POTERE e CONTROLLO.
POTERE
e CONTROLLO.
Global
Times: i
viaggi di Xi
attraverso
la Cina si concentrano
sul raccolto e sulla sicurezza
alimentare
in mezzo alla crisi globale
benzinga.com
– (26 dicembre 2022) – PRNewswire - ci dice:
PECHINO,
26 dicembre 2022 /PRNewswire/
In un
importante discorso alla conferenza centrale sul lavoro rurale da venerdì a
sabato, durante la quale alti funzionari hanno delineato le priorità politiche
per l'agricoltura, le aree rurali e gli agricoltori nel 2023, il presidente Xi
Jinping ha nuovamente sottolineato la necessità di proteggere la sicurezza
alimentare, affermando che garantire un approvvigionamento stabile e sicuro di
cibo e di importanti prodotti agricoli è sempre la massima priorità per la
costruzione di un paese agricolo forte.
Da
quando è diventato leader del paese più popoloso del mondo un decennio fa, Xi
ha tenuto molto a cuore una cosa:
garantire la "ciotola di riso" per
1,4 miliardi di cinesi. "Di tutte le cose, mangiare conta di più",
come ha affermato durante un incontro a marzo.
Tale
attenzione personale alla sicurezza alimentare è diventata particolarmente
importante nel 2022, quando il mondo ha dovuto affrontare quello che le Nazioni
Unite hanno definito "un anno di fame senza precedenti" a causa di una confluenza di
fattori, che vanno dalla pandemia di COVID-19 alle condizioni meteorologiche
estreme, ai conflitti geopolitici, che ha anche esercitato una forte pressione
sulla produzione e l'approvvigionamento alimentare della Cina.
Nell'ultimo
anno, le immagini di Xi visitano i meleti a Yan'an, nella provincia dello
Shaanxi della Cina nordoccidentale, le risaie a Meshal, nella provincia del
Sichuan, nella Cina sudoccidentale, e un laboratorio di sementi a Sanya, nella
provincia di Hainan, nella Cina meridionale.
Interagire
con agricoltori, scienziati e funzionari locali e apprendere ogni aspetto della
produzione alimentare - ha catturato vividamente l'attenzione speciale del
leader cinese nel mettere il cibo sulle tavole dei cinesi.
Un'attenzione
così speciale si è tradotta in un solido sostegno politico e in altre risorse
per la produzione e l'approvvigionamento alimentare, e ha offerto profonda
ispirazione e incoraggiamento a tutti coloro che sono coinvolti nel lavoro
cruciale, dagli agricoltori agli scienziati ai funzionari locali.
Di conseguenza, la Cina non solo ha resistito
a molteplici sfide, ma ha anche assistito a un raccolto eccezionale e a una
produzione di grano record che garantisce efficacemente la sicurezza
alimentare, facendo anche progressi costanti nell'innovazione tecnologica e
nella modernizzazione agricola per garantire l'autosufficienza alimentare.
L'attenzione
del presidente cinese sulla sicurezza alimentare trascende anche i confini
nazionali, poiché ha sfruttato varie occasioni internazionali - dal vertice del
G20 a Bali, in Indonesia, al vertice dell'Organizzazione per la cooperazione di
Shanghai (SCO) a Samarcanda, in Uzbekistan - per spingere alla cooperazione
globale per affrontare il grave crisi alimentare globale, mettendo in pratica
la visione cinese di una comunità umana con un futuro condiviso.
Tesoro
terra per produzione di grano.
"Ci
ha dato profonda ispirazione e incoraggiamento", ha detto al Global Times
Liu Chao, capo del villaggio di Yongfeng a Meshal, ricordando con palpabile
eccitazione la visita di Xi al villaggio a giugno.
"Ci
siamo aggrappati fermamente a questa terra e abbiamo coltivato tranquillamente
cibo per così tanti anni, e finalmente abbiamo accolto con favore il nostro
momento clou".
Durante
il giro di ispezione, Xi, anche segretario generale del Comitato centrale del
Partito comunista cinese (PCC), ha visitato le risaie e ha interagito con
agricoltori e funzionari locali, apprendendo gli sforzi locali per promuovere
lo sviluppo di terreni agricoli di alto livello e aumentare la produzione di
grano, tra altre cose.
"Il
segretario generale ha affermato che la nostra terra è una terra preziosa per
la produzione di grano, che ci ha profondamente ispirato e incoraggiato
tutti", ha detto Liu, osservando che gli agricoltori e i funzionari locali
sono più fiduciosi e determinati a preservare i terreni agricoli di alto
livello e a contribuire maggiormente a la produzione alimentare della nazione.
Il
terreno agricolo di alto livello a Yongfeng, che copre un'area di 3.100 mu (206
ettari), è uno dei modelli dimostrativi di maggior successo per i terreni
agricoli di alto livello nel Sichuan.
Preservare
e sviluppare terreni agricoli di alto livello è una parte cruciale dello sforzo
della Cina per garantire la sicurezza alimentare.
Durante
un incontro con i consiglieri politici nazionali dei settori dell'agricoltura e
della sicurezza sociale a marzo, Xi ha sottolineato che la Cina deve realizzare
un progetto per proteggere la sua terra fertile e sforzarsi di sviluppare 66,7
milioni di ettari di terreni agricoli di alta qualità.
Xi ha
affermato durante l'incontro che la Cina deve dare maggiore priorità al
rafforzamento della sua capacità di produzione agricola e compiere sforzi
incessanti per garantire la sicurezza del grano, ponendo l'accento
sull'autosufficienza alimentare e sui vari sforzi per garantire che "la
ciotola di riso cinese sia saldamente tenuta in le nostre stesse mani».
Le
visite di ispezione del presidente in numerose località del paese nell'ultimo
anno si sono concentrate anche su vari aspetti dello sforzo per garantire
l'autosufficienza alimentare, tra cui l'innovazione tecnologica nella
produzione di sementi e la modernizzazione complessiva dell'agricoltura.
Ad
aprile, Xi ha visitato un laboratorio di semi a Sanya, sottolineando il ruolo
cruciale dei "semi cinesi" nel garantire la sicurezza alimentare del
Paese.
"Per
garantire che le risorse di semi della Cina siano autosufficienti e sotto un
migliore controllo, è necessario raggiungere l'autosufficienza nella tecnologia
dei semi", ha affermato.
A Yana,
dopo aver visitato un meleto e aver appreso le tecniche di coltivazione delle
mele, il metodo di raccolta, la varietà e la qualità delle mele e i prezzi di
vendita, Xi ha chiesto sforzi per promuovere la rivitalizzazione rurale su
tutta la linea e lottare incessantemente per la modernizzazione
dell'agricoltura e delle zone rurali le zone.
Il
viaggio a Yana, "terra santa" per la rivoluzione cinese, è arrivato a
meno di una settimana dalla conclusione del 20° Congresso nazionale del PCC in
ottobre, dove Xi, in una relazione all'importante incontro, ha sottolineato che
"dobbiamo rafforzare le basi per la sicurezza alimentare su tutti i
fronti".
"Dopo
che il segretario generale se n'è andato, il nostro [governo locale] ha emesso
piani e ha intrapreso azioni.
Il suo
viaggio è di grande importanza per la promozione del nostro progetto",
Zhang Runsheng, capo del villaggio di Nangou a Yana, dove Xi ha visitato , ha
detto al Global Times.
Le
mele sono diventate il "frutto felice dell'eliminazione della povertà e
della prosperità", ha affermato.
Come
ha osservato Zhang, le visite del presidente e la particolare attenzione alla
sicurezza alimentare sono un grande impulso a tutti gli aspetti della catena di
produzione alimentare sia in termini di sostegno morale che politico, che alla
fine producono grandi risultati nell'espansione della produzione alimentare e
nel garantire la sicurezza alimentare, gli agricoltori, funzionari locali e
analisti hanno detto.
Raccolto
eccezionale.
Grazie
ai notevoli sforzi, la Cina ha visto un raccolto eccezionale nell'ultimo anno.
Nel
2022, la produzione di cereali in Cina ha raggiunto i 686,53 miliardi di
chilogrammi, con un aumento dello 0,5% rispetto all'anno precedente,
raggiungendo un nuovo record e segnando l'ottavo anno consecutivo in cui la
produzione totale di cereali del paese ha superato i 650 miliardi di
chilogrammi, secondo l'Ufficio nazionale di Statistiche (NBS).
Nel
frattempo, l'area dei terreni agricoli coltivati si è attestata a 1,775
miliardi di mu, in aumento dello 0,6% rispetto al 2021, e la produzione
unitaria di grano ha raggiunto i 387 chilogrammi per mu, ha affermato l'NBS.
Della
Cina risultati nel garantire la produzione e la sicurezza alimentare si
distinguono a livello globale, poiché il mondo sta affrontando una crisi
alimentare di proporzioni senza precedenti, la più grande nella storia moderna
a causa del conflitto geopolitico, degli shock climatici e della minaccia di
una recessione globale, secondo il World Food Programma (PAM).
Il WFP
ha osservato che ben 828 milioni di persone in tutto il mondo vanno a letto
affamate ogni notte e un totale di 49 milioni di persone in 49 paesi stanno
barcollando sull'orlo della carestia.
Cina,
che conta quasi un quinto della popolazione mondiale, ha anche affrontato una
serie di sfide per garantire la produzione alimentare.
Oltre all'epidemia di COVID-19, le rare inondazioni
autunnali nella parte settentrionale del Paese, una prolungata siccità e le
alte temperature nel sud hanno esercitato una forte pressione sulla produzione.
Gli
agricoltori hanno anche affrontato un aumento dei prezzi dei fertilizzanti e
altri effetti a catena della crisi alimentare globale.
"Nonostante
le molte sfide, la Cina ha visto un altro raccolto eccezionale quest'anno.
E i
principali fattori alla base di ciò sono che il governo cinese attribuisce
grande importanza a questo.
Sia i
comitati del Partito che i governi si assumono la responsabilità di garantire
la produzione alimentare e hanno stanziato un sostegno finanziario forte ed
efficace", ha dichiarato al Global Times Li Guiyang, ricercatore presso
l'Istituto per lo sviluppo rurale dell'Accademia cinese delle scienze sociali.
Nel
rapporto al 20° Congresso nazionale del PCC, Xi ha affermato:
"Faremo
in modo che sia i comitati del partito che i governi si assumano la
responsabilità di garantire la sicurezza alimentare".
Alla
conferenza centrale sul lavoro rurale, Xi ha anche chiesto una valutazione
rigorosa per sollecitare tutte le località ad assumersi veramente la
responsabilità di garantire la sicurezza alimentare, tra gli altri sforzi per
garantire l'approvvigionamento alimentare, compresa l'espansione della
produzione e la riduzione degli sprechi alimentari.
Li ha
osservato che con l'assunzione della responsabilità di garantire la produzione
alimentare sia da parte dei comitati di partito che dei governi, la
supervisione dei governi locali è stata effettivamente rafforzata.
Inoltre,
sono stati formati gruppi di lavoro speciali per attuare rigorosamente le
politiche nazionali e affrontare varie sfide per la produzione alimentare, e
gli agricoltori sono stati incentivati dal sostegno finanziario ad aumentare
la produzione.
Nell'ultimo
anno, il governo centrale cinese ha emesso in anticipo un sussidio di 120,5
miliardi di yuan (17,3 miliardi di dollari per la protezione della fertilità
delle terre coltivate, ha continuato ad aumentare il prezzo minimo di acquisto
di grano e riso e successivamente ha stanziato un sussidio una tantum di 40
miliardi di yuan ai coltivatori di grano, che sono raddoppiati rispetto
all'anno precedente, secondo il China Media Group (CMG).
Inoltre,
anche gli sforzi della Cina per creare terreni agricoli di alto livello,
promuovere innovazioni tecnologiche e stabilire meccanismi per garantire
l'approvvigionamento di materiali agricoli hanno svolto un ruolo importante nel
raccolto eccezionale.
Cina creerà
1 miliardo di mu di terreni agricoli di alto livello, che aumenteranno la
produzione per mu di ben il 20%, mentre il tasso di meccanizzazione della
coltivazione e del raccolto del paese ha superato il 72%, ha riferito il CMG il
12 dicembre.
Gli agricoltori in Cina, che ammontano a 250
milioni e producono circa l'80% del cibo in Cina , è fondamentale per il
successo del paese nel mantenere la stabilità alimentare interna durante le
crisi alimentari globali, ha affermato il World Economic Forum in un rapporto
di novembre.
Anche
un raccolto eccezionale nel paese più popoloso del mondo è di grande importanza per il mondo, ha affermato
Li.
"Quest'anno, molti paesi del mondo hanno
drasticamente ridotto la produzione di grano.
Colpiti
dall'Ucraina crisi, quest'anno i prezzi globali dei cereali hanno registrato
forti oscillazioni.
L'aumento della produzione di cereali in Cina
ha un significato positivo per la sicurezza alimentare globale e la
stabilizzazione dei prezzi globali dei cereali e ha dato il contributo della
Cina ", ha affermato.
"Candle
in the dark" per il mondo.
Questo
è il modo in cui puoi potenzialmente guadagnare entrate extra ogni singolo
mese...
Oltre
a prestare particolare attenzione alla garanzia della "ciotola di
riso" del popolo cinese, durante i viaggi all'estero di alto profilo
nell'ultimo anno, Xi ha anche spinto attivamente per sforzi congiunti per
affrontare la crisi alimentare globale.
A
settembre, partecipando alla 22a Riunione del Consiglio dei Capi di Stato della
SCO a Samarcanda, in Uzbekistan, Xi ha sottolineato la necessità di attuare le
dichiarazioni sulla salvaguardia della sicurezza energetica e alimentare
internazionale adottate da questo vertice.
Durante
l'incontro, il leader cinese ha anche annunciato che la Cina fornirà ai paesi
in via di sviluppo bisognosi assistenza umanitaria di emergenza in grano e
altre forniture per un valore di 1,5 miliardi di yuan.
A
novembre, durante la partecipazione al vertice del G20 di Bali, Indonesia , Xi
ha osservato che la sicurezza alimentare ed energetica è la sfida più urgente
nello sviluppo globale, sottolineando che la via d'uscita è rafforzare la
cooperazione sulla supervisione e la regolamentazione del mercato, costruire
partenariati sulle materie prime, sviluppare un mercato aperto, stabile e
sostenibile mercato delle materie prime e lavorare insieme per sbloccare le
catene di approvvigionamento e stabilizzare i prezzi di mercato.
Xi ha
anche chiesto opposizione a qualsiasi tentativo di politicizzare le questioni
alimentari ed energetiche o di utilizzarle come strumenti e armi, e ha annunciato
che la Cina ha presentato l'iniziativa di cooperazione internazionale sulla
sicurezza alimentare globale nel G20.
L'appello
del leader cinese a sforzi globali per affrontare i problemi e quelli della
Cina contribuendo allo sviluppo comune globale hanno attirato elogi diffusi
all'estero.
Veronika
S. Saraswati, China Study Unit Convenir presso il Center for Strategic and
International Studies Indonesia, ha affermato che il principio della politica
estera cinese di costruire partenariati economici rispettosi e non dominanti e di concentrarsi sul
multilateralismo porta "grande speranza" al mondo.
"In
contrasto con la prospettiva dell'unilateralismo che elimina altri paesi, la
Cina con la prospettiva del multilateralismo sottolinea il rispetto per gli
altri paesi così come il partenariato equo perché nessun paese può stare da
solo.
Sicuramente,
questo principio è 'una candela nel buio' in mezzo al mondo incertezza e
recessione economica internazionale".
Più
che una speranza, i contributi della Cina alla sicurezza alimentare globale si
sono fatti sentire in tutto il mondo.
Grazie
alla tecnologia del riso ibrido, la Cina non solo è riuscita a nutrire quasi il
20 per cento della popolazione mondiale con meno del 9 per cento della terra
arabile mondiale, ma è diventata anche il più grande produttore di cibo e il
terzo esportatore di cibo al mondo.
Nell'ultimo
anno, mentre molti paesi hanno affrontato gravi crisi alimentari e disastri
naturali, il cibo donato dalla Cina ha anche aiutato molte persone a sfuggire
alla fame.
Ad
esempio, mentre lo Sri Lanka ha affrontato una grave crisi economica, la Cina
ha donato al paese un totale di 5.500 tonnellate di riso in cinque mesi.
Il
governo cinese ha anche donato cibo e altre forme di assistenza umanitaria a
molti altri paesi, tra cui Pakistan e Afghanistan.
"La
sicurezza alimentare è fondamentale per la sopravvivenza umana", ha
dichiarato Xi in una dichiarazione scritta al Forum internazionale
sull'assistenza al riso ibrido e la sicurezza alimentare globale a novembre,
osservando che la Cina darà un contributo maggiore alla rapida attuazione
dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per la sostenibilità Sviluppo e alla
costruzione di un mondo libero dalla fame e dalla povertà.
(prnewswire.com/news-releases/global-times-xis-trips-across-country-focus-on-harvest-food-security-amid-global-crisis-301709930.html).
Mercouri:
"Qualcosa
di
grosso è in arrivo".
Unz.com
- MIKE WHITNEY – (30 DICEMBRE 2022) – ci dice:
"I
russi hanno deciso che non c'è modo di negoziare la fine di questo.
Nessuno
negozierà in buona fede; Perciò dobbiamo schiacciare il nemico.
Ed è quello che sta arrivando".
(Colonnello
Douglas McGregor).
"A
rigor di termini, non abbiamo ancora iniziato nulla." Vladimir Putin.
La
guerra in Ucraina non finirà con una soluzione negoziata.
I
russi hanno già chiarito che non si fidano degli Stati Uniti, quindi non hanno
intenzione di sprecare il loro tempo in un inutile gabfest.
Quello
che i russi faranno è perseguire l'unica opzione a loro disposizione:
annientare l'esercito ucraino, ridurre gran parte del paese in macerie e
costringere la leadership politica a soddisfare le loro richieste di sicurezza.
È una
linea d'azione sanguinosa e dispendiosa, ma non c'è davvero altra opzione.
Putin non permetterà alla NATO di posizionare il suo esercito ostile e i suoi
siti missilistici al confine con la Russia.
Difenderà il suo paese nel miglior modo
possibile eliminando in modo proattivo le minacce emergenti in Ucraina.
Questo
è il motivo per cui Putin ha chiamato altri 300.000 riservisti per servire in
Ucraina;
perché
i russi sono impegnati a sconfiggere l'esercito ucraino e portare la guerra a
una rapida fine.
Ecco
un breve riassunto del colonnello Douglas McGregor:
La
guerra per procura di Washington con la Russia è il risultato di un piano
attentamente costruito per coinvolgere la Russia in conflitto con il suo vicino
ucraino.
Dal
momento in cui il presidente Putin ha indicato che il suo governo non avrebbe
tollerato una presenza militare della NATO alle porte della Russia in Ucraina,
Washington ha cercato di accelerare lo sviluppo dell'Ucraina in una potenza
militare regionale ostile alla Russia.
Il
colpo di stato di Maidan ha permesso agli agenti di Washington a Kiev di
installare un governo che avrebbe collaborato con questo progetto.
La recente ammissione del Primo Ministro
Merkel che lei e i suoi colleghi europei hanno cercato di sfruttare gli accordi
di Minsk per guadagnare tempo per l'edificio militare in Ucraina conferma la
tragica verità di questa faccenda.
("Il colonnello degli Stati Uniti spiega
il ruolo dell'America nel provocare il conflitto Russia-Ucraina",
Lifesite)
Questo
è un eccellente riassunto degli eventi che hanno portato fino ai giorni nostri,
anche se dovremmo dedicare un po'più di tempo ai commenti di Angela Merkel.
Ciò
che la Merkel ha effettivamente detto nella sua intervista con Die Zeit è stato
il seguente:
"L'accordo
di Minsk del 2014 è stato un tentativo di guadagnare tempo per l'Ucraina.
L'Ucraina ha usato questo tempo per diventare
più forte, come potete vedere oggi".
Secondo l'ex cancelliere, "era chiaro per tutti" che
il conflitto era sospeso e il problema non era risolto, "ma è stato
esattamente ciò che ha dato all'Ucraina il tempo inestimabile". (Agenzia di stampa Tass)
La
Merkel è stata aspramente criticata per aver ammesso che lei e gli altri leader
occidentali hanno deliberatamente ingannato la Russia sulle loro vere
intenzioni nei confronti di Minsk.
Il fatto è che non avevano intenzione di fare
pressioni sull'Ucraina per rispettare i termini del trattato e lo sapevano fin
dall'inizio.
Quello
che sappiamo per certo è che né la Merkel né i suoi alleati sono mai stati
interessati alla pace.
In
secondo luogo, ora sappiamo che hanno mantenuto la frode per 7 anni prima che
lei versasse i fagioli e ammettesse ciò che stavano realmente facendo.
E
infine, ora sappiamo dai commenti della Merkel che l'obiettivo strategico di
Washington era l'opposto dell'accordo di Minsk.
Il
vero obiettivo era quello di creare un'Ucraina pesantemente militarizzata che
avrebbe perseguito la guerra per procura di Washington contro la Russia.
Questo
era l'obiettivo primario, la guerra alla Russia.
Quindi,
perché Putin dovrebbe anche solo prendere in considerazione la possibilità di
negoziare con persone del genere;
persone che hanno mentito in faccia per 7 anni
mentre inondavano il paese con armi che sarebbero state usate per uccidere i
militari russi?
E qual
è stato l'obiettivo che ha costretto la Merkel e i suoi colleghi di Washington
a mentire?
Volevano
una guerra, che è la stessa ragione per cui Boris Johnson ha messo il kibosh su
un accordo che Zelensky aveva negoziato con Mosca a marzo.
Johnson ha sabotato l'accordo perché
Washington voleva una guerra. È così semplice.
Ma c'è
un prezzo da pagare per mentire, e quel prezzo si presenta sotto forma di
sfiducia, che è la perniciosa erosione della fiducia che rende impossibile
risolvere questioni di reciproco interesse.
Il vicepresidente russo del Consiglio di
sicurezza nazionale, Dmitry Medvedev, ha espresso le sue opinioni sulla
questione proprio questa settimana nei termini più aspri. Ha detto:
Il
comportamento di Washington e di altri quest'anno "è l'ultimo avvertimento
a tutte le nazioni:
non ci possono essere affari con il mondo anglosassone
[perché] è un ladro, un truffatore, un tagliente che potrebbe fare qualsiasi
cosa ...
D'ora in poi faremo a meno di loro fino a
quando una nuova generazione di politici ragionevoli non salirà al potere.
Non
c'è nessuno in Occidente con cui potremmo avere a che fare per qualsiasi
motivo". (L'ex presidente russo delinea il calendario per la riconciliazione con
l'Occidente, RT)
Naturalmente,
i falchi di Washington non saranno disturbati dalla prospettiva di interrompere
le relazioni con la Russia, anzi probabilmente lo accolgono con favore.
Ma lo
stesso non si può dire per l'Europa.
L'Europa rimpiangerà di essersi legata
all'incudine di Washington e di essersi gettata in mare.
Nel prossimo futuro – quando finalmente si
renderanno conto che la loro sopravvivenza economica è inestricabilmente legata
all'accesso ai combustibili fossili a basso costo – i leader dell'UE
cambieranno rotta e attueranno una politica che garantisca la propria
prosperità.
Si ritireranno dalla "guerra eterna"
della NATO e si uniranno alle fila delle nazioni civili in cerca di un futuro
sicuro ed economicamente integrato.
Ci
aspettiamo che anche Nord Stream, che è stato distrutto nel più grande atto di
sabotaggio industriale nell'era moderna, sarà ricollegato stabilendo la
principale arteria energetica che lega la Russia all'UE nella più grande zona
di libero scambio del mondo.
Alla fine, il buon senso prevarrà e l'Europa
emergerà dalla crisi causata dalla sua alleanza con Washington.
Ma,
prima, la conflagrazione tra la Russia e l'Occidente deve svolgersi in Ucraina,
e il "Garante della Sicurezza Globale" deve essere sostituito
dall'unica nazione disposta a combattere Golia alle sue condizioni in una
competizione tra vincitori e tutto.
L'Ucraina si preannuncia come la battaglia decisiva
nella guerra contro il "sistema basato sulle regole", una guerra in
cui gli Stati Uniti useranno "ogni trucco nel libro" per mantenere la
presa sul potere.
Dai un'occhiata a questo breve trafiletto
dell'analista politico John Mearsheimer che spiega i mezzi con cui gli Stati
Uniti hanno preservato il loro ruolo dominante nell'ordine globale:
"Non
si può sottovalutare quanto siano spietati gli Stati Uniti.
Tutto
questo è coperto nei libri di testo e nelle lezioni che prendiamo crescendo
perché fa tutto parte del nazionalismo.
Il nazionalismo consiste nel creare miti su
quanto sia meraviglioso il tuo paese.
È
l'America giusta o sbagliata; Non facciamo mai nulla di sbagliato.
(Ma) se si guarda davvero al modo in cui gli
Stati Uniti hanno operato nel tempo, è davvero sorprendente quanto siano stati
spietati.
E gli
inglesi, lo stesso vale anche per loro, ma lo coprano. Quindi, sto solo
dicendo, se sei l'Ucraina e vivi vicino a uno stato potente come la Russia o
sei Cuba e vivi accanto a uno stato potente come gli Stati Uniti, dovresti
stare molto, molto attento perché è come dormire a letto con un elefante.
Se
quell'elefante rotola sopra di te, sei morto.
Devi
stare molto attento. Sono felice del fatto che questo è il modo in cui funziona
il mondo? No, non lo sono.
Ma è
il modo in cui il mondo funziona nel bene e nel male". (John Mearsheimer, "How
the World Works", You Tube)
In
conclusione:
le
prospettive di pace in Ucraina sono minime.
L'establishment
della politica estera degli Stati Uniti ha deciso che l'unico modo in cui può
invertire il declino accelerato dell'America è attraverso un confronto militare
diretto.
La
guerra in Ucraina è la prima manifestazione di quella decisione.
D'altra
parte, la Russia non mette più alcun peso nei negoziati con l'Occidente, perché
non ci si può fidare dei leader occidentali per onorare i loro impegni o
adempiere ai loro obblighi del trattato.
Le
differenze inconciliabili dei due principali partiti rendono inevitabile
l'escalation. In assenza di un partner di cui ci si possa fidare, Putin ha solo
un'opzione per risolvere il conflitto: una forza militare schiacciante.
Ecco perché ha chiamato 300.000 riservisti per
servire in Ucraina, ed è per questo che ne chiamerà altri 300.000 se saranno
necessari.
Putin si rende conto che l'unica via da
seguire è abbassare rapidamente il boom e imporre il proprio insediamento ai
vinti.
Questo è esattamente ciò che Mearsheimer aveva
predetto solo poche settimane fa quando ha detto questo:
"I
russi non hanno intenzione di ribaltarsi e giocare a morto.
In
realtà, ciò che i russi faranno è schiacciare gli ucraini.
Tireranno fuori i pezzi grossi.
Trasformeranno
posti come Kiev e altre città in Ucraina in macerie.
Faranno
Falluja, Mosuls, Groznys... Quando una grande potenza si sente minacciata... i
russi faranno di tutto per assicurarsi di vincere. ... Vuoi capire che quello
che stiamo parlando di fare qui, è sostenere una grande potenza dotata di armi
nucleari – che vede ciò che sta accadendo come una minaccia esistenziale – in
un angolo.
Questo
è davvero pericoloso". (John Mearsheimer, Twitter)
Quindi,
se sappiamo che la Russia cercherà di porre fine alla guerra sconfiggendo
l'esercito ucraino, allora cosa dovremmo aspettarci nel prossimo futuro?
Questa
è una domanda a cui hanno risposto un certo numero di analisti che hanno
seguito da vicino la guerra fin dall'inizio.
Forniremo
alcuni paragrafi da ciascuno di essi in un minuto, ma prima, ecco un riepilogo
degli incontri che hanno avuto luogo la scorsa settimana che suggeriscono che
una grande offensiva russa potrebbe essere a poche settimane di distanza.
L'estratto è tratto da un articolo su” Consortium News di Patrick Lawrence”:
Alexander
Mercouri... recentemente ha elencato l'eccezionale serie di incontri che Putin
ha tenuto nelle ultime due settimane con l'intero .... istituzione militare e
di sicurezza nazionale.
A
Mosca, il leader russo ha incontrato tutti i suoi principali comandanti
militari e funzionari della sicurezza nazionale (tra cui) Sergei Surovikan, il
generale che ha messo a capo dell'operazione ucraina.
Putin
è successivamente volato a Minsk con il ministro degli Esteri Sergei Lavrov e
il ministro della Difesa Sergei Shoigu per scambi con la leadership politica e
militare bielorussa.
Poi è
proseguito l'incontro con i leader delle due repubbliche, Donetsk e Lugansk,
che sono state incorporate tramite referendum nella Federazione russa lo scorso
autunno.
È
impossibile evitare di concludere che questi incontri consecutivi, a malapena
coperti dalla stampa occidentale, fanno presagire una nuova iniziativa militare
a breve o medio termine in Ucraina.
Come
ha detto Mercouri, "Qualcosa di molto grande è in arrivo".
Tra
gli incontri più interessanti di tutto questo c'è stato a Pechino la scorsa
settimana, quando Dmitry Medvedev, attualmente vice presidente del Consiglio di
sicurezza russo e da tempo vicino a Putin, ha avuto colloqui con Xi Jinping.
Ad un
certo punto in un futuro non lontano, la guerra della vuota retorica a favore
dell'arroganza imperiale si indebolirà e andrà alla deriva verso il collasso.
Questo grado di distacco surreale dalla realtà
semplicemente non può essere sostenuto indefinitamente – non di fronte a una
nuova iniziativa russa, qualunque sia la forma che si rivelerà prendere.
(PATRICK
LAWRENCE: "Una guerra di retorica e realtà", Consortium News)
Lawrence
ha ragione? È "qualcosa di grande in arrivo?
Sembra
proprio di sì. Nello spazio sottostante ho trascritto citazioni da video
recenti con il colonnello McGregor e Alexander Mercouri, due dei migliori e più
affidabili analisti della guerra in Ucraina.
Entrambi
concordano sul fatto che una "offensiva invernale" russa avrà luogo
nel prossimo futuro, ed entrambi concordano sugli obiettivi strategici
dell'operazione. Ecco una clip da McGregor:
"Il
popolo americano non capisce davvero che l'esercito ucraino nel Donbas è
sull'orlo del collasso.
Hanno
preso centinaia di migliaia di vittime... (e) si stanno avvicinando a
centocinquantamila morti.
La
93esima brigata dell'esercito ucraino è stata appena ritirata da Bahkmut – che
è stata trasformata in un bagno di sangue ucraino dai russi – e se ne sono
andati dopo aver subito il 70% di perdite.
Per loro, ciò significa che su 4.000 uomini...
Si ritirarono con circa 1.200 uomini. Questa è una catastrofe, ma questo è ciò
che sta realmente accadendo.
E
quando i russi finalmente lanceranno la loro offensiva, gli americani vedranno
crollare l'intero castello di carte.
Allora
l'unica domanda è: qualcuno finalmente si alzerà e metterà fine a questa
narrazione completamente falsa". ("Colonel Douglas McGregor", Real America,
Rumble; 8:45 min)
Ed
ecco di più McGregor:
Sembra
sempre più che i russi vorrebbero prima completare il loro compito nel Donbas.
Vogliono eliminare tutte le forze ucraine che
sono nel Donbass ... Ricordate, questa è sempre stata una misura di economia di
forza.
È stato progettato per macinare il maggior
numero possibile di ucraini al minor costo possibile per i russi.
Questo
è quello che sta succedendo nel sud dell'Ucraina (e) continua. Ha funzionato
brillantemente.
E
Surovikin, il comandante del teatro, ha detto che continuerà fino a quando non
sarà pronto a lanciare la sua offensiva.
Quando l'offensiva sarà lanciata, sarà una
battaglia molto diversa.
Ma la
cosa interessante è che gli ucraini hanno preso così tante vittime nel sud,
stiamo cominciando a sentire notizie che sono sull'orlo del collasso.
Ed è per questo che sentiamo parlare di
ragazzi adolescenti di 14 o 15 anni messi in servizio. ... e stiamo ricevendo
video da soldati ucraini che dicono: "La gente di Kiev farebbe meglio a
sperare che i russi arrivino a loro prima di noi ... perché li
uccideremo".
Stanno
parlando di persone nel governo, perché non vedono alcuna prova che il governo
di Zelensky ... se ne frega niente di loro.
Stanno
esaurendo cibo e vestiti; Stanno congelando, stanno subendo pesanti perdite e
vengono respinti". ("L'Ucraina avrà abbastanza potenza di
fuoco?", Col McGregor, Judging Freedom, You Tube).
Sia McGregor
che Mercouri sembrano concordare sul fatto che la strategia russa comporta
"schiacciare" il nemico, (uccidendo il maggior numero possibile di
truppe ucraine), consolidando le conquiste russe espandendo il loro controllo
sulle aree ad est e lungo il Mar Nero e, infine, la divisione dell'Ucraina in 2
entità separate;
Uno
"stato disfunzionale" a ovest e uno stato industrializzato e prospero
a est. Ecco Alexander Mercouri da un recente aggiornamento su You Tube:
La mia
forte impressione è che…
L'obiettivo dell'offensiva invernale russa –
che sta effettivamente arrivando – sarà porre fine alla battaglia nel Donbas,
spezzare la resistenza ucraina nel Donbas, liberare le forze ucraine dalla
Repubblica popolare di Donetsk.
Non mi
sembra che i russi stiano pianificando una grande avanzata su Kiev o
sull'Ucraina occidentale.
Non è
questo che dicono i commenti del generale Gerasimov. ... i russi si stanno
concentrando su Donetsk... È "a basso rischio" ma è altamente
efficace.
Sta
schiacciando l'esercito ucraino esattamente come ha detto il generale
Surovikin.
Sta indebolendo la futura capacità
dell'Ucraina di continuare la guerra e – allo stesso tempo – adempie alla
missione primaria della Russia che, fin dall'inizio, è stata la liberazione del
Donbas.
Ora,
non finirà qui.
Altri funzionari russi hanno detto che nel
2023 dovremmo vedere la riconquista della regione di Kherson ... e ci saranno
sicuramente altri progressi russi in altri luoghi.
Ma la battaglia principale era, e rimane, il
Donbas.
Una
volta vinta questa battaglia, una volta che la resistenza ucraina sarà
spezzata, l'esercito ucraino sarà fatalmente indebolito.
Il che
significa che l'Ucraina non solo avrà perso la sua regione più industrializzata
e la sua zona più fortificata.
Significherà
anche che i russi avranno libero accesso fino alla riva orientale del fiume
Dnepr.
A quel
punto, saranno in grado di tagliare l'Ucraina a metà.
Questo
mi sembra logico e mi sembra chiaro che questo è il piano russo.
Non ne
stanno facendo mistero, ma stanno tenendo la gente sulle spine e indovinando le
truppe che sono in Bielorussia.
Ma
sospetto che lo scopo principale di quelle forze sia quello di inchiodare i
soldati ucraini ... intorno a Kiev da una possibile offensiva russa lì, e per
contrastare il grande accumulo di truppe polacche.
Questo è ciò che Gerasimov ha detto".
("Alexander Mercouri sull'Ucraina", You Tube)
Mentre
nessuno può prevedere il futuro con assoluta certezza, sembra che sia McGregor
che Mercouri abbiano una buona presa sui fatti che il loro scenario non può
essere respinto a priori.
In
effetti, l'attuale traiettoria del conflitto suggerisce che le loro previsioni
sono probabilmente "morte".
In
ogni caso, non dovremo aspettare molto per scoprirlo.
Le temperature stanno scendendo rapidamente in
tutta l'Ucraina, il che consente il libero movimento di carri armati e veicoli
corazzati.
L'offensiva invernale della Russia è
probabilmente a poche settimane di distanza.
Kosovo-Serbia,
Tensione alle Stelle:
Belgrado
allerta l’Esercito.
Conoscenzealconfine.it
– (31 Dicembre 2022) – Redazione – ci dice:
Nelle
ultime ore si sono alzati i toni del confronto fra Pristina e Belgrado, con
accuse reciproche di voler esasperare la situazione e cercare il pretesto per
andare allo scontro armato.
È
sempre più alta la tensione interetnica nel nord del Kosovo, dove da 18 giorni
la locale popolazione serba protesta con blocchi stradali e barricate, contro
l’arresto ritenuto ingiustificato di tre serbi e l’invio da parte della
dirigenza di Pristina di numerose unità armate della polizia speciale, al fine
di intensificare la lotta a criminalità e corruzione.
Fenomeni
collegati dal governo kosovaro all’attività di bande criminali guidate da
serbi, che costituiscono la maggioranza della popolazione nel nord del Kosovo.
Belgrado
allerta l’Esercito.
Belgrado
accusa Pristina di voler puntare alla totale espulsione dei serbi dal Kosovo
(circa120 mila su una popolazione complessiva di circa 2 milioni di abitanti,
concentrati in larga parte al nord).
A
fronte della crescente insofferenza di Pristina per il persistere di blocchi
stradali e barricate, che ostacolano e in taluni casi paralizzano del tutto
trasporti e comunicazioni nel nord del Kosovo, e in reazione alle minacce
dell’uso della forza per la rimozione dei blocchi, il presidente serbo Aleksandar
Vucic, nella sua veste di capo supremo delle Forze armate, lunedì sera ha
ordinato lo stato di massima allerta per l’esercito e le forze di polizia in
Serbia, truppe pronte a intervenire sul terreno a protezione della popolazione
serba e in caso di attacchi e violenze.
Il
ministro degli Esteri Ivica Dacic è stato chiaro, affermando che se si
dovessero registrare attacchi contro i serbi, e se non dovesse intervenire la
Kfor, la Forza Nato in Kosovo, a intervenire sarebbero le truppe serbe.
Una
decisione che ha fatto ulteriormente salire la tensione, con i timori di un
possibile nuovo conflitto armato nei Balcani, la cui cronica instabilità già
risente delle conseguenze del non lontano focolaio russo-ucraino.
E
mentre il ministro della Difesa serbo e il capo di stato maggiore, generale
Milan Mojsilovic, hanno ispezionato unità dell’Esercito di stanza a ridosso
della frontiera tra Serbia e Kosovo, nelle ultime ore si sono alzati i toni del
confronto fra Pristina e Belgrado, con accuse reciproche di voler esasperare la
situazione e cercare il pretesto per andare allo scontro armato.
Il
Caso Porfirie.
Accuse
ripetute dal presidente Vucic, che ha incontrato a Belgrado il patriarca serbo
ortodosso Porfirie, al quale lunedì le autorità di Pristina hanno vietato l’ingresso
in Kosovo.
Porfirie
intendeva recarsi a Pec (Peja in albanese), sede del patriarcato serbo in
Kosovo.
“Per
noi il patriarcato di Pec è come il Vaticano per i cattolici”, ha detto Porfirie,
definendo inaccettabile il divieto.
“È
come se si vietasse al Papa di recarsi in Vaticano”, ha osservato il patriarca,
che ha definito “molto seria” la situazione in Kosovo.
“È
assolutamente necessario – ha affermato al termine del colloquio con Vucic –
fare tutto il possibile per preservare la pace e scongiurare lo scontro armato”.
Il
presidente Vucic da parte sua ha riferito di continui contatti con i
rappresentanti internazionali, compreso l’inviato Ue, Miroslav Lanca, con
l’obiettivo di risolvere la crisi attraverso il dialogo e per via diplomatica.
Anche il ministro dell’interno kosovaro Chela Svela
ha detto che Pristina non vuole la guerra, sottolineando al tempo stesso la
fermezza del governo nella lotta contro criminalità e terrorismo.
Pristina
vuole risolvere la crisi in atto pacificamente e senza eccessi, ha detto,
smentendo che le unità della Forza di sicurezza del Kosovo siano state poste in
stato di allerta.
Si
tratta, ha affermato, di pura propaganda diffusa da Serbia e Russia.
(tgcom24.mediaset.it/mondo/kosovo-serbia-tensione-alle-stelle_59111029-202202k.shtml)
Meloni
invita Fragili e Anziani
a
vaccinarsi! (che originalità…
è così
diversa dai suoi Predecessori…)
Conoscenzeaconfine.it-
Redazione – (31 Dicembre 2022) – ci dice:
C’è
“la campagna del governo che invita alla vaccinazione soprattutto gli anziani e
i fragili che sono i soggetti più a rischio e su cui mi sento di fare un invito
più deciso” a vaccinarsi.
Così
la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel corso della conferenza stampa di
fine anno.
(Ma è
mai possibile che nessuno chieda ai satrapi straricchi che producono le fiale dei
vaccini il certificato obbligatorio di ciò che le fiale stesse contengono?
Ndr.)
“Per
gli altri – ha aggiunto Meloni in conferenza stampa – l’invito è di rivolgersi
al medico che ne sa qualcosa più di me” (invece su fragili e anziani,
evidentemente, ne sapeva abbastanza… nota di conoscenzealconfine.it)
“Ci
siamo mossi immediatamente, in coerenza con quello che abbiamo chiesto in
passato: abbiamo disposto il tampone per tutti quelli che vengono dalla Cina,
ma è efficace se viene presa da tutta l’Ue.
Per
cui abbiamo scritto a Bruxelles.
Ci
aspettiamo che l’Ue voglia operare in questo senso.
Abbiamo bisogno di capire se quello che sta
arrivando è coperto dai vaccini o no. Sinora s’è rivelato solo Omicron.
In questo momento dovrebbe essere
tranquillizzante. Il caso cinese lo dimostra: lavoro su responsabilità e non
coercizione”.
Lo
afferma la premier Giorgia Meloni, aggiungendo anche: “Penso a un osservatorio
sul Covid”, per il monitoraggio dei dati.
La
premier spiega di ritenere che la “situazione sia sotto controllo al momento” e
di essere convinta che “tamponi e mascherine siano strumenti utili per
combattere l’emergenza attuale”. Ricomincia lo show?
(imolaoggi.it/2022/12/29/meloni-invito-deciso-a-vaccinarsi-per-fragili-e-anziani/)
IL
‘NUOVO MONDO’ DI DAVOS:
DALLA
TRANSIZIONE ECOLOGICA
AL
CONTROLLO SOCIALE?
Centrostudilivatino.it
– Maurizio Milano – (DIC 21, 2021) – ci dice:
Secondo
Klaus Schwab, fondatore ed Executive Chairman del “World Economic Forum (WEF)”
di Davos, il paradigma sociale ed economico dominante nel secondo dopoguerra,
in crisi già da alcuni decenni, è giunto oramai al punto di non-ritorno.
Solo
la conversione dallo shareholder capitalism allo stakeholder capitalism del XXI
secolo potrà consentire alle “società capitalistiche di sopravvivere e
prosperare nell’attuale era, caratterizzata da cambiamento climatico,
globalizzazione e digitalizzazione”.
La
“soluzione” proposta, tuttavia, va nella direzione opposta a quella
desiderabile, aggravando ulteriormente i mali che si pretenderebbe voler curare.
1.)
Nel suo recente libro “Stakeholder Capitalism: A Global Economy that Works for
Progress, People and Planet”, il prof. Klaus Schwab afferma che il modello
sociale, economico e politico attuale è giunto al capolinea.
Secondo
il leader del WEF, le prime avvisaglie di tale crisi erano già evidenti negli
anni 1970, a partire dal Rapporto Meadows del 1972, commissionato dal “Club di
Roma» di Aurelio Peccei, che individuava i “limiti dello sviluppo” nella
crescita “eccessiva” della popolazione rispetto alle risorse disponibili.
I documenti e i programmi dell’ultimo mezzo
secolo, concretizzatisi nelle varie Conferenze dell’ONU incentrate sul
cosiddetto “sviluppo sostenibile” – dal Rapporto Brundtland della “Commissione
mondiale sull’ambiente e lo sviluppo” (WCED) del 1987 (in cui venne introdotta
la nozione di “sostenibilità”) fino ad arrivare all’”Accordo di Parigi” sul
clima nel 2015 con l’approvazione dell’”Agenda Onu 2030“, nella quale sono
definiti “17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile” – hanno portato avanti una
visione neo-malthusiana, in cui il focus iniziale sull’inadeguatezza delle
risorse a sostenere il modello di crescita economica si è progressivamente
spostato sui presunti effetti negativi dell’uomo sull’ambiente.
A
partire dal 1996, introdotta da Mathis Wackernagel e da William Rees, si è
diffusa, infatti, l’ipotesi della cosiddetta “impronta ecologica “, che misurerebbe l’impatto
negativo dell’uomo sulla Terra mediante un complesso indicatore aggiornato periodicamente
dal WWF a partire dal 1999.
Per
l’ideologia “verde” oggi dominante, la popolazione è indubbiamente considerata
come la principale minaccia per la “salute” stessa del pianeta, anche al di là
del solito tema dei presunti squilibri tra crescita della popolazione e risorse
disponibili.
Il
concetto di “sostenibilità” si inscrive quindi all’interno di un quadro di riferimento
culturale che viene da molto lontano, ostile alla vita e alla famiglia
naturale, anche se, ovviamente, non tutti ne sono consapevoli.
Benedetto
XVI, in “Caritas in vertiate”, non parlava mai di “sviluppo sostenibile” bensì
di “sviluppo umano integrale” che poi, in fondo, è l’unico sviluppo davvero
“sostenibile”, anche sul piano materiale.
L’invecchiamento demografico congiunto al
crollo della natalità, infatti, comporta dei progressivi problemi di
“sostenibilità” a livello economico e sociale a causa dei crescenti costi –
sanitari, previdenziali ed assistenziali – che si scaricano su una popolazione
in età lavorativa in costante contrazione.
Un
rischio che persino la Cina ha compreso, introducendo a fine maggio 2021 la
possibilità per le famiglie di avere fino a tre figli: è certamente la solita
visione statalista e ideologica che considera le persone come una “massa” da
manovrare a seconda dei mutevoli interessi economici e politici, ma comunque un
segno evidente di come il “reale” alla lunga si imponga sempre sull’ “ideologia”.
2.) Schwab si focalizza poi sulla svolta
definita come «neo-liberista», iniziata negli anni 1980 con la Reaganomics e il
Thatcherismo, incentrata “maggiormente su fondamentalismo del mercato e individualismo
e meno sull’intervento statale o sull’implementazione di un contratto sociale”, giudicandola “un errore”.
Egli
afferma che il modello dominante – che definisce “shareholder capitalism” perché la responsabilità delle
imprese è limitata alla produzione di utili per gli azionisti, senza ulteriori
implicazioni “sociali” – dev’essere urgentemente superato nella direzione di
quello che definisce lo “stakeholder capitalism del XXI secolo”, dove debbono essere presi in
considerazione tutti i “portatori di interesse”, dai clienti ai lavoratori, dai
cittadini alle comunità, dai governi al pianeta, in una prospettiva non più locale o
nazionale ma “globale”, che richiede quindi un nuovo “multilateralismo”.
In
linea di principio, la logica dello stakeholder capitalism è anche condivisibile,
giacché le imprese non vivono nel vacuum, ma in contesti sociali e politici.
Quindi,
oltre alla generazione di profitto per i propri azionisti, servendo al meglio i
clienti in una libera e leale concorrenza, è equo che sostengano i costi delle
eventuali esternalità e si assumano responsabilità più ampie, secondo il
principio del bene comune a cui tutti sono tenuti a contribuire.
Che cosa si intende però esattamente col
termine “stakeholder capitalism del XXI secolo”?
Al
cuore di tale modello secondo Schwab vi sono due realtà: le “persone” e il
“pianeta”.
2.1.) Le “persone”:
Schwab
scrive che “il benessere delle persone in una società influisce su quello di altre
persone in altre società, e spetta a tutti noi come cittadini globali
ottimizzare il benessere di tutti”.
I “cittadini globali” astratti indicati da
Schwab esistono però solo nelle visioni ideologiche:
le “persone” concrete hanno sempre relazioni, a
partire dalla famiglia e dalla società circostante, e sono sempre portatrici di
una storia – e di una geografia –, nonché di una visione del mondo.
Non
esistono i “cittadini del mondo”, se non tra le élite tecnocratiche apolidi a
cui si indirizza, evidentemente, il prof. Schwab.
Nella prospettiva evocata, la sussidiarietà e
la stessa sovranità nazionale verrebbero sostituite da prospettive
centralistiche e dirigistiche.
2.2.) Il “pianeta”:
Schwab
lo definisce come “lo stakeholder centrale nel sistema economico globale, la
cui salute dovrebbe essere ottimizzata nelle decisioni effettuate da tutti gli
altri stakeholder.
In nessun altro punto ciò è divenuto più
evidente come nella realtà del cambiamento climatico planetario e nei
conseguenti eventi climatici estremi provocati”.
La
teoria del “riscaldamento globale” di supposta origine antropica (l’acronimo
inglese è “AGW”:
Anthropogenic Global Warming) e del più ampio concetto di “cambiamento climatico” che ne deriverebbe – al centro
dell’attività dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un’agenzia dell’Onu dedicata allo
studio dell’impatto umano sul cambiamento climatico – è appunto soltanto una
teoria, su
cui molti scienziati autorevoli non concordano (per es. gli scienziati di fama
mondiale Antonino Zichichi e Carlo Rubbia, per restare all’Italia), non una
realtà, in quanto manca di conferme scientifiche certe.
A ben
guardare, pur considerando l’uomo come il “cancro” del pianeta, l’ideologia
ecologista pecca paradossalmente per eccesso di “antropocentrismo” perché
attribuisce all’essere umano un potere che nei fatti è ben lungi da avere: non è forse prometeico pretendere
di abbassare la temperatura del pianeta come si fa col climatizzatore
dell’ufficio e pensare di potere cambiare il clima della Terra come se fosse quello
della serra dell’orto di casa?
A ciò
si aggiunga che tutte le previsioni catastrofistiche fatte in passato
sull’evoluzione del clima e sugli impatti sul pianeta e sull’uomo si sono
rivelate erronee.
Ovviamente,
con ciò non si vuole sminuire l’importanza di contrastare l’inquinamento e di
migliorare costantemente nella gestione dei beni creati, anche nel senso della
cosiddetta “economia circolare” e nella continua innovazione tecnologica per
ridurre gli sprechi:
questa
corretta “ecologia” non ha però nulla a che spartire con l’approccio ideologico
e ostile all’uomo – e alla natalità – della decarbonizzazione e della
transizione energetica degli approcci sopra indicati.
È
ideologico, non scientifico, trasformare una teoria in una certezza, su cui poi
impostare azioni di portata colossale e con costi astronomici.
Nella
prospettiva del cosiddetto “cambiamento climatico” – che è per definizione
globale – è chiaro che la sovranità nazionale dovrebbe cedere il passo al
multilateralismo e alla governance mondiale:
a
problemi globali soluzioni globali. Cui prodest?
3.) Schwab non ne parla nel libro citato,
ma la “transizione ecologica” a guida ONU non si limiterà alle tematiche di
tipo “energetico”, con l’abbandono dei combustibili fossili – che stanno già
comportando fortissimi rialzi delle materie prime energetiche con ricadute in
termini di dinamiche inflazionistiche sui prodotti e sui servizi –, ma si estenderà anche al cambio
dei modelli alimentari, incentivando, ad esempio, la “conversione” al
veganesimo e al consumo di “carne sintetica”;
per
non parlare della “suggestione” ad avere preferibilmente un solo figlio per
famiglia, ad adottare uno stile di vita all’insegna dell’austerità, rinunciando
a viaggiare per non inquinare oppure preferendo andare a piedi o in bicicletta
e utilizzare solo i mezzi pubblici;
e
chissà cos’altro in futuro, perché la rivoluzione verde, come tutte le
rivoluzioni, è un processo in divenire perenne, e quindi non può arrestarsi.
I
costi saranno probabilmente stratosferici:
Bill Gates li stima in 5.000 miliardi di
dollari annui, che potranno progressivamente scendere nel corso del tempo,
grazie all’innovazione tecnologica, fino a “soli” 250 miliardi di dollari annui
di extra-costo nel 2050.
Tale
extra-costo è indicato col termine green premium.
Sembra
proprio che ogniqualvolta compare l’aggettivo “verde” dobbiamo preoccuparci: i
nuovi e pesanti costi, infatti, hanno già iniziato a scaricarsi su contribuenti
e consumatori, con inevitabili gravi alterazioni della concorrenza, e quindi
delle stesse prospettive di crescita economica futura, a danno dei più e a
beneficio delle industrie favorite da tali progetti, oltre che della cosiddetta
“finanza sostenibile”.
Per non
parlare delle pesanti restrizioni alla libertà, che abbiamo già iniziato ad
“assaporare”: una decrescita, insomma, davvero poco felice.
4.) Se lo “stakeholder capitalism del
XXI secolo” del prof. Klaus Schwab si fonda su questi due pilastri, su
“cittadini” ridotti a monadi e su un “pianeta” da difendere dagli attacchi
dell’uomo – e quindi non più un “creato” che dell’uomo costituisce la dimora –,
c’è da
temere derive liberticide.
Mentre le società e l’iniziativa economica nascono
logicamente e storicamente dal basso, a partire dalle persone concrete,
inserite in famiglie e in comunità, per poi svilupparsi secondo logiche
sussidiarie nei vari corpi intermedi, qui ci troviamo di fronte a una
visione distopica fondata su un’antropologia distorta, e conseguentemente su una sociologia
“rovesciata”.
Una
prospettiva atomistica e materialistica, centralistica e dirigistica, dove i
“migliori” vorrebbero guidare dal centro e dall’alto, come nella città ideale
vagheggiata da molti utopisti che si sono industriati, nel corso dei secoli, di
immaginare un “mondo migliore”.
5.) Con riferimento ai pretesi “eccessi
di libertà” dei “privati” che avrebbero portato fuori strada il paradigma di
crescita impostosi nel secondo dopoguerra, occorre poi fare una precisazione.
Di quali “privati” si sta parlando?
I Paesi contemporanei sono caratterizzati tutti, chi
più chi meno, da una presenza molto forte dello Stato nella vita economica e
sociale, da un livello di pressione fiscale e contributiva importante, da
un’elevata collusione dei grandi gruppi industriali e finanziari col potere
politico – il cosiddetto capitalismo clientelare – e da un monopolio statale
sul denaro, la cui quantità viene manipolata ad libitum dalle rispettive Banche
centrali che negli ultimi lustri intervengono in modo sempre più attivo e
spregiudicato per orientare i sistemi finanziari, e quindi economici, dei
propri Paesi.
Negli
stessi USA, considerati l’emblema dell’economia libera, il potere politico è
colluso con i grandi gruppi privati e lo stesso andamento di WALL Street –
nell’immaginario collettivo icona del “capitalismo selvaggio” e del
“turbo-capitalismo” – dipende in realtà sempre più dalla politica, in
particolare dalle politiche monetarie ultra-espansive attuate dal 2009 dalla
Federal Reserve statunitense, solo formalmente indipendente dall’establishment
politico-economico.
Non ci sono dubbi che esista una liaison
malsana tra i grandi gruppi privati e la politica, in forte crescita
nell’ultimo quarto di secolo, e ciò va denunciato col termine di “capitalismo
clientelare”:
aumentando
ulteriormente la spesa pubblica non si farebbe altro che accrescere ancora la
quota di ricchezza nazionale gestita da tali élite politico-economiche, a tutto
beneficio di chi è più vicino ai rubinetti della spesa e a danno di tutti gli
altri che pagheranno il conto.
Lo vedremo, molto probabilmente, con l’implementazione
del “Piano di rilancio europeo” denominato NextGenerationEU (il cosiddetto
Recovery Fund), per la ricostruzione post-pandemica, a cui è collegato il piano di
attuazione italiano (il cosiddetto Piano nazionale di ripresa e resilienza –
PNRR): entrambi di tipo top-down, basati sul debito e calati dall’alto in modo
dirigistico-accentratore.
Nel sistema che si sta disegnando, la piccola e la
media impresa, che già hanno poca voce in capitolo adesso, rischiano di essere
ancora più marginalizzate.
6.) Com’è noto, infatti, la prospettiva
di Davos è quella del “Great Reset” dei sistemi economici-sociali-politici
attuali per andare verso un “New Normale”, una sorta di governance mondiale,
dove delle “cabine di regia” sempre più alte, composte da organismi
sovranazionali, Stati, Banche centrali, grandi gruppi finanziari ed economici,
media globali, think tank come Davos, assumeranno il ruolo di direttori
d’orchestra per decidere dove andare, con quali mezzi e in che modo, per
“ricostruire il mondo in modo migliore”, secondo lo slogan B3W-Build Back a
Better World del Presidente statunitense Joe Biden, condiviso dai Paesi del G7.
Ma
come imporre tali cambiamenti? In un suo libro precedente, molto conosciuto, “COVID-19: The Great Reset”, il prof. Schwab scriveva che
l’epidemia CoVid-19 costituisce una “grande opportunità” per “ripensare, re immaginare
e resettare il nostro mondo”.
Il
leader del WEF sottolinea che al di là dei dati di fatto, della “realtà”, «”le
nostre azioni e reazioni umane […] sono determinate dalle emozioni e dai
sentimenti: le narrazioni guidano il nostro comportamento”, lasciando cioè
intendere che, con uno story-telling adeguato, sarà possibile indurre un po’
per volta il cambiamento dall’alto, creando il consenso con un mix di bastone e
di carota.
L’importanza
della “narrazione” per guidare il cambiamento era già stata indicata da Schwab
come una priorità in un altro suo testo del 2016 dedicato alla Quarta
Rivoluzione Industriale, The Fourth Industrial Revolution: il passaggio dalla narrazione alla
propaganda rischia di essere molto veloce, e particolarmente pericoloso se si
aggiunge al controllo dei flussi finanziari, a regolamentazioni sempre più
rigide, fino alla stessa limitazione della libertà di movimento personale.
L’attuazione della “iniziativa del Grande Reset” verso il Brave New World
post-pandemico sembra procedere, in questi mesi, con quella «fretta»
raccomandata da Schwab come condizione di efficacia.
Schwab
non ne parla ma è una strategia che ricorda molto quella della Fabian Society,
il più antico think tank politico britannico, fondata a Londra nel 1884 e da
allora punto di riferimento della sinistra mondiale: “For the right moment you must wait
[…] but when the time comes you must strike hard”, cioè “devi attendere il
momento giusto […] ma quando arriva devi colpire duramente”.
L’immagine
scelta dai fabiani, un lupo travestito da agnello, completa il quadro.
7.) In conclusione, lo “stakeholder capitalism del XXI
secolo” del prof. Schwab sembra delineare una sorta di “socialismo benevolo”, un’evoluzione su scala planetaria di
quel mito evergreen che è lo Stato-assistenziale dei Paesi dell’Europa
settentrionale.
La collaborazione stretta tra grande finanza,
big-tech, media e capitalismo clientelare è, ovviamente, necessaria alla
realizzazione del progetto:
promesse di “salute” e “sicurezza”, garantite
dall’alto (nella forma di maggiori sussidi pubblici e di “reddito universale di
cittadinanza”);
più
tasse, meno libertà (e meno responsabilità), meno privacy e meno scelta
individuale.
Un
“socialismo liberale”, insomma, un po’ gnostico e un po’ fabiano, che intende
mantenere la sovrastruttura liberal-democratica, ridotta però a un guscio
vuoto, mentre le risorse e le decisioni importanti sono destinate ad essere
sempre più accentrate presso “tecnici” e “competenti”, presso “cabine di regia”
sempre più lontane.
Una prospettiva distopica che ricorda più
quella evocata nel “Nuovo Mondo” di Aldous Huxley (1894-1963) che non quella
paventata in “1984” di George Orwell (1903-1950).
“Quos
Deus perdere vult, dementat prius”: qualsiasi progetto contrario alla natura
dell’uomo e all’ordine delle cose è destinato inevitabilmente al fallimento
finale, ma può tuttavia arrecare dei seri danni, per molti anni a venire.
Quando
torneremo, dunque, alla normalità?
“Quando?
Mai”, scrive Schwab.
Ė
scritto nero su bianco, basta prendersi la briga di andare a leggere e studiare
quello che scrive.
Ciò
non è rassicurante: occorre approfondire queste tematiche con un serio studio
in ordine alla realtà delle cose e ai costi sociali, insostenibili per gli
uomini concreti, che sono esigiti per la costruzione del “mondo migliore”
immaginato da Schwab.
(Maurizio
Milano)
IL
POTERE PIEGA I POPOLI
ABOLENDO
LA PROPRIETÀ PRIVATA.
Opinione.it - Ruggiero Capone - (08 gennaio
2021) -ci dice:
Il
rapporto tra popolo e potere (o poteri) non è mai stato idilliaco, e
storicamente le conflittualità sono sempre state mediate da quelli che oggi
definiremmo corpi intermedi, ovvero religioni, tribuni del popolo, mafie,
sacerdoti, maghi, sindacalisti…partiti politici.
Va
detto che il potere ha sempre cercato di comprare i rappresentanti dei corpi
intermedi, quanto meno d’addomesticarli.
Inutile ribadire che la storia dei popoli è
diversa, ma presenta comunque similitudini.
Negli ultimi duecento anni le aristocrazie
storiche hanno pian pianino ceduto lo scettro a quelle tecnologico-finanziarie.
Il
rapporto tra popolo e nuovi padroni del potere è stato comunque calmierato da
corpi intermedi come chiesa, sindacati e partiti politici (negli ultimi
settant’anni si sono aggiunte le organizzazioni internazionali).
Ma
oggi siamo ad una svolta epocale, ad una resa di conti, tra popolo e potere.
Questo
perché il potere non ha più bisogno del popolo, degli esseri umani.
Il
potere non ha più bisogno di braccia che lavorino nei campi o nelle fabbriche,
e nemmeno di tanti addetti alle manutenzioni edili ed urbane, troppi sono anche
insegnanti ed impiegati, pericolosi gli autonomi dediti ad artigianato e
commercio.
Questi
ultimi rappresentano per il potere l’insidiosa classe che potrebbe azionare
l’ascensore sociale, tentando la prevaricazione economica nei riguardi del
potere consolidato.
Per
bloccare ogni tumulto, quindi evitare che vengano insidiati i poteri, è stato
siglato un patto di stabilità tra i gruppi mondiali che detengono il potere.
Il patto tra poteri (amministratori di gruppi
finanziari, multinazionali tecnologiche ed industria della sicurezza) prende il
nome di “Great Reset”, ed è stato siglato al Forum di Davos circa vent’anni fa,
nel 2001:
durante
quell’appuntamento, dal titolo “Global information technology report”, si definirono a Davos le basi del
“Great Reset”.
Il 2
gennaio 2021, Maurizio Blondet ha pubblicato un estratto dell’Economist
(settimanale di Sir Evelyn de Rothschild) in cui si acclarano i postulati di
quello storico accordo di Davos:
ovvero
soppressione della proprietà privata, limitazione della mobilità dei popoli,
limiti al lavoro creativo ed individuale, introduzione della moneta elettronica
per scongiurare risparmio individuale ed accumulo di danaro fuori dal controllo
dei sistemi bancari, rafforzamento delle norme di sicurezza al fine di
controllare l’agire degli individui.
Norme
e metodiche che, i potenti di Davos hanno fatto digerire alle politiche
nazionali come antidoto alla distruzione del pianeta.
In
pratica la salvaguardia del Pianeta verrebbe garantita con la schiavitù dei
popoli.
Nicoletta Forcheri ha già documentato la
mitica riunione di Davos sulla web-tv ByoBlu, determinando l’ira del conformismo
mediatico italiano:
non
dimentichiamo che gran parte dei giornalisti italioti gradivano essere ospiti
negli alberghi di Davos.
Nel
2016 il piano del Forum di Davos viene illustrato dall’Istituto Mises:
ovvero
diviene di dominio pubblico la volontà del potere di abolire la proprietà
privata.
Il titolo di quel rapporto (e programma) è “No privacy, no property: the world in
2030 according to the Wef”.
Quindi
entro il 2030 i potenti della terra contano d’aver convinto tutti gli stati del
pianeta ad abolite per legge la proprietà di alloggi e strumenti di produzione.
In
questo progetto del potere si rivela provvidenziale la pandemia da Covid, che
sta di fatto agevolando la criminalizzazione del lavoro umano (valutato come
primo fattore d’inquinamento), del turismo di massa e della socializzazione
umana in genere.
La
pandemia sta anche favorendo il depauperamento del risparmio individuale di
coloro che non sono parte del sistema:
ovvero
tutti gli individui che non lavorano per entità statali e multinazionali.
Perché
il Great Reset prevede che debbano essere chiuse tutte le attività individuali
artigianali e commerciali, e per favorire l’accordo unico tra grande
distribuzione e commercio elettronico.
Obiettivo
dei signori di Davos è far decollare il reddito universale (la “povertà
sostenibile”) entro il secondo trimestre 2021:
sarebbero
proprio artigiani e commercianti a dover per primi abbandonare le rispettive
attività per piegarsi ad un programma di “povertà sostenibile”.
La
pandemia s’è rivelata fondamentale per l’opera di convincimento al non lavoro.
“Oltre
la privacy e la proprietà” è una pubblicazione, per il World economic forum,
dell’ecoattivista danese Ida Auken (dal 2011 al 2014 ministro dell’Ambiente
della Danimarca, ancora membro del Parlamento danese) e parla d’un mondo “senza
privacy o proprietà”: immagina un mondo in cui “non possiedo nulla, non ho
privacy e la vita non è mai stata migliore”.
L’obiettivo è entro il 2030 (scenario di Ida
Auken) che “lo shopping e il possesso sono diventati obsoleti, perché tutto ciò
che una volta era un prodotto ora è un servizio. In questo suo nuovo mondo
idilliaco, le persone hanno libero accesso a mezzi di trasporto, alloggio, cibo
e tutte le cose di cui abbiamo bisogno nella nostra vita quotidiana”.
I
poteri si sono inseriti in questi disegni utopici e, per fare propri tutti i
beni dei popoli, hanno elaborato la trappola della “povertà sostenibile”, il reddito
di base garantito.
Antony
Peter Mueller (professore tedesco di Economia) sottolinea che questo progetto
va oltre il comunismo più estremo.
“L’imminente
esproprio andrebbe oltre anche la richiesta comunista – nota Mueller – questa
vuole abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione, ma lascia spazio ai
beni privati.
La
proiezione del Wef afferma che anche i beni di consumo non sarebbero più
proprietà privata (…) secondo le proiezioni dei “Global future Councils” del Wef, la proprietà privata e la privacy
saranno abolite nel prossimo decennio.
Le persone non possederanno nulla.
Le
merci sono gratuite o devono essere prestate dallo Stato”.
“La
proprietà privata è di ostacolo al capitalismo”, afferma l’Economist nel suo
elogio alle politiche del Forum di Davos.
L’Fmi
(Fondo monetario internazionale) ha sposato il programma del Forum di Davos,
infatti è partito il programma mondiale di reset del debito:
in
cambio gli stati con maggiore debito pubblico sarebbero i primi a dover
garantire ai poteri che i cittadini perdano per sempre la proprietà privata di
qualsiasi bene.
E chi
gestirebbe i beni confiscati?
Le
élite, che pensano di risolvere il problema abolendo mondialmente la proprietà
privata, hanno già predisposto un unico fondo planetario che controlli i diritti
sui beni e terreni.
L’idea, davvero utopica, veniva per la prima
volta paventata da George Soros nel 1970, due anni dopo la sua invenzione degli
“hedge fund”:
il
cosiddetto “sistema finanziario buono” che convinse moltissimi hippie
sessantottini a trasformarsi in yuppies finanziari di successo.
Ora
che il pianeta è ancor più bruciato dai debiti, gli stessi tentano di
reinterpretare Karl Marx e Friedrich Engels, e questa volta lo fanno
raccontandoci che c’è in “dispotismo asiatico buono” e che poggia sull’“assenza
della proprietà privata…chiave della pace per i popoli”.
Un
particolare, non secondario per noi italiani, è che ai passati Forum di Davos
era ospite fisso Gian Roberto Casaleggio (fondatore dell’omonima azienda che
controlla i 5 Stelle):
ne deriva che, su noi italiani potrebbe
abbattersi la sperimentazione d’abolizione della proprietà privata.
Un
programma che partirebbe certamente con una modifica costituzionale: del resto
l’Unione europea chiede da almeno un decennio che lo stato ponga limiti alla
libertà privata in Italia (circa l’80 per cento dei cittadini italiani vivono
in case di proprietà).
Ecco
che i pignoramenti europei, che dovrebbero colpire i proprietari anche per
minimi importi, agevolerebbero la transizione delle proprietà italiane verso un
fondo immobiliare europeo.
Poi la
carestia e la mancanza di danaro che decollerebbero entro luglio 2021
(interruzione programmata delle catene di rifornimento) darebbero alla società
la grande instabilità economica utile alla svendita dei beni ai grandi gruppi
finanziari:
i “compro casa” (collegati alle grandi
finanziarie) stanno affacciandosi al mercato insieme ai “compro oro”.
Di fatto, i potenti della terra stanno
riportando l’orologio della storia al tempo di sumeri, babilonesi ed egiziani
pre-ellenistici:
quindi
a prima che il diritto romano desse certezza alla proprietà privata.
Quest’ultima garantiva la libertà dei cittadini, la loro non sudditanza verso
un unico padrone, era meritocratica perché costruita da colui che lavorava e
risparmiava.
Ecco
perché lo scrivente condivide le parole (e l’appello) di Maurizio Blondet: “Ciò
che viene venduto al pubblico come promessa di uguaglianza e sostenibilità
ecologica è in realtà un brutale assalto alla dignità umana e alla libertà”.
Del resto,
il discorso di buon anno di Angela Merkel non lascia spazio a fraintendimenti:
la potente tedesca ha detto che necessita
colpire giudiziariamente i pensatori complottisti, istituendo un reato europeo
di negazionismo che permetta di punire chi critica verità processuali,
giudiziarie, finanziarie e scientifiche.
La
proprietà privata, ed il lavoro libero ed individuale, danno all’uomo libertà e
lo sottraggono all’omologazione ordinata dai potenti.
L’Occidente sta accettando supinamente una dittatura da
cui è difficile sortire, perché sicurezza informatica, forze di polizia
(eserciti e security di multinazionali), magistratura e governi sono illuminati
dai potenti di Davos.
Ed i
potenti gestiscono il potere come la propria fattoria, parafrasando il dittatore
paraguaiano Alfredo Stroessner:
in Paraguay le forze dell’ordine giuravano
fedeltà al potere.
Quest’ultima è consuetudine in tutte le
multinazionali, le stesse che oggi stanno subentrando al controllo degli stati
democratici.
GRANDE
RESET.
Davos,
il centralismo (non)
democratico
mondiale.
La
nuova bq.it – Maurizio Milano – (8 giugno 2022) – ci dice:
Il
giro mentale dei partecipanti a Davos è quindi sempre lo stesso: che cosa
possiamo fare noi élite mondiali per pianificare un futuro migliore per il
mondo?
La prospettiva è il rovesciamento della
sussidiarietà in una visione distopica fondata su un’antropologia distorta.
Unico assente, in dissenso, è Elon Musk,
possibile polo alternativo.
Tutti
i leader europei al WEF.
Nel
recente incontro di Davos, il primo in presenza dalla crisi sanitaria CoViD-19,
si è parlato del conflitto in Ucraina e della connessa crisi alimentare ed
energetica, del futuro della globalizzazione, di economia, lavoro e impresa,
delle divise digitali delle Banche centrali, della tecnologia e della meta
verso, delle prossime minacce alla salute, di ambiente e cambiamento climatico,
e altro ancora.
La
grande novità rispetto agli incontri passati è data, ovviamente, dall’invasione
dell’Ucraina da parte della Russia, e dalle sue pesanti ricadute sul commercio
mondiale, sulla globalizzazione e sulla crisi energetica e alimentare:
un
evento che non si poteva prevedere nell’incontro dello scorso anno, al quale
aveva partecipato come speaker il Presidente della Federazione Russa, Vladimir
Putin, che quest’anno è stato sostituito dal Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.
L’esplosione
di un conflitto ad alta intensità nel cuore dell’Europa è un evento di portata
storica: ennesima conferma che il futuro è imprevedibile, e quindi ancora meno
si dovrebbe credere che sia pianificabile, una lezione che però il Forum di
Davos non sembra avere ben appreso, visto il pervicace impegno di “cambiare il
mondo”, in meglio ovviamente.
Al
netto degli effetti geopolitici e geoeconomici della guerra in Ucraina, ancora
di difficile stima, il Forum di Davos 2022 è rimasto focalizzato sui soliti
grandi obiettivi.
La “narrazione” dominante è che il mondo
pre-CoViD-19 è definitivamente tramontato e quindi non torneremo più alla
“normalità” pre-pandemica.
Siamo entrati in uno “stato di eccezione”
permanente in cui si passa, senza soluzione di continuità, dalla crisi
sanitaria a quella climatica, dalla crisi militare a quella
energetica-alimentare.
Le crisi si sa, sono il terreno ideale per
proseguire con l’«iniziativa» del Great Reset dei sistemi sociali, politici ed
economici mondiali, con un’alleanza tra i grandi gruppi industriali e
finanziari e i pubblici poteri – Stati, Banche centrali, comunità
sovranazionale – per «ripensare, re immaginare e resettare il nostro mondo»,
per usare la terminologia del Prof. Klaus Schwab, Fondatore ed Executive
Chairman del World Economic Forum.
Le
grandi sfide globali richiedono soluzioni globali, nella prospettiva di una
«pianificazione democratica» e uno «statalismo climatico», concertato ai
livelli più alti, statali e sovranazionali:
un “socialismo liberale”, insomma, un po’
gnostico e un po’ fabiano, che intende mantenere le sovrastrutture
liberal-democratiche, o social-democratiche che siano, ridotte però a gusci
vuoti, mentre le risorse e le decisioni importanti sono destinate a essere
sempre più accentrate presso “tecnici” e “competenti”, in “cabine di regìa”
sempre più lontane.
Meno
proprietà privata, meno libertà e meno privacy, più tasse, in cambio della
promessa di maggiore sicurezza e salute garantite dall’alto – nella forma di
maggiori sussidi pubblici e di “reddito universale di cittadinanza” – nel nuovo
“capitalismo ambientale” dell’era post-pandemica, «sostenibile, resiliente e
inclusivo», come recita la narrazione dominante.
I residui spazi di libertà economica – che
avevano visto uno spiraglio con le politiche di Reagan e della Thatcher negli
anni ’80, definite in modo spregiativo come “neo-liberiste” – devono lasciare
il posto allo «stakeholder capitalism del XXI° secolo», invocato da Schwab,
nella prospettiva della Quarta Rivoluzione industriale.
La
rivoluzione digitale in atto, con un’avanzata esponenziale delle ICT (Information and Communication
Technologies), aprirà prospettive inedite, consentendo il tracciamento in tempo reale
di cose, denaro e persone, in un sistema di controllo sociale sempre più
pervasivo.
Tra
gli interventi al WEF 2022 attiro l’attenzione su quelli dei magnati-filantropi
Bill Gates e George Soros.
Gates ha parlato delle prossime epidemie –
quasi si trattasse di nuovo rilasci già pianificati del sistema operativo
Windows – mentre Soros ha invocato l’urgenza di sconfiggere Putin in tempi
brevi per potere tornare a gestire la vera emergenza dei nostri tempi, che
sarebbe quella climatica, paventando il rischio di essere andati già oltre il
punto di non ritorno con la possibile fine della civiltà per come la
conosciamo.
Sul
tema della guerra si evidenzia la posizione differente dell’ex-segretario di
Stato statunitense, Henry Kissinger, il quale ha richiamato in varie sedi, con
molto pragmatismo e meno idealismo, alla necessità di porre fine al conflitto
in tempi brevi con un accordo che preveda delle concessioni da entrambe le
parti, al fine di evitare scenari catastrofici per gli attori coinvolti,
Ucraina e Russia in primis, ma anche per il resto d’Europa e del mondo.
Al di là delle valutazioni di merito che si possono
fare, il fil rouge dei vari interventi che si sono succeduti a Davos è sempre
quello dell’emergenza globale che richiede un multilateralismo che superi il
livello dei singoli Stati nazionali.
Sul
fronte sanitario, ad esempio, la prospettiva è quella di un ruolo crescente
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che potrebbe arrivare ad imporre le
proprie decisioni su scala planetaria, “saltando” le decisioni degli Stati
nazionali.
Il
giro mentale dei partecipanti a Davos è quindi sempre lo stesso: che cosa
possiamo fare noi élite mondiali per pianificare un futuro migliore per il
mondo?
La prospettiva è il rovesciamento della
sussidiarietà in una visione distopica fondata su un’antropologia distorta e
conseguentemente su una sociologia “rovesciata”: una visione atomistica e
materialistica, centralistica e dirigistica, dove i “migliori” vorrebbero
guidare dal centro e dall’alto, nel nome di un globalismo ideologico.
L’approccio
ideologico di Davos è inevitabilmente destinato a scontrarsi con il reale:
le
nuove politiche economiche post-pandemiche provocheranno però seri danni strada
facendo, soprattutto in termini di restrizioni alla proprietà privata, alla
libertà e alla privacy.
Ne
abbiamo purtroppo già fatto esperienza con le politiche sanitarie improntate
ideologicamente alla strategia CoViD-zero negli ultimi due anni, e lo stiamo
subendo con le dinamiche inflazionistiche fuori controllo, anch’esse causate da
errate scelte monetarie e fiscali, non soltanto dalla guerra in atto.
Tra i
temi affrontati a Davos anche le CBDC (Central Bank Digital Currencies), le Divise Centrali delle Banche
Centrali, indicate come strategiche da Kristina Georgieva, direttrice operativa
del Fondo Monetario Internazionale, mentre ha invece snobbato le criptovalute
emesse dai privati in modo decentrato, affermando che non possono essere
considerate “denaro” perché non sono garantite da una pubblica autorità e non
costituiscono una “riserva di valore” affidabile.
La
digitalizzazione completa dei pagamenti con le CBDC apre prospettive pericolose
sia in termini di “profilazione” sia in termini di possibili limitazioni, o
addirittura di blocchi al loro utilizzo, che potrebbero essere decisi e attuati
in tempo reale dalla Banca centrale nei confronti di soggetti ritenuti non
sufficientemente rispettosi delle “regole” imposte politicamente.
La Cina, non a caso, è all’avanguardia mondiale nello
sviluppo dello yuan digitale, e tale successo è stato indicato con ammirazione
dalla Georgieva.
Mentre
in un’economia libera il “denaro” dovrebbe appartenere alla res pubblica, nella
prospettiva indicata si impone invece una visione “politica” del denaro, emesso
in regime di monopolio dalle varie Banche centrali, già ora manipolabile a
piacimento nella logica fiat, e con l’evoluzione digitale in modo ancora più
efficace, soprattutto se si accompagnerà, come auspicato, alla morte del
contante.
Si
segnala, tra gli assenti notabili, Elon Musk, patron di Tesla nonché uomo più
ricco del mondo, che ha preso pubblicamente le distanze dal Partito democratico
statunitense e ha iniziato a condannare in più sedi l’emergenza demografica in
atto, in una prospettiva diametralmente opposta a quella dell’Agenda ONU 2030
fatta propria dal Forum di Davos. Nel dicembre 2021, ad esempio, Musk ha
dichiarato al Wall Street Journal’s CEO Council Summit:
«Uno dei rischi più grandi per la civiltà è il
basso tasso demografico e il suo rapido declino.
Sono
in tantissimi, comprese le persone intelligenti, che pensano che siamo in
troppi nel mondo e che la crescita della popolazione stia andando fuori
controllo.
È
esattamente l’opposto.
Per favore guardate i dati. Se le persone non
faranno più figli, la civiltà sarà destinata a collassare.
Prestate attenzione alle mie parole».
In un suo recente commento su twitter ha poi
commentato l’inverno demografico in Italia con parole lapidarie:
«l’Italia
non avrà più una popolazione se queste tendenze continueranno».
A chi
critica Musk cercando di screditarlo sul piano personale, occorre ricordare,
alla scuola di San Tommaso d’Aquino (1225-1274), che «omne verum, a quocumque
dicatur, a Spiritu Sancto est» (S. Th., I-II, q.109, a.1, ad 1).
Non
stupisce che Musk non sia stato invitato a Davos, o se è stato invitato non
stupisce che abbia declinato l’invito.
Tra i
partner del WEF, non compare la sua azienda, la Tesla, un’eccezione che si nota
visto che sono presenti tutti quelli che contano nel mondo: nel settore automobilistico
Chevron, Honda, Hyundai, Mitsubishi, Toyota, Volkswagen e Volvo; nel settore
finanziario ABN Amro, Allianz, Axa, Banco Santander, Bank of America, Bank of
China, Barclays, BBVA, BlackRock, Bloomberg, CreditSuisse, Deutsche Bank,
Generali, Goldman Sachs, Intesa Sanpaolo, Invest Saudi, Islamic Development
Bank, Morgan Stanley, Nomura Pictet Group, Prudential, Qatar Development Bank,
UBS, Unipol; nel comparto energetico British Petroleum, Chevron, China Energy
Investment, Enel, Eni, Petrobras, Saipem, Saudi Aramco, Shell, Snam; nel
comparto farmaceutico AstraZeneca, Bayer, Johnson&Johnson, Moderna,
Novartis, Pfizer, Sanofi; le grandi società di consulenza Accenture,
Ernst&Young, Deloitte, KPMG, McKinsey, PricewaterhouseCoopers; importanti
fondazioni come Bill&Melinda Gates Foundation e Open Society Foundations; i
colossi mondiali Amazon, Apple, Google, Meta (Facebook), Microsoft; altri big
player come Cisco, Coca-Cola, General Electric, Hewlett-Packard, IBM, Intel,
L’Oréal, Mastercard, Nestlé, New York Times, Nokia, PayPal, Procter&Gamble,
Siemens, Sony, STM, SWIFT, Telefonica, TIME, Unilever, Visa, Walmart, Western
Union, Xiaomi, Yahoo…
Potrei
continuare con altri grandi nomi ma credo che l’elenco sia sufficiente per
apprezzare l’ampiezza e la portata della rete soggiacente al World Economic
Forum di Davos:
è sicuramente un grande e potentissimo club,
decisamente esclusivo;
occorre
pagare cifre importanti per farne parte e chi paga, in genere, si attende poi
qualcosa in cambio.
Ci
troviamo di fronte, con ogni evidenza, non a un “capitalismo selvaggio” o
“turbo-capitalismo”, come ancora molti lamentano mancando il segno, bensì a un
crony capitalism – un capitalismo clientelare – a livello mondiale, concertato
tra grande capitale e poteri pubblici: non si tratta di “neo-liberismo” ma di
“neo-corporativismo”, con una continua erosione dei residui spazi di libertà
economica per quei privati, che numericamente sono la quasi totalità, che non
fanno parte del club.
D’altronde, ce l’avevano detto con
trasparenza, come possiamo vedere nel famoso video, comparso lo scorso anno sul
sito del WEF, contenente 8 previsioni per il mondo nel 2030:
«Non
possiederai nulla. E sarai felice […] I valori occidentali saranno stati
testati fino al punto di rottura».
Ora,
il fatto che nel mondo di Davos manchi Tesla – che è stata stranamente valutata con
un basso scoring nell’ambito delle valutazioni ESG da parte di S&P Global,
escludendola quindi dal benchmark dei titoli sostenibili, e sulla quale Bill
Gates sta speculando al ribasso – e che contemporaneamente Elon Musk stia assumendo
posizioni contrarie a quelle dell’establishment sulla demografia, uno dei punti
chiave dello “sviluppo sostenibile” a trazione ONU, pare degno di nota:
chissà
se tra gli eventi imprevedibili il futuro non ci riserverà un’alleanza inedita
nel Partito repubblicano statunitense tra Donald Trump ed Elon Musk, con
twitter non più controllato dal mondo liberal per fare propaganda unilaterale e
censurare come fake news notizie non gradite.
Se
così fosse, credo che la novità a Davos non sarebbe accolta con entusiasmo.
SCORRETTAMENTE
GRETA:
IL
SILENZIO DEI BUONISTI
Opinione.it
- Vito Massimano – (30 dicembre 2022) – ci dice:
La
vicenda è tanto semplice quanto grottesca e coinvolge Greta Thunberg, al secolo
la paladina dei buoni sentimenti, la custode dell’ortodossia ambientalista, la
ragazza impegnata che piace alla gente che piace.
La
giovane pasionaria ha avuto un alterco via social con Andrew Tate, un ex
kickboxer un po’ villano che si è cimentato in ciò che sa fare meglio, cioè
provocare in maniera faciloneria attraverso l’esibizione della propria
ricchezza.
Il
tutto in perfetto stile tamarro ultima moda.
Ma
vediamo i fatti: il primo a straparlare è stato Andrew Tate, il quale – in un
post su Twitter – si è immortalato mentre faceva il pieno alla sua Bugatti,
macchina particolarmente esigente dal punto di vista dei consumi.
E a corredo della foto ha taggato proprio Greta,
dicendole “ho 33 macchine.
La mia
Bugatti ha un quad-turbo w16 8.0L.
Le mie
due Ferrari 812 Competizione hanno 6.5L v12. Questo è solo l’inizio.
Fornisci il tuo indirizzo e-mail in modo che
io possa inviare un elenco completo della mia collezione di auto e le
rispettive enormi emissioni”.
La replica dell’attivista svedese non si è
fatta attendere:
“Sì,
per favore, illuminami, mandami una email a
energiadelpenepiccolo@fattiunavita.com”.
La
risposta è stata nemmeno troppo allusiva alle capacità sessuali del tamarro di
cui sopra.
Il tweet sulla virilità dell’ex kickboxer è
andato oltre tutte le aspettative, ricevendo oltre 100 milioni di
visualizzazioni, centinaia di migliaia di rilanci, milioni di like.
Ed è,
secondo molti, il post migliore dell’anno.
Detto
con molta sincerità, a noi la risposta di Greta è piaciuta, perché
politicamente scorretta e laconicamente irridente.
Ma noi
non apparteniamo a tutta quella schiera di bacchettoni ben pensanti, di onesti
con i soldi delle tangenti qatariote in casa, di buonisti in pubblico che
lucrano sugli immigrati in privato.
Spiace
che dopo aver predicato sugli arzigogoli lessicali tipo “il presidente e la
presidenta”, dopo aver pontificato sulle offese sessiste via web, dopo aver
legiferato sul body sharing e alzato il ditino sul “cippalipping”, adesso
nessuno inarchi il sopracciglio scandalizzandosi per l’intemerata di Greta, che
ha sbracato sul nanismo sessuale di Andrew Tate.
Ci
domandiamo: cosa sarebbe successo se fosse stato Tate a dare della brutta racchia
avio fobica a Greta?
Sarebbe
successo il finimondo.
Qualcuno
avrebbe tirato fuori dall’armadio le scarpette rosse e tutto l’armamentario
radical chic conservato nella villetta estiva di Capalbio (non nella cuccia del
cane, ça va sans dire).
Per il
forum dei miliardari di Davos
il
Covid-19 è l'occasione
per resettare
l'economia
mondiale,
ma a vantaggio di pochi.
Italiaoggi.it
- Tino Oldani – (4-11-2020) – ci dice:
Incredibile,
ma vero: c'è chi vede nella pandemia mondiale da Covid-19, con i suoi milioni
di contagi e i tanti morti, un'occasione irripetibile per avere più ricchezza e
più potere.
Una
visione cinica, con l'ambizione di essere nello stesso tempo un punto di
riferimento culturale per le élites mondiali del potere finanziario e politico.
La
prova? Basta leggere i passaggi chiave del rapporto «Covid-19. The Great
Reset», ordinato dal World economic forum (Wef), il club esclusivo che ogni
anno riunisce a Davos, in Svizzera, i supermiliardari e i leader politici del
mondo per tracciare gli scenari futuri e come affrontarli.
Il rapporto è firmato da Klaus Schwab, 82
anni, da sempre grande regista del club di Davos, e da un suo collaboratore,
Thierry Malleret, direttore del Global risk network, che opera all'interno del
Wef.
Un libro preparato in vista del prossimo
meeting di Davos, che solitamente si tiene a gennaio, rinviato però a metà
maggio 2021 (dal 18 al 21) a causa della pandemia, con sede non più a Davos, ma
a Burgenstock, cittadina vicino a Lucerna.
Questa
nuova bibbia dei supermiliardari non cela affatto il cinismo, ma usa un
linguaggio chiaro, perfino spietato:
«Molti si chiedono quando torneremo alla
normalità. La risposta è concisa: mai.
Ci sarà sempre un'epoca di 'prima del
Coronavirus' e 'dopo il Coronavirus'.
Il peggio della pandemia deve ancora venire».
Ancora: «Affronteremo le sue ricadute per anni
e molte cose cambieranno per sempre.
Ha
provocato sconvolgimento economici di proporzioni monumentali, e continuerà a
farlo.
Nessuna
azienda sarà in grado di evitare l'impatto dei cambiamenti futuri.
O tutti si adatteranno all'Agenda del Great
Reset, o non sopravviveranno.
Milioni
di aziende rischiano di scomparire, soprattutto quelle di dimensioni piccole.
Soltanto poche saranno abbastanza forti da sopportare il disastro».
Grazie
alla blogger francese, Virginie Février, che ha fatto una sintesi del rapporto
citando i passaggi più incisivi, è possibile capire che cosa Schwab e Malleret
intendono per grande riassetto:
«Alcuni industriali e alcuni quadri superiori
rischiano di confondere il reset con un re inizio.
Ma non
sarà un re inizio, non può succedere.
Le
misure di distanziamento sociale e fisico rischiano di persistere ben al di là
della scomparsa della pandemia.
E
questo servirà per giustificare la decisione di numerose aziende nei più
svariati settori di accelerare l'automatizzazione.
Non è affatto sicuro che la crisi del Covid-19
faccia pendere la bilancia a favore del lavoro contro il capitale.
Politicamente
e socialmente sarebbe possibile, ma il dato tecnologico cambia tutto».
Così,
ecco qualche squarcio illuminante sui cambiamenti attesi per il futuro: «Fino
all'86% dei posti di lavoro nella ristorazione, il 75% dei posti di lavoro nel
commercio al dettaglio e il 59% dei posti di lavoro nei giochi e divertimenti
potrebbero essere automatizzati entro il 2035.
Fino
al 75% dei ristoranti indipendenti potrebbero non sopravvivere al confinamento
e alle misure di distanziamento sociale ulteriori.
Nessuna industria o azienda sarà risparmiata».
Le
ricadute sul modo di governare l'economia investiranno tutti i paesi,
costringendo i governi a prenderne atto, fermo restando un principio cardine
per il club di Davos:
«La governance mondiale è al cuore di tutte le
altre questioni».
È facile prevedere che una frase simile
scatenerà i cosiddetti «complottisti», che da anni vedono nel World economic
forum il fautore di un Nuovo ordine mondiale, dove a comandare saranno, più di
oggi, le élites del potere finanziario.
Ma il
rapporto di Schwab e Malleret se ne infischia dei complottisti, e va giù
piatto:
«La tirannia della crescita del pil finirà. La
fiscalità aumenterà. Come nel passato, la logica sociale e la giustificazione
politica alla base degli aumenti delle imposte saranno basati sulla narrativa
dei 'paesi in guerra' (ma questa volta contro un nemico invisibile)».
Risultato: la classe media sarà spolpata, mentre
aumenteranno i redditi di cittadinanza.
Confermando
quanto è già accaduto con i primi lockdown, il rapporto del Wef vede lo
statalismo in crescita:
«Il
controllo pubblico delle aziende private aumenterà. Le aziende non aderiranno a
queste misure perché le considerano 'buone', ma piuttosto perché il prezzo da
pagare per non sottomettersi sarà troppo alto in termini di collera dei
militanti».
Quali
militanti? Ovvio: i giovani che, come Greta Thunberg, scendono in piazza per il
clima, o quelli che lo fanno per i diritti sessuali.
È su di loro che i supermiliardari di Davos
contano per fare passare la loro nuova dottrina:
«L'attivismo dei giovani aumenta nel mondo,
essendo rivoluzionato dalle reti sociali che accentuano la mobilitazione a un
livello che sarebbe stato impossibile precedentemente.
Assume diverse forme, dalla partecipazione
politica non istituzionale alle manifestazioni e proteste, e affronta questioni
diverse, come il cambiamento climatico, le riforme economiche, la parità dei
sessi e i diritti Lgbt.
La
nuova generazione è fermamente all'avanguardia del cambiamento sociale.
Non ci
sono dubbi che sarà il catalizzatore del cambiamento sociale e una fonte di
slancio critico per il Great Reset».
Gli
unici ostacoli, conclude il rapporto, saranno il sovranismo e la religione, «un
miscuglio tossico», che è così descritto:
«Con
il lockdown, il nostro attaccamento ai prossimi si è potenziato con un
sentimento rinnovato di apprezzamento per tutti coloro che amiamo: la famiglia
e gli amici.
Ma il
lato oscuro è lo scaturire di sentimenti patriottici e nazionalistici, con
considerazioni religiose ed etniche preoccupanti.
Questo
miscuglio tossico ha messo in risalto il peggio di noi stessi in quanto gruppo
sociale».
Populisti,
sovranisti, e ora anche il papa e i preti, si considerino avvisati.
La
bufera pandemica, la “shock economy”
e la teoria del “great reset”.
Cn24tv.it
– Natale G.Calabretta – (23 novembre 2021) – ci dice:
È bene
esplicitarlo fin dalle prime parole: la bufera pseudo-pandemica che ha
investito il mondo non è altro che un “cavallo di Troia” che ha spianato la
strada al progetto globale del “great reset”, la grande cancellazione.
Indipendentemente,
infatti, dalla genesi della narrazione della Covid-19, il fatto di aver
costituito una emergenza sanitaria infinita si è rivelata l’“opportunità” e
l’“occasione” - questi i termini usati dai poteri dominanti e dalla tecnocrazia
del World Economic Forum di Davos e del Fondo Monetario Internazionale - per
poter ottenere e sostenere la legittimazione morale del “great reset” che è una
dottrina che si inserisce all’interno dell’Agenda Globale 2030 dell’Onu:
è la
rigenerazione di un nuovo capitalismo votato alla distruzione di quanto
esistito finora, alla negazione dell’ordine mondiale così come lo abbiamo
conosciuto talmente incardinato sul principio di libertà degli individui da
essere una minaccia per il potere globalista.
Tra
gli aspetti più inquietanti descritti e predisposti nella dottrina del “great
reset” sono l’introduzione programmata di trasformazioni antropologiche e di
cancellazioni culturali e la totale assenza di una prospettiva di crescita o di
maggior benessere economico.
È
presente, invece, la visione sempre più concreta di una società completamente
regolata su un piano digitale dall’“intelligenza artificiale” (AI) comandata da
algoritmi sempre più autocoscienti ed evolutivi che agiranno sul piano materico
attraverso macchine in grado di imparare da errori e di immagazzinare
informazioni esperienziali (big data) mettendo in rete le nuove informazioni
(“internet delle cose”) a cui i vari devices (anche case, le automobili e i
vestiti) potranno attingere per evolversi.
In
tale scenario l’uomo verrà relegato alla figura di competitor, costretto a
ritagliarsi uno spazio di identità civile ed economica all’interno del mondo da
lui stesso creato:
una
competizione che coinvolge anche la sfera della tutela dei diritti e della
privacy dei lavoratori che vedranno come oggetto del contendere e del difendere
le loro esigenze “umane” contro quelle pressoché inesistenti e fortemente
competitive di macchine ad autocontrollo e sistemi evoluti di automazione
replicante.
“Il
disegno globale, un continuum di lunghi periodi di terrore”
Per
perseguire questo progetto di mondo “futuro-prossimo”, la dottrina del “great
reset” sfrutta come una “occasione” la paura indotta ad arte nelle masse dalla
narrazione pandemica di questi ultimi anni, grazie alla quale accelera
ulteriormente il suo disegno globale inserito in un continuum di lunghi periodi
di terrore mondiale già presenti negli anni passati con la paura del terrorismo
all’indomani dell’11 settembre 2001, prima, e, successivamente, con crisi
finanziaria legata alla bolla dei titoli subprime del 2008.
L’applicazione
opportunista di tale meccanismo si ispira alle teorie neoliberiste del così
detto “capitalismo dei disastri” e della “shock economy”, già teorizzata de
Milton Friedman e definite da Naomi Klein vere e proprie tecniche di “tortura
sociale”, per le quali è essenziale indurre nella popolazione un persistente
sentimento di paura rinnovato e consolidato a livello inconscio dal susseguirsi
di eventi catastrofici indotti o tempestivamente strumentalizzati.
È
attraverso la paura che il potere innesca il processo manipolazione sociale
utile per portare avanti politiche sociali ed economiche che sarebbero
altrimenti impopolari in uno stato ordinario delle cose, ma che la percezione
dello shock, la minaccia di altre catastrofi future e la paura persistente,
legittima e rende funzionali alla nuova normalità.
La
crisi pandemica da Sars-Cov-2 o la sua predisposizione artefatta, si rivela una
ghiotta occasione per la cancellazione non solo di un sistema economico
capitalista che ha mostrato da decenni tutti i suoi limiti, ma anche per uno
sconvolgimento sociale e antropologico che porta alla creazione di un nuovo
mondo abitato da una nuova umanità.
A
spiegarlo in questi termini inequivocabili nel dossier “La quarta rivoluzione
industriale”, pubblicato in italiano con la prefazione di John Elkann, è lo
stesso Klaus Schwab, padre della teoria del “great reset” e fondatore del World
Economic Forum per il quale il “great reset” punta a creare nuovi paradigmi
economici transnazionali e conseguentemente nuovi paradigmi esistenziali per
tutti gli uomini della terra partendo, appunto, dalla una “globalizzazione razziale e
di genere”, prima che produttiva e finanziaria, che elimini gli attriti e
differenze invise ai processi produttivi al costo però, una progressiva
marginalizzazione fino alla totale cancellazione delle culture etniche e
nazionali e delle identità individuali.
“L’uomo
nuovo di Schwab senza patria e la sharing economy”.
L’uomo
nuovo di Schwab non ha patria e non si riconosce in una cultura identitaria,
parla una neo-lingua derivata dall’inglese con molti meno vocaboli, funzionale
alla formulazione di concetti poco complessi, e il suo bagaglio culturale
annovera solo ed esclusivamente conoscenze derivate da una dottrina dogmatica
pseudotecnico-scientifica imposta universalmente perché non “umana” e utile
alla produzione.
L’uomo
nuovo figlio del “great reset” è perfettamente inserito in un mondo che non ha
contribuito in alcun modo a creare con il suo lavoro e la sua intelligenza: ne
è escluso, è alieno e alienato.
Secondo
Schwab e secondo quanto “progettato” nei dossier del World Economic Forum e
delle massime entità economiche e finanziarie private del pianeta, l’umanità
ridotta ad un quinto di quella attuale dovrà vivere e lavorare in un mondo
disegnato dalle potenze economiche ed industriali, non più dalle politiche
degli stati (Stakeholder Capitalism), e caratterizzato da una sempre più spinta
(se non totale) automazione della produzione in cui l’uomo non ha più nessun
ruolo.
Il
“great reset”, insomma, è un progetto ben documentato che non si nasconde
all’opinione pubblica, anzi viene divulgato dagli stessi autori e dai media
mainstream perché venga colto in tutta la sua portata eversiva, affinché tutti
si rassegnino all’inevitabile nel più breve tempo possibile e con il minor
attrito sociale, attraverso tecniche di controllo delle masse e di
condizionamento mentale tipiche della propaganda militare.
“Non
avrai nulla e sarai felice”, è questo il famoso slogan propagandistico coniato
da Ida Auken durante il Forum di Davos del 2016 dove si sintetizza il
terrificante progetto del World Economic Forum volto all’annullamento della
proprietà privata e all’adozione sempre più diffusa della sharing economy già
tra gli obiettivi dell’Agenda Mondiale 2030 per lo sviluppo sostenibile
tutt’altro che green.
E
ancora: la stessa Kristalina Georgieva, capo del Fondo Monetario
Internazionale, che nella sua pubblicazione “Dal grande lockdown alla grande
trasformazione”, esalta la militaresca applicazione del “coprifuoco”, della
limitazione delle libertà e del controllo degli spostamenti fino ad un vero e
proprio “lockdown” delle attività economiche e della vita sociale come
strumento propedeutico alla creazione della crisi che inneschi la “grande
trasformazione”.
Tutto
molto familiare.
“Le
azioni politiche eteroguidate e la rifeudalizzazione della società”
Si
tratta, in realtà, di azioni politiche (eteroguidate) tendenti ad una
prospettiva di inquietante riconfigurazione antropologica, economica,
ambientale ed esistenziale a medio termine di importanza epocale, nel senso che
il suo successo cambierà l’umanità e il suo stare nel mondo come mai accaduto
nella storia.
È in
queste idee, in queste “parole d’ordine” che si conferma quindi come lo
scenario proposto dal “great reset” vuole portare alla costituzione di un
“nuovo ordine”: lo si può intendere come una gigantesca azione coordinata su
più piani - politico, economico, sociale, sanitario, tecnologico, ambientale -
improntato sulle sempre più crescenti limitazioni della libertà individuale
destinata a rafforzare l’impero del neocapitalismo e avviare un’era nuova per
l’umanità.
In
sostanza, l’obbiettivo del “great reset” è quello di una rifeudalizzazione
della società.
È un
mondo panottico e repressivo, “transumano” (visione post-darwiniana di umanità
aumentata), “postumano” (superamento della dicotomia uomo-macchina e alla
fusione della macchina nell’uomo e all’annullamento dell’uomo biologico nella
macchina), quello immaginato dai potentati economici sovranazionali della terra
in cui per la prima volta nella sua storia dovrà essere l’uomo ad adattarsi
alle esigenze tecnologiche della produzione e non già la tecnologia e la
produzione ad adattarsi alle esigenze e al progresso dell’uomo.
È un
mondo distopico che odia l’uomo e sfida il divino, quello disegnato nei
consessi dei potentati economici e finanziari del mondo (potentati non
politici) che ha bisogno per realizzarsi per mezzo di una ininterrotta serie di
“scosse telluriche globali” che attraverso la paura demoliscano pian piano
l’idea politica di libertà nata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale,
arrivando a teorizzare e pianificare lo smantellamento della democrazia
partecipativa come descritta ne “La crisi della democrazia”, pubblicazione
della Trilateral Commission con la prefazione di Gianni Agnelli.
L’idea
di fondo è quella di uccidere la “incontrollabile democrazia” partecipativa dei
cittadini mantenendone in vita il vuoto simulacro attraverso il depotenziamento
delle nazioni, del proprio potere e della propria sovranità e tramite la
corrosione dello stato sociale, ridurre i popoli in passivi consumatori
depensanti.
Questo
progetto è perfettamente in linea con le strategie del “capitalismo delle
catastrofi” che stiamo vivendo e con i tempi lunghi di una pianificazione
basata sul “temporeggiamento”, l’“attesa” e sul nascondimento di concezioni
devastanti per umanità camuffate in idee di progresso.
Una
strategia di demolizione della scomoda e ingestibile “umanità evoluta” che, nei
momenti di crisi trova le sue opportunità per imprimere improvvise
accelerazioni.
Ecco,
quindi, come sia possibile riconoscere nella sceneggiatura pandemica del 2020
una ennesima “strategia dello shock” volta al cambiamento dell’idea stessa di
civiltà nata sulle basi dell’indiscutibile necessità di libertà e diversità
delle genti di tutto il pianeta.
È
chiaro, in fine, con il pretesto di questa pandemia da Sars-Cov-2 (si veda la
definizione di “pandemia” delle Linee Guida Internazionali dell’OMS prima del
marzo 2020), complice la propaganda mediatica del nuovo “regime” e il silenzio
codardo degli intellettuali, si sia espugnata la cittadella intoccabile dei
diritti umani e si sia fatto un passo avanti verso la realizzazione del mondo
sognato dall’élite mondialista: dividere la società in “caste” e distinguere il
potere economico e chi lo detiene dalla massa indistinta di individui sempre
più poveri, soli, senza legami, senza diritti e senza radici, viventi di “nuda
vita”.
Facili
quindi da sfruttare e controllare per un governo globale corrotto dagli
interessi di pochi sempre più postumano che, di crisi mondiale in crisi
mondiale, si sta costruendo sotto i nostri occhi pieni di strumentale ed
indotta paura.
“Non
Dimenticheremo,
non Perdoneremo”.
Conoiscenzealconfine.it
–Cav. Claudio Martinotti Doria – (2 gennaio 2023) – ci dice:
La
società italiana è divisa tra quanti hanno capito e quanti non hanno capito o
voluto capire i fenomeni sociali manipolativi in corso.
Su
questi argomenti intervenni un paio di mesi fa con un articolo specifico, di
primo approccio e come tale non sufficientemente ponderato ed esauriente, per
cui lo rielaboro riveduto e integrato.
Essendo
presente in rete dal ’96, con una decina di migliaia di contatti accumulati in
questo lungo periodo, e monitorando quotidianamente parecchie decine di siti e
canali on line, possiedo una posizione privilegiata per cogliere se ci sono
particolari comportamenti e fenomeni sociali in corso.
A tal
proposito sta circolando e consolidando in rete, in alcuni canali
dell’informazione indipendente e libera, una specie di meme/aforisma/motto che
sintetizza e catalizza l’atteggiamento di parecchie decine di migliaia di
persone che sono state vittime della discriminazione distopica e dispotica
verificatisi durante la psico-pandemia:
“NON
DIMENTICHEREMO, NON PERDONEREMO”.
Credo
che interpreti il sentimento di molti dei cosiddetti “risvegliati”, di coloro
cioè che si sono accorti di vivere immersi in un oceano di menzogne e di essere governati
da farabutti, dove la verità la devi ricercare con un impegnativo percorso individuale
di acquisizione di conoscenza e di consapevolezza.
Verità
che mai nessun media mainstream riferirà, se non abbondantemente distorta,
alterata, mistificata, irriconoscibile e strumentalizzata, finalizzata agli
scopi dell’élite dominante che domina totalmente l’informazione e applica
evidenti operazioni di guerra psicologica (PSYOPS), BASATE PREVALENTEMENTE
SULLA PROPAGANDA E LA CENSURA E LA FALSIFICAZIONE DELLA REALTA’.
Chi non se n’è reso ancora conto, oltre che
esserne vittima spesso rischia di esserne anche complice.
Personalmente
preferisco ricorrere ad altri esempi e metafore meno riduttive, per distinguere
tra “risvegliati” e addormentati o “zombie” (decerebrati), come vengono anche
definiti gli ipocondriaci mascherati e sprovveduti che ancora si abbeverano
alla tv come unica fonte di informazioni.
Preferisco
distinguere tra quanti hanno capito la situazione e coloro che non hanno capito
(di essere stati manipolati e ingannati).
Con
riferimento particolare a quanto avvenuto negli ultimi anni, dalla psico
pandemia attribuita a un virus inizialmente spacciato per “naturale” (mentre trattasi di arma biologica), alla guerra in Ucraina attribuita
come responsabilità interamente a Putin, che all’improvviso per follia
bellicista e delirio di onnipotenza ha invaso il paese confinante (mentre nella
realtà oggettiva la guerra è stata provocata dagli anglosassoni, intensamente
impegnati a tal proposito fin da prima del colpo di stato da loro organizzato
nel 2014, costituendo in Ucraina il più forte esercito europeo).
A che
scopo la NATO avrebbe dovuto dedicare otto anni a costituire il più potente
esercito europeo?
Se non
per provocare una guerra con la Russia?
Una guerra per procura, ovviamente, le cui
conseguenze ricadranno interamente sulla popolazione ucraina ed europea.
In
questo periodo durato già tre anni, abbiamo visto troppe persone dare il peggio
di sé con autocompiacimento e accanimento, sia durante la psico pandemia e sia
durante il conflitto bellico in Ucraina, fornendo un’immagine imbarazzante di
squallore umano.
Tornando
alla distinzione sopra esposta, tra quanti non hanno capito (di essere stati
ingannati, in tutti i casi sopra esposti), occorre ulteriormente distinguere,
tra coloro che, privi degli strumenti culturali per rendersene conto erano
vittime predestinate dell’inganno, e coloro che gli strumenti interpretativi li
avevano per poter capire ma hanno preferito scegliere la strada più comoda, la
più facile, far finta di nulla, non sapere e non capire e fidarsi della scelta
compiuta dalla massa, dai genitori, dai parenti, dagli amici, per omologarsi,
conformarsi, far parte del gregge, in taluni casi, divenendo pure complici del sistema
di menzogne, contribuendo a diffonderle senza una seppur minima argomentazione
a supporto, accanendosi contro i dissidenti e dissenzienti, per consolidare le proprie scelte e
dissolvere eventuali scomodi dubbi.
Se ai
primi si possono attribuire delle attenuanti, ai secondi spettano solo
aggravanti, hanno cioè maggiori responsabilità, la loro scelta è stata ipocrita
e dolosa, perché avevano la possibilità di capire e prendere una posizione
contraria e critica ma hanno preferito uniformarsi, rinunciando alla loro
libertà e autonomia di giudizio, offendendo la loro intelligenza e quella degli
altri, divenendo
spesso carnefici al servizio del sistema autoritario e oppressivo, contribuendo
al delirio collettivo.
Hanno
sentenziato contro i dissidenti detestandoli, senza argomentare ma solo per
partito preso, ripetendo pedissequamente quanto avevano appreso (si fa per
dire) dai mezzi di comunicazione di massa.
Con
questi ultimi non potrà esservi alcuna riappacificazione, hanno fatto una
scelta scellerata ed è giusto che ne subiscano le conseguenze, che purtroppo
per loro saranno anche di carattere sanitario, a causa degli effetti
collaterali ormai evidenti e diffusissimi provocati dai sieri genici
sperimentali che Big Pharma con spietato cinismo ha voluto sperimentare,
utilizzando la popolazione come cavia.
Paradossalmente
molti tra costoro sono “istruiti”, plurilaureati, ma in tal caso i loro titoli
di studio non contano niente, della serie “è intelligente ma non si applica”, perché l’intelligenza se non è
applicata con acume quando occorre, cioè quando le circostanze lo richiedono,
diventa solo un orpello, una veste estetica di scarsa valenza intellettuale ed
esistenziale, che serve solo ad appagare il proprio Ego e quello del proprio
ristretto entourage.
La
valutazione di cui sopra si applica anche a coloro che per partito preso
filo-atlantista hanno condannato la Russia come paese aggressore, senza aver
raccolto alcuna informazione obiettiva e documentazione storiografica, fino
alle estreme conseguenze indegne di un paese civile, condannando e
perseguitando i russi a prescindere.
In tal modo si sono atteggiati a guerrafondai,
divenendo complici di quanti avevano architettato da parecchi anni questa
trappola propagandistica per raccogliere consenso presso l’opinione pubblica,
manipolandola.
Questa
lacerazione che si è creata nella società civile italiana non credo possa essere
sanata facilmente, certamente non in tempi brevi e neppure medi, anche a causa
dell’aggravamento della situazione economica (anche questa indotta
artificialmente e conseguenza soprattutto della scelta belligerante contro la
Russia, programmata da parecchio tempo) che avrà gravissime ripercussioni
anche sul piano sociale, accentuando ancor più il “divide et impera”, adottato
da sempre dal sistema di potere per soggiogare le masse.
Le
strade tra questi due gruppi sociali si sono separate nettamente e non so
quando s’incroceranno nuovamente.
Vedremo
dove queste strade porteranno, del resto banalmente è risaputo che “l’albero si
riconosce dai frutti”, ma non facendomi alcuna illusione, sono convinto che
alcuni non sapranno e non vorranno riconoscerli neppure di fronte all’evidenza,
negheranno
fino alla fine di aver sbagliato e di essere stati ignavi e pusillanimi,
superficiali e vili, utili idioti e servi sciocchi, cavie e kapò.
La
responsabilità è sempre individuale, così come l’evoluzione, è una legge naturale
e universale, vale a livello materiale che spirituale, non ci si può difendere
ricorrendo all’abusato “così fan tutti”, oppure “obbedivo agli ordini ricevuti”
o ancora “ho aderito al pensiero comune”, giustificandosi dietro l’alibi della
paura e dell’adesione al gruppo di riferimento.
Tutti
abbiamo avuto paura, ma non tutti si sono comportati allo stesso modo, non
tutti hanno abiurato i propri valori e rinunciato alla propria libertà e
autonomia di giudizio, avvilendo o rinnegando la propria umanità e sensibilità.
Sarebbe
un grossolano errore indulgere nel perdono nei confronti di queste persone
disinformate e ignoranti, arroganti e aggressive, che hanno dato il peggio di
sé aggravando enormemente la situazione, senza un minimo di autocritica e
ammissione di colpa, con la pervicace convinzione di essere dalla parte della
ragione e in pieno diritto di disprezzare e penalizzare chi non la pensasse
come loro.
Non
meritano compassione ed è giusto che si assumano le loro responsabilità e
subiscano le ripercussioni delle loro scelte.
Non
siamo tutti uguali, niente affatto, ed è proprio nei momenti di difficoltà che
emerge quanto siamo diversi uno dall’altro:
pur
avendo tutti paura alcuni si comportano con coraggio e dignità e molti altri
con viltà e servilismo, col sostegno della moltitudine, forti coi deboli e
deboli coi forti.
Se
avessero ancora un barlume di coscienza, forse potrebbero vergognarsi e
redimersi, forse.
Ma non
lo credo, non mi faccio illusioni.
I precedenti storici inerenti alcune
caratteristiche della popolazione italiana, hanno sempre confermato quanto essa
sia poco affidabile e seria nelle circostanze che richiederebbero dignità e
fierezza, e soprattutto coerenza.
Ricordiamoci
che alla fine della II Guerra Mondiale i Partigiani, quelli che hanno
combattuto veramente nella Resistenza ed erano poche decine di migliaia,
divennero improvvisamente milioni, e non vi erano più fascisti;
tranne
rare eccezioni i fascisti si erano volatilizzati, dissolti nel vento, come non
fossero mai esistiti.
È un
vizio tipico delle genti italiche il trasformismo e il vizio di proiettare
sempre all’esterno di sé le proprie responsabilità;
la
colpa è sempre degli altri o delle circostanze, autoassolvendosi e poi
rinnegando la propria partecipazione alle angherie e vessazioni fatte patire
alle vittime mentre si comportavano da “caporali” alla Totò (siamo uomini o
caporali?).
Questo
puerile, immaturo e vile atteggiamento finalizzato a sottrarsi alle proprie
responsabilità e ripercussioni non funzionerà, e se ne renderanno conto loro
malgrado.
Cav.
Dottor Claudio Martinotti Doria (cavalieredimonferrato.it)
WEF,
vincono solo le big tech:
così
si alimenta la guerra perpetua.
Agendadigitale.eu
- Lelio Demichelis – (27 Mag. 2022) – ci dice:
(Docente
di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi
dell’Insubria)
Cultura
E Società Digitali
Le big
tech hanno quasi raddoppiato gli utili tra il 2019-2021; la spesa militare
mondiale è raddoppiata dal 2000 al 2021.
Per i
super ricchi, la pandemia è stata uno “dei periodi migliori della storia”, il
tutto mentre la guerra tecno-capitalista è diventata globale e normale. Un po’
di dati di contesto al WEF di Davos.
Al
World economic forum (Wef) di Davos – uno dei maggiori luoghi di culto di
quella che abbiamo chiamato religione tecno-capitalista – grande è stata
ovviamente la preoccupazione per gli effetti della guerra in Ucraina.
Il
Chief Economist Outlook del Wef pubblicato lo scorso 23 maggio attende per il
2022 una minore attività economica, un’inflazione più elevata, salari reali più
bassi e una maggiore insicurezza alimentare (leggasi, rischio di carestia
globale).
Davos
World Economic Forum 2022: “Global summit to discuss economy, climate change.”
“Siamo
al culmine di un circolo vizioso che potrebbe avere un impatto sulle società
per anni.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno
frammentato l’economia globale e creato conseguenze di vasta portata che
rischiano di spazzare via i guadagni degli ultimi trent’anni” – secondo Saadia
Zahidi dello stesso Wef.
“I leader devono affrontare scelte difficili e
compromessi a livello nazionale quando si tratta di debito, inflazione e
investimenti.
Tuttavia,
i leader aziendali e governativi devono anche riconoscere l’assoluta necessità
della cooperazione globale per prevenire la miseria economica e la fame di
milioni di persone in tutto il mondo”.
I
guadagni degli ultimi trent’anni?
Chissà
a cosa si riferiva Saadia Zahidi quando parlava dei guadagni degli ultimi
trent’anni…
Che
sono stati anni in realtà di costruzione dell’egemonia della disuguagliante
ideologia neoliberale (le disuguaglianze sono infatti cresciute e sono state
una deliberata scelta politica, appunto neoliberale, come sosteneva il Nobel
per l’Economia Joseph Stiglitz);
di nuove tecnologie che avrebbero dovuto
essere liberanti dalla fatica e dalla miseria donandoci più tempo libero e una
vita migliore, in realtà sono sempre più totalizzanti (tutti connessi, tutti
integrati nella rete gestita massimamente da imprese private) e anch’esse
disuguaglianti – oltre che a crescente sfruttamento del lavoro e di crescente
estrazione di plusvalore dalla vita intera dell’uomo, dall’Industria
4.0/taylorismo digitale al caporalato digitale delle piattaforme al capitalismo
della sorveglianza secondo Shoshana Zuboff;
anni,
ancora e soprattutto, di una crisi climatica e ambientale che sta provocando
disastri non solo ambientali ma anche sociali e che è effetto diretto e
conseguente della rivoluzione industriale capitalistica.
In
realtà era del tutto prevedibile – conseguenziale – che quelle politiche
neoliberali e quelle nuove tecnologie avrebbero prodotto il caos sistemico e la
disruption compulsiva di oggi.
In cui
e grazie al quale tuttavia il tecno-capitalismo si muove felicemente (avendolo
appunto prodotto), con la correità degli Stati, e insieme ad essi costituendo
il complesso statale-industriale-finanziario che governa il mondo.
E
infatti non è vero che la globalizzazione è morta o che la guerra ha
frammentato l’economia mondiale, perché essa rinasce – è nella sua essenza
accrescersi incessantemente nella ricerca spasmodica e compulsiva di sempre
nuovi profitti privati – e si trasforma sulla base del rafforzamento di vecchi
e nuovi imperialismi, orientali e occidentali, in una pericolosissima voglia di
guerra che si diffonde tra le cosiddette grandi potenze.
Le
disuguaglianze secondo Oxfam.
A
ricordarci per fortuna cosa è accaduto realmente negli ultimi tre decenni – e a
chi sono andati i guadagni – ci ha pensato come sempre Oxfam.
Secondo
l’ultimo Rapporto, le ricchezze dei miliardari del mondo – gli oligarchi del
tecno-capitalismo, come dovremmo definirli, perché questo sono – sono cresciute
più in due anni di Covid-19 che nei 23 anni precedenti.
Con
una immagine ad effetto, Oxfam ricorda che, di fatto, negli ultimi 2 anni i
miliardari che controllano le grandi imprese nei settori tecnologico,
alimentare e energetico hanno visto aumentare le proprie fortune al ritmo di 1
miliardo ogni 2 giorni, mentre 1 milione di persone ogni 33 ore rischia di sprofondare
in povertà estrema nel 2022.
Di
più: nel 2000 i miliardari possedevano/controllavano il 4,4% del Pil globale,
ora il loro possesso/controllo è salito al 13,9%.
Ma
controllare/possedere tali quote del Pil mondiale significa in realtà
controllare/possedere la vita delle persone.
La
ricchezza di Elon Musk (Un pupillo di Klaus Schwab! Ndr.)
E
ancora: dal 2019 la ricchezza di Elon Musk – quello che per alcuni
(neoliberali) è un imprenditorie visionario, un paladino della libertà di
espressione (volendo comprare Twitter, ma forse ci sta ripensando) e un
libertario (e poco importa che dichiari di voler votare per i repubblicani
integralisti e antiabortisti) è cresciuta del 699%.
Di
più, secondo Oxfam – confermando la tesi di Stiglitz richiamata sopra – nel
Club dei miliardari del mondo sono contemplati quasi 2.700 soci (ma le stime
non sono univoche e i dati potrebbero essere sbagliati per difetto), aumentati
del 27,3% (in cifra: + 573) dall’arrivo della pandemia.
Sempre nei due anni di Covid-19, la crescita
dei prezzi di energia e beni di prima necessità, ha invece fatto aumentare i
poveri di oltre 260 milioni di individui.
La
pandemia miglior periodo di sempre per le big tech.
Questo
mentre il settore delle nuove tecnologie – Apple, Microsoft, Tesla, Amazon e
Alphabet – ha quasi raddoppiato gli utili tra il 2019 e il 2021, per un totale
di 271 miliardi di dollari.
Amazon
li ha addirittura triplicati.
Ovvero,
per i super ricchi, la pandemia è stata uno “dei periodi migliori della
storia”, come sintetizza il Rapporto dell’Oxfam.
Più
che di guadagni secondo il Wef, si tratta dunque in realtà di una perdita secca
e drammatica per tutto il sistema sociale globale.
Ma
nessuno grida allo scandalo, tanto siamo integrati nel sistema che produce
queste disuguaglianze e la crisi climatica;
tanto
siamo stati tutti convinti (dall’ideologia neoliberale e da quella delle nuove
tecnologie), che non ci sono alternative e che nostro compito/dovere di bravi
sudditi (come produttori e consumatori e come generatori di dati) è solo e
unicamente quello di adattarci alle esigenze della rivoluzione industriale e
del capitale, come sintetizzava già nel 1938 uno degli ideologi del
neoliberalismo oggi appunto diventato egemone, cioè l’americano Walter
Lippmann.
E
questo sono stati appunto gli ultimi trent’anni di neoliberalismo:
la costruzione paziente ma progressiva del
nostro adattamento (senza più avanzare pretese di cambiamento, senza più
conflitti sociali, dimenticando concetti come equità e giustizia sociale – e
oggi anche ambientale – e quello di Progresso) alle esigenze della rivoluzione
industriale (della quarta, ma che in realtà è uguale alla prima, a parte il digitale
che sembra innovativo, ma non ne cambia l’essenza).
Un
adattamento dell’uomo e della società alle esigenze delle imprese generato
(anche o soprattutto con la complicità delle socialdemocrazie, totalmente
cieche davanti al capitalismo e alla tecnica come razionalità
strumentale/calcolante-industriale) attraverso l’imposizione dei processi di
flessibilizzazione e precarizzazione dei mercati del lavoro e di
liberalizzazione dei movimenti di capitale, della libertà di delocalizzazione
delle imprese arrivando alle piattaforme digitali (la nuova forma della
fabbrica) e alla perdita della privacy (necessaria alla costruzione del Big
Data) arrivando al green-washing e all’illusorio resettaggio del capitalismo
(promosso sempre dal Wef).
Il
tecno-capitalismo è così diventato – molto più del vecchio capitalismo – una
forma di vita totalmente omologata e – come direbbe Herbert Marcuse – ancor più
unidimensionale, nei modi di vivere e di pensare e non solo di lavorare e
consumare.
Realizzandosi
la piena colonizzazione antropologica dell’uomo (concetto che riprendiamo da
filosofi e sociologi come Habermas, Gorz e Bodei) da parte del capitale e della
tecnica.
Il
complesso militare-industriale.
Non
solo. Mentre viene di fatto combattuta da anni – come ha scritto Papa Bergoglio
– una terza guerra mondiale a pezzi, con crimini, massacri e distruzioni per lo
più invisibili, la spesa militare mondiale è raddoppiata dal 2000 al 2021
arrivando a 2.113 miliardi di dollari secondo il Sipri, poi cresciuta ancora
dopo la crisi ucraina.
È il
potere specifico del complesso militare-industriale – e ricordiamo che il
termine venne usato per la prima volta dal Presidente americano Eisenhower per
allertare il popolo americano sul pericolo implicito negli accordi segreti fra
potere politico, industria bellica e militare del paese – cui oggi si è
potentemente aggiunto il potere tecnologico e finanziario.
E
poiché il mercato punta alla massimizzazione del profitto (di potenza degli
Stati, ma anche e sempre più delle stesse imprese del complesso
militare-industriale e di quello statale-industriale-finanziario), è ovvio che
più guerre ci sono – meglio se nascoste o a bassa intensità mediatica (pensiamo
a quelle, oggi, per il controllo delle materie prime legate al digitale) ma
quando serve anche ad alta intensità mediatica, come per l’Ucraina – maggiore è
ovviamente il profitto privato per il capitale e la potenza degli Stati.
Perché
anche le armi, sempre più spinte dall’evoluzione (sic!) tecnologica, come ogni
altra merce vengono prodotte per essere consumate, cioè usate in qualche
guerra; e non usarle – e non farne crescere il business – per il sistema e per
le imprese belliche è un riprovevole tempo morto che deve essere – secondo la
razionalità strumentale/calcolante del sistema – possibilmente ridotto a zero,
la pace essendo di fatto un intralcio e una limitazione da rimuovere.
E di
nuovo, questi vent’anni sono stati per il sistema tecno-capitalista “uno dei
periodi migliori della sua storia”.
A
questo possiamo aggiungere chi specula – sempre il capitale/capitalismo – anche
sulla fame.
Anche
qui, qualche dato, per aggiungere altre tessere al puzzle.
Alla
più grande borsa dei cereali in Europa, quella di Parigi, nel 2018 circa un
quarto dei contratti alimentari che venivano stipulati erano di natura
speculativa, mentre oggi sono i tre quarti.
Cioè
il capitale gioca sui futures, e a farlo sono soprattutto gli investitori
istituzionali come i fondi pensione.
Ovvero, come ha sostenuto Olivier De Schutter,
relatore speciale dell’Onu sulla povertà estrema e i diritti umani, i fondi
“scommettono sulla fame e peggiorano la situazione”.
Ci
sarebbe da inorridire, se fossimo persone dotate di etica e di senso della
giustizia, e invece il sistema prosegue indisturbato a massimizzare i propri
profitti e quelli degli investitori.
E
infatti quando, come nel 2007 – ricordano Margot Gibbs, Thin Lei Win e Sipho
Kings – “si verificò un’altra crisi dei prezzi alimentari, le autorità di
controllo in Europa e negli Usa entrarono in azione.
Ma il
settore rispose con una intensa attività di lobby e azioni legali.
Normative
che già prima non incidevano molto sono state modificate nel 2020 per essere
ancora meno efficaci.
Di
conseguenza, il cibo costa di più e ci sono pochi modi per impedirlo.
Nel
frattempo, pochi fanno profitti mentre molte persone soffrono la fame”.
Questo
mentre oggi le riserve globali di cereali sarebbero superiori di un terzo
rispetto a quanto necessario per nutrire tutti.
Conclusioni.
Immanuel
Kant, molto tempo fa (1795) ci invitava a costruire la pace perpetua.
Noi
stiamo invece continuando a costruire ogni giorno la guerra perpetua.
Guerra
militare contro i popoli del mondo (e oggi anche – e di nuovo – tra popoli
europei) e guerra tecno-capitalistica – cos’è la concorrenza economica e
tecnologica, cos’è la finanza, cosa sono le multinazionali se non una guerra
civile individuale e industriale diventata globale e normale? – contro l’uomo e
la biosfera.
È
tempo forse di riprendere Kant e di provare a immaginare una pace perpetua con
noi stessi, con gli altri e soprattutto con la biosfera e le future generazioni.
Sulle
élite contemporanee.
Gognablog.sherpa-gate.com - Marino Badiale – (2
Febbraio 2021) – ci dice:
(pubblicato
su badiale-tringali.it)
I. La
revoca del mandato celeste.
Nelle
analisi della situazione sociale e politica attuale nei paesi avanzati, è ormai
un dato acquisito l’esistenza di una particolare frattura sociale e culturale.
Abbiamo
da una parte un ceto, relativamente ristretto, di persone adattate alla nuova
natura transnazionale del capitalismo contemporaneo:
persone
dotate di conoscenze e capacità (in primo luogo la conoscenza della lingua
inglese, ma ovviamente non solo questo) che le rendono in grado di approfittare
di occasioni di lavoro sparse in tutto il globo, prive di remore a spostarsi
per approfittarne, impiegate in lavori a forte componente intellettuale e
specialistica, capaci di tessere relazioni proficue con le persone più diverse,
ma in sostanza appartenenti allo stesso milieu.
Si
tratta del ristretto ceto di coloro che si sono pienamente inseriti nei
meccanismi del capitalismo globalizzato e sono in grado di approfittare delle
possibilità che la sua dinamica crea.
All’interno
di questo ceto spiccano ovviamente i detentori del potere, quelli che si ritrovano
a Davos e in simili occasioni;
ma il
ceto di cui stiamo parlando, pur ristretto, non è composto esclusivamente da
uomini e donne di potere, ma da persone che condividono lo stile di vita e la
visione del mondo degli attuali ceti dominanti.
Per chiarezza terminologica, parleremo di
“élite dominanti” intendendo la ristretta cerchia di chi detiene un potere
effettivo (per ripeterci: quelli che si incontrano a Davos), mentre useremo
l’espressione “ceti medi elitari” o “ceti medi globalizzati” intendendo quello
strato sociale che abbiamo descritto nelle prime righe, minoritario ma più
ampio rispetto ai “signori di Davos”.
Parleremo
infine di “élite contemporanee” intendendo l’insieme di questi due gruppi.
Alle
élite contemporanee si contrappone la parte largamente maggioritaria della
popolazione, che ha visto in questi decenni il peggioramento delle proprie
condizioni di lavoro e di vita e la perdita dei diritti conquistati nella fase
“keynesiano-socialdemocratica” del capitalismo del secondo dopoguerra.
Si tratta di ceti legati a una dimensione di
vita locale o al più nazionale, impegnati in lavori di scarsa qualificazione,
non molto dotati delle competenze (linguistiche e culturali in generale) per
muoversi nella “società globale”.
È noto
che questa frattura sociale si esprime anche come frattura culturale e
politica.
I ceti
del primo tipo sono in primo luogo sostenitori convinti dei processi di
globalizzazione:
possono
magari ammettere che essa presenta anche dei problemi, ma tali problemi devono
comunque essere superati mantenendone la sostanza;
in
secondo luogo aderiscono in genere alle ideologie mainstream in campo economico
(sono cioè in sostanza liberisti, magari con sfumature diverse);
in terzo luogo condividono in gran parte i
dettami del “politicamente corretto”;
infine,
sul piano delle scelte politico-elettorali, esprimono in genere preferenze per
la cosiddetta “sinistra moderata”, ma possono dare appoggio anche a personaggi
almeno apparentemente nuovi come Matteo Renzi in Italia ed Emmanuel Macron in
Francia.
I ceti
del secondo tipo esprimono invece, in modo spesso confuso ma con forza
crescente, un rifiuto di molti aspetti di ciò che chiamiamo “globalizzazione”,
e questo rifiuto si esprime politicamente nell’appoggio a movimenti, partiti e
leader ascrivibili alla destra, una destra che spesso viene qualificata come
“populista” o “sovranista” per esprimere in qualche modo gli aspetti di novità
che la contraddistinguono rispetto alla destra liberale classica.
Se
questa è la situazione, è chiaro che essa può portare a dinamiche piuttosto
pericolose, a scontri distruttivi e laceranti del tessuto sociale, fino a
mettere in questione la stessa democrazia.
Ci si aspetterebbe quindi una discussione
franca e spassionata per capire come evitare tali esiti.
E ovviamente le attuali élite, che hanno in
media una formazione intellettuale di più alto livello rispetto ai ceti
subalterni, dovrebbero dimostrare la propria superiore capacità intellettuale
proprio in questo tipo di riflessione.
Purtroppo
si deve constatare che la reazione delle élite di fronte a questa situazione è
spesso piuttosto infantile:
le
masse “populiste” vengono stigmatizzate come ignoranti, rozze, mentalmente
limitate (e quindi intolleranti e razziste), fascistoidi.
Ora,
questi aspetti possono certamente essere una componente del “grande rifiuto”,
da parte di fasce sempre maggiori della popolazione, verso l’attuale
organizzazione sociale, ma non è questo il punto.
Il punto è che una élite è tale se riesce ad
avere capacità egemonica, cioè se riesce a collegare a sé la gran massa della
popolazione subalterna offrendo un compromesso per il quale le masse accettano
la propria subalternità ricevendo in cambio la possibilità di vivere una vita
decente, protetta per quanto possibile dagli alti e bassi delle vicende
storiche.
La fase del capitalismo
“keynesiano-socialdemocratico” è stata appunto una fase di egemonia di questo
tipo:
non c’era ovviamente nessuna rivoluzione nei
rapporti di dominio, ma i ceti dominanti in quella fase hanno saputo costruire
assieme ai ceti subalterni un compromesso soddisfacente, legando in maniera
fortissima le masse a quella organizzazione sociale:
è
l’enorme capacità egemonica di quello che giustamente è stato chiamato
“l’impero irresistibile” a costituire la base ultima dell’89, della vittoria
finale del capitalismo sul suo antagonista storico.
Il
capitalismo occidentale aveva conquistato le masse, il socialismo orientale
aveva prodotto una massiccia reazione di rigetto.
Se
questo è chiaro, dovrebbe anche apparire chiaro come la reazione attuale delle
élite alla disaffezione delle masse sia del tutto infantile:
quello
che è successo in questi decenni è la fine del compromesso
“keynesiano-socialdemocratico”, e questa fine ovviamene implica anche la fine
dell’egemonia basata su tale compromesso.
Ma allora, invece di lanciare alle masse
epiteti ingiuriosi, una élite degna di questo nome deve ricostruire una
egemonia, e cioè proporre un nuovo patto sociale, un nuovo grande compromesso
fra dominanti e dominati.
Ma di
questo non si vede oggi la minima traccia.
L’attuale
situazione fa allora pensare che ci troviamo in un caso standard di “revoca del
mandato celeste”.
Si tratta, come è noto, di una espressione
ripresa dalla tradizione culturale cinese.
In
tale tradizione, il sovrano è tale perché ha ricevuto dal Cielo il mandato di
ben governare la società, mantenendola in armonia con i grandi cicli del cosmo.
Il sovrano è legittimo finché riesce in questo
compito.
Quando
emergono, nella società o nella natura (realtà non drasticamente opposte, in
quella tradizione culturale), evidenti segnali di disarmonia, di contrasti, di
rottura degli equilibri cosmici, il sovrano è delegittimato e la rivolta è
legittima.
Si tratta di una impostazione culturale che
non resta mera teoria ma si concretizza nelle tante rivolte che costellano la
storia di quel grande paese, arrivando talvolta ad abbattere dinastie e a
fondarne di nuove.
Se
sfrondiamo questa narrazione dagli aspetti culturali tipici del mondo cinese,
affascinanti ma lontani dalla nostra mentalità, quello che resta è l’idea che
il sovrano, il ceto dominante, deve mantenere una armonia fra i vari gruppi
sociali, e se questa manca viene meno la legittimità del potere.
Tale armonia non può che basarsi su un
compromesso nel quale i ceti dominati ottengono la possibilità di vivere una
vita decente, secondo i parametri di quel dato momento storico e quella
particolare cultura.
Nel
mondo premoderno una vita decente era in sostanza una vita che mantenesse le
stesse possibilità e disponibilità stabilite dalla tradizione.
Nel
mondo moderno, il mondo che ha inventato la nozione di “progresso”, nel
concetto di “vita decente” vi è non solo la possibilità di accedere a un
determinato livello di consumi, ma anche l’idea di un progressivo miglioramento,
l’idea cioè che nel corso della vita di ciascuno il livello di vita si alzerà e
i figli godranno di una vita migliore rispetto ai genitori.
È
evidente allora che il “trentennio dorato” 1945-1975 rappresenta appunto, come
si diceva, un esempio di compromesso nel quale i ceti dominanti riuscivano a
garantire una vita decente ai dominati, e ne ricavavano consenso ed egemonia.
È altrettanto chiaro, e spiegato nei dettagli
in una letteratura ormai imponente, che i decenni seguiti agli anni Settanta
hanno rappresentato la revoca di quel compromesso:
distruzione
dei ceti medi, impoverimento dei ceti inferiori, aumento spettacolare delle
disuguaglianze, fine dell’idea che i figli vivranno meglio dei genitori.
I ceti dominanti hanno denunciato, nei fatti,
il compromesso precedente, senza sostituirvi nessun progetto sociale che abbia
le stesse capacità egemoniche.
Hanno
in sostanza tolto senza dare nulla e senza preoccuparsi della caduta verticale
del consenso e della coesione sociale.
E rispondono alla crescente rabbia sociale con
disprezzo moralistico verso i ceti subalterni.
Si tratta insomma di uno strato dominante che
ha perso ogni capacità egemonica, e che sarà abbattuto se non riesce a
riconquistarla, impostando un nuovo grande compromesso sociale.
Il
primo esempio storico che viene alla memoria è, ovviamente, la Rivoluzione
Francese:
nel 1789 in Francia è stato necessario
abbattere il potere dei ceti aristocratici per costruire una nuova società;
ma
anche nella storia cinese è stato più volte necessario che le rivolte contadine
contribuissero ad abbattere dinastie per lasciare spazio a nuovi gruppi
dominanti.
E non
ha ovviamente nessuna importanza che i ceti da abbattere siano quasi sempre più
colti e raffinati dei rivoltosi che li abbattono:
non c’è
dubbio che un aristocratico francese di fine Settecento fosse capace di una
conversazione più colta e civile del sanculotto che lo accompagnava alla
ghigliottina, non c’è dubbio che il mandarino al servizio dell’imperatore
caduto avesse molte più cose da insegnarci rispetto al contadino in rivolta:
tutto questo non ha nessuna importanza, se si
è capito il senso di quanto finora detto.
(Protesta
di massa a Hong Kong)
Chi
sicuramente capiva queste cose era Antonio Gramsci, che in una lettera alla
cognata scriveva:
“La
posizione del Croce verso il materialismo storico mi pare simile a quella degli
uomini del Rinascimento verso la Riforma luterana:
“dove entra Lutero, sparisce la civiltà”,
diceva Erasmo, eppure gli storici e lo stesso Croce riconoscono oggi che Lutero
e la Riforma sono stati l’inizio di tutta la filosofia e la civiltà moderna
(…).
L’uomo
del Rinascimento non comprendeva che un grande movimento di rinnovazione morale
e intellettuale, in quanto si incarnava nelle vaste masse popolari, come avvenne
per il Luteranesimo, assumesse immediatamente forme rozze e anche superstiziose
e che ciò era inevitabile per il fatto stesso che il popolo tedesco, e non una
piccola aristocrazia di grandi intellettuali, era il protagonista e il
portabandiera della Riforma”.
Come si vede, Gramsci coglie qui con
precisione il nesso fra la “rozzezza” di alcuni aspetti del movimento della
Riforma e la sua importanza storica: non che la rozzezza in sé sia un valore,
beninteso, ma essa è un aspetto inevitabile di un grande movimento storico che,
coinvolgendo le “vaste masse popolari”, appunto per questo nello stesso tempo
esprime capacità di “rinnovazione morale e intellettuale” e “forme rozze”
(almeno nell’immediato).
Il
fatto che questo tipo di comprensione delle realtà storiche sia molto lontana,
per quanto possiamo giudicare, dalle analisi prodotte, rispetto ai fenomeni di
cui stiamo trattando, dalle élite contemporanee, dimostra una volta di più la
loro incapacità di ricostruire un compromesso egemonico.
Il
mandato celeste è stato revocato, ribellarsi è giusto.
(Yves
Cochet)
II. Un
orrore inaudito.
Quanto
abbiamo fin qui detto delinea in fondo una storia piuttosto banale:
un
tipo di compromesso sociale, che ha funzionato per un periodo, entra in crisi,
le élite non sanno inventarsi un diverso tipo di compromesso e si limitano ad
approfittare della propria posizione di potere per accumulare benefici
ostentando disprezzo per i ceti subalterni i quali, privati a poco a poco di
quanto ottenuto in precedenza e in mancanza di prospettive di un nuovo
compromesso, iniziano lentamente a contestare le élite.
Proprio
l’incapacità delle élite di inventare un nuovo compromesso, e il loro
rifugiarsi nel disprezzo di classe, mostrano con evidenza che esse non hanno
più le capacità egemoniche necessarie al loro ruolo, e fanno quindi prevedere
che esse saranno abbattute e sostituite con nuove élite.
Tutto
questo, lo ripeto, è fondamentalmente banale, uno schema già visto tante volte.
Ma la situazione attuale non si limita a
questo momento di “ripetizione”, ma presenta aspetti nuovi che ci spingono a
delineare prospettive molto più drammatiche di una semplice rivoluzione, per
quanto cruenta.
La novità che sta emergendo con tutta evidenza
nei giorni attuali è il disastro ecologico al quale ci sta portando
l’organizzazione sociale attuale, cioè il capitalismo esteso ormai a tutto il
globo.
Siamo
di fronte alla prospettiva del crollo catastrofico dell’attuale civiltà.
Nel
giudizio da dare sulle attuali élite globalizzate è allora da qui che bisogna
partire:
dal
fatto che l’attuale organizzazione di economia e società ci sta portando verso
un disastro di proporzioni mai viste nella storia umana.
Le
élite del capitalismo globale hanno pesantissime responsabilità in questa
situazione.
Limitiamoci
qui al problema del cambiamento climatico, che è solo uno dei tanti nodi che
verranno al pettine nei prossimi decenni.
Il bel libro di Nathaniel Rich documenta come
gli aspetti essenziali del problema fossero già chiari alla fine degli anni
Settanta, e come vi sia stato, lungo gli anni Ottanta, un serio tentativo, che
ha coinvolto le massime cariche istituzionali negli USA, di arrivare a un
trattato internazionale per limitare e bloccare le emissioni di diossido di
carbonio.
Questi
tentativi non portarono però a nulla, e oggi possiamo dire che da questo punto
di vista l’umanità ha sprecato quattro decenni che sarebbero stati cruciali per
evitare il disastro oggi incipiente.
Rich
non fornisce spiegazioni per questo fallimento, ma a questo provvede, con la
sua consueta chiarezza, Naomi Klein, che argomenta ciò che dovrebbe essere
ovvio:
la vittoria mondiale del capitalismo
neoliberista globalizzato non poteva che portare al fallimento di quei
tentativi, perché un sistema economico basato sulla concorrenza spietata nella
ricerca del profitto, concorrenza estesa all’intero pianeta, non può tollerare
nessun vincolo, nessuna limitazione;
mentre
ovviamente un qualsiasi tipo di trattato sulla limitazione delle emissioni, se
venisse davvero applicato, rappresenterebbe un vincolo all’espansione
illimitata del capitale nella sua ricerca spasmodica del profitto.
(Ma è molto strano
che i globalisti non sappiano ciò che la” scienza climatica” ha decretato:
la “CO2” costituisce
la condizione indispensabile per la vita delle piante sulla terra! Ndr.)
(Nathaniel
Rich)
Il
punto è che le élite globali di cui stiamo parlando rappresentano proprio il
ceto dominante e la principale base sociale di questo capitalismo, e sono
quindi, tutti assieme, fondamentalmente responsabili del fatto che negli ultimi
quarant’anni non si è agito per evitare di “perdere la Terra”, per evitare il
baratro nel quale il modo di produzione capitalistico sta precipitando
l’umanità intera.
Si
potrebbe obiettare che tutto questo riguarda il passato, che oggi finalmente
esiste un consenso, anche fra i ceti dominanti, sulla necessità di risolvere il
drammatico problema del riscaldamento globale.
Sembra
in effetti che negli ultimi anni si sia prodotto un cambiamento di questo tipo,
che davvero una parte almeno dei ceti dominanti si sia convinta del fatto che
la catastrofe annunciata da tempo sta arrivando, e che essa mette in questione
anche il loro potere, i loro redditi, e forse persino le loro vite, assieme
naturalmente a quelle di masse sterminate di altri esseri umani.
Il
punto fondamentale è però che le élite non intendono rimettere in discussione
il modo di produzione capitalistico, e quindi le misure che forse riusciranno a
prendere per combattere il cambiamento climatico non potranno essere decisive,
anche se, eventualmente, riusciranno a rinviare per qualche tempo, magari per
qualche decennio, il crollo dell’attuale civiltà.
Facciamo
solo un esempio:
Greta
Thunberg si è recata all’ONU, a New York, viaggiando su una barca a vela.
Questa
scelta non ha solo un carattere simbolico.
Il suo significato è che davvero, se vogliamo
salvarci, dobbiamo rinunciare ai viaggi in aereo e all’uso di navi a motore.
Ma è
pensabile l’attuale organizzazione economica, l’attuale capitalismo
globalizzato, senza la fitta rete di scambi commerciali che utilizzano
massicciamente motori spinti dall’energia dei combustibili fossili?
Ovviamente
no, e l’unica possibilità è allora lo smantellamento dell’attuale capitalismo
globalizzato e la ricostruzione di forme di economia molto più localizzate, con
una rete di scambi ridotta per volume ed estensione.
La domanda è ovvia: le attuali élite
globalizzate progettano seriamente qualcosa del genere?
Prospettano
in qualche modo la necessità di ridurre gli scambi commerciali globali?
Ovviamente
no, e questo esempio mostra come l’attuale conversione dei ceti dominanti (o
almeno di una loro parte significativa) alle tematiche del “climate change” non
sia tale da cambiare la direzione catastrofica nella quale l’attuale società si
sta muovendo.
(Si continua a non capire che la lotta alla
distruzione ambientale non ha nulla a che fare con la necessaria ed indispensabile
produzione di CO2 nell’atmosfera. La CO2 permette la vita delle piante sulla
terra! Ndr.)
È allora
questa la novità storica con la quale dobbiamo confrontarci, nel giudizio sulle
élite contemporanee:
per la prima volta nella sua storia l’umanità
si trova di fronte alla possibilità concreta del crollo dell’intera società
umana mondiale.
Si
tratta di un evento che è difficile anche solo da pensare, e che, se dovesse
realizzarsi, porterebbe sofferenze e orrori quali mai si sono visti nella
storia umana.
Yves Crochet
ritiene che il crollo sia molto vicino e che si possa ipotizzare la scomparsa
di metà dell’attuale umanità, cioè la morte di tre o quattro miliardi di
individui.
Ovviamente
non possiamo accampare certezze assolute sul futuro, in particolare non
possiamo pensare a una datazione precisa del crollo, ma ritengo che quello
prospettato da Crochet sia il livello di orrore che possiamo aspettarci.
Per inquadrare e concludere questa
discussione, proviamo allora a leggere “il presente come storia”:
a
vedere il nostro presente con gli occhi dei sopravvissuti al crollo
dell’attuale civiltà.
Da
quanto detto, appare evidente che, se un simile evento si produrrà,
rappresenterà un orrore inaudito nella storia.
Ma è anche evidente che, se questo orrore
arriverà, le attuali élite verranno deprecate dai sopravvissuti come gli esseri
più orribili dell’intera storia umana.
Appariranno,
appariremo, espressione di una inaudita malvagità.
Una
malvagità oggettiva, s’intende: non stiamo parlando delle soggettività dei
singoli.
E
questa è dunque la conclusione delle riflessioni fin qui svolte.
Non c’è dubbio che le attuali élite siano
composte di persone educate, tolleranti, colte.
Ma
questo non ha nessuna importanza, come non aveva nessuna importanza quanto
fossero educati, tolleranti e colti gli aristocratici francesi a fine ‘700.
Al
momento del crollo, se crollo sarà, le attuali élite globalizzate, con tutta la
loro tolleranza, educazione, cultura, riveleranno di essere nient’altro che una
nuova manifestazione della banalità del male.
(Marino Badiale)
IL
GOVERNO DELL’OCCIDENTE.
Politicamentecorretto.com
- Vincenzo Olita-Giornale – (20 ottobre 2022) – ci dice:
A dar
retta ai leader politici di minoranza una loro affermazione avrebbe significato
un massiccio mutamento della società, con la soddisfazione di bisogni e
necessità, dello stesso tenore le garanzie della maggioranza:
insomma, un corale preavviso di felicità.
Allora,
un’inevitabile retorica s’impone: ma dove erano finora?
Esattamente
dove sono, con le stesse capacità, intuizioni strategiche, visioni del mondo
ma, soprattutto, con gli stessi vincoli, dipendenze culturali, subordinazioni
economiche-politiche, assoggettamenti e sottomissioni anche psicologiche verso
potentati globali.
Fino
alla svolta del secolo avremmo parlato di commistione tra politica e poteri
forti, quando la prima s’interfacciava dialetticamente con la grande industria,
i suoi interessi e i suoi sottoprodotti, come l’informazione cartacea, con le
convinzioni Vaticane, con gli USA e le sue utilità planetarie.
Un
intreccio in larga parte superato, la Chiesa vive di relativismo, non più di
certezze, il capitalismo industriale è surclassato dal globalismo finanziario,
l’informazione protesa solo nella sua servizievole funzionalità alla politica,
tutti per un consolidato sovranismo dell’europeismo burocratico:
prosegue
la visione imperiale USA indebolita, però, anche dalle trasformazioni al suo
interno.
Già,
il mutamento delle governance, una costante nella storia dell’umanità, che con
il trascorrere dei secoli è sempre meno palese, trasparente e soprattutto
comprensibile.
Benjamin Disraeli, Primo ministro del Regno Unito dal
1874 al 1880, già diceva:
Il
mondo è governato da tutt’altre persone che neppure immaginano coloro il cui
occhio non giunge dietro le quinte.
Club
esclusivi tra chi persegue obiettivi ed interessi comuni sono stati
caratteristica della storia dell’Umanità.
Tralasciando Mondo antico e Medio Evo, la
nascita della Massoneria, nel primo ventennio del ‘700, è il primo rilevante
esempio di una struttura esclusiva tesa al cambiamento di specifiche
articolazioni della Società.
Nel
1954 l’Occidente su iniziativa di David Rockefeller vide la nascita del Gruppo
Bilderberg il cui interesse inizialmente era per la strategia militare, oggi
per geopolitica e tecnologia.
Nel 1973 nasce la commissione Trilaterale,
circa 400 membri americani, giapponesi e europei, su iniziativa dello stesso
David Rockefeller, già presidente della Chase Manhattan Bank.
Il
club si occupa particolarmente di governo ed istituzioni globali, di commercio
internazionale, energia, clima.
Una
rilevante attenzione viene riservata da ambedue i club all’integrazione
europea.
Non a
caso il Trattato di Lisbona del 2007 che istituì la Comunità europea, fu
fondamentalmente istruito, nelle sue linee generali, in ambito Trilaterale.
Mario
Monti, Enrico Letta, Mario Draghi, John Philip Elkann, sono tra i nomi italiani
che ricorrono in questi club, poi le banche Goldman Sachs, Barclays e
naturalmente la J. P. Morgan che ha visto nella sua dirigenza e consulenza
proprio Monti, Prodi e Draghi.
Certamente non è un caso che nella seconda repubblica
i Presidenti del Consiglio non solo devono essere membri di esclusivi club ma
anche provenienti dal board o dalla consulenza della banca d’affari americana.
I
curricula dei politici del dopoguerra non fanno potere, la residenza del potere
è cambiata, non è più nei ministeri incapaci di parlare del futuro o nella
miriade di strutture, sovrastrutture e inutilità, spesso in conflitto tra loro,
ma tutte protese a gestire quotidianità senza orizzonti, pronti a mobilitarsi
per la prossima competizione elettorale.
Il
potere, intendendo capacità e strumenti per la costruzione del futuro, non è
più nel Parlamento esautorato nella funzione primaria di fucina di idee ed
elaboratore di visioni.
Parlamento:
una residenza triste in cui non vi è entusiasmo né gioia per una politica politicante
funzionale ed utile solo al chiacchiericcio da lavanderia della nostra
informazione.
Con il
XXI secolo il pianeta, nel suo versante occidentale, ha visto l’affermazione di
un élite finanziaria in larga parte statunitense che disponendo di colossali
risorse, i primi venti patrimoni equivalgono al Pil italiano, partendo dal
presupposto di dover implementare la loro missione, quella di orientare visioni
del mondo, stili di vita, la società nel suo complesso e il futuro della stessa
Umanità, hanno ritenuto di dover operare, in particolare attraverso la
filantropia, per influenzare quotidianità, rapporti sociali, politiche
governative e strutture statali per il disegno di un nuovo mondo globalizzato e
dal pensiero unico.
È
quello che Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum di Davos, ha
chiamato la Grande Narrazione in cui avverte:
“I politici sono incapaci di offrire governi
rappresentativi ed efficienti, noi come essere umani continuiamo ad avere la
possibilità di dare forma al mondo che vorremmo”.
È
l’effettivo Manifesto del Forum, finanziato da circa un migliaio di soggetti
tra multinazionali, banche d’affari e fondazioni delle famiglie tra le più
abbienti del pianeta.
Un
concentramento del gotha economico-finanziario che periodicamente s’interfaccia
con i vertici politici e dove prendono corpo e si propagano globalmente
politiche, orientamenti e indicazioni.
Ridotta ad asse di trasmissione la politica
dell’Occidente ha un ruolo ripetitivo della progettualità altrui, progettualità
che presuppone tre priorità:
un
mondo più resiliente, più inclusivo, più verde.
Resilienza,
divenuta irritante parola d’ordine, vuol significare che ad ogni crisi si
accompagna un’opportunità, quindi, se tutto è resilienza, ogni crisi può
presupporre una falsa speranza e per le nostre illusioni già si lavora ad un
Consiglio mondiale della resilienza.
Per
Schwab, poi, non dobbiamo evitare i rischi perché benefici per le società
affinché possano progredire e prosperare.
Per
alcuni aspetti potrebbe sembrare un chiacchiericcio planetario che ha
surclassato il chiacchiericcio domestico, ma il Forum vede il coinvolgimento di
troppi qualificati decisori per essere derubricato ad un’agorà culturale.
Il cammino intrapreso disegna un triste
scenario per l’Umanità, almeno per quella occidentale, il Grande Reset per cui
lavora Schwab, avviato e favorito con il Covid -19, ci riserva una
predisposizione alla felice accoglienza per crisi e rischi, un asfissiante
martellamento sulla transizione ecologica, entusiasmante solo per gli studenti
e i loro scioperi per il clima del venerdì che riducono la loro settimana a
quattro giorni.
Con la
Quarta
rivoluzione industriale annunciata da Davos, in cui robotica, intelligenza
artificiale, veicoli autonomi, biotecnologia, ci assicurano un mondo più
inclusivo e sostenibile, dove le stesse distanze tra ambienti fisici e
biologici tenderanno al decremento.
Siamo
alla tecnologia per il miglioramento biologico della specie, siamo sul cammino
del Transumanesimo.
“Non
avrai nulla e sarai felice”, anticipa Schwab ai prossimi cittadini del mondo
indirizzati verso il veganesimo e il consumo di carne sintetica, e sì, la
governance mondiale necessita di un controllo sociale che si va affermando in
virtù di una falsa amorevolezza di chi prospetta un mondo migliore anche
favorendo una malthusiana riduzione della popolazione.
Una
ristretta élite finanziaria, in sintonia con organismi sovranazionali, pensiamo
all’Agenda 2030 dell’ONU, al WTO – Organizzazione Mondiale del Commercio,
all’OMS, al FMI, alla Commissione
europea – con banche d’affari, l’informazione globale, le big-tech, ambienti
politici e statuali, in virtù di una percezione della propria onnipotenza
associa una riconsiderazione di un degenerato capitalismo planetario al futuro
delle genti il cui destino terreno non è più nelle mani né di Dio né del
tradizionale Cesare.
A
Davos si elaborano progetti e ci si adopera per il disegno del mondo migliore.
Per lo
stesso obiettivo, una strategica e diffusa operatività viene espressa dai guru
della finanza, dai padroni delle big-tech, dai controllori delle piattaforme
digitali, dalle Fondazioni di famose dinastie.
Warren
Buffett, Mark Zurkerberg di Facebook, Jeff Bezos di Amazon, Tim Cook di Apple,
la dirigenza di Google, George Soros, le Fondazioni Bill & Melinda Gates,
Ford, Bloomberg, Rockefeller, Walt Disney, Rothschild e la Open Society
Foundations, dello stesso Soros, che il 16 settembre 1992 con un attacco
finanziario costrinse la lira ad uscire dallo SME, si adoperano,
quotidianamente, per l’affermazione di un patologico cosmopolitismo ammantato
di un relativismo teso al superamento della tradizione anche con la cultura
della cancellazione.
Soros,
in particolare, lavora per una Società Aperta, malintesa interpretazione della
fondamentale concezione di Karl Popper, che nella visione globalista, è il
contenitore in cui si allentano i legami di comunità e gli stessi rapporti
umani: coniugi, parentele, amicizie ed altri vincoli saranno, semplicemente,
sostituibili.
Dalla
persona ad isolati atomi: questo il traguardo che si auspica per l’Umanità con
la capacità finanziaria di miliardi di dollari ammantata di una veste
filantropica.
Centinaia
di ONG influenzano e condizionano, in svariati settori, governi, parti politiche,
istituzioni, dall’OMS all’ONU con le sue diramazioni.
In questo quadro, ad esempio, si inscrive la minore
rilevanza nell’insegnamento delle materie tradizionali a favore di competenze
non cognitive, introdotte anche nella scuola italiana con una legge dello
scorso gennaio, votata all’unanimità, e la valutazione espressa da una
commissione ONU che, sulla spinta globalista, ha sancito il lavoro domestico
delle donne come forma di schiavitù.
Sempre
la Open Society Foundations ha finanziato in 5 anni una Fondazione di Gesuiti
con 1,700 ml di dollari ed altre organizzazioni progressiste cattoliche con il
dichiarato intento di far uscire la Chiesa dal Medioevo;
così
come è attivissima nel sostenere l’emigrazione dal nord Africa attraverso
sostanziali contributi di mezzi e personale.
Stati e confini, infatti, non avranno
cittadinanza nella Società Aperta.
A vario titolo, OSF interviene in 120 Paesi
dove interessi e visioni della finanza globale incidono nella quotidianità
delle Genti e della politica.
Nella legislatura 2014-19, Soros ammise
l’affidabilità di 226 Eurodeputati su 705.
Nessuna
meraviglia, allora, se l’elezione di Macron fu supportata da Goldman-Sachs
2.145 Ml, Soros 2.365 Ml Rothschild 976 mila per complessivi 5.486 Ml di
dollari.
La
filantropia sorosiana non ha trascurato il finanziamento alla tenera Greta
Tintin Thunberg e più modestamente alle Sardine bolognesi, ma la vera
attenzione in Italia è per la ex pannelliana Emma Bonino e il suo strumento
politico +Europa, che ben s’interfaccia con l’europeismo della Commissione
europea e culturalmente con Davos.
Dai
finanziamenti al Centro Europeo per la legge e la Giustizia, in collaborazione
con la Fondazione di Bill Gates, al Consiglio d’Europa, alla Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, alla Corte Penale Internazionale si deduce il livello di
penetrazione della finanza globalista nelle istituzioni giudiziarie europee.
Personaggi
politici e mezzi di comunicazione di rilevanza mondiale, come quelli supportati
da Bill Gates (BBC, NBC, CNN, Financial Times, The Guardian, Der Spiegel, Le
Monde, El Pais) al Washington Post di Jeff Bezos, al New York Times di Gregg
Sulzberger, ai domestici Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX degli Agnelli,
sono gli strumenti indispensabili alla persuasione e al coinvolgimento di massa
tramite il politicamente corretto, in nome e per conto del reset e della
mondialista Società Aperta.
La
filantropia finanziaria si concretizza poi su sempre interessati interventi: ad
esempio, nella Banca Mondiale, nelle agenzie dell’ONU come Unesco, UNCHR e
Unicef, in Save the Children, nel supporto a svariate Università.
Si
potrebbero elencare ancora le innumerevoli sfere d’intervento di questo
postmoderno capitalismo finanziario, ma crediamo che le più rilevanti
connotazioni della Società Aperta siano comprensibili, a noi preme sottolineare
che la politica, intesa come un insieme di sistemi di pensiero, che non
cancella il passato delle genti e si adopera per il futuro dell’Umanità, stante
così gli equilibri, è avviata al tramonto.
Per i
cortesi padroni del caos e le loro possenti risorse è agevole stravolgere, in
particolare, la cultura dell’Occidente e adoperarsi per il grande Reset.
In
mancanza di reazioni, di opposizione e di una presa d’atto, per la prima volta
nella storia, andiamo incontro ad una società con larghe dipendenze in cui non
si avvertono né tiranni né padroni. Il cammino è verso un orizzonte atomistico
in cui il Leviatano di Thomas Hobbes annullerà libertà, responsabilità e
proprietà individuali, a meno che, la nostra eresia, elevando un canto nuovo,
ci consenta di abbandonare vecchi e sterili lamenti per una liturgia politica
che appartiene, ormai, solo al mondo di ieri.
(Vincenzo Olita- Direttore Società
Libera)
Green
pass e microchip: a chi servono?
Resegoneonline.it
- Alberto Comuzzi – (18 novembre 2022) – ci dice:
Diversi
uomini di Stato fanno parte del progetto varato dal Forum economico mondiale di
Davos che detesta la democrazia.
In Svizzera già operativo un microchip
sottocutaneo con cui controllare le persone da remoto. L'umanità insidiata da una dittatura
planetaria.
Va dato atto della tenacia con cui i fautori dell'Agenda di Davos
perseguono i propri obiettivi.
Apprendiamo da "La Verità" che al
recente G20 sono state predisposte misure per un green pass permanente.
Il
canadese Trudeau, il francese Macron, l'americano Biden e lo stesso cinese Xi
Jinping fanno parte di quella nomenclatura internazionale che ha compreso come
sia più semplice detenere il potere riducendo i cittadini in sudditanza.
Il
green pass è uno strumento utilissimo a questo scopo.
Con la scusa di un passaporto sanitario
mondiale – le cui procedure per ottenerlo si ipotizza che saranno affidate
all'Oms, controllato economicamente da Bill Gates – le élite destinate a
governare il mondo avranno il controllo globale sull'intero genere umano.
La
tecnologia consente di monitorare le persone con carte di credito, telepass,
telefonini e apparecchi digitali vari.
In Svizzera sono andati oltre: hanno
introdotto un microchip sottocutaneo con il quale la persona (che persona?) può
pagare il conto al supermercato, al bar, al ristorante etc.
Autore
dell'opera il chirurgo plastico Christian Köhler, che ha sviluppato il suo
progetto con un’azienda di Zugo.
In
pratica l'esistenza umana regolata da un microchip in cui, oltre ai dati
sanitari, sono riassunte le informazioni del conto corrente bancario.
Che
mirabile progresso! Qui l'esclamativo è d'obbligo.
Riusciamo
ad immaginare gli effetti della "conquista" del microchip coniugata
con l'idea malthusiana di una Terra non più in grado di sfamare il mondo?
Con un
Forum di Davos persuaso che 8 miliardi di persone non sono più compatibili con
lo sviluppo, possiamo illuderci che la sanità mondiale si preoccuperà della
salute dei più?
Se
l'industria delle armi rallenta perché soffiano venti di pace e si chiudono le
guerre, occorre che quella farmaceutica riprenda velocemente.
Così,
chiusa la vicenda Ucraina (indebolite economicamente Europa e Russia), Big
Pharma si ripropone con nuovi vaccini che, imposti con le buone o le cattive,
produrranno copiosi utili con cui premiare istituzioni e singoli sostenitori.
Un
progetto eccellente, quello del Forum di Davos: circa 1.500 adepti sistemati ai
vertici delle nazioni e nelle istituzioni internazionali in modo da governare
l'umanità.
Sponsor
ufficiali: Big Tech, Big Pharma e l'industria bellica che, grazie alle
"politiche" degli adepti, fanno tanti utili, una parte dei quali
viene reinvestita per consentire a questi ultimi di perpetrare la loro
attività.
Una colossale quanto demoniaca impresa che, con
l'inganno favorito dai mezzi d'informazione, schiavizza miliardi di persone.
Il bene dell’individuo
e della collettività,
nella
vita sociale e nell’etica medica.
Generiamosalute.it
- Fondazione Saluto genesi Onlus – (30-11-2022) – ci dice:
In
questi ultimi tempi, a causa dell’improvviso diffondersi in tutto il pianeta
del corona virus, che ha mietuto decine di migliaia di vittime, è stato
decretato da molti Stati un piano di misure atte a limitare il contagio attraverso
l’isolamento o il distanziamento sociale, che ha comportato, quindi, una serie
di limitazioni dei diritti e della libertà dei singoli individui, delle
attività commerciali e turistiche con un ingente danno economico per la
società.
È
stato invocato di fatto uno stato di necessità, per il quale il concetto di
bene comune, inteso come bene di tutti, soprattutto riferito alla salute,
quindi il bene della salute di tutti, ha prevalso su ogni altro diritto di ogni
singolo cittadino.
Ma il
bene comune ha sempre una priorità su quello del singolo individuo?
Quando
il bene della collettività coincide col bene del singolo individuo, non paiono
esserci dubbi, come appunto in caso di pandemia, o di catastrofe generale.
Ma
quando la diffusione dell’epidemia avviene in zone circoscritte e colpisce
prevalentemente certi soggetti e quindi non si tratta di una catastrofe
generale, è sensato differenziare le misure di sicurezza adottate per il
contenimento della patologia, preservando il più possibile i diritti fondamentali
dei cittadini.
Ad
esempio, in Italia, molte regioni del centro e del sud hanno registrato pochi
casi di contagio rispetto al nord;
i bambini e i giovani in genere non hanno
manifestato sintomi, eppure gli asili e le scuole sono state chiuse in tutto il
Paese per parecchi mesi, anche quando la patologia era sotto controllo e in
calo dappertutto, tanto che tutti gli Stati europei hanno riaperto scuole e
attività commerciali settimane prima che in Italia.
Qui,
ci si è affidati completamente ad un Comitato tecnico scientifico composto da
esperti e qualificati rappresentanti degli Enti e delle Amministrazioni dello
Stato, che hanno supportato il Capo del Dipartimento della Protezione Civile
nelle attività finalizzate al superamento dell’emergenza epidemiologica da
Covid-19.
Ma
quali sono i valori morali a cui ci si appella nel momento in cui si stabilisce
qual è il bene della collettività, togliendo la libertà al singolo, libertà che
è un bene sancito dalla Costituzione?
Il bene comune richiede veramente sempre il
sacrificio del bene del singolo in una società evoluta?
La
scienza, che dev’essere rigorosa e assolutamente orientata alla ricerca della
verità, su quale base può imporre un determinato comportamento sociale che
decide per il bene della collettività, a prescindere dai diritti del singolo?
(Nessun scienziato medico in Italia ha potuto
“controllare” il contenuto delle fiale di siero anti Covid iniettato ai
cittadini: questo fatto non è scienza ma omicidio premeditato! Ndr.)
Violare
l’interesse di un singolo, viola l’interesse di tutti!
Il
diritto alla salute, sancito dalla Costituzione Italiana all’Art. 32, recita
che la salute è fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, tuttavia nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i
limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Quindi
non può richiedere la limitazione della libertà, o imporre l’obbligo di
terapie, come nel caso della vaccinazione di massa proposta, ad esempio per la
regione Lazio, nel prossimo autunno.
Dal momento che la salute si realizza in
ciascun individuo in dipendenza per lo più da fattori ereditari, ambientali e
alimentari, come può divenire un diritto prevalente su altri diritti sociali,
ad esempio la libertà, come previsto nell’art.13 della Costituzione: la libertà
personale è inviolabile?
Aristotele,
nella Politica, considera la civitas “la più perfetta fra tutte le comunità
umane” o “il più importante fra tutti gli interi che possono essere conosciuti
e costituiti dalla ragione umana” e quindi il bene comune, o bene della
civitas, è “quello che fra tutti i beni umani è il più importante”.
Anche
Tommaso d’Aquino, nella Summa Teologia, riformula in modo analogo questo
concetto, partendo dal presupposto che “ciascuna causa tanto è anteriore e
preferibile, quanto è maggiore il numero di cose a cui si estende”.
Quindi,
il bene dell’intera città è maggiore di quello del singolo individuo, ma ancor
più grande è il bene che si riferisce “ad un’intera gente, nella quale sono
contenute molte città”.
Ma qui
siamo nella quarta epoca di cultura, in cui l’individuo si sentiva importante
come parte della sua gente: “Civis romanus sum!”
Era la
frase di chi voleva dare rilievo alla propria personalità, caratterizzata non
tanto dalla sua individualità, quanto piuttosto dall’appartenenza al suo
popolo.
Nella
quinta epoca di cultura l’individuo conquista una più cosciente posizione
sociale, dopo la Rivoluzione Francese, i cui i principi di libertà, eguaglianza
e fraternità diventano i valori più importanti della società e soprattutto per
il singolo individuo.
Anche
Hans Jonas (1903-1993), uno dei maggiori filosofi contemporanei, indagatore di
una serie di scottanti questioni bioetiche, noto per i suoi libri sul principio
di responsabilità ed etica medica e sociale, afferma: “noi riconosciamo come
qualcosa di ovvio che il bene comune abbia sul bene individuale una certa
priorità da determinarsi pragmaticamente. (…)
Noi
lasciamo che alcuni diritti naturali dell’individuo siano soverchiati dal
diritto che si riconosce alla società e riteniamo ciò moralmente giusto e
ragionevole nel normale corso delle cose, non come un problema di amara
necessità in situazioni eccezionali (per quanto una simile necessità si possa
invocare per allargare questo diritto della collettività).
Ma se
ammettiamo questo, esigiamo una precisa chiarificazione su cosa siano i
bisogni, gli interessi e i diritti della società, perché la società,
diversamente da qualsiasi molteplicità di individui, è un concetto astratto e
come tale determinato in parte dalla nostra definizione, mentre l’individuo è
il concetto primariamente concreto, che viene prima di ogni definizione.
L’incognita
del nostro problema è perciò il cosiddetto bene comune, o bene pubblico e le
sue pretese potenzialmente superiori, cui talvolta occorre sacrificare il bene
individuale…”
E
ancora: “se si pone la questione in questi termini – e cioè come questione sul
diritto della società a richiedere sacrifici individuali – in essa non è
necessariamente compreso il consenso di chi compie il sacrificio”.
Che il
sacrificio di un uomo sia stato decretato dal potere sacerdotale ebraico 2000
anni fa, non significa che oggi si possa di diritto chiedere nuovamente il puro
sacrificio di uno o più individui per il bene pubblico senza il loro consenso:
l’inviolabilità
della persona, la tutela della sua salute e la libertà individuale devono
essere riconosciuti come beni che vanno oltre il bene comune.
Perché?
Perché
la società ha diritto di pretendere dall’individuo un onesto comportamento, la
compartecipazione alle spese sociali in proporzione ai propri redditi, un
contributo alle leggi che regolano la convivenza e i pubblici diritti; insomma
tutto ciò che riguarda i rapporti del singolo col mondo esterno.
“Ma al confine tra il mondo esterno, comune e
condiviso con tutti – dichiara ancora il filosofo Jonas nel suo libro Tecnica,
medicina ed etica – e l’interno del corpo mio personale – la nostra pelle –
ogni diritto pubblico cessa di esistere”.
Solo
nel caso di catastrofe possono venir meno anche gli ultimi diritti privati… E
nel caso della pandemia da Covid-19 si è parlato di una catastrofe.
Ma che
cos’è una catastrofe?
“È un esito o evento luttuoso, una conclusione
tragica, una rovina, o un disastro di particolare gravità che si abbatte su una
comunità” (Wikipedia).
Se i
350.000 morti di Covid-19 possono costituire una catastrofe, allora come
dovremmo considerare il milione e mezzo di morti di tubercolosi e i 3 milioni e
mezzo di bambini che muoiono di fame ogni anno nel mondo, di cui si parla così
poco?
È
chiaro che nella medicina il continuo miglioramento della salute nella
popolazione è un obiettivo primario e che le condizioni di un’epidemia
vincolano tutti al rispetto di regole che tutelano la salute propria e altrui,
ma la libertà è senza dubbio la prima condizione da osservare.
A meno
che non si reputi che la libertà non si possa concedere a chi non ha
responsabilità e coscienza e quindi non è in grado di gestirla e si consideri
questa la condizione del popolo italiano, nonostante i dettami espressi nella
Costituzione.
La
tendenza alla globalizzazione ha portato in evidenza un potere di gruppi
economicamente forti a livello mondiale, che considera l’umanità formata da
esseri inconsapevoli, incapaci di coscienza e responsabilità e influenza la
politica dei governi a volte anche per mezzo dell’intimidazione o della
coercizione.
Nell’ambito
della salute oggi non sono più i medici, ma i politici che decidono cosa è bene
per la società, a prescindere dai diritti dei cittadini, senza chiedere loro un
consenso, utilizzando tecnologie elettroniche sofisticate, che controllano i
dati sensibili dei soggetti senza che gli stessi ne siano a conoscenza.
Proclamando stati d’emergenza, simili alle
condizioni di guerra, si pubblicano decreti e ordinanze con effetto di legge,
senza che lo siano, per impedire ai cittadini libertà garantite dalla
Costituzione.
Occorre
interrogarsi sugli strumenti giuridici utilizzati e sulla loro adeguatezza
rispetto al dettato costituzionale.
Quindi,
disposizioni che limitano, quandanche per motivazioni giuste, alcune libertà
espressamente garantite dalla Costituzione, tra tutte la libertà di
circolazione (Art.16 Cost.), ma anche la libertà di riunione (Art.17 Cost.), la
libertà religiosa (Art.19 Cost.), il diritto/dovere all’istruzione (Art. 34
Cost.) la libertà di iniziativa economica (Art. 41 Cost.), sino a limitazioni
addirittura alla libertà personale di movimento (Art. 13 Cost.), dovrebbero
avere necessariamente carattere di legge o di atto avente forza di legge.
Un
altro elemento da non sottovalutare è quello che ormai la scienza medica,
divenuta la nuova religione (che ha potere sulla coscienza dell’uomo comune),
soprattutto per quanto riguarda la ricerca e la terapia, è completamente
sovvenzionata dai grandi monopoli farmaceutici, che decidono e impongono le
terapie da adottare per il presunto bene dell’umanità.
Fondazioni
come la Bill & Melinda Gates, che è la più grande fondazione privata del
mondo, hanno come obiettivo primario quello di migliorare la salute della
popolazione mondiale attraverso l’uso dei vaccini e l’estensione delle
tecnologie informatiche a livello mondiale.
Fino
dai tempi del Concilio Vaticano II, nella enciclica Gaudium et Spes, che
affermava che la pace, la quale è “opera della giustizia” (n.78) per essere
realizzata richiede “un’autorità internazionale competente, munita di forze
efficaci” (n.79), si auspicava “un’autorità pubblica universale, da tutti
riconosciuta, dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli
sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti” (n.82).
L’etica
sociale, che stabilisce il comportamento etico tra le relazioni sociali e il
fondamento etico degli ordinamenti giuridici e sociali, è poi stata
completamente disattesa dalle autorità sovranazionali munite di forti poteri
nel mondo.
Con
l’obiettivo del raggiungimento del benessere materiale per tutta l’umanità,
obiettivo già raggiunto da parte di una minoranza della stessa, a fronte del
peggioramento delle condizioni di salute ed economiche della stragrande maggioranza
della popolazione terrestre, una élite di 2.153 «paperoni mondiali» è più ricca
di 4,6 miliardi di persone.
La
quota di ricchezza della metà più povera dell’umanità, circa 3,8 miliardi di
persone, non sfiora nemmeno l’1%.
Questa è la fotografia scattata dal Rapporto
annuale sulle disuguaglianze diffuso da Oxfam alla vigilia del World Economic
Forum di Davos (20 gennaio 2020).
Secondo
l’organizzazione non governativa impegnata nella riduzione della povertà
globale, la fortuna dell’1% più ricco del mondo «corrisponde a oltre il doppio
delle ricchezze accumulate» dai 6,9 miliardi meno ricchi, ovvero il 92% della
popolazione del pianeta.
E la
situazione è ancora peggiorata in questi ultimi mesi.
Per
quanto poi riguarda l’etica medica, che prende in considerazione tutta una
serie di fenomeni venuti alla ribalta con le nuove biotecnologie, dalla
fecondazione artificiale, ai trapianti d’organo, alla manipolazione genetica,
all’eutanasia e alle sperimentazioni su volontari, che Jonas chiama “etica per la
civiltà tecnologica”, ci troviamo di fronte a soluzioni a volte molto
inquietanti per la salute del paziente, che l’etica medica tende a legittimare.
È vero che la tecnologia è ormai entrata a far parte
dell’agire umano anche in campo medico, ma è altrettanto vero che ogni agire
umano è esposto ad un esame morale, ad un vincolo etico, che deve tenere in
conto prima di tutto la salute di ogni singolo paziente.
Si potrebbero fare molti esempi dimostrativi
di come la tecnologia biomedica consenta di compiere azioni che vincolano la
libertà umana, come nella sperimentazione di nuovi farmaci, che
strumentalizzano i corpi come nei trapianti d’organo, che esaltano il
compiacimento di sé stessi come nella manipolazione genetica, ecc.
Le
biotecnologie possono essere utilizzate come esercizio del potere umano sia a
fin di bene, sia a fin di male, secondo il rispetto o la violazione di norme
etiche.
E
allora concludiamo con l’esempio della strumentalizzazione dei corpi nei
trapianti d’organo.
Come
già citato da Hans Jonas “al confine tra il mondo esterno, comune e condiviso
con tutti, e l’interno del corpo mio personale, ogni diritto pubblico cessa di
esistere.
Così
come nessuno, né lo stato, né il prossimo in stato di bisogno, ha alcun diritto
sul mio rene, e tanto meno sono requisibili gli organi di chi è in coma
irreversibile per salvare altre vite, tanto meno il bene comune ha un diritto
sul mio metabolismo, la mia circolazione, o qualche altro dei processi interni
al mio corpo.
(Ma in
Cina non si rispetta mai questo principio elementare! Ndr.)
Questo
è ciò che di più privato vi è nel privato, l’incondivisibile, l’inalienabile
sfera personale per eccellenza. (…)
Sussiste
una differenza tra la pretesa morale di un bene collettivo (quale indubbiamente
è ogni vittoria su ogni malattia) e un diritto della società a questo bene e ai
mezzi per realizzarlo. (…)
I nostri discendenti hanno diritto di
ereditare da noi un pianeta non saccheggiato, ma non hanno alcun diritto a
nuove cure miracolose.
Commettiamo
un peccato nei loro confronti se distruggiamo la loro eredità – cosa che stiamo
facendo con tutte le nostre forze – ma non se nella loro epoca
l’arteriosclerosi non sarà stata ancora sconfitta.
In
linea generale, così come l’umanità non aveva alcun diritto alla nascita di un
Newton, o di un Michelangelo, o di un Francesco d’Assisi, né ai benefici dei
loro atti non programmati, anche il progresso, pur con tutto il nostro metodico
lavoro per esso, non può essere programmato in anticipo, né si possono esigere
i suoi frutti al pari di un interesse maturato.
Il
fatto che abbia luogo e che si riveli un bene (cosa di cui non possiamo mai
essere certi) deve essere considerato piuttosto qualcosa di simile alla
“grazia””.
Ma uno
di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: “Voi
non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per
il popolo e non perisca la nazione intera”. (Gv. 11, 49-50)
Art.2
Cost. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia
come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale.
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