harari lascerà la Silicon Valley, entrerà in un ashram appena fuori Mumbai, in India, per 60 giorni di assoluto silenzio.

 

 

 

Leggi l'avvertimento commovente

di Yuval Harari a Davos 2020

nella sua interezza.

  Fr-weforum-org.translate. google – (24 febbraio 2020) -Yuval Harari – ci dice:

(Yuval Harari, Professore, Dipartimento di Storia, Università Ebraica di Gerusalemme.)

 

Harari durante il suo discorso durante la sessione "Come sopravvivere nel 21° secolo".

Davos 2020.

Questo articolo fa parte della riunione annuale del “World Economic Forum”.

 

In questo 21° secolo, tre minacce esistenziali incombono sull'umanità, ha avvertito lo storico Yuval Harari a Davos 2020.

La tecnologia rischia di dividere il mondo in due categorie: l’élite benestante e la “colonia dei dati” sfruttate, esplicitate.

 "Se ti piacciono i Mondiali, sei già un globalista", ha detto, sostenendo una migliore cooperazione per affrontare le sfide.

Mentre entriamo nel terzo decennio del 21° secolo, l'umanità deve affrontare così tanti problemi e domande che è davvero difficile sapere su cosa concentrarsi.

Quindi vorrei usare i prossimi venti minuti per aiutarci a concentrarci sui vari problemi che dobbiamo affrontare.

Tre questioni in particolare rappresentano sfide esistenziali per la nostra specie:

guerra nucleare, collasso ecologico e sconvolgimento tecnologico.

È su di loro che dobbiamo concentrarci.

Oggi, con la guerra nucleare e il collasso ecologico minacce già familiari, permettetemi di soffermarmi sulla minaccia meno familiare della perturbazione tecnologica.

A Davos si sente molto parlare di promesse considerevoli della tecnologia - e queste promesse sono certamente reali.

 Ma in molti modi, la tecnologia può anche sconvolgere la società umana e il significato stesso della vita umana, sia attraverso la creazione di una classe inutile globalizzata o l'avvento del colonialismo dei dati e della dittatura digitale.

La tecnologia è in grado di essere molto dirompente.

In primo luogo, potremmo affrontare sconvolgimenti sociali ed economici.

L'automazione eliminerà presto milioni di posti di lavoro e, sebbene si creeranno sicuramente nuove occupazioni, non è detto che le persone saranno in grado di acquisire le nuove competenze necessarie abbastanza rapidamente.

 Supponiamo che tu sia un autista di camion di cinque anni e che tu venga a perdere il tuo lavoro a causa di un veicolo autonomo.

Oggi si creano nuovi posti di lavoro progettando software o insegnando yoga agli ingegneri, ma come potrebbe un camionista cinquantenne diventare un ingegnere informatico o un insegnante di yoga?

E le persone non dovranno "reinventarsi" solo una volta, ma ancora e ancora per tutta la vita, perché la rivoluzione dell’automazione non sarà l'unico evento determinante a seguito del quale il mercato del lavoro si stabilizzerà e troverà un nuovo equilibrio.

Piuttosto, sarà una cascata di interruzioni sempre maggiori, poiché l'IA è ben lungi dal raggiungere il suo pieno potenziale.

I vecchi lavori scompariranno, ne appariranno di nuovi, ma poi questi nuovi lavori cambieranno e diventeranno rapidamente obsoleti.

Se in passato l'uomo ha dovuto lottare contro lo sfruttamento, nel XXI secolo la vera grande lotta sarà contro l'inutilità.

Ed essere inutili è molto più terribile che essere sfruttati.

L'automazione potrebbe creare una "classe inutile"?

Chi fallisce nella lotta contro l'inutilità costituisce una nuova "classe inutile", non persone inutili dal punto di vista degli amici e della famiglia, ma dal punto di vista del sistema economico e politico.

E questa classe inutile sarà separata dall'élite sempre più potente da un divario sempre più ampio.

 

La rivoluzione dell'AI potrebbe creare ineguaglianze senza precedenti non solo tra le classi, ma anche tra i pagani.

Nel diciannovesimo secolo, alcuni paesi come la Gran Bretagna e il Giappone furono i primi a industrializzarsi e in seguito conquistarono e sfruttarono la maggior parte del mondo.

Se non stiamo attenti, lo stesso ha scelto accadrà nel 21° secolo con l'IA.

Siamo già nel bel mezzo di una corsa agli armamenti di intelligenza artificiale, con Cina e Stati Uniti in testa e la maggior parte dei paesi molto indietro.

Se non prendiamo provvedimenti per distribuire i benefici e il potere dell'intelligenza artificiale tra tutti gli esseri umani, l'intelligenza artificiale probabilmente creerà un'immensa ricchezza in alcuni importanti centri high-tech, mentre altri paesi falliranno o diventeranno colonie di dati sfruttati.

Non è qui di uno scenario di fantascienza o dei robot che si ribellano contro gli umani. È un'intelligenza artificiale molto più primitiva, che tuttavia è sufficiente per disturbare l'equilibrio mondiale.

Pensato per esempio a chi arriverà alle economie in fase di sviluppo quando sarà più economico produrre tessuti o automobili in California che in Messico.

 E cosa accadrà alla politica nel tuo paese tra vent'anni, quando qualcuno a San Francisco o Pechino conoscerà la storia medica e personale di ogni politico, ogni giudice e ogni giornalista del tuo paese, comprese tutte le loro scappatelle sessuali, le loro debolezze mentali e le loro attività corrotte?

 Sarà ancora un paese indipendente o diventerà una colonia di dati?

 

Quando ho un numero sufficiente di dati, non ho bisogno di inviare denaro per controllare un pagamento.

Oltre alla disuguaglianza, l'altro grande pericolo che dobbiamo affrontare è l'ascesa delle dittature digitali, che terranno tutti sotto costante sorveglianza.

Il futuro lascerà il posto a una dittatura digitale?

Questo pericolo può essere svelato sotto la forma di una semplice equazione, che potrebbe, credo, essere l'equazione che definisce la vita nel 21° secolo:

B x C x D = CPH!

Che significava? La conoscenza biologica moltiplicata per la capacità di calcolo moltiplicata per le donne è uguale alla capacità di piratare gli umani.

Un'equazione pericolosa.

Se conosci a sufficienza la biologia e disponi di una capacità di calcolo e di dati sufficienti, puoi piratare il mio corpo, il mio cervello e la mia vita, e puoi capirmi meglio di quanto io capisca me stesso.

 Puoi conoscere il mio tipo di personalità, le mie opinioni politiche, le mie preferenze sessuali, le mie debolezze mentali, le mie paure e speranze più profonde.

 Tu sai più di me di quanto io sappia di me stesso. E se puoi farlo a me, puoi farlo a tutti.

Un sistema che ci capisce meglio di noi stessi può prevedere i nostri sentimenti e le nostre decisioni, manipolarli e infine fare delle scelte per noi.

Nel passato molti governi e tiranni volevano ottenere questo sistema, ma nessuno ha capito abbastanza bene la biologia Born ne possiede una capacità di calcolo e di dati sufficienti per piratare milioni di persone.

 Né la Gestapo né il KGB vi sono arrivati. Ma presto, almeno alcune aziende e governi saranno in grado di hackerare il mondo intero. Noi umani dovremmo abituarci all'idea che non siamo più anime misteriose, ma animali hackerabili.

 È la realtà.

Il potere di piratare gli esseri umani può essere utilizzato a fin di bene, ad esempio per migliorare i suoni della salute.

Ma se il potere cade nelle mani di uno Stalin del 21° secolo, il risultato sarà il peggior regime totalitario nella storia dell'umanità.

 E un certo numero di candidati può già fingere di essere al posto di Stalin del 21° secolo.

Immagina la Corea del Nord tra vent'anni, quando tutti dovranno indossare un braccialetto biometrico che monitora costantemente la tua pressione sanguigna, la tua frequenza cardiaca, la tua attività cerebrale 24 ore su 24.

Ascolti un discorso del Gran Capo alla radio e loro sanno come ti senti veramente. Puoi applaudire e sorridere, ma se sei arrabbiato loro lo sapranno e il giorno dopo sarai nel gulag.

E se noi persistiamo nel fare 'emergere regimi di sorveglianza totali, no go believe that the rich and potenti in televisioni che Davos places will be safe, chiede Jeff Bezos.

Nell'URSS di Stalin, lo stato ha stregato i membri dell'élite comunista più di chiunque altro.

 La sera stessa per i futuri regimi di sorveglianza totale. Più in alto sei nella gerarchia, più sarai osservato da vicino.

Vuoi che il tuo CEO o presidente sappia cosa pensi veramente di loro?

È quindi nell'interesse di tutti gli esseri umani, comprese le élite, impedire l'ascesa di tali dittature digitali.

 E nel frattempo, se ricevi un messaggio singolare su WhatsApp, da un certo Principe, non aprirlo.

 

Al presente, se ci occupiamo davvero dell'istituzione di dittature numeriche, la capacità di piratare le persone umane si riversa anche quando si pone in questione il senso stesso della libertà umana.

Perché mentre ci affidiamo all'intelligenza artificiale per prendere decisioni per noi, l'autorità passerà dagli umani agli algoritmi.

Ed è già iniziato.

Già oggi, miliardi di persone si affidano all'algoritmo di Facebook per farci dire ciò che è nuovo, a quello di Google per farci dire che è vero, a Netflix per farci guardare, e altri algoritmi d' Amazon e di Alibaba per raccontare a noi cosa comprare.

In arrivo, gli algoritmi dello stesso tipo ci portano a dire dove lavorare e chi sposare, e anche a decidere o meno di assumerci per un lavoro, di concederci un prestito e di chiedere alla banca centrale di aumentare il nostro tasso di interessi.

E se chiedi perché non ti è stato concesso un prestito, e perché la banca non ha alzato il tasso di interesse, la risposta sarà sempre la stessa: perché il computer ha detto di no.

Il cervello umano limitato non ha conoscenze biologiche, capacità di calcolo e dati sufficienti, il suo proprietario semplicemente non sarà in grado di comprendere le decisioni del computer.

E nei cosiddetti paesi liberi, gli esseri umani rischiano di perdere il controllo della propria vita e la capacità di comprendere la politica pubblica.

Quante persone oggi comprendono il sistema finanziario? Forse l'uno per cento, per essere molto generosi.

Entro pochi decenni, il numero di esseri umani in grado di comprendere il sistema finanziario sarà esattamente pari a zero.

 

Oggi siamo abituati a vedere la vita come un teatro di decisioni.

Quale sarà il senso della vita umana quando la maggior parte delle decisioni costerà grazie agli algoritmi?

Non abbiamo nemmeno modelli filosofici per comprendere una tale esistenza.

Nel bene e nel male.

Filosofi e politici sono abituati a scaricare la patata bollente.

In effetti, i filosofi hanno molte idee fantasiose e i politici, secondo loro, non hanno i mezzi per realizzarle.

 Oggi ci troviamo di fronte alla situazione opposta, vale a dire un fallimento filosofico.

La doppia rivoluzione dell'info tecnologia e della biotecnologia ha mantenuto ai politici i significa creare il paradiso o l'inferno, più i filosofi sul mal concepire quali somiglianti al nuovo paradiso e al nuovo inferno.

E questa è una situazione molto pericolosa.

Se non riusciamo a concettualizzare abbastanza velocemente questo nuovo paradiso, potremmo facilmente essere fuorviati da ingenue utopie.

E se non riusciamo a progettare questo nuovo inferno abbastanza velocemente, potremmo ritrovarci intrappolati lì, senza via d'uscita.

La filosofia riuscirà a tenere il passo con le macchine?

Riuscirà il filosofo a tenere il passo con le macchine?

In definitiva, la tecnologia potrebbe non solo sconvolgere la nostra economia, la nostra politica e la nostra filosofia, ma anche la nostra biologia.

 

Nei decenni successivi, l'intelligenza artificiale e la biotecnologia hanno una capacità divina di rispondere alla vita e anche di creare nuove forme di vita.

Dopo quattro miliardi di anni di vita organica plasmata dalla selezione naturale, stiamo per entrare in una nuova era di vita inorganica modellata dal disegno intelligente.

Il nostro design sarà la nuova forza trainante per l'evoluzione della vita e con l'aiuto dei nostri nuovi poteri divini della creazione potremmo commettere errori su scala cosmica.

In particolare, è probabile che governi, corporazioni ed eserciti utilizzino la tecnologia per migliorare le capacità umane di cui hanno bisogno - come l'intelligenza e la disciplina - trascurando altre capacità umane - come la compassione, la sensibilità artistica e la spiritualità.

Questo potrebbe creare una razza di umani molto intelligenti e altamente disciplinati ma privi di compassione, sensibilità artistica e profondità spirituale.

Naturalmente, questa non è una profezia, ma semplici possibilità.

 La tecnologia non è mai stata determinata.

Il futuro non è scolpito nella pietra.

Nel XX secolo, le persone hanno utilizzato la stessa tecnologia industriale per costruire società molto diverse: dittature fasciste, regimi comunisti, democrazie liberali.

 Lo stesso ha scelto accadrà nel 21° secolo.

L'intelligenza artificiale e la biotecnologia trasformeranno il mondo, ma possiamo usarle per creare tipi di società molto diversi.

E se hai alcune possibilità che ti sono state menzionate, è ancora tempo d'agire. Ma per un risultato efficace, abbiamo bisogno di una cooperazione globale.

Le tre sfide esistenziali con cui ci stiamo così confrontando con il mondo intero e richiedono soluzioni su scala globale.

Ad ogni dichiarazione di un leader del tipo “Prima il mio paese!” dovremmo ricordare a questo che nessuna nazione può prevenire la guerra nucleare o fermare il collasso ecologico da sola, e nessuna nazione può regolamentare l'IA e la bioingegneria da sola.

A tuo rischio e pericolo.

Quasi tutti i paesi diranno:

“Non vogliamo sviluppare robot assassini o modificare geneticamente bambini umani.

 Siamo i bravi ragazzi.

Ma non possiamo fidarci dei nostri rivali e pensiamo che non lo faranno neanche loro.

Pertanto, dobbiamo farlo prima”.

Se permettiamo che una tale corsa agli armamenti si sviluppi in aree come l'intelligenza artificiale e la bioingegneria, non importa chi vince la corsa, l'umanità sarà il perdente.

Game Over.

Sfortunatamente, mentre la cooperazione globale è più che mai necessaria, alcuni dei leader e dei paesi più potenti del mondo la screditano deliberatamente.

Leader come il Presidente degli Stati Uniti ci parlano di una contraddizione fondamentale tra nazionalismo e globalismo e ci consigliano di scegliere il nazionalismo al posto del globalismo.

 

Ma questo è un errore pericoloso.

 Non c'è contraddizione tra nazionalismo e globalismo.

 In effetti, il nazionalismo non consiste nell'odiare gli stranieri, ma nell'amare i propri connazionali.

Nel 21esimo secolo, per proteggere la sicurezza e salvare i tuoi compatrioti, devi collaborare con gli stranieri.

Quindi, nel 21° secolo, anche i buoni nazionalisti devono essere globalisti.

Oggi il mondialismo non significa l'istituzione di un governo mondiale, l'abbandono di tutte le tradizioni nazionali o l'apertura delle frontiere a un'immigrazione senza limiti.

 Globalismo significa impegno a rispettare determinate disposizioni mondiali.

Disposizioni che non negano l'unicità di ogni nazione, ma regolano i rapporti tra le nazioni.

E la Coppa del Mondo FIFA è un buon esempio.

La Coppa del Mondo è una competizione tra le nazioni, al corso di quelle persone che amano il carattere, mostrando spesso grande lealtà verso la propria nazionale.

Più parallelamente, la Coppa del Mondo è anche un'incredibile dimostrazione d'armonia mondiale.

 La Francia non può giocare a calcio contro la Croazia a meno che i francesi e i croati non seguono le stesse regole del gioco.

Questo è il mondialismo in azione.

Le soluzioni mondiali per i problemi mondiali.

Se ti piacciono i Mondiali, sei già un globalista.

 

È ora necessario sperare che le nazioni entrino in contatto con i regolamenti mondiali, non solo per il calcio, ma anche per le modalità di impegnarsi nell'impegno ecologico, di regolare le tecnologie pericolose e di ridurre le ineguaglianze nel mondo.

Come garantire, ad esempio, che l'IA avvantaggi i lavoratori tessili messicani e non i soli sviluppatori di software americani.

Certo, sarà molto più difficile che per il calcio. Ma non impossibile. Perché l'impossibile, l'abbiamo già realizzato.

Siamo già sfuggiti alla giungla violenta che noi umani abbiamo conosciuto nel corso della storia.

Per migliaia di anni, gli esseri umani hanno vissuto secondo la legge della giungla, in una situazione di guerra sempre presente.

Secondo questa legge, per due paesi confinanti c'è uno scenario plausibile che entreranno in guerra l'anno prossimo.

 Pace non significa "temporanea assenza di guerra".

I periodi di "pace" tra ad esempio Atene e Sparta, o tra Francia e Germania, implicando di non essere in guerra all'epoca, ma di poterlo essere l'anno successivo.

E per migliaia di anni la gente ha pensato che fosse impossibile sfuggire a questa legge.

Ma negli ultimi decenni, l'umanità è riuscita a raggiungere l'impossibile, infrangere la legge e sfuggire alla giungla.

Abbiamo costruito l'ordine mondiale liberale basato sulle regole, che nonostante molte imperfezioni, ha comunque creato l'era più prospera e pacifica che l'umanità abbia mai conosciuto.

Il significato stesso della parola “pace” è cambiato.

 

Questo non significa più solo la temporanea assenza di guerra, la pace ora significa l'inverosimiglianza della guerra.

Ci sono molti pagani che non riescono proprio a immaginare di entrare in guerra l'anno prossimo, come Francia e Germania.

Certe feste del mondo conoscono ancora la guerra.

Vengo dal Medio Oriente, quindi credetemi, ne sono ben consapevole. Ma ciò non deve far dimenticare la situazione nel suo insieme.

Cosa rimarrà?

Viviamo oggi in un mondo in cui la guerra uccide meno persone del suicidio e dove la polvere da sparo rappresenta un rischio minore per la tua vita rispetto allo zucchero.

La maggior parte dei paesi, con poche notevoli eccezioni come la Russia, non sogna nemmeno di conquistare e annettere i propri vicini.

 Questo è il motivo per cui molti di loro possono permettersi di spendere solo circa il due percento del loro PIL per la difesa, mentre spendono molto di più per l'istruzione e la sanità.

Non è una giungla.

Sfortunatamente, ci siamo così abituati a questa meravigliosa situazione che la diamo per scontata e siamo quindi diventati estremamente negligenti.

Al posto di fare tutto ciò che è in nostro potere per rafforzare il fragile ordine mondiale, i paesi lo trascurano e addirittura lo minano deliberatamente.

L'ordine mondiale ora è come una casa in cui vivono tutti e nessuno l’aggiusta. Potrebbe resistere ancora per qualche anno, ma se continuiamo così, crollerà e ci ritroveremo ancora una volta nella giungla della guerra onnipresente.

 

Abbiamo dimenticato com'era, ma credi alla mia opinione di storico, non vuoi tornare lì. È molto, molto peggio di quanto immagini.

Sì, la nostra specie si è evoluta in questa giungla e vi ha vissuto e persino prosperato per migliaia di anni, ma se torniamo lì ora, con le potenti nuove tecnologie del 21° secolo, la nostra specie sarà probabilmente spazzata via.

Ovviamente, anche se scomparissimo, non sarà la fine del mondo.

Alcuni hanno scelto che Sopravviverà.

Forse i topi alla fine prenderanno il sopravvento e ricostruiranno la civiltà.

Forse allora i topi impareranno dai nostri errori.

Ma spero davvero che possiamo contare sui leader qui riuniti, piuttosto che sui topi.

Vi ringrazio.

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