I RICCHI AL POTERE CON LA SCIENZA.
I
RICCHI AL POTERE CON LA SCIENZA.
Ratzinger
e la teologia
dell’euro-atlantismo.
Contropiano.org
– Marco Ferri – (7-1-2023) – ci dice:
Il
tentativo di collocare Joseph Ratzinger tra i più influenti condottieri della
Chiesa cattolica non può stupire.
Semmai, stupiscono alcune prese di posizione
cosiddette laiche che, nel tentativo di partecipare al dolore della scomparsa,
hanno cercato di separare il teologo dal capo di stato, lasciando campo libero
alla retorica reazionaria.
Che ha
descritto lo scomparso come un autentico conservatore, un fine teologo, un vero
papa, un campione della cristianità, un vero e proprio precursore delle odierne
– bellicose e belliciste – ragioni della supremazia dell’occidente sul resto
del mondo.
Ora,
la parte che riguarda la teologia cattolica e la mistica cristiana potrebbe
pure rimanere nelle stanze vaticane.
Tuttavia,
tanto per cominciare, non può quella che attiene alla funzione politica della
Chiesa negli anni in cui Ratzinger ha affiancato papa Karol Wojtyla, da lui
stesso nominato a capo della Congregazione della Dottrina della Fede, il nuovo
nome che è stato dato al Sant’Uffizio, che prima ancora si chiamava Santa
Inquisizione, la qual cosa spiega bene molte cose brutte che si sono
storicamente registrate nel rapporto tra la Chiesa e la società, il potere
politico, la morale, la cultura e la scienza.
Wojtyla,
il “santo subito”, fu un accanito anticomunista.
La sua
azione politica per destabilizzare l’Est europeo, che coadiuvò la Caduta del
Muro di Berlino, costò alla Chiesa ingenti quantità di quattrini, tanti da
prosciugarne le risorse, cosa che diede impulso a quelle illecite e spericolate
attività finanziarie dello Ior ai tempi di Paul Marcinkus, arcivescovo implicato negli
scandali che coinvolsero Sindona, Calvi, mafia e servizi, fascisti e malavita
romana – o per meglio dire “magliana”-, e il crack del Banco Ambrosiano.
L’anticomunismo
viscerale di Wojtyla si spinse a coprire tutti gli scandali sessuali, per la
ragione che venivano considerati argomenti con i quali il governi dell’Est
Europa attaccavano la Chiesa.
A
questa linea di condotta si uniformò Ratzinger.
Le
vittime degli abusi sono state violentate non solo dai quei prelati che hanno
abusato di loro, ma anche dalla stessa ragion di Stato Vaticano.
Quella
stessa ragione di Stato che permise a Pio XII di non vedere lo sterminio degli
ebrei in Europa, e a permettere la deportazione del ghetto di Roma, “città
aperta”, senza muovere un dito per impedire che proprio dalla capitale del
cattolicesimo fossero deportati e assassinati nel lager nazisti più di mille
cittadini italiani di fede ebraica.
La
“cecità” di fronte ai crimini di guerra non era una novità per Pio XII: non
aveva visto lo sterminio delle guerre fasciste in Etiopia, la ferocia razzista
in Somalia e Libia; aveva anzi sponsorizzato la guerra civile in Spagna e le
aggressioni all’Albania, alla Grecia, alla Russia e alla Jugoslavia.
Tutto
era lecito bastava che fosse “antibolscevico”.
Anche
dare rifugio ai criminali di guerra nazisti, tanto da fornirgli un passaporto
vaticano col quale imbarcarsi da Genova alla volta del Sudamerica, e diventare
poi preziosi consulenti, aguzzini della repressione delle giunte golpiste.
“Operation
Condor”, per esempio, aveva sentore di “Endlösung der Judenfrage”, la soluzione
finale, utile a difendere a tutti i costi l’imperialismo USA, che era proprio
nei piani di Kissinger, il segretario di Stato ai tempi di Nixon, in piena
“Guerra fredda”, che fu un braccio di ferro fra superpotenze in Europa, ma
nient’altro che un sanguinario braccio armato in America Latina.
È
questa la corrente di fede religiosa e di fede politica da cui viene Ratzinger,
descritto da Ferrara sul Foglio come il gigante del conservatorismo dei “valori
occidentali”.
Quei
valori che fecero dire a Umberto Eco:
“Ratzinger
non è un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene
rappresentato come tale.
Le sue
polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente
molto grossolane, e nemmeno uno studente della scuola dell’obbligo le
formulerebbe come lui.
La sua formazione filosofica è estremamente
debole.
In sei
mesi, potrei organizzare io stesso un seminario sul tema del relativismo.
Si può stare certi che alla fine presenterei
almeno venti posizioni filosofiche differenti.
Metterle tutte insieme come fa papa Benedetto
XVI, come se fossero una posizione unitaria, è estremamente naif”.
(Intervista rilasciata alla Berliner Zeitung,
come riportato da post.it il 20 settembre 2011).
Sul
Corriere della sera è stata ripubblicata giorno or sono un’omelia che
Ratzinger, ancora cardinale, pronunciò nel 1978:
“Dio non ha operato – come noi
sogneremmo e come poi Karl Marx ha gridato a gran voce al mondo – in modo da
far scomparire il dolore e cambiare il sistema, così che non ci sia più bisogno
di consolazione.
Questo
significherebbe toglierci l’umanità. Ed è quello che nel segreto desideriamo.
Sì, essere uomini ci è troppo pesante. Ma se ci venisse tolta la nostra
umanità, smetteremmo di essere uomini e il mondo diverrebbe disumano.
Dio
non ha operato così. Ha scelto un modo più sapiente, più difficile, da un certo
punto di vista, ma proprio per questo migliore, più divino.
Egli
non ci ha tolto la nostra umanità, ma la condivide con noi.
Egli è entrato nella solitudine dell’amore
distrutto come uno che condivide il dolore, come consolazione.” (corriere.it)
Consolazione?
Sembra implacabile Leonardo Boff, esponente di rilievo della” Teologia della
Liberazione”, quando scrive:
“Il
teologo Joseph Alois Ratzinger è un tipico intellettuale e teologo
mitteleuropeo, brillante ed erudito.
Non è
un creatore, ma un eccellente esponente della teologia ufficiale. (…)
Non ha introdotto nuove visioni, ma ha dato un
altro linguaggio a quelle già tradizionali, fondate specialmente in
Sant’Agostino e San Bonaventura.
Forse
qualcosa di nuovo è la sua proposta della Chiesa come un piccolo gruppo
fedelissimo e santo come “rappresentanza” del tutto. (…)
Accade
così che all’interno di questo gruppo di puri e santi ci fossero pedofili e
persone coinvolte in scandali finanziari, che ha demoralizzato la sua
comprensione della Rappresentanza. (leonardoboff.org, traduzione dal portoghese di
Gianni Alioti).
Boff
ci dà una precisa visione della situazione interna alla Chiesa cattolica,
quando ci ricorda che in “Europa vive solo il 23,18% dei cattolici e in America
Latina il 62%, il resto in Africa e Asia.
La
Chiesa Cattolica è una Chiesa del Secondo e Terzo Mondo (ibidem)”.
Con
buona pace dei tifosi del ruolo del conservatorismo occidentale, Boff dice che
Ratzinger “Intese
la Chiesa come una sorta di castello fortificato contro gli errori della
modernità, ponendo come principale riferimento l’ortodossia della fede, sempre
legata alla verità (ibidem)”.
Leonardo
Boff, dunque, dice chiaramente che “Il teologo Joseph Ratzinger si è
mostrato nemico degli amici dei poveri (i teologi della liberazione, ndr).
Questo
sarà ricordato negativamente nella storia della teologia. Sono molti i teologi
che affermano che egli era preso da un’ossessione per il marxismo, sebbene
avesse fallito in Unione Sovietica” (ibidem).
Ecco
la continuità con l’anticomunismo come fede cieca, come “consolazione” dei
misfatti della ragion di Stato Vaticano.
E poi
un giudizio politico preciso, per non dire definitivo: “Con tutta la sua astuzia ha
polemizzato con i musulmani, con gli evangelici, con le donne e contro il
(Concilio) Vaticano II insieme al gruppo fondamentalista (…) È stato un rappresentante
legittimo della vecchia cristianità europea con i suoi fasti e il suo potere
politico-religioso (ibidem)”.
La
lotta intestina interna alla Chiesa cattolica è dunque lo specchio di uno
scontro tra visioni contrapposte del mondo:
da un
lato l’arroccamento dell’occidente nella moderna visione euro-atlantista, così
come ci appare dalla crisi della globalizzazione indotta dalla pandemia e
implosa con la guerra in Ucraina, che è quello che il benemerito Ratzinger e i
suoi epigoni hanno tentato di rappresentare;
dall’altra l’apertura all’idea di una nuova
dialettica che consideri lo spostamento del baricentro decisionale globale in
altre aree del mondo, che è quello che papa Bergoglio fatica a sostenere.
Lo
scontro mondiale tra l’agguerrita minoranza dei più ricchi e forti e la
maggioranza che cerca di liberarsi dallo sfruttamento, sia degli esseri umani
che della natura, diventerà sempre più feroce.
Perù: lezioni di una sconfitta,
premesse
per la vittoria.
Contropiano.org - Redazione Contropiano - Vladimir
Cerròn (Perù Libre) – ci dice:
Il 4
gennaio, dopo un breve “tregua”, sono iniziate nuovamente le mobilitazioni per
la cacciata della presidente usurpatrice e assassina Dina Boluarte, il suo
esecutivo ed il Congresso, che il 7 dicembre ha votato per la destituzione –
per “incapacità morale permanente” – di Pedro Castillo.
Le
popolazioni peruviane chiedono la liberazione del presidente legittimamente
eletto, la convocazione (nel più breve tempo possibile) delle elezioni
politiche – e non nell’aprile del 2024 come voto dal Congresso –;
contestualmente chiedono l’elezione di una
Assemblea Costituente che cambi la Costituzione del 1993, promulgata durante la
dittatura di Alberto Fujimori.
Il
cuore delle proteste è il Perù profondo, in specie la macro-regione del Sud –
dove si registrano i maggiori blocchi stradali in questi giorni – il Nord, in
particolare nella regione agricola di Cajamarca da dove proviene Pedro
Castillo, e l’Amazzonia peruviana, in cui le organizzazioni delle popolazioni
native si sono dichiarate in stato d’agitazione permanente.
Ma
anche a Lima si sono svolte in questi giorni manifestazioni duramente represse
dalla polizia.
Aladino
Fernández, della Federation delle Rondas Campesinas di Cajamarca, ha
dichiarato, alla fine della seconda giornata del Paro:
“il
popolo peruviano è stanco della noncuranza delle sue autorità e della
corruzione. È per questo che esigiamo la rinuncia della presidente Dina
Boluarte e le elezioni in breve per eleggere nuove autorità, incluso il Congresso
della Repubblica”.
Amador
Núñez, presidente del Frente de Organizaciones Populares de Puno, uno degli epicentri della protesta nel
sud del paese, ha affermato: “Se è possibile, daremo la nostra vita.
Per
calmare le acque dopo che decine di peruviani sono morti. (…)
Non vogliono ascoltarci, e siccome non
vogliono ascoltarci, bisogna continuare a lottare nelle strade”.
Sono
28 i morti accertati, e circa 700 i feriti, dall’inizio della protesta, in un
clima di repressione che è precipitato il 14 dicembre, con la promulgazione
dello stato d’emergenza per 30 giorni ed il coprifuoco in diverse regioni, con
le Forze Armate che possono coadiuvare la polizia (PNP) nel mantenimento
dell’ordine.
Il
governo, continua a puntare il dito contro “un gruppo molto esiguo, ma molto
violento di agitatori” con cui non intende dialogare, come ha dichiarato alla
fine del secondo giorno di mobilitazioni Alberto Otárola, Presidente del
Consiglio dei Ministri, ed ex Ministro della Difesa nel primo gabinetto
nominato dalla Boluarte.
“Non possiamo permettere che questi
cospiratori contro il sistema democratico agiscano nel nostro paese”, ha
continuato uno dei maggiori responsabili della mattanza del 15 dicembre.
Gli ha
fatto eco la Boluarte, che non ha mai assunto la responsabilità delle
conseguenze della repressione: “non possono continuare a bloccare le strade,
non possono continuare a saccheggiare le attività”.
In
realtà, nella giornata del 5 gennaio si è registrato solo il danneggiamento di
una automobile, mentre mobilitazioni e concentramenti si sono verificati in 21
province del paese, secondo quando riportano le fonti ufficiali, cioè la Difensora del Pueblo.
Secondo
il sito informativo La Repubblica, le province più attive nella protesta sono
state Abancay, Andahuaylas, Chincheros, Arequipa, Parinacochas, Lucanas,
Cajamarca, Cusco, Canas, Huánuco, Satipo, Chanchamayo, Lima, Tambopata, Ilo, El
Collao, San Román, Melgar, Puno, Chucuito e Tacna.
La
protesta non sembra comunque placarsi, neanche al terzo giorno consecutivo del
Paro;
dopo
la guerra diplomatica scatenata contro il Messico, la destra oligarchica
peruviana ha accusato l’ex presidente della Bolivia, Evo Morales, di essere
dietro le proteste di questi giorni.
Per
cercare di dare un quadro più articolato della fase abbiamo tradotto un
intervento del leader di Perú Libre, Vladimir Cerrón, il Partito che aveva
candidato alle elezioni presidenziali Pedro Castillo, per poi rompere con il
presidente stesso la scorsa estate, per le ragioni che vengono ben spiegate
nell’intervento.
Quest’organizzazione,
nella sua recente Assemblea Nazionale Straordinaria, ha deciso di opporsi
all’esecutivo di Alberto Otárola, “considerato che è il prodotto
dell’usurpazione del potere attraverso il Golpe di Stato Parlamentario-Militar
del 7 dicembre del 2022” ha scritto nel comunicato ufficiale, denuncia la
repressione in atto, ed annuncia che “parteciperà alle mobilitazioni convocate
dalla popolo a partire dal 4 di gennaio in tutte le regioni”.
Lezioni
dal colpo di stato parlamentare.
(Vladimir
Cerròn – Segretario Generale di “Perù Libre”)
Qualche
tempo fa abbiamo detto che se Pedro Castillo fosse stato rimosso dal governo ci
sarebbe stata una rivolta sociale, non necessariamente per sostituire il nuovo
presidente, ma per portare la lotta sociale un passo avanti.
La
previsione si è avverata e il passo successivo non è altro che l’esistenza di
una maggiore consapevolezza tra i nostri popoli della necessità di una nuova
Costituzione.
La
prima lezione da imparare è che i colpi di stato non sono solo contro i governi
di sinistra.
L’amministrazione Castillo era un governo
neoliberista, si è sviluppata all’interno di questo quadro senza esitazioni,
non ci sono state trasformazioni strutturali, né seri tentativi di farlo,
eppure è stato rovesciato.
La
sinistra continentale non ha perso il suo carattere di solidarietà
internazionalista, poiché dopo l’impeachment del presidente, paesi socialisti,
di sinistra o progressisti come la Colombia, il Messico, il Venezuela, la
Bolivia, l’Argentina, l’Honduras, tra gli altri, hanno espresso apertamente la
loro solidarietà a Pedro Castillo, non hanno riconosciuto il governo di
Boluarte, hanno chiesto la restituzione del presidente e il paese azteco ha
offerto asilo alla sua famiglia.
Gli
Stati Uniti e l’OSA non sono amici “affidabili” di nessun governo per evitare
un colpo di stato, anzi, giocano con diverse facce degli stessi dadi.
Castillo
aveva un approccio amichevole con loro, i suoi ambasciatori erano raccomandati,
ma in realtà lo disprezzavano e nutrivano seri dubbi sul suo possibile
passaggio a un governo di sinistra e dopo il primo errore lo abbandonarono.
Su
suggerimento dell’ambasciatore presso l’OSA, Harold Forsyth, nella lusinghiera
foga con gli USA, il presidente Castillo ha pronunciato ciò che i capi hanno
sempre voluto sentire come segno di sottomissione, ciò che la sinistra
latinoamericana dopo la Rivoluzione cubana si stava affievolendo, la triste
frase dottrinaria: “L’America per gli americani“, un atto senza precedenti.
Un’altra
azione da non trascurare è quella di essersi messo contro la Russia in merito
alla guerra che sta conducendo; un grave errore geopolitico.
In
presenza di una crisi politica acuta, in cui il potere è conteso, il cambio
dell’ambasciatore statunitense è un pericoloso indicatore di interferenza
diretta.
Allo
stesso modo, la visita al Ministro della Difesa il giorno prima del colpo di stato
e il saluto al successore nel Palazzo, una volta consumato il golpe, non sono
eventi casuali, ma messaggi a bassa intensità al continente, che indicano la
paternità e l’approvazione per il nuovo regime, segnando così il nuovo scenario
geopolitico.
Dobbiamo
anche considerare i due pesi e le due misure dell’opposizione di destra, che ha
accusato Castillo di essere stato consigliato dall’ambasciatore cubano in Perù,
Carlos “Gallo” Zamora, un colonnello del servizio di intelligence cubano G-2,
che avrebbe elaborato un piano per rafforzare il “governo comunista” e che è
stato bersaglio di attacchi da parte di vari media.
Tuttavia,
l’arrivo dell’ex agente dei servizi segreti della CIA Lisa Kenna come
ambasciatrice degli Stati Uniti in Perù è stato accolto con il silenzio più
assoluto da parte di questi “difensori” della patria, nonostante il fatto che
la possibile interferenza dell’ambasciata statunitense in un golpe sia un dato
di fatto.
I
rovesciamenti non possono contemplare solo le cause esterne, perché quelle
interne sono le più pericolose.
Ha
cercato di registrare due nuovi partiti, ma non aveva alcuna base militante; aveva
opportunisti e opportunisti che gli hanno venduto il sogno di un proprio
partito, che non si è mai concretizzato.
Anche
i militari che sono entrati con un colpo di stato hanno poi fondato i loro
partiti, perché non c’è altro modo per essere al potere.
Non si
può governare senza un partito, il partito è il cervello e il responsabile
delle azioni, guida la direzione ideologica, politica e programmatica del
governo, non si può navigare senza una bussola, sarebbe un suicidio.
Il
partito non può nemmeno essere sostituito dalla famiglia, dal sindacato, dai
compaesani, dai passeggeri sulla strada o dai nemici di classe, poiché il suo
scopo non è altro che quello di prendere, mantenere e affermarsi al potere;
e i
militanti devono essere pronti a dare la vita per la causa, che è quella di un
partito.
Dopo
l’esclusione di Perù Libre dal governo, dopo appena tre mesi, l’amministrazione
è stata invasa da opportunisti di ogni tipo, che avevano in mente un guadagno
economico.
Se è
vero che i casi di corruzione hanno accelerato l’accerchiamento giudiziario del
governo, dobbiamo essere molto chiari sul fatto che non è la vera causa del
colpo di stato, ma solo un pretesto per garantire lo status quo, l’assalto allo
Stato, l’appropriazione delle nostre risorse naturali per i decenni a venire,
il mantenimento dello sfruttamento dei lavoratori, proteggere l’impunità
nell’inquinamento ambientale.
Come
nel caso Repsol, mantenere la proprietà delle “concessioni” di porti,
aeroporti, corridoi aerei, strade, miniere, gas, litio, centrali
idroelettriche, privatizzare i servizi di base come l’elettricità e l’acqua, ma
soprattutto riaffermare il carattere neo-coloniale nei confronti degli USA e
tenere a bada l’espansione economica e commerciale della Cina.
Perché
Castillo potesse pensare di iniziare un colpo di stato, probabilmente aveva
l’approvazione di alcuni ufficiali dell’esercito e della polizia, che gli
assicurarono il successo dell’operazione, ma che non diedero il loro appoggio
nel momento decisivo.
Se è
così, dobbiamo capire che, piuttosto che ritirare il sostegno, Castillo è stato
vittima di un inganno premeditato per coronare il colpo di stato.
Questo
ci porta a concludere che se un governo di sinistra vuole rimanere al potere,
deve avere magnifiche relazioni con le Forze Armate, come a Cuba, in Nicaragua
e in Venezuela, altrimenti dovrebbe limitarsi al progressismo o al riformismo.
I
colpi di stato civili-militari devono mantenere un’apparenza di istituzionalista
civile, ma in realtà sono i militari a prendere il controllo totale e l’ex
vicepresidente viene mantenuto solo per giustificare la “costituzionalità”
della successione presidenziale, quando in realtà sappiamo che non è così.
La
prima esperienza di una donna presidente in Perù non è diversa dai governi
genocidi dei presidenti uomini, e potrebbe addirittura essere peggiore.
In
questa insurrezione, il governo civico-militare ha assassinato quasi trenta
manifestanti, tra cui sette minorenni, nei dipartimenti di Apurímac e Ayacucho.
Questo
dimostra che le politiche di “parità di genere”, ecc., in realtà non hanno
senso finché non si risolve la questione di fondo:
ossia
la lotta di classe in una società come la nostra.
Quando
un governo, “quello che sta in alto“, non ha conquistato l’egemonia di
pensiero del popolo, di “quelli che sono in basso“, non sarà mai solido, sarà condannato all’estinzione e
potrebbe solo ricorrere alla forza militare per mantenersi, diventando una
dittatura.
Le
repressioni violente, l’impunità con cui agiscono, gli stati di emergenza o di
eccezione, la militarizzazione delle capitali, la persecuzione dei partiti di
sinistra e dei leader sociali e le decine di morti, ratificano la sua natura.
In
questa sanguinosa insurrezione abbiamo potuto vedere chiaramente da che parte
sta la Chiesa cattolica, sempre dalla parte dei ricchi, degli oppressori e dei
golpisti, come parte dell’apparato di sfruttamento dei nostri popoli.
Invocano
la pace dopo il massacro, per loro la democrazia è il silenzio degli oppressi,
scendono in piazza scortati dai rappresentanti delle forze repressive, ma non
si uniscono al popolo nella lotta per le loro richieste;
sono
esperti nell’ammorbidire gli animi e nel cercare la sottomissione del popolo in
nome della fede, ma in cambio del mantenimento dei loro privilegi statali e
commerciali.
I
molti “amici” e “ammiratori” del potere, che non sono altro che mercenari,
con poche eccezioni, nei momenti di difficoltà non ci sono, abbandonano i
processi giudiziari nei momenti critici senza il minimo rimorso lasciando i
loro patrocinati inermi, ma c’è anche chi si assume responsabilità nonostante
le circostanze avverse.
È la
prima volta che il popolo si è identificato con il proprio Presidente, ha
sentito di averlo messo al potere, si è visto in lui, c’è stata
un’identificazione speculare, con pregi e difetti.
Colpire
Castillo è stato come colpire tutti loro. Nessun presidente, nemmeno il “Sacro
Cholo”, aveva una simile somiglianza, tanto meno gli altri che sono passati per
il Palazzo.
La
lotta simultanea del popolo in varie regioni, senza molto coordinamento, è il
risultato di un processo di accumulo di idee, forze, riflessioni, autostima,
che si è rafforzato come somma di tutte le esperienze attraverso le quali il
popolo è passato alla ricerca della propria emancipazione con un maggior grado
di consapevolezza.
Il
popolo ammette che Castillo ha precipitato la caduta del suo governo, per
questo non chiede a gran voce il suo reintegro, ma la sua libertà;
ma non
può ammettere l’usurpazione dopo una carica vacante elaborata in due ore, tanto
meno ammettere un successore che ha abbandonato il programma di governo
promesso in campagna elettorale, anche se in realtà anche “il professore” lo
aveva abbandonato, ma dato che il governo era appena iniziato, non è stato
convocato.
Non
posso non riconoscere la trascendenza di Perù Libre, non posso astenermi dal
farlo perché ne sono un militante, ma se non fosse stato per questo strumento
politico del popolo, la sinistra non avrebbe mai vinto un processo elettorale
nazionale, non avrebbe portato un insegnante rurale alla candidatura e tanto
meno alla Presidenza, non avrebbe dato il primo Presidente donna in Perù;
usurpazione
e crimini a parte, questa condizione insurrezionale non si sarebbe verificata e
la necessità dell’Assemblea Costituente non sarebbe maturata un po’ di più.
Il
Partito ha fatto capire al popolo che eravamo in grado di costruire il nostro
strumento politico nato dalle sue viscere, che era possibile raggiungere il
governo precedentemente sottoposto al veto degli uomini del Perù profondo, che
questa volta noi cholos eravamo davvero entrati nella poltrona del Palazzo, che
eravamo vicini a realizzare la nostra aspirazione di costruire una nuova patria
e che la vittoria era certa.
Finora
questo è il lascito del Partito al popolo peruviano.
Ma
questa eredità non è sufficiente, è solo una parte del processo.
So che
il Partito deve prepararsi e migliorare il suo ruolo di guida, che deve essere
sempre un leader e non può smettere di esserlo quando è al potere, che deve
preparare meglio i suoi quadri politici per non ricorrere a ospiti traditori,
che deve essere pronto a unirsi al fronte popolare che sarà sicuramente
convocato in qualsiasi momento.
Wolfgang
Streeck. La
protezione diseguale
dei
ricchi contro i poveri.
L’istruzione
e la scienza come
beni
comuni da proteggere contro il potere.
Articolotrentatre.it
- Wolfgang Streeck – (17 ottobre 2022) – ci dice:
Wolfgang
Streeck è tra i sociologi più affermati della tradizione che proviene dalla
Scuola di Francoforte.
La sua
analisi del capitalismo contemporaneo e della sua probabile fine, in virtù di
cinque tendenze ormai in atto che ne segnano il declino, resta una pietra miliare
nel dibattito intellettuale e filosofico a sinistra.
Lo
abbiamo incontrato a Modena, nel corso del Festival Filosofia.
Ecco
cosa ci ha detto, partendo dalla ricostruzione della cosiddetta industria della
protezione dei ricchi.
Professor
Streeck, la sua ricerca sul declino del capitalismo si arricchisce sempre di
nuovo di analisi e di riflessioni assai utili nel dibattito pubblico,
soprattutto a sinistra.
Lei ha
introdotto il tema della ricchezza e delle disuguaglianze vecchie e nuove.
E oggi
queste ultime vengono approfondite con il sistema della protezione sociale.
La
protezione sociale è un’invenzione dello Stato moderno.
E se
guardiamo da vicino il fenomeno, ci rendiamo conto che la protezione non è per
i poveri ma per i ricchi.
Quando
parliamo di disuguaglianza, di solito parliamo di reddito ma forse è
preferibile o addirittura più importante considerare la disuguaglianza di
ricchezza.
E la
maggior parte della ricchezza non deriva da un reddito ma viene ereditata.
Se
vogliamo capire com’è fatta la nostra società basta guardare alla distribuzione
della ricchezza.
Essa è
distribuita in modo iniquo perché nella gran parte viene ereditata e non è
frutto di un lavoro.
Per capire la struttura sociale diseguale,
faccio distinzione tra due categorie di persone: i poveri che lavorano e i
ricchi che non lavorano.
I poveri non possono vivere senza lavorare o
senza esser pronti a lavorare, non possono scegliere di non lavorare perché per
loro il lavoro è obbligatorio.
Invece, per i veri ricchi il reddito deriva
dalla stessa ricchezza, e possono vivere anche senza lavorare, e possono
decidere di lavorare, ma si tratta di una scelta, non di un obbligo sociale.
È una
vita diversa dalla maggior parte di noi, che non abbiamo altra scelta. Dobbiamo
trovare qualcuno che ci paga per quel che facciamo.
Possiamo
dunque approfondire il tema della disuguaglianza sociale come portato storico della
distribuzione diseguale della ricchezza?
Ora,
cerchiamo di capire la struttura delle disuguaglianze nella nostra società.
Più si
diventa ricchi e maggiore è la porzione di reddito che deriva dalla ricchezza.
Se ci
si trova nella classe sociale più elevata, si scopre che oltre il 90% deriva da
investimenti, magari, ma non dal lavoro.
Nella
maggior parte delle nostre società il 10 per cento possiede circa il 70 per
cento della ricchezza.
Se
però guardiamo all’1 per cento, esso detiene il 32 per cento della ricchezza.
La
struttura sociale che deriva da questa distribuzione diseguale della ricchezza
ci mostra che la ricchezza è affare di famiglie.
Molti
dei ricchi che non lavorano provengono da famiglie che sono state ricche per
generazioni e generazioni e hanno utilizzato i matrimoni tra simili.
Inoltre,
i genitori ricchi si preoccupano che i loro figli socializzino coi figli di
altre famiglie ricche, soprattutto quando scelgono la scuola o l’università,
dove i loro rampolli possono incontrare partner attraenti di cui innamorarsi.
Nelle università americane e nei college
britannici queste istituzioni portano alla crescita globale dei più ricchi,
poiché i figli diventano amici di altri ricchi.
È importante dire che conosciamo poco della
vita dei ricchissimi, poiché svolgono un’esistenza separata.
Ed è in questo contesto che si genera il
fenomeno della protezione sociale della ricchezza.
La
vita dei facoltosi, dei ricchi che non lavorano, non è priva di preoccupazioni.
Se si
è davvero ricchi, ci si trova nella condizione di richiedere una protezione
illimitata, nel tempo e nello spazio.
I ricchi sembrano avere una costante paura che
i loro figli o i loro famigliari vengano sequestrati, per il riscatto.
Inoltre, i ricchi assumono guardie del corpo,
di solito ex agenti di polizia, che lavorano per istituti privati.
E
temono separazioni e divorzi perché potrebbero intaccare la solidità della loro
ricchezza.
Per
questa ragione essi assumono manager che sanno come distribuire queste
ricchezze, come nasconderle in fondi segreti dislocati in tutto il mondo.
Le ricchezze vengono così depositate in luoghi
segreti e inaccessibili.
Qualsiasi cosa facciano, le persone ricche
sono costrette a farlo con prudenza e con attenzione, e spesso si basano su
disposizioni dettagliate contro un mondo che considerano ostile e
potenzialmente rapace nei loro confronti.
D’altra
parte, però, i ricchi che non lavorano, a differenza dei lavoratori poveri, non
hanno mai la possibilità di spostarsi da soli.
Ed è questo uno degli aspetti della disuguaglianza
economica, perché quando devono amministrare i propri affari, i ricchi, i
facoltosi, possono contare su assistenti che conoscono le loro esigenze e
quindi sono disposti ad aiutarli a sopravvivere in un mondo pieno di rischi,
reali ma spesso immaginari.
Questo
“necessario isolamento” ci conduce alla creazione di istituti scolastici
separati…
Nelle
scuole migliori i figli dei ricchi possono incontrare persone che possono farli
sentire in colpa proprio per il fatto di essere ricchi, facendo nascere in loro
il desiderio di abbandonare la loro classe sociale di appartenenza, e se questo
accade ci sono miriadi di psicologi di professione che si offrono per parlare
ai figli del senso di appartenenza alla loro classe sociale, dei doveri e delle
responsabilità.
E sono
in grado di convincerli che l’accentramento della ricchezza è positiva per la
produttività.
Così viene loro insegnato a sostenere il fardello di
una società di capitali, in modo che questa ricchezza non venga dilapidata con
investimenti sbagliati.
Ciò si
basa su una società delle disuguaglianze.
La maggior parte delle cose che noi facciamo
da soli, viene eseguita da dipendenti selezionati attentamente, da società di
sicurezza, da professionisti dell’immagine pubblica positiva, anche della vita
privata, da amministratori in grado di nascondere il patrimonio e per garantire
il flusso di rendite che consentono di guadagnare senza lavorare.
Il
fatto è che i rampolli delle famiglie ricche provengono dalle migliori
università e potrebbero lavorare con molto profitto.
Da qui nasce l’industria della difesa della
ricchezza degli oligarchi, come li chiama Winters.
Da qui
emerge una deriva ideologica:
il sistema politico e sociale che assicura la
loro ricchezza deve essere difeso.
E
qualora i legislatori dovessero mettere in discussione la loro ricchezza, ecco
che essi mobilitano, come una lobby feroce ma coesa, tutti coloro che possano
difendere i privilegi acquisiti.
Ed è
così che si introduce nell’opinione pubblica, e viene insegnato nelle loro
scuole, il concetto che una dose di ricchezza nelle mani di pochissimi è utile
per tutti.
Ma
così essi fanno in modo che il governo di un Paese faccia parte della loro
industria di protezione.
Cosa
succede se quella ricchezza non fosse più al sicuro per effetto di una
decisione politica o di una legge?
Nel
2017, quando Trump si insediò alla Casa Bianca, la prestigiosa rivista The New
Yorker pubblicò un articolo dal titolo “Preparativi per il giorno del giudizio
per i super ricchi”.
L’articolo
sosteneva che alcune delle persone più ricche d’America si stavano preparando
per il crollo della civiltà, per una catastrofe incombente che minacciava non
solo i patrimoni ma le loro stesse vite.
L’ascesa di Trump venne assunta dai super
ricchi come la sovrabbondanza del potere nelle mani dei sottoproletari bianchi.
Cinque anni dopo, alla luce di quanto
accaduto, compreso l’attacco del 6 gennaio a Capitol Hill, si può presumere che
il tema della sopravvivenza tra i super ricchi americani continui a prosperare
e con esso anche l’industria che soddisfa i bisogni di queste persone.
Come
fare a sopravvivere quando si è nella parte più bassa della scala sociale?
Se la
vita dei super ricchi è paradossalmente diventata precaria, quella dei
lavoratori poveri lo è sempre stata.
Per i lavoratori poveri la precarietà è una condizione
esistenziale che risulta innanzitutto dal fatto di non avere ricchezza, di non
avere un patrimonio.
Un
numero crescente di persone nelle economie capitaliste, nelle democrazie
occidentali, non ha alcun risparmio di sorta per far fronte all’improvviso
declino del loro potere d'acquisto, se consideriamo l'aumento del costo della
vita e dell'inflazione.
Parecchi
lavoratori poveri si trovano in difficoltà a ridosso del giorno della paga
perfino per acquistare cibo per le loro famiglie.
Negli Stati Uniti, ma anche in Europa, ci sono
persone il cui normale salario non è sufficiente a sfamare la famiglia fino
alla fine del mese.
E cosa
fanno?
Usano carte di credito, accumulando debiti, in
quote sempre crescenti.
Negli
Usa ci sono famiglie con dieci o quindici carte di credito utilizzate a questo
scopo.
Ma ci sono famiglie che fanno ricorso a
società usuraie.
E in
quest’ultima situazione sono sempre più le persone in difficoltà.
Nel modello Welfare State assicurare i
lavoratori contro la distruzione del capitalismo è considerata un’azione delle
politiche pubbliche incaricate di salvaguardare l’ordine pubblico.
E a
tal proposito, c’è un nuovo problema, costituito dall’aumento del costo della
vita con un’inflazione non determinata dai sindacati ma dalla carenza degli
approvvigionamenti delle materie prime.
Questo
tipo di assistenza ad hoc è aumentato di recente, non solo negli Usa ma anche
in Europa.
Riflettiamo
sul fatto che il numero di famiglie senza risparmi è cresciuto nel ceto
medio-basso, ad esempio tra i nuclei con madri single che non hanno tempo
sufficiente per fare un secondo o un triplo lavoro.
In genere, gli Stati coprono le spese aggiuntive per
mantenere i poveri al lavoro, sottoscrivendo debiti che si aggiungono al già
elevato debito pubblico.
Proteggere
i lavoratori dalla fame si aggiunge ai costi del capitalismo, che non è solo
infrastrutture adeguate?
Ci
sono costi necessari che servono ai capitalisti per mantenere la pace sociale.
Più
pace sociale è necessaria e più alti sono i costi sociali.
Creare
le condizioni ottimali per il profitto capitalistico, considerato come
obiettivo primario per ogni governo, provoca la crisi fiscale dello Stato,
ovvero, il divario crescente tra la spesa pubblica necessaria per il profitto
del capitalismo e l’entrata pubblica prevista per questo, tra ciò che il
capitalismo pretende dal governo e ciò che è disposto a versare nelle casse
pubbliche come contropartita.
Beh, questo divario sta crescendo, ecco perché
la gran parte degli Stati accumula livelli crescenti di debito pubblico.
Il
debito pubblico nei Paesi Ocse è aumentato a livelli mai toccati in passato.
Pagare
per mantenere la pace sociale.
Per
tagliare deficit e debito gli Stati possono operare tagli al bilancio, o
possono praticare l’austerità, tagliare la spesa sociale ritenuta
sacrificabile.
Ciò che è spesa pubblica essenziale o
inessenziale non viene definito apriori.
Se ad
esempio c’è un rischio serio di rivolta tra i lavoratori poveri, mantenerli a
galla e offrire loro la speranza di un futuro migliore è una politica pubblica
legittima agli occhi dei capitalisti che non lavorano.
I
ricchi che non lavorano traggono vantaggio dalla pacificazione finanziata con
il debito pubblico in due modi:
i lavoratori poveri sono tenuti buoni e i
ricchi possono considerare proposte allettanti per investire il loro capitale
in eccesso.
Il
debito pubblico non è esattamente biasimevole agli occhi dei ricchi, specie se
consente di fare profitti privati.
E in
questo modo la diseguaglianza sociale continua.
E dato
che gli Stati hanno bisogno di fare debito, i titoli acquisiti dai ricchi si
trasformano in rendita finanziaria, così la parte sociale che lavora paga i profitti
e le rendite dei ricchi che non lavorano.
Ed è
perfino paradossale che si chieda ai lavoratori poveri di aumentare la
produttività, ovviamente a tutto vantaggio del profitto finanziario.
In questo modo si crea una classe feudale di
alto rango, che è un’altra caratteristica della protezione delle disuguaglianze
nel capitalismo contemporaneo.
E dato
che gli Stati continuano ad aver bisogno di fare debito, i cui oneri continuano
a crescere, i crediti che i ricchi detengono crescono allo stesso modo.
Il debito si accumula e una parte crescente
del prodotto complessivo di una società deve trasformarsi in rendita per coloro
che possono fare credito pubblico.
Qualcuno
deve pagare per questo. Chi? I lavoratori poveri.
E gli
investimenti che vanno a vantaggio dei lavoratori poveri, ad esempio la salute
e l’istruzione pubblica sono destinati a rimanere fermi o addirittura a
diminuire, a meno che non si faccia altro debito, rendendo ancora più acute le
disuguaglianze nel lungo periodo.
Il
debito pubblico può crescere indefinitamente?
Si
tratta di ciò che alcuni chiamano le contraddizioni del capitalismo.
I
creditori che investono i propri capitali negli Stati corrono un rischio
notevole, ovvero che gli Stati possano cancellare unilateralmente il debito.
Gli
investitori pertanto analizzano con cura i debiti pubblici degli Stati per
vedere se il loro livello di debito potrebbe farli fallire.
Ai
primissimi segnali di un comportamento scorretto i creditori chiederanno
interessi più alti, attraverso lo spread.
Ma
cosa abbiamo dimenticato nel corso di questo secolo?
Non
esiste solo proprietà privata che i ricchi tendono a salvaguardare, ma esistono
beni comuni e pubblici che occorre conservare a beneficio dell’intera società.
L’istruzione
pubblica è uno di questi beni comuni e pubblici che evita ai ricchi di
separarsi dai poveri, evitando che essi si costruiscano istituti solo per loro,
in maniera esclusiva.
La domanda giusta oggi non è se ci sarà o meno
proprietà privata.
La domanda è quanti beni comuni possono essere
accessibili ad ogni cittadino sulla base dei diritti e non sulla base del
denaro.
I
ricchi cercano di isolarsi e questo deve essere combattuto, andando proprio
contro queste tendenze.
Il
sistema dell’istruzione non può concedere disuguaglianze.
L’introduzione della “school choice”
contraddice questo principio.
Nello stesso modo la scienza in una democrazia
è qualcosa che deve esser protetta attivamente e non può essere detenuta dal
capitale delle aziende, e non deve esser solo tecnologia.
Abbiamo
perso la capacità di proteggere questi beni comuni e vediamo che coloro che
detengono il potere possono fare quello che vogliono, mentre noi stiamo
semplicemente a guardare che lo facciano.
Sesto
Decreto Armi all’Ucraina.
Il
Diktat degli Usa e la Risposta dei Viceré.
Conoscenzealconfine.it
– (11 Gennaio 2023) - A.B. (lantidiplomatico.it) – ci dice:
Gli
Stati Uniti tramite” Repubblica” fanno arrivare gli ordini e i viceré nostrani
rispondono presente.
Ci
informava nei giorni scorsi il giornale degli Elkann: “Il consigliere per la sicurezza
nazionale Sullivan telefona a Palazzo Chigi e sollecita l’approvazione del
sesto decreto di aiuti militari”.
L’atlantista
Tajani oggi sul Corriere della Sera fa sapere che “Colonia Italia” è pronta.
Bisogna
solo superare l’ostacolo del Parlamento. “
Il
sesto pacchetto di difesa è ancora da perfezionare, come previsto non ci sarà
alcun invio prima di un’informazione al Parlamento.
Stiamo
discutendo anche con i francesi per perfezionare dal punto di vista tecnico
l’invio di sistemi di difesa aerea che si basano su tecnologie congiunte fra
Roma e Parigi”, ha dichiarato.
La
tempistica è talmente imbarazzante che il povero ministro degli esteri italiano
deve precisare:
“i
colloqui con Washington sono costanti e normali, noi siamo un interlocutore
importante, ma non si è parlato di armi”.
Peccato
che non solo l’organo più vicino alla Nato (Usa) in Italia, Repubblica, ci ha
dato la notizia della telefonata, ma ha fornito dettagli precisi sul contenuto:
“[…] l’urgenza di nuove e più complesse
forniture militari che gli alleati devono assicurare a Kiev nei prossimi mesi.
S
econdo
fonti diplomatiche a Washington, gli Stati Uniti premono su Roma affinché
fornisca al più presto lo scudo anti missile all’Ucraina, necessario per
difendere Kiev.
Quindi
innanzitutto – confermano fonti militari – il sistema ‘Samp-T’.
Una
promessa avanzata informalmente a livello politico, nelle scorse settimane”.
Insomma “L’invio di sistemi di difesa aerea” di cui parla Tajani.
Il 31
dicembre 2022, inoltre, è scaduto il mandato in bianco conferito da TUTTI i
partiti oggi in Parlamento al governo Draghi, che ha annullato per i primi
cinque decreti di invio di armi al regime di Kiev, qualunque ruolo dell’organo
rappresentativo della volontà popolare e reso nei fatti il nostro paese
co-belligerante contro la Russia.
La
gravità è stata sintetizzata nei giorni scorsi dal ministero degli esteri del
Cremlino:
Mosca
ha chiarito che considera l’Italia nei fatti co-belligerante al fianco di Kiev
e non accetterà nessuna mediazione che venga dal nostro paese.
Ora
gli Stati Uniti hanno ordinato un salto di qualità:
la
belligeranza a tutti gli effetti.
I
viceré hanno risposto positivamente. Resta solo l’“ostacolo” parlamentare.
(A.B.- lantidiplomatico.it/dettnews- sesto_decreto_armi_allucraina_il_diktat_degli_usa_e_la_risposta_dei_vicer/39130_48357/)
L’impazienza
finanziaria è un
comportamento
umano globale.
Scienzainrete.it
- Chiara Sabelli – (22/07/2022) – ci dice:
Nel
campo dell’economia comportamentale, confrontare ricompense future con
ricompense presenti è noto come problema della "scelta intertemporale".
I ricercatori concordano che in genere
preferiamo una somma di denaro più piccola nell'immediato rispetto a una più
grande nel futuro.
Saremmo
insomma affetti da una sorta di “impazienza finanziaria”.
«Gli
economisti chiamano questo effetto “sconto temporale”, mentre gli psicologi lo
definiscono “bias del presente”», commenta Enrico Rubaltelli, psicologo
dell'Università di Padova dove dirige il “Judgement and Decision Making Lab”.
«Questa
propensione dipende dal modo in cui percepiamo le conseguenze emotive delle
nostre decisioni», continua Rubaltelli.
«Siamo più o meno in grado di ricordare le
emozioni provate in seguito a scelte fatte in passato, molto bravi a percepire
le conseguenze emotive di una decisione che stiamo per prendere ora, siamo
molto scarsi nell'anticipare le emozioni future».
Finora,
però, i ricercatori hanno testato questa ipotesi solo nei cosiddetti paesi
WEIRD (Western Educated Industrialized Rich and Democratic), cioè paesi
occidentali, istruiti, industrializzati, ricchi e democratici.
Si è
formata poi l’idea che le persone più povere tendano a scontare maggiormente le
ricompense future, perché sono più incerte su ciò che accadrà e più bisognose
nell’immediato.
Insomma, sarebbero meno affidabili e
lungimiranti nelle decisioni.
Questa idea ha avuto un impatto sulle
politiche di governi e istituzioni.
Si pensi ai requisiti eccessivi di risparmio per
l'accesso ai mutui, alle condizioni di prestito meno favorevoli per chi
guadagna poco o alla concentrazione delle imposte sul reddito senza considerare
il patrimonio.
Un
nuovo studio, pubblicato la scorsa settimana sulla rivista “Nature Human
Behaviour” e coordinato da Kai Ruggieri della Columbia University, ha scoperto
che l’impazienza finanziaria è effettivamente una caratteristica globale del
comportamento umano.
Un'indagine
condotta su oltre 13 000 partecipanti da 61 paesi, alcuni dei quali in regioni,
come Asia e Africa, normalmente escluse da queste analisi, ha rilevato che
tutti, anche se con gradi diversi, preferiamo una quantità di denaro minore
oggi rispetto a una maggiore tra un anno.
I
ricercatori hanno infatti osservato che la variabilità di questa impazienza
all'interno dei singoli paesi è maggiore di quella tra le medie dei paesi.
Lo
studio ha anche rivelato che più che il reddito sono le condizioni economiche e
finanziarie del paese, misurate ad esempio attraverso l'inflazione e i livelli
di disuguaglianza, a influenzare il modo in cui ragioniamo sul futuro e la
nostra tendenza a scontare le ricompense future.
Scrivono
gli autori che i «risultati mettono in discussione l’assunzione che le persone
con redditi bassi prendono decisioni meno lungimiranti. I dati indicano invece
che chi si trova ad affrontare un contesto finanziario negativo, anche se ha un
reddito migliore (della media, ndr), è probabile che prenda decisioni che
privilegiano il presente rispetto al futuro».
«Lo
studio affronta la crisi di riproducibilità con cui il campo della psicologia
ha dovuto fare i conti negli ultimi decenni», commenta Rubaltelli.
«Inoltre, gli autori hanno coinvolto
partecipanti più rappresentativi delle popolazioni che volevano studiare,
piuttosto che ricorrere a studenti universitari, una pratica comune in
psicologia comportamentale, ma che ha dimostrato di avere molti limiti»,
aggiunge.
Il
progetto di ricerca è stato realizzato grazie a un'ampia rete di ricercatori
(l'articolo conta 170 autori) reclutati attraverso il “Junior Research
Programme”.
I gruppi dei diversi paesi si sono assicurati
che le trenta domande del questionario fossero tradotte correttamente nella
lingua locale, che i partecipanti fossero rappresentativi della popolazione per
quanto riguarda età, sesso, reddito e livello di istruzione.
Gli
autori locali sono stati anche responsabili dell'adeguamento delle cifre in
base al potere d'acquisto e ai livelli salariali medi dei diversi paesi.
«L'indagine
è stata condotta online reclutando i partecipanti tra la nostra rete di
contatti, e anche rintracciando gruppi tematici sui social media interessati a
questi argomenti», spiega Martina Benvenuti, ricercatrice dell'Università di
Bologna e tra gli autori italiani che hanno preso parte allo studio.
La
domanda iniziale del sondaggio offriva due opzioni:
ricevere
subito una somma pari a circa il 10% del reddito annuale medio del paese, per
gli Stati Uniti questa corrisponde a 500 dollari, oppure aspettare un anno per
ricevere il 10% in più, cioè 550 dollari.
Ai partecipanti che sceglievano la prima
opzione, veniva riproposta la stessa domanda ma offrendo 600 dollari a distanza
di un anno, invece di 550.
Se
continuavano a preferire 500 dollari subito, gli veniva proposta un’ultima
possibilità: 500 dollari subito o 750 dopo un anno.
Al
contrario, per i partecipanti che fin dall’inizio preferivano aspettare per
avere più soldi, nelle domande successive veniva offerta la possibilità di
scegliere tra 500 dollari subito oppure 510 dopo un anno.
E così
via.
Questo
ha permesso ai ricercatori di stimare il cosiddetto "punto di indifferenza", cioè la differenza tra la
somma presente e quella futura sufficiente a far preferire la ricompensa futura
a quella immediata.
Sono
state poi misurate alcune altre anomalie nel problema della scelta
intertemporale.
Per
esempio i ricercatori hanno cercato di capire quanto conti la cifra di base
offerta, 500 dollari nel caso degli Stati Uniti.
Per
farlo hanno chiesto ai partecipanti cosa preferissero tra 5000 dollari subito e
5050, 5100 o 5250, a seconda del punto di indifferenza del singolo individuo,
dopo un anno.
Hanno poi valutato la capacità di distinguere
tra diversi momenti nel futuro, chiedendo ai partecipanti se preferissero 500
dollari dopo un anno o 550 dopo due, sempre considerando i punti di
indifferenza individuali.
Le
persone normalmente preferiscono 500 dollari oggi piuttosto che 550 dollari
domani, ma preferiscono 550 dollari tra due anni piuttosto che 500 dollari tra
un anno.
Alla
fine del questionario ai partecipanti venivano chieste informazioni sulla loro
condizione finanziaria, propensione al rischio, demografia e livello di
istruzione.
I
ricercatori hanno poi aggregato i dati individuali per paese e li hanno confrontati.
Per
quanto riguarda il fattore di sconto temporale, cioè quanto deprezziamo le
ricompense future per confrontarle con quelle presenti, il valore minore si
osserva in Giappone e quello maggiore in Argentina.
L’Italia
si piazza a metà classifica, e sconta le ricompense future meno di quanto non
facciano in media francesi e spagnoli.
Gli
italiani si mostrano decisori “più lungimiranti” anche di tedeschi, britannici
e scandinavi per quel che riguarda un’altra anomalia misurata dallo studio e
chiamata ‘gain-loss
asymmetry’.
In media, rispetto a queste altre popolazioni
europee, siamo più disposti a pagare subito una certa somma rispetto a
rimandare ma pagando di più.
«Questo
è dovuto al fatto che gli italiani sono più propensi a risparmiare e quindi
sono più capaci di affrontare spese impreviste», dice Martina Benvenuti «per
esempio, gli italiani hanno più probabilità di possedere una casa di proprietà
rispetto a tedeschi e francesi, e questo influenza la loro percezione di
stabilità».
Ma il
risultato importante è che In tutti i paesi si osserva impazienza finanziaria,
anche se con diversi gradi.
Il
prodotto interno lordo, il livello di disuguaglianza e l’inflazione sono in
grado di spiegare gran parte della differenza tra paesi.
Maggiore stabilità finanziaria dell’ambiente
circostante migliori sono associati a sconti temporali più bassi, mentre
livelli più elevati di disuguaglianza e inflazione sono associati a sconti più
elevati.
Al
contrario, le caratteristiche individuali spiegano solo una piccola parte delle
differenze osservate all’interno dei singoli paesi. Inoltre, guardando alle
risposte individuali si vedono ampie sovrapposizioni tra paesi diversi, a
indicare che questo atteggiamento verso le scelte intertemporali è globale.
«In altre parole, il peggioramento del
contesto economico - e non il semplice "essere poveri" - è associato
a una tendenza più forte e coerente ad attualizzare i valori futuri», scrivono
gli autori in un commento che accompagna la pubblicazione.
Gli
autori sperano che le conclusioni dello studio informino le politiche di
governi e istituzioni volte a ridurre le disuguaglianze sia economiche che di
salute.
Uno
studio pubblicato pochi giorni dopo sulla rivista Scientific Reports ha infatti
mostrato che la miopia nelle decisioni finanziarie influenza la decisione di
vaccinarsi o meno contro il SARS-CoV-2.
Lo studio ha coinvolto quasi 5 000
partecipanti di 13 paesi con diversa gravità della pandemia e adesione alla
vaccinazione.
Come
valore aggiunto e come impegno ad affrontare la crisi della riproducibilità che
colpisce così gravemente la psicologia sperimentale, gli autori hanno
pre-registrato il loro studio sulla piattaforma OSF.
La piattaforma offre l'opportunità di
condividere con altri ricercatori le ipotesi dello studio e il suo disegno e di
ottenere feedback che possono portare ad aggiustamenti prima che lo studio
abbia luogo. Inoltre, contrasta la pratica chiamata “HARKING”, ovvero la
tendenza a formulare ipotesi dopo che i risultati sono noti.
Questa pratica è in parte motivata dal fatto
che le riviste scientifiche preferiscono pubblicare risultati “positivi”
piuttosto che “negativi”.
Il
"vaccino" Covid è uno sforzo
intenzionale
al
genocidio mondiale.
Unz.com
- PAUL CRAIG ROBERTS – (8 GENNAIO 2023) – ci dice:
Mai
prima d'ora ci sono state massicce morti in eccesso dopo la vaccinazione.
Mai
prima d'ora ci sono stati bambini, giovani adulti, atleti nel fiore degli anni,
intrattenitori, morti "causa sconosciuta" dopo la vaccinazione.
Naturalmente,
la causa è nota. I principali medici e scienziati medici del nostro tempo – che
esclude i burocrati delle agenzie sanitarie, come Fauci, che fungono da agenti
di marketing per Big Pharma e commissioni mediche statali corrotte e
politicizzate e HMO – hanno spiegato perché e come i "vaccini" mRNA,
che non sono vaccini, uccidono, distruggono il sistema immunitario e causano
danni alla salute.
Ciò che non si sa è perché alcuni muoiono
immediatamente dopo aver ricevuto la sostanza mortale, altri un mese dopo, e
altri rimangono, finora, vivi.
Alcuni
ricercatori pensano che il contenuto dei "vaccini" differisse a
sorte, e alcuni pensano che alcuni dei vaccini fossero placebo allo scopo di
produrre un quadro illeso per promuovere la sicurezza dei vaccini.
Il
professor Michel Chossudovsky ha raccolto qui – (globalresearch.ca/the-covid-killer-vaccine-people-are-dying-all-over-the-world-its-a-criminal-undertaking/5800358) – una serie di video che documentano le
sofferenze e le morti diffuse dei vaccinati.
Non sono i non vaccinati che stanno
"misteriosamente" cadendo morti in tutto il mondo. Sono i vaccinati.
Eppure
l'insabbiamento continua.
I
media occidentali – un gruppo di puttane – sono al lavoro per coprire se stessi
e Fauci, Biden, Bill Gates, Big Pharma, FDA, NIH, CDC e la professione medica
assolutamente corrotta e irresponsabile.
Big
Pharma e la FDA continuano a spingere i bambini con il vaccino killer, e ci
sono ancora genitori così completamente stupidi e spensierati che partecipano
all'omicidio dei propri figli.
Con
persone di tutto il mondo così stupide e così ciecamente fiduciose
nell'autorità, possiamo capire perché il satanico Bill Gates e il satanico
Klaus Schwab sono fiduciosi di poter riuscire a ridurre la popolazione mondiale
e ad effettuare il loro “Grande Reset”.
Cosa
intendo quando dico che Gates e Schwab sono satanici?
Pensaci
in questo modo.
Di
tanto in tanto, quando si discute dell'argomento, qualcuno dirà che le persone
possono essere così orribili da poter capire perché alcuni vorrebbero
genocidarie.
Chiedo
loro se sarebbero disposti a premere il pulsante del genocidio, e loro dicono
"no".
Capiscono
che non hanno il diritto di causare la morte delle persone in nome della loro
opinione o di un clima o di un'agenda ideologica.
La
differenza tra loro e Bill Gates e Klaus Schwab è che Gates e Schwab sono
disposti e desiderosi di premere il pulsante del genocidio.
Ciò che è così orribile è che questa volontà
ha acquisito un'alta posizione morale.
Sterminare
le persone è diventato il modo per salvare il pianeta.
Gli
autori di questo omicidio di massa sono fiduciosi che il loro crimine è troppo
grande per essere riconosciuto come tale.
Le
popolazioni ingenue semplicemente non crederanno che i "loro" governi
farebbero loro questo.
Nessuno
vuole ammettere di aver giustiziato i propri familiari e i propri figli
fidandosi ciecamente delle "autorità" che avevano annunciato in
anticipo il loro programma di genocidio.
Negli
Stati Uniti solo una piccola percentuale di persone ha idea di cosa stia
succedendo.
Il
tempo e l'energia della popolazione vengono consumati per sbarcare il lunario e
per intrattenersi.
Si
innamorano di un crimine trasparente dopo l'altro.
Qualunque
cosa il governo annunci accetti: l'assassinio del presidente John Kennedy,
l'assassinio del senatore Robert Kennedy, il Golfo del Tonchino, l'11/9, le
armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la pandemia di Covid, il
vaccino Covid "sicuro ed efficace".
Non
imparano mai.
Ora
affrontano il genocidio, e non hanno ancora imparato.
Gli
autori del genocidio di massa hanno ancora il controllo.
Se non
è genocidio, dimmi cos'è quando illustri scienziati medici si scaldano in
anticipo sul "vaccino" mRNA e vengono censurati e puniti, quando
l'inventore del "test Covid" PCR afferma che il test non indica la
presenza del virus e viene ignorato, quando le prove degli effetti dannosi del
"vaccino" sono tenute segrete dalla Pfizer e dalla FDA, quando ai
medici viene impedito di curare il Covid con cure note Ivermectin e HCQ, quando
le farmacie si rifiutano di compilare le prescrizioni dei medici per le cure,
quando vengono utilizzati mandati illegali e incostituzionali per costringere i
cittadini minacciati di perdita del lavoro a sottoporsi all'iniezione, quando
non viene prestata alcuna attenzione ufficiale al massiccio aumento delle morti
in eccesso tra i vaccinati, quando i media portano avanti una campagna
ingannevole di menzogne e propaganda?
Gli
americani – anzi il mondo (compresa l’Italia, Ndr.) – si trovano di fronte a una mostruosa impresa criminale.
Hanno
la forza e l'intelligenza per riconoscerlo?
Faranno qualcosa al riguardo?
Morti
di Vaxxing o morti Covid?
Unz.com
- RON UNZ – (2 GENNAIO 2023) – ci dice:
Fino
agli ultimi due anni, dubito di aver mai trascorso anche solo dieci minuti a
pensare ai problemi di vaccinazione, e probabilmente una grande maggioranza di
americani comuni rientrava nella stessa categoria.
Avevo
avuto alcuni cicli di colpi da bambino, integrati da richiami ogni dieci o
quindici anni e un vaccino antinfluenzale annuale.
Non avevo idea se qualcuno di loro
funzionasse, ma a parte avere un braccio dolorante per un giorno o giù di lì,
nessuno di loro aveva prodotto effetti negativi per me, né per nessuno che
conoscevo.
Tutto
è cambiato nel 2020, poiché l'improvvisa epidemia di Covid ha portato il nostro
governo a promuovere pesantemente una massiccia campagna di vaccinazione basata
su una nuova tecnologia mRNA.
Ciò ha
rapidamente fatto sì che il movimento anti-vaxxing, un tempo oscuro, crescesse
enormemente in dimensioni e visibilità, spostandosi improvvisamente al centro
della vita politica.
Per un periodo di un anno o più, le parti meno
mainstream di Internet, incluso il nostro sito web, sono state inondate dalle
effusioni di un vasto numero di scettici sui vaccini paurosi, con il dibattito
che si è placato solo dopo lo scoppio di febbraio della guerra Russia-Ucraina
che ha deviato l'attenzione pubblica verso una questione completamente diversa.
Fin
dall'inizio ero estremamente dubbioso su tutti questi argomenti anti-vaccino e
ho presentato le mie opinioni contrarie in una lunga intervista con Mike
Whitney.
Insieme
a un paio di articoli di follow-up, ha provocato circa 4.600 commenti per un
totale di 850.000 parole, la stragrande maggioranza di quelle risposte è stata
intensamente ostile alla mia posizione:
Gli
oppositori delle iniezioni di Covid sono "crackpot anti-vaxx"?
(Mike Whitney Intervista con Ron Unz
The Unz Review • 1° agosto 2021. )
Man
mano che arrivavano sempre più dati sulla salute pubblica, il mio scetticismo
sulla posizione anti-vaccinazione si è indurito, e nel gennaio dello scorso
anno ho pubblicato un articolo che lo riassumeva, seguito da un ulteriore
articolo sei mesi dopo.
Anche
se certamente mi considero un membro del campo anti-anti-vaxxer, penso che le
mie opinioni sulla questione siano in realtà piuttosto moderate, come ho
spiegato in un paio di paragrafi iniziali in quei due articoli.
Gli
anti-vaxxer sono disponibili in un'ampia varietà di tipi diversi, e sarei il
primo a riconoscere che alcuni dei loro argomenti sembrano perfettamente
ragionevoli.
I vaccini Covid sono stati messi in produzione
senza il solito lungo periodo di test e le versioni più popolari utilizzate in
Occidente si basano su una nuova tecnologia mRNA innovativa, quindi sembra
abbastanza plausibile che gli effetti collaterali negativi siano stati di gran
lunga maggiori rispetto ai nostri vaccini antinfluenzali annuali.
Miliardi
di persone in tutto il mondo sono state vaccinate per il Covid, e non sarei
sorpreso se molte, molte decine di migliaia sono morte di conseguenza.
Ma tali perdite rappresenterebbero solo un
piccolo frammento dei 15 o 20 milioni uccisi dalla malattia stessa, e se gli
esperti medici hanno ragione e il vaxxing riduce notevolmente il rischio di
malattie gravi, il rapporto costi-benefici è tremendamente positivo, almeno per
gli individui di mezza età o più anziani.
Gli
sforzi di vaccinazione obbligatoria imposti da gravi sanzioni legali o
occupazionali sono il punto di infiammabilità esplosivo del movimento
anti-vaxxer, ma questi non hanno mai avuto alcun senso per me.
I vaccini sembrano inefficaci nel prevenire
l'infezione o la trasmissione e il loro principale vantaggio è quello di
ridurre notevolmente il rischio di gravi malattie o morte.
Quindi
i vaccinati hanno poco da temere da coloro che rifiutano l'ago, mentre questi
ultimi possono fare una scelta informata – o forse emotiva – nel soppesare i
rischi di un vaccino relativamente non testato contro quelli di grave malattia
Covid.
Data l'estrema paranoia di una considerevole
fetta di anti-vaxxer, una forte pressione governativa potrebbe persino
rivelarsi controproducente.
Per
anni, Robert F. Kennedy, Jr. era stato una delle figure pubbliche più
importanti del movimento anti-vaxxing, e fui piacevolmente sorpreso di scoprire
che le posizioni che aveva assunto nel suo enorme best-seller #1 di Amazon
erano ugualmente moderate dall'altra parte, come avevo notato in precedenza
nella mia recensione fortemente favorevole del suo importante libro.
Abbastanza
sorprendentemente, e molto contrario alle mie aspettative, la posizione
dichiarata di Kennedy sui vaccini sembrava piuttosto mite, molto diversa dalla
selvaggia paura che si incontra regolarmente su Internet.
Ha affermato che molti vaccini non sono stati
adeguatamente testati, spesso hanno avuto effetti collaterali dannosi e sono
stati promossi principalmente a causa del profitto delle avide corporazioni
farmaceutiche e dei loro sovvertiti regolatori governativi, accuse molto più
moderate – e molto più plausibili – di quanto avessi ipotizzato che avrebbe fatto.
Anche
se non è affatto raro che gli anti-vaxxer dagli occhi selvaggi avvertano di
milioni - o addirittura miliardi! - di morti a causa dell'attuale campagna di
vaccinazione contro il Covid, non ho visto affermazioni così eclatanti nei
capitoli accuratamente documentati di questo libro ...
A
differenza di alcuni dei suoi sostenitori più estremi, Kennedy sembrava
ammettere pienamente che il Covid è una malattia pericolosa, ma ha giustamente
sottolineato la sua estrema inclinazione dell'età.
Ha
sottolineato che i vaccini si sono dimostrati molto meno efficaci di quanto
inizialmente previsto, e ha osservato che sono stati affrettati in rilascio
diffuso senza test sufficienti, che potrebbero alla fine portare a gravi
problemi di salute futuri.
La
foglia di fico legale che ha permesso di annullare il normale regime di
sperimentazione dei pazienti è stata l'affermazione che non esistevano altre
cure mediche, e questo probabilmente spiega i diffusi attacchi all'uso
dell'IVM.
Inoltre,
la vaccinazione dei bambini o dei giovani sembra molto fuorviante data la
mitezza della malattia per quelle coorti di età.
(Pravda americana: Vaxxing, Anthony
Fauci e l'AIDS The Unz Review • 6 dicembre 2021).
Sono passati quasi sei mesi dall'ultima volta
che ho esaminato la controversia sulla vaccinazione contro il Covid, quindi ho
deciso di rivisitare l'argomento, in parte spinto da un nuovo libro che avevo
recentemente ricevuto sulla questione, pubblicato sotto gli auspici
dell'organizzazione Kennedy's Children's Health Defense.
Il
titolo era "Cause Unknown" e l'autore era Edward Dowd, un ex gestore
di fondi di Wall Street di grande successo che era diventato un critico
pubblico vocale dei vaccini Covid nel 2021.
Anche
se rilasciato solo a metà dicembre, il libro ha già avuto un discreto successo,
attualmente classificato # 274 in tutti i milioni di selezioni di Amazon, pur
avendo anche toccato il posto # 1 nelle categorie specifiche di virologia, immunità
e vaccinazioni.
Kennedy
contribuì alla prefazione, ma lo stile e la presentazione erano quasi agli
antipodi dei suoi.
Il
libro di Kennedy del 2020 consisteva quasi interamente di testo, con i suoi
margini insolitamente stretti utilizzati per comprimere centinaia di migliaia
di parole in sole 450 pagine, pur mancando di qualsiasi indice o persino titoli
di capitolo e avendo una copertura netta di testo puro.
In
netto contrasto, il libro molto più breve di Dowd traboccava di immagini di
clip e foto estratte di notizie, con centinaia di presunte vittime del vaccino
Covid.
La qualità fisica era estremamente elevata,
compreso l'uso massiccio di grafici e diagrammi colorati, tutti disposti con
gusto, e il design delle pagine patinate aveva l'atmosfera sontuosa di un libro
di stile da tavolino da caffè, ma applicava quegli alti valori di produzione a
un argomento cupo.
Quasi
tutti i clip di notizie e le citazioni erano accoppiati con codici di
scansione, consentendo al lettore di verificare facilmente la loro fonte
originale, la prima volta che avevo visto una caratteristica così innovativa
così ampiamente utilizzata in un volume stampato.
I
libri vengono pubblicati per molte ragioni diverse, e sono sicuro che
l'indignazione della comunità anti-vaxxing sarà alimentata dalle centinaia di
foto e notizie di individui giovani o atleti di successo inaspettatamente
colpiti negli ultimi due anni, spesso abbattuti da attacchi cardiaci fatali o
ictus.
Tali lettori probabilmente seguiranno l'autore
nell'incolpare automaticamente i vaccini per questa calamità, ma come scettico
di tali teorie, sono rimasto completamente non convinto.
Miliardi
di persone in tutto il mondo sono state vaccinate contro il Covid, tra cui
almeno un paio di centinaia di milioni di americani, e anche i più ardenti sostenitori dei
vaccini ammetterebbero che ci sarebbero stati alcuni che hanno subito effetti
negativi.
Quasi
nessuno dei casi citati nel libro può essere definitivamente attribuito ai
vaccini, ma anche se ogni singolo esempio avesse quella causa, i numeri
coinvolti sarebbero totalmente trascurabili, forse un migliaio di morti su
oltre 220 milioni di americani vaccinati.
Quando
consideriamo i problemi di salute pubblica, dobbiamo fare affidamento sulle
statistiche e, sulla base del mio semplice esame, le prove difficilmente
supportano le conclusioni del libro, puntando invece in una direzione completamente
diversa.
Verso
l'inizio dell'introduzione di Dowd ha sottolineato l'enorme aumento della
mortalità americana negli ultimi due anni, osservando che durante la seconda
metà del 2021, il tasso di mortalità per le persone in età lavorativa (18-64) è
stato superiore del 40% rispetto agli anni precedenti, un aumento senza
precedenti che ho visto ampiamente citato attraverso i media.
Ma sicuramente questo è esattamente ciò che ci
aspetteremmo di vedere durante una massiccia epidemia, e sebbene affermi che la
maggior parte di quelle morti non sono state direttamente attribuite al Covid
stesso, è facile immaginare che il virus potrebbe essere stato ancora la causa
ultima in molti dei casi.
In
particolare, ci sono molte prove che le persone infettate da Covid possono
avere problemi di salute gravi e persistenti molto tempo dopo - la cosiddetta
sindrome "Long Covid" - e se queste condizioni alla fine portano alla
morte precoce molte settimane o mesi dopo, la mancanza di sintomi Covid attuali
potrebbe facilmente produrre una diagnosi diversa.
Dowd
respinge esplicitamente questa possibilità "perché sappiamo che il COVID
non è una causa significativa di morte nei giovani", ma in realtà non lo
sappiamo, solo che il virus è molto più pericoloso per gli anziani.
La stessa
domanda si applica allo stesso modo al diffuso aumento delle richieste di
invalidità che l'autore ha anche menzionato.
Quindi,
mentre è certamente possibile che le centinaia di morti misteriose documentate
nel libro fossero dovute alle vaccinazioni Covid, sembra altrettanto possibile
che fossero dovute alle conseguenze persistenti dell'infezione Covid stessa.
Il modo migliore per separare i due effetti è
considerare la tempistica di questi maggiori decessi.
L'epidemia
di Covid stessa è iniziata nei primi mesi del 2020, mentre la distribuzione dei
vaccini Covid è iniziata solo il 14 dicembre 2020 e sono passati diversi mesi
prima che anche il 20% degli americani avesse ricevuto una singola dose, quindi
le statistiche sulla mortalità dell'anno 2020 ci consentono di distinguere tra
i due fattori.
Dowd
sottolinea correttamente che i decessi totali sono la metrica più affidabile da
utilizzare e, attingendo i nostri dati dal sito Web del CDC, possiamo
visualizzare un grafico che mostra i totali mensili da gennaio 2020 a novembre
2022.
Solo
una parte della nostra popolazione era stata vaccinata alla fine di gennaio.
Tuttavia, i tassi di mortalità mensili più alti si sono verificati prima di
quella data, e poi sono diminuiti abbastanza rapidamente durante i mesi di
pesante vaxxing e aumento che sono seguiti, prima di salire di nuovo a un picco
simile nel gennaio 2022, e successivamente scendere ai tassi più bassi
dall'inizio dell'epidemia.
Quindi,
mentre è certamente possibile che alcune di queste morti possano essere dovute
ai vaccini, le prove sembrano puntare fortemente nella direzione opposta:
nonostante due anni di pesante vaxxing e potenziamento, le morti americane
totali sono drasticamente diminuite dall'inizio del 2022.
Dall'inizio
del 2020, tali tassi di mortalità totali sono stati pesantemente distorti dal
numero molto elevato di decessi Covid, quindi dovremmo esaminare attentamente
la traiettoria di altri tassi di mortalità durante questo periodo.
I critici dei vaccini sembrano credere che la maggior
parte delle morti vaxxing si manifestino come attacchi cardiaci e ictus fatali,
quindi queste sono le categorie più importanti.
Attingendo
alle statistiche ufficiali del CDC, il sito Web Peterson-KFF Health System
Tracker fornisce i decessi americani giornalieri suddivisi per causa, con il
seguente grafico che mostra le cifre da gennaio 2020 a settembre 2022.
Si
noti che il primo aumento considerevole dei decessi mensili per infarto si è
verificato intorno ad aprile 2020, proprio quando è iniziata l'epidemia di
Covid e i lockdown;
un
secondo aumento più ampio è avvenuto nel dicembre 2020 e nel gennaio 2021,
proprio quando la campagna di vaccinazione era appena iniziata, con decessi in
netto calo nei mesi successivi, anche se la campagna di vaccinazione ha
ingranato la marcia;
e
infine un altro picco è arrivato nel gennaio 2022 seguito da un calo molto più
netto durante il resto di quell'anno.
Sulla base di questi risultati, vedo
pochissime prove che le vaccinazioni siano state responsabili.
Questa
conclusione diventa ancora più evidente se consideriamo i dati annuali
complessivi per gli anni dal 2015 al 2022, che fanno la media dei picchi e
delle valli dei singoli risultati giornalieri.
Una
pubblicazione JAMA del 2021 ha fornito i totali per il 2015-2020, mentre i
totali del 2021 e del 2022 parziale sono disponibili sul sito web del CDC;
le
cifre del 2022 sono finalizzate solo per gennaio-settembre, quindi dovremmo
aumentare questi ultimi numeri di 4/3 per produrre le stime per l'intero anno
2022.
Quindi,
possiamo vedere che c'è stato davvero un grande aumento delle morti annuali per
infarto, che ora sono da trenta a quarantamila all'anno più alte di quanto non
fossero in passato.
Ma tutto questo aumento è arrivato nel 2020,
dopo l'inizio dell'epidemia di Covid ma prima che ci fosse stata una quantità
significativa di vaxxing, e da allora i risultati sono rimasti costanti.
Ciò
suggerisce fortemente che il Covid piuttosto che i vaccini è stato responsabile
dell'aumento degli attacchi cardiaci fatali, e gli esperti medici hanno fatto
tali suggerimenti.
Un
modello in qualche modo simile può essere visto nell'aumento molto più piccolo
delle morti per ictus, che si è verificato principalmente nel 2020.
(Si
noti anche l'enorme aumento degli incidenti mortali nel corso del 2021, ovvia
conseguenza dello sconvolgimento sociale prodotto dal Covid e dalla fine dei
lockdown, nonché dei diffusi disordini razziali seguiti alla morte di George
Floyd a fine maggio.
In effetti, le proteste di George Floyd hanno
presto scatenato il più grande aumento di omicidi americani mai registrato.
Dal
momento che sia le vittime di incidenti che di omicidio tendono ad essere
relativamente giovani, ciò spiega quasi certamente il picco senza precedenti di
morti giovanili durante il terzo trimestre del 2021 che Dowd sottolinea
pesantemente.)
Secondo
le statistiche ufficiali, più di 1,1 milioni di americani sono morti di Covid,
ma dall'inizio del 2020 anche gli attacchi cardiaci fatali sono aumentati di
quasi 100.000.
Quest'ultimo aumento è iniziato con l'epidemia
e non è stato influenzato in un modo o nell'altro dalla campagna di
vaccinazione iniziata un anno dopo.
Ciò suggerisce fortemente che quasi tutti
quegli attacchi cardiaci fatali extra erano indirettamente dovuti alle
conseguenze delle infezioni da Covid e il vero totale delle vittime americane
di Covid è in realtà significativamente più alto della cifra nominale.
Non ho
fatto ricerche approfondite su questo argomento, e le cifre che sto presentando
sono aggregati abbastanza semplici, ma certamente sembrano puntare in una
direzione particolare.
È del
tutto possibile che alcune delle centinaia di individui nominati le cui morti
sono presentate nel libro di Dowd siano morte per gli effetti collaterali del
vaccino, ma sulla base di questi risultati sorprendenti, penso che sia molto
più probabile che la causa sia stata l'effetto persistente di una precedente infezione
da Covid, forse così lieve che a malapena se ne sono accorti in quel momento.
Permettetemi
di riassumere brevemente questi risultati:
Il
Vaxxing è iniziato solo il 14 dicembre 2020, quindi non avrebbe avuto quasi
alcun impatto sulla salute pubblica durante quell'anno.
Ad
eccezione di omicidi e incidenti, quasi tutti i principali cambiamenti nei
tassi di mortalità americani si sono verificati nel 2020, quindi questi devono essere stati
dovuti al Covid.
Fatta
eccezione per omicidi e incidenti, i tassi di mortalità non Covid non hanno
mostrato quasi alcun cambiamento nel 2021 e nel 2022, quindi i vaccini probabilmente non
hanno avuto alcun impatto in un modo o nell'altro.
I
disordini sociali scatenati dalla morte di George Floyd il 25 maggio 2020 hanno
presto prodotto un picco senza precedenti di omicidi e incidenti mortali, il
che probabilmente spiega la maggior parte del forte aumento delle morti
giovanili durante i mesi successivi.
Il
problema di districare le morti Covid dalle morti vaxxing è una difficoltà
molto diffusa anche altrove.
Nonostante
alcune misure di salute pubblica forti, la stragrande maggioranza dei paesi ha
subito sostanziali focolai di Covid, e poi spesso si sono riaperti e hanno
allentato i controlli della malattia subito dopo che le loro campagne di
vaccinazione erano state completate.
Quindi è difficile decidere se le morti
risultanti siano state causate dal virus o invece dal vaccino usato per
controllarlo.
Tuttavia,
come avevo notato originariamente a luglio, il caso della Nuova Zelanda ci
consente di distinguere i due effetti.
Essendo
un paese insulare piccolo ma ben gestito, il governo ha rapidamente
implementato efficaci misure di salute pubblica e una quarantena di viaggio,
evitando così qualsiasi grave epidemia di Covid prima della disponibilità dei
vaccini.
Con un
forte sostegno del governo, la popolazione era prevalentemente vaxxed con
Pfizer, ad un tasso molto più alto di quello degli Stati Uniti.
Tuttavia,
la campagna di vaccinazione molto pesante durante il 2021 e l'inizio del 2022
non ha prodotto assolutamente alcun cambiamento nelle linee di tendenza del
tasso di mortalità nazionale secondo il sito web Macrotrends, suggerendo che il
numero totale di decessi correlati al vaccino era troppo trascurabile per
apparire persino nelle statistiche pubbliche.
Ciò
avvalora fortemente le conclusioni che abbiamo già tratto dai dati americani.
Non
sono certo un esperto di questioni di salute pubblica, e il mio esame di queste
cifre sulla mortalità è stato piuttosto superficiale, quindi è perfettamente
possibile che un'analisi più attenta trovi evidenti buchi nel mio ragionamento.
Ma a questo punto, dubito che i vaccini
avessero una connessione significativa con le morti che sono il fulcro del
libro di Dowd.
L'autore ha osservato che gli ultimi due anni
hanno visto un enorme aumento del numero di morti improvvise e inaspettate di individui
giovani, spesso per apparenti attacchi di cuore o ictus, ma penso che il virus
Covid stesso piuttosto che i vaccini contro di esso abbiano molte più
probabilità di essere responsabili.
Tuttavia,
l'unica cosa su cui tutti noi possiamo certamente essere d'accordo è che
qualsiasi disastro di salute pubblica globale è stata una conseguenza diretta
dell'epidemia di Covid, spingendo la massiccia campagna di vaccinazione che
preoccupa così tanto Dowd e i suoi alleati.
Eppure
negli ultimi due anni le vere origini di quell'epidemia hanno attirato solo una
piccola parte dell'attenzione rivolta alle sue conseguenze secondarie.
Fortunatamente,
questo potrebbe ora iniziare a cambiare, e nelle ultime settimane, i principali
siti web della comunità alt-Covid hanno iniziato a pubblicare articoli
importanti su questo argomento, suggerendo che il lungo insabbiamento delle origini
del Covid potrebbe iniziare a collassare.
Ad
esempio, molte delle mie interviste podcast dello scorso febbraio hanno
raccolto un totale di oltre 100.000 visualizzazioni aggiuntive solo nell'ultima
settimana, consolidando la loro posizione come alcuni dei video più popolari su
Rumble.
Scienza
e disuguaglianza sociale.
Come
superare la
privatizzazione
della
conoscenza.
Recentiprogressi.it - MASSIMO FLORIO – (18
novembre 2021) – ci dice:
(Professore
di Scienza delle finanze, Dipartimento di Economia, management e metodi
quantitativi, Università di Milano.)
Riassunto.
Si è creata una tensione fra politiche pubbliche che favoriscono
l’appropriazione della conoscenza da parte delle imprese private e la necessità
di contrastare la crescente diseguaglianza nelle nostre società.
Meccanismi
redistributivi dei redditi ex post sono inefficaci dato che riguardano
principalmente le posizioni relative di chi percepisce redditi di lavoro,
mentre al cuore della diseguaglianza vi è la sperequazione fra redditi di
lavoro e redditi di capitale (talvolta travestiti da remunerazione dei
manager).
Politiche
ex post della concorrenza sembrano pure inefficaci e inefficienti.
I
cittadini in larga misura finanziano con le imposte la produzione di conoscenza
attraverso la spesa pubblica per la ricerca scientifica, per l’istruzione, per
il sostegno diretto e indiretto alla R&S delle imprese.
A
fronte di questi costi sociali, i benefici finiscono con l’essere catturati in
larga misura nella forma di valorizzazione del capitale di imprese oligopolistiche
private.
Una
possibile soluzione di questo problema sarebbe nel riscoprire l’idea
dell’impresa pubblica e ibridarla con quella di infrastruttura di ricerca:
un
nuovo tipo di impresa come polo della creazione di conoscenza.
Questo
tipo di organizzazione dovrebbe gestire come proprietà sociale il capitale
intangibile derivante dalla ricerca pubblica in alcuni campi, creando un
portafoglio di progetti i cui ritorni alimentino un fondo destinato sia a
reinvestire nella stessa ricerca sia a realizzare programmi sociali di
promozione dell’uguaglianza nell’accesso alle nuove conoscenze.
Nuove
imprese pubbliche europee di questo tipo potrebbero promuovere le innovazioni
dirompenti nei farmaci e nei vaccini, nell’energia e nella produzione
sostenibile, nelle piattaforme digitali restituendole dal pubblico al pubblico,
dal cittadino contribuente al cittadino utente, senza l’intermediazione degli
oligopoli.
Le
politiche di sostegno a università, infrastrutture di ricerca, ricerca e
sviluppo (R&S) delle imprese hanno contribuito alla diseguaglianza
attraverso la trasformazione della conoscenza in capitale.
Vediamo
alcuni meccanismi di questa appropriazione e perché si tratta di processi che
presuppongono sempre delle istituzioni e delle politiche, non sono spontanei
equilibri di mercato.
Un
primo meccanismo riguarda la legislazione sulla proprietà intellettuale, che
stabilisce un monopolio legale sullo sfruttamento economico delle invenzioni,
tipicamente per venti anni.
La
finalità dichiarata è quella di tutelare l’inventore.
Si
ritiene che altrimenti non vi sarebbero incentivi adeguati all’innovazione.
È una
lettura superata della produzione di innovazioni.
Una domanda di brevetto dovrebbe citare
eventuali precedenti brevetti su cui l’invenzione si basa, nonché la
letteratura scientifica pregressa.
Ma
queste citazioni hanno un significato limitato nell’epoca storica della
produzione di conoscenza su larga scala.
La
letteratura su una patologia e terapia consiste spesso in migliaia di articoli
reperibili nelle banche dati (per es., in MEDLINE/PubMed).
Le
famiglie di brevetti connessi a un’innovazione significativa possono essere a
loro volta migliaia.
Il brevetto
stabilisce una recinzione legale e crea una rendita, ma di fatto in modo
arbitrario stabilisce un rapporto di proprietà intellettuale privata su
potenziali innovazioni che hanno molti ascendenti.
Una
bella analogia è quella che ho recentemente sentito in un dibattito: è come se
in una gara di staffetta la medaglia venisse data solo all’ultimo atleta.
Solo
che qui la medaglia può essere miliardaria.
Il
patrimonio personale dell’amministratore delegato e azionista di Moderna – un
manager, non uno scienziato – è balzato a oltre cinque miliardi di dollari.
Eppure
Moderna non aveva ricevuto nessuna autorizzazione per un farmaco prima di
ottenere sia enormi finanziamenti dal programma Operation Warp Speed gestito dall’agenza pubblica Biomedical Advanced Research and
Development Authority (Barda), sia licenze per tecnologie chiave ideate nei National Institutes of Health (ministero della salute degli Stati
Uniti), e infine il pre-acquisto a scatola chiusa del suo vaccino prima ancora
che fosse autorizzato.
Un
secondo meccanismo è quello delle forniture ad alta intensità tecnologica per
il settore pubblico, che sono al cuore del complesso militare-industriale
statunitense.
I
contribuenti hanno finanziato l’innovazione tramite le commesse pubbliche
dirette alle imprese e indirette alle università.
L’oligopolio delle Big Defense si è
appropriato, grazie a rapporti decennali con il Pentagono, delle conoscenze su
radar, telecomunicazioni, internet, satelliti per osservazione terrestre,
missilistica, tecnologie aeronautiche, informatica, filiera nucleare dual use e
molto altro.
Un
terzo canale di privatizzazione della conoscenza è la formazione di capitale
umano a spese del settore pubblico nei dottorati universitari e nelle
infrastrutture di ricerca.
Un
post-doc in fisica delle particelle viene addestrato in una organizzazione
pubblica come il CERN a sviluppare capacità avanzate di analisi dei dati e di
soluzione di problemi computazionali complessi.
Quando viene poi assunto da un fondo di
investimento per occuparsi di modelli di asset management, le sue conoscenze
sono in gran parte privatizzate, nonostante siano spesso stati i contribuenti a
finanziare dieci o dodici anni di investimento collettivo nella creazione di
capitale umano.
Un
percorso molto costoso volto alla creazione di conoscenza scientifica sfocia
nella messa a disposizione di queste rare competenze nella sala gioco delle
scommesse finanziarie, con il favore delle alte retribuzioni offerte, della
maggiore certezza di prospettive e della circostanza che in determinati campi
di ricerca scientifica l’offerta di brillanti cervelli sia maggiore della loro
domanda nel settore pubblico o no-profit.
Un
quarto meccanismo è la legislazione che consente l’uso di dati raccolti con
altre finalità da piattaforme digitali.
Siamo
così abituati a ritenere ovvio ciò che Amazon, Google, Facebook, Instagram,
YouTube fanno con i nostri dati che probabilmente ci sfugge che se questa
appropriazione si verifica non è perché esse dispongano di una tecnologia
superiore a tutti i loro potenziali concorrenti né a causa di una distrazione
dei legislatori.
Le
enormi praterie dei dati personali e industriali sono state recintate in modo
artificioso, conferendo la proprietà degli stessi ad alcune imprese private ma
non ad altre attraverso contratti che tutti noi sottoscriviamo con un paio di
click senza leggerli e senza che un’autorità pubblica verifichi se i cittadini
sono informati su che cosa stanno sottoscrivendo (diversamente da quello che dovrebbe
accadere nei servizi a rete regolamentati, come energia o telecomunicazioni).
Infine,
un meccanismo controintuitivo, cui ho già accennato, è connesso all’open
science.
Si tratta di una politica che cerca di
estendere il principio dell’open access alle prassi, alle metodologie e
soprattutto ai risultati della ricerca ed è un obiettivo strategico dell’Unione
Europea nei finanziamenti che concede alla ricerca.
Questo approccio, di per sé animato proprio
dall’idea che la conoscenza debba essere considerata un bene pubblico, ha
creato un paradosso.
Da un
lato, l’esistenza di un vasto patrimonio di open science frutto della ricerca
di migliaia di università ed enti pubblici di ricerca rappresenterebbe un
grande potenziale per accrescere la giustizia sociale.
Dall’altro, quel patrimonio può produrre
l’effetto contrario: le imprese private che si collocano a valle, grazie agli
investimenti in conoscenza già realizzati a monte, con una loro attività di
R&S, si appropriano privatamente della conoscenza.
Mi
sembra sostenibile che vi sia una relazione fra oligopolio, cioè concentrazione
del potere di mercato, e concentrazione della ricchezza sotto il profilo della
distribuzione dei patrimoni personali.
Secondo
uno studio di Credit Suisse (già dieci anni fa) il top 1% dei detentori di
patrimoni deteneva il 50% della ricchezza totale del mondo.
Forbes
ogni anno pubblica una lista dei miliardari nel mondo (per quello che si sa).
Nei primi 20 posti troviamo diversi fra i campioni dei settori “tech”,
“telecom” e “media”: Jeff Bezos (Amazon), Bill Gates (Microsoft), Larry Ellison
(software), Mark Zuckerberg (Facebook), Steve Ballmer (Microsoft), Carlos Slim
(Telecom), Larry Page (Google), Sergey Brin (Google), Michael Bloomberg
(media), Jack Ma (e-commerce), Ma Huateng (internet media).
Nella
lista Forbes dei fortunati 241 tech billionaires compaiono anche la ex signora
Bezos, il cui divorzio nel 2019 dal più noto Jeff le ha garantito un patrimonio
personale di 36 miliardi di dollari.
Oppure la vedova di Steve Jobs, Laureen
Powell, che ha ereditato 16,4 miliardi dal defunto co-fondatore di Apple.
Sotto
il profilo dell’equità, in presenza di extraprofitti derivanti da potere di
mercato, la soluzione dei manuali ortodossi di economia pubblica è l’imposta
sui redditi di monopolio.
Ma,
secondo OXFAM, globalmente solo il 4% delle entrate tributarie dei governi
viene dalla tassazione della ricchezza delle persone fisiche e giuridiche.
Si può
dubitare dell’impegno (preso nel recente G20 di Roma) che una aliquota minima
del 15% sui profitti sia applicabile dove il reddito si crea, per la semplice
ragione che per molte attività basate su capitale intangibile sarà difficile
dire dove sia la giurisdizione rilevante.
Altrettanto
mal riposta, temo, sarebbe la speranza nel ruolo della “distruzione creatrice”
nei campi high tech, magari con l’aiuto di politiche di regolazione dei
mercati.
Per quanto nuovi membri possano entrare nel
club e qualcuno uscirne, l’economia di scala e di varietà delle Tech Giants,
delle Big Pharma e in altri settori di alta tecnologia, sembrano imbattibili.
Politiche
della concorrenza estremamente energiche negli anni ’90 del secolo scorso hanno
rimescolato gli oligopoli, per esempio della telefonia o dell’elettricità
(peraltro spesso con effetti distributivi regressivi sui piani tariffari), con
la formazione di nuovi equilibri oligopolistici, più che con l’affermazione di
mercati concorrenziali (ho cercato di dimostrarlo in miei lavori precedenti
rispettivamente sulle privatizzazioni britanniche e sulle riforme delle
industrie a rete nella UE).
Riassumiamo.
Si è creata una tensione fra politiche pubbliche che
favoriscono, attraverso vari meccanismi, l’appropriazione della conoscenza da
parte delle imprese private e la necessità, da molti condivisa, di contrastare
la crescente diseguaglianza nelle nostre società.
Meccanismi
redistributivi dei redditi ex post sono inefficaci dato che riguardano
principalmente le posizioni relative di chi percepisce redditi di lavoro,
mentre al cuore della diseguaglianza vi è la sperequazione fra redditi di
lavoro e redditi di capitale (talvolta travestiti da remunerazione dei
manager). Politiche della concorrenza sembrano pure inefficaci.
I
cittadini in larga misura finanziano con le imposte la produzione di conoscenza
attraverso la spesa pubblica per la ricerca scientifica, per l’istruzione, per
il sostegno diretto e indiretto alla R&S delle imprese.
A
fronte di questi costi sociali, i benefici finiscono con l’essere catturati in
larga misura nella forma di valorizzazione del capitale di imprese
oligopolistiche private.
È
all’opera una redistribuzione regressiva, invisibile perché legata a beni
intangibili, difficile da stimare, ma significativa.
Se si
tenta di combinare politiche con obiettivi molto diversi si finisce in un
ginepraio.
Per esempio, se si concede alle imprese farmaceutiche
di usufruire senza condizioni della ricerca pubblica, della formazione dei
ricercatori nelle infrastrutture scientifiche pubbliche e nelle università, di
finanziamenti diretti e sconti fiscali per la loro parte di spese di R&S, e
in più si concede loro il monopolio legale per 20 anni sui farmaci, diventa
poco fattibile a quel punto cercare di indebolirne potere di mercato e
profittabilità con politiche ex post.
Sembra
non esservi alternativa a un mondo dominato da Tech Giants, Big Parma, Top
Defense, ecc. nel quale, peraltro, non sono tramontati i vecchi oligopoli della
finanza, dell’energia, della grande distribuzione.
Un’alternativa
nell’arsenale della politica economica potrebbe, però, esistere.
Si tratterebbe di riscoprire l’idea
dell’impresa pubblica e ibridarla con quella di infrastruttura di ricerca: un
nuovo tipo di impresa come polo della creazione di conoscenza.
Questo
tipo di organizzazione dovrebbe gestire come proprietà sociale il capitale intangibile
derivante dalla ricerca pubblica in alcuni campi, creando un portafoglio di
progetti i cui ritorni alimentino un fondo destinato sia a reinvestire nella
stessa ricerca sia a realizzare programmi sociali di promozione della
uguaglianza nell’accesso alle nuove conoscenze.
A
questo scopo propongo nel libro uscito per i tipi di Laterza una strategia che
restituisca ai cittadini i benefici di ciò che essi stessi hanno contributo a
creare.
Sviluppando
una idea maturata nel “Forum Diseguaglianze e Diversità”, si possono immaginare
grandi progetti sovranazionali nei campi rispettivamente della ricerca
biomedica, delle tecnologie per la transizione ecologica, per il governo dei
Big Data.
Progetti
che creino, su un orizzonte di lungo periodo e con investimenti significativi,
nuove imprese pubbliche per promuovere le innovazioni dirompenti nei farmaci e
nei vaccini, nell’energia e nella produzione sostenibile, nelle piattaforme
digitali, e le restituiscano dal pubblico al pubblico, dal cittadino contribuente
al cittadino utente, senza l’intermediazione degli oligopoli.
Si può
immaginare che alcune imprese private possano anche essere invitate a
collaborare a questi progetti, soprattutto nei campi in cui altrimenti non
interverrebbero, ma senza consentire loro di intestarsi la proprietà
dell’intelligenza collettiva.
PERCHÉ
LO FANNO?
Psicopatologia
del potere nichilista.
Comedonchisciotte.org-Alessia
Vignale, psicologa – (23 ottobre 2022) – ci dice:
La
reazione di Hillary Clinton alla morte di Gheddafi.
“We
came, we saw, he died. Ha ha ha ha ha!” (Siamo venuti, abbiamo visto, è morto.
Ha ha ha ha ha!).
Da una
scintillante “camera caritatis” americana destinata a divenire virale e globale
– per distrazione oppure semplice disprezzo del “comune senso del pudore”.
il
segretario di stato Hillary Clinton ride ricolmo d’euforico autocompiacimento
quando la CBS le chiede, in un intermezzo che lei ritiene “non connesso”,
dell’appena avvenuta uccisione del leader libico Muammar Gheddafi.
Sebbene
la storia sia andata avanti da quel 20 ottobre 2011, questo spezzone rimane un
“evergreen”.
Davvero
sono fatti così, i potenti?
Che
tipo di donna è, quella che parla in quel video che tutti abbiamo mandato
avanti e indietro almeno un paio di volte per vedere se per caso avessimo
capito male?
Come
sempre, tenterò una lettura valendomi della psicoanalisi e delle discipline
limitrofe.
In
questi due anni e mezzo abbiamo assistito a fenomenologie del potere talmente
lontane dalle logiche scritte nel “libro delle leggi della vita” da
costringerci a scervellarci nell’incredulità.
Com’è
possibile che progetti come il Grande Reset, che intendono annichilire la
storia dell’uomo di fatto proponendo un Medio Evo tecnocratico alla Mad Max,
visioni del mondo come il transumanesimo, che indicano la specie umana come obsoleta
escrescenza di Gaia, guerre sino all’ultimo uomo condotte attraverso i corpi e
sul suolo di altri, ma prevedenti l’uso del nucleare se necessario, vengano
scientemente studiate e portate avanti dai leader mondiali?
“Non
hanno figli anche loro?”
Che
futuro prevedono, per essi, se il “piano B” di lorsignori è un bunker
accessoriato d’ogni comfort, sorvegliato da un servizio d’ordine di cui però
occorre temere la rivolta?
Purtroppo,
insegna la clinica delle psicopatologie legate alla carenza di senso morale, a
loro nulla importa del domani né dei figli, la loro “brama” può spingersi sino
all’autodistruzione, tanto è il bisogno di dimostrare a se stessi e al mondo il
loro potere.
La
sete di potere, assoluta e incoercibile, è loro unica consigliera. “Non importa
quanto grande sia il tuo impero economico”, potrebbe dirci una “felpa
californiana” appartenente all’élite, “esso dovrà essere sempre più grande e
asservire sempre più persone… sino a lasciare nella storia degli uomini un
marchio indelebile, il tuo”.
L’incredulità
di chi senta questa descrizione è spesso alla radice emotiva dell’impossibilità
di affacciarsi su teorie più o meno “complottiste”;
in tema di potere noi siamo invece inclini a
credere che “a pensar male si faccia peccato, ma si abbia spesso ragione”,
com’ebbe a dire un Giulio Andreotti che di ragioni del potere ne sapeva
qualcosa.
Per
tornare ai più, essi ricusano questa sardonica perla di saggezza proprio per la
difficoltà emotiva che implica il sospettare la deliberata malvagità del
potere.
Lo si
può capire: in prima battuta, per elaborare una teoria della mente altrui, cioè
per interpretare i comportamenti degli altri, ci valiamo della proiezione su di
essi dei nostri sentimenti “umani”, dunque leggiamo il loro comportamento alla
luce delle nostre motivazioni.
“L’altro
non può minare il futuro perché io non lo farei e non lo faccio” (il che è tutto da dimostrare, ma
questo è tema per un altro articolo).
Il
meccanismo della proiezione, se ci pensiamo, è alla radice della nostra
umanizzazione di ogni cosa, del nostro caricarla di significati rendendo il
mondo, altrimenti impervio, un luogo abitabile poiché ricco di senso;
esso, così, diviene un teatro ricco di
materiali di scena atti a realizzare i nostri desideri, e la vita stessa
diventa assai simile a un incarnato “sogno diurno”;
non ci
preoccupi l’amplissima diffusione di questa opinabile procedura, poiché di
fatto non abbiamo altro modo d’accedere alla realtà che attraverso il filtro
della soggettivazione (da porre poi al vaglio dell’esame di realtà), insegnano
psicoanalisi e neuroscienze.
Ci
accade così di conferire, non pensandoci, le coloriture emotive desiderate
persino alla nostra automobile, di attribuire emozioni umane al nostro cucciolo
di cane, e così via.
Ma
quando quest’operazione, che ci aiuta a comunicare con gli altri conferendo una
spesso fittizia intellegibilità alle loro intenzioni, viene utilizzata per
colmare i vuoti affettivi nel comportamento di personalità psicopatiche o
narcisistiche, il “bias”, l’errore affettivo che diviene cognitivo, può essere
pericoloso.
Ben lo
sa ciascuno di noi, che quasi certamente può annoverare, nella sua storia
amorosa, una passione non ricambiata per la narcisista di charme o per lo
spiantato sociopatico di turno.
Perché
“… era vero, lei o lui non ci amavano! Non potevano farlo e si guardavano bene
dal farlo.
Eravamo
noi, a conferirgli afflati emotivi di cui loro nemmeno favoleggiavano
l’esistenza”.
La
prima motivazione, dunque, per aderire alle teorie mainstream che ci impongono
di non credere al male deliberato, è la nostra “bontà”, il “buon cuore”, che
crediamo talmente universali da attribuirne il possesso, quale tratto comune
della specie, anche a chi non ce l’ha.
Una
seconda motivazione, assai tipica della contemporaneità postmoderna, per non
credere alla deliberazione del male che apparentemente traluce dalle decisioni
del potere, è di marca nevrotica, e qui possiamo ricorrere al primo Freud:
“fanciulli”
mai divenuti completamente adulti (la cultura del “The game” descritta dallo
scrittore Alessandro Baricco ci ha allevati come tali), non riusciamo davvero a
“uccidere i nostri genitori” (fuor di metafora, i sistemi di potere con le loro
leggi e istituzioni), non possiamo pensare che essi siano comuni mortali,
dunque anche un po’ stronzi o imperfetti come tutti noi.
Ne teniamo in vita l’irrealistico mito perché
abbiamo bisogno di farlo;
lì
reputiamo buoni e giusti così come li vedevamo da bambini, vuoi perché per noi
all’epoca essi lo erano davvero, vuoi perché la natura ci aveva dotato di un
istinto d’”attaccamento” capace d’enfatizzarne la bellezza in questo modo…
infine,
vuoi perché siamo ancor oggi tanto inermi dinanzi agli imprevisti della Storia
da aver bisogno di un potere che, per quanto ammantato di “soft”, sia
silenziosamente “strong”.
Uno
studio neuroscientifico non recente aveva confrontato due popolazioni di
adolescenti, una appartenente all’occidente talassocratico, l’altra di cultura
africana, sottoponendole alla TAC, e aveva riscontrato come il cervello degli
africani fosse adulto, la corteccia già matura, ben prima in età di quello dei
coetanei occidentali;
il
risultato è opinabile e tutto da discutere, ma forse ci dice qualcosa sulla
natura culturale dell’infantilizzazione di massa cui assistiamo qui da noi.
È un fatto spesso comunemente osservabile,
d’altronde, che i giovani di altre culture meno avvantaggiate siano in genere
più svegli dei nostri poiché giocoforza più scafati.
Qui da
noi non ce la facciamo ad accettare la delusione d’esser figli di divinità
minori, dunque la tragedia della doppiezza di un sistema di potere che grazie
alla sua suadente promessa d’inclusività con chi è resiliente, in realtà erede
perfezionatissima dell’antico sistema del “panem et circenses”, ci ha fatto
finora pensare d’essere la migliore delle madri possibili.
Temiamo la dissidenza molto più di prima, avendo
oramai dimenticato quanto essa fosse all’ordine del giorno per i “boomers” che
ci hanno di poco preceduto nell’Europa contemporanea.
Poiché
di un sistema come il nostro, che come una madre magnanima accoglie e nutre
ogni nostra contraddizione, infantilismo, indeterminatezza e caos, temiamo le
crepe, dalle quali potremmo sgusciare fuori nudi come quegli “ultimi” di cui il
sistema tanto promette d’occuparsi;
da lì
temiamo non sopravvivremmo da soli.
Che
fare da soli, senza esser nella pancia di qualcuno di più grande?
Ognuno interpreti la metafora come crede.
A poco vale ricordare che questo tipo di
madre, pur necessaria all’inizio della vita, quando portato all’estremo sfocia
in ogni mitologia primitiva nella madre che riassorbe il figlio, determinandone
l’involuzione e la morte… cioè l’implosione d’ogni progetto di rinnovamento che
ogni nuovo nato dovrebbe poter portare al mondo.
Comunque
tutti noi, nevrotici, sani o convinti di essere tali, troviamo inspiegabile
l’abisso in cui ci stanno precipitando.
Passiamo
allora dall’incredulità alla dichiarazione della nostra più completa estraneità
a tutto questo:
infine,
sposiamo la tesi di chi spieghi il male nel mondo, oggi la guerra, come il
frutto di qualcosa che nulla ha a che fare con la nostra umanità, il frutto,
cioè, di un’aberrazione.
I
manuali di clinica e diagnostica sembrano, in questo, darci ragione:
i
potenti di cui sui giornali leggiamo dubbie biografie narrate ad arte, che
comicamente prevedono quasi sempre l’hitlerizzazione qualora schierati dalla
parte del nemico, appartengono senz’altro a una categoria di persone speciale,
la cui moralità intesa in senso comune sembra essere discutibile.
La
risposta all’interrogativo “Perché lo fanno?” sembra a questo punto agevolata:
“Perché hanno un “difetto di fabbrica, non sono come noi!”
Per
quanto idiosincratica e difensiva della propria incolumità mentale appaia
questa risposta, essa ha un fondo di verità:
nel
video della Clinton mancano parecchie caratteristiche “tipicamente umane”,
prime fra tutte la pietà, l’identificazione nella vittima, il rispetto della
sacralità della vita e della morte.
Siamo d’accordo, il motto “De mortuis nihil
nisi bonum” è forse un po’ tirato per i capelli qualora lo volessimo applicare
a Gheddafi, ma ne converrete: qualcosa non torna.
Volendo
ricorrere ai tipi umani decritti nei manuali diagnostici vigenti presso la
comunità psichiatrica e psicologica mondiale, il PDM e il DSM, potremmo cercar
di capire quali siano le caratteristiche di un tipo d’uomo insensibile alle
comuni leggi dell’etica e dell’empatia, un tipo d’uomo che l’Ottocento definiva
“affetto da insanità morale” e che oggi chiameremmo “psicopatico” o
“antisociale”.
Si
badi, il fatto che la categoria ottocentesca ci faccia sorridere, dato
l’odierno disuso di parametri quali la moralità per valutare il nostro
comportamento, ci deve far ragionare: siamo fieri del nostro svincolo rispetto
ai valori dati, ma di quale emancipazione siamo i fautori, dove ci sta
portando?
Possiamo
anche interrogarci su quanto i nostri nuovi valori si stiano avvicinando allo
“sdoganamento” di modalità vicine alla psicopatia come quasi approvate
socialmente.
Come
asserisce Nancy Mc Williams, tra le autrici psicodinamiche contemporanee più
lette, molto probabilmente il disturbo di personalità psicopatico è favorito
dai sistemi educativi dell’occidente contemporaneo, che trascurano il bambino
piccolo e lo deprivano delle cure affettive primarie:
la
famiglia nucleare, oggi ancora più esigua in quanto superata dalla mono
genitorialità o da altre formule in cui entrambi i genitori lavorano, non può
non depauperare il bambino delle “energie nobili”, così le chiama lo
psicoanalista Guido Crocetti, che un genitore dovrebbe poter dedicare al suo
bambino piccolo per farne un uomo.
Tra le
fila della psicopatia si annoverano i serial killer più disorganizzati e
psicotici come Richard Chase, che uccideva a caso, smembrava le sue vittime e
ne beveva il sangue convinto che il suo fosse avvelenato.
Ma tra
gli psicopatici figurano anche i “serpenti in giacca e cravatta” studiati da
Babiak e Hare nel 2007, vale a dire manager posizionati ai più alti livelli
nelle aziende americane.
È in
realtà intuitivo, volendo seguire Erich Fromm, come per accedere ai vertici del
potere di società malate come la nostra, basata sull’avere anziché sull’essere,
torni utile una struttura personologica psicopatica:
nessun
sentimento si frappone tra sé le la propria autorealizzazione, nessun problema
insomma, qualora per un posto in parlamento occorra vendere la propria madre.
Il
motto della tipologia passiva è “Chiagne e fotte”, quello della tipologia
aggressiva e di successo è: “Comandare è meglio che far l’amore”.
I due
slogan chiariscono come questa personalità sia imperniata sul suo godimento a
danno degli altri, di come per essa il potere sia tutto.
Eredi
di una storia emotiva assai difficile, negli psicopatici cova in profondità
l’inconsapevole angoscia di essere ancora completamente in balia degli altri,
impotenti di fronte a un destino che può sempre distruggerli a tradimento.
Per
difendersi non possono far altro che assoggettare, asservire, sottomettere, ne
va della loro stessa sopravvivenza psichica.
L’esercizio
del potere e della sopraffazione gli è vitale come l’ossigeno.
In
più, avendo ricusato ogni sentimento grazie a meccanismi di difesa quali la
dissociazione e l’innalzamento delle soglie di risposta agli stimoli, vivendo
in uno stato di profondissima noia di fatto sentono il vuoto, avvertono il
nulla affettivo dentro di sé, temono segretamente di non avere personalità (la
“sindrome dell’impostore” è una delle loro patologie).
Privi
di una guida interiore nel comprendere cosa davvero accada loro mentre fanno
l’esperienza di vivere, vengono a ragione colti dall’angoscia d’essere in balìa
della vita stessa.
La
credenza patogena reattiva relativa a sé stessi diviene allora” posso fare
tutto ciò che voglio”, dice il PDM, mentre quella relativa agli altri è:
“sono tutti egoisti, ti manipolano, sono
spregevoli e incapaci di farsi valere, inconsistenti, e dunque non valgono
niente.
Tocca
allora manipolare per non essere manipolati perché, come recitava il titolo di
un saggio di self help di tanti anni fa, “o si domina o si è dominati”.
Come
ultima indicazione per destreggiarsi rispetto ad essi, ricorderò che non hanno
i sentimenti.
Non
attribuite loro la tenerezza che magari provate, non immaginate che provino
tristezza, preoccupazione, amore, dedizione, amicizia, lealtà;
semplicemente
non sanno cosa siano.
Risultano
talora estremamente seduttivi perché, quando dotati di buon QI, fanno come
Hannibal Lecter ne “Il silenzio degli innocenti”;
lui divenne psichiatra per capire come gli
altri provassero perché non poteva saperlo, non provando alcunché.
Molti
psicopatici studiano “da fuori” il funzionamento degli altri e lo imitano a perfezione;
ma
cosa accada a sé stessi e agli altri “da dentro” rimane per loro un mistero.
Se
applicate ad essi parametri umani fallirete.
Per
creare un legame, invece, conta l’esercizio del potere:
dimostrate
d’averne più di loro e otterrete, per quanto durerà, il loro rispetto.
Una
nota di profondissima comprensione di questa patologia, che conduce l’uomo alla
distruttività e alla necrofilia nei casi più gravi, viene da Erich Fromm nel
saggio “Anatomia della distruttività umana” (1975).
Egli
ci ricorda come questo carattere pervenga alla soluzione distruttiva perché
impossibilitato a una creatività produttiva;
plasmato,
cioè, da un contesto famigliare dapprima, sociale poi, che lo coarta, esso
perviene all’impossibilità di fare qualcosa che per qualunque essere umano è
essenziale, dare un senso alla sua vita, cambiare il mondo con il proprio
passaggio.
Le sue
passioni, ancorché distruttive come quelle di vendetta, di odio, di
sopraffazione, lo trasformano da semplice “cosa” in “eroe”, sono “il tentativo
umano di dare un senso alla vita e di sperimentare l’optimum di intensità e di
forza che egli può raggiungere in determinate circostanze.
Esse
sono la sua religione, il suo culto, il suo rituale. Un cambiamento di
personalità gli è possibile soltanto se è in grado di “convertirsi”:
di
trovare cioè un modo nuovo di dare un senso all’esistenza, mobilitando le
passioni che incoraggiano la vita, sperimentando così un senso di vitalità e
integrazione superiori a quelli che aveva prima.
Altrimenti
potrà essere addomesticato, ma mai guarito”.
Senza
dunque giustificarlo, potremo con Fromm cominciare a vedere nello psicopatico
un uomo che ha preso la strada sbagliata nella sua ricerca della salvezza, e
potremo ancor meglio gustare il senso di questo termine riandando, come fa
Fromm, alla sua etimologia.
“Salvezza
deriva dalla radice latina sal, “sale”.
Il
significato deriva dal fatto che il sale protegge la carne dalla
decomposizione; “salvezza” è la protezione dell’uomo dalla decomposizione.
In questo senso (in un senso non teologico)
ciascun uomo ha bisogno della salvezza”.
Capire
questo può essere un primo passo per cominciare a porre un rimedio, che passa
per una radicale riforma valoriale, culturale, di prassi che non può che
attraversare la conoscenza profonda della psiche umana.
Il
quadro sublime offerto dallo scrittore Albert Camus nel suo dramma “Caligola”
ci permetterà di ricordare al meglio lo psicopatico.
Caligola:
“Io non sono matto. Anzi, non sono mai stato così lucido. Ho provato
semplicemente un’improvvisa sete di impossibile.
Le
cose, così come sono, non mi sembrano di tutto riposo.
Perciò ho bisogno della luna, o della
felicità, o dell’immortalità: di qualche cosa, poniamo, di pazzesco, purché non
sia di questo mondo.
L’impossibile: proprio di questo si tratta.
O
meglio, si tratta di rendere possibile ciò che non lo è.
A che
mi giova la mano ferma, a che mi serve questo stupendo potere se non posso far
tramontare il sole a levante e diminuire il dolore; far che non muoiano i
vivi?”
Cesonia:
“Ma è voler uguagliare gli dei, questo. Non conosco una peggior pazzia.”
Caligola:
“Voglio
mischiare il cielo col mare; confondere la bruttezza e la bellezza; far
zampillare il riso dalla pena.”
Cesonia:
“C’è il buono e il cattivo, il grande e il meschino, il giusto e l’ingiusto: è
una legge che nessuno cambierà mai. “
Caligola:
“Io la cambierò! Farò a questo secolo il dono dell’equivalenza.
E quando tutto sarà purificato, e
l’impossibile sulla terra, e la luna nelle mie mani, allora, forse, anch’io
sarò trasformato, e il mondo con me e gli uomini non moriranno e saranno
felici”.
PSICOPATICI
AL POTERE PLASMANO
LA
“SOCIETA’ DELLA MALEVOLENZA”
Maurizioblondet.it
- Maurizio Blondet – (9 Marzo 2021) – ci dice:
A
proposito di Steve Jobs:
il
fondatore di Apple, idolo del successo e indicato a modello ai giovani
intraprendenti.
Molti
dei suoi sottoposti hanno ammesso che “lavorare con lui era un inferno”;
Jobs si faceva cogliere da rabbie
incoercibili, insultava, “de-motivava”.
Quando
si era convocati nel suo ufficio, “era come salire alla ghigliottina”.
Chi lo ha conosciuto ha parlato di lui come di “uno stronzo”
(asshole), un maleducato insopportabile (jerk).
Uno
dei suoi migliori amici, Jony Ive che ha lavorato al suo fianco, ha raccontato
a Business Insider:
“Quando
era frustrato, il suo modo di arrivare alla catarsi era di ferire qualcuno.
Pensando di averne diritto.
Come
se le norme sociali non si applicassero a lui”.
(businessinsider.com/steve-jobs-jerk-2011-10?IR=T)
Quelli
qui evocati sono tratti di vera e propria psicopatia, un “disturbo antisociale
di personalità”, o un “disturbo narcisista di personalità”.
Ferire, svalutare, spregiare i sottoposti, fa parte dei
tratti principale di questo tipo di disturbati:
la totale mancanza di empatia e di
compassione, ossia di mettersi nei panni degli altri e l’incapacità di avere
rimorso per il male che fanno al prossimo.
“Volete
davvero essere come lui? “
Nelle
forme più gravi e conclamate, questi tipi umani finiscono in manicomio o in
prigione.
Esiste infatti “una naturale affinità tra il
narcisista patologico e il criminale “ (così il dottor Sam Vaknin, un esperto
delle psicologie aziendali), uniti dalla stessa “mancanza di empatia e
compassione, capacità sociali deficienti, sprezzo per le norme morali e
legali”.
Ma
nelle forme attenuate, certe psicopatie rendono chi ne è affetto altamente
“funzionante”, e lo portano – paradossalmente, al successo in aziende multinazionali
e a capo di Stati (o di chiese).
La
maggior parte degli studi psichiatrici riguardano infatti dei carcerati.
“I detenuti sono facili, amano incontrare i
ricercatori, ciò interrompe la monotonia delle loro giornate”, racconta lo
psichiatra Robert Hare:
“Sappiamo molto meno sulle psicopatie
aziendali e le loro conseguenze: gli amministratori delegati, i politici, i
ministri – questi squali – mica si
fanno esaminare”.
Robert
Hare, con il collega Paul Babiak, ha condotto uno dei rarissimi studi sul tema:
(P.
Babiak, C.S. Neumann, R.D. Hare, “Corporate psychopathy: Talking the walk,”
Behavioural Sciences and the Law, at et al 2010.pdf.)
Entrambi
sono d’accordo: alla testa delle grandi aziende e delle finanziarie, gli
psicopatici sono uno su venti, ossia 4 su cento:
se vi
sembra poco, pensate che è un’incidenza quattro volte superiore ai disturbati
nella popolazione generale. Secondo loro, “Wall Street potrebbe contarne uno su
10, attirati dai vuoti normativi che consentono grossi profitti”.
Vediamo
dunque l’identikit che Hare fa di questi potenti:
“Un
fascino superficiale, un ego senza limiti, menzogna patologica, astuzia fredda
e calcolata per raggiungere la preda.
Spesso impulsivi e irresponsabili, mostrano
assenza di empatia e mancano di senso di colpa, non hanno rimorsi.
La
loro pericolosità è accentuata da altri caratteri, come la polivalenza
criminale e una marcata capacità di manipolare [cioè soggiogare la volontà
altrui], ingannare e controllare”.
Sono i
caratteri, diciamo, di un gangster di successo, di Al Capone che si è fatto la
banda, ha la Chicago ufficiale ai suoi piedi, e poi finisce in galera.
“Sono
i tratti che permettono agli psicopatici di ascendere a posizioni di vertice di
potere e d’influenza. Al potere assoluto” nelle grandi imprese o
organizzazioni.
Che
suscitano espressioni come “Quel bastardo! Bravo però…ma che stronzo”.
La
cosa non stupisce il professor Joel Bakan, docente di diritto all’università
della Colombia Britannica (Canada) che ha contribuito ad uno studio dal
titolo “Do Psychopats run the
World?”, gli psicopatici comandano il
mondo?
(newdawnmagazine.com/articles/do-psychopaths-run-the-world)
Cosa
c’entra un docente di legge nella questione delle psicopatie?
C’entra, se ascoltate quel che ha da dire il
giurista.
“Anche se per lo più alla testa di
imprese ci sono persone morali, è anche vero che i dirigenti devono anzitutto
servire gli interessi dell’impressa che guidano. Gestiscono soldi che non sono
i loro: non possono usarli per guarire malati…”.
Dunque?
“Nel mondo dell’impresa, le persone buone sono incoraggiate a comportarsi male.
Dopotutto la società, come la personalità
psicopatica che le somiglia, è programmata per sfruttare il prossimo a fini di
lucro”.
Harvard
sforna psicopatici?
Ciò
vale per la Società per Azioni, come per la società odierna in genere.
Darrel
West della Brooking Institution, ad esempio, ha sottolineato la responsabilità
proprio delle facoltà di diritto e di
business administration – dalle quali
escono i futuri capi d’impresa,
speculatori di Wall Street e amministratori delegati di multinazionali
quotate – nel formare (o attrarre)
psicopatici di potere.
Lì, ha
spiegato West, inchiodano nella testa degli studenti il concetto che Milton
Friedman, l’economista del liberismo totale, scrisse nel 1970:
“Massimizzare il valore per gli azionisti è la
sola responsabilità di un’azienda –
La
sola responsabilità sociale dell’impresa è massimizzare i profitti.
Alla
fine degli studi, i neo-laureati – lo vediamo dai questionari che gli sottoponiamo – vedono
l’interesse dell’azionariato come
l’obbiettivo sociale più importante”.
Ciò è
aggravato, riconosce lo studioso, dal fatto che proprio le scuole più
prestigiose che danno i più pregiati masters in business administration
[gestione aziendale, ragioneria,
economia e commercio da noi] non hanno corsi distinti “che forniscano delle concezioni generali sul
compito dell’impresa nella società”, sono
scuole che insegnano tecniche.
E
rendono indifferenti alla morale.
Fatto
su cui riflettere.
Per secoli, fino a ieri anche nel mondo
britannico, le scuole che preparavano
classi dirigenti ad assumere le
posizioni di potere, erano scuole classiche: Eton, Oxford… corsi umanistici,
dove si insegnavano latino e greco, storia greca e romana, storia della
filosofia, e nessuna “tecnica di gestione”; quelle le
imparavano durante la carriera.
Oggi è l’ideologia di Friedman che ha conformato
dirigenti di multinazionali e leader d’opinione, educandoli alla mancanza di
responsabilità verso gli altri.
Lo
psicopatico “finge l’azione morale per servirsene come strumento per manipolare
gli altri”;
allo stesso modo, il “bastardo” di successo,
fa profitti senza scrupoli ed è “motivato dalla giustificazione morale che la
sua cultura-ambiente gli mette a disposizione”, dice Hare: criminali in
colletto bianco.
Eh sì.
Essi
“Prosperano perché i caratteri che definiscono il loro disordine psichico sono
in realtà valorizzati”.
Quando i grandi speculatori vengono beccati a
delinquere, specie nel mondo bancario-finanziario, “cosa gli si fa?
Un buffetto sulla mano, una interdizione ad
operare in Borsa di sei mesi, una multa…”, sospira lo psichiatra.
A
questo punto è difficile distinguere un “bastardo” deliberato da uno
psicopatico.
Entrambi
sono motivati dalla giustificazione morale che traggono dal loro ambiente.
“Ciò
significa la capacità di un sistema psicopatico di conformare la propria classe
dirigente”, riflette Nick Parkins, filosofo.
Una
sinistra riprova è proprio nel raro studio di Hare e Babiak sui disturbati che
hanno raggiunto il vertice delle carriere.
Benché
essi siano oggettivamente gestori di scarsa qualità, con poco spirito di equipe
e ricevano valutazioni di prestazioni cattive dai dipendenti (come è logico:
sono malati mentali, mica sanno lavorare bene), proprio coloro che hanno alti
“punteggi” clinici come psicopatici sono portati in palmo di mano dai loro
superiori immediati come “creativi e innovatori, buoni comunicatori e pensatori
strategici”.
Un
equivoco tragico che però si spiega: chi ha questi disturbi di personalità “ha
la comunicazione, la persuasione, le competenze di relazioni interpersonali per
sormontare tutte le “cadute” nella loro carriera”.
“In
certe imprese i quadri psicopatici sono considerati come aventi capacità di
leadership, a dispetto del rendimento
cattivo e delle note sfavorevoli dei
subordinati”, dice Babiak.
E’ da gran tempo noto agli psichiatri che gli psicopatici di questo genere hanno una
grande competenza a manipolare i decisori:
“una infallibile capacità dello psicopatico di
cercare e privilegiare le relazioni con i più alti in autorità, e mostrano una
formidabile abilità a influenzarle” (Dennis Doren,” Understanding and Treating the
Psychopath”, Wile, 1987).
Hanno
una qualità da camaleonti di imitare il
loro ambiente leggendo e influenzando i superiori con l’arte dell’inganno, con
l’auto-promozione o a sottile
persuasione.
Del
resto anche sui social media, gli individui che avevano ottenuto un alto
punteggio nei test di personalità narcisistica “avevano più amici su Facebook”,
ovviamente, perché “aggiornavano più regolarmente il loro profilo”,
con molte foto di se stessi .
(D. Pearse, “Facebook’s dark side:
study finds link to socially aggressive narcissism,” The Guardian, 17 March
2012).
Un esempio di quella loro speciale
“competenza”.
A
guardare la storia, ci si accorge che John D. Rockefeller, famoso magnate del petrolio
e “robber baron”, capace di rovinare senza il minimo scrupolo i concorrenti,
che proclamava (religiosissimo):
“Il mio denaro me l’ha dato Dio”, aveva tratti
di personalità psicopatica.
E così Mayer Rotschild e J.P. Morgan, famosi
banchieri d’affari ammirati sulla scena finanziaria che hanno anche seminato
attorno a loro distruzione e sofferenze.
Questi
personaggi hanno trovato nell’ambiente americano e nelle sue “libertà” e
“individualismo” il posto ideale per fiorire:
nello
stesso tempo, hanno conformato il modo di pensare americano per cui, poniamo, i
poveri lo sono per colpa loro, sono immeritevoli di sostegno.
Oggi
trionfa in Usa una ideologia che non riconosce sé stessa, che in mancanza di
meglio chiameremo “cattivismo”.
Si va
da Hillary Clinton che ridacchia per
l’uccisione di Gheddafi (“Veni, vidi, e lui morì”) o chiede “se non c’è un drone per ammazzare
Assange”, alla Nuland di “fuck Europe”, al senatore McCain che se la intende
coi più sanguinari terroristi in Siria e instancabilmente cerca la guerra
con la Russia, fino ai direttori della Cia che minacciano apertamente di far
uccidere questo e quello;
senza dimenticare Obama che ha ammazzato
centinaia di esseri umani nel mondo,
scegliendoli da liste presentategli dai servizi, in esecuzioni extragiudiziali con droni.
“Delizioso
rovinare la gente”.
A Wall
Street e nel mondo degli affari questo
sentimento è coltivato con godimento.
“L’idea
di rovinare la gente è semplicemente deliziosa: niente di personale, è
alimentare.
Il
potere è tutto ciò che mi ha veramente interessato nella vita – il potere
distruttore, la conoscenza, l’influenza invisibile”:
così ha confessato una donna di successo, che
ha descritto la sua malattia – di cui è diventata consapevole – sotto lo pseudonimo di M.E: Thomas,
“Confessioni di una sociopatica. Viaggio nella mente di una manipolatrice” (pubblicato in Italia da Marsilio,
2013).
Ma che
il cattivismo, traversato l’Atlantico, sia diventato l’ideologia delle oligarchie
dominanti anche in Europa, bastano a dimostrarlo certe affermazioni di Mario
Monti (“Stiamo efficacemente distruggendo la domanda interna, mai sprecare una
bella crisi”), o le note parole di Tommaso Padoa Schioppa sul vero senso delle
“riforme” imposte della UE:
“Nell’Europa
continentale, un programma completo di riforme strutturali […] delle pensioni, della sanità, del mercato del
lavoro, della scuola…, dev’essere guidato da un unico principio:
attenuare quel diaframma di protezioni che nel
corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal
contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la
sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità “.
Per
non parlare della brutale assenza di compassione che Berlino e Bruxelles usano
contro i Greci.
Così l’intera “civiltà” occidentale è arrivata
al punto descritto dal saggista Michael Ellner:
“Proviamo solo a guardarci. Tutto va a
rovescio. I medici distruggono la salute, gli avvocati distruggono la
giustizia, le università distruggono il sapere, i governi distruggono la
libertà, i media più influenti distruggono l’informazione e le religioni
distruggono la spiritualità» [vedi Bergoglio, vedi il wahabismo,ndr.]
Aggiungiamo
a questo mondo a rovescio il connotato più agghiacciante:
la
pedofilia.
Vizio
occultato delle più alte élites, da JimmY Savile l’uomo di spettacolo della BBC
(oggi defunto) che ha stuprato bambini e financo cadaveri, e condotto rituali
satanici, mentre i suoi superiori chiudevano gli occhi, fino al recente e
soppresso scandalo Pizza gate, nell’ambiente massimamente “cattivista” dei
fratelli Podestà e del Comet Pingpong.
Perché
certo in quegli atti, potenti che si sanno impunibili e se ne infischiano delle
norme penali godono della “delizia di rovinare gente”.
C’è
dunque “una malevolenza sistemica nascosta nella società” che
seleziona gli psicopatici per i vertici del potere e viene conformata dagli psicopatici?
Dove “la psicopatia funziona in quanto parte
integrante del sistema” e gli psicopatici sono adorati e imitati dalle masse
per i loro successi?
Se lo
domanda il filosofo Nick Parkins. Il
quale conclude: “Di colpo, il termine psicopatia non sembra più sufficiente”.
Già.
Forse è per tranquillizzarci che diamo nomi clinici a realtà che vengono da
regioni più oscure e abissali;
forse
questa società in cui si praticano libertà scandalosamente senza limiti, si è
consegnata volontariamente all’Anomos.
Il Cattivista per eccellenza.
Il Narcisista primario, colui che proclamò, in
una notte senza tempo:
“Non serviam”.
(newdawnmagazine.com/articles/do-psychopaths-run-the-world)
Elon
Musk
imbarazzante:
dipendenti
SpaceX scrivono
lettera,
l'azienda li licenzia.
Hdblog.it
– Redazione – (17 Giugno 2022) – ci dice:
I
dipendenti di “SpaceX “hanno sottoscritto una lettera in cui si accusa il CEO
Elon Musk di non essere all'altezza del suo ruolo.
Il motivo di questa presa di posizione da
parte di una folta rappresentanza di lavoratori è duplice:
da una
parte le accuse di molestie sessuali emerse meno di un mese fa che
riguarderebbero un episodio del 2016, dall'altro i continui tweet fuori luogo pubblicati
dallo stesso Musk sulla (quasi sua) piattaforma social.
MUSK
IMBARAZZANTE.
La
lettera aperta di denuncia è stata condivisa su Teams internamente all'azienda,
ed ha raccolto una vasta approvazione trasversale:
anche i commenti sono pressoché tutti contro
il CEO, accusato di influenzare negativamente la reputazione di SpaceX.
"Il comportamento di Elon in pubblico è
una frequente fonte di distrazione e imbarazzo per noi", si legge.
"Ogni tweet che Elon pubblica è una
dichiarazione pubblica de facto dell'azienda. [...] I suoi messaggi non
riflettono il nostro lavoro, la nostra missione o i nostri valori".
Sono
tre le azioni che la missiva promuove:
condannare
pubblicamente il comportamento dannoso di Elon su Twitter;
considerare
tutti i manager ugualmente responsabili per i comportamenti scorretti.
Definire
con chiarezza cosa si intende per tolleranza zero in SpaceX.
SpaceX deve separarsi rapidamente ed esplicitamente
dal marchio personale di Elon.
LEADERSHIP
A RISCHIO.
E
tutto questo dopo che l'azienda si è trovata costretta a respingere le accuse
di molestie, definendole "false".
La
presidente di “SpaceX”, Gwynne Shotwell, si è esposta a difesa di Musk in una
mail inviata ai dipendenti, ma questo sembra non aver convinto i lavoratori che,
anzi, hanno alzato la posta in gioco mettendo in discussione la leadership del
loro principale.
Musk
ci ha scherzato sopra, ovviamente su Twitter.
A
questo si aggiungono altri fatti che stanno emergendo in questi giorni: diversi ex dipendenti avrebbero infatti denunciato in modo
informale “SpaceX”, accusandola di non aver gestito in passato in modo corretto
i reclami per molestie sessuali.
La
lettera termina con una domanda provocatoria:
La
cultura che stiamo promuovendo ora è quella che miriamo a portare su Marte e
oltre?
AMARO
EPILOGO.
L'attivismo
esagerato, così come definito dalla Presidente Shotwell, ha portato a serie
conseguenze.
SpaceX
ha infatti licenziato i dipendenti che hanno scritto la lettera contro Musk,
accusandoli tra le altre cose di aver costretto i colleghi a firmarla
"mettendoli a disagio".
Abbiamo troppo lavoro critico da portare a
termine e non c'è bisogno di questo tipo di attivismo smisurato. [...]
Abbiamo 3 lanci entro 37 ore per i satelliti
questo fine settimana, dobbiamo supportare gli astronauti che abbiamo portato
sulla ISS e riportare indietro il cargo Dragon pronto per il volo e, dopo aver
ricevuto l'approvazione ambientale all'inizio di questa settimana, siamo vicini
al primo tentativo di lancio orbitale di Starship.
Usa il tuo tempo al lavoro per fare del tuo
meglio [e non per scrivere lettere, ndr].
Ecco
come arriveremo su Marte.
GUIDA
AL “PD” PER SMETTERE
DI
FARE SCHIFO.
Thevision.com
- MATTEO LENARDON – (9 SETTEMBRE 2019) – ci dice:
Il PD,
per usare un’espressione da laureato in marketing allo IULM, è un “brand
tossico”.
E
questa percezione, a differenza di una laurea allo IULM, in Italia vale
qualcosa.
Quando
pensi al Partito Democratico la prima cosa che ti viene in mente è la parola
odio.
L’odio
che la gente prova quando pensa al partito fondato da Prodi.
Il problema è però riuscire a determinare se a
pensarlo è qualcuno che vota PD oppure no.
12
dicembre 2016. Ricordatevi questa data perché è il giorno esatto in cui Matteo
Salvini si è preso l’Italia.
Ma di questo vi parlerò più avanti.
È anche la data dell’insediamento del Governo
Gentiloni e di Minniti come ministro dell’Interno, ovvero il momento in cui,
dopo 3 anni di propaganda politico-mediatica – quella descritta nel primo
episodio di “Con una matita” – il Partito Democratico si arrende alla
narrazione dei populisti a proposito della Grande Invasione degli Immigrati e
decide di fare qualcosa.
Questo
è il primo – e il più importante – sbaglio che poteva fare un partito progressista.
Ovvero
decidere che il miglior modo per attaccare i propri avversari possa essere
quello di offrire una versione leggermente meno effervescente, ma
fondamentalmente indistinguibile, della stessa cosa.
Se la
Lega aveva inventato la Coca-Cola, il PD aveva deciso di vendere la Pepsi.
A fine
2016 il PD è sotto il 30%, superato dal M5S.
Ma è
la Lega di Salvini, al 14%, il partito che cresce più velocemente.
Tutta
l’opposizione al governo ha deciso da tempo che il problema più pressante in
Italia sono i migranti e le ONG che li salvano in mare.
Da lì
a poco Di Maio dirà infatti che ci sono i sospetti che i trafficanti…
DI
MAIO “…ma
se ci sono invece i sospetti che i trafficanti neanche devono attraversare le
acque libiche perché li mettono direttamente sulle navi delle ONG, allora il
nostro dovere è andare a capire chi stiamo salvando e chi stiamo traghettando
con un taxi del Mediterraneo.”
“Taxi
del mediterraneo” è come descriverebbe sé stesso un drone di Amazon che è
appena diventato senziente.
Immaginatelo
avere un’epifania esistenziale mentre plana sopra Altamura trasportando una
pentola a pressione elettrica.
E per pietà lo abbatteremmo prima che possa
ricordare troppo.
Di
Maio ha scelto questa espressione per descrivere delle persone che salvano
altri esseri umani dall’affogare.
E per
“Di Maio” intendo quella manciata di incel — inevitabilmente sono sempre tutti
uomini — che gli gestiscono la comunicazione.
Eppure
il termine ha avuto uno straordinario effetto su quella parte di elettorato che
prende i virus giocando al Fantacalcio con Excel.
Nonostante
tutte le indagini aperte sulle ONG siano state archiviate, ancora oggi questa
definizione è rimasta nella coscienza collettiva.
Il PD
avrebbe dovuto almeno provare a disinnescare questa narrazione costruita su
gigantesche stronzate.
Avrebbe
potuto attaccare la strategia di creare un nemico a cui dare la colpa per tutti
i propri fallimenti politici.
Avrebbe
potuto svelare il trucco. Invece ha risposto così:
RENZI
“…abbiamo sicuramente oggi iniziato a bloccare gli sbarchi. Non c’è divisione
dentro il PD su questa cosa. Non c’è divisione.”
Matteo,
siamo contenti di scoprire che la sofferenza degli altri è la sola cosa che
mette d’accordo i dirigenti del PD.
Le uniche altre persone che possono dirlo con
orgoglio sono Thanos e i dipendenti di Ryanair.
Un
partito così ossessionato dal ritornare a quel fatidico 40% delle Europee che,
pur di non perdere altri voti, decide di accodarsi alla narrazione
sull’invasione dei migranti pretendendo, pure, di raccontare agli italiani di
poter essere più efficienti di Salvini nel risolvere il “problema”.
Se
l’idraulico ci provasse con le loro mogli, la strategia che userebbero per
fermarlo sarebbe quella di aggiustare un rubinetto meglio di lui.
La
volontà di clonare Salvini diventa così surreale che, a un certo punto,
sentiamo Renzi letteralmente dire che è arrivato il tempo di aiutarli a casa
loro:
RENZI
“…la sostanza è aiutarli davvero a casa loro, nei paesi d’origine…”
Un’affermazione
che allo stesso tempo appare patetica nel suo disperato tentativo di risultare
popolare, e angosciante per il suo contenuto.
È come se la carriera di Francesco Facchinetti
e un libro di Fabio Volo avessero cercato di convincerti ad accettare un invito
su LinkedIn.
Un’uscita
che costringe pure i colleghi di partito a difese goffe e involontariamente
esilaranti. Come accaduto per l’allora primo Ministro Gentiloni, costretto a
dire che è una cosa…
GENTILONI
“…è una cosa che se uno la vuole leggere in modo onesto è assolutamente
ragionevole.”
E il
sindaco di Milano Beppe Sala, che proclama che poi in sé…
SALA
“…poi in sé non è certo sbagliato che bisogna aiutarli a casa loro.”
Ma di
cosa stanno parlando?
Sembra
stiano rassicurando la madre di un amico che ha appena visto sulle stories
Instagram la foto del cazzo del figlio.
No,
Beppe, non è uno sbaglio che diventa un’opportunità “monetizzabile” perché il
mondo del lavoro oggi premia la trasparenza.
Ho
sempre trovato curioso come il primo, e di gran lunga più diffuso, consiglio
che i partiti di sinistra ricevono quando sono in difficoltà sia sempre quello
di copiare i partiti di destra.
Curiosamente
questo è un consiglio che ricevono solo i partiti progressisti.
Quando
la Lega a malapena superava lo sbarramento del 4% alle elezioni – e non
parliamo di una situazione di qualche mese, ma di anni – a nessuno è mai venuto
in mente di consigliare a Salvini di cominciare ad abbracciare uomini neri al
rallentatore nei campi di grano.
Ma è
proprio questa la soluzione che i cosiddetti esperti di comunicazione di
sinistra esprimono sempre, nei loro editoriali o in televisione, per risolvere
i problemi di popolarità dei partiti progressisti.
Il
vice-direttore dell’Huffington Post, Alessandro De Angelis, ci dice così che
cioè tu, sinistra…
ALESSANDRO
DE ANGELIS “…cioè, tu, sinistra, devi dire che non si possono continuare a
mettere i ROM solo nelle periferie, ma vanno portati ai Parioli.
E quando governi lo devi fare.
Cioè
devi rientrare in contatto con il popolo.
Con il
suo linguaggio. Con le sue emozioni. Con le sue paure.”
O
Chiara Geloni, ex direttrice di YouDem, la tv del PD voluta da Bersani,
convinta che Salvini è uno che ci difende…
GELONI
“Salvini è uno che ci difende. Cosa vuol dire? Da cosa? Dalla paura.
Nel
caso di Salvini diventa paura dello straniero, di quello che viene da fuori e
ti porta via quello che hai.
Ma la
paura nasce da una reale sensazione di insicurezza.”
Ora,
so quello che molti di voi si staranno chiedendo:
è esistita una tv del PD e si chiamava YouDem?
Sono
sorpreso come voi che non abbia funzionato, ma non che lo stipendio che il PD
le versava fosse di 6mila euro al mese e che lo stesso sia stato definito dalla
Geloni – e cito – “nella media dei miei colleghi giornalisti”.
Non so
in quale mondo la Geloni viva per considerarlo uno stipendio medio, forse uno
di quelli visitati dalle astronavi di Star Trek che servono a raccontare
parabole utopistiche.
Tipo
una dimensione parallela in cui il sesso maschile non esiste, le persone
comunicano solo attraverso le emozioni, e le canzoni di Calcutta hanno senso.
Ho
l’impressione che molti commentatori mainstream di sinistra sviluppino la loro
opinione “del popolo” sui Frecciarossa Milano-Roma quando sbagliano vagone e
devono scansare il proletariato a gomitate per raggiungere “l’area silenzio” in
business.
Hanno
la stessa visione delle periferie che un dodicenne ha del sesso.
Hanno
visto una volta un porno e ora sono convinti che le donne raggiungano l’orgasmo
solo se hanno la testa incastrata sotto l’asse del gabinetto.
E la
cosa ironica è che dicendo così non stanno dimostrando una vicinanza al popolo,
ma il loro disgusto e astio.
Sono
convinti che il ceto popolare sia solo una massa stupida e ignorante capace
esclusivamente di odiare tutti quelli diversi da sé.
Permettetemi
di offrire le mie impressioni da uomo cresciuto in una casa popolare nella
periferia milanese che confina a nord con un’Ikea ed è bagnata a sud da un “Mondo
Convenienza”.
Non
solo ho tastato il polso del “Paese reale”, ma ho pestato la merda dei loro
dobermann.
Sono
figlio di uno di quei posti in cui tutti i cani si chiamano Tyson, e quindi
l’unico modo per distinguerli è con i numeri dopo il nome, come le fiction di
Raoul Bova su Canale 5.
Un
luogo in cui il riso dei bambini e il cinguettio degli uccellini è interrotto
solo da gente che urla “Hey Tyson 5, smettila di mangiare quel bambino e quegli
uccellini”.
Quindi
non voglio sentire dei ricchi giornalisti televisivi, cioè i principali
sostenitori della narrazione artificiale sull’invasione degli immigrati e
l’inesistente collegamento con un aumento della criminalità che in realtà
scende da 10 anni, su che cazzo pensano le periferie.
Se la
gente è convinta che le ONG trasportino 50 Scarface alla volta è perché
qualcuno glielo racconta ogni giorno da 5 anni.
La
soluzione non è abbracciare con condiscendenza il pregiudizio delle periferie,
ma smettere di raccontare loro stronzate.
Lo so.
È complesso, e all’apparenza sembra impossibile.
Ma
anche fare la pipì indossando delle salopette lo è, e se le donne ci riescono
allora anche la sinistra può parlare di immigrazione senza sembrare composta da
tanti Borghezio con una libreria di saggi Adelphi ordinati per colore.
Invece
il Partito Democratico non solo ha praticamente la stessa posizione di Lega e
Fratelli d’Italia sull’immigrazione, ma ha scelto, ormai da anni di combattere
Salvini dicendo di essere più salviniani di lui.
Abbiamo
Debora Serracchiani, vice-presidente del PD, che dice che gli stupri commessi
dagli stranieri sono più “odiosi” e “attacca” Salvini lamentandosi che non ci
siano ancora stati i rimpatri di massa.
Oppure
abbiamo il sindaco di Firenze Dario Nardella che si vanta di come le ruspe le
utilizziamo…
NARDELLA
“Le ruspe le utilizziamo davvero, non per la campagna elettorale.
Le utilizziamo per demolire le strutture nei
campi nomadi che non sono regolari. Abbiamo fatto con il prefetto e le forze
dell’ordine a Firenze 11 sgomberi in 1 anno — più di 800 persone.
Perché
c’è una immigrazione regolare, ma c’è anche un’immigrazione irregolare,
clandestina, che è alla base di criminalità che va combattuta.”
Sentite
l’eccitazione e l’orgoglio di Nardella mentre parla di sgomberi, di immigrati
che sono addirittura alla base della criminalità e di radere al suolo le case
dei rom.
Non
solo suona come quello che un barile di Zyklon B cercherebbe su Porn Hub per
masturbarsi, ma a quanto pare è qualcosa che un sindaco di un partito
progressista può pronunciare in tv senza
ripercussioni sulla sua credibilità.
L’idea
che questo possa essere il modo per battere Salvini non solo è profondamente
angosciante, è anche un boomerang.
Questa
assurda strategia è infatti il principale motivo che ha portato un’esplosione
di consensi verso la Lega.
È la
teoria del “non posso essere omofobo solo perché ho detto su Twitter che il
Pride meriterebbe una colata di Napalm, il mio parrucchiere è gay”, ma
applicata alla politica nazionale.
La
battaglia della Lega contro l’immigrazione non è razzista e non è una falsa
narrazione basata su dati inesistenti, perché anche la sinistra, che ha
storicamente spinto per l’accoglienza, pensa la stessa cosa.
Il
problema è che mentre chi usa questa difesa a livello personale risulta
ridicolo quando lo fa in politica si rivela efficace.
È
quello che hanno dimostrato due politologi del dipartimento di Scienze
Politiche dell’Università di Goteborg, in uno studio dal titolo “Una scommessa persa. Come i partiti
mainstream facilitano il successo dei partiti anti-immigrati”.
Carl
Dahlström e Anders Sundell hanno decostruito a livello molecolare, dalle
elezioni nazionali fino a quelle locali, la situazione politica in Svezia e
hanno notato una cosa molto interessante:
più i
partiti di sinistra si indurivano sull’immigrazione per cercare di portare via
voti alla destra populista e più quest’ultima saliva nei sondaggi.
E ottenevano risultati migliori alle urne.
La
spiegazione che danno i due politologi è semplice: i partiti populisti vengono
normalizzati e legittimati dalla sinistra mainstream che decide di sposare le
loro posizioni.
È così
che il PD ha creato l’unico pull-factor osservabile realmente in Italia:
quello che ha traghettato gli elettori a votare
Lega.
Ricordate
Minniti, no?
Quella
specie di Claudio Bisio dodici giorni dopo la data di scadenza – lui è stato il
primo a criminalizzare le ONG con il “codice di condotta” ed è stato il più
grande regalo, la vera risorsa di Salvini.
Il suo
arrivo avrebbe dovuto essere un modo per appropriarsi di una battaglia di
destra, ma ha permesso alla propaganda sovranista di avere il bollino di
approvazione della sinistra.
Salvini
ha usato Minniti e il PD esattamente come discusso nello studio svedese, per
legittimare sé stesso e la sua battaglia.
A
Salvini è bastato concedere che la sinistra si fosse “finalmente” svegliata, e
dire agli elettori che adesso avrebbe fatto vedere loro come si fa a combattere
veramente l’immigrazione, per guadagnare i 34 punti percentuali degli ultimi
anni.
Questo
utilizzo di Minniti è talmente esplicito che il leader della Lega si è
complimentato con il suo predecessore, confermando che è stato fatto anche un…
SALVINI
“È stato fatto anche un discreto lavoro dal Ministro che mi ha preceduto
(Minniti).
E
quindi noi, ovviamente, non smonteremo nulla di quello che di positivo è stato
fatto.
Semplicemente lavorerò per rendere ancora più
efficace le politiche di controllo, di allontanamento, di espulsione.”
Finalmente
abbiamo trovato l’irraggiungibile “amico nero” che hanno tutti i razzisti, ed è
il Partito Democratico.
La
convinzione da parte del PD che per battere i populisti sia necessario
diventare come loro, è legata all’idea che l’empatia sia una gaffe politica da
evitare in ogni modo per non perdere l’elettorato nell’entroterra Veneto che
aspetta “Ciao Darwin” e la morte per asfissia erotica.
Una
convinzione che ha preso piede da quando buonista e radical chic sono entrati
nella grammatica sovranista.
I
sovranisti, infatti, sono ossessionati da questi termini.
Per
loro è diventata kriptonite utile per uccidere qualsiasi concetto o avversario.
Buonista
sembra ormai il dettaglio incomprensibile tirato fuori dall’architetto che ti
ha impedito di comprare quel bilocale altrimenti perfetto.
Una di
quelle cose di cui ti lamenti col tuo amico quando ci bevi assieme.
“Ho
visitato questo appartamento. Luminosissimo. Travi a vista. Un prezzo
stracciato.
Ma poi
sono tornato con un architetto, ha dato un’occhiata ai muri e niente, cazzo —
buonisti.”
Il PD
è terrorizzato da tutto questo.
Da una
parola usata esclusivamente da sociopatici che hanno bisogno di vampirizzare
l’empatia perché troppo pavidi per affrontare la realtà.
Come
ha scritto anche Laurie Penny la parola “buonista” è il “meccanismo di
autodifesa” degli insicuri.
Devono
annullare la tua umanità o considerarla posticcia perché si vergognano di
quello che sono, e hanno perciò bisogno di colpevolizzare chi si comporta
diversamente pur di non affrontare la propria coscienza.
Come
può un partito progressista temere le opinioni di questa gente?
Sono
un’orda di persone col cazzo piccolo che cercano di farti sentire in colpa se
sei normodotato.
Invece
di affrontare la realtà che nel sesso non contano le dimensioni, ma solo non
andare avanti da soli nelle serie su Netflix.
Il
giornale diretto da Vittorio Feltri vi chiama buonisti radical chic? Bene.
Vittorio Feltri è un uomo che ha trasformato
l’essere un personaggio delle prime 30 pagine di un libro di Charles Dickens in
una carriera.
La sua opinione su chi ha una vita con un
secondo e terzo atto narrativo è irrilevante.
Per i
sovranisti l’unico immigrato morto di cui si può piangere senza essere chiamati
buonisti è Eddie Guerrero.
Ed è
un wrestler morto nel 2005.
Invece
di fissarsi sull’accondiscendere a gente simile, il PD farebbe bene a
concentrarsi sul disastroso modo in cui ha deciso di rispondere alla
comunicazione di Salvini.
Non è
facile fare la figura peggiore quando il tuo avversario fa girare il figlio quasi
diciottenne sulla moto d’acqua della polizia, ma il PD in qualche modo ci è
riuscito.
La
sinistra, piuttosto che attaccare Salvini, sembra infatti più interessata a
mostrarsi respingente e a insultare lo stile di vita e l’esistenza di chi
Salvini lo vota.
Perché
quando ci si impunta sulla Nutella, sui selfie e su tutto il resto non si sta attaccando
l’uomo che “non rispetta le istituzioni”, ma la quotidianità degli italiani.
Capisco
che vedere il Ministro dell’Interno ballare al mare con dei depliant di un
policlinico sulle Malattie a Trasmissione Sessuale possa essere fastidioso per
dei nerd con il fetish per la prima Repubblica, ma l’Italia è un Paese fondato
sul non mettere il formaggio sopra il pesce e la candidosi.
Gli italiani vogliono andare nelle spiagge
dove “I’m Blue” degli Eiffel 65 non è mai passata di moda, e ballare con una ragazza-madre
lituana con una figlia di 4 anni pagata per non denunciarli per molestie
sessuali e con cui postare un selfie che recita “tipa scopata a Milano
Marittima”.
Chi
attacca Salvini-DJ non sta attaccando lui, ma questa fantasia aspirazionale. Non puoi criticare l’intreccio fra
soldi e sesso e potere con la logica, perché quello che stai criticando in
realtà sono i sogni e le speranze degli italiani.
E come
la sinistra ha deciso di rispondere al Papeete? Con le foto di Aldo Moro in
spiaggia in giacca e cravatta.
Chi al
mondo va al mare così oggi?
Se
vedessi qualcuno camminare fra gli ombrelloni con un completo chiamerei la
polizia per sequestrargli il telefono.
E sopra ci troveremmo Pokémon Go completo al 100% e 88
gb di foto scattate sotto alle gonne di universitarie.
Spesso
mi sembra che la sinistra si dimentichi che siamo in Italia.
Il
#MeToo ha decapitato alcuni fra gli uomini più potenti del mondo.
Uomini
un tempo ritenuti intoccabili.
In Italia l’unica persona che ha perso il
lavoro grazie al #MeToo è stata una donna.
La
propaganda di Salvini la si sconfigge attaccando non quello che fa, ma la
sincerità con cui lo fa.
Lo si
affonda strappandogli la maschera posticcia di “uomo del popolo” curata da uno
staff social di 30 persone, il doppio di quello di Chiara Ferragni.
Quando
Salvini ha dato della buonista e radical chic a Michela Murgia e quest’ultima
ha risposto comparando il suo vissuto lavorativo fatto di piatti sporchi e
turni nei call center con la carriera da politico assenteista finanziata dagli
italiani di Salvini, il suo post ha guadagnato centinaia di migliaia di like e
condivisioni.
Perché
il Re era nudo. E faceva molto freddo.
Il
sovranismo è la tv in 3D della politica.
Oggi
la vogliono tutti.
Fra
cinque anni, come con i tizi che hanno visto degli occhialini da 100 € l’uno e
hanno pensato “questo è un investimento duraturo, penso che la gente amerà
passare i prossimi 30 anni come dei saldatori con una perenne emicrania, me ne
dia 4!”, li indicheremo ridendo di loro.
Un
partito progressista non deve in alcun modo scimmiottare il sovranismo, il suo
stile comunicativo, o insultare le persone che sono state indotte tramite
un’operazione di terrorismo stocastico a votarlo.
La
soluzione dovrebbe essere un profondo e totale ripensamento dell’intera
struttura del PD.
Un po’
quello che diceva di voler fare Renzi, ma senza Jovanotti e Pif.
Perché
nel PD viene prima il partito, poi le idee e quindi gli individui.
E
dovrebbe essere il contrario.
Negli
Stati Uniti la “Squad” formata dalla Ocasio-Cortez e altre 3 neo-deputate ha
conquistato l’attenzione di milioni di persone per le loro idee, certo, ma soprattutto perché a esporle sono
state politiche che fino a pochi mesi fa lavoravano come bariste o insegnanti.
Donne
che grazie al loro vissuto risultano essere immediatamente credibili quando
dicono di voler combattere contro privilegi e ingiustizie sociali.
Guardate
in faccia la dirigenza PD.
Martina, Boschi, Zingaretti.
Sono
sicuro che sono ottime persone, ma non hanno fame.
Non hanno bisogno di cambiare l’Italia per
disperazione, ma per idealismo personale.
Nessuno
dei loro bambini è stato mai morso da Tyson 8.
Quando
li guardi e li senti parlare hai la stessa sensazione che ti sovviene quando
sali su uno di quei tram di nuova generazione.
Capisci
immediatamente che sono stati disegnati e realizzati da qualcuno che non ha mai
preso dei mezzi pubblici in tutta la sua vita.
Il PD
funziona allo stesso modo.
Ci
sono a capo delle persone che costruiranno un tram inspiegabilmente sigillato
come un sommergibile e impossibile da arieggiare perché non sono mai stati
chiusi senza aria condizionata il 13 agosto sul 9 con altre 112 persone che
hanno una divergente opinione su cosa significhi igiene.
E la
gente queste cose le sente istintivamente.
Questo
non significa lasciarsi andare al populismo e far decidere quante fiale di
antidoto contro l’ebola dobbiamo stoccare a panettieri e benzinai, come
vorrebbe Di Battista.
La
Ocasio-Cortez era sì, una “bibitara”, ma si è laureata “cum laude in relazioni
internazionali ed economia alla Boston University.”
Il fatto che fosse finita a servire birre è
una di quelle ingiustizie sociali che appunto solo le persone come la
Ocasio-Cortez possono individuare e risolvere.
Ma
forse cercare di salvare e migliorare il PD è un’attività fondamentalmente
inutile, come i tizi che sperano che Netanyahu porti la pace in Palestina o le
donne nei commenti Instagram di Roberto Bolle.
Però,
che ci piaccia o meno, il PD è l’unico partito che può impedire un Salvini-Meloni.
Una
combo che suona meno come il governo di uno stato e più come il “richiamo di
Cthulhu”.
SOCIOPATICO
O PSICOPATICO:
QUAL È
LA DIFFERENZA?
Psicologionline.net
– Redazione – (14 marzo, 2022) – ci dice:
DIFFERENZE
E PUNTI IN COMUNE TRA PSICOPATICO E SOCIOPATICO.
I
soggetti psicopatici o sociopatici sono, nel linguaggio comune, persone che si
comportano in maniera deviante rispetto alle attese sociali e che non provano
empatia.
I termini “psicopatico” e “sociopatico”
possono indicare tratti di personalità o anche veri e propri disturbi
psichiatrici e si riferiscono a un modello di condotte disfunzionali,
manipolative e a volte anche aggressive.
Sebbene
si utilizzino spesso in maniera indistinta per descrivere persone prive di emozioni
e tendenti alla manipolazione, i due termini hanno in realtà diverse origini
evolutive e denotano quadri psicopatologici distinti.
La
psicopatia è un tipo di personalità antisociale che si riconduce a un difetto
delle aree del cervello deputate alla regolazione delle emozioni.
Spesso
si associa alla personalità narcisistica e machiavellica.
I
soggetti psicopatici progettano ogni azione per il proprio tornaconto personale
e non provano sensi di colpa o rimorso.
Secondo
degli studi condotti su soggetti psicopatici, questi non sarebbero capaci di
tenere in considerazione il proprio futuro, né di fare progetti a lungo
termine.
Ci
sono diversi miti sfatare sugli psicopatici.
Molti
credono che psicopatico voglia dire “violento”, ma in realtà i soggetti
violenti rappresentano solo una minoranza.
Psicopatico
non è sinonimo neanche di psicotico, infatti, queste persone sono estremamente
razionali.
Un altro luogo comune è che gli psicopatici
non possano cambiare o curarsi:
in un
articolo pubblicato su Sciam, la dottoressa Jennifer Skeem della California
University ha affermato che in questi individui si osservano miglioramenti nei
comportamenti con i trattamenti psicologici.
La
sociopatia è un tipo di antisocialità dovuto principalmente a traumi infantili,
violenze fisiche o psicologiche e altri fattori ambientali che possano generare
problemi nell’adattamento sociale e nella capacità di instaurare legami.
I soggetti sociopatici non mostrano un
interesse per le altre persone e hanno dei deficit emotivi.
Spesso
agiscono in maniera impulsiva e perdono il controllo.
Psicopatici
e sociopatici presentano alcuni punti in comune.
Condividono
alcuni aspetti caratteriali, come:
l’incapacità
di empatizzare con i sentimenti altrui;
la
difficoltà di discernimento tra ciò che giusto è ciò che è sbagliato;
la
tendenza a giustificare i propri comportamenti con delle credenze sbagliate,
come il fatto che i deboli meritano che gli si faccia del male o che tutte le
altre persone sono inferiori.
La
credenza di non avere punti deboli, per il loro atteggiamento distaccato verso
gli altri e la visione fredda nei confronti del mondo esterno: come tutte le
persone anche questi individui hanno dei punti deboli, in base alla loro
personalità.
Le
differenze tra i due sono molte:
lo
psicopatico non prova alcun senso di colpa e quando agisce facendo del male,
non lo comprende e sente di averne il diritto;
il
sociopatico può arrivare a comprendere che sta facendo del male e a sentirsi
colpevole, tuttavia, continua a comportarsi in quella maniera, giustificandosi
con il suo consolidato sistema di false credenze.
Lo
psicopatico non ha alcuna capacità di distinguere giusto e sbagliato e sente un forte
bisogno di portare a termine un determinato comportamento maligno;
il sociopatico ha un senso della moralità ed è
capace di razionalizzare, il suo senso di giusto e sbagliato è deviato a causa
di fattori esterni.
CHI SOFFRE DI QUESTA PATOLOGIA PUÒ VIVERE UNA
VITA NORMALE?
Nella
loro vita personale, gli psicopatici e i sociopatici affrontano molte
difficoltà:
le
relazioni di amore sono particolarmente limitate; essendo incapaci di
instaurare legami affettivi significativi o stabili, le loro relazioni con gli
altri sono fredde, superficiali, opportunistiche e non comportano un
coinvolgimento emotivo.
Anche
le relazioni di amicizia sono problematiche e generalmente le persone tendono
ad allontanarsi da loro;
questi
soggetti tendono a cercare l’approvazione del gruppo e non riescono a gestire
le critiche.
L’inserimento
professionale è piuttosto difficile, in quanto non si comportano secondo le
norme socialmente accettate e non hanno un gran rendimento nel lavoro in team.
Tuttavia,
molti soggetti con tratti della personalità di psicopatia e sociopatia
conducono una vita ordinaria, con un lavoro, una famiglia e un funzionamento
sociale soddisfacente.
COME DIFENDERSI DA UN SOCIOPATICO / PSICOPATICO?
Per
difendersi dagli psicopatici e dai sociopatici, è importante conoscere le loro
caratteristiche e ricordarsi che mentono, non provano le emozioni in maniera
normale e, quando feriscono qualcuno, non se ne rendono conto.
Perciò,
non bisogna fidarsi di ciò che dicono, né aspettarsi di potere tenere una
conversazione canonica o di ragionare insieme.
È
importante porre dei limiti con loro in modo da mantenere il proprio spazio
sicuro durante un confronto, una conversazione o un momento di avvicinamento
fisico. In caso di avere una relazione intima con uno psicopatico o un
sociopatico, è il caso di chiedersi se è opportuno terminarla:
chi
vive o ha contatti stretti con uno di questi soggetti ha un’alta probabilità di
sperimentare un forte peggioramento della qualità della vita.
DIAGNOSI E TIPOLOGIE DI PERSONALITÀ.
Gli
estremi patologici delle personalità sociopatiche e psicopatiche sono
rispettivamente il disturbo antisociale di personalità e il disturbo psicopatico di
personalità.
Alcune
persone con tratti caratteristici della psicopatia, ma anche della sociopatia,
potrebbero ricevere una diagnosi di disturbo antisociale di personalità.
Questa patologia è un disturbo psichiatrico
che colpisce soprattutto la popolazione maschile, con una prevalenza del 3% nel
sesso maschile e dell’1% nel femminile.
Non se
ne conoscono le cause. Le ipotesi più accreditate è che siano involucrati
fattori genetici e abusi o traumi infantili.
Gli
studi dimostrano che ci sono dei fattori che aumentano rischio di sviluppare la
patologia, come:
disturbo
da deficit di attenzione e iperattività o disturbi della condotta durante
l’infanzia.
Avere
dei genitori adottivi;
storie
di violenza o abusi familiari.
La diagnosi
viene formulata in base a dei criteri clinici riguardanti la personalità e i
comportamenti del soggetto, tra cui il disprezzo delle leggi, l’agire
impulsivamente, l’essere ingannevoli, irresponsabili, provocabili o aggressivi.
Le
persone affette dal disturbo antisociale di personalità disprezzano le regole e
i diritti altrui, sono impulsivi e inadempienti alle norme, non provano
empatia, rimorso, né senso di colpa, tendono a manipolare gli altri, non
mostrano avere una coscienza morale e non sono capaci di fare piani a lungo
termine.
Possono
commettere atti illeciti, fraudolenti o aggressivi per il proprio profitto.
La
tendenza alla criminalità aumenta quando è presente al contempo anche il
disturbo narcisistico o il disturbo borderline di personalità.
È
interessante che nelle popolazioni carcerarie la prevalenza del disturbo
antisociale di personalità può giungere al 75%.
Ecco
degli indizi per identificare questi soggetti:
faticano
a sostenere il contatto visivo diretto durante le interazioni e possono
mostrarsi molto irritati.
Presentano
i comportamenti antisociali precedentemente menzionati.
Tendono
all’abuso di alcol e sostanze varie.
Hanno
problemi con la legge.
Mancano
di empatia.
Tendono
all’estrema autocommiserazione, dichiarandosi vittime della società.
Le
loro relazioni affettive sono scarse, assenti o molto problematiche.
É POSSIBILE UNA CURA PER I DISTURBI ANTISOCIALI?
I
pazienti antisociali, specialmente se aggressivi e impulsivi, possono trarre un
gran beneficio dalla psicoterapia, soprattutto per raggiungere obiettivi a
breve termine per l’apprendimento di comportamenti prosociali e cambiamento della
condotta.
Il trattamento farmacologico con antipsicotici
e altri psicofarmaci non si rivela particolarmente funzionante per la
correzione del disturbo, ma è utile per controllare i sintomi di comportamento
aggressivo.
Un
disturbo distinto è il disturbo psicopatico di personalità, che a volte viene
confuso con il precedente.
Si
tratta di una patologia simile al disturbo antisociale, con il quale presenta
diversi punti in comune, come i comportamenti antisociali che iniziano durante
l’infanzia.
Tuttavia, il disturbo psicopatico di
personalità include specifici deficit emotivi e interpersonali.
È caratterizzato da distacco affettivo,
deficit emotivi gravi, scarsa moralità e comportamenti antisociali.
I
soggetti che ne sono affetti sono loquaci, arroganti, supponenti, impulsivi,
tendono alla menzogna e alla manipolazione, non provano empatia né senso di
colpa e hanno un deficit del controllo comportamentale.
Per
formulare la diagnosi definitiva è necessario osservare la presenza di alcuni
elementi clinici, come l’incapacità di conformarsi alle norme sociali, la
disonestà, l’impulsività, l’irritabilità, l’irresponsabilità, la mancanza di
rimorso e, inoltre, l’individuo deve aver presentato un disturbo di condotta
prima dei 15 anni di età.
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