CONTRO IL POPOLO E LE ISTITUZIONI.
CONTRO
IL POPOLO E LE ISTITUZIONI.
Il
Nuovo Schiaffo della
Lagarde
ai Lavoratori.
Conoscenzealconfine.it
- (16 Gennaio 2023) - Diego Fusaro – ci dice:
Stipendi
a rischio? Arriva l’ultima trovata della BCE…
Troppe
persone non hanno ancora compreso cosa sia l’Unione Europea.
Molti
infatti ritengono che l’UE sia il compimento di un sogno, di un progetto,
l’idea di un’Europa unita nel segno della democrazia e della fraternità.
Queste
sono ottime idee e in nome di queste idee che dobbiamo contrastare l’Unione
Europea, gelido mostro tecnocratico, belva selvatica all’insegna del
neoliberismo. Basti pensare a una delle ultime notizie che giungono da Bruxelles.
Leggo su Adnkronos: “Salari più alti contro l’inflazione.
Ecco perché la BCE si oppone”.
L’articolo spiega perché l’UE si sia opposta
all’idea dell’innalzamento dei salari.
L’Unione
Europea spiega che i salari non devono aumentare.
In
particolare Lagarde, presidente BCE, ha spiegato il motivo, allertando che i
salari della zona euro stanno aumentando più velocemente di quanto stimato.
La BCE deve quindi impedire che ciò si
aggiunga all’inflazione già elevata nel blocco valutario.
L’Unione
europea, una volta di più, ha assunto posizioni palesemente opposte agli
interessi delle classi lavoratrici e dei ceti medi, facendolo in maniera
apertissima ed essendo la propria vocazione.
I
salari non devono salire, lo ha detto espressamente la BCE.
Come
continuare a cullarsi nell’illusione secondo cui l’Unione Europea avrebbe a
cuore l’interesse dei lavoratori e dei popoli?
Come non vedere che l’Unione Europea nasconde
un progetto osceno, quella della riorganizzazione classista e verticista del
capitale dopo il 1989?
Come
non vedere che oltre a distruggere le identità e le culture nel nome del nulla,
l’Unione Europea prende di mira i lavoratori e i ceti medi a beneficio del
blocco oligarchico neoliberale?
È
importante risvegliare il pensiero e diventa decisivo ritrovare l’immunità dal
gregge, la possibilità di pensare altrimenti.
(Diego
Fusaro --radioradio.it/2023/01/il-nuovo-schiaffo-della-lagarde-ai-lavoratori-stipendi-a-rischio-arriva-lultima-trovata-della-bce/)
Il Wef
Inizia Oggi…
Conoscenzealconfine.it
– (16 Gennaio 2023) – Redazione – ci dice:
Il Wef
inizia oggi e i servizi escort argoviesi sono molto richiesti durante questa
settimana.
Il
nostro mondo è in queste mani!
A
Davos si discutono (e approvano) i piani futuri per come schiavizzare meglio i
popoli, mentre loro… prenotano escort per sé e per i propri dipendenti…
Da
oggi, rappresentanti di alto livello della politica, dell’economia e della
società si recheranno a Davos per il World Economic Forum (Wef).
Per
cinque giorni si svolgeranno discussioni, incontri e riunioni bilaterali.
Ma non
solo… secondo il “centro erotico Villa-Velvet” di Oftringen AG, i servizi di
escort sono particolarmente richiesti durante la settimana del WEF.
Le
parole della manager dell’agenzia d’incontri:
“Finora abbiamo 11 prenotazioni e 25 richieste
d’informazioni per la prossima settimana.
Ma mi
aspetto che ce ne saranno ancora di più”, dice la direttrice.
Queste
richieste verranno soddisfatte da quattro ragazze.
“Non
appena un cliente prenota una delle nostre signore per almeno quattro ore, lei
lo raggiunge”.
Quattro ore costano al cliente poco meno di
1500 franchi, una notte fino a 2550 franchi.
L’agenzia
argoviese aveva già inviato escort a Davos durante il WEF prima della
“pandemia” di Covid.
“Le
nostre escort sono già state portate a Davos da diplomatici e capi d’azienda –
ha spiegato la manager.
Alcuni
prenotano per loro stessi e per i loro dipendenti, per festeggiare nella suite
dell’hotel “.
Secondo
la direttrice, i servizi richiesti includono l’accompagnamento a una cena o a
una festa, nonché le prestazioni sessuali successive:
le esperienze che le donne hanno avuto sul
posto sono state positive.
“Tuttavia,
i clienti sono più esigenti rispetto alla nostra normale clientela. Le donne
con un fisico da modella e un look al top sono particolarmente richieste”.
Un
fenomeno che aumenta durante i grandi eventi.
Secondo Christa Ammann, direttrice del “centro
consultivo per il lavoro sessuale Xenia”, in occasione di grandi eventi in cui
i visitatori rimangono in un unico luogo per diversi giorni, l’offerta di
servizi sessuali è sempre più ampia.
“Il
WEF rientra nella categoria di questi eventi”.
Poiché
non vengono effettuate indagini, la polizia cantonale grigionese non è in grado
di fornire informazioni sul numero di persone coinvolte nel commercio di escort
e di sesso che si recano a Davos durante il WEF.
Secondo
il portavoce Markus Walser, in linea di principio saranno controllati gli
ingressi a Davos e l’area comunale.
“Le
persone interessate dai controlli sono pregate di identificarsi e di consentire
alla perquisizione del loro veicolo e degli oggetti che trasportano”.
La
polizia non è a conoscenza di problemi legati al commercio sessuale al WEF.
Ma la
polizia quando mai ha arrestato un banchiere?
(tio.ch/svizzera/attualita/1636641/wef-davos-escort-servizi-prenotano-dipendenti)
(laforzadellaverita.wordpress.com/2023/01/15/a-davos-si-discutono-approvano-i-piani-futuri-nostri-mentre-loro-prenotano-escort-per-se-e-per-i-propri-dipendenti/)
Unire
popolo e istituzioni.
Il
presidenzialismo necessario
secondo
Malgieri.
Formiche.net
- Gennaro Malgieri – (08/09/2022) – ci dice:
Meloni
ha colto l’importanza di voltare radicalmente pagina che non vuol dire, come
asserisce la vulgata di sinistra, l’instaurazione di un regime scarsamente
democratico.
La
scelta presidenzialista (declinata nelle forme giuridiche più opportune) è la
sola possibilità alla portata per modernizzare l’Italia e coinvolgere
seriamente i cittadini nei processi decisionali.
L’opinione
di Gennaro Malgieri.
A due
settimane dalla fine della campagna elettorale si accende il dibattito – finalmente – sulle riforme istituzionali
ed in particolare sul presidenzialismo.
Enrico
Letta ha lanciato bordate insensate contro Giorgia Meloni sostenitrice
dell’elezione diretta del Capo dello Stato.
Un’ostilità preconcetta quella del leader del
Pd che non trova riscontro né negli studi più avanzati sulle forme di governo,
né nelle aspirazioni della maggioranza degli italiani e tantomeno nella
necessità di mutare necessariamente gli assetti costituzionali se si vuol dare
un “nuovo inizio” alla storia della nostra lacerata nazione, la più “ingessata”
sotto il profilo istituzionale e politico tra tutte quelle europee.
Letta
ignora i benefici del presidenzialismo e lo riguarda come una sorta di parodia
di un assetto verticistico ed autoritario della Repubblica senza tener conto
dei “pesi” e “contrappesi” che teoricamente connotano l’elezione popolare,
oltre al beneficio di immettere davvero la gente nel processo di formazione di
una democrazia decidente della quale si sente il bisogno.
Meloni
ha colto, grazie anche alla tradizione politica alla quale proviene, la
importanza e l’improcrastinabilità di voltare radicalmente pagina che non vuol dire, come asserisce la
vulgata di sinistra, l’instaurazione di un regime scarsamente democratico.
La
letteratura politica degli ultimi decenni e gli innumerevoli sondaggi di
opinione più recenti testimoniano che nel Paese c’è la diffusa consapevolezza
della necessità di radicali cambiamenti nell’ordine costituzionale.
Ad essa si contrappone la resistenza del partitismo –
svuotato di reale consistenza politica ridotto a simulacro oligarchico dominato
dal leaderismo populista, che alberga anche a sinistra – ad affrontare la
“madre di tutte le riforme”, per rimettere in piedi il Paese e preservarlo a
fronte di quanto sta avvenendo, maneggiato con strumenti vecchi e inadeguati,
attraverso interventi partecipativi e decisionisti ad un tempo.
Riforme
che non possono prescindere dal sottrarre ai partiti tutto il potere
indebitamente accumulato (riconoscimento giuridico degli stessi, dunque, e delimitazione
del loro ruolo).
Un
rimedio questo, come osservava il giurista inglese John Bryce, che potrà
sembrare possibile “solo in una società dove i cittadini si conoscano l’un
l’altro così bene da scegliere i membri del potere legislativo e d esecutivo
con riguardo al loro merito personale, e dove i legislatori siano di una virtù
così pura da discutere di ogni questione alla stregua soltanto della verità, a
vantaggio dello Stato”.
Ricomporre
il quadro del rapporto tra popolo e istituzioni significa tornare a proporre la
più lineare, efficace e compiuta rappresentazione del potere che trae dal basso
la sua legittimazione, dunque la più alta espressione della democrazia diretta,
vale a dire l’elezione popolare del capo dell’esecutivo:
un
grande tema che ha intrigato trasversalmente innumerevoli politici e
intellettuali dall’immediato dopoguerra ad oggi.
Scriveva
anni fa Gianfranco Miglio: “Se, in un regime elettivo-rappresentativo, si vuole
(e non si può non volerlo) un supremo potere decisionale (cioè un governo)
sottratto alle pressioni ed ai ricatti degli interessi frazionali organizzati,
la via obbligata è costituita dall’elezione diretta del suo titolare da parte
del popolo.
Da un
vero ‘leader’ nazionale, designato da milioni di elettori, nessuno si sogna di
pretendere poi, in cambio del voto, favori personali o di categoria;
né il
candidato ad un a competizione di tale dimensione è costretto a presentare
‘piattaforme’ elettorali molto particolareggiate:
il
rapporto di ‘rappresentanza’ è tanto più fiduciario quanto maggiore è il numero
degli elettori, e più ampio, dunque, il collegio elettorale”.
Dunque,
“i Governi più forti sono indubbiamente quelli dei regimi ‘presidenziali’, ove
le funzioni di capo dello Stato e di responsabile dell’Esecutivo coincidono.
Esempi
massimi del genere sono offerti dalla Costituzione statunitense e (in parte) da
quella francese della Quinta Repubblica”.
Tanto
nel sistema americano, quanto in quello transalpino il presidente è dotato di
ampi poteri (ma non è un dittatore) sui quali tuttavia vigila il Parlamento,
che ha anche, e precipuamente, il compito di occuparsi della grande
legislazione, ma non ha l’esclusiva della funzione normativa una parte della
quale spetta al governo.
In
Italia, dove vige un parlamentarismo assoluto, e dunque un assoluto dominio dei
partiti, l’obiettivo del legislatore non è garantire la funzione normativa, ma
il diritto di ogni parlamentare di far valere contro le iniziative del governo,
di qualsiasi segno sia, gli interessi, più presunti che reali, dei suoi
elettori o delle lobbies che rappresenta e lo sostengono in campagna
elettorale.
La questione
s’inscrive nella grande discussione sulla sovranità e, dunque, sui limiti dei
poteri costituzionali.
Se si
proiettano le deficienze rilevate nel contesto policentrico che caratterizza
l’assetto istituzionale del nostro Paese, si ha un quadro esatto della paralisi
politica cui si deve il disagio crescente nella popolazione.
La
sovranità politica attuale non è più quella che era fino a qualche tempo fa.
Essa è
divisa fra enti sovranazionali, enti territoriali, autorità indipendenti:
tutti
elementi che non potevano essere contemplati nella Carta costituzionale la quale si fonda, invece, sulla
sovranità concepita sul modello dello Stato-nazione il quale, com’è noto, discende da
un’antica concezione dello Stato che ha avuto in Jean Bodin il più grande
teorico e che fu codificata in Europa con la pace di Westfalia nel 1648.
Oggi si può dire, proprio perché sono
radicalmente mutate le forme della sovranità, che assistiamo all’emergere di
una sovranità che trae legittimità dal basso, dai cittadini, dai movimenti,
dagli enti territoriali e sopranazionali, a cui vengono delegati o devoluti
buona parte di molti poteri che in precedenza appartenevano in esclusiva allo
Stato nazionale.
Questi
diversi livelli di sovranità vanno ricondotti ad unità se si vuole evitare il
pericolo di una disgregazione possibile del tessuto nazionale.
La
sola possibile unità è una istituzione che tragga la propria legittimità dai
cittadini:
l’elezione diretta del Presidente della
Repubblica o del capo dell’esecutivo, come istanza di coesione della
molteplicità delle componenti della società civile.
Diversamente, continueremo ad assistere al
diffondersi del policentrismo fino ai limiti estremi dell’incontrollabilità e,
dunque, alla disgregazione dell’unità statale priva di rappresentanza unitaria.
Il
presidenzialismo è un grande tema politico-istituzionale che da sempre ha
attraverso le diverse famiglie politiche in Italia.
E non
va considerato come una sorta di contropotere, ma come un elemento di
equilibrio e di riconoscibilità del processo di formazione della decisione che
è uno dei fattori necessari alla modernizzazione del Paese.
Da essa, dal momento decisionale “forte”, non
si può prescindere se si intende procedere alla modernizzazione sociale e delle
strutture civili del Paese, se non si dotano, cioè, i centri decisionali di
poteri efficaci che, al momento, non dimentichiamo che vengono esercitati da
soggetti diversa dalla classe politica, e dunque privi di legittimazione
democratica, come supplenti insomma, che agisce sulla spinta di interessi
personali o di gruppo.
Il
presidenzialismo è, inoltre, un elemento di partecipazione, come si accennava,
ma anche di chiarificazione all’interno dei rapporti tra i poteri dello Stato.
Con la
sua adozione si stabilisce una netta linea di demarcazione tra i controllori ed
i controllati, tra potere legislativo e potere esecutivo.
Il Parlamento può effettivamente esercitare un
controllo sul governo avendo questi la sua fonte di legittimazione fuori dalle
aule parlamentari.
La
formula della Repubblica presidenziale ha pure, oltretutto, una sua carica di
suggestione quasi mitica perché avvicinando direttamente i cittadini al potere
è il prodotto di un meccanismo di immediata comprensione proponendosi come
rottura rispetto ad un sistema come l’attuale nel quale le degenerazioni
partitocratiche sconfinano nel trasformismo e nella rottura del patto
fiduciario con gli elettori.
Naturalmente
un progetto del genere per concretizzarsi necessita di uno strumento non
“ordinario”, ma “straordinario” da mettere in piedi con una legge possibilmente
approvata a larghissima maggioranza.
Infatti,
una “stagione costituente” non la si può far nascere prescindendo dalla
consapevolezza, condivisa peraltro da quasi tutti i soggetti politici, che la
Grande Riforma deve contenere le adeguate risposte alle esigenze reali dei
cittadini, i quali si attendono, tra l’altro, la cessazione dell’estenuante
guerriglia tra poteri dello Stato; una più razionale ed equa imposizione
fiscale;
la limitazione del decentramento che
ridimensioni le Regioni, vere e proprie idrovore che drenano risorse pubbliche
sottraendole allo sviluppo collettivo; criteri di autonomia di spesa
contemperata con le oggettive richieste di solidarietà; una giustizia ordinaria
ed amministrativa più spedita e dotata di procedure che garantiscano
maggiormente i diritti della difesa (l’inserimento della figura dell’avvocato
in Costituzione) e la certezza della pena, unitamente alla separazione delle
carriere dei magistrati;
la
tutela della privacy dell’invadenza tecnologica che ha assunto forme
inquietanti nell’appropriazione delle “vite degli altri” da parte di aggressivi
accaparratori di dati sensibili.
Un’impresa
del genere, dalla quale dovrebbe scaturire addirittura, come si dice, la Terza
repubblica, la può compiere soltanto una classe politica legittimata
dall’investitura popolare con l’unico e preciso mandato di rinnovare il sistema
politico-istituzionale
. Se
non si vuol continuare a perdere tempo, nell’indecente dimostrazione di
impotenza davanti all’opinione pubblica (come hanno dimostrato le varie
Bicamerali e da ultimo una ritorna contraddittoria bocciata da un referendum)
la strada conduce naturalmente alla formazione di un’Assemblea Costituente
nella quale si confrontino idee, progetti, programmi dal cui lavoro venga fuori
una nuova Carta dei diritti e dei doveri degli italiani in sintonia con le
grandi questioni planetarie nelle quali siamo immersi.
Assemblea
che dovrebbe essere eletta a suffragio universale e con sistema rigorosamente
proporzionale, della quale non dovrebbero far parte i membri del Parlamento che
per almeno due anni s’impegni nell’elaborazione di una nuova Costituzione ed i
cui esiti dovranno essere sottoposti ad una deliberazione popolare.
È
questo il solo strumento, che possa sottrarsi alla tentazione di influire sul
parallelo ed ordinario svolgimento dell’attività parlamentare, senza
condizionare la vita del governo e gli assetti parlamentari stabiliti dalle
consultazioni elettorali.
Jean
Jaurés, socialista e democratico, sosteneva che la Repubblica non va soltanto
difesa: va organizzata.
È dimostrato che la migliore difesa della
Repubblica e dei valori repubblicani stia nell’organizzazione delle sue
strutture politico-istituzionali.
La scelta presidenzialista (declinata nelle
forme giuridiche più opportune) è la sola possibilità alla portata per
modernizzatore l’Italia e coinvolgere seriamente i cittadini nei processi
decisionali.
«Chi
sono io?» l’identità oggi,
con l’altro e noi stessi.
Ilbullone.org
– (19 Luglio 2022) – Loredana Beatrici – ci dice:
«Chi
sono io?» la domanda che attanaglia l’essere umano dai tempi antichi.
La
nostra identità è complessa e muta continuamente.
«Conosci
te stesso» («Gnōthi
seautón»).
Questa
la scritta che campeggiava sul tempio del Dio Apollo a Delfi e che per secoli
ha influenzato i più importanti pensatori della cultura occidentale.
Socrate,
Platone, Kant, Nietzsche (solo per citarne alcuni) hanno cercato di rispondere
alla domanda che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti:
«Chi sono io?».
Già
negli scritti di Aristotele si trovano riflessioni sull’identità e l’alterità,
due concetti che camminano a braccetto, perché «esiste un noi solo in virtù del
fatto che esiste e riconosciamo un altro da noi».
Nell’antica
Grecia l’uomo veniva definito per la prima volta animale sociale, proprio
perché la sua identità è il prodotto del riconoscimento degli altri.
Se volessimo partire, però, dall’etimologia
latina del termine, identità deriva da idem (stessa cosa), ed è il principio
che ci permette di riconoscere ciò che è «uguale a noi stessi» e ciò che «ci
distingue dagli altri».
Secondo
la psicoterapeuta Patrizia Mattioli «l’identità racchiude tutto ciò che siamo:
dal nome alla data di nascita, dalle caratteristiche fisiche a quelle
psicologiche e culturali.
È il
modo di ragionare, di affrontare i problemi, di comunicare.
Sono gli
interessi, le abilità, l’atteggiamento verso il mondo, i rapporti affettivi, i
progetti per il futuro.
Tutto
questo ci rende unici agli occhi degli altri e identici a noi stessi,
permettendoci di dire: “questo sono io”».
Due
tipi di identità.
La
psicologia sociale individua due tipi di identità:
quella
oggettiva,
ossia l’insieme delle peculiarità riconosciute dagli altri, come le
caratteristiche fisiche, la condizione sociale e la personalità.
Poi c’è l’identità soggettiva che è l’insieme delle caratteristiche
che la persona riconosce in sé stesso e può essere positiva o negativa in base
al livello di autostima.
È
chiaro, quindi, come l’identità e la sua costruzione siano un aspetto
fondamentale per l’essere umano e la psicologa Anna Oliverio Ferraris, nel
libro “La costruzione dell’identità” spiega proprio come questa «ci permetta di
definirci, di presentarci al mondo e riconoscerci».
Un
senso di identità chiaro e stabile permette di reagire adeguatamente a
cambiamenti come un matrimonio, la nascita di un figlio, un lutto, una vincita
importante, che solitamente modificano l’immagine che si ha di sé.
Un individuo, invece, con un senso di identità
instabile, non è in grado di funzionare adeguatamente e perde il rapporto con
la realtà.
«È meglio avere un’identità negativa, che
un’identità vaga», sottolinea la dottoressa Mattioli.
Sono
tante le identità con le quali abbiamo a che fare:
c’è l’identità di corpo, che riguarda le
differenze anatomiche e biologiche, ma anche l’antropopoiesi, ossia la modifica
del corpo per motivi culturali;
c’è l’identità multipla, ossia lo studio dei
ruoli che rivestiamo all’interno di contesti diversi;
c’è lo
studio dell’identità in positivo, che si concentra sulle caratteristiche del
gruppo di appartenenza,
o
quella in negativo, che fa leva sugli aspetti non graditi degli altri;
c’è poi l’identità virtuale e digitale, uno
spazio dove l’individuo può creare un nuovo sé;
l’identità
di genere, le identità fluide, quelle religiose, quelle nazionali, quelle
culturali, etc.
Io
sono…
Facciamo
un gioco: prendete foglio e penna e scrivete «Io sono…» per 5 volte e poi
prendetevi del tempo per proseguire le 5 frasi.
Fatelo
pensando di consegnare lo scritto al nuovo vicino di casa, che non avete mai
visto.
Ora
rifate l’esercizio, pensando di presentarvi a un colloquio di lavoro.
Poi
riscrivetelo, immaginando di consegnarlo al vostro partner.
Adesso
fate l’ultimo sforzo e pensate che a scrivere questo biglietto siate voi, 15
anni fa.
Rileggeteli.
Probabilmente
avrete cambiato parole, appartenenze, aggettivi, hobby e caratteristiche in
ogni biglietto.
Non
preoccupatevi.
Sappiate
che gli studiosi sono tutti concordi sul fatto che l’identità sia un concetto
mutevole.
Nel
tempo, nei contesti e nelle fasi di vita.
È in
continua trasformazione e si ridefinisce in base a quello che accade, a come lo
percepiamo e alle persone che ci circondano.
L’identità,
insomma, non è innata, ma è il risultato di un processo incessante che la
forgia e la influenza.
In altri termini: ciò che si è, si diventa.
Il processo di costruzione di un’identità
comincia alla nascita, si svolge prevalentemente nel rapporto con gli altri e
prosegue per tutta la vita.
Per
tutta la vita aggiungiamo, togliamo o modifichiamo qualità, tratti, interessi e
capacità alla nostra identità.
Proprio per questa sua natura mutevole, i
cambiamenti della società influiscono notevolmente sulla costruzione
dell’identità individuale.
Nelle
società tradizionali, come spiega la Oliviero Ferraris, i ruoli erano definiti
alla nascita.
«Chi nasceva nobile tale sarebbe rimasto.
Chi
nasceva contadino aveva scarse possibilità di dedicarsi ad altro.
Uomini,
donne, bambini e anziani avevano doveri, diritti e ruoli diversi.
L’identità era un tratto stabile non soggetto
a discussione».
Identità
individuale.
Con la
modernità l’identità individuale ha cominciato a svincolarsi da quella del
clan, della famiglia, della casta.
Si è
diffusa la convinzione che l’individuo potesse contribuire attivamente alla
costruzione di sé.
«Questa nuova libertà dell’uomo contemporaneo
comporta una nuova responsabilità verso sé stessi e la necessità di rivedere e
rimodellare aspetti della propria identità».
La
società di oggi è una società complessa, difficile da decifrare, in cui
predomina una molteplicità di modelli.
Questo
rende più ardua l’identificazione.
Se da
una parte, quindi, è positiva la riduzione dei condizionamenti di costume della
tradizione, dall’altra la perdita di modelli definiti rende più difficile la
costruzione di un’identità stabile.
Per
questo il sociologo polacco Zygmunt Bauman parla di problema identitario della
società post-moderna.
Bauman
presenta il concetto di desembedding (sradicamento), che non permette
all’individuo di trovare il proprio posto in un mondo sempre più globalizzato,
multiculturale, dinamico, imprevedibile, «liquido».
Non
sapendo bene dove collocarci rispetto all’altro (lo straniero, come il vicino
di casa) diventa difficile adottare misure di comportamento adeguate alle
situazioni e si finisce per cercare spasmodicamente qualcosa in cui
riconoscersi.
Questo
fenomeno viene accuratamente studiato dall’antropologo Francesco Remotti,
autore del testo “Ossessione identitaria”, in cui spiega come «la ricerca
insistente di un’identità sposta i sistemi sociali verso la chiusura,
costruendo confini netti e invalicabili».
Dire
identità oggi, continua Remotti, «significa affermare la costituzione di un
nucleo di valori che si configura come una barriera nei confronti degli altri».
L’antropologo
sottolinea anche come questo modello tutto occidentale, dove l’identità vive in
una contrapposizione binaria tra noi e loro, crolla in una società multietnica,
perché non sono più chiari i confini.
Identità
con l’altro.
Ci
ricorda, però, come esistano anche altri paradigmi, oltre a quello
dell’Occidente.
In
Africa, per esempio, la cultura è più aperta all’alterità.
«Il caso più clamoroso d’identità vissuta come
commistione è quello degli indios brasiliani Tupinamba, che praticavano il
cannibalismo nei confronti dei prigionieri.
Si
nutrivano dell’altro, ma solo dopo che era stato inserito nella loro società».
Senza
dover ricorrere al cannibalismo, che lo studioso utilizza come esempio estremo
di unione con l’altro, l’insegnamento da cogliere è quello di non vivere nel
rifiuto dell’altro.
In una
società così complessa, non bisogna cascare nel tranello di confondere la
propria identità con l’identificazione ad un gruppo.
In
assenza di un’immagine di noi solida e delineata, il rischio è quello di
prendere in prestito quella di altri e demandare al gruppo le responsabilità
delle nostre azioni.
Questo
è il processo alla base delle guerre civili, degli scontri etnici, delle risse
sul Lago di Garda.
È quello che accade quando si decide di
identificarsi solo come africani, o solo come stranieri, o solo cristiani, solo
italiani, solo tifosi, solo donne, solo omosessuali, solo malati.
Si
innesca un circolo vizioso il cui obiettivo è la distruzione dell’altro, ma se
la nostra identità vive in relazione agli altri, il loro annientamento diventa
il nostro.
Umberto
Galimberti ci suggerisce, perciò, di non fossilizzarci sulle risposte «Io
sono…», ma di incrementare le domande e non smettere mai di chiederci «Chi
sono?».
Solo
così ogni nostro bigliettino avrà delle parole diverse.
E solo
così potremo davvero dire di conoscerci.
Identità
personale ed
identità
culturale.
Oikonomia.it
- Antonino Urso e Teresa Di Bonito – (10-1-2023) – ci dice:
“La sfera - dice il Papa - può rappresentare
l'omologazione, come una specie di globalizzazione: è liscia, senza
sfaccettature, uguale a sé stessa in tutte le parti.
Il poliedro ha una forma simile alla sfera, ma
è composta da molte facce.
Mi
piace immaginare l'umanità come un poliedro, nel quale le forme molteplici,
esprimendosi, costituiscono gli elementi che compongono, nella pluralità,
l'unica famiglia umana.
E
questa sì è una vera globalizzazione.
L'altra
globalizzazione - quella della sfera - è una omologazione".
(Verona
2014, 3° Festival della dottrina sociale).
Con il
modello del poliedro si superano e si rispettano tutte le differenze culturali,
personali, etniche, religiose, sessuali.
Diversi
autori considerano la migrazione come un grande rischio:
da una
parte, in
ragione della condizione economica e sociale in cui si collocano gli individui
e i gruppi migranti;
dall’altra, per il fatto di minare l’integrità
identitaria del soggetto, attraverso uno shock culturale tale da produrre dei
disturbi psichici.
L’assistenza psicologica ai migranti è certamente
un’impresa difficile e necessita, per l'accennata complessità delle
problematiche compresenti, di formazioni e specializzazioni molteplici.
La
stessa relazione clinica non si presenta come un semplice contatto tra due
singoli, ma racchiude un ponte tra due mondi, ognuno dei quali riproduce le
proprie conoscenze, le personali credenze e le singole attese.
Anche
se la comprensione dell’esperienza psicologica dei migranti non necessita di
una psicologia ad hoc, essa non può che fondarsi su conoscenze specialistiche
che necessariamente rinviano allo sviluppo dell’essere umano, mettendo in
evidenza le diverse variabili in gioco:
il
ruolo delle interazioni con l’ambiente familiare, il carattere strutturante
delle relazioni sociali, i legami tra il funzionamento affettivo, cognitivo e
sociale, le dinamiche dei rapporti interpersonali e intergruppo, i meccanismi
della costruzione del sé e dell’identità, il ruolo delle inserzioni sociali ed
altre ancora.
Il Consiglio
Nazionale delle Ricerche (CNR) - IRCRES (Istituto di Ricerca sulla Crescita
Economica Sostenibile afferma che:
“Tra le variabili che più spesso si
riscontrano nei colloqui terapeutici introduttivi, vi sono le situazioni di
difficoltà di percezione di se stessi dentro di sé e in relazione al mondo
esterno.
Il
disagio che ne deriva sono momenti di scollamento in cui l’individuo si sente
spaesato e rischia di sviluppare delle tecniche o delle modalità di
sopportazione o superamento del disagio che possono sfociare in comportamenti
usualmente reputati devianti o violenti.
Molto
spesso le lunghe separazioni, ma anche i ricongiungimenti, sono fonte di grandi
tensioni nelle persone immigrate.
Questi eventi, infatti, impongono un periodo
difficile nel quale si devono riconoscere gli altri, parenti anche strettissimi,
si deve tentare la ricostruzione del contatto e della relazione fra persone
che, pur legate da parentela o da grande affetto, hanno percorso, tuttavia, una
parte del cammino da soli e distanti dal proprio ambiente nativo” ("Verso una pragmatica interculturale:
l'espressione e l'interpretazione del disagio psicologico degli
immigrati", RiMe, 2009, p. 214).
Un
bambino piccolo non sa ancora bene chi sia (è una specie di piccolo caos);
alla
ricerca di una propria identità, inizia a connotarsi e a significarsi
rispecchiandosi nello sguardo e nel comportamento dei suoi genitori, in base
alle loro aspettative:
potremmo
dire in base alle maschere che il padre o la madre gli fanno indossare, quando
egli non è ancora in grado di definire ed esprimere la propria identità.
Abbiamo
usato il termine "maschera" perché in tutte le tradizioni simboliche
conosciute la maschera assolve alla funzione principale di fornire una identità
a chi se ne serve e che si utilizza per esigenze rituali, comunitarie o sociali
quando, per qualche motivo, non si può o non si vuole mostrare il proprio vero
volto (dunque la propria identità).
Il
termine persona si riferisce ad un essere che possiede specifiche, spiccate e
appropriate caratteristiche individuali:
di un
uomo dotato di personalità si dice che è una persona nel senso proprio del
termine;
persona in latino, derivandolo dal greco
pròsopon, non a caso significa maschera.
Con il
termine maschera o persona la psicologia analitica junghiana intende l’aspetto
che l’individuo assume nelle relazioni sociali e nel rapporto con il mondo,
cioè l’immagine che fornisce quale rappresentazione pubblica.
La
maschera / persona crea uno spazio psicologico di versatilità necessario a
rispondere alle necessità esistenziali:
l’atteggiamento
verso l’esterno è un “saper stare al mondo” che prevede un soggetto che ha
delle competenze e conosce i fondamenti della propria costruzione culturale.
La
maschera è anche un mediatore tra l’Io e il mondo esterno:
essa esprime la possibilità dell’individuo di
adattarsi all’ambiente sociale, culturale e umano, di presentarsi e al contempo
di nascondersi.
La funzione psicologica che Jung chiama
Persona è una maschera che ha, tra gli altri, lo scopo di far emergere
dall’indifferenziato, nel tempo, quello che siamo veramente, e di
rappresentarlo.
Dal
punto di vista psicologico la maschera rappresenta un filtro tra la coscienza
individuale e l’esterno, inteso come coppia, famiglia, società.
C’è
una maschera dove c’è una relazione, un’interazione umana: solo quando siamo da
soli non ne abbiamo bisogno, forse.
Ogni
maschera con il suo specifico aspetto, ognuna con la propria funzione, una
maschera per ogni situazione e per ogni stagione del nostro umore:
se ne
siamo consapevoli, le maschere ci aiutano ad immedesimarci nei vari ruoli a cui
la società ci chiama, ad agire e relazionarci nel nostro ambiente di vita.
Quando sono presenti un sufficiente equilibrio
emotivo e una adeguata conoscenza di sé, è possibile entrare ed uscire dalle
maschere senza forzature ed in modo armonico, consapevoli in ogni momento di
chi siamo, di come ci stiamo muovendo e della direzione nella quale stiamo
andando.
Le maschere diventano così strumenti al nostro
servizio, arricchimento ed espressione della nostra personalità;
al
contrario, finché l’individuo non conosce sé stesso non può riconoscere neanche
le proprie maschere, rischiando di esserne dominato da esse.
Quando
manca un reale contatto con se stessi, con i propri sentimenti, con le
personali istanze e aspirazioni, in assenza quindi di comprensione e di
significato, l’individuo si incancrenisce in un’unica modalità espressiva,
indossando la stessa arida maschera.
La
persona che “diventa” il proprio ruolo sociale o familiare, il proprio lavoro,
la propria missione, si identifica con la maschera in modo così totalizzante da
dimenticare che sotto ci sia mai stato qualcos’altro.
L’identità
non è però solo una caratteristica appartenente al singolo: può anche essere
propria di una specifica comunità, come pure della società intera.
Individuo
e società infatti sono in reciproco rapporto duale:
la società partecipa alla costruzione
dell’identità di ciascuno, mentre l’individuo contribuisce a trasformare la
società, intesa nelle sue declinazioni di istituzioni, organizzazioni e gruppi.
Individuazione e sviluppo psicosociale quindi
poggiano su una doppia fondazione transpersonale:
la
matrice culturale di base e la matrice del gruppo familiare.
Derivato
dal latino “mater”, “madre”, il concetto di matrice è fondamentale nella teoria
foulkesiana:
l’ipotetica
trama di comunicazioni e di relazioni in un dato gruppo, un costrutto teorico
il cui scopo è mettere in luce l’esistenza di trame psichiche comuni da cui
traggono senso le vicende dei singoli, uno sfondo comune condiviso.
Essa
costituisce una vera e propria rete di rapporti, che rappresenta il reticolo
interpersonale complessivo formato dai membri di un gruppo nel loro reciproco
relazionarsi.
L’autore
distingue la matrice di base, dinamica e personale - intendendo quella fondata
sulle proprietà biologiche della specie, ma anche sui valori e sulle relazioni
saldamente radicati e trasmessi culturalmente - dal costrutto sovrapersonale
che si costituisce all’interno del gruppo, rappresentando la visualizzazione di
quanto avviene nel qui-e-ora in termini anche di comunicazione inconscia.
Foulkes diede il nome di matrice personale ai
processi soggettivi che riguardano l'individuo a partire dalla personale
esperienza costitutiva in qualità di componente di un gruppo, familiare e
culturale.
Si può
quindi sostenere che non solo la famiglia ma anche la cultura, sin dal
concepimento rende edotto il soggetto nascente secondo le forme dell’identità
da essa istituite e tramandate.
Ne
consegue che un adeguato processo d’integrazione conduce ad una estensione di
ciò che consideriamo costitutivo della nostra identità;
detto
in altri termini, possiamo aumentare il numero delle nostre radici, estendere
il personale senso di appartenenza e diventare capaci di interagire senza
timore anche con individui che hanno appartenenze diverse.
La
società contemporanea appare profondamente segnata da pratiche sociali e
culturali che hanno prodotto non solo l’indebolimento di quei legami che
derivano dal senso di appartenenza e dalla partecipazione alla vita collettiva,
ma anche - come esito conclusivo del processo di progressiva distruzione del
senso psicologico di comunità - isolamento, anomia, segregazione.
Nel
passato chi era afflitto da problemi che la vita gli faceva esperire come
singolo individuo, aveva la possibilità di significarli e condividerli
all’interno di un contenitore saldo e capace;
per
quanto tragici, i suoi guai potevano apparire come incidenti di un percorso
accidentato e difficile, in un paesaggio sostanzialmente integro:
ci sarebbe sempre stata una Chiesa, una Patria, uno
Stato, un Paese d’origine a riconoscerlo, a fornirgli un posto, ad accoglierlo
quando smarrito.
Questa
percezione di qualcuno (Chiesa, Stato, Comunità) disposto a riconoscerci,
assegnarci un posto, accoglierci ed aiutarci, è difficile già per chi cresce
nel proprio Paese d’origine, nella propria città e quartiere;
per un migrante, che vive lontano dalle proprie radici
e spesso persino dalla propria famiglia, questo aiuto appare impossibile.
Se
mettersi in viaggio significa lasciare persone care, luoghi nei quali si è
vissuti, cose e abitudini familiari, allora la migrazione implica
necessariamente una frattura, un distacco forzato da qualcuno (familiari,
amici) e da qualcosa (la casa, il quartiere, il luogo di lavoro).
Ma non
solo: migrare significa implicitamente di più.
Significa
abbandonare tutti gli involucri che hanno protetto sino a quel momento: i
l
ventre materno, il parco dei giochi di bambino, la famiglia, il gruppo di
amici, i tanti luoghi della socializzazione (il bar, la piazzetta, la strada
del passeggio, il circolo).
Lasciare
tutto per dirigersi altrove, in luoghi lontani dalle immagini consuete, dagli
odori e dai suoni familiari, da tutte quelle sensazioni che si è imparato a
conoscere e che costituiscono i solchi e i primi tracciati della storia
personale, l'impalcatura grazie alla quale il codice del funzionamento psichico
ha preso gradualmente forma, sino ad arrivare a compiersi e a stabilizzarsi.
Il risultato è quello di trovarsi a metà
strada tra due culture, quella di provenienza e la nuova che accoglie.
È inevitabile vivere sulla pelle le molte
contraddizioni che ne derivano; conseguenze possono essere la voglia di
rifiutare in toto la nuova cultura o, viceversa, il tentativo di integrarsi
pienamente, tra la paura di essere rifiutati in ragione della propria diversità
e la tentazione di rifiutare le proprie origini.
In modo aristotelico, la soluzione più
funzionale e adeguata sarà quella di riuscire a trapiantare le proprie radici
dalla realtà di origine alla nuova, senza rinunciare a sé stessi, alla propria
identità, ma anzi aprendosi agli innesti provenienti dal nuovo humus ambientale,
relazionale e culturale.
Le
diverse comunità migranti cercano di riprodurle lontano, mentre le comunità
“tristi” e “minimali” le vedono come minaccia a ciò che è “vicino”, come
rischio e come futuro insopportabile.
Una
situazione nuova e inusuale crea spesso incertezza e smarrimento e richiede un
tempo di adattamento più o meno prolungato a seconda della personalità di chi
la affronta e dei luoghi nei quali prende forma.
Così
il migrante che arriva in terra straniera, quando entra in contatto con la
società che lo ospita, sperimenta frequentemente un fastidioso senso di disagio
di fronte all’ignoto.
È
ricorrente che avverta un sentimento di estrema solitudine, in quanto lontano
da familiari e amici, sradicato dalle sue tradizioni e proiettato in un mondo a
lui estraneo.
Privato della propria identità culturale e
invischiato in una realtà che spesso fatica a comprendere e dalla quale spesso
non è compreso, facilmente si trova a sperimentare l'indifferenza, quando non
l'intolleranza e l'ostilità, del nuovo ambiente.
Winnicott
considera l’eredità culturale come un’estensione dello «spazio potenziale» tra
l’individuo e il suo ambiente.
L’uso di tale spazio è subordinato alla
formazione di uno spazio fra due:
tra
l’Io e il Non-Io, tra il Dentro (gruppo di appartenenza) e il Fuori (gruppo
ricevente), tra il Passato e il Futuro.
L’emigrazione ha quindi bisogno di uno spazio
potenziale che gli serva da luogo di transizione e da tempo di transizione, tra
il “paese - oggetto materno” e il nuovo mondo esterno.
Se la
creazione di uno spazio siffatto non avviene, si determina una rottura nel
rapporto di continuità tra l’ambiente circostante e il Sé.
L’«oggetto
transazionale» viene vissuto come qualcosa che non è creato e controllato soggettivamene
e neppure separato e trovato, ma che in qualche modo si trova nel mezzo.
La
frattura che si genera può essere paragonata all'assenza prolungata
dell’oggetto desiderato dal bambino, che facilmente conduce alla perdita delle
capacità di simbolizzazione e al bisogno di ricorrere a difese più primitive.
La madre crea quello che Winnicott definisce
l’ambiente di holding:
uno
spazio fisico e psichico in cui il bambino è protetto senza sapere di esserlo,
in modo che proprio questa dimenticanza costituisca la base dalla quale potrà
partire spontaneamente per le esperienze successive.
Parimenti
l'emigrante, con la perdita dei personali oggetti rassicuranti, subisce
forzosamente una diminuzione delle proprie capacità creative;
il
loro recupero dipenderà dalla possibilità di elaborare lo stato di deprivazione
e dalla personale capacità di superarlo.
Ancora
prima di giungere nel paese straniero, in realtà, alcuni elementi possono
almeno in parte definire il carattere e l’esito del progetto migratorio: le
ragioni della partenza, la motivazione al viaggio, la concezione della
migrazione, la cultura d’origine.
L’impatto con una società distante
dall'Eldorado prefigurato prima della partenza e che invece il più delle volte
è non accogliente e inospitale, distrugge le attese e le speranze del migrante;
questi facilmente potrà sperimentare un
profondo senso di disagio psicologico, espresso attraverso un malessere che non
di rado arriverà a somatizzare (talvolta arrivando persino a sviluppare un vero
e proprio disturbo mentale) e che spesso lo condurrà alla fuga dal nuovo ambiente -
percepito come ostile - e al ritorno in patria, da sconfitto.
L’immigrato
richiama categorie d’inclusione ed esclusione sociale quali quelle di
“cittadino” e di “straniero” (interno alla società come partecipante allo
sviluppo economico, ma esterno in quanto non cittadino).
Essere
dentro significa sentirsi appartenente al gruppo nel quale ci si rispecchia,
poiché ci si sente accettati ed amati.
L’appartenenza
si trasforma così in difesa dal nemico comune: ci si unisce nell’idealizzazione
di un “ente” comunemente riconosciuto come superiore, al quale offrire la
propria dipendenza condivisa (in questo caso la Patria, la religione, le
associazioni e così via.).
Il
dentro, quindi, è concepibile solo se si configura un fuori, inteso come
estraneità simbolizzata, come “nemico”.
Tutto
ciò che è fuori è concepito come diverso, come altro da sé, come forestiero,
come minaccia.
Verso
“l’altro” si vive un duplice atteggiamento che va dall’attrazione, dal
desiderio di esplorazione e di conoscenza, alla rabbia distruttiva,
all'invidia, alla sfida.
Tale
ambivalenza è presente tanto a livello sociologico che a livello culturale e
psicologico.
Dalle testimonianze emerge come – anche quando
la partenza dal proprio Paese è una libera scelta – siano presenti, al
contempo, sentimenti di paura e di colpevolezza per aver abbandonato la propria
patria, la propria famiglia.
La migrazione si manifesta quindi come
elemento critico - generativo tanto di una serie di potenziali vantaggi (come
l’accesso a una nuova opportunità di vita, di speranza e di orizzonti), quanto
di un insieme di difficoltà e di tensioni.
L’impatto
con la nuova cultura dunque abbisogna necessariamente di un dato tempo di
assestamento e di riflessione, che consenta al nuovo arrivato di conoscere il
nuovo contesto e di adattarvisi.
C’è
un’identità inquietante e inaccettabile – quella dell’ “altro da sé” – che
smentisce, relativizza e rende precaria la percezione della propria, una volta
rassicurante e, con essa, le certezze dell’esistere.
Un'identità
precaria è quella data dalla condizione di dover continuamente ri-negoziare la
propria immagine nel teatro delle relazioni sociali, come ha mostrato Ervin
Goffmann, o nel gioco che presiede l’interiorizzazione del modo in cui gli
altri ci vedono, come ha mostrato George Herbert Mead.
L’emigrazione
è certamente una delle circostanze della vita che più espongono la persona a
forme di disorganizzazione psichica;
tuttavia,
laddove l’individuo possieda sufficienti capacità di elaborazione cognitiva,
riuscirà a superare la crisi e potrà persino assumerla quale occasione di
“rinascita”:
l'uomo vecchio si immerge interamente nel
fonte battesimale per riemergerne come un uomo nuovo, in una sorta di
"ri-creazione".
La
maschera, oltre ad avere lo scopo di far emergere le individualità, può avere anche
una funzione difensiva.
È
proprio durante questi momenti di messa in discussione personale che si attiva
più che mai il bisogno di una maschera provvisoria, che fornisca la
consapevolezza che la personalità non sia frammentata, inter-rotta, bensì ancora
unita, legata, per evitare di sprofondare nel caos dal quale potrebbe non più
uscire.
Spesso
questa maschera provvisoria e difensiva è rigida, il più delle volte ha la
forma della nevrosi;
ciononostante talvolta è proprio grazie ad
essa che l’individuo riesce a percepirsi ancora come un’entità coesa,
un’identità, come spiega magnificamente Pirandello attraverso le sue opere.
Nel
momento in cui l’individuo esce dallo stato di caos, la maschera cambia:
diventa più flessibile, quasi camaleontica, e
si presenta come uno degli elementi psichici che più di altri può aiutare la
persona ad entrare in rapporto con il mondo - tanto interno a sé quanto esterno
-, rappresentando in tal modo un fattore di adattamento sano.
L’autodichiarazione
di genere
a soli
16 anni votata
dalla Scozia
mette
nei guai il Regno Unito.
Tempi.it
- Caterina Giojelli - (17/01/2023) – ci dice:
Il
governo britannico ha bloccato la riforma, che avrebbe aperto a rischi
concretissimi di abuso.
La Scozia insorge ma una cosa è neolingua,
altro è spianare la strada al “turismo di genere” e cancellare ogni forma di
tutela di donne e minori.
Il
governo britannico ha bloccato la riforma del riconoscimento di genere di
Nicola Sturgeon approvata a dicembre dal parlamento scozzese.
L’amministrazione
di Rishi Sunak si era detta più volte «preoccupata» dalle conseguenze del
“Gender Recognition Act” e ha optato per un’azione diretta, piuttosto che
deferire la questione alla Corte Suprema.
Nicola Sturgeon, premier scozzese, ha definito
l’intrusione «un attacco frontale al Parlamento scozzese democraticamente
eletto e alla sua capacità di prendere decisioni su materie che gli competono».
Il segretario scozzese, Alister Jack, aveva già
avvertito della possibilità che il governo britannico invocasse la “sezione 35
dello Scotland Act”, che gli conferisce il potere di veto nel caso in cui le
leggi di uno stato entrino in conflitto con quelle del governo centrale.
Il
tema è serissimo e ha poco a che vedere con gli slogan sui diritti delle
persone trans e molto con l’Equality act e le leggi del Regno Unito.
Dove
numerosi sondaggi condotti nell’ultimo anno confermano che la quasi totalità
degli inglesi si oppongono convintamente al self-id, l’impopolarissima
autodichiarazione di genere approvata dal parlamento scozzese a dicembre per
consentire a chiunque abbia più di 16 anni di ottenere, senza alcuna diagnosi
medica di disforia, un certificato grazie al quale un uomo potrà essere
trattato dalla legge come una donna, e viceversa.
Al
governo del Regno Unito spettavano 28 giorni – fino al 19 gennaio – per
decidere se proibirne la conversione in legge.
Lo scontro
tra Regno Unito e Scozia.
A
preoccupare gli inglesi – nella patria di tutte le follie gender ma anche del
terribile scandalo Tavistock, la gender clinic che ha trattato migliaia di
minori con farmaci sperimentali – sono i rischi concretissimi di abuso:
una
cosa è neolingua, cancellare la “donna”, affibbiare la pecetta politicamente
corretta di “menstruator”, “persone con la cervice”, “possessori di vagina” al
genere umano,
altro è spianare la strada a una forma di
“turismo di genere” che consentirebbe ai maschi biologici di approfittare del
nuovo status per beneficiare di sussidi, frequentare spazi riservati alle
donne, o peggio consentire ai detenuti, stupratori compresi, di chiedere il
trasferimento nelle carceri femminili o ottenere una riduzione della pena.
Michael
Foran, esperto di diritto costituzionale presso l’Università di Glasgow e
autore di Policy Exchange, ha spiegato più volte in punta di diritto come il
disegno di legge scozzese finirebbe per avere gravi ripercussioni sulla
legislazione britannica in materia di pari opportunità e danneggiare le donne,
privandole di ogni tutela, infilando il governo in «un ginepraio» giuridico
ingarbugliato dalle politiche di genere.
Ad oggi nel Regno Unito è richiesto che una
persona debba avere almeno 18 anni, una diagnosi di disforia di genere
rilasciata da un medico e che dimostri di aver vissuto nella sua “identità di
genere” preferita per almeno due anni prima di richiedere il cambio di sesso
nei documenti.
I
rischi per donne e ragazze.
Il
disegno di legge Sturgeon non solo abbassa l’età minima a 16 anni, ma
estromette del tutto esperti e medici, portando a soli tre mesi il periodo
richiesto per confermare la propria decisione e imporre alla legge di
riconoscere una propria identità percepita piuttosto che il sesso biologico.
La
giustificazione dei “transattivisti” in Scozia è che sia «umiliante»
giustificare cosa sono attraverso il parere di un medico.
Ma per
Foran e numerosi altri giuristi inglesi la rivendicazione collide con la legge
britannica:
modificherà la definizione di “sesso” e
“riassegnazione di genere” quali caratteristiche protette, consentendo anche
alle persone che non soffrono di disforia di genere di cambiare sesso
legalmente.
Modificherà
gli equilibri giocati sull’uguaglianza nel settore pubblico.
Renderà
più difficile escludere gli uomini da spazi che attualmente sono aperti a sole
donne e darà a chiunque si dichiari donna il diritto di venire incluso in
gruppi e associazioni femminili.
Inoltre, grazie a un semplice certificato, i maschi di
16 e 17 anni avranno il diritto di venire ammessi alle scuole femminili.
3
GENNAIO 2023.
Questo
perché gli effetti del “Gender Recognition Act” non saranno limitati alla
Scozia:
il sesso acquisito da coloro che possiedono
certificati scozzesi di riconoscimento del genere dovrà essere riconosciuto
anche in Inghilterra, Galles o Irlanda del Nord.
I
conservatori dovranno rispondere.
Lo
Spectator aveva spiegato bene perché questo sarebbe accaduto se Sturgeon
l’avesse avuta vinta:
«Chiunque sia nato in Scozia potrà presto
richiedere un “Gender Recognition Certificate” – semplicemente perché ne vuole uno –
e poi riceverà un nuovo certificato di nascita dal National Records Scotland.
L’Inghilterra e il Galles potrebbero decidere
di non riconoscere i “Grc scozzesi”, ma non possono rifiutarsi di riconoscere i
certificati di nascita».
A poco serviva alla Scozia sottolineare che i
truffatori rischiavano una pena detentiva pari a due anni: non c’è mai stato
nel Regno Unito un processo per falsa dichiarazione di genere.
E
pensare di assistere ad azioni legali sul tema nel futuro è un’illusione:
«Non riesco a immaginare come si possa
ottenere una condanna penale per qualcuno che non riesce o non intende vivere
“da donna” – scrive Foran -.
Se la
donna è uno status legale e solo uno status legale, allora vivere con un
[certificato di riconoscimento del genere] che attesti che sei una donna è
vivere “da donna”».
Se
l’analisi di Foran è corretta, a Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord
sarebbero stati di fatto imposti cambiamenti legali votati solo dal parlamento
scozzese.
I conservatori sarebbero stati costretti ad
accogliere una riforma che né loro né – ripetiamolo – la stragrande maggioranza
degli elettori sostiene, nonché il rischio di essere ritenuti responsabili di
ogni potenziale conseguenza.
Evoluzione
del comunismo:
la
distruzione della famiglia tradizionale.
Museodelcomunismo.it
– Redazione – Stefano Zecchi -(10-6-2022) – ci dice:
Le
teorie economiche dei comunisti si sono rivelate fallimentari: ovunque
applicate hanno prodotto enormi catastrofi.
Tuttavia
alcune idee dei socialisti e dei comunisti sulla società, sulla famiglia,
sull'educazione dei figli continuano a circolare, producendo danni altrettanto
gravi e una aberrante povertà morale nelle società occidentali.
L'estrema
deriva di questo pensiero è l'ideologia gender che sostiene la non-esistenza di una
differenza biologica tra uomini e donne determinata da fattori scritti nel
corpo, ma che gli uomini e le donne sono uguali da ogni punto di vista.
C'è, per l'ideologia gender, una differenza morfologica ma non
conta nulla ed è superabile.
Per
gli ideologi gender, la differenza maschile / femminile è una differenza
esclusivamente culturale:
gli uomini sono uomini perché sono educati da
uomini, le donne sono donne perché sono educate da donne.
Stefano
Zecchi.
C'è
secondo Stefano Zecchi (scrittore, filosofo ed ex comunista) un motivo
culturale che conduce a propagandare la filosofia gender e cioè che
l’estremismo radicale con cui prima la sinistra affermava che il comunismo era
la salvezza per i popoli è stato trasferito nella convinzione che i generi
vadano aboliti.
“Dire che i generi non sono più maschio e
femmina – afferma – ma addirittura 56 tipi diversi diventa la battaglia per
un’identità politica.
Come
prima credevano sinceramente che il comunismo salvasse il genere umano e si
riconoscevano nella moralità ineccepibile, così oggi sostengono che il gender
salva dall’abbrutimento.
Ma
così la politica diventa biologismo, selezione della specie, darwinismo
deteriore.
Basta
leggere i loro testi”.
Sempre
Zecchi sull'indottrinamento dei bambini all'ideologia gender fin dalle scuole
elementari:
«Mette
i brividi questo tentativo di sottrarre i bambini all’educazione dei genitori,
contrapponendo ai valori e alle tradizioni della loro famiglia, qualcosa di
imposto dallo Stato e di aleatorio».
«Una
cosa degna del peggior comunismo stalinista».
Comunisti
contro la famiglia.
Marx e
Engels avevano le idee chiare sulla famiglia. Distruggerla.
E l'hanno scritto ben chiaro nel Manifesto del
partito comunista (wikisource.org/wiki/Il_Manifesto_del_Partito_Comunista/II):
Marx -
Engels: abolire la famiglia.
Abolire
la famiglia! Sino i più radicali s’indignano a questa esecrabile intenzione dei
comunisti.
Quale
è la base della famiglia borghese dell’epoca nostra?
Il
capitale e il guadagno individuale.
La
famiglia non esiste allo stato completo che per la borghesia, ma essa si
completa nella prostituzione pubblica, e nella soppressione delle relazioni di
famiglia per il proletario.
La
famiglia del borghese sparisce naturalmente colla scomparsa del suo
completamento necessario, e l’uno e l’altro scompaiono coll’abolizione del
capitale.
Ci
rimproverate di volere abolire l'educazione dei fanciulli fatta dai loro
parenti? Confessiamo il delitto.
Voi
pretendete che sostituendo l’educazione sociale all’educazione domestica si
spezzano i vincoli più cari.
La vostra educazione non è forse essa pure
determinata dalla società, dalle condizioni sociali, nelle quali voi allevate i
vostri fanciulli, dall’intervento diretto od indiretto della società coll’aiuto
delle scuole, ecc.?
I
comunisti non inventano l’influenza della società sull’educazione, essi ne
cambiano soltanto il carattere e strappano l’educazione all’influenza della
classe dominante.
Comunismo
e diritto all'aborto.
Le
cifre sull'aborto forzato in Cina (la politica del figlio unico) sono
impressionanti: si stimano 400 milioni di morti da quando è entrato in vigore
l'obbligo di generare un solo figlio.
In
anni recenti si sono superati i 13.000.000 di aborti all'anno.
L’aborto
libero e legale, cioè riconosciuto dalla Legge come diritto, come cosa giusta,
appare per la prima volta nella Storia con la Rivoluzione comunista del 1917:
il
comunismo parte dal presupposto arbitrario che la famiglia non sia un istituto
naturale, ma un portato della Storia, un istituto artificiale.
La
famiglia sarebbe tipica di un mondo ingiusto e corrotto, quello
"borghese", che riconosce la proprietà privata dei beni materiali e
quella che per i comunisti è la «proprietà privata degli affetti», la famiglia,
appunto.
Per
Vladimir Lenin (1870-1924), che si colloca sulla scia dei pensatori social-comunisti - Dom Deschamps (1716-1774),
Étienne-Gabriel Morelly (1717-1778), Babeuf (Settecento), Charles Fourier
(1772-1837) e Karl Marx (Ottocento) - abolizione della proprietà privata
significa dunque anche abolizione dei rapporti familiari moglie-marito,
genitori-figli: per questo introduce, coerentemente, il divorzio e l'aborto.
L'aborto
per i comunisti è giustificabile anche alla luce di un altro cardine del
pensiero comunista: il materialismo.
L'uomo,
e così pure il bimbo nel ventre materno, è pura materia, senza anima e destino
immortali. Le conseguenze pratiche non tardano a manifestarsi.
Françoise Navailh, nella sua Storia delle
donne: il Novecento, a cura di Françoise Thebaud, (Ed. Laterza 1992), scrive:
«L'instabilità
matrimoniale e il rifiuto massiccio dei figli sono i due tratti caratteristici
del tempo.
Gli
aborti si moltiplicano, la natalità cala in modo pauroso, gli abbandoni dei
neonati sono frequenti.
Gli orfanotrofi sommersi, diventano dei veri
mortori.
Aumentano gli infanticidi e gli uxoricidi.
Effettivamente,
i figli e le donne sono le prime vittime del nuovo ordine delle cose. I padri
abbandonano la famiglia, lasciando spesso una famiglia priva di risorse»
Gli
effetti di tale politica divorzista e abortista si vedono ancor oggi: basti
pensare quanti e quanto grandi sono gli orfanotrofi negli ex Paesi comunisti
(Romania, Ucraina, Bielorussia, Russia, ecc…), da cui vengono presi gran parte
dei bambini adottati in Europa (adozioni internazionali).
In Russia si arrivava al punto, come ha raccontato
Olga Kovalenko, olimpionica in Messico nel 1968, che, come lei,
«anche
altre ginnaste nell'URSS venivano indotte a concepire e poi abortire, perché
con la gravidanza l'organismo femminile può produrre più ormoni maschili e
sviluppare più forza.
Se
rifiutavano, niente Olimpiadi».
Il
comunismo e l'ideologia "gender."
Mario Mieli
“l’ideologo".
In
campo di morale sessuale il comunismo ha fatto una completa inversione
ideologica: sotto Stalin, Mao, e altri tiranni comunisti gli omosessuali
venivano imprigionati, deportati e costretti ai lavori forzati.
Ora,
sotto le bandiere del partito comunista, ancheggiano pederasti, lesbiche, trans
e ogni altra possibile categoria di persone appartenenti a qualche devianza
sessuale.
Le
sedi di Sel / PD / Rifondazione comunista sono piene di bandiere arcobaleno,
che capovolte sono diventate l'emblema dei "gay".
Sono
state rimosse le foto ufficiali di Stalin, (probabilmente non quelle di Lenin o
di Mao) ma campeggiano in bella vista i ritratti di Pasolini.
Uno
degli artefici di questa tendenza della sinistra a farsi portatrice delle
rivendicazioni di sodomiti e altri deviati è Mario Mieli.
Mario
Mieli [Mario Mieli: comunismo e depravazione] filosofo, pederasta e comunista
italiano scriveva:
Il
maschilismo dimostra di essere il più grave impedimento alla realizzazione
della rivoluzione comunista:
esso
divide il proletariato e – quasi sempre – fa dei proletari eterosessuali i
tutori della Norma sessuale repressiva di cui il capitale necessita per
perpetuare il proprio dominio sulla specie.
Gli eterosessuali maschi proletari sono
corrotti: essi accettano di farsi pagare la misera moneta falloforia del
sistema per tenere a freno, in cambio delle gratificazioni meschine che ne
traggono, la potenzialità rivoluzionaria transessuale delle donne, dei bambini
e degli omosessuali. (wikiquote.org/wiki/Mario_Mieli)
«Noi
checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l'Edipo, o il
futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero.
Noi, sì, possiamo amare i bambini.
Possiamo
desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo
cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono,
possiamo fare l'amore con loro.
Per
questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi
amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza,
educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica» (wikipedia.org/wiki/Mario_Mieli)
In un
brano del "saggio" “Gay rivoluzionario” di Mario Mieli, eroe – simbolo
dell’omosessualismo, icona dell’ideologia gender in Italia:
“Noi
sodomizzeremo i vostri figli, simboli della vostra mascolinità debole, dei
vostri sogni superficiali e delle vostre volgari menzogne.
Li
sedurremo nelle vostre scuole, nei vostri dormitori, nelle vostre palestre, nei
vostri spogliatoi, nelle vostre arene, nei vostri seminari, nei vostri gruppi
giovanili, nei bagni dei vostri teatri, nelle vostre caserme, nei vostri
parcheggi, nei vostri club maschili, nelle vostre camere del Congresso, ovunque
gli uomini sono insieme ad altri uomini.
I vostri figli diventeranno i nostri lacchè e
faranno ciò che vogliamo.
Saranno
plasmati di nuovo a nostra immagine.
Ci
desidereranno e ci adoreranno”.
Mieli
abbracciò il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta di
liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista
intrinsecamente omofoba.
È considerato il "filosofo" di
riferimento di tutti quelli che si riconoscono sotto la sigla lgbt (lesbico –
gay – bisex – trans).
(Links
a siti esterni:
Propaganda
omosessuale e "gender" nelle scuole italiane: )
Intervista
a Chen Guangcheng, il dissidente cinese che ha svelato al mondo gli aborti
forzati del regime comunista cinese:
(tempi.it/intervista-esclusiva-a-chen-guangcheng-l-eroe-cinese-cieco-che-svelo-al-mondo-gli-aborti-forzati-del-regime-comunista)
L'olocausto
cinese degli aborti imposti dal partito comunista:
(tempi.it/blog/hanno-costretto-mia-moglie-ad-abortire-al-settimo-mese-non-si-ferma-lolocausto-cinese).
Scuola
di Stato Lgbt. Stefano Zecchi:
«Sottraggono
i figli all’educazione dei genitori.
Degno
del peggior comunismo stalinista»
Tempi.it
- Francesco Amicone – (14/02/2014) – ci dice:
Da
laico e liberale, Stefano Zecchi si
ribella alla propaganda Lgbt per gli alunni. «Trasformano una questione
culturale in un fatto ideologico.
Se per
qualcuno l'omosessualità è naturale, non significa che si debba insegnare»
Le
fiabe gay propinate ai bambini dell’asilo per “sensibilizzarli” sulla causa
Lgbt cambieranno in positivo il mondo?
Non lo possono sapere nemmeno quelli che lo
sperano.
Di certo l’indottrinamento infantile nella
scuola pubblica italiana su un tema che non gode di largo consenso – e che
spesso si contrappone all’educazione impartita in famiglia – fa infuriare tanto
i genitori cattolici e religiosi quanto i laici come Stefano Zecchi.
Il
noto giornalista e docente di Filosofia estetica all’Università statale di
Milano ha scritto di recente un articolo infuocato contro il Comune di Venezia
per aver proposto la lettura di fiabe gay agli asili cittadini.
A suo parere, la diffusione di libelli sulle
famiglie omosessuali nelle scuole dell’infanzia produce «una violenza
psicologica» sui bambini.
«Quello
che ha fatto il Comune di Venezia è stato superato soltanto dalle linee guida
dell’Unar».
«Mette
i brividi questo tentativo di sottrarre i bambini all’educazione dei genitori,
contrapponendo ai valori e alle tradizioni della loro famiglia, qualcosa di
imposto dallo Stato e di aleatorio».
«Una
cosa degna del peggior comunismo stalinista», commenta.
Professor
Zecchi, la proposta della presidenza del Consiglio di portare la “teoria del gender” nelle scuole pubbliche è passata
quasi inosservata fino a pochi giorni fa.
Come
mai?
Anch’io
mi chiedo perché si sia subita questa iniziativa senza che nessun politico abbia
fatto nulla.
È mai
possibile che a livello governativo ci sono funzionari che portano avanti
queste azioni di propaganda, senza che i ministri sappiano nulla, o non dicano
niente?
Questi
documenti sono il frutto di un lavoro partito quando c’era al governo
Berlusconi, poi proseguito sotto Monti e infine sotto Letta.
Possibile
che chi non è d’accordo, come non dovrebbe esserlo il centrodestra, non abbia
strumenti di conoscenza da contrapporre a questa deriva?
Si
dice che l’omosessualità è naturale. Che non c’è nulla di male nell’insegnare
la naturale diversità delle scelte sessuali ai bambini.
I
progressisti hanno sostituito il marxismo con la teoria del gender e ora
vogliono imporla anche ai bambini.
Quale
sostenibilità scientifica abbia non lo so e la cosa non mi interessa.
Quello
che mi importa è la questione culturale.
Il
vero problema è trasformare una questione culturale in un fatto ideologico che
entra a far parte dell’educazione del bambino in contraddizione con il diritto
di una famiglia a educare i figli come crede.
La
cosa è grave anche perché questa proposta culturale si oppone a un’idea di
famiglia, quella tradizionale, che comunque rimane il cardine della società.
La
teoria del gender sostiene che il modello di famiglia tradizionale non sia
l’unico e che andrebbe superato in nome della libertà sessuale.
Gli
omosessuali possono benissimo fare ciò che vogliono.
Le
proprie propensioni sessuali uno se le gestisce come crede.
Dal
punto di vista culturale, però, per quanto riguarda la libertà sessuale,
bisogna porre dei limiti.
Se questa teorizzazione libertaria sulle
propensioni sessuali contempla la pedofilia non è lecito opporsi?
Se in questa teoria che propaganda l’assoluta
libertà di scelta sessuale c’è anche l’incesto, bisogna tacere?
La
libertà sessuale, che noi accettiamo, è comunque anch’essa un fatto culturale.
Non è un fatto naturale.
Se è naturale la pedofilia, non credo che la
nostra cultura debba accettarla.
Non
credo che la nostra cultura debba accettare l’incesto.
Se per qualcuno queste sono propensioni naturali,
non significa che si debbano accettare e propagandare.
Questa
richiesta di assoluta libertà sessuale è valida fino a un certo punto.
In
Svizzera si è tentato di sperimentare le “sex box”, scatole contenenti fra gli
altri gadget anche peluche a forma di organi sessuali, per educare i bambini
sotto i cinque anni a una libera e consapevole sessualità.
Cosa ne pensa?
È il
risultato di un laicismo ignorante che pensa di poter arrivare a un’educazione
scientifica tale da garantire a tutti i bambini e poi a tutte le persone una
libera criticità.
Questa
è una delle supposizioni più arroganti e sbagliate del pensiero scientifico,
perché distrugge la simbolicità della vita.
Quando
la scienza pensa di avere la capacità di ridefinire la razionalità dell’uomo nel
suo complesso si arriva sempre a una visione totalitaria della vita delle
persone.
In
queste cose ci vedo un principio di violenza simile a quello nazista.
Non è
inutile opporsi? Ormai sembra che questo sia il futuro che ci attende.
Non
direi.
Bisogna
fare una battaglia culturale.
A
posizioni di questo tipo bisogna contrapporsi con forza: difendere la famiglia,
la sessualità, che è uno degli elementi e non l’elemento fondamentale della
vita dell’uomo.
A una
cultura ideologica così forte, bisogna contrapporre un’altra cultura, non
ideologica, ma critica, mitico-simbolica se si vuole, della vita della persona.
Dal punto di vista cristiano-ebraico ci sono
elementi molto forti per combattere questa battaglia.
Sono i
laici che non mi sembrano determinati.
C’è una forte determinazione da parte di chi
abbraccia questa ideologia laicista, progressista, scientista, invece
dall’altra parte c’è una visione sempre dimessa, che si limita al lamento, a
parlare dell’egemonia culturale della sinistra, a rivolgere canti pietosi al
cielo.
Bisogna
agire, non aspettare. E per farlo bisogna contrapporre idee forti.
RAPPORTO
GLI ITALIANI E LO STATO - 2022 (25°).
Demos.it
– Redazione – Ivo Diamanti – (25 dicembre 2022) – ci dice:
Rapporto
annuale sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle istituzioni e
della politica.
XXV
RAPPORTO GLI ITALIANI E LO STATO.
GLI
ITALIANI IN CERCA DI UN "LEADER FORTE".
Di Ivo Diamanti.
Dopo
due anni, la pandemia sembra avere ridotto il suo impatto.
Anche
se conviene essere prudenti.
Altre
volte, negli ultimi anni, le nostre speranze, per quanto accreditate dai dati,
sono state, in seguito, smentite dagli eventi.
Perché
il virus è una minaccia "invisibile", ma insidiosa. Im-prevedibile.
È, dunque, meglio attendere.
Con
prudenza, senza rinunciare alle pre-cauzioni che ci hanno permesso di
affrontare l'emergenza.
Dai
vaccini alle mascherine. Alla cautela nei rapporti con gli altri. Misure utili
a controllare la minaccia virale.
Anche
se hanno logorato la nostra vita. Non solo "sociale".
La
ricerca curata da “LaPolis-Università di Urbino” e “Demos”, sul rapporto fra "Gli
italiani e lo Stato", giunta alla venticinquesima edizione, ci permette di valutare con cura cosa
sia cambiato e stia cambiando.
Nella
nostra democrazia e nelle attività che la accompagnano.
La
partecipazione sociale, l'accesso ai servizi pubblici, la relazione con i
partiti e con le reti associative.
L'indicazione
proposta dall'indagine evoca un (faticoso) ritorno alla "normalità".
Agli
orientamenti e ai modelli di vita precedenti all'irruzione del Covid.
Mentre si confermano alcune
"abitudini" antiche del sentimento nazionale.
Il distacco nei confronti dello Stato,
anzitutto, verso il quale di-mostra fiducia il 36% degli italiani.
Una
"minoranza".
Molto "maggiore", tuttavia, rispetto
a dieci anni fa, nel 2012, quando questo atteggiamento era condiviso dal 22%.
Lo
stesso discorso vale per le istituzioni territoriali, Comune e Regione.
E, a
maggior ragione, per il Parlamento e gli stessi partiti.
Oggi
sono guardati con "distacco". Ma dieci anni fa suscitavano
"sospetto".
Erano, infatti, ri-conosciuti da meno del 10%
dei cittadini.
La diffidenza verso i partiti, comunque, riflette
"un passato che non è passato", visto che si celebra il trentesimo
anniversario di Tangentopoli e, secondo l'80% dei cittadini (intervistati), da
allora «non è cambiato niente».
Anzi,
si è allargato oltre confine, alla Ue, se pensiamo all'inchiesta “Qatargate”,
appena partita.
Tuttavia,
è migliorato il grado di soddisfazione rispetto ai servizi.
Alla
sanità, anzitutto. E alla scuola. Privata ma anche pubblica.
In
altri termini, il mondo intorno a noi appare meno distante e distinto.
È divenuto un ambiente più familiare. Amico.
Per
reazione alle tensioni e all'inquietudine provocate dai cambiamenti
"esterni". Sul piano sanitario e geo-politico.
Si
sta, dunque, consolidando quella che un anno fa abbiamo definito una
"democrazia sospesa", perché la minaccia del virus ha reso difficile
progettare e perfino immaginare il futuro.
Nonostante
il ridimensionamento - relativo - della pandemia e della minaccia virale.
Infatti,
nel frattempo, sono subentrate altre minacce, altre paure.
Per
prima, la guerra in Ucraina. Cioè: non lontano dai nostri confini.
Tuttavia,
l'inquietudine suscitata da questi eventi ha contribuito a rendere più stabili
i nostri rapporti con le istituzioni. In particolare, con lo Stato.
Perché i cittadini hanno bisogno di
riferimenti con-divisi.
Per
sentirsi "uniti", non "divisi".
Peraltro,
il minore impatto delle paure ha favorito la ripresa della partecipazione e
dell'impegno associativo presenti sul territorio.
Ci ha permesso di allentare il senso di
solitudine e di vulnerabilità, alimentato dall'insicurezza.
Così,
oggi, il nostro tempo appare meno "sospeso", rispetto a un anno fa.
Perché
riusciamo a guardare avanti. Insieme agli altri.
Anche
per questo è migliorato il giudizio degli italiani nei confronti dello
"stato della (nostra) democrazia".
Apprezzato
da oltre metà dei cittadini.
La "democrazia", peraltro, continua
ad essere considerata la migliore forma di governo da oltre 7 italiani su 10.
Tuttavia,
va sottolineato come si guardi, sempre più, a un modello di "democrazia
impolitica". Affidata ai tecnici.
È
"personalizzata". Anzi: "presidenziale".
Una
larga maggioranza dei cittadini (62%), infatti, afferma che il Paese dovrebbe
essere guidato da un "leader forte".
E
oltre due terzi dei cittadini esprimono apertamente il proprio favore verso
l'elezione diretta del Presidente.
Va
chiarito che la "personalizzazione" della politica ha una storia
lunga, anche nel nostro Paese.
Avviata
negli anni Novanta, quando Silvio Berlusconi ha fondato Forza Italia.
Il suo "partito personale".
Da allora la figura del leader è divenuta
fondamentale. Tanto più dopo che i partiti hanno perduto le radici ideologiche
e territoriali. E sono divenuti "provvisori", come i loro leader.
Che cercano consenso e riconoscimento
attraverso i media.
Canali che non possono garantire stabilità.
Lo
stesso percorso, negli ultimi anni, ha coinvolto il governo.
Infatti,
negli ultimi dieci anni si sono succeduti altri presidenti del Consiglio non
eletti.
Matteo Renzi, Giuseppe Conte-1. Prima di loro,
Mario Monti.
Da
ultimo, Mario Draghi. Anch'egli un banchiere.
Alla
guida di una maggioranza che comprendeva "quasi" tutti.
Un
"governo personalizzato" che, spesso, ha agito "per
decreto". Attraverso i Dpcm. Quindi, "saltando" il Parlamento.
D'altronde,
all'opposizione c'era un solo partito. I Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni.
Non per caso, forse, il partito e la (o il) leader che hanno vinto le elezioni
recenti.
E oggi governano. Prendendosi molti rischi.
Perché principale, se non unico, riferimento per il consenso e il dissenso dei
cittadini.
Il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella è, a sua volta, la figura istituzionale
che ottiene maggior grado di consenso. Ma non di potere.
Perché
siamo una democrazia rappresentativa. È il paradosso di questo
"presidenzialismo implicito".
Nel
quale i cittadini vorrebbero eleggere direttamente il presidente della
Repubblica, che, invece, è eletto dai loro rappresentanti, in Parlamento.
Mentre
il (la?) presidente del Consiglio, oggi, governa con una maggioranza instabile
e frammentata.
Questo
XXV rapporto su Gli Italiani e lo Stato, curato da LaPolis-Università di Urbino
e Demos, ripropone, dunque, un profilo noto.
Evoca, cioè, un Paese (ancora) sospeso. Alla
ricerca di un futuro.
E, per
questo, aggrappato al presente.
1. I
CITTADINI, LE ISTITUZIONI, I SERVIZI
SOSPESI
TRA LA GUERRA IL COVID E LA RECESSIONE.
di L.
Gardani e N. Porcellato.
Quello
di oggi, sembra un Paese in attesa. Che finisca la guerra in Ucraina. Che il
Covid sia dichiarato sconfitto. Che il caro-prezzi si fermi. Che la recessione
incombente sia fermata.
E che,
nel mentre, sembra congelare il suo rapporto con le istituzioni.
Rispetto a quanto osservato nel 2021, infatti,
oggi l'osservatorio “Gli italiani e lo Stato “(curato da LaPolis
dell'Università di Urbino e Demos) offre un affresco fatto di stabilità che
sembra quasi sospensione, con qualche rara eccezione.
Come
tradizione, le prime tre posizioni sono occupate da forze dell'ordine (70%),
Papa e presidente della Repubblica (entrambi 68%).
È la
fiducia verso le istituzioni nel suo complesso, però, ad apparire ferma:
escludendo i segni negativi registrati dai sindacati (-5 punti percentuali),
dalla scuola e dalla Chiesa (entrambe -3), e quello positivo del Comune (+3),
per tutte le altre istituzioni analizzate si conferma sostanzialmente il
gradimento rilevato lo scorso anno.
Un
discorso a parte lo merita il capo dello Stato: tra Covid e rielezione, i dieci
punti di maggiore fiducia che sono tributati a Mattarella dal 2020 a oggi
appaiono un nuovo riconoscimento della centralità del Quirinale, centralità che il 69% vorrebbe ulteriormente
accentuare attraverso l'elezione diretta del suo successore.
Ad
essersi fatto più severo, invece, in questi dodici mesi, è il giudizio sui
servizi:
è in calo sia la soddisfazione verso quelli
privati (-4 punti percentuali per la sanità e -2 per la scuola) che pubblici
(entrambe -4), mentre fanno eccezione le ferrovie (+3 punti percentuali) e i
trasporti urbani (+6).
Ma nel
trade-off tra tasse e servizi, come si orientano gli italiani?
Il 45%
vorrebbe diminuire le tasse, ma senza ridurre i servizi; il 25% pensa che
debbano essere potenziati i servizi, ma senza aumentare le tasse.
Nel complesso, il 70% vuole qualcosa, ma senza
essere disposto ad accettarne le possibili conseguenze: un cortocircuito di
questa entità appare di difficile soluzione.
Persino
per un futuro presidente della Repubblica eletto direttamente.
2.
IMPEGNO E PARTECIPAZIONE
QUELLA
INSOPPRIMIBILE VOGLIA DI PARTECIPARE.
Di L. Ceccarini e M. Di Pierdomenico.
Nelle
ultime due edizioni l'osservatorio su “Gli italiani e lo Stato”, curato da
LaPolis dell'Università di Urbino con Demos, si era registrata una progressiva
contrazione della partecipazione.
Gli
ultimi dati mettono in evidenza una sensibile ripresa del coinvolgimento degli
italiani dopo la "sospensione" indotta dalla pandemia.
Rimane
uno scenario segnato da incertezza nel futuro, ansia per le conseguenze della
crisi del Covid, dell'aggressione all'Ucraina, e dalle aspettative verso il
nuovo governo.
In
questa cornice di attesa, i cittadini stanno ricostruendo la loro collocazione
nello spazio pubblico.
È vero
che la partecipazione elettorale ha sofferto dell'astensione più alta della
storia repubblicana, ma su altri fronti si osserva un certo dinamismo.
Se si
confronta il quadro di oggi con quello pre-pandemico, la distanza appare ancora
importante ma gli italiani stanno recuperando in termini partecipativi.
Il volontariato è tra le attività più
praticate (42%).
Le
tematiche ambientali, del territorio e della città hanno mobilitato un
cittadino su tre (32%).
Anche
le azioni più esplicitamente politiche, come partecipare a manifestazioni di
partito, proteste e flashmob, hanno coinvolto una componente non trascurabile
di italiani (17%).
Più
dello scorso anno, ma un po' meno del 2019.
Le petizioni, anche grazie alle piattaforme
online, sono state firmate da un cittadino su tre (31%) con una partecipazione
doppia tra i giovani (18-29 anni: 61%).
E non
appare marginale la componente di cittadini che ha discusso di politica nei
social, nei forum online (25%).
Non si
tratta certo dell'idealtipo di sfera pubblica, luogo di confronto e dibattito
tra cittadini, ma denota un certo interesse, e forse preoccupazione, verso questioni
di natura collettiva.
Resta
alta, anche se in calo, quanti ritengono “la Rete” uno strumento democratico
per criticare pubblicamente l'azione di politici e governanti (64%) e quindi
per impegnarsi.
Dai
dati emerge che la partecipazione dei cittadini non prende forma solo negli
spazi tradizionali e in quelli digitali.
Ma si
sviluppa anche nelle pratiche della vita quotidiana, come i consumi.
In ripresa appaiono stili di consumerismo
critico, come il boicottaggio di prodotti o di brand (25%) o l'acquisto
responsabile (42%), basati su motivazioni di natura etica, politica,
ambientalista.
Ancora
più ampia è la quota di cittadini che ha speso del denaro con intenti
filantropici, dove parte del guadagno serviva a sostenere una buona causa
(53%).
Il confine
tra attivismo civico e politico, tra luoghi offline e online appare oggi
progressivamente più poroso.
L'impegno
dei cittadini sta assumendo un contorno ibrido.
3. LO
STATO DELLA DEMOCRAZIA.
DEMOCRAZIA
E (TIEPIDO) ORGOGLIO NAZIONALE.
Di F. Bordignon
e A. Securo.
Gli
ultimi trent'anni sono stati scanditi, in Italia, da passaggi memorabili. Dallo
scandalo di Tangentopoli, nel 1992, all'introduzione dell'euro, nel 2002, il
pendolo della storia è oscillato in direzioni diverse.
Dieci anni fa, nel 2012, il Paese faceva i
conti con gli effetti di una nuova tempesta economico-finanziaria.
Più di
recente, sono arrivate la pandemia e, nel 2022, il conflitto ucraino a
disorientare i cittadini, modificandone il (complicato) rapporto con le
istituzioni.
Nonostante
tutto, la soddisfazione sul funzionamento della democrazia è cresciuta, negli
ultimi anni.
Per la prima volta diventa maggioranza (53%)
la quota di intervistati che si esprime positivamente.
Un po' perché, nei momenti di crisi, ci si stringe
attorno alle istituzioni.
Un po'
perché il ritorno del centro-destra al governo ha fatto aumentare la fiducia in
quella parte del Paese che, ancora un anno fa, si diceva più insoddisfatta.
Analizzando
i dati del rapporto “Gli italiani e lo Stato”, tuttavia, sembra mancare una
definizione comune di cosa intendiamo, quando pensiamo alla democrazia.
C'è chi (47%), ad esempio, pensa al governo di
tecnici competenti;
la
stessa percentuale, tuttavia, di chi preferisce essere rappresentato dagli
"eletti".
È
significativo notare come il favore per il governo tecnico cresca soprattutto
fra gli under trenta.
Sono gli stessi giovani a dichiararsi, in
percentuale più ampia, a favore di un "leader forte".
Opzione
comunque maggioritaria in tutta la popolazione (62%).
Si
intiepidiscono, per contro, i sentimenti di orgoglio nazionale.
Tanti
gli intervistati che passano dal dirsi "molto" (44%) orgogliosi di
essere italiani al più incerto "abbastanza" (39%).
Il
rapporto era di 65 a 29 all'ingresso nel nuovo millennio.
Segno
che, anche ai tempi della destra di governo, l'identità italiana non risulta
ancora così solida.
È
opportuno sottolineare, ancora una volta, la relazione con l'età, visto che il
sentimento nazionale si fa via via più freddo passando dai più anziani ai più
giovani.
Su una cosa, però, le persone interpellate sembrano
essere d'accordo: siamo un Paese dalla corruzione politica endemica, tenace.
I cittadini che la percepiscono come più (o
ugualmente) diffusa rispetto a Tangentopoli non sono mai scesi sotto l'80% in
tutti gli anni di rilevazione.
E,
all'epoca del sondaggio, non si parlava ancora di "Italian job"
all'Europarlamento.
I
Trend del 2023? Un Mondo Orwelliano
ed Oro
e Crypto Grandi Protagonisti.
Conoscenzealconfine.it
– (17 Gennaio 2023) - Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria – ci dice:
(Doug
Casey (anarco-capitalista e investitore americano).
Il
sistema monetario si sta autodistruggendo, i banchieri centrali (e la “cupola”
di dominio mondiale che sta dietro di loro) lo sanno e stanno organizzando un
sistema orwelliano per prorogare l’inevitabile collasso sistemico e sostituirlo
con un altro sistema monetario digitale sotto il loro totale controllo.
Il
sistema monetario e finanziario stava già per collassare nel 2019 ma la
psico-pandemia è stata provvidenziale (per chi crede alle coincidenze) e ha
fatto loro guadagnare tempo e predisporre il terreno per i loro piani.
Le
indicazioni fornite da Casey non sorprenderanno i miei lettori abituali, sono
almeno vent’anni che fornisco pressappoco gli stessi suggerimenti, per gli
altri direi che non c’è tempo da perdere per assumere le opportune contromisure
o sarà peggio per loro.
(Claudio
Martinotti Doria).
(Doug
Casey).
Il
sistema monetario si sta autodistruggendo a un ritmo allarmante e sta
raggiungendo la fine della sua durata.
Le
persone veramente in carica – i banchieri centrali e coloro che stanno dietro
di loro – capiscono tutto questo.
Sanno
che il sistema attuale non è sostenibile, quindi ne stanno organizzando una
demolizione controllata.
In questo modo, possono essere in grado di
“ripristinare” il sistema monetario e modellarlo secondo i loro desideri.
Mirano
a rinchiudere le persone in un sistema orwelliano che monitora e controlla ogni
centesimo guadagnato, risparmiato e speso.
L’ultima
volta che il governo degli Stati Uniti ha affrontato un’imminente crisi
finanziaria è stato nel marzo 2020.
Nel
giro di pochi giorni, la Fed ha creato dal nulla più dollari di quanti ne
avesse avuti nei quasi 250 anni di esistenza degli Stati Uniti.
È stata stampata una quantità di denaro senza
precedenti che ammontava a oltre $ 4 trilioni e ha quasi raddoppiato l’offerta
di moneta USA in meno di un anno.
La
verità è che l’inflazione è fuori controllo e nulla può fermarla.
In
breve, il governo degli Stati Uniti si sta avvicinando alla fine dei giochi
finanziari.
Non
può più mascherare il suo fallimento.
Quando arriverà la prossima crisi, e penso che
potrebbe essere imminente, il governo degli Stati Uniti non avrà altra scelta
che implementare la sua operazione “Sansone”.
In
altre parole, mentre il governo degli Stati Uniti crolla in bancarotta,
trascinerà tutti sotto alle macerie e sarà la fine.
Quali
saranno i Maggiori Trend per il 2023?
1.
Passaporti obbligatori per i vaccini e lockdown.
2. Martellamento
continuo su emissioni di carbonio e Global Warming.
3.
Accettazione diffusa del “wokismo”, quote razziali, LBGT sempre +++ aggressivo
e collasso generale dei valori tradizionali.
4. C’è
la possibilità che assisteremo a qualcosa di simile ad una terza guerra
mondiale.
Non
dubito che l’era prima del 2020 sarà presto chiamata “Before Times”, una frase
che è stata usata nella fantascienza distopica.
E il
futuro potrebbe assomigliare moltissimo ad una fantascienza distopica.
5. Oro: nel 2023, il grande protagonista della storia
economico/finanziaria sarà probabilmente l’oro.
È
stato piatto negli ultimi dieci anni e ha un prezzo ragionevole rispetto ad
altri beni tangibili.
Sta
andando più in alto perché si parlerà seriamente di rimonetizzarlo.
I
BRICS non vogliono usare il dollaro per una buona ragione.
Il pubblico, che ha dimenticato persino
l’esistenza dell’oro, inizierà a comprarlo, spinto dalla paura:
paura
della svalutazione della valuta e paura del rischio di controparte nei mercati
finanziari.
Quindi l’oro fisico andrà davvero bene nel
2023. E i titoli delle compagnie minerarie, andranno ancora meglio.
6.
Azioni: il grande mercato rialzista iniziato
nei primi anni ’80 si è concluso nel 2022.
Il mercato rialzista è stato guidato da una
serie di fattori, ma non meno importante è stata l’immensa quantità di unità
monetarie create dalle banche centrali che ha causato un ciclo economico molto,
molto lungo; un super ciclo.
Con il
ribaltamento, assisteremo a molti problemi nel settore aziendale poiché le
distorsioni e le allocazioni errate di capitale causate dall’inflazione vengono
liquidate.
Le
società indebitate che si sono adattate ai modelli “Before Times” falliranno.
Quando
questo mercato ribassista avrà toccato il fondo, l’investitore medio avrà
dimenticato persino l’esistenza del mercato azionario e si arrabbierà
tantissimo soltanto a sentir nominare la parola Azioni.
7.
Bond e Tassi d’interesse:
il
mondo intero, dai governi, alle società, agli individui, è perdutamente
indebitato.
Incoraggiato in parte dal fatto che i tassi
sono in calo da 40 anni; praticamente da una vita.
I tassi di interesse, tuttavia, hanno una vita
propria. Non sono interamente controllati dalle banche centrali, contrariamente
a quanto la maggior parte delle persone è arrivata a credere.
Il
mondo inizierà a vedere le obbligazioni come una tripla minaccia per il
capitale: tassi più elevati, rischio valutario e rischio di default.
La cosa
interessante qui è che le obbligazioni, i Bond, non sono generalmente di
proprietà del pubblico al dettaglio ma di istituzioni:
ETF,
fondi comuni di investimento, fondi pensione, hedge fund e simili.
Le
istituzioni hanno difficoltà a giustificare il possesso di BOND con rating
inferiori a BBB.
Le
obbligazioni delle società in difficoltà saranno declassate quest’anno e
dovranno essere scaricate.
Ma a chi?
Perché neanche altre istituzioni possono
comprarne.
Ad un
certo punto, le obbligazioni saranno un vero affare e spero di rientrare in
questo mercato.
Ma non
sarà nel 2023.
Consentitemi
di ribadire ciò che ho detto molte volte negli ultimi anni: se possiedi delle
obbligazioni, vendile ieri mattina.
Al più
tardi, vendile domani mattina. Stanno andando molto più in basso.
8.
Immobiliare:
il
settore immobiliare galleggia su un mare di debiti negli Stati Uniti e nel
resto del mondo.
Se non
può prendere in prestito denaro, il cittadino non può acquistare proprietà.
E non
può nemmeno vendere, perché l’acquirente ha bisogno di finanziamenti per poter
comprare.
Gli alloggi residenziali sono in grossi guai,
così come i negozi fisici e tutti i tipi di immobili per uffici.
Con i
tassi di interesse in aumento, mentre l’attività economica diminuisce, la
proprietà è diretta verso il basso.
Gli immobili sono molto costosi in tutto il
mondo.
Il
settore immobiliare è qualcosa in cui devi vivere, su cui costruire, ma è
diventato un veicolo speculativo finanziato dal debito.
Non
bene!
9.
Valute: nel mondo di oggi, le valute sono tutte fiat.
Solo
pezzi di carta o cifre create arbitrariamente dai governi e dalle loro banche
centrali.
Sono
tutte nei guai, nessuna escluso.
La liquidità e la diffusione del dollaro USA
lo ha mantenuto forte e una crisi del debito potrebbe persino dargli ulteriore
forza mentre il mondo si affretta a cercare dollari per pagare il debito in
dollari.
Ma
questi non sono fondamenti solidi.
Se hai
bisogno di qualcosa di forte, compra oro.
10.
Cripto:
Bitcoin
ha la possibilità di diventare una valuta reale competitiva con le valute fiat
del governo.
Ma c’è
ancora una bolla nel mondo delle criptovalute, anche se Bitcoin è crollato dal
suo picco del 2021 di $ 69.000 a circa $ 17.000.
È il
fondo? Non ancora, se non altro perché il caos creato dallo scandalo FTX, che
ha vaporizzato $ 30 a $ 40 miliardi di “altcoin”, non è ancora finito.
Ci
sono circa 20.000 alt-coin, e quasi tutte dovrebbero, più correttamente, (anche
se maleducatamente), essere chiamate shit-coin.
Prendi
Doge-coin ad esempio. (Penso che dovrebbe essere pronunciato doggycoin), che è
stata creata per scherzo, senza valore, senza utilità, niente.
Ma,
sorprendentemente, ha ancora una capitalizzazione di mercato di 13 miliardi di
dollari.
11.
Petrolio:
da un
lato, mentre l’economia del mondo occidentale rallenta, ci sarà meno uso di
petrolio.
Ma
d’altra parte, i potenti del mondo hanno una visione totalmente
anti-combustibili fossili e molto anti-carbonio, e renderanno molto più
difficile la possibilità di reperirli.
Detto
questo, dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti e l’Europa occidentale non sono
più così rilevanti negli equilibri internazionali.
Gli
Stati Uniti rappresentano solo il 4% della popolazione mondiale, più o meno lo
stesso vale per l’Europa.
L’altro 90%+ del mondo si preoccupa sempre
meno di quello che dice o fa l’Occidente.
Invece, si preoccupano di ciò che fanno i
cinesi e gli indiani e aumentano la propria ricchezza. Petrolio, carbone, gas
naturale e uranio stanno aumentando. E le scorte delle aziende che li producono
stanno andando molto più in alto. (Doug Casey
anarco-capitalista e investitore americano).
Introduzione:
Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria (cavalieredimonferrato.it). (miglioverde.eu/i-trend-del-2023-passaporti-vaccinali-e-oro-e-crypto-grandi-protagonisti/).
Accenni
alla sovranità individuale.
Vaticano,
Gesuiti e finanza massonico-sionista:
il
mondo schiavizzato da un’élite di folli criminali.
Rivoluzionegiustablog.wordpress.com
– Redazione – natoliber0 – (6 giugno 2020) – ci dice:
Liberati
dalle catene: cerca la verità … e la verità ti renderà libero.
In
questo nuovo articolo verrà trattato un argomento molto importante: la
sovranità individuale.
Specialmente
negli ultimi tempi, in cui si vedono evidenti ed ingiustificate restrizioni
alla libertà personale degli individui, il tema è più che mai scottante e di
attualità.
Nell’articolo
ci saranno degli approfondimenti storico-religiosi, lo stesso offrirà degli
spunti di riflessione interessanti, oltreché riprenderà alcune tematiche già
affrontate in questo blog.
Per
sovranità individuale si intende la consapevolezza che ha l’essere umano di
vivere in una “Matrix che lo schiavizza”, in modo così opprimente da lederne il
sacrosanto diritto all’autodeterminazione, e spingendolo ad una presa di
coscienza volta a riaffermare le proprie inalienabili libertà personali.
L’autodeterminazione è l’atto con cui un
individuo si determina secondo la propria legge: espressione della libertà
“positiva” dell’uomo, e quindi della responsabilità ed imputabilità di ogni suo
volere ed azione.
La libertà è un frutto saporito che si trova
sull’albero della consapevolezza, questo albero deve essere animato dalla sete
di conoscenza, e questa sete si può attenuare solo tramite la ricerca della
verità.
Invece, oggi si vive in un mondo pieno di
“dogmi” che vengono accettati per lo più acriticamente, senza che la
maggioranza della massa si ponga il benché minimo dubbio che possano essere una
serie di menzogne.
Molti
prendono per oro colato l’ “informazione mainstream”, eppure si sa bene che
giornali e televisioni sono finanziati dai poteri forti, in tanti credono ai
politici ed alle loro promesse per poi svegliarsi e capire che era tutto un
bluff.
Un’altra
moltitudine viene ingannata dalle religioni che si presentano ramificate in più
dottrine diaboliche, eppure si dovrebbe capire che il Signore Cristo Gesù ha
insegnato una sola dottrina, quella del Padre Celeste che l’ha mandato
(Giovanni 7:16-19).
Tutte
le religioni odierne sono infiltrate dalla massoneria: la Parola del Signore è
stata adulterata da ognuno di questi culti luciferini.
E poi
c’è la scienza.
La Medicina, totalmente asservita alle grandi
case farmaceutiche, sta letteralmente terrorizzando la popolazione mondiale con
la narrazione di un virus che è ben altra cosa rispetto a quello che viene
propagandato, menzogne su menzogne per commercializzare vaccino e microchip,
funzionali al Nuovo Ordine Mondiale.
Molta
gente si abbandona alla fantasia con le balle spaziali della Nasa, eppure è
evidente che le immagini che vengono mostrate sono artefatti realizzati al
computer, lo ammettono chiaramente loro stessi.
Adesso,
bisogna partire dal presupposto che gran parte di quello che ci viene
insegnato, dalla politica alla storia, dalla religione alla scienza, è falso.
Se si parte da questo ragionamento,
analizzando ed approfondendo la storia, le religioni e tutto il resto, ci si
accorge che è tutta una grande menzogna atta a schiavizzare l’umanità.
È giunto il momento di destarsi da questo
sonno, è arrivata l’ora di prenderci le nostre responsabilità, capendo che non
è più possibile incaricare gli altri, ad esempio con l’azione del voto, per
mantenere un sistema totalmente corrotto e colluso.
Bisogna
riprendere in mano le nostre vite, votare significa dare il nostro consenso
affinché altri prendano l’iniziativa di gestire e condizionare le nostre vite,
e questo non è più accettabile visto i criminali che stanno al potere.
Molti
di questi personaggi potenti e di spicco influenzano le nostre vite privandoci
della libertà:
i politici dal punto di vista ideologico, i
grandi banchieri dal punto di vista economico, i religiosi dal punto di vista
spirituale, gli scienziati con le loro teorie fasulle, e via discorrendo.
In tal modo, l’uomo crede di essere libero ma
è solo libero di credere a ciò che qualcun altro gli ha preconfezionato, ecco
che il risveglio delle coscienze porta spesso ad essere censurati per il
proprio pensiero avulso da condizionamenti imposti.
Ed infatti,
il Nuovo Ordine Mondiale che stanno imponendoci dall’inizio del 2020 prevederà,
al suo totale completamento, un unico governo mondiale, un’unica religione
mondiale, una banca mondiale che supervisiona tutta l’economia, un azzeramento
del revisionismo storico che porterà ad una narrazione della storia ricorretta
a favore del nuovo paradigma, ed infine una scienza che dovrà fornire
dispositivi di decimazione e controllo totale della popolazione, per poi
condurre l’uomo al transumanesimo.
Una
società dominata da un “bi-pensiero” simile a quello descritto da George Orwell
nel suo libro di fantascienza distopica 1984 (Nineteen Eighty-Four).
Tutto ciò è terrificante, ma le élite
sovranazionali sono composte da: rettiliani intra-terrestri, ibridi metà umani
e metà rettiliani, umani corrotti ed al servizio dei rettiliani, i quali
perseguono delle agende mondiali che definire folli è dire poco.
Queste
élite illuminate comandano sui vari governi mondiali, a loro volta infiltrati
da agenti delle stesse élite che si congregano nelle varie logge massoniche.
I
massoni si autodefiniscono “liberi muratori” ed il simbolo della loro
associazione iniziatica è “squadra e compasso”.
Spesso, nel simbolo è presente anche una
grande lettera “G”, il cui significato è Great Architect (Grande Architetto)
oppure God (Dio).
Dalla
foto si evince chiaramente quale sia il Grande Architetto cui fanno
riferimento: il dio egizio Horus.
Insomma, adoratori di Lucifero, il Sole.
L’inizio
della massoneria, al contrario di quanto viene ufficialmente detto, si può
rintracciare nella Bibbia ai capitoli 10 e 11 di Genesi.
Poco dopo il Diluvio Universale Kus, figlio di
Cam e nipote di Noè, generò Nimrod.
Quando
Nimrod divenne molto potente sulla terra, fondò la città di Babele e persuase
il popolo a costruire una torre, fatta di mattoni e bitume, che arrivasse a
toccare il cielo.
Secondo
Genesi 11:1-4, gli uomini, contravvenendo al disegno di Dio che voleva che
popolassero l’intera terra, decisero di fermarsi tutti nella pianura di Sinéad.
Per
questo motivo, Dio punì gli uomini con la confusione delle lingue e li disperse
sulla faccia di tutta la terra.
Non
sorprende che, in seguito alla sua morte, Nimrod venne adorato come “il figlio
del dio sole”.
Ed
ecco che, tornando ai nostri giorni, si comprende il senso del terzo
comandamento delle diaboliche Georgia Guidestones, “unisci l’umanità con una
nuova lingua viva”, a tale scopo è già stata scelta la lingua inglese.
È
possibile far risalire il primo tentativo di imporre un nuovo ordine mondiale a
più di 3000 anni fa, con la salita al potere del faraone Akhenaton e la sua
imposizione di un nuovo culto solare monoteista, il quale andava a sostituire
il precedente culto politeista.
Akhenaton
è il nome che assunse il faraone egizio Amenhotep IV (Tebe, 1375 a.C. circa –
Akhetaton, 1334 a.C. circa), appartenente alla XVIII dinastia e figlio di
Amenhotep III.
Akhenaton
fu una figura unica nella storia dell’antico Egitto:
rovesciò
il precedente millenario ordine religioso introducendo il culto monoteistico
del dio Aton, cioè il disco solare, con cui si identificò.
Dopo
aver imposto l’adorazione di questa divinità, il faraone spostò la capitale del
Nuovo Regno da Tebe ad Akhetaton (l’odierna Amarnas), che diventò centro del
nuovo culto, e combatté duramente contro il potente clero tebano che cercava di
ostacolare il suo operato.
La
nuova religione imposta ebbe importanti conseguenze sull’arte egizia e sulla
letteratura, che conobbero un nuovo sviluppo.
Ma l’Egitto non gradì tutto ciò.
Pochi
anni dopo la morte di Akhenaton, i suoi monumenti furono in gran parte
abbattuti, le sue statue distrutte o menomate ed il suo nome fu cancellato
dalle liste reali.
Il
precedente culto religioso fu gradualmente restaurato e fu cancellata qualsiasi
traccia riguardante Akhenaton ed il suo regno, come se non fossero mai
esistiti.
Con la
venuta del Signore Gesù Cristo in questa valle di lacrime, una moltitudine di
uomini e donne videro miracoli ed insegnamenti d’amore e di giustizia, a loro
fu presentato il Padre Celeste per mezzo del Figlio intessuto nel grembo di
Maria.
Così,
molti di costoro divennero “seguaci di Cristo” o discepoli.
Dopo
l’Ascensione di Gesù al cielo, i 12 apostoli scelti dal Signore si stabilirono
a Gerusalemme, dove costituirono il nucleo centrale della nascente comunità
cristiana; attorno ad essi si radunarono i seguaci di Cristo, formando la
primitiva Chiesa di Gerusalemme.
Dopo avere iniziato la loro predicazione in
Giudea, in seguito, gli apostoli annunciarono il Vangelo nel mondo allora
conosciuto.
Fu
così che, nell’allora immenso Impero Romano, si diffuse a macchia d’olio il
Cristianesimo.
Questo
nuovo culto era visto con disprezzo sia dai romani che da varie frange di
Giudei, questi ultimi consideravano i cristiani una setta di miscredenti.
Secondo
i romani, il Cristianesimo era una setta che si riuniva in segreto per
praticare riti apparentemente magici, incitando altri a fare lo stesso ed
eleggendo a propria divinità un Dio solo spirituale e non rappresentabile, per
il cui culto non erano previsti templi, altari, sacrifici, e che era pertanto
lontanissimo dalla loro radicata mentalità pagana.
Tutto
questo poteva minacciare l’autorità dell’imperatore quale pontefice massimo, i
cristiani vennero così sanguinosamente perseguitati fino al famoso Editto di
Milano, sottoscritto nel febbraio 313 d.C. dai due Augusti dell’impero romano,
Costantino per l’Occidente e Licinio per l’Oriente.
L’Editto di Milano (anche noto come Editto di
Costantino o Editto di tolleranza) concedeva a tutti i cittadini, quindi anche
ai cristiani, la libertà di venerare le proprie divinità.
Costantino emise nuovi editti in favore dei
cristiani.
Obiettivo della politica religiosa
dell’imperatore fu di far confluire in un’unica forma e idea le credenze
religiose di tutti i popoli, e successivamente di rivitalizzare e fortificare
l’impero, che giaceva in rovina come un animale affetto da una grave ferita.
Cessarono
così del tutto le persecuzioni nei confronti dei cristiani.
Ma
l’Editto di Milano ed il successivo Concilio di Nicea I consegnarono il
Cristianesimo delle origini nelle mani del paganesimo, cosicché divenne
progressivamente la religione di Stato dell’impero romano.
Era stata creata una nuova unica religione per
tutto l’impero.
In questo surrogato diabolico del vero
Cristianesimo furono fuse, anche successivamente, usanze totalmente pagane: la
trinità, il Natale, l’Epifania, la Pasqua, l’adorazione di statue ed immagini,
l’adorazione della “Madonna” col bambino che nulla ha a che fare con Maria ed
il Signore Gesù (è infatti un culto mesopotamico risalente ai tempi di Nimrod e
Semiramide), ed il culto dei morti tipicamente egizio.
Questo
fu la tomba del vero Cristianesimo predicato dagli apostoli e l’inizio di
quello che ora viene chiamato Cattolicesimo Romano, che il Signore condanna in
Apocalisse definendolo Babilonia (cioè confusione), come si può vedere sono due
cose nettamente distinte.
Iniziò
così la persecuzione dei pagani che non professavano questo culto.
Con il crollo dell’impero romano nel 476 d.C.,
l’autorità del papato diventò ben presto anche politica.
Grazie
al papa Gregorio I Magno, il papato iniziò a colmare il vuoto politico ed
amministrativo lasciato dalla dissoluzione dell’Impero d’Occidente, e ad
allargare la sua influenza anche sulle chiese d’Oriente.
Dunque,
il decaduto impero passò lo scettro al papato, il quale non è altro che la
prosecuzione dello stesso impero romano.
Ne è una prova il successivo Sacro Romano
Impero, nel quale il potere di incoronare l’imperatore era attribuito al papa,
almeno fino alla Riforma Protestante.
La
volontà di accrescere maggiormente il proprio dominio sul mondo, l’avidità e la
bramosia di potere portarono il papato a commettere nefandezze quali:
le crociate, la vendita delle indulgenze, il
genocidio dei nativi delle Americhe, l’inquisizione con la conseguente caccia
alle streghe, ect.
Tutto
questo è totalmente in contrasto con il Signore Cristo Gesù, come è vero che
gli apostoli predicarono il Vangelo con mansuetudine e mettendo ad effetto gli
insegnamenti che ricevettero.
Infatti, furono loro perseguitati ed
osteggiati e non loro che perseguitarono.
Si
possono fare risalire le fondamenta del Nuovo Ordine Mondiale proprio al
periodo in cui l’imperatore Costantino promulgò l’Editto di Milano, con il
quale snaturò il Cristianesimo delle origini, rendendolo di fatto un culto a
Lucifero (Sol Invictus).
La
chiesa cattolica romana è dunque una istituzione, che non ha nulla a che fare
con gli insegnamenti del Signore Cristo Gesù, composta ai vertici da lupi
travestiti da agnelli, satanisti ed adoratori di Lucifero.
Nelle ultime gerarchie della piramide
ecclesiastica troviamo il basso clero (preti, monaci e religiosi minori),
ovvero replicanti delle dottrine diaboliche imposte dall’alto, che indottrinano
e guidano i fedeli ad adorare il principe della menzogna.
Sia
ben chiaro, molti di questi ultimi sono collusi al sistema e svolgono i loro
compiti pastorali sapendo che la chiesa cattolica è marcia;
celebrano
le varie funzioni solo con l’obiettivo di arricchire la chiesa cattolica che li
foraggia e dalla quale dipendono.
Altri
componenti del basso clero sono inconsapevoli di ciò che predicano, in seminario
vengono indotti a credere ciecamente ed acriticamente ad ogni dogma o follia
della chiesa cattolica, diventando ciechi creduloni che insegnano alle masse
false dottrine in buona fede.
In ogni caso, a rimetterci sono le masse che
si ritrovano ingannate e sfruttate economicamente.
Karl
Heinrich Marx, nell’introduzione a “Per la critica della filosofia del diritto
di Hegel” (1843), affermava:
la
religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo
senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito.
È l’oppio dei popoli.
Infatti,
nonostante molta gente veda ogni sorta di aberrazione in seno al cattolicesimo,
continua ad andare nei vari luoghi di culto ed a foraggiare questi maledetti
ingannatori di anime.
Ma le altre religioni non è che siano tanto
meglio.
Ed i
fautori del Nuovo Ordine Mondiale, conoscendo l’importanza che riveste la
religione al fine di controllare la popolazione mondiale, hanno pensato bene di
emulare Costantino: creare un’unica religione mondiale che racchiuda tutte le
altre, rendendo così possibile l’adorazione dell’Anticristo nel terzo tempio di
Gerusalemme.
Da
notare che il terzo tempio è già praticamente pronto, ecco perché l’infernale
papa Francesco (al secolo Jorge Mario Bergoglio) si è affrettato, negli ultimi
anni, a fare ecumenismo con tutte le altre religioni.
Il
papato ha intessuto una fitta rete di inganni e l’intera popolazione mondiale
vi è caduta dentro.
Ma
andiamo per gradi.
Nel
corso dei secoli, la chiesa cattolica romana ha perfezionato il nuovo paradigma
mondiale, grazie anche ad un sapere occulto gestito in particolar modo dai
Gesuiti, anche chiamati “compagnia di Gesù”.
Fondamentalmente,
i Gesuiti sono un ordine militare fondato dallo spagnolo Ignazio di Loyola, e
derivante dall’ordine dei Frati Francescani, che a loro volta derivavano da
influenti famiglie aristocratiche veneziane.
Quest’ordine,
la cui massima autorità viene chiamata “papa nero” per via dell’abito religioso
che indossa, sta dietro a tutti gli accadimenti degli ultimi secoli della
nostra storia.
I più nefasti, quali: guerre, massacri ed
altri crimini contro l’umanità.
I
Gesuiti, che controllano indirettamente sia la religione islamica che
ortodossa, hanno perpetrato i più efferati genocidi, hanno indotto sanguinose
guerre e sono tuttora dietro al traffico di bambini, armi e farmaci nel mondo.
Cospicui
investimenti della chiesa cattolica vanno, tramite lo IOR (Istituto per le
opere di religione), in aziende per la fabbricazione di armi e società
proprietarie di televisioni porno.
Il famoso “Obolo di San Pietro”, ovvero le
offerte in denaro fatte dai fedeli ed inviate in Vaticano per essere
redistribuite a sostegno della missione di annunciare il Vangelo e delle opere
di carità, è un’altra presa in giro di questa razza di vipere.
Negli
ultimi anni, solo il 10% dell’Obolo di San Pietro è stato usato dal Vaticano
per opere caritatevoli.
Il
resto è servito per: comprare immobili lussuosi nel quartiere londinese di
Chelsea, risanare le finanze vaticane, acquistare azioni della società Italia
Independent di Lapo Elkann (azienda che produce occhiali e prodotti lifestyle),
rilevare una sede italiana di ABB (multinazionale elettrotecnica
svizzero-svedese), concludere un affare con Enrico Preziosi (industriale dei
giochi e patron del Genoa), finanziare la produzione di film come l’ultimo “Men
in Black” e la biografia di Elton John (Rocketman), ect.
Nel
1930, fu fondata a Basilea la Bank for International Settlements (Banca dei
Regolamenti Internazionali) e vi furono depositate circa 60.000 tonnellate
d’oro, frutto delle secolari razzie del Vaticano nel mondo.
Chissà
quando le masse smetteranno di foraggiare questi pervertiti sepolcri
imbiancati!
Quindi
per riassumere, la chiesa cattolica, con la falsificazione della dottrina di
Gesù Cristo e con manovre occulte, è riuscita a schiavizzare le persone,
soprattutto nel mondo occidentale.
Ci sono stati diversi segni dal cielo che
fanno intuire come la chiesa cattolica sia ormai arrivata alla fine dei propri
giorni, grazie anche alle continue menzogne raccontate ed a tutte le iniquità
commesse al cospetto di Dio.
Ma
com’è riuscita a tenere sotto scacco l’umanità intera per secoli?
Fondamentalmente, modificando le parole chiave della Bibbia.
Ad esempio, è stata sostituita la parola
“peccato” con “debito”, ed il caso più evidente sta nella preghiera per
eccellenza: il Padre Nostro.
Penso che molti conoscano a memoria il testo,
perché questa importante preghiera è stata tradotta in svariate lingue, ed in
tutte le traduzioni viene riportata la parola “debito” e non “peccato”.
Ma, traducendo dall’aramaico in maniera
corretta, la preghiera risulta essere stata modificata.
La
chiesa cattolica ha adulterato la Bibbia, estrapolando da quest’ultima delle
verità storiche per ottenerne un documento, il Codice Marittimo che è ampiamente
utilizzato tutt’oggi.
Per
esempio, esso trova applicazione nei rapporti tra gli Stati, nei commerci o
addirittura nelle aule di tribunale.
Tutti
i codici legislativi odierni derivano dal Codice Marittimo e dalla conseguente
Legge dell’Ammiragliato.
Ambedue
si possono considerare come un cappio al collo, in quanto hanno condotto l’uomo
libero ad essere schiavo del “peccato originale”, ossia del debito che viene
affibbiato ad ogni persona al momento della propria nascita.
La
sommatoria di tutti questi debiti va a formare il cosiddetto debito pubblico.
Un debito inestinguibile, perché risulta
matematicamente impossibile da saldare.
Dobbiamo
capire che tutto questo è nato e si è sviluppato grazie a tre bolle papali,
delle quali si è precedentemente discusso nel blog (Unam Sanctam Ecclesiae,
Romanus Pontifex, Aeterni Regis).
In particolare, la bolla Unam Sanctam
Ecclesiae emanata da papa Bonifacio VIII distorce il racconto biblico che parla
di Noè e del diluvio universale.
La
bolla afferma: «Al tempo del diluvio invero una sola fu l’arca di Noè,
raffigurante l’unica Chiesa; era stata costruita da un solo braccio, aveva un
solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di
essa ogni cosa sulla terra era distrutta.»
Questa
citazione ha un significato molto importante, perché viene considerato Noè sia
come l’unico superstite del diluvio universale, sia come il rappresentante
sulla terraferma dell’Unica Santa Chiesa.
Tutto
il resto dell’umanità viene considerata come dispersa in mare ancora oggi.
Anche
i neonati, prima di venire alla luce, “nuotano” nelle acque materne;
difatti
alla nascita vengono considerati dispersi in mare, questo fino al settimo anno
di età.
Dopodiché,
per la giurisprudenza hanno ancora tre anni di tempo per dichiarare la propria
ricomparsa sulla terraferma, diversamente vengono considerati dispersi in mare
definitivamente.
Il loro titolo obbligazionario, ovvero il bond
che viene associato loro dalla nascita, diviene automaticamente e
definitivamente di proprietà dello Stato.
Da questo momento in poi, lo Stato considererà
queste persone come merci e come tali verranno trattate nell’intero corso della
loro vita, nella quale saranno sottoposte alle leggi dell’ammiragliato o del
diritto marittimo.
Il
documento nel quale sono contenute queste norme si chiama UCC (Uniform
Commercial Code).
La
normativa presente nell’UCC, che disciplina l’intero sistema commerciale, non
viene insegnata nelle accademie di diritto, quindi la maggior parte dei
giuristi, degli avvocati e dei magistrati hanno poca conoscenza dello
strumento.
Dunque,
la conoscenza di questo importante codice rimane una prerogativa di pochi
addetti al settore, ricoprenti le cariche più alte degli Stati e dei grossi
gruppi bancari internazionali.
Un’altra
cosa poco conosciuta è che, nel 1933, diverse nazioni diventano società di
diritto privato, registrate presso la SEC (Security Exchange Commission) con
sede a Washington.
Attualmente,
il numero totale delle nazioni iscritte al SEC è pari a 194.
Queste nazioni che sono solo apparentemente
delle repubbliche, in realtà sono società privatissime, infatti possiedono
l’esclusivo diritto di proprietà sulle persone nate nel loro territorio.
Dunque,
se tali Stati sono a tutti gli effetti delle società di capitale quotate in
borsa, i cittadini nati all’interno di essi credono di vivere in una repubblica
dove eleggono democraticamente i propri governanti, ma in realtà vengono
raggirati ed indotti a dare il proprio consenso al “consiglio di
amministrazione” che viene imposto dalla proprietà.
Dal 1934, anche l’Italia è una corporation
privata iscritta al SEC, la sua ragione sociale è “Republic of Italy” ed il
numero di matricola è 0000052782.
Chi vuole approfondire può visionare questi
due links:
1°-
aduic.it/files/L-Italia-non-e-una-REPUBBLICA.pdf
2°-
conoscenzealconfine.it/ucc-e-oppt-una-cosa-molto-importante-da-sapere/
Ricapitoliamo:
in
ogni nazione del mondo, l’iscrizione del proprio figlio all’ufficio anagrafe
rappresenta di fatto una cessione di proprietà del bambino stesso, dai genitori
in favore dello Stato, ovvero in favore di una società per azioni (corporation)
regolarmente iscritta nei registri della SEC.
Con la
registrazione all’anagrafe viene automaticamente creato un trust, cioè un
sistema fiduciario, di proprietà dello Stato e di conseguenza viene assegnata
una “finzione-personalità giuridica” che ha per oggetto l’esistenza in vita del
nuovo individuo.
In
realtà, il certificato di nascita non è altro che la costituzione di una
“personalità fittizia”, che non appartiene all’intestatario bensì ad enti
sovranazionali.
Infatti,
basta recarsi presso una qualsiasi anagrafe di competenza e richiedere il
rilascio dell’atto originale: la risposta sarà negativa in quando è possibile
solo rilasciarne una copia.
In
pratica, lo Stato crea un bond (titolo obbligazionario) del valore di 2 milioni
di dollari alla nascita di ogni individuo e l’oggetto di questo bond è l’esistenza
in vita dell’individuo stesso.
Questo bond ovviamente verrà quotato in borsa!
Suonerà strano ma è proprio così: ogni persona
titolare di un certificato di nascita è quotata in borsa.
Dunque,
ogni uomo nato libero diventando cittadino censito di uno Stato si ritroverà ad
essere titolare di una fetta dell’inestinguibile debito pubblico ed avrà la
propria vita condizionata, direttamente od indirettamente, da quelle diaboliche
élite sovranazionali di cui ogni Stato è vassallo.
Ecco
spiegato il sistema fraudolento che si trova alla base dello sfruttamento dei
cittadini da parte degli Stati, tant’è che i servizi e le infrastrutture sono
già ampiamente pagati dai nostri bond creati all’atto della nascita, tramite i
quali vengono organizzati i servizi e le strutture statali dei 194 Stati di cui
si è accennato prima.
Pertanto
si può affermare con assoluta certezza che le tasse sono un sopruso, ovvero
vengono imposte ai cittadini nonostante siano già ampiamente pagate grazie ai
bond personali.
Non
solo, è opportuno aggiungere che non essendovi un contratto sottoscritto tra i
cittadini e lo Stato, che risulta essere una corporation privata, le tasse non
sono dovute anche per questo motivo.
Può apparire strano tutto ciò ma è la semplice
verità, purtroppo il sistema ha indottrinato sapientemente le persone
rendendole schiave di una realtà adulterata.
Nessuna società organizzata in classi sociali
desidera che il popolo diventi saggio!
Se le
persone sono sagge non possono essere sfruttate, se hanno intelligenza non
possono essere sottomesse, non possono essere costrette a vivere una vita
meccanica come se fossero dei robot.
Desidereranno
manifestare la loro esclusiva individualità e sarebbero animate dal fuoco della
ribellione trovandosi in uno stato di oppressione.
Semplicemente,
vorranno vivere la propria vita in libertà e nessuna società, ai piani alti,
vuole che la gente comune sia libera!
Nel
momento in cui le persone iniziano ad utilizzare la propria intelligenza
diventano dannose per il sistema, pericolose per le entità che sono ai vertici
del potere.
Sarebbero
pericolose per tutti gli Stati oppressori e sfruttatori, incluse le chiese che
per secoli hanno ingannato e giustificato i genocidi dietro false dottrine.
Un uomo saggio non vende la propria vita, non
cede ad altri la propria libertà, preferirà piuttosto morire che essere
schiavo!
Chi non conosce la verità brancola nel buio ed
è facilmente manovrabile, ecco perché viene sempre occultata da questi esseri
inumani e privi di empatia.
Vengono
spacciate per verità le menzogne che fanno comodo al sistema, con la stessa
modalità che asseriva il gerarca nazista Paul Joseph Goebbels “ripetete una
bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.
In tal
modo, le persone diventano degli “schiavi felici” indottrinati con false verità
che gli fanno credere di essere liberi, mentre in realtà hanno le catene ai
piedi.
Questi
schiavi, inconsapevoli di esserlo, sono coloro che non si pongono nessuna
domanda, sono così assuefatti al sistema che non pensano possa esistere una
soluzione alternativa a quella che gli viene proposta.
Accettano
leggi capestro, veri e propri soprusi o qualsiasi cosa venga detta loro
dall’alto, da personaggi in vista all’apparenza qualificati, non rendendosi
conto che quest’ultimi sono solo le marionette in mano ai dominatori occulti.
Gli
schiavi inconsapevoli credono che la TV sia il vangelo, una fonte di verità
assoluta, non pensano affatto che la “scatola magica” è piena di gente corrotta
che lavora ed è finanziata dalle stesse élite.
Se il padrone dice che una notizia non deve
divenire di pubblico dominio semplicemente viene occultata.
Johann Wolfgang von Goethe diceva “nessuno è
più schiavo di colui che crede di essere libero senza esserlo”, questo
maledetto illuminato ha detto una frase che resta molto attuale.
Come diceva il Signore Cristo Gesù, la
conoscenza della verità ci renderà liberi, ed Egli è la via, la verità e la
vita.
L’articolo
si conclude con un’ultima citazione dalla Bibbia, che spero possa farvi
riflettere:
Geremia
17:5-8 «5 Così dice l’Eterno: Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della
carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dall’Eterno!
6 Egli
sarà come un tamerisco nel deserto; quando viene il bene non lo vedrà. Dimorerà
in luoghi aridi nel deserto, in una terra salata senza abitanti.
7 Benedetto l’uomo che confida nell’Eterno e
la cui fiducia è l’Eterno!
8 Egli
sarà come un albero piantato presso l’acqua, che distende le sue radici lungo
il fiume.
Non si
accorgerà quando viene il caldo e le sue foglie rimarranno verdi, nell’anno di
siccità non avrà alcuna preoccupazione e non cesserà di portare frutto.»
Arrivederci
alla prossima pubblicazione, sempre e solo se il Signore vorrà!
La
Sinistra e il popolo tradito
Carlo
Crosato legge Luciano Canfora.
Laterza.it
– (25-5-2022) – Carlo Crosato – Luciano Canfora - ci dicono:
«Perché
i concetti di “popolo” e “sovranità” fondanti della Costituzione si sono
trasformati in concetti denigratori?», si chiede Luciano Canfora.
L’autore del pamphlet “La democrazia dei
signori” analizza l’attuale periodo storico, dall’avvento di Draghi al ruolo
geopolitico dell’Europa.
«Abbiamo
sotto i nostri occhi un fenomeno macroscopico – afferma Luciano Canfora la
denigrazione del popolo, un disdegno per di più riservato al popolo da parte
della Sinistra – o ci ciò che ne resta –, la quale usa la parola “populismo”
come accusa contro i propri avversari, rei di amoreggiare con il popolo».
Questo
il punto di partenza del suo ultimo libro, pubblicato da Laterza,” La
democrazia dei signori”: un pamphlet puntuto, in cui la più stringente
attualità è posta sotto una lente critica spietata.
«È
evidente che la democrazia che hanno in mente le élite dominanti è una
democrazia di persone che si distaccano dal popolo e si considerano superiori a
esso».
Non
solo “populismo”. Spesso si muove anche l’accusa di sovranismo.
L’ordinamento
costituzionale italiano si fonda, fin dal suo primo articolo, sul concetto che
la sovranità appartiene al popolo:
com’è
potuto accadere che i concetti di “popolo” e “sovranità” presenti nell’articolo
fondante della Costituzione italiana si siano trasformati in concetti
denigratori?
Oltre
alla separazione fra popolo ed élite, c’è un altro elemento:
la ex-Sinistra
non ha più alcuna idealità connessa alla sua origine di movimento dei
lavoratori.
L’ex-Sinistra ha in testa un’unica idea:
l’europeismo, ossia la delega di gran parte del potere decisionale a organismi
per nulla elettivi e soprattutto separati, lontani e onnipotenti.
A
partire da tale delega, la sovranità è divenuta un ingombro e chi si richiama a
essa è considerato un avversario.
La Destra italiana, con le sue idee
ripugnanti, ha buon gioco a richiamarsi alla sovranità e a reclamare il
tradimento del popolo da parte della ex-Sinistra.
Chiedendo
la fiducia al Senato, Draghi ha affermato:
«Nelle
aree definite dalla debolezza degli Stati nazionali, essi cedono sovranità
nazionale per acquistare sovranità condivisa».
Questa
della sovranità condivisa non è un’espressione ossimorica?
È un
gioco di parole che nasconde un’evidenza ormai consolidata: le leve del potere
sono altrove;
i
Parlamenti nazionali contano poco o nulla potendo solo ratificare e non
legiferare;
i
governi legiferano ma, di fatto, sono rinchiusi nella gabbia d’acciaio dei
regolamenti europei.
Se
questo scenario venisse ammesso in maniera esplicita, susciterebbe sconcerto.
Con questa espressione fumosa, “sovranità
condivisa”, si può far accettare una dura realtà, che probabilmente si
sclerotizzerà fino a produrre ordinamenti nuovi, i quali sostituiranno
completamente quelli vigenti.
All’origine
della “democrazia dei signori”, lei colloca le pressioni che l’Ue opera sui
propri Paesi membri.
L’Italia,
essendo membro fondatore, non può essere maltrattata come la Grecia: serve un
autorevole intervento dall’interno e da molto in alto.
Lei
cita, come complice dell’istituzione della “democrazia dei signori”, la
presidenza della Repubblica, nei casi Monti e Draghi.
I due
presidenti, fra loro molto diversi come storia personale, cultura, provenienza
politica, che si sono susseguiti nell’ultimo quindicennio, Napolitano e
Mattarella, si sono trovati sotto una forte pressione alla quale hanno prestato
assenso.
Quando
fu cacciato Berlusconi, reso pressoché indifendibile dai suoi errori, l’azione
fu viziata dalla nota lettera di Draghi e Trichet.
Monti
fu nominato senatore a vita e, dopo poche ore, gli fu affidato il compito di
comporre un governo.
Napolitano ordinò a Bersani, allora segretario
del Pd, di sostenere il governo Monti assieme all’avversario Forza Italia.
Nacque
un governo che, a ben vedere, fu la causa della fioritura del Movimento 5
Stelle, il quale catalizzò lo scontento di tutti coloro che erano rimasti
sconcertati da queste manovre di palazzo.
Conosciamo la storia successiva: le elezioni
del 2018, il risultato apparentemente inconciliabile di tre blocchi che si
equivalevano come peso elettorale.
Poi i
governi Conte e, infine, nel gennaio 2021, l’appello con il quale il presidente
Mattarella superava i poteri e lo stile riservati al capo dello Stato.
Se si
legge l’articolo della Costituzione, che elenca i poteri e le prerogative della
presidenza della Repubblica, quello di rivolgere un appello ai partiti perché formano
un governo secondo i suoi desiderata non si trova.
Giuseppe
Conte era riuscito a ottenere un cospicuo aiuto economico dall’Europa, i famosi
209 miliardi di euro.
Dall’Europa,
però, non ci si fidava di un governo come quello allora vigente: si ritenne
doveroso avere come gestore di questi aiuti un uomo di fiducia.
L’ex presidente della Bce era l’uomo giusto.
Sono cose arcinote: messe tutte in fila,
delineano un quadro tutt’altro che rassicurante.
Lei
pone la seguente domanda: «Il nostro Paese sta forse ricevendo un trattamento
di favore in cambio della promozione di Draghi a presidente del Consiglio?». È
così?
È un
caso che nel caso del Pnrr di Draghi questi passaggi siano stati fluidificati e
le prime quote di aiuti siano già arrivate?
Considerata
la debolezza del pensiero di Sinistra che abbiamo detto prima, che ne è dello
Stato sociale dentro il Pnrr e cosa ne sarà quando i soldi dell’Europa per
l’emergenza sanitaria finiranno?
Sono
problemi che lei affronta anche in un altro libro, che vorrei segnalare: “Europa:
gigante incatenato” pubblicato da Dedalo.
Lo
Stato sociale è un oggetto delicato: nacque in Europa come risposta del mondo
occidentale al fenomeno della Rivoluzione comunista, che rappresentava un punto
di attrazione molto forte per le masse lavoratrici.
Lo
Stato sociale era lo strumento per evitare la rivoluzione tout court.
Oggi
la situazione è cambiata per molte ragioni: i parametri di Maastricht hanno
indotto una situazione in cui il precariato è un’alternativa di gran lunga
preferibile al padronato.
Lo Stato sociale, di fronte al dilagare del
precariato, sembra un fossile.
Lo Stato sociale, così come lo Statuto dei
lavoratori, sono considerati affari d’altri tempi.
Il potere contrattuale dei sindacati è ridotto
perché non hanno alcuna sponda politica e lo stesso dicastero che si dovrebbe occupare
di simili questioni è impotente.
Come
si può ristabilire una sana conflittualità sociale, se sul suolo nazionale i
partiti si amalgamano in un partito unico, e se sempre di più ci si riferisce a
direttive extranazionali impossibili da contestare.
Non è
facile rispondere. Io credo che una delle grandi difficoltà delle
organizzazioni sindacali sia di avere un interlocutore solo apparente sul
territorio nazionale, e un interlocutore vero e decisivo in una dimensione in
cui nessuna trattativa è davvero possibile.
Dal
punto di vista della ripresa di una sana conflittualità sociale, la situazione
è fra le peggiori.
E
credo che questo possa avere conseguenze profonde e di lunga durata: un
ribellismo inconsulto, mera manifestazione di disperazione, e cinismo e
repressione come risposta.
Si
dovrebbero mobilitare le energie di un profondo ripensamento degli ordinamenti
europei.
Lo
stesso Draghi più volte ha lasciato intendere che, durando lui al governo, si
porrà la condizione di rifondare l’Unione europea.
Lo prendo sulla parola: chissà se ne avrà le
risorse.
D’altra
parte il nuovo governo tedesco ha nella sua maggioranza una forza, i liberali,
che spingono per proseguire sulla linea del rigore.
Nella partita del rinnovamento così aperta le
forze sociali organizzate, se ancora ce ne sono, devono far sentire la propria
voce.
Le
chiedo provocatoriamente: lei auspica un’uscita dell’Italia dell’Europa?
No! Io
auspico una trasformazione radicale dell’Unione europea, la quale è nata male,
tutta centrata sulla moneta unica e conservando la sudditanza dell’Unione alla
Nato e agli Usa.
L’Europa
ha una forza economica notevolissima e un drammatico nanismo dal punto di vista
politico e militare.
Questa
Unione europea, che unione non è, deve trasformarsi profondamente al proprio
interno, magari partendo dall’abolizione dei pesanti debiti dei Paesi membri,
come richiesto da David Sassoli.
Se
l’Unione europea vuole contare, deve divincolarsi da questa sudditanza rispetto
agli Stati Uniti, per cui magari un domani ci ritroviamo a far la guerra alla
Russia.
Come
vede il ruolo dell’Europa nella crisi innescata dall’attacco russo all’Ucraina?
Come si sta comportando e come dovrebbe operare, a suo avviso, per sottrarsi
alla storica subordinazione rispetto a Usa e Nato?
Nessuno
di noi conosce le segrete cose e nessuno può pretendere di fornire ricette
definitive.
E di
tutta evidenza che le sanzioni fanno più male all’Europa che le infligge che
non alla Russia, che eventualmente le subisce.
Chi
rimane totalmente indenne dalle sanzioni sono gli Stati Uniti d’America.
L’attualità conferma la diagnosi di sudditanza dell’Europa, priva di una
propria linea politica chiara e autonoma.
L’Europa:
un grande continente pieno di cultura, di risorse, di intelligenza, ma
totalmente eteronomo, cioè tutt’altro che autonomo.
Difficile
rispondere alla domanda su come altrimenti dovrebbe comportarsi:
le
automobili non si riparano in corsa, ma da ferme;
e ora la corsa è frenetica e si assiste solo a
un “si salvi chi può”.
Per
tutelare l’Europa, sarebbe bene che la Germania mettesse in funzione il
gasdotto, cosiddetto North Stream 2:
un
gasdotto che è stato costruito come alternativa a quello che attraversa
l’Ucraina e che proprio ora ritroverebbe il proprio senso.
Abbiamo
voluto badare ai nostri interessi ai danni dell’Ucraina e ora fingiamo di
piangerne le sorti e, per di più, blocchiamo quel gasdotto a danno di noi
stessi.
È una politica delirante.
Germania,
terremoto
alla
Difesa.
Altrenotizie.org
- Mario Lombardo – (17 Gennaio 2023) – ci dice:
Le
dimissioni del ministro della Difesa tedesco hanno portato alla luce spaccature
e contraddizioni che attraversano la prima potenza economica dell’Europa e il
governo federale del cancelliere Olaf Scholz nel quadro del conflitto in
Ucraina.
L’uscita
di scena questa settimana di Christine Albrecht, sostituita martedì con il
semisconosciuto Boris Pistorius, è infatti da collegare ai presunti
tentennamenti evidenziati nell’approvare l’invio di armi sempre più sofisticate
al regime di Zelensky.
Più in
generale, la sorte dell’ormai ex ministro è stata segnata dalla lentezza con
cui, sotto la sua supervisione, è stato portato avanti il piano di
“modernizzazione” delle forze armate tedesche, ovvero l’impulso al militarismo
più consistente dai tempi del regime nazista.
A
livello formale, la Albrecht avrebbe visto indebolirsi la sua posizione a causa
dell’accumularsi di svariate controversie esplose fin dalla sua nomina.
Media e politici di opposizione avevano
iniziato a prenderla di mira già a inizio dello scorso anno, quando aveva
annunciato l’invio di 5.000 elmetti all’Ucraina presentando l’iniziativa come
un “chiaro segnale” della volontà tedesca di essere al fianco di Kiev nel
confronto con Mosca.
Qualche
mese più tardi era inoltre scoppiata una polemica per un volo a bordo di un
elicottero militare sul quale il ministro si era fatta accompagnare dal figlio
21enne.
La notizia era circolata proprio grazie a un
post pubblicato dalla stessa Albrecht sul suo account Instagram.
Un
altro recente intervento su questo “social” ha alla fine dato l’occasione ai
suoi detrattori di assestare il colpo definitivo che l’ha costretta alle
dimissioni.
In un
imbarazzante video girato nelle strade di Berlino tra i festeggiamenti per il
Capodanno, il ministro socialdemocratico aveva tenuto a spiegare come la guerra
che “infuria in Europa” le avesse procurato “sensazioni speciali” e consentito
di incontrare “molte persone importanti e interessanti”.
Nell’immediato,
l’avvicendamento alla guida del ministero della Difesa si è reso necessario per
provare a mostrare un cambio di passo in concomitanza con il vertice di questa
settimana degli sponsor dell’Ucraina nella base di Ramstein, a cui parteciperà
anche il numero uno del Pentagono, Lloyd Austin, e nel quale verrà fatto il
punto sulle nuove forniture di armi da inviare al regime di Kiev.
A
questo proposito, la Germania è sotto pressione per dare l’OK all’invio di
carri armati da combattimento Leopard 2.
Il
governo Scholz ha finora esitato a prendere una decisione in questo senso, ma
un numero crescente di paesi europei sta spingendo su Berlino per sbloccare la
situazione.
Finlandia e Polonia sarebbero ad esempio
pronte a consegnare un certo numero di Leopard 2 all’Ucraina, ma, essendo i
carri armati di fabbricazione tedesca, gli accordi di vendita prevedono che
l’invio a terzi venga autorizzato appunto dalla Germania.
Secondo
alcuni commentatori, il successore di Christine Albrecht dovrà ricevere una
qualche benedizione da Washington ed essere pronto a concedere quanto richiesto
al regime ucraino.
Fino a
lunedì, la favorita per la carica di ministro della Difesa sembrava essere il
“falco” della SPD, Eva Högl, tra i politici più attivi nel promuovere la causa
ucraina, nonché i massicci investimenti sul fronte militare domestico.
La
scelta di Pistorius, anch’egli socialdemocratico e attuale responsabile del
dipartimento degli Interni del governo regionale della Bassa Sassonia, sarà
invece tutta da valutare.
Scholz
potrebbe avere optato per una figura di basso profilo a livello nazionale per
controllare personalmente il portafoglio della Difesa, anche se la stampa
tedesca sembra attribuire a Pistorius quelle caratteristiche di risolutezza e
determinazione teoricamente necessarie per implementare l’accelerazione
richiesta da più parti.
Va
detto in ogni caso che la prudenza attribuita alla Albrecht, nonché allo stesso
Scholz, deve essere valutata nell’ottica dell’isteria anti-russa che pervade la
grandissima parte della classe politica europea.
Se nel
governo di Berlino ci sono resistenze a provocare un’ulteriore escalation del
conflitto consegnando armi più potenti all’Ucraina, è anche vero che la
Germania ha finora sbloccato parecchio materiale non esattamente inoffensivo,
come ad esempio, solo per citare i casi più recenti, 40 mezzi da combattimento
Morder e una batteria di missili anti-aerei Patriot da installare in territorio
polacco.
La
questione dei Leopard 2, così come di tutti gli altri sistemi bellici invocati
fin qui come elementi decisivi per far svoltare la guerra in favore di Kiev,
nasconde una realtà ben diversa da quella promossa dalla propaganda ufficiale.
La
Germania dispone di circa 110 di questi mezzi che potrebbero essere trasferiti
all’Ucraina, ma come ha ammesso l’amministratore delegato della società
costruttrice (Rheinmetall), per renderli pronti all’impiego nel teatro di
guerra servirebbe almeno un anno, oltre che centinaia di milioni di euro.
È del
tutto evidente che le pressioni su Berlino servono quindi anche a spingere il
governo Scholz oltre la linea rossa tracciata dal Cremlino, così da rendere irreversibile la rottura
con Mosca.
Quest’ultimo
è un obiettivo primario degli Stati Uniti ed è alla base delle provocazioni che
hanno portato alla guerra in Ucraina.
La
Germania, dopo l’inizio dell’invasione russa del febbraio scorso, ha
assecondato di fatto le posizioni americane, arrivando ad accettare situazioni
ben oltre il limite dell’autolesionismo, come la potenziale
deindustrializzazione del proprio sistema economico e la distruzione del
gasdotto Nord Stream 2.
Sia
pure in modo relativo e a fasi alterne, il governo federale ha tenuto tuttavia
posizioni meno estreme sull’Ucraina rispetto ad altri paesi, ad esempio quelli
baltici o la Polonia.
Dentro
la SPD rimane infatti una fazione più prudente che vede con enorme
preoccupazione la liquidazione delle basi stesse della potenza economica
tedesca, vale a dire la disponibilità di risorse energetiche a basso costo e
l’apertura verso i mercati euroasiatici.
Per altro verso, il secondo dei tre partiti di
governo a Berlino, cioè i Verdi, continua a rappresentare l’anima più
irriducibilmente atlantista e guerrafondaia, dettando in buona parte la linea
della politica estera tedesca.
La
crisi ucraina costituisce in ogni caso un’occasione storica per la classe
dirigente tedesca, da oltre un decennio ormai in piena mobilitazione per fare
della Germania una grande potenza globale, in primo luogo attraverso il
rafforzamento dell’esercito.
Non a
caso in concomitanza con le dimissioni del ministro della Difesa Albrecht, la
rivista” Der Spiegel” ha pubblicato un lungo articolo che denuncia
esplicitamente la presunta passività del governo Scholz nel gestire il processo
di militarizzazione della Germania e, assieme, offre una sorta di elenco dei
desiderata dei vertici delle forze armate e degli ambienti più guerrafondai del
paese.
Uno
dei temi più caldi è l’insufficienza del fondo speciale da 100 miliardi di euro
che il governo ha promesso per la “modernizzazione” dell’esercito tedesco.
La già
incredibile somma dovrebbe essere triplicata, secondo Der Spiegel, e in
parallelo la quota del PIL da destinare annualmente alle spese militari salire
dall’obiettivo programmato del 2% addirittura al 3%, cioè dagli attuali 50
miliardi a 120 miliardi.
La
reintroduzione della leva obbligatoria è un altro elemento giudicato utile alla
militarizzazione della società e al superamento delle resistenze della grande
maggioranza della popolazione alla partecipazione a future guerre da parte
della Germania.
Un
aspetto fondamentale è poi il rafforzamento dell’industria bellica tedesca e la
semplificazione delle procedure di appalto in ambito militare.
Particolarmente
delicata è infine la questione del controllo civile sulle forze armate.
“Der
Spiegel” lamenta la scarsa influenza dei generali sulle decisioni del ministero
della Difesa e invoca un’inversione di rotta rispetto alla linea tracciata un
decennio fa dall’allora ministro cristiano-democratico, Thomas de Maiziere.
Il ministro del gabinetto Merkel aveva in
sostanza escluso i comandanti dei vari corpi delle forze armate dal suo
dicastero e
il rifiuto della Albrecht a revocare questa norma, così come le resistenze ad
adottare una “riforma” più ampia che includa anche l’aumento consistente dei
militari in servizio, è stato appunto uno dei fattori che, nei giorni scorsi, le è
costato definitivamente l’incarico.
Kiev:
Washington
getta
la maschera.
Altrenotizie.org
- Michele Paris – (28 Aprile 2022) – ci dice:
Gli
ultimi sviluppi delle vicende militari in Ucraina hanno svelato definitivamente
le intenzioni degli Stati Uniti e della NATO, portando alla luce anche a
livello ufficiale l’obiettivo occidentale di annientare la Russia come paese
sovrano.
Le
dichiarazioni più recenti di esponenti di primo piano dell’amministrazione
Biden lasciano pochi dubbi in proposito, ma tutte da verificare saranno però le
possibilità reali di mettere in ginocchio la Russia.
L’intera
“potenza” americana e del Patto Atlantico, assieme al contributo di altri
alleati, non era infatti bastata a evitare, tra le altre, l’umiliazione in
Afghanistan e, infatti, le prospettive immediate per il regime di Kiev e i suoi
sponsor non appaiono incoraggianti.
Fatto
salvo uno scontro nucleare dalle conseguenze a malapena immaginabili, l’unica
strategia realistica al momento per l’Ucraina e l’Occidente sembra essere il
prolungamento a oltranza del conflitto, anche se a un prezzo salatissimo per
l’incolpevole popolazione dell’ex repubblica sovietica.
La
maschera americana è caduta in occasione della trasferta europea del segretario
di Stato, Anthony Blinken, e del numero uno del Pentagono, Lloyd Austin.
Quest’ultimo,
in una conferenza stampa in Polonia, dopo avere incontrato Zelensky a Kiev, ha
usato deliberatamente il “noi” per sottolineare l’impegno introdotto per
“vincere” la guerra.
Nelle
prime settimane dopo l’inizio delle ostilità, quanti sostenevano che il
conflitto era da ricondurre a uno scontro tra Russia e NATO, con la prima messa
con le spalle al muro, venivano bollati come “cospirazionisti”.
Ora,
invece, a Washington e in Europa si discute apertamente sui piani per
“indebolire” Mosca e fare in modo, idealmente attraverso un cambio di regime al
Cremlino, che la Russia non rappresenti più una “minaccia” o che un’invasione
come quella dell’Ucraina non si ripeta in altri paesi.
Questo
cambio di rotta in termini di retorica da parte dell’Occidente ha un’immediata
preoccupante implicazione, ovvero il rischio di una guerra diretta con armi nucleari.
Solo a metà marzo, il presidente americano Biden, nel
frenare le richieste dei “falchi” anti-russi, spiegava che uno scontro diretto
con Mosca avrebbe significato “la terza guerra mondiale” ed era quindi da
evitare.
Poco
più di un mese dopo, di fronte allo sbando delle forze armate ucraine, la Casa
Bianca ha invece imboccato a tutta velocità precisamente questa strada.
La
direzione presa dalla guerra è spiegabile appunto con le ragioni alla base di
essa e che nulla hanno mai avuto a che vedere con la difesa di una inesistente
democrazia ucraina.
Il
coinvolgimento nelle vicende ucraine è tale, almeno dal golpe neo-nazista del
2014, che la credibilità degli USA e i piani strategici per invertire il
declino della loro influenza globale passano per la sconfitta della Russia,
considerata un elemento decisivo per affrontare in seguito la questione della
Cina.
In
questo scenario, è inevitabile che non ci sia spazio per la ricerca di una
soluzione pacifica alla crisi.
L’amministrazione
Biden aveva di fatto boicottato i negoziati tra Mosca e Kiev ancora quando i
veri obiettivi del conflitto non venivano riconosciuti pubblicamente ed è
quindi ancora meno probabile che una via d’uscita attraverso la diplomazia, con
il riconoscimento in primo luogo dello status neutrale dell’Ucraina, si
verifichi nel prossimo futuro.
L’ex ambasciatore indiano M. K. Bhadrakumar, a
proposito della situazione venutasi a creare, ha spiegato che “l’agenda di
Biden prevede il prolungamento del conflitto”, così da “fare dell’Europa un
campo di battaglia e renderla dipendente dalla leadership americana per molto
tempo”, grazie allo sganciamento forzato dalla Russia in ambito energetico ed
economico, con conseguenze negative inoltre sui progetti di integrazione
euro-asiatica promossi da Pechino.
Ramstein
e i Panzer tedeschi.
L’aggravarsi
della crisi in Ucraina e l’allontanarsi di una soluzione pacifica, i cui
termini erano peraltro da anni scritti nero su bianco nei mai implementati
accordi di Minsk, si manifesta in primo luogo con l’invio al regime di
Zelensky, alle forze armate di Kiev e alle formazioni neo-naziste di materiale
bellico sempre più sofisticato o, comunque, da utilizzare potenzialmente in
funzione offensiva.
Il segretario alla Difesa americano Austin ha
spiegato qualche giorno fa che verranno “mossi cielo e terra” pur di dotare
l’Ucraina delle armi necessarie al raggiungimento degli obiettivi americani.
Washington ha già garantito equipaggiamenti
per 3,7 miliardi di dollari dall’inizio della guerra, mentre la Germania ha
appena promesso di stanziare altri due miliardi.
Giovedì,
l’amministrazione Biden ha fatto sapere di avere chiesto al Congresso
addirittura 33 miliardi di dollari da spendere per armi, aiuti umanitari e a
sostegno dell’economia ucraina.
Armi
pesanti come carri armati, pezzi di artiglieria e mezzi aerei sono d’altra
parte indispensabili per “spezzare la schiena” alla Russia.
Per
coordinare questo sforzo, Washington ha organizzato nei giorni scorsi un
vertice con i propri alleati presso la base militare USA di Ramstein, in
Germania.
Qui
dovrebbe riunirsi mensilmente una sorta di “Gruppo di Contatto”, composto dai
vertici militari dei vari paesi NATO, per pianificare gli aspetti logistici e
strategici della guerra contro Mosca.
Se la facciata del fronte anti-russo appare
più o meno compatta, continuano a trapelare segnali di inquietudine per la
deriva che la crisi ha intrapreso.
La
notizia di questa settimana della decisione del cancelliere tedesco Scholz di
arrendersi alle pressioni per alzare il livello delle forniture di armi
all’Ucraina dà forse l’idea delle contraddizioni che caratterizzano le scelte
oggettivamente suicide dell’Europa.
In
seguito all’ingigantirsi dell’ondata anti-russa negli ambienti politici e dei
media tedeschi, Scholz ha dato il via libera al trasferimento in Ucraina di una
cinquantina di vecchi carri armati anti-aereo “Gepard” dismessi da anni dalle
forze armate tedesche.
La
stampa ufficiale ha salutato la decisione del governo di Berlino come una
svolta, soprattutto dopo che solo alcuni giorni prima il cancelliere
socialdemocratico si era mostrato freddo sull’ipotesi di inviare direttamente
questi mezzi a Kiev.
Un
approfondimento sulla decisione tedesca pubblicato dal blog “Moon Of Alabama”
ha tuttavia ridimensionato almeno in parte l’impatto della decisione della
Germania.
Basandosi sulla propria esperienza
nell’esercito tedesco, l’autore dell’articolo ha spiegato che l’efficacia dei
“Gepard” come sistema anti-aereo è molto limitata dal momento che hanno un
raggio di pochissimi chilometri.
Non
solo, secondo “Moon Of Alabama”, se anche questi carri armati tedeschi
dovessero arrivare a destinazione, difficilmente potranno essere impiegati sul
campo a breve.
Il funzionamento dei mezzi è piuttosto complesso e
richiede dai sei ai dodici mesi di addestramento per poterli condurre in modo
adeguato.
Nell’esercito tedesco sarebbero rimasti poi a
malapena una decina di militari capaci di manovrare un “Gepard” e quindi in
grado di addestrare gli ucraini.
A ciò
va aggiunta la notizia che la Svizzera, dove vengono fabbricati i cannoni e le
munizioni destinati ai “Gepard” tedeschi, ha messo il veto sull’esportazione di
questo materiale da spedire a Kiev.
Per”
Moon Of Alabama”, quindi, la decisione di Scholz sarebbe un modo per allentare
le pressioni sul suo governo evitando di contribuire all’escalation in Ucraina.
Anche
se così fosse, in Germania non sembra comunque prevalere la prudenza.
Oltre
al denaro promesso a cui si è accennato in precedenza, il ministro della
Difesa, Christine Albrecht, ha invitato gli altri paesi europei con
disponibilità di materiale bellico a spedirlo in Ucraina, dopodiché sarà
Berlino a pagare il conto o a rifornire questi ultimi.
Il
dilemma logistico.
L’accelerazione
delle forniture di armi a Kiev è stata oggetto di un serio avvertimento del
ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, il quale ha messo in guardia circa
le conseguenze di quella che sarebbe a tutti gli effetti l’entrata in guerra
della NATO contro Mosca.
Lavrov ha aggiunto che i convogli di armi
provenienti da Occidente e destinati al regime di Zelensky rappresentano
“bersagli legittimi” per il fuoco russo.
Bombardamenti
mirati contro equipaggiamenti spediti da paesi NATO sono già stati condotti più
volte in queste settimane e potrebbero aumentare sensibilmente con
l’intensificarsi dello sforzo a favore dell’Ucraina.
Questo
aspetto del conflitto solleva un problema logistico al momento irrisolvibile
per Kiev.
Anche
se tutte le armi promesse dovessero oltrepassare il confine ucraino, non è
chiaro come potrebbero arrivare al fronte orientale, teatro principale del
conflitto con la Russia.
Dopo
oltre due mesi di una campagna militare che, al contrario di quanto si sostiene
in Occidente, ha raggiunto gli obiettivi fissati dal Cremlino, l’Ucraina non è
in grado di trasportare rifornimenti militari per via aerea, né su strada né su
rotaia.
Le forze aeree sono state distrutte e la
Russia controlla i cieli ucraini.
Le
ferrovie sono state interrotte da ripetuti bombardamenti, in particolare negli
ultimi giorni, mentre i mezzi su gomma non sono sufficienti e, in ogni caso, se
anche lo fossero diventerebbero bersagli fin troppo facili per i russi.
Stesso
discorso vale per le rotte d’acqua, avendo l’Ucraina perso quasi subito
l’accesso al mare di Azov e al Mar Nero.
I
rubinetti del gas.
L’altra
notizia calda sul fronte ucraino riguarda ancora una volta il gas.
Mosca
ha sospeso le forniture a Polonia e Bulgaria dopo il mancato pagamento in
rubli, come richiesto dal Cremlino, delle forniture di aprile.
Come
previsto, la decisione ha scatenato la reazione dei burocrati di Bruxelles, con
la presidente della Commissione Europa, Ursula von der Leyen, protagonista di
una patetica denuncia del “ricatto” di Putin.
Per la
discendente di una famiglia di nazisti convinti, la chiusura dei rubinetti del
gas sarebbe “ingiustificata e inaccettabile”, mentre apparentemente lo sarebbero
le sanzioni imposte contro Mosca, il furto delle riserve russe depositate in
Occidente o l’appoggio alle milizie neo-naziste ucraine.
La
mossa di Putin sul pagamento in rubli sta ad ogni modo producendo i risultati
previsti.
L’Europa si sta infatti dividendo sulla
questione, con alcuni paesi che hanno già aperto conti in valuta russa presso
la banca Gazprom, dove verranno convertiti i pagamenti in euro.
Così hanno già deciso ufficialmente Ungheria,
Slovacchia, Austria e, dietro pressioni degli industriali, Germania.
Per
quanto riguarda l’Italia, ENI sarebbe pronto ad aprire a sua volta un conto in
rubli e attenderebbe ora “indicazioni” dal governo.
Le
diverse posizioni dei paesi UE confermano come i prodotti energetici russi
restino cruciali e le politiche autolesioniste implementate sotto dettatura di
Washington rischino di gettare il continente in una grave crisi economica.
Ciononostante,
a Bruxelles non si discute di come allentare le tensioni e favorire il processo
diplomatico, bensì di un sesto pacchetto di sanzioni.
Dalle notizie sull’argomento pubblicate dai media
ufficiali emerge un quadro surreale, nel quale l’Europa sta studiando
formalmente nuove misure per penalizzare la Russia, come l’embargo petrolifero,
ma che in realtà finiranno per colpire gli stessi paesi che intendono
applicarle.
Un
altro possibile provvedimento allo studio per limitare i danni causati dalle
stesse scelte suicide di Bruxelles dà l’idea del livello infimo raggiunto dai
leader europei.
Per non lasciare i paesi come Polonia,
Bulgaria e, probabilmente, Finlandia senza la quota di gas importato dalla
Russia, i loro vicini potrebbero, tra l’altro, aumentare le scorte e vendere
poi a questi ultimi una parte di quello acquistato sempre da Gazprom dopo
averlo pagato, ovviamente, in rubli.
Kiev,
nei palazzi devastati:
la
strategia del terrore
sulla
capitale dell’Ucraina.
Corriere.it
- Lorenzo Cremonesi – (15-3-2022) – ci dice:
Colpito
un caseggiato di nove piani: 2 morti e 9 feriti: «Qui ci vivevano 500 persone,
sono scappati quasi tutti».
Colpi
anche sulla fabbrica ex sovietica degli Antonov.
KIEV —
Per raccontare questa lunga giornata d’assedio e mobilitazione nella capitale ucraina
partiamo dalla grande fabbrica di aerei Antonov nei quartieri occidentali.
È qui,
infatti, che ieri mattina i missili russi hanno colpito poco prima delle
cinque, uccidendo due persone, tra i capannoni eretti quando il Paese era
ancora una provincia sovietica per costruire i cargo più grandi del mondo.
L’intera zona è off limits, le guardie della
fabbrica allontanano brutalmente i giornalisti, vietato fare fotografie,
attorno si notano piccoli presidi di volontari armati della difesa civile.
Dall’esterno
non si vede alcun segno di danni o incendi.
Ma i
civili che abitano nelle vicinanze confermano che le esplosioni sono state
almeno due e molto forti.
«La mia villa è situata una cinquantina di
metri dal recinto della Antonov.
Il
rombo è stato assordante, le nostre finestre al primo piano sono andate in
frantumi e il terreno ha vibrato come fosse un terremoto.
Adesso
ho deciso di allontanare moglie e figli che hanno paura di andare a letto.
Resterò soltanto io di guardia alla casa», ci dice Dimitri, che ha
cinquant’anni e sino al 24 febbraio faceva l’agente immobiliare.
Le
ultime notizie sulla guerra in Ucraina.
Il
condominio.
Molto
più visibili e drammatiche sono invece le conseguenze della massiccia
esplosione che, più o meno in concomitanza a quelle nella Antonov, investe un
massiccio caseggiato a nove piani nel quartiere di Obolon, nelle zone
settentrionali della capitale, che sono molto vicine alle prime linee russe.
Andando
sul posto appare subito evidente che non vi è alcun obbiettivo militare nelle
vicinanze, le vittime sono civili:
due
morti e nove feriti, secondo gli addetti all’ambulanza che sostano nel
parcheggio.
Tutta
la parte frontale del palazzone è devastata dalle schegge, neppure una finestra
appare intatta, almeno metà dei 144 appartamenti risulta ormai inabitabile.
«Le
vittime sono poche per il semplice fatto che gran parte degli abitanti è
sfollato.
Qui
vivono almeno 500 persone in tempi normali, se ci fossero state sarebbe stato
un massacro.
Io stesso avevo mandato mia moglie e mio
figlio in un bunker sotto la chiesa ortodossa in centro.
I nostri vicini di pianerottolo bivaccano
ormai nelle stazioni del metrò.
Queste
case sono del periodo sovietico, vennero erette al risparmio, con trombe delle
scale strette e cantine poco sicure contro le bombe.
Nessuno
le ha organizzate a bunker.
Oltretutto
noi tutti sappiamo bene di essere sulla linea del fuoco.
Qui
davanti, una decina di chilometri più verso nord, sono posizionate le
artiglierie, i missili e mortai di Putin.
Quando
inizierà il grande bombardamento sarà bene non stare da queste parti», spiega
il 55enne Costantino Yurchyk, che fa il guardiano nella scuola vicina, ma la
sua abitazione si trova al quinto piano del palazzo devastato.
I pochi abitanti rimasti nel quartiere ieri a
metà mattina andavano a vedere il luogo dell’esplosione.
I parchi vicino al campo da calcio erano
puntellati di rottami.
Ma i discorsi della 69enne Vira e della 79enne
Katerina restavano più fermi che mai.
«Il
nostro esercito è forte. I soldati sono capaci di fermare i russi.
Ma voi
amici della Nato dovreste aiutarci a controllare i cieli del nostro Paese.
Noi
vogliamo la pace, ma deve essere una pace dignitosa», ci hanno detto.
Le
ipotesi.
Tra i
colleghi della stampa estera c’è qualcuno che avanza l’ipotesi che il palazzo
sia stato investito dai rottami di un missile russo abbattuto dai razzi
terra-aria ucraini.
Il dubbio permane.
Ma per
un soldato della difesa locale la logica russa è invece molto semplice: «Stanno
aggiustando i tiri delle artiglierie in vista del grande assalto.
Sarà
terribile, colpiranno a casaccio, non faranno differenza tra bambini, donne,
anziani o soldati.
E
comunque mirano a terrorizzare i civili, lo fanno già a Mariupol, Kharkiv e
dovunque incontrano aree urbane, non vedo perché non debba avvenire a Kiev».
L’esplosione.
La
narrativa del missile colpito in aria e precipitato sulle aree civili è invece
evidente per il terzo episodio di guerra nella cerchia urbana di Kiev ieri.
Attorno alle 11 della mattina i social locali
mettono in allarme su di una grande esplosione nel quartiere di Kurenivka,
nelle periferie di nord-ovest, non lontano dall’alta torre della
radio-televisione nazionale colpita una decina di giorni fa.
«Stavo
andando a fare la spesa nel supermercato quando dal cielo è piombato un rottame
incandescente che ha investito il filobus», ci spiega Svetlana Hudain,
estetista 53enne.
Anche in questo caso una strage maggiore viene
sventata semplicemente per il fatto che la città è semivuota e gran parte dei
rimasti preferisce restare in casa o nei rifugi. «Io spero e prego ogni notte
che qualcuno assassini Putin, sarebbe il modo più veloce per terminare questa
guerra assurda», aggiunge.
Le
sirene continue.
Durante
la giornata i nostri spostamenti sono stati accompagnati dal rombo della
battaglia che da nord continua ad espandersi verso i quartieri periferici
occidentali e orientali.
A
tratti i colpi delle cannonate erano inframmezzati da quelli intensi e nervosi
dei tiri di razzi tipo Grad.
Le
sirene hanno suonato almeno cinque volte.
Il
Pentagono mette in guardia che, nonostante gli evidenti successi degli ucraini,
Putin possiede ancora il 90 per cento delle truppe e dei mezzi entrati in
Ucraina dal 24 febbraio.
Commenti
Posta un commento