I RICCHI AL POTERE CON LA SCIENZA.

 

I RICCHI AL POTERE CON LA SCIENZA.

 

Ratzinger e la teologia

dell’euro-atlantismo.

Contropiano.org – Marco Ferri – (7-1-2023) – ci dice:

 

Il tentativo di collocare Joseph Ratzinger tra i più influenti condottieri della Chiesa cattolica non può stupire.

 Semmai, stupiscono alcune prese di posizione cosiddette laiche che, nel tentativo di partecipare al dolore della scomparsa, hanno cercato di separare il teologo dal capo di stato, lasciando campo libero alla retorica reazionaria.

Che ha descritto lo scomparso come un autentico conservatore, un fine teologo, un vero papa, un campione della cristianità, un vero e proprio precursore delle odierne – bellicose e belliciste – ragioni della supremazia dell’occidente sul resto del mondo.

Ora, la parte che riguarda la teologia cattolica e la mistica cristiana potrebbe pure rimanere nelle stanze vaticane.

Tuttavia, tanto per cominciare, non può quella che attiene alla funzione politica della Chiesa negli anni in cui Ratzinger ha affiancato papa Karol Wojtyla, da lui stesso nominato a capo della Congregazione della Dottrina della Fede, il nuovo nome che è stato dato al Sant’Uffizio, che prima ancora si chiamava Santa Inquisizione, la qual cosa spiega bene molte cose brutte che si sono storicamente registrate nel rapporto tra la Chiesa e la società, il potere politico, la morale, la cultura e la scienza.

Wojtyla, il “santo subito”, fu un accanito anticomunista.

La sua azione politica per destabilizzare l’Est europeo, che coadiuvò la Caduta del Muro di Berlino, costò alla Chiesa ingenti quantità di quattrini, tanti da prosciugarne le risorse, cosa che diede impulso a quelle illecite e spericolate attività finanziarie dello Ior ai tempi di Paul Marcinkus, arcivescovo implicato negli scandali che coinvolsero Sindona, Calvi, mafia e servizi, fascisti e malavita romana – o per meglio dire “magliana”-, e il crack del Banco Ambrosiano.

L’anticomunismo viscerale di Wojtyla si spinse a coprire tutti gli scandali sessuali, per la ragione che venivano considerati argomenti con i quali il governi dell’Est Europa attaccavano la Chiesa.

A questa linea di condotta si uniformò Ratzinger.

Le vittime degli abusi sono state violentate non solo dai quei prelati che hanno abusato di loro, ma anche dalla stessa ragion di Stato Vaticano.

Quella stessa ragione di Stato che permise a Pio XII di non vedere lo sterminio degli ebrei in Europa, e a permettere la deportazione del ghetto di Roma, “città aperta”, senza muovere un dito per impedire che proprio dalla capitale del cattolicesimo fossero deportati e assassinati nel lager nazisti più di mille cittadini italiani di fede ebraica.

La “cecità” di fronte ai crimini di guerra non era una novità per Pio XII: non aveva visto lo sterminio delle guerre fasciste in Etiopia, la ferocia razzista in Somalia e Libia; aveva anzi sponsorizzato la guerra civile in Spagna e le aggressioni all’Albania, alla Grecia, alla Russia e alla Jugoslavia.

Tutto era lecito bastava che fosse “antibolscevico”.

Anche dare rifugio ai criminali di guerra nazisti, tanto da fornirgli un passaporto vaticano col quale imbarcarsi da Genova alla volta del Sudamerica, e diventare poi preziosi consulenti, aguzzini della repressione delle giunte golpiste.

“Operation Condor”, per esempio, aveva sentore di “Endlösung der Judenfrage”, la soluzione finale, utile a difendere a tutti i costi l’imperialismo USA, che era proprio nei piani di Kissinger, il segretario di Stato ai tempi di Nixon, in piena “Guerra fredda”, che fu un braccio di ferro fra superpotenze in Europa, ma nient’altro che un sanguinario braccio armato in America Latina.

È questa la corrente di fede religiosa e di fede politica da cui viene Ratzinger, descritto da Ferrara sul Foglio come il gigante del conservatorismo dei “valori occidentali”.

Quei valori che fecero dire a Umberto Eco:

“Ratzinger non è un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale.

Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente molto grossolane, e nemmeno uno studente della scuola dell’obbligo le formulerebbe come lui.

 La sua formazione filosofica è estremamente debole.

In sei mesi, potrei organizzare io stesso un seminario sul tema del relativismo.

 Si può stare certi che alla fine presenterei almeno venti posizioni filosofiche differenti.

 Metterle tutte insieme come fa papa Benedetto XVI, come se fossero una posizione unitaria, è estremamente naif”.

 (Intervista rilasciata alla Berliner Zeitung, come riportato da post.it il 20 settembre 2011).

Sul Corriere della sera è stata ripubblicata giorno or sono un’omelia che Ratzinger, ancora cardinale, pronunciò nel 1978:

Dio non ha operato – come noi sogneremmo e come poi Karl Marx ha gridato a gran voce al mondo – in modo da far scomparire il dolore e cambiare il sistema, così che non ci sia più bisogno di consolazione.

Questo significherebbe toglierci l’umanità. Ed è quello che nel segreto desideriamo. Sì, essere uomini ci è troppo pesante. Ma se ci venisse tolta la nostra umanità, smetteremmo di essere uomini e il mondo diverrebbe disumano.

Dio non ha operato così. Ha scelto un modo più sapiente, più difficile, da un certo punto di vista, ma proprio per questo migliore, più divino.

Egli non ci ha tolto la nostra umanità, ma la condivide con noi.

 Egli è entrato nella solitudine dell’amore distrutto come uno che condivide il dolore, come consolazione.” (corriere.it)

Consolazione? Sembra implacabile Leonardo Boff, esponente di rilievo della” Teologia della Liberazione”, quando scrive:

“Il teologo Joseph Alois Ratzinger è un tipico intellettuale e teologo mitteleuropeo, brillante ed erudito.

Non è un creatore, ma un eccellente esponente della teologia ufficiale. (…)

 Non ha introdotto nuove visioni, ma ha dato un altro linguaggio a quelle già tradizionali, fondate specialmente in Sant’Agostino e San Bonaventura.

Forse qualcosa di nuovo è la sua proposta della Chiesa come un piccolo gruppo fedelissimo e santo come “rappresentanza” del tutto. (…)

Accade così che all’interno di questo gruppo di puri e santi ci fossero pedofili e persone coinvolte in scandali finanziari, che ha demoralizzato la sua comprensione della Rappresentanza. (leonardoboff.org, traduzione dal portoghese di Gianni Alioti).

Boff ci dà una precisa visione della situazione interna alla Chiesa cattolica, quando ci ricorda che in “Europa vive solo il 23,18% dei cattolici e in America Latina il 62%, il resto in Africa e Asia.

La Chiesa Cattolica è una Chiesa del Secondo e Terzo Mondo (ibidem)”.

Con buona pace dei tifosi del ruolo del conservatorismo occidentale, Boff dice che Ratzinger “Intese la Chiesa come una sorta di castello fortificato contro gli errori della modernità, ponendo come principale riferimento l’ortodossia della fede, sempre legata alla verità (ibidem)”.

Leonardo Boff, dunque, dice chiaramente che “Il teologo Joseph Ratzinger si è mostrato nemico degli amici dei poveri (i teologi della liberazione, ndr).

Questo sarà ricordato negativamente nella storia della teologia. Sono molti i teologi che affermano che egli era preso da un’ossessione per il marxismo, sebbene avesse fallito in Unione Sovietica” (ibidem).

Ecco la continuità con l’anticomunismo come fede cieca, come “consolazione” dei misfatti della ragion di Stato Vaticano.

 

E poi un giudizio politico preciso, per non dire definitivo: “Con tutta la sua astuzia ha polemizzato con i musulmani, con gli evangelici, con le donne e contro il (Concilio) Vaticano II insieme al gruppo fondamentalista (…) È stato un rappresentante legittimo della vecchia cristianità europea con i suoi fasti e il suo potere politico-religioso (ibidem)”.

La lotta intestina interna alla Chiesa cattolica è dunque lo specchio di uno scontro tra visioni contrapposte del mondo:

da un lato l’arroccamento dell’occidente nella moderna visione euro-atlantista, così come ci appare dalla crisi della globalizzazione indotta dalla pandemia e implosa con la guerra in Ucraina, che è quello che il benemerito Ratzinger e i suoi epigoni hanno tentato di rappresentare;

 dall’altra l’apertura all’idea di una nuova dialettica che consideri lo spostamento del baricentro decisionale globale in altre aree del mondo, che è quello che papa Bergoglio fatica a sostenere.

Lo scontro mondiale tra l’agguerrita minoranza dei più ricchi e forti e la maggioranza che cerca di liberarsi dallo sfruttamento, sia degli esseri umani che della natura, diventerà sempre più feroce.

 

 

 

 

Perù: lezioni di una sconfitta,

premesse per la vittoria.

 Contropiano.org - Redazione Contropiano - Vladimir Cerròn (Perù Libre) – ci dice:

 

Il 4 gennaio, dopo un breve “tregua”, sono iniziate nuovamente le mobilitazioni per la cacciata della presidente usurpatrice e assassina Dina Boluarte, il suo esecutivo ed il Congresso, che il 7 dicembre ha votato per la destituzione – per “incapacità morale permanente” – di Pedro Castillo.

Le popolazioni peruviane chiedono la liberazione del presidente legittimamente eletto, la convocazione (nel più breve tempo possibile) delle elezioni politiche – e non nell’aprile del 2024 come voto dal Congresso –;

 contestualmente chiedono l’elezione di una Assemblea Costituente che cambi la Costituzione del 1993, promulgata durante la dittatura di Alberto Fujimori.

Il cuore delle proteste è il Perù profondo, in specie la macro-regione del Sud – dove si registrano i maggiori blocchi stradali in questi giorni – il Nord, in particolare nella regione agricola di Cajamarca da dove proviene Pedro Castillo, e l’Amazzonia peruviana, in cui le organizzazioni delle popolazioni native si sono dichiarate in stato d’agitazione permanente.

Ma anche a Lima si sono svolte in questi giorni manifestazioni duramente represse dalla polizia.

Aladino Fernández, della Federation delle Rondas Campesinas di Cajamarca, ha dichiarato, alla fine della seconda giornata del Paro:

“il popolo peruviano è stanco della noncuranza delle sue autorità e della corruzione. È per questo che esigiamo la rinuncia della presidente Dina Boluarte e le elezioni in breve per eleggere nuove autorità, incluso il Congresso della Repubblica”.

Amador Núñez, presidente del Frente de Organizaciones Populares de Puno, uno degli epicentri della protesta nel sud del paese, ha affermato: “Se è possibile, daremo la nostra vita.

Per calmare le acque dopo che decine di peruviani sono morti. (…)

 Non vogliono ascoltarci, e siccome non vogliono ascoltarci, bisogna continuare a lottare nelle strade”.

Sono 28 i morti accertati, e circa 700 i feriti, dall’inizio della protesta, in un clima di repressione che è precipitato il 14 dicembre, con la promulgazione dello stato d’emergenza per 30 giorni ed il coprifuoco in diverse regioni, con le Forze Armate che possono coadiuvare la polizia (PNP) nel mantenimento dell’ordine.

Il governo, continua a puntare il dito contro “un gruppo molto esiguo, ma molto violento di agitatori” con cui non intende dialogare, come ha dichiarato alla fine del secondo giorno di mobilitazioni Alberto Otárola, Presidente del Consiglio dei Ministri, ed ex Ministro della Difesa nel primo gabinetto nominato dalla Boluarte.

Non possiamo permettere che questi cospiratori contro il sistema democratico agiscano nel nostro paese”, ha continuato uno dei maggiori responsabili della mattanza del 15 dicembre.

Gli ha fatto eco la Boluarte, che non ha mai assunto la responsabilità delle conseguenze della repressione: “non possono continuare a bloccare le strade, non possono continuare a saccheggiare le attività”.

In realtà, nella giornata del 5 gennaio si è registrato solo il danneggiamento di una automobile, mentre mobilitazioni e concentramenti si sono verificati in 21 province del paese, secondo quando riportano le fonti ufficiali, cioè la Difensora del Pueblo.

 

Secondo il sito informativo La Repubblica, le province più attive nella protesta sono state Abancay, Andahuaylas, Chincheros, Arequipa, Parinacochas, Lucanas, Cajamarca, Cusco, Canas, Huánuco, Satipo, Chanchamayo, Lima, Tambopata, Ilo, El Collao, San Román, Melgar, Puno, Chucuito e Tacna.

La protesta non sembra comunque placarsi, neanche al terzo giorno consecutivo del Paro;

dopo la guerra diplomatica scatenata contro il Messico, la destra oligarchica peruviana ha accusato l’ex presidente della Bolivia, Evo Morales, di essere dietro le proteste di questi giorni.

Per cercare di dare un quadro più articolato della fase abbiamo tradotto un intervento del leader di Perú Libre, Vladimir Cerrón, il Partito che aveva candidato alle elezioni presidenziali Pedro Castillo, per poi rompere con il presidente stesso la scorsa estate, per le ragioni che vengono ben spiegate nell’intervento.

Quest’organizzazione, nella sua recente Assemblea Nazionale Straordinaria, ha deciso di opporsi all’esecutivo di Alberto Otárola, “considerato che è il prodotto dell’usurpazione del potere attraverso il Golpe di Stato Parlamentario-Militar del 7 dicembre del 2022” ha scritto nel comunicato ufficiale, denuncia la repressione in atto, ed annuncia che “parteciperà alle mobilitazioni convocate dalla popolo a partire dal 4 di gennaio in tutte le regioni”.

Lezioni dal colpo di stato parlamentare.

(Vladimir Cerròn – Segretario Generale di “Perù Libre”)

 

Qualche tempo fa abbiamo detto che se Pedro Castillo fosse stato rimosso dal governo ci sarebbe stata una rivolta sociale, non necessariamente per sostituire il nuovo presidente, ma per portare la lotta sociale un passo avanti.

La previsione si è avverata e il passo successivo non è altro che l’esistenza di una maggiore consapevolezza tra i nostri popoli della necessità di una nuova Costituzione.

La prima lezione da imparare è che i colpi di stato non sono solo contro i governi di sinistra.

 L’amministrazione Castillo era un governo neoliberista, si è sviluppata all’interno di questo quadro senza esitazioni, non ci sono state trasformazioni strutturali, né seri tentativi di farlo, eppure è stato rovesciato.

La sinistra continentale non ha perso il suo carattere di solidarietà internazionalista, poiché dopo l’impeachment del presidente, paesi socialisti, di sinistra o progressisti come la Colombia, il Messico, il Venezuela, la Bolivia, l’Argentina, l’Honduras, tra gli altri, hanno espresso apertamente la loro solidarietà a Pedro Castillo, non hanno riconosciuto il governo di Boluarte, hanno chiesto la restituzione del presidente e il paese azteco ha offerto asilo alla sua famiglia.

Gli Stati Uniti e l’OSA non sono amici “affidabili” di nessun governo per evitare un colpo di stato, anzi, giocano con diverse facce degli stessi dadi.

Castillo aveva un approccio amichevole con loro, i suoi ambasciatori erano raccomandati, ma in realtà lo disprezzavano e nutrivano seri dubbi sul suo possibile passaggio a un governo di sinistra e dopo il primo errore lo abbandonarono.

Su suggerimento dell’ambasciatore presso l’OSA, Harold Forsyth, nella lusinghiera foga con gli USA, il presidente Castillo ha pronunciato ciò che i capi hanno sempre voluto sentire come segno di sottomissione, ciò che la sinistra latinoamericana dopo la Rivoluzione cubana si stava affievolendo, la triste frase dottrinaria: “L’America per gli americani“, un atto senza precedenti.

Un’altra azione da non trascurare è quella di essersi messo contro la Russia in merito alla guerra che sta conducendo; un grave errore geopolitico.

 

In presenza di una crisi politica acuta, in cui il potere è conteso, il cambio dell’ambasciatore statunitense è un pericoloso indicatore di interferenza diretta.

Allo stesso modo, la visita al Ministro della Difesa il giorno prima del colpo di stato e il saluto al successore nel Palazzo, una volta consumato il golpe, non sono eventi casuali, ma messaggi a bassa intensità al continente, che indicano la paternità e l’approvazione per il nuovo regime, segnando così il nuovo scenario geopolitico.

Dobbiamo anche considerare i due pesi e le due misure dell’opposizione di destra, che ha accusato Castillo di essere stato consigliato dall’ambasciatore cubano in Perù, Carlos “Gallo” Zamora, un colonnello del servizio di intelligence cubano G-2, che avrebbe elaborato un piano per rafforzare il “governo comunista” e che è stato bersaglio di attacchi da parte di vari media.

Tuttavia, l’arrivo dell’ex agente dei servizi segreti della CIA Lisa Kenna come ambasciatrice degli Stati Uniti in Perù è stato accolto con il silenzio più assoluto da parte di questi “difensori” della patria, nonostante il fatto che la possibile interferenza dell’ambasciata statunitense in un golpe sia un dato di fatto.

I rovesciamenti non possono contemplare solo le cause esterne, perché quelle interne sono le più pericolose.

Ha cercato di registrare due nuovi partiti, ma non aveva alcuna base militante; aveva opportunisti e opportunisti che gli hanno venduto il sogno di un proprio partito, che non si è mai concretizzato.

Anche i militari che sono entrati con un colpo di stato hanno poi fondato i loro partiti, perché non c’è altro modo per essere al potere.

Non si può governare senza un partito, il partito è il cervello e il responsabile delle azioni, guida la direzione ideologica, politica e programmatica del governo, non si può navigare senza una bussola, sarebbe un suicidio.

Il partito non può nemmeno essere sostituito dalla famiglia, dal sindacato, dai compaesani, dai passeggeri sulla strada o dai nemici di classe, poiché il suo scopo non è altro che quello di prendere, mantenere e affermarsi al potere;

e i militanti devono essere pronti a dare la vita per la causa, che è quella di un partito.

Dopo l’esclusione di Perù Libre dal governo, dopo appena tre mesi, l’amministrazione è stata invasa da opportunisti di ogni tipo, che avevano in mente un guadagno economico.

Se è vero che i casi di corruzione hanno accelerato l’accerchiamento giudiziario del governo, dobbiamo essere molto chiari sul fatto che non è la vera causa del colpo di stato, ma solo un pretesto per garantire lo status quo, l’assalto allo Stato, l’appropriazione delle nostre risorse naturali per i decenni a venire, il mantenimento dello sfruttamento dei lavoratori, proteggere l’impunità nell’inquinamento ambientale.

Come nel caso Repsol, mantenere la proprietà delle “concessioni” di porti, aeroporti, corridoi aerei, strade, miniere, gas, litio, centrali idroelettriche, privatizzare i servizi di base come l’elettricità e l’acqua, ma soprattutto riaffermare il carattere neo-coloniale nei confronti degli USA e tenere a bada l’espansione economica e commerciale della Cina.

Perché Castillo potesse pensare di iniziare un colpo di stato, probabilmente aveva l’approvazione di alcuni ufficiali dell’esercito e della polizia, che gli assicurarono il successo dell’operazione, ma che non diedero il loro appoggio nel momento decisivo.

Se è così, dobbiamo capire che, piuttosto che ritirare il sostegno, Castillo è stato vittima di un inganno premeditato per coronare il colpo di stato.

Questo ci porta a concludere che se un governo di sinistra vuole rimanere al potere, deve avere magnifiche relazioni con le Forze Armate, come a Cuba, in Nicaragua e in Venezuela, altrimenti dovrebbe limitarsi al progressismo o al riformismo.

I colpi di stato civili-militari devono mantenere un’apparenza di istituzionalista civile, ma in realtà sono i militari a prendere il controllo totale e l’ex vicepresidente viene mantenuto solo per giustificare la “costituzionalità” della successione presidenziale, quando in realtà sappiamo che non è così.

La prima esperienza di una donna presidente in Perù non è diversa dai governi genocidi dei presidenti uomini, e potrebbe addirittura essere peggiore.

In questa insurrezione, il governo civico-militare ha assassinato quasi trenta manifestanti, tra cui sette minorenni, nei dipartimenti di Apurímac e Ayacucho.

Questo dimostra che le politiche di “parità di genere”, ecc., in realtà non hanno senso finché non si risolve la questione di fondo:

ossia la lotta di classe in una società come la nostra.

Quando un governo, “quello che sta in alto“,  non ha conquistato l’egemonia di pensiero del popolo, di “quelli che sono in basso“, non sarà mai solido, sarà condannato all’estinzione e potrebbe solo ricorrere alla forza militare per mantenersi, diventando una dittatura.

Le repressioni violente, l’impunità con cui agiscono, gli stati di emergenza o di eccezione, la militarizzazione delle capitali, la persecuzione dei partiti di sinistra e dei leader sociali e le decine di morti, ratificano la sua natura.

In questa sanguinosa insurrezione abbiamo potuto vedere chiaramente da che parte sta la Chiesa cattolica, sempre dalla parte dei ricchi, degli oppressori e dei golpisti, come parte dell’apparato di sfruttamento dei nostri popoli.

Invocano la pace dopo il massacro, per loro la democrazia è il silenzio degli oppressi, scendono in piazza scortati dai rappresentanti delle forze repressive, ma non si uniscono al popolo nella lotta per le loro richieste;

sono esperti nell’ammorbidire gli animi e nel cercare la sottomissione del popolo in nome della fede, ma in cambio del mantenimento dei loro privilegi statali e commerciali.

I molti “amici” e “ammiratori” del potere, che non sono altro che mercenari, con poche eccezioni, nei momenti di difficoltà non ci sono, abbandonano i processi giudiziari nei momenti critici senza il minimo rimorso lasciando i loro patrocinati inermi, ma c’è anche chi si assume responsabilità nonostante le circostanze avverse.

È la prima volta che il popolo si è identificato con il proprio Presidente, ha sentito di averlo messo al potere, si è visto in lui, c’è stata un’identificazione speculare, con pregi e difetti.

Colpire Castillo è stato come colpire tutti loro. Nessun presidente, nemmeno il “Sacro Cholo”, aveva una simile somiglianza, tanto meno gli altri che sono passati per il Palazzo.

La lotta simultanea del popolo in varie regioni, senza molto coordinamento, è il risultato di un processo di accumulo di idee, forze, riflessioni, autostima, che si è rafforzato come somma di tutte le esperienze attraverso le quali il popolo è passato alla ricerca della propria emancipazione con un maggior grado di consapevolezza.

 

Il popolo ammette che Castillo ha precipitato la caduta del suo governo, per questo non chiede a gran voce il suo reintegro, ma la sua libertà;

ma non può ammettere l’usurpazione dopo una carica vacante elaborata in due ore, tanto meno ammettere un successore che ha abbandonato il programma di governo promesso in campagna elettorale, anche se in realtà anche “il professore” lo aveva abbandonato, ma dato che il governo era appena iniziato, non è stato convocato.

Non posso non riconoscere la trascendenza di Perù Libre, non posso astenermi dal farlo perché ne sono un militante, ma se non fosse stato per questo strumento politico del popolo, la sinistra non avrebbe mai vinto un processo elettorale nazionale, non avrebbe portato un insegnante rurale alla candidatura e tanto meno alla Presidenza, non avrebbe dato il primo Presidente donna in Perù;

usurpazione e crimini a parte, questa condizione insurrezionale non si sarebbe verificata e la necessità dell’Assemblea Costituente non sarebbe maturata un po’ di più.

Il Partito ha fatto capire al popolo che eravamo in grado di costruire il nostro strumento politico nato dalle sue viscere, che era possibile raggiungere il governo precedentemente sottoposto al veto degli uomini del Perù profondo, che questa volta noi cholos eravamo davvero entrati nella poltrona del Palazzo, che eravamo vicini a realizzare la nostra aspirazione di costruire una nuova patria e che la vittoria era certa.

Finora questo è il lascito del Partito al popolo peruviano.

Ma questa eredità non è sufficiente, è solo una parte del processo.

So che il Partito deve prepararsi e migliorare il suo ruolo di guida, che deve essere sempre un leader e non può smettere di esserlo quando è al potere, che deve preparare meglio i suoi quadri politici per non ricorrere a ospiti traditori, che deve essere pronto a unirsi al fronte popolare che sarà sicuramente convocato in qualsiasi momento.

 

 

 

Wolfgang Streeck. La protezione diseguale

dei ricchi contro i poveri.

L’istruzione e la scienza come

beni comuni da proteggere contro il potere.

Articolotrentatre.it - Wolfgang Streeck – (17 ottobre 2022) – ci dice:

 

Wolfgang Streeck è tra i sociologi più affermati della tradizione che proviene dalla Scuola di Francoforte.

La sua analisi del capitalismo contemporaneo e della sua probabile fine, in virtù di cinque tendenze ormai in atto che ne segnano il declino, resta una pietra miliare nel dibattito intellettuale e filosofico a sinistra.

Lo abbiamo incontrato a Modena, nel corso del Festival Filosofia.

Ecco cosa ci ha detto, partendo dalla ricostruzione della cosiddetta industria della protezione dei ricchi.

 

Professor Streeck, la sua ricerca sul declino del capitalismo si arricchisce sempre di nuovo di analisi e di riflessioni assai utili nel dibattito pubblico, soprattutto a sinistra.

Lei ha introdotto il tema della ricchezza e delle disuguaglianze vecchie e nuove.

E oggi queste ultime vengono approfondite con il sistema della protezione sociale.

La protezione sociale è un’invenzione dello Stato moderno.

E se guardiamo da vicino il fenomeno, ci rendiamo conto che la protezione non è per i poveri ma per i ricchi.

Quando parliamo di disuguaglianza, di solito parliamo di reddito ma forse è preferibile o addirittura più importante considerare la disuguaglianza di ricchezza.

E la maggior parte della ricchezza non deriva da un reddito ma viene ereditata.

Se vogliamo capire com’è fatta la nostra società basta guardare alla distribuzione della ricchezza.

Essa è distribuita in modo iniquo perché nella gran parte viene ereditata e non è frutto di un lavoro.

 Per capire la struttura sociale diseguale, faccio distinzione tra due categorie di persone: i poveri che lavorano e i ricchi che non lavorano.

 I poveri non possono vivere senza lavorare o senza esser pronti a lavorare, non possono scegliere di non lavorare perché per loro il lavoro è obbligatorio.

 Invece, per i veri ricchi il reddito deriva dalla stessa ricchezza, e possono vivere anche senza lavorare, e possono decidere di lavorare, ma si tratta di una scelta, non di un obbligo sociale.

È una vita diversa dalla maggior parte di noi, che non abbiamo altra scelta. Dobbiamo trovare qualcuno che ci paga per quel che facciamo.

Possiamo dunque approfondire il tema della disuguaglianza sociale come portato storico della distribuzione diseguale della ricchezza?

Ora, cerchiamo di capire la struttura delle disuguaglianze nella nostra società.

Più si diventa ricchi e maggiore è la porzione di reddito che deriva dalla ricchezza.

Se ci si trova nella classe sociale più elevata, si scopre che oltre il 90% deriva da investimenti, magari, ma non dal lavoro.

Nella maggior parte delle nostre società il 10 per cento possiede circa il 70 per cento della ricchezza.

Se però guardiamo all’1 per cento, esso detiene il 32 per cento della ricchezza.

La struttura sociale che deriva da questa distribuzione diseguale della ricchezza ci mostra che la ricchezza è affare di famiglie.

Molti dei ricchi che non lavorano provengono da famiglie che sono state ricche per generazioni e generazioni e hanno utilizzato i matrimoni tra simili.

Inoltre, i genitori ricchi si preoccupano che i loro figli socializzino coi figli di altre famiglie ricche, soprattutto quando scelgono la scuola o l’università, dove i loro rampolli possono incontrare partner attraenti di cui innamorarsi.

 Nelle università americane e nei college britannici queste istituzioni portano alla crescita globale dei più ricchi, poiché i figli diventano amici di altri ricchi.

 È importante dire che conosciamo poco della vita dei ricchissimi, poiché svolgono un’esistenza separata.

 Ed è in questo contesto che si genera il fenomeno della protezione sociale della ricchezza.

La vita dei facoltosi, dei ricchi che non lavorano, non è priva di preoccupazioni.

Se si è davvero ricchi, ci si trova nella condizione di richiedere una protezione illimitata, nel tempo e nello spazio.

 I ricchi sembrano avere una costante paura che i loro figli o i loro famigliari vengano sequestrati, per il riscatto.

 Inoltre, i ricchi assumono guardie del corpo, di solito ex agenti di polizia, che lavorano per istituti privati.

E temono separazioni e divorzi perché potrebbero intaccare la solidità della loro ricchezza.

Per questa ragione essi assumono manager che sanno come distribuire queste ricchezze, come nasconderle in fondi segreti dislocati in tutto il mondo.

 Le ricchezze vengono così depositate in luoghi segreti e inaccessibili.

 Qualsiasi cosa facciano, le persone ricche sono costrette a farlo con prudenza e con attenzione, e spesso si basano su disposizioni dettagliate contro un mondo che considerano ostile e potenzialmente rapace nei loro confronti.

D’altra parte, però, i ricchi che non lavorano, a differenza dei lavoratori poveri, non hanno mai la possibilità di spostarsi da soli.

 Ed è questo uno degli aspetti della disuguaglianza economica, perché quando devono amministrare i propri affari, i ricchi, i facoltosi, possono contare su assistenti che conoscono le loro esigenze e quindi sono disposti ad aiutarli a sopravvivere in un mondo pieno di rischi, reali ma spesso immaginari.

 

Questo “necessario isolamento” ci conduce alla creazione di istituti scolastici separati…

Nelle scuole migliori i figli dei ricchi possono incontrare persone che possono farli sentire in colpa proprio per il fatto di essere ricchi, facendo nascere in loro il desiderio di abbandonare la loro classe sociale di appartenenza, e se questo accade ci sono miriadi di psicologi di professione che si offrono per parlare ai figli del senso di appartenenza alla loro classe sociale, dei doveri e delle responsabilità.

E sono in grado di convincerli che l’accentramento della ricchezza è positiva per la produttività.

 Così viene loro insegnato a sostenere il fardello di una società di capitali, in modo che questa ricchezza non venga dilapidata con investimenti sbagliati.

Ciò si basa su una società delle disuguaglianze.

 La maggior parte delle cose che noi facciamo da soli, viene eseguita da dipendenti selezionati attentamente, da società di sicurezza, da professionisti dell’immagine pubblica positiva, anche della vita privata, da amministratori in grado di nascondere il patrimonio e per garantire il flusso di rendite che consentono di guadagnare senza lavorare.

Il fatto è che i rampolli delle famiglie ricche provengono dalle migliori università e potrebbero lavorare con molto profitto.

 Da qui nasce l’industria della difesa della ricchezza degli oligarchi, come li chiama Winters.

Da qui emerge una deriva ideologica:

 il sistema politico e sociale che assicura la loro ricchezza deve essere difeso.

E qualora i legislatori dovessero mettere in discussione la loro ricchezza, ecco che essi mobilitano, come una lobby feroce ma coesa, tutti coloro che possano difendere i privilegi acquisiti.

Ed è così che si introduce nell’opinione pubblica, e viene insegnato nelle loro scuole, il concetto che una dose di ricchezza nelle mani di pochissimi è utile per tutti. 

Ma così essi fanno in modo che il governo di un Paese faccia parte della loro industria di protezione.

 

Cosa succede se quella ricchezza non fosse più al sicuro per effetto di una decisione politica o di una legge?

Nel 2017, quando Trump si insediò alla Casa Bianca, la prestigiosa rivista The New Yorker pubblicò un articolo dal titolo “Preparativi per il giorno del giudizio per i super ricchi”.

L’articolo sosteneva che alcune delle persone più ricche d’America si stavano preparando per il crollo della civiltà, per una catastrofe incombente che minacciava non solo i patrimoni ma le loro stesse vite.

 L’ascesa di Trump venne assunta dai super ricchi come la sovrabbondanza del potere nelle mani dei sottoproletari bianchi.

 Cinque anni dopo, alla luce di quanto accaduto, compreso l’attacco del 6 gennaio a Capitol Hill, si può presumere che il tema della sopravvivenza tra i super ricchi americani continui a prosperare e con esso anche l’industria che soddisfa i bisogni di queste persone. 

Come fare a sopravvivere quando si è nella parte più bassa della scala sociale?

Se la vita dei super ricchi è paradossalmente diventata precaria, quella dei lavoratori poveri lo è sempre stata.

 Per i lavoratori poveri la precarietà è una condizione esistenziale che risulta innanzitutto dal fatto di non avere ricchezza, di non avere un patrimonio.

Un numero crescente di persone nelle economie capitaliste, nelle democrazie occidentali, non ha alcun risparmio di sorta per far fronte all’improvviso declino del loro potere d'acquisto, se consideriamo l'aumento del costo della vita e dell'inflazione.

Parecchi lavoratori poveri si trovano in difficoltà a ridosso del giorno della paga perfino per acquistare cibo per le loro famiglie.

 Negli Stati Uniti, ma anche in Europa, ci sono persone il cui normale salario non è sufficiente a sfamare la famiglia fino alla fine del mese.

E cosa fanno?

 Usano carte di credito, accumulando debiti, in quote sempre crescenti.

Negli Usa ci sono famiglie con dieci o quindici carte di credito utilizzate a questo scopo.

 Ma ci sono famiglie che fanno ricorso a società usuraie.

E in quest’ultima situazione sono sempre più le persone in difficoltà.

 Nel modello Welfare State assicurare i lavoratori contro la distruzione del capitalismo è considerata un’azione delle politiche pubbliche incaricate di salvaguardare l’ordine pubblico.

E a tal proposito, c’è un nuovo problema, costituito dall’aumento del costo della vita con un’inflazione non determinata dai sindacati ma dalla carenza degli approvvigionamenti delle materie prime.

Questo tipo di assistenza ad hoc è aumentato di recente, non solo negli Usa ma anche in Europa.

Riflettiamo sul fatto che il numero di famiglie senza risparmi è cresciuto nel ceto medio-basso, ad esempio tra i nuclei con madri single che non hanno tempo sufficiente per fare un secondo o un triplo lavoro.

 In genere, gli Stati coprono le spese aggiuntive per mantenere i poveri al lavoro, sottoscrivendo debiti che si aggiungono al già elevato debito pubblico.

 

Proteggere i lavoratori dalla fame si aggiunge ai costi del capitalismo, che non è solo infrastrutture adeguate?

Ci sono costi necessari che servono ai capitalisti per mantenere la pace sociale.

Più pace sociale è necessaria e più alti sono i costi sociali.

Creare le condizioni ottimali per il profitto capitalistico, considerato come obiettivo primario per ogni governo, provoca la crisi fiscale dello Stato, ovvero, il divario crescente tra la spesa pubblica necessaria per il profitto del capitalismo e l’entrata pubblica prevista per questo, tra ciò che il capitalismo pretende dal governo e ciò che è disposto a versare nelle casse pubbliche come contropartita.

 Beh, questo divario sta crescendo, ecco perché la gran parte degli Stati accumula livelli crescenti di debito pubblico.

Il debito pubblico nei Paesi Ocse è aumentato a livelli mai toccati in passato.

Pagare per mantenere la pace sociale.

Per tagliare deficit e debito gli Stati possono operare tagli al bilancio, o possono praticare l’austerità, tagliare la spesa sociale ritenuta sacrificabile.

 Ciò che è spesa pubblica essenziale o inessenziale non viene definito apriori.

Se ad esempio c’è un rischio serio di rivolta tra i lavoratori poveri, mantenerli a galla e offrire loro la speranza di un futuro migliore è una politica pubblica legittima agli occhi dei capitalisti che non lavorano.

I ricchi che non lavorano traggono vantaggio dalla pacificazione finanziata con il debito pubblico in due modi:

 i lavoratori poveri sono tenuti buoni e i ricchi possono considerare proposte allettanti per investire il loro capitale in eccesso.

Il debito pubblico non è esattamente biasimevole agli occhi dei ricchi, specie se consente di fare profitti privati.

E in questo modo la diseguaglianza sociale continua.

E dato che gli Stati hanno bisogno di fare debito, i titoli acquisiti dai ricchi si trasformano in rendita finanziaria, così la parte sociale che lavora paga i profitti e le rendite dei ricchi che non lavorano. 

Ed è perfino paradossale che si chieda ai lavoratori poveri di aumentare la produttività, ovviamente a tutto vantaggio del profitto finanziario.

 In questo modo si crea una classe feudale di alto rango, che è un’altra caratteristica della protezione delle disuguaglianze nel capitalismo contemporaneo.

E dato che gli Stati continuano ad aver bisogno di fare debito, i cui oneri continuano a crescere, i crediti che i ricchi detengono crescono allo stesso modo.

 Il debito si accumula e una parte crescente del prodotto complessivo di una società deve trasformarsi in rendita per coloro che possono fare credito pubblico.

Qualcuno deve pagare per questo. Chi? I lavoratori poveri.

E gli investimenti che vanno a vantaggio dei lavoratori poveri, ad esempio la salute e l’istruzione pubblica sono destinati a rimanere fermi o addirittura a diminuire, a meno che non si faccia altro debito, rendendo ancora più acute le disuguaglianze nel lungo periodo.

 

Il debito pubblico può crescere indefinitamente?

Si tratta di ciò che alcuni chiamano le contraddizioni del capitalismo.

I creditori che investono i propri capitali negli Stati corrono un rischio notevole, ovvero che gli Stati possano cancellare unilateralmente il debito.

Gli investitori pertanto analizzano con cura i debiti pubblici degli Stati per vedere se il loro livello di debito potrebbe farli fallire.

Ai primissimi segnali di un comportamento scorretto i creditori chiederanno interessi più alti, attraverso lo spread.

Ma cosa abbiamo dimenticato nel corso di questo secolo?

Non esiste solo proprietà privata che i ricchi tendono a salvaguardare, ma esistono beni comuni e pubblici che occorre conservare a beneficio dell’intera società.

L’istruzione pubblica è uno di questi beni comuni e pubblici che evita ai ricchi di separarsi dai poveri, evitando che essi si costruiscano istituti solo per loro, in maniera esclusiva.

 La domanda giusta oggi non è se ci sarà o meno proprietà privata.

 La domanda è quanti beni comuni possono essere accessibili ad ogni cittadino sulla base dei diritti e non sulla base del denaro.

I ricchi cercano di isolarsi e questo deve essere combattuto, andando proprio contro queste tendenze.

Il sistema dell’istruzione non può concedere disuguaglianze.

 L’introduzione della “school choice” contraddice questo principio.

 Nello stesso modo la scienza in una democrazia è qualcosa che deve esser protetta attivamente e non può essere detenuta dal capitale delle aziende, e non deve esser solo tecnologia.

Abbiamo perso la capacità di proteggere questi beni comuni e vediamo che coloro che detengono il potere possono fare quello che vogliono, mentre noi stiamo semplicemente a guardare che lo facciano.

 

 

 

 

 

Sesto Decreto Armi all’Ucraina.

Il Diktat degli Usa e la Risposta dei Viceré.

Conoscenzealconfine.it – (11 Gennaio 2023) - A.B. (lantidiplomatico.it) – ci dice:

 

Gli Stati Uniti tramite” Repubblica” fanno arrivare gli ordini e i viceré nostrani rispondono presente.

Ci informava nei giorni scorsi il giornale degli Elkann: “Il consigliere per la sicurezza nazionale Sullivan telefona a Palazzo Chigi e sollecita l’approvazione del sesto decreto di aiuti militari”.

L’atlantista Tajani oggi sul Corriere della Sera fa sapere che “Colonia Italia” è pronta.

Bisogna solo superare l’ostacolo del Parlamento. “

Il sesto pacchetto di difesa è ancora da perfezionare, come previsto non ci sarà alcun invio prima di un’informazione al Parlamento.

Stiamo discutendo anche con i francesi per perfezionare dal punto di vista tecnico l’invio di sistemi di difesa aerea che si basano su tecnologie congiunte fra Roma e Parigi”, ha dichiarato.

La tempistica è talmente imbarazzante che il povero ministro degli esteri italiano deve precisare:

“i colloqui con Washington sono costanti e normali, noi siamo un interlocutore importante, ma non si è parlato di armi”.

Peccato che non solo l’organo più vicino alla Nato (Usa) in Italia, Repubblica, ci ha dato la notizia della telefonata, ma ha fornito dettagli precisi sul contenuto:

 “[…] l’urgenza di nuove e più complesse forniture militari che gli alleati devono assicurare a Kiev nei prossimi mesi. S

econdo fonti diplomatiche a Washington, gli Stati Uniti premono su Roma affinché fornisca al più presto lo scudo anti missile all’Ucraina, necessario per difendere Kiev.

Quindi innanzitutto – confermano fonti militari – il sistema ‘Samp-T’.

Una promessa avanzata informalmente a livello politico, nelle scorse settimane”. Insomma “L’invio di sistemi di difesa aerea” di cui parla Tajani.

Il 31 dicembre 2022, inoltre, è scaduto il mandato in bianco conferito da TUTTI i partiti oggi in Parlamento al governo Draghi, che ha annullato per i primi cinque decreti di invio di armi al regime di Kiev, qualunque ruolo dell’organo rappresentativo della volontà popolare e reso nei fatti il nostro paese co-belligerante contro la Russia.

La gravità è stata sintetizzata nei giorni scorsi dal ministero degli esteri del Cremlino:

Mosca ha chiarito che considera l’Italia nei fatti co-belligerante al fianco di Kiev e non accetterà nessuna mediazione che venga dal nostro paese.

Ora gli Stati Uniti hanno ordinato un salto di qualità:

la belligeranza a tutti gli effetti.

I viceré hanno risposto positivamente. Resta solo l’“ostacolo” parlamentare.

(A.B.- lantidiplomatico.it/dettnews- sesto_decreto_armi_allucraina_il_diktat_degli_usa_e_la_risposta_dei_vicer/39130_48357/)

 

 

 

 

L’impazienza finanziaria è un

comportamento umano globale.

Scienzainrete.it - Chiara Sabelli – (22/07/2022) – ci dice:

Nel campo dell’economia comportamentale, confrontare ricompense future con ricompense presenti è noto come problema della "scelta intertemporale".

 I ricercatori concordano che in genere preferiamo una somma di denaro più piccola nell'immediato rispetto a una più grande nel futuro.

Saremmo insomma affetti da una sorta di “impazienza finanziaria”.

«Gli economisti chiamano questo effetto “sconto temporale”, mentre gli psicologi lo definiscono “bias del presente”», commenta Enrico Rubaltelli, psicologo dell'Università di Padova dove dirige il “Judgement and Decision Making Lab”.

«Questa propensione dipende dal modo in cui percepiamo le conseguenze emotive delle nostre decisioni», continua Rubaltelli.

 «Siamo più o meno in grado di ricordare le emozioni provate in seguito a scelte fatte in passato, molto bravi a percepire le conseguenze emotive di una decisione che stiamo per prendere ora, siamo molto scarsi nell'anticipare le emozioni future».

Finora, però, i ricercatori hanno testato questa ipotesi solo nei cosiddetti paesi WEIRD (Western Educated Industrialized Rich and Democratic), cioè paesi occidentali, istruiti, industrializzati, ricchi e democratici.

Si è formata poi l’idea che le persone più povere tendano a scontare maggiormente le ricompense future, perché sono più incerte su ciò che accadrà e più bisognose nell’immediato.

 Insomma, sarebbero meno affidabili e lungimiranti nelle decisioni.

 Questa idea ha avuto un impatto sulle politiche di governi e istituzioni.

 Si pensi ai requisiti eccessivi di risparmio per l'accesso ai mutui, alle condizioni di prestito meno favorevoli per chi guadagna poco o alla concentrazione delle imposte sul reddito senza considerare il patrimonio.

Un nuovo studio, pubblicato la scorsa settimana sulla rivista “Nature Human Behaviour” e coordinato da Kai Ruggieri della Columbia University, ha scoperto che l’impazienza finanziaria è effettivamente una caratteristica globale del comportamento umano.

Un'indagine condotta su oltre 13 000 partecipanti da 61 paesi, alcuni dei quali in regioni, come Asia e Africa, normalmente escluse da queste analisi, ha rilevato che tutti, anche se con gradi diversi, preferiamo una quantità di denaro minore oggi rispetto a una maggiore tra un anno.

I ricercatori hanno infatti osservato che la variabilità di questa impazienza all'interno dei singoli paesi è maggiore di quella tra le medie dei paesi.

Lo studio ha anche rivelato che più che il reddito sono le condizioni economiche e finanziarie del paese, misurate ad esempio attraverso l'inflazione e i livelli di disuguaglianza, a influenzare il modo in cui ragioniamo sul futuro e la nostra tendenza a scontare le ricompense future.

Scrivono gli autori che i «risultati mettono in discussione l’assunzione che le persone con redditi bassi prendono decisioni meno lungimiranti. I dati indicano invece che chi si trova ad affrontare un contesto finanziario negativo, anche se ha un reddito migliore (della media, ndr), è probabile che prenda decisioni che privilegiano il presente rispetto al futuro».

«Lo studio affronta la crisi di riproducibilità con cui il campo della psicologia ha dovuto fare i conti negli ultimi decenni», commenta Rubaltelli.

 «Inoltre, gli autori hanno coinvolto partecipanti più rappresentativi delle popolazioni che volevano studiare, piuttosto che ricorrere a studenti universitari, una pratica comune in psicologia comportamentale, ma che ha dimostrato di avere molti limiti», aggiunge.

Il progetto di ricerca è stato realizzato grazie a un'ampia rete di ricercatori (l'articolo conta 170 autori) reclutati attraverso il “Junior Research Programme”.

 I gruppi dei diversi paesi si sono assicurati che le trenta domande del questionario fossero tradotte correttamente nella lingua locale, che i partecipanti fossero rappresentativi della popolazione per quanto riguarda età, sesso, reddito e livello di istruzione.

Gli autori locali sono stati anche responsabili dell'adeguamento delle cifre in base al potere d'acquisto e ai livelli salariali medi dei diversi paesi.

«L'indagine è stata condotta online reclutando i partecipanti tra la nostra rete di contatti, e anche rintracciando gruppi tematici sui social media interessati a questi argomenti», spiega Martina Benvenuti, ricercatrice dell'Università di Bologna e tra gli autori italiani che hanno preso parte allo studio.

La domanda iniziale del sondaggio offriva due opzioni:

ricevere subito una somma pari a circa il 10% del reddito annuale medio del paese, per gli Stati Uniti questa corrisponde a 500 dollari, oppure aspettare un anno per ricevere il 10% in più, cioè 550 dollari.

 Ai partecipanti che sceglievano la prima opzione, veniva riproposta la stessa domanda ma offrendo 600 dollari a distanza di un anno, invece di 550.

Se continuavano a preferire 500 dollari subito, gli veniva proposta un’ultima possibilità: 500 dollari subito o 750 dopo un anno.

Al contrario, per i partecipanti che fin dall’inizio preferivano aspettare per avere più soldi, nelle domande successive veniva offerta la possibilità di scegliere tra 500 dollari subito oppure 510 dopo un anno.

E così via.

Questo ha permesso ai ricercatori di stimare il cosiddetto "punto di indifferenza", cioè la differenza tra la somma presente e quella futura sufficiente a far preferire la ricompensa futura a quella immediata.

Sono state poi misurate alcune altre anomalie nel problema della scelta intertemporale.

Per esempio i ricercatori hanno cercato di capire quanto conti la cifra di base offerta, 500 dollari nel caso degli Stati Uniti.

Per farlo hanno chiesto ai partecipanti cosa preferissero tra 5000 dollari subito e 5050, 5100 o 5250, a seconda del punto di indifferenza del singolo individuo, dopo un anno.

 Hanno poi valutato la capacità di distinguere tra diversi momenti nel futuro, chiedendo ai partecipanti se preferissero 500 dollari dopo un anno o 550 dopo due, sempre considerando i punti di indifferenza individuali.

Le persone normalmente preferiscono 500 dollari oggi piuttosto che 550 dollari domani, ma preferiscono 550 dollari tra due anni piuttosto che 500 dollari tra un anno.

Alla fine del questionario ai partecipanti venivano chieste informazioni sulla loro condizione finanziaria, propensione al rischio, demografia e livello di istruzione.

I ricercatori hanno poi aggregato i dati individuali per paese e li hanno confrontati.

Per quanto riguarda il fattore di sconto temporale, cioè quanto deprezziamo le ricompense future per confrontarle con quelle presenti, il valore minore si osserva in Giappone e quello maggiore in Argentina.

L’Italia si piazza a metà classifica, e sconta le ricompense future meno di quanto non facciano in media francesi e spagnoli.

Gli italiani si mostrano decisori “più lungimiranti” anche di tedeschi, britannici e scandinavi per quel che riguarda un’altra anomalia misurata dallo studio e chiamata ‘gain-loss asymmetry’.

 In media, rispetto a queste altre popolazioni europee, siamo più disposti a pagare subito una certa somma rispetto a rimandare ma pagando di più.

«Questo è dovuto al fatto che gli italiani sono più propensi a risparmiare e quindi sono più capaci di affrontare spese impreviste», dice Martina Benvenuti «per esempio, gli italiani hanno più probabilità di possedere una casa di proprietà rispetto a tedeschi e francesi, e questo influenza la loro percezione di stabilità».

Ma il risultato importante è che In tutti i paesi si osserva impazienza finanziaria, anche se con diversi gradi.

Il prodotto interno lordo, il livello di disuguaglianza e l’inflazione sono in grado di spiegare gran parte della differenza tra paesi.

 Maggiore stabilità finanziaria dell’ambiente circostante migliori sono associati a sconti temporali più bassi, mentre livelli più elevati di disuguaglianza e inflazione sono associati a sconti più elevati.

Al contrario, le caratteristiche individuali spiegano solo una piccola parte delle differenze osservate all’interno dei singoli paesi. Inoltre, guardando alle risposte individuali si vedono ampie sovrapposizioni tra paesi diversi, a indicare che questo atteggiamento verso le scelte intertemporali è globale.

 «In altre parole, il peggioramento del contesto economico - e non il semplice "essere poveri" - è associato a una tendenza più forte e coerente ad attualizzare i valori futuri», scrivono gli autori in un commento che accompagna la pubblicazione.

Gli autori sperano che le conclusioni dello studio informino le politiche di governi e istituzioni volte a ridurre le disuguaglianze sia economiche che di salute.

Uno studio pubblicato pochi giorni dopo sulla rivista Scientific Reports ha infatti mostrato che la miopia nelle decisioni finanziarie influenza la decisione di vaccinarsi o meno contro il SARS-CoV-2.

 Lo studio ha coinvolto quasi 5 000 partecipanti di 13 paesi con diversa gravità della pandemia e adesione alla vaccinazione.

Come valore aggiunto e come impegno ad affrontare la crisi della riproducibilità che colpisce così gravemente la psicologia sperimentale, gli autori hanno pre-registrato il loro studio sulla piattaforma OSF.

 La piattaforma offre l'opportunità di condividere con altri ricercatori le ipotesi dello studio e il suo disegno e di ottenere feedback che possono portare ad aggiustamenti prima che lo studio abbia luogo. Inoltre, contrasta la pratica chiamata “HARKING”, ovvero la tendenza a formulare ipotesi dopo che i risultati sono noti.

 Questa pratica è in parte motivata dal fatto che le riviste scientifiche preferiscono pubblicare risultati “positivi” piuttosto che “negativi”.

 

 

 

Il "vaccino" Covid è uno sforzo

intenzionale al genocidio mondiale.

Unz.com - PAUL CRAIG ROBERTS – (8 GENNAIO 2023) – ci dice:

 

Mai prima d'ora ci sono state massicce morti in eccesso dopo la vaccinazione.

Mai prima d'ora ci sono stati bambini, giovani adulti, atleti nel fiore degli anni, intrattenitori, morti "causa sconosciuta" dopo la vaccinazione.

Naturalmente, la causa è nota. I principali medici e scienziati medici del nostro tempo – che esclude i burocrati delle agenzie sanitarie, come Fauci, che fungono da agenti di marketing per Big Pharma e commissioni mediche statali corrotte e politicizzate e HMO – hanno spiegato perché e come i "vaccini" mRNA, che non sono vaccini, uccidono, distruggono il sistema immunitario e causano danni alla salute.

 Ciò che non si sa è perché alcuni muoiono immediatamente dopo aver ricevuto la sostanza mortale, altri un mese dopo, e altri rimangono, finora, vivi.

Alcuni ricercatori pensano che il contenuto dei "vaccini" differisse a sorte, e alcuni pensano che alcuni dei vaccini fossero placebo allo scopo di produrre un quadro illeso per promuovere la sicurezza dei vaccini.

Il professor Michel Chossudovsky ha raccolto qui – (globalresearch.ca/the-covid-killer-vaccine-people-are-dying-all-over-the-world-its-a-criminal-undertaking/5800358)una serie di video che documentano le sofferenze e le morti diffuse dei vaccinati.

 Non sono i non vaccinati che stanno "misteriosamente" cadendo morti in tutto il mondo. Sono i vaccinati.

Eppure l'insabbiamento continua.

I media occidentali – un gruppo di puttane – sono al lavoro per coprire se stessi e Fauci, Biden, Bill Gates, Big Pharma, FDA, NIH, CDC e la professione medica assolutamente corrotta e irresponsabile.

Big Pharma e la FDA continuano a spingere i bambini con il vaccino killer, e ci sono ancora genitori così completamente stupidi e spensierati che partecipano all'omicidio dei propri figli.

Con persone di tutto il mondo così stupide e così ciecamente fiduciose nell'autorità, possiamo capire perché il satanico Bill Gates e il satanico Klaus Schwab sono fiduciosi di poter riuscire a ridurre la popolazione mondiale e ad effettuare il loro “Grande Reset”.

Cosa intendo quando dico che Gates e Schwab sono satanici?

Pensaci in questo modo.

Di tanto in tanto, quando si discute dell'argomento, qualcuno dirà che le persone possono essere così orribili da poter capire perché alcuni vorrebbero genocidarie.

Chiedo loro se sarebbero disposti a premere il pulsante del genocidio, e loro dicono "no".

Capiscono che non hanno il diritto di causare la morte delle persone in nome della loro opinione o di un clima o di un'agenda ideologica.

La differenza tra loro e Bill Gates e Klaus Schwab è che Gates e Schwab sono disposti e desiderosi di premere il pulsante del genocidio.

 Ciò che è così orribile è che questa volontà ha acquisito un'alta posizione morale.

Sterminare le persone è diventato il modo per salvare il pianeta.

Gli autori di questo omicidio di massa sono fiduciosi che il loro crimine è troppo grande per essere riconosciuto come tale.

Le popolazioni ingenue semplicemente non crederanno che i "loro" governi farebbero loro questo.

Nessuno vuole ammettere di aver giustiziato i propri familiari e i propri figli fidandosi ciecamente delle "autorità" che avevano annunciato in anticipo il loro programma di genocidio.

Negli Stati Uniti solo una piccola percentuale di persone ha idea di cosa stia succedendo.

Il tempo e l'energia della popolazione vengono consumati per sbarcare il lunario e per intrattenersi.

Si innamorano di un crimine trasparente dopo l'altro.

Qualunque cosa il governo annunci accetti: l'assassinio del presidente John Kennedy, l'assassinio del senatore Robert Kennedy, il Golfo del Tonchino, l'11/9, le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la pandemia di Covid, il vaccino Covid "sicuro ed efficace".

Non imparano mai.

Ora affrontano il genocidio, e non hanno ancora imparato.

Gli autori del genocidio di massa hanno ancora il controllo.

Se non è genocidio, dimmi cos'è quando illustri scienziati medici si scaldano in anticipo sul "vaccino" mRNA e vengono censurati e puniti, quando l'inventore del "test Covid" PCR afferma che il test non indica la presenza del virus e viene ignorato, quando le prove degli effetti dannosi del "vaccino" sono tenute segrete dalla Pfizer e dalla FDA, quando ai medici viene impedito di curare il Covid con cure note Ivermectin e HCQ, quando le farmacie si rifiutano di compilare le prescrizioni dei medici per le cure, quando vengono utilizzati mandati illegali e incostituzionali per costringere i cittadini minacciati di perdita del lavoro a sottoporsi all'iniezione, quando non viene prestata alcuna attenzione ufficiale al massiccio aumento delle morti in eccesso tra i vaccinati, quando i media portano avanti una campagna ingannevole di menzogne e propaganda?

Gli americani – anzi il mondo (compresa l’Italia, Ndr.) – si trovano di fronte a una mostruosa impresa criminale.

Hanno la forza e l'intelligenza per riconoscerlo?

 Faranno qualcosa al riguardo?

 

 

 

Morti di Vaxxing o morti Covid?

Unz.com - RON UNZ – (2 GENNAIO 2023) – ci dice:

 

Fino agli ultimi due anni, dubito di aver mai trascorso anche solo dieci minuti a pensare ai problemi di vaccinazione, e probabilmente una grande maggioranza di americani comuni rientrava nella stessa categoria.

Avevo avuto alcuni cicli di colpi da bambino, integrati da richiami ogni dieci o quindici anni e un vaccino antinfluenzale annuale.

 Non avevo idea se qualcuno di loro funzionasse, ma a parte avere un braccio dolorante per un giorno o giù di lì, nessuno di loro aveva prodotto effetti negativi per me, né per nessuno che conoscevo.

Tutto è cambiato nel 2020, poiché l'improvvisa epidemia di Covid ha portato il nostro governo a promuovere pesantemente una massiccia campagna di vaccinazione basata su una nuova tecnologia mRNA.

Ciò ha rapidamente fatto sì che il movimento anti-vaxxing, un tempo oscuro, crescesse enormemente in dimensioni e visibilità, spostandosi improvvisamente al centro della vita politica.

 Per un periodo di un anno o più, le parti meno mainstream di Internet, incluso il nostro sito web, sono state inondate dalle effusioni di un vasto numero di scettici sui vaccini paurosi, con il dibattito che si è placato solo dopo lo scoppio di febbraio della guerra Russia-Ucraina che ha deviato l'attenzione pubblica verso una questione completamente diversa.

Fin dall'inizio ero estremamente dubbioso su tutti questi argomenti anti-vaccino e ho presentato le mie opinioni contrarie in una lunga intervista con Mike Whitney.

Insieme a un paio di articoli di follow-up, ha provocato circa 4.600 commenti per un totale di 850.000 parole, la stragrande maggioranza di quelle risposte è stata intensamente ostile alla mia posizione:

Gli oppositori delle iniezioni di Covid sono "crackpot anti-vaxx"?

(Mike Whitney Intervista con Ron Unz The Unz Review • 1° agosto 2021. )

Man mano che arrivavano sempre più dati sulla salute pubblica, il mio scetticismo sulla posizione anti-vaccinazione si è indurito, e nel gennaio dello scorso anno ho pubblicato un articolo che lo riassumeva, seguito da un ulteriore articolo sei mesi dopo.

Anche se certamente mi considero un membro del campo anti-anti-vaxxer, penso che le mie opinioni sulla questione siano in realtà piuttosto moderate, come ho spiegato in un paio di paragrafi iniziali in quei due articoli.

Gli anti-vaxxer sono disponibili in un'ampia varietà di tipi diversi, e sarei il primo a riconoscere che alcuni dei loro argomenti sembrano perfettamente ragionevoli.

 I vaccini Covid sono stati messi in produzione senza il solito lungo periodo di test e le versioni più popolari utilizzate in Occidente si basano su una nuova tecnologia mRNA innovativa, quindi sembra abbastanza plausibile che gli effetti collaterali negativi siano stati di gran lunga maggiori rispetto ai nostri vaccini antinfluenzali annuali.

Miliardi di persone in tutto il mondo sono state vaccinate per il Covid, e non sarei sorpreso se molte, molte decine di migliaia sono morte di conseguenza.

 Ma tali perdite rappresenterebbero solo un piccolo frammento dei 15 o 20 milioni uccisi dalla malattia stessa, e se gli esperti medici hanno ragione e il vaxxing riduce notevolmente il rischio di malattie gravi, il rapporto costi-benefici è tremendamente positivo, almeno per gli individui di mezza età o più anziani.

Gli sforzi di vaccinazione obbligatoria imposti da gravi sanzioni legali o occupazionali sono il punto di infiammabilità esplosivo del movimento anti-vaxxer, ma questi non hanno mai avuto alcun senso per me.

 I vaccini sembrano inefficaci nel prevenire l'infezione o la trasmissione e il loro principale vantaggio è quello di ridurre notevolmente il rischio di gravi malattie o morte.

Quindi i vaccinati hanno poco da temere da coloro che rifiutano l'ago, mentre questi ultimi possono fare una scelta informata – o forse emotiva – nel soppesare i rischi di un vaccino relativamente non testato contro quelli di grave malattia Covid.

 Data l'estrema paranoia di una considerevole fetta di anti-vaxxer, una forte pressione governativa potrebbe persino rivelarsi controproducente.

Per anni, Robert F. Kennedy, Jr. era stato una delle figure pubbliche più importanti del movimento anti-vaxxing, e fui piacevolmente sorpreso di scoprire che le posizioni che aveva assunto nel suo enorme best-seller #1 di Amazon erano ugualmente moderate dall'altra parte, come avevo notato in precedenza nella mia recensione fortemente favorevole del suo importante libro.

Abbastanza sorprendentemente, e molto contrario alle mie aspettative, la posizione dichiarata di Kennedy sui vaccini sembrava piuttosto mite, molto diversa dalla selvaggia paura che si incontra regolarmente su Internet.

 Ha affermato che molti vaccini non sono stati adeguatamente testati, spesso hanno avuto effetti collaterali dannosi e sono stati promossi principalmente a causa del profitto delle avide corporazioni farmaceutiche e dei loro sovvertiti regolatori governativi, accuse molto più moderate – e molto più plausibili – di quanto avessi ipotizzato che avrebbe fatto.

Anche se non è affatto raro che gli anti-vaxxer dagli occhi selvaggi avvertano di milioni - o addirittura miliardi! - di morti a causa dell'attuale campagna di vaccinazione contro il Covid, non ho visto affermazioni così eclatanti nei capitoli accuratamente documentati di questo libro ...

 

A differenza di alcuni dei suoi sostenitori più estremi, Kennedy sembrava ammettere pienamente che il Covid è una malattia pericolosa, ma ha giustamente sottolineato la sua estrema inclinazione dell'età.

Ha sottolineato che i vaccini si sono dimostrati molto meno efficaci di quanto inizialmente previsto, e ha osservato che sono stati affrettati in rilascio diffuso senza test sufficienti, che potrebbero alla fine portare a gravi problemi di salute futuri.

La foglia di fico legale che ha permesso di annullare il normale regime di sperimentazione dei pazienti è stata l'affermazione che non esistevano altre cure mediche, e questo probabilmente spiega i diffusi attacchi all'uso dell'IVM.

Inoltre, la vaccinazione dei bambini o dei giovani sembra molto fuorviante data la mitezza della malattia per quelle coorti di età.

(Pravda americana: Vaxxing, Anthony Fauci e l'AIDS The Unz Review • 6 dicembre 2021).

 Sono passati quasi sei mesi dall'ultima volta che ho esaminato la controversia sulla vaccinazione contro il Covid, quindi ho deciso di rivisitare l'argomento, in parte spinto da un nuovo libro che avevo recentemente ricevuto sulla questione, pubblicato sotto gli auspici dell'organizzazione Kennedy's Children's Health Defense.

Il titolo era "Cause Unknown" e l'autore era Edward Dowd, un ex gestore di fondi di Wall Street di grande successo che era diventato un critico pubblico vocale dei vaccini Covid nel 2021.

Anche se rilasciato solo a metà dicembre, il libro ha già avuto un discreto successo, attualmente classificato # 274 in tutti i milioni di selezioni di Amazon, pur avendo anche toccato il posto # 1 nelle categorie specifiche di virologia, immunità e vaccinazioni.

Kennedy contribuì alla prefazione, ma lo stile e la presentazione erano quasi agli antipodi dei suoi.

Il libro di Kennedy del 2020 consisteva quasi interamente di testo, con i suoi margini insolitamente stretti utilizzati per comprimere centinaia di migliaia di parole in sole 450 pagine, pur mancando di qualsiasi indice o persino titoli di capitolo e avendo una copertura netta di testo puro.

In netto contrasto, il libro molto più breve di Dowd traboccava di immagini di clip e foto estratte di notizie, con centinaia di presunte vittime del vaccino Covid.

 La qualità fisica era estremamente elevata, compreso l'uso massiccio di grafici e diagrammi colorati, tutti disposti con gusto, e il design delle pagine patinate aveva l'atmosfera sontuosa di un libro di stile da tavolino da caffè, ma applicava quegli alti valori di produzione a un argomento cupo.

Quasi tutti i clip di notizie e le citazioni erano accoppiati con codici di scansione, consentendo al lettore di verificare facilmente la loro fonte originale, la prima volta che avevo visto una caratteristica così innovativa così ampiamente utilizzata in un volume stampato.

I libri vengono pubblicati per molte ragioni diverse, e sono sicuro che l'indignazione della comunità anti-vaxxing sarà alimentata dalle centinaia di foto e notizie di individui giovani o atleti di successo inaspettatamente colpiti negli ultimi due anni, spesso abbattuti da attacchi cardiaci fatali o ictus.

 Tali lettori probabilmente seguiranno l'autore nell'incolpare automaticamente i vaccini per questa calamità, ma come scettico di tali teorie, sono rimasto completamente non convinto.

Miliardi di persone in tutto il mondo sono state vaccinate contro il Covid, tra cui almeno un paio di centinaia di milioni di americani, e anche i più ardenti sostenitori dei vaccini ammetterebbero che ci sarebbero stati alcuni che hanno subito effetti negativi.

Quasi nessuno dei casi citati nel libro può essere definitivamente attribuito ai vaccini, ma anche se ogni singolo esempio avesse quella causa, i numeri coinvolti sarebbero totalmente trascurabili, forse un migliaio di morti su oltre 220 milioni di americani vaccinati.

Quando consideriamo i problemi di salute pubblica, dobbiamo fare affidamento sulle statistiche e, sulla base del mio semplice esame, le prove difficilmente supportano le conclusioni del libro, puntando invece in una direzione completamente diversa.

Verso l'inizio dell'introduzione di Dowd ha sottolineato l'enorme aumento della mortalità americana negli ultimi due anni, osservando che durante la seconda metà del 2021, il tasso di mortalità per le persone in età lavorativa (18-64) è stato superiore del 40% rispetto agli anni precedenti, un aumento senza precedenti che ho visto ampiamente citato attraverso i media.

 Ma sicuramente questo è esattamente ciò che ci aspetteremmo di vedere durante una massiccia epidemia, e sebbene affermi che la maggior parte di quelle morti non sono state direttamente attribuite al Covid stesso, è facile immaginare che il virus potrebbe essere stato ancora la causa ultima in molti dei casi.

In particolare, ci sono molte prove che le persone infettate da Covid possono avere problemi di salute gravi e persistenti molto tempo dopo - la cosiddetta sindrome "Long Covid" - e se queste condizioni alla fine portano alla morte precoce molte settimane o mesi dopo, la mancanza di sintomi Covid attuali potrebbe facilmente produrre una diagnosi diversa.

Dowd respinge esplicitamente questa possibilità "perché sappiamo che il COVID non è una causa significativa di morte nei giovani", ma in realtà non lo sappiamo, solo che il virus è molto più pericoloso per gli anziani.

La stessa domanda si applica allo stesso modo al diffuso aumento delle richieste di invalidità che l'autore ha anche menzionato.

Quindi, mentre è certamente possibile che le centinaia di morti misteriose documentate nel libro fossero dovute alle vaccinazioni Covid, sembra altrettanto possibile che fossero dovute alle conseguenze persistenti dell'infezione Covid stessa.

 Il modo migliore per separare i due effetti è considerare la tempistica di questi maggiori decessi.

L'epidemia di Covid stessa è iniziata nei primi mesi del 2020, mentre la distribuzione dei vaccini Covid è iniziata solo il 14 dicembre 2020 e sono passati diversi mesi prima che anche il 20% degli americani avesse ricevuto una singola dose, quindi le statistiche sulla mortalità dell'anno 2020 ci consentono di distinguere tra i due fattori.

Dowd sottolinea correttamente che i decessi totali sono la metrica più affidabile da utilizzare e, attingendo i nostri dati dal sito Web del CDC, possiamo visualizzare un grafico che mostra i totali mensili da gennaio 2020 a novembre 2022.

Solo una parte della nostra popolazione era stata vaccinata alla fine di gennaio. Tuttavia, i tassi di mortalità mensili più alti si sono verificati prima di quella data, e poi sono diminuiti abbastanza rapidamente durante i mesi di pesante vaxxing e aumento che sono seguiti, prima di salire di nuovo a un picco simile nel gennaio 2022, e successivamente scendere ai tassi più bassi dall'inizio dell'epidemia.

Quindi, mentre è certamente possibile che alcune di queste morti possano essere dovute ai vaccini, le prove sembrano puntare fortemente nella direzione opposta: nonostante due anni di pesante vaxxing e potenziamento, le morti americane totali sono drasticamente diminuite dall'inizio del 2022.

Dall'inizio del 2020, tali tassi di mortalità totali sono stati pesantemente distorti dal numero molto elevato di decessi Covid, quindi dovremmo esaminare attentamente la traiettoria di altri tassi di mortalità durante questo periodo.

 I critici dei vaccini sembrano credere che la maggior parte delle morti vaxxing si manifestino come attacchi cardiaci e ictus fatali, quindi queste sono le categorie più importanti.

Attingendo alle statistiche ufficiali del CDC, il sito Web Peterson-KFF Health System Tracker fornisce i decessi americani giornalieri suddivisi per causa, con il seguente grafico che mostra le cifre da gennaio 2020 a settembre 2022.

Si noti che il primo aumento considerevole dei decessi mensili per infarto si è verificato intorno ad aprile 2020, proprio quando è iniziata l'epidemia di Covid e i lockdown;

un secondo aumento più ampio è avvenuto nel dicembre 2020 e nel gennaio 2021, proprio quando la campagna di vaccinazione era appena iniziata, con decessi in netto calo nei mesi successivi, anche se la campagna di vaccinazione ha ingranato la marcia;

e infine un altro picco è arrivato nel gennaio 2022 seguito da un calo molto più netto durante il resto di quell'anno.

 Sulla base di questi risultati, vedo pochissime prove che le vaccinazioni siano state responsabili.

Questa conclusione diventa ancora più evidente se consideriamo i dati annuali complessivi per gli anni dal 2015 al 2022, che fanno la media dei picchi e delle valli dei singoli risultati giornalieri.

Una pubblicazione JAMA del 2021 ha fornito i totali per il 2015-2020, mentre i totali del 2021 e del 2022 parziale sono disponibili sul sito web del CDC;

le cifre del 2022 sono finalizzate solo per gennaio-settembre, quindi dovremmo aumentare questi ultimi numeri di 4/3 per produrre le stime per l'intero anno 2022.

Quindi, possiamo vedere che c'è stato davvero un grande aumento delle morti annuali per infarto, che ora sono da trenta a quarantamila all'anno più alte di quanto non fossero in passato.

 Ma tutto questo aumento è arrivato nel 2020, dopo l'inizio dell'epidemia di Covid ma prima che ci fosse stata una quantità significativa di vaxxing, e da allora i risultati sono rimasti costanti.

Ciò suggerisce fortemente che il Covid piuttosto che i vaccini è stato responsabile dell'aumento degli attacchi cardiaci fatali, e gli esperti medici hanno fatto tali suggerimenti.

Un modello in qualche modo simile può essere visto nell'aumento molto più piccolo delle morti per ictus, che si è verificato principalmente nel 2020.

(Si noti anche l'enorme aumento degli incidenti mortali nel corso del 2021, ovvia conseguenza dello sconvolgimento sociale prodotto dal Covid e dalla fine dei lockdown, nonché dei diffusi disordini razziali seguiti alla morte di George Floyd a fine maggio.

 In effetti, le proteste di George Floyd hanno presto scatenato il più grande aumento di omicidi americani mai registrato.

Dal momento che sia le vittime di incidenti che di omicidio tendono ad essere relativamente giovani, ciò spiega quasi certamente il picco senza precedenti di morti giovanili durante il terzo trimestre del 2021 che Dowd sottolinea pesantemente.)

Secondo le statistiche ufficiali, più di 1,1 milioni di americani sono morti di Covid, ma dall'inizio del 2020 anche gli attacchi cardiaci fatali sono aumentati di quasi 100.000.

 Quest'ultimo aumento è iniziato con l'epidemia e non è stato influenzato in un modo o nell'altro dalla campagna di vaccinazione iniziata un anno dopo.

 Ciò suggerisce fortemente che quasi tutti quegli attacchi cardiaci fatali extra erano indirettamente dovuti alle conseguenze delle infezioni da Covid e il vero totale delle vittime americane di Covid è in realtà significativamente più alto della cifra nominale.

Non ho fatto ricerche approfondite su questo argomento, e le cifre che sto presentando sono aggregati abbastanza semplici, ma certamente sembrano puntare in una direzione particolare.

È del tutto possibile che alcune delle centinaia di individui nominati le cui morti sono presentate nel libro di Dowd siano morte per gli effetti collaterali del vaccino, ma sulla base di questi risultati sorprendenti, penso che sia molto più probabile che la causa sia stata l'effetto persistente di una precedente infezione da Covid, forse così lieve che a malapena se ne sono accorti in quel momento.

Permettetemi di riassumere brevemente questi risultati:

Il Vaxxing è iniziato solo il 14 dicembre 2020, quindi non avrebbe avuto quasi alcun impatto sulla salute pubblica durante quell'anno.

Ad eccezione di omicidi e incidenti, quasi tutti i principali cambiamenti nei tassi di mortalità americani si sono verificati nel 2020, quindi questi devono essere stati dovuti al Covid.

Fatta eccezione per omicidi e incidenti, i tassi di mortalità non Covid non hanno mostrato quasi alcun cambiamento nel 2021 e nel 2022, quindi i vaccini probabilmente non hanno avuto alcun impatto in un modo o nell'altro.

I disordini sociali scatenati dalla morte di George Floyd il 25 maggio 2020 hanno presto prodotto un picco senza precedenti di omicidi e incidenti mortali, il che probabilmente spiega la maggior parte del forte aumento delle morti giovanili durante i mesi successivi.

Il problema di districare le morti Covid dalle morti vaxxing è una difficoltà molto diffusa anche altrove.

Nonostante alcune misure di salute pubblica forti, la stragrande maggioranza dei paesi ha subito sostanziali focolai di Covid, e poi spesso si sono riaperti e hanno allentato i controlli della malattia subito dopo che le loro campagne di vaccinazione erano state completate.

 Quindi è difficile decidere se le morti risultanti siano state causate dal virus o invece dal vaccino usato per controllarlo.

Tuttavia, come avevo notato originariamente a luglio, il caso della Nuova Zelanda ci consente di distinguere i due effetti.

Essendo un paese insulare piccolo ma ben gestito, il governo ha rapidamente implementato efficaci misure di salute pubblica e una quarantena di viaggio, evitando così qualsiasi grave epidemia di Covid prima della disponibilità dei vaccini.

Con un forte sostegno del governo, la popolazione era prevalentemente vaxxed con Pfizer, ad un tasso molto più alto di quello degli Stati Uniti.

Tuttavia, la campagna di vaccinazione molto pesante durante il 2021 e l'inizio del 2022 non ha prodotto assolutamente alcun cambiamento nelle linee di tendenza del tasso di mortalità nazionale secondo il sito web Macrotrends, suggerendo che il numero totale di decessi correlati al vaccino era troppo trascurabile per apparire persino nelle statistiche pubbliche.

Ciò avvalora fortemente le conclusioni che abbiamo già tratto dai dati americani.

Non sono certo un esperto di questioni di salute pubblica, e il mio esame di queste cifre sulla mortalità è stato piuttosto superficiale, quindi è perfettamente possibile che un'analisi più attenta trovi evidenti buchi nel mio ragionamento.

 Ma a questo punto, dubito che i vaccini avessero una connessione significativa con le morti che sono il fulcro del libro di Dowd.

 L'autore ha osservato che gli ultimi due anni hanno visto un enorme aumento del numero di morti improvvise e inaspettate di individui giovani, spesso per apparenti attacchi di cuore o ictus, ma penso che il virus Covid stesso piuttosto che i vaccini contro di esso abbiano molte più probabilità di essere responsabili.

Tuttavia, l'unica cosa su cui tutti noi possiamo certamente essere d'accordo è che qualsiasi disastro di salute pubblica globale è stata una conseguenza diretta dell'epidemia di Covid, spingendo la massiccia campagna di vaccinazione che preoccupa così tanto Dowd e i suoi alleati.

Eppure negli ultimi due anni le vere origini di quell'epidemia hanno attirato solo una piccola parte dell'attenzione rivolta alle sue conseguenze secondarie.

Fortunatamente, questo potrebbe ora iniziare a cambiare, e nelle ultime settimane, i principali siti web della comunità alt-Covid hanno iniziato a pubblicare articoli importanti su questo argomento, suggerendo che il lungo insabbiamento delle origini del Covid potrebbe iniziare a collassare.

Ad esempio, molte delle mie interviste podcast dello scorso febbraio hanno raccolto un totale di oltre 100.000 visualizzazioni aggiuntive solo nell'ultima settimana, consolidando la loro posizione come alcuni dei video più popolari su Rumble.

 

 

 

 

Scienza e disuguaglianza sociale.

Come superare la privatizzazione

della conoscenza.

 Recentiprogressi.it - MASSIMO FLORIO – (18 novembre 2021) – ci dice:

(Professore di Scienza delle finanze, Dipartimento di Economia, management e metodi quantitativi, Università di Milano.)

Riassunto. Si è creata una tensione fra politiche pubbliche che favoriscono l’appropriazione della conoscenza da parte delle imprese private e la necessità di contrastare la crescente diseguaglianza nelle nostre società.

Meccanismi redistributivi dei redditi ex post sono inefficaci dato che riguardano principalmente le posizioni relative di chi percepisce redditi di lavoro, mentre al cuore della diseguaglianza vi è la sperequazione fra redditi di lavoro e redditi di capitale (talvolta travestiti da remunerazione dei manager).

Politiche ex post della concorrenza sembrano pure inefficaci e inefficienti.

I cittadini in larga misura finanziano con le imposte la produzione di conoscenza attraverso la spesa pubblica per la ricerca scientifica, per l’istruzione, per il sostegno diretto e indiretto alla R&S delle imprese.

A fronte di questi costi sociali, i benefici finiscono con l’essere catturati in larga misura nella forma di valorizzazione del capitale di imprese oligopolistiche private.

Una possibile soluzione di questo problema sarebbe nel riscoprire l’idea dell’impresa pubblica e ibridarla con quella di infrastruttura di ricerca:

un nuovo tipo di impresa come polo della creazione di conoscenza.

Questo tipo di organizzazione dovrebbe gestire come proprietà sociale il capitale intangibile derivante dalla ricerca pubblica in alcuni campi, creando un portafoglio di progetti i cui ritorni alimentino un fondo destinato sia a reinvestire nella stessa ricerca sia a realizzare programmi sociali di promozione dell’uguaglianza nell’accesso alle nuove conoscenze.

Nuove imprese pubbliche europee di questo tipo potrebbero promuovere le innovazioni dirompenti nei farmaci e nei vaccini, nell’energia e nella produzione sostenibile, nelle piattaforme digitali restituendole dal pubblico al pubblico, dal cittadino contribuente al cittadino utente, senza l’intermediazione degli oligopoli.

 

Le politiche di sostegno a università, infrastrutture di ricerca, ricerca e sviluppo (R&S) delle imprese hanno contribuito alla diseguaglianza attraverso la trasformazione della conoscenza in capitale.

Vediamo alcuni meccanismi di questa appropriazione e perché si tratta di processi che presuppongono sempre delle istituzioni e delle politiche, non sono spontanei equilibri di mercato.

Un primo meccanismo riguarda la legislazione sulla proprietà intellettuale, che stabilisce un monopolio legale sullo sfruttamento economico delle invenzioni, tipicamente per venti anni.

La finalità dichiarata è quella di tutelare l’inventore.

Si ritiene che altrimenti non vi sarebbero incentivi adeguati all’innovazione.

È una lettura superata della produzione di innovazioni.

 Una domanda di brevetto dovrebbe citare eventuali precedenti brevetti su cui l’invenzione si basa, nonché la letteratura scientifica pregressa.

Ma queste citazioni hanno un significato limitato nell’epoca storica della produzione di conoscenza su larga scala.

La letteratura su una patologia e terapia consiste spesso in migliaia di articoli reperibili nelle banche dati (per es., in MEDLINE/PubMed).

Le famiglie di brevetti connessi a un’innovazione significativa possono essere a loro volta migliaia.

Il brevetto stabilisce una recinzione legale e crea una rendita, ma di fatto in modo arbitrario stabilisce un rapporto di proprietà intellettuale privata su potenziali innovazioni che hanno molti ascendenti.

Una bella analogia è quella che ho recentemente sentito in un dibattito: è come se in una gara di staffetta la medaglia venisse data solo all’ultimo atleta.

Solo che qui la medaglia può essere miliardaria.

Il patrimonio personale dell’amministratore delegato e azionista di Moderna – un manager, non uno scienziato – è balzato a oltre cinque miliardi di dollari.

Eppure Moderna non aveva ricevuto nessuna autorizzazione per un farmaco prima di ottenere sia enormi finanziamenti dal programma Operation Warp Speed gestito dall’agenza pubblica Biomedical Advanced Research and Development Authority (Barda), sia licenze per tecnologie chiave ideate nei National Institutes of Health (ministero della salute degli Stati Uniti), e infine il pre-acquisto a scatola chiusa del suo vaccino prima ancora che fosse autorizzato.

Un secondo meccanismo è quello delle forniture ad alta intensità tecnologica per il settore pubblico, che sono al cuore del complesso militare-industriale statunitense.

I contribuenti hanno finanziato l’innovazione tramite le commesse pubbliche dirette alle imprese e indirette alle università.

 L’oligopolio delle Big Defense si è appropriato, grazie a rapporti decennali con il Pentagono, delle conoscenze su radar, telecomunicazioni, internet, satelliti per osservazione terrestre, missilistica, tecnologie aeronautiche, informatica, filiera nucleare dual use e molto altro.

Un terzo canale di privatizzazione della conoscenza è la formazione di capitale umano a spese del settore pubblico nei dottorati universitari e nelle infrastrutture di ricerca.

Un post-doc in fisica delle particelle viene addestrato in una organizzazione pubblica come il CERN a sviluppare capacità avanzate di analisi dei dati e di soluzione di problemi computazionali complessi.

 Quando viene poi assunto da un fondo di investimento per occuparsi di modelli di asset management, le sue conoscenze sono in gran parte privatizzate, nonostante siano spesso stati i contribuenti a finanziare dieci o dodici anni di investimento collettivo nella creazione di capitale umano.

Un percorso molto costoso volto alla creazione di conoscenza scientifica sfocia nella messa a disposizione di queste rare competenze nella sala gioco delle scommesse finanziarie, con il favore delle alte retribuzioni offerte, della maggiore certezza di prospettive e della circostanza che in determinati campi di ricerca scientifica l’offerta di brillanti cervelli sia maggiore della loro domanda nel settore pubblico o no-profit.

Un quarto meccanismo è la legislazione che consente l’uso di dati raccolti con altre finalità da piattaforme digitali.

Siamo così abituati a ritenere ovvio ciò che Amazon, Google, Facebook, Instagram, YouTube fanno con i nostri dati che probabilmente ci sfugge che se questa appropriazione si verifica non è perché esse dispongano di una tecnologia superiore a tutti i loro potenziali concorrenti né a causa di una distrazione dei legislatori.

Le enormi praterie dei dati personali e industriali sono state recintate in modo artificioso, conferendo la proprietà degli stessi ad alcune imprese private ma non ad altre attraverso contratti che tutti noi sottoscriviamo con un paio di click senza leggerli e senza che un’autorità pubblica verifichi se i cittadini sono informati su che cosa stanno sottoscrivendo (diversamente da quello che dovrebbe accadere nei servizi a rete regolamentati, come energia o telecomunicazioni).

 

Infine, un meccanismo controintuitivo, cui ho già accennato, è connesso all’open science.

 Si tratta di una politica che cerca di estendere il principio dell’open access alle prassi, alle metodologie e soprattutto ai risultati della ricerca ed è un obiettivo strategico dell’Unione Europea nei finanziamenti che concede alla ricerca.

 Questo approccio, di per sé animato proprio dall’idea che la conoscenza debba essere considerata un bene pubblico, ha creato un paradosso.

Da un lato, l’esistenza di un vasto patrimonio di open science frutto della ricerca di migliaia di università ed enti pubblici di ricerca rappresenterebbe un grande potenziale per accrescere la giustizia sociale.

 Dall’altro, quel patrimonio può produrre l’effetto contrario: le imprese private che si collocano a valle, grazie agli investimenti in conoscenza già realizzati a monte, con una loro attività di R&S, si appropriano privatamente della conoscenza.

Mi sembra sostenibile che vi sia una relazione fra oligopolio, cioè concentrazione del potere di mercato, e concentrazione della ricchezza sotto il profilo della distribuzione dei patrimoni personali.

Secondo uno studio di Credit Suisse (già dieci anni fa) il top 1% dei detentori di patrimoni deteneva il 50% della ricchezza totale del mondo.

Forbes ogni anno pubblica una lista dei miliardari nel mondo (per quello che si sa). Nei primi 20 posti troviamo diversi fra i campioni dei settori “tech”, “telecom” e “media”: Jeff Bezos (Amazon), Bill Gates (Microsoft), Larry Ellison (software), Mark Zuckerberg (Facebook), Steve Ballmer (Microsoft), Carlos Slim (Telecom), Larry Page (Google), Sergey Brin (Google), Michael Bloomberg (media), Jack Ma (e-commerce), Ma Huateng (internet media).

Nella lista Forbes dei fortunati 241 tech billionaires compaiono anche la ex signora Bezos, il cui divorzio nel 2019 dal più noto Jeff le ha garantito un patrimonio personale di 36 miliardi di dollari.

 Oppure la vedova di Steve Jobs, Laureen Powell, che ha ereditato 16,4 miliardi dal defunto co-fondatore di Apple.

Sotto il profilo dell’equità, in presenza di extraprofitti derivanti da potere di mercato, la soluzione dei manuali ortodossi di economia pubblica è l’imposta sui redditi di monopolio.

Ma, secondo OXFAM, globalmente solo il 4% delle entrate tributarie dei governi viene dalla tassazione della ricchezza delle persone fisiche e giuridiche.

Si può dubitare dell’impegno (preso nel recente G20 di Roma) che una aliquota minima del 15% sui profitti sia applicabile dove il reddito si crea, per la semplice ragione che per molte attività basate su capitale intangibile sarà difficile dire dove sia la giurisdizione rilevante.

Altrettanto mal riposta, temo, sarebbe la speranza nel ruolo della “distruzione creatrice” nei campi high tech, magari con l’aiuto di politiche di regolazione dei mercati.

 Per quanto nuovi membri possano entrare nel club e qualcuno uscirne, l’economia di scala e di varietà delle Tech Giants, delle Big Pharma e in altri settori di alta tecnologia, sembrano imbattibili.

Politiche della concorrenza estremamente energiche negli anni ’90 del secolo scorso hanno rimescolato gli oligopoli, per esempio della telefonia o dell’elettricità (peraltro spesso con effetti distributivi regressivi sui piani tariffari), con la formazione di nuovi equilibri oligopolistici, più che con l’affermazione di mercati concorrenziali (ho cercato di dimostrarlo in miei lavori precedenti rispettivamente sulle privatizzazioni britanniche e sulle riforme delle industrie a rete nella UE).

Riassumiamo.

 Si è creata una tensione fra politiche pubbliche che favoriscono, attraverso vari meccanismi, l’appropriazione della conoscenza da parte delle imprese private e la necessità, da molti condivisa, di contrastare la crescente diseguaglianza nelle nostre società.

Meccanismi redistributivi dei redditi ex post sono inefficaci dato che riguardano principalmente le posizioni relative di chi percepisce redditi di lavoro, mentre al cuore della diseguaglianza vi è la sperequazione fra redditi di lavoro e redditi di capitale (talvolta travestiti da remunerazione dei manager). Politiche della concorrenza sembrano pure inefficaci.

I cittadini in larga misura finanziano con le imposte la produzione di conoscenza attraverso la spesa pubblica per la ricerca scientifica, per l’istruzione, per il sostegno diretto e indiretto alla R&S delle imprese.

A fronte di questi costi sociali, i benefici finiscono con l’essere catturati in larga misura nella forma di valorizzazione del capitale di imprese oligopolistiche private.

È all’opera una redistribuzione regressiva, invisibile perché legata a beni intangibili, difficile da stimare, ma significativa.

Se si tenta di combinare politiche con obiettivi molto diversi si finisce in un ginepraio.

 Per esempio, se si concede alle imprese farmaceutiche di usufruire senza condizioni della ricerca pubblica, della formazione dei ricercatori nelle infrastrutture scientifiche pubbliche e nelle università, di finanziamenti diretti e sconti fiscali per la loro parte di spese di R&S, e in più si concede loro il monopolio legale per 20 anni sui farmaci, diventa poco fattibile a quel punto cercare di indebolirne potere di mercato e profittabilità con politiche ex post.

Sembra non esservi alternativa a un mondo dominato da Tech Giants, Big Parma, Top Defense, ecc. nel quale, peraltro, non sono tramontati i vecchi oligopoli della finanza, dell’energia, della grande distribuzione.

Un’alternativa nell’arsenale della politica economica potrebbe, però, esistere.

 Si tratterebbe di riscoprire l’idea dell’impresa pubblica e ibridarla con quella di infrastruttura di ricerca: un nuovo tipo di impresa come polo della creazione di conoscenza.

Questo tipo di organizzazione dovrebbe gestire come proprietà sociale il capitale intangibile derivante dalla ricerca pubblica in alcuni campi, creando un portafoglio di progetti i cui ritorni alimentino un fondo destinato sia a reinvestire nella stessa ricerca sia a realizzare programmi sociali di promozione della uguaglianza nell’accesso alle nuove conoscenze.

A questo scopo propongo nel libro uscito per i tipi di Laterza una strategia che restituisca ai cittadini i benefici di ciò che essi stessi hanno contributo a creare.

Sviluppando una idea maturata nel “Forum Diseguaglianze e Diversità”, si possono immaginare grandi progetti sovranazionali nei campi rispettivamente della ricerca biomedica, delle tecnologie per la transizione ecologica, per il governo dei Big Data.

Progetti che creino, su un orizzonte di lungo periodo e con investimenti significativi, nuove imprese pubbliche per promuovere le innovazioni dirompenti nei farmaci e nei vaccini, nell’energia e nella produzione sostenibile, nelle piattaforme digitali, e le restituiscano dal pubblico al pubblico, dal cittadino contribuente al cittadino utente, senza l’intermediazione degli oligopoli.

Si può immaginare che alcune imprese private possano anche essere invitate a collaborare a questi progetti, soprattutto nei campi in cui altrimenti non interverrebbero, ma senza consentire loro di intestarsi la proprietà dell’intelligenza collettiva.

 

 

 

PERCHÉ LO FANNO?

Psicopatologia del potere nichilista.

Comedonchisciotte.org-Alessia Vignale, psicologa – (23 ottobre 2022) – ci dice:

 

La reazione di Hillary Clinton alla morte di Gheddafi.

“We came, we saw, he died. Ha ha ha ha ha!” (Siamo venuti, abbiamo visto, è morto. Ha ha ha ha ha!).

Da una scintillante “camera caritatis” americana destinata a divenire virale e globale – per distrazione oppure semplice disprezzo del “comune senso del pudore”.

il segretario di stato Hillary Clinton ride ricolmo d’euforico autocompiacimento quando la CBS le chiede, in un intermezzo che lei ritiene “non connesso”, dell’appena avvenuta uccisione del leader libico Muammar Gheddafi.

Sebbene la storia sia andata avanti da quel 20 ottobre 2011, questo spezzone rimane un “evergreen”.

Davvero sono fatti così, i potenti?

Che tipo di donna è, quella che parla in quel video che tutti abbiamo mandato avanti e indietro almeno un paio di volte per vedere se per caso avessimo capito male?

Come sempre, tenterò una lettura valendomi della psicoanalisi e delle discipline limitrofe.

In questi due anni e mezzo abbiamo assistito a fenomenologie del potere talmente lontane dalle logiche scritte nel “libro delle leggi della vita” da costringerci a scervellarci nell’incredulità.

Com’è possibile che progetti come il Grande Reset, che intendono annichilire la storia dell’uomo di fatto proponendo un Medio Evo tecnocratico alla Mad Max, visioni del mondo come il transumanesimo, che indicano la specie umana come obsoleta escrescenza di Gaia, guerre sino all’ultimo uomo condotte attraverso i corpi e sul suolo di altri, ma prevedenti l’uso del nucleare se necessario, vengano scientemente studiate e portate avanti dai leader mondiali?

“Non hanno figli anche loro?”

Che futuro prevedono, per essi, se il “piano B” di lorsignori è un bunker accessoriato d’ogni comfort, sorvegliato da un servizio d’ordine di cui però occorre temere la rivolta?

Purtroppo, insegna la clinica delle psicopatologie legate alla carenza di senso morale, a loro nulla importa del domani né dei figli, la loro “brama” può spingersi sino all’autodistruzione, tanto è il bisogno di dimostrare a se stessi e al mondo il loro potere.

La sete di potere, assoluta e incoercibile, è loro unica consigliera. “Non importa quanto grande sia il tuo impero economico”, potrebbe dirci una “felpa californiana” appartenente all’élite, “esso dovrà essere sempre più grande e asservire sempre più persone… sino a lasciare nella storia degli uomini un marchio indelebile, il tuo”.

L’incredulità di chi senta questa descrizione è spesso alla radice emotiva dell’impossibilità di affacciarsi su teorie più o meno “complottiste”;

 in tema di potere noi siamo invece inclini a credere che “a pensar male si faccia peccato, ma si abbia spesso ragione”, com’ebbe a dire un Giulio Andreotti che di ragioni del potere ne sapeva qualcosa.

Per tornare ai più, essi ricusano questa sardonica perla di saggezza proprio per la difficoltà emotiva che implica il sospettare la deliberata malvagità del potere.

Lo si può capire: in prima battuta, per elaborare una teoria della mente altrui, cioè per interpretare i comportamenti degli altri, ci valiamo della proiezione su di essi dei nostri sentimenti “umani”, dunque leggiamo il loro comportamento alla luce delle nostre motivazioni.

“L’altro non può minare il futuro perché io non lo farei e non lo faccio” (il che è tutto da dimostrare, ma questo è tema per un altro articolo).

Il meccanismo della proiezione, se ci pensiamo, è alla radice della nostra umanizzazione di ogni cosa, del nostro caricarla di significati rendendo il mondo, altrimenti impervio, un luogo abitabile poiché ricco di senso;

 esso, così, diviene un teatro ricco di materiali di scena atti a realizzare i nostri desideri, e la vita stessa diventa assai simile a un incarnato “sogno diurno”;

non ci preoccupi l’amplissima diffusione di questa opinabile procedura, poiché di fatto non abbiamo altro modo d’accedere alla realtà che attraverso il filtro della soggettivazione (da porre poi al vaglio dell’esame di realtà), insegnano psicoanalisi e neuroscienze.

Ci accade così di conferire, non pensandoci, le coloriture emotive desiderate persino alla nostra automobile, di attribuire emozioni umane al nostro cucciolo di cane, e così via.

Ma quando quest’operazione, che ci aiuta a comunicare con gli altri conferendo una spesso fittizia intellegibilità alle loro intenzioni, viene utilizzata per colmare i vuoti affettivi nel comportamento di personalità psicopatiche o narcisistiche, il “bias”, l’errore affettivo che diviene cognitivo, può essere pericoloso.

Ben lo sa ciascuno di noi, che quasi certamente può annoverare, nella sua storia amorosa, una passione non ricambiata per la narcisista di charme o per lo spiantato sociopatico di turno.

Perché “… era vero, lei o lui non ci amavano! Non potevano farlo e si guardavano bene dal farlo.

Eravamo noi, a conferirgli afflati emotivi di cui loro nemmeno favoleggiavano l’esistenza”.

La prima motivazione, dunque, per aderire alle teorie mainstream che ci impongono di non credere al male deliberato, è la nostra “bontà”, il “buon cuore”, che crediamo talmente universali da attribuirne il possesso, quale tratto comune della specie, anche a chi non ce l’ha.

 

Una seconda motivazione, assai tipica della contemporaneità postmoderna, per non credere alla deliberazione del male che apparentemente traluce dalle decisioni del potere, è di marca nevrotica, e qui possiamo ricorrere al primo Freud:

“fanciulli” mai divenuti completamente adulti (la cultura del “The game” descritta dallo scrittore Alessandro Baricco ci ha allevati come tali), non riusciamo davvero a “uccidere i nostri genitori” (fuor di metafora, i sistemi di potere con le loro leggi e istituzioni), non possiamo pensare che essi siano comuni mortali, dunque anche un po’ stronzi o imperfetti come tutti noi.

 Ne teniamo in vita l’irrealistico mito perché abbiamo bisogno di farlo;

lì reputiamo buoni e giusti così come li vedevamo da bambini, vuoi perché per noi all’epoca essi lo erano davvero, vuoi perché la natura ci aveva dotato di un istinto d’”attaccamento” capace d’enfatizzarne la bellezza in questo modo…

infine, vuoi perché siamo ancor oggi tanto inermi dinanzi agli imprevisti della Storia da aver bisogno di un potere che, per quanto ammantato di “soft”, sia silenziosamente “strong”.

Uno studio neuroscientifico non recente aveva confrontato due popolazioni di adolescenti, una appartenente all’occidente talassocratico, l’altra di cultura africana, sottoponendole alla TAC, e aveva riscontrato come il cervello degli africani fosse adulto, la corteccia già matura, ben prima in età di quello dei coetanei occidentali;

il risultato è opinabile e tutto da discutere, ma forse ci dice qualcosa sulla natura culturale dell’infantilizzazione di massa cui assistiamo qui da noi.

 È un fatto spesso comunemente osservabile, d’altronde, che i giovani di altre culture meno avvantaggiate siano in genere più svegli dei nostri poiché giocoforza più scafati.

Qui da noi non ce la facciamo ad accettare la delusione d’esser figli di divinità minori, dunque la tragedia della doppiezza di un sistema di potere che grazie alla sua suadente promessa d’inclusività con chi è resiliente, in realtà erede perfezionatissima dell’antico sistema del “panem et circenses”, ci ha fatto finora pensare d’essere la migliore delle madri possibili.

 Temiamo la dissidenza molto più di prima, avendo oramai dimenticato quanto essa fosse all’ordine del giorno per i “boomers” che ci hanno di poco preceduto nell’Europa contemporanea.

Poiché di un sistema come il nostro, che come una madre magnanima accoglie e nutre ogni nostra contraddizione, infantilismo, indeterminatezza e caos, temiamo le crepe, dalle quali potremmo sgusciare fuori nudi come quegli “ultimi” di cui il sistema tanto promette d’occuparsi;

da lì temiamo non sopravvivremmo da soli.

Che fare da soli, senza esser nella pancia di qualcuno di più grande?

 Ognuno interpreti la metafora come crede.

 A poco vale ricordare che questo tipo di madre, pur necessaria all’inizio della vita, quando portato all’estremo sfocia in ogni mitologia primitiva nella madre che riassorbe il figlio, determinandone l’involuzione e la morte… cioè l’implosione d’ogni progetto di rinnovamento che ogni nuovo nato dovrebbe poter portare al mondo.

Comunque tutti noi, nevrotici, sani o convinti di essere tali, troviamo inspiegabile l’abisso in cui ci stanno precipitando.

Passiamo allora dall’incredulità alla dichiarazione della nostra più completa estraneità a tutto questo:

infine, sposiamo la tesi di chi spieghi il male nel mondo, oggi la guerra, come il frutto di qualcosa che nulla ha a che fare con la nostra umanità, il frutto, cioè, di un’aberrazione.

I manuali di clinica e diagnostica sembrano, in questo, darci ragione:

i potenti di cui sui giornali leggiamo dubbie biografie narrate ad arte, che comicamente prevedono quasi sempre l’hitlerizzazione qualora schierati dalla parte del nemico, appartengono senz’altro a una categoria di persone speciale, la cui moralità intesa in senso comune sembra essere discutibile.

La risposta all’interrogativo “Perché lo fanno?” sembra a questo punto agevolata: “Perché hanno un “difetto di fabbrica, non sono come noi!”

Per quanto idiosincratica e difensiva della propria incolumità mentale appaia questa risposta, essa ha un fondo di verità:

nel video della Clinton mancano parecchie caratteristiche “tipicamente umane”, prime fra tutte la pietà, l’identificazione nella vittima, il rispetto della sacralità della vita e della morte.

 Siamo d’accordo, il motto “De mortuis nihil nisi bonum” è forse un po’ tirato per i capelli qualora lo volessimo applicare a Gheddafi, ma ne converrete: qualcosa non torna.

Volendo ricorrere ai tipi umani decritti nei manuali diagnostici vigenti presso la comunità psichiatrica e psicologica mondiale, il PDM e il DSM, potremmo cercar di capire quali siano le caratteristiche di un tipo d’uomo insensibile alle comuni leggi dell’etica e dell’empatia, un tipo d’uomo che l’Ottocento definiva “affetto da insanità morale” e che oggi chiameremmo “psicopatico” o “antisociale”.

Si badi, il fatto che la categoria ottocentesca ci faccia sorridere, dato l’odierno disuso di parametri quali la moralità per valutare il nostro comportamento, ci deve far ragionare: siamo fieri del nostro svincolo rispetto ai valori dati, ma di quale emancipazione siamo i fautori, dove ci sta portando?

Possiamo anche interrogarci su quanto i nostri nuovi valori si stiano avvicinando allo “sdoganamento” di modalità vicine alla psicopatia come quasi approvate socialmente.

Come asserisce Nancy Mc Williams, tra le autrici psicodinamiche contemporanee più lette, molto probabilmente il disturbo di personalità psicopatico è favorito dai sistemi educativi dell’occidente contemporaneo, che trascurano il bambino piccolo e lo deprivano delle cure affettive primarie:

la famiglia nucleare, oggi ancora più esigua in quanto superata dalla mono genitorialità o da altre formule in cui entrambi i genitori lavorano, non può non depauperare il bambino delle “energie nobili”, così le chiama lo psicoanalista Guido Crocetti, che un genitore dovrebbe poter dedicare al suo bambino piccolo per farne un uomo.

Tra le fila della psicopatia si annoverano i serial killer più disorganizzati e psicotici come Richard Chase, che uccideva a caso, smembrava le sue vittime e ne beveva il sangue convinto che il suo fosse avvelenato.

Ma tra gli psicopatici figurano anche i “serpenti in giacca e cravatta” studiati da Babiak e Hare nel 2007, vale a dire manager posizionati ai più alti livelli nelle aziende americane.

È in realtà intuitivo, volendo seguire Erich Fromm, come per accedere ai vertici del potere di società malate come la nostra, basata sull’avere anziché sull’essere, torni utile una struttura personologica psicopatica:

nessun sentimento si frappone tra sé le la propria autorealizzazione, nessun problema insomma, qualora per un posto in parlamento occorra vendere la propria madre.

Il motto della tipologia passiva è “Chiagne e fotte”, quello della tipologia aggressiva e di successo è: “Comandare è meglio che far l’amore”.

I due slogan chiariscono come questa personalità sia imperniata sul suo godimento a danno degli altri, di come per essa il potere sia tutto.

Eredi di una storia emotiva assai difficile, negli psicopatici cova in profondità l’inconsapevole angoscia di essere ancora completamente in balia degli altri, impotenti di fronte a un destino che può sempre distruggerli a tradimento.

Per difendersi non possono far altro che assoggettare, asservire, sottomettere, ne va della loro stessa sopravvivenza psichica.

L’esercizio del potere e della sopraffazione gli è vitale come l’ossigeno.

In più, avendo ricusato ogni sentimento grazie a meccanismi di difesa quali la dissociazione e l’innalzamento delle soglie di risposta agli stimoli, vivendo in uno stato di profondissima noia di fatto sentono il vuoto, avvertono il nulla affettivo dentro di sé, temono segretamente di non avere personalità (la “sindrome dell’impostore” è una delle loro patologie).

Privi di una guida interiore nel comprendere cosa davvero accada loro mentre fanno l’esperienza di vivere, vengono a ragione colti dall’angoscia d’essere in balìa della vita stessa.

La credenza patogena reattiva relativa a sé stessi diviene allora” posso fare tutto ciò che voglio”, dice il PDM, mentre quella relativa agli altri è:

 “sono tutti egoisti, ti manipolano, sono spregevoli e incapaci di farsi valere, inconsistenti, e dunque non valgono niente.

Tocca allora manipolare per non essere manipolati perché, come recitava il titolo di un saggio di self help di tanti anni fa, “o si domina o si è dominati”.

Come ultima indicazione per destreggiarsi rispetto ad essi, ricorderò che non hanno i sentimenti.

Non attribuite loro la tenerezza che magari provate, non immaginate che provino tristezza, preoccupazione, amore, dedizione, amicizia, lealtà;

semplicemente non sanno cosa siano.

Risultano talora estremamente seduttivi perché, quando dotati di buon QI, fanno come Hannibal Lecter ne “Il silenzio degli innocenti”;

 lui divenne psichiatra per capire come gli altri provassero perché non poteva saperlo, non provando alcunché.

Molti psicopatici studiano “da fuori” il funzionamento degli altri e lo imitano a perfezione;

ma cosa accada a sé stessi e agli altri “da dentro” rimane per loro un mistero.

Se applicate ad essi parametri umani fallirete.

Per creare un legame, invece, conta l’esercizio del potere:

dimostrate d’averne più di loro e otterrete, per quanto durerà, il loro rispetto.

Una nota di profondissima comprensione di questa patologia, che conduce l’uomo alla distruttività e alla necrofilia nei casi più gravi, viene da Erich Fromm nel saggio “Anatomia della distruttività umana” (1975).

Egli ci ricorda come questo carattere pervenga alla soluzione distruttiva perché impossibilitato a una creatività produttiva;

plasmato, cioè, da un contesto famigliare dapprima, sociale poi, che lo coarta, esso perviene all’impossibilità di fare qualcosa che per qualunque essere umano è essenziale, dare un senso alla sua vita, cambiare il mondo con il proprio passaggio.

Le sue passioni, ancorché distruttive come quelle di vendetta, di odio, di sopraffazione, lo trasformano da semplice “cosa” in “eroe”, sono “il tentativo umano di dare un senso alla vita e di sperimentare l’optimum di intensità e di forza che egli può raggiungere in determinate circostanze.

Esse sono la sua religione, il suo culto, il suo rituale. Un cambiamento di personalità gli è possibile soltanto se è in grado di “convertirsi”:

di trovare cioè un modo nuovo di dare un senso all’esistenza, mobilitando le passioni che incoraggiano la vita, sperimentando così un senso di vitalità e integrazione superiori a quelli che aveva prima.

Altrimenti potrà essere addomesticato, ma mai guarito”.

Senza dunque giustificarlo, potremo con Fromm cominciare a vedere nello psicopatico un uomo che ha preso la strada sbagliata nella sua ricerca della salvezza, e potremo ancor meglio gustare il senso di questo termine riandando, come fa Fromm, alla sua etimologia.

“Salvezza deriva dalla radice latina sal, “sale”.

Il significato deriva dal fatto che il sale protegge la carne dalla decomposizione; “salvezza” è la protezione dell’uomo dalla decomposizione.

 In questo senso (in un senso non teologico) ciascun uomo ha bisogno della salvezza”.

 

Capire questo può essere un primo passo per cominciare a porre un rimedio, che passa per una radicale riforma valoriale, culturale, di prassi che non può che attraversare la conoscenza profonda della psiche umana.

Il quadro sublime offerto dallo scrittore Albert Camus nel suo dramma “Caligola” ci permetterà di ricordare al meglio lo psicopatico.

Caligola: “Io non sono matto. Anzi, non sono mai stato così lucido. Ho provato semplicemente un’improvvisa sete di impossibile.

Le cose, così come sono, non mi sembrano di tutto riposo.

 Perciò ho bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità: di qualche cosa, poniamo, di pazzesco, purché non sia di questo mondo.

 L’impossibile: proprio di questo si tratta.

O meglio, si tratta di rendere possibile ciò che non lo è.

A che mi giova la mano ferma, a che mi serve questo stupendo potere se non posso far tramontare il sole a levante e diminuire il dolore; far che non muoiano i vivi?”

Cesonia: “Ma è voler uguagliare gli dei, questo. Non conosco una peggior pazzia.” Caligola:

“Voglio mischiare il cielo col mare; confondere la bruttezza e la bellezza; far zampillare il riso dalla pena.”

Cesonia: “C’è il buono e il cattivo, il grande e il meschino, il giusto e l’ingiusto: è una legge che nessuno cambierà mai. “

 

Caligola: “Io la cambierò! Farò a questo secolo il dono dell’equivalenza.

 E quando tutto sarà purificato, e l’impossibile sulla terra, e la luna nelle mie mani, allora, forse, anch’io sarò trasformato, e il mondo con me e gli uomini non moriranno e saranno felici”.

 

 

 

PSICOPATICI AL POTERE PLASMANO

LA “SOCIETA’ DELLA MALEVOLENZA”

 

Maurizioblondet.it - Maurizio Blondet – (9 Marzo 2021) – ci dice: 

A proposito di Steve Jobs: 

il fondatore di Apple, idolo del successo e indicato a modello ai giovani intraprendenti. 

Molti dei suoi sottoposti hanno ammesso che “lavorare con lui era un inferno”; Jobs  si faceva cogliere da rabbie incoercibili, insultava, “de-motivava”.

Quando si era convocati nel suo ufficio, “era come salire alla ghigliottina”. 

 Chi lo ha conosciuto   ha parlato di lui come di “uno stronzo” (asshole), un maleducato insopportabile (jerk).

Uno dei suoi migliori amici, Jony Ive che ha lavorato al suo fianco, ha raccontato a Business Insider:

“Quando era frustrato, il suo modo di arrivare alla catarsi era di ferire qualcuno. Pensando di averne diritto. 

Come se le norme sociali non si applicassero a lui”.

(businessinsider.com/steve-jobs-jerk-2011-10?IR=T)

Quelli qui evocati sono tratti di vera e propria psicopatia, un “disturbo antisociale di personalità”, o un “disturbo narcisista di personalità”.

 Ferire, svalutare, spregiare i sottoposti, fa parte dei tratti principale di questo tipo di disturbati: 

 la totale mancanza di empatia e di compassione, ossia di mettersi nei panni degli altri e l’incapacità di avere rimorso per il male che fanno al prossimo.

“Volete davvero essere come lui? “

Nelle forme più gravi e conclamate, questi tipi umani finiscono in manicomio o in prigione.

 Esiste infatti “una naturale affinità tra il narcisista patologico e il criminale “ (così il dottor Sam Vaknin, un esperto delle psicologie aziendali), uniti dalla stessa “mancanza di empatia e compassione, capacità sociali deficienti, sprezzo per le norme morali e legali”. 

Ma nelle forme attenuate, certe psicopatie rendono chi ne è affetto altamente “funzionante”, e lo portano – paradossalmente, al successo in aziende multinazionali e a capo di Stati (o di chiese).

La maggior parte degli studi psichiatrici riguardano infatti dei carcerati.

  “I detenuti sono facili, amano incontrare i ricercatori, ciò interrompe la monotonia delle loro giornate”, racconta lo psichiatra Robert Hare:

 “Sappiamo molto meno sulle psicopatie aziendali e le loro conseguenze: gli amministratori delegati, i politici, i ministri – questi squali –   mica si fanno esaminare”. 

Robert Hare, con il collega Paul Babiak, ha condotto uno dei rarissimi studi sul tema:

(P. Babiak, C.S. Neumann, R.D. Hare, “Corporate psychopathy: Talking the walk,” Behavioural Sciences and the Law, at et al 2010.pdf.)

Entrambi sono d’accordo: alla testa delle grandi aziende e delle finanziarie, gli psicopatici sono uno su venti, ossia 4 su cento:

se vi sembra poco, pensate che è un’incidenza quattro volte superiore ai disturbati nella popolazione generale. Secondo loro, “Wall Street potrebbe contarne uno su 10, attirati dai vuoti normativi che consentono grossi profitti”.

Vediamo dunque l’identikit che Hare fa di questi potenti:

“Un fascino superficiale, un ego senza limiti, menzogna patologica, astuzia fredda e calcolata per raggiungere la preda.

 Spesso impulsivi e irresponsabili, mostrano assenza di empatia e mancano di senso di colpa, non hanno rimorsi. 

La loro pericolosità è accentuata da altri caratteri, come la polivalenza criminale e una marcata capacità di manipolare [cioè soggiogare la volontà altrui], ingannare e controllare”.

Sono i caratteri, diciamo, di un gangster di successo, di Al Capone che si è fatto la banda, ha la Chicago ufficiale ai suoi piedi, e poi finisce in galera. 

“Sono i tratti che permettono agli psicopatici di ascendere a posizioni di vertice di potere e d’influenza. Al potere assoluto” nelle grandi imprese o organizzazioni.

Che suscitano espressioni come “Quel bastardo! Bravo però…ma che stronzo”.

La cosa non stupisce il professor Joel Bakan, docente di diritto all’università della Colombia Britannica (Canada) che ha contribuito ad uno studio dal titolo  “Do Psychopats run the World?”,  gli psicopatici comandano il mondo?

(newdawnmagazine.com/articles/do-psychopaths-run-the-world)

Cosa c’entra un docente di legge nella questione delle psicopatie?

 C’entra, se ascoltate quel che ha da dire il giurista.

Anche se per lo più alla testa di imprese ci sono persone morali, è anche vero che i dirigenti devono anzitutto servire gli interessi dell’impressa che guidano. Gestiscono soldi che non sono i loro: non possono usarli per guarire malati…”.

Dunque? “Nel mondo dell’impresa, le persone buone sono incoraggiate a comportarsi male.

 Dopotutto la società, come la personalità psicopatica che le somiglia, è programmata per sfruttare il prossimo a fini di lucro”.

Harvard sforna psicopatici?

Ciò vale per la Società per Azioni, come per la società odierna in genere. 

Darrel West della Brooking Institution, ad esempio, ha sottolineato la responsabilità proprio delle facoltà di diritto  e di business administration – dalle quali  escono i futuri capi d’impresa,  speculatori di Wall Street e amministratori delegati di multinazionali quotate –   nel formare (o attrarre) psicopatici di potere. 

Lì, ha spiegato West, inchiodano nella testa degli studenti il concetto che Milton Friedman, l’economista del liberismo totale, scrisse nel 1970:

 “Massimizzare il valore per gli azionisti è la sola responsabilità di un’azienda –

La sola responsabilità sociale dell’impresa è massimizzare i profitti.

Alla fine degli studi, i neo-laureati – lo vediamo dai  questionari che gli sottoponiamo – vedono l’interesse  dell’azionariato come l’obbiettivo  sociale  più importante”.

Ciò è aggravato, riconosce lo studioso, dal fatto che proprio le scuole più prestigiose che danno i più pregiati masters in business administration [gestione aziendale, ragioneria,  economia e commercio da noi] non hanno corsi distinti “che  forniscano delle concezioni generali sul compito dell’impresa nella società”,  sono scuole che insegnano tecniche. 

E rendono indifferenti alla morale.

Fatto su cui riflettere.

 Per secoli, fino a ieri anche nel mondo britannico, le scuole che preparavano  classi dirigenti  ad assumere le posizioni di potere, erano scuole classiche: Eton, Oxford… corsi umanistici, dove si insegnavano  latino  e greco, storia greca e romana, storia della filosofia,  e  nessuna “tecnica di gestione”; quelle le imparavano durante la carriera. 

 Oggi è l’ideologia di Friedman che ha conformato dirigenti di multinazionali e leader d’opinione, educandoli alla mancanza di responsabilità verso   gli altri.

Lo psicopatico “finge l’azione morale per servirsene come strumento per manipolare gli altri”;

 allo stesso modo, il “bastardo” di successo, fa profitti senza scrupoli ed è “motivato dalla giustificazione morale che la sua cultura-ambiente gli mette a disposizione”, dice Hare: criminali in colletto bianco.

Eh sì.

Essi “Prosperano perché i caratteri che definiscono il loro disordine psichico sono in realtà valorizzati”.

 Quando i grandi speculatori vengono beccati a delinquere, specie nel mondo bancario-finanziario, “cosa gli si fa?

 Un buffetto sulla mano, una interdizione ad operare in Borsa di sei mesi, una multa…”, sospira lo psichiatra.

A questo punto è difficile distinguere un “bastardo” deliberato da uno psicopatico. 

Entrambi sono motivati dalla giustificazione morale che traggono dal loro ambiente.

“Ciò significa la capacità di un sistema psicopatico di conformare la propria classe dirigente”, riflette Nick Parkins, filosofo.

Una sinistra riprova è proprio nel raro studio di Hare e Babiak sui disturbati che hanno raggiunto il vertice delle carriere.

Benché essi siano oggettivamente gestori di scarsa qualità, con poco spirito di equipe e ricevano valutazioni di prestazioni cattive dai dipendenti (come è logico: sono malati mentali, mica sanno lavorare bene), proprio coloro che hanno alti “punteggi” clinici come psicopatici sono portati in palmo di mano dai loro superiori immediati come “creativi e innovatori, buoni comunicatori e pensatori strategici”.

Un equivoco tragico che però si spiega: chi ha questi disturbi di personalità “ha la comunicazione, la persuasione, le competenze di relazioni interpersonali per sormontare tutte le “cadute” nella loro carriera”.

“In certe imprese i quadri psicopatici sono considerati come aventi capacità di leadership, a dispetto del  rendimento cattivo e delle  note sfavorevoli dei subordinati”, dice Babiak. 

E’   da gran tempo noto agli psichiatri che   gli psicopatici di questo genere hanno una grande competenza a manipolare i decisori:

 “una infallibile capacità dello psicopatico di cercare e privilegiare le relazioni con i più alti in autorità, e mostrano una formidabile abilità a influenzarle” (Dennis Doren,” Understanding and Treating the Psychopath”, Wile, 1987).

Hanno una qualità da camaleonti di imitare  il loro ambiente leggendo e influenzando i superiori con l’arte dell’inganno, con l’auto-promozione  o a sottile persuasione.

Del resto anche sui social media, gli individui che avevano ottenuto un alto punteggio nei test di personalità narcisistica “avevano più amici su Facebook”, ovviamente, perché “aggiornavano più regolarmente il loro  profilo”,   con molte foto di se stessi .

(D. Pearse, “Facebook’s dark side: study finds link to socially aggressive narcissism,” The Guardian, 17 March 2012).

 Un esempio di quella loro speciale “competenza”.

 

A guardare la storia, ci si accorge che John D. Rockefeller, famoso magnate del petrolio e “robber baron”, capace di rovinare senza il minimo scrupolo i concorrenti, che proclamava (religiosissimo):

 “Il mio denaro me l’ha dato Dio”, aveva tratti di personalità psicopatica.

 E così Mayer Rotschild e J.P. Morgan, famosi banchieri d’affari ammirati sulla scena finanziaria che hanno anche seminato attorno a loro distruzione e sofferenze.

Questi personaggi hanno trovato nell’ambiente americano e nelle sue “libertà” e “individualismo” il posto ideale per fiorire:

nello stesso tempo, hanno conformato il modo di pensare americano per cui, poniamo, i poveri lo sono per colpa loro, sono immeritevoli di sostegno.

Oggi trionfa in Usa una ideologia che non riconosce sé stessa, che in mancanza di meglio chiameremo “cattivismo”.

Si va da Hillary Clinton che ridacchia   per l’uccisione di Gheddafi (“Veni, vidi, e lui morì”) o  chiede “se non c’è un drone per ammazzare Assange”, alla Nuland di “fuck Europe”, al senatore McCain che se la intende coi  più sanguinari terroristi  in Siria e instancabilmente cerca la guerra con la Russia, fino ai direttori della Cia che minacciano apertamente di far uccidere questo e quello;

 senza dimenticare Obama che ha ammazzato centinaia di esseri umani  nel mondo, scegliendoli da liste presentategli dai servizi,   in esecuzioni extragiudiziali con droni.

 

“Delizioso rovinare la gente”.

A Wall Street e nel mondo degli affari  questo sentimento è coltivato con godimento.

“L’idea di rovinare la gente è semplicemente deliziosa: niente di personale, è alimentare.

Il potere è tutto ciò che mi ha veramente interessato nella vita – il potere distruttore, la conoscenza, l’influenza invisibile”:

 così ha confessato una donna di successo, che ha descritto la sua malattia – di cui è diventata consapevole –    sotto lo pseudonimo di M.E: Thomas, “Confessioni di una sociopatica. Viaggio nella mente di una manipolatrice” (pubblicato in Italia da Marsilio, 2013).

Ma che il cattivismo, traversato l’Atlantico, sia diventato l’ideologia delle oligarchie dominanti anche in Europa, bastano a dimostrarlo certe affermazioni di Mario Monti (“Stiamo efficacemente distruggendo la domanda interna, mai sprecare una bella crisi”), o le note parole di Tommaso Padoa Schioppa sul vero senso delle “riforme” imposte della UE:

“Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali […]  delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola…, dev’essere guidato da un unico principio:

 attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità “.

Per non parlare della brutale assenza di compassione che Berlino e Bruxelles usano contro i Greci.

 Così l’intera “civiltà” occidentale è arrivata al punto descritto dal saggista Michael Ellner:

 “Proviamo solo a guardarci. Tutto va a rovescio. I medici distruggono la salute, gli avvocati distruggono la giustizia, le università distruggono il sapere, i governi distruggono la libertà, i media più influenti distruggono l’informazione e le religioni distruggono la spiritualità» [vedi Bergoglio, vedi il wahabismo,ndr.]

Aggiungiamo a questo mondo a rovescio il connotato più agghiacciante:

la pedofilia.

Vizio occultato delle più alte élites, da JimmY Savile l’uomo di spettacolo della BBC (oggi defunto) che ha stuprato bambini e financo cadaveri, e condotto rituali satanici, mentre i suoi superiori chiudevano gli occhi, fino al recente e soppresso scandalo Pizza gate, nell’ambiente massimamente “cattivista” dei fratelli Podestà e del Comet Pingpong.

Perché certo in quegli atti, potenti che si sanno impunibili e se ne infischiano delle norme penali godono della “delizia di rovinare gente”.

C’è dunque “una malevolenza sistemica nascosta nella società”  che  seleziona gli psicopatici per i vertici del potere e viene  conformata dagli psicopatici?

 Dove “la psicopatia funziona in quanto parte integrante del sistema” e gli psicopatici sono adorati e imitati dalle masse per i loro successi?

Se lo domanda il filosofo Nick Parkins.  Il quale conclude: “Di colpo, il termine psicopatia non sembra più sufficiente”.

 

Già. Forse è per tranquillizzarci che diamo nomi clinici a realtà che vengono da regioni più oscure e abissali;

forse questa società in cui si praticano libertà scandalosamente senza limiti, si è consegnata volontariamente all’Anomos.

 Il Cattivista per eccellenza.

 Il Narcisista primario, colui che proclamò, in una notte senza tempo:

 “Non serviam”.

(newdawnmagazine.com/articles/do-psychopaths-run-the-world)

 

 

 

 

Elon Musk imbarazzante:

dipendenti SpaceX scrivono

lettera, l'azienda li licenzia.

Hdblog.it – Redazione – (17 Giugno 2022) – ci dice:

 

I dipendenti di “SpaceX “hanno sottoscritto una lettera in cui si accusa il CEO Elon Musk di non essere all'altezza del suo ruolo.

 Il motivo di questa presa di posizione da parte di una folta rappresentanza di lavoratori è duplice:

da una parte le accuse di molestie sessuali emerse meno di un mese fa che riguarderebbero un episodio del 2016, dall'altro i continui tweet fuori luogo pubblicati dallo stesso Musk sulla (quasi sua) piattaforma social.

MUSK IMBARAZZANTE.

La lettera aperta di denuncia è stata condivisa su Teams internamente all'azienda, ed ha raccolto una vasta approvazione trasversale:

 anche i commenti sono pressoché tutti contro il CEO, accusato di influenzare negativamente la reputazione di SpaceX.

 "Il comportamento di Elon in pubblico è una frequente fonte di distrazione e imbarazzo per noi", si legge.

 "Ogni tweet che Elon pubblica è una dichiarazione pubblica de facto dell'azienda. [...] I suoi messaggi non riflettono il nostro lavoro, la nostra missione o i nostri valori".

Sono tre le azioni che la missiva promuove:

condannare pubblicamente il comportamento dannoso di Elon su Twitter;

considerare tutti i manager ugualmente responsabili per i comportamenti scorretti.

Definire con chiarezza cosa si intende per tolleranza zero in SpaceX.

 SpaceX deve separarsi rapidamente ed esplicitamente dal marchio personale di Elon.

LEADERSHIP A RISCHIO.

E tutto questo dopo che l'azienda si è trovata costretta a respingere le accuse di molestie, definendole "false".

La presidente di “SpaceX”, Gwynne Shotwell, si è esposta a difesa di Musk in una mail inviata ai dipendenti, ma questo sembra non aver convinto i lavoratori che, anzi, hanno alzato la posta in gioco mettendo in discussione la leadership del loro principale.

Musk ci ha scherzato sopra, ovviamente su Twitter.

A questo si aggiungono altri fatti che stanno emergendo in questi giorni: diversi ex dipendenti avrebbero infatti denunciato in modo informale “SpaceX”, accusandola di non aver gestito in passato in modo corretto i reclami per molestie sessuali.

La lettera termina con una domanda provocatoria:

La cultura che stiamo promuovendo ora è quella che miriamo a portare su Marte e oltre?

AMARO EPILOGO.

L'attivismo esagerato, così come definito dalla Presidente Shotwell, ha portato a serie conseguenze.

SpaceX ha infatti licenziato i dipendenti che hanno scritto la lettera contro Musk, accusandoli tra le altre cose di aver costretto i colleghi a firmarla "mettendoli a disagio".

 Abbiamo troppo lavoro critico da portare a termine e non c'è bisogno di questo tipo di attivismo smisurato. [...]

 Abbiamo 3 lanci entro 37 ore per i satelliti questo fine settimana, dobbiamo supportare gli astronauti che abbiamo portato sulla ISS e riportare indietro il cargo Dragon pronto per il volo e, dopo aver ricevuto l'approvazione ambientale all'inizio di questa settimana, siamo vicini al primo tentativo di lancio orbitale di Starship.

 Usa il tuo tempo al lavoro per fare del tuo meglio [e non per scrivere lettere, ndr].

Ecco come arriveremo su Marte.

 

GUIDA AL “PD” PER SMETTERE

DI FARE SCHIFO.

Thevision.com - MATTEO LENARDON – (9 SETTEMBRE 2019) – ci dice:

 

Il PD, per usare un’espressione da laureato in marketing allo IULM, è un “brand tossico”.

E questa percezione, a differenza di una laurea allo IULM, in Italia vale qualcosa.

Quando pensi al Partito Democratico la prima cosa che ti viene in mente è la parola odio.

L’odio che la gente prova quando pensa al partito fondato da Prodi.

 Il problema è però riuscire a determinare se a pensarlo è qualcuno che vota PD oppure no.

12 dicembre 2016. Ricordatevi questa data perché è il giorno esatto in cui Matteo Salvini si è preso l’Italia.

 Ma di questo vi parlerò più avanti.

 È anche la data dell’insediamento del Governo Gentiloni e di Minniti come ministro dell’Interno, ovvero il momento in cui, dopo 3 anni di propaganda politico-mediatica – quella descritta nel primo episodio di “Con una matita” – il Partito Democratico si arrende alla narrazione dei populisti a proposito della Grande Invasione degli Immigrati e decide di fare qualcosa.

Questo è il primo – e il più importante – sbaglio che poteva fare un partito progressista.

Ovvero decidere che il miglior modo per attaccare i propri avversari possa essere quello di offrire una versione leggermente meno effervescente, ma fondamentalmente indistinguibile, della stessa cosa.

Se la Lega aveva inventato la Coca-Cola, il PD aveva deciso di vendere la Pepsi.

A fine 2016 il PD è sotto il 30%, superato dal M5S.

Ma è la Lega di Salvini, al 14%, il partito che cresce più velocemente.

Tutta l’opposizione al governo ha deciso da tempo che il problema più pressante in Italia sono i migranti e le ONG che li salvano in mare.

Da lì a poco Di Maio dirà infatti che ci sono i sospetti che i trafficanti…

DI MAIO “…ma se ci sono invece i sospetti che i trafficanti neanche devono attraversare le acque libiche perché li mettono direttamente sulle navi delle ONG, allora il nostro dovere è andare a capire chi stiamo salvando e chi stiamo traghettando con un taxi del Mediterraneo.”

“Taxi del mediterraneo” è come descriverebbe sé stesso un drone di Amazon che è appena diventato senziente.

Immaginatelo avere un’epifania esistenziale mentre plana sopra Altamura trasportando una pentola a pressione elettrica.

 E per pietà lo abbatteremmo prima che possa ricordare troppo.

Di Maio ha scelto questa espressione per descrivere delle persone che salvano altri esseri umani dall’affogare.

E per “Di Maio” intendo quella manciata di incel — inevitabilmente sono sempre tutti uomini — che gli gestiscono la comunicazione.

Eppure il termine ha avuto uno straordinario effetto su quella parte di elettorato che prende i virus giocando al Fantacalcio con Excel.

Nonostante tutte le indagini aperte sulle ONG siano state archiviate, ancora oggi questa definizione è rimasta nella coscienza collettiva.

Il PD avrebbe dovuto almeno provare a disinnescare questa narrazione costruita su gigantesche stronzate.

Avrebbe potuto attaccare la strategia di creare un nemico a cui dare la colpa per tutti i propri fallimenti politici.

Avrebbe potuto svelare il trucco. Invece ha risposto così:

RENZI “…abbiamo sicuramente oggi iniziato a bloccare gli sbarchi. Non c’è divisione dentro il PD su questa cosa. Non c’è divisione.”

Matteo, siamo contenti di scoprire che la sofferenza degli altri è la sola cosa che mette d’accordo i dirigenti del PD.

 Le uniche altre persone che possono dirlo con orgoglio sono Thanos e i dipendenti di Ryanair.

Un partito così ossessionato dal ritornare a quel fatidico 40% delle Europee che, pur di non perdere altri voti, decide di accodarsi alla narrazione sull’invasione dei migranti pretendendo, pure, di raccontare agli italiani di poter essere più efficienti di Salvini nel risolvere il “problema”.

Se l’idraulico ci provasse con le loro mogli, la strategia che userebbero per fermarlo sarebbe quella di aggiustare un rubinetto meglio di lui.

La volontà di clonare Salvini diventa così surreale che, a un certo punto, sentiamo Renzi letteralmente dire che è arrivato il tempo di aiutarli a casa loro:

RENZI “…la sostanza è aiutarli davvero a casa loro, nei paesi d’origine…”

Un’affermazione che allo stesso tempo appare patetica nel suo disperato tentativo di risultare popolare, e angosciante per il suo contenuto.

 È come se la carriera di Francesco Facchinetti e un libro di Fabio Volo avessero cercato di convincerti ad accettare un invito su LinkedIn.

Un’uscita che costringe pure i colleghi di partito a difese goffe e involontariamente esilaranti. Come accaduto per l’allora primo Ministro Gentiloni, costretto a dire che è una cosa…

GENTILONI “…è una cosa che se uno la vuole leggere in modo onesto è assolutamente ragionevole.”

E il sindaco di Milano Beppe Sala, che proclama che poi in sé…

SALA “…poi in sé non è certo sbagliato che bisogna aiutarli a casa loro.”

Ma di cosa stanno parlando?

Sembra stiano rassicurando la madre di un amico che ha appena visto sulle stories Instagram la foto del cazzo del figlio.

No, Beppe, non è uno sbaglio che diventa un’opportunità “monetizzabile” perché il mondo del lavoro oggi premia la trasparenza.

Ho sempre trovato curioso come il primo, e di gran lunga più diffuso, consiglio che i partiti di sinistra ricevono quando sono in difficoltà sia sempre quello di copiare i partiti di destra.

Curiosamente questo è un consiglio che ricevono solo i partiti progressisti.

Quando la Lega a malapena superava lo sbarramento del 4% alle elezioni – e non parliamo di una situazione di qualche mese, ma di anni – a nessuno è mai venuto in mente di consigliare a Salvini di cominciare ad abbracciare uomini neri al rallentatore nei campi di grano.

Ma è proprio questa la soluzione che i cosiddetti esperti di comunicazione di sinistra esprimono sempre, nei loro editoriali o in televisione, per risolvere i problemi di popolarità dei partiti progressisti.

Il vice-direttore dell’Huffington Post, Alessandro De Angelis, ci dice così che cioè tu, sinistra…

ALESSANDRO DE ANGELIS “…cioè, tu, sinistra, devi dire che non si possono continuare a mettere i ROM solo nelle periferie, ma vanno portati ai Parioli.

 E quando governi lo devi fare.

Cioè devi rientrare in contatto con il popolo.

Con il suo linguaggio. Con le sue emozioni. Con le sue paure.”

O Chiara Geloni, ex direttrice di YouDem, la tv del PD voluta da Bersani, convinta che Salvini è uno che ci difende…

GELONI “Salvini è uno che ci difende. Cosa vuol dire? Da cosa? Dalla paura.

Nel caso di Salvini diventa paura dello straniero, di quello che viene da fuori e ti porta via quello che hai.

Ma la paura nasce da una reale sensazione di insicurezza.”

Ora, so quello che molti di voi si staranno chiedendo:

 è esistita una tv del PD e si chiamava YouDem?

Sono sorpreso come voi che non abbia funzionato, ma non che lo stipendio che il PD le versava fosse di 6mila euro al mese e che lo stesso sia stato definito dalla Geloni – e cito – “nella media dei miei colleghi giornalisti”.

Non so in quale mondo la Geloni viva per considerarlo uno stipendio medio, forse uno di quelli visitati dalle astronavi di Star Trek che servono a raccontare parabole utopistiche.

Tipo una dimensione parallela in cui il sesso maschile non esiste, le persone comunicano solo attraverso le emozioni, e le canzoni di Calcutta hanno senso.

Ho l’impressione che molti commentatori mainstream di sinistra sviluppino la loro opinione “del popolo” sui Frecciarossa Milano-Roma quando sbagliano vagone e devono scansare il proletariato a gomitate per raggiungere “l’area silenzio” in business.

Hanno la stessa visione delle periferie che un dodicenne ha del sesso.

Hanno visto una volta un porno e ora sono convinti che le donne raggiungano l’orgasmo solo se hanno la testa incastrata sotto l’asse del gabinetto.

E la cosa ironica è che dicendo così non stanno dimostrando una vicinanza al popolo, ma il loro disgusto e astio.

Sono convinti che il ceto popolare sia solo una massa stupida e ignorante capace esclusivamente di odiare tutti quelli diversi da sé.

Permettetemi di offrire le mie impressioni da uomo cresciuto in una casa popolare nella periferia milanese che confina a nord con un’Ikea ed è bagnata a sud da un “Mondo Convenienza”.

Non solo ho tastato il polso del “Paese reale”, ma ho pestato la merda dei loro dobermann.

Sono figlio di uno di quei posti in cui tutti i cani si chiamano Tyson, e quindi l’unico modo per distinguerli è con i numeri dopo il nome, come le fiction di Raoul Bova su Canale 5.

Un luogo in cui il riso dei bambini e il cinguettio degli uccellini è interrotto solo da gente che urla “Hey Tyson 5, smettila di mangiare quel bambino e quegli uccellini”.

Quindi non voglio sentire dei ricchi giornalisti televisivi, cioè i principali sostenitori della narrazione artificiale sull’invasione degli immigrati e l’inesistente collegamento con un aumento della criminalità che in realtà scende da 10 anni, su che cazzo pensano le periferie.

Se la gente è convinta che le ONG trasportino 50 Scarface alla volta è perché qualcuno glielo racconta ogni giorno da 5 anni.

La soluzione non è abbracciare con condiscendenza il pregiudizio delle periferie, ma smettere di raccontare loro stronzate.

Lo so. È complesso, e all’apparenza sembra impossibile.

Ma anche fare la pipì indossando delle salopette lo è, e se le donne ci riescono allora anche la sinistra può parlare di immigrazione senza sembrare composta da tanti Borghezio con una libreria di saggi Adelphi ordinati per colore.

Invece il Partito Democratico non solo ha praticamente la stessa posizione di Lega e Fratelli d’Italia sull’immigrazione, ma ha scelto, ormai da anni di combattere Salvini dicendo di essere più salviniani di lui.

Abbiamo Debora Serracchiani, vice-presidente del PD, che dice che gli stupri commessi dagli stranieri sono più “odiosi” e “attacca” Salvini lamentandosi che non ci siano ancora stati i rimpatri di massa.

Oppure abbiamo il sindaco di Firenze Dario Nardella che si vanta di come le ruspe le utilizziamo…

NARDELLA “Le ruspe le utilizziamo davvero, non per la campagna elettorale.

 Le utilizziamo per demolire le strutture nei campi nomadi che non sono regolari. Abbiamo fatto con il prefetto e le forze dell’ordine a Firenze 11 sgomberi in 1 anno — più di 800 persone.

Perché c’è una immigrazione regolare, ma c’è anche un’immigrazione irregolare, clandestina, che è alla base di criminalità che va combattuta.”

Sentite l’eccitazione e l’orgoglio di Nardella mentre parla di sgomberi, di immigrati che sono addirittura alla base della criminalità e di radere al suolo le case dei rom.

Non solo suona come quello che un barile di Zyklon B cercherebbe su Porn Hub per masturbarsi, ma a quanto pare è qualcosa che un sindaco di un partito progressista può pronunciare in tv  senza ripercussioni sulla sua credibilità.

L’idea che questo possa essere il modo per battere Salvini non solo è profondamente angosciante, è anche un boomerang.

Questa assurda strategia è infatti il principale motivo che ha portato un’esplosione di consensi verso la Lega.

È la teoria del “non posso essere omofobo solo perché ho detto su Twitter che il Pride meriterebbe una colata di Napalm, il mio parrucchiere è gay”, ma applicata alla politica nazionale.

La battaglia della Lega contro l’immigrazione non è razzista e non è una falsa narrazione basata su dati inesistenti, perché anche la sinistra, che ha storicamente spinto per l’accoglienza, pensa la stessa cosa.

Il problema è che mentre chi usa questa difesa a livello personale risulta ridicolo quando lo fa in politica si rivela efficace.

È quello che hanno dimostrato due politologi del dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Goteborg, in uno studio dal titolo “Una scommessa persa. Come i partiti mainstream facilitano il successo dei partiti anti-immigrati”.

Carl Dahlström e Anders Sundell hanno decostruito a livello molecolare, dalle elezioni nazionali fino a quelle locali, la situazione politica in Svezia e hanno notato una cosa molto interessante:

più i partiti di sinistra si indurivano sull’immigrazione per cercare di portare via voti alla destra populista e più quest’ultima saliva nei sondaggi.

 E ottenevano risultati migliori alle urne.

La spiegazione che danno i due politologi è semplice: i partiti populisti vengono normalizzati e legittimati dalla sinistra mainstream che decide di sposare le loro posizioni.

È così che il PD ha creato l’unico pull-factor osservabile realmente in Italia:

 quello che ha traghettato gli elettori a votare Lega.

Ricordate Minniti, no?

Quella specie di Claudio Bisio dodici giorni dopo la data di scadenza – lui è stato il primo a criminalizzare le ONG con il “codice di condotta” ed è stato il più grande regalo, la vera risorsa di Salvini.

Il suo arrivo avrebbe dovuto essere un modo per appropriarsi di una battaglia di destra, ma ha permesso alla propaganda sovranista di avere il bollino di approvazione della sinistra.

Salvini ha usato Minniti e il PD esattamente come discusso nello studio svedese, per legittimare sé stesso e la sua battaglia.

A Salvini è bastato concedere che la sinistra si fosse “finalmente” svegliata, e dire agli elettori che adesso avrebbe fatto vedere loro come si fa a combattere veramente l’immigrazione, per guadagnare i 34 punti percentuali degli ultimi anni.

Questo utilizzo di Minniti è talmente esplicito che il leader della Lega si è complimentato con il suo predecessore, confermando che è stato fatto anche un…

SALVINI “È stato fatto anche un discreto lavoro dal Ministro che mi ha preceduto (Minniti).

E quindi noi, ovviamente, non smonteremo nulla di quello che di positivo è stato fatto.

 Semplicemente lavorerò per rendere ancora più efficace le politiche di controllo, di allontanamento, di espulsione.”

Finalmente abbiamo trovato l’irraggiungibile “amico nero” che hanno tutti i razzisti, ed è il Partito Democratico.

La convinzione da parte del PD che per battere i populisti sia necessario diventare come loro, è legata all’idea che l’empatia sia una gaffe politica da evitare in ogni modo per non perdere l’elettorato nell’entroterra Veneto che aspetta “Ciao Darwin” e la morte per asfissia erotica.

Una convinzione che ha preso piede da quando buonista e radical chic sono entrati nella grammatica sovranista.

 

I sovranisti, infatti, sono ossessionati da questi termini.

Per loro è diventata kriptonite utile per uccidere qualsiasi concetto o avversario.

Buonista sembra ormai il dettaglio incomprensibile tirato fuori dall’architetto che ti ha impedito di comprare quel bilocale altrimenti perfetto.

Una di quelle cose di cui ti lamenti col tuo amico quando ci bevi assieme.

“Ho visitato questo appartamento. Luminosissimo. Travi a vista. Un prezzo stracciato.

Ma poi sono tornato con un architetto, ha dato un’occhiata ai muri e niente, cazzo — buonisti.”

Il PD è terrorizzato da tutto questo.

Da una parola usata esclusivamente da sociopatici che hanno bisogno di vampirizzare l’empatia perché troppo pavidi per affrontare la realtà.

Come ha scritto anche Laurie Penny la parola “buonista” è il “meccanismo di autodifesa” degli insicuri.

Devono annullare la tua umanità o considerarla posticcia perché si vergognano di quello che sono, e hanno perciò bisogno di colpevolizzare chi si comporta diversamente pur di non affrontare la propria coscienza.

Come può un partito progressista temere le opinioni di questa gente?

Sono un’orda di persone col cazzo piccolo che cercano di farti sentire in colpa se sei normodotato.

Invece di affrontare la realtà che nel sesso non contano le dimensioni, ma solo non andare avanti da soli nelle serie su Netflix.

 

Il giornale diretto da Vittorio Feltri vi chiama buonisti radical chic? Bene.

 Vittorio Feltri è un uomo che ha trasformato l’essere un personaggio delle prime 30 pagine di un libro di Charles Dickens in una carriera.

 La sua opinione su chi ha una vita con un secondo e terzo atto narrativo è irrilevante.

Per i sovranisti l’unico immigrato morto di cui si può piangere senza essere chiamati buonisti è Eddie Guerrero.

Ed è un wrestler morto nel 2005.

Invece di fissarsi sull’accondiscendere a gente simile, il PD farebbe bene a concentrarsi sul disastroso modo in cui ha deciso di rispondere alla comunicazione di Salvini.

Non è facile fare la figura peggiore quando il tuo avversario fa girare il figlio quasi diciottenne sulla moto d’acqua della polizia, ma il PD in qualche modo ci è riuscito.

La sinistra, piuttosto che attaccare Salvini, sembra infatti più interessata a mostrarsi respingente e a insultare lo stile di vita e l’esistenza di chi Salvini lo vota.

Perché quando ci si impunta sulla Nutella, sui selfie e su tutto il resto non si sta attaccando l’uomo che “non rispetta le istituzioni”, ma la quotidianità degli italiani.

Capisco che vedere il Ministro dell’Interno ballare al mare con dei depliant di un policlinico sulle Malattie a Trasmissione Sessuale possa essere fastidioso per dei nerd con il fetish per la prima Repubblica, ma l’Italia è un Paese fondato sul non mettere il formaggio sopra il pesce e la candidosi.

 Gli italiani vogliono andare nelle spiagge dove “I’m Blue” degli Eiffel 65 non è mai passata di moda, e ballare con una ragazza-madre lituana con una figlia di 4 anni pagata per non denunciarli per molestie sessuali e con cui postare un selfie che recita “tipa scopata a Milano Marittima”.

Chi attacca Salvini-DJ non sta attaccando lui, ma questa fantasia aspirazionale. Non puoi criticare l’intreccio fra soldi e sesso e potere con la logica, perché quello che stai criticando in realtà sono i sogni e le speranze degli italiani.

E come la sinistra ha deciso di rispondere al Papeete? Con le foto di Aldo Moro in spiaggia in giacca e cravatta.

Chi al mondo va al mare così oggi?

Se vedessi qualcuno camminare fra gli ombrelloni con un completo chiamerei la polizia per sequestrargli il telefono.

 E sopra ci troveremmo Pokémon Go completo al 100% e 88 gb di foto scattate sotto alle gonne di universitarie.

Spesso mi sembra che la sinistra si dimentichi che siamo in Italia.

Il #MeToo ha decapitato alcuni fra gli uomini più potenti del mondo.

Uomini un tempo ritenuti intoccabili.

 In Italia l’unica persona che ha perso il lavoro grazie al #MeToo è stata una donna.

La propaganda di Salvini la si sconfigge attaccando non quello che fa, ma la sincerità con cui lo fa.

Lo si affonda strappandogli la maschera posticcia di “uomo del popolo” curata da uno staff social di 30 persone, il doppio di quello di Chiara Ferragni.

Quando Salvini ha dato della buonista e radical chic a Michela Murgia e quest’ultima ha risposto comparando il suo vissuto lavorativo fatto di piatti sporchi e turni nei call center con la carriera da politico assenteista finanziata dagli italiani di Salvini, il suo post ha guadagnato centinaia di migliaia di like e condivisioni.

Perché il Re era nudo. E faceva molto freddo.

Il sovranismo è la tv in 3D della politica.

Oggi la vogliono tutti.

Fra cinque anni, come con i tizi che hanno visto degli occhialini da 100 € l’uno e hanno pensato “questo è un investimento duraturo, penso che la gente amerà passare i prossimi 30 anni come dei saldatori con una perenne emicrania, me ne dia 4!”, li indicheremo ridendo di loro.

Un partito progressista non deve in alcun modo scimmiottare il sovranismo, il suo stile comunicativo, o insultare le persone che sono state indotte tramite un’operazione di terrorismo stocastico a votarlo.

La soluzione dovrebbe essere un profondo e totale ripensamento dell’intera struttura del PD.

Un po’ quello che diceva di voler fare Renzi, ma senza Jovanotti e Pif.

Perché nel PD viene prima il partito, poi le idee e quindi gli individui.

E dovrebbe essere il contrario.

Negli Stati Uniti la “Squad” formata dalla Ocasio-Cortez e altre 3 neo-deputate ha conquistato l’attenzione di milioni di persone per le loro idee, certo, ma soprattutto perché a esporle sono state politiche che fino a pochi mesi fa lavoravano come bariste o insegnanti.

Donne che grazie al loro vissuto risultano essere immediatamente credibili quando dicono di voler combattere contro privilegi e ingiustizie sociali.

Guardate in faccia la dirigenza PD.

 Martina, Boschi, Zingaretti.

Sono sicuro che sono ottime persone, ma non hanno fame.

 Non hanno bisogno di cambiare l’Italia per disperazione, ma per idealismo personale.

Nessuno dei loro bambini è stato mai morso da Tyson 8.

Quando li guardi e li senti parlare hai la stessa sensazione che ti sovviene quando sali su uno di quei tram di nuova generazione.

Capisci immediatamente che sono stati disegnati e realizzati da qualcuno che non ha mai preso dei mezzi pubblici in tutta la sua vita.

Il PD funziona allo stesso modo.

Ci sono a capo delle persone che costruiranno un tram inspiegabilmente sigillato come un sommergibile e impossibile da arieggiare perché non sono mai stati chiusi senza aria condizionata il 13 agosto sul 9 con altre 112 persone che hanno una divergente opinione su cosa significhi igiene.

E la gente queste cose le sente istintivamente.

Questo non significa lasciarsi andare al populismo e far decidere quante fiale di antidoto contro l’ebola dobbiamo stoccare a panettieri e benzinai, come vorrebbe Di Battista.

La Ocasio-Cortez era sì, una “bibitara”, ma si è laureata “cum laude in relazioni internazionali ed economia alla Boston University.”

 Il fatto che fosse finita a servire birre è una di quelle ingiustizie sociali che appunto solo le persone come la Ocasio-Cortez possono individuare e risolvere.

Ma forse cercare di salvare e migliorare il PD è un’attività fondamentalmente inutile, come i tizi che sperano che Netanyahu porti la pace in Palestina o le donne nei commenti Instagram di Roberto Bolle.

Però, che ci piaccia o meno, il PD è l’unico partito che può impedire un Salvini-Meloni.

Una combo che suona meno come il governo di uno stato e più come il “richiamo di Cthulhu”.

 

 

 

SOCIOPATICO O PSICOPATICO:

QUAL È LA DIFFERENZA?

Psicologionline.net – Redazione – (14 marzo, 2022) – ci dice:  

 

DIFFERENZE E PUNTI IN COMUNE TRA PSICOPATICO E SOCIOPATICO.

I soggetti psicopatici o sociopatici sono, nel linguaggio comune, persone che si comportano in maniera deviante rispetto alle attese sociali e che non provano empatia.

 I termini “psicopatico” e “sociopatico” possono indicare tratti di personalità o anche veri e propri disturbi psichiatrici e si riferiscono a un modello di condotte disfunzionali, manipolative e a volte anche aggressive.

Sebbene si utilizzino spesso in maniera indistinta per descrivere persone prive di emozioni e tendenti alla manipolazione, i due termini hanno in realtà diverse origini evolutive e denotano quadri psicopatologici distinti.

La psicopatia è un tipo di personalità antisociale che si riconduce a un difetto delle aree del cervello deputate alla regolazione delle emozioni.

Spesso si associa alla personalità narcisistica e machiavellica.

I soggetti psicopatici progettano ogni azione per il proprio tornaconto personale e non provano sensi di colpa o rimorso.

Secondo degli studi condotti su soggetti psicopatici, questi non sarebbero capaci di tenere in considerazione il proprio futuro, né di fare progetti a lungo termine.

Ci sono diversi miti sfatare sugli psicopatici.

Molti credono che psicopatico voglia dire “violento”, ma in realtà i soggetti violenti rappresentano solo una minoranza.

Psicopatico non è sinonimo neanche di psicotico, infatti, queste persone sono estremamente razionali.

 Un altro luogo comune è che gli psicopatici non possano cambiare o curarsi:

in un articolo pubblicato su Sciam, la dottoressa Jennifer Skeem della California University ha affermato che in questi individui si osservano miglioramenti nei comportamenti con i trattamenti psicologici.

La sociopatia è un tipo di antisocialità dovuto principalmente a traumi infantili, violenze fisiche o psicologiche e altri fattori ambientali che possano generare problemi nell’adattamento sociale e nella capacità di instaurare legami.

 I soggetti sociopatici non mostrano un interesse per le altre persone e hanno dei deficit emotivi.

Spesso agiscono in maniera impulsiva e perdono il controllo.

 

Psicopatici e sociopatici presentano alcuni punti in comune.

Condividono alcuni aspetti caratteriali, come:

l’incapacità di empatizzare con i sentimenti altrui;

la difficoltà di discernimento tra ciò che giusto è ciò che è sbagliato;

la tendenza a giustificare i propri comportamenti con delle credenze sbagliate, come il fatto che i deboli meritano che gli si faccia del male o che tutte le altre persone sono inferiori.

La credenza di non avere punti deboli, per il loro atteggiamento distaccato verso gli altri e la visione fredda nei confronti del mondo esterno: come tutte le persone anche questi individui hanno dei punti deboli, in base alla loro personalità.

Le differenze tra i due sono molte:

lo psicopatico non prova alcun senso di colpa e quando agisce facendo del male, non lo comprende e sente di averne il diritto;

il sociopatico può arrivare a comprendere che sta facendo del male e a sentirsi colpevole, tuttavia, continua a comportarsi in quella maniera, giustificandosi con il suo consolidato sistema di false credenze.

Lo psicopatico non ha alcuna capacità di distinguere giusto e sbagliato e sente un forte bisogno di portare a termine un determinato comportamento maligno;

 il sociopatico ha un senso della moralità ed è capace di razionalizzare, il suo senso di giusto e sbagliato è deviato a causa di fattori esterni.

 CHI SOFFRE DI QUESTA PATOLOGIA PUÒ VIVERE UNA VITA NORMALE?

Nella loro vita personale, gli psicopatici e i sociopatici affrontano molte difficoltà:

le relazioni di amore sono particolarmente limitate; essendo incapaci di instaurare legami affettivi significativi o stabili, le loro relazioni con gli altri sono fredde, superficiali, opportunistiche e non comportano un coinvolgimento emotivo.

Anche le relazioni di amicizia sono problematiche e generalmente le persone tendono ad allontanarsi da loro;

questi soggetti tendono a cercare l’approvazione del gruppo e non riescono a gestire le critiche.

L’inserimento professionale è piuttosto difficile, in quanto non si comportano secondo le norme socialmente accettate e non hanno un gran rendimento nel lavoro in team.

Tuttavia, molti soggetti con tratti della personalità di psicopatia e sociopatia conducono una vita ordinaria, con un lavoro, una famiglia e un funzionamento sociale soddisfacente.

 COME DIFENDERSI DA UN SOCIOPATICO / PSICOPATICO?

Per difendersi dagli psicopatici e dai sociopatici, è importante conoscere le loro caratteristiche e ricordarsi che mentono, non provano le emozioni in maniera normale e, quando feriscono qualcuno, non se ne rendono conto.

Perciò, non bisogna fidarsi di ciò che dicono, né aspettarsi di potere tenere una conversazione canonica o di ragionare insieme.

È importante porre dei limiti con loro in modo da mantenere il proprio spazio sicuro durante un confronto, una conversazione o un momento di avvicinamento fisico. In caso di avere una relazione intima con uno psicopatico o un sociopatico, è il caso di chiedersi se è opportuno terminarla:

chi vive o ha contatti stretti con uno di questi soggetti ha un’alta probabilità di sperimentare un forte peggioramento della qualità della vita.

 DIAGNOSI E TIPOLOGIE DI PERSONALITÀ.

Gli estremi patologici delle personalità sociopatiche e psicopatiche sono rispettivamente il disturbo antisociale di personalità e il disturbo psicopatico di personalità.

Alcune persone con tratti caratteristici della psicopatia, ma anche della sociopatia, potrebbero ricevere una diagnosi di disturbo antisociale di personalità.

 Questa patologia è un disturbo psichiatrico che colpisce soprattutto la popolazione maschile, con una prevalenza del 3% nel sesso maschile e dell’1% nel femminile.

Non se ne conoscono le cause. Le ipotesi più accreditate è che siano involucrati fattori genetici e abusi o traumi infantili.

Gli studi dimostrano che ci sono dei fattori che aumentano rischio di sviluppare la patologia, come:

disturbo da deficit di attenzione e iperattività o disturbi della condotta durante l’infanzia.

Avere dei genitori adottivi;

storie di violenza o abusi familiari.

La diagnosi viene formulata in base a dei criteri clinici riguardanti la personalità e i comportamenti del soggetto, tra cui il disprezzo delle leggi, l’agire impulsivamente, l’essere ingannevoli, irresponsabili, provocabili o aggressivi.

Le persone affette dal disturbo antisociale di personalità disprezzano le regole e i diritti altrui, sono impulsivi e inadempienti alle norme, non provano empatia, rimorso, né senso di colpa, tendono a manipolare gli altri, non mostrano avere una coscienza morale e non sono capaci di fare piani a lungo termine.

Possono commettere atti illeciti, fraudolenti o aggressivi per il proprio profitto.

La tendenza alla criminalità aumenta quando è presente al contempo anche il disturbo narcisistico o il disturbo borderline di personalità.

È interessante che nelle popolazioni carcerarie la prevalenza del disturbo antisociale di personalità può giungere al 75%.

Ecco degli indizi per identificare questi soggetti:

faticano a sostenere il contatto visivo diretto durante le interazioni e possono mostrarsi molto irritati.

Presentano i comportamenti antisociali precedentemente menzionati.

Tendono all’abuso di alcol e sostanze varie.

Hanno problemi con la legge.

Mancano di empatia.

Tendono all’estrema autocommiserazione, dichiarandosi vittime della società.

Le loro relazioni affettive sono scarse, assenti o molto problematiche.

 É POSSIBILE UNA CURA PER I DISTURBI ANTISOCIALI?

I pazienti antisociali, specialmente se aggressivi e impulsivi, possono trarre un gran beneficio dalla psicoterapia, soprattutto per raggiungere obiettivi a breve termine per l’apprendimento di comportamenti prosociali e cambiamento della condotta.

 Il trattamento farmacologico con antipsicotici e altri psicofarmaci non si rivela particolarmente funzionante per la correzione del disturbo, ma è utile per controllare i sintomi di comportamento aggressivo.

Un disturbo distinto è il disturbo psicopatico di personalità, che a volte viene confuso con il precedente.

Si tratta di una patologia simile al disturbo antisociale, con il quale presenta diversi punti in comune, come i comportamenti antisociali che iniziano durante l’infanzia.

 Tuttavia, il disturbo psicopatico di personalità include specifici deficit emotivi e interpersonali.

 È caratterizzato da distacco affettivo, deficit emotivi gravi, scarsa moralità e comportamenti antisociali.

I soggetti che ne sono affetti sono loquaci, arroganti, supponenti, impulsivi, tendono alla menzogna e alla manipolazione, non provano empatia né senso di colpa e hanno un deficit del controllo comportamentale.

Per formulare la diagnosi definitiva è necessario osservare la presenza di alcuni elementi clinici, come l’incapacità di conformarsi alle norme sociali, la disonestà, l’impulsività, l’irritabilità, l’irresponsabilità, la mancanza di rimorso e, inoltre, l’individuo deve aver presentato un disturbo di condotta prima dei 15 anni di età.

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