LE GUERRE DELLE ELITE.
LE
GUERRE DELLE ELITE.
La
Russia sopravviverà fino al 2084?
Lindro.it
– (29-12- 2022) – Philip Wasielewski – ci dice:
(Philip
Wasielewski / FPRI- ex direttore della CIA -Usa)
Una
domanda che si concentra sulle future relazioni estere e sull'integrità
territoriale della Russia.
Ecco
la risposta.
La
Russia sopravviverà fino al 2084?
I lettori potrebbero riconoscere la domanda
come un’allusione allo storico saggio del 1969 di Andrei Amalrik, “L’Unione Sovietica sopravviverà fino
al 1984?”,
che a sua volta era un’allusione al famoso romanzo di Orwell.
Come
per la domanda di Amalrik sul futuro dell’Unione Sovietica, questa domanda si
concentra sulle future relazioni estere e sull’integrità territoriale della
Russia. Prevede che una sconfitta russa in Ucraina potrebbe provocare un caos
in Russia, uguale o maggiore di quello sperimentato quando cadde l’Unione
Sovietica.
Ciò
aggraverà un processo in corso in cui Cina, Turchia, Unione Europea e NATO
stanno sostituendo la Russia come centri gravitazionali di influenza per il suo
cosiddetto “vicino all’estero” nell’Europa orientale, nel Caucaso e nell’Asia
centrale.
I disordini interni possono anche servire da
catalizzatore per la disintegrazione di parti della Russia simile alla
dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Sebbene la Russia sia una civiltà millenaria e
non possa dissolversi come ha fatto l’Unione Sovietica basata sull’ideologia,
come stato multinazionale può rimpicciolirsi.
Come
risultato di una combinazione di sconfitta militare, caos politico interno,
malessere economico e continuo declino demografico, i confini della Russia
potrebbero implodere al punto da assomigliare a quelli della fine del XVI
secolo, noto in Russia come il periodo dei guai.
L’attuale
guerra russo-ucraina contiene molte incognite, dal possibile uso di armi
nucleari alla fine del conflitto.
Quello che sappiamo ora è che la guerra è
stata un disastro militare per la Russia. Nel corso della storia russa, i
disastri militari sono solitamente seguiti da rivoluzioni e/o da un cambio di
leadership.
Non
c’è motivo di credere che questa guerra sarà un’eccezione.
Per citare
solo un esempio, la rivoluzione russa del febbraio 1917 fu innescata da una
combinazione di privazione economica e disfattismo militare.
Ci
sono forti parallelismi tra quell’evento e la situazione attuale della Russia.
L’inizio
del 2014 è stato probabilmente il punto più alto del governo di Vladimir Putin.
Il
prodotto interno lordo dell’anno precedente era di 2,3 trilioni di dollari, le
Olimpiadi invernali di Sochi si erano concluse con successo e l’annessione
illegale della Crimea da parte di Putin fece salire alle stelle il suo indice
di gradimento.
Tuttavia,
la Crimea si è rivelata un calice avvelenato. La sua annessione e l’intervento
della Russia nelle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk hanno portato a
sanzioni internazionali che, insieme al calo dei prezzi del petrolio, hanno
ridotto di un terzo il prodotto interno lordo della Russia entro il 2020.
Di conseguenza, il tenore di vita della Russia
è diminuito precipitosamente con un forte calo del reddito personale
disponibile, ritorno dell’inflazione dell’era di Boris Eltsin e scarsità di
prodotti alimentari di base.
Altri fattori come la corruzione endemica, la
fuga di capitali e un livello irrisorio di investimenti esteri diretti prima
della guerra si sono aggiunti al pantano economico che esisteva già prima della
seconda invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.
Di
solito, le economie in tempo di guerra devono scegliere tra pistole e burro;
L’economia russa si sta ora deteriorando al punto che sarà difficile rifornire
entrambi.
Da quando Putin ha re invaso l’Ucraina nel
febbraio 2022, sanzioni più severe hanno ulteriormente ridotto l’economia
russa, in particolare il suo settore militare-industriale.
Le sanzioni sull’esportazione di tecnologia a
duplice uso hanno causato gravi interruzioni nelle industrie della difesa che
producono munizioni guidate di precisione, aerei da combattimento e veicoli
corazzati.
Un
danno simile è stato arrecato alle esportazioni di energia della Russia, la
principale fonte di reddito per il governo.
La Russia ha perso il suo mercato del gas in
Europa e il prossimo anno perderà la maggior parte del suo mercato petrolifero,
mercati che non possono essere sostituiti dalla domanda asiatica a causa
dell’ubicazione della maggior parte dei giacimenti di petrolio e gas della
Russia e dell’orientamento prevalentemente occidentale della maggior parte dei
suoi sistemi di condotte per idrocarburi.
Il commercio al dettaglio interno della Russia
è in gran parte crollato, non può importare un’ampia gamma di beni occidentali,
dalle sofisticate attrezzature di perforazione per attingere a nuove riserve
energetiche sotto l’Oceano Artico, alla tecnologia dei microchip necessaria non
solo per le armi avanzate ma anche per una moderna economia domestica.
La
debolezza economica interna è rispecchiata dalla disfunzione militare sul campo
di battaglia.
Le perdite di manodopera russa ora superano i
100.000.
Questa
cifra supera le circa 48.000 vittime che l’Unione Sovietica (con il doppio
della popolazione russa) ha subito in Afghanistan in un periodo di dieci anni
negli anni ’80.
Queste
perdite sono quasi catastrofiche considerando che il numero di truppe russe
regolari che hanno invaso l’Ucraina a febbraio era forse di 190.000.
Le
cifre sulle vittime devono anche essere considerate nel contesto delle
dimensioni relativamente ridotte delle forze di terra russe.
All’inizio della guerra, l’esercito regolare
russo contava 280.000 soldati con circa 20.000 riserve organizzate.
Le forze aviotrasportate avevano circa 40.000
paracadutisti.
Circa
35.000 fanti navali erano assegnati alle quattro flotte e una flottiglia della
Russia e circa 4.000 commando Spetsnaz erano nel suo comando delle operazioni
speciali.
A
questo numero si potrebbero aggiungere circa 40.000 miliziani nelle milizie
della Repubblica popolare di Donetsk e Luhansk.
Anche
questo aggregato di poco più di 400.000 uomini deve essere trattato con
scetticismo poiché i comandanti corrotti hanno gonfiato il numero delle truppe.
Quelle
forze di terra iniziali, indipendentemente dalle loro dimensioni, hanno subito
perdite sostanziali da Kiev a Mariupol tra febbraio e aprile.
Tuttavia,
il loro più grande calvario fu nel Donbas, dove furono scambiate orribili
vittime per catturare poche centinaia di chilometri quadrati di territorio
strategicamente insignificante.
Putin
ha distrutto gran parte del suo esercito in questi combattimenti e ora deve
mantenere le conquiste territoriali con i resti del suo esercito regolare e un
numero crescente di coscritti mal addestrati (o addirittura non addestrati) e
immotivati.
Mentre
i morti e i feriti possono essere sostituiti, i problemi militari russi di
leadership, logistica e morale rimangono.
Eserciti
di soldati mal equipaggiati, arruolati, guidati da ufficiali corrotti e mal
riforniti raramente, se non mai, vincono le guerre.
Tuttavia,
spesso si ammutinano.
I
fattori sopra descritti assomigliano a ciò che portò all’ammutinamento
dell’esercito russo nel 1917, meno l’agitazione bolscevica.
Le
scene militari nel film classico di David Lean “Doctor Zhivago” forniscono uno
spaccato di come appare un tale esercito e di come può disintegrarsi.
Alla
combinazione destabilizzante di un’economia moribonda e di una situazione
militare vacillante si aggiungono le tensioni tra le élite dominanti e la
disillusione tra i propagandisti del regime.
È
iniziato il dito puntato tra i comandanti militari regolari della Russia e i
suoi comandanti militari “irregolari”, Yevgeny Prigozhin e Ramzan Kadyrov, con
i successivi che accusano specifici generali di incompetenza militare e il
Ministero della Difesa organizza campagne di pubbliche relazioni per mostrare
ai generali anziani il controllo della situazione.
Ci
sono anche segnalazioni di dito puntato e litigi tra i servizi di sicurezza
interna (FSB) e di intelligence militare (GRU) della Russia sulla responsabilità
delle operazioni ucraine.
In
Russia, le increspature superficiali dei conflitti all’interno delle élite
suggeriscono correnti più profonde e invisibili che dividono il governo sulla
guerra.
Anche
l’opinione pubblica russa, destinata a essere modellata dai propagandisti
statali, può riflettere tali divisioni a scapito dell’unità nazionale in tempo
di guerra.
La
televisione russa, il principale mezzo per influenzare l’opinione pubblica,
potrebbe effettivamente rafforzare il disfattismo e la disunione nei suoi
messaggi e messaggeri.
Le
trasmissioni di stato russe hanno gettato benzina sul fuoco della disperazione
pubblica dopo la controffensiva ucraina, riecheggiando appelli all’esecuzione o
al suicidio di alti ufficiali per la cattiva condotta della guerra e alla
ricerca di traditori da incolpare per le recenti sconfitte.
Queste
trasmissioni sembrano essere una versione moderna del famoso discorso del
membro della Duma Pavel Miliukov nel 1916.
Mentre
criticava la condotta del governo russo di un’altra guerra, Miliukov chiedeva
dopo ogni denuncia dell’inettitudine del governo:
“Questa è stupidità o è tradimento?”, e ha
risposto alla sua stessa domanda dichiarando: “Scegli uno dei due, le
conseguenze sono le stesse”.
Evidenziare
l’incompetenza del governo o il presunto tradimento nella ricerca di capri
espiatori può essere controproducente.
Come il discorso di Miliukov, che contribuì a
mettere in moto eventi che contribuirono alla rivoluzione del febbraio 1917, la
messa in onda notturna di lamentele da parte di commentatori come Vladimir
Solovyov e Margarita Simonyan può minare la legittimità del regime che i media
statali dovrebbero proteggere.
Di
certo non ha aiutato a “vendere” la mobilitazione della Russia dal momento che
il doppio dei giovani è fuggito dal Paese rispetto a quanto si è presentato in
servizio.
Le
difficoltà economiche, le sconfitte militari e il crescente pessimismo
condiviso dallo stato e dai social media stanno sgretolando la facciata di
invulnerabilità del regime.
Al
centro di questo calderone militare, economico e informativo siede Putin, che
ha governato la Russia, direttamente o indirettamente, per oltre due decenni,
il periodo di governo più lungo dai tempi di Stalin.
Tuttavia,
il sistema politico che ha creato è per oggi e non per domani.
In
altre parole, è più forte in quelle caratteristiche per mantenere il potere e
più debole in quelle caratteristiche per trasferire il potere.
Questo
non è insolito, poiché oltre 250 anni di storia russa hanno dimostrato che le
transizioni di leadership sono pericolose, irte di omicidi, colpi di stato,
tentativi di colpo di stato ed eventi medici “curiosi”.
Nel
1762, un colpo di stato militare rovesciò e in seguito uccise lo zar Pietro III
in favore di sua moglie, che divenne Caterina la Grande.
Il
figlio di Caterina, Paolo I, fu assassinato da due ufficiali dell’esercito
durante una rivolta di palazzo, che pose sul trono Alessandro I nel 1801.
Alla morte di Alessandro I, il trasferimento
del potere monarchico al fratello minore, Nicola I, fu quasi annullato da un
tentato colpo di stato militare durante la rivolta decabrista nel 1825.
Nicola
I morì di quello che alcuni definiscono un suicidio passivo rifiutando il
trattamento per la polmonite in seguito ai disastri militari della guerra di
Crimea nel 1855.
Suo
figlio, Alessandro II, fu assassinato da un anarchico -terroristi nel 1881.
Nicola
II resistette a malapena alla rivoluzione del 1905 dopo la sconfitta della
Russia nella guerra russo-giapponese.
Abdicò
dopo la rivoluzione del febbraio 1917 e fu assassinato con la sua famiglia dai
bolscevichi nel 1918 durante la guerra civile russa.
Lenin
morì nel 1924 per complicazioni dovute a un ictus, anche se le teorie del
complotto sostengono che Stalin lo abbia avvelenato per accelerare la
successione.
Stalin
morì di ictus nel 1953;
anche
se alcuni ipotizzano che sia stato avvelenato da Lavrentiy Beria, il capo della
polizia segreta sovietica.
Beria
fu arrestato e giustiziato nello stesso anno e il vincitore finale della lotta
per il potere post-Stalin, Nikita Khrushchev, fu rovesciato in un colpo di
stato del 1964 orchestrato da Brezhnev e sostenuto dai militari e dal KGB.
L’ultimo leader dell’Unione Sovietica, Mikhail
Gorbaciov, fu quasi deposto da un tentativo di colpo di stato militare nel
1991.
Durante
quel colpo di stato, un giovane capitano, Sergey Surovikin, comandò una
compagnia di carri armati che uccise tre manifestanti, un crimine per il quale
fu arrestato ma mai condannato.
Oggi,
il generale Sergey Surovikin comanda tutte le forze russe in Ucraina.
Tali
eventi potrebbero ripetersi?
Il
mandato di Putin termina nel 2024 e, secondo la costituzione russa, può
ricandidarsi per altri due mandati di sei anni.
La costituzione prevede che un presidente
possa lasciare l’incarico tramite dimissioni, impeachment o “persistente
incapacità per motivi di salute di esercitare i poteri che gli sono stati
conferiti”.
Non
spiega come viene presa questa determinazione.
Dopo la rimozione di un presidente, il primo
ministro diventa presidente ad interim e le elezioni presidenziali devono aver
luogo entro 90 giorni.
Tuttavia,
nella Russia di Putin, la costituzione è meno un quadro di ferro per il governo
e più spesso una struttura simile a Potëmkin per fornire una facciata di
legittimità alle azioni unilaterali del Cremlino.
Sotto Putin, inoltre, non c’è mai stata un’elezione
legittimamente contestata, dato che le risorse statali sono sempre state a sua
disposizione per garantire la vittoria.
Se
Putin dovesse morire improvvisamente per cause naturali, il Cremlino dovrebbe
decidere rapidamente chi governerà il regime e mobilitare le risorse statali
durante la guerra per “gestire la democrazia” attraverso nuove elezioni.
Chi
sarebbe il candidato per accettare questo lavoro? Ancora più importante, chi lo
vorrebbe?
Putin,
come la maggior parte dei dittatori, ha creato un sistema in cui non esiste un
chiaro successore ma molti gruppi di rivali in conflitto.
Il
detto russo “il Cremlino ha molte torri” intende descrivere la costante faziosità della
politica del governo.
Il
bilanciamento di Putin tra conflitti e appetiti di fazioni, di solito
finanziari, gli fornisce sia potere su questi gruppi che protezione da essi.
Bilanciare
gli interessi finanziari delle fazioni continua anche in tempo di guerra ed è
una faccenda seria se i recenti omicidi di alti dirigenti energetici russi sono
qualcosa su cui basarsi.
Il successore di Putin dovrebbe assicurare
alle élite del Cremlino di poter compiere la stessa missione.
Se ci
fosse un candidato consensuale che potesse soddisfare le varie fazioni –
militari, sicurezza e intelligence, gas e petrolio, finanza, ecc. – che le loro
posizioni, ricchezze e famiglie erano sicure, questo sarebbe molto
stabilizzante per la Russia.
È
anche improbabile che accada a causa della guerra contro l’Ucraina.
Poche
fazioni del Cremlino sono state consultate da Putin sull’invasione dell’Ucraina
e la maggior parte ne è rimasta sorpresa.
Coloro
che offrivano anche la minima preoccupazione prima della guerra sono stati
umiliati da Putin alla televisione di stato.
Successivamente, sia le élite che la società
in generale hanno subito le conseguenze economiche delle sanzioni
internazionali.
L’esercito
ha subito sconfitte da Kyiv a Kharkiv a Kherson. Se l’Ucraina dovesse recuperare la
Crimea, sarebbe la più grande sconfitta militare della Russia dalla prima guerra
mondiale.
La
sconfitta avrà molti gruppi che chiedono responsabilità: ufficiali militari che
deviano la colpa;
soldati medi che cercano vendetta per le loro
sofferenze;
e le
famiglie che hanno perso i propri cari o ora devono prendersi cura dei loro
feriti.
La
società russa sarà arrabbiata per una guerra persa e un’economia in rovina.
Se la
vittoria ha cento padri e la sconfitta è un orfano, il nome di quell’orfano
sarà Vladimir Vladimirovich Putin.
Pertanto,
Putin potrebbe affrontare rivolte pubbliche in cerca di un cambio di regime o
un colpo di stato di palazzo nel tentativo di placare l’indignazione pubblica
con la leadership o un cambio di regime, in modo che le élite del Cremlino non
perdano la loro ricchezza e sicurezza.
Potrebbe
avere successo?
Putin
ha in parte “messo a prova di colpo di stato” il suo regime non avendo un
chiaro successore e usando tattiche di divide et impera tra le élite del
Cremlino.
Come
un signore medievale, Putin ha anche più servitori armati proprio per queste
occasioni.
Nel
2016, Putin ha separato le forze paramilitari dal Ministero degli Affari
Interni per creare la Guardia Nazionale (Rosgvardia) comandata dal fedelissimo
Viktor Zolotov.
Tra le
altre funzioni, Rosgvardia funge da contrappeso a qualsiasi intrigo di palazzo
dell’FSB e del Ministero degli affari interni al di là delle capacità delle
guardie del corpo di Putin nel Servizio di protezione federale.
Durante
un colpo di stato, Putin potrebbe anche chiedere sostegno alla compagnia
militare privata di Prigozhin, la Wagner, e alle truppe cecene fedeli a
Kadyrov.
Tuttavia,
la loro sicurezza può essere illusoria.
Rosgvardia
ha sofferto tanto in combattimento quanto l’esercito regolare.
Kadyrov
potrebbe fare il doppio gioco aspettando che l’esercito si indebolisca
ulteriormente e poi colpire per il potere con quella che potrebbe essere la più
grande forza militare intatta della Russia.
L’esercito regolare, come notato, ha dei conti
da regolare con il Cremlino poiché le fazioni dell’FSB potrebbero essere capro
espiatorio per i loro fallimenti in Ucraina.
Altre
forze, armate, irregolari e illegali, possono partecipare ad azioni
antigovernative a proprio vantaggio o vendetta.
Oltre
alle consolidate bande criminali organizzate in Russia, potrebbero sorgere
nuove bande incentrate su ex soldati scontenti e unità mercenarie reclutate
direttamente dalla prigione.
Un gruppo di soldati insoddisfatti ha già
disertato con le armi da Kherson in Crimea.
Cosa succede all’ordine interno se questo
viene amplificato mille volte dal crollo dell’esercito russo?
Anche
se un colpo di stato rimuovesse Putin dal potere, il suo leader o i suoi leader
sarebbero in grado di bilanciare le fazioni in competizione, comprese quelle
armate, come fece una volta Putin?
Non c’è alcuna promessa che altri elementi
armati accetterebbero la legittimità di un colpo di stato e non cercherebbero
di prendere il potere da soli.
Se Putin sopravvive a un tentativo di colpo di
stato e raccoglie sostenitori, che dire allora della lealtà dei vari gruppi
armati in Russia?
Dal
colpo di stato alla guerra civile il passo potrebbe essere breve, con varie
fazioni in lotta in tutta la Russia.
In
effetti, mai come oggi la Russia è stata inondata da così tante unità armate
(militari, paramilitari, di polizia, private).
Un
grave disordine interno potrebbe disgregare parti della Russia, in particolare
le sue repubbliche etniche.
Nel
1991, quando tutte le repubbliche socialiste sovietiche hanno lasciato l’Unione
Sovietica, hanno lasciato in Russia ventuno repubbliche autonome non slave,
ciascuna con la propria costituzione, capitale e lingua nazionale.
La
repubblica autonoma cecena ha tentato senza successo di separarsi dalla Russia
dopo due sanguinose guerre.
Ciò ha
impedito ad altre repubbliche etniche di provare a seguire il suo esempio.
Se in
Russia si verificasse un crollo dell’ordine pubblico, persino una guerra
civile, dopo una sconfitta in Ucraina, la Cecenia e le altre repubbliche
potrebbero essere motivate a riprovare?
La
motivazione principale per i movimenti di indipendenza è il nazionalismo, la
convinzione che un popolo distinto dovrebbe avere il proprio stato-nazione
sovrano.
Il nazionalismo rimane forte tra i molti
gruppi etnici della Russia ed è visibile dalle guerre cecene alle scaramucce
regolari tra le repubbliche autonome e Mosca sull’istruzione, le lingue
nazionali, l’estensione dell’autogoverno e il controllo sulle risorse naturali
indigene.
La guerra in Ucraina ha portato a proteste in
molte repubbliche autonome per la mobilitazione e le elevate perdite tra i
russi non etnici.
Per
quanto motivate, è improbabile che sorgano repubbliche etniche senza la fiducia
di poter sopravvivere economicamente e di non essere schiacciate da Mosca.
Geograficamente,
sette repubbliche del Caucaso settentrionale con circa sette milioni di
abitanti e risorse energetiche di petrolio, gas e carbone, hanno confini
contigui alla Georgia e/o all’Azerbaigian, e un’altra repubblica, Kalmykia, è
contigua a questo raggruppamento.
Altai,
Tuva (precedentemente indipendente dall’Unione Sovietica fino al 1944) e
Buriazia sono contigui con la Mongolia e Khakassia è contigua con loro.
Una
costellazione di repubbliche autonome contigue nel distretto federale russo del
Volga, Mordovia, Chuvashia, Maria El, Tatarstan, Udmurtia e Bashkortostan. Il Tatarstan e il Bashkortostan hanno riserve
di petrolio e gas, sono ricchi di metalli ferrosi e non ferrosi e il Tatarstan
è fortemente industrializzato.
Pertanto, molte repubbliche – da sole, in
federazioni o confederazioni – potrebbero accedere all’economia mondiale con il
potenziale industriale e/o le risorse naturali per sostenere la loro indipendenza.
Come è
successo in passato, il raggiungimento dell’indipendenza dipenderà in gran
parte dal livello di caos di Mosca e dalla sua volontà e capacità di
ristabilire l’ordine.
Nel dicembre 1989, un giovane ufficiale del
KGB nella Germania dell’Est chiese ai suoi superiori indicazioni su cosa fare
dopo la caduta del muro di Berlino.
“Non ci sono ordini da Mosca”, gli è stato
detto, “Mosca tace”.
Il giovane ufficiale era Vladimir Putin.
Se
Mosca tornerà a tacere, alcune repubbliche etniche potrebbero raggiungere
l’indipendenza.
Cecenia
e Tatarstan hanno già governi in esilio.
Se la
Cecenia proverà di nuovo a separarsi e avrà successo, sarà un esempio per gli
altri.
Mentre
Kadyrov si concentra su Ucraina e Mosca, i ribelli ceceni, dentro e fuori la
Russia, continuano la loro lotta.
Kadyrov
potrebbe affrontare lo stesso pericolo di Putin se le sue forze fossero
decimate in Ucraina e il popolo volesse vendicarsi per una guerra persa.
Molti
ceceni vorranno anche vendicarsi per il suo ruolo di brutale Quisling russo.
La possibilità di repubbliche separatiste non
è un punto teorico per Mosca, che ha già accusato gli Stati Uniti di fomentare
il separatismo etnico per far crollare la Russia proprio come l’Unione
Sovietica.
Mosca comprende che sarà difficile riaffermare
il potere in repubbliche irrequiete con un esercito distrutto e servizi di
sicurezza indeboliti.
Mentre
la guerra in Ucraina potrebbe non portare le repubbliche autonome a liberarsi
dalla Russia, il Cremlino sta già perdendo influenza nelle ex repubbliche
sovietiche del Caucaso e dell’Asia centrale.
La
Russia ha ritirato la maggior parte dei suoi uomini e attrezzature dalle
guarnigioni e dalle basi dell’Estremo Oriente che forniscono sicurezza in
Tagikistan, Armenia, Ossezia del Sud e Abkhazia, per sostenere la guerra.
Come
le legioni di Roma che lasciarono il Vallo di Adriano nel IV secolo, sono
necessarie più vicine al centro dell’impero.
I
ritiri militari della Russia hanno già sconvolto la geopolitica regionale.
Nel
giugno 2022, il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev, parlando
accanto a Putin alla Conferenza economica di San Pietroburgo, ha annunciato che
il Kazakistan non ha sostenuto la guerra con l’Ucraina né ha riconosciuto le
enclavi separatiste di Donetsk e Luhansk.
In un
vertice del Commonwealth degli Stati indipendenti nell’ottobre 2022, il
presidente Emomali Rahmon del Tagikistan ha regolato i vecchi conti coloniali
con la Russia ammonendo pubblicamente Putin sulla mancanza di rispetto della
Russia per il suo paese.
Queste
parole forti hanno fatto eco ad azioni ancora più forti nelle ex repubbliche
sovietiche, compresi gli scontri al confine tra Kirghizistan e Tagikistan, e
tra l’Azerbaigian e l’Armenia che includevano la conquista di più territorio da
parte dell’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh.
Dove
un tempo diplomatici e soldati russi si sarebbero rapidamente trasferiti
Consideriamo
la riunione dell’ottobre 2022 dell’Organizzazione per la cooperazione di
Shanghai a Samarcanda, in Uzbekistan.
Le
figure dominanti in quell’incontro erano il presidente cinese Xi Jinping e il
presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con Putin relegato a essere un
supplicante di aiuti o un capro espiatorio per la sua guerra in Ucraina.
Questo
drammatico cambio di potere è stato evidenziato pochi giorni prima della
riunione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, quando Xi ha
visitato il Kazakistan e ha parlato della sua integrità territoriale, che gli
esperti russi, i legislatori e persino Putin nel 2014 hanno minacciato.
Xi, in un monito diretto alla Russia, ha
affermato che “non importa come cambia la situazione internazionale, la Cina
sosterrà sempre il Kazakistan nel mantenere la sua indipendenza nazionale,
sovranità e integrità territoriale”.
Con
quelle ventuno parole, Xi ha segnalato che la Cina era ora un arbitro delle
questioni di sicurezza dell’Asia centrale e aveva il potere di sostenere i
propri interessi.
Allo
stesso modo, l’aiuto della Turchia all’Azerbaigian per sconfiggere l’Armenia
sostenuta dalla Russia ne ha fatto un arbitro delle questioni di sicurezza del
Caucaso meridionale.
La
presenza di Xi ed Erdogan a Samarcanda è stata il riconoscimento cerimoniale di
questa realtà e che l’egemonia illimitata della Russia nel suo vicino estero
era finita.
L’affermazione
della Cina dei suoi interessi di sicurezza in Asia centrale è stata
un’umiliazione per la Russia.
Tuttavia,
Mosca deve chiedersi se Pechino si accontenterà dell’egemonia o se ha maggiori
ambizioni basate su una storia sino-russa costellata di conflitti territoriali?
Per
due secoli, la Cina ha parato i tentativi russi di raggiungere la valle del
fiume Amur fino a quando l’equilibrio di potere tra i due imperi non è cambiato
e il Trattato di Aigun del 1858 e la Convenzione di Pechino del 1860 hanno
riconosciuto il controllo russo sulla riva sinistra dell’Amur e sulla
terraferma, nota come Provincia Marittima.
I
conflitti territoriali continuarono, di solito a spese della Cina, con la
coercizione della Russia alla Cina nel 1898 per affittare Port Arthur, il ruolo
della Russia nella soppressione della ribellione dei Boxer, il conflitto
sino-sovietico del 1929 sulla ferrovia orientale cinese, l’incursione sovietica
del 1934 nello Xinjiang per sostenere un signore della guerra separatista e la
scissione sino-sovietica che accelerò gli scontri al confine del 1969.
A
questa storia si aggiunge la realtà che il governo del Partito Comunista Cinese
è ora legittimato dall’ultranazionalismo, che enfatizza la riconquista delle
terre perdute durante il “secolo dell’umiliazione”, vice marxista-leninismo.
Mentre
l’enfasi attuale è su Taiwan, anche ai tempi di Mao, Pechino sosteneva che i
“trattati ineguali” con l’Impero russo che lo costringevano a cedere quasi un
milione di miglia quadrate di territorio necessitassero di una rinegoziazione –
una richiesta che Mosca respinse.
Questo
problema potrebbe ripresentarsi?
E se la Cina venisse respinta in una guerra
per Taiwan e rivolgesse la sua attenzione a nord per salvare la faccia?
E se
conquista Taiwan e poi decide di annullare l’ultimo dei “trattati ineguali?”
La vera Trappola di Tucidide del 21° secolo (di una potenza emergente che
minaccia di sostituire una grande potenza consolidata) potrebbe essere un conflitto tra
Russia e Cina sulle risorse siberiane invece di un conflitto tra Cina e Stati
Uniti sull’egemonia del Pacifico, o forse entrambi?
Se la
Russia affronta una Cina revanscista, si troverà ostacolata da debolezze
demografiche ed economiche.
Mentre
la popolazione cinese diventerà grigia nel 21° secolo a causa della sua
precedente politica del figlio unico, manterrà comunque un vantaggio
demografico di 10:1 sulla Russia.
La popolazione in declino della Russia è una
debolezza strategica, ma lo è anche il luogo in cui si trova o non si trova
quella popolazione.
La
popolazione del Distretto Federale dell’Estremo Oriente russo è di circa otto
milioni, ovvero meno del 6% della popolazione totale della Russia.
Questo
è un vuoto demografico vicino alla Cina, un’enorme massa demografica.
In
sostanza, è in corso un esperimento geopolitico per determinare quanti pochi
russi possono vivere in questa regione e farla rimanere territorio russo.
Alle
sfide demografiche per la sicurezza nazionale si aggiunge l’enorme disparità
tra le capacità economiche russe e cinesi.
Nel 2021, la Cina aveva la seconda economia
mondiale e la Russia l’undicesima. Le stime del calo del prodotto interno lordo
della Russia nel 2022 a causa della guerra in Ucraina vanno da una a due cifre.
Qualunque
sia il risultato, il prodotto interno lordo della Russia diminuirà fino a
quando le sanzioni non saranno revocate.
Anche
allora, non può riprendersi presto per eguagliare la potenza economica cinese,
dando a Pechino un vantaggio militare convenzionale su Mosca.
Inoltre,
poiché la capacità nucleare della Cina raggiunge la parità con quella della
Russia, inclusa una capacità di secondo attacco, Mosca potrebbe non essere in
grado di dipendere dalle armi nucleari per scoraggiare il conflitto.
Ad
esempio, entrambe le parti nella seconda guerra mondiale avevano armi chimiche,
ma furono scoraggiate dall’usarle nonostante la natura esistenziale della
guerra.
Infine,
grazie alla politica estera di Putin, la Russia non può dipendere da alcun
alleato di rilevanza militare.
Facendo
la” bête noire” della Russia occidentale e invadendo l’Ucraina, Putin ha
precluso qualsiasi equilibrio geopolitico alle future minacce orientali.
Gli
stati democratici liberali occidentali possono muoversi per contrastare
l’aggressione cinese contro la Taiwan democratica, ma non hanno alcun incentivo
a farlo per una Russia che ha rifiutato l’Occidente e ha invaso e saccheggiato
un paese che desidera unirsi alle sue istituzioni.
Quindi,
la Russia sopravviverà fino al 2084?
A dire
il vero, lo scenario delineato in questo articolo per il futuro della Russia
appare fosco.
In primo luogo, la sconfitta in Ucraina porta
al caos politico e forse alla guerra civile, consentendo ad alcune repubbliche
autonome di separarsi e accelerando la perdita dell’egemonia della Russia in
Asia centrale, nel Caucaso e nell’Europa orientale.
Man
mano che l’economia e la demografia della Russia si indeboliscono, le sue
capacità militari si riducono e i tradizionali rivali geopolitici si
rafforzano, la Russia sarà in grado di mantenere la sua massiccia integrità
territoriale o ridursi a dimensioni commisurate all’ultima volta che simili
disastri hanno colpito Mosca?
Una
domanda secondaria per la Russia è:
la
Cina vorrà una Russia intatta come vassallo debole, o l’estremo oriente della
Russia per sé?
Questo
è un quadro drastico sì, ma per il quale i politici dovrebbero pianificare.
Tali
eventi creerebbero crisi sul controllo delle armi nucleari e dilemmi sul
riconoscimento e il sostegno di nuovi stati indipendenti (di nuovo).
Cosa
dovrebbe fare Washington se i movimenti di indipendenza nelle repubbliche
autonome musulmane vengono dirottati dai terroristi salafiti come è successo in
Cecenia?
E se la Cina sviluppasse ambizioni
territoriali nell’estremo oriente della Russia?
E se
uno sforzo solo parzialmente riuscito per prendere il controllo del Cremlino
con la forza portasse a più fazioni armate che lottano per il controllo dello
stato, ognuna delle quali afferma di essere il governo legittimo della Russia?
Se la
sconfitta di Mosca in Ucraina riapre vecchie pagine della storia russa, allora
Washington dovrebbe prepararsi per un momento in cui qualcuno dirà:
“Mosca
tace”.
La
guerra delle
élite
in Kazkhstan
atlanteguerre.it
– Redazione – Ambra Visentin - (16 gennaio 2022) – ci dice:
Dopo i
moti di piazza repressi nel sangue è venuto il momento di fare i conti interni.
Cosa
c'è in ballo nel Paese ricco di fonti energetiche.
Il Presidente Kassym-Jomart Tokayev torna a promettere
di risanare il Paese ma i cittadini sembrano non credergli più.
“Al popolo kazaco” è il nome del fondo sociale
pubblico per lo sviluppo economico annunciato lo scorso 11 gennaio.
Queste
le sue parole:
“Grazie
al primo Presidente Elbasy (Leader della Nazione, titolo onorifico di Nursultan
Nazarbayev ndr), si è costituito nel Paese un gruppo di aziende molto
redditizie (…) credo che sia giunto il momento di rendere omaggio al popolo del
Kazakhstan e aiutarlo in modo sistematico e regolare”.
Una
dichiarazione che, secondo gli analisti, mira soprattutto a calmare gli animi
dei cittadini, ancora sconvolti dalla violenza esercitata in gran parte su
civili disarmati.
Secondo
le stime, (oltre a 225 vittime ufficiali) i danni delle proteste avvenute in
Kazakhstan ad inizio gennaio potrebbero ammontare a 2 o 3 miliardi di dollari.
Tokayev
si dichiara intenzionato a colpire le élite economiche del Paese arricchitesi
negli ultimi decenni.
Oltre
alla promessa di riforme economiche e all’incarico per l’istituzione del nuovo
fondo sociale, il Presidente ha chiesto la cessazione di una delle attività
della società “Operator ROB”, appartenente ad Aliya, la figlia minore di Nazarbayev e
una revisione delle procedure di appalto in seno alla holding di investimento
Samruk-Kazyna, la principale “fortezza” della famiglia Nazarbayev.
Il Governo del Kazakhstan è considerato
l’unico azionista di questo fondo, le cui attività influirebbero per il 60% sul
PIL e i cui redditi dovrebbero essere allocati a settori di sviluppo nazionale.
Fondato
dall’ex Presidente nel 2008, al fine di unire tutte le principali società
nazionali e ispirato all’omologa holding di Singapore Tamasek, Samruk-Kazyna ha
riunito più di una dozzina di società fra cui Kazakh Railways, Kazpost,
Kazakhtelecom, Kazatomprom e società energetiche.
Al
fondo appartiene inoltre KazGPZ, l’impianto di trattamento del gas kazako,
struttura che versa in pessime condizioni a causa della mancanza di
investimenti per la manutenzione e lo sviluppo.
I
soldi necessari per il suo funzionamento sarebbero stati sottratti attraverso
società offshore con l’aiuto di ATF, banca di proprietà del genero del nipote
di Nazarbayev, Galimzhan Yessenov.
Questa
battaglia per il controllo sui patrimoni delle élite potrebbe inoltre avere
bisogno del sostegno delle autorità dell’Europa occidentale.
La scorsa settimana Tom Tugendhat,
parlamentare conservatore britannico che presiede la commissione per gli affari
esteri, ha fatto esplicita richiesta di sanzioni contro i patrimoni kazachi.
Come
riportato dal Telegraph, in base ai dati di “Transparency International”, nel
Regno Unito si troverebbero asset per un valore di 370 milioni di sterline
(pari a circa 442 milioni di euro) di proprietà della famiglia dell’ex
Presidente.
Ma
quanto sono credibili le promesse di Tokayev?
Il
politologo Dosym Satpayev trova che le critiche rivolte dal Presidente al suo
predecessore siano incoerenti, in quanto egli stesso promette cambiamenti
radicali ma attorniandosi degli stessi collaboratori che contribuirono alla
costruzione del sistema che ha portato alle rivolte.
Insomma
pare proporre una “cura” con le stesse “medicine” finora rivelatesi letali per
il popolo.
In pratica si parla di un nuovo governo
composto in buona parte dai vecchi ministri e di strette collaborazioni con chi
ha permesso al precedente regime di prosperare.
In
questi ultimi 30 anni la popolazione ha più volte invocato un governo migliore
e rivendicato il diritto ad una maggior partecipazione politica.
Diritto negato anche durante le ultime
elezioni parlamentari del 2021 alle quali, nonostante le promesse di
cambiamento, hanno partecipato solo gli storici 5 partiti “di sistema”.
Nonostante
il carattere interno delle rivendicazioni, che hanno spinto i cittadini alla
rivolta, si continua a speculare su influenze straniere.
Putin
parla anche qui di “tecniche di Maidan”, facendo riferimento alle
interferenze politiche estere in Ucraina.
“Si
tratta di una retorica che potenzialmente tutti possono utilizzare ma a cui
nessuno davvero crede – ironizza il politologo Kirill Shamaev.
È come
per la retorica marxista contro il capitalismo, quando tutti volevano comunque
comprare i jeans americani”.
LA
GUERRA DELLE ÉLITE
CONTRO
L’INFLAZIONE È PERSA.
Glistatigenerali.com
- SILVERIO ALLOCCA - 3 Novembre 2022 – ci dice:
Il tema della lotta all’inflazione è uno di quelli
decisamente caldi in questi giorni in Europa come pure negli Stati Uniti, ma
non solo.
A tale
proposito, con molto acume, Gianclaudio Torlizzi, ben noto founder presso
T-Commodity s.r.l., ha scritto:
“Perché le élite perderanno la guerra contro
l’inflazione?
Perché
non capiscono/vogliono capire:
1) quanto le politiche climatiche alimentino
al rialzo i prezzi energia e materie prime;
2)
quanto le commodities siano influenzate da dinamiche geopolitiche.
Un
concetto basilare infatti è che dal 2020 a oggi le materie prime detengono de
facto il controllo dell’Outlook inflazionistico.
Per
questa ragione ritengo ridicola l’aspettativa del mercato sul ‘pivot’ della
FED.
La BC
Usa stasera potrà anche allentare un po’ l’approccio di politica monetaria per
fare un piacere alla Casa Bianca e dare un’ulteriore spinta a Wall Street prima
delle mid term, ma fintanto che il petrolio continuerà a scambiare sopra i $70
(occhio tra l’altro all’allarme attacchi sulle infrastrutture saudite da parte
Iran) le pressioni sui prezzi rimarranno elevate.
Da
evidenziare poi che negli ultimi 6 mesi abbiamo assistito a un crollo dei
prezzi delle commodities come metalli, e acciaio.
Crollo
che però cederà il passo a un nuovo ciclo rialzista appena Pechino allenterà la
Covid Zero Strategy.
Ieri
ne abbiamo avuto un assaggio: nichel 7% in una sola sessione di Borsa in scia
alle indiscrezioni (non confermate per giunta) circa l’allentamento della CZS
da parte del Governo cinese.
Se a questo aggiungiamo le nuove tensioni che
investiranno il comparto dei beni alimentari dopo la sospensione dell’accordo
sul grano da parte di Mosca, ben si comprende come la spinta inflazionistica
commodity-driver rappresenti un elemento di natura strutturale.
Per
concludere, è probabile che domattina ci sveglieremo con tassi negli Usa al 4%
ma con un’inflazione ancora all’8,2%.
Prima
o poi il mercato dovrà digerire la verità e arrendersi al fatto che la guerra
contro inflazione non si vince con tassi interesse negativi.”
Splendida
disamina cui andrebbe, a mio avviso, aggiunta una ulteriore riflessione
evidenziante un problema strutturale ed al momento ineliminabile per mancanza
di una analisi economica degna di questo nome su di un fatto incontrovertibile:
allo
stato attuale l’approccio teorico alla base dell’impiego degli strumenti di
politica monetaria utilizzati a livello internazionale da tutti i principali
attori -in primis la FED e la BCE- sono oltremodo inadeguati in quanto ispirati
dalla teoria economica di John Maynard Keynes:
splendida
teoria ma obsoleta perché applicabile ad un sistema economico ad economie
separate -quindi come tali non rientranti in un sistema globalizzato-
rispondenti ognuna ad una moneta sovrana e non certamente fiduciaria come sono
tutte le monete attuali a partire dal 1971, anno della fine degli accordi di
Bretton Woods.
Il
meccanismo introdotto da Keynes rappresenta un sistema che, per certi versi,
potrebbe essere definito a “vasi comunicanti” dove un Paese ricco, a moneta
forte -e come tale a bassa inflazione-, si vede penalizzato nelle esportazioni,
a differenza di quanto accade ad un Paese con moneta debole ed alta inflazione
che si vede ben collocato proprio nelle esportazioni per ovvie ragioni di
cambio.
In un
tale contesto il primo Paese, favorito dall’attivo della bilancia commerciale,
disporrà per certo di cospicui capitali da investire, capitali a cui le imprese
potrebbero agevolmente attingere grazie ai bassi tassi di interesse anche se
difficilmente troveranno utile farlo proprio per la penalizzazione derivante
dalla moneta forte:
un
qualcosa che, alla lunga, potrebbe portare in prima battuta ad un rallentamento
dell’economia e successivamente perfino ad una recessione.
Situazione
diametralmente opposta a questa sarà quella caratterizzante il secondo Paese in
quanto la sfavorevole bilancia commerciale lo penalizzerà non poco per la
indisponibilità dei capitali necessari ad attuare una politica economica
espansiva.
Il
secondo Paese, per reperire i necessari capitali, sarà evidentemente
solitamente costretto (se non in toto, almeno in parte) ad indebitarsi
sull’estero pagando generalmente alti tassi di interesse a causa del basso
rating che in tali casi caratterizza il proprio debito pubblico:
un qualcosa che verosimilmente determinerà un
costo del danaro elevato solitamente insostenibile dalle imprese locali che,
per questa via si vedranno costrette, prima o poi, a passare la mano innescando
una spirale economica negativa dai risvolti talvolta drammatici per l’intero
Paese.
In una
condizione del genere al primo Paese (come spesso è accaduto in passato)
converrebbe, se ve ne sono le opportune condizioni, investire direttamente nel
secondo per promuoverne la crescita in prima persona al fine di beneficiare
degli utili realizzati dalle imprese partecipate del secondo.
In questo modo si realizzerebbe, di fatto, un
travaso di ricchezza che alla fine porterebbe nel tempo -è accaduto- ad una
inversione dei ruoli come frutto anche di successive svalutazioni della prima
moneta ed apprezzamento della seconda … e così avanti.
Il
sistema non è così virtuoso nella realtà ma lo approssima, o almeno lo potrebbe
approssimare abbastanza bene, almeno in linea teorica, in presenza di un
primato della politica sull’economia.
Purtroppo
il sistema globalizzato in cui ci troviamo ha fatto saltare anche solo la
possibilità di porre in essere questo meccanismo e l’Europa ne è un drammatico
esempio lampante per il fatto che i Paesi forti e quelli deboli dell’area UE
sono caratterizzati da una moneta unica che, alla lunga, non favorisce gli uni
e penalizza gli altri senza offrire una reale possibilità di vedere attuato
quel travaso altalenante di ricchezza che caratterizza i cicli economici di
controtendenza e ciò, in primis, tanto per il mancato primato della politica
sui mercati quanto -e soprattutto- per la mancanza di una politica unitaria.
In
questo caso, infatti, alla moneta unica fa da contraltare un assurdo insieme di
politiche locali distinte e fin troppo spesso disarticolate che la presenza
dell’Euro rende inefficaci:
di fatto l’Unione Europea non è né carne né
pesce -non
uno Stato coeso e sovrano degno e neppure una struttura macroeconomica di
vecchio stampo - e, come tale, è penalizzata da tutti gli svantaggi derivanti da una
moneta unica come pure da tutti quelli derivanti, in questo contesto, da un
obsoleto sistema ad economie separate.
È una
situazione che, a ben guardare, è alla base anche del gap che si osserva negli
stessi USA dove gli Stati ricchi restano tali e quelli poveri si impoveriscono
sempre più:
anche
qui per un primato delle logiche di mercato su quelle della politica.
Negli States, detto per inciso, la
degenerazione si è evidenziata più lentamente che da noi solo per una sorta di
pseudo politica interna, sia pure ispirata da un male interpretato liberismo, e
per il peso geopolitico degli USA:
alla
fine, però, il risultato è stato drammaticamente lo stesso ed è sotto gli occhi
di tutti.
Da
questo punto di vista il problema di cui stiamo parlando evidenzia aspetti di
gran lunga più drammatici di quanto l’ottimo pezzo di Terlizzi faccia apparire:
il
mondo attuale non consente neppure a livello teorico virtuose oscillazioni in
controfase delle economie essendo caratterizzato da un drammatico andamento in
fase che alla fine porterà al tracollo:
da qui
il tentativo tutto USA di de-globalizzare il sistema.
Un
ulteriore elemento negativo è dato dal fatto che, stando così le cose, le
istituzioni finanziarie globalizzate hanno creato, per realizzare i propri
profitti, una parallela economia virtuale fittizia caratterizzata da prodotti
finanziari ad alto rischio, i derivati, che ha inquinato non poco l’economia
reale rendendo la teoria Keynesiana a maggior ragione inapplicabile.
Gli
effetti sono sotto gli occhi di tutti:
BCE e
FED alzano i tassi per combattere l’inflazione ma questo ha per contraltare una
penalizzazione globalizzata di qualsivoglia politica di crescita che, se anche si fosse cercato -o si
cercasse- di favorire con un abbattimento dei tassi di riferimento, non avrebbe
sortito e non sortirà effetto alcuno se non quello di un più rapido
impoverimento generalizzato.
In altri
termini, procedendo per questa via, la questione non riguarda il “se” ma solo
il “quando” si arriverà al tracollo e la speranza cullata da ‘qualcuno’ di
risolvere questa crisi sistemica con una guerra, al pari di quanto avvenne ai
tempi del II Conflitto Mondiale per porre termine agli effetti della Crisi del
‘29, appare una cura peggiore della malattia.
Accordi
Segreti fra Protagonisti
di Big
Pharma, Gas e Grano.
Conoscenzealconfine.it
– (3 Gennaio 2023) - Manlio Lo Presti – ci dice:
Il
2023 sarà un anno veramente difficile.
Prepariamoci!
Sull’onda
delle notizie “cinesi”, assistiamo in Italia ad un ritorno della propaganda
vaccinista sugli schermi e sulla carta stampata.
Emerge
dalle decine di dibattiti televisivi come risultante di una lenta ma attenta
preparazione terroristica farmaceutica.
Dopo
la sequenza dello psycho green con le treccine, della follia psycho elettrica,
della psycho scimmia, della psycho ucraina, dello psycho iran con i capelli
tagliati, adesso incombe il ritorno della psycho cina versione 2.0.
Se ci
ricordiamo, il caos cosiddetto pandemico del 2020 è partito con la paura della
Cina.
Il mortale gioco farmaceutico dell’oca sta
riprendendo dallo stesso punto: (nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/politica/con-la-scusa-della-cina-ecco-il-colpo-di-coda-del-tremendismo-sanitario/)
L’uso
dello psycho-virus è un’arma di distrazione per coprire i danni provocati:
1)
dalla ossessiva dominazione della finanza sulla produzione;
2)
dalla distorsione della distribuzione di beni e servizi:
dai
correlati livelli occupazionali ridotti significativamente dalle espulsioni di
massa create dalla robotica, in concomitanza con l’invecchiamento della
popolazione occupata, come risulta dal rapporto disponibile: (oa.inapp.org/bitstream/handle/20.500.12916
/3437/INAPP_Digitalizzazione_e_invecchiamento_della_forza_lavoro_nel_settore_dei_servizi_IR_25_2022.pdf?sequence=1)
3)
dall’incremento delle produzioni robotiche che hanno accresciuto le espulsioni
di masse ingenti di lavoratori dai cicli produttivi: (lindiceonline.com/osservatorio/economia-e-politica/espulsioni-saskia-sassen/)
4) dai
livelli salariali che saranno ridotti significativamente;
(linkiesta.it/2017/05/i-robot-non-ci-sostituiranno-perche-i-nostri-stipendi-saranno-sempre-p/)
riducendo
– forse – il crollo occupazionale;
5)
dalla teologia verde ecologista sostenibile con le treccine che ha avuto come
conseguenza immediata la deindustrializzazione del continente europeo.
Dell’inquietante
fenomeno distruttivo delle espulsioni di massa non ne parla nessuno.
Non
interessa, non attira.
Il
senso di allarme indotto artificialmente è commisurato alla crescita del numero
delle dichiarazioni che prospettano un ritorno alle mascherine, senza però
obblighi polizieschi vigilati da pattuglie della polizia per le strade,
appoggiate da sciami di elicotteri in volo e dall’urlo lacerante delle sirene
nella notte.
Difficile dimenticare il panorama distopico e
delirante appena trascorso.
Dicevamo
che il timore di un brutale ritorno diventerà certezza quando i politici che
hanno dichiarato la discrezionalità delle mascherine ecc. smentiranno
sfacciatamente tutto.
Smentiranno
tutto senza vergogna.
Diranno
che il ritorno all’obbligatorietà delle misure sanitarie è giustificato dal
rapidissimo aggravarsi del “quadro pandemico” internazionale.
Il
gioco è fatto!
Riprende il sopravvento la regia del Sinedrio
dei trecento esperti virologi scientifici in totale disaccordo fra loro per non
far capire nulla al cittadino indifeso.
Un
film già visto!
Si
tratta della classica PsyOp (operazione psicologica) per alterare la percezione
della realtà circostante.
Nel
frattempo, casualmente e in stretta successione, esplodono tumulti di piazza in
mezza Europa con un finto colpo di stato in Germania notiziato per tre giorni
per poi scomparire totalmente dai radar dell’opinione pubblica.
Gli
elementi che fanno sospettare l’artificialità dell’attuale caos mondiale sono:
1) La
sincronicità dei disordini di piazza, soprattutto e guarda caso, nei Paesi che
hanno osato sottoscrivere accordi con la Russia.
Disordini relativi a problemi sociali esistenti al
tempo delle occupazioni dei soliti angloamericani in quelle zone e che
all’epoca non hanno fatto nulla per migliorare la condizione delle donne;
2)
l’inflazione indotta dalle quotazioni del gas, addebitata esclusivamente alla
Russia che esporta il 18% del gas mondiale, trascurando abilmente il rimanente
82% che non ha avuto alcun motivo per rialzare i prezzi. (geopop.it/quali-sono-i-maggiori-produttori-ed-esportatori-di-gas-naturale-al-mondo/);
3) infofarine.it informa che su una
produzione mondiale di 406 Mt di farina, la Russia produce 75 Mt, cioè il 18%
scarso del totale, esportandone il 35% del totale mondiale.
Ma la
Russia è l’unica colpevole del rialzo del prezzo globale del grano, influenzato
da altri produttori di cui il primo è la Cina con 137 Mt di farine.
Viene
volutamente omesso che la Cina ha il 34% della produzione mondiale ma esporta
molto meno (infofarine.it/il-frumento-tenero-in-italia-e-nel-mondo/).
Il
sito (ilfattoalimentare.it) evidenzia che le importazioni di
grano da Russia ed Ucraina non sono fondamentali:
(ilfattoalimentare.it/grano-e-mais-la-russia-e-lucraina-non-sono-fondamentali-per-le-importazioni-italiane-di-queste-materie-prime.html).
Allora
come si giustificano i folli rialzi di prezzo della produzione di pasta che si
credeva prodotta in Italia provocando spirali inflattive gravissime?
Si
tratta di pura ed ignobile speculazione che i governi precedenti, nazionali ed
europei, non hanno combattuto e non risolveranno né a breve né con decisione.
Consultando
direttamente le fonti statistiche e gli studi effettuati dagli organismi
internazionali, viene fuori una realtà totalmente diversa da quella bombardata
dai media per creare allarme ed una percezione artefatta della realtà
(allarmistica e terroristica).
Possiamo quindi affermare che l’Italia è sotto
l’attacco di una guerra ibrida in piena regola.
A
questo punto c’è da domandarsi: perché siamo di fronte alla più grande
diffusione di notizie false mai raggiunta prima nella storia?
Si fa largo il sospetto che dietro le quinte
di questo copione ci sia ben altro.
Che esista la sottoscrizione di un “accordo
planetario riservatissimo” con assegnazione ai rispettivi attori dello scenario
globale delle parti da recitare per evitare e bloccare sul nascere eventuali
conseguenze fuori controllo catastrofiche e destabilizzanti.
Lo fa
pensare il fatto che non sia ancora esploso un conflitto di vaste proporzioni
che viene continuamente paventato ma non ancora iniziato.
La devastazione è assicurata, con danni
simili, ma grazie alla diffusione del panico.
Abbiamo
una guerra psicologica in corso.
Non
dimentichiamo che gli USA sono stati gli unici ad usare le bombe nucleari dopo
la resa del Giappone, approfittando del vantaggio tecnologico.
Il
divario è da tempo condiviso con altre potenze militari del pianeta.
Adesso sono tutti cauti nel ricorrere all’arma
nucleare che non avrebbe nessun vincitore.
La
guerra atomica non è praticabile perché senza vincitori.
I sistemi
economici devono essere vittime della depressione eterna. La
disoccupazione aumenta e i robot producono per compratori sempre più rari.
Se il
sistema tecno-finanziario e quello economico non sono esplosi sul serio, allora
si fa strada il sospetto che l’attuale morfologia dello scenario mondiale sia
il frutto di un accordo riservato fra le varie potenze, con la regia delle
dieci maggiori imprese mondiali, quasi tutte angloamericane.
Nulla
vieta di pensare che ci siano accordi tra Cina e società farmaceutiche. La
chiusura offre alla Cina l’occasione di effettuare una stretta maggiore e più
brutale che assicura un fronte interno appiattito sul consenso dell’annessione
di Taiwan, senza
disdegnare l’incasso di masse di denaro da Big Pharma.
Inoltre,
la pressione tecno-sanitaria cinese giustificherebbe il rimbalzo tecno sanitario
repressivo in Europa.
È la
scusa perfetta per chiudere di nuovo tutto con le solite sceneggiate: elicotteri,
polizia nelle strade, minacce e criminalizzazione degli oppositori, raffica di
dpcm extraparlamentari, un maggiore collasso economico generalizzato
dell’Europa, disoccupazione oltre i 100 milioni di persone ed espulsione di
altri 50 mln per robotizzazione.
La
guerra ucraina ha reso possibile fra Russia e società di armamenti mondiali un
protocollo per svuotare i magazzini di armi obsolete, ed è anche occasione di
riciclaggio di gran parte delle somme stanziate e dirottate nei soliti paradisi
fiscali sui conti dei parlamentari che hanno deliberato i finanziamenti.
Esiste
un ulteriore sospetto che l’accordo segreto Russia-Usa sul prezzo del gas sia
un altro gigantesco canale di riciclaggio per “sovrafatturazione”.
Il riciclaggio diventa la chiave di lettura
degli eventi attuali: soldi destinati al finanziamento di guerre locali o per
la propaganda capillare.
Il
2023 sarà un anno veramente difficile. Prepariamoci!
(Manlio
Lo Presti -- lapekoranera.it/2023/01/01/accordi-segreti-fra-protagonisti-di-big-pharma-gas-e-grano/)
CARRIERE
LAMPO, NATO
E
VERITA’ RIVELATE.
Lapekoranera.it
- Manlio Lo Presti – (27 Dicembre 2022) – ci dice:
Nella foto è ben schematizzata l'”Evoluzione del
Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”.
(civitas-schola.it/2021/06/14/sistema-di-informazione-per-la-sicurezza-della-repubblica/).
Iniziamo
col dire che il mondo è scosso da un serie di eventi in successione
vertiginosa.
Qualcuno
ha capito che la creazione del caos permanente ha gli stessi effetti prodotti
dall’utilizzo di milioni di soldati, di armamenti, di spostamenti, di
occupazioni di territori infiltrati da sacche di resistenza, ecc.
Il
disordine mondiale crea e incrementa la paura del futuro, la crisi economica fa
il resto: precarietà, instabilità dei rapporti umani.
L’individuo
globale è quindi ricattabile, poiché privato della rete di rapporti solidali
che producono resistenza e resilienza.
Tutto
questo ha un autore più attivo rispetto ad altri ma non il più potente:
alludiamo alla Nato.
La
NATO è il protagonista e il creatore di dozzine di conflitti in tutto il mondo,
travisando la sua vocazione difensiva mutandola in operatività offensiva e
militare.
Le decisioni della Nato spesso non coincidono
con le strategie USA che sono continuamente poste di fronte al fatto compiuto.
Nel
nostro Paese per esempio, sotto la regia atlantica, il PD è stato rottamato
dopo essere stato usato e sostenuto con immensi finanziamenti.
Stesso metodo viene adottato contro la UE che
deve essere letteralmente demolita e screditata (civica.one/leuropa-vuole-suicidarsi/).
Casualmente, esplodono disordini di piazza in
Francia, in Inghilterra, in Iran, in Siria.
Disordini
in Germania dove hanno parlato di un “colpo di stato” subito rientrato e di cui
non si parla più.
Nei
corridoi delle istituzioni comunitarie parte lo scandalo della corruzione,
diffondendo notizie riguardanti una minima parte delle ruberie in corso.
Nessuno
parla dei riciclaggi in corso nell’Unione Europea, che hanno importi
dell’ordine di trenta miliardi di euro medi giornalieri.
Non
dimentichiamo che la Nato è da sempre in lotta e competizione con la Cia, e
questo giustifica perché gli articoli di Repubblica e di quotidiani simili e
allineati escono proprio adesso sulle tangenti europee e su vicende storiche
del recente passato italiano (civica.one/il-presunto-affaire-svelato-da-la-repubblica-cia-e-mattei/).
Se
usassimo una visione panoramica, ci accorgeremmo che tutta questa sarabanda è
preparatoria all’arrivo della Pelosi nella qualità di ambasciatrice
sorvegliante della ex-Italia e del Mediterraneo, e che risponde a committenti
diversi dalla Cia e dalla Nato.
La lotta di diverse fazioni ha gettato gli USA
in una guerra civile ultradecennale, che la quasi totalità delle agenzie di
informazioni nascondono (civica.one/il-tracollo-di-ursula-e-della-ue-con-i-tribunali-speciali/).
Nel
nostro Paese le operazioni di dominio in corso sono più contorte.
Da
qualche tempo, circolano e nidificano strani personaggi con percorsi
professionali scintillanti che sembrano costruiti a tavolino.
Tali
individui sono poi inseriti in nicchie vitali della macchia statale.
Si
dichiarano ufficialmente al di sopra dei partiti e accumulano con insolita
velocità successi su successi, cariche, onorificenze istituzionali.
Sembrano
la trama di alcuni migliori libri di spionaggio.
Hanno l’odore delle carriere troppo perfette
per essere vere.
Sembrano
percorsi costruiti ad hoc per essere legittimati alle elezioni a cariche
apicali con il beneplacito di una classe politica nazionale interamente
ricattata, e che continua a bloccare lo sviluppo economico e democratico della
ex-Italia da oltre un secolo.
Lo
scopo di queste manovre di bassa cucina?
È quello di nominare il prossimo presidente
della Repubblica di estrazione “tecnica” continuando a considerare la penisola
come una colonia occupata di quarto livello.
Sempre
adesso, sono diffuse nuove “verità storiche” dal primo dopoguerra italico ad
oggi con l’apertura di archivi stranieri che potevano essere accessibili almeno
40 anni fa.
Ricerche pubblicate con insolita velocità,
assieme ad uno strano silenzio intorno ai loro contenuti da parte di tutti i
giornali allineati e di opposizione.
Nessuno osa avere dubbi sulla loro autenticità
fornita da documenti giacenti in strutture culturali straniere che sono sempre
state ostili al nostro Paese.
Perché
una fiducia così incondizionata in queste fonti? Perché non avanzare qualche
dubbio sulla loro disponibilità e attendibilità nel momento di maggiore caos in
Europa?
Il
metodo di demolizione per mano atlantica dei partiti dei precedenti governi
italiani non cambia.
Sono fatti a pezzi con “improvvise”
rivelazioni ad orologeria diffuse dai soliti giornalini.
I temi sono sempre la corruzione, ma nessuno
rivela scandali di cocaina e di pedofilia che servono per ricattare i politici
in blocco.
Una
“sincronizzata” e sospettosa resipiscenza moralistica investe i personaggi
della UE rivelando le briciole delle somme scoperte.
Perché? Forse per nascondere il vero
riciclaggio di almeno 30 MILIARDI di euro al giorno in Europa?
I
popoli sono distratti con la PSYCHO GUERRA dopo lo PSYCHO VAIRUSS per far
accettare la povertà di massa con i sempre più frequenti blocchi di forniture
di energia che si verificheranno in stretta successione e con durata maggiore – sempre in nome della teologia
sostenibile, genderista, ecologista multi sex in corso.
Una
sequenza infernale che si attiverà solamente dopo averci fatto comprare milioni
di auto elettriche che marciranno nei box e nelle strade.
Niente
è come sembra!
“L’America
non è in guerra civile. Le sue élite sì”.
Parla Morris
Fiorina.
Open.luiss.it
- Marco Valerio Lo Prete – (27 NOVEMBRE 2018) – ci dice:
(INTERVISTA
OPEN SOCIETY OFF - Morris Fiorina insegna Scienze politiche alla Stanford
University).
Sbaglia
chi legge le recenti elezioni di metà mandato negli Stati Uniti come la
garanzia di una riscossa dei Democratici in vista della corsa del 2020 per la
Casa Bianca.
Sbaglia
chi interpreta le elezioni nazionali che due anni fa hanno portato alla Presidenza
il Repubblicano Donald Trump come l’inizio di un’inesorabile svolta autoritaria
e razzista del Paese.
Sbaglia, soprattutto, chi crede che l’America
stia attraversando una nuova guerra civile strisciante.
A
sostenerlo è Morris Fiorina, decano dei politologi mondiali con cattedra
all’Università di Stanford, in California, che a LUISS Open illustra numeri,
dati e ipotesi che rischiano di mandare in tilt il commentatore medio di
politica americana.
“Si
prenda il tema dell’immigrazione – dice a margine di una lezione tenuta
all’università LUISS di Roma, ospite del collega e direttore del CISE Roberto
D’Alimonte –
È
difficile sostenere che gli Americani siano ostili agli immigrati.
La maggior parte di loro è contraria all’idea
di costruire un muro al confine col Messico, ritiene che l’immigrazione faccia
più bene che male al Paese ed è favorevole alla predisposizione di un qualche
percorso che consenta di passare gradualmente dalla clandestinità alla
cittadinanza.
Allo stesso tempo, però, solo un quarto degli
Americani sostiene che nel Paese ci vogliano ancora più immigrati, circa la
metà è contraria alle città-santuario che schermano gli immigrati illegali
dalle leggi federali, più della metà preferirebbe una maggiore enfasi
sull’immigrazione qualificata, il 70% ritiene che gli arrivi illegali dal
Messico siano un problema serio.
Nell’opinione
pubblica, dunque, molte posizioni dei Repubblicani sull’immigrazione sono
minoritarie, così come lo sono anche molte posizioni dei Democratici.
Non esiste però un partito politico che metta
assieme i punti su cui concordano significative maggioranze degli elettori”.
Per
dimostrare che l’America non è ideologicamente dilaniata come potrebbe apparire
da certe cronache, Fiorina osserva prima di tutto che dagli anni 70 a oggi “non
è diminuito il numero di elettori che si definisce ‘moderato’ o ‘di centro’”.
Inoltre,
“quando guardiamo a temi specifici, inclusi quelli molto divisivi in America
tipo l’aborto, la grande maggioranza dei cittadini è saldamente e costantemente
a favore di posizioni intermedie, a metà tra quelle più estreme propugnate da
liberal (Dem Usa) e conservatori”.
Lo stesso vale per un tema a lungo dibattuto
come la gestione della Sanità. Infine, a chi oggi è convinto di vivere nell’era
della partigianeria diffusa, Fiorina ricorda che “la percentuale di Americani
che ammette di avere un’identificazione di partito è ai minimi storici.
Quando
gli “American National Election Studies” iniziarono, negli anni 50, tre quarti
degli intervistati si dichiararono Democratici o Repubblicani.
Nello
studio del 2016, solo il 60% circa lo ha fatto.
Analogamente,
sondaggi commerciali riportano che il 40% o più degli Americani oggi afferma di
essere un ’indipendente’ dal punto di vista politico”.
Nemmeno le elezioni presidenziali del 2016,
per quanto aspramente combattute, smentiscono simili andamenti:
“Quel
voto è stato percepito da qualcuno addirittura come un cambiamento di regime
politico e come un mutamento radicale dello spirito profondo degli Americani.
In realtà Trump ha vinto strappando ai
Democratici tre Stati in bilico come la Pennsylvania, il Michigan e il Wisconsin
grazie a un vantaggio complessivo di 78.000 voti.
E se
si tiene conto del voto popolare di tutto il Paese, vinto tra l’altro dalla
Clinton, lo spostamento rispetto alle elezioni federali precedenti ha coinvolto
appena l’1% dell’elettorato.
In un
sistema istituzionale-politico di impianto proporzionale come ce ne sono molti
in Europa, i numeri elettorali americani del 2016 avrebbero dato luogo a ‘una
elezione di conferma dello status quo’ o poco più.
E aggiungo: se lo 0,0006% degli elettori americani
avesse votato all’opposto di come ha effettivamente votato, gli analisti di
mezzo mondo si sarebbero trovati a commentare una vittoria della Clinton e ci
avrebbero spiegato per settimane che l’America aveva respinto il razzismo, il
sessismo e la demagogia!”.
Con
questo riferimento al commentatore-tipo dell’attualità politica, Fiorina
introduce il secondo punto nevralgico del suo ragionamento:
“Gli
Americani non sono in guerra civile, ma la loro classe dirigente e politica sì
che lo è”.
Lo studioso
prende spunto dalla tesi della “ribellione delle élite” di Christopher Lasch,
storico scomparso nel 1994 che Fiorina ha conosciuto e frequentato ai tempi dei
suoi studi all’Università di Rochester, nello Stato di New York.
“Élite accademiche e mediatiche, politici di
professione, finanziatori e attivisti di partito: in questa ristretta parte
della nostra società, esistono effettivamente due tribù l’una contro l’altra
armata.
Parliamo di gruppi demograficamente
irrilevanti – i lettori assidui del New York Times e del Wall Street Journal
costituiscono assieme l’1% della popolazione americana – ma che si riescono a
far ascoltare di più e che stabiliscono il tono dominante del dibattito
pubblico.
È a partire dai campus universitari, per
esempio, e poi di conseguenza nel dibattito politico e giornalistico, che l’identity politics, cioè l’identità
etnica o di genere brandita come strumento politico, è diventata così
importante.
Inoltre
– continua il politologo di Stanford – il neo-tribalismo delle élite ha fatto
sì che dentro ai partiti politici, a partire dagli anni 70, si sia realizzato
un processo di selezione di dirigenti e quadri che ha generato una netta
omogeneizzazione ideologica all’interno dei due schieramenti”.
Mentre
gli elettori hanno mantenuto a lungo posizioni moderate e variamente
sfaccettate che li rendevano spesso difficili da catalogare, la classe politica
dei Democratici e dei Repubblicani è diventata rispettivamente sempre più
progressista o sempre più conservatrice.
Le
“maggioranze politiche instabili” che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio
americano, con un alternarsi sempre più frequente – e quasi automatico – dei
Democratici e dei Repubblicani in ogni occasione elettorale utile, secondo
Fiorina, sono figlie proprio di questa situazione:
da una
parte élite politico-culturali polarizzate e dall’altra elettori che “vanno
avanti nella loro vita quotidiana come sempre hanno fatto, perlopiù
disimpegnati dall’attivismo politico e tutt’altro che desiderosi di una guerra
civile”.
Ciò
causa una “intrinseca instabilità” che funziona così:
“Un
Partito prende il potere convincendo la quota maggiore degli elettori
indipendenti, tenta di governare ma i suoi connotati ideologicamente più
marcati scontentano tanti Americani che alla prima occasione utile fanno di
tutto per cacciarlo dal potere.
Il
processo di omogeneizzazione ideologica del personale politico, tra l’altro, ha
fatto sì che anche nel sistema tendenzialmente maggioritario e uninominale
degli Stati Uniti, ormai, il voto alla persona sia meno importante del voto al
Partito”.
Per
Fiorina, uno dei motivi dell’appeal di Trump nel 2016 dipese proprio dal fatto
che era difficile capire dove egli si posizionasse su molti temi: su aborto,
Sanità e politica estera, per esempio, poteva sembrare che avesse posizioni
sfumate e variegate.
Ciò gli ha consentito di intercettare alcuni
di quegli elettori che avevano posizioni non coincidenti con quelle piuttosto
rigide e ortodosse delle piattaforme dei due principali partiti.
Ovviamente
Fiorina, nella sua lettura dell’America contemporanea, non nega il rafforzarsi
di una “tensione
di classe tra haves e have-nots”, né l’allontanamento progressivo della classe
lavoratrice dal Partito democratico (“ma è così dai tempi di Dwight D.
Eisenhower”), né il ruolo giocato di recente da “una politica identitaria
dell’elettorato bianco, anche in risposta a un diffondersi della politica identitaria
della sinistra a favore delle diverse minoranze”, né il peso crescente del
dibattito sull’immigrazione.
Ma al
fondo rimane convinto che l’America non stia vivendo una guerra civile
strisciante, anche se qualcuno vorrebbe che così fosse e sta facendo di tutto
per fomentarla.
Quanto
al futuro, dice di volersi tenere alla larga dalle previsioni, però avverte:
Trump è tutt’altro che il primo Presidente in carica a uscire ammaccato dalle
elezioni di metà mandato, ma nel 2020 il campo da gioco sarà molto meno
favorevole per i Democratici.
“Tra
due anni non assisteremo a una sfida fra ‘Trump’ e l’alleanza di tutti gli
‘anti-Trump’, ma a quella fra Trump e uno specifico candidato del Partito
democratico – osserva Fiorina –
E se
dalle primarie democratiche dovesse uscire vincitore un candidato troppo
radicale e progressista, allora per l’attuale Presidente la riconferma sarebbe
a portata di mano”.
Guerra in Ucraina: capire
l’agenda
sottostante dell’élite
globale
e
resisterle.
Serenoregis.org
- Robert J. Burrowes – (7 Aprile 2022) – ci dice:
(Osservatorio
Internazionale, Pace e Guerra Robert J. Burrowes )
In un
comunicato televisivo del 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin
ha annunciato la sua decisione di ordinare alle forze militari russe di
invadere l’Ucraina in quella che ha denominato una ‘operazione militare
speciale’ per difendere le neo – autoproclamate repubbliche di di Donetsk e
Luhansk e ‘smilitarizzare e denazificare l’Ucraina’.
Dall’inizio
dell’invasione c’è un gran volume di commenti da una vasta gamma di autori con
una notevole varietà di prospettive.
Oltre
ciò, gli impatti a cascata della guerra insieme ai cambiamenti derivatine a
vari livelli sono già di vasta portata e saranno sempre più devastanti per
l’umanità nel suo insieme.
Qui
focalizzerò la mia attenzione su alcuni degli aspetti più oscuri dell’agenda
profonda che fa sì che questo conflitto si manifesti come in effetti avviene,
riflettendo il mio interesse da lunga data nella comprensione di come il potere
delle élite appaia al mondo.
Come
già spiegato in precedenza, fin dall’alba della civiltà umana 5.000 anni fa, la
gente ‘comune’ è impegnata in una lotta continua contro le élite, siano esse
locali, imperiali, religiose, economiche, nazionali o, adesso, globali.
Si veda ‘Perché gli attivisti falliscono’.
Ma
indipendentemente dal contesto l’intenzione delle élite è sempre la stessa.
Uccidere
popolazioni indesiderate e/o controllare la vita di tutti gli altri privandoli
della propria equa quota di risorse politiche, economiche, sociali ed
ecologiche.
Da
circa il 1500 dell’era attuale, l’intensità di questo conflitto è notevolmente
cresciuta con le élite intente a sterminare una quota sostanziale della
popolazione umana e schiavizzare i superstiti.
Ciò si
è fatto con conquiste imperiali causa diretta di campagne genocidarie contro i
popoli indigeni, guerre, controllo delle scorte alimentari e di altre risorse
per indurre carestie di massa, tecnologie mediche, l’installazione di
tecnologie letali fra cui attualmente il 5G e, molto di recente, un programma
d’iniezioni apparentemente protettive da un ‘virus’.
Si veda ‘Sterminio dell’umanità: come l’élite
globale usa l’eugenetica e il transumanesimo per plasmare il nostro futuro’.
Essenzialmente,
l’intenzione dell’élite non ha mai davvero vacillato. Indipendentemente dalla
presunta ideologia-guida nei vari contesti, l’élite è stata di solito
malintenzionata verso la popolazione suddita – eliminandola e/o schiavizzandola
senza scrupoli e requisendo intanto senza sosta le risorse planetarie a proprio
uso.
L’unica
differenza dalle ere precedenti è che l’assalto attuale all’umanità è
autenticamente globale e in fase conclusiva.
Peraltro,
avviene purtroppo in piena vista con la massa della popolazione del tutto
inconsapevole e i pochi coscienti e in qualche modo resistenti distratti però
dai ‘fumi e specchi’ accidentali come quelli della narrazione ‘virus’/‘vaccino’
e delle pagliacciate dei politici.
Il che comporta una resistenza minima al
procedere dell’agenda dell’élite mediante l’attuazione della ‘Grande Risistemazione’ del Forum Economico Mondiale di Klaus
Schwab.
E i sopravvissuti alle varie misure in atto
per sfoltire l’umanità saranno schiavizzati in una prigione tecnologica senza
scampo.
Dopo
tutto, i requisiti davvero minimi per una resistenza efficace sono la vita, una
mente con libera volontà e cibo da mangiare, nulla di cui può ormai essere più
dato per scontato.
Ma
come ingrana in tutto questo la Guerra in Ucraina?
Beh,
con immediato e gran costo personale dei soldati e civili uccisi o menomati in
altro modo dal combattimento, la guerra si sta usando come cortina fumogena per
una sequenza ben orchestrata di avvenimenti che accelerano l’agenda criminosa
dell’Élite Globale, proprio come già sperimentato con la narrazione del
Covid-19.
Usando
due ricchi membri del Forum Economico Mondiale – il presidente russo Vladimir
Putin (v.
‘Tutti gli uomini di Putin: registrazioni segrete rivelano la rete finanziaria
collegata al capo russo’) e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (v. ‘Le rivelazioni dei Pandora Papers
sui conti offshore e i finanziamenti di Zelensky dalla cleptocrazia ucraina’) – coadiuvati da un cast di agenti chiave dell’élite e complici ignari
di istituzioni quali la NATO, l’Unione Europea, i governi degli USA e altri, i
grossi media e altro ancora, il conflitto militare imperversa in chiara vista
pubblica, con gran dibattito sulle misure in attuazione – come le sanzioni di
molti paesi alla Russia – mentre molti risultati d’importanza vitale restano nascosti o
accettati come ‘disgraziate’ conseguenze della guerra anziché misure
pianificate dall’élite per far fuori o controllarci tutti.
‘Che risultati sono questi?’ potreste
chiedere.
Beh,
mentre imperversa la guerra, generando enorme emozione fra chi parteggia per la
Russia o per l’Ucraina.
E
così, in termini estremamente semplificati, indignato o dall’avventata
intrusione e potenziamento militare NATO nei decenni recenti o dalla ‘aggressione
‘ingiustificata’ di Putin – eccovi un breve elenco parziale di risultati chiave
rapidamente accelerati, tutti omaggi di questa guerra, che vi avvicinano alla
morte o alla schiavitù tecnologica a breve, ovunque al mondo abitiate.
La
guerra potrebbe ‘virare al nucleare’ accidentalmente (dato che altri agenti
chiave dell’élite sono ben consci di quel che capita e probabilmente non
faranno sì che avvenga deliberatamente), uccidendo una gran proporzione
dell’umanità e, secondo la sua gravità, far morire di stenti (quasi) tutti i
sopravvissuti.
Ma,
supponendo che si eviti questo esito, c’è abbondanza di altre opzioni
sgradevoli da considerare.
Russia
e Ucraina forniscono 30% del frumento mondiale e quote importanti di altri
cereali, di olio di girasole, dei fertilizzanti, del petrolio e del gas, e dei
minerali strategici (come il palladio e il platino), fra altri prodotti.
La guerra nonché le sanzioni imposte alla
Russia da molti paesi, hanno esacerbato le filiere già gravemente interrotte di
tali prodotti, che non possono essere procurati altrove o non in modo
altrettanto convenente.
E la filiera prima generata crolla in tutti i
settori, causando carenze alimentari e non solo, aumenti di prezzo e crisi
energetiche per il vasto mondo; e non possono essere ripristinate in periodi
brevi.
Ne moriranno di stenti a milioni per questi
crolli di filiera.
Secondo
un recente resoconto in merito: ‘Crediamo di essere ai prodromi di una carestia globale
di proporzioni storiche’.
Si
veda ‘Coltivatori allo stremo’.
Ripetiamo:
‘un’incipiente
smisurata carestia globale’.
E il
ponderato rapporto di Riley Waggaman comprende questo commento di Anatoly
Nesmiyan:
‘Ecco perché la “operazione [militare]
speciale” è un episodio minore di poca importanza rispetto allo sfondo di
cataclismi imminenti …
Che
Ucraina e Russia siano state strumentalizzate la dice lunga non tanto sulla
mente dell’Occidente, ma sull’impenetrabile stupidità dei diretti partecipanti
all’attuale competizione’.
Si
veda ‘Avanti
il prossimo: crisi alimentare globale?’
Se si
vuole tenersi al corrente sulla distruzione delle scorte alimentari, adesso
drammaticamente accelerata dalla guerra in Ucraina, si tengano d’occhio gli
aggiornamenti quotidiani condivisi da “Ice Age Farmer” (Christian Westbrook) su
vari canali.
Le
morti intenzionali da sostanze [‘profilattiche’] iniettabili continuano a
crescere rapidamente, nonostante sforzi concertati degli agenti dell’élite come
l’Organizzazione Mondiale della Sanità, politici, sistemi medici ufficiali,
l’industria farmaceutica e i media mega aziendali e governativi di nascondere
tali morti alla vista del pubblico.
Per
giusto due recenti tentativi di compilare una lista dei resoconti, si veda
‘UPDATED:
How Many People Are the Vaccines Killing?’ and
‘COVID-19 Vaccine Massacre: 68,-% Increase in Strokes, 44,-% Increase in Heart
Disease, 6,8% Increase in Deaths Over Non-COVID Vaccines’.
Ovviamente
molti eminenti esperti, grevemente soppressi dai media mega aziendali,
ammonivano da tempo che queste ‘iniezioni mortali’ avrebbero ‘decimato
l’umanità’.
Per un piccolo campione,
si
veda ‘The
Truth about the Covid-19 Vaccine’, ‘A Final Warning to Humanity’, ‘J’Accuse!
The Gene-based “Vaccines” Are Killing People. Governments Worldwide Are Lying
to You the People, to the Populations They Purportedly Serve’, ‘COVID Shots to
“Decimate World Population,” Warns Dr. Bhakdi’ e ‘BREAKING – Over 150,000
people including 600 children have died due to the Covid-19 Vaccines in the
USA’.
Ma un
rapido controllo rivela che i governi russo e ucraino hanno entrambi
partecipato entusiasticamente a tutta quanta la truffa del ‘virus’/‘vaccino’
Covid-19 imponendo la ben nota gamma di misure – vaccinazioni obbligatorie,
codici QR … – attuate altrove per adempiere all’agenda agenda uccidi e controlla
dell’élite.
Ciò
comprende la partecipazione dell’élite russa al GPMB (Collegio di Monitoraggio
dell’Essere Preparati Globalmente) che, come fatto rilevare da Robert F.
Kennedy Jr. nel suo recente libro “The Real Anthony Fauci” [Il vero A.F.] ‘è
l’effettivo collettivo autorevole/autoritario per l’imposizione di regole
durante … la pandemia.
Lo scopo di questo ente cosiddetto
“indipendente” di monitoraggio e rendicontazione era validare l’imposizione di
controlli statali polizieschi da parte dei capi politici e dei tecnocrati
locali…:
sottomettendo
la resistenza, censurando spietatamente il dissenso, isolando i sani, facendo
crollare le economie, e costringendo alla vaccinazione durante una prevista
crisi sanitaria mondiale’.
Si veda ‘I Believe We Are Facing an Evil That
Has No Equal in Human History’ e ‘Sputnik V is a scam: “A socioeconomic
experiment on the Russian population”’.
Il
governo dell’Ucraina non è differente, usando misure coercitive per forzare
alla vaccinazione i propri cittadini nonostante un livello insolitamente alto
di consapevolezza dei pericoli dei vaccini fra la popolazione generale –
indotta a una sostanziale resistenza.
Si
veda ‘As
COVID Surges, Protesters Hit Streets of Ukraine to Decry Vaccine Mandates’.
Ci si
sta tenendo aggiornati dell’elenco sempre più lungo dei lesi o uccisi
dall’iniezione, che ha luogo sullo sfondo di questa guerra?
Il
varo del 5G, essenziale alla creazione della propria griglia di sorveglianza e
controllo da parte dell’élite, acquista slancio sotto l’egida della narrazione
‘virus’/‘vaccino’ ed ora della guerra Russia/Ucraina.
Ovviamente,
anche la radiazione elettromagnetica ucciderà un gran numero di persone, sia
direttamente sia decimando la popolazione di insetti (con relativa riduzione
delle scorte alimentari), e la griglia di sorveglianza e controllo renderà
possibile intrappolarci a casa e nel proprio quartiere, con ogni sembianza di
libertà e diritti umani consegnata alla memoria.
Si
veda ‘Sleepwalking
into Hell: The Global Elite’s Technological Coup d’état Against Humanity’ e
‘Deadly Rainbow: Will 5G Precipitate The Extinction Of All Life On Earth?’
E,
sempre che non si sia ignorata la ‘Gran Risistemazione’ del Forum Economico
Mondiale di Klaus Schwab, si è ben consci che l’Elite Globale programma la
trasformazione di 200 aree di vita umana utilizzando tecnologie associate alla
quarta rivoluzione industriale e al transumanesimo (ivi compresi 5G e 6G, armi
militari, intelligenza artificiale [AI], big data [elaborazione di relazioni
fra enormi masse di dati – ndt], nanotecnologia e biotecnologia, robotica,
Internet delle Cose [IoT], e calcolo quantico).
Tecnologie
che sovvertiranno l’identità umana, la libertà umana, la dignità umana, la
volizione umana e la privacy umana, riducendo i superstiti privacy in schiavitù
transumana in cui si avrà un’identità personale digitalizzata – questa connessa
ai dati registrati delle proprie operazioni bancarie, salute, fedina penale e
altro, per stabilire il proprio ‘punteggio personale di credito sociale’, come
quello usato in Cina, per determinare quel che si può o non fare abitando nella
propria ‘smart city’ [città ingegnosa], mangiando sostanze pseudo-alimentari
derivate dai rifiuti e dagli insetti.
Si
veda ‘The
Great Reset’.
In
Ucraina, il governo sta semplicemente utilizzando la guerra per espandere
rapidamente quel che era già ‘uno dei sistemi ID digitali a gestione
governativa più espansivi al mondo’, facendo del paese il leader mondiale in
alcuni aspetti della digitalizzazione mediante la propria app Diia, con tutto
quel che ciò preannuncia del futuro umano.
Si
veda ‘How
Ukraine Government Is Converting Digital ID System Into Wartime Tool’.
Ovviamente
a fine guerra non ci sarà alcuna retrocessione da tutto ciò.
La
Russia è altrettanto impegnata al proprio programma di digitalizzazione, benché
abbia anche un ruolo chiave nello sviluppo di un sistema bancario controllato
dall’élite, completo di valute digitalizzate, che soppianterà il modello
attuale.
Il paese ospita le simulazioni annue del Cyber
Polygon.
Si veda ‘Taking Control by Destroying Cash:
Beware Cyber Polygon as Part of the Elite Coup’.
Se
tutto ciò suona assurdo, ecco due altri analisti geopolitici che offrono
un’analoga conclusione basata sulle proprie analisi:
‘The Ukraine Crisis: What You Need to Know’ e
‘Ukraine-Russia: A Proxy-War, Advancing the Agenda of the Great Reset?’
E
riguardo alla guerra in Ucraina?
Come
molti, anch’io sono preoccupato per la guerra.
Attirando
l’attenzione al programma elitario più in profondità che sta intrappolando
l’umanità in un futuro da incubo, non intendo che la guerra non importi.
Ma so
anche da lunga esperienza che il movimento antibellico resta privo della
capacità di agire per evitare o fermare le guerre perché manca dell’analisi,
dell’orientamento strategico, della tenacia e del coraggio di farlo.
Vorrei
che fosse altrimenti.
Tuttavia,
se si vuole partecipare a una strategia per por fine a questa guerra, in
particolare data la possibilità che si tramuti in una insurrezione a più lungo
temine –
si veda ‘Ukraine
And The New Al Qaeda’ – leggendo (Nonviolent Defense/Liberation Strategy).
E se
si vuole partecipare a una strategia per por fine a ogni guerra, si può leggere
(Nonviolent Campaign Strategy).
Ciò
detto, mi permetto di sottolineare che gli aspetti chiave di queste strategie
sono la necessità di riconoscere che la violenza è insita profondamente nella
società umana per un modello genitoriale essenzialmente basato sull’esigere
obbedienza da un bambino anziché nutrirne l’auto-volontà.
Si veda ‘Why Violence?’ e ‘Fearless
Psychology and Fearful Psychology: Principles and Practice’.
E ciò
genera una società in cui molti sono così avversamente influenzati da essere
resi effettivamente folli.
Purtroppo,
alcuni di essi finiscono in situazioni dove esercitano livelli straordinari di
controllo.
Si
veda ‘The
Global Elite is Insane, Revisited’.
Quindi,
se si vuole ridurre la violenza e la guerra in futuro, si prenda in
considerazione di fare ‘My Promise to Children’.
Dunque,
che vuol dire tutto ciò?
A
prescindere dalle proprie preoccupazioni per la guerra in Ucraina, incoraggio
comunque a non lasciare che distragga dall’agire con vigore per sconfiggere
l’agenda elitaria sottostante.
Se ci si lascia catturare dall’isteria bellica
mancando di difendere sé e i propri cari, si scoprirà presto che si è rimasti
privi di tutto quel che riguarda la vita che si è conosciuta, indipendentemente
dall’esito della guerra.
Dunque,
che cosa si può fare?
Idealmente,
se si vuole resistere strategicamente all’agenda elitaria, l’opzione più
potente è partecipare alla campagna ‘We Are Human, We Are Free’, la cui versione più semplice è
spiegata sul volantino di una pagina che identifica una breve serie di azioni
nonviolente cruciali che chiunque può fare.
Il
volantino, disponibile adesso in 15 lingue (ceco danese, inglese, finnico,
francese, tedesco, greco, ebraico, ungherese, italiano, polacco, romeno, russo,
spagnolo, slovacco) con altre in gestazione, scaricabile ( ‘The 7 Days Campaign to Resist the
Great Reset)’.
Conclusione.
La
guerra in Ucraina è una tragedia per chi ne è direttamente colpito ma altresì
per noi tutti; particolarmente se non riconosciamo la minaccia che nasconde
agendo vigorosamente in risposta a tale peggiore minaccia.
Da
5.000 anni le élite ci mettono l’uno contro l’altro – al lavoro, sul campo di
battaglia, nella vita in generale – attirando l’attenzione su differenze
superficiali (basate su genere, razza, religione, classe, nazionalità…) e
ingrandendole, esacerbando così i conflitti e convincendoci di star agendo nei
nostri migliori interessi quando facciamo quel che ci dicono mediante i propri
agenti nei governi, nei media mega aziendali e altrove, e che la solidarietà
umana non vale nulla.
Beh,
un giorno ormai prossimo faremmo bene a renderci conto che in fin dei conti
solo tre cose importano:
la
solidarietà umana è essenziale se dobbiamo sopravvivere a questa crisi
esistenziale,
il nostro vero nemico non è gli altri [nostri pari]
bensì la “folle Elite Globale”, e noi dobbiamo agire con vigore e nonviolenza
se dobbiamo sconfiggerla.
Altrimenti
un futuro umano, valevole la vita, sarà breve.
(Robert
J. Burrowes, Ph.D. – TRANSCEND Media Service)
(transcend.org/tms/2022/04/the-war-in-ukraine-understanding-and-resisting-the-global-elites-deeper-agenda/)
Gli
“anni venti” crocevia della
storia
nel conflitto
tra élite e popolo.
Ilpopolo.cloud.it
– Luigi Rapisarda – (09 Luglio 2021 ) – ci dice:
In
questi ultimi tre secoli c'è, nei rispettivi anni ‘20, un comune denominatore
che sembra marcare, dinamiche politiche e accadimenti socio-economici,
soprattutto del quadrante Euro-atlantico, lasciando un riverbero profondo nello
scorrere dei successivi decenni, ora favorendo, ora imbrigliando, quando non si
è osteggiato brutalmente, il percorso di riconoscimento e di avanzamento dei
diritti dei popoli.
Una
retrospettiva che rende palpabile il tormentoso ed altalenante cammino
dell'umanità, sempre alla prova di inediti eventi, nei quali, talora, le
brutalità dell’irragionevolezza e di ideologie forsennate l’hanno messa al
cospetto di scenari orrendi, fino a devastare quel faticoso percorso di
riconoscimento dei diritti, per tutti, che avevano trovato nella Costituzione
americana e nei primi momenti della rivoluzione francese la prima organica
affermazione dei principi di libertà e di uguaglianza.
Fu così che in risposta al nuovo assetto del
continente europeo, deciso dal Congresso di Vienna del 1815, che si affrettò a
restaurare le vecchie corone, si cominciò ad assistere al fermento
rivoluzionario da parte, soprattutto, della borghesia illuminata, che
organizzata in società segrete (tra di esse la più diffusa fu la Carboneria)
coltivava da tempo ideali rivoluzionari per l’affermazione della democrazia e
delle libertà contro i regimi dispotici dei regnanti reintegrati da quella
assise viennese, il cui primo atto fu quello di cancellare le prime Carte dei
diritti ed i primi abbozzi di Costituzione concesse, comprese quelle minime libertà
di stampa e di associazione.
Con i primi moti del 1820 che trovarono
terreno fertile in Spagna e nel Regno delle due Sicilie, si galvanizzarono
tante coscienze insofferenti al riaffiorare di vecchi regimi dispotici in tante
parti dell’Europa e della nostra penisola e cominciarono a prendere forma i
primi Statuti, che poi a metà secolo trovarono migliore forma:nel nostro paese
con lo Statuto albertino, sebbene ancora lontani dal pieno riconoscimento del
principio di tripartizione dei poteri, di uguaglianza e delle libertà come oggi
siamo abituati a leggere e riconoscere quale patrimonio naturale di civiltà.
Ben di
altra portata e molto più variegato fu il bilancio degli anni ‘20 del secolo
scorso.
L’Europa usciva a fatica da una guerra
devastante che aveva fatto milioni di morti: a questo flagello si era aggiunto
il carico di vittime dovute all'epidemia di spagnola.
In tale sconvolgente scenario gli anni ‘20
furono un decennio denso di attese e di speranze, presto soverchiate da
ideologie e propositi di acceso nazionalismo e di forte revanscismo, sia da parte delle potenze
sconfitte, la Germania in primo luogo, cui erano state sottratte parti del
territorio nel versante ovest come nel
fianco orientale, sia da parte di chi come l’Italia si era sentita
penalizzata con riferimento ad alcuni territori: Fiume e la Dalmazia, che al
tavolo della pace di Versailles, invano aveva rivendicato.
Toni
che in quei paesi traevano linfa e a loro volta alimentavano sempre più
l’inquietudine e la disperazione di tanti ceti sociali ridotti in povertà da
un'economia in forte crisi per l’immanenza di un’inflazione indomabile e delle
pesanti condizioni del trattato di pace di Parigi.
Con le
piazze divenute arene di manifestazioni antigovernative che trovarono in leader
spregiudicati e opportunisti gli artefici di radicali sconvolgimenti
istituzionali, sfociati in diverse dittature nel quadrante europeo, alcune poi
con declinazioni brutali e mostruose.
Ma
giocò molto anche lo spettro di una minaccia comunista causato dalla rivoluzione
bolscevica del 1917, e al suo finire, della terrificante depressione, esplosa
sul finire del 1929, con il crollo della Borsa di WALL Street, che generò nel
mondo una crisi economica senza precedenti.
In
Italia si facevano strada forti propositi di identità patriottica, nel
crescendo di un clima di cruente turbolenze di piazza ad opera dei socialisti
che guardavano con fervore all’esperimento dei bolscevichi.
Fu
così che in questo quadrante, sempre più arroventato da episodi di proditorie
aggressioni che si consumavano ai danni soprattutto delle prime leghe operaie,
nel crescendo di una propaganda che enfatizzava gli effetti emotivi sui tanti
italiani che si erano sentiti traditi da ciò che Gabriele D’Annunzio aveva
definito “la vittoria mutilata”, e al contempo facendo leva su un accesa difesa
della borghesia imprenditoriale e della sovranità nazionale dal pericolo
bolscevico, Mussolini organizzò una bellicosa “marcia su Roma” dal forte
effetto intimidatorio su Vittorio Emanuele III.
Un'iniziativa che ebbe tutto il sapore di una
sfida, ma che andò nel segno, provocando l'irrazionale decisione del Re
Vittorio Emanuele III, che invece di far arrestare i promotori per il grave
atto insurrezionale, affidò l’incarico al suo principale artefice, spianando la strada
ad un governo fascista, il cui movimento, appena qualche anno prima,
alle elezioni del 1919, non aveva
riportato che una manciata di voti e nessun deputato ed alle successive
elezioni del 1921,nonostante un diffuso contesto di intimidazioni e violenze,
soprattutto nei confronti delle forze non allineate al blocco nazionale di
centro destra, aveva portato in parlamento solo 35 deputati fascisti, nella
coalizione voluta dal vecchio liberale Giovanni Giolitti, ormai in ritirata.
In
quella tornata elettorale del ‘21, abbastanza considerevole era stata
l’affermazione del partito popolare di don Luigi Sturzo, che entrato nella
scena politica nel gennaio del 1919, con un manifesto indirizzato agli uomini”
liberi e forti”, aveva rafforzato la sua rappresentanza rispetto alle
precedenti elezioni tenutesi nell’anno della sua entrata in campo.
Quel
manifesto fu una pietra miliare con cui Sturzo tratteggiò le linee di azione
del popolarismo, che poi trovò nella Democrazia Cristiana, con De Gasperi,
Fanfani e Moro, la sua completa attuazione in un programma di governo del Paese
che si snodò per ben cinque decenni, assicurando sviluppo e benessere.
Quella
decisione del Re di nominare primo ministro Mussolini, come gli storici, pur
nelle diverse sfumature, concordano, fu un grave errore politico, essendo
apparsa chiara la natura non tipicamente democratica di cui si alimentava
quella ideologia.
Ed
infatti nel volgere di pochi anni Mussolini, dopo qualche timido tentativo di
dialogo con le opposizioni, con le elezioni, quasi farsa del 1924, ove ottenne
la maggioranza assoluta, in un clima di palesi intimidazioni, pur nel bel mezzo
di una tempesta politica che lo vide additato come il responsabile
dell'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, non tardò a
esautorare il Parlamento, instaurando apertamente una dittatura a partito
unico.
Ma non
fu solo l’Italia a conoscere questa deriva autoritaria.
Anche
la Germania, piegata dalle pesanti condizioni e da gravosi debiti di guerra,
imposte dalle potenze vincitrici, si dibatteva in una crisi economica senza
precedenti.
Con
un’inflazione alle stelle, si facevano sempre più strada bellicosi propositi di
acceso nazionalismo e di preoccupante revanscismo, con rivendicazione dei
territori sottratti alla propria sovranità’.
In questo quadro fu determinante l’esperienza
fallimentare della Repubblica di Weimar, e soprattutto la debolezza del
presidente Hindenburg, che finì per cedere alle pressioni del magnate
dell’editoria di quel tempo Alfred Hugenberg e del Cancelliere dimissionario
Franz Von Papen, incaricando Adolf Hitler, di formare un nuovo governo.
Forse
qualche peso lo aveva avuto anche il fatto che il suo partito era stato tra le
forze politiche che alle elezioni per il rinnovo del Bundestag del 1932, avevano
riscosso, in quel clima di grandi tensioni sociali e di disastro economico, un
considerevole consenso.
Un
grave errore di cui il vecchio presidente Hindenburg, che morì appena un anno
dopo, si pentirà amaramente, per aver affidato ad un leader che non faceva
mistero del suo credo ideologico fondato su una profonda avversione
antidemocratica ed anti parlamentare e su aperte simpatie per un governo
totalitario..
Ovviamente
la prima cosa che chiuse fu proprio il Parlamento, trasformando la forma di
quel governo in un regime a partito unico, totalitario, guidato dal mito della
superiorità della razza.
Due dittature nate per via istituzionale che
subito mostrarono il loro vero volto, trasformando, nel volgere di pochi mesi,
la legittimazione a governare il paese su mandato popolare in una presa del
potere autoreferenziale e totalitaria, con l’abolizione delle rappresentanze
parlamentari.
Con
tutti i lutti dovuti ad una politica guerrafondaia e brutale sul finire degli
anni ‘30 e odiose leggi e persecuzioni razziali che causarono milioni di morti.
Diverso
fu lo scenario in America, dove gli anni ‘20 del secolo scorso furono sinonimo
di anni ruggenti.
Dopo
la grande guerra, gli americani furono pervasi da un un'irrefrenabile voglia di
modernità, ma conobbero anche, in un intreccio di puritanesimo e imprese
scintillanti, la dura lotta al consumo di alcolici, conosciuta con il nome
emblematico di “proibizionismo”.
Furono
gli anni più opulenti della storia americana, nel bel mezzo di una crescita
economica esponenziale, ed ogni città era un cantiere a cielo aperto.
E così
spensieratezza e divertimento si accompagnavano al benessere economico, che fu
il grande motore di quell’euforia, con grande diffusione di locali dove ci si
scatenava tra jazz e charleston, mentre Los Angeles, nuova capitale
dell’industria del Cinema, lanciava in quel firmamento, sempre più
irrefrenabile, le prime grandi dive.
Bellissimo
l’affresco che su quest’epoca ha saputo tratteggiare Francis Scott Fitzgerald
in “The Great Gatsby”.
Ma il
decennio ruggente non ebbe neanche il tempo di completare il suo ciclo che si
infranse nella grave depressione economica che improvvisamente esplose nell'ottobre
del’29 con il crollo dei titoli alla Borsa di Wall street.
Gli
anni ‘20 di questo nostro secolo si innestano in uno scenario apparentemente
diverso in una società matura, educata alla democrazia ed al godimento delle
libertà fondamentali e con un’economia, che pur nella difficoltà di bene
fronteggiare gli effetti di una globalizzazione selvaggia, sapeva farsi strada,
in alcune dimensioni nazionali, come la nostra, con le eccellenze del made in
Italy.
In questo quadro di salda garanzia dei valori
di libertà individuali nessuno avrebbe mai pensato al tallone di Achille che
tutti i sistemi democratici stanno sperimentando nel vedere vanificate con
semplici provvedimenti amministrativi conquiste presidiate da un sistema di
garanzie invalicabili.
E non
già per un improvviso golpe, né per effetto di degenerazione del sistema
istituzionale, ma ad opera di un inaspettato evento esterno: un virus non
controllabile, sconosciuto anche alla scienza, pur se qualche pioniere esperto
di questa materia ne aveva preconizzato l’imminente avvento.
Ma, si
sa che spesso scienziati e profeti non sono presi sul serio, magari soverchiati
da quote di informazione, talora troppo compiacente agli assetti di quel
momento o da scarse capacità dei governanti di guardare oltre un limitato
orizzonte, sprecando l’occasione di prepararsi preventivamente ad eventi
drammatici che la scienza aveva ampiamente preconizzato.
Facendoci
trovare del tutto scoperti e impreparati all’improvviso ed irruente apparire
del virus sars 2 o, come è stato più precisamente chiamato, Covid 19.
Perdendo
clamorosamente l’occasione di una preventiva conoscenza delle sue
caratteristiche, delle potenzialità di cura e della sua letalità.
Così
il nostro sistema sanitario è apparso subito inadeguato ed impotente, senza i
necessari mezzi, contando un’allarmante carenza dei reparti di terapie
intensive, tarati secondo piani sanitari che in questi due decenni,
nell'obiettivo irrazionale di un risparmio di spesa, ne avevano destrutturato
l’intero sistema sul territorio, riducendo enormemente l'equilibrato rapporto,
in confronto alla popolazione.
Con
l’aggravio che il nostro paese si è trovato senza un piano pandemico
aggiornato: la polemica è di stringente attualità e coinvolge anche l’Oms ed un
suo esponente di primo piano, precedentemente incaricato, qualche anno
addietro, di predisporre il periodico piano pandemico.
Resta
indimenticabile l’esperienza terribile che abbiamo vissuto nei mesi di marzo e
aprile dello scorso anno, quando si contò una ecatombe di anziani, decimati,
ancora non si sa bene se direttamente dal virus, o se in concomitanza dello
stesso, non lasciando scampo, soprattutto alle persone debilitate da altre
patologie, mentre tutte le terapie di volta in volta sperimentate, in quella
primissima fase, da eroici medici ed infermieri, spesso senza efficaci
protezioni personali, agendo a rischio della propria vita, sono risultate
inefficaci.
In
ogni caso, molto suggestionarono le immagini forti e assai persuasorie di un
immaginario collettivo che una campagna mediatica non si è risparmiata con le
colonne di bare che si replicavano nei tg della sera.
Ben
poca cosa, certo, rispetto a come la Cina ha ben orchestrato l'informazione
mediatica del suo modello di contenimento del virus con un lockdown impietoso e
durissimo, con modalità di inaccettabile controllo sociale tramite sofisticate
forme di pedinamento telematico.
Modalità
cui, sebbene non adottate con quella estrema durezza, e con quelle tecnologie,
non hanno potuto fare a meno neanche i paesi di sperimentata democrazia,
rivelandosi inevitabile, nei momenti di maggiore diffusione del virus, il
ricorso a confinamenti dell’intero territorio, nella doverosa necessità di dare
efficace tutela della salute collettiva, che ovviamente nel bilanciamento dei
diritti della persona ha particolare rilevanza, in quanto espressione più
naturale del diritto alla vita.
Tuttavia
la forte compressione di tutti gli altri diritti ha mostrato l’estrema
vulnerabilità di altrettante posizioni giuridiche e interessi costituzionalmente
protetti allo stesso modo, conculcandone l'esercizio per un non breve e
circoscritto periodo, senza dover nemmeno fare ricorso ad alcun provvedimento
di rango legislativo, approntati, alcuni, solo in fase postuma per coprire di
legittimità i tanti Dpcm, e dopo un certo risentimento di parte dell’opinione
pubblica e di emeriti costituzionalisti, raccolto anche dal Capo dello Stato,
per la preoccupante marginalizzazione che sembrava aver subito la nostra
istituzione parlamentare.
Mentre
l'inarrestabile emergenza negli ospedali, ha fatto dimenticare, nelle fasi
acute, tutti gli altri ammalati, con sospensione di ogni tipo di intervento che
non fosse indifferibile, e non è sembrata conciliarsi, come buona pratica di
governo, la decennale inerzia preventiva rispetto ai possibili fenomeni di
diffusione di massa di agenti patogeni, e soprattutto virali, di cui già la
Sars, di circa 10 anni fa, ci aveva messi n solerte allarme, senza contare i
vari scenari che qualche approfondimento giornalistico, di seria fattura, ci
aveva anticipato.
E così
non si è stati in pochi, tra opinione pubblica e media, a esprimere forti
critiche, chiedendoci se in questi momenti così insidiosi e difficili per la
tenuta dei settori vitali di un paese (sistemi produttivi e relazioni sociali)
non si fosse manifestata una carenza di saggezza politica che, per la gravità
del contesto, avrebbe dovuto invece esprimere le migliori soluzioni per il bene
comune.
Obiettivo
che con tutte le buone intenzioni non è sembrato essere stato adeguatamente
perseguito con i provvedimenti adottati con modalità talvolta incompatibili con
la natura primaria delle sfere giuridiche che essi sono andati a comprimere e
con il blocco e la conseguente desertificazione, per un buon lungo periodo,
delle attività produttive in uno stop and go che stiamo pagando a caro prezzo.
Né è
sembrata di grande efficacia l'altalenante dose di informazioni sulle linee di
comportamento, che via via si sono dati alla collettività con troppa
improvvisazione o forse con messaggi contraddittori, per la non sopita disputa
tra scienziati ed esperti.
Ma
resta sullo sfondo il sospetto della grave responsabilità dei governi delle
precedenti legislature per lo smantellamento dei presidi ospedalieri di
territorio, eufemisticamente definito “razionalizzazione del sistema
sanitario" in realtà per risparmiare sulla salute dei cittadini, come
scopertamente si è evidenziato in questa emergenza.
Mentre
per quel che concerne questo governo pare proseguire su una linea ancora
ondivaga.
Ma soprattutto
è sul governo del Conte bis che si è maggiormente indirizzato il focus di
numerosi interrogativi che ancora oggi attendono una chiara risposta.
Come
mai, infatti, visto che il primo comunicato dell'OMS era dei primi di gennaio
dello scorso anno, il governo rispondeva con un decreto che riconosceva lo
stato di emergenza nazionale solo il 31 gennaio scorso, quindi minimizzando e
senza predisporre in tempo un adeguato piano di approvvigionamenti preventivi
(respiratori, ampliamento dei posti di terapia intensiva, mascherine e presidi
vari ) insomma tutte le risorse, indispensabili per fronteggiare l’impatto del
virus?
Poi ci
si è attestati ad inseguire il virus, anziché prevenirlo.
Così è
bastato l’inevitabile verificarsi di assembramenti nelle grandi città,
invogliati dalla frenesia degli acquisti in cash back - ma il territorio
dell’Italia non è solo quello - per indurre il governo ad un nuovo severo
lockdown sotto Natale scorso,
replicato
dal governo Draghi anche nei giorni di Pasqua, nell’affanno di una campagna
vaccinale che non riesce ancora a trovare la giusta misura, complice anche il
caos delle contrazioni nelle consegne dei vaccini ad opera delle aziende
produttrici con qualche colpa delle nostre Istituzioni europee che non hanno
saputo esigere il rispetto degli impegni a causa di contratti sbilanciati nelle
clausole soprattutto sul versante delle garanzie del giusto rispetto degli
adempimenti.
Insomma
una miriade di contraddizioni, tra messaggi e linee di indirizzo talora
confliggenti e talvolta irrazionali e nuove temibili mutazioni del virus, che
hanno contribuito a disorientare la popolazione.
Un
metodo che ha viziato persino i rapporti con le istituzioni territoriali,
pregiudicando ogni facile intesa, con fughe in avanti e tentativi governativi
di portare a uniformità le spericolate rivendicazioni di autonomia normativa
delle regioni, a loro volta protagoniste di disarmoniche iniziative o sovente
in aperta dissonanza tra sottili rivalità tra esse.
Così
lo scenario dei tanti confinamenti si è infilato sempre più nel tunnel di un
enfatico allarmismo mediatico, facile canale di persuasione ad ogni misura
restrittiva.
Facendo
affacciare in qualcuno (ne abbiamo visto tenore nell’ “ Appello ai cattolici
per la Chiesa e il Mondo ”) la singolare tesi di un concerto mondiale di poteri
sovranazionali, capaci non solo di orientare la gran parte delle risorse
finanziarie dei sistemi economici dei diversi paesi, ma, a questo punto,
ritenuto maturo per un ulteriore salto
di specie, per passare a costruire, in tempi non lontani, una sorta di governo
globale dei processi economici dei diversi continenti, disarcionando di fatto
le sovranità nazionali, che finirebbero per essere, obtorto collo, funzionali
ad essi, con generalizzati meccanismi di suggestione sociale di massa.
Tesi
suggestive ma inverosimili, come inverosimile appare (speriamo non sia smentita
dai tanti approfondimenti che anche su questa origine e diffusione si stanno
facendo) la tesi di una premeditata diffusione del coronavirus asiatico e la
concomitante irradiazione del 5G, per studiare in tempo reale collateralmente
alle specifiche realtà socio-normative che si sono succeduti nei diversi paesi
per fronteggiare l'emergenza reale, gli scenari di nuovi modelli di governo di
massa che i pochi possessori delle risorse e delle ricchezze dei paesi, stanno
provando a calare sulla testa dei popoli.
E per
far ciò basterebbe svuotare le democrazie delle parte sostanziale dei diritti e
delle garanzie, lasciandole sopravvivere nella loro identità formale, perché
rese più effimere all'impatto di sistemi di controllo sociale sofisticati (5G)
consentendo ai governi di monitorare la vita privata delle persone fino ad
impadronirsi, come è immaginabile, delle loro intimità familiari.
Una
condizione sociale che riporta alle vulnerabilità dell’esistenza tipica dello
stato di natura, dove vige la regola dell’homo homini lupus.
Con
l'umanità sempre più ricondotta, in un percorso di inesorabile soggezione
sociale, al Moloch hobbesiano rappresentato da potenti oligarchie.
Considerazioni
e analisi, queste, delle dinamiche interdipendenti tra Cancellerie dominanti e
un oscuro “deep state”, che rasentano il surreale.
Anche se
non sono state poche le deviazioni ai normali canoni della democrazia e dello
stato di diritto, persino nella nostra Europa - emblematico il caso della
Polonia e dell'Ungheria - con qualche tentazione anche nel nostro Paese.
Tanto
che qualcuno affaccia il rischio di effetti irreversibili che possano sfigurare
per sempre la scala di valori che sono alla base di queste conquiste
dell’umanità.
Umanità
che già sembra aver perso, nei milioni di visi mascherati, il sorriso, la
speranza e la visione del proprio futuro.
Ma non
ci rassicurano quelle chiavi di lettura che ne scorgono i segni di cicliche
traversie dell'accidentato percorso della storia umana, in quella dimensione
circolare che trova nel suggestivo e singolare pensiero di Giambattista Vico la
sua più emblematica espressione, il ritenere naturale il riemergere ciclico di
tragedie universali capaci di scavare un abisso nei nostri cuori al punto da
insidiare irreversibilmente il nostro sentire comune.
Un
sentire comune che non riusciamo a scorgere nelle iniziative che ciascuna
nazione sta unilateralmente portando avanti per l'accaparramento, in quantità
ingenti, dei vaccini.
Come
fosse una corsa tra paesi tutta al di fuori dai cardini di quella elementare
solidarietà tra i popoli che dovrebbe soprattutto motivare i paesi ricchi a
venire incontro alle deficienze strutturali nella rete sanitaria dei paesi meno
fortunati: l’Africa soprattutto.
Una
corsa forsennata che spingerà le comunità a chiudersi più di quanto non abbiano
fatto con i migranti e mandare in frantumi ogni impulso verso la cooperazione
che trova nel sentimento della solidarietà e fratellanza tra i popoli il suo
paradigma.
Uno
scenario ben delineato dal prof. Nicholas Christakis, sociologo presso
l’Università di Yale, per il quale “le pandemie su scala globale ci obbligano a
sopprimere i nostri impulsi evolutivi legati alla connessione con i nostri
simili, dal vedere gli amici al toccarci a vicenda”, e “sono particolarmente
impegnative per il genere umano, perché pregiudicano la nostra capacità di
cooperazione e la nostra tendenza a socializzare”.
È in
tale contesto non è escluso che con temibili derive populiste, possano
riaffiorare i tanti sommersi contrasti tra le nazioni, mentre crescerà
l’incapacità degli organismi sovranazionali di poter essere in grado di
mediare, con il rischio di scenari apocalittici.
Appannando
la primaria esigenza di coesione che dovrebbe guidarci nella distribuzione, su
scala continentale, di questi presidi vaccinali anti covid19 a tutte le
comunità della Terra.
Auspichiamo
al contempo che la principale arma con cui si sta combattendo la diffusione del
virus, oltre al vaccini, non continui per anni (visto che come sostengono molti
scienziati il virus continuerà a circolare per un bel po di tempo) a basarsi
sulla ferrea regola del distanziamento e della indotta diffidenza verso l'altro
(seppur nell'intenzione degli scienziati non può che essere ovviamente della
sola sfera fisica del soggetto) perché rischierà di lasciare dei segni
indelebili sulla naturale fisionomia delle relazioni umane.
Così sulla strada di altalenanti confinamenti,
nel sempre più crudele diradamento dei rapporti umani, corriamo il rischio di
provocare anche all'interno delle famiglie, soprattutto tra generazioni
diverse, nonni e nipoti, un allontanamento di affetti e vicinanze e con esso la
recisione di questo insostituibile rapporto educativo tra le generazioni, che
sarà difficile recuperare in brevi lustri.
Mentre
si insinua permanentemente nella coscienza dell'uomo la paura dell'altro,
perché lo si associa, appunto, alla paura del contagio come veicolo di morte.
Con
l’effetto che si riducono spontaneamente le promiscuità, alla base
dell'inclusività e dell'integrazione delle comunità, e in certi contesti
territoriali,ove dominano fenomeni di aperta competizione per accaparrarsi un
lavoro, si generano forti sentimenti di odio e di diffidenza e si accresce la
tendenza all'isolamento, con la grave ulteriore conseguenza di rendere ancora
più esposto l’individuo, che si ritrova ancor più solo e vulnerabile allo
spadroneggiare di egemonie oligarchiche e dei poteri forti.
E in
questa fallace suggestione l'affettività diventa una insidia e un pericolo.
Viene
in mente la brillante premonizione del sociologo Zygmunt Bauman sulla perdita
di qualsiasi riferimento “solido” che oggi affligge le società.
Su
questa inconfutabile constatazione egli innesta un’analisi della società
divenuta sempre più “liquida”.
Una
suggestiva teoria che si riconduce al filone post-modernista, con i suoi canoni
di ordine e globalismo effimero che per la sua fugace dissolvenza è stato
incapace di lasciare un'impronta duratura destrutturandoci in un presente
ancora sfuggente ma denso di implicazioni assai inquietanti.
E il
segno inequivocabile, come ci spiega Umberto Eco in una sua chiave di lettura
del filosofo della “società liquida”, di una tale deriva generata da questi
repentini mutamenti lo troviamo nella crisi dello Stato, soggiogato da potenti
forze che sovrastano i confini delle nazioni.
Ove
l'individuo si sente sempre più smarrito in questo improvviso dileguarsi di
tutele e di protezione.
Ed è
per lui terribile perché si accorge di aver perso ogni fiducia non trovandolo
più a presidio della comunità in modo omogeneo e “solido”, mentre è soverchiato
dallo spadroneggiare di peculiari interessi sulla generalità dei bisogni e le
essenziali aspirazioni della persona.
In
tale contesto si genera un decadimento delle ideologie e con esso dei partiti
sempre meno rappresentativi di valori stabilì, sia pure declinati in diverso
modo, che sono la base e l’essenza delle comunità.
Ed è
così che si verifica la frantumazione della società.
Perché
ne perde il connotato di comunità volta alla ricerca di comune benessere,
mentre afferma un libero tutti, smarrendo la consapevolezza di un cammino
condiviso e affermando invece diffidenza e antagonismo verso l’altro, che
diviene il nostro nemico.
E
diviene financo il terreno ideale del nichilismo, che allontana dalla fede in
una salvezza dall’alto o in una piena fiducia nei compiti supremi dello Stato,
custode della vita dei suoi membri.
Mentre
il soggettivismo si irradia e si impadronisce totalmente della società
facendole perdere il suo amalgama.
L’effetto
è devastante: perdere l’essenza e la sacralità del concetto di persona,
surrogato da un individualismo dell’apparenza, mentre la frenesia e la voglia
di apparire, qui ed ora, in un vortice di ingordigia dell’immagine, che già il
giorno dopo sono inappaganti, ne diviene il valore.
Riflessioni,
quelle di Bauman, che scolpiscono, in un moto perpetuo, tutto il dramma del
cammino dell'umanità nel conflitto tra élite e popolo.
(Luigi
Rapisarda)
Il
culto della morte
delle
élite russe.
Quotidianodeicontribuenti.com
– (3 Luglio 2022) -Redazione – Svetlana Stephenson- ci dice:
(Svetlana
Stephenson, Novaya Gazeta Europa, Lettonia)
L’invasione
dell’Ucraina è il culmine di un lungo processo con cui gli obiettivi di
sviluppo sono stati sostituiti da una retorica basata sul sacrificio e sulla
distruzione.
(La
parata del “reggimento immortale” a Mosca, 9 maggio 2022).
L’inizio
dell’“operazione speciale” in Ucraina è stata una sorpresa per la maggior parte
dei commentatori, compresi quelli che erano stati più critici nei confronti del
regime di Putin.
Nonostante
i numerosi avvertimenti, a nessuno sembrava possibile che il Cremlino stesse
davvero preparando una guerra, perché si dava per scontato che sarebbe stata
disastrosa per gli interessi della leadership e per l’intero paese.
Sia
gli interessi economici dell’élite al potere, che ha soldi, proprietà, figli e
parenti in occidente, sia lo sviluppo dell’economia russa, pienamente integrata
nei mercati globali, sono stati danneggiati da un’avventura militare senza
precedenti.
Non vedendo alcuna logica nel comportamento
della classe dirigente russa, che si pensava fosse più interessata
all’appropriazione che alla distruzione, molti hanno cercato di spiegare la
guerra con qualche mania dei governanti russi.
Le
cause della catastrofe sono state inizialmente individuate o in un disturbo
mentale del presidente, o nell’influenza di certe idee bizzarre, attinte forse dalle
filosofie di Ivan Ilin o Aleksandr Dugin.
Ma la
guerra è stata il risultato di un lungo processo di sostituzione.
Dalla
logica dello sviluppo e della vita si è passati a una logica di distruzione e
di morte: la logica della necro-politica.
Nonostante
tutti i suoi difetti, i primi anni dell’era Putin sono stati caratterizzati
dalla crescita economica e dal fiorire delle attività e della cultura.
Le autorità offrivano ai cittadini un
programma di sviluppo e prosperità, o almeno di stabilità.
Ma
dopo le proteste del 2011 i richiami alla necro-politica sono diventati sempre
più evidenti nel comportamento del potere.
Prendiamo
il discorso rivolto da Putin ai suoi sostenitori a Mosca nel febbraio 2012,
quando, dopo lo shock provocato dalle proteste di massa contro le frodi
elettorali, ha citato la poesia Borodino di Lermontov:
“Presso
Mosca noi moriremo, / Come morirono i nostri fratelli!”.
Nel
2018, parlando al club Valdai della dottrina nucleare russa, il presidente è
tornato di nuovo sul tema della morte collettiva dei russi:
“Noi,
come martiri, andremo in paradiso, loro, invece, moriranno e basta”.
Questi
inquietanti messaggi sono riecheggiati nelle parole del vicecapo di stato
maggiore Vjačeslav Volodin al Valdai del 2014:
“Niente
Putin, niente Russia”.
Il
popolo russo è presentato come una figura silenziosa, la cui vita e la cui
morte sono nelle mani dei governanti del paese.
Sia
nella retorica pubblica delle autorità sia nella lotta contro le forze vitali
della società (come la stampa libera e le organizzazioni non governative), gli
obiettivi di sviluppo e prosperità sono stati gradualmente sostituiti da un
programma di morte.
È in corso una riabilitazione storica di
Stalin e di Ivan il Terribile, despoti che sacrificarono le vite dei loro
sudditi.
Sta prendendo piede un culto dei caduti.
Nelle
scuole di tutto il paese sono introdotti rituali legati alla seconda guerra
mondiale, spesso guidati da militari locali e rappresentanti della chiesa
ortodossa.
I
ricordi degli antenati che hanno perso la vita affinché un giorno non ci
fossero più guerre sono sostituiti da tetre celebrazioni necrofile.
Nelle processioni del “reggimento immortale” i
morti si riuniscono in temibili schieramenti, guidando i loro discendenti verso
nuove guerre.
La
transizione alla necro-politica cambia le priorità del potere nel determinare
chi è destinato a vivere e chi a morire.
Secondo
il filosofo Achille Mbembe la necro-politica comporta la ricerca costante di
nemici, di un “altro” razzialmente o politicamente diverso, di stati
d’emergenza e nuove guerre.
La massima espressione della necro-politica è
stato il nazismo, che ha equiparato il potere e la guerra.
Ma la
storia offre molti altri esempi: dal terrore della rivoluzione francese fino
alla spietata espansione coloniale.
Le
conquiste coloniali russe sono state realizzate sia annettendo territori
vicini, sia schiavizzando il popolo russo.
Lo stato in espansione non aveva interesse per
il benessere dei sudditi.
Questo si ripete anche oggi, con gli evidenti
esempi delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk.
Questi territori non sono diventati l’incarnazione
del successo del “mondo russo”, ma zone in mano ad autorità corrotte e afflitte
da criminalità, crisi economica e impoverimento.
Risposta
deludente.
Il
tema del sangue versato in passato e di quello che lo sarà in futuro è
diventato un elemento centrale del discorso pubblico russo.
L’attore
Sergej Lavronenko, che ha sostenuto la guerra, dice:
“La
lettera Z è come il nastro di san Giorgio, è imbevuta del sangue di milioni di
nostri antenati.
I
nostri nemici hanno sempre tentato di strangolarci, ma li abbiamo sempre
distrutti”.
Il
popolo è di nuovo chiamato al sacrificio per difendere la terra.
Anche
la cultura di massa comincia a riflettere il messaggio mortifero del potere.
La
poesia di Vlad Seletskij del 2020 “Quando l’ultimo russo morirà”, molto
condivisa sui social network russi, contiene cupe profezie:
“Quando
l’ultimo russo morirà, / tutti i fiumi invertiranno il loro corso. / La
coscienza, l’onore e i sentimenti scompariranno / e le stelle non brilleranno
più”.
Anche
se alla fine dio salva la Russia dalla distruzione, il testo è intriso di
profonda malinconia.
La
generazione più giovane è osservata in modo particolarmente attento: deve
promettere senza indugio di essere pronta a morire per il leader.
La
canzone Zio Volva, siamo con te, uscita nel 2017 e dedicata a Putin, è eseguita
spesso nelle scuole e contiene motivi sinistramente apocalittici.
I bambini promettono al presidente: “Se il
comandante chiamerà per l’ultima battaglia, zio Volva, noi siamo con te”.
Dall’inizio dell’“operazione speciale”, i
bambini hanno cominciato a essere considerati una risorsa bellica
Sono fatti allineare a forma di Z, vestiti con
uniformi militari, fatti salire su carri armati giocattolo e mandati a marciare
per strada.
Ma
l’invito a morire non sta suscitando la risposta che ci si aspettava dalla
popolazione.
Mentre
i russi sono pronti ad accettare che il loro paese sia circondato da nemici e a
credere alla propaganda secondo cui l’Ucraina è governata da nazisti, la
maggior parte di loro non vuole morire né mandare i propri figli a morire.
La
canzone sullo zio Volva provoca spesso proteste dei genitori e critiche sui
social network, ed è stata oggetto di numerose parodie.
Potrebbe
essere stata questa riluttanza a impedire il ricorso alla mobilitazione
generale.
È
probabile che le fantasie dell’élite entreranno in conflitto con l’istinto di
vita del popolo.
L’invito
a morire, anche se avvolto nella retorica della grandezza della nazione e della
lotta contro un’orda di nemici, diventerà sempre meno attraente.
E alla fine la politica della morte cederà il
posto alla politica della vita.
(Svetlana
Stephenson insegna sociologia alla “London metropolitan university”)
La
guerra in Ucraina tra la
“folle
élite di Washington” e
“la
codardia dei leader europei”
Inuovivespri.it
– (28 novembre 2022) - Oskar Lafontaine – ci dice:
Intervista
a Oskar Lafontaine, uno dei più noti politici tedeschi di sinistra.
“La
NATO non è più un’alleanza difensiva, ma uno strumento per rafforzare la
pretesa degli Stati Uniti di rimanere l’unica potenza mondiale”.
“Da
100 anni gli Stati Uniti d’America impediscono l’unione tra imprese e
tecnologia tedesca con le materie prime della Russia”.
“Gli
Stati Uniti non sono riusciti a rovinare la Russia… la potenza nucleare russa non può essere
sconfitta militarmente”.
“L’esplosione
dei due gasdotti è una dichiarazione di guerra alla Germania ed è patetico e
codardo che il governo federale voglia nascondere l’incidente sotto il tappeto.
Dice di sapere qualcosa ma non può dirlo per
motivi di sicurezza nazionale.
I passeri lo fischiano ai quattro venti da
tempo:
gli
USA o hanno effettuato direttamente l’attacco o almeno hanno dato il via
libera.
Senza
la conoscenza e il consenso di Washington, la distruzione degli oleodotti, che
sono un assalto al nostro Paese, paralizzano la nostra economia e vanno contro
i nostri interessi geostrategici, non sarebbe stata possibile.
È
stato un atto ostile contro la Repubblica Federale – non solo contro di essa,
ma anche – che chiarisce ancora una volta che dobbiamo liberarci dalla tutela
americana”.
A
parlare è Oskar Lafontaine, già Sindaco di sindaco di Saarbrücken, primo
ministro del Saarland, presidente dell’SPD, candidato Cancelliere e Ministro
federale delle Finanze.
Nel
Marzo 1999 si è dimesso da tutti i suoi precedenti incarichi politici nell’SPD
a causa delle critiche al governo di Gerhard Schröder.
È
stato il presidente fondatore del partito DIE LINKE, partito politico tedesco
di sinistra ed estrema sinistra, presidente della fazione di sinistra nel
Bundestag tedesco e candidato principale nelle campagne elettorali statali
della Saarland nel 2009, 2012 e 2017.
Dal
2009 guida il gruppo parlamentare del Partito della sinistra nel parlamento
statale del Saarland.
Lafontaine
ha rilasciato una ‘scoppiettante’ intervista a Deutsche Wirtschaftsnachrichten,
giornale economico tedesco.
Dove
non risparmia critiche agli Stati Uniti d’America e alla NATO.
“La
NATO non è più un’alleanza difensiva, ma uno strumento per rafforzare la
pretesa degli Stati Uniti di rimanere l’unica potenza mondiale”.
I due
gasdotti citati dal politico tedesco sono il Nord Stream 1 e il Nord Stream 2
danneggiati con l’esplosivo.
Ma
anche sulla NATO Lafontaine non ci va leggero:
“La
NATO guidata dagli Stati Uniti – dice – è obsoleta, come ha giustamente
riconosciuto nel frattempo il presidente francese Emmanuel Macron.
Questo
perché la NATO non è più un’alleanza difensiva, ma uno strumento per rafforzare
la pretesa degli Stati Uniti di rimanere l’unica potenza mondiale”.
Per il
politico tedesco oggi gli interessi della Germania e, in generale, dell’Europa
non sono coincidenti con quelli degli Stati Uniti.
“Se
noi e gli altri Paesi europei continueremo a rimanere sotto la tutela degli Stati
Uniti – dice sempre Lafontaine – ci spingeranno oltre il precipizio per
proteggere i propri interessi.
Quindi
dobbiamo espandere gradualmente il nostro raggio d’azione, preferibilmente
insieme alla Francia.
Come Peter Scholl-Latour, molti anni fa ho chiesto
un’unione franco-tedesca. Allora si potrebbe integrare anche la difesa dei due
Stati, come nucleo di un’Europa indipendente.
Per usare un’espressione ormai banale: stiamo
vivendo i dolori del parto della fase di transizione da un ordine mondiale unipolare
a uno multipolare.
E qui
sorge la domanda se abbiamo un posto tutto nostro in questo nuovo ordine
mondiale o se siamo coinvolti nei conflitti di Washington con Mosca e Pechino
come vassalli degli Stati Uniti.
L’immagine del Cancelliere Scholz in piedi
come uno scolaretto accanto al presidente degli Stati Uniti Biden quando ha
annunciato che Nord Stream 2 non avrebbe portato a nulla è stata
un’umiliazione”.
“Da
100 anni gli Stati Uniti d’America impediscono l’unione tra imprese e
tecnologia tedesca con le materie prime della Russia”.
Il
giornalista cita un passo del libro di Lafontaine che riprende una frase si
Nicolò Machiavelli:
“Non è
chi per primo prende le armi che istiga il male, ma chi lo costringe.”
Il significato della frase la spiega lo stesso
Lafontaine:
“Ovviamente
mi riferisco anche al conflitto in Ucraina, iniziato al più tardi con il putsch
sul Maidan a Kiev nel 2014.
Da allora, gli Stati Uniti e i loro vassalli
occidentali hanno armato l’Ucraina e l’hanno sistematicamente preparata alla
guerra contro la Russia.
L’Ucraina divenne così un membro de facto, non
de jure, della NATO.
Questa
storia è accuratamente ignorata dai politici occidentali e dai media
mainstream”.
Poi aggiunge:
“Tuttavia,
è stata una violazione imperdonabile del diritto internazionale che l’esercito
russo abbia invaso l’Ucraina.
Le persone muoiono ogni giorno e tutti, sia
Mosca, Kiev o Washington, che hanno la responsabilità del fatto che non c’è
ancora l’armistizio, portano un pesante fardello di colpa”.
C’è un
passaggio molto interessante dal punto di vista storico e geopolitico:
“Per
più di 100 anni – dice Lafontaine – è stato l’obiettivo dichiarato della
politica degli Stati Uniti impedire a qualsiasi costo che le imprese e la
tecnologia tedesche si fondessero con le materie prime russe.
È
perfettamente chiaro che, visti i precedenti, abbiamo a che fare con una guerra
per procura degli Stati Uniti contro la Russia che è stata preparata da molto
tempo.
È imperdonabile che l’SPD in particolare abbia
tradito l’eredità di Willy Brandt e la sua politica di distensione e non abbia
nemmeno seriamente insistito sul rispetto dell’accordo di Minsk.
“Gli Stati Uniti non sono riusciti a
rovinare la Russia… la potenza nucleare
russa non può essere sconfitta militarmente”.
Gli
Stati Uniti hanno raggiunto i loro obiettivo?
“Sì e
no – risponde il politico tedesco -.
Hanno
avuto un enorme successo nel rompere le relazioni tra la Federazione Russa e
l’UE.
Sono
anche riusciti a mettere da parte l’UE e la Germania come loro potenziali
rivali geostrategici ed economici per il momento.
Stanno ora determinando le politiche degli
Stati dell’UE ancor più di prima del conflitto ucraino, anche grazie a politici
compiacenti a Berlino e Bruxelles.
Possono
vendere il loro gas sporco di fracking e l’industria della difesa statunitense
sta facendo ottimi affari.
D’altra
parte, non sono riusciti a ‘rovinare la Russia’, come ha affermato la signora
Baerbock come uno dei loro portavoce, rovesciando Putin e installando un
governo fantoccio a Mosca per ottenere un migliore accesso alle materie prime
russe, come è stato il caso ai tempi di Eltsin.
E ho
l’impressione che ora gli Stati Uniti si siano resi conto che qui stanno
mordendo il granito.
Nonostante le massicce consegne di armi
all’Ucraina e l’invio di numerosi ‘consiglieri militari’, la potenza nucleare
russa non può essere sconfitta militarmente.
Inoltre, le sanzioni occidentali si stanno rivelando
un boomerang, danneggiano gli Stati occidentali più della Russia e porteranno
alla deindustrializzazione, alla disoccupazione e alla povertà.
I
lavoratori in Europa stanno pagando il prezzo delle ambizioni di potere
mondiale di una folle élite a Washington e della codardia dei leader europei.
Dobbiamo urgentemente garantire che il
conflitto ucraino finisca.
E ciò accadrà solo se gli Stati Uniti abbandoneranno
il loro piano di mettere in ginocchio la Russia prima di prendere la Cina di
petto.
Per
questo serve un’iniziativa europea e deve venire dalla Francia e dalla
Germania.
Se non
lo facciamo, e se non raggiungiamo presto un accordo con la Russia per quanto
riguarda le nostre importazioni di materie prime ed energia, allora l’economia
in Germania e in Europa andrà in malora e i partiti di destra in Europa
diventeranno sempre più forti”.
RIVOLTA
DELLA “GENTE” O
RIBELLIONE
DELLE “ÉLITE”?
Istitutodipolitica.it
- Marco Almagesti, Paolo Graziano – (17 gennaio 2020) – ci dicono:
L’intervento
di Alessandro Baricco sulla Repubblica dell’undici gennaio si propone di
sintetizzare l’insieme dei mutamenti che stanno caratterizzando le democrazie
occidentali negli ultimi anni, mostrando come sia “andato in pezzi un certo
patto tra le élites e la gente”.
Secondo
Baricco è la “gente” che ha infranto questo patto.
Per quale motivo?
“Una
prima risposta è facile: la crisi economica.
Intanto
le élites non l’avevano prevista.
Poi
hanno tardato ad ammetterla.
Infine,
quando tutto ha iniziato a franare, hanno messo al sicuro se stesse e hanno
rimbalzato i sacrifici sulla gente”.
Oltre
agli effetti della crisi economica, Baricco individua una seconda ragione, che
sta alla radice del suo ultimo libro, “The Game “(Einaudi):
si tratta dell’impatto delle nuove tecnologie
della comunicazione, che consentono a tutti l’accesso ad attività
precedentemente riservate solo a pochi privilegiati.
Attingere
a qualsiasi informazione, comunicare con tutti, esprimere le proprie opinioni
di fronte a platee immense, trasmettere le proprie concezioni della bellezza.
Secondo
Baricco queste due cause della “rivolta della gente” sono fortemente
intrecciate:
mentre le tecnologie (The Game)
redistribuiscono il potere, non concorrono in alcun modo a redistribuire
ricchezza.
Malgrado avvisaglie distintamente avvertibili anche
prima, è dalla crisi economica del 2008 che tale miscela diviene esplosiva,
generando, secondo Baricco “una sequenza implacabile di impuntature, di
apparenti deviazioni dal buon senso, se non dalla razionalità”, forme
eterogenee di protesta, tutte accomunabili dall’essere generate dalla “gente”
contro le scelte delle élite.
Scelte,
sottolinea con vigore Baricco, spesso miopi, dimentiche delle difficoltà e dei
drammi vissuti da milioni di persone escluse dai privilegi diffusi nella
“bolla” elitaria.
Sempre
su Repubblica, il 14 gennaio Marianna Mazzuccato ha precisato che “la
democrazia ha creato società meno inique quando gli “esclusi” hanno saputo rappresentarsi
e strappare alle élite concessioni che hanno reso meno penosa e più piena la
vita di tutti (spesso anche delle élite stesse)”.
Il focus dell’intervento di Mazzuccato è posto sul
conflitto, sul fatto che molti diritti di cittadinanza che ancora oggi
caratterizzano l’esistenza di molte persone, almeno nei paesi occidentali, sono
stati ottenuti attraverso il conflitto (“conflitto di cittadinanza” lo
definisce Giovanni Moro) e “non sono stati graziosamente concessi dalle élite”.
La precisazione di Mazzuccato è molto
opportuna.
Infatti, consente di porre l’attenzione sulla
lotta all’esclusione quale molla per l’estensione dei diritti di cittadinanza e
consente di recuperare la fertilità dell’idea del conflitto che, nel lungo
intervento di Baricco, rimaneva sullo sfondo.
Sullo
sfondo del ragionamento di Baricco rimane non soltanto il conflitto relativo
all’inclusione, bensì anche quello interno alle élite, che dovrebbe
caratterizzare la democrazia contemporanea (che è liberale e pluralista o non
è).
Come
viene descritta l’élite da Baricco?
“Riassumendo:
una minoranza ricca e molto potente […] Possono essere di sinistra come di
destra.
Una
sorprendente cecità morale – mi sento di aggiungere – impedisce loro di vedere
le ingiustizie e la violenza che tengono in piedi il sistema in cui credono”.
Forse,
una prima radice della crisi delle élite sta proprio qui, la ravvisa Baricco
stesso:
possono
essere di sinistra come di destra, sono comunque dei “privilegiati”.
Proviamo
a pensare all’impatto di una concezione cosiffatta in ambito politico (il primo
ad essere investito dalla protesta):
ossia nei comportamenti e atteggiamenti di
quella sezione della élite rappresentata dalla classe politica.
Il tratto distintivo delle sue componenti non è più
tanto nelle visioni del mondo o nelle proposte concrete che dovrebbero
contrapporre una parte della classe politica alle altre, quanto nel privilegio
che le differenzia dal resto della società.
Ora,
anche le teorie più realistiche della democrazia (si pensi a Schumpeter) hanno
fondato la legittimità del sistema democratico sull’esistenza di una lotta fra
élite in competizione reciproca.
Per decenni, la competizione fra le élite ha
riguardato differenti valori e interessi, ossia differenti progetti per la
società.
Dopo la seconda guerra mondiale, il patto fra élite e
cittadini si è retto a lungo sul confronto fra progetti sociali alternativi,
che davano nerbo e senso alla convivenza democratica e consentivano opportuni
compromessi, non solo fra le differenti élite, bensì anche fra le differenti
porzioni di società che nelle proposte delle élite si riconoscevano.
Le conquiste del Welfare, richiamate da
Mazzuccato, sono sorte e si sono consolidate anche in questo modo:
il
conflitto fra progetti alternativi ha prodotto un compromesso che si è retto
sulla redistribuzione di parte dei benefici della crescita.
Ma
quali progetti alternativi possono mai dispiegarsi e confrontarsi se i governi
debbono solo attivare il “pilota automatico”?
La
contrapposizione fra “élite” e “gente” (quanto nel linguaggio della scienza
politica viene identificato nella linea di frattura fra establishment e
anti-establishment) assume toni drammatici se resta la sola distinzione
possibile.
Le élite sono fatalmente destinate ad essere
considerate “casta” se non competono fra loro in virtù di proposte alternative
per il governo della società.
Se,
sulla base di queste proposte alternative e sulla credibilità con cui si cerca
di promuoverle, non viene assicurata una “circolazione delle élite”.
Possiamo
chiederci, allora, se davvero sia stata “la gente” a rompere il patto, oppure
se non avesse qualche buona ragione, già a metà degli anni Novanta, Cristopher
Lasch a discorrere di “ribellione delle élite” (cfr. “La ribellione delle élite. Il
tradimento della democrazia”, Feltrinelli, 1996), identificando con questa espressione
la volontà degli strati privilegiati della società di sottrarsi ad ogni legame
comunitario e di assolutizzare il proprio stile di vita, misurando ogni differenza rispetto
al proprio stile quale forma di manchevolezza.
Quante
volte a proposito dei processi che nutrono la bolla in cui vivono le élite
(globalizzazione, mercato) abbiamo sentito ripetere lo slogan della signora
Thatcher che molto opportunamente Baricco ha inserito in esergo: “There is No Alternative”?
Il
riferimento alla Thatcher potrebbe aiutarci a riflettere su quale patto fra
élite e “gente” è andato in frantumi a causa della crisi esplosa nel 2008.
Probabilmente
stiamo vivendo oggi la crisi di un lungo ciclo politico avviato dalla vittoria
elettorale di Margareth Thatcher nel 1979, ma preconizzato con chiarezza nel
1975 allorché la New York University Press dava alle stampe un testo elaborato
da tre rilevanti scienziati sociali, quali Michel Crozier, Samuel Huntington e
Joji Watanuki, “La
crisi della democrazia. Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla
Commissione Trilaterale”, in cui si raccomandava di risolvere le crisi di sovraccarico
delle democrazie consolidate, riducendo gli spazi di partecipazione dei
cittadini e rafforzando il ruolo dell’autorità e dei mercati.
Per
inciso, questa proposta ha rappresentato una cesura profonda rispetto agli
orientamenti contenuti nelle Costituzioni della c.d. “seconda ondata di
democratizzazione”.
Tali
Costituzioni erano state redatte dopo le catastrofi del fascismo e del nazismo
e, pertanto, riflettevano l’intenzione delle classi dirigenti di ricostruire la
democrazia su solide basi sociali (si pensi all’articolo 3 della Costituzione
della Repubblica italiana, in cui le principali culture politiche del tempo
evidenziarono il nesso fra democrazia, uguaglianza e partecipazione dei
cittadini).
Non
può stupire che l’Europa sia entrata nel mirino della contestazione
anti-establishment.
Eppure,
come anche Baricco sottolinea, questo non significa necessariamente rifiuto
dell’idea di un’Europa unita.
Ad
essere criticata è la gestione elitaria dell’Europa e, soprattutto, una serie
di decisioni prese dalle élite.
Ed anche questo non può meravigliare, nei
giorni in cui le politiche di austerità suggeriscono parole di autocritica
persino all’attuale Presidente del Collegio dei Commissari europei, Juncker.
Anche l’austerità ha rappresentato uno
“strappo” delle élite, un ampliamento della distanza che separa le élite dalla
“gente”.
Contrariamente
a quanto sosteneva nel 1975 il Rapporto alla Commissione Trilaterale che
abbiamo citato prima, secondo il quale la crescita della partecipazione avrebbe
condotto ad una crisi della democrazia, il “malessere democratico” è scaturito
in questi anni proprio dallo scollamento fra cittadini ed élite.
Abituate
a rimuovere il conflitto, a considerare secondario il consenso popolare
riguardo alle decisioni politiche, le élite hanno a lungo etichettato i
cittadini delusi in modo sprezzante:
emotivi
(come se le emozioni non avessero sempre un peso determinante nelle relazioni
politiche e sociali), incompetenti, vittime di fake news.
È una strada che impedisce un’adeguata
comprensione dei cambiamenti che attraversano le nostre società e non consente
di ricostruire legami di fiducia, come hanno sperimentato molti membri delle
élite partitiche tradizionali che hanno provato a percorrerla.
Sono
possibili altre strade?
Negli
ultimi anni, alcuni partiti definiti “neopopulisti” hanno trovato nuovi canali
di collegamento con la “gente” e lo hanno fatto seguendo strade a volte
differenti: alcune formazioni “esclusive” hanno tematizzato la risposta
nazionalista alla globalizzazione;
altre, “inclusive”, hanno tematizzato
soprattutto la critica alla disuguaglianza che caratterizza le nostre società
per responsabilità delle scelte prese dalle élite (che non sono solo la classe
politica, ovviamente, bensì anche le élite economiche e intellettuali, spesso
abili a scaricare sulla classe politica ogni responsabilità).
Sono attori nuovi (o rinnovati) che, in modi
diversi, cercano di dare forma ai conflitti che emergono nella contemporaneità.
Baricco
invita a diffidare della riduzione della complessità che spesso accompagna la
critica alle élite.
Ha
ragione: la complessità è ineludibile.
Mazzuccato,
nella sua chiusura, ha rivolto l’attenzione verso quella complessità che esiste
nella società e che spesso resta attutita nelle rappresentazioni prevalenti.
Si
tratta dei movimenti, dei cittadini attivi impegnati per la salvaguardia e il
buon funzionamento delle istituzioni collettive, per un utilizzo virtuoso dei
dati: “bisogna guardare queste nuove forme di relazione, capirle e
moltiplicarle”.
Ne
conveniamo.
E
pensiamo che questa sia una grande sfida per il futuro:
servono
attori che siano in grado di comprendere e gestire la complessità, recuperando
un rapporto profondo con le cittadine e i cittadini, con le loro necessità e i
loro desideri.
La
guerra della Russia contro l’Ucraina
continua
a dividere le élite di Putin
valigiablu.it
– (2 Luglio 2022) - Medusa – ci dice:
A
quattro mesi dall'inizio della guerra su larga scala contro l'Ucraina, le
truppe russe stanno ottenendo un relativo vantaggio nel Donbas.
A
quanto pare, però, il Cremlino non è riuscito a realizzare gli obiettivi
originari dell'invasione.
E i
colloqui di pace con Kyiv si sono arenati.
Nel
frattempo, a Mosca, le élite russe si sono divise in tre campi: un "partito della pace", un
"partito della guerra" e un "partito del silenzio" che in qualche modo include
pesi massimi come il sindaco di Mosca e il Primo ministro.
Di seguito ne parla Andrey Pertsev, inviato
speciale del sito di informazione indipendente russo “Medusa”.
Tra le
élite russe c'è ancora un discreto numero di persone a favore della fine della
guerra contro l'Ucraina.
Secondo tre fonti vicine all'amministrazione Putin e
una fonte vicina al Gabinetto, questo "partito della pace" spera
attualmente che Mosca e Kyiv tornino al tavolo dei negoziati, nonostante i
colloqui siano praticamente congelati dall'inizio di aprile.
In
base alle fonti di Medusa, tra i membri di spicco del "partito della
pace" figurano l'amministratore delegato di VTB Bank Andrey Kostin,
l'amministratore delegato di Rostec Sergey Chemezov e l'amministratore delegato
di Sberbank Herman Gref.
Due
fonti hanno anche fatto notare che la posizione di questo gruppo si allinea con
quella dei fratelli Mikhail e Yury Kovalchuk, che sarebbero membri della
cerchia ristretta di Vladimir Putin.
Questi
cinque membri del "partito della pace" sono stati tutti sottoposti a
diverse sanzioni internazionali in seguito all'invasione su larga scala
dell'Ucraina da parte della Russia.
Ma la loro speranza è che alcune sanzioni vengano
revocate se i colloqui di pace riprendono, permettendo alla Russia di rientrare
nei mercati finanziari e tecnologici internazionali.
In
ogni caso, le due fonti vicine all'amministrazione Putin hanno sottolineato che
il "partito della pace" non è in alcun modo un fronte unito e che i
suoi membri non stanno facendo alcuno sforzo congiunto per esercitare pressioni
a favore dei negoziati diplomatici:
"Tutto ciò che hanno è un'intesa comune
sul fatto che la cosiddetta "operazione speciale" deve finire il
prima possibile e [che] vada cercato un terreno comune in Occidente".
Sergey
Chemezov, Andrey Kostin, Herman Gref e i fratelli Kovalchuk non hanno risposto
alle domande di Medusa prima della pubblicazione.
Tuttavia, nelle ultime settimane alcuni di
loro hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche criticando cautamente alcuni
passi compiuti dalla leadership russa.
Ad esempio, in una recente rubrica del sito
RBC, Sergey Chemezov ha giudicato inefficace la politica di Mosca di
sostituzione totale delle importazioni:
"Sostituire
tutto è insensato, economicamente impraticabile e semplicemente impossibile.
Non
c'è un solo paese sviluppato al mondo che lo faccia.
L'isolamento, anche tecnologico, e il
tentativo di fare tutto da soli è una strada che non porta da nessuna parte.
La
Russia deve rimanere parte del mondo globalizzato, dove lo sviluppo è
impossibile senza partnership internazionali.
Il tradimento dell'Occidente non è un motivo
per chiudere porte e finestre".
Andrey
Kostin ha a sua volta scritto in una rubrica per RBC.
"Le sanzioni sono permanenti. La
globalizzazione nella sua forma precedente è finita.
È
probabile che il mondo torni a dividersi rigidamente tra 'noi' e 'loro'.
Questa
è la Guerra Fredda 2.0".
Allo
stesso tempo, Kostin ha riconosciuto che la globalizzazione ha portato alla
Russia "significativi benefici economici", tra cui "un settore
finanziario moderno, creato in pochi anni praticamente da zero sulla base di
piattaforme tecnologiche, strumenti e pratiche commerciali americane ed europee
[...]".
Secondo
una fonte di Medusa, questi articoli non sono una coincidenza.
I membri del "partito della pace"
hanno capito da tempo che il proseguimento della guerra avrebbe portato a una
grave crisi economica, ha spiegato la fonte.
Tuttavia,
molti di loro si sono astenuti dal parlare pubblicamente fino ad ora, perché
"nessuno parla delle difficoltà; in pubblico ci sono solo voci
scioviniste".
In
effetti, fino a poco tempo fa, le voci più esplicite provenivano dal
"partito della guerra".
Il
vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale, l'ex primo ministro Dmitry
Medvedev, pubblica regolarmente sul suo canale Telegram delle tirate contro
l'Occidente;
il primo vicecapo di Stato maggiore di Putin,
Sergey Kiriyenko, ha iniziato a tenere discorsi pubblici sulla "lotta al
nazismo";
e il
segretario del Consiglio di sicurezza Nikolai Petrushev ha recentemente
dichiarato che la Russia non sta "dietro alle scadenze" nella sua
guerra contro l'Ucraina.
Secondo
le fonti di Medusa, il "partito della guerra" comprende anche il
presidente della Duma di Stato Vyacheslav Volodin, il segretario generale di
Russia Unita Andrey Turchak e i vertici delle agenzie di sicurezza, come l'FSB. (Ciò è confermato dalle
dichiarazioni pubbliche di questi funzionari).
Allo
stesso tempo, le fonti di Medusa hanno descritto il "partito della
guerra" come una "struttura amorfa senza un unico centro di
coordinamento".
Per non parlare del fatto che alcuni dei suoi membri
non sono in buoni rapporti tra loro.
Vyacheslav
Volodin e Andrey Turchak, ad esempio, si criticano a vicenda anche in pubblico.
Due
fonti dell'amministrazione Putin hanno dichiarato a Medusa che anche i rapporti
tra Volodin e Kiriyenko lasciano molto a desiderare.
In
effetti, questa frattura risale al 2016, quando Kiriyenko è succeduto a Volodin
come primo vice capo di gabinetto di Putin.
In fin
dei conti, però, i rappresentanti dei diversi schieramenti possono solo
dimostrare la loro posizione cercando di influenzare quella di Putin sulla
guerra. "
Kiriyenko
porta a Putin documenti sul Donbas e sull'economia del paese nel suo complesso.
I funzionari della sicurezza discutono del
fronte", ha spiegato una fonte di Medusa.
A loro volta, i membri del "partito della
pace" avrebbero presentato a Putin un piano di proposte per i paesi
occidentali sulla revoca parziale delle sanzioni.
Due
fonti di Medusa hanno sottolineato che al momento Putin è più favorevole al
"partito della guerra" che al "partito della pace", dal
momento che lui stesso è "entusiasta della guerra e dell'annessione dei
territori".
"Per
il presidente è importante conquistare il Donbas, anche se ci vorrà qualche
mese in più.
Poi si
potrà negoziare per fermare l'avanzata delle truppe", ha spiegato una
fonte.
"Soprattutto
perché Putin capisce che sarebbe molto difficile o addirittura impossibile
andare oltre. Ma un Donbas catturato è un vantaggio negoziale".
C'è
anche un terzo campo che potrebbe influenzare la posizione di Putin: il
cosiddetto "partito del silenzio".
Questo partito è composto da funzionari e
uomini d'affari che preferiscono non parlare della guerra, se possibile.
Secondo
le fonti di Medusa, i membri più importanti del "partito del
silenzio" sono il primo ministro Mikhail Mishustin e il sindaco di Mosca
Sergey Sobyanin.
Una
fonte di Medusa vicina all'amministrazione Putin e una fonte vicina al
Gabinetto di Mishutin hanno dichiarato che da quando la Russia ha iniziato
l'invasione su larga scala dell'Ucraina, il Primo ministro, un tempo noto per
la cura della sua immagine pubblica, ha cercato di "mettersi meno in
mostra" e di commentare solo le decisioni economiche del governo.
"L'amministrazione
presidenziale gli ha offerto un ulteriore supporto per le pubbliche relazioni,
ma lui ha rifiutato: ora non ne ha bisogno", ha detto una fonte.
All'inizio
di giugno, il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin ha visitato Luhansk e ha avuto
colloqui con Leonid Pasechnik, il capo dell'autoproclamata "Repubblica
Popolare di Luhansk" (Mosca ha annunciato il "patrocinio" sia su
Luhansk che su Donetsk alla fine di maggio).
Tuttavia,
secondo due fonti vicine all'amministrazione Putin, il sindaco di Mosca
"non aveva un desiderio ardente" di visitare la LNR: "Sobyanin
non vuole associarsi a questo, preferisce un atteggiamento alla 'io mi occupo
di Mosca - il resto non è affar mio'.
È
stato costretto ad andare a Luhansk.
Putin
gli ha consigliato di andare, dopo di che Sobyanin ha ceduto".
Sergey
Sobyanin e Mikhail Mishustin non hanno risposto alle domande di Medusa prima
della pubblicazione.
Per il
momento, l'appoggio del presidente ha fatto sì che il "partito della
guerra" sostenesse la necessità di impadronirsi di quanto più territorio
ucraino possibile.
Mentre
il "partito della pace" ha fiducia nell'"atteggiamento
pragmatico" dei Paesi occidentali e delle autorità ucraine che, secondo i
funzionari del Cremlino, potrebbero sacrificare il Donbas in nome della pace.
Kyiv
rifiuta ufficialmente la possibilità di un accordo di questo tipo con la Russia.
Putin
salva i "ragazzi"
dell'élite
di Mosca: dal figlio di Medvedev
al
genero di Shoigu, vacanze
extra
lusso e niente guerra.
Ilmessaggero.it
- Giorgia Crolace – (9 novembre 2022) – ci dice:
Contattati
telefonicamente dai giornalisti della testata russa indipendente “Vazhnye
Istorii”, hanno riagganciato il telefono o si sono rifiutati di rispondere alle
domande sostenendo di non avere competenze per andare al fronte.
La
maggior parte dei figli e parenti dei principali politici russi interpellati
dalla redazione di “Vazhnye Istorii”, la testata giornalistica russa
indipendente specializzata in giornalismo investigativo e critica nei confronti
del Cremlino, ha risposto alla chiamata dei giornalisti riagganciando il
telefono.
La domanda era: se convocato, andresti a
combattere in Ucraina per la Russia?
I
giovani dell'élite russa schivano la guerra.
Mentre
Putin elogia il patriottismo dei riservisti arruolati e mandati al fronte con
l'Ucraina senza una formazione adeguata e con un equipaggiamento scarso, i
figli dell'élite del paese continuano a portare avanti la loro vita di
privilegiati, ostentando lusso e vacanze in destinazioni lontane.
Lo
racconta il Telegraph citando l’inchiesta di “Vazhnye Istorii”.
Tra
questi Alexei Stolyarov, 32 anni, il cui suocero è Sergei Shoigu, il ministro
della Difesa russo: era in vacanza in Nepal quando ha risposto alla chiamata
della testata indipendente russa e si è rifiutato di commentare.
Ilya
Medvedev, 27 anni, figlio di Dmitry Medvedev ha invece risposto di non aver
ricevuto la convocazione per unirsi ai soldati arruolati.
Alexander
Kolokoltsev, 39enne figlio del ministro degli interni russo, ha invece
dichiarato che sarebbe stato disposto ad andare a combattere in Ucraina se
fosse stato convocato.
Zaur Tsalikov, 31 anni, figlio di un
viceministro della Difesa, ha spiegato invece di non avere competenze per
essere arruolato.
Come
riporta il Telegraph, ha dichiarato ai giornalisti di “Vazhnye Istorii”:
«Perché
non mi sono offerto volontario per andare? Cosa ho a che fare con le forze
armate? Ci sono militari, persone con professioni militari».
I figli di altri alti funzionari russi hanno rifiutato
di parlare apertamente con i giornalisti.
Putin,
la strategia per convincere Zelensky alla resa: lasciare gli ucraini al freddo
e al buio durante l’inverno.
I figli dei politici russi che hanno
condannato la guerra.
C’è
però anche l’altra faccia della medaglia.
Sono
diversi i figli e i familiari di importanti funzionari russi che hanno
condannato l’invasione russa in Ucraina.
Tra loro, spiega il Telegraph, c’è Liza
Peskova, classe 1998, figlia del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.
Il
giorno successivo all’inizio della guerra russa in Ucraina ha pubblicato su
Instagram un post contro la guerra.
Il
contenuto è stato rimosso il giorno stesso.
Lo scorso agosto invece, un politico russo ha
denunciato pubblicamente sua figlia definendola una «traditrice» per essersi
espressa contro “l’operazione militare speciale” di Putin, sostenendo di non
aver avuto alcun ruolo nella sua educazione e aggiungendo che la figlia avesse
problemi mentali.
Il
senatore russo Eduard Isakov ha invece dichiarato di aver tagliato i legami con
la figlia Diana nel momento in cui ha scoperto che si opponeva alla guerra in
Ucraina.
Anche
Yaroslav Mironov, il figlio di Sergei Mironov, leader di uno dei quattro
principali partiti filo-Cremlino della Russia, ha condannato il governo subito
dopo l'inizio dell'invasione.
I Russi si oppongono alla guerra e
sabotano la rete ferroviaria: così i cittadini mettono in crisi l'esercito.
La
decadenza delle élite, e una
nuova
guerra fredda davanti a noi.
Carrazza.it
– (14-11-2022) – Antonio Carioti - Massimo L. Salvadori – ci dicono:
Antonio
Carioti Corriere della Sera 11 novembre 2022
La
decadenza delle élite.
Massimo
L. Salvadori: la democrazia è in crisi e le classi politiche sono inadeguate.
Intervista
Parla lo storico che riceve oggi il premio Antonio Feltrinelli e ha appena
pubblicato «Da un secolo all’altro» (Donzelli).
Oggi
Massimo L. Salvadori riceve il premio Antonio Feltrinelli per la storia,
conferito dall’Accademia dei Lincei.
Si
tratta del giusto riconoscimento per un impegno pluridecennale il cui prodotto
più recente è il volume “Da un secolo all’altro” (Donzelli), che copre in una
prospettiva globale il periodo dal 1980 ai giorni nostri.
«Il
libro — ci dice Salvadori — prende le mosse dalla svolta neoliberista che partì
dalla Gran Bretagna di Margaret Thatcher e dagli Stati Uniti di Ronald Reagan.
Ne derivò un’ondata che si diffuse nel mondo
intero, per poi rafforzarsi notevolmente in seguito al collasso dell’Urss e del
suo impero, che screditò quel sistema statalista, collettivista e
dittatoriale».
Il
crollo del regime che incarnava un’alternativa socio-economica al capitalismo
fu un clamoroso successo dell’Occidente, non trova?
«Sì,
ma fu accompagnato da un trionfalismo ideologico acritico e ingiustificato, per
certi aspetti grottesco.
In
realtà, proprio quando l’Occidente ha vinto la guerra fredda e gli Stati Uniti
si sono eretti a potenza solitaria, a guida del mondo sotto la protezione di
Dio, il capitalismo ha rivelato profonde debolezze organiche».
Si era
parlato di fine della storia.
«Francis
Fukuyama sostenne che ormai si erano create le condizioni per una simbiosi
felice tra capitalismo e democrazia, per cui il modello occidentale non avrebbe
avuto più rivali di respiro planetario.
Annunciò
la fine di un’era conflittuale e l’avvento di una nuova storia pacificatrice.
Non è andata così.
La globalizzazione ha rivelato lati positivi,
ma anche aspetti velenosi, accentuando le diseguaglianze proprio all’interno
dei Paesi occidentali.
Oggi, con il conflitto in Ucraina, stiamo
vivendo una nuova guerra fredda.
E il modello americano, che risultò vincente dopo il
1945, attraversa una profonda crisi, tale da far parlare, dopo l’assalto a
Capitol Hill, di una guerra civile politica e ideologica in corso negli Stati
Uniti».
Da
studioso di storia della sinistra socialista europea, che futuro vede per le
forze progressiste?
«Che
cos’è la sinistra oggi? In Italia ci sono due partiti, Pd e M5s, che si
presentano entrambi come progressisti.
Ma non si capisce quale sia la loro analisi della
realtà.
I
dirigenti chiacchierano molto in televisione, ma non appaiono in grado di
guidare i processi politici, di definire i ruoli rispettivi dello Stato e del
mercato dopo la fine dell’incanto neoliberista.
Una
crescita della sfera pubblica può essere auspicabile.
Ma uno
Stato accentratore e ficcanaso diventa un peso per la società.
Il
mercato certamente non va abolito.
Ma se
gli si lascia troppo spazio, finisce per costituire un pericolo politico, come
osservava il compianto storico inglese Tony Judt».
Lei
coglie pericoli di un’involuzione autoritaria in Occidente?
«Parto
da una premessa.
Storicamente
al potere è stato sempre chiesto di indicare ai popoli una prospettiva e di
mostrare la capacità di prendere decisioni per il bene della collettività.
Oggi
le democrazie liberali non appaiono all’altezza di questi compiti.
E si
avverte il fascino dello spettacolo offerto da Paesi guidati saldamente da un
uomo forte, come la Cina di Xi Jinping e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.
Invece
l’Unione Europea resta una confederazione di Stati deboli e divisi, che non
riescono ad affrontare i problemi dell’ambiente, dell’economia, della pace.
Così in Italia oggi abbiamo un governo di
ammiratori mascherati di Vladimir Putin e di ammiratori espliciti di Viktor
Orbán.
È una
situazione preoccupante».
Non
esagera con il pessimismo?
«Pessimismo
e ottimismo per me si equivalgono, sono tentativi di interpretare il futuro a
seconda del proprio temperamento.
Non
credo che i problemi siano insolubili, ma possono essere affrontati solo se l’opinione
pubblica acquisisce gli strumenti per capirli, quindi viene informata
adeguatamente.
Nel Novecento i partiti erano utili scuole di
educazione e partecipazione politica.
E avevano alla loro testa leader di notevole
statura, dotati di capacità progettuale, autori di scritti importanti.
Penso
ad Alcide De Gasperi, a Palmiro Togliatti, a Ugo La Malfa.
Oggi
domina la videocrazia denunciata per tempo da Giovanni Sartori:
la
gente s’informa attraverso i talk show, dove si chiacchiera a ruota libera e ci
si esercita in risse verbali che rendono la discussione incomprensibile.
Anche
il Parlamento è pieno di personaggi che sembrano raccattati agli angoli delle
strade».
È un
problema solo italiano?
«No.
Pensi alla guerra in Ucraina:
gli attori più importanti hanno clamorosamente
sbagliato i loro calcoli.
Putin
credeva di vincere rapidamente e non è andata così:
si è
scontrato con una efficace resistenza ucraina.
Joe
Biden a sua volta era sicuro che la Russia non potesse reggere le sanzioni
dell’Occidente e anche lui è stato smentito».
Nuovo
Ordine Mondiale,
le
élite sono il nuovo Mago di Oz:
recitano
il potere e riescono a esercitare il potere.
Ilgiornaleditalia.it-
Carlo Freccero – (5 -12-2022) – ci dice:
Guerra,
pandemia, crisi economica, per ogni obiezione c'è una risposta scientifica e
filantropica pronta a ribadire che la colpa del disastro è solo nostra, cioè di
quel 99%.
C'è
una sorta di paradosso che riguarda i grandi progetti, utopici o distopici, in
corso di realizzazione oggi: sono al centro della scena, ma nessuno è in grado
di vederli.
La pandemia prima ed oggi la guerra, hanno
creato all'inizio un certo sconcerto, ben presto riassorbito dalle logiche di
una "nuova normalità".
Purtroppo
tutto sembra congiurare contro di noi, ma secondo la logica corrente si tratta
di un susseguirsi di fortuite coincidenze.
Possibile
che in un periodo storico così breve si concentrino casualmente una pandemia,
una guerra, la carestia, la crisi climatica, l'esaurimento delle risorse
alimentari ed energetiche?
Certamente,
ci risponde il mainstream, perché noi abbiamo abusato delle ricchezze del
pianeta moltiplicandoci incessantemente, vivendo al di sopra delle nostre
possibilità, consumando le risorse a disposizione delle altre specie e delle
generazioni future.
Per
ogni obiezione c'è una risposta scientifica e filantropica pronta a ribadire
che la colpa del disastro è solo nostra, cioè di quel 99% della popolazione del
pianeta che deve dividersi le risorse residue dopo che le élites ne hanno
privatizzato la parte migliore.
Una
massa che perde o ha già perso il suo potere contrattuale, perché il lavoro
umano non ha più valore, in quanto viene progressivamente sostituito dai robot
e dall'intelligenza artificiale.
Oggi
non solo i lavoratori non vogliono più fare la rivoluzione, ma si cospargono il
capo di cenere.
Ma se
recuperassimo un po' di lucidità, dovremmo chiederci se la catastrofe che
stiamo attraversando sia semplicemente il frutto della nostra irresponsabilità,
oppure faccia parte di un RESET, un azzeramento volontario da parte delle
élite, di un sistema economico già fallito, proprio a causa delle élite stesse.
La
risposta sta in una serie di libri, conferenze, dichiarazioni delle élite
stesse e negli incontri del “World Economic Forum” di Klaus Schwab , dove viene
detto chiaramente che niente di quello che sta avvenendo è casuale, ma è la
realizzazione di un grande progetto.
Le
opinioni più lucide in merito sono state da subito quelle che provengono
dall'interno del sistema.
Nel
mio caso ho trovato illuminanti gli interventi, all'inizio della pandemia, del
banchiere Ettore Gotti Tedeschi, già a capo della finanza vaticana e di
Catherine Austin Fitts, già collaboratrice dell'amministrazione Bush e
successivamente personaggio di spicco della finanza internazionale.
In
particolare, sin dall'inizio del Grande Reset, Austin Fitts è stata
chiarissima.
La
pandemia ed il Reset che ne è seguito avevano ed hanno lo scopo di salvare il
dollaro.
I lockdown hanno lo scopo di contenere
l'inflazione, impedendo alle masse di spendere la grande liquidità immessa
dalle banche centrali, per salvare le banche dal fallimento.
In quanto alla crisi delle piccole e medie imprese,
non si tratta di una sorta di evento naturale, ma dall'effetto di un piano ben
preciso.
Un reset economico per azzerare l'economia
tradizionale, trasferendo ogni attività economica su internet.
La digitalizzazione del sistema ha un duplice
obiettivo:
trasferire
tutta la ricchezza reale dalle piccole imprese alle multinazionali e rendere
contestualmente possibile alle stesse il controllo dei dati di tutti i
consumatori on line.
Oggi i dati sensibili rappresentano una sorta di nuovo
petrolio.
Con questo Reset si ottiene contestualmente il
passaggio di mano della ricchezza reale ed insieme l'accesso delle
multinazionali al controllo totale dei consumatori.
Queste
voci critiche sono confermate paradossalmente dai libri di Klaus Schwab sul
Grande Reset, sulla 4ta Rivoluzione industriale e sulla nuova narrazione, che
ci propongono gli stessi temi travestiti da utopia.
In
breve, secondo Schwab la pandemia rappresenta un'occasione imperdibile per
realizzare la sua utopia: l'agenda digitale e l'agenda verde.
Con
l'agenda digitale l'uomo raggiungerà la fusione con l'intelligenza digitale.
Con l'agenda verde finiranno tutte le attività
umane che, emettendo C02, mettono a rischio il futuro del pianeta.
Ma -
ammette Schwab - questo passaggio non sarà indolore.
Cito le sue parole: “La storia è davvero a un punto di
svolta, è l'inizio di uno sforzo di mobilitazione globale per radunare le
nostre forze dietro questa grande iniziativa di ricerca. I sistemi energetici,
alimentari e le catene di approvvigionamento saranno profondamente colpiti.
Distruggeranno purtroppo un sacco di posti di lavoro. Il futuro è già qui. Sta
arrivando come uno Tsunami”.
Alla
fine, Critica e Utopia coincidono per dirci che il Grande Reset è alla base
della distruzione programmata che stiamo vivendo.
Se ce
lo dicono perché non ci crediamo?
Questa
dissonanza cognitiva per cui il re gira nudo, ma nessuno è in grado di
percepirne le nudità, nonostante l'evidenza, deve avere qualche spiegazione
logica.
Il
meccanismo per cui una cosa posta sotto gli occhi di tutti è più difficile da
trovare di una cosa nascosta, rappresenta il soggetto di un famoso racconto di
Poe:
“La
lettera rubata”.
La
lettera è stata nascosta al centro della scrivania, dove nessuno la cercherà.
Il Grande Reset è al centro della scena ma
nessuno è in grado di vederlo come importante, se non quanti vi partecipano
attivamente.
Sono
le 600 multinazionali aderenti al WEF ed iscritte alla sua piattaforma.
Sono i capi di Stato la cui maggioranza, come
ha dichiarato più volte Schwab, dipende dal WEF stesso, perché hanno in comune
una formazione accademica conseguita alla scuola del WEF Young Global Leaders.
Leggere
chi sono gli alunni di questa scuola lascia senza parole.
Tutta
la politica passata e presente è stata creata lì.
Tony
Blair, Angela Merkel, Sarkozy, Macron, Ursula Von Der Leyen, Justin Trudeau…
Ma
anche i patron delle multinazionali come Gates e Bezos e testimonial dello
spettacolo come Leonardo di Caprio si sono formati in questa scuola.
Un
progetto di nuovo ordine mondiale esiste da tempo, ma la sua versione attuale,
il Grande Reset, è estremamente più efficace per conseguirne gli scopi.
Di
questo progetto si comincia a parlare nel dopoguerra, dove trova terreno
fertile di propagazione a causa del rifiuto naturale della popolazione mondiale
nei confronti del concetto stesso di guerra.
Le orribili sofferenze sia fisiche che morali
che hanno colpito l'umanità non devono mai più ripresentarsi.
In
questo contesto l'utopia di un mondo senza guerra diventa patrimonio comune
condiviso da tutti.
Nascono
gli organismi internazionali: OMU, UNESCO, OMS, Fondo Monetario Internazionale.
Essi debbono vigilare sulla pace e dettare
legge agli stati con trattati internazionali.
È opinione comune condivisa che la guerra sia
scaturita dalla competizione tra stati.
L'unico modo di eliminare guerre future
sarebbe quello di eliminare gli stati e la competizione tra loro creando un
unico stato mondiale con un unico governo, un'unica economia, un'unica
amministrazione della giustizia, un'unica sanità ed un'unica religione
universale.
Il
Nuovo Ordine Mondiale non viene mai citato esplicitamente, ma viene presupposto
da tutti.
Ma
perché non si parla apertamente di Nuovo Ordine Mondiale?
Il
Nuovo Ordine Mondiale rimane occulto al popolo perché, lungi da essere
un'utopia valida per tutti, rappresenta invece i valori e gli interessi di
quelle élite economiche che da sempre finanziano la guerra nel mondo e che,
attraverso il debito contratto dagli stati, si sono impadronite delle banche
centrali e dettano l'agenda agli stati stessi.
Gli
stati dovrebbero basare la loro sovranità sulla moneta.
Avendo
ceduto la sovranità monetaria alle banche, sono oggi le banche a dettare
l'agenda mondiale e, attraverso strumenti finanziari come i grandi fondi di
investimento, si fondono con le multinazionali di Silicon Valley. Black Rock,
Vanguard e State Street detengono azioni delle multinazionali che, a loro
volta, detengono azioni di quegli stessi fondi in un labirinto di intrecci
indecifrabili.
Si
dice che le élite coltivino sin dall'antichità il progetto del Nuovo Ordine
Mondiale, ma questi discorsi sono troppo vasti da affrontare e finiscono per
sconfinare nel mito.
Tuttavia,
nel nostro passato prossimo, esiste una sorta di fondazione del Nuovo Ordine
Mondiale databile e documentabile:
La
Fabian Society.
La
Fabian Society nasce in Inghilterra nel 1848 raggruppando i maggiori e più
prestigiosi cervelli dell'epoca.
Appartengono
alla Fabian Society: George Bernard Shaw, Virginia Woolf, la femminista Emmelin
Pankhurst, il sessuologo Havelock Ellis.
Per un periodo aderiscono alla Fabian anche
Bertrand Russell e John Maynard Keynes.
Tra questi illustri esponenti troviamo i fondatori
della moderna fantascienza distopica:
H.G Wells, Aldous Huxley, George Orwell,
rispettivamente autori de “Il Nuovo Ordine Mondiale”, “Il Nuovo Mondo”, “1984”
(non a caso data in cui cade il centenario di fondazione della Fabian Society).
Mi
hanno sempre colpito le capacità profetiche di questi autori, nell'immaginare
con così tanto anticipo la distopia del presente.
Oggi viviamo in un regime apparentemente
democratico che fonde insieme, perfettamente, il mondo nuovo con 1984.
Appartiene
a “Il mondo nuovo” il transumanesimo, che è oggi l'obiettivo del Grande Reset,
e a “1984” il mito del controllo totale delle élite sulle masse.
Per lungo tempo mi sono chiesto come abbiano
potuto questi scrittori immaginare con tanta lucidità e precisione quello che oggi
è il nostro presente, ma rappresenta per loro un lontano futuro. In realtà la
risposta era semplice: lo conoscevano.
A testimonianza di ciò esiste una lettera di Huxley ad
Orwell che chiarisce che non si tratta di semplice letteratura, ma di definire il
modello di società futura.
Wells
con le sue opere non è tanto uno scrittore di fantascienza, ma l'ideologo di
quella cospirazione aperta per cambiare la società, che è titolo di un suo
libro e che rappresenta il modello dell'attuale Reset.
Huxley è, con la sua famiglia, il simbolo
stesso dell'ingegneria sociale basata su una scienza adattata alla
giustificazione ideologica del progetto.
Tutta la famiglia Huxley si compone di
filantropi eugenisti.
Il
nonno, Thomas Henry Huxley era chiamato “il mastino di Darwin”, per la sua
difesa ed imposizione del Darwinismo Sociale, sulla base della teorizzazione
della sopravvivenza del più adatto.
Il fratello Julian fu insieme fondatore
riconosciuto del Transumanesimo e dell'Unesco.
E lo statuto dell'Unesco rivela le sue radici
transumanistiche.
Orwell
fu allievo di Huxley e fu invitato da lui ad aderire al fabianesimo.
Dopo
averne conosciuto la vera natura, Orwell scrisse 1984 come un monito per le
generazioni future.
Non a
caso è visibile su YouTube la sua ultima intervista, dove descrive il futuro
come uno stivale militare che calpesta per sempre un volto umano.
Nel
2006 Tony Blair ritrovò una finestra di vetro colorato appartenente alla Fabian
Society e ne curò l'installazione e l'inaugurazione nella London School of
Economics, che dei fabiani è l'università riconosciuta.
Non a
caso alla London School hanno studiato personaggi italiani come Prodi, Draghi,
D’Alema, ma anche Speranza, ministro della Sanità della pandemia.
La
vetrata è estremamente eloquente.
Al
centro, due illustri personaggi della Fabian, dotati di mazze, distruggono e
ristrutturano un mappamondo che rappresenta la terra.
Al
centro in uno stemma è rappresentato il simbolo della Fabian Society:
un lupo vestito da agnello.
Il
termine Fabian è collegato al personaggio di quinto Fabio Massimo il
temporeggiatore che seppe vincere la guerra, non in campo aperto, ma aspettando
con pazienza infinita l'occasione migliore.
Il volto dell'agnello è la copertura
apparentemente socialista con cui le élites si rivolgono al popolo in veste
filantropiche.
Infine,
il lupo è la vera essenza del progetto eugenetico che muove la grande
utopia/distopia.
Utopia per la élite che vogliono un mondo
spopolato dalle plebi e sotto il loro controllo, distopia per le plebi date in
pasto al lupo.
Non è
casuale che tutte le utopie / distopie che ho citato, come “Il Mondo Nuovo” o
“1984” e persino l'utopia esposta da Casaleggio nel suo film documento “Gaia”,
si aprano con uno scenario comune:
dopo
guerre e catastrofi la popolazione umana si è drasticamente ridotta, secondo un
imperativo filantropico che faceva bella mostra di sé, inciso su uno dei pilastri del
monumento detto Georgia Guidestones, recentemente e misteriosamente distrutto.
Il
senso di queste grandi narrazioni è uno solo: convincere le vittime designate
che il lupo, che si rivolge loro sotto le vesti di agnello, appartiene al
gregge e vuole solo il loro bene.
Se il
nuovo ordine mondiale è un'astratta utopia, la piattaforma del WEF è una
macchina operativa veloce ed implacabile.
Nessuno
si è forse posto il problema della completa sincronia con cui le fasi della
pandemia sono state coordinate e pianificate, sino alla sorprendente
coincidenza di termini e di concetti nei discorsi programmatici dei capi di
Stato di tutto il mondo.
La
piattaforma online del WEF non solo è accessibile in qualsiasi momento, ma ha
“stanze” virtuali in cui gli aderenti possono consultarsi in tempo reale,
coordinando le azioni su scala mondiale e prendendo decisioni immediate sui
destini dell'umanità.
Il
paradosso è che, a parte queste stanze riservate, la piattaforma WEF sia aperta
a tutti ed apparentemente “trasparente”.
Tutti
potrebbero visitarla, ma nessuno lo fa perché nessuno crede nella sua
esistenza.
La
gente comune perché manipolata da una propaganda incessante promossa dai media
“mainstream”, i cosiddetti intellettuali perché vittime invece proprio della
loro formazione accademica che li porta a condividere i valori del nuovo ordine
mondiale, senza comprenderne pienamente
il significato.
Secondo Jacques Ellul, che fu il primo critico
francese ad esaminare il concetto di propaganda, il presupposto per recepire la
propaganda è proprio l'istruzione.
Chi
esce dalle scuole delle élite in particolare, identifica nel loro pensiero il
bene ed il vero, anche se non appartiene alla élite stesse.
Si
candida, inconsciamente, a diventare una sorta di maggiordomo dei potenti,
sulla base di valori che ritiene di condividere.
Il
problema del potere è stato il tema centrale del dibattito politico del 900.
Secondo
la filosofia del 900, esiste una sorta di equazione tra potere e sapere.
Il potere è invisibile e gestito
collettivamente attraverso la condivisione di schemi cognitivi e di
comportamento che fanno sì che il potere sia in qualche modo fatto funzionare da
tutti.
Il
potere siamo noi.
Proprio
per questo il potere è invisibile.
L'immagine del potere che ne scaturisce genera
in qualche modo rispetto.
Sfugge,
a questa critica del potere e ai suoi eredi di oggi, l'idea che tutto questo
sapere possa essere simulazione, come nel caso del Mago di Oz, un personaggio
che recita il potere e che riesce così ad esercitare il potere.
Nessuno
può credere oggi a un complotto del potere, perché il potere perderebbe
sacralità e rispetto.
Si preferisce pensare che non esista la realtà e i
documenti che smentiscono quello che è oggi il feticcio del sapere:
un'improbabile scienza basata su un atto di fede.
(Carlo
Freccero)
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