CONTRO IL POPOLO E LE ISTITUZIONI.

 

CONTRO IL POPOLO E LE ISTITUZIONI.

 

 

Il Nuovo Schiaffo della

Lagarde ai Lavoratori.

 

Conoscenzealconfine.it - (16 Gennaio 2023) - Diego Fusaro – ci dice:

 

Stipendi a rischio? Arriva l’ultima trovata della BCE…

Troppe persone non hanno ancora compreso cosa sia l’Unione Europea.

Molti infatti ritengono che l’UE sia il compimento di un sogno, di un progetto, l’idea di un’Europa unita nel segno della democrazia e della fraternità.

Queste sono ottime idee e in nome di queste idee che dobbiamo contrastare l’Unione Europea, gelido mostro tecnocratico, belva selvatica all’insegna del neoliberismo. Basti pensare a una delle ultime notizie che giungono da Bruxelles.

 Leggo su Adnkronos: “Salari più alti contro l’inflazione. Ecco perché la BCE si oppone”.

 L’articolo spiega perché l’UE si sia opposta all’idea dell’innalzamento dei salari.

L’Unione Europea spiega che i salari non devono aumentare.

In particolare Lagarde, presidente BCE, ha spiegato il motivo, allertando che i salari della zona euro stanno aumentando più velocemente di quanto stimato.

 La BCE deve quindi impedire che ciò si aggiunga all’inflazione già elevata nel blocco valutario.

L’Unione europea, una volta di più, ha assunto posizioni palesemente opposte agli interessi delle classi lavoratrici e dei ceti medi, facendolo in maniera apertissima ed essendo la propria vocazione.

I salari non devono salire, lo ha detto espressamente la BCE.

Come continuare a cullarsi nell’illusione secondo cui l’Unione Europea avrebbe a cuore l’interesse dei lavoratori e dei popoli?

 Come non vedere che l’Unione Europea nasconde un progetto osceno, quella della riorganizzazione classista e verticista del capitale dopo il 1989?

Come non vedere che oltre a distruggere le identità e le culture nel nome del nulla, l’Unione Europea prende di mira i lavoratori e i ceti medi a beneficio del blocco oligarchico neoliberale?

 

È importante risvegliare il pensiero e diventa decisivo ritrovare l’immunità dal gregge, la possibilità di pensare altrimenti.

(Diego Fusaro --radioradio.it/2023/01/il-nuovo-schiaffo-della-lagarde-ai-lavoratori-stipendi-a-rischio-arriva-lultima-trovata-della-bce/)

 

 

 

 

Il Wef Inizia Oggi…

Conoscenzealconfine.it – (16 Gennaio 2023) – Redazione – ci dice:

 

Il Wef inizia oggi e i servizi escort argoviesi sono molto richiesti durante questa settimana.

Il nostro mondo è in queste mani!

A Davos si discutono (e approvano) i piani futuri per come schiavizzare meglio i popoli, mentre loro… prenotano escort per sé e per i propri dipendenti…

Da oggi, rappresentanti di alto livello della politica, dell’economia e della società si recheranno a Davos per il World Economic Forum (Wef).

Per cinque giorni si svolgeranno discussioni, incontri e riunioni bilaterali.

Ma non solo… secondo il “centro erotico Villa-Velvet” di Oftringen AG, i servizi di escort sono particolarmente richiesti durante la settimana del WEF.

Le parole della manager dell’agenzia d’incontri:

 “Finora abbiamo 11 prenotazioni e 25 richieste d’informazioni per la prossima settimana.

Ma mi aspetto che ce ne saranno ancora di più”, dice la direttrice.

Queste richieste verranno soddisfatte da quattro ragazze.

“Non appena un cliente prenota una delle nostre signore per almeno quattro ore, lei lo raggiunge”.

 Quattro ore costano al cliente poco meno di 1500 franchi, una notte fino a 2550 franchi.

L’agenzia argoviese aveva già inviato escort a Davos durante il WEF prima della “pandemia” di Covid.

“Le nostre escort sono già state portate a Davos da diplomatici e capi d’azienda – ha spiegato la manager.

Alcuni prenotano per loro stessi e per i loro dipendenti, per festeggiare nella suite dell’hotel “.

Secondo la direttrice, i servizi richiesti includono l’accompagnamento a una cena o a una festa, nonché le prestazioni sessuali successive:

 le esperienze che le donne hanno avuto sul posto sono state positive.

“Tuttavia, i clienti sono più esigenti rispetto alla nostra normale clientela. Le donne con un fisico da modella e un look al top sono particolarmente richieste”.

Un fenomeno che aumenta durante i grandi eventi.

 Secondo Christa Ammann, direttrice del “centro consultivo per il lavoro sessuale Xenia”, in occasione di grandi eventi in cui i visitatori rimangono in un unico luogo per diversi giorni, l’offerta di servizi sessuali è sempre più ampia.

“Il WEF rientra nella categoria di questi eventi”.

Poiché non vengono effettuate indagini, la polizia cantonale grigionese non è in grado di fornire informazioni sul numero di persone coinvolte nel commercio di escort e di sesso che si recano a Davos durante il WEF.

Secondo il portavoce Markus Walser, in linea di principio saranno controllati gli ingressi a Davos e l’area comunale.

“Le persone interessate dai controlli sono pregate di identificarsi e di consentire alla perquisizione del loro veicolo e degli oggetti che trasportano”.

La polizia non è a conoscenza di problemi legati al commercio sessuale al WEF.

Ma la polizia quando mai ha arrestato un banchiere?

(tio.ch/svizzera/attualita/1636641/wef-davos-escort-servizi-prenotano-dipendenti)

(laforzadellaverita.wordpress.com/2023/01/15/a-davos-si-discutono-approvano-i-piani-futuri-nostri-mentre-loro-prenotano-escort-per-se-e-per-i-propri-dipendenti/)

 

 

 

Unire popolo e istituzioni.

Il presidenzialismo necessario

secondo Malgieri.

Formiche.net - Gennaro Malgieri – (08/09/2022) – ci dice:

Meloni ha colto l’importanza di voltare radicalmente pagina che non vuol dire, come asserisce la vulgata di sinistra, l’instaurazione di un regime scarsamente democratico.

La scelta presidenzialista (declinata nelle forme giuridiche più opportune) è la sola possibilità alla portata per modernizzare l’Italia e coinvolgere seriamente i cittadini nei processi decisionali.

L’opinione di Gennaro Malgieri.

A due settimane dalla fine della campagna elettorale si accende il dibattito finalmente – sulle riforme istituzionali ed in particolare sul presidenzialismo.

Enrico Letta ha lanciato bordate insensate contro Giorgia Meloni sostenitrice dell’elezione diretta del Capo dello Stato.

 Un’ostilità preconcetta quella del leader del Pd che non trova riscontro né negli studi più avanzati sulle forme di governo, né nelle aspirazioni della maggioranza degli italiani e tantomeno nella necessità di mutare necessariamente gli assetti costituzionali se si vuol dare un “nuovo inizio” alla storia della nostra lacerata nazione, la più “ingessata” sotto il profilo istituzionale e politico tra tutte quelle europee.

Letta ignora i benefici del presidenzialismo e lo riguarda come una sorta di parodia di un assetto verticistico ed autoritario della Repubblica senza tener conto dei “pesi” e “contrappesi” che teoricamente connotano l’elezione popolare, oltre al beneficio di immettere davvero la gente nel processo di formazione di una democrazia decidente della quale si sente il bisogno.

Meloni ha colto, grazie anche alla tradizione politica alla quale proviene, la importanza e l’improcrastinabilità di voltare radicalmente pagina che non vuol dire, come asserisce la vulgata di sinistra, l’instaurazione di un regime scarsamente democratico.

La letteratura politica degli ultimi decenni e gli innumerevoli sondaggi di opinione più recenti testimoniano che nel Paese c’è la diffusa consapevolezza della necessità di radicali cambiamenti nell’ordine costituzionale.

 Ad essa si contrappone la resistenza del partitismo – svuotato di reale consistenza politica ridotto a simulacro oligarchico dominato dal leaderismo populista, che alberga anche a sinistra – ad affrontare la “madre di tutte le riforme”, per rimettere in piedi il Paese e preservarlo a fronte di quanto sta avvenendo, maneggiato con strumenti vecchi e inadeguati, attraverso interventi partecipativi e decisionisti ad un tempo.

Riforme che non possono prescindere dal sottrarre ai partiti tutto il potere indebitamente accumulato (riconoscimento giuridico degli stessi, dunque, e delimitazione del loro ruolo).

Un rimedio questo, come osservava il giurista inglese John Bryce, che potrà sembrare possibile “solo in una società dove i cittadini si conoscano l’un l’altro così bene da scegliere i membri del potere legislativo e d esecutivo con riguardo al loro merito personale, e dove i legislatori siano di una virtù così pura da discutere di ogni questione alla stregua soltanto della verità, a vantaggio dello Stato”.

Ricomporre il quadro del rapporto tra popolo e istituzioni significa tornare a proporre la più lineare, efficace e compiuta rappresentazione del potere che trae dal basso la sua legittimazione, dunque la più alta espressione della democrazia diretta, vale a dire l’elezione popolare del capo dell’esecutivo:

un grande tema che ha intrigato trasversalmente innumerevoli politici e intellettuali dall’immediato dopoguerra ad oggi.

Scriveva anni fa Gianfranco Miglio: “Se, in un regime elettivo-rappresentativo, si vuole (e non si può non volerlo) un supremo potere decisionale (cioè un governo) sottratto alle pressioni ed ai ricatti degli interessi frazionali organizzati, la via obbligata è costituita dall’elezione diretta del suo titolare da parte del popolo.

Da un vero ‘leader’ nazionale, designato da milioni di elettori, nessuno si sogna di pretendere poi, in cambio del voto, favori personali o di categoria;

né il candidato ad un a competizione di tale dimensione è costretto a presentare ‘piattaforme’ elettorali molto particolareggiate:

il rapporto di ‘rappresentanza’ è tanto più fiduciario quanto maggiore è il numero degli elettori, e più ampio, dunque, il collegio elettorale”.

Dunque, “i Governi più forti sono indubbiamente quelli dei regimi ‘presidenziali’, ove le funzioni di capo dello Stato e di responsabile dell’Esecutivo coincidono.

Esempi massimi del genere sono offerti dalla Costituzione statunitense e (in parte) da quella francese della Quinta Repubblica”.

Tanto nel sistema americano, quanto in quello transalpino il presidente è dotato di ampi poteri (ma non è un dittatore) sui quali tuttavia vigila il Parlamento, che ha anche, e precipuamente, il compito di occuparsi della grande legislazione, ma non ha l’esclusiva della funzione normativa una parte della quale spetta al governo.

In Italia, dove vige un parlamentarismo assoluto, e dunque un assoluto dominio dei partiti, l’obiettivo del legislatore non è garantire la funzione normativa, ma il diritto di ogni parlamentare di far valere contro le iniziative del governo, di qualsiasi segno sia, gli interessi, più presunti che reali, dei suoi elettori o delle lobbies che rappresenta e lo sostengono in campagna elettorale.

La questione s’inscrive nella grande discussione sulla sovranità e, dunque, sui limiti dei poteri costituzionali.

Se si proiettano le deficienze rilevate nel contesto policentrico che caratterizza l’assetto istituzionale del nostro Paese, si ha un quadro esatto della paralisi politica cui si deve il disagio crescente nella popolazione.

La sovranità politica attuale non è più quella che era fino a qualche tempo fa.

Essa è divisa fra enti sovranazionali, enti territoriali, autorità indipendenti:

tutti elementi che non potevano essere contemplati nella Carta costituzionale la quale si fonda, invece, sulla sovranità concepita sul modello dello Stato-nazione il quale, com’è noto, discende da un’antica concezione dello Stato che ha avuto in Jean Bodin il più grande teorico e che fu codificata in Europa con la pace di Westfalia nel 1648.

 Oggi si può dire, proprio perché sono radicalmente mutate le forme della sovranità, che assistiamo all’emergere di una sovranità che trae legittimità dal basso, dai cittadini, dai movimenti, dagli enti territoriali e sopranazionali, a cui vengono delegati o devoluti buona parte di molti poteri che in precedenza appartenevano in esclusiva allo Stato nazionale.

Questi diversi livelli di sovranità vanno ricondotti ad unità se si vuole evitare il pericolo di una disgregazione possibile del tessuto nazionale.

La sola possibile unità è una istituzione che tragga la propria legittimità dai cittadini:

 l’elezione diretta del Presidente della Repubblica o del capo dell’esecutivo, come istanza di coesione della molteplicità delle componenti della società civile.

 Diversamente, continueremo ad assistere al diffondersi del policentrismo fino ai limiti estremi dell’incontrollabilità e, dunque, alla disgregazione dell’unità statale priva di rappresentanza unitaria.

Il presidenzialismo è un grande tema politico-istituzionale che da sempre ha attraverso le diverse famiglie politiche in Italia.

E non va considerato come una sorta di contropotere, ma come un elemento di equilibrio e di riconoscibilità del processo di formazione della decisione che è uno dei fattori necessari alla modernizzazione del Paese.

 Da essa, dal momento decisionale “forte”, non si può prescindere se si intende procedere alla modernizzazione sociale e delle strutture civili del Paese, se non si dotano, cioè, i centri decisionali di poteri efficaci che, al momento, non dimentichiamo che vengono esercitati da soggetti diversa dalla classe politica, e dunque privi di legittimazione democratica, come supplenti insomma, che agisce sulla spinta di interessi personali o di gruppo.

Il presidenzialismo è, inoltre, un elemento di partecipazione, come si accennava, ma anche di chiarificazione all’interno dei rapporti tra i poteri dello Stato.

Con la sua adozione si stabilisce una netta linea di demarcazione tra i controllori ed i controllati, tra potere legislativo e potere esecutivo.

 Il Parlamento può effettivamente esercitare un controllo sul governo avendo questi la sua fonte di legittimazione fuori dalle aule parlamentari.

La formula della Repubblica presidenziale ha pure, oltretutto, una sua carica di suggestione quasi mitica perché avvicinando direttamente i cittadini al potere è il prodotto di un meccanismo di immediata comprensione proponendosi come rottura rispetto ad un sistema come l’attuale nel quale le degenerazioni partitocratiche sconfinano nel trasformismo e nella rottura del patto fiduciario con gli elettori.

Naturalmente un progetto del genere per concretizzarsi necessita di uno strumento non “ordinario”, ma “straordinario” da mettere in piedi con una legge possibilmente approvata a larghissima maggioranza.

Infatti, una “stagione costituente” non la si può far nascere prescindendo dalla consapevolezza, condivisa peraltro da quasi tutti i soggetti politici, che la Grande Riforma deve contenere le adeguate risposte alle esigenze reali dei cittadini, i quali si attendono, tra l’altro, la cessazione dell’estenuante guerriglia tra poteri dello Stato; una più razionale ed equa imposizione fiscale;

 la limitazione del decentramento che ridimensioni le Regioni, vere e proprie idrovore che drenano risorse pubbliche sottraendole allo sviluppo collettivo; criteri di autonomia di spesa contemperata con le oggettive richieste di solidarietà; una giustizia ordinaria ed amministrativa più spedita e dotata di procedure che garantiscano maggiormente i diritti della difesa (l’inserimento della figura dell’avvocato in Costituzione) e la certezza della pena, unitamente alla separazione delle carriere dei magistrati;

la tutela della privacy dell’invadenza tecnologica che ha assunto forme inquietanti nell’appropriazione delle “vite degli altri” da parte di aggressivi accaparratori di dati sensibili.

 

Un’impresa del genere, dalla quale dovrebbe scaturire addirittura, come si dice, la Terza repubblica, la può compiere soltanto una classe politica legittimata dall’investitura popolare con l’unico e preciso mandato di rinnovare il sistema politico-istituzionale

. Se non si vuol continuare a perdere tempo, nell’indecente dimostrazione di impotenza davanti all’opinione pubblica (come hanno dimostrato le varie Bicamerali e da ultimo una ritorna contraddittoria bocciata da un referendum) la strada conduce naturalmente alla formazione di un’Assemblea Costituente nella quale si confrontino idee, progetti, programmi dal cui lavoro venga fuori una nuova Carta dei diritti e dei doveri degli italiani in sintonia con le grandi questioni planetarie nelle quali siamo immersi.

 

Assemblea che dovrebbe essere eletta a suffragio universale e con sistema rigorosamente proporzionale, della quale non dovrebbero far parte i membri del Parlamento che per almeno due anni s’impegni nell’elaborazione di una nuova Costituzione ed i cui esiti dovranno essere sottoposti ad una deliberazione popolare.

È questo il solo strumento, che possa sottrarsi alla tentazione di influire sul parallelo ed ordinario svolgimento dell’attività parlamentare, senza condizionare la vita del governo e gli assetti parlamentari stabiliti dalle consultazioni elettorali.

Jean Jaurés, socialista e democratico, sosteneva che la Repubblica non va soltanto difesa: va organizzata.

 È dimostrato che la migliore difesa della Repubblica e dei valori repubblicani stia nell’organizzazione delle sue strutture politico-istituzionali.

 La scelta presidenzialista (declinata nelle forme giuridiche più opportune) è la sola possibilità alla portata per modernizzatore l’Italia e coinvolgere seriamente i cittadini nei processi decisionali.

 

 

 

 

«Chi sono io?» l’identità oggi,

 con l’altro e noi stessi.

Ilbullone.org – (19 Luglio 2022) – Loredana Beatrici – ci dice:

 

«Chi sono io?» la domanda che attanaglia l’essere umano dai tempi antichi.

La nostra identità è complessa e muta continuamente.

«Conosci te stesso» («Gnōthi seautón»).

Questa la scritta che campeggiava sul tempio del Dio Apollo a Delfi e che per secoli ha influenzato i più importanti pensatori della cultura occidentale.

Socrate, Platone, Kant, Nietzsche (solo per citarne alcuni) hanno cercato di rispondere alla domanda che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti:

 «Chi sono io?».

Già negli scritti di Aristotele si trovano riflessioni sull’identità e l’alterità, due concetti che camminano a braccetto, perché «esiste un noi solo in virtù del fatto che esiste e riconosciamo un altro da noi».

Nell’antica Grecia l’uomo veniva definito per la prima volta animale sociale, proprio perché la sua identità è il prodotto del riconoscimento degli altri.

 Se volessimo partire, però, dall’etimologia latina del termine, identità deriva da idem (stessa cosa), ed è il principio che ci permette di riconoscere ciò che è «uguale a noi stessi» e ciò che «ci distingue dagli altri».

Secondo la psicoterapeuta Patrizia Mattioli «l’identità racchiude tutto ciò che siamo: dal nome alla data di nascita, dalle caratteristiche fisiche a quelle psicologiche e culturali.

È il modo di ragionare, di affrontare i problemi, di comunicare.

Sono gli interessi, le abilità, l’atteggiamento verso il mondo, i rapporti affettivi, i progetti per il futuro.

Tutto questo ci rende unici agli occhi degli altri e identici a noi stessi, permettendoci di dire: “questo sono io”».

Due tipi di identità.

La psicologia sociale individua due tipi di identità:

quella oggettiva, ossia l’insieme delle peculiarità riconosciute dagli altri, come le caratteristiche fisiche, la condizione sociale e la personalità.

 Poi c’è l’identità soggettiva che è l’insieme delle caratteristiche che la persona riconosce in sé stesso e può essere positiva o negativa in base al livello di autostima.

È chiaro, quindi, come l’identità e la sua costruzione siano un aspetto fondamentale per l’essere umano e la psicologa Anna Oliverio Ferraris, nel libro “La costruzione dell’identità” spiega proprio come questa «ci permetta di definirci, di presentarci al mondo e riconoscerci».

Un senso di identità chiaro e stabile permette di reagire adeguatamente a cambiamenti come un matrimonio, la nascita di un figlio, un lutto, una vincita importante, che solitamente modificano l’immagine che si ha di sé.

 Un individuo, invece, con un senso di identità instabile, non è in grado di funzionare adeguatamente e perde il rapporto con la realtà.

 «È meglio avere un’identità negativa, che un’identità vaga», sottolinea la dottoressa Mattioli.

Sono tante le identità con le quali abbiamo a che fare:

 c’è l’identità di corpo, che riguarda le differenze anatomiche e biologiche, ma anche l’antropopoiesi, ossia la modifica del corpo per motivi culturali;

 c’è l’identità multipla, ossia lo studio dei ruoli che rivestiamo all’interno di contesti diversi;

c’è lo studio dell’identità in positivo, che si concentra sulle caratteristiche del gruppo di appartenenza,

o quella in negativo, che fa leva sugli aspetti non graditi degli altri;

 c’è poi l’identità virtuale e digitale, uno spazio dove l’individuo può creare un nuovo sé;

l’identità di genere, le identità fluide, quelle religiose, quelle nazionali, quelle culturali, etc.

Io sono…

Facciamo un gioco: prendete foglio e penna e scrivete «Io sono…» per 5 volte e poi prendetevi del tempo per proseguire le 5 frasi.

Fatelo pensando di consegnare lo scritto al nuovo vicino di casa, che non avete mai visto.

Ora rifate l’esercizio, pensando di presentarvi a un colloquio di lavoro.

Poi riscrivetelo, immaginando di consegnarlo al vostro partner.

Adesso fate l’ultimo sforzo e pensate che a scrivere questo biglietto siate voi, 15 anni fa.

Rileggeteli.

Probabilmente avrete cambiato parole, appartenenze, aggettivi, hobby e caratteristiche in ogni biglietto.

Non preoccupatevi.

Sappiate che gli studiosi sono tutti concordi sul fatto che l’identità sia un concetto mutevole.

Nel tempo, nei contesti e nelle fasi di vita.

È in continua trasformazione e si ridefinisce in base a quello che accade, a come lo percepiamo e alle persone che ci circondano.

L’identità, insomma, non è innata, ma è il risultato di un processo incessante che la forgia e la influenza.

 In altri termini: ciò che si è, si diventa.

 Il processo di costruzione di un’identità comincia alla nascita, si svolge prevalentemente nel rapporto con gli altri e prosegue per tutta la vita.

Per tutta la vita aggiungiamo, togliamo o modifichiamo qualità, tratti, interessi e capacità alla nostra identità.

 Proprio per questa sua natura mutevole, i cambiamenti della società influiscono notevolmente sulla costruzione dell’identità individuale.

Nelle società tradizionali, come spiega la Oliviero Ferraris, i ruoli erano definiti alla nascita.

 «Chi nasceva nobile tale sarebbe rimasto.

Chi nasceva contadino aveva scarse possibilità di dedicarsi ad altro.

Uomini, donne, bambini e anziani avevano doveri, diritti e ruoli diversi.

 L’identità era un tratto stabile non soggetto a discussione».

Identità individuale.

Con la modernità l’identità individuale ha cominciato a svincolarsi da quella del clan, della famiglia, della casta.

Si è diffusa la convinzione che l’individuo potesse contribuire attivamente alla costruzione di sé.

 «Questa nuova libertà dell’uomo contemporaneo comporta una nuova responsabilità verso sé stessi e la necessità di rivedere e rimodellare aspetti della propria identità». 

La società di oggi è una società complessa, difficile da decifrare, in cui predomina una molteplicità di modelli.

Questo rende più ardua l’identificazione.

Se da una parte, quindi, è positiva la riduzione dei condizionamenti di costume della tradizione, dall’altra la perdita di modelli definiti rende più difficile la costruzione di un’identità stabile.

Per questo il sociologo polacco Zygmunt Bauman parla di problema identitario della società post-moderna.

Bauman presenta il concetto di desembedding (sradicamento), che non permette all’individuo di trovare il proprio posto in un mondo sempre più globalizzato, multiculturale, dinamico, imprevedibile, «liquido».

Non sapendo bene dove collocarci rispetto all’altro (lo straniero, come il vicino di casa) diventa difficile adottare misure di comportamento adeguate alle situazioni e si finisce per cercare spasmodicamente qualcosa in cui riconoscersi.

Questo fenomeno viene accuratamente studiato dall’antropologo Francesco Remotti, autore del testo “Ossessione identitaria”, in cui spiega come «la ricerca insistente di un’identità sposta i sistemi sociali verso la chiusura, costruendo confini netti e invalicabili».

Dire identità oggi, continua Remotti, «significa affermare la costituzione di un nucleo di valori che si configura come una barriera nei confronti degli altri».

L’antropologo sottolinea anche come questo modello tutto occidentale, dove l’identità vive in una contrapposizione binaria tra noi e loro, crolla in una società multietnica, perché non sono più chiari i confini.

Identità con l’altro.

Ci ricorda, però, come esistano anche altri paradigmi, oltre a quello dell’Occidente.

In Africa, per esempio, la cultura è più aperta all’alterità.

 «Il caso più clamoroso d’identità vissuta come commistione è quello degli indios brasiliani Tupinamba, che praticavano il cannibalismo nei confronti dei prigionieri.

Si nutrivano dell’altro, ma solo dopo che era stato inserito nella loro società».

Senza dover ricorrere al cannibalismo, che lo studioso utilizza come esempio estremo di unione con l’altro, l’insegnamento da cogliere è quello di non vivere nel rifiuto dell’altro.

In una società così complessa, non bisogna cascare nel tranello di confondere la propria identità con l’identificazione ad un gruppo.

In assenza di un’immagine di noi solida e delineata, il rischio è quello di prendere in prestito quella di altri e demandare al gruppo le responsabilità delle nostre azioni.

Questo è il processo alla base delle guerre civili, degli scontri etnici, delle risse sul Lago di Garda.

 È quello che accade quando si decide di identificarsi solo come africani, o solo come stranieri, o solo cristiani, solo italiani, solo tifosi, solo donne, solo omosessuali, solo malati.

Si innesca un circolo vizioso il cui obiettivo è la distruzione dell’altro, ma se la nostra identità vive in relazione agli altri, il loro annientamento diventa il nostro.

Umberto Galimberti ci suggerisce, perciò, di non fossilizzarci sulle risposte «Io sono…», ma di incrementare le domande e non smettere mai di chiederci «Chi sono?».

Solo così ogni nostro bigliettino avrà delle parole diverse.

E solo così potremo davvero dire di conoscerci.

 

 

 

Identità personale ed

identità culturale.

Oikonomia.it - Antonino Urso e Teresa Di Bonito – (10-1-2023) – ci dice:

 

 “La sfera - dice il Papa - può rappresentare l'omologazione, come una specie di globalizzazione: è liscia, senza sfaccettature, uguale a sé stessa in tutte le parti.

 Il poliedro ha una forma simile alla sfera, ma è composta da molte facce.

Mi piace immaginare l'umanità come un poliedro, nel quale le forme molteplici, esprimendosi, costituiscono gli elementi che compongono, nella pluralità, l'unica famiglia umana.

E questa sì è una vera globalizzazione.

L'altra globalizzazione - quella della sfera - è una omologazione".

(Verona 2014, 3° Festival della dottrina sociale).

 

Con il modello del poliedro si superano e si rispettano tutte le differenze culturali, personali, etniche, religiose, sessuali.

Diversi autori considerano la migrazione come un grande rischio:

da una parte, in ragione della condizione economica e sociale in cui si collocano gli individui e i gruppi migranti;

dall’altra, per il fatto di minare l’integrità identitaria del soggetto, attraverso uno shock culturale tale da produrre dei disturbi psichici.

 L’assistenza psicologica ai migranti è certamente un’impresa difficile e necessita, per l'accennata complessità delle problematiche compresenti, di formazioni e specializzazioni molteplici.

La stessa relazione clinica non si presenta come un semplice contatto tra due singoli, ma racchiude un ponte tra due mondi, ognuno dei quali riproduce le proprie conoscenze, le personali credenze e le singole attese.

Anche se la comprensione dell’esperienza psicologica dei migranti non necessita di una psicologia ad hoc, essa non può che fondarsi su conoscenze specialistiche che necessariamente rinviano allo sviluppo dell’essere umano, mettendo in evidenza le diverse variabili in gioco:

il ruolo delle interazioni con l’ambiente familiare, il carattere strutturante delle relazioni sociali, i legami tra il funzionamento affettivo, cognitivo e sociale, le dinamiche dei rapporti interpersonali e intergruppo, i meccanismi della costruzione del sé e dell’identità, il ruolo delle inserzioni sociali ed altre ancora.

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) - IRCRES (Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile afferma che:

 “Tra le variabili che più spesso si riscontrano nei colloqui terapeutici introduttivi, vi sono le situazioni di difficoltà di percezione di se stessi dentro di sé e in relazione al mondo esterno.

Il disagio che ne deriva sono momenti di scollamento in cui l’individuo si sente spaesato e rischia di sviluppare delle tecniche o delle modalità di sopportazione o superamento del disagio che possono sfociare in comportamenti usualmente reputati devianti o violenti.

Molto spesso le lunghe separazioni, ma anche i ricongiungimenti, sono fonte di grandi tensioni nelle persone immigrate.

 Questi eventi, infatti, impongono un periodo difficile nel quale si devono riconoscere gli altri, parenti anche strettissimi, si deve tentare la ricostruzione del contatto e della relazione fra persone che, pur legate da parentela o da grande affetto, hanno percorso, tuttavia, una parte del cammino da soli e distanti dal proprio ambiente nativo” ("Verso una pragmatica interculturale: l'espressione e l'interpretazione del disagio psicologico degli immigrati", RiMe, 2009, p. 214).

Un bambino piccolo non sa ancora bene chi sia (è una specie di piccolo caos);

alla ricerca di una propria identità, inizia a connotarsi e a significarsi rispecchiandosi nello sguardo e nel comportamento dei suoi genitori, in base alle loro aspettative:

potremmo dire in base alle maschere che il padre o la madre gli fanno indossare, quando egli non è ancora in grado di definire ed esprimere la propria identità.

Abbiamo usato il termine "maschera" perché in tutte le tradizioni simboliche conosciute la maschera assolve alla funzione principale di fornire una identità a chi se ne serve e che si utilizza per esigenze rituali, comunitarie o sociali quando, per qualche motivo, non si può o non si vuole mostrare il proprio vero volto (dunque la propria identità).

Il termine persona si riferisce ad un essere che possiede specifiche, spiccate e appropriate caratteristiche individuali:

di un uomo dotato di personalità si dice che è una persona nel senso proprio del termine;

 persona in latino, derivandolo dal greco pròsopon, non a caso significa maschera.

Con il termine maschera o persona la psicologia analitica junghiana intende l’aspetto che l’individuo assume nelle relazioni sociali e nel rapporto con il mondo, cioè l’immagine che fornisce quale rappresentazione pubblica.

La maschera / persona crea uno spazio psicologico di versatilità necessario a rispondere alle necessità esistenziali:

l’atteggiamento verso l’esterno è un “saper stare al mondo” che prevede un soggetto che ha delle competenze e conosce i fondamenti della propria costruzione culturale.

La maschera è anche un mediatore tra l’Io e il mondo esterno:

 essa esprime la possibilità dell’individuo di adattarsi all’ambiente sociale, culturale e umano, di presentarsi e al contempo di nascondersi.

 La funzione psicologica che Jung chiama Persona è una maschera che ha, tra gli altri, lo scopo di far emergere dall’indifferenziato, nel tempo, quello che siamo veramente, e di rappresentarlo.

Dal punto di vista psicologico la maschera rappresenta un filtro tra la coscienza individuale e l’esterno, inteso come coppia, famiglia, società.

C’è una maschera dove c’è una relazione, un’interazione umana: solo quando siamo da soli non ne abbiamo bisogno, forse.

Ogni maschera con il suo specifico aspetto, ognuna con la propria funzione, una maschera per ogni situazione e per ogni stagione del nostro umore:

se ne siamo consapevoli, le maschere ci aiutano ad immedesimarci nei vari ruoli a cui la società ci chiama, ad agire e relazionarci nel nostro ambiente di vita.

 Quando sono presenti un sufficiente equilibrio emotivo e una adeguata conoscenza di sé, è possibile entrare ed uscire dalle maschere senza forzature ed in modo armonico, consapevoli in ogni momento di chi siamo, di come ci stiamo muovendo e della direzione nella quale stiamo andando.

 Le maschere diventano così strumenti al nostro servizio, arricchimento ed espressione della nostra personalità;

al contrario, finché l’individuo non conosce sé stesso non può riconoscere neanche le proprie maschere, rischiando di esserne dominato da esse.

Quando manca un reale contatto con se stessi, con i propri sentimenti, con le personali istanze e aspirazioni, in assenza quindi di comprensione e di significato, l’individuo si incancrenisce in un’unica modalità espressiva, indossando la stessa arida maschera.

La persona che “diventa” il proprio ruolo sociale o familiare, il proprio lavoro, la propria missione, si identifica con la maschera in modo così totalizzante da dimenticare che sotto ci sia mai stato qualcos’altro.

L’identità non è però solo una caratteristica appartenente al singolo: può anche essere propria di una specifica comunità, come pure della società intera.

Individuo e società infatti sono in reciproco rapporto duale:

 la società partecipa alla costruzione dell’identità di ciascuno, mentre l’individuo contribuisce a trasformare la società, intesa nelle sue declinazioni di istituzioni, organizzazioni e gruppi.

 Individuazione e sviluppo psicosociale quindi poggiano su una doppia fondazione transpersonale:

la matrice culturale di base e la matrice del gruppo familiare.

Derivato dal latino “mater”, “madre”, il concetto di matrice è fondamentale nella teoria foulkesiana:

l’ipotetica trama di comunicazioni e di relazioni in un dato gruppo, un costrutto teorico il cui scopo è mettere in luce l’esistenza di trame psichiche comuni da cui traggono senso le vicende dei singoli, uno sfondo comune condiviso.

Essa costituisce una vera e propria rete di rapporti, che rappresenta il reticolo interpersonale complessivo formato dai membri di un gruppo nel loro reciproco relazionarsi.

L’autore distingue la matrice di base, dinamica e personale - intendendo quella fondata sulle proprietà biologiche della specie, ma anche sui valori e sulle relazioni saldamente radicati e trasmessi culturalmente - dal costrutto sovrapersonale che si costituisce all’interno del gruppo, rappresentando la visualizzazione di quanto avviene nel qui-e-ora in termini anche di comunicazione inconscia.

 Foulkes diede il nome di matrice personale ai processi soggettivi che riguardano l'individuo a partire dalla personale esperienza costitutiva in qualità di componente di un gruppo, familiare e culturale.

Si può quindi sostenere che non solo la famiglia ma anche la cultura, sin dal concepimento rende edotto il soggetto nascente secondo le forme dell’identità da essa istituite e tramandate.

Ne consegue che un adeguato processo d’integrazione conduce ad una estensione di ciò che consideriamo costitutivo della nostra identità;

detto in altri termini, possiamo aumentare il numero delle nostre radici, estendere il personale senso di appartenenza e diventare capaci di interagire senza timore anche con individui che hanno appartenenze diverse.

La società contemporanea appare profondamente segnata da pratiche sociali e culturali che hanno prodotto non solo l’indebolimento di quei legami che derivano dal senso di appartenenza e dalla partecipazione alla vita collettiva, ma anche - come esito conclusivo del processo di progressiva distruzione del senso psicologico di comunità - isolamento, anomia, segregazione.

Nel passato chi era afflitto da problemi che la vita gli faceva esperire come singolo individuo, aveva la possibilità di significarli e condividerli all’interno di un contenitore saldo e capace;

per quanto tragici, i suoi guai potevano apparire come incidenti di un percorso accidentato e difficile, in un paesaggio sostanzialmente integro:

 ci sarebbe sempre stata una Chiesa, una Patria, uno Stato, un Paese d’origine a riconoscerlo, a fornirgli un posto, ad accoglierlo quando smarrito.

Questa percezione di qualcuno (Chiesa, Stato, Comunità) disposto a riconoscerci, assegnarci un posto, accoglierci ed aiutarci, è difficile già per chi cresce nel proprio Paese d’origine, nella propria città e quartiere;

 per un migrante, che vive lontano dalle proprie radici e spesso persino dalla propria famiglia, questo aiuto appare impossibile.

Se mettersi in viaggio significa lasciare persone care, luoghi nei quali si è vissuti, cose e abitudini familiari, allora la migrazione implica necessariamente una frattura, un distacco forzato da qualcuno (familiari, amici) e da qualcosa (la casa, il quartiere, il luogo di lavoro).

Ma non solo: migrare significa implicitamente di più.

Significa abbandonare tutti gli involucri che hanno protetto sino a quel momento: i

l ventre materno, il parco dei giochi di bambino, la famiglia, il gruppo di amici, i tanti luoghi della socializzazione (il bar, la piazzetta, la strada del passeggio, il circolo).

Lasciare tutto per dirigersi altrove, in luoghi lontani dalle immagini consuete, dagli odori e dai suoni familiari, da tutte quelle sensazioni che si è imparato a conoscere e che costituiscono i solchi e i primi tracciati della storia personale, l'impalcatura grazie alla quale il codice del funzionamento psichico ha preso gradualmente forma, sino ad arrivare a compiersi e a stabilizzarsi.

 Il risultato è quello di trovarsi a metà strada tra due culture, quella di provenienza e la nuova che accoglie.

 È inevitabile vivere sulla pelle le molte contraddizioni che ne derivano; conseguenze possono essere la voglia di rifiutare in toto la nuova cultura o, viceversa, il tentativo di integrarsi pienamente, tra la paura di essere rifiutati in ragione della propria diversità e la tentazione di rifiutare le proprie origini.

 In modo aristotelico, la soluzione più funzionale e adeguata sarà quella di riuscire a trapiantare le proprie radici dalla realtà di origine alla nuova, senza rinunciare a sé stessi, alla propria identità, ma anzi aprendosi agli innesti provenienti dal nuovo humus ambientale, relazionale e culturale.

Le diverse comunità migranti cercano di riprodurle lontano, mentre le comunità “tristi” e “minimali” le vedono come minaccia a ciò che è “vicino”, come rischio e come futuro insopportabile.

Una situazione nuova e inusuale crea spesso incertezza e smarrimento e richiede un tempo di adattamento più o meno prolungato a seconda della personalità di chi la affronta e dei luoghi nei quali prende forma.

Così il migrante che arriva in terra straniera, quando entra in contatto con la società che lo ospita, sperimenta frequentemente un fastidioso senso di disagio di fronte all’ignoto.

È ricorrente che avverta un sentimento di estrema solitudine, in quanto lontano da familiari e amici, sradicato dalle sue tradizioni e proiettato in un mondo a lui estraneo.

 Privato della propria identità culturale e invischiato in una realtà che spesso fatica a comprendere e dalla quale spesso non è compreso, facilmente si trova a sperimentare l'indifferenza, quando non l'intolleranza e l'ostilità, del nuovo ambiente.

Winnicott considera l’eredità culturale come un’estensione dello «spazio potenziale» tra l’individuo e il suo ambiente.

 L’uso di tale spazio è subordinato alla formazione di uno spazio fra due:

tra l’Io e il Non-Io, tra il Dentro (gruppo di appartenenza) e il Fuori (gruppo ricevente), tra il Passato e il Futuro.

 L’emigrazione ha quindi bisogno di uno spazio potenziale che gli serva da luogo di transizione e da tempo di transizione, tra il “paese - oggetto materno” e il nuovo mondo esterno.

Se la creazione di uno spazio siffatto non avviene, si determina una rottura nel rapporto di continuità tra l’ambiente circostante e il Sé.

L’«oggetto transazionale» viene vissuto come qualcosa che non è creato e controllato soggettivamene e neppure separato e trovato, ma che in qualche modo si trova nel mezzo.

La frattura che si genera può essere paragonata all'assenza prolungata dell’oggetto desiderato dal bambino, che facilmente conduce alla perdita delle capacità di simbolizzazione e al bisogno di ricorrere a difese più primitive.

 La madre crea quello che Winnicott definisce l’ambiente di holding:

uno spazio fisico e psichico in cui il bambino è protetto senza sapere di esserlo, in modo che proprio questa dimenticanza costituisca la base dalla quale potrà partire spontaneamente per le esperienze successive.

Parimenti l'emigrante, con la perdita dei personali oggetti rassicuranti, subisce forzosamente una diminuzione delle proprie capacità creative;

il loro recupero dipenderà dalla possibilità di elaborare lo stato di deprivazione e dalla personale capacità di superarlo.

Ancora prima di giungere nel paese straniero, in realtà, alcuni elementi possono almeno in parte definire il carattere e l’esito del progetto migratorio: le ragioni della partenza, la motivazione al viaggio, la concezione della migrazione, la cultura d’origine.

 L’impatto con una società distante dall'Eldorado prefigurato prima della partenza e che invece il più delle volte è non accogliente e inospitale, distrugge le attese e le speranze del migrante;

 questi facilmente potrà sperimentare un profondo senso di disagio psicologico, espresso attraverso un malessere che non di rado arriverà a somatizzare (talvolta arrivando persino a sviluppare un vero e proprio disturbo mentale) e che spesso lo condurrà alla fuga dal nuovo ambiente - percepito come ostile - e al ritorno in patria, da sconfitto.

L’immigrato richiama categorie d’inclusione ed esclusione sociale quali quelle di “cittadino” e di “straniero” (interno alla società come partecipante allo sviluppo economico, ma esterno in quanto non cittadino).

Essere dentro significa sentirsi appartenente al gruppo nel quale ci si rispecchia, poiché ci si sente accettati ed amati.

L’appartenenza si trasforma così in difesa dal nemico comune: ci si unisce nell’idealizzazione di un “ente” comunemente riconosciuto come superiore, al quale offrire la propria dipendenza condivisa (in questo caso la Patria, la religione, le associazioni e così via.).

Il dentro, quindi, è concepibile solo se si configura un fuori, inteso come estraneità simbolizzata, come “nemico”.

Tutto ciò che è fuori è concepito come diverso, come altro da sé, come forestiero, come minaccia.

Verso “l’altro” si vive un duplice atteggiamento che va dall’attrazione, dal desiderio di esplorazione e di conoscenza, alla rabbia distruttiva, all'invidia, alla sfida.

Tale ambivalenza è presente tanto a livello sociologico che a livello culturale e psicologico.

 Dalle testimonianze emerge come – anche quando la partenza dal proprio Paese è una libera scelta – siano presenti, al contempo, sentimenti di paura e di colpevolezza per aver abbandonato la propria patria, la propria famiglia.

 La migrazione si manifesta quindi come elemento critico - generativo tanto di una serie di potenziali vantaggi (come l’accesso a una nuova opportunità di vita, di speranza e di orizzonti), quanto di un insieme di difficoltà e di tensioni.

L’impatto con la nuova cultura dunque abbisogna necessariamente di un dato tempo di assestamento e di riflessione, che consenta al nuovo arrivato di conoscere il nuovo contesto e di adattarvisi.

C’è un’identità inquietante e inaccettabile – quella dell’ “altro da sé” – che smentisce, relativizza e rende precaria la percezione della propria, una volta rassicurante e, con essa, le certezze dell’esistere.

Un'identità precaria è quella data dalla condizione di dover continuamente ri-negoziare la propria immagine nel teatro delle relazioni sociali, come ha mostrato Ervin Goffmann, o nel gioco che presiede l’interiorizzazione del modo in cui gli altri ci vedono, come ha mostrato George Herbert Mead.

 

L’emigrazione è certamente una delle circostanze della vita che più espongono la persona a forme di disorganizzazione psichica;

tuttavia, laddove l’individuo possieda sufficienti capacità di elaborazione cognitiva, riuscirà a superare la crisi e potrà persino assumerla quale occasione di “rinascita”:

 l'uomo vecchio si immerge interamente nel fonte battesimale per riemergerne come un uomo nuovo, in una sorta di "ri-creazione".

La maschera, oltre ad avere lo scopo di far emergere le individualità, può avere anche una funzione difensiva.

È proprio durante questi momenti di messa in discussione personale che si attiva più che mai il bisogno di una maschera provvisoria, che fornisca la consapevolezza che la personalità non sia frammentata, inter-rotta, bensì ancora unita, legata, per evitare di sprofondare nel caos dal quale potrebbe non più uscire.

Spesso questa maschera provvisoria e difensiva è rigida, il più delle volte ha la forma della nevrosi;

 ciononostante talvolta è proprio grazie ad essa che l’individuo riesce a percepirsi ancora come un’entità coesa, un’identità, come spiega magnificamente Pirandello attraverso le sue opere.

Nel momento in cui l’individuo esce dallo stato di caos, la maschera cambia:

 diventa più flessibile, quasi camaleontica, e si presenta come uno degli elementi psichici che più di altri può aiutare la persona ad entrare in rapporto con il mondo - tanto interno a sé quanto esterno -, rappresentando in tal modo un fattore di adattamento sano.

 

 

L’autodichiarazione di genere

a soli 16 anni votata dalla Scozia

mette nei guai il Regno Unito.

Tempi.it - Caterina Giojelli - (17/01/2023) – ci dice:

 

Il governo britannico ha bloccato la riforma, che avrebbe aperto a rischi concretissimi di abuso.

 La Scozia insorge ma una cosa è neolingua, altro è spianare la strada al “turismo di genere” e cancellare ogni forma di tutela di donne e minori.

Il governo britannico ha bloccato la riforma del riconoscimento di genere di Nicola Sturgeon approvata a dicembre dal parlamento scozzese.

L’amministrazione di Rishi Sunak si era detta più volte «preoccupata» dalle conseguenze del “Gender Recognition Act” e ha optato per un’azione diretta, piuttosto che deferire la questione alla Corte Suprema.

 Nicola Sturgeon, premier scozzese, ha definito l’intrusione «un attacco frontale al Parlamento scozzese democraticamente eletto e alla sua capacità di prendere decisioni su materie che gli competono».

 Il segretario scozzese, Alister Jack, aveva già avvertito della possibilità che il governo britannico invocasse la “sezione 35 dello Scotland Act”, che gli conferisce il potere di veto nel caso in cui le leggi di uno stato entrino in conflitto con quelle del governo centrale.

Il tema è serissimo e ha poco a che vedere con gli slogan sui diritti delle persone trans e molto con l’Equality act e le leggi del Regno Unito.

Dove numerosi sondaggi condotti nell’ultimo anno confermano che la quasi totalità degli inglesi si oppongono convintamente al self-id, l’impopolarissima autodichiarazione di genere approvata dal parlamento scozzese a dicembre per consentire a chiunque abbia più di 16 anni di ottenere, senza alcuna diagnosi medica di disforia, un certificato grazie al quale un uomo potrà essere trattato dalla legge come una donna, e viceversa.

Al governo del Regno Unito spettavano 28 giorni – fino al 19 gennaio – per decidere se proibirne la conversione in legge.

Lo scontro tra Regno Unito e Scozia.

A preoccupare gli inglesi – nella patria di tutte le follie gender ma anche del terribile scandalo Tavistock, la gender clinic che ha trattato migliaia di minori con farmaci sperimentali – sono i rischi concretissimi di abuso:

una cosa è neolingua, cancellare la “donna”, affibbiare la pecetta politicamente corretta di “menstruator”, “persone con la cervice”, “possessori di vagina” al genere umano,

 altro è spianare la strada a una forma di “turismo di genere” che consentirebbe ai maschi biologici di approfittare del nuovo status per beneficiare di sussidi, frequentare spazi riservati alle donne, o peggio consentire ai detenuti, stupratori compresi, di chiedere il trasferimento nelle carceri femminili o ottenere una riduzione della pena.

Michael Foran, esperto di diritto costituzionale presso l’Università di Glasgow e autore di Policy Exchange, ha spiegato più volte in punta di diritto come il disegno di legge scozzese finirebbe per avere gravi ripercussioni sulla legislazione britannica in materia di pari opportunità e danneggiare le donne, privandole di ogni tutela, infilando il governo in «un ginepraio» giuridico ingarbugliato dalle politiche di genere.

 Ad oggi nel Regno Unito è richiesto che una persona debba avere almeno 18 anni, una diagnosi di disforia di genere rilasciata da un medico e che dimostri di aver vissuto nella sua “identità di genere” preferita per almeno due anni prima di richiedere il cambio di sesso nei documenti.

I rischi per donne e ragazze.

Il disegno di legge Sturgeon non solo abbassa l’età minima a 16 anni, ma estromette del tutto esperti e medici, portando a soli tre mesi il periodo richiesto per confermare la propria decisione e imporre alla legge di riconoscere una propria identità percepita piuttosto che il sesso biologico.

La giustificazione dei “transattivisti” in Scozia è che sia «umiliante» giustificare cosa sono attraverso il parere di un medico.

Ma per Foran e numerosi altri giuristi inglesi la rivendicazione collide con la legge britannica:

 modificherà la definizione di “sesso” e “riassegnazione di genere” quali caratteristiche protette, consentendo anche alle persone che non soffrono di disforia di genere di cambiare sesso legalmente.

Modificherà gli equilibri giocati sull’uguaglianza nel settore pubblico.

Renderà più difficile escludere gli uomini da spazi che attualmente sono aperti a sole donne e darà a chiunque si dichiari donna il diritto di venire incluso in gruppi e associazioni femminili.

 Inoltre, grazie a un semplice certificato, i maschi di 16 e 17 anni avranno il diritto di venire ammessi alle scuole femminili.

3 GENNAIO 2023.

Questo perché gli effetti del “Gender Recognition Act” non saranno limitati alla Scozia:

 il sesso acquisito da coloro che possiedono certificati scozzesi di riconoscimento del genere dovrà essere riconosciuto anche in Inghilterra, Galles o Irlanda del Nord.

I conservatori dovranno rispondere.

Lo Spectator aveva spiegato bene perché questo sarebbe accaduto se Sturgeon l’avesse avuta vinta:

 «Chiunque sia nato in Scozia potrà presto richiedere un “Gender Recognition Certificate” – semplicemente perché ne vuole uno – e poi riceverà un nuovo certificato di nascita dal National Records Scotland.

 L’Inghilterra e il Galles potrebbero decidere di non riconoscere i “Grc scozzesi”, ma non possono rifiutarsi di riconoscere i certificati di nascita».

 A poco serviva alla Scozia sottolineare che i truffatori rischiavano una pena detentiva pari a due anni: non c’è mai stato nel Regno Unito un processo per falsa dichiarazione di genere.

E pensare di assistere ad azioni legali sul tema nel futuro è un’illusione:

 «Non riesco a immaginare come si possa ottenere una condanna penale per qualcuno che non riesce o non intende vivere “da donna” – scrive Foran -.

Se la donna è uno status legale e solo uno status legale, allora vivere con un [certificato di riconoscimento del genere] che attesti che sei una donna è vivere “da donna”».

Se l’analisi di Foran è corretta, a Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord sarebbero stati di fatto imposti cambiamenti legali votati solo dal parlamento scozzese.

 I conservatori sarebbero stati costretti ad accogliere una riforma che né loro né – ripetiamolo – la stragrande maggioranza degli elettori sostiene, nonché il rischio di essere ritenuti responsabili di ogni potenziale conseguenza.

 

 

 

Evoluzione del comunismo:

la distruzione della famiglia tradizionale.

Museodelcomunismo.it – Redazione – Stefano Zecchi -(10-6-2022) – ci dice:

Le teorie economiche dei comunisti si sono rivelate fallimentari: ovunque applicate hanno prodotto enormi catastrofi.

Tuttavia alcune idee dei socialisti e dei comunisti sulla società, sulla famiglia, sull'educazione dei figli continuano a circolare, producendo danni altrettanto gravi e una aberrante povertà morale nelle società occidentali.

L'estrema deriva di questo pensiero è l'ideologia gender che sostiene la non-esistenza di una differenza biologica tra uomini e donne determinata da fattori scritti nel corpo, ma che gli uomini e le donne sono uguali da ogni punto di vista.

 C'è, per l'ideologia gender, una differenza morfologica ma non conta nulla ed è superabile.

Per gli ideologi gender, la differenza maschile / femminile è una differenza esclusivamente culturale:

 gli uomini sono uomini perché sono educati da uomini, le donne sono donne perché sono educate da donne.

Stefano Zecchi.

C'è secondo Stefano Zecchi (scrittore, filosofo ed ex comunista) un motivo culturale che conduce a propagandare la filosofia gender e cioè che l’estremismo radicale con cui prima la sinistra affermava che il comunismo era la salvezza per i popoli è stato trasferito nella convinzione che i generi vadano aboliti.

 “Dire che i generi non sono più maschio e femmina – afferma – ma addirittura 56 tipi diversi diventa la battaglia per un’identità politica.

Come prima credevano sinceramente che il comunismo salvasse il genere umano e si riconoscevano nella moralità ineccepibile, così oggi sostengono che il gender salva dall’abbrutimento.

Ma così la politica diventa biologismo, selezione della specie, darwinismo deteriore.

Basta leggere i loro testi”. 

Sempre Zecchi sull'indottrinamento dei bambini all'ideologia gender fin dalle scuole elementari:

«Mette i brividi questo tentativo di sottrarre i bambini all’educazione dei genitori, contrapponendo ai valori e alle tradizioni della loro famiglia, qualcosa di imposto dallo Stato e di aleatorio».

«Una cosa degna del peggior comunismo stalinista».

Comunisti contro la famiglia.

Marx e Engels avevano le idee chiare sulla famiglia. Distruggerla.

 E l'hanno scritto ben chiaro nel Manifesto del partito comunista (wikisource.org/wiki/Il_Manifesto_del_Partito_Comunista/II):

Marx - Engels: abolire la famiglia.

Abolire la famiglia! Sino i più radicali s’indignano a questa esecrabile intenzione dei comunisti.

Quale è la base della famiglia borghese dell’epoca nostra?

Il capitale e il guadagno individuale.

La famiglia non esiste allo stato completo che per la borghesia, ma essa si completa nella prostituzione pubblica, e nella soppressione delle relazioni di famiglia per il proletario.

La famiglia del borghese sparisce naturalmente colla scomparsa del suo completamento necessario, e l’uno e l’altro scompaiono coll’abolizione del capitale.

Ci rimproverate di volere abolire l'educazione dei fanciulli fatta dai loro parenti? Confessiamo il delitto.

Voi pretendete che sostituendo l’educazione sociale all’educazione domestica si spezzano i vincoli più cari.

 La vostra educazione non è forse essa pure determinata dalla società, dalle condizioni sociali, nelle quali voi allevate i vostri fanciulli, dall’intervento diretto od indiretto della società coll’aiuto delle scuole, ecc.?

I comunisti non inventano l’influenza della società sull’educazione, essi ne cambiano soltanto il carattere e strappano l’educazione all’influenza della classe dominante.

Comunismo e diritto all'aborto.

Le cifre sull'aborto forzato in Cina (la politica del figlio unico) sono impressionanti: si stimano 400 milioni di morti da quando è entrato in vigore l'obbligo di generare un solo figlio.

In anni recenti si sono superati i 13.000.000 di aborti all'anno.

L’aborto libero e legale, cioè riconosciuto dalla Legge come diritto, come cosa giusta, appare per la prima volta nella Storia con la Rivoluzione comunista del 1917:

il comunismo parte dal presupposto arbitrario che la famiglia non sia un istituto naturale, ma un portato della Storia, un istituto artificiale.

La famiglia sarebbe tipica di un mondo ingiusto e corrotto, quello "borghese", che riconosce la proprietà privata dei beni materiali e quella che per i comunisti è la «proprietà privata degli affetti», la famiglia, appunto.

Per Vladimir Lenin (1870-1924), che si colloca sulla scia dei pensatori social-comunisti - Dom Deschamps (1716-1774), Étienne-Gabriel Morelly (1717-1778), Babeuf (Settecento), Charles Fourier (1772-1837) e Karl Marx (Ottocento) - abolizione della proprietà privata significa dunque anche abolizione dei rapporti familiari moglie-marito, genitori-figli: per questo introduce, coerentemente, il divorzio e l'aborto.

L'aborto per i comunisti è giustificabile anche alla luce di un altro cardine del pensiero comunista: il materialismo.

L'uomo, e così pure il bimbo nel ventre materno, è pura materia, senza anima e destino immortali. Le conseguenze pratiche non tardano a manifestarsi.

 Françoise Navailh, nella sua Storia delle donne: il Novecento, a cura di Françoise Thebaud, (Ed. Laterza 1992), scrive:

«L'instabilità matrimoniale e il rifiuto massiccio dei figli sono i due tratti caratteristici del tempo.

Gli aborti si moltiplicano, la natalità cala in modo pauroso, gli abbandoni dei neonati sono frequenti.

 Gli orfanotrofi sommersi, diventano dei veri mortori.

 Aumentano gli infanticidi e gli uxoricidi.

Effettivamente, i figli e le donne sono le prime vittime del nuovo ordine delle cose. I padri abbandonano la famiglia, lasciando spesso una famiglia priva di risorse»

Gli effetti di tale politica divorzista e abortista si vedono ancor oggi: basti pensare quanti e quanto grandi sono gli orfanotrofi negli ex Paesi comunisti (Romania, Ucraina, Bielorussia, Russia, ecc…), da cui vengono presi gran parte dei bambini adottati in Europa (adozioni internazionali).

 In Russia si arrivava al punto, come ha raccontato Olga Kovalenko, olimpionica in Messico nel 1968, che, come lei,

«anche altre ginnaste nell'URSS venivano indotte a concepire e poi abortire, perché con la gravidanza l'organismo femminile può produrre più ormoni maschili e sviluppare più forza.

Se rifiutavano, niente Olimpiadi».

Il comunismo e l'ideologia "gender."

Mario Mieli “l’ideologo".

In campo di morale sessuale il comunismo ha fatto una completa inversione ideologica: sotto Stalin, Mao, e altri tiranni comunisti gli omosessuali venivano imprigionati, deportati e costretti ai lavori forzati.

Ora, sotto le bandiere del partito comunista, ancheggiano pederasti, lesbiche, trans e ogni altra possibile categoria di persone appartenenti a qualche devianza sessuale.

Le sedi di Sel / PD / Rifondazione comunista sono piene di bandiere arcobaleno, che capovolte sono diventate l'emblema dei "gay".

Sono state rimosse le foto ufficiali di Stalin, (probabilmente non quelle di Lenin o di Mao) ma campeggiano in bella vista i ritratti di Pasolini.

Uno degli artefici di questa tendenza della sinistra a farsi portatrice delle rivendicazioni di sodomiti e altri deviati è Mario Mieli.

Mario Mieli [Mario Mieli: comunismo e depravazione] filosofo, pederasta e comunista italiano scriveva:

Il maschilismo dimostra di essere il più grave impedimento alla realizzazione della rivoluzione comunista:

esso divide il proletariato e – quasi sempre – fa dei proletari eterosessuali i tutori della Norma sessuale repressiva di cui il capitale necessita per perpetuare il proprio dominio sulla specie.

 Gli eterosessuali maschi proletari sono corrotti: essi accettano di farsi pagare la misera moneta falloforia del sistema per tenere a freno, in cambio delle gratificazioni meschine che ne traggono, la potenzialità rivoluzionaria transessuale delle donne, dei bambini e degli omosessuali. (wikiquote.org/wiki/Mario_Mieli)

«Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero.

 Noi, sì, possiamo amare i bambini.

Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro.

Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica» (wikipedia.org/wiki/Mario_Mieli)

 

In un brano del "saggio" “Gay rivoluzionario” di Mario Mieli, eroe – simbolo dell’omosessualismo, icona dell’ideologia gender in Italia:

“Noi sodomizzeremo i vostri figli, simboli della vostra mascolinità debole, dei vostri sogni superficiali e delle vostre volgari menzogne.

Li sedurremo nelle vostre scuole, nei vostri dormitori, nelle vostre palestre, nei vostri spogliatoi, nelle vostre arene, nei vostri seminari, nei vostri gruppi giovanili, nei bagni dei vostri teatri, nelle vostre caserme, nei vostri parcheggi, nei vostri club maschili, nelle vostre camere del Congresso, ovunque gli uomini sono insieme ad altri uomini.

 I vostri figli diventeranno i nostri lacchè e faranno ciò che vogliamo.

Saranno plasmati di nuovo a nostra immagine.

Ci desidereranno e ci adoreranno”.

 

Mieli abbracciò il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista intrinsecamente omofoba.

 È considerato il "filosofo" di riferimento di tutti quelli che si riconoscono sotto la sigla lgbt (lesbico – gay – bisex – trans).

(Links a siti esterni:

Propaganda omosessuale e "gender" nelle scuole italiane: )

Intervista a Chen Guangcheng, il dissidente cinese che ha svelato al mondo gli aborti forzati del regime comunista cinese:

(tempi.it/intervista-esclusiva-a-chen-guangcheng-l-eroe-cinese-cieco-che-svelo-al-mondo-gli-aborti-forzati-del-regime-comunista)

L'olocausto cinese degli aborti imposti dal partito comunista:

(tempi.it/blog/hanno-costretto-mia-moglie-ad-abortire-al-settimo-mese-non-si-ferma-lolocausto-cinese).

 

 

Scuola di Stato Lgbt. Stefano Zecchi:

«Sottraggono i figli all’educazione dei genitori.

Degno del peggior comunismo stalinista»

Tempi.it - Francesco Amicone – (14/02/2014) – ci dice:

Da laico e liberale, Stefano  Zecchi si ribella alla propaganda Lgbt per gli alunni. «Trasformano una questione culturale in un fatto ideologico.

Se per qualcuno l'omosessualità è naturale, non significa che si debba insegnare»

Le fiabe gay propinate ai bambini dell’asilo per “sensibilizzarli” sulla causa Lgbt cambieranno in positivo il mondo?

 Non lo possono sapere nemmeno quelli che lo sperano.

 Di certo l’indottrinamento infantile nella scuola pubblica italiana su un tema che non gode di largo consenso – e che spesso si contrappone all’educazione impartita in famiglia – fa infuriare tanto i genitori cattolici e religiosi quanto i laici come Stefano Zecchi.

Il noto giornalista e docente di Filosofia estetica all’Università statale di Milano ha scritto di recente un articolo infuocato contro il Comune di Venezia per aver proposto la lettura di fiabe gay agli asili cittadini.

 A suo parere, la diffusione di libelli sulle famiglie omosessuali nelle scuole dell’infanzia produce «una violenza psicologica» sui bambini.

«Quello che ha fatto il Comune di Venezia è stato superato soltanto dalle linee guida dell’Unar».

«Mette i brividi questo tentativo di sottrarre i bambini all’educazione dei genitori, contrapponendo ai valori e alle tradizioni della loro famiglia, qualcosa di imposto dallo Stato e di aleatorio».

«Una cosa degna del peggior comunismo stalinista», commenta.

Professor Zecchi, la proposta della presidenza del Consiglio di portare la “teoria del gender” nelle scuole pubbliche è passata quasi inosservata fino a pochi giorni fa.

Come mai?

Anch’io mi chiedo perché si sia subita questa iniziativa senza che nessun politico abbia fatto nulla.

È mai possibile che a livello governativo ci sono funzionari che portano avanti queste azioni di propaganda, senza che i ministri sappiano nulla, o non dicano niente?

Questi documenti sono il frutto di un lavoro partito quando c’era al governo Berlusconi, poi proseguito sotto Monti e infine sotto Letta.

Possibile che chi non è d’accordo, come non dovrebbe esserlo il centrodestra, non abbia strumenti di conoscenza da contrapporre a questa deriva?

Si dice che l’omosessualità è naturale. Che non c’è nulla di male nell’insegnare la naturale diversità delle scelte sessuali ai bambini.

I progressisti hanno sostituito il marxismo con la teoria del gender e ora vogliono imporla anche ai bambini.

Quale sostenibilità scientifica abbia non lo so e la cosa non mi interessa.

Quello che mi importa è la questione culturale.

Il vero problema è trasformare una questione culturale in un fatto ideologico che entra a far parte dell’educazione del bambino in contraddizione con il diritto di una famiglia a educare i figli come crede.

La cosa è grave anche perché questa proposta culturale si oppone a un’idea di famiglia, quella tradizionale, che comunque rimane il cardine della società.

La teoria del gender sostiene che il modello di famiglia tradizionale non sia l’unico e che andrebbe superato in nome della libertà sessuale.

Gli omosessuali possono benissimo fare ciò che vogliono.

Le proprie propensioni sessuali uno se le gestisce come crede.

Dal punto di vista culturale, però, per quanto riguarda la libertà sessuale, bisogna porre dei limiti.

 Se questa teorizzazione libertaria sulle propensioni sessuali contempla la pedofilia non è lecito opporsi?

 Se in questa teoria che propaganda l’assoluta libertà di scelta sessuale c’è anche l’incesto, bisogna tacere?

La libertà sessuale, che noi accettiamo, è comunque anch’essa un fatto culturale. Non è un fatto naturale.

 Se è naturale la pedofilia, non credo che la nostra cultura debba accettarla.

Non credo che la nostra cultura debba accettare l’incesto.

 Se per qualcuno queste sono propensioni naturali, non significa che si debbano accettare e propagandare.

Questa richiesta di assoluta libertà sessuale è valida fino a un certo punto.

In Svizzera si è tentato di sperimentare le “sex box”, scatole contenenti fra gli altri gadget anche peluche a forma di organi sessuali, per educare i bambini sotto i cinque anni a una libera e consapevole sessualità.

 Cosa ne pensa?

È il risultato di un laicismo ignorante che pensa di poter arrivare a un’educazione scientifica tale da garantire a tutti i bambini e poi a tutte le persone una libera criticità.

Questa è una delle supposizioni più arroganti e sbagliate del pensiero scientifico, perché distrugge la simbolicità della vita.

Quando la scienza pensa di avere la capacità di ridefinire la razionalità dell’uomo nel suo complesso si arriva sempre a una visione totalitaria della vita delle persone.

In queste cose ci vedo un principio di violenza simile a quello nazista.

Non è inutile opporsi? Ormai sembra che questo sia il futuro che ci attende.

Non direi.

Bisogna fare una battaglia culturale.

A posizioni di questo tipo bisogna contrapporsi con forza: difendere la famiglia, la sessualità, che è uno degli elementi e non l’elemento fondamentale della vita dell’uomo.

A una cultura ideologica così forte, bisogna contrapporre un’altra cultura, non ideologica, ma critica, mitico-simbolica se si vuole, della vita della persona.

 Dal punto di vista cristiano-ebraico ci sono elementi molto forti per combattere questa battaglia.

Sono i laici che non mi sembrano determinati.

 C’è una forte determinazione da parte di chi abbraccia questa ideologia laicista, progressista, scientista, invece dall’altra parte c’è una visione sempre dimessa, che si limita al lamento, a parlare dell’egemonia culturale della sinistra, a rivolgere canti pietosi al cielo.

Bisogna agire, non aspettare. E per farlo bisogna contrapporre idee forti.

 

RAPPORTO GLI ITALIANI E LO STATO - 2022 (25°).

Demos.it – Redazione – Ivo Diamanti – (25 dicembre 2022) – ci dice:

 

Rapporto annuale sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle istituzioni e della politica.   

XXV RAPPORTO GLI ITALIANI E LO STATO.

 

GLI ITALIANI IN CERCA DI UN "LEADER FORTE".

 Di Ivo Diamanti.

Dopo due anni, la pandemia sembra avere ridotto il suo impatto.

Anche se conviene essere prudenti.

Altre volte, negli ultimi anni, le nostre speranze, per quanto accreditate dai dati, sono state, in seguito, smentite dagli eventi.

Perché il virus è una minaccia "invisibile", ma insidiosa. Im-prevedibile.

 È, dunque, meglio attendere.

Con prudenza, senza rinunciare alle pre-cauzioni che ci hanno permesso di affrontare l'emergenza.

Dai vaccini alle mascherine. Alla cautela nei rapporti con gli altri. Misure utili a controllare la minaccia virale.

Anche se hanno logorato la nostra vita. Non solo "sociale".

La ricerca curata da “LaPolis-Università di Urbino” e “Demos”, sul rapporto fra "Gli italiani e lo Stato", giunta alla venticinquesima edizione, ci permette di valutare con cura cosa sia cambiato e stia cambiando.

Nella nostra democrazia e nelle attività che la accompagnano.

La partecipazione sociale, l'accesso ai servizi pubblici, la relazione con i partiti e con le reti associative.

L'indicazione proposta dall'indagine evoca un (faticoso) ritorno alla "normalità".

Agli orientamenti e ai modelli di vita precedenti all'irruzione del Covid.

 Mentre si confermano alcune "abitudini" antiche del sentimento nazionale.

 Il distacco nei confronti dello Stato, anzitutto, verso il quale di-mostra fiducia il 36% degli italiani.

Una "minoranza".

 Molto "maggiore", tuttavia, rispetto a dieci anni fa, nel 2012, quando questo atteggiamento era condiviso dal 22%.

Lo stesso discorso vale per le istituzioni territoriali, Comune e Regione.

E, a maggior ragione, per il Parlamento e gli stessi partiti.

Oggi sono guardati con "distacco". Ma dieci anni fa suscitavano "sospetto".

 Erano, infatti, ri-conosciuti da meno del 10% dei cittadini.

 La diffidenza verso i partiti, comunque, riflette "un passato che non è passato", visto che si celebra il trentesimo anniversario di Tangentopoli e, secondo l'80% dei cittadini (intervistati), da allora «non è cambiato niente».

Anzi, si è allargato oltre confine, alla Ue, se pensiamo all'inchiesta “Qatargate”, appena partita.

Tuttavia, è migliorato il grado di soddisfazione rispetto ai servizi.

Alla sanità, anzitutto. E alla scuola. Privata ma anche pubblica.

In altri termini, il mondo intorno a noi appare meno distante e distinto.

 È divenuto un ambiente più familiare. Amico.

Per reazione alle tensioni e all'inquietudine provocate dai cambiamenti "esterni". Sul piano sanitario e geo-politico.

Si sta, dunque, consolidando quella che un anno fa abbiamo definito una "democrazia sospesa", perché la minaccia del virus ha reso difficile progettare e perfino immaginare il futuro.

Nonostante il ridimensionamento - relativo - della pandemia e della minaccia virale.

Infatti, nel frattempo, sono subentrate altre minacce, altre paure.

Per prima, la guerra in Ucraina. Cioè: non lontano dai nostri confini.

Tuttavia, l'inquietudine suscitata da questi eventi ha contribuito a rendere più stabili i nostri rapporti con le istituzioni. In particolare, con lo Stato.

 Perché i cittadini hanno bisogno di riferimenti con-divisi.

Per sentirsi "uniti", non "divisi".

Peraltro, il minore impatto delle paure ha favorito la ripresa della partecipazione e dell'impegno associativo presenti sul territorio.

 Ci ha permesso di allentare il senso di solitudine e di vulnerabilità, alimentato dall'insicurezza.

Così, oggi, il nostro tempo appare meno "sospeso", rispetto a un anno fa.

Perché riusciamo a guardare avanti. Insieme agli altri.

Anche per questo è migliorato il giudizio degli italiani nei confronti dello "stato della (nostra) democrazia".

Apprezzato da oltre metà dei cittadini.

 La "democrazia", peraltro, continua ad essere considerata la migliore forma di governo da oltre 7 italiani su 10.

Tuttavia, va sottolineato come si guardi, sempre più, a un modello di "democrazia impolitica". Affidata ai tecnici.

È "personalizzata". Anzi: "presidenziale".

Una larga maggioranza dei cittadini (62%), infatti, afferma che il Paese dovrebbe essere guidato da un "leader forte".

E oltre due terzi dei cittadini esprimono apertamente il proprio favore verso l'elezione diretta del Presidente.

Va chiarito che la "personalizzazione" della politica ha una storia lunga, anche nel nostro Paese.

Avviata negli anni Novanta, quando Silvio Berlusconi ha fondato Forza Italia.

 Il suo "partito personale".

 Da allora la figura del leader è divenuta fondamentale. Tanto più dopo che i partiti hanno perduto le radici ideologiche e territoriali. E sono divenuti "provvisori", come i loro leader.

 Che cercano consenso e riconoscimento attraverso i media.

 Canali che non possono garantire stabilità.

Lo stesso percorso, negli ultimi anni, ha coinvolto il governo.

Infatti, negli ultimi dieci anni si sono succeduti altri presidenti del Consiglio non eletti.

 Matteo Renzi, Giuseppe Conte-1. Prima di loro, Mario Monti.

Da ultimo, Mario Draghi. Anch'egli un banchiere.

Alla guida di una maggioranza che comprendeva "quasi" tutti.

Un "governo personalizzato" che, spesso, ha agito "per decreto". Attraverso i Dpcm. Quindi, "saltando" il Parlamento.

D'altronde, all'opposizione c'era un solo partito. I Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. Non per caso, forse, il partito e la (o il) leader che hanno vinto le elezioni recenti.

 E oggi governano. Prendendosi molti rischi. Perché principale, se non unico, riferimento per il consenso e il dissenso dei cittadini.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è, a sua volta, la figura istituzionale che ottiene maggior grado di consenso. Ma non di potere.

Perché siamo una democrazia rappresentativa. È il paradosso di questo "presidenzialismo implicito".

Nel quale i cittadini vorrebbero eleggere direttamente il presidente della Repubblica, che, invece, è eletto dai loro rappresentanti, in Parlamento.

Mentre il (la?) presidente del Consiglio, oggi, governa con una maggioranza instabile e frammentata.

Questo XXV rapporto su Gli Italiani e lo Stato, curato da LaPolis-Università di Urbino e Demos, ripropone, dunque, un profilo noto.

 Evoca, cioè, un Paese (ancora) sospeso. Alla ricerca di un futuro.

E, per questo, aggrappato al presente.

 

1. I CITTADINI, LE ISTITUZIONI, I SERVIZI     

SOSPESI TRA LA GUERRA IL COVID E LA RECESSIONE.

di L. Gardani e N. Porcellato.

 

Quello di oggi, sembra un Paese in attesa. Che finisca la guerra in Ucraina. Che il Covid sia dichiarato sconfitto. Che il caro-prezzi si fermi. Che la recessione incombente sia fermata.

E che, nel mentre, sembra congelare il suo rapporto con le istituzioni.

 Rispetto a quanto osservato nel 2021, infatti, oggi l'osservatorio “Gli italiani e lo Stato “(curato da LaPolis dell'Università di Urbino e Demos) offre un affresco fatto di stabilità che sembra quasi sospensione, con qualche rara eccezione.

Come tradizione, le prime tre posizioni sono occupate da forze dell'ordine (70%), Papa e presidente della Repubblica (entrambi 68%).

È la fiducia verso le istituzioni nel suo complesso, però, ad apparire ferma: escludendo i segni negativi registrati dai sindacati (-5 punti percentuali), dalla scuola e dalla Chiesa (entrambe -3), e quello positivo del Comune (+3), per tutte le altre istituzioni analizzate si conferma sostanzialmente il gradimento rilevato lo scorso anno.

Un discorso a parte lo merita il capo dello Stato: tra Covid e rielezione, i dieci punti di maggiore fiducia che sono tributati a Mattarella dal 2020 a oggi appaiono un nuovo riconoscimento della centralità del Quirinale, centralità che il 69% vorrebbe ulteriormente accentuare attraverso l'elezione diretta del suo successore.

Ad essersi fatto più severo, invece, in questi dodici mesi, è il giudizio sui servizi:

 è in calo sia la soddisfazione verso quelli privati (-4 punti percentuali per la sanità e -2 per la scuola) che pubblici (entrambe -4), mentre fanno eccezione le ferrovie (+3 punti percentuali) e i trasporti urbani (+6).

Ma nel trade-off tra tasse e servizi, come si orientano gli italiani?

Il 45% vorrebbe diminuire le tasse, ma senza ridurre i servizi; il 25% pensa che debbano essere potenziati i servizi, ma senza aumentare le tasse.

 Nel complesso, il 70% vuole qualcosa, ma senza essere disposto ad accettarne le possibili conseguenze: un cortocircuito di questa entità appare di difficile soluzione.

Persino per un futuro presidente della Repubblica eletto direttamente.

 

2. IMPEGNO E PARTECIPAZIONE   

QUELLA INSOPPRIMIBILE VOGLIA DI PARTECIPARE.

 Di L. Ceccarini e M. Di Pierdomenico.

Nelle ultime due edizioni l'osservatorio su “Gli italiani e lo Stato”, curato da LaPolis dell'Università di Urbino con Demos, si era registrata una progressiva contrazione della partecipazione.

Gli ultimi dati mettono in evidenza una sensibile ripresa del coinvolgimento degli italiani dopo la "sospensione" indotta dalla pandemia.

Rimane uno scenario segnato da incertezza nel futuro, ansia per le conseguenze della crisi del Covid, dell'aggressione all'Ucraina, e dalle aspettative verso il nuovo governo.

In questa cornice di attesa, i cittadini stanno ricostruendo la loro collocazione nello spazio pubblico.

È vero che la partecipazione elettorale ha sofferto dell'astensione più alta della storia repubblicana, ma su altri fronti si osserva un certo dinamismo.

Se si confronta il quadro di oggi con quello pre-pandemico, la distanza appare ancora importante ma gli italiani stanno recuperando in termini partecipativi.

 Il volontariato è tra le attività più praticate (42%).

Le tematiche ambientali, del territorio e della città hanno mobilitato un cittadino su tre (32%).

Anche le azioni più esplicitamente politiche, come partecipare a manifestazioni di partito, proteste e flashmob, hanno coinvolto una componente non trascurabile di italiani (17%).

Più dello scorso anno, ma un po' meno del 2019.

 Le petizioni, anche grazie alle piattaforme online, sono state firmate da un cittadino su tre (31%) con una partecipazione doppia tra i giovani (18-29 anni: 61%).

E non appare marginale la componente di cittadini che ha discusso di politica nei social, nei forum online (25%).

Non si tratta certo dell'idealtipo di sfera pubblica, luogo di confronto e dibattito tra cittadini, ma denota un certo interesse, e forse preoccupazione, verso questioni di natura collettiva.

Resta alta, anche se in calo, quanti ritengono “la Rete” uno strumento democratico per criticare pubblicamente l'azione di politici e governanti (64%) e quindi per impegnarsi.

Dai dati emerge che la partecipazione dei cittadini non prende forma solo negli spazi tradizionali e in quelli digitali.

Ma si sviluppa anche nelle pratiche della vita quotidiana, come i consumi.

 In ripresa appaiono stili di consumerismo critico, come il boicottaggio di prodotti o di brand (25%) o l'acquisto responsabile (42%), basati su motivazioni di natura etica, politica, ambientalista.

Ancora più ampia è la quota di cittadini che ha speso del denaro con intenti filantropici, dove parte del guadagno serviva a sostenere una buona causa (53%).

Il confine tra attivismo civico e politico, tra luoghi offline e online appare oggi progressivamente più poroso.

L'impegno dei cittadini sta assumendo un contorno ibrido.

 

3. LO STATO DELLA DEMOCRAZIA.

DEMOCRAZIA E (TIEPIDO) ORGOGLIO NAZIONALE.

Di F. Bordignon e A. Securo.

 

Gli ultimi trent'anni sono stati scanditi, in Italia, da passaggi memorabili. Dallo scandalo di Tangentopoli, nel 1992, all'introduzione dell'euro, nel 2002, il pendolo della storia è oscillato in direzioni diverse.

 Dieci anni fa, nel 2012, il Paese faceva i conti con gli effetti di una nuova tempesta economico-finanziaria.

Più di recente, sono arrivate la pandemia e, nel 2022, il conflitto ucraino a disorientare i cittadini, modificandone il (complicato) rapporto con le istituzioni.

Nonostante tutto, la soddisfazione sul funzionamento della democrazia è cresciuta, negli ultimi anni.

 Per la prima volta diventa maggioranza (53%) la quota di intervistati che si esprime positivamente.

 Un po' perché, nei momenti di crisi, ci si stringe attorno alle istituzioni.

Un po' perché il ritorno del centro-destra al governo ha fatto aumentare la fiducia in quella parte del Paese che, ancora un anno fa, si diceva più insoddisfatta.

Analizzando i dati del rapporto “Gli italiani e lo Stato”, tuttavia, sembra mancare una definizione comune di cosa intendiamo, quando pensiamo alla democrazia.

 C'è chi (47%), ad esempio, pensa al governo di tecnici competenti;

la stessa percentuale, tuttavia, di chi preferisce essere rappresentato dagli "eletti".

È significativo notare come il favore per il governo tecnico cresca soprattutto fra gli under trenta.

 Sono gli stessi giovani a dichiararsi, in percentuale più ampia, a favore di un "leader forte".

Opzione comunque maggioritaria in tutta la popolazione (62%).

Si intiepidiscono, per contro, i sentimenti di orgoglio nazionale.

Tanti gli intervistati che passano dal dirsi "molto" (44%) orgogliosi di essere italiani al più incerto "abbastanza" (39%).

Il rapporto era di 65 a 29 all'ingresso nel nuovo millennio.

Segno che, anche ai tempi della destra di governo, l'identità italiana non risulta ancora così solida.

È opportuno sottolineare, ancora una volta, la relazione con l'età, visto che il sentimento nazionale si fa via via più freddo passando dai più anziani ai più giovani.

 Su una cosa, però, le persone interpellate sembrano essere d'accordo: siamo un Paese dalla corruzione politica endemica, tenace.

 I cittadini che la percepiscono come più (o ugualmente) diffusa rispetto a Tangentopoli non sono mai scesi sotto l'80% in tutti gli anni di rilevazione.

E, all'epoca del sondaggio, non si parlava ancora di "Italian job" all'Europarlamento.

 

 

 

 

I Trend del 2023? Un Mondo Orwelliano

ed Oro e Crypto Grandi Protagonisti.

Conoscenzealconfine.it – (17 Gennaio 2023) - Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria – ci dice:

(Doug Casey (anarco-capitalista e investitore americano).

 

Il sistema monetario si sta autodistruggendo, i banchieri centrali (e la “cupola” di dominio mondiale che sta dietro di loro) lo sanno e stanno organizzando un sistema orwelliano per prorogare l’inevitabile collasso sistemico e sostituirlo con un altro sistema monetario digitale sotto il loro totale controllo.

Il sistema monetario e finanziario stava già per collassare nel 2019 ma la psico-pandemia è stata provvidenziale (per chi crede alle coincidenze) e ha fatto loro guadagnare tempo e predisporre il terreno per i loro piani.

Le indicazioni fornite da Casey non sorprenderanno i miei lettori abituali, sono almeno vent’anni che fornisco pressappoco gli stessi suggerimenti, per gli altri direi che non c’è tempo da perdere per assumere le opportune contromisure o sarà peggio per loro.

(Claudio Martinotti Doria).

(Doug Casey).

Il sistema monetario si sta autodistruggendo a un ritmo allarmante e sta raggiungendo la fine della sua durata.

Le persone veramente in carica – i banchieri centrali e coloro che stanno dietro di loro – capiscono tutto questo.

Sanno che il sistema attuale non è sostenibile, quindi ne stanno organizzando una demolizione controllata.

 In questo modo, possono essere in grado di “ripristinare” il sistema monetario e modellarlo secondo i loro desideri.

Mirano a rinchiudere le persone in un sistema orwelliano che monitora e controlla ogni centesimo guadagnato, risparmiato e speso.

L’ultima volta che il governo degli Stati Uniti ha affrontato un’imminente crisi finanziaria è stato nel marzo 2020.

Nel giro di pochi giorni, la Fed ha creato dal nulla più dollari di quanti ne avesse avuti nei quasi 250 anni di esistenza degli Stati Uniti.

 È stata stampata una quantità di denaro senza precedenti che ammontava a oltre $ 4 trilioni e ha quasi raddoppiato l’offerta di moneta USA in meno di un anno.

La verità è che l’inflazione è fuori controllo e nulla può fermarla.

In breve, il governo degli Stati Uniti si sta avvicinando alla fine dei giochi finanziari.

Non può più mascherare il suo fallimento.

 Quando arriverà la prossima crisi, e penso che potrebbe essere imminente, il governo degli Stati Uniti non avrà altra scelta che implementare la sua operazione “Sansone”.

In altre parole, mentre il governo degli Stati Uniti crolla in bancarotta, trascinerà tutti sotto alle macerie e sarà la fine.

Quali saranno i Maggiori Trend per il 2023?

1. Passaporti obbligatori per i vaccini e lockdown.

2. Martellamento continuo su emissioni di carbonio e Global Warming.

3. Accettazione diffusa del “wokismo”, quote razziali, LBGT sempre +++ aggressivo e collasso generale dei valori tradizionali.

4. C’è la possibilità che assisteremo a qualcosa di simile ad una terza guerra mondiale.

Non dubito che l’era prima del 2020 sarà presto chiamata “Before Times”, una frase che è stata usata nella fantascienza distopica.

E il futuro potrebbe assomigliare moltissimo ad una fantascienza distopica.

5. Oro: nel 2023, il grande protagonista della storia economico/finanziaria sarà probabilmente l’oro.

È stato piatto negli ultimi dieci anni e ha un prezzo ragionevole rispetto ad altri beni tangibili.

Sta andando più in alto perché si parlerà seriamente di rimonetizzarlo.

I BRICS non vogliono usare il dollaro per una buona ragione.

 Il pubblico, che ha dimenticato persino l’esistenza dell’oro, inizierà a comprarlo, spinto dalla paura:

paura della svalutazione della valuta e paura del rischio di controparte nei mercati finanziari.

 Quindi l’oro fisico andrà davvero bene nel 2023. E i titoli delle compagnie minerarie, andranno ancora meglio.

 

6. Azioni: il grande mercato rialzista iniziato nei primi anni ’80 si è concluso nel 2022.

 Il mercato rialzista è stato guidato da una serie di fattori, ma non meno importante è stata l’immensa quantità di unità monetarie create dalle banche centrali che ha causato un ciclo economico molto, molto lungo; un super ciclo.

Con il ribaltamento, assisteremo a molti problemi nel settore aziendale poiché le distorsioni e le allocazioni errate di capitale causate dall’inflazione vengono liquidate.

Le società indebitate che si sono adattate ai modelli “Before Times” falliranno.

Quando questo mercato ribassista avrà toccato il fondo, l’investitore medio avrà dimenticato persino l’esistenza del mercato azionario e si arrabbierà tantissimo soltanto a sentir nominare la parola Azioni.

7. Bond e Tassi d’interesse:

il mondo intero, dai governi, alle società, agli individui, è perdutamente indebitato.

 Incoraggiato in parte dal fatto che i tassi sono in calo da 40 anni; praticamente da una vita.

 I tassi di interesse, tuttavia, hanno una vita propria. Non sono interamente controllati dalle banche centrali, contrariamente a quanto la maggior parte delle persone è arrivata a credere.

Il mondo inizierà a vedere le obbligazioni come una tripla minaccia per il capitale: tassi più elevati, rischio valutario e rischio di default.

La cosa interessante qui è che le obbligazioni, i Bond, non sono generalmente di proprietà del pubblico al dettaglio ma di istituzioni:

ETF, fondi comuni di investimento, fondi pensione, hedge fund e simili.

Le istituzioni hanno difficoltà a giustificare il possesso di BOND con rating inferiori a BBB.

Le obbligazioni delle società in difficoltà saranno declassate quest’anno e dovranno essere scaricate.

 Ma a chi?

 Perché neanche altre istituzioni possono comprarne.

Ad un certo punto, le obbligazioni saranno un vero affare e spero di rientrare in questo mercato.

Ma non sarà nel 2023.

Consentitemi di ribadire ciò che ho detto molte volte negli ultimi anni: se possiedi delle obbligazioni, vendile ieri mattina.

Al più tardi, vendile domani mattina. Stanno andando molto più in basso.

8. Immobiliare:

il settore immobiliare galleggia su un mare di debiti negli Stati Uniti e nel resto del mondo.

Se non può prendere in prestito denaro, il cittadino non può acquistare proprietà.

E non può nemmeno vendere, perché l’acquirente ha bisogno di finanziamenti per poter comprare.

 Gli alloggi residenziali sono in grossi guai, così come i negozi fisici e tutti i tipi di immobili per uffici.

Con i tassi di interesse in aumento, mentre l’attività economica diminuisce, la proprietà è diretta verso il basso.

 Gli immobili sono molto costosi in tutto il mondo.

Il settore immobiliare è qualcosa in cui devi vivere, su cui costruire, ma è diventato un veicolo speculativo finanziato dal debito.

Non bene!

9. Valute: nel mondo di oggi, le valute sono tutte fiat.

Solo pezzi di carta o cifre create arbitrariamente dai governi e dalle loro banche centrali.

Sono tutte nei guai, nessuna escluso.

 La liquidità e la diffusione del dollaro USA lo ha mantenuto forte e una crisi del debito potrebbe persino dargli ulteriore forza mentre il mondo si affretta a cercare dollari per pagare il debito in dollari.

Ma questi non sono fondamenti solidi.

Se hai bisogno di qualcosa di forte, compra oro.

10. Cripto:

Bitcoin ha la possibilità di diventare una valuta reale competitiva con le valute fiat del governo.

Ma c’è ancora una bolla nel mondo delle criptovalute, anche se Bitcoin è crollato dal suo picco del 2021 di $ 69.000 a circa $ 17.000.

È il fondo? Non ancora, se non altro perché il caos creato dallo scandalo FTX, che ha vaporizzato $ 30 a $ 40 miliardi di “altcoin”, non è ancora finito.

Ci sono circa 20.000 alt-coin, e quasi tutte dovrebbero, più correttamente, (anche se maleducatamente), essere chiamate shit-coin.

Prendi Doge-coin ad esempio. (Penso che dovrebbe essere pronunciato doggycoin), che è stata creata per scherzo, senza valore, senza utilità, niente.

Ma, sorprendentemente, ha ancora una capitalizzazione di mercato di 13 miliardi di dollari.

11. Petrolio:

da un lato, mentre l’economia del mondo occidentale rallenta, ci sarà meno uso di petrolio.

Ma d’altra parte, i potenti del mondo hanno una visione totalmente anti-combustibili fossili e molto anti-carbonio, e renderanno molto più difficile la possibilità di reperirli.

Detto questo, dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti e l’Europa occidentale non sono più così rilevanti negli equilibri internazionali.

Gli Stati Uniti rappresentano solo il 4% della popolazione mondiale, più o meno lo stesso vale per l’Europa.

 L’altro 90%+ del mondo si preoccupa sempre meno di quello che dice o fa l’Occidente.

 Invece, si preoccupano di ciò che fanno i cinesi e gli indiani e aumentano la propria ricchezza. Petrolio, carbone, gas naturale e uranio stanno aumentando. E le scorte delle aziende che li producono stanno andando molto più in alto.  (Doug Casey anarco-capitalista e investitore americano).

Introduzione: Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria (cavalieredimonferrato.it). (miglioverde.eu/i-trend-del-2023-passaporti-vaccinali-e-oro-e-crypto-grandi-protagonisti/).

 

Accenni alla sovranità individuale.

Vaticano, Gesuiti e finanza massonico-sionista:

il mondo schiavizzato da un’élite di folli criminali.

Rivoluzionegiustablog.wordpress.com – Redazione – natoliber0 – (6 giugno 2020) – ci dice:

 

Liberati dalle catene: cerca la verità … e la verità ti renderà libero.

In questo nuovo articolo verrà trattato un argomento molto importante: la sovranità individuale.

Specialmente negli ultimi tempi, in cui si vedono evidenti ed ingiustificate restrizioni alla libertà personale degli individui, il tema è più che mai scottante e di attualità.

Nell’articolo ci saranno degli approfondimenti storico-religiosi, lo stesso offrirà degli spunti di riflessione interessanti, oltreché riprenderà alcune tematiche già affrontate in questo blog.

Per sovranità individuale si intende la consapevolezza che ha l’essere umano di vivere in una “Matrix che lo schiavizza”, in modo così opprimente da lederne il sacrosanto diritto all’autodeterminazione, e spingendolo ad una presa di coscienza volta a riaffermare le proprie inalienabili libertà personali.

 L’autodeterminazione è l’atto con cui un individuo si determina secondo la propria legge: espressione della libertà “positiva” dell’uomo, e quindi della responsabilità ed imputabilità di ogni suo volere ed azione.

 La libertà è un frutto saporito che si trova sull’albero della consapevolezza, questo albero deve essere animato dalla sete di conoscenza, e questa sete si può attenuare solo tramite la ricerca della verità.

 Invece, oggi si vive in un mondo pieno di “dogmi” che vengono accettati per lo più acriticamente, senza che la maggioranza della massa si ponga il benché minimo dubbio che possano essere una serie di menzogne.

Molti prendono per oro colato l’ “informazione mainstream”, eppure si sa bene che giornali e televisioni sono finanziati dai poteri forti, in tanti credono ai politici ed alle loro promesse per poi svegliarsi e capire che era tutto un bluff.

Un’altra moltitudine viene ingannata dalle religioni che si presentano ramificate in più dottrine diaboliche, eppure si dovrebbe capire che il Signore Cristo Gesù ha insegnato una sola dottrina, quella del Padre Celeste che l’ha mandato (Giovanni 7:16-19).

Tutte le religioni odierne sono infiltrate dalla massoneria: la Parola del Signore è stata adulterata da ognuno di questi culti luciferini.

E poi c’è la scienza.

 La Medicina, totalmente asservita alle grandi case farmaceutiche, sta letteralmente terrorizzando la popolazione mondiale con la narrazione di un virus che è ben altra cosa rispetto a quello che viene propagandato, menzogne su menzogne per commercializzare vaccino e microchip, funzionali al Nuovo Ordine Mondiale.

Molta gente si abbandona alla fantasia con le balle spaziali della Nasa, eppure è evidente che le immagini che vengono mostrate sono artefatti realizzati al computer, lo ammettono chiaramente loro stessi.

Adesso, bisogna partire dal presupposto che gran parte di quello che ci viene insegnato, dalla politica alla storia, dalla religione alla scienza, è falso.

 Se si parte da questo ragionamento, analizzando ed approfondendo la storia, le religioni e tutto il resto, ci si accorge che è tutta una grande menzogna atta a schiavizzare l’umanità.

 È giunto il momento di destarsi da questo sonno, è arrivata l’ora di prenderci le nostre responsabilità, capendo che non è più possibile incaricare gli altri, ad esempio con l’azione del voto, per mantenere un sistema totalmente corrotto e colluso.

Bisogna riprendere in mano le nostre vite, votare significa dare il nostro consenso affinché altri prendano l’iniziativa di gestire e condizionare le nostre vite, e questo non è più accettabile visto i criminali che stanno al potere.

Molti di questi personaggi potenti e di spicco influenzano le nostre vite privandoci della libertà:

 i politici dal punto di vista ideologico, i grandi banchieri dal punto di vista economico, i religiosi dal punto di vista spirituale, gli scienziati con le loro teorie fasulle, e via discorrendo.

 In tal modo, l’uomo crede di essere libero ma è solo libero di credere a ciò che qualcun altro gli ha preconfezionato, ecco che il risveglio delle coscienze porta spesso ad essere censurati per il proprio pensiero avulso da condizionamenti imposti.

Ed infatti, il Nuovo Ordine Mondiale che stanno imponendoci dall’inizio del 2020 prevederà, al suo totale completamento, un unico governo mondiale, un’unica religione mondiale, una banca mondiale che supervisiona tutta l’economia, un azzeramento del revisionismo storico che porterà ad una narrazione della storia ricorretta a favore del nuovo paradigma, ed infine una scienza che dovrà fornire dispositivi di decimazione e controllo totale della popolazione, per poi condurre l’uomo al transumanesimo.

Una società dominata da un “bi-pensiero” simile a quello descritto da George Orwell nel suo libro di fantascienza distopica 1984 (Nineteen Eighty-Four).

 Tutto ciò è terrificante, ma le élite sovranazionali sono composte da: rettiliani intra-terrestri, ibridi metà umani e metà rettiliani, umani corrotti ed al servizio dei rettiliani, i quali perseguono delle agende mondiali che definire folli è dire poco.

Queste élite illuminate comandano sui vari governi mondiali, a loro volta infiltrati da agenti delle stesse élite che si congregano nelle varie logge massoniche.

I massoni si autodefiniscono “liberi muratori” ed il simbolo della loro associazione iniziatica è “squadra e compasso”.

 Spesso, nel simbolo è presente anche una grande lettera “G”, il cui significato è Great Architect (Grande Architetto) oppure God (Dio).

Dalla foto si evince chiaramente quale sia il Grande Architetto cui fanno riferimento: il dio egizio Horus.

 Insomma, adoratori di Lucifero, il Sole.

L’inizio della massoneria, al contrario di quanto viene ufficialmente detto, si può rintracciare nella Bibbia ai capitoli 10 e 11 di Genesi.

 Poco dopo il Diluvio Universale Kus, figlio di Cam e nipote di Noè, generò Nimrod.

Quando Nimrod divenne molto potente sulla terra, fondò la città di Babele e persuase il popolo a costruire una torre, fatta di mattoni e bitume, che arrivasse a toccare il cielo.

Secondo Genesi 11:1-4, gli uomini, contravvenendo al disegno di Dio che voleva che popolassero l’intera terra, decisero di fermarsi tutti nella pianura di Sinéad.

Per questo motivo, Dio punì gli uomini con la confusione delle lingue e li disperse sulla faccia di tutta la terra.

Non sorprende che, in seguito alla sua morte, Nimrod venne adorato come “il figlio del dio sole”.

Ed ecco che, tornando ai nostri giorni, si comprende il senso del terzo comandamento delle diaboliche Georgia Guidestones, “unisci l’umanità con una nuova lingua viva”, a tale scopo è già stata scelta la lingua inglese.

È possibile far risalire il primo tentativo di imporre un nuovo ordine mondiale a più di 3000 anni fa, con la salita al potere del faraone Akhenaton e la sua imposizione di un nuovo culto solare monoteista, il quale andava a sostituire il precedente culto politeista.

Akhenaton è il nome che assunse il faraone egizio Amenhotep IV (Tebe, 1375 a.C. circa – Akhetaton, 1334 a.C. circa), appartenente alla XVIII dinastia e figlio di Amenhotep III.

Akhenaton fu una figura unica nella storia dell’antico Egitto:

rovesciò il precedente millenario ordine religioso introducendo il culto monoteistico del dio Aton, cioè il disco solare, con cui si identificò.

Dopo aver imposto l’adorazione di questa divinità, il faraone spostò la capitale del Nuovo Regno da Tebe ad Akhetaton (l’odierna Amarnas), che diventò centro del nuovo culto, e combatté duramente contro il potente clero tebano che cercava di ostacolare il suo operato.

La nuova religione imposta ebbe importanti conseguenze sull’arte egizia e sulla letteratura, che conobbero un nuovo sviluppo.

 Ma l’Egitto non gradì tutto ciò.

Pochi anni dopo la morte di Akhenaton, i suoi monumenti furono in gran parte abbattuti, le sue statue distrutte o menomate ed il suo nome fu cancellato dalle liste reali.

Il precedente culto religioso fu gradualmente restaurato e fu cancellata qualsiasi traccia riguardante Akhenaton ed il suo regno, come se non fossero mai esistiti.

Con la venuta del Signore Gesù Cristo in questa valle di lacrime, una moltitudine di uomini e donne videro miracoli ed insegnamenti d’amore e di giustizia, a loro fu presentato il Padre Celeste per mezzo del Figlio intessuto nel grembo di Maria.

Così, molti di costoro divennero “seguaci di Cristo” o discepoli.

Dopo l’Ascensione di Gesù al cielo, i 12 apostoli scelti dal Signore si stabilirono a Gerusalemme, dove costituirono il nucleo centrale della nascente comunità cristiana; attorno ad essi si radunarono i seguaci di Cristo, formando la primitiva Chiesa di Gerusalemme.

 Dopo avere iniziato la loro predicazione in Giudea, in seguito, gli apostoli annunciarono il Vangelo nel mondo allora conosciuto.

Fu così che, nell’allora immenso Impero Romano, si diffuse a macchia d’olio il Cristianesimo.

Questo nuovo culto era visto con disprezzo sia dai romani che da varie frange di Giudei, questi ultimi consideravano i cristiani una setta di miscredenti.

Secondo i romani, il Cristianesimo era una setta che si riuniva in segreto per praticare riti apparentemente magici, incitando altri a fare lo stesso ed eleggendo a propria divinità un Dio solo spirituale e non rappresentabile, per il cui culto non erano previsti templi, altari, sacrifici, e che era pertanto lontanissimo dalla loro radicata mentalità pagana.

Tutto questo poteva minacciare l’autorità dell’imperatore quale pontefice massimo, i cristiani vennero così sanguinosamente perseguitati fino al famoso Editto di Milano, sottoscritto nel febbraio 313 d.C. dai due Augusti dell’impero romano, Costantino per l’Occidente e Licinio per l’Oriente.

 L’Editto di Milano (anche noto come Editto di Costantino o Editto di tolleranza) concedeva a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di venerare le proprie divinità.

 Costantino emise nuovi editti in favore dei cristiani.

 Obiettivo della politica religiosa dell’imperatore fu di far confluire in un’unica forma e idea le credenze religiose di tutti i popoli, e successivamente di rivitalizzare e fortificare l’impero, che giaceva in rovina come un animale affetto da una grave ferita.

Cessarono così del tutto le persecuzioni nei confronti dei cristiani.

Ma l’Editto di Milano ed il successivo Concilio di Nicea I consegnarono il Cristianesimo delle origini nelle mani del paganesimo, cosicché divenne progressivamente la religione di Stato dell’impero romano.

 Era stata creata una nuova unica religione per tutto l’impero.

 In questo surrogato diabolico del vero Cristianesimo furono fuse, anche successivamente, usanze totalmente pagane: la trinità, il Natale, l’Epifania, la Pasqua, l’adorazione di statue ed immagini, l’adorazione della “Madonna” col bambino che nulla ha a che fare con Maria ed il Signore Gesù (è infatti un culto mesopotamico risalente ai tempi di Nimrod e Semiramide), ed il culto dei morti tipicamente egizio.

Questo fu la tomba del vero Cristianesimo predicato dagli apostoli e l’inizio di quello che ora viene chiamato Cattolicesimo Romano, che il Signore condanna in Apocalisse definendolo Babilonia (cioè confusione), come si può vedere sono due cose nettamente distinte.

Iniziò così la persecuzione dei pagani che non professavano questo culto.

 Con il crollo dell’impero romano nel 476 d.C., l’autorità del papato diventò ben presto anche politica.

Grazie al papa Gregorio I Magno, il papato iniziò a colmare il vuoto politico ed amministrativo lasciato dalla dissoluzione dell’Impero d’Occidente, e ad allargare la sua influenza anche sulle chiese d’Oriente.

Dunque, il decaduto impero passò lo scettro al papato, il quale non è altro che la prosecuzione dello stesso impero romano.

 Ne è una prova il successivo Sacro Romano Impero, nel quale il potere di incoronare l’imperatore era attribuito al papa, almeno fino alla Riforma Protestante.

La volontà di accrescere maggiormente il proprio dominio sul mondo, l’avidità e la bramosia di potere portarono il papato a commettere nefandezze quali:

 le crociate, la vendita delle indulgenze, il genocidio dei nativi delle Americhe, l’inquisizione con la conseguente caccia alle streghe, ect.

Tutto questo è totalmente in contrasto con il Signore Cristo Gesù, come è vero che gli apostoli predicarono il Vangelo con mansuetudine e mettendo ad effetto gli insegnamenti che ricevettero.

 Infatti, furono loro perseguitati ed osteggiati e non loro che perseguitarono.

Si possono fare risalire le fondamenta del Nuovo Ordine Mondiale proprio al periodo in cui l’imperatore Costantino promulgò l’Editto di Milano, con il quale snaturò il Cristianesimo delle origini, rendendolo di fatto un culto a Lucifero (Sol Invictus).

La chiesa cattolica romana è dunque una istituzione, che non ha nulla a che fare con gli insegnamenti del Signore Cristo Gesù, composta ai vertici da lupi travestiti da agnelli, satanisti ed adoratori di Lucifero.

 Nelle ultime gerarchie della piramide ecclesiastica troviamo il basso clero (preti, monaci e religiosi minori), ovvero replicanti delle dottrine diaboliche imposte dall’alto, che indottrinano e guidano i fedeli ad adorare il principe della menzogna.

Sia ben chiaro, molti di questi ultimi sono collusi al sistema e svolgono i loro compiti pastorali sapendo che la chiesa cattolica è marcia;

celebrano le varie funzioni solo con l’obiettivo di arricchire la chiesa cattolica che li foraggia e dalla quale dipendono.

Altri componenti del basso clero sono inconsapevoli di ciò che predicano, in seminario vengono indotti a credere ciecamente ed acriticamente ad ogni dogma o follia della chiesa cattolica, diventando ciechi creduloni che insegnano alle masse false dottrine in buona fede.

 In ogni caso, a rimetterci sono le masse che si ritrovano ingannate e sfruttate economicamente.

Karl Heinrich Marx, nell’introduzione a “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel” (1843), affermava:

la religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito.

 È l’oppio dei popoli.

Infatti, nonostante molta gente veda ogni sorta di aberrazione in seno al cattolicesimo, continua ad andare nei vari luoghi di culto ed a foraggiare questi maledetti ingannatori di anime.

 Ma le altre religioni non è che siano tanto meglio.

Ed i fautori del Nuovo Ordine Mondiale, conoscendo l’importanza che riveste la religione al fine di controllare la popolazione mondiale, hanno pensato bene di emulare Costantino: creare un’unica religione mondiale che racchiuda tutte le altre, rendendo così possibile l’adorazione dell’Anticristo nel terzo tempio di Gerusalemme.

Da notare che il terzo tempio è già praticamente pronto, ecco perché l’infernale papa Francesco (al secolo Jorge Mario Bergoglio) si è affrettato, negli ultimi anni, a fare ecumenismo con tutte le altre religioni.

Il papato ha intessuto una fitta rete di inganni e l’intera popolazione mondiale vi è caduta dentro.

Ma andiamo per gradi.

Nel corso dei secoli, la chiesa cattolica romana ha perfezionato il nuovo paradigma mondiale, grazie anche ad un sapere occulto gestito in particolar modo dai Gesuiti, anche chiamati “compagnia di Gesù”.

Fondamentalmente, i Gesuiti sono un ordine militare fondato dallo spagnolo Ignazio di Loyola, e derivante dall’ordine dei Frati Francescani, che a loro volta derivavano da influenti famiglie aristocratiche veneziane.

Quest’ordine, la cui massima autorità viene chiamata “papa nero” per via dell’abito religioso che indossa, sta dietro a tutti gli accadimenti degli ultimi secoli della nostra storia.

 I più nefasti, quali: guerre, massacri ed altri crimini contro l’umanità.

I Gesuiti, che controllano indirettamente sia la religione islamica che ortodossa, hanno perpetrato i più efferati genocidi, hanno indotto sanguinose guerre e sono tuttora dietro al traffico di bambini, armi e farmaci nel mondo.

Cospicui investimenti della chiesa cattolica vanno, tramite lo IOR (Istituto per le opere di religione), in aziende per la fabbricazione di armi e società proprietarie di televisioni porno.

 Il famoso “Obolo di San Pietro”, ovvero le offerte in denaro fatte dai fedeli ed inviate in Vaticano per essere redistribuite a sostegno della missione di annunciare il Vangelo e delle opere di carità, è un’altra presa in giro di questa razza di vipere.

Negli ultimi anni, solo il 10% dell’Obolo di San Pietro è stato usato dal Vaticano per opere caritatevoli.

Il resto è servito per: comprare immobili lussuosi nel quartiere londinese di Chelsea, risanare le finanze vaticane, acquistare azioni della società Italia Independent di Lapo Elkann (azienda che produce occhiali e prodotti lifestyle), rilevare una sede italiana di ABB (multinazionale elettrotecnica svizzero-svedese), concludere un affare con Enrico Preziosi (industriale dei giochi e patron del Genoa), finanziare la produzione di film come l’ultimo “Men in Black” e la biografia di Elton John (Rocketman), ect.

Nel 1930, fu fondata a Basilea la Bank for International Settlements (Banca dei Regolamenti Internazionali) e vi furono depositate circa 60.000 tonnellate d’oro, frutto delle secolari razzie del Vaticano nel mondo.

Chissà quando le masse smetteranno di foraggiare questi pervertiti sepolcri imbiancati!

Quindi per riassumere, la chiesa cattolica, con la falsificazione della dottrina di Gesù Cristo e con manovre occulte, è riuscita a schiavizzare le persone, soprattutto nel mondo occidentale.

 Ci sono stati diversi segni dal cielo che fanno intuire come la chiesa cattolica sia ormai arrivata alla fine dei propri giorni, grazie anche alle continue menzogne raccontate ed a tutte le iniquità commesse al cospetto di Dio.

Ma com’è riuscita a tenere sotto scacco l’umanità intera per secoli? Fondamentalmente, modificando le parole chiave della Bibbia.

 Ad esempio, è stata sostituita la parola “peccato” con “debito”, ed il caso più evidente sta nella preghiera per eccellenza: il Padre Nostro.

 Penso che molti conoscano a memoria il testo, perché questa importante preghiera è stata tradotta in svariate lingue, ed in tutte le traduzioni viene riportata la parola “debito” e non “peccato”.

 Ma, traducendo dall’aramaico in maniera corretta, la preghiera risulta essere stata modificata.

La chiesa cattolica ha adulterato la Bibbia, estrapolando da quest’ultima delle verità storiche per ottenerne un documento, il Codice Marittimo che è ampiamente utilizzato tutt’oggi.

Per esempio, esso trova applicazione nei rapporti tra gli Stati, nei commerci o addirittura nelle aule di tribunale.

Tutti i codici legislativi odierni derivano dal Codice Marittimo e dalla conseguente Legge dell’Ammiragliato.

Ambedue si possono considerare come un cappio al collo, in quanto hanno condotto l’uomo libero ad essere schiavo del “peccato originale”, ossia del debito che viene affibbiato ad ogni persona al momento della propria nascita.

La sommatoria di tutti questi debiti va a formare il cosiddetto debito pubblico.

 Un debito inestinguibile, perché risulta matematicamente impossibile da saldare.

Dobbiamo capire che tutto questo è nato e si è sviluppato grazie a tre bolle papali, delle quali si è precedentemente discusso nel blog (Unam Sanctam Ecclesiae, Romanus Pontifex, Aeterni Regis).

 In particolare, la bolla Unam Sanctam Ecclesiae emanata da papa Bonifacio VIII distorce il racconto biblico che parla di Noè e del diluvio universale.

La bolla afferma: «Al tempo del diluvio invero una sola fu l’arca di Noè, raffigurante l’unica Chiesa; era stata costruita da un solo braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta.»

Questa citazione ha un significato molto importante, perché viene considerato Noè sia come l’unico superstite del diluvio universale, sia come il rappresentante sulla terraferma dell’Unica Santa Chiesa.

Tutto il resto dell’umanità viene considerata come dispersa in mare ancora oggi.

Anche i neonati, prima di venire alla luce, “nuotano” nelle acque materne;

difatti alla nascita vengono considerati dispersi in mare, questo fino al settimo anno di età.

Dopodiché, per la giurisprudenza hanno ancora tre anni di tempo per dichiarare la propria ricomparsa sulla terraferma, diversamente vengono considerati dispersi in mare definitivamente.

 Il loro titolo obbligazionario, ovvero il bond che viene associato loro dalla nascita, diviene automaticamente e definitivamente di proprietà dello Stato.

 Da questo momento in poi, lo Stato considererà queste persone come merci e come tali verranno trattate nell’intero corso della loro vita, nella quale saranno sottoposte alle leggi dell’ammiragliato o del diritto marittimo.

Il documento nel quale sono contenute queste norme si chiama UCC (Uniform Commercial Code).

La normativa presente nell’UCC, che disciplina l’intero sistema commerciale, non viene insegnata nelle accademie di diritto, quindi la maggior parte dei giuristi, degli avvocati e dei magistrati hanno poca conoscenza dello strumento.

Dunque, la conoscenza di questo importante codice rimane una prerogativa di pochi addetti al settore, ricoprenti le cariche più alte degli Stati e dei grossi gruppi bancari internazionali.

Un’altra cosa poco conosciuta è che, nel 1933, diverse nazioni diventano società di diritto privato, registrate presso la SEC (Security Exchange Commission) con sede a Washington.

Attualmente, il numero totale delle nazioni iscritte al SEC è pari a 194.

 Queste nazioni che sono solo apparentemente delle repubbliche, in realtà sono società privatissime, infatti possiedono l’esclusivo diritto di proprietà sulle persone nate nel loro territorio.

Dunque, se tali Stati sono a tutti gli effetti delle società di capitale quotate in borsa, i cittadini nati all’interno di essi credono di vivere in una repubblica dove eleggono democraticamente i propri governanti, ma in realtà vengono raggirati ed indotti a dare il proprio consenso al “consiglio di amministrazione” che viene imposto dalla proprietà.

 Dal 1934, anche l’Italia è una corporation privata iscritta al SEC, la sua ragione sociale è “Republic of Italy” ed il numero di matricola è 0000052782.

 Chi vuole approfondire può visionare questi due links:

1°- aduic.it/files/L-Italia-non-e-una-REPUBBLICA.pdf

2°- conoscenzealconfine.it/ucc-e-oppt-una-cosa-molto-importante-da-sapere/

 

Ricapitoliamo:

in ogni nazione del mondo, l’iscrizione del proprio figlio all’ufficio anagrafe rappresenta di fatto una cessione di proprietà del bambino stesso, dai genitori in favore dello Stato, ovvero in favore di una società per azioni (corporation) regolarmente iscritta nei registri della SEC.

Con la registrazione all’anagrafe viene automaticamente creato un trust, cioè un sistema fiduciario, di proprietà dello Stato e di conseguenza viene assegnata una “finzione-personalità giuridica” che ha per oggetto l’esistenza in vita del nuovo individuo.

In realtà, il certificato di nascita non è altro che la costituzione di una “personalità fittizia”, che non appartiene all’intestatario bensì ad enti sovranazionali.

Infatti, basta recarsi presso una qualsiasi anagrafe di competenza e richiedere il rilascio dell’atto originale: la risposta sarà negativa in quando è possibile solo rilasciarne una copia.

In pratica, lo Stato crea un bond (titolo obbligazionario) del valore di 2 milioni di dollari alla nascita di ogni individuo e l’oggetto di questo bond è l’esistenza in vita dell’individuo stesso.

 Questo bond ovviamente verrà quotato in borsa!

 Suonerà strano ma è proprio così: ogni persona titolare di un certificato di nascita è quotata in borsa.

Dunque, ogni uomo nato libero diventando cittadino censito di uno Stato si ritroverà ad essere titolare di una fetta dell’inestinguibile debito pubblico ed avrà la propria vita condizionata, direttamente od indirettamente, da quelle diaboliche élite sovranazionali di cui ogni Stato è vassallo.

Ecco spiegato il sistema fraudolento che si trova alla base dello sfruttamento dei cittadini da parte degli Stati, tant’è che i servizi e le infrastrutture sono già ampiamente pagati dai nostri bond creati all’atto della nascita, tramite i quali vengono organizzati i servizi e le strutture statali dei 194 Stati di cui si è accennato prima.

Pertanto si può affermare con assoluta certezza che le tasse sono un sopruso, ovvero vengono imposte ai cittadini nonostante siano già ampiamente pagate grazie ai bond personali.

Non solo, è opportuno aggiungere che non essendovi un contratto sottoscritto tra i cittadini e lo Stato, che risulta essere una corporation privata, le tasse non sono dovute anche per questo motivo.

 Può apparire strano tutto ciò ma è la semplice verità, purtroppo il sistema ha indottrinato sapientemente le persone rendendole schiave di una realtà adulterata.

 Nessuna società organizzata in classi sociali desidera che il popolo diventi saggio!

Se le persone sono sagge non possono essere sfruttate, se hanno intelligenza non possono essere sottomesse, non possono essere costrette a vivere una vita meccanica come se fossero dei robot.

Desidereranno manifestare la loro esclusiva individualità e sarebbero animate dal fuoco della ribellione trovandosi in uno stato di oppressione.

Semplicemente, vorranno vivere la propria vita in libertà e nessuna società, ai piani alti, vuole che la gente comune sia libera!

Nel momento in cui le persone iniziano ad utilizzare la propria intelligenza diventano dannose per il sistema, pericolose per le entità che sono ai vertici del potere.

Sarebbero pericolose per tutti gli Stati oppressori e sfruttatori, incluse le chiese che per secoli hanno ingannato e giustificato i genocidi dietro false dottrine.

 Un uomo saggio non vende la propria vita, non cede ad altri la propria libertà, preferirà piuttosto morire che essere schiavo!

 Chi non conosce la verità brancola nel buio ed è facilmente manovrabile, ecco perché viene sempre occultata da questi esseri inumani e privi di empatia.

Vengono spacciate per verità le menzogne che fanno comodo al sistema, con la stessa modalità che asseriva il gerarca nazista Paul Joseph Goebbels “ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.

In tal modo, le persone diventano degli “schiavi felici” indottrinati con false verità che gli fanno credere di essere liberi, mentre in realtà hanno le catene ai piedi.

Questi schiavi, inconsapevoli di esserlo, sono coloro che non si pongono nessuna domanda, sono così assuefatti al sistema che non pensano possa esistere una soluzione alternativa a quella che gli viene proposta.

Accettano leggi capestro, veri e propri soprusi o qualsiasi cosa venga detta loro dall’alto, da personaggi in vista all’apparenza qualificati, non rendendosi conto che quest’ultimi sono solo le marionette in mano ai dominatori occulti.

Gli schiavi inconsapevoli credono che la TV sia il vangelo, una fonte di verità assoluta, non pensano affatto che la “scatola magica” è piena di gente corrotta che lavora ed è finanziata dalle stesse élite.

 Se il padrone dice che una notizia non deve divenire di pubblico dominio semplicemente viene occultata.

 Johann Wolfgang von Goethe diceva “nessuno è più schiavo di colui che crede di essere libero senza esserlo”, questo maledetto illuminato ha detto una frase che resta molto attuale.

 Come diceva il Signore Cristo Gesù, la conoscenza della verità ci renderà liberi, ed Egli è la via, la verità e la vita.

L’articolo si conclude con un’ultima citazione dalla Bibbia, che spero possa farvi riflettere:

Geremia 17:5-8 «5 Così dice l’Eterno: Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dall’Eterno!

6 Egli sarà come un tamerisco nel deserto; quando viene il bene non lo vedrà. Dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra salata senza abitanti.

 7 Benedetto l’uomo che confida nell’Eterno e la cui fiducia è l’Eterno!

8 Egli sarà come un albero piantato presso l’acqua, che distende le sue radici lungo il fiume.

Non si accorgerà quando viene il caldo e le sue foglie rimarranno verdi, nell’anno di siccità non avrà alcuna preoccupazione e non cesserà di portare frutto.»

Arrivederci alla prossima pubblicazione, sempre e solo se il Signore vorrà!

 

 

 

 

La Sinistra e il popolo tradito

Carlo Crosato legge Luciano Canfora.

Laterza.it – (25-5-2022) – Carlo Crosato – Luciano Canfora - ci dicono:

 

«Perché i concetti di “popolo” e “sovranità” fondanti della Costituzione si sono trasformati in concetti denigratori?», si chiede Luciano Canfora.

 L’autore del pamphlet “La democrazia dei signori” analizza l’attuale periodo storico, dall’avvento di Draghi al ruolo geopolitico dell’Europa.

«Abbiamo sotto i nostri occhi un fenomeno macroscopico – afferma Luciano Canfora la denigrazione del popolo, un disdegno per di più riservato al popolo da parte della Sinistra – o ci ciò che ne resta –, la quale usa la parola “populismo” come accusa contro i propri avversari, rei di amoreggiare con il popolo».

Questo il punto di partenza del suo ultimo libro, pubblicato da Laterza,” La democrazia dei signori”: un pamphlet puntuto, in cui la più stringente attualità è posta sotto una lente critica spietata.

«È evidente che la democrazia che hanno in mente le élite dominanti è una democrazia di persone che si distaccano dal popolo e si considerano superiori a esso».

 

Non solo “populismo”. Spesso si muove anche l’accusa di sovranismo.

L’ordinamento costituzionale italiano si fonda, fin dal suo primo articolo, sul concetto che la sovranità appartiene al popolo:

com’è potuto accadere che i concetti di “popolo” e “sovranità” presenti nell’articolo fondante della Costituzione italiana si siano trasformati in concetti denigratori?

Oltre alla separazione fra popolo ed élite, c’è un altro elemento:

la ex-Sinistra non ha più alcuna idealità connessa alla sua origine di movimento dei lavoratori.

 L’ex-Sinistra ha in testa un’unica idea: l’europeismo, ossia la delega di gran parte del potere decisionale a organismi per nulla elettivi e soprattutto separati, lontani e onnipotenti.

A partire da tale delega, la sovranità è divenuta un ingombro e chi si richiama a essa è considerato un avversario.

 La Destra italiana, con le sue idee ripugnanti, ha buon gioco a richiamarsi alla sovranità e a reclamare il tradimento del popolo da parte della ex-Sinistra.

Chiedendo la fiducia al Senato, Draghi ha affermato:

«Nelle aree definite dalla debolezza degli Stati nazionali, essi cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa».

Questa della sovranità condivisa non è un’espressione ossimorica?

È un gioco di parole che nasconde un’evidenza ormai consolidata: le leve del potere sono altrove;

i Parlamenti nazionali contano poco o nulla potendo solo ratificare e non legiferare;

i governi legiferano ma, di fatto, sono rinchiusi nella gabbia d’acciaio dei regolamenti europei.

Se questo scenario venisse ammesso in maniera esplicita, susciterebbe sconcerto.

 Con questa espressione fumosa, “sovranità condivisa”, si può far accettare una dura realtà, che probabilmente si sclerotizzerà fino a produrre ordinamenti nuovi, i quali sostituiranno completamente quelli vigenti.

All’origine della “democrazia dei signori”, lei colloca le pressioni che l’Ue opera sui propri Paesi membri.

L’Italia, essendo membro fondatore, non può essere maltrattata come la Grecia: serve un autorevole intervento dall’interno e da molto in alto.

Lei cita, come complice dell’istituzione della “democrazia dei signori”, la presidenza della Repubblica, nei casi Monti e Draghi.

I due presidenti, fra loro molto diversi come storia personale, cultura, provenienza politica, che si sono susseguiti nell’ultimo quindicennio, Napolitano e Mattarella, si sono trovati sotto una forte pressione alla quale hanno prestato assenso.

Quando fu cacciato Berlusconi, reso pressoché indifendibile dai suoi errori, l’azione fu viziata dalla nota lettera di Draghi e Trichet.

Monti fu nominato senatore a vita e, dopo poche ore, gli fu affidato il compito di comporre un governo.

 Napolitano ordinò a Bersani, allora segretario del Pd, di sostenere il governo Monti assieme all’avversario Forza Italia.

Nacque un governo che, a ben vedere, fu la causa della fioritura del Movimento 5 Stelle, il quale catalizzò lo scontento di tutti coloro che erano rimasti sconcertati da queste manovre di palazzo.

 Conosciamo la storia successiva: le elezioni del 2018, il risultato apparentemente inconciliabile di tre blocchi che si equivalevano come peso elettorale.

Poi i governi Conte e, infine, nel gennaio 2021, l’appello con il quale il presidente Mattarella superava i poteri e lo stile riservati al capo dello Stato.

Se si legge l’articolo della Costituzione, che elenca i poteri e le prerogative della presidenza della Repubblica, quello di rivolgere un appello ai partiti perché formano un governo secondo i suoi desiderata non si trova.

Giuseppe Conte era riuscito a ottenere un cospicuo aiuto economico dall’Europa, i famosi 209 miliardi di euro.

Dall’Europa, però, non ci si fidava di un governo come quello allora vigente: si ritenne doveroso avere come gestore di questi aiuti un uomo di fiducia.

 L’ex presidente della Bce era l’uomo giusto.

 Sono cose arcinote: messe tutte in fila, delineano un quadro tutt’altro che rassicurante.

 

Lei pone la seguente domanda: «Il nostro Paese sta forse ricevendo un trattamento di favore in cambio della promozione di Draghi a presidente del Consiglio?». È così?

È un caso che nel caso del Pnrr di Draghi questi passaggi siano stati fluidificati e le prime quote di aiuti siano già arrivate?

 

Considerata la debolezza del pensiero di Sinistra che abbiamo detto prima, che ne è dello Stato sociale dentro il Pnrr e cosa ne sarà quando i soldi dell’Europa per l’emergenza sanitaria finiranno?

Sono problemi che lei affronta anche in un altro libro, che vorrei segnalare: “Europa: gigante incatenato” pubblicato da Dedalo.

 

Lo Stato sociale è un oggetto delicato: nacque in Europa come risposta del mondo occidentale al fenomeno della Rivoluzione comunista, che rappresentava un punto di attrazione molto forte per le masse lavoratrici.

Lo Stato sociale era lo strumento per evitare la rivoluzione tout court.

Oggi la situazione è cambiata per molte ragioni: i parametri di Maastricht hanno indotto una situazione in cui il precariato è un’alternativa di gran lunga preferibile al padronato.

 Lo Stato sociale, di fronte al dilagare del precariato, sembra un fossile.

 Lo Stato sociale, così come lo Statuto dei lavoratori, sono considerati affari d’altri tempi.

 Il potere contrattuale dei sindacati è ridotto perché non hanno alcuna sponda politica e lo stesso dicastero che si dovrebbe occupare di simili questioni è impotente.

Come si può ristabilire una sana conflittualità sociale, se sul suolo nazionale i partiti si amalgamano in un partito unico, e se sempre di più ci si riferisce a direttive extranazionali impossibili da contestare.

Non è facile rispondere. Io credo che una delle grandi difficoltà delle organizzazioni sindacali sia di avere un interlocutore solo apparente sul territorio nazionale, e un interlocutore vero e decisivo in una dimensione in cui nessuna trattativa è davvero possibile.

Dal punto di vista della ripresa di una sana conflittualità sociale, la situazione è fra le peggiori.

E credo che questo possa avere conseguenze profonde e di lunga durata: un ribellismo inconsulto, mera manifestazione di disperazione, e cinismo e repressione come risposta.

Si dovrebbero mobilitare le energie di un profondo ripensamento degli ordinamenti europei.

Lo stesso Draghi più volte ha lasciato intendere che, durando lui al governo, si porrà la condizione di rifondare l’Unione europea.

 Lo prendo sulla parola: chissà se ne avrà le risorse.

D’altra parte il nuovo governo tedesco ha nella sua maggioranza una forza, i liberali, che spingono per proseguire sulla linea del rigore.

 Nella partita del rinnovamento così aperta le forze sociali organizzate, se ancora ce ne sono, devono far sentire la propria voce.

Le chiedo provocatoriamente: lei auspica un’uscita dell’Italia dell’Europa?

No! Io auspico una trasformazione radicale dell’Unione europea, la quale è nata male, tutta centrata sulla moneta unica e conservando la sudditanza dell’Unione alla Nato e agli Usa.

L’Europa ha una forza economica notevolissima e un drammatico nanismo dal punto di vista politico e militare.

Questa Unione europea, che unione non è, deve trasformarsi profondamente al proprio interno, magari partendo dall’abolizione dei pesanti debiti dei Paesi membri, come richiesto da David Sassoli.

Se l’Unione europea vuole contare, deve divincolarsi da questa sudditanza rispetto agli Stati Uniti, per cui magari un domani ci ritroviamo a far la guerra alla Russia.

Come vede il ruolo dell’Europa nella crisi innescata dall’attacco russo all’Ucraina? Come si sta comportando e come dovrebbe operare, a suo avviso, per sottrarsi alla storica subordinazione rispetto a Usa e Nato?

Nessuno di noi conosce le segrete cose e nessuno può pretendere di fornire ricette definitive.

E di tutta evidenza che le sanzioni fanno più male all’Europa che le infligge che non alla Russia, che eventualmente le subisce.

Chi rimane totalmente indenne dalle sanzioni sono gli Stati Uniti d’America. L’attualità conferma la diagnosi di sudditanza dell’Europa, priva di una propria linea politica chiara e autonoma.

L’Europa: un grande continente pieno di cultura, di risorse, di intelligenza, ma totalmente eteronomo, cioè tutt’altro che autonomo.

Difficile rispondere alla domanda su come altrimenti dovrebbe comportarsi:

le automobili non si riparano in corsa, ma da ferme;

 e ora la corsa è frenetica e si assiste solo a un “si salvi chi può”.

Per tutelare l’Europa, sarebbe bene che la Germania mettesse in funzione il gasdotto, cosiddetto North Stream 2:

un gasdotto che è stato costruito come alternativa a quello che attraversa l’Ucraina e che proprio ora ritroverebbe il proprio senso.

Abbiamo voluto badare ai nostri interessi ai danni dell’Ucraina e ora fingiamo di piangerne le sorti e, per di più, blocchiamo quel gasdotto a danno di noi stessi.

 È una politica delirante.

 

 

 

Germania, terremoto

alla Difesa.

Altrenotizie.org - Mario Lombardo – (17 Gennaio 2023) – ci dice:

 

Le dimissioni del ministro della Difesa tedesco hanno portato alla luce spaccature e contraddizioni che attraversano la prima potenza economica dell’Europa e il governo federale del cancelliere Olaf Scholz nel quadro del conflitto in Ucraina.

L’uscita di scena questa settimana di Christine Albrecht, sostituita martedì con il semisconosciuto Boris Pistorius, è infatti da collegare ai presunti tentennamenti evidenziati nell’approvare l’invio di armi sempre più sofisticate al regime di Zelensky.

Più in generale, la sorte dell’ormai ex ministro è stata segnata dalla lentezza con cui, sotto la sua supervisione, è stato portato avanti il piano di “modernizzazione” delle forze armate tedesche, ovvero l’impulso al militarismo più consistente dai tempi del regime nazista.

A livello formale, la Albrecht avrebbe visto indebolirsi la sua posizione a causa dell’accumularsi di svariate controversie esplose fin dalla sua nomina.

 Media e politici di opposizione avevano iniziato a prenderla di mira già a inizio dello scorso anno, quando aveva annunciato l’invio di 5.000 elmetti all’Ucraina presentando l’iniziativa come un “chiaro segnale” della volontà tedesca di essere al fianco di Kiev nel confronto con Mosca.

Qualche mese più tardi era inoltre scoppiata una polemica per un volo a bordo di un elicottero militare sul quale il ministro si era fatta accompagnare dal figlio 21enne.

 La notizia era circolata proprio grazie a un post pubblicato dalla stessa Albrecht sul suo account Instagram.

Un altro recente intervento su questo “social” ha alla fine dato l’occasione ai suoi detrattori di assestare il colpo definitivo che l’ha costretta alle dimissioni.

In un imbarazzante video girato nelle strade di Berlino tra i festeggiamenti per il Capodanno, il ministro socialdemocratico aveva tenuto a spiegare come la guerra che “infuria in Europa” le avesse procurato “sensazioni speciali” e consentito di incontrare “molte persone importanti e interessanti”.

Nell’immediato, l’avvicendamento alla guida del ministero della Difesa si è reso necessario per provare a mostrare un cambio di passo in concomitanza con il vertice di questa settimana degli sponsor dell’Ucraina nella base di Ramstein, a cui parteciperà anche il numero uno del Pentagono, Lloyd Austin, e nel quale verrà fatto il punto sulle nuove forniture di armi da inviare al regime di Kiev.

A questo proposito, la Germania è sotto pressione per dare l’OK all’invio di carri armati da combattimento Leopard 2.

Il governo Scholz ha finora esitato a prendere una decisione in questo senso, ma un numero crescente di paesi europei sta spingendo su Berlino per sbloccare la situazione.

 Finlandia e Polonia sarebbero ad esempio pronte a consegnare un certo numero di Leopard 2 all’Ucraina, ma, essendo i carri armati di fabbricazione tedesca, gli accordi di vendita prevedono che l’invio a terzi venga autorizzato appunto dalla Germania.

Secondo alcuni commentatori, il successore di Christine Albrecht dovrà ricevere una qualche benedizione da Washington ed essere pronto a concedere quanto richiesto al regime ucraino.

Fino a lunedì, la favorita per la carica di ministro della Difesa sembrava essere il “falco” della SPD, Eva Högl, tra i politici più attivi nel promuovere la causa ucraina, nonché i massicci investimenti sul fronte militare domestico.

La scelta di Pistorius, anch’egli socialdemocratico e attuale responsabile del dipartimento degli Interni del governo regionale della Bassa Sassonia, sarà invece tutta da valutare.

Scholz potrebbe avere optato per una figura di basso profilo a livello nazionale per controllare personalmente il portafoglio della Difesa, anche se la stampa tedesca sembra attribuire a Pistorius quelle caratteristiche di risolutezza e determinazione teoricamente necessarie per implementare l’accelerazione richiesta da più parti.

Va detto in ogni caso che la prudenza attribuita alla Albrecht, nonché allo stesso Scholz, deve essere valutata nell’ottica dell’isteria anti-russa che pervade la grandissima parte della classe politica europea.

Se nel governo di Berlino ci sono resistenze a provocare un’ulteriore escalation del conflitto consegnando armi più potenti all’Ucraina, è anche vero che la Germania ha finora sbloccato parecchio materiale non esattamente inoffensivo, come ad esempio, solo per citare i casi più recenti, 40 mezzi da combattimento Morder e una batteria di missili anti-aerei Patriot da installare in territorio polacco.

La questione dei Leopard 2, così come di tutti gli altri sistemi bellici invocati fin qui come elementi decisivi per far svoltare la guerra in favore di Kiev, nasconde una realtà ben diversa da quella promossa dalla propaganda ufficiale.

La Germania dispone di circa 110 di questi mezzi che potrebbero essere trasferiti all’Ucraina, ma come ha ammesso l’amministratore delegato della società costruttrice (Rheinmetall), per renderli pronti all’impiego nel teatro di guerra servirebbe almeno un anno, oltre che centinaia di milioni di euro.

È del tutto evidente che le pressioni su Berlino servono quindi anche a spingere il governo Scholz oltre la linea rossa tracciata dal Cremlino, così da rendere irreversibile la rottura con Mosca.

Quest’ultimo è un obiettivo primario degli Stati Uniti ed è alla base delle provocazioni che hanno portato alla guerra in Ucraina.

La Germania, dopo l’inizio dell’invasione russa del febbraio scorso, ha assecondato di fatto le posizioni americane, arrivando ad accettare situazioni ben oltre il limite dell’autolesionismo, come la potenziale deindustrializzazione del proprio sistema economico e la distruzione del gasdotto Nord Stream 2.

 

Sia pure in modo relativo e a fasi alterne, il governo federale ha tenuto tuttavia posizioni meno estreme sull’Ucraina rispetto ad altri paesi, ad esempio quelli baltici o la Polonia.

Dentro la SPD rimane infatti una fazione più prudente che vede con enorme preoccupazione la liquidazione delle basi stesse della potenza economica tedesca, vale a dire la disponibilità di risorse energetiche a basso costo e l’apertura verso i mercati euroasiatici.

 Per altro verso, il secondo dei tre partiti di governo a Berlino, cioè i Verdi, continua a rappresentare l’anima più irriducibilmente atlantista e guerrafondaia, dettando in buona parte la linea della politica estera tedesca.

La crisi ucraina costituisce in ogni caso un’occasione storica per la classe dirigente tedesca, da oltre un decennio ormai in piena mobilitazione per fare della Germania una grande potenza globale, in primo luogo attraverso il rafforzamento dell’esercito.

Non a caso in concomitanza con le dimissioni del ministro della Difesa Albrecht, la rivista” Der Spiegel” ha pubblicato un lungo articolo che denuncia esplicitamente la presunta passività del governo Scholz nel gestire il processo di militarizzazione della Germania e, assieme, offre una sorta di elenco dei desiderata dei vertici delle forze armate e degli ambienti più guerrafondai del paese.

Uno dei temi più caldi è l’insufficienza del fondo speciale da 100 miliardi di euro che il governo ha promesso per la “modernizzazione” dell’esercito tedesco.

La già incredibile somma dovrebbe essere triplicata, secondo Der Spiegel, e in parallelo la quota del PIL da destinare annualmente alle spese militari salire dall’obiettivo programmato del 2% addirittura al 3%, cioè dagli attuali 50 miliardi a 120 miliardi.

La reintroduzione della leva obbligatoria è un altro elemento giudicato utile alla militarizzazione della società e al superamento delle resistenze della grande maggioranza della popolazione alla partecipazione a future guerre da parte della Germania.

Un aspetto fondamentale è poi il rafforzamento dell’industria bellica tedesca e la semplificazione delle procedure di appalto in ambito militare.

Particolarmente delicata è infine la questione del controllo civile sulle forze armate.

“Der Spiegel” lamenta la scarsa influenza dei generali sulle decisioni del ministero della Difesa e invoca un’inversione di rotta rispetto alla linea tracciata un decennio fa dall’allora ministro cristiano-democratico, Thomas de Maiziere.

 Il ministro del gabinetto Merkel aveva in sostanza escluso i comandanti dei vari corpi delle forze armate dal suo dicastero e il rifiuto della Albrecht a revocare questa norma, così come le resistenze ad adottare una “riforma” più ampia che includa anche l’aumento consistente dei militari in servizio, è stato appunto uno dei fattori che, nei giorni scorsi, le è costato definitivamente l’incarico.

 

 

 

Kiev: Washington

getta la maschera.

Altrenotizie.org - Michele Paris – (28 Aprile 2022) – ci dice:

Gli ultimi sviluppi delle vicende militari in Ucraina hanno svelato definitivamente le intenzioni degli Stati Uniti e della NATO, portando alla luce anche a livello ufficiale l’obiettivo occidentale di annientare la Russia come paese sovrano.

Le dichiarazioni più recenti di esponenti di primo piano dell’amministrazione Biden lasciano pochi dubbi in proposito, ma tutte da verificare saranno però le possibilità reali di mettere in ginocchio la Russia.

L’intera “potenza” americana e del Patto Atlantico, assieme al contributo di altri alleati, non era infatti bastata a evitare, tra le altre, l’umiliazione in Afghanistan e, infatti, le prospettive immediate per il regime di Kiev e i suoi sponsor non appaiono incoraggianti.

Fatto salvo uno scontro nucleare dalle conseguenze a malapena immaginabili, l’unica strategia realistica al momento per l’Ucraina e l’Occidente sembra essere il prolungamento a oltranza del conflitto, anche se a un prezzo salatissimo per l’incolpevole popolazione dell’ex repubblica sovietica.

La maschera americana è caduta in occasione della trasferta europea del segretario di Stato, Anthony Blinken, e del numero uno del Pentagono, Lloyd Austin.

Quest’ultimo, in una conferenza stampa in Polonia, dopo avere incontrato Zelensky a Kiev, ha usato deliberatamente il “noi” per sottolineare l’impegno introdotto per “vincere” la guerra.

Nelle prime settimane dopo l’inizio delle ostilità, quanti sostenevano che il conflitto era da ricondurre a uno scontro tra Russia e NATO, con la prima messa con le spalle al muro, venivano bollati come “cospirazionisti”.

Ora, invece, a Washington e in Europa si discute apertamente sui piani per “indebolire” Mosca e fare in modo, idealmente attraverso un cambio di regime al Cremlino, che la Russia non rappresenti più una “minaccia” o che un’invasione come quella dell’Ucraina non si ripeta in altri paesi.

Questo cambio di rotta in termini di retorica da parte dell’Occidente ha un’immediata preoccupante implicazione, ovvero il rischio di una guerra diretta con armi nucleari.

 Solo a metà marzo, il presidente americano Biden, nel frenare le richieste dei “falchi” anti-russi, spiegava che uno scontro diretto con Mosca avrebbe significato “la terza guerra mondiale” ed era quindi da evitare.

Poco più di un mese dopo, di fronte allo sbando delle forze armate ucraine, la Casa Bianca ha invece imboccato a tutta velocità precisamente questa strada.

La direzione presa dalla guerra è spiegabile appunto con le ragioni alla base di essa e che nulla hanno mai avuto a che vedere con la difesa di una inesistente democrazia ucraina.

Il coinvolgimento nelle vicende ucraine è tale, almeno dal golpe neo-nazista del 2014, che la credibilità degli USA e i piani strategici per invertire il declino della loro influenza globale passano per la sconfitta della Russia, considerata un elemento decisivo per affrontare in seguito la questione della Cina.

In questo scenario, è inevitabile che non ci sia spazio per la ricerca di una soluzione pacifica alla crisi.

L’amministrazione Biden aveva di fatto boicottato i negoziati tra Mosca e Kiev ancora quando i veri obiettivi del conflitto non venivano riconosciuti pubblicamente ed è quindi ancora meno probabile che una via d’uscita attraverso la diplomazia, con il riconoscimento in primo luogo dello status neutrale dell’Ucraina, si verifichi nel prossimo futuro.

 L’ex ambasciatore indiano M. K. Bhadrakumar, a proposito della situazione venutasi a creare, ha spiegato che “l’agenda di Biden prevede il prolungamento del conflitto”, così da “fare dell’Europa un campo di battaglia e renderla dipendente dalla leadership americana per molto tempo”, grazie allo sganciamento forzato dalla Russia in ambito energetico ed economico, con conseguenze negative inoltre sui progetti di integrazione euro-asiatica promossi da Pechino.

Ramstein e i Panzer tedeschi.

L’aggravarsi della crisi in Ucraina e l’allontanarsi di una soluzione pacifica, i cui termini erano peraltro da anni scritti nero su bianco nei mai implementati accordi di Minsk, si manifesta in primo luogo con l’invio al regime di Zelensky, alle forze armate di Kiev e alle formazioni neo-naziste di materiale bellico sempre più sofisticato o, comunque, da utilizzare potenzialmente in funzione offensiva.

 Il segretario alla Difesa americano Austin ha spiegato qualche giorno fa che verranno “mossi cielo e terra” pur di dotare l’Ucraina delle armi necessarie al raggiungimento degli obiettivi americani.

 Washington ha già garantito equipaggiamenti per 3,7 miliardi di dollari dall’inizio della guerra, mentre la Germania ha appena promesso di stanziare altri due miliardi.

Giovedì, l’amministrazione Biden ha fatto sapere di avere chiesto al Congresso addirittura 33 miliardi di dollari da spendere per armi, aiuti umanitari e a sostegno dell’economia ucraina.

Armi pesanti come carri armati, pezzi di artiglieria e mezzi aerei sono d’altra parte indispensabili per “spezzare la schiena” alla Russia.

Per coordinare questo sforzo, Washington ha organizzato nei giorni scorsi un vertice con i propri alleati presso la base militare USA di Ramstein, in Germania.

Qui dovrebbe riunirsi mensilmente una sorta di “Gruppo di Contatto”, composto dai vertici militari dei vari paesi NATO, per pianificare gli aspetti logistici e strategici della guerra contro Mosca.

 Se la facciata del fronte anti-russo appare più o meno compatta, continuano a trapelare segnali di inquietudine per la deriva che la crisi ha intrapreso.

La notizia di questa settimana della decisione del cancelliere tedesco Scholz di arrendersi alle pressioni per alzare il livello delle forniture di armi all’Ucraina dà forse l’idea delle contraddizioni che caratterizzano le scelte oggettivamente suicide dell’Europa.

In seguito all’ingigantirsi dell’ondata anti-russa negli ambienti politici e dei media tedeschi, Scholz ha dato il via libera al trasferimento in Ucraina di una cinquantina di vecchi carri armati anti-aereo “Gepard” dismessi da anni dalle forze armate tedesche.

La stampa ufficiale ha salutato la decisione del governo di Berlino come una svolta, soprattutto dopo che solo alcuni giorni prima il cancelliere socialdemocratico si era mostrato freddo sull’ipotesi di inviare direttamente questi mezzi a Kiev.

Un approfondimento sulla decisione tedesca pubblicato dal blog “Moon Of Alabama” ha tuttavia ridimensionato almeno in parte l’impatto della decisione della Germania.

 Basandosi sulla propria esperienza nell’esercito tedesco, l’autore dell’articolo ha spiegato che l’efficacia dei “Gepard” come sistema anti-aereo è molto limitata dal momento che hanno un raggio di pochissimi chilometri.

Non solo, secondo “Moon Of Alabama”, se anche questi carri armati tedeschi dovessero arrivare a destinazione, difficilmente potranno essere impiegati sul campo a breve.

 Il funzionamento dei mezzi è piuttosto complesso e richiede dai sei ai dodici mesi di addestramento per poterli condurre in modo adeguato.

 Nell’esercito tedesco sarebbero rimasti poi a malapena una decina di militari capaci di manovrare un “Gepard” e quindi in grado di addestrare gli ucraini.

A ciò va aggiunta la notizia che la Svizzera, dove vengono fabbricati i cannoni e le munizioni destinati ai “Gepard” tedeschi, ha messo il veto sull’esportazione di questo materiale da spedire a Kiev.

Per” Moon Of Alabama”, quindi, la decisione di Scholz sarebbe un modo per allentare le pressioni sul suo governo evitando di contribuire all’escalation in Ucraina.

Anche se così fosse, in Germania non sembra comunque prevalere la prudenza.

Oltre al denaro promesso a cui si è accennato in precedenza, il ministro della Difesa, Christine Albrecht, ha invitato gli altri paesi europei con disponibilità di materiale bellico a spedirlo in Ucraina, dopodiché sarà Berlino a pagare il conto o a rifornire questi ultimi.

Il dilemma logistico.

L’accelerazione delle forniture di armi a Kiev è stata oggetto di un serio avvertimento del ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, il quale ha messo in guardia circa le conseguenze di quella che sarebbe a tutti gli effetti l’entrata in guerra della NATO contro Mosca.

 Lavrov ha aggiunto che i convogli di armi provenienti da Occidente e destinati al regime di Zelensky rappresentano “bersagli legittimi” per il fuoco russo.

Bombardamenti mirati contro equipaggiamenti spediti da paesi NATO sono già stati condotti più volte in queste settimane e potrebbero aumentare sensibilmente con l’intensificarsi dello sforzo a favore dell’Ucraina.

Questo aspetto del conflitto solleva un problema logistico al momento irrisolvibile per Kiev.

Anche se tutte le armi promesse dovessero oltrepassare il confine ucraino, non è chiaro come potrebbero arrivare al fronte orientale, teatro principale del conflitto con la Russia.

Dopo oltre due mesi di una campagna militare che, al contrario di quanto si sostiene in Occidente, ha raggiunto gli obiettivi fissati dal Cremlino, l’Ucraina non è in grado di trasportare rifornimenti militari per via aerea, né su strada né su rotaia.

 Le forze aeree sono state distrutte e la Russia controlla i cieli ucraini.

Le ferrovie sono state interrotte da ripetuti bombardamenti, in particolare negli ultimi giorni, mentre i mezzi su gomma non sono sufficienti e, in ogni caso, se anche lo fossero diventerebbero bersagli fin troppo facili per i russi.

Stesso discorso vale per le rotte d’acqua, avendo l’Ucraina perso quasi subito l’accesso al mare di Azov e al Mar Nero.

I rubinetti del gas.

L’altra notizia calda sul fronte ucraino riguarda ancora una volta il gas.

Mosca ha sospeso le forniture a Polonia e Bulgaria dopo il mancato pagamento in rubli, come richiesto dal Cremlino, delle forniture di aprile.

Come previsto, la decisione ha scatenato la reazione dei burocrati di Bruxelles, con la presidente della Commissione Europa, Ursula von der Leyen, protagonista di una patetica denuncia del “ricatto” di Putin.

Per la discendente di una famiglia di nazisti convinti, la chiusura dei rubinetti del gas sarebbe “ingiustificata e inaccettabile”, mentre apparentemente lo sarebbero le sanzioni imposte contro Mosca, il furto delle riserve russe depositate in Occidente o l’appoggio alle milizie neo-naziste ucraine.

La mossa di Putin sul pagamento in rubli sta ad ogni modo producendo i risultati previsti.

 L’Europa si sta infatti dividendo sulla questione, con alcuni paesi che hanno già aperto conti in valuta russa presso la banca Gazprom, dove verranno convertiti i pagamenti in euro.

 Così hanno già deciso ufficialmente Ungheria, Slovacchia, Austria e, dietro pressioni degli industriali, Germania.

Per quanto riguarda l’Italia, ENI sarebbe pronto ad aprire a sua volta un conto in rubli e attenderebbe ora “indicazioni” dal governo.

 

Le diverse posizioni dei paesi UE confermano come i prodotti energetici russi restino cruciali e le politiche autolesioniste implementate sotto dettatura di Washington rischino di gettare il continente in una grave crisi economica.

Ciononostante, a Bruxelles non si discute di come allentare le tensioni e favorire il processo diplomatico, bensì di un sesto pacchetto di sanzioni.

 Dalle notizie sull’argomento pubblicate dai media ufficiali emerge un quadro surreale, nel quale l’Europa sta studiando formalmente nuove misure per penalizzare la Russia, come l’embargo petrolifero, ma che in realtà finiranno per colpire gli stessi paesi che intendono applicarle.

Un altro possibile provvedimento allo studio per limitare i danni causati dalle stesse scelte suicide di Bruxelles dà l’idea del livello infimo raggiunto dai leader europei.

 Per non lasciare i paesi come Polonia, Bulgaria e, probabilmente, Finlandia senza la quota di gas importato dalla Russia, i loro vicini potrebbero, tra l’altro, aumentare le scorte e vendere poi a questi ultimi una parte di quello acquistato sempre da Gazprom dopo averlo pagato, ovviamente, in rubli.

 

 

 

 

Kiev, nei palazzi devastati:

la strategia del terrore

sulla capitale dell’Ucraina.

Corriere.it - Lorenzo Cremonesi – (15-3-2022) – ci dice:

 

Colpito un caseggiato di nove piani: 2 morti e 9 feriti: «Qui ci vivevano 500 persone, sono scappati quasi tutti».

Colpi anche sulla fabbrica ex sovietica degli Antonov.

KIEV — Per raccontare questa lunga giornata d’assedio e mobilitazione nella capitale ucraina partiamo dalla grande fabbrica di aerei Antonov nei quartieri occidentali.

È qui, infatti, che ieri mattina i missili russi hanno colpito poco prima delle cinque, uccidendo due persone, tra i capannoni eretti quando il Paese era ancora una provincia sovietica per costruire i cargo più grandi del mondo.

 L’intera zona è off limits, le guardie della fabbrica allontanano brutalmente i giornalisti, vietato fare fotografie, attorno si notano piccoli presidi di volontari armati della difesa civile.

Dall’esterno non si vede alcun segno di danni o incendi.

Ma i civili che abitano nelle vicinanze confermano che le esplosioni sono state almeno due e molto forti.

 «La mia villa è situata una cinquantina di metri dal recinto della Antonov.

Il rombo è stato assordante, le nostre finestre al primo piano sono andate in frantumi e il terreno ha vibrato come fosse un terremoto.

Adesso ho deciso di allontanare moglie e figli che hanno paura di andare a letto. Resterò soltanto io di guardia alla casa», ci dice Dimitri, che ha cinquant’anni e sino al 24 febbraio faceva l’agente immobiliare.

Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina.

Il condominio.

Molto più visibili e drammatiche sono invece le conseguenze della massiccia esplosione che, più o meno in concomitanza a quelle nella Antonov, investe un massiccio caseggiato a nove piani nel quartiere di Obolon, nelle zone settentrionali della capitale, che sono molto vicine alle prime linee russe.

Andando sul posto appare subito evidente che non vi è alcun obbiettivo militare nelle vicinanze, le vittime sono civili:

due morti e nove feriti, secondo gli addetti all’ambulanza che sostano nel parcheggio.

Tutta la parte frontale del palazzone è devastata dalle schegge, neppure una finestra appare intatta, almeno metà dei 144 appartamenti risulta ormai inabitabile.

«Le vittime sono poche per il semplice fatto che gran parte degli abitanti è sfollato.

Qui vivono almeno 500 persone in tempi normali, se ci fossero state sarebbe stato un massacro.

 Io stesso avevo mandato mia moglie e mio figlio in un bunker sotto la chiesa ortodossa in centro.

 I nostri vicini di pianerottolo bivaccano ormai nelle stazioni del metrò.

Queste case sono del periodo sovietico, vennero erette al risparmio, con trombe delle scale strette e cantine poco sicure contro le bombe.

Nessuno le ha organizzate a bunker.

Oltretutto noi tutti sappiamo bene di essere sulla linea del fuoco.

Qui davanti, una decina di chilometri più verso nord, sono posizionate le artiglierie, i missili e mortai di Putin.

Quando inizierà il grande bombardamento sarà bene non stare da queste parti», spiega il 55enne Costantino Yurchyk, che fa il guardiano nella scuola vicina, ma la sua abitazione si trova al quinto piano del palazzo devastato.

 I pochi abitanti rimasti nel quartiere ieri a metà mattina andavano a vedere il luogo dell’esplosione.

 I parchi vicino al campo da calcio erano puntellati di rottami.

 Ma i discorsi della 69enne Vira e della 79enne Katerina restavano più fermi che mai.

«Il nostro esercito è forte. I soldati sono capaci di fermare i russi.

Ma voi amici della Nato dovreste aiutarci a controllare i cieli del nostro Paese.

Noi vogliamo la pace, ma deve essere una pace dignitosa», ci hanno detto.

Le ipotesi.

Tra i colleghi della stampa estera c’è qualcuno che avanza l’ipotesi che il palazzo sia stato investito dai rottami di un missile russo abbattuto dai razzi terra-aria ucraini.

 Il dubbio permane.

Ma per un soldato della difesa locale la logica russa è invece molto semplice: «Stanno aggiustando i tiri delle artiglierie in vista del grande assalto.

Sarà terribile, colpiranno a casaccio, non faranno differenza tra bambini, donne, anziani o soldati.

E comunque mirano a terrorizzare i civili, lo fanno già a Mariupol, Kharkiv e dovunque incontrano aree urbane, non vedo perché non debba avvenire a Kiev».

L’esplosione.

La narrativa del missile colpito in aria e precipitato sulle aree civili è invece evidente per il terzo episodio di guerra nella cerchia urbana di Kiev ieri.

 Attorno alle 11 della mattina i social locali mettono in allarme su di una grande esplosione nel quartiere di Kurenivka, nelle periferie di nord-ovest, non lontano dall’alta torre della radio-televisione nazionale colpita una decina di giorni fa.

«Stavo andando a fare la spesa nel supermercato quando dal cielo è piombato un rottame incandescente che ha investito il filobus», ci spiega Svetlana Hudain, estetista 53enne.

 Anche in questo caso una strage maggiore viene sventata semplicemente per il fatto che la città è semivuota e gran parte dei rimasti preferisce restare in casa o nei rifugi. «Io spero e prego ogni notte che qualcuno assassini Putin, sarebbe il modo più veloce per terminare questa guerra assurda», aggiunge.

Le sirene continue.

Durante la giornata i nostri spostamenti sono stati accompagnati dal rombo della battaglia che da nord continua ad espandersi verso i quartieri periferici occidentali e orientali.

A tratti i colpi delle cannonate erano inframmezzati da quelli intensi e nervosi dei tiri di razzi tipo Grad.

Le sirene hanno suonato almeno cinque volte.

Il Pentagono mette in guardia che, nonostante gli evidenti successi degli ucraini, Putin possiede ancora il 90 per cento delle truppe e dei mezzi entrati in Ucraina dal 24 febbraio.

Commenti

Post popolari in questo blog

Quale futuro per il mondo?

Co2 per produrre alimenti.

Caos e dazi.