GLI ADORATORI DEL DIO DENARO
GLI
ADORATORI DEL DIO DENARO
Il
denaro, lo
sterco
del demonio.
Fondazionenenni.blog
- EDOARDO CRISAFULLI - FONDAZIONE NENNI – (2 AGO. 2019) – ci dice:
Non
voglio, qui, discettare su questa immagine così realistica: la cultura
cristiana ne è imbevuta fino al midollo.
Mi
limito a osservare che le nostre società moderne, secolarizzate, hanno
metabolizzato la morte di Dio, e ridotto le Chiese a luoghi deserti, eppure il
vizio della demonizzazione di matrice giudaico-cristiana prolifera come in una
cloaca.
Il moralismo – il denaro è fonte di
corruzione, non già mezzo neutrale che può consentire anche opere di bene –
sopravvive al di fuori di ogni cornice teologica e culturale.
Così diviene un’arma contundente a
trecentosessanta gradi: chi dirsi immune dal vizio della cupidità?
Quando
Dio era vivo e vegeto campeggiavano giganti della cultura come Sant’Agostino,
San Tommaso, Dante.
Il
padre della lingua italiana, sconvolto dall’avidità dei suoi contemporanei, non
si limitava a lanciare invettive, scriveva il trattato “De Monarchia” per
teorizzare il sistema ideale che avrebbe posto un argine all’avidità, fonte di
conflitto e disordine morale.
Oggi
qualunque populista saputello – privo financo dei rudimenti culturali – sale
sul palco per dar lezioni e bacchettare l’universo mondo come una sorta di
Savonarola sbiadito, senza cioè le vaste letture e senza l’orizzonte
intellettuale del predicatore di razza.
Questi
populisti fanno tracimare ovunque il pessimismo cosmico dei tempi moderni:
ognuno
pensa a sé stesso, nessuno crede più in nulla, viviamo in un mondo senza
ideali, dominato da banche che speculano, capitalisti ingordi, affaristi e
faccendieri, cooperative, ong e partiti fasulli.
Il
motto imperante è ‘arraffi chi può’.
I
ladri, gli avidi, i corrotti – ovviamente – sono sempre gli altri.
Assistiamo,
insomma, a un nichilismo alle vongole.
Per
fortuna non ci sono più i partiti e i leader politici di una volta: la casta
amante del lusso.
Finalmente
abbiamo politici giovani e incompetenti ma onesti (anche se non frugali come S.
Francesco).
E
finalmente sui social media chiunque può gridare la sua rabbia contro gli
adoratori del dio denaro.
A cosa
mi riferisco?
Semplice: a un’accusa-luogo comune:
i
volontari delle ONG che salvano vite in mare non sono tali, né si possono
definire idealisti, bensì vili mercenari.
La prova del nove sta nel fatto che sono
stipendiati, che le ONG ricevono fondi (chissà da quali losche fonti), agiscono
dunque a fini di lucro, come le cooperative del resto.
Tutta
la vicenda degli sbarchi è derubricabile a una meschina riedizione della tratta
degli schiavi.
Giacché è tutto un business gigantesco,
affarismo sfrenato.
Avete
provato – al mercato, al bar, o su Facebook – a sollevare l’argomento?
Una scrollatina di spalle, lo sguardo in cerca
di complicità, ed ecco che sgorga l’immancabile parola: tanto è tutto un
business.
Tenetela
bene a mente quell’orribile prestito dall’inglese.
Se
volete zittire un interlocutore che ancora crede nella buona fede altrui,
scaraventategli in faccia quella parola magica: ditegli che è tutto un
business.
Ma di che stiamo parlando?
In
un’altra vita ho fatto l’educatore professionale in una casa famiglia, in quel
di Rimini.
Scusatemi tanto, ero stipendiato: non sono
ricco, non campo di rendita.
Tuttavia
ho regalato alla struttura per cui lavoravo – l’Istituto San Giuseppe per
l’aiuto materno e infantile – chissà quante ore di volontariato (ma i miei
ragazzi mi hanno contraccambiato con un profluvio di umanità, che non ha
prezzo), e chissà quante notti insonni e sofferenze dell’anima.
Se un ragazzo che ti è stato affidato piange
disperatamente alle 9 di sera, o minaccia il suicidio, che fai, gli dici
‘scusa, riparliamone domattina, devo timbrare il cartellino’?
In quel tempo (anni Ottanta) mi davano tutti
una calorosa pacca sulle spalle, i miei capi, i miei colleghi, i miei
conoscenti.
C’era
la percezione che svolgevamo un lavoro importante, a beneficio della comunità,
con dedizione e sacrifici personali.
Oggi
verrei squadrato dall’alto in basso: di che ti lamenti, ti pagano, no?
E poi
cosa ci stanno a fare, questi enti, mica sono dediti al volontariato.
Prendono
bei soldoni dallo Stato: l’assistenza sociale è tutto un business, ci lucrano
sopra.
Ma chi
che stiamo parlando!
Faccio
presente ai moralisti in sedicesimo che sono stipendiati tutti gli onorevoli
cittadini parlamentari, inclusi gli idoli populisti (dunque sono mercenari
anche costoro?), guadagnano bei soldini anche i giornalisti che — bava alla
bocca – imperversano sui social media con le accuse e le aggressioni più becere,
e ricevono un salario addirittura i preti (neanche loro, evidentemente, credono
nella Chiesa e in Cristo).
Lo
sconsolato nichilismo “de noialtri”, un fascio di trite e ritrite banalità, è
figlia di una modernità galoppante che specchiandosi vede un mostro.
Sono
stati contagiati anche intellettuali insospettabili, dall’illustre pedigree.
Ernesto Galli Della Loggia, fustigatore delle società in crisi, afflitte dal
relativismo, dagli effetti tossici postumi del ’68, dell’ideologia
progressista, dal lassismo, e chi più ne ha più ne metta, ha rinverdito questo
luogo comune del tempo presente (“La società smarrita”, Corriere della Sera”,
28 luglio 2019).
Il
caso Bibbiano sarebbe una ulteriore prova dello stato di degenerazione morale
in cui versano le nostre società.
Di
nuovo la perfida sinistra – pur non citata direttamente – è trascinata sul
banco degli imputati.
Qual è
la radice del male? Semplice: la proliferazione di una “miriade di onlus, ong,
associazioni, enti – ambiguamente collocati fra il pubblico e il privato e ivi
prosperati grazie naturalmente al favore della politica”.
Non una parola sull’idealismo dei tanti
volontari o di chi, per stipendi da fame, realizza una missione in cui crede.
No,
non può esserci disinteresse: queste ong e organizzazioni, che si presumono
benemerite, lucrano sulle disgrazie altrui, e infatti hanno tutto l’interesse
“di trovare quanti più casi di ‘disagio’, di maltrattamenti, di abusi, di
violenze, di cui farsi carico, naturalmente non a titolo gratuito” (mia
enfasi).
Eh sì:
ci guadagnano sopra tutti.
Basta
poco per passare all’accusa di parassitismo.
Anche
qui l’ingranaggio infernale è il vile denaro, sterco del demonio.
Immigrati,
disoccupati, senza tetto, casi sociali o bambini in difficoltà – ma figuriamoci
se qualcuno li vuole aiutare davvero, è tutto un business.
Non
c’è che dire, logica impeccabile: come possiamo credere agli opinionisti che
scrivono per quotidiani nazionali, naturalmente non a titolo gratuito?
A
questo punto sono molto più credibile io: sono anni che scrivo gratis per “Mondoperaio”,
l’”Avanti” e questo blog.
Non ho
mai preso un euro per uno dei miei articoli.
Ma di
che stiamo parlando?
Il dio
denaro.
Robertocalia.it
– Roberto Calia – (21 settembre 2020) – ci dice:
(Dr.
Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano).
Le 7
vergogne.
“Fai
del denaro il tuo dio e ti tormenterà come il diavolo.”
(H.
Fielding)
Le
sette vergogne del mondo, secondo Gandhi sono:
1)
Ricchezza senza lavoro
2)
Piacere senza coscienza
3)
Conoscenza senza virtù
4)
Commercio senza morale
5)
Scienza senza umanità
6)
Adorazione senza sacrificio
7)
Politica senza principi.
La
madre di tutte le vergogne è l’adorazione del dio-Denaro.
La
bramosia insaziabile e incondizionata di potere e ricchezza ha trasformato
l’economia da mezzo a fine dell’esistenza.
I
soldi non servono più per vivere dignitosamente, ormai si vive per fare soldi
spudoratamente.
L’economia
è diventata la nuova religione.
Sono
state abili le menti che governano il mondo ad imporre, da Occidente ad
Oriente, un solo unico Dio: il Denaro.
Il
possesso di beni e l’arricchimento materiale sono diventati la religione
universale in cui tutti credono.
Una
religione mondana fatta di illusioni, promesse e sacrifici.
Una
religione feticistica che ha trasformato i soldi a fine ultimo della vita.
La
vita immolata al “godimento”, secondo rituali irrefrenabili, che perseguono
possesso, successo, potere, appagamento egoistico.
Si è
così compiuta una vera “perversione” del significato autentico dell’esistenza.
Se non
è più condivisibile la concezione del denaro come “sterco del diavolo”, è però
innegabile il ruolo assolutistico, ossessivo e dominante assegnato ai soldi
nella nostra vita.
Quando
i soldi si insinuano nella vita delle persone instillano dubbi, mettono in
crisi altre certezze.
I
soldi si trasformano in un virus che produce una vera e propria malattia.
L’uso
scriteriato e irrazionale del denaro trasforma le esigenze in dipendenza e i
desideri in angoscia.
Ogni
cosa ha il suo prezzo e questo si fa coincidere con il suo valore.
Al
denaro viene affidato il potere di determinare e dare forma al proprio
benessere (non solo a quello materiale, come è ovvio, ma anche a quello
emozionale, affettivo e relazionale), al proprio essere al mondo.
“Può
essere bene avere il denaro e le cose che il denaro può comprare, ma è bene
anche, ogni tanto, controllare ed essere sicuri di non aver perso le cose che
il denaro non può comprare” (G.H. Lorimer).
Un
virus malefico.
Non è
l’economia che può curare questa malattia contagiosa, ma il ritorno all’etica e
alla responsabilità delle persone, nella riscoperta del vero significato della
vita, degli affetti e delle relazioni fra le persone e fra le persone e le
“cose” della vita.
Oggi
c’è un primato dell’oggettività sulla soggettività, del materiale sullo
spirituale, delle cose visibili rispetto a quelle invisibili (che secondo la cosiddetta scienza
obiettiva non esistono nemmeno e che invece, come sappiamo bene tutti,
comprendono le cose più importanti della nostra esistenza).
Se la
vita è solo l’esperienza che facciamo nella nostra vita terrena e null’altro,
allora tutto si trasforma in una corsa folle ad “arraffare” il più possibile,
senza freni, senza limiti.
Il
motore che muove la vita diventa così un’illusione vuota, un gigantesco delirio
di onnipotenza di fronte al Nulla, ossia al vuoto di senso che è la parte
nascosta di questa tragica rappresentazione della vita.
Basterebbe
pensare che le cose materiali (oggetti, beni, merci, soldi) sono soggette a
penuria (mancanza) ed inducono bisogni competitivi.
Le
cose immateriali (idee, pensieri, sentimenti, emozioni) sono invece soggette ad
eccedenza (abbondanza), sono potenzialmente inesauribili e promuovono desideri
creativi.
Ecco
spiegato il primato del soggettivo sull’oggettivo, dello spirito sulla materia,
della psiche sul corpo.
C’è
un’altra grande ricchezza sulla quale bisognerebbe ritornare ad investire: la
persona e la relazione fra le persone.
“Puoi
comprare una casa ma non un focolare;
puoi
comprare un letto ma non il sonno;
puoi
comprare un orologio ma non il tempo;
puoi
comprare un libro ma non la conoscenza;
puoi
comprare una posizione ma non il rispetto;
puoi
pagare il dottore ma non la salute;
puoi
comprare l’anima ma non la vita;
puoi
comprare il sesso ma non l’amore.”
(Detto
cinese)
(Dr.
Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano).
CREDIBILITÀ
DEI GIORNALISTI? CROLLA AL 35%.
MA LA
PROFESSIONE SI SALVA USANDO “CAR* TUTT*”
Electomagazine.it - AUGUSTO GRANDI –
(5-2-2023) – ci dice:
Quanti
quotidiani cartacei si vendono ogni giorno in Italia? Circa 1,5 milioni. Quanti
erano nel 1990? Quindici volte di più.
Alessandro
Banfi, ex
direttore del Tgcom, ricorda queste cifre ufficiali ed aggiunge che anche gli
ascolti dei Tg sono in flessione.
Come è
in, ulteriore, flessione la credibilità dei giornalisti: dal già drammatico 40%
del 2021 all’umiliante 35% dello scorso anno.
Difficile
che il 2023 possa garantire un miglioramento, considerando che l’anno si è
aperto con la pagliacciata della bidella che ogni giorno viaggerebbe da Napoli
a Milano (e ritorno) per conservare il posto di lavoro.
“Sarebbe
bastata una semplice verifica – sottolinea Alberto Chiara, caporedattore di
Famiglia Cristiana – per evitare una brutta figura” che coinvolge l’intera
categoria.
Ma il
problema, per l’ordine dei giornalisti, è la frequenza di corsi di
aggiornamento per imparare ad usare l’asterisco quando si scrive tutt* per non
offendere le diverse sensibilità sessuali.
Forse
una delle motivazioni del crollo di credibilità e vendite è proprio il totale
scollamento tra mondo reale e rappresentazione dello stesso mondo da parte dei
media condizionati dal “politicamente corretto” e dal “pensiero unico obbligatorio”.
Tra un
dato di realtà e la sua rappresentazione sempre più fantasiosa e sempre meno
credibile.
Non a
caso il calo della credibilità è più contenuto per le testate locali.
Perché
il lettore incontra il giornalista al bar o per strada e lo può insultare se la
notizia riportata è falsa.
E
questo rapporto diretto spinge ad una maggiore attenzione, ad una verifica in
più, ad un controllo delle fonti.
Ma,
ormai, si è creato un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Le
menzogne dei chierici di regime hanno fatto perdere copie ai grandi giornali.
Meno copie significano meno pubblicità e, dunque, minori introiti.
Dunque
gli editori hanno tagliato gli organici, rinunciando alle professionalità che,
essendo di maggior qualità, costavano di più.
Si è
scatenata una corsa al ribasso.
Delle retribuzioni ma anche, inevitabilmente, della
qualità del giornalismo.
Le
grandi inchieste costano troppo, anche le inchieste medie e pure quelle
piccole.
Meglio
evitare.
Inviare i giornalisti nelle zone di guerra?
Troppo costoso, meglio rivolgersi a freelance che costano meno.
Se poi
non sono proprio in prima linea, va bene lo stesso.
Inviare
un giornalista sul territorio, al di là dei confini urbani?
Costa
troppo, basta una telefonata.
Sostituire i giornalisti mandati in pensione?
Neanche a parlarne.
Tutt’al
più ci si rivolge a qualche precario a vita che lavori all’esterno della
redazione.
In
fondo va bene così. Va bene ai politici, che aumentano la forza del proprio
ruolo di fronte a giovani privi di competenza ed esperienza.
Va
bene alla classe dirigente, che vede rafforzata la capacità di ricatto nei
confronti delle testate e dei giornalisti privi di tutela.
Però
nessun problema: alla prossima intervista nessuno avrà dubbi sulla definizione
di avvocata o avvocatessa, di direttore o direttrice d’orchestra.
La
professione è salva.
SI
FINGE DI SPAVENTARSI
PER L’AUTONOMIA PER NASCONDERE
IL
DESIDERIO DI VOLERE GLI SCHIAVI AL NORD.
Electomagazine.it
- AUGUSTO GRANDI – (4-2-2023) – ci dice:
La
Lega festeggia per il via all’iter per l’autonomia regionale e gli altri
partiti, della maggioranza e dell’opposizione si preoccupano.
Preoccupazione
ipocrita.
Sia
perché i tempi saranno comunque lunghi sia perché i timori sono esclusivamente
elettorali.
Per
nulla sostanziali.
Timori
di andare a spiegare agli elettori del Sud che se il Mezzogiorno ha ingoiato
colossali risorse, senza che favorissero lo sviluppo, la colpa non è del
destino cinico e baro ma di una classe politica inetta, nel migliore dei casi.
Le innumerevoli cattedrali nel deserto –
scheletri di fabbriche mai ultimate, palazzetti dello sport faraonici
inaugurati e subito abbandonati, strutture inutilizzate – sono costate una
esagerazione e si continuano a pretendere denari per risistemarle senza un
progetto credibile per l’utilizzo futuro.
È
giusto continuare a mantenere amministratori di questo livello?
È
giusto accettare che i soldi pubblici vengano impiegati per eserciti di operai
forestali (operai forestali, nulla a che fare con gli ex forestali inglobati
dai carabinieri) con un rapporto insostenibile tra personale e superficie
boschiva?
È
giusto che con i soldi di tutti vengano mantenuti eserciti di nullafacenti
perché è più facile assumere personale superfluo negli uffici pubblici
piuttosto di creare lavori che servano a qualcosa?
Ma
tutti coloro che si preoccupano per il futuro del Sud, costretto a scegliere
amministratori migliori, fingono di non vedere l’altro problema emerso in
questi giorni, dopo la provocazione di Valditara:
la
disparità, sempre più evidente, del costo della vita tra Nord e Sud.
Ma una disparità anche all’interno dello
stesso Nord, tra Milano e Torino, tra Venezia e Rovigo.
Tema
ancor più spinoso, poiché mette in luce l’assurdità ed anche la stupidità delle
polemiche sulla scarsa disponibilità ad accettare le “generose” offerte
economiche di donatori di stipendi inadeguati per vivere.
L’immancabile e fastidioso Cruciani, presenza
fissa da “Del Debbio”, insiste sull’obbligo di accettare il lavoro, a prescindere
dalle condizioni economiche, dalla distanza, dagli orari.
Dunque
va benissimo una retribuzione di 800/1.000 euro al mese per un lavoratore del
Sud costretto a trasferirsi a Milano.
Dove,
secondo le ricerche del settore immobiliare, con un salario di 1.500 euro ed
una occupazione stabile che permetta di ottenere un mutuo, si può aspirare ad
un alloggio di ben 18 metri quadrati da pagare in 30 anni, previo anticipo.
Secondo
la compagnia di giro di Cruciani, quindi, bisogna abbandonare affetti e relazioni
famigliari al Sud per aspirare alla vita a Milano in un loculo con a
disposizione, tolti i soldi per il mutuo, il denaro sufficiente a pagare le
bollette, a vestirsi ed a mangiare male.
Perché
anche il cibo costa di più, a Milano.
Tra l’altro con la conseguenza di scaricare
sulle casse pubbliche l’assistenza ai genitori anziani che non possono certo
essere trasferiti nei 18 metri conquistati al Nord.
Però,
su tutto ciò, i politici tacciono.
Perché
il sindacato non vuole le gabbie salariali, perché i donatori di lavoro non
vogliono essere donatori di stipendi decenti, perché appena si pronuncia la
parola Nord al destra centro non leghista viene l’orticaria.
Mentre la Lega si guarda bene dal toccare i
padroncini che un tempo la votavano. In fondo l’intera politica italiana, con
rarissime eccezioni, vuole gli schiavi.
E in questo modo, di fronte a Cruciani
ed ai suoi compari, diventa un gigante della politica persino l’ex rifondarlo
ed ora all’Unione Popolare, Paolo Ferrero.
Goldman
Sachs, tristi
sacerdoti
del dio denaro.
Ilfattoquotidiano.it
– Redazione – (9 giugno 2020) – Le Monde - Marc Roche -
ci dice:
Uno
scorcio significativo su ideologie, mentalità e sentimenti del potere
finanziario ci è offerto da un interessante articolo di Marc Roche, pubblicato
su Le Monde magazine e tradotto e riprodotto da Internazionale del 1° giugno.
Ne riproduciamo alcuni passaggi.
Racconta
una funzionaria: “Molto presto scopri di essere un posto dove vige
un’onnipresente legge della giungla…
Di
fatto ho preso il posto di qualcuno che mi aveva fatto il colloquio di lavoro.
Una
persona che di certo non immaginava di essere sostituita. L’obiettivo è
incoraggiare l’aggressività ed esasperare le tensioni…
Essere
alla testa di un dipartimento della Goldman Sachs è orribile, perché bisogna
continuamente sorvegliare i propri collaboratori per individuare i meno
motivati”.
Prosegue
l’articolista: “Questo culto per la vittoria ad ogni costo, quest’universo di maschi
alfa, di lupi dominanti che guidano il branco, dov’è lecito tutto tranne
l’insuccesso, questo teatro della finanza dove sia gli spettatori sia gli
attori non sono interessati ai buoni sentimenti, tutto questo crea una cultura
piena di disprezzo per gli altri.
I
crociati della Goldman Sachs sono un esercito di banchieri soldato, come in
passato c’erano i monaci soldato:
seri,
austeri, ‘puliti’ fino alla punta delle unghie, ma sempre vincitori...
’Sono
solo un banchiere che fa il lavoro di Dio’.
Anche
se si trattava di una battuta, le parole dell’amministratore delegato della
Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, dette in pieno dibattito sulla moralità della
finanza e sulla presunta avidità dei banchieri, confermano questa arroganza da
primi della classe.
La
Goldman non è solo una macchina per fare profitti, è anche uno stile di vita.
Il sistema isola i professionisti dalla
realtà.
Una
serie di assistenti si occupa, giorno e notte, di organizzare l’agenda degli
impegni e risolvere i piccoli e i grandi problemi organizzativi.
I
manager più importanti non prendono mai la metropolitana, ma il taxi, le auto a
noleggio, gli elicotteri e i jet privati, anche se si tratta di un piccolo
tragitto.
Quando
si parla della Goldman Sachs è più che appropriato l’accostamento al Grande
fratello del romanzo 1984 di George Orwell.
La polizia del pensiero, la neolingua, la
priorità del collettivo sulle ragioni personali sono tutti elementi che si
ritrovano in questa banca.
I
dipendenti sono sorvegliati in tutte le loro azioni”.
Mi
pare che già queste brevi citazioni illustrino in modo adeguato i caratteri
essenziali dell’ideologia vigente in organizzazioni di questo tipo:
arroganza,
senso di onnipotenza ai limiti del patologico, ossessione del controllo,
disprezzo per l’umanità.
Rendiamoci
conto che una classe politica internazionale di sprovveduti e corrotti ha
affidato in taluni casi a soggetti emersi da questo contesto profondamente
malato il destino di interi Paesi.
È il
caso della Grecia e quello dell’Italia, dove Monti e Papademos sono stati a
lungo rotelle di ingranaggi di questo genere.
Ma
anche laddove, come in Germania, il governo non è direttamente in mano a questi
soggetti, essi esercitano pressioni lobbystiche decisive, come documentato ad esempio da
Wolfgang Hetzer, in” Finanzmafia”, un libro che raccomando a tutti quelli che
sono in grado di leggere il tedesco.
Il
problema, quindi, è mondiale.
Occorre
scegliere se lo sviluppo dell’umanità deve basarsi sul soddisfacimento dei
diritti sociali o sull’accumulazione del capitale finanziario.
E, nel
caso che, come spero, ci si decida per la prima alternativa, mettere in
condizioni di non nuocere le nefaste organizzazioni degli adoratori del
feticcio-denaro, sciogliendole e mettendone l’immenso patrimonio a disposizione
di donne e uomini di questo pianeta.
Anche
perché, come afferma “John Lanchester” in un altro articolo di grande interesse
apparso sullo stesso numero di “Internazionale”, il sistema finanziario
costituisce oggi una minaccia per la democrazia molto più di qualsiasi
organizzazione terroristica.
Le banche certo continueranno ad essere necessarie, ma
dovrà trattarsi di banche ricondotte alle loro funzioni istituzionali e
tradizionali, servizio di credito alle imprese e non parte (peraltro minore) di
un potere apparentemente inarrestabile e privo di controlli.
UN
NUOVO SOGGETTO POLITICO
D’ISPIRAZIONE
CRISTIANA E POPOLARE?
Centrostudimarcora.it – Vincenzo Ortolina – (5 agosto 2020) –
ci dice:
Avevo
sottoscritto il “Manifesto Zamagni” (che ipotizza la creazione di un “soggetto
politico ‘nuovo’ d’ispirazione cristiana e popolare”) un po’ affrettatamente,
senza averlo cioè debitamente approfondito.
E per questo mi scuso.
L’ho “studiato” in questi giorni nella
tranquillità della località montana che sto frequentando, leggendo anche le
tante, diverse opinioni che sul tema sono state espresse.
E sono arrivato alla conclusione (o quasi) che
l’idea, oggi, di un “partito cattolico”, pur aperto a credenti e non, non mi
convince.
Certo, io condivido in partenza una visione
personalista dell’economia, della società, e dello Stato -uno Stato in ogni
caso radicato nella prospettiva europea, e nel quale la “cosa pubblica”
funzioni al meglio-, la piena valorizzazione delle formazioni sociali e dei
corpi intermedi (come si conviene a un ben inteso principio di sussidiarietà),
la difesa della persona, della sua dignità in tutti gli stadi di vita, e della
famiglia.
Però
ho perplessità non da poco, ribadisco, ad utilizzare oggi, in politica, il
termine “cattolico” legato a un partito.
Tanto più considerando quanto sta giusto
accadendo nel “mondo cattolico” negli ultimi anni.
In
particolare, dal momento dell’arrivo di papa Francesco.
Oggi, lo sappiamo, la Chiesa sta vivendo un
momento assai difficile, e Colui che dovrebbe essere il simbolo della sua unità
è sotto un attacco fortissimo, anche, o forse soprattutto, all’interno.
Vale a dire persino da una pur assolutamente
minoritaria parte della gerarchia.
Troppo
facile, naturalmente, partire dalla vicenda dell’ex nunzio apostolico negli
Usa, mons. Carlo Maria Viganò, “nemico” di Bergoglio e “amico” di Donald Trump,
il “figlio della luce", cui monsignore ha dedicato la nota “lettera
aperta” del 6 giugno, dopo aver sottoscritto, insieme, tra l’altro, a tre
cardinali e otto vescovi, un appello contro il “Nuovo ordine mondiale”.
Interessante
leggere allora anche solo un pezzo di detta lettera: “…da una parte vi sono
quanti, pur con mille difetti e debolezze, sono animati dal desiderio di
compiere il bene, essere onesti, costituire una famiglia, impegnarsi nel
lavoro, dare prosperità alla Patria, soccorrere i bisognosi, nell’obbedienza
alla Legge di Dio, il Regno dei cieli.
Dall’altra
si trovano coloro che servono sé stessi, non hanno principi morali, vogliono
demolire la famiglia e la Nazione, fomentare le divisioni intestine e le
guerre, accumulare il potere e il denaro:
per costoro l’illusione fallace di un
benessere temporale rivelerà –se non si ravvedono- la tremenda sorte che li
aspetta, lontano da Dio, nella dannazione eterna.
Nella società, Signor Presidente, convivono
queste due realtà contrapposte, eterne nemiche come eternamente nemici sono Dio
e Satana”.
"Per
la prima volta, gli Stati Uniti hanno in Lei un Presidente che difende
coraggiosamente il diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare le
persecuzioni dei cristiani nel mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto
dei cittadini alla libertà di culto….”.
Donald
santo subito, dunque!
Va
segnalato in proposito che l’ex nunzio è noto per essersi scagliato da tempo
contro il Concilio Vaticano II, da lui definito come un “focolaio di eresie”,
che deve essere lasciato cadere in toto, dimenticato.
L’intero
Concilio ha da essere cestinato, a suo dire, mentre taluni suoi amici si
limitano invece a chiedere, bontà loro, che vangano “corretti” singoli errori
di dottrina contenuti nei documenti conciliari.
Ecco,
pertanto, il punto:
questo papa è sotto attacco perché,
ringraziando Iddio, ci sta dando quotidiane lezioni di che cosa significhi
essere “cristiani” oggi, nella società “post-moderna”.
Si
rifà, così, alle definizioni “pastorali”, e non solo, dell’ultimo Concilio,
definizioni che hanno provocato anche un ripensamento della concezione
intellettualistica, manualistica, “scolastica”, della teologia.
Promuovendo
così una nuova teologia che, coniugando “trascendenza” e “immanenza”, tenga
conto della “storia” e del suo evolversi, pur senza dimenticare affatto,
naturalmente, il “fondamento” del cristianesimo stesso.
Una
teologia, nella debita misura, finalmente anche “antropologica”, pertanto.
Il
problema è che questa posizione di Francesco, che finisce con avere
inevitabilmente qualche significativo riflesso sulla stessa politica, è invisa
non soltanto a Viganò & C., ma anche a consistenti gruppi di
cristiano/cattolici conservatori, integralisti, reazionari.
Negli Usa, ma non solo.
Gruppi che riscuotono infatti simpatie anche
altrove, Italia compresa, se non soprattutto.
Negli
ambienti salviniani in particolare, guarda caso.
Così, Francesco è stato ripetutamente
fischiato, il 18 maggio dello scorso anno, in piazza Duomo, a Milano, non
appena il “devoto” ras della Lega (quello del rosario e del Vangelo sbandierati
nei comizi) lo ha nominato.
Ma il problema è anche che, da noi, dicono gli
esperti, quel partito è tuttora il più votato dai “praticanti” cattolici,
quelli che vanno a Messa tutte le domeniche.
Orbene:
è evidente che il sottoscritto non vuole avere nulla, ma proprio nulla, a che
spartire, sul piano dei valori cristiani da tradurre in politica, con detti
ambienti.
Perché
in politica (nella DC, nel PPI, nella Margherita, nel PD) io mi sono sempre
definito “cattolico” sì, ma anche, insieme, “democratico”, non scindendo mai i
due termini.
Certo,
la Dc si definiva partito “di centro”, ma da De Gasperi e da Moro il “centro”
non è mai stato considerato come un’idea statica, immobile nella sua fissità,
bensì come un’idea in continuo movimento.
In
realtà, un centro che ha voluto sempre guardare verso le istanze della sinistra.
Anche in ragione di ciò, e proprio in
conseguenza della mia visione del mondo, della mia concezione antropologica,
della mia cultura politica, io mi trovo più a mio agio (pur non senza qualche
problema) in un partito dichiaratamente di “centrosinistra”, non di centro.
Consapevole
e memore che i partiti che ho frequentato sinora nella mia pur lunga esperienza
politica hanno contribuito, insieme ad “altri”, alla tenuta democratica del
Paese, a provare a realizzare un’economia mista, una società meno crudele di
altre sul welfare, un ancoraggio istituzionale fortemente europeo.
“Insieme ad altri”, dicevo.
Sarà
anche in ragione di ciò che, prescindendo dalla questione diciamo tecnica della
legge elettorale più opportuna, io non disdegno la prospettiva del
“bipolarismo”, oggi.
Non
parlo, dunque, di “bipartitismo” modello anglosassone, che, di fatto, mortifica
la tradizione pluralista.
E non
mi piacciono neppure leaderismo e presidenzialismo, che deprezzano il
pluralismo sociale e istituzionale.
Ma
considero che, pur consapevoli delle forzature del modello iper-maggioritario,
non dobbiamo esorcizzare, come ha ben scritto qualche amico, i problemi e i
costi delle stagioni precedenti, nelle quali elementi di consociativismo hanno
concorso a propiziare l’impennata del debito pubblico e diffuse pratiche
consociative.
Tutto
ciò detto, sull’intera questione, avendoci, come detto, riflettuto, sto
registrando con una certa simpatia i pensieri sul tema apparsi sulla rivista
“Appunti” (organo dell’associazione “Città dell’uomo”, fondata da Giuseppe
Lazzati), a firma, rispettivamente, di Franco Monaco e Filippo Pizzolato.
Assai perplessi entrambi sul partito cattolico
di centro, o come lo si voglia chiamare (ma “meglio pensare a un ambito
circolare, più che centrista, capace di raccogliere suggestioni programmatiche
utili a tutta la popolazione, senza distinzioni oltre a quelle che derivano dai
valori consolidati della civiltà”, ha scritto un aderente all’iniziativa).
Di
Monaco, il quale ha tra l’altro citato la famosa frase di Martinazzoli per cui
“la differenza tra moderazione e moderatismo è uguale alla differenza tra
castità e impotenza”, apprezzo in particolare questo pezzo: (…nella situazione data) …“occorrono scelte di
valore e ricette che sanno di radicalità, non di centro moderato".
Chi ha
provato nel passato a interpretare il centro moderato non ha brillato per
qualità, quantità e persino durata.
Il profondo disagio materiale e spirituale che
affligge la società concorre a premiare le proposte radicali, non quelle
moderate di centro…
Il
problema non è quello di una nuova offerta politica ma della razionalizzazione
di un sistema politico già troppo frammentato.
Serve
semmai una rigenerazione dei partiti attuali”.
“Occorre
concorrere a organizzare un fronte largo e unitario che positivamente
rappresenti un’alternativa politica all’egemonia manifesta e insidiosa di una
destra illiberale, nazionalista e sovranista.
Non ci
possiamo permettere posizioni ambiguamente terziste”.
Pizzolato,
per parte sua, è perplesso sull’idea di fare dei cattolici i “baluardi della
tenuta del sistema”, a guardia di un ordine di cui in teoria continuano a
contestare le ingiustizie, un’oasi roccaforte dell’esistente, votata a una
moderazione che immediatamente viene scambiata per conservazione, una forza di
stabilizzazione posta al centro.
E ricorda che il posizionamento politico dei
cattolici è sempre stato plurale, nonostante le forzature e le convenzioni
storiche.
“Oggi
è perfino inafferrabile e indefinibile”, questo posizionamento.
“Una
volta, il cattolicesimo era la base della cultura popolare e dettava le
scansioni della vita e gli orizzonti del sociale”, ma oggi non è più così.
Con
riferimento, poi, allo slogan dell’ipotizzato nuovo partito: “Antagonisti alla
destra, alternativi alla sinistra” (una definizione che tenta a mio avviso con
difficoltà di non mettere sullo stesso piano il tipo di diffidenza verso i due
gruppi), Pizzolato obietta, ed io condivido, che non si può paragonare il
Partito democratico alla destra di oggi, autoritaria e rozza.
E
segnala altresì che non si possono rigettare tutti i partiti, alla cui storia i
cattolici hanno ampiamente contribuito.
Il rischio, conclude, è quello di uno
svuotamento delle componenti più ragionevoli dei due poli, contribuendo, di
fatto, a una più marcata polarizzazione del Paese.
Avviandomi
a concludere, mi permetto di esternare la mia convinzione che una delle ragioni
(pur non espressamente dichiarata pur se, in fondo, comprensibile)
dell’avversione dei fautori del nuovo partito al Pd abbia a che fare in qualche
misura con la questione dei cosiddetti (una volta) “valori non negoziabili”,
ben noti ai cattolici praticanti.
Irrita cioè, a me pare di poter dire, il
“laicismo” di una parte dei piddini, la cui rappresentante “simbolica” può
essere individuata in Monica Cirinnà (ci capiamo).
Sul
tema, da anzianetto, oso allora fare le seguenti considerazioni:
ho vissuto i tempi dei referendum del 1974 sul
divorzio e di quello sull’aborto del 1981.
Io, allora giovane militante dc “al fronte”,
votai (ovviamente?) contro entrambi gli istituti, impegnandomi anche di persona
nell’agone, diciamo, elettorale.
E fui
sorpreso, come buona parte dei cattolici, credo, dall’esito di dette
consultazioni: nella “cattolicissima” Italia di allora, con una Chiesa ancora,
diciamo, forte nella società, e il partito “d’ispirazione cristiana” con grandi
posizioni di potere, il divorzio fu approvato da circa il 60% dei votanti, e,
sette anni più tardi, l’aborto (argomento ovviamente ben più delicato e
problematico che non il divorzio) ottenne il favore di ben il 70% dei
partecipanti.
Il fatto è che è la “secolarizzazione” (non
tutta, certo, da disprezzare, anzi!) era avanzata già allora, e la gerarchia
cattolica, e gli esponenti di peso della DC (come dimenticare le battaglie di
Amintore Fanfani?) non se n’erano sufficientemente accorti.
Dopo,
sono arrivate le “unioni civili”, anche per le coppie omosessuali (io, che
resto peraltro consapevole che le persone vanno comunque sempre rispettate,
m’infastidisco un poco quando dette unioni vengono paragonate tout-court, di
fatto, ai “matrimoni”).
Oggi impazza la questione del “gender”, così
che la differenza tra uomo e donna, ritenuta una volta un dato essenziale e
imprescindibile della natura umana, è posta in discussione dalla più recente
cultura sessuale.
Ora c’è in ballo la proposta di legge
sull’omotransfobia, che taluni temono diventi un bavaglio alla libertà
d’espressione e di opinione e apra la strada a pericolose derive liberticide.
E
intanto le famiglie si sfasciano, i matrimoni durano poco, e non si fanno
figli, è il …” refrain”.
Oggi, ancora, grazie anche a internet
(strumento straordinariamente positivo se si è in grado di dominarlo e di non
farsi Invece plagiare), abbonda tra l’altro la pornografia, anche nell’orribile
versione pedopornografica, veicolata facilmente, appunto, attraverso gli Phone,
gli Jpad, eccetera, con le possibili conseguenze che sappiamo sui ragazzi.
Sui telefonini, negli ultimi anni, c’è anche
l’esplosione delle icone per i “siti di incontri”, per single e non.
E la “qualità” di molti programmi TV è quella
che sappiamo. I
n
proposito non possiamo dimenticare il ruolo delle televisioni di Silvio, le
prime a “sfruttare” il momento della “liberalizzazione” del sistema televisivo
e a “guastare” il clima.
Un Berlusconi che certi buoni centristi
cattolici definivano “cattolico non comunista" (inviso, conseguentemente,
ai “cattocomunisti”!).
Mia
impressione è che per certi cattolici, che magari auspicano un’illusoria ed
impossibile ritorno al passato, questo “marciume” (scusate il termine
“moralista”) è attribuibile in gran parte alla responsabilità dei… “comunisti”
(o ex), del ’68 e dei post sessantottini, dei radical-chic di sinistra, e via
discorrendo.
Gente che vota prevalentemente “a sinistra”,
dunque, e pertanto anche il Pd.
Ecco un’altra ragione, oltre alle altre più
squisitamente politiche, per ritenersi, ci allora, ci dicono, “alternativi”
alla sinistra.
Io,
invece, ho quest’opinione: i “comunisti” (passati e presenti) c’entrano poco.
E non lo dico soltanto perché, avendo fatto
(provenendo da una famiglia “proletaria”) il sindaco DC per anni, decenni
orsono, con i “comunisti” all’opposizione, io ho sempre registrato che su non
pochi valori, diciamo, cattolici” non c’erano grandi differenze tra democristiani
e “compagni” di allora.
Mia
convinzione, semmai, è che la situazione attuale, in Italia e nel mondo
occidentale in genere, è figlia della cultura che via via negli ultimi decenni
è stata inoculata in particolare dai “media” e da certi “poteri” sempre alla
ricerca dell’obiettivo di “far soldi”.
Comunque,
e tanti.
Gli adoratori del dio-denaro.
Stiamo
poi registrando anche i disordini, lo squilibrio e i gravi danni causati dal
predominio incontrollato della finanza sull’economia reale.
C’è bisogno allora, senza scomodare certo Karl
Marx, di una fase di profondo ripensamento del “sistema” che abbiamo costruito,
caratterizzato tra l’altro da un iperconsumismo in ogni campo.
Un
sistema che ha oltretutto aggravato non poco le differenze sociali: i ricchi lo
sono diventati di più, e così i poveri.
Un ripensamento che ci consenta di riparare
almeno in parte i guasti sopra accennati.
E, in questa impegnativa operazione, i
cattolici, perlomeno quelli sufficientemente sensibili, possono riavere, certo,
un ruolo significativo, pur militando magari in raggruppamenti politici
diversi.
Tornando
all’immediato, io confermo in ogni caso, per parte mia che, pur con le
perplessità accennate, non mi trovo particolarmente a disagio nel PD, e non
intendo cambiare.
Anche
perché sono convinto sia alla fine “giusto”, per uno come me, stare nell’area
complessiva del centrosinistra (ma non ho più spazio, qui, per parlare anche
del rapporto del centrosinistra con la “sinistra” tout court), i cui valori
sono in buona parte alternativi, come ho accennato, a quelli del centrodestra,
e come tali sono riconoscibili nella lotta alle diseguaglianze, alla povertà,
per la giustizia, per la libertà e la dignità delle persone, immigrati
compresi, per la sussidiarietà, per il lavoro, per il welfare.
Una
posizione, in ogni caso, che certo non impedisce ai cattolici di questa parte,
ribadisco, di accordarsi, su singoli punti (ne ho giusto citati taluni, in
questa mia), con quelli dell’altro fronte.
Per
concludere (finalmente) davvero, segnalo che faccio allora mia la domanda che
già si sono posti altri amici:
può
l’area del centrosinistra, con tutti i limiti e le contraddizioni che la
caratterizzano, evolvere fino al punto da unificare, pur nelle specifiche
diversità, questa grande area, nella convinzione che tutto ciò non solo è un
valore in sé ma anche la condizione per vincere la destra e per governare?
Un’ultimissima
frecciatina, in quanto tale inevitabilmente maliziosa: io sono consapevole di
aver l’obbligo di rispettare comunque anche quei leader di destra e dintorni,
locali e mondiali (i riferimenti non sono casuali) che hanno la tendenza,
discutibile, di mostrarsi in pubblico da “devoti”.
Rispettarli
sì, sperando però di non scoprire che si tratta di “cultori” della filosofia
che va sotto il nome di...” vizi privati, pubbliche virtù”.
(VINCENZO
ORTOLINA)
COS’E’
IL DEEP STATE.
Macrolibrarsi.it
– Cosimo Massaro – (7-8-2022) – ci dice:
Alcune
pagine del libro “Scontro Globale” di Cosimo Massaro.
Per
comprendere al meglio le dinamiche degli eventi che ci circondano, anche in
questo caso, entriamo nel significato profondo della locuzione "Deep
State", oggi di uso quotidiano.
La sua
traduzione letterale è "Stato Profondo".
Ma
cos'è questo stato profondo?
Semplicemente
è uno Stato (decisionale), dentro uno Stato (di facciata), dove si prendono
tutte le decisioni, che in seguito i burattini della storia mettono in atto.
Forse
si tratta di un sistema operativo moderno? Assolutamente no.
Questo
sistema è sempre esistito e ce lo fa notare il citato Honoré de Balzac quando
scriveva:
"Vi
sono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che ci viene insegnata ad
"usum Delphini" e la storia segreta, dove si trovano le vere cause
degli avvenimenti, una storia vergognosa."
Questa
sua frase, ci fa comprendere, che c'è sempre stata una storia apparente, quella
usata appunto ad "usum Delphini".
Locuzione
latina, che sta a rappresentare quella "falsa storia' insegnata al
"Delfino del Re", cioè il primogenito del Re di Francia.
Questa
falsa storia di facciata, scritta dai vincitori è oggi ben rappresentata dalla
propaganda quotidiana divulgata dall'informazione ufficiale, che diventerà la
futura "storia" che lasceremo ai posteri, qualora dovessimo perdere
la guerra finale.
Dall'altra
parte, invece, vi è quella "storia vergognosa" dove si decidono le
sorti degli avvenimenti.
Il
lato oscuro.
In
pratica il "Deep State' rappresenta il lato oscuro dell'inconscio profondo
della nostra coscienza collettiva, che fa uscire il peggio a livello sociale.
Si
dovrebbe consapevolizzare, l'importanza delle decisioni prese singolarmente,
attraverso la legge universale del libero arbitrio, perché sono in grado di
modificare quella coscienza collettiva, oggi sbilanciata verso le forze oscure
rappresentate dal "Deep State".
Mahatma
Gandhi disse "Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo".
Le
forze oscure, serpeggiando, hanno preso il sopravvento sulla nostra vita
quotidiana, grazie all'opera messa in atto dai suoi centri di potere nascosti,
che hanno lavorato per secoli nell'ombra.
In più
di duemila anni, sono state tante le sette segrete che hanno cospirato per
invertire l'ordine naturale delle cose e per distruggere il messaggio che Gesù
Cristo ha voluto lasciare all'umanità.
Il
Deep State culturalmente cosa rappresenta?
Da
dove nasce?
È il
frutto di quale espressione filosofica?
A
tutte queste domande dobbiamo dare delle risposte se vogliamo veramente capire
cos'è questo stato profondo che sta dominando il mondo.
Per
consapevolizzare meglio il tutto, inizierei ad analizzare la filosofia che è
alla base del suo operato e in secondo luogo le organizzazioni che hanno
concretizzato i piani del Deep State per arrivare al raggiungimento del NWO
(New World Order).
Cercherò
di sintetizzare duemila anni di storia in alcuni passaggi fondamentali.
Il
pensiero filosofico alla base del Deep State.
Partiamo
da un presupposto contrario per capire meglio.
Sicuramente
il Deep State ha da sempre osteggiato fortemente il pensiero cristiano
cattolico e il suo messaggio fondante dell'"Ama il prossimo tuo come te
stesso", essendo una élite dominante, altamente egoistica e incurante del
benessere del prossimo.
A
questo punto, basta capire quali sono le filosofie che, in oltre duemila anni
di storia, si sono contrapposte al messaggio cristiano, sposando la pura
cultura di Lucifero.
Nella
terza tentazione, il Diavolo mostrò a Cristo tutti i regni del mondo con la
loro gloria e gli disse: "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi
adorerai". Gesù ovviamente si rifiutò.
Quelle
poche famiglie, che oggi dominano il mondo si sono prostrate a Satana.
Da
questo punto di vista Satana è una persona seria e mantiene sempre le promesse
fatte a fin di male, solo che in cambio ha voluto le loro anime.
La
Moneta di Satana.
Uno
degli strumenti principali che il demonio ha concesso ai suoi adepti, è
appunto, "La Moneta di Satana", cioè quella moneta debito, con la quale
l'élite finanziaria è riuscita a schiavizzare tutti i popoli del mondo.
Lo
studio della moneta come filo conduttore che ha solcato il tempo, segnando la
storia fino ai giorni nostri, ci permette di avere una prospettiva
completamente diversa della storia che ci hanno fatto sempre studiare sui
principali libri di scuola.
È
necessario capire cosa sia la realtà materiale e spirituale della moneta, per
consapevolizzare il valore della vita e di tutto quello che ci accade intorno.
Che
oggi ci siano poche famiglie che dominano tutto il mondo è un dato di fatto, lo
negano solo coloro che sono parte integrante del sistema, i cosiddetti
"agenti", per dirla alla "Matrix" e tutti coloro che vivono
la propria vita inconsapevolmente.
Questi
uomini, gli adoratori di Mammona, hanno invertito l'ordine naturale delle cose
insito nel concetto filosofico creazionista, che possiamo sintetizzare in
questi sostanziali punti:
Esiste
un Dio creatore di tutte le cose visibili e invisibili.
Tutta
la creazione è stata messa a disposizione dell'uomo.
L'uomo
ha avuto il compito di gestire il creato con parsimonia e senso di giustizia
secondo i comandamenti di Dio.
La
società cristiana, di conseguenza, in virtù di questi punti fondanti ha preso
la seguente forma:
Sottoposto
al potere di Dio, troviamo il potere morale, rappresentato dagli uomini di
Chiesa, che avevano il compito di infondere i valori cristiani nella società.
Sottoposto
al potere morale, troviamo il potere politico, rappresentato da Re, Regine,
Principi e Imperatori con il compito di legiferare, difendere il proprio
territorio e gestire l'economia per il benessere di tutti.
Sottoposto
al potere politico, troviamo il potere economico, rappresentato dai primi
banchieri e dai ricchi commercianti i quali dovevano operare con parsimonia,
evitando l'usura, altamente condannata e gestire quella primordiale finanza
senza speculazione.
Il
potere dell'economia.
Il
potere economico aveva il dovere morale di utilizzare la moneta nella sua
qualità di strumento, per assolvere solo alla sua funzione di mezzo di scambio
per il pagamento delle merci e dei servizi e non per quello dell'usura.
Naturalmente,
con questo breve quadro, non intendo affermare che il mondo antico era
perfetto, ma aveva sicuramente dei valori fondanti, basati sulla cultura
cristiana, che nel bene e nel male, contribuirono a fondare una società
affascinante e ricca che ci ha lasciato tanto, da tutti i punti di vista.
L'inversione
della piramide dei valori culturali, ad oggi è frutto di varie filosofie che
nel tempo hanno preso il sopravvento.
Tra
questi pensatori, troviamo sicuramente Friedrich Wilhelm Nietzsche, il quale ci
ha voluto "insegnare", secondo il suo pensiero "nichilista
attivo", che nel mondo occidentale, ormai, "Dio è morto" e che i
vecchi valori tradizionali, sui quali si era costruita l'Europa e l'Occidente,
erano ormai obsoleti, pertanto dovevano essere sostituiti, dalla modernità, dalla
scienza e dalla tecnologia.
Oltre
al nichilismo, un forte impulso al cambiamento sociale è giunto anche dal
"relativismo", un mondo dove tutto è relativo e non esiste più nessuna Verità.
Pensiero
fortemente criticato anche da Papa Benedetto XVI che affermò: "Avere una fede
chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come
fondamentalismo.
Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ''qua
e là da qualsiasi vento di dottrina'" appare come l'unico atteggiamento
all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo
che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il
proprio io e le sue voglie."
Nella
lista delle filosofie contrapposte alla tradizione, troviamo anche il
"Modernismo" nato con l'intento di far adeguare e conciliare le
proprie idee e esigenze, alle fasi di sviluppo del progresso nel tempo in cui
si vive.
Da
tale pensiero si sviluppa anche il "Modernismo cattolico", sorto alla
fine del XIX secolo, mirato a conciliare la rivelazione neotestamentaria, con
le correnti filosofiche, sociali e politiche del momento.
Tale movimento fu condannato come eretico da
papa Pio X nel 1907.
In
conclusione, aggiungiamo il "Progressismo", estremo difensore e
acceleratore dell'evoluzione della società, pensiero sposato pienamente dalla
"politica di sinistra",
troviamo il "liberismo economico", fondato
sul dogma del "dio mercato" (produzione e commercio) dove
l'intervento dello Stato è ammesso soltanto nei casi in cui l'iniziativa
privata non riesce a soddisfare le esigenze della collettività e infine troviamo l'attuale
"neoliberismo economico" che promuove la deregolamentazione e la
libertà di mercato senza nessun limite con la totale esclusione dello Stato.
Dopo
questa brevissima carrellata, dove sono state citate solo alcune delle correnti
filosofiche che hanno maggiormente inciso sulla costituzione della società
moderna, possiamo
evidenziare come la piramide dei valori culturali, si sia oggi invertita
rispetto a quella basata sui valori della tradizione.
Oggi
all'apice dei valori moderni, avendo spodestato il Dio creatore dal suo posto,
appunto perché, secondo l'attuale cultura ''Dio è morto", è stato facile
sostituirlo con un altro dio; il dio Mammona.
Un
falso dio, che esalta il ruolo della moneta come strumento usuraio, funzionale
solo all'arricchimento egoistico, utile al raggiungimento dei lussi e dei
piaceri personali, incurante del bene comune.
"Nessuno
può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si
affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro.
Non potete servire Dio e Mammona" Gesù
Cristo
(Matteo 6,24-34).
Evidenziamo
i punti sostanziali dell'attuale scala dei valori invertiti della società
moderna.
Al
primo posto troviamo il dio denaro, Mammona, adorato dall'élite al potere.
Al
secondo posto troviamo l'élite finanziaria.
L'usurocrazia
internazionale apolide, rappresentata da quell'1% della popolazione che domina
sul restante 99% e che impone il suo volere attraverso la sua moneta debito e
la finanza speculativa per raggiungere il dominio sui popoli.
Al
terzo posto troviamo il potere economico, che impone i suoi voleri alla
politica dei vari Stati, attraverso le sue istituzioni sovranazionali come FMI,
Banche Centrali, WTO (Organizzazione mondiale del commercio), Bilderberg,
Commissione Trilaterale, OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e tante
altre.
Al
quinto, che eseguono direttive funzionali, troviamo il potere politico, burattini sottoposti al potere
economico monetario e a quello delle istituzioni sovranazionali interessi
dell'élite dominante e non per quelli del popolo che dovrebbero rappresentare.
Al
sesto posto troviamo i popoli:
frutti
da spremere come i limoni per gli interessi dei dominatori.
IL DIO
DENARO, SIMBOLO
DI
TUTTI I POTERI.
Tragicomico.it
-il blog di Ivan Petruzzi – (9 Gennaio 2023) – ci dice:
“Il
dio denaro permette l’impossibile;
Il dio
denaro può anche far comprar l’amore;
Il dio
denaro consente la mia istruzione;
Il dio
denaro distrugge tutti gli altri dei;
Il dio
denaro è un dio speciale
Fatto
di carta e presunto potere.”
(Bluvertigo, “Il Dio denaro”)
Fin
dalla più remota antichità, nulla turba e affascina il genere umano più del
denaro.
Un
autentico emblema di una mondanità edonista che sovrasta tutto ciò che, per
converso, si protende a fatica verso l’avanzamento spirituale della specie alla
quale apparteniamo.
Il
denaro, in tutte le sue varianti, è percepito come massima fonte di corruzione
per il genere umano, tanto nei testi sacri ebraici e cristiani, quanto nelle
antiche religioni indoeuropee, come l’induismo, che vedono nell’adorazione
della moneta il segno inevitabile della decadenza dei tempi e di un
ribaltamento morale dei valori ascetici.
Persino
Goethe, nel suo celebre “Faust”, descrive con disprezzo l’ideazione della
moneta, percependola come la summa di tutti i mali del mondo, concepita da
Mefistofele in persona per gettare nel caos l’umanità intera e per farla
deviare dai suoi fini naturali.
L’ossessione
per il denaro è radicata in ogni tradizione filosofica, politica e religiosa
esistente, proprio perché la moneta rappresenta l’elemento principe in grado di
traslare ciò che, di fatto, è un semplice mezzo, a fine supremo dell’esistenza.
Di per
sé privo di qualunque connotazione ideologica e di qualunque valore morale, il
denaro è stato ideato per facilitare gli scambi e le transazioni tra gli esseri
umani e per fungere da sostituto per una serie di beni e servizi, in sede di
scambio.
Molto
più comodo e agevole del baratto, il denaro non è altro che uno strumento che
ci permette di fare acquisti e transazioni senza dover per forza offrire in
cambio beni e servizi di svariata natura al venditore di riferimento.
Se
provassimo ad immaginare un mondo privo di denaro, comprenderemmo
immediatamente come la sola idea di procurarci un semplice maglione, porti in
dote la necessità di offrire a colui che produce e vende il suddetto capo
d’abbigliamento una gamma di beni o servizi di egual valore, o di suo
gradimento.
Facendo
riferimento al denaro, per converso, possiamo acquistare un maglione
trasferendo qualcosa di impalpabile e poco ingombrante, che consente al
commerciante di essere scambiato, in seconda battuta, con altri beni o altri
servizi, senza il bisogno di produrre noi stessi quei determinati beni o quei servizi.
Se il
denaro non è, dunque, di per sé una pessima invenzione, da dove nasce questa
idolatria continua, destinata a soffocare tutto ciò che è puro e dotato di
valore morale?
Come
spesso accade, la venerazione del denaro nasce dal fatto che l’essere umano si
trova incapace di comprendere la differenza tra mezzo e fine e tende a
perseguire tutto ciò che gli procura un senso di (falsa) potenza, persino se
inespressa.
Quando
poniamo il denaro al centro del nostro agire, ci stiamo allontanando dalla sfera
ontologica nella quale la moneta è stata concepita, per raggiungere un’idea
distorta di potere che ci eleva sopra i nostri simili.
“Il
denaro non è il demonio; il “demonio”, tutt’al più, è la stupidità tutta umana
di considerarlo un fine quando è nato per essere strumento, la follia è farsi
abbagliare dalle sue lusinghe al punto da farsene fagocitare, perdendo il senso
dei ruoli e delle proporzioni.”
(Dal mio libro “LIBERI DENTRO, LIBERI
FUORI”)
Tendiamo
ad accumulare molto più denaro di quanto ne possiamo spendere, perché l’idea di
possedere ingenti ricchezze ci apre un mondo immaginario, in cui tutto è
possibile e in cui ci ergiamo a sovrani di un universo privo di reali
riferimenti morali o estetici.
Il denaro diventa dunque il fine ultimo di un
agire che non porta in sé valore alcuno, se non quello di accumulare ricchezze
che non vengono spese (se non malamente) e che non procurano piacere alcuno, se
non in quella vaga illusione di potenza derivante dal sentirsi “più ricchi” (e
dunque migliori) dei nostri simili.
Quando
il dio denaro si impadronisce delle nostre menti, tutto risulta invertito e
innaturale: così come il mezzo diventa fine, la conseguenza diventa causa.
Presi
dal desiderio di accatastare denaro, dimentichiamo spesso che i soldi sono una
conseguenza di quello che facciamo e non la causa suprema del nostro agire.
I soldi dovrebbero rappresentare una
ricompensa e un riconoscimento per il lavoro che svolgiamo, per le opere che
creiamo o per i servizi che prestiamo, non un obiettivo da raggiungere ad ogni
costo.
E
invece, offuscati da una mentalità postmoderna che ha fatto della corruzione il
suo mantra, ci troviamo spesso intenti a intraprendere un’attività con l’unico
scopo di ricavarne denaro.
Lavoriamo, ci mostriamo mezzi nudi, scriviamo
libri, componiamo musica, elargiamo corsi di ogni tipo, discutiamo online e
creiamo siti web non con l’intento di comunicare qualcosa di salvifico, ma
sulla scia di vacue ricerche di mercato e di mode passeggere da cavalcare.
Se
l’asservimento assoluto al dio denaro è spesso celato e latente nel sentimento
comune, esso si manifesta in modo lampante quando viene rivolto al versante
politico e sociale dell’esistenza.
“Fare
il politico” è ormai diventata una (remunerativa) carriera, che spinge orde di giovani
in direzione di un’attività pubblica finalizzata all’ottenimento del tanto
agognato vitalizio, di pensioni a svariati zeri e di quel senso di onnipotenza
tipico di chi guadagna cifre tali da fare impallidire un operaio.
Ne
consegue, non solo la morte della politica, intesa come arte di derivazione
greca rivolta alla corretta gestione della polis, ma anche l’asservimento della
dimensione sociale a tutte quelle entità e a quegli organismi che finanziano la
politica stessa.
Se la
politica è dunque ormai un triste sottoinsieme dell’economia e uno specchio
fedele di un tessuto sociale votato in direzione di un becero arrivismo,
riusciremo forse a salvarci dal tracollo morale assoluto, nel momento stesso in
cui ricominceremo a ricondurre il denaro alla sua naturale sfera
d’appartenenza, relegandolo al ruolo di semplice mezzo che gli compete.
“Può
essere bene avere il denaro e le cose che il denaro può comprare, ma è bene
anche, ogni tanto, controllare ed essere sicuri di non aver perso le cose che
il denaro non può comprare.”
(George Horace Lorimer)
Ricominciare
a produrre arte e cultura, a vivere in maniera autosufficiente e sostenibile, a
discutere, a confrontarci, a ritagliarci spazi per la nostra coscienza e a
esistere senza la lunga ombra del dio denaro, è forse l’unica possibilità a
nostra disposizione per riappropriarci di tutto ciò che la folle rincorsa al
guadagno ci ha sottratto, per tornare all’origine della vita stessa e per
riportare umanità e uguaglianza tra cifre e monete.
Per
abbattere il simbolo di tutti i poteri dobbiamo necessariamente tornare
all’essenza delle cose, considerare la ricchezza non un fattore economico, ma
spirituale;
bisogna
essere ricchi di spirito, di inventiva, di amore, per un senso di appartenenza
verso il prossimo che travalichi l’avidità per il denaro.
C’è il
bisogno di spogliare questo dio dal suo ruolo assolutistico, ossessivo e
dominante, di smantellare la sua religione mondana fatta di illusioni, promesse
e oggetti luccicanti.
Soltanto
così l’uomo potrà vivere tempi nuovi, tempi all’insegna di valori, come il
piacere di fare e dare senza tornaconto, che lo renderanno veramente degno di
quel dono incommensurabile che è la vita.
(Il
blog di Ivan Petruzzi)
La
fine della sovranità. La dittatura del denaro
che toglie
il potere ai popoli.
Ibis.it-
Alain de Benoist – (10-2-2020) – ci dice:
Quella
attuale è una crisi contrassegnata dalla completa emancipazione della finanza
di mercato, dall'economia reale e dall'indebitamento generalizzato.
Il
capitalismo non riconosce alcun limite e neppure alcun ostacolo politico,
etico, sociale o economico, e uno dei suoi effetti diretti è stato
l'affidamento del potere concreto ai rappresentanti di Goldman Sachs e di
Lehman Brothers.
Vanno
in tal senso anche le decisioni prese dall'Unione europea con il Meccanismo
europeo di stabilità (MES), il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la
governance (TSCG) e il Partenariato transatlantico sul commercio e sugli
investimenti (TTIP), che equivalgono a un totale esproprio di ciò che rimaneva
della sovranità delle nazioni.
I
parlamenti nazionali - palesemente subalterni, e quindi complici - si vedono
amputare una delle loro principali ragioni d'essere:
il
potere di decidere le entrate e le spese dello Stato, ruolo ormai trasferito
alla Commissione
europea,
mentre i contenziosi tra gli Stati diventano ormai di competenza della Corte di Giustizia dell'Unione
europea,
così come la totale deregolamentazione del commercio euroatlantico, nel
perverso connubio con gli interessi della NATO, porta alla mercificazione
dell'economia.
In tal modo, l'intera Europa viene posta sotto la
tutela di una nuova autorità, priva di qualsiasi legittimità democratica, che assegna il potere ai mercati
finanziari, rendendoli completamente liberi di imporre il loro volere.
Una dittatura del denaro, che toglie la sovranità ai popoli.
(Alain
De Benoist-Recensione)
L’unione
delle migliori menti
per
combattere l’ineguaglianza sociale.
Linkiesta.it
- Boris Pahor –(30 giugno 2022) – ci dice:
Nella
sua autobiografia scritta con Cristina Batticletti, l‘autore sloveno Boris
Pahor recentemente scomparso spiega che bisogna organizzare una società
intelligente, in cui ciascun uomo trovi una posizione dignitosa e valida,
perché il consumismo e l‘attaccamento malsano al denaro conducono di nuovo alle
dittature dei pochi sui molti.
Intellettuali,
poeti, economisti, scienziati unitevi!
Solo
voi potete dare una soluzione politica all’ineguaglianza sociale, promuovendo
principi umanitari universali.
Dopo
decenni di denuncia del crimine d’inquinamento, che i governi a lungo hanno
bollato come fantasie, i grandi della terra alla fine hanno dovuto riconoscere
il disastro che attanaglia il pianeta dal punto di vista ecologico.
Abbiamo
preso coscienza che dobbiamo difendere i nostri diritti primari a respirare
un’aria pulita, a mangiare del cibo sano, a trovare un ambiente non degradato.
Condividiamo
un destino planetario, quello di una Terra che divenga patria di tutti noi,
come sostiene il filosofo Edgar Morin.
Dobbiamo
pensare a un mondo senza frontiere.
E perché sia più giusto è giunto il momento
per noi tutti di ribellarci alla dittatura del denaro.
La
schiavitù al capitale, agli oggetti ci ha reso disumani.
A cosa
è servito combattere il fascismo se abbiamo perso la nostra umanità? Abbiamo
dimenticato le grandi battaglie vinte contro le dittature del Novecento? Siamo
un continente senza memoria.
Oggi
il nostro sistema di welfare è in crisi e alimenta la protesta in Europa.
La cartina di tornasole del buon funzionamento
di uno Stato è quella del mondo del lavoro:
un paese sano è quello in cui non ci sono
scioperi perché significa che il salario è giusto e i servizi pubblici
funzionano bene, come accade negli Stati socialdemocratici del Nord Europa,
dove i datori di lavoro hanno accettato di guadagnare meno per garantire agli
operai una vita dignitosa.
Oggi
la nostra società si è incrinata, i principi su cui abbiamo basato la nostra
esistenza e la nostra politica rischiano di essere cancellati da una finanza
spregiudicata.
Il
capitalismo finanziario è molto diverso da quello produttivo, è il suo
parassita perché dirotta i capitali nella speculazione.
Dobbiamo
organizzare una nuova sorta di resistenza che cambi il corso perverso della
politica attuale, il laissez-faire che ha portato avanti solo alcuni e lasciato
indietro molti.
Ormai
il capitalismo nella nostra società è proliferato in maniera insana.
Domina
l’egemonia del profitto, il predominio delle lobby finanziarie che svuota di
fatto la nostra democrazia, perché l’oligarchia schiaccia chi non ha più
nemmeno la forza del lavoro.
Devono essere perfezionate le leggi che
vietano i monopoli e gli oligopoli sotterranei.
La disoccupazione, lo sfruttamento, il mancato
accesso alla sanità sono stati il minimo comune denominatore delle rivolte dei
paesi nordafricani delle Primavere arabe, dei cacerolazos dell’Argentina, dei
rivoltosi cileni, degli indignati spagnoli e greci.
Dobbiamo
svegliarci, chiarirci le idee. L’atteggiamento di chi spacca gli autobus, le
vetrine dei negozi e brucia automobili, come è accaduto nelle manifestazioni
dei Gilet gialli in Francia, è condannabile.
Altrettanto
quello di chi sfila con i vestiti da deportato del regime nazifascista per
reclamare il suo diritto a non essere vaccinato contro il Covid-19, un insulto
per chi, come me, quella casacca l’ha dovuta indossare.
Ma
sono gesti di insofferenza da interpretare.
Si
deve esecrare la violenza, ma anche chi l’ha provocata, chi scatena la
diseguaglianza.
Sfondare
i negozi non rende chi agisce diverso dai delinquenti e dagli estremisti.
Vandalizzare
è sintomo di inciviltà, ma certo comprendo, anche se non giustifico, questi
atti estremi, perché nessuno ascolterebbe un uomo che gira con l’immagine di
Cristo nella folla a ricordare la fratellanza.
Sono
in tanti a patire, soprattutto dopo questa pandemia, che ha reso ancora più
aspre le condizioni e acuito la frustrazione di chi non ha avuto successo nella
vita privata e professionale.
Se la ricchezza venisse distribuita, invece di
essere concentrata nelle mani di pochi, si potrebbe saziare un mucchio di gente
che non ha nemmeno il pane.
Lo ha detto papa Francesco e l’ho proposto
anche io più modestamente quando sono stato ospite del Parlamento europeo nel
2014.
Ho
avvertito i deputati: «Se continuiamo così andiamo alla distruzione completa».
Il
problema è ancora il dominio dell’uomo sull’uomo, simile a quello che si è
scatenato nelle dittature del Novecento.
Solo che ora si esprime attraverso la
proprietà delle cose.
Spogliare
gli altri uomini del possesso dei beni necessari significa privarli della loro
dignità e renderli schiavi.
Il
capitalista sfrenato è un dominatore.
In
Italia sono milioni le persone che la mattina e la sera si mettono in fila per
ricevere un pasto dalle organizzazioni di carità e così anche nella mia
Slovenia.
È vergognoso che questo accada, non solo per
chi ha fede, ma per chi crede nell’essere umano.
L’aiuto,
il sostegno, la solidarietà reciproca sono sentimenti antichi e istintivi, ma
oggi sono in disuso.
Il
globalismo, che ha indubbi lati positivi nell’aver coinvolto nel progresso una
fetta sempre più larga di popolazione, dando accesso a una migliore sanità e
all’alfabetizzazione, ha però portato con sé una logica del profitto feroce.
Dobbiamo
imparare la lezione del passato:
l’Europa,
dopo aver elaborato l’Illuminismo, ha partorito i totalitarismi occidentali del
XX secolo, in cui i grandi possidenti hanno finito per appoggiare il nazismo
per la paura del comunismo.
Ma
anche questo non è un fenomeno nato da solo, è il risultato dei nazionalismi,
sviluppatisi nell’Ottocento in Europa.
Per
questo dobbiamo stare attenti e mantenere viva la memoria.
Quando si agitano i nazionalismi e i
sovranismi dobbiamo pensare bene a quali conseguenze hanno portato.
Prima
di me è stato l’amico Hessel a sostenere che bisogna ribellarsi.
Hessel,
che ha lavorato per il segretariato generale dell’ONU ed è stato uno dei
principali redattori della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”,
nel 2010 ha scritto un volumetto in francese dal titolo” Indignatevi!”,*
tradotto poi in italiano, che ha venduto tre milioni di copie in trenta paesi.
In
quelle pagine invitava la popolazione a prendere coscienza che il nostro è,
grazie alla globalizzazione, un destino planetario, suggerendo una rivoluzione
pacifica, intelligente.
La
rivoluzione pacifica non c’è stata e non è in atto ora.
Ma si
può e si deve indignarsi sempre, perché l’indignazione, insegna Hessel, è il
principio alla base della Resistenza e non possiamo rischiare di perdere le
conquiste raggiunte dopo la guerra in Europa:
le
pensioni per un diritto a una vecchiaia dignitosa, una stampa indipendente,
l’istruzione per tutti senza discriminazioni.
Non è
possibile, spiega Hessel, che non ci siano più i fondi per mantenere queste
conquiste sociali.
Li
abbiamo trovati nel momento di massima povertà, quando tutto era distrutto.
A
maggior ragione oggi che la produzione di ricchezza è fortemente aumentata,
possiamo reperire il denaro sufficiente.
La
rivolta è cosa seria e non ha nulla di improvvisato:
per fare una rivolta ci deve essere una
preparazione e un’organizzazione razionale, come inizialmente l’aveva pensata
la rivoluzione comunista per arrivare a creare un’economia in cui i lavoratori
dovevano essere sovrani.
Io non
sono mai stato comunista, ma ne ho apprezzato l’intento nel suo basilare sforzo
genuino di battersi perché il lavoratore ricevesse la paga che meritava e non
il minimo della retribuzione.
Io condanno il comunismo quando diventa
dittatura, quando, raggiunta la maggioranza, scavalca il lavoratore.
Il
comunismo di Marx non dice di andare a rubare, ma alla fine anche i comunisti
hanno seguito, senza confessarlo, il catechismo anarchico, che ammette ogni
mezzo per distruggere la società malvagia.
Di
fatto ha ammesso il furto, perché Lenin e Stalin, i capi stessi della
Rivoluzione, hanno rubato il potere al popolo.
Hanno iniziato già il loro percorso politico
con un amoralismo, una mancanza di etica.
La rivoluzione sovietica invece di rinnovare
il sistema ha solo sostituito lo zar con la dittatura comunista. I
l
bolscevismo era un movimento nuovo, in mano agli operai, ma purtroppo non è mai
stato degli operai.
Oggi
non c’è la dittatura del capitale, ma quella del denaro.
L’attaccamento al denaro è come una malattia
del corpo.
La
tendenza a dominare è connaturata nell’uomo: accadeva già nel Vecchio
testamento, Caino e Abele ne sono l’esempio.
Anche
se allora il denaro non era stato inventato era evidente il concetto di
sottomissione.
Albert
Camus diceva di non credere in Dio, ma nemmeno nella Storia, perché nella
Storia rimane traccia solo dei dominatori: Alessandro, Napoleone, Mussolini,
Hitler sono accomunati dalla stessa sete di potere.
Morti
“gli Alessandri” sono i loro figli a dividersi la torta, creando dei domini
minori, ma pur sempre domini.
Una
volta una ragazza di tredici anni mi chiese perché i nazisti non uccidevano noi
prigionieri immediatamente: «Semplice desiderio di sopraffazione», le risposi.
Ci
consumavano come cartucce fino all’ultimo grammo di energia e poi morivamo per
consunzione.
Oggi
di che cosa ha bisogno l’uomo per dominare? Di denaro.
E la
versione contemporanea di dominio è rappresentata dai tanti che silentemente
prendono il comando del mondo, dalla loro bella casa guadagnano speculando sul
denaro e nessuno conosce il loro nome.
Io non
accosto il nazismo al capitalismo, ma condanno il capitalismo perché fonda la
società sull’inclinazione dell’uomo a sopraffare l’altro, invitando alla lotta
tra gli esseri umani per avere di più.
Uno
dei nodi focali di questo fenomeno è il consumismo.
I
centri commerciali hanno ucciso i piccoli esercizi e i negozi di quartiere, gli
artigiani che invece vanno preservati e salvaguardati.
Ha
vinto la logica del prezzo più basso in un unico luogo, dove le cose devono
essere subito smerciate per indurre all’acquisto di oggetti non necessari.
Questo è possibile pagando poco il lavoro,
delocalizzando.
Invece
di tenere vivi tanti piccoli punti vendita, ormai sono rimasti solo i
supermercati dove si creano i cartelli, in cui si comprano i prodotti in
condizioni di esclusività, dove si entra per acquistare beni di prima
necessità, come zucchero e riso, e ci si trova alla fine ad acquistare il
superfluo, grazie a un’esposizione strategica.
Il
consumismo dissennato è nocivo, ci spinge a comprare compulsivamente oggetti
dalle virtù illusorie in una logica costante della prevalenza della quantità
sulla qualità, ma il benessere legato all’oggetto svanisce immediatamente.
Non abbiamo bisogno di accumulare cose, ve lo
garantisco io che vesto ancora gli abiti degli anni settanta, camicie di altri
tempi e maglioni lisi.
Quando
mi fanno notare che indosso un capo rammendato, ne sono fiero.
Sono
incapace di buttare via qualsiasi cosa.
E continuano a dirmi: «Pahor, come sei elegante!»
Per
essere in ordine basta avere un indumento dignitoso.
Dobbiamo rigettare l’economia dello spreco, la
corsa all’accumulo di prodotti dal valore virtuale spropositato.
Oggi i nuovi proletari d’Occidente sono le persone che
hanno perduto l’impiego, a causa della globalizzazione.
E ne
pagano le conseguenze anche quelli che il posto di lavoro lo conservano, perché
il carico sulle loro spalle è più che raddoppiato.
Bisogna
sostituire la concorrenza esacerbata con una sana competizione in cui convivano
regole univoche per tutti.
L’unica
risposta a questo stato di cose è quella di un mondo economicamente “de globalizzato”,
in cui si rispettino le economie territoriali, rimanendo però connessi nella
circolazione della cultura, delle informazioni, del rispetto dei diritti.
Dobbiamo
organizzare una società intelligente, in cui ciascun uomo trovi una posizione
dignitosa e valida.
(Un‘autobiografia
senza frontiere di Boris Pahor con Cristina Battocletti).
Le
Morti Improvvise degli ultimi
Tempi
hanno in comune un Danno
alla
Ghiandola Pineale.
Conoscenzealconfine.it
– (5 Febbraio 2023) – Dott. Valerio Petterle – ci dice:
Il
lavoro del Dr. Petterle consiste nel verificare la correttezza delle diagnosi.
Intervistato da “La Verità” snocciola numeri e dubbi su quanto sta accadendo da
qualche tempo a questa parte.
Valerio
Petterle è un medico specializzato in urologia, medicina legale e criminologia
clinica, in servizio presso l’Ulss 2 della Regione Veneto, che da 7 anni,
certifica decessi in abitazioni private e Rsa di circa 25 Comuni della
provincia di Treviso.
Il Dr.
Petterle è l’ufficiale di polizia mortuaria incaricato di certificare il
decesso di una persona, che sia per un incidente stradale, un annegamento o una
morte violenta o, negli ultimi tempi, soprattutto per morti improvvise.
Il suo
lavoro consiste anche nel verificare la correttezza della diagnosi.
Ebbene,
intervistato da “La Verità” snocciola numeri e dubbi su quanto sta accadendo da
qualche tempo a questa parte.
Per
esempio, non accetta che si scriva “arresto cardiaco”, che presuppone una
ripresa: “Se una persona è deceduta, è morte cardiaca”.
Cosa
hanno in comune le Morti Improvvise degli ultimi tempi?
Il Dr.
Petterle confessa che ultimamente compie in media dai 10 ai 20 accertamenti
nell’arco delle 24 ore che sono numeri alti rispetto al passato.
Il medico rivela, inoltre, che si applicano
ancora le linee guida dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza:
“Ancora
oggi, quando arriva il 118 e il medico si trova davanti una persona in fin di
vita o già morta, assieme alla constatazione del decesso fa eseguire il
tampone.
Il
risultato del test, continua a comparire nella diagnosi di morte”.
Insomma,
siamo ormai alla follia estrema che consiste nel fare tamponi ai defunti.
Non so
se ci rendiamo conto.
Per
cui se il deceduto risulta positivo, in base a una circolare interna
dell’Azienda sanitaria, viene trattato come morto per Covid.
Ma la
parte più importante e impressionante dell’intervista arriva quando il Dr.
Petterle rivela le tipologie di morti che vede da qualche tempo a questa parte:
“In
persone sane, sportive, di mezza età e senza patologie cliniche, negli ultimi
cinque mesi la metà dei decessi è per “Sads”, la sindrome della morte
improvvisa dell’adulto.
Anche
ieri, due uomini di 54 e 55 anni se ne sono andati così, all’improvviso, nelle
loro abitazioni.
Erano
in salute”.
Per
loro il medico ha richiesto l’autopsia, anche alla luce di alcuni studi che ora
correlano le morti improvvisa alla vaccinazione anti Covid.
Finora le autopsie, stando all’esperienza
diretta di Petterle, hanno dimostrato:
“infarto
del miocardio molto frequente e la quasi “scomparsa” della ghiandola pineale
(ai margini del terzo ventricolo – una cavità del cervello che contiene liquido
cerebrospinale – rilascia ormoni nell’organismo attraverso il sistema
circolatorio, ndr).
Un’atrofia
riscontrata dagli anatomopatologi, sulla quale bisognerebbe indagare.
Può
essere conseguenza di scarsa produzione di ormoni e segnale di un
deterioramento del sistema immunitario “.
Attenzione
perché all’interessante intervista del Dr. Petterle si aggiunge quella che,
secondo noi, è la notizia scoop.
Il
medico, che ricordiamo è ufficiale di polizia mortuaria, ci sta dicendo che per
quanto riguarda le morti improvvise è stato riscontrato che oltre all’infarto
del miocardio, tutti hanno qualcos’altro in comune, ossia la quasi “scomparsa” della
ghiandola pineale il che è indice di un deterioramento del sistema immunitario.
La domanda sorge spontanea: Perché tutte queste morti improvvise
e perché hanno tutte questa “strana” caratteristica in cui la ghiandola pineale
è praticamente distrutta?
La
Ghiandola Pineale.
L’epifisi,
chiamata anche “ghiandola pineale”, è la ghiandola endocrina situata sul
mesencefalo, e malgrado la sua piccola dimensione la sua importanza è grande,
con dei ruoli ben precisi come:
Regolazione
dei ritmi circadiani (giorno/notte),
Secerne
melatonina,
la mancanza di melatonina può avere effetti negativi sullo sviluppo di ovaie,
testicoli e ciclo mestruale,
Influenza
il metabolismo osseo,
Senso
dell’orientamento.
Non
solo, ma oltre a questa funzione per così dire biologica, secondo molti ve ne
sarebbe anche un’altra di natura, come dire, “spirituale”, come se a livello
cerebrale coesistessero due sistemi neurochimici fondamentali, polari e
complementari fra di loro.
Il
primo chiamato “Sistema Oppioide”, è connesso alla vita inconscia, all’ipofisi o ghiandola pituitaria
situata al centro del cervello.
Questo
sistema è attivo in condizioni di stress, dolore, ansia, irritabilità e induce
immunosoppressione o stato di malattia.
È mediato da catecolamine, steroidi
surrenalici e oppioidi, endorfine e dinorfine.
Il
secondo chiamato “Sistema Cannabinoide”, è connesso alla vita cosciente e
super cosciente, dando la possibilità all’uomo di percepire il mondo
spirituale.
Esso è
in rapporto con la ghiandola pineale o epifisi, situata nell’encefalo pur non
facendo parte di esso ed è coinvolto nell’induzione della percezione del
piacere e della gioia.
Non è,
quindi, la produzione di endorfine a rendere possibile la percezione del
piacere e ad esaltare l’immunità, bensì la produzione dei cannabinoidi e degli indoli
pinealici.
La
conoscenza della ghiandola pineale e l’associazione con il cosiddetto “terzo
occhio” (che consentirebbe di vedere oltre) risale a tempi molto antichi e
possiamo trovarne rappresentazione in varie culture nel corso della storia
umana.
Era
già indicata nel passato come sede dell’anima da Galeno e Cartesio, a
rappresentare il punto di unione fra questi due tipi di regolazione.
Insomma,
per alcuni la ghiandola pineale sarebbe quella parte più profonda dell’intimo
umano.
D’altronde,
la
formazione dell’essere umano è descritta nella Bibbia come un vero e proprio
miracolo,
sin dal primo secondo del concepimento, sin dall’attimo in cui inizia
l’ovulazione nel grembo materno.
“Sei
tu che hai formato le mie reni,
che mi
hai intessuto nel seno di mia madre.
Io ti
celebrerò, perché sono stato fatto in modo stupendo.
Meravigliose
sono le tue opere,
e
l’anima mia lo sa molto bene.
Le mie
ossa non ti erano nascoste,
quando
fui formato in segreto
e
intessuto nelle profondità della terra” (Salmo 139:13-15)
Cosa
Dice la Bibbia?
Solitamente
i sistemi religiosi che si rifanno alla Bibbia, ebrei, cattolici o protestanti,
ingabbiati nelle proprie dottrine e nelle proprie pratiche dogmatiche e
dogmatizzanti costituiscono, de facto, la loro stessa prigione e per questo non
riescono ad andare oltre.
Sono
queste limitazioni che impediscono di attenersi davvero alla Bibbia che pure
essi citano continuamente.
Il motivo è che essa viene letta con le lenti
che hanno fornito loro le impalcature dottrinali della denominazione di cui
fanno parte.
Sono
questi apparati dottrinali che costituiscono delle vere e proprie fortezze di
cui parla la Bibbia stessa (2Corinzi 10:4, 5).
Rivolgendoci,
invece, esclusivamente alla Bibbia, così com’è e senza artifici umani, mi
domando sinceramente se non sia proprio questa ghiandola pineale quella parte
del nostro essere che qualcuno ha voluto chiamare “Sé superiore” e che invece
la Bibbia definisce: “UOMO INTERIORE” (Efesini 3:16) ossia quella parte del
nostro essere in cui dimora Dio e che ci consente di avere comunione con Lui.
Allargando
l’orizzonte, secondo me è proprio qui che interviene Dio per guarire, alleviare
dolori, parlare in sogno, ecc.
La
questione, che è da tempo oggetto di miei studi, è comunque complessa e non è
possibile affrontarla qui e adesso.
Posso, però, provare a sintetizzarla in pochi
punti:
A. La
parte più intima e profonda dell’essere umano, che noi stessi non conosciamo
completamente (inconscio e subconscio).
“Infatti
chi, tra gli uomini, conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che
è in lui? Così nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio”
(1Corinzi 2:11).
B.
Quella parte dell’uomo che dopo il ravvedimento, la conversione e la nuova
nascita, viene “vivificata”, perché prima essendo “morta” era insensibile.
“Dio
ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri
peccati” (Efesini 2:1; cfr. Giovanni 3:3-5; 2Corinzi 5:17).
C.
Quella parte dell’uomo che una volta “risuscitata” a nuova vita, diventa la
“sede” dove viene ad abitare Cristo.
“Faccia
sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e
fondati nell’amore” (Efesini 3:17; cfr. Romani 8:9, 10; Giovanni 14:23).
D.
Quella parte del credente rigenerato che gli consente di adorare Dio in
“spirito e verità” (Giovanni 4:24) e quindi di entrare in contatto con Dio e
avere comunione con Lui.
“Attraverso
queste ci sono state elargite le sue preziose e grandissime promesse perché per
mezzo di esse voi diventaste partecipi della natura divina, dopo essere sfuggiti
alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza” (2Pietro 1:4).
E.
Quella parte del credente salvato e rigenerato che deve rinnovarsi di continuo.
“Avete
imparato, per quanto concerne la vostra condotta di prima, a spogliarvi del
vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; ad essere
invece rinnovati nello spirito della vostra mente” (Efesini 4;22, 23; cfr.
Romani 12:2)
Conclusione.
In
conclusione, è forse questa la ragione per cui in tanti hanno notato
un’alterazione della personalità in alcuni “vaccinati”?
È
forse questo uno degli scopi di questi “vaccini” a mRNA, ossia quello di alterare non solo
il DNA ma pure la coscienza umana trasformando le persone in automi così da indurle a
credere alle cose più assurde?
Queste
non sono domande retoriche. Sinceramente non ho le risposte e le domande le
rilancio come punto di partenza su cui instaurare un dialogo e un confronto.
(laveritarendeliberi.it/le-morti-improvvise-degli-ultimi-tempi-hanno-in-comune-tutte-un-danno-alla-ghiandola-pineale/)
Non
abbiamo bisogno di mangiare
farina
di insetti ma vietarla
sarebbe
stato miope.
Ilsalvagente.it
- prof. Alberto Ritieni – (19 Gennaio 2023) – ci dice:
FARINA
DI INSETTI.
Continuano
le polemiche sulla decisione della Commissione europea di dare il via libera
alle farine di insetti, prima, e alle larve della farina poi, come alimento.
Politica
e industria (italiana) fanno fuoco e fiamme spesso strumentalmente. Cerchiamo
di capirne di più con il contributo del professor Alberto Ritieni.
Chiediamoci:
cos’è ciò che chiamiamo presente?
Non è forse il passato del nostro futuro e se
comprendiamo il presente, non ci sorprenderemmo di ciò che accadrà e molte
delle nostre paure saranno esorcizzate.
Poco
più di un secolo fa l’introduzione del latte pastorizzato, in sostituzione del
latte fresco, provocò paure e fobie che oggi ci fanno sorridere.
Solo qualche anno fa mai avremmo pensato di
mettere in tavola delle alghe oppure di accettare la filosofia del fast food;
eppure, oggi cerchiamo integratori alla
spirulina e siamo tornati a mangiare semi.
Gli
insetti, sotto forma di farina o di prodotti trasformati, probabilmente saranno
parte del nostro futuro alimentare per vari motivi e la paura che proviamo nei
loro confronti è del tutto comprensibile.
Il
poeta spagnolo Pedro Salinas diceva “…conoscersi è luce improvvisa…” e da
sempre la luce allontana le ombre delle paure.
L’occasione
di riflettere su questo tema, come comprenderete, la decisione della
Commissione europea di dare il via libera alla farina di grilli, prima e alle
larve della farina poi, come alimento.
Se ci
saranno insetti nel mio pasto, sicuramente sarà riportata la loro presenza in
etichetta.
VERO
Tutti i vari “Novel Food” che sono stati autorizzati in Europa sono elencati
sulla Gazzetta ufficiale europea e si può rimanere sorpresi leggendo che oggi
sono ammessi prodotti come l’olio di krill oppure l’estratto della cresta di
gallo, così da poco anche gli insetti.
La storia degli insetti parte nel 2022 con
l’inserimento della larva gialla della farina (Tenebrio molitor) e della
Locusta migratoria congelata, essiccate e in polvere grazie al Regolamento
169/2022 poi il Regolamento 188/2022, completa le specie ammesse con il grillo
domestico (Acheta domesticus).
L’International
Platform of Insects as Food and Feed (IPIFF), ha pubblicato una serie di linee
guida utili ad etichettare i prodotti alimentari a base di insetti basandosi
sui Regolamenti 1169/2011 e 1924/2006 (NHCR, Nutrition and Health Claims
Regulation) che assicurano le informazioni ai consumatori.
Ad
esempio, non è permesso fuorviare i consumatori indicando proprietà che i
prodotti a base di insetti non posseggono, non è neanche possibile associare
immagini esotiche alla farina di insetti prodotta in Nord Europa, oppure
esaltare un contenuto di particolari Vitamine o altre molecole già presenti in
frutta o altri vegetali.
Esiste
l’obbligo, come per tutti gli alimenti, di fornire oltre a nome, lista degli
ingredienti, paese di origine, le informazioni nutrizionali anche la lista
degli allergeni sia se sono presenti come ingredienti del prodotto sia se
possono derivare dal substrato dove si alleva l’insetto.
Vale la
pena ricordare che l’”Indicazione Quantitativa degli Ingredienti” o QUID è
richiesta se un ingrediente o una categoria di ingredienti compare nel nome del
prodotto alimentare o se viene enfatizzato tramite parole o immagini in
etichetta, oppure se è essenziale per caratterizzare il prodotto alimentare.
Nel caso degli insetti è quasi sempre
necessario citarne come percentuale la presenza nei prodotti che effettivamente
li contengono, a meno che il prodotto alimentare non sia costituito dal solo
insetto come unico ingrediente.
Sono
sicuro che la useranno senza farcelo sapere.
FALSO.
Se l’alimento è prodotto, ad esempio, da
farina di grilli al 100% è possibile non indicare questo ingrediente mentre è
necessario riportare la presenza della farina da insetti se è presente in
percentuale nel prodotto, come ad esempio una merendina, un prodotto da forno
etc.
Probabilmente
sarà questa la situazione più probabile che si verificherà.
La
potenziale allergenica e pericolosità degli insetti, nonostante le ricerche in
atto, non è ancora provata in maniera sicura.
Un
lavoro molto recente riporta la necessità di sviluppare degli opportuni test
diagnostici per valutare questo rischio senza adattare quelli già presenti sul
mercato.
Un
diverso studio riporta che in alcuni ambienti di lavoro, il 57% dei dipendenti
è stato sensibilizzato e ben il 60% dei dipendenti ha riportato sintomi legati
alla presenza di insetti ma non perché li mangiasse.
In un secondo lavoro scientifico pubblicato dall’Efsa
si sottolinea che al momento le informazioni disponibili sui pericoli associati
agli insetti per l’uso in alimenti e mangimi sono ancora molto limitate.
Le
attuali conoscenze disponibili suggeriscono che le proteine degli insetti
possono causare delle reazioni allergiche negli esseri umani e negli animali
così come accade per altri artropodi, tipo i crostacei, quali gamberi, scampi
etc.
In etichetta la cross-reattività fra insetti e
crostacei sconsiglia il consumo di insetti agli allergici ai crostacei o agli
acari della polvere.
In etichetta, sarà necessariamente riportato questo
possibile rischio allergenico e quindi saremo a conoscenza della presenza di
insetti come ingredienti dell’alimento.
In
rete girano ricerche scientifiche che imputano al consumo di insetti
un’attività infiammatoria, c’è da avere paura?
VERO/FALSO
In maniera del tutto imprevedibile ai nostri occhi, alcune sostanze derivate da
insetti si stanno proponendo dal punto di vista medico come nuovi farmaci e
trova molto interesse il loro uso come antinfiammatori naturali come ad
esempio, la papiliocina, la cecropina A etc.
Si sta
esplorando anche il settore dell’oncologia per affiancare alla chemioterapia,
alla radioterapia e alla chirurgia dei composti di insetti con attività
anticancro come la cantaridina, la norcantaridina, l’isocumarina, la
plancipirazina A, la pancratistatina, la narciclasina e l’ungeremina.
Altri
studi su animali hanno dimostrato che il grillo “Gryllus bimaculatus”, un
insetto commestibile per ora riconosciuto dalla “Korea Food and Drug
Administration” protegge dai danni dell’infiammazione epatica o dalla steatosi
epatica, riducendo lo stress ossidativo anche più della nota silimarina
ottenuta come miscela dal cardo.
È pur
vero che le patologie trasmesse da insetti sono note e numerose, basta
ricordare malaria, febbre gialla etc. e anche la sola puntura di api, calabroni
etc. provoca una infiammazione prima ancora di risposte allergiche più gravi a
livello generale.
Mangiare
insetti non mi dà alcun vantaggio nutrizionale o salutistico.
FALSO.
In alcuni studi su animali, si è osservato che
un supplemento in polvere di 0,5 g/kg di glicosaminoglicani riduce
significativamente il peso del grasso addominale dal 5 al 40%, la glicemia si
riduce dal 10 al 22% e i livelli di colesterolo per circa il 10%.
Un
supplemento di 5 mg/kg di chitina/chitosano riduce il peso corporeo (1-4%) e
l’accumulo di grasso addominale (4%) rispetto alle diete di controllo.
Altri
studi su animali, contenenti dosi di derivati di insetti commestibili dal 7 al
15% migliorano significativamente il peso vivo (9-33%), riducendo del 44% i
livelli di trigliceridi, del 14% quelli del colesterolo e delll’8% i livelli di
glucosio.
Inoltre, si osserva aumentare la biodiversità
del microbiota (2%) rispetto alla dieta di controllo.
Negli studi sull’uomo, dosi fino al 7% del
livello di inclusione di insetti commestibili hanno prodotto un miglioramento
significativo della salute intestinale (6%) e una riduzione dell’infiammazione
sistemica (2%) rispetto alle diete di controllo e un aumento significativo
delle concentrazioni ematiche di proteine essenziali e a catena ramificata
aminoacidi e un rallentamento della fase di digestione del 40% rispetto al
trattamento con siero di latte.
C’è
chi dice che la storia della sostenibilità ambientale della farina di insetti è
una balla…
FALSO.
Se consideriamo gli indicatori ambientali (uso
del suolo, impronta idrica ed emissioni di gas serra) questi si riducono del
40-60% rispetto alla produzione dei mangimi tradizionali.
Gli
insetti commestibili possono essere una fonte proteica alternativa non solo per
migliorare l’alimentazione umana e animale ma anche per migliorare la salute
del pianeta.
In
realtà l’uomo cavernicolo già consumava insetti forse anche per la minore
scelta che aveva, ma oggi, in particolare nei paesi industrializzati, gli unici alimenti derivanti da essi
che vengono consumati sono miele e pappa reale.
Gli studi mostrano come gli insetti possiedano
un buon profilo nutrizionale, fornendo proteine e tutti gli aminoacidi
essenziali, ferro, zinco, e acidi grassi insaturi e polinsaturi (PUFA) della
serie omega-3 e omega-6.
Inoltre, cavallette e grilli sono fonte di
vitamina B12, mentre il baco da seta di vitamina A.
Anche
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto gli aspetti
nutrizionali positivi degli insetti.
Io non
ho mai mangiato, né mangerò mai degli insetti.
FALSO.
Qualcosa di simile viene detto per gli Ogm
eppure se sono presenti in quantità inferiori allo 0,9% in un alimento ne viene
ammesso la vendita e quindi il consumo.
Gli
insetti sono già nostri commensali, sia pure dal lato sbagliato del tavolo,
perché il colorante E120 o carminio, sigla che indica la cocciniglia non è
vietato, ma è autorizzato ad essere immesso in commercio.
Questo
colorante è prodotto da un insetto per difendersi dai predatori e ai nostri
scopi servono per un chilogrammo di colorante circa 100.000 insetti e una volta
macinato l’esoscheletro si può estrarre l’acido carminico.
Questo
colorante rosso, che può dare delle forme di allergie, è usato per alimenti o
per bevande ed è comune anche nell’industria tessile, anche se talvolta si
usano dei coloranti sintetici più economici denominati E122 oppure E124.
Parallelamente,
ogni anno inconsapevolmente e mediamente consumiamo circa 500 g di insetti e
tutto ciò è tollerato dalla legislazione alimentare perché considerati dei
contaminanti.
La FDA americana impone per farina e sfarinati
un limite di tolleranza di 50 frammenti di insetto, antenne, zampe etc., in 50
g di prodotto e tali valori sono usati comunemente anche in Europa.
I
Filth-Test sono test utili ad evidenziare le impurità solide negli alimenti,
fra cui anche le parti di insetti che involontariamente si possono ritrovare
negli alimenti.
La
legislazione italiana, su questo punto, è vacante, anche perché zampette, ali, antenne
e quant’altro non sono nocivi e non esistono quindi limiti massimi per la loro
presenza nei cibi.
Conclusioni.
Avere
paura degli insetti deriva dal nostro cervello primordiale, la qualcosa è
comprensibile, ma abbiamo superato ben altri limiti metacognitivi e anche gli
insetti si troveranno col tempo ad essere accettati.
Del resto, i loro cugini come gamberi,
aragoste e crostacei vari non solo sono accettati, ma addirittura considerati
beni di lusso eppure sono artropodi, stesso esoscheletro chitinoso, stesse
caratteristiche.
Forse
perché vivendo in acqua sembrano lontani dal nostro ecosistema terrestre o
forse ci sembrano puliti, ma l’intestino di un gambero o altre parti dei
crostacei rappresentano pur sempre un punto di rischio per la nostra salute.
Abbiamo
bisogno di mangiare insetti?
La
risposta è “non è necessario”, ma non è necessario avere allevamenti animali
intensivi, o sfruttare le risorse del pianeta per poi sprecarle.
Gli
insetti sono un piano B per il futuro alimentare e per la nutrizione a basso
impatto, ma per alcuni paesi in emergenza alimentare sono già oggi il loro
piano A.
Non
siamo obbligati a mangiarli, nessuno può costringere ad accettare un prodotto
sicuro dal punto di vista allergenico e tossicologico e utile dal punto di
vista nutrizionale, ma è anche vero che non possiamo decidere per altri e paesi
avanzati nel settore agro-alimentare come lo è l’Italia, possono dare le linee
guida a chi ha bisogno di fonti alimentari alternative, assicurando sicurezza e
qualità.
"Oggi
il dittatore è il denaro
farei
un film sull'economia".
Ilgiornale.it
- Stefano Giani – (12 Agosto 2022) – ci dice:
Il
regista premio Oscar ritira a Locarno il Pardo alla carriera: "Non girerei
una serie tv, meglio le sale".
"Oggi
il dittatore è il denaro farei un film sull'economia".
Locarno.
Gli occhi della Storia. La sentinella della democrazia nel cinema.
La
meravigliosa giovinezza di un ragazzo di 89 anni che ieri ha ritirato il Pardo
alla carriera dopo essersi portato a casa un Oscar per “Missing”, una Palma
d'oro per lo stesso film che, in quel lontano 1982, aveva fatto litigare il
presidente di giuria Giorgio Strehler con il giurato Gabriel García Márquez, un
Orso d'oro per Music box - Prova d'accusa e un Golden Globe per Z – “L'orgia
del potere” che, tredici anni prima - ed era il '69, a Cannes si era messo in
tasca il premio della giuria.
Con
queste credenziali, Costa-Gavras arriva a Locarno, dove non era mai stato, con
l'entusiasmo di un ragazzino e spiega - forse con una punta di gratitudine -
che questo festival è più importante di Cannes e gli altri perché solo qui ci
sono film popolari e di ricerca.
Le diverse tendenze di una settima arte che
sta vivendo anni di apprensione e fatica.
Come
siamo messi, Maestro?
«Male,
malissimo. Siamo al capolinea di tutto».
Perché?
«La
gente ormai guarda i film nel telefonino. Un'imperdonabile barbarie».
Anche
su computer e tv, a essere onesti...
«Il
cinema consiste in una collettività che guarda uno spettacolo di fronte a un
grande schermo, non altro. È un'esperienza condivisa».
Quindi
lo streaming e le piattaforme sono il Male assoluto?
«Diciamo
che un piccolo pregio ce l'hanno. Uno solo, però.
Rendono accessibili molti film a prezzi
ridotti. Questo mi piace».
Le
capita spesso di andare in sala?
«Sempre.
Non c'è vita senza cinema».
E
guarda anche i suoi film?
«Mai.
La verità è che ogni tanto mi tocca perché, in occasione di qualche proiezione,
mi chiedono di guidare il dibattito alla fine».
Chi
consiglia tra i registi più giovani?
«Farei
due nomi. Xavier Giannoli, l'autore di “Illusioni perdute”, e Julia Ducournau
che l'anno scorso ha vinto a Cannes con “Titane”. Ma l'hanno massacrata».
Se
oggi dovesse scegliere il protagonista di un suo nuovo film, chi sarebbe l'Yves
Montand di oggi?
«Mi
piace Vincent Cassel. Prenderei lui».
Anche
se dovesse fare una serie?
«Oh
no... Quelle non mi piacciono proprio. Sono un approfondimento concentrato su
una materia specifica ma no... preferisco fare cinema».
Eppure
per uno come lei che si è occupato di totalitarismo a più riprese...
«Ci si
può esprimere adeguatamente anche senza eccedere».
Immaginiamo
una nuova opera sulla dittatura. A che cosa penserebbe?
«Fortunatamente
l'Europa non fornisce materia di studio. Diciamo che mi viene in mente Trump e,
come contraltare, la Cina».
Ma
Pechino ha fatto passi enormi verso il capitalismo.
«Appunto.
Li ha fatti in un momento storico strategico».
In che
senso?
«È
cambiata la forma di potere mondiale, siamo passati dal fanatismo religioso
alla dittatura del denaro e dell'economia».
Un
ribaltamento.
«Diciamo
che esistono dittature anche in Africa e in America Latina.
L'unica riflessione possibile è l'opportunità
di spiegarle e renderle plausibili ma nessuna è accettabile.
Il
riferimento è ancora Trump ma le più pericolose sono le persone dietro di lui.
Si può comprendere la sua ascesa alla Casa
Bianca ma non si può appoggiarlo».
Difficilmente
le sue opere impongono una chiave di interpretazione.
«Voglio
che tutti vedano e ognuno in base alla propria preparazione poi si faccia
un'idea personale. Però...».
Però?
«Oggi
al cinema non ci va più nessuno».
Allora
qual è la forma giusta?
«Un
film è come un libro. Un concerto. Va considerato nella sua totalità. La cosa
più importante è la storia che si intende raccontare».
Un
segreto per non fallire?
«Avere
la consapevolezza che si sta creando uno spettacolo. In ogni momento vanno
seminati i presupposti perché lo spettatore vada avanti.
Va continuamente coinvolto e interessato.
L'attenzione non deve scemare mai».
Anche
a costo di scontentare qualcuno... A lei è capitato con “Amen” che compie vent'anni.
«Non
si trattò di creare fratture, però».
Tuttavia
qualcuno non gradì proprio.
«Se la presero gli integralisti. E con
questo intendo coloro che scusano tutto e non accettano di assumere una
posizione critica davanti ai fatti storici».
Anche
se si tratta di un pontefice...
«Certo.
Non c'era la volontà di attaccare Pio XII. Semplicemente il problema è la
comunicazione. Il Vaticano non accettò di rivelare ciò che sapeva sulle camere
a gas».
Costa-Gavras
alla guida
della “Cinémathèque” è altrettanto severo?
«Ma
no, ho cercato di cambiare il modo di insegnare cinema».
In che
senso?
«Ho preferito abituare i ragazzi a
trasformarsi in piccoli registi. Non l'aveva mai fatto nessuno».
E su
che cosa ha puntato?
«Se un
ragazzo impara a fare un film e tutto ciò che questo comporta, avrà un modo
diverso anche di guardare quello che incontrerà in sala».
Due
risultati a un tempo, migliori piccoli cineasti e migliori spettatori.
«L'importante
è non dimenticare mai che quello che si fa a scuola o a livello amatoriale è
solo un assaggio. Essere professionisti
è ben diverso ma almeno è un'occasione per intuirne le difficoltà».
Farina
di insetti nel piatto:
a
rischio la salute e la dieta mediterranea.
Italiaatavola.net
– Elisa Santa Maria – (12 gennaio 2023) – ci dice:
“ITA0039-Italian
Taste”, il protocollo di certificazione che traccia l’originalità dei prodotti
italiani nei ristoranti nel mondo contro la decisione dell’Ue di
commercializzare cibi a base di “Acheta Domesticus”.
No e
ancora no alla farina di grilli.
La
decisione dell’Unione Europea di rendere libero il commercio di prodotti
alimentari a base di “Acheta Domesticus”, cioè fatti con polvere di grillo
domestico, sta provocando molte reazioni negative nel mondo del food italiano.
ITA0039
– Italian Taste, il protocollo di certificazione che traccia l’originalità dei
prodotti italiani nei ristoranti nel mondo, esprime profonda contrarietà
all’introduzione di farine di insetti in Europa ed in Italia, in un momento in
cui si sta lavorando con determinazione e fatica alla difesa della cucina made
in Italy e della dieta mediterranea.
Farina
di grillo ITA0039: «Farine di insetto: a rischio la salute dei consumatori e la
dieta mediterranea»
Farina
di grillo.
«Per
la dieta mediterranea non solo è aberrante l'idea della farina di insetto ma,
fatto ancor più grave è che al momento non sono noti gli effetti sul corpo
umano di questo tipo di alimenti».
Lo
afferma Fabrizio Capaccioli, amministratore delegato di ASACERT e ideatore di
ITA0039, che aggiunge:
«L’Unione
Europea dovrebbe concentrarsi maggiormente nella difesa dei prodotti delle
nostre filiere agroalimentari che sono a rischio contraffazione ed estinzione
nei nostri stessi Paesi e nel mondo, piuttosto che aprire all’invasione
orientale di cibi lontanissimi dalle nostre sane tradizioni».
Quale
sicurezza?
A preoccupare è anche la sicurezza alimentare
delle farine di insetto.
«Mi sono scagliato più volte contro le farine
di insetti.
Si può
anche sperimentarle le farine ma occorre partire da un concetto:
gli
italiani vivono più a lungo dei cinesi perché non mangiano soia e non mangiano
insetti, i quali procurano una reattività allergica molto particolare.
Contengono proteine iperattive che inducono a molte
allergie», incalza il dottor Giorgio Calabrese, esperto di alimentazione e
difensore della dieta mediterranea.
Il
ministero della Salute aveva già fermato locuste e grilli fritti ITA0039:
«Farine di insetto: a rischio la salute dei
consumatori e la dieta mediterranea»
«Nel
food noi non abbiamo bisogno della farina di insetti o di locuste o di grilli.
Noi
abbiamo bisogno di continuare il nostro percorso con cibi che sono sicuri
soprattutto nella parte iniziale perché vengono coltivati o allevati in modo
sicuro, e quindi il concetto di introdurre le farine serve solo ai paesi
dell’oriente per invadere l’occidente e qualcuno ci guadagnerà», conclude
Calabrese.
Farina
di grillo:
cos'è, quanto
costa
e se fa bene all'organismo.
Gazzetta.it
– Redazione – (26 gennaio 2023) – ci dice:
A
deciderlo è stata l’Ue, secondo la quale la commercializzazione degli insetti
come alimenti risponde all’esigenza di rendere più sostenibile il sistema
alimentare.
Prima
le larve gialle, poi le locuste e più recentemente i grilli: in più, da domani,
26 gennaio, anche le larve della farina potranno essere commercializzate come
nuovo alimento.
A
deciderlo è stata proprio l’Ue, secondo la quale - come da regolamento sui
“novel food”, entrato in vigore a gennaio 2018 - la commercializzazione degli
insetti come alimenti risponde all’esigenza di trovare fonti di proteine
alternative per rendere più sostenibile il sistema alimentare.
Gli
insetti, infatti, sono ricchi di proteine e nutrienti, e sono responsabili di
meno dell’1% dell’impronta di carbonio totale connessa all’allevamento.
Questo
li rende quindi un’alternativa sostenibile alla carne e altri alimenti della
dieta tradizionale.
COS'È
LA FARINA DI GRILLO.
La farina di grillo è una particolare polvere
ottenuta dalla macinazione di grilli allevati naturalmente ed essiccati.
Si
tratta di un prodotto ad alto contenuto proteico, pari circa a 3 volte quello
della carne, che è al 100% naturale.
LA
FARINA DI GRILLO FA MALE?
Rispetto ad altre fonti animali proteiche, la
farina di grillo contiene un'importante quantità di fibra, che la rende
particolarmente salutare per l’organismo umano.
Questa
risulta ideale per la creazione di farinacei e prodotti di panificazione come
biscotti, pane e crackers.
Inoltre,
è particolarmente ricca di calcio, ferro e vitamina B12:
tutti
elementi che non sempre vengono correttamente assunti con la normale dieta
mediterranea.
Accanto
a tutto questo, promuove l'accrescimento osseo e aiuta a prevenire l'anemia
sideropenica e megaloblastica.
FARINA
DI GRILLO IN VENDITA: PREZZI E PRODOTTI IN CUI PUÒ ESSERE CONTENUTA.
L’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza
alimentare, ha spiegato anche quali sono i prodotti nei quali potrà essere
contenuta la farina di grillo.
L’elenco è lungo, ma di base parliamo di pane
e panini multi-cereali;
nei
cracker e nei grissini; nelle pre-miscele secche per prodotti da forno e così
via.
Le
regole Ue prevedono che quando questi prodotti compaiono sugli scaffali dei
supermercati, i nuovi ingredienti sono esplicitamente elencati sulle etichette.
Riconoscere
la farina di grillo, poi, sarà abbastanza facile, anche e soprattutto grazie al
suo prezzo:
oggi la farina di grillo costa circa 15 euro
per 200 grammi di prodotto, come è facilmente verificabili sui siti
specializzati.
DUBBI
E TITUBANZE.
Un
discorso analogo è poi quello che riguarda le larve della farina.
Gli
usi, infatti, potranno essere gli stessi e allo stesso modo sono sorti diversi
dubbi in merito all’utilizzo stesso.
Come
riporta il Corriere.it, In molti Paesi europei tra cui l’Italia, infatti,
continua a esserci diffidenza da parte dei consumatori per questi nuovi
alimenti.
In particolare, come conferma un’indagine Coldiretti,
ben il 54% dei consumatori italiani si è detto contrario alla scelta dell’Ue.
Allo stesso tempo, molti esponenti del governo
Meloni hanno criticato la decisione, parlando di un “attacco alla dieta
mediterranea”.
Un
mantra che si ripete dai primi giorni della scorsa campagna elettorale, che ha
visto la coalizione di centrodestra esporsi anche contro le carni sintetiche.
In merito alle farine, però, Coldiretti
ricorda anche che il consumo di alcuni insetti può creare reazioni allergiche,
tant’è che l’Ue è già intervenuta affermando che l’assunzione di queste farine
potrebbe causare reazioni soprattutto nei soggetti già allergici a crostacei,
acari della polvere e, in alcuni casi, ai molluschi.
Farina
di grillo prezzo e prodotti.
IL
PARERE DI FILIERA ITALIA.
Altri
dubbi arrivano poi da “Filiera Italia”, una delle realtà associative della
filiera agroalimentare.
“Nessuno
vuole vietare un bel piatto di insetti a chi lo desidera - ha detto Luigi Scardamaglia,
consigliere delegato -, ma non si racconti la barzelletta della sostenibilità”.
Secondo
Scardamaglia, infatti, non è l’utilizzo della farina di insetti che può aiutare
il pianeta, soprattutto “in un momento in cui la nostra produzione agroalimentare
rischia di essere smantellata in nome di una sostenibilità ideologica che
vorrebbe trasformare i nostri terreni agricoli in giardini improduttivi”.
Eppure,
è bene precisarlo, Bruxelles ha più volte dichiarato di vedere gli insetti e le
proteine alternative come una risposta all’aumento del costo delle proteine
animali, e soprattutto del loro impatto ambientale.
Una
scelta che va in una direzione precisa, ma che non vuole risultare una
impostazione ai consumi degli europei.
L’allevamento
di insetti, infatti, potrebbe contribuire anche a ridurre le emissioni di gas
serra e lo spreco alimentare.
No,
l’Europa non ci costringerà
a
mangiare vermi e grilli.
Today.it
– Fabio Salamida – (26-1-2023) – ci dice:
L’Unione
Europea ha dato il via libera alla vendita di farina di Acheta domesticus,
comunemente conosciuto come “grillo domestico”, e al regolamento che autorizza
la commercializzazione delle larve di Alphitobius diaperinus, per gli amici
“verme della farina minore”.
In realtà non si tratta di una decisione
maturata negli ultimi mesi, ma una normale conseguenza dell’entrata in vigore
del regolamento sui cosiddetti "novel food”, che cataloga gli insetti e i
loro derivati sia come nuovi alimenti che come prodotti tradizionali.
La
notizia è stata un toccasana per la propaganda dei partiti al Governo,
ultimamente un po’ a corto di argomenti e di nemici.
“Ci opporremo, con ogni mezzo e in ogni sede,
a questa follia che arricchirebbe qualche multinazionale e impoverirebbe la
nostra agricoltura e la nostra cultura” tuona Matteo Salvini sulle sue pagine
social:
ma
persino in quei luoghi virtuali dove ogni post è studiato per alimentare
divisioni, c’è chi si chiede perché vietare la vendita di un prodotto quando
basterebbe semplicemente non acquistarlo e soprattutto perché il Governo
dovrebbe perdere tempo dichiarare guerra alla farina di grillo e alle larve di
vermi invece di occuparsi di questioni più serie.
La
risposta è molto semplice: si parla di cibo per distrarre da questioni più
serie.
L'attacco
alla "cucina tradizionale".
Ognuno
di noi potrà continuare a mangiare ciò che vuole e la storia che i "novel
food” danneggerebbero la cucina mediterranea è un po’ come quella dei diritti
delle famiglie arcobaleno che danneggerebbero la cosiddetta “famiglia
tradizionale”:
collegamenti
artefatti per indottrinare un certo elettorato attraverso una presunta
divisione tra “buoni” e “cattivi”, “invasori” e “invasi”.
In verità, se c’è qualcosa di davvero dannoso,
è proprio l’utilizzo di cibi e bevande come argomento di propaganda politica e
lo stesso Salvini è il politico che più “condisce” il discorso pubblico con
alimenti di vario tipo, dal parmigiano stagionato 36 mesi al “sugo pronto”
comprato al supermercato;
prodotti spesso gustosi ma non sempre
salutari, dati in pasto a milioni di follower su Facebook, Instagram, Twitter e
TikTok al grido di “mangiate italiano”:
ma un
politico - food blogger fa davvero il bene del Paese?
Cosa
c'è da sapere sul 'novel food', grilli e insetti.
“Nonostante
l’Italia sia annoverata tra i luoghi in cui la tradizione culinaria e le
materie prime di qualità dovrebbero garantire uno stile alimentare sano –
spiega Santa Mundi, nutrizionista e docente – i dati sull’obesità e il
sovrappeso del 2021, raccolti dall’ “Italian Barometer Obesity Report”, dicono
che nel Belpaese il 46% degli adulti e il 26,3% dei bambini/adolescenti è obeso
o in sovrappeso.
Questi
risultati ci suggeriscono due cose:
o non siamo più uno dei luoghi in cui si
mangia meglio al mondo, oppure il consumatore ha difficoltà ad orientarsi nelle
scelte a causa di un sistema comunicativo che non fornisce corrette
informazioni”.
Tornando
agli insetti, quello che dovrebbe fare una politica seria (invece di fomentare
pezzi di popolo con frasi a effetto tipo “i grilli se li mangino i burocrati di
Bruxelles, noi vogliamo la parmigiana di melanzane”) sarebbe chiedere
all’Europa maggiori delucidazioni su alcune caratteristiche dei "novel
food”, a tutela dei consumatori:
“Se dovessimo fare un’analisi di testa e non
di pancia della questione – continua Santa Mundi – dovremmo basarci prima di
tutto sui dati.
Le
analisi bromo metriche della farina di insetti dicono che questa non contiene
molecole completamente sconosciute al nostro organismo:
la
chitina, ad esempio, incriminata come molecola ‘molesta’ per l’organismo umano,
è presente nei funghi o nei crostacei che, seppur in quantità limitata, vengono
mangiati da sempre.
Certo,
c’è da chiedersi se un aumento della frequenza di consumo di queste molecole
determinato dall’inserimento di farina di insetti in alimenti di uso quotidiano
come biscotti, pasta e pane, possa determinare degli effetti sull’organismo:
in
passato sono stati fatti degli studi tesi a valutare gli effetti dell’aumento
del consumo di” Tenebrio molitor” da parte di polli di allevamento (che già lo
consumavano in piccole quantità e che, peraltro, sono animali abituati a
consumare insetti) scomodando perfino la genomica.
C’è da
chiedersi perché tanta prudenza non venga usata anche quando si tratta
dell’uomo – prosegue –.
Oltretutto, queste farine potrebbero essere
particolarmente allergeniche (come i crostacei, per intenderci) e sarà
importante che la loro presenza sia segnalata in modo ben visibile sulle
etichette in maniera tale che il consumatore possa individuarle negli alimenti
che compra tanto chiaramente quanto chiaramente riuscirebbe a individuare un
gamberetto nel piatto.
I motivi per essere prudenti, quindi, ci
sarebbero:
ma non
hanno molto a che vedere con il presunto oltraggio alla dieta mediterranea, già
quotidianamente profanata (col beneplacito di tutti) da spot pubblicitari di
merendine per bambini e alimenti per adulti ultra processati; tantomeno con la
salvaguardia del “Made in Italy”, già tanto messo alla prova da materie prime
di derivazione estera e politiche agricole tutte italiane che infestano le
nostre tavole, silentemente e da decenni”.
Non è
il "cibo dei poveri".
Altro
particolare non da poco che gli esponenti del Governo e i loro megafoni forse
ignorano, è che tra i produttori di alimenti lavorati con derivati di insetti
vi sono anche aziende italiane, aziende che ormai da mesi subiscono un danno di
immagine a causa di una martellante propaganda ostile.
Oltre
al ministro delle Infrastrutture, infatti, ad attaccare i "novel food” ci
si è messo anche il Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare,
Francesco Lollobrigida, che di quelle aziende dovrebbe essere il punto di
riferimento.
Lollobrigida,
nel suo j’accuse, ha messo in uno stesso calderone le farine di insetti alla
carne sintetica, facendo una gran confusione.
Una
bufala anche la storia del “cibo per poveri” fatto con vermi e insetti, che
circola da qualche giorno sulle chat di complottisti, terrapiattisti e “no
vax”, che ovviamente partecipano attivamente al dibattito:
chi
sostiene questa affascinante tesi deve essere rimasto molto scioccato dalla
visione del film “Snow piercer” di Bong Joon-ho in cui, a seguito di una
glaciazione, gli ultimi sopravvissuti rimasti sul pianeta Terra sono costretti
a vivere su un treno e ai più poveri (che abitano nelle ultime carrozze)
vengono date delle barrette proteiche prodotte con gli scarafaggi.
Nel
mondo reale, che non è un film, i "novel food” costeranno molto più dei
tradizionali, entreranno nel circuito della “moda bio” e saranno consumati da
una nicchia.
Un
insetto è pronto da mangiare.
La
guerra all'etichetta al vino.
E
nelle stesse ore in cui i nostri eroici “patrioti” dichiarano guerra ai grilli
invasori che vogliono entrare in quelle bocche in cui le bistecche fiorentine
non vogliono più entrare, sul Fronte Alpino infuria la battaglia
dell’etichetta, altra iniziativa dell’Unione Europea che secondo il
ragionamento di cui sopra danneggerebbe i prodotti italiani:
la
polemica risulta ancor più surreale di quella sulle farine di insetti, perché
al momento non esiste nessuna direttiva che impone ai Paesi membri
l’etichettatura degli alcolici con le avvertenze sanitarie;
la
Commissione ha semplicemente autorizzato l’Irlanda ad apporre le etichette in
attesa di una regola condivisa che sarà discussa nei prossimi mesi, una regola
che riguarderà le etichettature delle bevande alcoliche prodotte da tutti i
Paesi membri, non solo dall’Italia.
Apriti
cielo: per difendere l’italico nettare degli dei, i cavalieri della tavola
imbandita si preparano a un’epica battaglia contro i barbari, arrivando quasi a
negare il fatto che gli alcolici facciano male, che siano causa di tumori e
patologie croniche, nonché indirettamente responsabili di migliaia di morti
sulle strade.
A gettare
benzina sul fuoco, una dichiarazione un po’ forte dell’immunologa Antonella
Viola, che ha scatenato le ire di molti affermando che “chi beve ha il cervello
più piccolo”.
In realtà l’affermazione non è affatto campata
in aria: come emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica “Jamal
Psychiatry”, il consumo moderato e regolare di alcolici arreca danni
strutturali e funzionali al cervello, creando lesioni che possono progredire
per settimane.
E poi ci sono i tumori legati all’uso e
all’abuso:
come spiega l’Oms, non esistono quantità
sicure di consumo di alcolici:
il
“rischio zero” per il cancro è legato all’astensione dalle bevande alcoliche.
Monumentale,
anche in questo caso, il contributo del ministro Lollobrigida, che per lodare
il vino ha pubblicato una card con una foto e una frase di Ernst Hemingway,
grande e indiscusso scrittore, ma anche noto alcolista malato di cirrosi
epatica morto suicida.
Per la
cronaca, la frase recita: “il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel
mondo”.
Qualche
malpensante ha ipotizzato che la card sia stata concepita prendendo per buono
il primo risultato di una ricerca “frasi celebri sul vino” fatta su Google.
Verosimile.
Infine,
a ulteriore conferma di quanto possa essere fuorviante la propaganda politica
quando si parla di cibi e bevande, non si può non menzionare il quotidiano
Libero, che in prima pagina titola:
“La
folle dieta dell’Europa. No vino, sì vermi. Buon appetito”;
tuttavia,
malgrado l’impegno della redazione del giornale delle destre, il Guinness dei
primati per il messaggio più dannoso mai diffuso è ancora oggi assegnato per
distacco al solito Matteo Salvini, che poco dopo la mezzanotte del 13 luglio
del 2013, pubblicò questo tweet:
"Gran serata coi Fratelli Leghisti.
Ginepro, assenzio, limoncello e ora... sereni al volante con Vasco! Liberi
liberi siamo Noi!”.
Chissà
quel giorno cosa avrà pensato l’immunologa Antonella Viola.
Estate
2022: vivere in uno
stato
di crisi multiple.
Aea.europa.eu - Hans Bruyninckx – (6-12-2022) – ci
dice:
Sembra
che stiamo vivendo una crisi dopo l’altra: una pandemia, ondate di calore
estremo e siccità dovute ai cambiamenti climatici, inflazione, guerra e una
crisi energetica.
Questo
inverno sarà probabilmente caratterizzato da una continua incertezza e da
un’elevata volatilità nei mercati globali come l’energia e i prodotti
alimentari, che interesseranno alcuni paesi e gruppi più di altri.
Affrontare
queste crisi, soprattutto a lungo termine, richiede un impegno politico solido
e investimenti nella sostenibilità per rafforzare la resilienza delle nostre
società.
La
pandemia di COVID-19 ha causato oltre mezzo milione di decessi nell’UE dal suo
inizio e non è terminata.
Grazie
a vasti programmi di vaccinazione e a una crescente immunità di gregge, la
pandemia ha rallentato e la salute delle persone è tutelata meglio, tuttavia
nell’ultima settimana sono stati registrati più di 1 000 000 di nuovi casi.
Con l’arrivo dell’inverno e della stagione
influenzale, potremmo affrontare altre varianti e un aumento dei casi.
La
pandemia è stata uno dei fattori scatenanti dell’incertezza economica e della
vulnerabilità, che mettono a dura prova le finanze pubbliche e portano a
ridefinire le priorità delle politiche.
La
situazione è stata ulteriormente aggravata dalla guerra in Ucraina, che ha
generato enormi sofferenze umane sul campo ma ha anche acuito le difficoltà
economiche.
Alla fine di agosto, il tasso annuo di
inflazione nella zona euro era stimato al 9,1 %.
L’aumento
dei prezzi dell’energia, una componente del calcolo dell’inflazione
complessiva, è stato superiore al 38 %.
Si prevede che questa elevata inflazione sarà
accompagnata da una stagnazione nell’economia, che era in ripresa dopo la
pandemia.
I redditi non sono rimasti al passo con l’inflazione,
che continuerà a erodere il potere d’acquisto in Europa e nel mondo.
Estate 2022:
calore estremo, siccità e incendi boschivi.
Nel
corso dell’estate la crisi climatica è stata al centro dell’attenzione dei
media.
La
scienza invia da decenni segnali forti circa il fatto che il nostro clima sta
cambiando e che ciò avrà un impatto su tutti gli aspetti della nostra vita.
Per
milioni di europei i cambiamenti climatici non sono più uno scenario ipotetico
di potenziali impatti in futuro; quest’estate sono diventati una realtà
quotidiana.
Vaste
regioni d’Europa hanno subito intense ondate di calore, che in molte zone hanno
superato i 40 ºC.
Le
temperature medie di quest’estate in Europa sono state le più alte mai
registrate.
Il calore estremo ha anche determinato un
aumento dei rischi di siccità.
L’agosto 2022
è stato generalmente molto più secco della media in gran parte dell’Europa
occidentale e in alcune parti dell’Europa orientale.
In
effetti, in molte parti d’Europa sono state registrate precipitazioni al di
sotto della media per diversi anni consecutivi.
Tuttavia,
in gran parte della Scandinavia e in alcune parti dell’Europa meridionale e
sudorientale, l’estate è stata più piovosa del solito.
Ciò
nonostante, secondo una recente valutazione del “Centro comune di ricerca della
Commissione europea”, questa incertezza e volatilità climatica non hanno inciso
sul fatto che alla fine di agosto del 2022 quasi due terzi dell’Europa siano stati
minacciati dalla siccità, probabilmente «la peggiore da almeno 500 anni».
Il
calore estremo e la ridotta umidità del suolo aumentano il rischio di incendi
boschivi.
Fino
ad ora, quest’anno nell’UE sono bruciati in incendi boschivi 700 000 ettari,
una cifra record.
Secondo
il Sistema europeo d’informazione sugli incendi boschivi, la Spagna finora è la
più colpita, con oltre 283 000 ettari bruciati (corrispondenti a una superficie
leggermente superiore a quella del Lussemburgo), seguita da Romania (150 735 ettari),
Portogallo (86 631 ettari), Francia (62 102 ettari) e Italia (42 835 ettari).
Questi
effetti sul clima si inseriscono nel contesto di una più ampia crisi della
biodiversità, causata dallo sfruttamento eccessivo, dal degrado degli
ecosistemi, dall’inquinamento e sempre più esacerbata dai cambiamenti
climatici.
Molti
ecosistemi, dal suolo agli habitat marini, sono a rischio e numerose specie
sono minacciate dall’estinzione.
Il
degrado ambientale incide sulla nostra salute e sul nostro benessere, nonché
sulla nostra capacità di far fronte ai cambiamenti climatici.
Queste
crisi sono globali e interconnesse.
Sono
le conseguenze di sistemi di produzione e consumo non sostenibili in
un’economia globalizzata e diretta dalle multinazionali bancarie.
Ad
oggi, oltre 6,5 milioni di persone hanno perso la vita a causa della pandemia
di COVID-19.
Quest’estate
il subcontinente indiano è stato colpito da un’ondata di calore estremo.
Un terzo del Pakistan è stato inondato.
Temperature
globali estreme hanno provocato il rapido scioglimento dei ghiacciai
dell’Himalaya e le conseguenti inondazioni hanno causato lo sfollamento di
32 milioni di pakistani, che hanno urgente bisogno di asilo, cibo e medicinali.
L’entità
della devastazione osservata in Pakistan o la gravità del tifone nella Corea
del Sud o gli incendi boschivi in corso e la siccità in California hanno
superato le previsioni.
Gli
effetti delle inondazioni in Pakistan si faranno sentire in tutto il mondo.
Il Pakistan è un importante produttore e
consumatore di riso, uno dei principali prodotti di base del mercato alimentare
globale, già messo a dura prova dalla guerra in Ucraina.
I
prezzi dei prodotti alimentari e i mercati sono volatili e devono far fronte a
potenziali perturbazioni nelle catene di approvvigionamento.
È
probabile che la siccità in Europa influisca ulteriormente sui prezzi,
aggravando la crisi del costo della vita.
Guerra
in Ucraina e crisi energetica.
La guerra
in Ucraina ha causato anche lo sfollamento di milioni di persone, perdite di
vite umane, inquinamento ambientale e distruzione di infrastrutture
fondamentali.
Si
tratta di una crisi umanitaria che richiederà anni, se non decenni, per essere
superata.
La
guerra ha innescato anche una crisi economica ed energetica in Europa.
In risposta all’aggressione russa, l’Unione
europea ha imposto sanzioni economiche alla Russia, sottoponendo a controllo le
importazioni di combustibili fossili dalla Russia.
Per molti
Stati membri dell’UE la Russia è stata il principale fornitore di energia, ma
la Commissione europea e gli Stati membri stanno ora cercando di ridurre tale
dipendenza.
All’inizio di settembre la Russia ha
interrotto le forniture di gas del gasdotto Nord Stream 1, che prima della
guerra forniva quasi il 40 % delle importazioni di gas naturale all’UE.
L’attuale
crisi energetica in Europa è duplice:
i prezzi dell’energia sono aumentati
drasticamente e l’Europa deve far fronte a un approvvigionamento limitato nei
prossimi mesi invernali.
Molti
paesi europei hanno iniziato a mettere in atto misure urgenti per ridurre i
consumi, garantire la sicurezza energetica e prevenire gli sprechi, nonché per
limitare l’impatto dell’aumento delle bollette energetiche sulle famiglie.
Sostenibilità:
l’unica via praticabile per il futuro.
Questo
quadro di crisi multiple e simultanee, che non abbiamo mai vissuto prima, è
complesso e impegnativo.
Come
in tutte le crisi, alcuni paesi e comunità saranno colpiti più di altri.
Molte
famiglie in Europa e in tutto il pianeta sono preoccupate per la loro capacità
di far fronte alle esigenze di base, quali cibo e riscaldamento.
Siamo
vulnerabili.
Anche
i nostri sistemi naturali, la nostra salute e l’economia sono vulnerabili.
La maggior parte delle crisi globali indica
un’unica causa di fondo: l’uso non sostenibile delle risorse del nostro
pianeta.
Tuttavia,
l’UE e altri paesi hanno indicato un modo per affrontare questa causa di fondo
attraverso azioni a favore del clima e dell’ambiente.
Con il
Green Deal europeo, l’UE ha fissato obiettivi ambiziosi per affrontare le cause
di queste crisi:
trasformare
i nostri sistemi energetici, ridurre la nostra dipendenza dai combustibili
fossili, investire in fonti energetiche pulite e rinnovabili, ripristinare la
natura e rafforzare la circolarità nella nostra economia, garantendo al
contempo una transizione giusta in cui sosteniamo le persone più colpite.
La
transizione necessaria non sarà facile: richiederà tempo e denaro.
Tuttavia,
con queste molteplici crisi che hanno ripercussioni su di noi, che si tratti di
carenze energetiche, eventi meteorologici estremi o aumento dell’inflazione,
non abbiamo altra scelta se non quella di agire con urgenza.
E le
nostre azioni, decisioni e politiche dovrebbero cercare di realizzare un futuro
sostenibile.
L’inerzia è sempre più irresponsabile, più costosa
dell’azione ed eticamente inaccettabile.
Le
vulnerabilità e gli impatti ambientali, economici e sociali del nostro attuale
modello economico sono stati ben studiati e documentati.
Le
analisi e i modelli scientifici ci hanno fornito, talvolta già da decenni, una
chiara indicazione di dove ci stiamo dirigendo.
Quello
a cui stiamo assistendo non è né inaspettato né eccezionale.
Siamo
ora in un momento in cui non si tratta più di cercare di prevedere il futuro,
ma di utilizzare tutte le conoscenze disponibili per plasmarlo in una direzione
sostanzialmente sostenibile.
(Hans Bruyninckx - Direttore esecutivo AEA)
Serve più impegno
contro
il cambiamento
climatico.
Lavoce.info- GIULIO
MARIO CAPPELLETTI E MIRIAM SPALATRO – (30/04/2021) – ci dicono:
ENERGIA E AMBIENTE.
La pandemia ha
rallentato molte attività umane che emettono CO2 in atmosfera.
L’economia mondiale
ne ha sofferto pesantemente, ma l’ambiente ha respirato.
Ma per arginare gli
effetti più gravi del cambiamento climatico serve ben altro.
Con la pandemia calo
record delle emissioni.
Una ricerca di “Global
Carbon Project” ci informa che nel 2020 le emissioni mondiali di anidride
carbonica sono diminuite di ben 2,6 GT (-7 per cento rispetto al 2019).
Un calo mai
osservato prima, ma abbastanza prevedibile considerata l’eccezionalità delle
restrizioni imposte dalla pandemia.
I trasporti sono il
settore che ha più contribuito al risultato, basti pensare che nell’aprile del
2020 – quando le aree del mondo responsabili del 90 per cento delle emissioni
erano tutte sotto qualche forma di confinamento – il traffico aereo è sceso del
75 per cento, i trasporti via terra del 50 per cento.
A partire dalla
rivoluzione industriale, le emissioni di CO2 sono sempre cresciute, generando
sino a oggi secondo l’Ipcc (l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa
dei cambiamenti climatici) un incremento di temperatura globale di 1°C.
Dagli anni Sessanta
la crescita ha manifestato una netta impennata, a causa del massiccio uso di
fonti fossili di energia.
Utilizzate
soprattutto nei trasporti e per la produzione di energia elettrica, le fonti
fossili sono responsabili del 65 per cento delle emissioni globali di CO2.
La seconda causa
sono le emissioni di metano (CH4), un gas anch’esso a effetto
serra (GHG) ma del
quale si parla meno.
La maggiore causa
delle emissioni di metano di origine umana è l’allevamento, in particolare di
bovini.
Perché non basta.
Per ridurre gli
effetti disastrosi dei cambiamenti climatici dovuti all’azione dell’uomo l’Accordo
di Parigi, entrato in vigore nel 2016, impone di limitare l’incremento della
temperatura globale al di sotto di 2°C – meglio ancora 1,5°C -, rispetto ai
livelli preindustriali.
È il limite oltre il
quale si ritiene che il cambiamento climatico possa scatenare effetti
disastrosi e imprevedibili.
Sono eventi legati
al superamento di punti critici (“tipping points”), come lo scioglimento del
permafrost e dei ghiacci artici e antartici, il cui raggiungimento è secondo la
scienza sempre più prossimo.
L’”Emissions Gap Report 2020” dell’Unep
quantifica tale sforzo in una riduzione di emissioni tra 1 e 2 GT all’anno, per
più decenni.
Sino ad oggi le cose
sono andate diversamente.
L’ultimo decennio
2010 – 2019 risulta essere il periodo di maggior crescita delle emissioni, con
un incremento medio annuo dell’1,4 per cento.
Nel 2019, l’anno prima della pandemia, la
crescita è balzata addirittura al 2,6 per cento, a causa degli incendi che
hanno devastato vaste aree verdi del globo.
Secondo il “Climate
Action Tracker “continuando con le attuali politiche il mondo si dirige dritto
verso un incremento della temperatura globale superiore anche a 3°C nel 2100,
1,5°C già nel 2035 e i temuti 2°C nel 2053.
L’enorme sacrificio
compiuto dall’umanità nel 2020 inciderà poco sulla febbre del pianeta poiché la
riduzione del 7 per cento delle emissioni corrisponderà a un calo di appena
0,01°C del riscaldamento globale nel 2050.
Perché ciò che conta, più del singolo taglio
puntuale alle emissioni, è la concentrazione di anidride carbonica in
atmosfera.
La forte
preoccupazione sulla crescita di questo dato era stata espressa già nel 1975
dal geologo Wallace S. Broecker.
Broecker aveva previsto un incremento della
concentrazione di CO2 nel 2010 vicino a quello effettivamente registrato,
anticipandone anche parte dei rischi.
Da allora, l’accumulo
di anidride carbonica è cresciuto ogni anno, anche nel 2020 nonostante il
taglio alle emissioni dovuto al Covid-19.
La concentrazione di
CO2 del marzo 2021 è stata pari 417,64 ppm (parti per milione), maggiore
rispetto a marzo di dieci anni fa (393,88 ppm), ma anche rispetto a marzo 2020
(414,74 ppm).
Come in un secchio colmo per le emissioni
accumulate dall’uomo nel tempo, il contributo virtuoso dei tagli indotti dalla
pandemia appare insignificante rispetto all’entità delle riduzioni necessarie .
Le buone notizie.
Alcune buone notizie
ci sono.
A differenza delle
altre crisi economiche, in cui dopo lo shock i parametri ambientali sono
tornati immediatamente alla normalità, ci si aspetta che si consolidino molte
sane abitudini amplificate dalla pandemia – benefiche per il clima – .
Parliamo del maggior
ricorso al trasporto attivo nelle città (a piedi o in bicicletta), a sistemi di
comunicazione a distanza nelle imprese (meno viaggi di lavoro e più smart
working), a forme di turismo regionale e allo shopping online.
A queste si aggiungerà il potenziamento di
fenomeni in forte crescita già prima della pandemia, come la diffusione delle
auto elettriche, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile (risultato
settore abbastanza resiliente durante il 2020 nonostante la crisi economica) e
le soluzioni di efficienza energetica.
Ma ciò non basterà
comunque a ridurre la febbre del pianeta perché, anche se le maggiori aree
emettitrici del mondo quali Stati Uniti, Cina e Unione europea hanno dichiarato
la loro ambizione di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050 (Usa e
Europa) e 2060 (Cina), le loro società continuano a essere basate pesantemente
su fonti fossili.
Fonti sostenute
ancora da incentivi cospicui, valga per tutti l’esempio della mai arrestata
crescita delle centrali a carbone in Cina.
Occorre invece un cambio di rotta immediato,
basato su azioni forti, molte da realizzare già entro la fine degli anni Venti.
L’Ipcc dichiara
necessaria una riduzione del 45 per cento delle emissioni globali di CO2 entro
il 2030 rispetto al 2010 per raggiungere l’obiettivo di 1,5° C, nonché profonde
riduzioni delle emissioni diverse dalla CO2.
L’Iea indica la necessità di duplicare la
spesa per energia rinnovabile nei prossimi 10 anni, per raggiungere i
principali obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) relativi all’energia.
Per i 64 paesi più sviluppati e attenti al
clima del mondo, che sono riusciti dal 2015 ad avviare un processo di
decarbonizzazione riducendo le loro emissioni, gli obiettivi consistono nel
“decuplicare” il loro impegno per rispettare l’Accordo di Parigi.
E se è vero che
acquisire consapevolezza vuol dire avere già fatto metà percorso, la pandemia
avrà fornito almeno una più chiara misura dell’enorme sforzo da compiere.
Il futuro delle
aziende farmaceutiche
e è trasformarsi in
società
di servizi per la
salute.
Sanita24.ilsole24ore.com-
Josef Nierling- (1° aprile 2020) – ci dice:
(Josef
Nierling- amministratore delegato Porsche Consulting).
In un'economia che
mostra un rallentamento generalizzato, il farmaceutico è uno dei pochi settori
in costante crescita, con un ritmo superiore al 6% annuo.
Ha raggiunto un
valore complessivo mondiale di quasi 1.000 miliardi di Euro, ed è dello stesso
ordine di grandezza l'ammontare di investimenti previsti nel prossimo
quinquennio.
Per l'economia
italiana il farmaceutico è un asset strategico: delle oltre 200 aziende
operanti sul territorio, il 40% è a capitale nazionale.
Nel 2017, con una
produzione di 31,2 miliardi di euro, l'Italia ha raggiunto una posizione di
primato all'interno dell'Unione Europea superando la Germania (30 miliardi di
euro).
E, nel nostro Paese,
si investe molto in ricerca e sviluppo: a fianco dei farmaci di sintesi chimica
stanno crescendo significativamente i farmaci biologici, i quali costituiscono
il 20% dei farmaci oggi in commercio ed il 50% di quelli in sviluppo.
Questi nuovi farmaci
in molti casi rappresentano l'unica opzione terapeutica per patologie rilevanti
e diffuse come talassemia, fibrosi cistica e alcune forme di tumore.
E sono tra le
principali armi contro le malattie rare, come quelle di origine genetica.
La ricerca per i
farmaci biotech è però molto costosa: una molecola di un farmaco tradizionale
richiede 3-5 anni di sviluppo e costa da 1 a 5 milioni di euro.
Un farmaco biologico
richiede in media 7-8 anni di ricerca e un costo tra i 100 e i 250 milioni di
euro.
Per percepirne la differenza, si prenda ad
esempio l'Aspirina, costituita da 21 atomi, e l'antitumorale Herceptin,
composto da 25.000 atomi.
I farmaci biotech si
fondano sulla cultura di cellule e sulla purificazione delle proteine al posto
delle classiche reazioni chimiche.
Richiedono quindi
tecnologie produttive complesse, anche a causa dei rischi di contaminazione.
Ciò porta ad una
maggiore pressione sui costi e a nuovi modelli di pricing e di contracting con
i servizi sanitari nazionali.
Ma c'è un altro
motivo meno immediato e potenzialmente più stravolgente per il quale le aziende
farmaceutiche devono rivalutare i propri asset strategici ed i propri
investimenti:
il riassetto del
settore dovuto allo spostamento della competizione dalla ideazione e produzione
di farmaci alla fornitura di servizi per la salute, in un ecosistema centrato
sul paziente.
O, meglio ancora,
centrato idealmente sulla persona sana, per evitare che essa diventi paziente
di una cura.
Ci sono alcuni
importanti trend che sostengono il cambiamento: l'invecchiamento della
popolazione e il conseguente fabbisogno di tenere in salute in maniera
economicamente sostenibile una fascia sempre più ampia di persone, lo sviluppo
di tecnologie connesse che consentono l´autodiagnosi e il monitoraggio dei
risultati delle terapie da remoto, o la diffusione di servizi di coaching
digitale dedicati a specifici segmenti di popolazione a rischio di malattie
croniche.
E si vedono i primi
passi in questa direzione: la Pfizer, ad esempio, sebbene sia il più grande
produttore mondiale di farmaci, da un lato sta sviluppando sofisticate
applicazioni di “Artificial Intelligence” per migliorare la realizzazione di
trials sui farmaci ma, dall'altra, ha recentemente investito nella start-up
svedese “Amra”, una società “Medtech “che trasforma immagini di risonanza
magnetica in precise analisi e biomarker della composizione del corpo a
supporto di servizi di medicina preventiva.
La centralità del
paziente per le case farmaceutiche acquista oggi un nuovo significato e le
trasforma da produttori di molecole a società di servizi per la salute:
nei loro futuri
modelli di “business Big Data”, “Internet of Things” ed “Intelligenza
Artificiale” diventano asset strategici.
Il Pharma di domani,
tra nuovi valori,
competenze e
professioni.
Lincmagazine.it -
Gianluca Dotti – (10 giugno 2021) – ci dice:
Biotecnologie,
comunicazione e una rete di relazioni: il punto di vista dei fondatori di
“BioPharma Network” sul futuro occupazionale del comparto farmaceutico.
Pure il settore
Pharma – forse persino più di molti altri – ha risentito dell’effetto
accelerante della pandemia, con una serie di trasformazioni che parevano essere
di lungo periodo diventate invece realtà nel giro di pochi mesi.
Non è retorica: i
nuovi farmaci sono profondamente diversi da quelli tradizionali, il mestiere di
chi lavora nelle aziende farmaceutiche è cambiato radicalmente, ed è mutata
anche la percezione stessa che le persone hanno delle aziende del comparto.
Con la conseguenza
che, dalla formazione fino alla pratica quotidiana e agli obiettivi perseguiti,
il lavoro in ambito farmacologico sta assumendo un volto nuovo.
Per orientarci in
questa inevitabile metamorfosi che guarda al futuro, per Linc ne abbiamo
parlato con i tre fondatori di “BioPharma Network”, l’associazione dei manager
del settore farmaceutico che aggrega professionisti di grande esperienza,
spaziando dai temi scientifici delle biotecnologie a quelli gestionali delle
grandi aziende, fino agli aspetti legati alla formazione e alla rete di
relazioni esterne.
“Le professioni
stavano già cambiando prima della pandemia, ma oggi c’è proprio un nuovo modo
di approcciarsi al settore, sia come tipologia di servizi sia nel modo con cui
ci si relaziona con gli stakeholder clinici, istituzionali e pazienti”, ha
spiegato Luca Simonato, tesoriere e segretario di BioPharma Network oltre che
Direttore Generale di Inrete, agenzia di Relazioni Istituzionali e
Comunicazione.
D’altra parte,
quando arrivano sul mercato grandi innovazioni, nuove opzioni terapeutiche e tecnologie come le terapie geniche o il digital
health, i cambiamenti sono radicali. “
Cambiando il
contesto in cui le aziende operano, di conseguenza viene meno il classico
schema delle divisioni aziendali”, ha continuato. “
Per questo, anche le
competenze evolvono, ed è sempre più necessaria un aggiornamento costante e
multidisciplinare”.
Insieme
all’approccio generale da parte delle aziende, a essersi modificata è anche la
percezione del settore della Salute:
se negli ultimi anni ci si è dovuto
confrontare con problemi di reputazione, oggi la sfida è far comprendere il
valore che le aziende Life Science determinano per la società di oggi e di
quella di domani.
“Dalla narrazione
delle opzioni di cura, ora il modo di raccontarsi è cambiato ed è volto a
sottolineare la centralità del paziente, ancora di più dopo una pandemia che ci
ha spinto a ripensare i modelli e i sistemi organizzativi per la presa in
carico dei pazienti stessi”, ha chiarito Simonato.
“Chi lavora nel
Pharma deve quindi avere l’ambizione di sapersi concentrare non solo sui
singoli progetti, ma avere una capacità di relazionarsi con associazioni di
pazienti, istituzioni e altri stakeholder.
Ciò significa
sviluppare competenze e abilità che vanno ben oltre la parte tecnica”.
Queste nuove
competenze, peraltro, sono richieste a tutti i livelli e sulla struttura
organizzativa.
“Si sta notando molto il cambio di approccio,
perché non si tratta solo di promozione, ma di trasferire il valore aggiunto di
un’opzione terapeutica non solo sull’aspetto clinico per il medico e per il
paziente, ma anche per la sostenibilità del sistema: la salute quindi diventa
da costo a valore sociale”, ha concluso Simonato.
Tutto ciò si
riflette poi direttamente nella struttura interna delle aziende.
“Le aziende Pharma hanno sempre più strutture
flat e presentano spesso organigrammi ibridi”, ha aggiunto il presidente di “BioPharma
Network” Domenico Guajana.
“Da sempre una
specificità del mondo farmacologico è l’essere guidato dalla soluzione
farmaceutica che le aziende producono, ma fino a qualche anno fa le terapie
erano il risultato di sintesi chimica e indirizzate a popolazioni ampie di
pazienti come i diabetici, gli ipercolesterolemici e gli ipertesi, mentre oggi
le nuove terapie non sono più di natura chimica ma biotecnologica, e rivolte a
popolazioni ristrette in termini epidemiologici,con un elevato “unmeet medical
need”, come nel caso di malattie rare, genetiche, sottotipi di patologie o
malattie oncologiche e immunologiche a diversi stadi”.
Come anticipato,
l’effetto è anche e soprattutto in termini comunicativi.
Se prima la comunicazione era prevalentemente
incentrata sull’aspetto clinico, oggi si orbita attorno al valore del farmaco,
non tanto in termini di prezzo bensì di impatto economico sul sistema sociale,
sanitario e sulla vita delle persone e della comunità.
“Questo cambio di
prospettiva si riflette sulle competenze necessarie”, ha continuato Guajana.
“Prima servivano
capacità hard e soft di un certo tipo, mentre oggi la parte tecnica è meno
chimica e più biotecnologica, e sul fronte della comunicazione importa di meno
il dato clinico e di più l’impatto del farmaco sulle persone”.
Insomma, si potrebbe
dire che serve la capacità di comprendere un contesto complesso, di imparare
facilmente e di gestire interlocutori con richieste diverse.
“Tra cambi generazionali
e digitalizzazione, anche il ruolo del manager farmaceutico evolve velocemente:
deve imparare nuovi approcci al lavoro che si generano da questo cambiamento,
con la consapevolezza che aumenterà sempre di più il peso del contributo del
singolo”, ha precisato.
Ma come impatta
questo cambiamento sul fronte dell’occupazione e della formazione?
“Se già oggi tutte
le aziende Pharma più importanti hanno il focus sulle biotecnologie, tra 5 o 10
anni ciò sarà ancora più evidente, tra ingegneria tissutale, farmaci biologici
di nuova generazione, terapia genica, diagnostica genetica e nuove tecniche di
screening”, ha raccontato il vicepresidente di BioPharma Network Michele
Barletta.
Biotecnologi e
Biologi, insomma, avranno la laurea di maggiore rilevanza.
“Oggi, è sempre di
più nel prossimo futuro, l’informazione scientifica sarà sempre più complessa e
centrata su prodotti e meccanismi biotecnologici di ultima generazione, di
nuova scoperta per particolari manifestazioni cliniche e ad alto valore economico.
Sarà quindi
necessario trasferire alla classe medica e ai diversi stakeholders nozioni e
meccanismi biotecnologici e genetici e con un approccio e una competenza
diversa dal passato.
Sicuramente se a
farlo sarà un biotecnologo o un biologo, che ha studiato in profondità queste
tematiche, si concorrerà maggiormente a far comprendere le caratteristiche e il
valore clinico dei nuovi farmaci biotecnologici.”
Ma non c’è solo la
parte tecnica.
Accanto alla
competenza scientifica, infatti, nel mondo occupazionale Pharma sono sempre più
necessarie competenze manageriali.
“Il laureato in biotecnologie avrà opportunità
professionali nei diversi dipartimenti manageriali dell’azienda: Marketing, Comunicazione,
Market Access, Medical Affair, in ambito regolatorio e dell’informazione
scientifica”, ha confermato Barletta.
Su questo tema la
stessa “BioPharma Network” ha recentemente realizzato una survey tra gli
associati dal titolo Pharma:
analisi sulla
tipologia di laurea e professione, da cui emerge per esempio quali sono i
curricula universitari più presenti nelle imprese, e quali dipartimenti
aziendali hanno le maggiori quote di occupati, confermando di fatto come
biotecnologi e biologi sono oggi la rappresentatività più alta del settore
(34,1%), con impiego nei dipartimenti di Medica, Informazione scientifica,
Marketing e Market Access, e con uniforme distribuzione tra ruoli dirigenziali,
manageriali e specialistici.
“Una strategia che
sarà interessante innescare per la formazione universitaria di domani è fondere
le competenze, incorporare nei piani di studio, insieme alla fondamentale parte
scientifica, anche discipline che per ora sono toccate marginalmente, come marketing,
comunicazione, innovazione, economia e allenare le soft skill, in modo da
permettere agli studenti di conoscere queste aree, di potersi orientare durante
il percorso di studi e di approfondire ulteriormente la competenza manageriale
attraverso percorsi post-laurea dedicati e specifici di settore e potenziare la
formazione, anticipando l’ingresso in azienda, attraverso percorsi dedicati
come stage e tirocini”, ha spiegato Barletta.
Nei corsi di laurea
in biotecnologie o in biologia possiamo quindi aspettarci insegnamenti di
marketing e management, da approfondire poi dopo la laurea.
“BioPharma Network”
sta collaborando con alcune Università Italiane per formare e orientare gli
studenti di Biotecnologie e Biologia verso il comparto farmaceutico con
progettualità che avvicinano la formazione tradizionale alle competenze
manageriali.
Tra i trend
prospettati da “BioPharma Network”, e non solo, c’è l’ulteriore incremento di
Biotecnologi e PhD, specializzati in aree Oncologiche, Genetiche e Immunologiche,
nelle aziende del comparto.
Che cosa hanno in
comune
Pfizer, BlackRock,
Facebook e le banche?
Econopoly.ilsole24ore.com
- Francesco Mercadante – (02 Febbraio 2021) – ci dice:
Si ringrazia
Michaela Odderoli, web analyst, per il contributo di ricerca.
Pfizer, entità
inafferrabile da 214 miliardi di dollari, è la terza azienda farmaceutica al
mondo.
Per descriverla,
nella recente letteratura giornalistica, si sono sprecati appellativi e
similitudini d’ogni genere e specie:
“(…) come un Titano”
qualcuno scrive, rievocando le ancestrali forze cosmogoniche;
altri la associa con
Moloch, la temibile divinità cananea dell’Antico Testamento;
non manca poi chi
ricorre alla spaventosa figura del Leviatano, anch’essa veterotestamentaria;
si è giunti pure a Humbaba, il terrificante
guardiano della foresta nell’epopea di Gilgameš.
Insomma, s’è lasciata la fantasia a briglie
sciolte e, come spesso accade, s’è ecceduto allontanandosi molto dai fatti.
Noi, però, già che
ci siamo, vogliamo contribuire ad arricchire la lista e aggiungiamo l’immagine
di Briareo:
non già per
partecipare al gioco di differimento, bensì per offrire un medium di
pertinenza:
Briareo, figlio di
Urano e Gea, ha cinquanta teste e cento mani; non a caso, è altrimenti noto
come centimani.
Ci proponiamo,
infatti, di guidare il lettore all’interno della selva oscura di quegli
intrecci finanziari che caratterizzano il mondo del farmaco e, oggi, in
particolare dei vaccini anti-covid.
Intendiamoci, a
scanso di equivoci: d’una parte della selva!
Questo è un
articolo, non un dossier; e si comprende bene che, invece, occorrerebbe un
congruo carteggio.
Per l’appunto,
dicevamo di Briareo, metafora mitologica dalle cinquanta teste e dalle cento
mani;
la qual cosa non deve portarci di filato
all’idea del complotto dei plutocrati occulti.
Sarebbe ridicolo e
qualunquistico, oltre che impertinente.
Abbiamo il dovere,
tuttavia, di osservare con rigore i dati e le circostanze in cui questi si sono
formati.
Cominciamo col dire
che, nell’azionariato della Pfizer compaiono alcuni insormontabili giganti
degli investimenti come Vanguard, BlackRock e Wellington, che possiedono,
rispettivamente, l’8,12%, il 7,46% e il 4,22% del colosso farmaceutico
statunitense.
Anche se non hanno
bisogno di presentazioni, per dovere di cronaca diciamo chi sono, di cosa si
occupano e che valore hanno sul mercato.
BlackRock è la più
potente e ricca società d’investimenti al mondo, è una statunitense purosangue,
gestisce un patrimonio di più di 8.000 miliardi di dollari ed è stata definita
“banca mondiale ombra”, “roccia invisibile” et similia.
Vanguard Group è
un’altra società d’investimenti statunitense, ha asset per oltre 5.000 miliardi
e, in quanto a negoziazione di fondi, è seconda sola a BlackRock.
La più piccola del gruppo – “piccola”… si fa
per dire – è la “Wellington Management Company”, altra società d’investimento
statunitense, con una gestione di circa 1.500 miliardi di dollari.
Quest’ultima, tra le
altre cose, è strettamente ‘imparentata’ proprio con la Vanguard.
Fin qui, null’altro
se non un quadro di finanza internazionale ordinario.
Senza troppa fatica,
però, si scopre che BlackRock e Vanguard sono pure i maggiori investitori
istituzionali di Facebook:
BlackRock col 6,59%,
Vanguard col 7,71%; in pratica, si tratta dei primi due.
E la Wellington? Non
sta di certo a guardare, giacché, a propria volta, è dentro la BlackRock col
3,36%.
La metafora delle
cinquanta teste e delle cento mani comincia a farsi efficace. Vanguard e
Wellington, inoltre, sono presenti nell’azionariato della Pfizer anche
attraverso i fondi comuni:
Vanguard-Wellington
Fund 0,96%, Vanguard Specialized-Health Care Fund 1,31%, Vanguard 500 Index
Fund 2,05%, Vanguard Total Stock Market Index Fund 2,80%.
Se, da una parte,
non possiamo – né intendiamo – giungere a conclusioni strampalate circa le
forme di controllo della salute globale, dall’altra, non possiamo di certo fare
a meno d’interrogarci sul valore che assumono alcuni dati, in specie quelli di
un social network ormai noto per aver venduto a Spotify, Netflix, Amazon e
Microsoft gli accessi degli utenti.
Alla luce
dell’accertato legame finanziario tra il settore farmaceutico, quello
finanziario e quello dei social network, sorgono per lo meno dei dubbi in
materia di vigilanza.
Chi può controllarne
l’operato?
Qual è – se mai
esiste – il criterio con cui definire questo operato?
Forse, è impossibile ricavarne una definizione
vera e propria.
Aggiungiamo, adesso,
che tra i grandi azionisti di Pfizer troviamo anche le grandi banche:
Bank of America,
Deutsche Bank, Morgan Stanley, JP Morgan et al.
Se passiamo ad AstraZeneca, il leitmotiv non
cambia.
BlackRock ne
possiede il 7,7%, Wellington il 5,9% e Vanguard il 3,5%, unitamente al solito
comparto bancario.
E non si può di
certo tacere che BlackRock, Vanguard e Wellington hanno solide e cospicue
partecipazioni azionarie nella maggior parte delle multinazionali che producono
armi, tra le quali possiamo citare Lockheed Martin Corporation, Raytheon RTN,
Bae Systems, Northrop Grumman Corporation & Orbital ATK e General Dinamics.
Nell’ultima
escursione di questa mini-verifica, è doveroso ricordare che l’inarrivabile
BlackRock è la maggiore azionista di UniCredit col 5,2% e possiede il 5,7% di
MPS, il 5% di Intesa e il 4,8% di Telecom Italia.
Ma non mancano poi
le partecipazioni in Atlantia, Azimut, Prysmian, Ubi et cetera. Il ‘caso volle
che’, all’epoca degli stress test EBA del 2016 e del 2018, proprio BlackRock e
Vanguard fossero le società incaricate della consulenza in materia di
vigilanza, cioè le società che avevano – e hanno tuttora – partecipazioni nelle
banche da controllare.
E non finisce qui. Se consideriamo che
Wellington è titolare del 6,1% delle azioni di CERVED Group, la società
italiana che valuta il merito creditizio e la classe di rischio delle nostre
imprese, mentre Vanguard ha un’esposizione a Piazza Affari per più di 9
miliardi, allora s’impone come preminente il dovere di trovare una
‘definizione’ per l’operato delle lobby, delle loro estensioni e delle loro
combinazioni.
La ‘definizione’,
cui s’è fatto cenno in precedenza, non è affatto il capriccio di chi trovi
diletto nell’uso del metodo scientifico;
non è il diversivo
filosofico d’una politica inerme o il tentativo di riscatto d’una comunità
religiosa.
È, invece,
soprattutto, il presupposto di un ‘riconoscimento’ logico della questione,
l’indispensabile premessa epistemologica all’individuazione delle differenze
tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Non aspiriamo di certo a possedere chissà
quale panacea, ma la creazione di un quadro legislativo adeguato deve passare
dal riconoscimento, come già detto, concreto e lineare di un fenomeno.
Ignorarne alcuni o anche uno di essi vuol dire farsi carico d’una gravissima
colpa storica, lasciare che accada tutto e il contrario di tutto.
La superficialità
con cui, molto di frequente, i governi fingono di non vedere e non sapere è
allarmante, tant’è che, a un certo punto, la gente si scandalizza per frasi del
genere:
“Il titolo della
Pfizer ha guadagnato parecchi punti dopo l’annuncio dell’efficacia del
vaccino”;
frasi usate all’interno di articoli pieni di
allusioni e insinuazioni e i cui autori credono di aver fatto chissà quale
scoperta, laddove non hanno fatto altro che attestare che il pozzo è umido.
Pensiamo forse che i
mercati non premino un’azienda farmaceutica che ha appena scoperto un vaccino
anti-pandemia?
Purtroppo, non è
facile, in un periodo di grande tensione politico-economica e sanitaria,
mostrare buona capacità di discernimento, sebbene, nello stesso tempo, non si
possano trascurare – ci si conceda l’espressione! – i requisiti di
‘onorabilità’.
Una decina d’anni
fa, la Pfizer fu condannata per aver messo in circolazione in modo illegale dei
farmaci;
ne uscì quasi indenne pagando una multa di 2,3
miliardi di dollari.
2,3 miliardi di dollari, per una società che
ha un fatturato annuo di oltre 50 miliardi e un utile netto di più di 16
miliardi, non rappresentano una multa;
si tratta – né più
né meno – d’un’imposta sui ricavi.
Qualcosa del genere
è accaduto, per esempio, alle grandi banche che per anni hanno alterato i tassi
d’interesse: hanno subito delle ‘multe’, che, naturalmente, a fronte dei
profitti, rientrano sempre nel campo dell’imposizione fiscale ‘indiretta’.
L’espressione si
presta alla metafora: è evidente; ma non c’è spazio per l’ironia di contorno.
Di qui, non si può fare a meno di richiamare
ancora una volta l’attenzione sul problema della ‘definizione’.
La relazione di
causa ed effetto tra il dolo e la sanzione può essere ridotta unicamente a una
stima economica, che peraltro non è mai direttamente proporzionale al danno
causato?
In una società
evoluta può accettarsi una tale distanza tra il giudizio che si emette
sull’uomo comune, quello che non ha alcun potere contrattuale, e quello che si
emette sulle sovrastrutture economiche del pianeta, non altrimenti che se
esistesse una legge extra ordinem?
Forse, sarebbe il
momento opportuno di tentare la via della risposta.
Nel 2000, il
Washington Post, nel condurre un’inchiesta sulla Pfizer, portò all’attenzione
del grande pubblico proprio il controverso caso d’una grave epidemia in cui
l’azienda farmaceutica aveva interpretato un ruolo – a dir poco – spettrale e
inquietante.
In particolare, i
fatti risalgono al 1996, allorché alcuni bambini della città nigeriana di Kano,
colpiti da meningiti da meningococco, furono sottoposti a una sperimentazione
senza alcun tipo di autorizzazione.
In quell’occasione, la sperimentazione passò
dalla somministrazione della trovafloxacina, un farmaco sperimentale, per
l’appunto, e che, secondo le accuse causò, in alcuni casi, la morte dei malati
e, in altri, danni irreparabili.
L’ennesima
grossolana – e conclusiva – riflessione che sentiamo l’obbligo di fare non
rinvia al senso dello scandalo, giacché, molto probabilmente, la frode non
nasce con l’uomo, ma prima dell’uomo.
Lo stesso può dirsi per le trame finanziarie.
Essa afferisce, invece, alla già rilevata e
netta separazione tra lo statuto morale del cittadino e quello dei potentati
economici.
Il problema – si
badi bene! – esiste ed è serio: se è vero e inconfutabile che certi imperi non
si possono condannare e far crollare perché il loro crollo genererebbe una tale
quantità di sciagure economiche che la società civile si riprenderebbe a fatica
– Lehman Brothers docet – è altrettanto vero che un cittadino comune, per
errori molto meno determinanti, rischia la disfatta social-giudiziaria.
Eppure, oggi, il
Covid si è abbattuto ‘principalmente’ sui cittadini comuni.
(francescomercadante.it)
Il settore
farmaceutico:
opportunità per
mantenere
un ruolo da leader
in Europa.
Sace.it- Redazione –
(10-10-2022) – ci dice:
Pharma leader.
La crisi generata
dalla pandemia Covid-19 ha posto il settore farmaceutico, responsabile dello
sviluppo, produzione e commercializzazione di farmaci, al centro
dell’attenzione internazionale.
Il farmaceutico si
configura come uno dei settori più competitivi a livello globale che, anche nel
contesto della pandemia, ha continuato a registrare una dinamica espansiva e
prospettive positive di crescita.
Il comparto è stato
infatti favorito dall’emergenza sanitaria, che ne ha prodotto una crescita dei
ricavi seguita da un miglioramento degli indici di redditività e da conti più
solidi.
L’ITALIA LEADER EUROPEO DI SETTORE.
La farmaceutica, è
uno dei settori in cui il nostro Paese gode di una maggiore competitività e
solidità a livello internazionale.
In un contesto
globale in cui l’Europa e l’Asia rappresentano oltre il 60% del valore aggiunto
del settore farmaceutico, l’Italia può vantare una posizione di leadership a
livello europeo, grazie anche ad una tecnologia di settore molto avanzata e a
un buon livello di innovazione.
L’evoluzione della
farmaceutica è stata caratterizzata da importanti investimenti delle aziende e
da un incremento dell’export che ha registrato negli ultimi anni, rispetto alla
media europea, una crescita superiore in valore, nonché un aumento stesso del
valore medio superiore rispetto agli stessi partner europei.
La farmaceutica
inoltre, se confrontata con altre aree industriali, presenta degli indici di competitività
più alti rispetto ad elementi quali ad esempio gli investimenti per addetto,
nonché una marcata propensione all’export (+246%).
In accordo con i
dati del commercio estero, il settore ha contribuito in maniera determinante
alla ripresa delle esportazioni italiane di beni sin dal 2010.
Tra il 2008 e il
2017 il settore si è classificato come l’unico ad aver incrementato le proprie
quote di mercato a livello internazionale (+0,6%) e nel 2018 ha raggiunto un
importante risultato, contando per il 5,6% del totale delle esportazioni
nazionali.
Nell’ultimo biennio,
la crescita dell’export, ha portato un ulteriore aumento della produzione e si
prevede dinamica espansiva delle esportazioni per tutto il 2020 e 2021.
I principali
interscambi commerciali sono mantenuti dall’Italia con i paesi membri
dell’Unione Europea, che costituiscono circa il 57% del nostro export e il 70%
dell’import, mentre, gli Stati Uniti (18% dell’export e 14% dell’import)
rappresentano il principale partner commerciale extra-UE.
La forte
internazionalizzazione dell’industria farmaceutica italiana è testimoniata
dall’elevata presenza di imprese a capitale estero:
nello specifico, il
nostro è il primo tra i maggiori paesi europei per la presenza di imprese
farmaceutiche a capitale statunitense e tedesco, che rimandano agli Stati Uniti
e alla Germania come i principali mercati di destinazione delle vendite estere
di settore.
Da tenere in
considerazione anche la posizione del Belgio, che si distingue per essere un
importante centro logistico europeo per la distribuzione di prodotti
farmaceutici nel resto del mondo.
In particolare, gli
Stati Uniti sono il maggiore mercato farmaceutico del mondo, caratterizzato da
una spesa pro capite elevata che riflette sia gli alti livelli di consumo di
medicinali sia una spiccata preferenza per prodotti innovativi di marca.
Le nostre vendite
verso Washington hanno registrato, a eccezione del 2018, una crescita a doppia
cifra negli ultimi anni, con un dato che è rimasto in positivo anche nei primi
otto mesi del 2020 (+5,9% rispetto a gennaio-agosto 2019).
Si segnala che circa
la metà di questo export è da ascriversi a flussi generati da imprese italiane
affiliate a multinazionali americane, che dominano il mercato farmaceutico
globale, come evidenziato nel nostro ultimo Rapporto Export "Open
again".
NUOVE OPPORTUNITÀ DI MERCATO.
Il 2020 ha visto
l’entrata in vigore di un accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il
Vietnam, che comporterà la soppressione del 65% dei dazi sulle esportazioni
dell'UE verso il Paese asiatico al momento dell'entrata in vigore, mentre il
resto sarà eliminato gradualmente nell'arco del prossimo decennio.
I dazi sulle importazioni dal Vietnam saranno
aboliti progressivamente in un periodo di sette anni.
L'accordo consentirà di eliminare le tariffe
su una serie di prodotti di esportazione chiave per l'Unione, tra cui appunto
quelli farmaceutici.
Si tratta di
un’intesa che offre importanti opportunità per le aziende italiane interessate
agli scambi commerciali con il Vietnam, dove è in corso una progressiva
liberalizzazione, e che rappresenta una delle economie più importanti della
regione e da dove è possibile instaurare rapporti commerciali con altri paesi
dell’area.
Il Vietnam, inoltre,
garantisce un uso corretto dell’indicatore di provenienza di un prodotto,
offrendo un notevole vantaggio per il marchio “Made in Italy”, che potrà essere protetto dalla competizione a
livello locale e internazionale da parte di marchi fraudolenti.
PHARMA 4.0 – IL
SETTORE FARMACEUTICO NELL’ERA DIGITALE.
La rivoluzione
digitale ha prodotto dei cambiamenti che coinvolgono tutti i settori
industriali, compreso quello farmaceutico, sul quale questi esercitano un
impatto tale da poterne aumentare la performance e il potenziale di sviluppo.
La digitalizzazione influenza in maniera
sempre più marcata tutte le fasi dell’attività dei gruppi farmaceutici: nella
ricerca sta implementando la capacità di raccogliere, incrociare e processare
dati, così come si assiste ad un aumento stesso della produzione sia per quanto
riguarda il “farmafacturing” che la Pharma logistic.
Molte imprese stanno
attuando investimenti in digitalizzazione per innovare modelli e
riorganizzazione aziendale, in una fase di trasformazione che richiede nuove
competenze e figure professionali e in grado di generare nuove opportunità.
La farmaceutica
rappresenta il settore per il quale la digitalizzazione genera il più alto
rapporto tra crescita della produttività e sostituzione del lavoro e circa la
metà delle imprese operanti nel settore, ritengono che l’adozione delle nuove
tecnologie le porterà ad aumentare l’occupazione.
QUALI PROSPETTIVE
PER IL FUTURO.
Gli effetti del
Covid-19, hanno messo in luce numerose e diverse criticità riguardo il funzionamento
del settore farmaceutico internazionale, come la carenza di farmaci e
dispositivi medici e l’interruzione di catene di approvvigionamento.
Ciò ha portato alla consapevolezza della
necessità di una riorganizzazione del sistema stesso, affinché una maggiore
resilienza e una capacità di agire in maniera più tempestiva e idonea in caso
di emergenza possano essere garantite in futuro.
A questo proposito,
l’Unione Europea ha lanciato una Nuova Strategia con l’obiettivo di contribuire
a garantire l'approvvigionamento da parte dell'Europa di farmaci sicuri e a
prezzi accessibili e di sostenere la portata innovatrice dell'industria
farmaceutica europea.
Nello specifico, la
Strategia mira a sostenere quest’ultima nella ricerca e nelle nuove tecnologie,
nonché ad affrontare fallimenti di mercato, tenendo conto anche delle debolezze
a cui il sistema è stato esposto a causa della pandemica Covid-19.
TREASURE CHEST.
La farmaceutica è
uno dei settori in cui l’Italia gode di una maggiore competitività e solidità a
livello internazionale e di una posizione di leadership a livello europeo e
inoltre è il settore per il quale la digitalizzazione genera il più alto
rapporto tra crescita della produttività e sostituzione del lavoro e si ritiene
che l’adozione delle nuove tecnologie porterà ad aumento dell’occupazione.
L’incremento
dell’export del settore ha registrato negli ultimi anni, rispetto alla media
europea, una crescita superiore in valore, nonché un aumento stesso del valore
medio superiore rispetto agli stessi partner europei.
Si prevede dinamica espansiva delle
esportazioni per tutto il 2020 e 2021.
Tra le destinazioni
di opportunità, gli Stati Uniti e la Germania che sono i principali mercati di
destinazione delle vendite estere, e il Vietnam, con cui l'UE ha recentemente
firmato un accordo di libero scambio.
La Nuova Strategia
europea ha tra i suoi principali obiettivi quello di sostenere la portata
innovatrice dell'industria farmaceutica europea e la sua leadership mondiale.
Il nuovo mondo.
Ilpopolo.cloud – Stalio W.Venceislai – Redazione -il popolo – (11
gennaio 2022) – ci dice:
Non credo che la
terra sia piatta. Sono convinto che gli Americani siano andati sulla Luna. Non
sono né vegano né anoressico (anzi!). Sono convinto che la pandemia sia un
problema molto serio e non riesco a capire i no-vac. Ciò detto, mi considero
nella media delle persone di buon senso. Però...
C’è un nuovo mondo
attorno a noi. Non mi piace, ma ne avverto la stretta soffocante da anni.
Gli Stati non sono
più i garanti delle libertà costituzionali e dei relativi diritti sui quali
sono stati costruiti.
Nuovi poteri non
controllati da alcuno emergono, ben più forti degli Stati stessi, da cui siamo
tutti condizionati. Apriamo gli occhi per vedere cosa accade.
1 - Le multinazionali
economiche.
Le multinazionali
economiche, in genere di origine britannica o americana, all’inizio avevano
carattere settoriale:
materie prime
agricole, prodotti tropicali, mercato dell’oro, dei diamanti, del platino,
dell’argento, dell’uranio e così via.
Poiché i Paesi del
terzo e quarto mondo, all’epoca delle colonie, non erano in grado di
commercializzare i loro prodotti e non lo sono tuttora, queste multinazionali
provvedono a farlo.
Si è così instaurata
una specie di schiavitù agricola, con bassi prezzi alla produzione (i
coltivatori o le cooperative agricole non hanno alternative) e prezzi da
monopolio sul mercato internazionale.
Con il tempo, le
multinazionali hanno esteso la loro attività anche al mondo delle materie prime
non agricole (gas, petrolio, microchips, minerali, terre rare, prodotti
farmaceutici).
Su alcuni mercati
(cereali, oro, diamanti) sono intervenuti in proprio anche alcuni Stati
produttori (Usa, Canada, Venezuela, Iran, Federazione russa).
Il monopolio di
fatto su tutti questi prodotti è uno strumento di coazione formidabile che può
affamare un Paese e condizionarne la politica.
Ovviamente, le
multinazionali hanno enormi risorse finanziarie e i loro rapporti si estendono
alle altre multinazionali consorelle, quelle finanziarie
2 - Le
multinazionali finanziarie.
Le multinazionali
finanziarie rastrellano i titoli bancari e azionari, impadronendosi del
controllo d’imprese più o meno interessanti, lucrano sulle differenze di cambio
e di spread, si avvalgono spesso degli aiuti di Stato, speculano sul fallimento
di alcune imprese, ne accorpano o ne vendono altre, in funzione esclusiva dei
benefici sui loro bilanci.
La spersonalizzazione dell’impresa favorisce
l’acquisizione anche anonima o indiretta di quote di capitale dell’impresa
stessa.
Come entità
finanziarie private a carattere multinazionale, sono organizzate in funzione
dell’ottimizzazione dei profitti e della minimizzazione dei costi.
Si sottopongono alle
regole internazionali e alle normative dello Stato in cui sono insediate finché
queste convengano o proteggano i loro interessi.
Altrimenti, si
spostano altrove oppure investono risorse per cambiare tali norme, secondo il
loro grado di convenienza economica.
Non fanno politica,
fanno soldi.
Se per far soldi occorre schierarsi, far
politica, corrompere, si schiereranno, faranno politica e corromperanno.
Il loro fine principale è il profitto. D’altro
canto, il profitto non è un prodotto che interessi gli Stati né, è di per sé
disdicevole o negativo, anche se ottenuto sfruttando situazioni di comodo.
In questo modo e con
queste finalità, investendo risorse, comprando e vendendo titoli, sono
diventate il motore dell’economia mondiale, sostituendosi alla politica
economica del Paese dove sono insediate e non hanno bisogno dei voti di un
elettorato da blandire per restare al potere.
In termini di potere
economico, che si traduce spesso in potere politico, le multinazionali sono di
gran lunga più importanti dell’insieme della maggior parte dei Paesi membri
dell’ONU.
In tal modo
interferiscono, spesso anche pesantemente, sulla politica degli Stati.
In termini
finanziari, sono delle grandi potenze che detengono il controllo dei settori
economici più importanti, se non vitali, di un Paese, fino al controllo
dell’opinione pubblica mondiale tramite i social.
Pensate che, da
soli, Amazon, Facebook e Google hanno la metà del fatturato pubblicitario di
tutto il mondo.
Tutto il nostro PNRR vale 36 miliardi di euro
e Amazon ha fatturato, l’anno scorso, solo in Italia, 45 miliardi, senza pagare
un euro di tasse!
In realtà, mentre
gli Stati tradizionali hanno tra loro le frontiere - e, quindi, frequenti e
magari conflittuali sono i rapporti tra loro - tra le multinazionali, se c’è un
conflitto d’interessi, o si combattono (il che è difficile perché non
conveniente) o trovano un accordo, alla stessa stregua degli Stati.
Sfuggendo a
qualunque controllo, non sono tenute ad alcuna regola di diritto
internazionale.
Ciò comporta un
effetto negativo nel mondo degli investimenti.
Da operazioni volte
a produrre beni o servizi, gli investimenti esteri delle multinazionali sono
diventati controproducenti per l’economia di un Paese ospite, perché, non
coinvolgendosi nei suoi problemi, rispondono a logiche diverse per cui
investono o disinvestono a loro piacimento.
Le regole, interne e
internazionali ci sarebbero, ma loro se ne infischiano.
Se temono che le cose vadano male, chiudono
bottega e burattini, licenziano in tronco il personale e se ne vanno.
Resta lo Stato
ospite a raccogliere i cocci, dopo averle in tutti i modi agevolate perché
investissero nella sua economia.
A fronte
dell’esistenza di queste nuove entità internazionali così profondamente
influenti sul piano economico, gli Stati sono impotenti.
È difficile identificarle, perché dirette da
un board dove i finanzieri del mondo giocano a carte con l’economia planetaria
e con la fame del sottosviluppo.
Quando si dissociano
da un tipo di politica praticata in un settore o in un Paese per farne
un’altra, sono imprendibili, come i pirati in un mare aperto, dopo
l’arrembaggio.
3 - La
smaterializzazione degli Stati.
Tirate le somme ed
escludendo quattro o cinque grandi Stati continenti, il complesso della
cosiddetta Comunità internazionale vale poco e conta quasi nulla.
I mali del mondo
sono sempre gli stessi. In più, è accaduto qualcosa che non era neppure
immaginabile mezzo secolo fa:
il governo del mondo
non c’è ma nel vuoto esistente si è inserito un governo della finanza
internazionale che condiziona tutti, anche i governi dei Paesi più importanti.
A rigore, non si
tratta neppure di un governo, è un campo di golf dove cinque o sei magnati
della finanza internazionale (gli incappucciati della finanza) si tirano le
palline, cercando di conquistare la buca più vicina.
Se qualcuno (uno Stato) li disturba mentre
giocano, fanno in modo che il disturbatore non disturbi più o debba chiedere
scusa.
In questi ultimi
decenni i rapporti di forze, quelli veri, si sono trasformati, grazie
all’incapacità e alla non preveggenza delle classi politiche di fronte
all’emergere di nuove realtà, come le conquiste della scienza e l’avvento di
nuove potenze economiche trasnazionali: le multinazionali, appunto.
Gli Stati e la
politica continuano a gingillarsi con i confini, con l’acquisizione o la
perdita di territori, con le guerre commerciali, con il nazionalismo
ottocentesco.
È roba vecchia, da dittatoriali
di provincia.
Non significa più
nulla.
Intendiamoci, guerre
e dispute ce ne saranno sempre per gli appassionati e per gli allocchi.
Ci siamo talmente
abituati che qualcuno pensa, addirittura, che il gene della guerra ce l’abbiamo
dentro.
Se guardiamo appena indietro (cos’è un secolo
nella storia del mondo?) vediamo centinaia di milioni di morti, devastazioni
infinite, sofferenze a iosa.
Per cosa?
Per una bandiera
uncinata o a stelle e strisce oppure con la stella gialla in campo rosso?
Romanticherie
omicide.
A cosa sono serviti? A nulla. Russia, Cina,
America (Germania): i problemi e gli assetti del mondo sono sempre là.
I tanti morti, le
tante devastazioni sono solo banalità geopolitiche.
L’adozione delle innovazioni dovrebbe, invece,
metterci in allarme e cambiare il nostro il modo di pensare.
Si può condizionare
un popolo privandolo delle fonti d’acqua che gli sono necessarie;
si può impoverire un
Paese immettendo sul mercato prodotti a bassissimo costo, stampati da un
computer, così da distruggergli il sistema industriale;
si può avvelenare
un’intera popolazione con agenti biochimici a basso costo;
si possono fare cose
neppure immaginabili solo vent’anni fa.
Ciò che si può fare
e la sua pericolosità dipendono dal possesso della tecnologia necessaria.
Il conflitto vero si
è spostato nei laboratori di ricerca.
La ricerca costa. Chi paga?
Le grandi multinazionali possono farlo.
Sono piene di soldi e di complicità mafiose.
Le multinazionali
sono il nuovo monstrum della geopolitica.
Hanno il potere in
mano, quello vero, non espresso dagli eserciti, dai missili, dai carri armati,
dai sommergibili nucleari o dai diplomatici di un tempo con la feluca.
Se vogliono, le
multinazionali possono mettere a terra anche le grandi potenze.
Queste si reggono
perché alle multinazionali fanno comodo, servono da copertura fin quando non
s’accorgeranno d’essere solo dei fantocci.
Gli Stati sono
diventati marionette di figura, buoni per reprimere i disordini, pronti ad
assumersi la responsabilità dell’inquinamento (non bisogna deprimere lo
sviluppo industriale), delle guerre (un po’ di riduzione demografica fa bene),
della crisi economica (che volete farci, è la congiuntura!).
Ma sono fuori dal
grande gioco, quello vero.
Il grande gioco è
altrove, nelle mani di signori anonimi che non hanno speso un soldo per gestire
gli affari degli altri ma che, per l’ignavia di Stati complici o stupidi,
gestiscono le vite di tutti, del mercante come del povero indio, del soldatino
di guardia come dell’impiegato di banca, dei giovanotti osannanti il nuovo
idolo canoro o delle signore bene, preoccupate del colore che andrà di moda
quest’anno.
Lo straordinario
potere delle multinazionali finanziarie vive all’ombra degli Stati, penetra
nelle comunicazioni, nei giochi di guerra, nelle confidenze amorose, nei gossip
dei media, nelle borse metalli o negli affari agricoli, monopolizza l’energia e
i fertilizzanti, insidia la libertà personale di ognuno.
(Stelio W. Venceslai).
Commenti
Posta un commento