LE GUERRE DELLE ELITE.

 

LE GUERRE DELLE ELITE.

 

 

La Russia sopravviverà fino al 2084?

Lindro.it – (29-12- 2022) – Philip Wasielewski – ci dice:

(Philip Wasielewski / FPRI- ex direttore della CIA -Usa)

 

Una domanda che si concentra sulle future relazioni estere e sull'integrità territoriale della Russia.

Ecco la risposta.

La Russia sopravviverà fino al 2084?

 I lettori potrebbero riconoscere la domanda come un’allusione allo storico saggio del 1969 di Andrei Amalrik, “L’Unione Sovietica sopravviverà fino al 1984?”, che a sua volta era un’allusione al famoso romanzo di Orwell.

Come per la domanda di Amalrik sul futuro dell’Unione Sovietica, questa domanda si concentra sulle future relazioni estere e sull’integrità territoriale della Russia. Prevede che una sconfitta russa in Ucraina potrebbe provocare un caos in Russia, uguale o maggiore di quello sperimentato quando cadde l’Unione Sovietica.

Ciò aggraverà un processo in corso in cui Cina, Turchia, Unione Europea e NATO stanno sostituendo la Russia come centri gravitazionali di influenza per il suo cosiddetto “vicino all’estero” nell’Europa orientale, nel Caucaso e nell’Asia centrale.

 I disordini interni possono anche servire da catalizzatore per la disintegrazione di parti della Russia simile alla dissoluzione dell’Unione Sovietica.

 Sebbene la Russia sia una civiltà millenaria e non possa dissolversi come ha fatto l’Unione Sovietica basata sull’ideologia, come stato multinazionale può rimpicciolirsi.

Come risultato di una combinazione di sconfitta militare, caos politico interno, malessere economico e continuo declino demografico, i confini della Russia potrebbero implodere al punto da assomigliare a quelli della fine del XVI secolo, noto in Russia come il periodo dei guai.

L’attuale guerra russo-ucraina contiene molte incognite, dal possibile uso di armi nucleari alla fine del conflitto.

 Quello che sappiamo ora è che la guerra è stata un disastro militare per la Russia. Nel corso della storia russa, i disastri militari sono solitamente seguiti da rivoluzioni e/o da un cambio di leadership.

Non c’è motivo di credere che questa guerra sarà un’eccezione.

Per citare solo un esempio, la rivoluzione russa del febbraio 1917 fu innescata da una combinazione di privazione economica e disfattismo militare.

Ci sono forti parallelismi tra quell’evento e la situazione attuale della Russia.

L’inizio del 2014 è stato probabilmente il punto più alto del governo di Vladimir Putin.

Il prodotto interno lordo dell’anno precedente era di 2,3 trilioni di dollari, le Olimpiadi invernali di Sochi si erano concluse con successo e l’annessione illegale della Crimea da parte di Putin fece salire alle stelle il suo indice di gradimento.

Tuttavia, la Crimea si è rivelata un calice avvelenato. La sua annessione e l’intervento della Russia nelle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk hanno portato a sanzioni internazionali che, insieme al calo dei prezzi del petrolio, hanno ridotto di un terzo il prodotto interno lordo della Russia entro il 2020.

 Di conseguenza, il tenore di vita della Russia è diminuito precipitosamente con un forte calo del reddito personale disponibile, ritorno dell’inflazione dell’era di Boris Eltsin e scarsità di prodotti alimentari di base.

  Altri fattori come la corruzione endemica, la fuga di capitali e un livello irrisorio di investimenti esteri diretti prima della guerra si sono aggiunti al pantano economico che esisteva già prima della seconda invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.

Di solito, le economie in tempo di guerra devono scegliere tra pistole e burro; L’economia russa si sta ora deteriorando al punto che sarà difficile rifornire entrambi.

 Da quando Putin ha re invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, sanzioni più severe hanno ulteriormente ridotto l’economia russa, in particolare il suo settore militare-industriale.

 Le sanzioni sull’esportazione di tecnologia a duplice uso hanno causato gravi interruzioni nelle industrie della difesa che producono munizioni guidate di precisione, aerei da combattimento e veicoli corazzati.

Un danno simile è stato arrecato alle esportazioni di energia della Russia, la principale fonte di reddito per il governo.

 La Russia ha perso il suo mercato del gas in Europa e il prossimo anno perderà la maggior parte del suo mercato petrolifero, mercati che non possono essere sostituiti dalla domanda asiatica a causa dell’ubicazione della maggior parte dei giacimenti di petrolio e gas della Russia e dell’orientamento prevalentemente occidentale della maggior parte dei suoi sistemi di condotte per idrocarburi.

 Il commercio al dettaglio interno della Russia è in gran parte crollato, non può importare un’ampia gamma di beni occidentali, dalle sofisticate attrezzature di perforazione per attingere a nuove riserve energetiche sotto l’Oceano Artico, alla tecnologia dei microchip necessaria non solo per le armi avanzate ma anche per una moderna economia domestica.

La debolezza economica interna è rispecchiata dalla disfunzione militare sul campo di battaglia.

 Le perdite di manodopera russa ora superano i 100.000.

Questa cifra supera le circa 48.000 vittime che l’Unione Sovietica (con il doppio della popolazione russa) ha subito in Afghanistan in un periodo di dieci anni negli anni ’80.

Queste perdite sono quasi catastrofiche considerando che il numero di truppe russe regolari che hanno invaso l’Ucraina a febbraio era forse di 190.000.

Le cifre sulle vittime devono anche essere considerate nel contesto delle dimensioni relativamente ridotte delle forze di terra russe.

 All’inizio della guerra, l’esercito regolare russo contava 280.000 soldati con circa 20.000 riserve organizzate.

 Le forze aviotrasportate avevano circa 40.000 paracadutisti.

Circa 35.000 fanti navali erano assegnati alle quattro flotte e una flottiglia della Russia e circa 4.000 commando Spetsnaz erano nel suo comando delle operazioni speciali.

A questo numero si potrebbero aggiungere circa 40.000 miliziani nelle milizie della Repubblica popolare di Donetsk e Luhansk.

Anche questo aggregato di poco più di 400.000 uomini deve essere trattato con scetticismo poiché i comandanti corrotti hanno gonfiato il numero delle truppe.

Quelle forze di terra iniziali, indipendentemente dalle loro dimensioni, hanno subito perdite sostanziali da Kiev a Mariupol tra febbraio e aprile.

Tuttavia, il loro più grande calvario fu nel Donbas, dove furono scambiate orribili vittime per catturare poche centinaia di chilometri quadrati di territorio strategicamente insignificante.

Putin ha distrutto gran parte del suo esercito in questi combattimenti e ora deve mantenere le conquiste territoriali con i resti del suo esercito regolare e un numero crescente di coscritti mal addestrati (o addirittura non addestrati) e immotivati.

Mentre i morti e i feriti possono essere sostituiti, i problemi militari russi di leadership, logistica e morale rimangono.

Eserciti di soldati mal equipaggiati, arruolati, guidati da ufficiali corrotti e mal riforniti raramente, se non mai, vincono le guerre.

Tuttavia, spesso si ammutinano.

I fattori sopra descritti assomigliano a ciò che portò all’ammutinamento dell’esercito russo nel 1917, meno l’agitazione bolscevica.

Le scene militari nel film classico di David Lean “Doctor Zhivago” forniscono uno spaccato di come appare un tale esercito e di come può disintegrarsi.

 

Alla combinazione destabilizzante di un’economia moribonda e di una situazione militare vacillante si aggiungono le tensioni tra le élite dominanti e la disillusione tra i propagandisti del regime.

È iniziato il dito puntato tra i comandanti militari regolari della Russia e i suoi comandanti militari “irregolari”, Yevgeny Prigozhin e Ramzan Kadyrov, con i successivi che accusano specifici generali di incompetenza militare e il Ministero della Difesa organizza campagne di pubbliche relazioni per mostrare ai generali anziani il controllo della situazione.

Ci sono anche segnalazioni di dito puntato e litigi tra i servizi di sicurezza interna (FSB) e di intelligence militare (GRU) della Russia sulla responsabilità delle operazioni ucraine.

In Russia, le increspature superficiali dei conflitti all’interno delle élite suggeriscono correnti più profonde e invisibili che dividono il governo sulla guerra.

Anche l’opinione pubblica russa, destinata a essere modellata dai propagandisti statali, può riflettere tali divisioni a scapito dell’unità nazionale in tempo di guerra.

La televisione russa, il principale mezzo per influenzare l’opinione pubblica, potrebbe effettivamente rafforzare il disfattismo e la disunione nei suoi messaggi e messaggeri.

Le trasmissioni di stato russe hanno gettato benzina sul fuoco della disperazione pubblica dopo la controffensiva ucraina, riecheggiando appelli all’esecuzione o al suicidio di alti ufficiali per la cattiva condotta della guerra e alla ricerca di traditori da incolpare per le recenti sconfitte.

Queste trasmissioni sembrano essere una versione moderna del famoso discorso del membro della Duma Pavel Miliukov nel 1916.

Mentre criticava la condotta del governo russo di un’altra guerra, Miliukov chiedeva dopo ogni denuncia dell’inettitudine del governo:

 “Questa è stupidità o è tradimento?”, e ha risposto alla sua stessa domanda dichiarando: “Scegli uno dei due, le conseguenze sono le stesse”.

Evidenziare l’incompetenza del governo o il presunto tradimento nella ricerca di capri espiatori può essere controproducente.

 Come il discorso di Miliukov, che contribuì a mettere in moto eventi che contribuirono alla rivoluzione del febbraio 1917, la messa in onda notturna di lamentele da parte di commentatori come Vladimir Solovyov e Margarita Simonyan può minare la legittimità del regime che i media statali dovrebbero proteggere.

Di certo non ha aiutato a “vendere” la mobilitazione della Russia dal momento che il doppio dei giovani è fuggito dal Paese rispetto a quanto si è presentato in servizio.

Le difficoltà economiche, le sconfitte militari e il crescente pessimismo condiviso dallo stato e dai social media stanno sgretolando la facciata di invulnerabilità del regime.

Al centro di questo calderone militare, economico e informativo siede Putin, che ha governato la Russia, direttamente o indirettamente, per oltre due decenni, il periodo di governo più lungo dai tempi di Stalin.

Tuttavia, il sistema politico che ha creato è per oggi e non per domani.

In altre parole, è più forte in quelle caratteristiche per mantenere il potere e più debole in quelle caratteristiche per trasferire il potere.

Questo non è insolito, poiché oltre 250 anni di storia russa hanno dimostrato che le transizioni di leadership sono pericolose, irte di omicidi, colpi di stato, tentativi di colpo di stato ed eventi medici “curiosi”.

Nel 1762, un colpo di stato militare rovesciò e in seguito uccise lo zar Pietro III in favore di sua moglie, che divenne Caterina la Grande.

Il figlio di Caterina, Paolo I, fu assassinato da due ufficiali dell’esercito durante una rivolta di palazzo, che pose sul trono Alessandro I nel 1801.

 Alla morte di Alessandro I, il trasferimento del potere monarchico al fratello minore, Nicola I, fu quasi annullato da un tentato colpo di stato militare durante la rivolta decabrista nel 1825.

Nicola I morì di quello che alcuni definiscono un suicidio passivo rifiutando il trattamento per la polmonite in seguito ai disastri militari della guerra di Crimea nel 1855.

Suo figlio, Alessandro II, fu assassinato da un anarchico -terroristi nel 1881.

Nicola II resistette a malapena alla rivoluzione del 1905 dopo la sconfitta della Russia nella guerra russo-giapponese.

Abdicò dopo la rivoluzione del febbraio 1917 e fu assassinato con la sua famiglia dai bolscevichi nel 1918 durante la guerra civile russa.

Lenin morì nel 1924 per complicazioni dovute a un ictus, anche se le teorie del complotto sostengono che Stalin lo abbia avvelenato per accelerare la successione.

Stalin morì di ictus nel 1953;

anche se alcuni ipotizzano che sia stato avvelenato da Lavrentiy Beria, il capo della polizia segreta sovietica.

Beria fu arrestato e giustiziato nello stesso anno e il vincitore finale della lotta per il potere post-Stalin, Nikita Khrushchev, fu rovesciato in un colpo di stato del 1964 orchestrato da Brezhnev e sostenuto dai militari e dal KGB.

 L’ultimo leader dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov, fu quasi deposto da un tentativo di colpo di stato militare nel 1991.

Durante quel colpo di stato, un giovane capitano, Sergey Surovikin, comandò una compagnia di carri armati che uccise tre manifestanti, un crimine per il quale fu arrestato ma mai condannato.

Oggi, il generale Sergey Surovikin comanda tutte le forze russe in Ucraina.

Tali eventi potrebbero ripetersi?

Il mandato di Putin termina nel 2024 e, secondo la costituzione russa, può ricandidarsi per altri due mandati di sei anni.

 La costituzione prevede che un presidente possa lasciare l’incarico tramite dimissioni, impeachment o “persistente incapacità per motivi di salute di esercitare i poteri che gli sono stati conferiti”.

Non spiega come viene presa questa determinazione.

 Dopo la rimozione di un presidente, il primo ministro diventa presidente ad interim e le elezioni presidenziali devono aver luogo entro 90 giorni.

Tuttavia, nella Russia di Putin, la costituzione è meno un quadro di ferro per il governo e più spesso una struttura simile a Potëmkin per fornire una facciata di legittimità alle azioni unilaterali del Cremlino.

 Sotto Putin, inoltre, non c’è mai stata un’elezione legittimamente contestata, dato che le risorse statali sono sempre state a sua disposizione per garantire la vittoria.

Se Putin dovesse morire improvvisamente per cause naturali, il Cremlino dovrebbe decidere rapidamente chi governerà il regime e mobilitare le risorse statali durante la guerra per “gestire la democrazia” attraverso nuove elezioni.

Chi sarebbe il candidato per accettare questo lavoro? Ancora più importante, chi lo vorrebbe?

Putin, come la maggior parte dei dittatori, ha creato un sistema in cui non esiste un chiaro successore ma molti gruppi di rivali in conflitto.

Il detto russo “il Cremlino ha molte torri” intende descrivere la costante faziosità della politica del governo.

Il bilanciamento di Putin tra conflitti e appetiti di fazioni, di solito finanziari, gli fornisce sia potere su questi gruppi che protezione da essi.

Bilanciare gli interessi finanziari delle fazioni continua anche in tempo di guerra ed è una faccenda seria se i recenti omicidi di alti dirigenti energetici russi sono qualcosa su cui basarsi.

 Il successore di Putin dovrebbe assicurare alle élite del Cremlino di poter compiere la stessa missione.

Se ci fosse un candidato consensuale che potesse soddisfare le varie fazioni – militari, sicurezza e intelligence, gas e petrolio, finanza, ecc. – che le loro posizioni, ricchezze e famiglie erano sicure, questo sarebbe molto stabilizzante per la Russia.

È anche improbabile che accada a causa della guerra contro l’Ucraina.

Poche fazioni del Cremlino sono state consultate da Putin sull’invasione dell’Ucraina e la maggior parte ne è rimasta sorpresa.

Coloro che offrivano anche la minima preoccupazione prima della guerra sono stati umiliati da Putin alla televisione di stato.

 Successivamente, sia le élite che la società in generale hanno subito le conseguenze economiche delle sanzioni internazionali.

L’esercito ha subito sconfitte da Kyiv a Kharkiv a Kherson. Se l’Ucraina dovesse recuperare la Crimea, sarebbe la più grande sconfitta militare della Russia dalla prima guerra mondiale.

La sconfitta avrà molti gruppi che chiedono responsabilità: ufficiali militari che deviano la colpa;

 soldati medi che cercano vendetta per le loro sofferenze;

e le famiglie che hanno perso i propri cari o ora devono prendersi cura dei loro feriti.

La società russa sarà arrabbiata per una guerra persa e un’economia in rovina.

Se la vittoria ha cento padri e la sconfitta è un orfano, il nome di quell’orfano sarà Vladimir Vladimirovich Putin.

Pertanto, Putin potrebbe affrontare rivolte pubbliche in cerca di un cambio di regime o un colpo di stato di palazzo nel tentativo di placare l’indignazione pubblica con la leadership o un cambio di regime, in modo che le élite del Cremlino non perdano la loro ricchezza e sicurezza.

Potrebbe avere successo?

Putin ha in parte “messo a prova di colpo di stato” il suo regime non avendo un chiaro successore e usando tattiche di divide et impera tra le élite del Cremlino.

Come un signore medievale, Putin ha anche più servitori armati proprio per queste occasioni.

Nel 2016, Putin ha separato le forze paramilitari dal Ministero degli Affari Interni per creare la Guardia Nazionale (Rosgvardia) comandata dal fedelissimo Viktor Zolotov.

Tra le altre funzioni, Rosgvardia funge da contrappeso a qualsiasi intrigo di palazzo dell’FSB e del Ministero degli affari interni al di là delle capacità delle guardie del corpo di Putin nel Servizio di protezione federale.

Durante un colpo di stato, Putin potrebbe anche chiedere sostegno alla compagnia militare privata di Prigozhin, la Wagner, e alle truppe cecene fedeli a Kadyrov.

Tuttavia, la loro sicurezza può essere illusoria.

Rosgvardia ha sofferto tanto in combattimento quanto l’esercito regolare.

Kadyrov potrebbe fare il doppio gioco aspettando che l’esercito si indebolisca ulteriormente e poi colpire per il potere con quella che potrebbe essere la più grande forza militare intatta della Russia.

 L’esercito regolare, come notato, ha dei conti da regolare con il Cremlino poiché le fazioni dell’FSB potrebbero essere capro espiatorio per i loro fallimenti in Ucraina.

Altre forze, armate, irregolari e illegali, possono partecipare ad azioni antigovernative a proprio vantaggio o vendetta.

Oltre alle consolidate bande criminali organizzate in Russia, potrebbero sorgere nuove bande incentrate su ex soldati scontenti e unità mercenarie reclutate direttamente dalla prigione.

 Un gruppo di soldati insoddisfatti ha già disertato con le armi da Kherson in Crimea.

 Cosa succede all’ordine interno se questo viene amplificato mille volte dal crollo dell’esercito russo?

Anche se un colpo di stato rimuovesse Putin dal potere, il suo leader o i suoi leader sarebbero in grado di bilanciare le fazioni in competizione, comprese quelle armate, come fece una volta Putin?

 Non c’è alcuna promessa che altri elementi armati accetterebbero la legittimità di un colpo di stato e non cercherebbero di prendere il potere da soli.

 Se Putin sopravvive a un tentativo di colpo di stato e raccoglie sostenitori, che dire allora della lealtà dei vari gruppi armati in Russia?

Dal colpo di stato alla guerra civile il passo potrebbe essere breve, con varie fazioni in lotta in tutta la Russia.

In effetti, mai come oggi la Russia è stata inondata da così tante unità armate (militari, paramilitari, di polizia, private).

Un grave disordine interno potrebbe disgregare parti della Russia, in particolare le sue repubbliche etniche.

Nel 1991, quando tutte le repubbliche socialiste sovietiche hanno lasciato l’Unione Sovietica, hanno lasciato in Russia ventuno repubbliche autonome non slave, ciascuna con la propria costituzione, capitale e lingua nazionale.

La repubblica autonoma cecena ha tentato senza successo di separarsi dalla Russia dopo due sanguinose guerre.

Ciò ha impedito ad altre repubbliche etniche di provare a seguire il suo esempio.

Se in Russia si verificasse un crollo dell’ordine pubblico, persino una guerra civile, dopo una sconfitta in Ucraina, la Cecenia e le altre repubbliche potrebbero essere motivate a riprovare?

La motivazione principale per i movimenti di indipendenza è il nazionalismo, la convinzione che un popolo distinto dovrebbe avere il proprio stato-nazione sovrano.

 Il nazionalismo rimane forte tra i molti gruppi etnici della Russia ed è visibile dalle guerre cecene alle scaramucce regolari tra le repubbliche autonome e Mosca sull’istruzione, le lingue nazionali, l’estensione dell’autogoverno e il controllo sulle risorse naturali indigene.

 La guerra in Ucraina ha portato a proteste in molte repubbliche autonome per la mobilitazione e le elevate perdite tra i russi non etnici.

Per quanto motivate, è improbabile che sorgano repubbliche etniche senza la fiducia di poter sopravvivere economicamente e di non essere schiacciate da Mosca.

Geograficamente, sette repubbliche del Caucaso settentrionale con circa sette milioni di abitanti e risorse energetiche di petrolio, gas e carbone, hanno confini contigui alla Georgia e/o all’Azerbaigian, e un’altra repubblica, Kalmykia, è contigua a questo raggruppamento.

Altai, Tuva (precedentemente indipendente dall’Unione Sovietica fino al 1944) e Buriazia sono contigui con la Mongolia e Khakassia è contigua con loro.

Una costellazione di repubbliche autonome contigue nel distretto federale russo del Volga, Mordovia, Chuvashia, Maria El, Tatarstan, Udmurtia e Bashkortostan.  Il Tatarstan e il Bashkortostan hanno riserve di petrolio e gas, sono ricchi di metalli ferrosi e non ferrosi e il Tatarstan è fortemente industrializzato.

 Pertanto, molte repubbliche – da sole, in federazioni o confederazioni – potrebbero accedere all’economia mondiale con il potenziale industriale e/o le risorse naturali per sostenere la loro indipendenza.

Come è successo in passato, il raggiungimento dell’indipendenza dipenderà in gran parte dal livello di caos di Mosca e dalla sua volontà e capacità di ristabilire l’ordine.

 Nel dicembre 1989, un giovane ufficiale del KGB nella Germania dell’Est chiese ai suoi superiori indicazioni su cosa fare dopo la caduta del muro di Berlino.

 “Non ci sono ordini da Mosca”, gli è stato detto, “Mosca tace”.

 Il giovane ufficiale era Vladimir Putin.

Se Mosca tornerà a tacere, alcune repubbliche etniche potrebbero raggiungere l’indipendenza.

Cecenia e Tatarstan hanno già governi in esilio.

Se la Cecenia proverà di nuovo a separarsi e avrà successo, sarà un esempio per gli altri.

Mentre Kadyrov si concentra su Ucraina e Mosca, i ribelli ceceni, dentro e fuori la Russia, continuano la loro lotta.

Kadyrov potrebbe affrontare lo stesso pericolo di Putin se le sue forze fossero decimate in Ucraina e il popolo volesse vendicarsi per una guerra persa.

Molti ceceni vorranno anche vendicarsi per il suo ruolo di brutale Quisling russo.

 La possibilità di repubbliche separatiste non è un punto teorico per Mosca, che ha già accusato gli Stati Uniti di fomentare il separatismo etnico per far crollare la Russia proprio come l’Unione Sovietica.

 Mosca comprende che sarà difficile riaffermare il potere in repubbliche irrequiete con un esercito distrutto e servizi di sicurezza indeboliti.

Mentre la guerra in Ucraina potrebbe non portare le repubbliche autonome a liberarsi dalla Russia, il Cremlino sta già perdendo influenza nelle ex repubbliche sovietiche del Caucaso e dell’Asia centrale.

La Russia ha ritirato la maggior parte dei suoi uomini e attrezzature dalle guarnigioni e dalle basi dell’Estremo Oriente che forniscono sicurezza in Tagikistan, Armenia, Ossezia del Sud e Abkhazia, per sostenere la guerra.

Come le legioni di Roma che lasciarono il Vallo di Adriano nel IV secolo, sono necessarie più vicine al centro dell’impero.

I ritiri militari della Russia hanno già sconvolto la geopolitica regionale.

Nel giugno 2022, il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev, parlando accanto a Putin alla Conferenza economica di San Pietroburgo, ha annunciato che il Kazakistan non ha sostenuto la guerra con l’Ucraina né ha riconosciuto le enclavi separatiste di Donetsk e Luhansk.

In un vertice del Commonwealth degli Stati indipendenti nell’ottobre 2022, il presidente Emomali Rahmon del Tagikistan ha regolato i vecchi conti coloniali con la Russia ammonendo pubblicamente Putin sulla mancanza di rispetto della Russia per il suo paese.

Queste parole forti hanno fatto eco ad azioni ancora più forti nelle ex repubbliche sovietiche, compresi gli scontri al confine tra Kirghizistan e Tagikistan, e tra l’Azerbaigian e l’Armenia che includevano la conquista di più territorio da parte dell’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh.

Dove un tempo diplomatici e soldati russi si sarebbero rapidamente trasferiti

 

Consideriamo la riunione dell’ottobre 2022 dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai a Samarcanda, in Uzbekistan.

Le figure dominanti in quell’incontro erano il presidente cinese Xi Jinping e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con Putin relegato a essere un supplicante di aiuti o un capro espiatorio per la sua guerra in Ucraina.

Questo drammatico cambio di potere è stato evidenziato pochi giorni prima della riunione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, quando Xi ha visitato il Kazakistan e ha parlato della sua integrità territoriale, che gli esperti russi, i legislatori e persino Putin nel 2014 hanno minacciato.

 Xi, in un monito diretto alla Russia, ha affermato che “non importa come cambia la situazione internazionale, la Cina sosterrà sempre il Kazakistan nel mantenere la sua indipendenza nazionale, sovranità e integrità territoriale”.

Con quelle ventuno parole, Xi ha segnalato che la Cina era ora un arbitro delle questioni di sicurezza dell’Asia centrale e aveva il potere di sostenere i propri interessi.

Allo stesso modo, l’aiuto della Turchia all’Azerbaigian per sconfiggere l’Armenia sostenuta dalla Russia ne ha fatto un arbitro delle questioni di sicurezza del Caucaso meridionale.

La presenza di Xi ed Erdogan a Samarcanda è stata il riconoscimento cerimoniale di questa realtà e che l’egemonia illimitata della Russia nel suo vicino estero era finita.

 

L’affermazione della Cina dei suoi interessi di sicurezza in Asia centrale è stata un’umiliazione per la Russia.

Tuttavia, Mosca deve chiedersi se Pechino si accontenterà dell’egemonia o se ha maggiori ambizioni basate su una storia sino-russa costellata di conflitti territoriali?

Per due secoli, la Cina ha parato i tentativi russi di raggiungere la valle del fiume Amur fino a quando l’equilibrio di potere tra i due imperi non è cambiato e il Trattato di Aigun del 1858 e la Convenzione di Pechino del 1860 hanno riconosciuto il controllo russo sulla riva sinistra dell’Amur e sulla terraferma, nota come Provincia Marittima.

I conflitti territoriali continuarono, di solito a spese della Cina, con la coercizione della Russia alla Cina nel 1898 per affittare Port Arthur, il ruolo della Russia nella soppressione della ribellione dei Boxer, il conflitto sino-sovietico del 1929 sulla ferrovia orientale cinese, l’incursione sovietica del 1934 nello Xinjiang per sostenere un signore della guerra separatista e la scissione sino-sovietica che accelerò gli scontri al confine del 1969.

A questa storia si aggiunge la realtà che il governo del Partito Comunista Cinese è ora legittimato dall’ultranazionalismo, che enfatizza la riconquista delle terre perdute durante il “secolo dell’umiliazione”, vice marxista-leninismo.

Mentre l’enfasi attuale è su Taiwan, anche ai tempi di Mao, Pechino sosteneva che i “trattati ineguali” con l’Impero russo che lo costringevano a cedere quasi un milione di miglia quadrate di territorio necessitassero di una rinegoziazione – una richiesta che Mosca respinse.

Questo problema potrebbe ripresentarsi?

 E se la Cina venisse respinta in una guerra per Taiwan e rivolgesse la sua attenzione a nord per salvare la faccia?

E se conquista Taiwan e poi decide di annullare l’ultimo dei “trattati ineguali?”

 La vera Trappola di Tucidide del 21° secolo (di una potenza emergente che minaccia di sostituire una grande potenza consolidata) potrebbe essere un conflitto tra Russia e Cina sulle risorse siberiane invece di un conflitto tra Cina e Stati Uniti sull’egemonia del Pacifico, o forse entrambi?

Se la Russia affronta una Cina revanscista, si troverà ostacolata da debolezze demografiche ed economiche.

Mentre la popolazione cinese diventerà grigia nel 21° secolo a causa della sua precedente politica del figlio unico, manterrà comunque un vantaggio demografico di 10:1 sulla Russia.

 La popolazione in declino della Russia è una debolezza strategica, ma lo è anche il luogo in cui si trova o non si trova quella popolazione.

La popolazione del Distretto Federale dell’Estremo Oriente russo è di circa otto milioni, ovvero meno del 6% della popolazione totale della Russia.

Questo è un vuoto demografico vicino alla Cina, un’enorme massa demografica.

In sostanza, è in corso un esperimento geopolitico per determinare quanti pochi russi possono vivere in questa regione e farla rimanere territorio russo.

 

Alle sfide demografiche per la sicurezza nazionale si aggiunge l’enorme disparità tra le capacità economiche russe e cinesi.

 Nel 2021, la Cina aveva la seconda economia mondiale e la Russia l’undicesima. Le stime del calo del prodotto interno lordo della Russia nel 2022 a causa della guerra in Ucraina vanno da una a due cifre.

Qualunque sia il risultato, il prodotto interno lordo della Russia diminuirà fino a quando le sanzioni non saranno revocate.

Anche allora, non può riprendersi presto per eguagliare la potenza economica cinese, dando a Pechino un vantaggio militare convenzionale su Mosca.

Inoltre, poiché la capacità nucleare della Cina raggiunge la parità con quella della Russia, inclusa una capacità di secondo attacco, Mosca potrebbe non essere in grado di dipendere dalle armi nucleari per scoraggiare il conflitto.

Ad esempio, entrambe le parti nella seconda guerra mondiale avevano armi chimiche, ma furono scoraggiate dall’usarle nonostante la natura esistenziale della guerra.

Infine, grazie alla politica estera di Putin, la Russia non può dipendere da alcun alleato di rilevanza militare.

Facendo la” bête noire” della Russia occidentale e invadendo l’Ucraina, Putin ha precluso qualsiasi equilibrio geopolitico alle future minacce orientali.

Gli stati democratici liberali occidentali possono muoversi per contrastare l’aggressione cinese contro la Taiwan democratica, ma non hanno alcun incentivo a farlo per una Russia che ha rifiutato l’Occidente e ha invaso e saccheggiato un paese che desidera unirsi alle sue istituzioni.

Quindi, la Russia sopravviverà fino al 2084?

A dire il vero, lo scenario delineato in questo articolo per il futuro della Russia appare fosco.

 In primo luogo, la sconfitta in Ucraina porta al caos politico e forse alla guerra civile, consentendo ad alcune repubbliche autonome di separarsi e accelerando la perdita dell’egemonia della Russia in Asia centrale, nel Caucaso e nell’Europa orientale.

Man mano che l’economia e la demografia della Russia si indeboliscono, le sue capacità militari si riducono e i tradizionali rivali geopolitici si rafforzano, la Russia sarà in grado di mantenere la sua massiccia integrità territoriale o ridursi a dimensioni commisurate all’ultima volta che simili disastri hanno colpito Mosca?

Una domanda secondaria per la Russia è:

la Cina vorrà una Russia intatta come vassallo debole, o l’estremo oriente della Russia per sé?

Questo è un quadro drastico sì, ma per il quale i politici dovrebbero pianificare.

Tali eventi creerebbero crisi sul controllo delle armi nucleari e dilemmi sul riconoscimento e il sostegno di nuovi stati indipendenti (di nuovo).

Cosa dovrebbe fare Washington se i movimenti di indipendenza nelle repubbliche autonome musulmane vengono dirottati dai terroristi salafiti come è successo in Cecenia?

 E se la Cina sviluppasse ambizioni territoriali nell’estremo oriente della Russia?

E se uno sforzo solo parzialmente riuscito per prendere il controllo del Cremlino con la forza portasse a più fazioni armate che lottano per il controllo dello stato, ognuna delle quali afferma di essere il governo legittimo della Russia?

Se la sconfitta di Mosca in Ucraina riapre vecchie pagine della storia russa, allora Washington dovrebbe prepararsi per un momento in cui qualcuno dirà:

“Mosca tace”.

 

 

 

La guerra delle

élite in Kazkhstan

 

atlanteguerre.it – Redazione – Ambra Visentin - (16 gennaio 2022) – ci dice:

 

Dopo i moti di piazza repressi nel sangue è venuto il momento di fare i conti interni.

Cosa c'è in ballo nel Paese ricco di fonti energetiche.

 Il Presidente Kassym-Jomart Tokayev torna a promettere di risanare il Paese ma i cittadini sembrano non credergli più.

 “Al popolo kazaco” è il nome del fondo sociale pubblico per lo sviluppo economico annunciato lo scorso 11 gennaio.

Queste le sue parole:

“Grazie al primo Presidente Elbasy (Leader della Nazione, titolo onorifico di Nursultan Nazarbayev ndr), si è costituito nel Paese un gruppo di aziende molto redditizie (…) credo che sia giunto il momento di rendere omaggio al popolo del Kazakhstan e aiutarlo in modo sistematico e regolare”.

Una dichiarazione che, secondo gli analisti, mira soprattutto a calmare gli animi dei cittadini, ancora sconvolti dalla violenza esercitata in gran parte su civili disarmati.

Secondo le stime, (oltre a 225 vittime ufficiali) i danni delle proteste avvenute in Kazakhstan ad inizio gennaio potrebbero ammontare a 2 o 3 miliardi di dollari.

Tokayev si dichiara intenzionato a colpire le élite economiche del Paese arricchitesi negli ultimi decenni.

Oltre alla promessa di riforme economiche e all’incarico per l’istituzione del nuovo fondo sociale, il Presidente ha chiesto la cessazione di una delle attività della società “Operator ROB”, appartenente ad Aliya, la figlia minore di Nazarbayev e una revisione delle procedure di appalto in seno alla holding di investimento Samruk-Kazyna, la principale “fortezza” della famiglia Nazarbayev.

 Il Governo del Kazakhstan è considerato l’unico azionista di questo fondo, le cui attività influirebbero per il 60% sul PIL e i cui redditi dovrebbero essere allocati a settori di sviluppo nazionale.

Fondato dall’ex Presidente nel 2008, al fine di unire tutte le principali società nazionali e ispirato all’omologa holding di Singapore Tamasek, Samruk-Kazyna ha riunito più di una dozzina di società fra cui Kazakh Railways, Kazpost, Kazakhtelecom, Kazatomprom e società energetiche.

Al fondo appartiene inoltre KazGPZ, l’impianto di trattamento del gas kazako, struttura che versa in pessime condizioni a causa della mancanza di investimenti per la manutenzione e lo sviluppo.

I soldi necessari per il suo funzionamento sarebbero stati sottratti attraverso società offshore con l’aiuto di ATF, banca di proprietà del genero del nipote di Nazarbayev, Galimzhan Yessenov.

Questa battaglia per il controllo sui patrimoni delle élite potrebbe inoltre avere bisogno del sostegno delle autorità dell’Europa occidentale.

 La scorsa settimana Tom Tugendhat, parlamentare conservatore britannico che presiede la commissione per gli affari esteri, ha fatto esplicita richiesta di sanzioni contro i patrimoni kazachi.

Come riportato dal Telegraph, in base ai dati di “Transparency International”, nel Regno Unito si troverebbero asset per un valore di 370 milioni di sterline (pari a circa 442 milioni di euro) di proprietà della famiglia dell’ex Presidente.

Ma quanto sono credibili le promesse di Tokayev?

Il politologo Dosym Satpayev trova che le critiche rivolte dal Presidente al suo predecessore siano incoerenti, in quanto egli stesso promette cambiamenti radicali ma attorniandosi degli stessi collaboratori che contribuirono alla costruzione del sistema che ha portato alle rivolte.

Insomma pare proporre una “cura” con le stesse “medicine” finora rivelatesi letali per il popolo.

 In pratica si parla di un nuovo governo composto in buona parte dai vecchi ministri e di strette collaborazioni con chi ha permesso al precedente regime di prosperare.

In questi ultimi 30 anni la popolazione ha più volte invocato un governo migliore e rivendicato il diritto ad una maggior partecipazione politica.

 Diritto negato anche durante le ultime elezioni parlamentari del 2021 alle quali, nonostante le promesse di cambiamento, hanno partecipato solo gli storici 5 partiti “di sistema”.

Nonostante il carattere interno delle rivendicazioni, che hanno spinto i cittadini alla rivolta, si continua a speculare su influenze straniere.

Putin parla anche qui di “tecniche di Maidan”, facendo riferimento alle interferenze politiche estere in Ucraina.

“Si tratta di una retorica che potenzialmente tutti possono utilizzare ma a cui nessuno davvero crede – ironizza il politologo Kirill Shamaev.

È come per la retorica marxista contro il capitalismo, quando tutti volevano comunque comprare i jeans americani”.

 

 

 

 

LA GUERRA DELLE ÉLITE

CONTRO L’INFLAZIONE È PERSA.

Glistatigenerali.com - SILVERIO ALLOCCA - 3 Novembre 2022 – ci dice:

 Il tema della lotta all’inflazione è uno di quelli decisamente caldi in questi giorni in Europa come pure negli Stati Uniti, ma non solo.

A tale proposito, con molto acume, Gianclaudio Torlizzi, ben noto founder presso T-Commodity s.r.l., ha scritto:

 “Perché le élite perderanno la guerra contro l’inflazione?

Perché non capiscono/vogliono capire:

 1) quanto le politiche climatiche alimentino al rialzo i prezzi energia e materie prime;

2) quanto le commodities siano influenzate da dinamiche geopolitiche.

Un concetto basilare infatti è che dal 2020 a oggi le materie prime detengono de facto il controllo dell’Outlook inflazionistico.

Per questa ragione ritengo ridicola l’aspettativa del mercato sul ‘pivot’ della FED.

La BC Usa stasera potrà anche allentare un po’ l’approccio di politica monetaria per fare un piacere alla Casa Bianca e dare un’ulteriore spinta a Wall Street prima delle mid term, ma fintanto che il petrolio continuerà a scambiare sopra i $70 (occhio tra l’altro all’allarme attacchi sulle infrastrutture saudite da parte Iran) le pressioni sui prezzi rimarranno elevate.

Da evidenziare poi che negli ultimi 6 mesi abbiamo assistito a un crollo dei prezzi delle commodities come metalli, e acciaio.

Crollo che però cederà il passo a un nuovo ciclo rialzista appena Pechino allenterà la Covid Zero Strategy.

Ieri ne abbiamo avuto un assaggio: nichel 7% in una sola sessione di Borsa in scia alle indiscrezioni (non confermate per giunta) circa l’allentamento della CZS da parte del Governo cinese.

 Se a questo aggiungiamo le nuove tensioni che investiranno il comparto dei beni alimentari dopo la sospensione dell’accordo sul grano da parte di Mosca, ben si comprende come la spinta inflazionistica commodity-driver rappresenti un elemento di natura strutturale.

Per concludere, è probabile che domattina ci sveglieremo con tassi negli Usa al 4% ma con un’inflazione ancora all’8,2%.

Prima o poi il mercato dovrà digerire la verità e arrendersi al fatto che la guerra contro inflazione non si vince con tassi interesse negativi.”

Splendida disamina cui andrebbe, a mio avviso, aggiunta una ulteriore riflessione evidenziante un problema strutturale ed al momento ineliminabile per mancanza di una analisi economica degna di questo nome su di un fatto incontrovertibile:

allo stato attuale l’approccio teorico alla base dell’impiego degli strumenti di politica monetaria utilizzati a livello internazionale da tutti i principali attori -in primis la FED e la BCE- sono oltremodo inadeguati in quanto ispirati dalla teoria economica di John Maynard Keynes:

splendida teoria ma obsoleta perché applicabile ad un sistema economico ad economie separate -quindi come tali non rientranti in un sistema globalizzato- rispondenti ognuna ad una moneta sovrana e non certamente fiduciaria come sono tutte le monete attuali a partire dal 1971, anno della fine degli accordi di Bretton Woods.

Il meccanismo introdotto da Keynes rappresenta un sistema che, per certi versi, potrebbe essere definito a “vasi comunicanti” dove un Paese ricco, a moneta forte -e come tale a bassa inflazione-, si vede penalizzato nelle esportazioni, a differenza di quanto accade ad un Paese con moneta debole ed alta inflazione che si vede ben collocato proprio nelle esportazioni per ovvie ragioni di cambio.

In un tale contesto il primo Paese, favorito dall’attivo della bilancia commerciale, disporrà per certo di cospicui capitali da investire, capitali a cui le imprese potrebbero agevolmente attingere grazie ai bassi tassi di interesse anche se difficilmente troveranno utile farlo proprio per la penalizzazione derivante dalla moneta forte:

un qualcosa che, alla lunga, potrebbe portare in prima battuta ad un rallentamento dell’economia e successivamente perfino ad una recessione.

Situazione diametralmente opposta a questa sarà quella caratterizzante il secondo Paese in quanto la sfavorevole bilancia commerciale lo penalizzerà non poco per la indisponibilità dei capitali necessari ad attuare una politica economica espansiva.

Il secondo Paese, per reperire i necessari capitali, sarà evidentemente solitamente costretto (se non in toto, almeno in parte) ad indebitarsi sull’estero pagando generalmente alti tassi di interesse a causa del basso rating che in tali casi caratterizza il proprio debito pubblico:

 un qualcosa che verosimilmente determinerà un costo del danaro elevato solitamente insostenibile dalle imprese locali che, per questa via si vedranno costrette, prima o poi, a passare la mano innescando una spirale economica negativa dai risvolti talvolta drammatici per l’intero Paese.

In una condizione del genere al primo Paese (come spesso è accaduto in passato) converrebbe, se ve ne sono le opportune condizioni, investire direttamente nel secondo per promuoverne la crescita in prima persona al fine di beneficiare degli utili realizzati dalle imprese partecipate del secondo.

 In questo modo si realizzerebbe, di fatto, un travaso di ricchezza che alla fine porterebbe nel tempo -è accaduto- ad una inversione dei ruoli come frutto anche di successive svalutazioni della prima moneta ed apprezzamento della seconda … e così avanti.

Il sistema non è così virtuoso nella realtà ma lo approssima, o almeno lo potrebbe approssimare abbastanza bene, almeno in linea teorica, in presenza di un primato della politica sull’economia.

 

Purtroppo il sistema globalizzato in cui ci troviamo ha fatto saltare anche solo la possibilità di porre in essere questo meccanismo e l’Europa ne è un drammatico esempio lampante per il fatto che i Paesi forti e quelli deboli dell’area UE sono caratterizzati da una moneta unica che, alla lunga, non favorisce gli uni e penalizza gli altri senza offrire una reale possibilità di vedere attuato quel travaso altalenante di ricchezza che caratterizza i cicli economici di controtendenza e ciò, in primis, tanto per il mancato primato della politica sui mercati quanto -e soprattutto- per la mancanza di una politica unitaria.

In questo caso, infatti, alla moneta unica fa da contraltare un assurdo insieme di politiche locali distinte e fin troppo spesso disarticolate che la presenza dell’Euro rende inefficaci:

 di fatto l’Unione Europea non è né carne né pesce -non uno Stato coeso e sovrano degno e neppure una struttura macroeconomica di vecchio stampo - e, come tale, è penalizzata da tutti gli svantaggi derivanti da una moneta unica come pure da tutti quelli derivanti, in questo contesto, da un obsoleto sistema ad economie separate.

È una situazione che, a ben guardare, è alla base anche del gap che si osserva negli stessi USA dove gli Stati ricchi restano tali e quelli poveri si impoveriscono sempre più:

anche qui per un primato delle logiche di mercato su quelle della politica.

 Negli States, detto per inciso, la degenerazione si è evidenziata più lentamente che da noi solo per una sorta di pseudo politica interna, sia pure ispirata da un male interpretato liberismo, e per il peso geopolitico degli USA:

alla fine, però, il risultato è stato drammaticamente lo stesso ed è sotto gli occhi di tutti.

Da questo punto di vista il problema di cui stiamo parlando evidenzia aspetti di gran lunga più drammatici di quanto l’ottimo pezzo di Terlizzi faccia apparire:

il mondo attuale non consente neppure a livello teorico virtuose oscillazioni in controfase delle economie essendo caratterizzato da un drammatico andamento in fase che alla fine porterà al tracollo:

da qui il tentativo tutto USA di de-globalizzare il sistema.

Un ulteriore elemento negativo è dato dal fatto che, stando così le cose, le istituzioni finanziarie globalizzate hanno creato, per realizzare i propri profitti, una parallela economia virtuale fittizia caratterizzata da prodotti finanziari ad alto rischio, i derivati, che ha inquinato non poco l’economia reale rendendo la teoria Keynesiana a maggior ragione inapplicabile.

Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti:

BCE e FED alzano i tassi per combattere l’inflazione ma questo ha per contraltare una penalizzazione globalizzata di qualsivoglia politica di crescita che, se anche si fosse cercato -o si cercasse- di favorire con un abbattimento dei tassi di riferimento, non avrebbe sortito e non sortirà effetto alcuno se non quello di un più rapido impoverimento generalizzato.

In altri termini, procedendo per questa via, la questione non riguarda il “se” ma solo il “quando” si arriverà al tracollo e la speranza cullata da ‘qualcuno’ di risolvere questa crisi sistemica con una guerra, al pari di quanto avvenne ai tempi del II Conflitto Mondiale per porre termine agli effetti della Crisi del ‘29, appare una cura peggiore della malattia.

 

Accordi Segreti fra Protagonisti

di Big Pharma, Gas e Grano.

Conoscenzealconfine.it – (3 Gennaio 2023) - Manlio Lo Presti – ci dice:

 

Il 2023 sarà un anno veramente difficile.

Prepariamoci!

Sull’onda delle notizie “cinesi”, assistiamo in Italia ad un ritorno della propaganda vaccinista sugli schermi e sulla carta stampata.

Emerge dalle decine di dibattiti televisivi come risultante di una lenta ma attenta preparazione terroristica farmaceutica.

Dopo la sequenza dello psycho green con le treccine, della follia psycho elettrica, della psycho scimmia, della psycho ucraina, dello psycho iran con i capelli tagliati, adesso incombe il ritorno della psycho cina versione 2.0.

Se ci ricordiamo, il caos cosiddetto pandemico del 2020 è partito con la paura della Cina.

 Il mortale gioco farmaceutico dell’oca sta riprendendo dallo stesso punto: (nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/politica/con-la-scusa-della-cina-ecco-il-colpo-di-coda-del-tremendismo-sanitario/)

L’uso dello psycho-virus è un’arma di distrazione per coprire i danni provocati:

1) dalla ossessiva dominazione della finanza sulla produzione;

2) dalla distorsione della distribuzione di beni e servizi:

dai correlati livelli occupazionali ridotti significativamente dalle espulsioni di massa create dalla robotica, in concomitanza con l’invecchiamento della popolazione occupata, come risulta dal rapporto disponibile: (oa.inapp.org/bitstream/handle/20.500.12916 /3437/INAPP_Digitalizzazione_e_invecchiamento_della_forza_lavoro_nel_settore_dei_servizi_IR_25_2022.pdf?sequence=1)

3) dall’incremento delle produzioni robotiche che hanno accresciuto le espulsioni di masse ingenti di lavoratori dai cicli produttivi: (lindiceonline.com/osservatorio/economia-e-politica/espulsioni-saskia-sassen/)

4) dai livelli salariali che saranno ridotti significativamente;

 (linkiesta.it/2017/05/i-robot-non-ci-sostituiranno-perche-i-nostri-stipendi-saranno-sempre-p/) riducendo – forse – il crollo occupazionale;

5) dalla teologia verde ecologista sostenibile con le treccine che ha avuto come conseguenza immediata la deindustrializzazione del continente europeo.

Dell’inquietante fenomeno distruttivo delle espulsioni di massa non ne parla nessuno.

Non interessa, non attira.

Il senso di allarme indotto artificialmente è commisurato alla crescita del numero delle dichiarazioni che prospettano un ritorno alle mascherine, senza però obblighi polizieschi vigilati da pattuglie della polizia per le strade, appoggiate da sciami di elicotteri in volo e dall’urlo lacerante delle sirene nella notte.

 Difficile dimenticare il panorama distopico e delirante appena trascorso.

Dicevamo che il timore di un brutale ritorno diventerà certezza quando i politici che hanno dichiarato la discrezionalità delle mascherine ecc. smentiranno sfacciatamente tutto.

Smentiranno tutto senza vergogna.

Diranno che il ritorno all’obbligatorietà delle misure sanitarie è giustificato dal rapidissimo aggravarsi del “quadro pandemico” internazionale.

Il gioco è fatto!

 Riprende il sopravvento la regia del Sinedrio dei trecento esperti virologi scientifici in totale disaccordo fra loro per non far capire nulla al cittadino indifeso.

Un film già visto!

Si tratta della classica PsyOp (operazione psicologica) per alterare la percezione della realtà circostante.

Nel frattempo, casualmente e in stretta successione, esplodono tumulti di piazza in mezza Europa con un finto colpo di stato in Germania notiziato per tre giorni per poi scomparire totalmente dai radar dell’opinione pubblica.

Gli elementi che fanno sospettare l’artificialità dell’attuale caos mondiale sono:

1) La sincronicità dei disordini di piazza, soprattutto e guarda caso, nei Paesi che hanno osato sottoscrivere accordi con la Russia.

 Disordini relativi a problemi sociali esistenti al tempo delle occupazioni dei soliti angloamericani in quelle zone e che all’epoca non hanno fatto nulla per migliorare la condizione delle donne;

2) l’inflazione indotta dalle quotazioni del gas, addebitata esclusivamente alla Russia che esporta il 18% del gas mondiale, trascurando abilmente il rimanente 82% che non ha avuto alcun motivo per rialzare i prezzi. (geopop.it/quali-sono-i-maggiori-produttori-ed-esportatori-di-gas-naturale-al-mondo/);

 

 

3) infofarine.it informa che su una produzione mondiale di 406 Mt di farina, la Russia produce 75 Mt, cioè il 18% scarso del totale, esportandone il 35% del totale mondiale.

Ma la Russia è l’unica colpevole del rialzo del prezzo globale del grano, influenzato da altri produttori di cui il primo è la Cina con 137 Mt di farine.

Viene volutamente omesso che la Cina ha il 34% della produzione mondiale ma esporta molto meno (infofarine.it/il-frumento-tenero-in-italia-e-nel-mondo/).

Il sito (ilfattoalimentare.it) evidenzia che le importazioni di grano da Russia ed Ucraina non sono fondamentali:

 (ilfattoalimentare.it/grano-e-mais-la-russia-e-lucraina-non-sono-fondamentali-per-le-importazioni-italiane-di-queste-materie-prime.html).

Allora come si giustificano i folli rialzi di prezzo della produzione di pasta che si credeva prodotta in Italia provocando spirali inflattive gravissime?

Si tratta di pura ed ignobile speculazione che i governi precedenti, nazionali ed europei, non hanno combattuto e non risolveranno né a breve né con decisione.

Consultando direttamente le fonti statistiche e gli studi effettuati dagli organismi internazionali, viene fuori una realtà totalmente diversa da quella bombardata dai media per creare allarme ed una percezione artefatta della realtà (allarmistica e terroristica).

 Possiamo quindi affermare che l’Italia è sotto l’attacco di una guerra ibrida in piena regola.

A questo punto c’è da domandarsi: perché siamo di fronte alla più grande diffusione di notizie false mai raggiunta prima nella storia?

 Si fa largo il sospetto che dietro le quinte di questo copione ci sia ben altro.

 Che esista la sottoscrizione di un “accordo planetario riservatissimo” con assegnazione ai rispettivi attori dello scenario globale delle parti da recitare per evitare e bloccare sul nascere eventuali conseguenze fuori controllo catastrofiche e destabilizzanti.

Lo fa pensare il fatto che non sia ancora esploso un conflitto di vaste proporzioni che viene continuamente paventato ma non ancora iniziato.

 La devastazione è assicurata, con danni simili, ma grazie alla diffusione del panico.

Abbiamo una guerra psicologica in corso.

Non dimentichiamo che gli USA sono stati gli unici ad usare le bombe nucleari dopo la resa del Giappone, approfittando del vantaggio tecnologico.

Il divario è da tempo condiviso con altre potenze militari del pianeta.

 Adesso sono tutti cauti nel ricorrere all’arma nucleare che non avrebbe nessun vincitore.

La guerra atomica non è praticabile perché senza vincitori.

I sistemi economici devono essere vittime della depressione eterna.                                         La disoccupazione aumenta e i robot producono per compratori sempre più rari.

Se il sistema tecno-finanziario e quello economico non sono esplosi sul serio, allora si fa strada il sospetto che l’attuale morfologia dello scenario mondiale sia il frutto di un accordo riservato fra le varie potenze, con la regia delle dieci maggiori imprese mondiali, quasi tutte angloamericane.

 

Nulla vieta di pensare che ci siano accordi tra Cina e società farmaceutiche. La chiusura offre alla Cina l’occasione di effettuare una stretta maggiore e più brutale che assicura un fronte interno appiattito sul consenso dell’annessione di Taiwan, senza disdegnare l’incasso di masse di denaro da Big Pharma.

Inoltre, la pressione tecno-sanitaria cinese giustificherebbe il rimbalzo tecno sanitario repressivo in Europa.

È la scusa perfetta per chiudere di nuovo tutto con le solite sceneggiate: elicotteri, polizia nelle strade, minacce e criminalizzazione degli oppositori, raffica di dpcm extraparlamentari, un maggiore collasso economico generalizzato dell’Europa, disoccupazione oltre i 100 milioni di persone ed espulsione di altri 50 mln per robotizzazione.

La guerra ucraina ha reso possibile fra Russia e società di armamenti mondiali un protocollo per svuotare i magazzini di armi obsolete, ed è anche occasione di riciclaggio di gran parte delle somme stanziate e dirottate nei soliti paradisi fiscali sui conti dei parlamentari che hanno deliberato i finanziamenti.

Esiste un ulteriore sospetto che l’accordo segreto Russia-Usa sul prezzo del gas sia un altro gigantesco canale di riciclaggio per “sovrafatturazione”.

 Il riciclaggio diventa la chiave di lettura degli eventi attuali: soldi destinati al finanziamento di guerre locali o per la propaganda capillare.

Il 2023 sarà un anno veramente difficile. Prepariamoci!

(Manlio Lo Presti -- lapekoranera.it/2023/01/01/accordi-segreti-fra-protagonisti-di-big-pharma-gas-e-grano/)

 

 

CARRIERE LAMPO, NATO

E VERITA’ RIVELATE.

Lapekoranera.it - Manlio Lo Presti – (27 Dicembre 2022) – ci dice: 

 

 Nella foto è ben schematizzata l'”Evoluzione del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”.

(civitas-schola.it/2021/06/14/sistema-di-informazione-per-la-sicurezza-della-repubblica/).

Iniziamo col dire che il mondo è scosso da un serie di eventi in successione vertiginosa.

Qualcuno ha capito che la creazione del caos permanente ha gli stessi effetti prodotti dall’utilizzo di milioni di soldati, di armamenti, di spostamenti, di occupazioni di territori infiltrati da sacche di resistenza, ecc.

Il disordine mondiale crea e incrementa la paura del futuro, la crisi economica fa il resto: precarietà, instabilità dei rapporti umani.

L’individuo globale è quindi ricattabile, poiché privato della rete di rapporti solidali che producono resistenza e resilienza.

Tutto questo ha un autore più attivo rispetto ad altri ma non il più potente: alludiamo alla Nato.

La NATO è il protagonista e il creatore di dozzine di conflitti in tutto il mondo, travisando la sua vocazione difensiva mutandola in operatività offensiva e militare.

 Le decisioni della Nato spesso non coincidono con le strategie USA che sono continuamente poste di fronte al fatto compiuto.

Nel nostro Paese per esempio, sotto la regia atlantica, il PD è stato rottamato dopo essere stato usato e sostenuto con immensi finanziamenti.

 Stesso metodo viene adottato contro la UE che deve essere letteralmente demolita e screditata (civica.one/leuropa-vuole-suicidarsi/).

 Casualmente, esplodono disordini di piazza in Francia, in Inghilterra, in Iran, in Siria.

Disordini in Germania dove hanno parlato di un “colpo di stato” subito rientrato e di cui non si parla più.

Nei corridoi delle istituzioni comunitarie parte lo scandalo della corruzione, diffondendo notizie riguardanti una minima parte delle ruberie in corso.

Nessuno parla dei riciclaggi in corso nell’Unione Europea, che hanno importi dell’ordine di trenta miliardi di euro medi giornalieri.

Non dimentichiamo che la Nato è da sempre in lotta e competizione con la Cia, e questo giustifica perché gli articoli di Repubblica e di quotidiani simili e allineati escono proprio adesso sulle tangenti europee e su vicende storiche del recente passato italiano (civica.one/il-presunto-affaire-svelato-da-la-repubblica-cia-e-mattei/).

Se usassimo una visione panoramica, ci accorgeremmo che tutta questa sarabanda è preparatoria all’arrivo della Pelosi nella qualità di ambasciatrice sorvegliante della ex-Italia e del Mediterraneo, e che risponde a committenti diversi dalla Cia e dalla Nato.

 La lotta di diverse fazioni ha gettato gli USA in una guerra civile ultradecennale, che la quasi totalità delle agenzie di informazioni nascondono (civica.one/il-tracollo-di-ursula-e-della-ue-con-i-tribunali-speciali/).

Nel nostro Paese le operazioni di dominio in corso sono più contorte.

Da qualche tempo, circolano e nidificano strani personaggi con percorsi professionali scintillanti che sembrano costruiti a tavolino.

Tali individui sono poi inseriti in nicchie vitali della macchia statale.

Si dichiarano ufficialmente al di sopra dei partiti e accumulano con insolita velocità successi su successi, cariche, onorificenze istituzionali.

Sembrano la trama di alcuni migliori libri di spionaggio.

 Hanno l’odore delle carriere troppo perfette per essere vere.

Sembrano percorsi costruiti ad hoc per essere legittimati alle elezioni a cariche apicali con il beneplacito di una classe politica nazionale interamente ricattata, e che continua a bloccare lo sviluppo economico e democratico della ex-Italia da oltre un secolo.

Lo scopo di queste manovre di bassa cucina?

 È quello di nominare il prossimo presidente della Repubblica di estrazione “tecnica” continuando a considerare la penisola come una colonia occupata di quarto livello.

Sempre adesso, sono diffuse nuove “verità storiche” dal primo dopoguerra italico ad oggi con l’apertura di archivi stranieri che potevano essere accessibili almeno 40 anni fa.

 Ricerche pubblicate con insolita velocità, assieme ad uno strano silenzio intorno ai loro contenuti da parte di tutti i giornali allineati e di opposizione.

 Nessuno osa avere dubbi sulla loro autenticità fornita da documenti giacenti in strutture culturali straniere che sono sempre state ostili al nostro Paese.

Perché una fiducia così incondizionata in queste fonti? Perché non avanzare qualche dubbio sulla loro disponibilità e attendibilità nel momento di maggiore caos in Europa?

Il metodo di demolizione per mano atlantica dei partiti dei precedenti governi italiani non cambia.

 Sono fatti a pezzi con “improvvise” rivelazioni ad orologeria diffuse dai soliti giornalini.

 I temi sono sempre la corruzione, ma nessuno rivela scandali di cocaina e di pedofilia che servono per ricattare i politici in blocco.

Una “sincronizzata” e sospettosa resipiscenza moralistica investe i personaggi della UE rivelando le briciole delle somme scoperte.

 Perché? Forse per nascondere il vero riciclaggio di almeno 30 MILIARDI di euro al giorno in Europa?

I popoli sono distratti con la PSYCHO GUERRA dopo lo PSYCHO VAIRUSS per far accettare la povertà di massa con i sempre più frequenti blocchi di forniture di energia che si verificheranno in stretta successione e con durata maggiore – sempre in nome della teologia sostenibile, genderista, ecologista multi sex in corso.

Una sequenza infernale che si attiverà solamente dopo averci fatto comprare milioni di auto elettriche che marciranno nei box e nelle strade.

Niente è come sembra!

 

 

 

“L’America non è in guerra civile. Le sue élite sì”.

Parla Morris Fiorina.

Open.luiss.it - Marco Valerio Lo Prete – (27 NOVEMBRE 2018) – ci dice:

(INTERVISTA OPEN SOCIETY OFF - Morris Fiorina insegna Scienze politiche alla Stanford University).

Sbaglia chi legge le recenti elezioni di metà mandato negli Stati Uniti come la garanzia di una riscossa dei Democratici in vista della corsa del 2020 per la Casa Bianca.

Sbaglia chi interpreta le elezioni nazionali che due anni fa hanno portato alla Presidenza il Repubblicano Donald Trump come l’inizio di un’inesorabile svolta autoritaria e razzista del Paese.

 Sbaglia, soprattutto, chi crede che l’America stia attraversando una nuova guerra civile strisciante.

A sostenerlo è Morris Fiorina, decano dei politologi mondiali con cattedra all’Università di Stanford, in California, che a LUISS Open illustra numeri, dati e ipotesi che rischiano di mandare in tilt il commentatore medio di politica americana.

“Si prenda il tema dell’immigrazione – dice a margine di una lezione tenuta all’università LUISS di Roma, ospite del collega e direttore del CISE Roberto D’Alimonte –

È difficile sostenere che gli Americani siano ostili agli immigrati.

 La maggior parte di loro è contraria all’idea di costruire un muro al confine col Messico, ritiene che l’immigrazione faccia più bene che male al Paese ed è favorevole alla predisposizione di un qualche percorso che consenta di passare gradualmente dalla clandestinità alla cittadinanza.

 Allo stesso tempo, però, solo un quarto degli Americani sostiene che nel Paese ci vogliano ancora più immigrati, circa la metà è contraria alle città-santuario che schermano gli immigrati illegali dalle leggi federali, più della metà preferirebbe una maggiore enfasi sull’immigrazione qualificata, il 70% ritiene che gli arrivi illegali dal Messico siano un problema serio.

Nell’opinione pubblica, dunque, molte posizioni dei Repubblicani sull’immigrazione sono minoritarie, così come lo sono anche molte posizioni dei Democratici.

 Non esiste però un partito politico che metta assieme i punti su cui concordano significative maggioranze degli elettori”.

Per dimostrare che l’America non è ideologicamente dilaniata come potrebbe apparire da certe cronache, Fiorina osserva prima di tutto che dagli anni 70 a oggi “non è diminuito il numero di elettori che si definisce ‘moderato’ o ‘di centro’”.

Inoltre, “quando guardiamo a temi specifici, inclusi quelli molto divisivi in America tipo l’aborto, la grande maggioranza dei cittadini è saldamente e costantemente a favore di posizioni intermedie, a metà tra quelle più estreme propugnate da liberal (Dem Usa) e conservatori”.

 Lo stesso vale per un tema a lungo dibattuto come la gestione della Sanità. Infine, a chi oggi è convinto di vivere nell’era della partigianeria diffusa, Fiorina ricorda che “la percentuale di Americani che ammette di avere un’identificazione di partito è ai minimi storici.

Quando gli “American National Election Studies” iniziarono, negli anni 50, tre quarti degli intervistati si dichiararono Democratici o Repubblicani.

Nello studio del 2016, solo il 60% circa lo ha fatto.

Analogamente, sondaggi commerciali riportano che il 40% o più degli Americani oggi afferma di essere un ’indipendente’ dal punto di vista politico”.

 Nemmeno le elezioni presidenziali del 2016, per quanto aspramente combattute, smentiscono simili andamenti:

“Quel voto è stato percepito da qualcuno addirittura come un cambiamento di regime politico e come un mutamento radicale dello spirito profondo degli Americani.

 In realtà Trump ha vinto strappando ai Democratici tre Stati in bilico come la Pennsylvania, il Michigan e il Wisconsin grazie a un vantaggio complessivo di 78.000 voti.

E se si tiene conto del voto popolare di tutto il Paese, vinto tra l’altro dalla Clinton, lo spostamento rispetto alle elezioni federali precedenti ha coinvolto appena l’1% dell’elettorato.

In un sistema istituzionale-politico di impianto proporzionale come ce ne sono molti in Europa, i numeri elettorali americani del 2016 avrebbero dato luogo a ‘una elezione di conferma dello status quo’ o poco più.

 E aggiungo: se lo 0,0006% degli elettori americani avesse votato all’opposto di come ha effettivamente votato, gli analisti di mezzo mondo si sarebbero trovati a commentare una vittoria della Clinton e ci avrebbero spiegato per settimane che l’America aveva respinto il razzismo, il sessismo e la demagogia!”.

Con questo riferimento al commentatore-tipo dell’attualità politica, Fiorina introduce il secondo punto nevralgico del suo ragionamento:

“Gli Americani non sono in guerra civile, ma la loro classe dirigente e politica sì che lo è”.

Lo studioso prende spunto dalla tesi della “ribellione delle élite” di Christopher Lasch, storico scomparso nel 1994 che Fiorina ha conosciuto e frequentato ai tempi dei suoi studi all’Università di Rochester, nello Stato di New York.

 “Élite accademiche e mediatiche, politici di professione, finanziatori e attivisti di partito: in questa ristretta parte della nostra società, esistono effettivamente due tribù l’una contro l’altra armata.

 Parliamo di gruppi demograficamente irrilevanti – i lettori assidui del New York Times e del Wall Street Journal costituiscono assieme l’1% della popolazione americana – ma che si riescono a far ascoltare di più e che stabiliscono il tono dominante del dibattito pubblico.

 È a partire dai campus universitari, per esempio, e poi di conseguenza nel dibattito politico e giornalistico, che l’identity politics, cioè l’identità etnica o di genere brandita come strumento politico, è diventata così importante.

Inoltre – continua il politologo di Stanford – il neo-tribalismo delle élite ha fatto sì che dentro ai partiti politici, a partire dagli anni 70, si sia realizzato un processo di selezione di dirigenti e quadri che ha generato una netta omogeneizzazione ideologica all’interno dei due schieramenti”.

Mentre gli elettori hanno mantenuto a lungo posizioni moderate e variamente sfaccettate che li rendevano spesso difficili da catalogare, la classe politica dei Democratici e dei Repubblicani è diventata rispettivamente sempre più progressista o sempre più conservatrice.

Le “maggioranze politiche instabili” che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio americano, con un alternarsi sempre più frequente – e quasi automatico – dei Democratici e dei Repubblicani in ogni occasione elettorale utile, secondo Fiorina, sono figlie proprio di questa situazione:

da una parte élite politico-culturali polarizzate e dall’altra elettori che “vanno avanti nella loro vita quotidiana come sempre hanno fatto, perlopiù disimpegnati dall’attivismo politico e tutt’altro che desiderosi di una guerra civile”.

Ciò causa una “intrinseca instabilità” che funziona così:

“Un Partito prende il potere convincendo la quota maggiore degli elettori indipendenti, tenta di governare ma i suoi connotati ideologicamente più marcati scontentano tanti Americani che alla prima occasione utile fanno di tutto per cacciarlo dal potere.

Il processo di omogeneizzazione ideologica del personale politico, tra l’altro, ha fatto sì che anche nel sistema tendenzialmente maggioritario e uninominale degli Stati Uniti, ormai, il voto alla persona sia meno importante del voto al Partito”.

Per Fiorina, uno dei motivi dell’appeal di Trump nel 2016 dipese proprio dal fatto che era difficile capire dove egli si posizionasse su molti temi: su aborto, Sanità e politica estera, per esempio, poteva sembrare che avesse posizioni sfumate e variegate.

 Ciò gli ha consentito di intercettare alcuni di quegli elettori che avevano posizioni non coincidenti con quelle piuttosto rigide e ortodosse delle piattaforme dei due principali partiti.

Ovviamente Fiorina, nella sua lettura dell’America contemporanea, non nega il rafforzarsi di una “tensione di classe tra haves e have-nots”, né l’allontanamento progressivo della classe lavoratrice dal Partito democratico (“ma è così dai tempi di Dwight D. Eisenhower”), né il ruolo giocato di recente da “una politica identitaria dell’elettorato bianco, anche in risposta a un diffondersi della politica identitaria della sinistra a favore delle diverse minoranze”, né il peso crescente del dibattito sull’immigrazione.

Ma al fondo rimane convinto che l’America non stia vivendo una guerra civile strisciante, anche se qualcuno vorrebbe che così fosse e sta facendo di tutto per fomentarla.

Quanto al futuro, dice di volersi tenere alla larga dalle previsioni, però avverte: Trump è tutt’altro che il primo Presidente in carica a uscire ammaccato dalle elezioni di metà mandato, ma nel 2020 il campo da gioco sarà molto meno favorevole per i Democratici.

“Tra due anni non assisteremo a una sfida fra ‘Trump’ e l’alleanza di tutti gli ‘anti-Trump’, ma a quella fra Trump e uno specifico candidato del Partito democratico – osserva Fiorina –

E se dalle primarie democratiche dovesse uscire vincitore un candidato troppo radicale e progressista, allora per l’attuale Presidente la riconferma sarebbe a portata di mano”.

 

 

 

Guerra in Ucraina: capire

l’agenda sottostante dell’élite

globale e resisterle.

Serenoregis.org - Robert J. Burrowes – (7 Aprile 2022) – ci dice:

(Osservatorio Internazionale, Pace e Guerra Robert J. Burrowes )

 

In un comunicato televisivo del 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la sua decisione di ordinare alle forze militari russe di invadere l’Ucraina in quella che ha denominato una ‘operazione militare speciale’ per difendere le neo – autoproclamate repubbliche di di Donetsk e Luhansk e ‘smilitarizzare e denazificare l’Ucraina’.

Dall’inizio dell’invasione c’è un gran volume di commenti da una vasta gamma di autori con una notevole varietà di prospettive.

Oltre ciò, gli impatti a cascata della guerra insieme ai cambiamenti derivatine a vari livelli sono già di vasta portata e saranno sempre più devastanti per l’umanità nel suo insieme.

Qui focalizzerò la mia attenzione su alcuni degli aspetti più oscuri dell’agenda profonda che fa sì che questo conflitto si manifesti come in effetti avviene, riflettendo il mio interesse da lunga data nella comprensione di come il potere delle élite appaia al mondo.

Come già spiegato in precedenza, fin dall’alba della civiltà umana 5.000 anni fa, la gente ‘comune’ è impegnata in una lotta continua contro le élite, siano esse locali, imperiali, religiose, economiche, nazionali o, adesso, globali.

 Si veda ‘Perché gli attivisti falliscono’.

Ma indipendentemente dal contesto l’intenzione delle élite è sempre la stessa.

Uccidere popolazioni indesiderate e/o controllare la vita di tutti gli altri privandoli della propria equa quota di risorse politiche, economiche, sociali ed ecologiche.

Da circa il 1500 dell’era attuale, l’intensità di questo conflitto è notevolmente cresciuta con le élite intente a sterminare una quota sostanziale della popolazione umana e schiavizzare i superstiti.

Ciò si è fatto con conquiste imperiali causa diretta di campagne genocidarie contro i popoli indigeni, guerre, controllo delle scorte alimentari e di altre risorse per indurre carestie di massa, tecnologie mediche, l’installazione di tecnologie letali fra cui attualmente il 5G e, molto di recente, un programma d’iniezioni apparentemente protettive da un ‘virus’.

 Si veda Sterminio dell’umanità: come l’élite globale usa l’eugenetica e il transumanesimo per plasmare il nostro futuro’.

Essenzialmente, l’intenzione dell’élite non ha mai davvero vacillato. Indipendentemente dalla presunta ideologia-guida nei vari contesti, l’élite è stata di solito malintenzionata verso la popolazione suddita – eliminandola e/o schiavizzandola senza scrupoli e requisendo intanto senza sosta le risorse planetarie a proprio uso.

L’unica differenza dalle ere precedenti è che l’assalto attuale all’umanità è autenticamente globale e in fase conclusiva.

Peraltro, avviene purtroppo in piena vista con la massa della popolazione del tutto inconsapevole e i pochi coscienti e in qualche modo resistenti distratti però dai ‘fumi e specchi’ accidentali come quelli della narrazione ‘virus’/‘vaccino’ e delle pagliacciate dei politici.

 Il che comporta una resistenza minima al procedere dell’agenda dell’élite mediante l’attuazione della ‘Grande Risistemazione’ del Forum Economico Mondiale di Klaus Schwab.

 E i sopravvissuti alle varie misure in atto per sfoltire l’umanità saranno schiavizzati in una prigione tecnologica senza scampo. 

Dopo tutto, i requisiti davvero minimi per una resistenza efficace sono la vita, una mente con libera volontà e cibo da mangiare, nulla di cui può ormai essere più dato per scontato.

Ma come ingrana in tutto questo la Guerra in Ucraina?

Beh, con immediato e gran costo personale dei soldati e civili uccisi o menomati in altro modo dal combattimento, la guerra si sta usando come cortina fumogena per una sequenza ben orchestrata di avvenimenti che accelerano l’agenda criminosa dell’Élite Globale, proprio come già sperimentato con la narrazione del Covid-19.

Usando due ricchi membri del Forum Economico Mondiale – il presidente russo Vladimir Putin (v. ‘Tutti gli uomini di Putin: registrazioni segrete rivelano la rete finanziaria collegata al capo russo’) e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (v. ‘Le rivelazioni dei Pandora Papers sui conti offshore e i finanziamenti di Zelensky dalla cleptocrazia ucraina’) – coadiuvati da un cast  di agenti chiave dell’élite e complici ignari di istituzioni quali la NATO, l’Unione Europea, i governi degli USA e altri, i grossi media e altro ancora, il conflitto militare imperversa in chiara vista pubblica, con gran dibattito sulle misure in attuazione – come le sanzioni di molti paesi alla Russia – mentre molti risultati d’importanza vitale restano nascosti o accettati come ‘disgraziate’ conseguenze della guerra anziché misure pianificate dall’élite per far fuori o controllarci tutti.

Che risultati sono questi?’ potreste chiedere.

Beh, mentre imperversa la guerra, generando enorme emozione fra chi parteggia per la Russia o per l’Ucraina.

E così, in termini estremamente semplificati, indignato o dall’avventata intrusione e potenziamento militare NATO nei decenni recenti o dalla ‘aggressione ‘ingiustificata’ di Putineccovi un breve elenco parziale di risultati chiave rapidamente accelerati, tutti omaggi di questa guerra, che vi avvicinano alla morte o alla schiavitù tecnologica a breve, ovunque al mondo abitiate.

La guerra potrebbe ‘virare al nucleare’ accidentalmente (dato che altri agenti chiave dell’élite sono ben consci di quel che capita e probabilmente non faranno sì che avvenga deliberatamente), uccidendo una gran proporzione dell’umanità e, secondo la sua gravità, far morire di stenti (quasi) tutti i sopravvissuti.

Ma, supponendo che si eviti questo esito, c’è abbondanza di altre opzioni sgradevoli da considerare.

Russia e Ucraina forniscono 30% del frumento mondiale e quote importanti di altri cereali, di olio di girasole, dei fertilizzanti, del petrolio e del gas, e dei minerali strategici (come il palladio e il platino), fra altri prodotti.

 La guerra nonché le sanzioni imposte alla Russia da molti paesi, hanno esacerbato le filiere già gravemente interrotte di tali prodotti, che non possono essere procurati altrove o non in modo altrettanto convenente.

 E la filiera prima generata crolla in tutti i settori, causando carenze alimentari e non solo, aumenti di prezzo e crisi energetiche per il vasto mondo; e non possono essere ripristinate in periodi brevi.

 Ne moriranno di stenti a milioni per questi crolli di filiera. 

Secondo un recente resoconto in merito: ‘Crediamo di essere ai prodromi di una carestia globale di proporzioni storiche’.

Si veda ‘Coltivatori allo stremo’.

Ripetiamo: ‘un’incipiente smisurata carestia globale’.

E il ponderato rapporto di Riley Waggaman comprende questo commento di Anatoly Nesmiyan:

 ‘Ecco perché la “operazione [militare] speciale” è un episodio minore di poca importanza rispetto allo sfondo di cataclismi imminenti …

Che Ucraina e Russia siano state strumentalizzate la dice lunga non tanto sulla mente dell’Occidente, ma sull’impenetrabile stupidità dei diretti partecipanti all’attuale competizione’.

Si veda ‘Avanti il prossimo: crisi alimentare globale?’

Se si vuole tenersi al corrente sulla distruzione delle scorte alimentari, adesso drammaticamente accelerata dalla guerra in Ucraina, si tengano d’occhio gli aggiornamenti quotidiani condivisi da “Ice Age Farmer” (Christian Westbrook) su vari canali.

Le morti intenzionali da sostanze [‘profilattiche’] iniettabili continuano a crescere rapidamente, nonostante sforzi concertati degli agenti dell’élite come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, politici, sistemi medici ufficiali, l’industria farmaceutica e i media mega aziendali e governativi di nascondere tali morti alla vista del pubblico.

Per giusto due recenti tentativi di compilare una lista dei resoconti, si veda ‘UPDATED:

 How Many People Are the Vaccines Killing?’ and ‘COVID-19 Vaccine Massacre: 68,-% Increase in Strokes, 44,-% Increase in Heart Disease, 6,8% Increase in Deaths Over Non-COVID Vaccines’.

Ovviamente molti eminenti esperti, grevemente soppressi dai media mega aziendali, ammonivano da tempo che queste ‘iniezioni mortali’ avrebbero ‘decimato l’umanità’.

 Per un piccolo campione,

si veda ‘The Truth about the Covid-19 Vaccine’, ‘A Final Warning to Humanity’, ‘J’Accuse! The Gene-based “Vaccines” Are Killing People. Governments Worldwide Are Lying to You the People, to the Populations They Purportedly Serve’, ‘COVID Shots to “Decimate World Population,” Warns Dr. Bhakdi’ e ‘BREAKING – Over 150,000 people including 600 children have died due to the Covid-19 Vaccines in the USA’.

Ma un rapido controllo rivela che i governi russo e ucraino hanno entrambi partecipato entusiasticamente a tutta quanta la truffa del ‘virus’/‘vaccino’ Covid-19 imponendo la ben nota gamma di misure – vaccinazioni obbligatorie, codici QR … – attuate altrove per adempiere all’agenda agenda uccidi e controlla dell’élite.

Ciò comprende la partecipazione dell’élite russa al GPMB (Collegio di Monitoraggio dell’Essere Preparati Globalmente) che, come fatto rilevare da Robert F. Kennedy Jr. nel suo recente libro “The Real Anthony Fauci” [Il vero A.F.] ‘è l’effettivo collettivo autorevole/autoritario per l’imposizione di regole durante … la pandemia.

 Lo scopo di questo ente cosiddetto “indipendente” di monitoraggio e rendicontazione era validare l’imposizione di controlli statali polizieschi da parte dei capi politici e dei tecnocrati locali…:

sottomettendo la resistenza, censurando spietatamente il dissenso, isolando i sani, facendo crollare le economie, e costringendo alla vaccinazione durante una prevista crisi sanitaria mondiale’.

 Si veda ‘I Believe We Are Facing an Evil That Has No Equal in Human History’ e ‘Sputnik V is a scam: “A socioeconomic experiment on the Russian population”’.

 

Il governo dell’Ucraina non è differente, usando misure coercitive per forzare alla vaccinazione i propri cittadini nonostante un livello insolitamente alto di consapevolezza dei pericoli dei vaccini fra la popolazione generale – indotta a una sostanziale resistenza.

Si veda ‘As COVID Surges, Protesters Hit Streets of Ukraine to Decry Vaccine Mandates’.

Ci si sta tenendo aggiornati dell’elenco sempre più lungo dei lesi o uccisi dall’iniezione, che ha luogo sullo sfondo di questa guerra?

Il varo del 5G, essenziale alla creazione della propria griglia di sorveglianza e controllo da parte dell’élite, acquista slancio sotto l’egida della narrazione ‘virus’/‘vaccino’ ed ora della guerra Russia/Ucraina.

Ovviamente, anche la radiazione elettromagnetica ucciderà un gran numero di persone, sia direttamente sia decimando la popolazione di insetti (con relativa riduzione delle scorte alimentari), e la griglia di sorveglianza e controllo renderà possibile intrappolarci a casa e nel proprio quartiere, con ogni sembianza di libertà e diritti umani consegnata alla memoria.

Si veda ‘Sleepwalking into Hell: The Global Elite’s Technological Coup d’état Against Humanity’ e ‘Deadly Rainbow: Will 5G Precipitate The Extinction Of All Life On Earth?’

E, sempre che non si sia ignorata la ‘Gran Risistemazione’ del Forum Economico Mondiale di Klaus Schwab, si è ben consci che l’Elite Globale programma la trasformazione di 200 aree di vita umana utilizzando tecnologie associate alla quarta rivoluzione industriale e al transumanesimo (ivi compresi 5G e 6G, armi militari, intelligenza artificiale [AI], big data [elaborazione di relazioni fra enormi masse di dati – ndt], nanotecnologia e biotecnologia, robotica, Internet delle Cose [IoT], e calcolo quantico).

Tecnologie che sovvertiranno l’identità umana, la libertà umana, la dignità umana, la volizione umana e la privacy umana, riducendo i superstiti privacy in schiavitù transumana in cui si avrà un’identità personale digitalizzata – questa connessa ai dati registrati delle proprie operazioni bancarie, salute, fedina penale e altro, per stabilire il proprio ‘punteggio personale di credito sociale’, come quello usato in Cina, per determinare quel che si può o non fare abitando nella propria ‘smart city’ [città ingegnosa], mangiando sostanze pseudo-alimentari derivate dai rifiuti e dagli insetti.

Si veda ‘The Great Reset’.

In Ucraina, il governo sta semplicemente utilizzando la guerra per espandere rapidamente quel che era già ‘uno dei sistemi ID digitali a gestione governativa più espansivi al mondo’, facendo del paese il leader mondiale in alcuni aspetti della digitalizzazione mediante la propria app Diia, con tutto quel che ciò preannuncia del futuro umano.

Si veda ‘How Ukraine Government Is Converting Digital ID System Into Wartime Tool’.

Ovviamente a fine guerra non ci sarà alcuna retrocessione da tutto ciò.

 

La Russia è altrettanto impegnata al proprio programma di digitalizzazione, benché abbia anche un ruolo chiave nello sviluppo di un sistema bancario controllato dall’élite, completo di valute digitalizzate, che soppianterà il modello attuale.

 Il paese ospita le simulazioni annue del Cyber Polygon.

 Si veda ‘Taking Control by Destroying Cash: Beware Cyber Polygon as Part of the Elite Coup’.

Se tutto ciò suona assurdo, ecco due altri analisti geopolitici che offrono un’analoga conclusione basata sulle proprie analisi:

 ‘The Ukraine Crisis: What You Need to Know’ e ‘Ukraine-Russia: A Proxy-War, Advancing the Agenda of the Great Reset?’

E riguardo alla guerra in Ucraina?

Come molti, anch’io sono preoccupato per la guerra.

Attirando l’attenzione al programma elitario più in profondità che sta intrappolando l’umanità in un futuro da incubo, non intendo che la guerra non importi.

Ma so anche da lunga esperienza che il movimento antibellico resta privo della capacità di agire per evitare o fermare le guerre perché manca dell’analisi, dell’orientamento strategico, della tenacia e del coraggio di farlo.

Vorrei che fosse altrimenti.

Tuttavia, se si vuole partecipare a una strategia per por fine a questa guerra, in particolare data la possibilità che si tramuti in una insurrezione a più lungo temine – si veda ‘Ukraine And The New Al Qaeda’ – leggendo (Nonviolent Defense/Liberation Strategy).

E se si vuole partecipare a una strategia per por fine a ogni guerra, si può leggere (Nonviolent Campaign Strategy).

Ciò detto, mi permetto di sottolineare che gli aspetti chiave di queste strategie sono la necessità di riconoscere che la violenza è insita profondamente nella società umana per un modello genitoriale essenzialmente basato sull’esigere obbedienza da un bambino anziché nutrirne l’auto-volontà.

Si veda ‘Why Violence?’ e ‘Fearless Psychology and Fearful Psychology: Principles and Practice’.

 

E ciò genera una società in cui molti sono così avversamente influenzati da essere resi effettivamente folli.

Purtroppo, alcuni di essi finiscono in situazioni dove esercitano livelli straordinari di controllo.

Si veda ‘The Global Elite is Insane, Revisited’.

Quindi, se si vuole ridurre la violenza e la guerra in futuro, si prenda in considerazione di fare My Promise to Children’.

Dunque, che vuol dire tutto ciò?

A prescindere dalle proprie preoccupazioni per la guerra in Ucraina, incoraggio comunque a non lasciare che distragga dall’agire con vigore per sconfiggere l’agenda elitaria sottostante.

 Se ci si lascia catturare dall’isteria bellica mancando di difendere sé e i propri cari, si scoprirà presto che si è rimasti privi di tutto quel che riguarda la vita che si è conosciuta, indipendentemente dall’esito della guerra.

Dunque, che cosa si può fare?

Idealmente, se si vuole resistere strategicamente all’agenda elitaria, l’opzione più potente è partecipare alla campagna ‘We Are Human, We Are Free’, la cui versione più semplice è spiegata sul volantino di una pagina che identifica una breve serie di azioni nonviolente cruciali che chiunque può fare.

Il volantino, disponibile adesso in 15 lingue (ceco danese, inglese, finnico, francese, tedesco, greco, ebraico, ungherese, italiano, polacco, romeno, russo, spagnolo, slovacco) con altre in gestazione, scaricabile ( ‘The 7 Days Campaign to Resist the Great Reset)’.

Conclusione.

La guerra in Ucraina è una tragedia per chi ne è direttamente colpito ma altresì per noi tutti; particolarmente se non riconosciamo la minaccia che nasconde agendo vigorosamente in risposta a tale peggiore minaccia.

Da 5.000 anni le élite ci mettono l’uno contro l’altro – al lavoro, sul campo di battaglia, nella vita in generale – attirando l’attenzione su differenze superficiali (basate su genere, razza, religione, classe, nazionalità…) e ingrandendole, esacerbando così i conflitti e convincendoci di star agendo nei nostri migliori interessi quando facciamo quel che ci dicono mediante i propri agenti nei governi, nei media mega aziendali e altrove, e che la solidarietà umana non vale nulla.

Beh, un giorno ormai prossimo faremmo bene a renderci conto che in fin dei conti solo tre cose importano:

la solidarietà umana è essenziale se dobbiamo sopravvivere a questa crisi esistenziale,

 il nostro vero nemico non è gli altri [nostri pari] bensì la “folle Elite Globale”, e noi dobbiamo agire con vigore e nonviolenza se dobbiamo sconfiggerla.

Altrimenti un futuro umano, valevole la vita, sarà breve.

(Robert J. Burrowes, Ph.D. – TRANSCEND Media Service)

(transcend.org/tms/2022/04/the-war-in-ukraine-understanding-and-resisting-the-global-elites-deeper-agenda/)

 

Gli “anni venti” crocevia della

storia nel conflitto tra élite e popolo.

Ilpopolo.cloud.it – Luigi Rapisarda – (09 Luglio 2021 ) – ci dice:

 

In questi ultimi tre secoli c'è, nei rispettivi anni ‘20, un comune denominatore che sembra marcare, dinamiche politiche e accadimenti socio-economici, soprattutto del quadrante Euro-atlantico, lasciando un riverbero profondo nello scorrere dei successivi decenni, ora favorendo, ora imbrigliando, quando non si è osteggiato brutalmente, il percorso di riconoscimento e di avanzamento dei diritti dei popoli.

Una retrospettiva che rende palpabile il tormentoso ed altalenante cammino dell'umanità, sempre alla prova di inediti eventi, nei quali, talora, le brutalità dell’irragionevolezza e di ideologie forsennate l’hanno messa al cospetto di scenari orrendi, fino a devastare quel faticoso percorso di riconoscimento dei diritti, per tutti, che avevano trovato nella Costituzione americana e nei primi momenti della rivoluzione francese la prima organica affermazione dei principi di libertà e di uguaglianza.

 Fu così che in risposta al nuovo assetto del continente europeo, deciso dal Congresso di Vienna del 1815, che si affrettò a restaurare le vecchie corone, si cominciò ad assistere al fermento rivoluzionario da parte, soprattutto, della borghesia illuminata, che organizzata in società segrete (tra di esse la più diffusa fu la Carboneria) coltivava da tempo ideali rivoluzionari per l’affermazione della democrazia e delle libertà contro i regimi dispotici dei regnanti reintegrati da quella assise viennese, il cui primo atto fu quello di cancellare le prime Carte dei diritti ed i primi abbozzi di Costituzione concesse, comprese quelle minime libertà di stampa e di associazione.

 Con i primi moti del 1820 che trovarono terreno fertile in Spagna e nel Regno delle due Sicilie, si galvanizzarono tante coscienze insofferenti al riaffiorare di vecchi regimi dispotici in tante parti dell’Europa e della nostra penisola e cominciarono a prendere forma i primi Statuti, che poi a metà secolo trovarono migliore forma:nel nostro paese con lo Statuto albertino, sebbene ancora lontani dal pieno riconoscimento del principio di tripartizione dei poteri, di uguaglianza e delle libertà come oggi siamo abituati a leggere e riconoscere quale patrimonio naturale di civiltà.

Ben di altra portata e molto più variegato fu il bilancio degli anni ‘20 del secolo scorso.

 L’Europa usciva a fatica da una guerra devastante che aveva fatto milioni di morti: a questo flagello si era aggiunto il carico di vittime dovute all'epidemia di spagnola.

 In tale sconvolgente scenario gli anni ‘20 furono un decennio denso di attese e di speranze, presto soverchiate da ideologie e propositi di acceso nazionalismo e di  forte revanscismo, sia da parte delle potenze sconfitte, la Germania in primo luogo, cui erano state sottratte parti del territorio nel versante ovest come nel  fianco orientale, sia da parte di chi come l’Italia si era sentita penalizzata con riferimento ad alcuni territori: Fiume e la Dalmazia, che al tavolo della pace di Versailles, invano aveva rivendicato.

Toni che in quei paesi traevano linfa e a loro volta alimentavano sempre più l’inquietudine e la disperazione di tanti ceti sociali ridotti in povertà da un'economia in forte crisi per l’immanenza di un’inflazione indomabile e delle pesanti condizioni del trattato di pace di Parigi.

Con le piazze divenute arene di manifestazioni antigovernative che trovarono in leader spregiudicati e opportunisti gli artefici di radicali sconvolgimenti istituzionali, sfociati in diverse dittature nel quadrante europeo, alcune poi con declinazioni brutali e mostruose.

Ma giocò molto anche lo spettro di una minaccia comunista causato dalla rivoluzione bolscevica del 1917, e al suo finire, della terrificante depressione, esplosa sul finire del 1929, con il crollo della Borsa di WALL Street, che generò nel mondo una crisi economica senza precedenti.

 

In Italia si facevano strada forti propositi di identità patriottica, nel crescendo di un clima di cruente turbolenze di piazza ad opera dei socialisti che guardavano con fervore all’esperimento dei bolscevichi.

Fu così che in questo quadrante, sempre più arroventato da episodi di proditorie aggressioni che si consumavano ai danni soprattutto delle prime leghe operaie, nel crescendo di una propaganda che enfatizzava gli effetti emotivi sui tanti italiani che si erano sentiti traditi da ciò che Gabriele D’Annunzio aveva definito “la vittoria mutilata”, e al contempo facendo leva su un accesa difesa della borghesia imprenditoriale e della sovranità nazionale dal pericolo bolscevico, Mussolini organizzò una bellicosa “marcia su Roma” dal forte effetto intimidatorio su Vittorio Emanuele III.

 Un'iniziativa che ebbe tutto il sapore di una sfida, ma che andò nel segno, provocando l'irrazionale decisione del Re Vittorio Emanuele III, che invece di far arrestare i promotori per il grave atto insurrezionale, affidò l’incarico al suo principale artefice, spianando  la strada  ad un governo fascista, il cui movimento, appena qualche anno prima, alle elezioni del 1919,  non aveva riportato che una manciata di voti e nessun deputato ed alle successive elezioni del 1921,nonostante un diffuso contesto di intimidazioni e violenze, soprattutto nei confronti delle forze non allineate al blocco nazionale di centro destra, aveva portato in parlamento solo 35 deputati fascisti, nella coalizione voluta dal vecchio liberale Giovanni Giolitti, ormai in ritirata.

In quella tornata elettorale del ‘21, abbastanza considerevole era stata l’affermazione del partito popolare di don Luigi Sturzo, che entrato nella scena politica nel gennaio del 1919, con un manifesto indirizzato agli uomini” liberi e forti”, aveva rafforzato la sua rappresentanza rispetto alle precedenti elezioni tenutesi nell’anno della sua entrata in campo.

Quel manifesto fu una pietra miliare con cui Sturzo tratteggiò le linee di azione del popolarismo, che poi trovò nella Democrazia Cristiana, con De Gasperi, Fanfani e Moro, la sua completa attuazione in un programma di governo del Paese che si snodò per ben cinque decenni, assicurando sviluppo e benessere.

 

Quella decisione del Re di nominare primo ministro Mussolini, come gli storici, pur nelle diverse sfumature, concordano, fu un grave errore politico, essendo apparsa chiara la natura non tipicamente democratica di cui si alimentava quella ideologia.

Ed infatti nel volgere di pochi anni Mussolini, dopo qualche timido tentativo di dialogo con le opposizioni, con le elezioni, quasi farsa del 1924, ove ottenne la maggioranza assoluta, in un clima di palesi intimidazioni, pur nel bel mezzo di una tempesta politica che lo vide additato come il responsabile dell'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, non tardò a esautorare il Parlamento, instaurando apertamente una dittatura a partito unico.

Ma non fu solo l’Italia a conoscere questa deriva autoritaria.

Anche la Germania, piegata dalle pesanti condizioni e da gravosi debiti di guerra, imposte dalle potenze vincitrici, si dibatteva in una crisi economica senza precedenti.

Con un’inflazione alle stelle, si facevano sempre più strada bellicosi propositi di acceso nazionalismo e di preoccupante revanscismo, con rivendicazione dei territori sottratti alla propria sovranità’.

 In questo quadro fu determinante l’esperienza fallimentare della Repubblica di Weimar, e soprattutto la debolezza del presidente Hindenburg, che finì per cedere alle pressioni del magnate dell’editoria di quel tempo Alfred Hugenberg e del Cancelliere dimissionario Franz Von Papen, incaricando Adolf Hitler, di formare un nuovo governo.

Forse qualche peso lo aveva avuto anche il fatto che il suo partito era stato tra le forze politiche che alle elezioni per il rinnovo del Bundestag del 1932, avevano riscosso, in quel clima di grandi tensioni sociali e di disastro economico, un considerevole consenso.

 

Un grave errore di cui il vecchio presidente Hindenburg, che morì appena un anno dopo, si pentirà amaramente, per aver affidato ad un leader che non faceva mistero del suo credo ideologico fondato su una profonda avversione antidemocratica ed anti parlamentare e su aperte simpatie per un governo totalitario..

Ovviamente la prima cosa che chiuse fu proprio il Parlamento, trasformando la forma di quel governo in un regime a partito unico, totalitario, guidato dal mito della superiorità della razza.

 Due dittature nate per via istituzionale che subito mostrarono il loro vero volto, trasformando, nel volgere di pochi mesi, la legittimazione a governare il paese su mandato popolare in una presa del potere autoreferenziale e totalitaria, con l’abolizione delle rappresentanze parlamentari.

Con tutti i lutti dovuti ad una politica guerrafondaia e brutale sul finire degli anni ‘30 e odiose leggi e persecuzioni razziali che causarono milioni di morti.

Diverso fu lo scenario in America, dove gli anni ‘20 del secolo scorso furono sinonimo di anni ruggenti.

Dopo la grande guerra, gli americani furono pervasi da un un'irrefrenabile voglia di modernità, ma conobbero anche, in un intreccio di puritanesimo e imprese scintillanti, la dura lotta al consumo di alcolici, conosciuta con il nome emblematico di “proibizionismo”.

Furono gli anni più opulenti della storia americana, nel bel mezzo di una crescita economica esponenziale, ed ogni città era un cantiere a cielo aperto.

E così spensieratezza e divertimento si accompagnavano al benessere economico, che fu il grande motore di quell’euforia, con grande diffusione di locali dove ci si scatenava tra jazz e charleston, mentre Los Angeles, nuova capitale dell’industria del Cinema, lanciava in quel firmamento, sempre più irrefrenabile, le prime grandi dive.

Bellissimo l’affresco che su quest’epoca ha saputo tratteggiare Francis Scott Fitzgerald in “The Great Gatsby”.

Ma il decennio ruggente non ebbe neanche il tempo di completare il suo ciclo che si infranse nella grave depressione economica che improvvisamente esplose nell'ottobre del’29 con il crollo dei titoli alla Borsa di Wall street.

Gli anni ‘20 di questo nostro secolo si innestano in uno scenario apparentemente diverso in una società matura, educata alla democrazia ed al godimento delle libertà fondamentali e con un’economia, che pur nella difficoltà di bene fronteggiare gli effetti di una globalizzazione selvaggia, sapeva farsi strada, in alcune dimensioni nazionali, come la nostra, con le eccellenze del made in Italy.

 In questo quadro di salda garanzia dei valori di libertà individuali nessuno avrebbe mai pensato al tallone di Achille che tutti i sistemi democratici stanno sperimentando nel vedere vanificate con semplici provvedimenti amministrativi conquiste presidiate da un sistema di garanzie invalicabili.

E non già per un improvviso golpe, né per effetto di degenerazione del sistema istituzionale, ma ad opera di un inaspettato evento esterno: un virus non controllabile, sconosciuto anche alla scienza, pur se qualche pioniere esperto di questa materia ne aveva preconizzato l’imminente avvento.

Ma, si sa che spesso scienziati e profeti non sono presi sul serio, magari soverchiati da quote di informazione, talora troppo compiacente agli assetti di quel momento o da scarse capacità dei governanti di guardare oltre un limitato orizzonte, sprecando l’occasione di prepararsi preventivamente ad eventi drammatici che la scienza aveva ampiamente preconizzato.

 

Facendoci trovare del tutto scoperti e impreparati all’improvviso ed irruente apparire del virus sars 2 o, come è stato più precisamente chiamato, Covid 19.

 

Perdendo clamorosamente l’occasione di una preventiva conoscenza delle sue caratteristiche, delle potenzialità di cura e della sua letalità.

Così il nostro sistema sanitario è apparso subito inadeguato ed impotente, senza i necessari mezzi, contando un’allarmante carenza dei reparti di terapie intensive, tarati secondo piani sanitari che in questi due decenni, nell'obiettivo irrazionale di un risparmio di spesa, ne avevano destrutturato l’intero sistema sul territorio, riducendo enormemente l'equilibrato rapporto, in confronto alla popolazione.

Con l’aggravio che il nostro paese si è trovato senza un piano pandemico aggiornato: la polemica è di stringente attualità e coinvolge anche l’Oms ed un suo esponente di primo piano, precedentemente incaricato, qualche anno addietro, di predisporre il periodico piano pandemico.

Resta indimenticabile l’esperienza terribile che abbiamo vissuto nei mesi di marzo e aprile dello scorso anno, quando si contò una ecatombe di anziani, decimati, ancora non si sa bene se direttamente dal virus, o se in concomitanza dello stesso, non lasciando scampo, soprattutto alle persone debilitate da altre patologie, mentre tutte le terapie di volta in volta sperimentate, in quella primissima fase, da eroici medici ed infermieri, spesso senza efficaci protezioni personali, agendo a rischio della propria vita, sono risultate inefficaci.

In ogni caso, molto suggestionarono le immagini forti e assai persuasorie di un immaginario collettivo che una campagna mediatica non si è risparmiata con le colonne di bare che si replicavano nei tg della sera.

Ben poca cosa, certo, rispetto a come la Cina ha ben orchestrato l'informazione mediatica del suo modello di contenimento del virus con un lockdown impietoso e durissimo, con modalità di inaccettabile controllo sociale tramite sofisticate forme di pedinamento telematico.

 

Modalità cui, sebbene non adottate con quella estrema durezza, e con quelle tecnologie, non hanno potuto fare a meno neanche i paesi di sperimentata democrazia, rivelandosi inevitabile, nei momenti di maggiore diffusione del virus, il ricorso a confinamenti dell’intero territorio, nella doverosa necessità di dare efficace tutela della salute collettiva, che ovviamente nel bilanciamento dei diritti della persona ha particolare rilevanza, in quanto espressione più naturale del diritto alla vita.

Tuttavia la forte compressione di tutti gli altri diritti ha mostrato l’estrema vulnerabilità di altrettante posizioni giuridiche e interessi costituzionalmente protetti allo stesso modo, conculcandone l'esercizio per un non breve e circoscritto periodo, senza dover nemmeno fare ricorso ad alcun provvedimento di rango legislativo, approntati, alcuni, solo in fase postuma per coprire di legittimità i tanti Dpcm, e dopo un certo risentimento di parte dell’opinione pubblica e di emeriti costituzionalisti, raccolto anche dal Capo dello Stato, per la preoccupante marginalizzazione che sembrava aver subito la nostra istituzione parlamentare.

Mentre l'inarrestabile emergenza negli ospedali, ha fatto dimenticare, nelle fasi acute, tutti gli altri ammalati, con sospensione di ogni tipo di intervento che non fosse indifferibile, e non è sembrata conciliarsi, come buona pratica di governo, la decennale inerzia preventiva rispetto ai possibili fenomeni di diffusione di massa di agenti patogeni, e soprattutto virali, di cui già la Sars, di circa 10 anni fa, ci aveva messi n solerte allarme, senza contare i vari scenari che qualche approfondimento giornalistico, di seria fattura, ci aveva anticipato.

E così non si è stati in pochi, tra opinione pubblica e media, a esprimere forti critiche, chiedendoci se in questi momenti così insidiosi e difficili per la tenuta dei settori vitali di un paese (sistemi produttivi e relazioni sociali) non si fosse manifestata una carenza di saggezza politica che, per la gravità del contesto, avrebbe dovuto invece esprimere le migliori soluzioni per il bene comune.

Obiettivo che con tutte le buone intenzioni non è sembrato essere stato adeguatamente perseguito con i provvedimenti adottati con modalità talvolta incompatibili con la natura primaria delle sfere giuridiche che essi sono andati a comprimere e con il blocco e la conseguente desertificazione, per un buon lungo periodo, delle attività produttive in uno stop and go che stiamo pagando a caro prezzo.

Né è sembrata di grande efficacia l'altalenante dose di informazioni sulle linee di comportamento, che via via si sono dati alla collettività con troppa improvvisazione o forse con messaggi contraddittori, per la non sopita disputa tra scienziati ed esperti.

 

Ma resta sullo sfondo il sospetto della grave responsabilità dei governi delle precedenti legislature per lo smantellamento dei presidi ospedalieri di territorio, eufemisticamente definito “razionalizzazione del sistema sanitario" in realtà per risparmiare sulla salute dei cittadini, come scopertamente si è evidenziato in questa emergenza.

Mentre per quel che concerne questo governo pare proseguire su una linea ancora ondivaga.

Ma soprattutto è sul governo del Conte bis che si è maggiormente indirizzato il focus di numerosi interrogativi che ancora oggi attendono una chiara risposta.

Come mai, infatti, visto che il primo comunicato dell'OMS era dei primi di gennaio dello scorso anno, il governo rispondeva con un decreto che riconosceva lo stato di emergenza nazionale solo il 31 gennaio scorso, quindi minimizzando e senza predisporre in tempo un adeguato piano di approvvigionamenti preventivi (respiratori, ampliamento dei posti di terapia intensiva, mascherine e presidi vari ) insomma tutte le risorse, indispensabili per fronteggiare l’impatto del virus?

Poi ci si è attestati ad inseguire il virus, anziché prevenirlo.

Così è bastato l’inevitabile verificarsi di assembramenti nelle grandi città, invogliati dalla frenesia degli acquisti in cash back - ma il territorio dell’Italia non è solo quello - per indurre il governo ad un nuovo severo lockdown sotto Natale scorso,

replicato dal governo Draghi anche nei giorni di Pasqua, nell’affanno di una campagna vaccinale che non riesce ancora a trovare la giusta misura, complice anche il caos delle contrazioni nelle consegne dei vaccini ad opera delle aziende produttrici con qualche colpa delle nostre Istituzioni europee che non hanno saputo esigere il rispetto degli impegni a causa di contratti sbilanciati nelle clausole soprattutto sul versante delle garanzie del giusto rispetto degli adempimenti.

 

Insomma una miriade di contraddizioni, tra messaggi e linee di indirizzo talora confliggenti e talvolta irrazionali e nuove temibili mutazioni del virus, che hanno contribuito a disorientare la popolazione.

Un metodo che ha viziato persino i rapporti con le istituzioni territoriali, pregiudicando ogni facile intesa, con fughe in avanti e tentativi governativi di portare a uniformità le spericolate rivendicazioni di autonomia normativa delle regioni, a loro volta protagoniste di disarmoniche iniziative o sovente in aperta dissonanza tra sottili rivalità tra esse.

Così lo scenario dei tanti confinamenti si è infilato sempre più nel tunnel di un enfatico allarmismo mediatico, facile canale di persuasione ad ogni misura restrittiva.

Facendo affacciare in qualcuno (ne abbiamo visto tenore nell’ “ Appello ai cattolici per la Chiesa e il Mondo ”) la singolare tesi di un concerto mondiale di poteri sovranazionali, capaci non solo di orientare la gran parte delle risorse finanziarie dei sistemi economici dei diversi paesi, ma, a questo punto, ritenuto  maturo per un ulteriore salto di specie, per passare a costruire, in tempi non lontani, una sorta di governo globale dei processi economici dei diversi continenti, disarcionando di fatto le sovranità nazionali, che finirebbero per essere, obtorto collo, funzionali ad essi, con generalizzati meccanismi di suggestione sociale di massa.

Tesi suggestive ma inverosimili, come inverosimile appare (speriamo non sia smentita dai tanti approfondimenti che anche su questa origine e diffusione si stanno facendo) la tesi di una premeditata diffusione del coronavirus asiatico e la concomitante irradiazione del 5G, per studiare in tempo reale collateralmente alle specifiche realtà socio-normative che si sono succeduti nei diversi paesi per fronteggiare l'emergenza reale, gli scenari di nuovi modelli di governo di massa che i pochi possessori delle risorse e delle ricchezze dei paesi, stanno provando a calare sulla testa dei popoli.

E per far ciò basterebbe svuotare le democrazie delle parte sostanziale dei diritti e delle garanzie, lasciandole sopravvivere nella loro identità formale, perché rese più effimere all'impatto di sistemi di controllo sociale sofisticati (5G) consentendo ai governi di monitorare la vita privata delle persone fino ad impadronirsi, come è immaginabile, delle loro intimità familiari.

Una condizione sociale che riporta alle vulnerabilità dell’esistenza tipica dello stato di natura, dove vige la regola dell’homo homini lupus.

Con l'umanità sempre più ricondotta, in un percorso di inesorabile soggezione sociale, al Moloch hobbesiano rappresentato da potenti oligarchie.

Considerazioni e analisi, queste, delle dinamiche interdipendenti tra Cancellerie dominanti e un oscuro “deep state”, che rasentano il surreale.

Anche se non sono state poche le deviazioni ai normali canoni della democrazia e dello stato di diritto, persino nella nostra Europa - emblematico il caso della Polonia e dell'Ungheria - con qualche tentazione anche nel nostro Paese.

Tanto che qualcuno affaccia il rischio di effetti irreversibili che possano sfigurare per sempre la scala di valori che sono alla base di queste conquiste dell’umanità.

 

Umanità che già sembra aver perso, nei milioni di visi mascherati, il sorriso, la speranza e la visione del proprio futuro.

Ma non ci rassicurano quelle chiavi di lettura che ne scorgono i segni di cicliche traversie dell'accidentato percorso della storia umana, in quella dimensione circolare che trova nel suggestivo e singolare pensiero di Giambattista Vico la sua più emblematica espressione, il ritenere naturale il riemergere ciclico di tragedie universali capaci di scavare un abisso nei nostri cuori al punto da insidiare irreversibilmente il nostro sentire comune.

Un sentire comune che non riusciamo a scorgere nelle iniziative che ciascuna nazione sta unilateralmente portando avanti per l'accaparramento, in quantità ingenti, dei vaccini.

Come fosse una corsa tra paesi tutta al di fuori dai cardini di quella elementare solidarietà tra i popoli che dovrebbe soprattutto motivare i paesi ricchi a venire incontro alle deficienze strutturali nella rete sanitaria dei paesi meno fortunati: l’Africa soprattutto.

 

Una corsa forsennata che spingerà le comunità a chiudersi più di quanto non abbiano fatto con i migranti e mandare in frantumi ogni impulso verso la cooperazione che trova nel sentimento della solidarietà e fratellanza tra i popoli il suo paradigma.

Uno scenario ben delineato dal prof. Nicholas Christakis, sociologo presso l’Università di Yale, per il quale “le pandemie su scala globale ci obbligano a sopprimere i nostri impulsi evolutivi legati alla connessione con i nostri simili, dal vedere gli amici al toccarci a vicenda”, e “sono particolarmente impegnative per il genere umano, perché pregiudicano la nostra capacità di cooperazione e la nostra tendenza a socializzare”.

È in tale contesto non è escluso che con temibili derive populiste, possano riaffiorare i tanti sommersi contrasti tra le nazioni, mentre crescerà l’incapacità degli organismi sovranazionali di poter essere in grado di mediare, con il rischio di scenari apocalittici.

 

Appannando la primaria esigenza di coesione che dovrebbe guidarci nella distribuzione, su scala continentale, di questi presidi vaccinali anti covid19 a tutte le comunità della Terra.

 

Auspichiamo al contempo che la principale arma con cui si sta combattendo la diffusione del virus, oltre al vaccini, non continui per anni (visto che come sostengono molti scienziati il virus continuerà a circolare per un bel po di tempo) a basarsi sulla ferrea regola del distanziamento e della indotta diffidenza verso l'altro (seppur nell'intenzione degli scienziati non può che essere ovviamente della sola sfera fisica del soggetto) perché rischierà di lasciare dei segni indelebili sulla naturale fisionomia delle relazioni umane.

 Così sulla strada di altalenanti confinamenti, nel sempre più crudele diradamento dei rapporti umani, corriamo il rischio di provocare anche all'interno delle famiglie, soprattutto tra generazioni diverse, nonni e nipoti, un allontanamento di affetti e vicinanze e con esso la recisione di questo insostituibile rapporto educativo tra le generazioni, che sarà difficile recuperare in brevi lustri.

Mentre si insinua permanentemente nella coscienza dell'uomo la paura dell'altro, perché lo si associa, appunto, alla paura del contagio come veicolo di morte.

Con l’effetto che si riducono spontaneamente le promiscuità, alla base dell'inclusività e dell'integrazione delle comunità, e in certi contesti territoriali,ove dominano fenomeni di aperta competizione per accaparrarsi un lavoro, si generano forti sentimenti di odio e di diffidenza e si accresce la tendenza all'isolamento, con la grave ulteriore conseguenza di rendere ancora più esposto l’individuo, che si ritrova ancor più solo e vulnerabile allo spadroneggiare di egemonie oligarchiche e dei poteri forti.

E in questa fallace suggestione l'affettività diventa una insidia e un pericolo.

Viene in mente la brillante premonizione del sociologo Zygmunt Bauman sulla perdita di qualsiasi riferimento “solido” che oggi affligge le società.

 

Su questa inconfutabile constatazione egli innesta un’analisi della società divenuta sempre più “liquida”.

Una suggestiva teoria che si riconduce al filone post-modernista, con i suoi canoni di ordine e globalismo effimero che per la sua fugace dissolvenza è stato incapace di lasciare un'impronta duratura destrutturandoci in un presente ancora sfuggente ma denso di implicazioni assai inquietanti.

E il segno inequivocabile, come ci spiega Umberto Eco in una sua chiave di lettura del filosofo della “società liquida”, di una tale deriva generata da questi repentini mutamenti lo troviamo nella crisi dello Stato, soggiogato da potenti forze che sovrastano i confini delle nazioni.

Ove l'individuo si sente sempre più smarrito in questo improvviso dileguarsi di tutele e di protezione.

Ed è per lui terribile perché si accorge di aver perso ogni fiducia non trovandolo più a presidio della comunità in modo omogeneo e “solido”, mentre è soverchiato dallo spadroneggiare di peculiari interessi sulla generalità dei bisogni e le essenziali aspirazioni della persona.

In tale contesto si genera un decadimento delle ideologie e con esso dei partiti sempre meno rappresentativi di valori stabilì, sia pure declinati in diverso modo, che sono la base e l’essenza delle comunità.

Ed è così che si verifica la frantumazione della società.

Perché ne perde il connotato di comunità volta alla ricerca di comune benessere, mentre afferma un libero tutti, smarrendo la consapevolezza di un cammino condiviso e affermando invece diffidenza e antagonismo verso l’altro, che diviene il nostro nemico.

E diviene financo il terreno ideale del nichilismo, che allontana dalla fede in una salvezza dall’alto o in una piena fiducia nei compiti supremi dello Stato, custode della vita dei suoi membri.

Mentre il soggettivismo si irradia e si impadronisce totalmente della società facendole perdere il suo amalgama.

L’effetto è devastante: perdere l’essenza e la sacralità del concetto di persona, surrogato da un individualismo dell’apparenza, mentre la frenesia e la voglia di apparire, qui ed ora, in un vortice di ingordigia dell’immagine, che già il giorno dopo sono inappaganti, ne diviene il valore.

Riflessioni, quelle di Bauman, che scolpiscono, in un moto perpetuo, tutto il dramma del cammino dell'umanità nel conflitto tra élite e popolo.

(Luigi Rapisarda)

 

 

 

 

Il culto della morte

delle élite russe.

Quotidianodeicontribuenti.com – (3 Luglio 2022) -Redazione – Svetlana Stephenson-                                       ci dice:

(Svetlana Stephenson, Novaya Gazeta Europa, Lettonia)

 

L’invasione dell’Ucraina è il culmine di un lungo processo con cui gli obiettivi di sviluppo sono stati sostituiti da una retorica basata sul sacrificio e sulla distruzione.

(La parata del “reggimento immortale” a Mosca, 9 maggio 2022).

L’inizio dell’“operazione speciale” in Ucraina è stata una sorpresa per la maggior parte dei commentatori, compresi quelli che erano stati più critici nei confronti del regime di Putin.

Nonostante i numerosi avvertimenti, a nessuno sembrava possibile che il Cremlino stesse davvero preparando una guerra, perché si dava per scontato che sarebbe stata disastrosa per gli interessi della leadership e per l’intero paese.

Sia gli interessi economici dell’élite al potere, che ha soldi, proprietà, figli e parenti in occidente, sia lo sviluppo dell’economia russa, pienamente integrata nei mercati globali, sono stati danneggiati da un’avventura militare senza precedenti.

 Non vedendo alcuna logica nel comportamento della classe dirigente russa, che si pensava fosse più interessata all’appropriazione che alla distruzione, molti hanno cercato di spiegare la guerra con qualche mania dei governanti russi.

Le cause della catastrofe sono state inizialmente individuate o in un disturbo mentale del presidente, o nell’influenza di certe idee bizzarre, attinte forse dalle filosofie di Ivan Ilin o Aleksandr Dugin.

Ma la guerra è stata il risultato di un lungo processo di sostituzione.

Dalla logica dello sviluppo e della vita si è passati a una logica di distruzione e di morte: la logica della necro-politica.

Nonostante tutti i suoi difetti, i primi anni dell’era Putin sono stati caratterizzati dalla crescita economica e dal fiorire delle attività e della cultura.

 Le autorità offrivano ai cittadini un programma di sviluppo e prosperità, o almeno di stabilità.

Ma dopo le proteste del 2011 i richiami alla necro-politica sono diventati sempre più evidenti nel comportamento del potere.

Prendiamo il discorso rivolto da Putin ai suoi sostenitori a Mosca nel febbraio 2012, quando, dopo lo shock provocato dalle proteste di massa contro le frodi elettorali, ha citato la poesia Borodino di Lermontov:

“Presso Mosca noi moriremo, / Come morirono i nostri fratelli!”.

Nel 2018, parlando al club Valdai della dottrina nucleare russa, il presidente è tornato di nuovo sul tema della morte collettiva dei russi:

“Noi, come martiri, andremo in paradiso, loro, invece, moriranno e basta”.

Questi inquietanti messaggi sono riecheggiati nelle parole del vicecapo di stato maggiore Vjačeslav Volodin al Valdai del 2014:

“Niente Putin, niente Russia”.

Il popolo russo è presentato come una figura silenziosa, la cui vita e la cui morte sono nelle mani dei governanti del paese.

Sia nella retorica pubblica delle autorità sia nella lotta contro le forze vitali della società (come la stampa libera e le organizzazioni non governative), gli obiettivi di sviluppo e prosperità sono stati gradualmente sostituiti da un programma di morte.

 È in corso una riabilitazione storica di Stalin e di Ivan il Terribile, despoti che sacrificarono le vite dei loro sudditi.

 Sta prendendo piede un culto dei caduti.

Nelle scuole di tutto il paese sono introdotti rituali legati alla seconda guerra mondiale, spesso guidati da militari locali e rappresentanti della chiesa ortodossa.

I ricordi degli antenati che hanno perso la vita affinché un giorno non ci fossero più guerre sono sostituiti da tetre celebrazioni necrofile.

 Nelle processioni del “reggimento immortale” i morti si riuniscono in temibili schieramenti, guidando i loro discendenti verso nuove guerre.

La transizione alla necro-politica cambia le priorità del potere nel determinare chi è destinato a vivere e chi a morire.

Secondo il filosofo Achille Mbembe la necro-politica comporta la ricerca costante di nemici, di un “altro” razzialmente o politicamente diverso, di stati d’emergenza e nuove guerre.

 La massima espressione della necro-politica è stato il nazismo, che ha equiparato il potere e la guerra.

Ma la storia offre molti altri esempi: dal terrore della rivoluzione francese fino alla spietata espansione coloniale.

Le conquiste coloniali russe sono state realizzate sia annettendo territori vicini, sia schiavizzando il popolo russo.

 Lo stato in espansione non aveva interesse per il benessere dei sudditi.

 Questo si ripete anche oggi, con gli evidenti esempi delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk.

 Questi territori non sono diventati l’incarnazione del successo del “mondo russo”, ma zone in mano ad autorità corrotte e afflitte da criminalità, crisi economica e impoverimento.

Risposta deludente.

Il tema del sangue versato in passato e di quello che lo sarà in futuro è diventato un elemento centrale del discorso pubblico russo.

L’attore Sergej Lavronenko, che ha sostenuto la guerra, dice:

“La lettera Z è come il nastro di san Giorgio, è imbevuta del sangue di milioni di nostri antenati.

I nostri nemici hanno sempre tentato di strangolarci, ma li abbiamo sempre distrutti”.

Il popolo è di nuovo chiamato al sacrificio per difendere la terra.

Anche la cultura di massa comincia a riflettere il messaggio mortifero del potere.

La poesia di Vlad Seletskij del 2020 “Quando l’ultimo russo morirà”, molto condivisa sui social network russi, contiene cupe profezie:

“Quando l’ultimo russo morirà, / tutti i fiumi invertiranno il loro corso. / La coscienza, l’onore e i sentimenti scompariranno / e le stelle non brilleranno più”.

Anche se alla fine dio salva la Russia dalla distruzione, il testo è intriso di profonda malinconia.

La generazione più giovane è osservata in modo particolarmente attento: deve promettere senza indugio di essere pronta a morire per il leader.

La canzone Zio Volva, siamo con te, uscita nel 2017 e dedicata a Putin, è eseguita spesso nelle scuole e contiene motivi sinistramente apocalittici.

 I bambini promettono al presidente: “Se il comandante chiamerà per l’ultima battaglia, zio Volva, noi siamo con te”.

 Dall’inizio dell’“operazione speciale”, i bambini hanno cominciato a essere considerati una risorsa bellica

 Sono fatti allineare a forma di Z, vestiti con uniformi militari, fatti salire su carri armati giocattolo e mandati a marciare per strada.

Ma l’invito a morire non sta suscitando la risposta che ci si aspettava dalla popolazione.

Mentre i russi sono pronti ad accettare che il loro paese sia circondato da nemici e a credere alla propaganda secondo cui l’Ucraina è governata da nazisti, la maggior parte di loro non vuole morire né mandare i propri figli a morire.

La canzone sullo zio Volva provoca spesso proteste dei genitori e critiche sui social network, ed è stata oggetto di numerose parodie.

Potrebbe essere stata questa riluttanza a impedire il ricorso alla mobilitazione generale.

È probabile che le fantasie dell’élite entreranno in conflitto con l’istinto di vita del popolo.

L’invito a morire, anche se avvolto nella retorica della grandezza della nazione e della lotta contro un’orda di nemici, diventerà sempre meno attraente.

 E alla fine la politica della morte cederà il posto alla politica della vita.

(Svetlana Stephenson insegna sociologia alla “London metropolitan university”)

 

La guerra in Ucraina tra la

“folle élite di Washington” e

“la codardia dei leader europei”

Inuovivespri.it – (28 novembre 2022) - Oskar Lafontaine – ci dice:

 

Intervista a Oskar Lafontaine, uno dei più noti politici tedeschi di sinistra.

“La NATO non è più un’alleanza difensiva, ma uno strumento per rafforzare la pretesa degli Stati Uniti di rimanere l’unica potenza mondiale”.

“Da 100 anni gli Stati Uniti d’America impediscono l’unione tra imprese e tecnologia tedesca con le materie prime della Russia”.

“Gli Stati Uniti non sono riusciti a rovinare la Russia…  la potenza nucleare russa non può essere sconfitta militarmente”.

“L’esplosione dei due gasdotti è una dichiarazione di guerra alla Germania ed è patetico e codardo che il governo federale voglia nascondere l’incidente sotto il tappeto.

 Dice di sapere qualcosa ma non può dirlo per motivi di sicurezza nazionale.

 I passeri lo fischiano ai quattro venti da tempo:

gli USA o hanno effettuato direttamente l’attacco o almeno hanno dato il via libera.

Senza la conoscenza e il consenso di Washington, la distruzione degli oleodotti, che sono un assalto al nostro Paese, paralizzano la nostra economia e vanno contro i nostri interessi geostrategici, non sarebbe stata possibile.

È stato un atto ostile contro la Repubblica Federale – non solo contro di essa, ma anche – che chiarisce ancora una volta che dobbiamo liberarci dalla tutela americana”.

A parlare è Oskar Lafontaine, già Sindaco di sindaco di Saarbrücken, primo ministro del Saarland, presidente dell’SPD, candidato Cancelliere e Ministro federale delle Finanze.

Nel Marzo 1999 si è dimesso da tutti i suoi precedenti incarichi politici nell’SPD a causa delle critiche al governo di Gerhard Schröder.

È stato il presidente fondatore del partito DIE LINKE, partito politico tedesco di sinistra ed estrema sinistra, presidente della fazione di sinistra nel Bundestag tedesco e candidato principale nelle campagne elettorali statali della Saarland nel 2009, 2012 e 2017.

Dal 2009 guida il gruppo parlamentare del Partito della sinistra nel parlamento statale del Saarland.

Lafontaine ha rilasciato una ‘scoppiettante’ intervista a Deutsche Wirtschaftsnachrichten, giornale economico tedesco.

Dove non risparmia critiche agli Stati Uniti d’America e alla NATO.

“La NATO non è più un’alleanza difensiva, ma uno strumento per rafforzare la pretesa degli Stati Uniti di rimanere l’unica potenza mondiale”.

I due gasdotti citati dal politico tedesco sono il Nord Stream 1 e il Nord Stream 2 danneggiati con l’esplosivo.

Ma anche sulla NATO Lafontaine non ci va leggero:

“La NATO guidata dagli Stati Uniti – dice – è obsoleta, come ha giustamente riconosciuto nel frattempo il presidente francese Emmanuel Macron.

Questo perché la NATO non è più un’alleanza difensiva, ma uno strumento per rafforzare la pretesa degli Stati Uniti di rimanere l’unica potenza mondiale”.

Per il politico tedesco oggi gli interessi della Germania e, in generale, dell’Europa non sono coincidenti con quelli degli Stati Uniti.

“Se noi e gli altri Paesi europei continueremo a rimanere sotto la tutela degli Stati Uniti – dice sempre Lafontaine – ci spingeranno oltre il precipizio per proteggere i propri interessi.

Quindi dobbiamo espandere gradualmente il nostro raggio d’azione, preferibilmente insieme alla Francia.

 Come Peter Scholl-Latour, molti anni fa ho chiesto un’unione franco-tedesca. Allora si potrebbe integrare anche la difesa dei due Stati, come nucleo di un’Europa indipendente.

 Per usare un’espressione ormai banale: stiamo vivendo i dolori del parto della fase di transizione da un ordine mondiale unipolare a uno multipolare.

E qui sorge la domanda se abbiamo un posto tutto nostro in questo nuovo ordine mondiale o se siamo coinvolti nei conflitti di Washington con Mosca e Pechino come vassalli degli Stati Uniti.

 L’immagine del Cancelliere Scholz in piedi come uno scolaretto accanto al presidente degli Stati Uniti Biden quando ha annunciato che Nord Stream 2 non avrebbe portato a nulla è stata un’umiliazione”.

“Da 100 anni gli Stati Uniti d’America impediscono l’unione tra imprese e tecnologia tedesca con le materie prime della Russia”.

Il giornalista cita un passo del libro di Lafontaine che riprende una frase si Nicolò Machiavelli:

“Non è chi per primo prende le armi che istiga il male, ma chi lo costringe.”

 Il significato della frase la spiega lo stesso Lafontaine:

“Ovviamente mi riferisco anche al conflitto in Ucraina, iniziato al più tardi con il putsch sul Maidan a Kiev nel 2014.

 Da allora, gli Stati Uniti e i loro vassalli occidentali hanno armato l’Ucraina e l’hanno sistematicamente preparata alla guerra contro la Russia.

 L’Ucraina divenne così un membro de facto, non de jure, della NATO.

Questa storia è accuratamente ignorata dai politici occidentali e dai media mainstream”.

 Poi aggiunge:

“Tuttavia, è stata una violazione imperdonabile del diritto internazionale che l’esercito russo abbia invaso l’Ucraina.

 Le persone muoiono ogni giorno e tutti, sia Mosca, Kiev o Washington, che hanno la responsabilità del fatto che non c’è ancora l’armistizio, portano un pesante fardello di colpa”.

C’è un passaggio molto interessante dal punto di vista storico e geopolitico:

“Per più di 100 anni – dice Lafontaine – è stato l’obiettivo dichiarato della politica degli Stati Uniti impedire a qualsiasi costo che le imprese e la tecnologia tedesche si fondessero con le materie prime russe.

È perfettamente chiaro che, visti i precedenti, abbiamo a che fare con una guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia che è stata preparata da molto tempo.

 È imperdonabile che l’SPD in particolare abbia tradito l’eredità di Willy Brandt e la sua politica di distensione e non abbia nemmeno seriamente insistito sul rispetto dell’accordo di Minsk.

Gli Stati Uniti non sono riusciti a rovinare la Russia…  la potenza nucleare russa non può essere sconfitta militarmente”.

Gli Stati Uniti hanno raggiunto i loro obiettivo?

“Sì e no – risponde il politico tedesco -.

Hanno avuto un enorme successo nel rompere le relazioni tra la Federazione Russa e l’UE.

Sono anche riusciti a mettere da parte l’UE e la Germania come loro potenziali rivali geostrategici ed economici per il momento.

 Stanno ora determinando le politiche degli Stati dell’UE ancor più di prima del conflitto ucraino, anche grazie a politici compiacenti a Berlino e Bruxelles.

Possono vendere il loro gas sporco di fracking e l’industria della difesa statunitense sta facendo ottimi affari.

D’altra parte, non sono riusciti a ‘rovinare la Russia’, come ha affermato la signora Baerbock come uno dei loro portavoce, rovesciando Putin e installando un governo fantoccio a Mosca per ottenere un migliore accesso alle materie prime russe, come è stato il caso ai tempi di Eltsin.

E ho l’impressione che ora gli Stati Uniti si siano resi conto che qui stanno mordendo il granito.

 Nonostante le massicce consegne di armi all’Ucraina e l’invio di numerosi ‘consiglieri militari’, la potenza nucleare russa non può essere sconfitta militarmente.

 Inoltre, le sanzioni occidentali si stanno rivelando un boomerang, danneggiano gli Stati occidentali più della Russia e porteranno alla deindustrializzazione, alla disoccupazione e alla povertà.

I lavoratori in Europa stanno pagando il prezzo delle ambizioni di potere mondiale di una folle élite a Washington e della codardia dei leader europei.

 Dobbiamo urgentemente garantire che il conflitto ucraino finisca.

 E ciò accadrà solo se gli Stati Uniti abbandoneranno il loro piano di mettere in ginocchio la Russia prima di prendere la Cina di petto.

Per questo serve un’iniziativa europea e deve venire dalla Francia e dalla Germania.

Se non lo facciamo, e se non raggiungiamo presto un accordo con la Russia per quanto riguarda le nostre importazioni di materie prime ed energia, allora l’economia in Germania e in Europa andrà in malora e i partiti di destra in Europa diventeranno sempre più forti”.

 

 

 

RIVOLTA DELLA “GENTE” O

RIBELLIONE DELLE “ÉLITE”?

Istitutodipolitica.it - Marco Almagesti, Paolo Graziano – (17 gennaio 2020) – ci dicono:

 

L’intervento di Alessandro Baricco sulla Repubblica dell’undici gennaio si propone di sintetizzare l’insieme dei mutamenti che stanno caratterizzando le democrazie occidentali negli ultimi anni, mostrando come sia “andato in pezzi un certo patto tra le élites e la gente”.

Secondo Baricco è la “gente” che ha infranto questo patto.

 Per quale motivo?

“Una prima risposta è facile: la crisi economica.

Intanto le élites non l’avevano prevista.

Poi hanno tardato ad ammetterla.

Infine, quando tutto ha iniziato a franare, hanno messo al sicuro se stesse e hanno rimbalzato i sacrifici sulla gente”.

Oltre agli effetti della crisi economica, Baricco individua una seconda ragione, che sta alla radice del suo ultimo libro, “The Game “(Einaudi):

 si tratta dell’impatto delle nuove tecnologie della comunicazione, che consentono a tutti l’accesso ad attività precedentemente riservate solo a pochi privilegiati.

Attingere a qualsiasi informazione, comunicare con tutti, esprimere le proprie opinioni di fronte a platee immense, trasmettere le proprie concezioni della bellezza.

Secondo Baricco queste due cause della “rivolta della gente” sono fortemente intrecciate:

 mentre le tecnologie (The Game) redistribuiscono il potere, non concorrono in alcun modo a redistribuire ricchezza.

 Malgrado avvisaglie distintamente avvertibili anche prima, è dalla crisi economica del 2008 che tale miscela diviene esplosiva, generando, secondo Baricco “una sequenza implacabile di impuntature, di apparenti deviazioni dal buon senso, se non dalla razionalità”, forme eterogenee di protesta, tutte accomunabili dall’essere generate dalla “gente” contro le scelte delle élite.

Scelte, sottolinea con vigore Baricco, spesso miopi, dimentiche delle difficoltà e dei drammi vissuti da milioni di persone escluse dai privilegi diffusi nella “bolla” elitaria.

Sempre su Repubblica, il 14 gennaio Marianna Mazzuccato ha precisato che “la democrazia ha creato società meno inique quando gli “esclusi” hanno saputo rappresentarsi e strappare alle élite concessioni che hanno reso meno penosa e più piena la vita di tutti (spesso anche delle élite stesse)”.

 Il focus dell’intervento di Mazzuccato è posto sul conflitto, sul fatto che molti diritti di cittadinanza che ancora oggi caratterizzano l’esistenza di molte persone, almeno nei paesi occidentali, sono stati ottenuti attraverso il conflitto (“conflitto di cittadinanza” lo definisce Giovanni Moro) e “non sono stati graziosamente concessi dalle élite”.

 La precisazione di Mazzuccato è molto opportuna.

 Infatti, consente di porre l’attenzione sulla lotta all’esclusione quale molla per l’estensione dei diritti di cittadinanza e consente di recuperare la fertilità dell’idea del conflitto che, nel lungo intervento di Baricco, rimaneva sullo sfondo.

Sullo sfondo del ragionamento di Baricco rimane non soltanto il conflitto relativo all’inclusione, bensì anche quello interno alle élite, che dovrebbe caratterizzare la democrazia contemporanea (che è liberale e pluralista o non è).

Come viene descritta l’élite da Baricco?

“Riassumendo: una minoranza ricca e molto potente […] Possono essere di sinistra come di destra.

Una sorprendente cecità morale – mi sento di aggiungere – impedisce loro di vedere le ingiustizie e la violenza che tengono in piedi il sistema in cui credono”.

Forse, una prima radice della crisi delle élite sta proprio qui, la ravvisa Baricco stesso:

possono essere di sinistra come di destra, sono comunque dei “privilegiati”.

Proviamo a pensare all’impatto di una concezione cosiffatta in ambito politico (il primo ad essere investito dalla protesta):

 ossia nei comportamenti e atteggiamenti di quella sezione della élite rappresentata dalla classe politica.

 Il tratto distintivo delle sue componenti non è più tanto nelle visioni del mondo o nelle proposte concrete che dovrebbero contrapporre una parte della classe politica alle altre, quanto nel privilegio che le differenzia dal resto della società.

Ora, anche le teorie più realistiche della democrazia (si pensi a Schumpeter) hanno fondato la legittimità del sistema democratico sull’esistenza di una lotta fra élite in competizione reciproca.

 Per decenni, la competizione fra le élite ha riguardato differenti valori e interessi, ossia differenti progetti per la società.

 Dopo la seconda guerra mondiale, il patto fra élite e cittadini si è retto a lungo sul confronto fra progetti sociali alternativi, che davano nerbo e senso alla convivenza democratica e consentivano opportuni compromessi, non solo fra le differenti élite, bensì anche fra le differenti porzioni di società che nelle proposte delle élite si riconoscevano.

 Le conquiste del Welfare, richiamate da Mazzuccato, sono sorte e si sono consolidate anche in questo modo:

il conflitto fra progetti alternativi ha prodotto un compromesso che si è retto sulla redistribuzione di parte dei benefici della crescita.

Ma quali progetti alternativi possono mai dispiegarsi e confrontarsi se i governi debbono solo attivare il “pilota automatico”?

La contrapposizione fra “élite” e “gente” (quanto nel linguaggio della scienza politica viene identificato nella linea di frattura fra establishment e anti-establishment) assume toni drammatici se resta la sola distinzione possibile.

 Le élite sono fatalmente destinate ad essere considerate “casta” se non competono fra loro in virtù di proposte alternative per il governo della società.

Se, sulla base di queste proposte alternative e sulla credibilità con cui si cerca di promuoverle, non viene assicurata una “circolazione delle élite”.

Possiamo chiederci, allora, se davvero sia stata “la gente” a rompere il patto, oppure se non avesse qualche buona ragione, già a metà degli anni Novanta, Cristopher Lasch a discorrere di “ribellione delle élite” (cfr. “La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia”, Feltrinelli, 1996), identificando con questa espressione la volontà degli strati privilegiati della società di sottrarsi ad ogni legame comunitario e di assolutizzare il proprio stile di vita, misurando ogni differenza rispetto al proprio stile quale forma di manchevolezza.

Quante volte a proposito dei processi che nutrono la bolla in cui vivono le élite (globalizzazione, mercato) abbiamo sentito ripetere lo slogan della signora Thatcher che molto opportunamente Baricco ha inserito in esergo: “There is No Alternative”?

Il riferimento alla Thatcher potrebbe aiutarci a riflettere su quale patto fra élite e “gente” è andato in frantumi a causa della crisi esplosa nel 2008.

Probabilmente stiamo vivendo oggi la crisi di un lungo ciclo politico avviato dalla vittoria elettorale di Margareth Thatcher nel 1979, ma preconizzato con chiarezza nel 1975 allorché la New York University Press dava alle stampe un testo elaborato da tre rilevanti scienziati sociali, quali Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki, La crisi della democrazia. Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale”, in cui si raccomandava di risolvere le crisi di sovraccarico delle democrazie consolidate, riducendo gli spazi di partecipazione dei cittadini e rafforzando il ruolo dell’autorità e dei mercati.

Per inciso, questa proposta ha rappresentato una cesura profonda rispetto agli orientamenti contenuti nelle Costituzioni della c.d. “seconda ondata di democratizzazione”.

Tali Costituzioni erano state redatte dopo le catastrofi del fascismo e del nazismo e, pertanto, riflettevano l’intenzione delle classi dirigenti di ricostruire la democrazia su solide basi sociali (si pensi all’articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana, in cui le principali culture politiche del tempo evidenziarono il nesso fra democrazia, uguaglianza e partecipazione dei cittadini).

Non può stupire che l’Europa sia entrata nel mirino della contestazione anti-establishment.

Eppure, come anche Baricco sottolinea, questo non significa necessariamente rifiuto dell’idea di un’Europa unita.

Ad essere criticata è la gestione elitaria dell’Europa e, soprattutto, una serie di decisioni prese dalle élite.

 Ed anche questo non può meravigliare, nei giorni in cui le politiche di austerità suggeriscono parole di autocritica persino all’attuale Presidente del Collegio dei Commissari europei, Juncker.

 Anche l’austerità ha rappresentato uno “strappo” delle élite, un ampliamento della distanza che separa le élite dalla “gente”.

Contrariamente a quanto sosteneva nel 1975 il Rapporto alla Commissione Trilaterale che abbiamo citato prima, secondo il quale la crescita della partecipazione avrebbe condotto ad una crisi della democrazia, il “malessere democratico” è scaturito in questi anni proprio dallo scollamento fra cittadini ed élite.

Abituate a rimuovere il conflitto, a considerare secondario il consenso popolare riguardo alle decisioni politiche, le élite hanno a lungo etichettato i cittadini delusi in modo sprezzante:

emotivi (come se le emozioni non avessero sempre un peso determinante nelle relazioni politiche e sociali), incompetenti, vittime di fake news.

 È una strada che impedisce un’adeguata comprensione dei cambiamenti che attraversano le nostre società e non consente di ricostruire legami di fiducia, come hanno sperimentato molti membri delle élite partitiche tradizionali che hanno provato a percorrerla.

Sono possibili altre strade?

Negli ultimi anni, alcuni partiti definiti “neopopulisti” hanno trovato nuovi canali di collegamento con la “gente” e lo hanno fatto seguendo strade a volte differenti: alcune formazioni “esclusive” hanno tematizzato la risposta nazionalista alla globalizzazione;

 altre, “inclusive”, hanno tematizzato soprattutto la critica alla disuguaglianza che caratterizza le nostre società per responsabilità delle scelte prese dalle élite (che non sono solo la classe politica, ovviamente, bensì anche le élite economiche e intellettuali, spesso abili a scaricare sulla classe politica ogni responsabilità).

 Sono attori nuovi (o rinnovati) che, in modi diversi, cercano di dare forma ai conflitti che emergono nella contemporaneità.

Baricco invita a diffidare della riduzione della complessità che spesso accompagna la critica alle élite.

Ha ragione: la complessità è ineludibile.

Mazzuccato, nella sua chiusura, ha rivolto l’attenzione verso quella complessità che esiste nella società e che spesso resta attutita nelle rappresentazioni prevalenti.

Si tratta dei movimenti, dei cittadini attivi impegnati per la salvaguardia e il buon funzionamento delle istituzioni collettive, per un utilizzo virtuoso dei dati: “bisogna guardare queste nuove forme di relazione, capirle e moltiplicarle”.

Ne conveniamo.

E pensiamo che questa sia una grande sfida per il futuro:

servono attori che siano in grado di comprendere e gestire la complessità, recuperando un rapporto profondo con le cittadine e i cittadini, con le loro necessità e i loro desideri.

 

 

 

 

 

La guerra della Russia contro l’Ucraina

continua a dividere le élite di Putin

valigiablu.it – (2 Luglio 2022) - Medusa – ci dice:

 

A quattro mesi dall'inizio della guerra su larga scala contro l'Ucraina, le truppe russe stanno ottenendo un relativo vantaggio nel Donbas.

A quanto pare, però, il Cremlino non è riuscito a realizzare gli obiettivi originari dell'invasione.

E i colloqui di pace con Kyiv si sono arenati.

Nel frattempo, a Mosca, le élite russe si sono divise in tre campi: un "partito della pace", un "partito della guerra" e un "partito del silenzio" che in qualche modo include pesi massimi come il sindaco di Mosca e il Primo ministro.

 Di seguito ne parla Andrey Pertsev, inviato speciale del sito di informazione indipendente russo “Medusa”.

Tra le élite russe c'è ancora un discreto numero di persone a favore della fine della guerra contro l'Ucraina.

 Secondo tre fonti vicine all'amministrazione Putin e una fonte vicina al Gabinetto, questo "partito della pace" spera attualmente che Mosca e Kyiv tornino al tavolo dei negoziati, nonostante i colloqui siano praticamente congelati dall'inizio di aprile.

In base alle fonti di Medusa, tra i membri di spicco del "partito della pace" figurano l'amministratore delegato di VTB Bank Andrey Kostin, l'amministratore delegato di Rostec Sergey Chemezov e l'amministratore delegato di Sberbank Herman Gref.

Due fonti hanno anche fatto notare che la posizione di questo gruppo si allinea con quella dei fratelli Mikhail e Yury Kovalchuk, che sarebbero membri della cerchia ristretta di Vladimir Putin.

Questi cinque membri del "partito della pace" sono stati tutti sottoposti a diverse sanzioni internazionali in seguito all'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte della Russia.

 Ma la loro speranza è che alcune sanzioni vengano revocate se i colloqui di pace riprendono, permettendo alla Russia di rientrare nei mercati finanziari e tecnologici internazionali.

In ogni caso, le due fonti vicine all'amministrazione Putin hanno sottolineato che il "partito della pace" non è in alcun modo un fronte unito e che i suoi membri non stanno facendo alcuno sforzo congiunto per esercitare pressioni a favore dei negoziati diplomatici:

 "Tutto ciò che hanno è un'intesa comune sul fatto che la cosiddetta "operazione speciale" deve finire il prima possibile e [che] vada cercato un terreno comune in Occidente".

Sergey Chemezov, Andrey Kostin, Herman Gref e i fratelli Kovalchuk non hanno risposto alle domande di Medusa prima della pubblicazione.

 Tuttavia, nelle ultime settimane alcuni di loro hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche criticando cautamente alcuni passi compiuti dalla leadership russa.

 Ad esempio, in una recente rubrica del sito RBC, Sergey Chemezov ha giudicato inefficace la politica di Mosca di sostituzione totale delle importazioni:

"Sostituire tutto è insensato, economicamente impraticabile e semplicemente impossibile.

Non c'è un solo paese sviluppato al mondo che lo faccia.

 L'isolamento, anche tecnologico, e il tentativo di fare tutto da soli è una strada che non porta da nessuna parte.

La Russia deve rimanere parte del mondo globalizzato, dove lo sviluppo è impossibile senza partnership internazionali.

 Il tradimento dell'Occidente non è un motivo per chiudere porte e finestre".

Andrey Kostin ha a sua volta scritto in una rubrica per RBC.

 "Le sanzioni sono permanenti. La globalizzazione nella sua forma precedente è finita.

È probabile che il mondo torni a dividersi rigidamente tra 'noi' e 'loro'.

Questa è la Guerra Fredda 2.0".

Allo stesso tempo, Kostin ha riconosciuto che la globalizzazione ha portato alla Russia "significativi benefici economici", tra cui "un settore finanziario moderno, creato in pochi anni praticamente da zero sulla base di piattaforme tecnologiche, strumenti e pratiche commerciali americane ed europee [...]".

Secondo una fonte di Medusa, questi articoli non sono una coincidenza.

 I membri del "partito della pace" hanno capito da tempo che il proseguimento della guerra avrebbe portato a una grave crisi economica, ha spiegato la fonte.

Tuttavia, molti di loro si sono astenuti dal parlare pubblicamente fino ad ora, perché "nessuno parla delle difficoltà; in pubblico ci sono solo voci scioviniste".

In effetti, fino a poco tempo fa, le voci più esplicite provenivano dal "partito della guerra".

Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale, l'ex primo ministro Dmitry Medvedev, pubblica regolarmente sul suo canale Telegram delle tirate contro l'Occidente;

 il primo vicecapo di Stato maggiore di Putin, Sergey Kiriyenko, ha iniziato a tenere discorsi pubblici sulla "lotta al nazismo";

e il segretario del Consiglio di sicurezza Nikolai Petrushev ha recentemente dichiarato che la Russia non sta "dietro alle scadenze" nella sua guerra contro l'Ucraina.

Secondo le fonti di Medusa, il "partito della guerra" comprende anche il presidente della Duma di Stato Vyacheslav Volodin, il segretario generale di Russia Unita Andrey Turchak e i vertici delle agenzie di sicurezza, come l'FSB. (Ciò è confermato dalle dichiarazioni pubbliche di questi funzionari).

Allo stesso tempo, le fonti di Medusa hanno descritto il "partito della guerra" come una "struttura amorfa senza un unico centro di coordinamento".

 Per non parlare del fatto che alcuni dei suoi membri non sono in buoni rapporti tra loro.

Vyacheslav Volodin e Andrey Turchak, ad esempio, si criticano a vicenda anche in pubblico.

Due fonti dell'amministrazione Putin hanno dichiarato a Medusa che anche i rapporti tra Volodin e Kiriyenko lasciano molto a desiderare.

In effetti, questa frattura risale al 2016, quando Kiriyenko è succeduto a Volodin come primo vice capo di gabinetto di Putin.

In fin dei conti, però, i rappresentanti dei diversi schieramenti possono solo dimostrare la loro posizione cercando di influenzare quella di Putin sulla guerra. "

Kiriyenko porta a Putin documenti sul Donbas e sull'economia del paese nel suo complesso.

 I funzionari della sicurezza discutono del fronte", ha spiegato una fonte di Medusa.

 A loro volta, i membri del "partito della pace" avrebbero presentato a Putin un piano di proposte per i paesi occidentali sulla revoca parziale delle sanzioni.

Due fonti di Medusa hanno sottolineato che al momento Putin è più favorevole al "partito della guerra" che al "partito della pace", dal momento che lui stesso è "entusiasta della guerra e dell'annessione dei territori".

"Per il presidente è importante conquistare il Donbas, anche se ci vorrà qualche mese in più.

Poi si potrà negoziare per fermare l'avanzata delle truppe", ha spiegato una fonte.

"Soprattutto perché Putin capisce che sarebbe molto difficile o addirittura impossibile andare oltre. Ma un Donbas catturato è un vantaggio negoziale".

C'è anche un terzo campo che potrebbe influenzare la posizione di Putin: il cosiddetto "partito del silenzio".

 Questo partito è composto da funzionari e uomini d'affari che preferiscono non parlare della guerra, se possibile.

Secondo le fonti di Medusa, i membri più importanti del "partito del silenzio" sono il primo ministro Mikhail Mishustin e il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin.

Una fonte di Medusa vicina all'amministrazione Putin e una fonte vicina al Gabinetto di Mishutin hanno dichiarato che da quando la Russia ha iniziato l'invasione su larga scala dell'Ucraina, il Primo ministro, un tempo noto per la cura della sua immagine pubblica, ha cercato di "mettersi meno in mostra" e di commentare solo le decisioni economiche del governo.

"L'amministrazione presidenziale gli ha offerto un ulteriore supporto per le pubbliche relazioni, ma lui ha rifiutato: ora non ne ha bisogno", ha detto una fonte.

All'inizio di giugno, il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin ha visitato Luhansk e ha avuto colloqui con Leonid Pasechnik, il capo dell'autoproclamata "Repubblica Popolare di Luhansk" (Mosca ha annunciato il "patrocinio" sia su Luhansk che su Donetsk alla fine di maggio).

Tuttavia, secondo due fonti vicine all'amministrazione Putin, il sindaco di Mosca "non aveva un desiderio ardente" di visitare la LNR: "Sobyanin non vuole associarsi a questo, preferisce un atteggiamento alla 'io mi occupo di Mosca - il resto non è affar mio'.

È stato costretto ad andare a Luhansk.

Putin gli ha consigliato di andare, dopo di che Sobyanin ha ceduto".

Sergey Sobyanin e Mikhail Mishustin non hanno risposto alle domande di Medusa prima della pubblicazione.

Per il momento, l'appoggio del presidente ha fatto sì che il "partito della guerra" sostenesse la necessità di impadronirsi di quanto più territorio ucraino possibile.

Mentre il "partito della pace" ha fiducia nell'"atteggiamento pragmatico" dei Paesi occidentali e delle autorità ucraine che, secondo i funzionari del Cremlino, potrebbero sacrificare il Donbas in nome della pace.

Kyiv rifiuta ufficialmente la possibilità di un accordo di questo tipo con la Russia.

 

 

 

 

Putin salva i "ragazzi"

dell'élite di Mosca: dal figlio di Medvedev

al genero di Shoigu, vacanze

extra lusso e niente guerra.

Ilmessaggero.it - Giorgia Crolace – (9 novembre 2022) – ci dice:

 

Contattati telefonicamente dai giornalisti della testata russa indipendente “Vazhnye Istorii”, hanno riagganciato il telefono o si sono rifiutati di rispondere alle domande sostenendo di non avere competenze per andare al fronte.

La maggior parte dei figli e parenti dei principali politici russi interpellati dalla redazione di “Vazhnye Istorii”, la testata giornalistica russa indipendente specializzata in giornalismo investigativo e critica nei confronti del Cremlino, ha risposto alla chiamata dei giornalisti riagganciando il telefono.

 La domanda era: se convocato, andresti a combattere in Ucraina per la Russia?

I giovani dell'élite russa schivano la guerra.

Mentre Putin elogia il patriottismo dei riservisti arruolati e mandati al fronte con l'Ucraina senza una formazione adeguata e con un equipaggiamento scarso, i figli dell'élite del paese continuano a portare avanti la loro vita di privilegiati, ostentando lusso e vacanze in destinazioni lontane.

Lo racconta il Telegraph citando l’inchiesta di “Vazhnye Istorii”.

Tra questi Alexei Stolyarov, 32 anni, il cui suocero è Sergei Shoigu, il ministro della Difesa russo: era in vacanza in Nepal quando ha risposto alla chiamata della testata indipendente russa e si è rifiutato di commentare.

Ilya Medvedev, 27 anni, figlio di Dmitry Medvedev ha invece risposto di non aver ricevuto la convocazione per unirsi ai soldati arruolati.

Alexander Kolokoltsev, 39enne figlio del ministro degli interni russo, ha invece dichiarato che sarebbe stato disposto ad andare a combattere in Ucraina se fosse stato convocato.

 Zaur Tsalikov, 31 anni, figlio di un viceministro della Difesa, ha spiegato invece di non avere competenze per essere arruolato.

Come riporta il Telegraph, ha dichiarato ai giornalisti di “Vazhnye Istorii”:

«Perché non mi sono offerto volontario per andare? Cosa ho a che fare con le forze armate? Ci sono militari, persone con professioni militari».

 I figli di altri alti funzionari russi hanno rifiutato di parlare apertamente con i giornalisti.

Putin, la strategia per convincere Zelensky alla resa: lasciare gli ucraini al freddo e al buio durante l’inverno.

 I figli dei politici russi che hanno condannato la guerra.

C’è però anche l’altra faccia della medaglia.

Sono diversi i figli e i familiari di importanti funzionari russi che hanno condannato l’invasione russa in Ucraina.

 Tra loro, spiega il Telegraph, c’è Liza Peskova, classe 1998, figlia del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.

Il giorno successivo all’inizio della guerra russa in Ucraina ha pubblicato su Instagram un post contro la guerra.

Il contenuto è stato rimosso il giorno stesso.

 Lo scorso agosto invece, un politico russo ha denunciato pubblicamente sua figlia definendola una «traditrice» per essersi espressa contro “l’operazione militare speciale” di Putin, sostenendo di non aver avuto alcun ruolo nella sua educazione e aggiungendo che la figlia avesse problemi mentali.

Il senatore russo Eduard Isakov ha invece dichiarato di aver tagliato i legami con la figlia Diana nel momento in cui ha scoperto che si opponeva alla guerra in Ucraina.

Anche Yaroslav Mironov, il figlio di Sergei Mironov, leader di uno dei quattro principali partiti filo-Cremlino della Russia, ha condannato il governo subito dopo l'inizio dell'invasione.

I Russi si oppongono alla guerra e sabotano la rete ferroviaria: così i cittadini mettono in crisi l'esercito.

 

 

 

La decadenza delle élite, e una

nuova guerra fredda davanti a noi.

Carrazza.it – (14-11-2022) – Antonio Carioti - Massimo L. Salvadori – ci dicono:

 

Antonio Carioti Corriere della Sera 11 novembre 2022

La decadenza delle élite.

Massimo L. Salvadori: la democrazia è in crisi e le classi politiche sono inadeguate.

Intervista Parla lo storico che riceve oggi il premio Antonio Feltrinelli e ha appena pubblicato «Da un secolo all’altro» (Donzelli).

 

Oggi Massimo L. Salvadori riceve il premio Antonio Feltrinelli per la storia, conferito dall’Accademia dei Lincei.

Si tratta del giusto riconoscimento per un impegno pluridecennale il cui prodotto più recente è il volume “Da un secolo all’altro” (Donzelli), che copre in una prospettiva globale il periodo dal 1980 ai giorni nostri.

«Il libro — ci dice Salvadori — prende le mosse dalla svolta neoliberista che partì dalla Gran Bretagna di Margaret Thatcher e dagli Stati Uniti di Ronald Reagan.

 Ne derivò un’ondata che si diffuse nel mondo intero, per poi rafforzarsi notevolmente in seguito al collasso dell’Urss e del suo impero, che screditò quel sistema statalista, collettivista e dittatoriale».

Il crollo del regime che incarnava un’alternativa socio-economica al capitalismo fu un clamoroso successo dell’Occidente, non trova?

«Sì, ma fu accompagnato da un trionfalismo ideologico acritico e ingiustificato, per certi aspetti grottesco.

In realtà, proprio quando l’Occidente ha vinto la guerra fredda e gli Stati Uniti si sono eretti a potenza solitaria, a guida del mondo sotto la protezione di Dio, il capitalismo ha rivelato profonde debolezze organiche».

Si era parlato di fine della storia.

«Francis Fukuyama sostenne che ormai si erano create le condizioni per una simbiosi felice tra capitalismo e democrazia, per cui il modello occidentale non avrebbe avuto più rivali di respiro planetario.

Annunciò la fine di un’era conflittuale e l’avvento di una nuova storia pacificatrice. Non è andata così.

 La globalizzazione ha rivelato lati positivi, ma anche aspetti velenosi, accentuando le diseguaglianze proprio all’interno dei Paesi occidentali.

 Oggi, con il conflitto in Ucraina, stiamo vivendo una nuova guerra fredda.

 E il modello americano, che risultò vincente dopo il 1945, attraversa una profonda crisi, tale da far parlare, dopo l’assalto a Capitol Hill, di una guerra civile politica e ideologica in corso negli Stati Uniti».

Da studioso di storia della sinistra socialista europea, che futuro vede per le forze progressiste?

«Che cos’è la sinistra oggi? In Italia ci sono due partiti, Pd e M5s, che si presentano entrambi come progressisti.

 Ma non si capisce quale sia la loro analisi della realtà.

I dirigenti chiacchierano molto in televisione, ma non appaiono in grado di guidare i processi politici, di definire i ruoli rispettivi dello Stato e del mercato dopo la fine dell’incanto neoliberista.

Una crescita della sfera pubblica può essere auspicabile.

Ma uno Stato accentratore e ficcanaso diventa un peso per la società.

Il mercato certamente non va abolito.

Ma se gli si lascia troppo spazio, finisce per costituire un pericolo politico, come osservava il compianto storico inglese Tony Judt».

Lei coglie pericoli di un’involuzione autoritaria in Occidente?

«Parto da una premessa.

Storicamente al potere è stato sempre chiesto di indicare ai popoli una prospettiva e di mostrare la capacità di prendere decisioni per il bene della collettività.

Oggi le democrazie liberali non appaiono all’altezza di questi compiti.

E si avverte il fascino dello spettacolo offerto da Paesi guidati saldamente da un uomo forte, come la Cina di Xi Jinping e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.

Invece l’Unione Europea resta una confederazione di Stati deboli e divisi, che non riescono ad affrontare i problemi dell’ambiente, dell’economia, della pace.

 Così in Italia oggi abbiamo un governo di ammiratori mascherati di Vladimir Putin e di ammiratori espliciti di Viktor Orbán.

È una situazione preoccupante».

Non esagera con il pessimismo?

«Pessimismo e ottimismo per me si equivalgono, sono tentativi di interpretare il futuro a seconda del proprio temperamento.

Non credo che i problemi siano insolubili, ma possono essere affrontati solo se l’opinione pubblica acquisisce gli strumenti per capirli, quindi viene informata adeguatamente.

 Nel Novecento i partiti erano utili scuole di educazione e partecipazione politica.

 E avevano alla loro testa leader di notevole statura, dotati di capacità progettuale, autori di scritti importanti.

Penso ad Alcide De Gasperi, a Palmiro Togliatti, a Ugo La Malfa.

Oggi domina la videocrazia denunciata per tempo da Giovanni Sartori:

la gente s’informa attraverso i talk show, dove si chiacchiera a ruota libera e ci si esercita in risse verbali che rendono la discussione incomprensibile.

Anche il Parlamento è pieno di personaggi che sembrano raccattati agli angoli delle strade».

È un problema solo italiano?

«No. Pensi alla guerra in Ucraina:

 gli attori più importanti hanno clamorosamente sbagliato i loro calcoli.

Putin credeva di vincere rapidamente e non è andata così:

si è scontrato con una efficace resistenza ucraina.

Joe Biden a sua volta era sicuro che la Russia non potesse reggere le sanzioni dell’Occidente e anche lui è stato smentito».

 

 

Nuovo Ordine Mondiale,

le élite sono il nuovo Mago di Oz:

recitano il potere e riescono a esercitare il potere.

Ilgiornaleditalia.it- Carlo Freccero – (5 -12-2022) – ci dice:

 

Guerra, pandemia, crisi economica, per ogni obiezione c'è una risposta scientifica e filantropica pronta a ribadire che la colpa del disastro è solo nostra, cioè di quel 99%.

C'è una sorta di paradosso che riguarda i grandi progetti, utopici o distopici, in corso di realizzazione oggi: sono al centro della scena, ma nessuno è in grado di vederli.

 La pandemia prima ed oggi la guerra, hanno creato all'inizio un certo sconcerto, ben presto riassorbito dalle logiche di una "nuova normalità".

Purtroppo tutto sembra congiurare contro di noi, ma secondo la logica corrente si tratta di un susseguirsi di fortuite coincidenze.

Possibile che in un periodo storico così breve si concentrino casualmente una pandemia, una guerra, la carestia, la crisi climatica, l'esaurimento delle risorse alimentari ed energetiche?

Certamente, ci risponde il mainstream, perché noi abbiamo abusato delle ricchezze del pianeta moltiplicandoci incessantemente, vivendo al di sopra delle nostre possibilità, consumando le risorse a disposizione delle altre specie e delle generazioni future.

Per ogni obiezione c'è una risposta scientifica e filantropica pronta a ribadire che la colpa del disastro è solo nostra, cioè di quel 99% della popolazione del pianeta che deve dividersi le risorse residue dopo che le élites ne hanno privatizzato la parte migliore.

Una massa che perde o ha già perso il suo potere contrattuale, perché il lavoro umano non ha più valore, in quanto viene progressivamente sostituito dai robot e dall'intelligenza artificiale.

Oggi non solo i lavoratori non vogliono più fare la rivoluzione, ma si cospargono il capo di cenere.

Ma se recuperassimo un po' di lucidità, dovremmo chiederci se la catastrofe che stiamo attraversando sia semplicemente il frutto della nostra irresponsabilità, oppure faccia parte di un RESET, un azzeramento volontario da parte delle élite, di un sistema economico già fallito, proprio a causa delle élite stesse.

La risposta sta in una serie di libri, conferenze, dichiarazioni delle élite stesse e negli incontri del “World Economic Forum” di Klaus Schwab , dove viene detto chiaramente che niente di quello che sta avvenendo è casuale, ma è la realizzazione di un grande progetto.

Le opinioni più lucide in merito sono state da subito quelle che provengono dall'interno del sistema.

Nel mio caso ho trovato illuminanti gli interventi, all'inizio della pandemia, del banchiere Ettore Gotti Tedeschi, già a capo della finanza vaticana e di Catherine Austin Fitts, già collaboratrice dell'amministrazione Bush e successivamente personaggio di spicco della finanza internazionale.

In particolare, sin dall'inizio del Grande Reset, Austin Fitts è stata chiarissima.

La pandemia ed il Reset che ne è seguito avevano ed hanno lo scopo di salvare il dollaro.

 I lockdown hanno lo scopo di contenere l'inflazione, impedendo alle masse di spendere la grande liquidità immessa dalle banche centrali, per salvare le banche dal fallimento.

 In quanto alla crisi delle piccole e medie imprese, non si tratta di una sorta di evento naturale, ma dall'effetto di un piano ben preciso.

 Un reset economico per azzerare l'economia tradizionale, trasferendo ogni attività economica su internet.

 La digitalizzazione del sistema ha un duplice obiettivo:

trasferire tutta la ricchezza reale dalle piccole imprese alle multinazionali e rendere contestualmente possibile alle stesse il controllo dei dati di tutti i consumatori on line.

 Oggi i dati sensibili rappresentano una sorta di nuovo petrolio.

 Con questo Reset si ottiene contestualmente il passaggio di mano della ricchezza reale ed insieme l'accesso delle multinazionali al controllo totale dei consumatori.

Queste voci critiche sono confermate paradossalmente dai libri di Klaus Schwab sul Grande Reset, sulla 4ta Rivoluzione industriale e sulla nuova narrazione, che ci propongono gli stessi temi travestiti da utopia.

In breve, secondo Schwab la pandemia rappresenta un'occasione imperdibile per realizzare la sua utopia: l'agenda digitale e l'agenda verde.

Con l'agenda digitale l'uomo raggiungerà la fusione con l'intelligenza digitale.

 Con l'agenda verde finiranno tutte le attività umane che, emettendo C02, mettono a rischio il futuro del pianeta.

Ma - ammette Schwab - questo passaggio non sarà indolore.

 Cito le sue parole: “La storia è davvero a un punto di svolta, è l'inizio di uno sforzo di mobilitazione globale per radunare le nostre forze dietro questa grande iniziativa di ricerca. I sistemi energetici, alimentari e le catene di approvvigionamento saranno profondamente colpiti. Distruggeranno purtroppo un sacco di posti di lavoro. Il futuro è già qui. Sta arrivando come uno Tsunami”.

Alla fine, Critica e Utopia coincidono per dirci che il Grande Reset è alla base della distruzione programmata che stiamo vivendo.

Se ce lo dicono perché non ci crediamo?

Questa dissonanza cognitiva per cui il re gira nudo, ma nessuno è in grado di percepirne le nudità, nonostante l'evidenza, deve avere qualche spiegazione logica.

Il meccanismo per cui una cosa posta sotto gli occhi di tutti è più difficile da trovare di una cosa nascosta, rappresenta il soggetto di un famoso racconto di Poe:

“La lettera rubata”.

La lettera è stata nascosta al centro della scrivania, dove nessuno la cercherà.

 Il Grande Reset è al centro della scena ma nessuno è in grado di vederlo come importante, se non quanti vi partecipano attivamente.

Sono le 600 multinazionali aderenti al WEF ed iscritte alla sua piattaforma.

 Sono i capi di Stato la cui maggioranza, come ha dichiarato più volte Schwab, dipende dal WEF stesso, perché hanno in comune una formazione accademica conseguita alla scuola del WEF Young Global Leaders.

Leggere chi sono gli alunni di questa scuola lascia senza parole.

Tutta la politica passata e presente è stata creata lì.

Tony Blair, Angela Merkel, Sarkozy, Macron, Ursula Von Der Leyen, Justin Trudeau…

Ma anche i patron delle multinazionali come Gates e Bezos e testimonial dello spettacolo come Leonardo di Caprio si sono formati in questa scuola.

Un progetto di nuovo ordine mondiale esiste da tempo, ma la sua versione attuale, il Grande Reset, è estremamente più efficace per conseguirne gli scopi.

Di questo progetto si comincia a parlare nel dopoguerra, dove trova terreno fertile di propagazione a causa del rifiuto naturale della popolazione mondiale nei confronti del concetto stesso di guerra.

 Le orribili sofferenze sia fisiche che morali che hanno colpito l'umanità non devono mai più ripresentarsi.

In questo contesto l'utopia di un mondo senza guerra diventa patrimonio comune condiviso da tutti.

Nascono gli organismi internazionali: OMU, UNESCO, OMS, Fondo Monetario Internazionale.

 Essi debbono vigilare sulla pace e dettare legge agli stati con trattati internazionali.

 È opinione comune condivisa che la guerra sia scaturita dalla competizione tra stati.

 L'unico modo di eliminare guerre future sarebbe quello di eliminare gli stati e la competizione tra loro creando un unico stato mondiale con un unico governo, un'unica economia, un'unica amministrazione della giustizia, un'unica sanità ed un'unica religione universale.

Il Nuovo Ordine Mondiale non viene mai citato esplicitamente, ma viene presupposto da tutti.

Ma perché non si parla apertamente di Nuovo Ordine Mondiale?

Il Nuovo Ordine Mondiale rimane occulto al popolo perché, lungi da essere un'utopia valida per tutti, rappresenta invece i valori e gli interessi di quelle élite economiche che da sempre finanziano la guerra nel mondo e che, attraverso il debito contratto dagli stati, si sono impadronite delle banche centrali e dettano l'agenda agli stati stessi.

Gli stati dovrebbero basare la loro sovranità sulla moneta.

Avendo ceduto la sovranità monetaria alle banche, sono oggi le banche a dettare l'agenda mondiale e, attraverso strumenti finanziari come i grandi fondi di investimento, si fondono con le multinazionali di Silicon Valley. Black Rock, Vanguard e State Street detengono azioni delle multinazionali che, a loro volta, detengono azioni di quegli stessi fondi in un labirinto di intrecci indecifrabili.

Si dice che le élite coltivino sin dall'antichità il progetto del Nuovo Ordine Mondiale, ma questi discorsi sono troppo vasti da affrontare e finiscono per sconfinare nel mito.

Tuttavia, nel nostro passato prossimo, esiste una sorta di fondazione del Nuovo Ordine Mondiale databile e documentabile:

La Fabian Society.

La Fabian Society nasce in Inghilterra nel 1848 raggruppando i maggiori e più prestigiosi cervelli dell'epoca.

Appartengono alla Fabian Society: George Bernard Shaw, Virginia Woolf, la femminista Emmelin Pankhurst, il sessuologo Havelock Ellis.

 Per un periodo aderiscono alla Fabian anche Bertrand Russell e John Maynard Keynes.

 Tra questi illustri esponenti troviamo i fondatori della moderna fantascienza distopica:

 H.G Wells, Aldous Huxley, George Orwell, rispettivamente autori de “Il Nuovo Ordine Mondiale”, “Il Nuovo Mondo”, “1984” (non a caso data in cui cade il centenario di fondazione della Fabian Society).

Mi hanno sempre colpito le capacità profetiche di questi autori, nell'immaginare con così tanto anticipo la distopia del presente.

 Oggi viviamo in un regime apparentemente democratico che fonde insieme, perfettamente, il mondo nuovo con 1984.

Appartiene a “Il mondo nuovo” il transumanesimo, che è oggi l'obiettivo del Grande Reset, e a “1984” il mito del controllo totale delle élite sulle masse.

 Per lungo tempo mi sono chiesto come abbiano potuto questi scrittori immaginare con tanta lucidità e precisione quello che oggi è il nostro presente, ma rappresenta per loro un lontano futuro. In realtà la risposta era semplice: lo conoscevano.

 A testimonianza di ciò esiste una lettera di Huxley ad Orwell che chiarisce che non si tratta di semplice letteratura, ma di definire il modello di società futura.

Wells con le sue opere non è tanto uno scrittore di fantascienza, ma l'ideologo di quella cospirazione aperta per cambiare la società, che è titolo di un suo libro e che rappresenta il modello dell'attuale Reset.

 Huxley è, con la sua famiglia, il simbolo stesso dell'ingegneria sociale basata su una scienza adattata alla giustificazione ideologica del progetto.

 Tutta la famiglia Huxley si compone di filantropi eugenisti.

Il nonno, Thomas Henry Huxley era chiamato “il mastino di Darwin”, per la sua difesa ed imposizione del Darwinismo Sociale, sulla base della teorizzazione della sopravvivenza del più adatto.

 Il fratello Julian fu insieme fondatore riconosciuto del Transumanesimo e dell'Unesco.

 E lo statuto dell'Unesco rivela le sue radici transumanistiche.

Orwell fu allievo di Huxley e fu invitato da lui ad aderire al fabianesimo.

Dopo averne conosciuto la vera natura, Orwell scrisse 1984 come un monito per le generazioni future.

Non a caso è visibile su YouTube la sua ultima intervista, dove descrive il futuro come uno stivale militare che calpesta per sempre un volto umano.

Nel 2006 Tony Blair ritrovò una finestra di vetro colorato appartenente alla Fabian Society e ne curò l'installazione e l'inaugurazione nella London School of Economics, che dei fabiani è l'università riconosciuta.

Non a caso alla London School hanno studiato personaggi italiani come Prodi, Draghi, D’Alema, ma anche Speranza, ministro della Sanità della pandemia.

La vetrata è estremamente eloquente.

Al centro, due illustri personaggi della Fabian, dotati di mazze, distruggono e ristrutturano un mappamondo che rappresenta la terra.

Al centro in uno stemma è rappresentato il simbolo della Fabian Society:

 un lupo vestito da agnello.

Il termine Fabian è collegato al personaggio di quinto Fabio Massimo il temporeggiatore che seppe vincere la guerra, non in campo aperto, ma aspettando con pazienza infinita l'occasione migliore.

 Il volto dell'agnello è la copertura apparentemente socialista con cui le élites si rivolgono al popolo in veste filantropiche.

Infine, il lupo è la vera essenza del progetto eugenetico che muove la grande utopia/distopia.

 Utopia per la élite che vogliono un mondo spopolato dalle plebi e sotto il loro controllo, distopia per le plebi date in pasto al lupo.

Non è casuale che tutte le utopie / distopie che ho citato, come “Il Mondo Nuovo” o “1984” e persino l'utopia esposta da Casaleggio nel suo film documento “Gaia”, si aprano con uno scenario comune:

dopo guerre e catastrofi la popolazione umana si è drasticamente ridotta, secondo un imperativo filantropico che faceva bella mostra di sé, inciso su uno dei pilastri del monumento detto Georgia Guidestones, recentemente e misteriosamente distrutto.

Il senso di queste grandi narrazioni è uno solo: convincere le vittime designate che il lupo, che si rivolge loro sotto le vesti di agnello, appartiene al gregge e vuole solo il loro bene.

Se il nuovo ordine mondiale è un'astratta utopia, la piattaforma del WEF è una macchina operativa veloce ed implacabile.

Nessuno si è forse posto il problema della completa sincronia con cui le fasi della pandemia sono state coordinate e pianificate, sino alla sorprendente coincidenza di termini e di concetti nei discorsi programmatici dei capi di Stato di tutto il mondo.

La piattaforma online del WEF non solo è accessibile in qualsiasi momento, ma ha “stanze” virtuali in cui gli aderenti possono consultarsi in tempo reale, coordinando le azioni su scala mondiale e prendendo decisioni immediate sui destini dell'umanità.

Il paradosso è che, a parte queste stanze riservate, la piattaforma WEF sia aperta a tutti ed apparentemente “trasparente”.

Tutti potrebbero visitarla, ma nessuno lo fa perché nessuno crede nella sua esistenza.

La gente comune perché manipolata da una propaganda incessante promossa dai media “mainstream”, i cosiddetti intellettuali perché vittime invece proprio della loro formazione accademica che li porta a condividere i valori del nuovo ordine mondiale,  senza comprenderne pienamente il significato.

 Secondo Jacques Ellul, che fu il primo critico francese ad esaminare il concetto di propaganda, il presupposto per recepire la propaganda è proprio l'istruzione.

Chi esce dalle scuole delle élite in particolare, identifica nel loro pensiero il bene ed il vero, anche se non appartiene alla élite stesse.

Si candida, inconsciamente, a diventare una sorta di maggiordomo dei potenti, sulla base di valori che ritiene di condividere.

Il problema del potere è stato il tema centrale del dibattito politico del 900.

Secondo la filosofia del 900, esiste una sorta di equazione tra potere e sapere.

 Il potere è invisibile e gestito collettivamente attraverso la condivisione di schemi cognitivi e di comportamento che fanno sì che il potere sia in qualche modo fatto funzionare da tutti.

Il potere siamo noi.

Proprio per questo il potere è invisibile.

 L'immagine del potere che ne scaturisce genera in qualche modo rispetto.

Sfugge, a questa critica del potere e ai suoi eredi di oggi, l'idea che tutto questo sapere possa essere simulazione, come nel caso del Mago di Oz, un personaggio che recita il potere e che riesce così ad esercitare il potere.

Nessuno può credere oggi a un complotto del potere, perché il potere perderebbe sacralità e rispetto.

 Si preferisce pensare che non esista la realtà e i documenti che smentiscono quello che è oggi il feticcio del sapere: un'improbabile scienza basata su un atto di fede.

(Carlo Freccero)

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