GLI ADORATORI DEL DIO DENARO

 

GLI ADORATORI DEL DIO DENARO

 

Il denaro, lo

sterco del demonio.

Fondazionenenni.blog - EDOARDO CRISAFULLI - FONDAZIONE NENNI – (2 AGO. 2019) – ci dice:

 

Non voglio, qui, discettare su questa immagine così realistica: la cultura cristiana ne è imbevuta fino al midollo.

Mi limito a osservare che le nostre società moderne, secolarizzate, hanno metabolizzato la morte di Dio, e ridotto le Chiese a luoghi deserti, eppure il vizio della demonizzazione di matrice giudaico-cristiana prolifera come in una cloaca.

 Il moralismo – il denaro è fonte di corruzione, non già mezzo neutrale che può consentire anche opere di bene – sopravvive al di fuori di ogni cornice teologica e culturale.

 Così diviene un’arma contundente a trecentosessanta gradi: chi dirsi immune dal vizio della cupidità?

Quando Dio era vivo e vegeto campeggiavano giganti della cultura come Sant’Agostino, San Tommaso, Dante.

Il padre della lingua italiana, sconvolto dall’avidità dei suoi contemporanei, non si limitava a lanciare invettive, scriveva il trattato “De Monarchia” per teorizzare il sistema ideale che avrebbe posto un argine all’avidità, fonte di conflitto e disordine morale.

Oggi qualunque populista saputello – privo financo dei rudimenti culturali – sale sul palco per dar lezioni e bacchettare l’universo mondo come una sorta di Savonarola sbiadito, senza cioè le vaste letture e senza l’orizzonte intellettuale del predicatore di razza.

Questi populisti fanno tracimare ovunque il pessimismo cosmico dei tempi moderni:

ognuno pensa a sé stesso, nessuno crede più in nulla, viviamo in un mondo senza ideali, dominato da banche che speculano, capitalisti ingordi, affaristi e faccendieri, cooperative, ong e partiti fasulli.

Il motto imperante è ‘arraffi chi può’.

I ladri, gli avidi, i corrotti – ovviamente – sono sempre gli altri.

Assistiamo, insomma, a un nichilismo alle vongole.

Per fortuna non ci sono più i partiti e i leader politici di una volta: la casta amante del lusso.

Finalmente abbiamo politici giovani e incompetenti ma onesti (anche se non frugali come S. Francesco).

E finalmente sui social media chiunque può gridare la sua rabbia contro gli adoratori del dio denaro.

A cosa mi riferisco?

 Semplice: a un’accusa-luogo comune:

i volontari delle ONG che salvano vite in mare non sono tali, né si possono definire idealisti, bensì vili mercenari.

 La prova del nove sta nel fatto che sono stipendiati, che le ONG ricevono fondi (chissà da quali losche fonti), agiscono dunque a fini di lucro, come le cooperative del resto.

Tutta la vicenda degli sbarchi è derubricabile a una meschina riedizione della tratta degli schiavi.

 Giacché è tutto un business gigantesco, affarismo sfrenato.

Avete provato – al mercato, al bar, o su Facebook – a sollevare l’argomento?

 Una scrollatina di spalle, lo sguardo in cerca di complicità, ed ecco che sgorga l’immancabile parola: tanto è tutto un business.

Tenetela bene a mente quell’orribile prestito dall’inglese.

Se volete zittire un interlocutore che ancora crede nella buona fede altrui, scaraventategli in faccia quella parola magica: ditegli che è tutto un business.

 Ma di che stiamo parlando?

In un’altra vita ho fatto l’educatore professionale in una casa famiglia, in quel di Rimini.

 Scusatemi tanto, ero stipendiato: non sono ricco, non campo di rendita.

Tuttavia ho regalato alla struttura per cui lavoravo – l’Istituto San Giuseppe per l’aiuto materno e infantile – chissà quante ore di volontariato (ma i miei ragazzi mi hanno contraccambiato con un profluvio di umanità, che non ha prezzo), e chissà quante notti insonni e sofferenze dell’anima.

 Se un ragazzo che ti è stato affidato piange disperatamente alle 9 di sera, o minaccia il suicidio, che fai, gli dici ‘scusa, riparliamone domattina, devo timbrare il cartellino’?

 In quel tempo (anni Ottanta) mi davano tutti una calorosa pacca sulle spalle, i miei capi, i miei colleghi, i miei conoscenti.

C’era la percezione che svolgevamo un lavoro importante, a beneficio della comunità, con dedizione e sacrifici personali.

Oggi verrei squadrato dall’alto in basso: di che ti lamenti, ti pagano, no?

E poi cosa ci stanno a fare, questi enti, mica sono dediti al volontariato.

Prendono bei soldoni dallo Stato: l’assistenza sociale è tutto un business, ci lucrano sopra.

Ma chi che stiamo parlando!

Faccio presente ai moralisti in sedicesimo che sono stipendiati tutti gli onorevoli cittadini parlamentari, inclusi gli idoli populisti (dunque sono mercenari anche costoro?), guadagnano bei soldini anche i giornalisti che — bava alla bocca – imperversano sui social media con le accuse e le aggressioni più becere, e ricevono un salario addirittura i preti (neanche loro, evidentemente, credono nella Chiesa e in Cristo).

Lo sconsolato nichilismo “de noialtri”, un fascio di trite e ritrite banalità, è figlia di una modernità galoppante che specchiandosi vede un mostro.

Sono stati contagiati anche intellettuali insospettabili, dall’illustre pedigree. Ernesto Galli Della Loggia, fustigatore delle società in crisi, afflitte dal relativismo, dagli effetti tossici postumi del ’68, dell’ideologia progressista, dal lassismo, e chi più ne ha più ne metta, ha rinverdito questo luogo comune del tempo presente (“La società smarrita”, Corriere della Sera”, 28 luglio 2019).

Il caso Bibbiano sarebbe una ulteriore prova dello stato di degenerazione morale in cui versano le nostre società.

Di nuovo la perfida sinistra – pur non citata direttamente – è trascinata sul banco degli imputati.

Qual è la radice del male? Semplice: la proliferazione di una “miriade di onlus, ong, associazioni, enti – ambiguamente collocati fra il pubblico e il privato e ivi prosperati grazie naturalmente al favore della politica”.

 Non una parola sull’idealismo dei tanti volontari o di chi, per stipendi da fame, realizza una missione in cui crede.

No, non può esserci disinteresse: queste ong e organizzazioni, che si presumono benemerite, lucrano sulle disgrazie altrui, e infatti hanno tutto l’interesse “di trovare quanti più casi di ‘disagio’, di maltrattamenti, di abusi, di violenze, di cui farsi carico, naturalmente non a titolo gratuito” (mia enfasi).

Eh sì: ci guadagnano sopra tutti.

Basta poco per passare all’accusa di parassitismo.

Anche qui l’ingranaggio infernale è il vile denaro, sterco del demonio.

Immigrati, disoccupati, senza tetto, casi sociali o bambini in difficoltà – ma figuriamoci se qualcuno li vuole aiutare davvero, è tutto un business.

Non c’è che dire, logica impeccabile: come possiamo credere agli opinionisti che scrivono per quotidiani nazionali, naturalmente non a titolo gratuito?

A questo punto sono molto più credibile io: sono anni che scrivo gratis per “Mondoperaio”, l’”Avanti” e questo blog.

Non ho mai preso un euro per uno dei miei articoli.

Ma di che stiamo parlando?

 

 

 

 

Il dio denaro.

Robertocalia.it – Roberto Calia – (21 settembre 2020) – ci dice:

(Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano).

 

Le 7 vergogne.

“Fai del denaro il tuo dio e ti tormenterà come il diavolo.”

(H. Fielding)

 

Le sette vergogne del mondo, secondo Gandhi sono:

1) Ricchezza senza lavoro

2) Piacere senza coscienza

3) Conoscenza senza virtù

4) Commercio senza morale

5) Scienza senza umanità

6) Adorazione senza sacrificio

7) Politica senza principi.

La madre di tutte le vergogne è l’adorazione del dio-Denaro.

La bramosia insaziabile e incondizionata di potere e ricchezza ha trasformato l’economia da mezzo a fine dell’esistenza.

I soldi non servono più per vivere dignitosamente, ormai si vive per fare soldi spudoratamente.

L’economia è diventata la nuova religione.

Sono state abili le menti che governano il mondo ad imporre, da Occidente ad Oriente, un solo unico Dio: il Denaro.

Il possesso di beni e l’arricchimento materiale sono diventati la religione universale in cui tutti credono.

Una religione mondana fatta di illusioni, promesse e sacrifici.

Una religione feticistica che ha trasformato i soldi a fine ultimo della vita.

La vita immolata al “godimento”, secondo rituali irrefrenabili, che perseguono possesso, successo, potere, appagamento egoistico.

Si è così compiuta una vera “perversione” del significato autentico dell’esistenza.

Se non è più condivisibile la concezione del denaro come “sterco del diavolo”, è però innegabile il ruolo assolutistico, ossessivo e dominante assegnato ai soldi nella nostra vita.

Quando i soldi si insinuano nella vita delle persone instillano dubbi, mettono in crisi altre certezze.

I soldi si trasformano in un virus che produce una vera e propria malattia.

L’uso scriteriato e irrazionale del denaro trasforma le esigenze in dipendenza e i desideri in angoscia.

Ogni cosa ha il suo prezzo e questo si fa coincidere con il suo valore.

Al denaro viene affidato il potere di determinare e dare forma al proprio benessere (non solo a quello materiale, come è ovvio, ma anche a quello emozionale, affettivo e relazionale), al proprio essere al mondo.

“Può essere bene avere il denaro e le cose che il denaro può comprare, ma è bene anche, ogni tanto, controllare ed essere sicuri di non aver perso le cose che il denaro non può comprare” (G.H. Lorimer).

Un virus malefico.

Non è l’economia che può curare questa malattia contagiosa, ma il ritorno all’etica e alla responsabilità delle persone, nella riscoperta del vero significato della vita, degli affetti e delle relazioni fra le persone e fra le persone e le “cose” della vita.

Oggi c’è un primato dell’oggettività sulla soggettività, del materiale sullo spirituale, delle cose visibili rispetto a quelle invisibili (che secondo la cosiddetta scienza obiettiva non esistono nemmeno e che invece, come sappiamo bene tutti, comprendono le cose più importanti della nostra esistenza).

Se la vita è solo l’esperienza che facciamo nella nostra vita terrena e null’altro, allora tutto si trasforma in una corsa folle ad “arraffare” il più possibile, senza freni, senza limiti.

Il motore che muove la vita diventa così un’illusione vuota, un gigantesco delirio di onnipotenza di fronte al Nulla, ossia al vuoto di senso che è la parte nascosta di questa tragica rappresentazione della vita.

Basterebbe pensare che le cose materiali (oggetti, beni, merci, soldi) sono soggette a penuria (mancanza) ed inducono bisogni competitivi.

Le cose immateriali (idee, pensieri, sentimenti, emozioni) sono invece soggette ad eccedenza (abbondanza), sono potenzialmente inesauribili e promuovono desideri creativi.

Ecco spiegato il primato del soggettivo sull’oggettivo, dello spirito sulla materia, della psiche sul corpo.

C’è un’altra grande ricchezza sulla quale bisognerebbe ritornare ad investire: la persona e la relazione fra le persone.

“Puoi comprare una casa ma non un focolare;

puoi comprare un letto ma non il sonno;

puoi comprare un orologio ma non il tempo;

puoi comprare un libro ma non la conoscenza;

puoi comprare una posizione ma non il rispetto;

puoi pagare il dottore ma non la salute;

puoi comprare l’anima ma non la vita;

puoi comprare il sesso ma non l’amore.”

(Detto cinese)

(Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano).

 

 

 

CREDIBILITÀ DEI GIORNALISTI? CROLLA AL 35%.

MA LA PROFESSIONE SI SALVA USANDO “CAR* TUTT*”

                                                      

 Electomagazine.it - AUGUSTO GRANDI – (5-2-2023) – ci dice:

 

Quanti quotidiani cartacei si vendono ogni giorno in Italia? Circa 1,5 milioni. Quanti erano nel 1990? Quindici volte di più.

Alessandro Banfi, ex direttore del Tgcom, ricorda queste cifre ufficiali ed aggiunge che anche gli ascolti dei Tg sono in flessione.

Come è in, ulteriore, flessione la credibilità dei giornalisti: dal già drammatico 40% del 2021 all’umiliante 35% dello scorso anno.

Difficile che il 2023 possa garantire un miglioramento, considerando che l’anno si è aperto con la pagliacciata della bidella che ogni giorno viaggerebbe da Napoli a Milano (e ritorno) per conservare il posto di lavoro.

“Sarebbe bastata una semplice verifica – sottolinea Alberto Chiara, caporedattore di Famiglia Cristiana – per evitare una brutta figura” che coinvolge l’intera categoria.

Ma il problema, per l’ordine dei giornalisti, è la frequenza di corsi di aggiornamento per imparare ad usare l’asterisco quando si scrive tutt* per non offendere le diverse sensibilità sessuali.

Forse una delle motivazioni del crollo di credibilità e vendite è proprio il totale scollamento tra mondo reale e rappresentazione dello stesso mondo da parte dei media condizionati dal “politicamente corretto” e dal “pensiero unico obbligatorio”.

Tra un dato di realtà e la sua rappresentazione sempre più fantasiosa e sempre meno credibile.

Non a caso il calo della credibilità è più contenuto per le testate locali.

Perché il lettore incontra il giornalista al bar o per strada e lo può insultare se la notizia riportata è falsa.

E questo rapporto diretto spinge ad una maggiore attenzione, ad una verifica in più, ad un controllo delle fonti.

Ma, ormai, si è creato un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

Le menzogne dei chierici di regime hanno fatto perdere copie ai grandi giornali. Meno copie significano meno pubblicità e, dunque, minori introiti.

Dunque gli editori hanno tagliato gli organici, rinunciando alle professionalità che, essendo di maggior qualità, costavano di più.

Si è scatenata una corsa al ribasso.

 Delle retribuzioni ma anche, inevitabilmente, della qualità del giornalismo.

Le grandi inchieste costano troppo, anche le inchieste medie e pure quelle piccole.

Meglio evitare.

 Inviare i giornalisti nelle zone di guerra? Troppo costoso, meglio rivolgersi a freelance che costano meno.

Se poi non sono proprio in prima linea, va bene lo stesso.

Inviare un giornalista sul territorio, al di là dei confini urbani?

Costa troppo, basta una telefonata.

 Sostituire i giornalisti mandati in pensione? Neanche a parlarne.

Tutt’al più ci si rivolge a qualche precario a vita che lavori all’esterno della redazione.

In fondo va bene così. Va bene ai politici, che aumentano la forza del proprio ruolo di fronte a giovani privi di competenza ed esperienza.

Va bene alla classe dirigente, che vede rafforzata la capacità di ricatto nei confronti delle testate e dei giornalisti privi di tutela.

Però nessun problema: alla prossima intervista nessuno avrà dubbi sulla definizione di avvocata o avvocatessa, di direttore o direttrice d’orchestra.

La professione è salva.

 

 

 

SI FINGE DI SPAVENTARSI

PER L’AUTONOMIA PER NASCONDERE

IL DESIDERIO DI VOLERE GLI SCHIAVI AL NORD.

Electomagazine.it - AUGUSTO GRANDI – (4-2-2023) – ci dice:

 

La Lega festeggia per il via all’iter per l’autonomia regionale e gli altri partiti, della maggioranza e dell’opposizione si preoccupano.

Preoccupazione ipocrita.

Sia perché i tempi saranno comunque lunghi sia perché i timori sono esclusivamente elettorali.

Per nulla sostanziali.

Timori di andare a spiegare agli elettori del Sud che se il Mezzogiorno ha ingoiato colossali risorse, senza che favorissero lo sviluppo, la colpa non è del destino cinico e baro ma di una classe politica inetta, nel migliore dei casi.

 Le innumerevoli cattedrali nel deserto – scheletri di fabbriche mai ultimate, palazzetti dello sport faraonici inaugurati e subito abbandonati, strutture inutilizzate – sono costate una esagerazione e si continuano a pretendere denari per risistemarle senza un progetto credibile per l’utilizzo futuro.

È giusto continuare a mantenere amministratori di questo livello?

È giusto accettare che i soldi pubblici vengano impiegati per eserciti di operai forestali (operai forestali, nulla a che fare con gli ex forestali inglobati dai carabinieri) con un rapporto insostenibile tra personale e superficie boschiva?

È giusto che con i soldi di tutti vengano mantenuti eserciti di nullafacenti perché è più facile assumere personale superfluo negli uffici pubblici piuttosto di creare lavori che servano a qualcosa?

Ma tutti coloro che si preoccupano per il futuro del Sud, costretto a scegliere amministratori migliori, fingono di non vedere l’altro problema emerso in questi giorni, dopo la provocazione di Valditara:

la disparità, sempre più evidente, del costo della vita tra Nord e Sud.

 Ma una disparità anche all’interno dello stesso Nord, tra Milano e Torino, tra Venezia e Rovigo.

Tema ancor più spinoso, poiché mette in luce l’assurdità ed anche la stupidità delle polemiche sulla scarsa disponibilità ad accettare le “generose” offerte economiche di donatori di stipendi inadeguati per vivere.

 L’immancabile e fastidioso Cruciani, presenza fissa da “Del Debbio”, insiste sull’obbligo di accettare il lavoro, a prescindere dalle condizioni economiche, dalla distanza, dagli orari.

Dunque va benissimo una retribuzione di 800/1.000 euro al mese per un lavoratore del Sud costretto a trasferirsi a Milano.

Dove, secondo le ricerche del settore immobiliare, con un salario di 1.500 euro ed una occupazione stabile che permetta di ottenere un mutuo, si può aspirare ad un alloggio di ben 18 metri quadrati da pagare in 30 anni, previo anticipo.

Secondo la compagnia di giro di Cruciani, quindi, bisogna abbandonare affetti e relazioni famigliari al Sud per aspirare alla vita a Milano in un loculo con a disposizione, tolti i soldi per il mutuo, il denaro sufficiente a pagare le bollette, a vestirsi ed a mangiare male.

Perché anche il cibo costa di più, a Milano.

 Tra l’altro con la conseguenza di scaricare sulle casse pubbliche l’assistenza ai genitori anziani che non possono certo essere trasferiti nei 18 metri conquistati al Nord.

Però, su tutto ciò, i politici tacciono.

Perché il sindacato non vuole le gabbie salariali, perché i donatori di lavoro non vogliono essere donatori di stipendi decenti, perché appena si pronuncia la parola Nord al destra centro non leghista viene l’orticaria.

 Mentre la Lega si guarda bene dal toccare i padroncini che un tempo la votavano. In fondo l’intera politica italiana, con rarissime eccezioni, vuole gli schiavi.

E in questo modo, di fronte a Cruciani ed ai suoi compari, diventa un gigante della politica persino l’ex rifondarlo ed ora all’Unione Popolare, Paolo Ferrero.

 

 

 

 

Goldman Sachs, tristi

sacerdoti del dio denaro.

Ilfattoquotidiano.it – Redazione – (9 giugno 2020) – Le Monde - Marc Roche -   ci dice:

Uno scorcio significativo su ideologie, mentalità e sentimenti del potere finanziario ci è offerto da un interessante articolo di Marc Roche, pubblicato su Le Monde magazine e tradotto e riprodotto da Internazionale del 1° giugno.

 Ne riproduciamo alcuni passaggi.

Racconta una funzionaria: “Molto presto scopri di essere un posto dove vige un’onnipresente legge della giungla…

Di fatto ho preso il posto di qualcuno che mi aveva fatto il colloquio di lavoro.

Una persona che di certo non immaginava di essere sostituita. L’obiettivo è incoraggiare l’aggressività ed esasperare le tensioni…

Essere alla testa di un dipartimento della Goldman Sachs è orribile, perché bisogna continuamente sorvegliare i propri collaboratori per individuare i meno motivati”.

Prosegue l’articolista: “Questo culto per la vittoria ad ogni costo, quest’universo di maschi alfa, di lupi dominanti che guidano il branco, dov’è lecito tutto tranne l’insuccesso, questo teatro della finanza dove sia gli spettatori sia gli attori non sono interessati ai buoni sentimenti, tutto questo crea una cultura piena di disprezzo per gli altri.

I crociati della Goldman Sachs sono un esercito di banchieri soldato, come in passato c’erano i monaci soldato:

seri, austeri, ‘puliti’ fino alla punta delle unghie, ma sempre vincitori...

’Sono solo un banchiere che fa il lavoro di Dio’.

Anche se si trattava di una battuta, le parole dell’amministratore delegato della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, dette in pieno dibattito sulla moralità della finanza e sulla presunta avidità dei banchieri, confermano questa arroganza da primi della classe.

La Goldman non è solo una macchina per fare profitti, è anche uno stile di vita.

 Il sistema isola i professionisti dalla realtà.

Una serie di assistenti si occupa, giorno e notte, di organizzare l’agenda degli impegni e risolvere i piccoli e i grandi problemi organizzativi.

I manager più importanti non prendono mai la metropolitana, ma il taxi, le auto a noleggio, gli elicotteri e i jet privati, anche se si tratta di un piccolo tragitto.

Quando si parla della Goldman Sachs è più che appropriato l’accostamento al Grande fratello del romanzo 1984 di George Orwell.

 La polizia del pensiero, la neolingua, la priorità del collettivo sulle ragioni personali sono tutti elementi che si ritrovano in questa banca.

I dipendenti sono sorvegliati in tutte le loro azioni”.

Mi pare che già queste brevi citazioni illustrino in modo adeguato i caratteri essenziali dell’ideologia vigente in organizzazioni di questo tipo:

arroganza, senso di onnipotenza ai limiti del patologico, ossessione del controllo, disprezzo per l’umanità.

Rendiamoci conto che una classe politica internazionale di sprovveduti e corrotti ha affidato in taluni casi a soggetti emersi da questo contesto profondamente malato il destino di interi Paesi.

È il caso della Grecia e quello dell’Italia, dove Monti e Papademos sono stati a lungo rotelle di ingranaggi di questo genere.

Ma anche laddove, come in Germania, il governo non è direttamente in mano a questi soggetti, essi esercitano pressioni lobbystiche decisive, come documentato ad esempio da Wolfgang Hetzer, in” Finanzmafia”, un libro che raccomando a tutti quelli che sono in grado di leggere il tedesco.

Il problema, quindi, è mondiale.

Occorre scegliere se lo sviluppo dell’umanità deve basarsi sul soddisfacimento dei diritti sociali o sull’accumulazione del capitale finanziario.

E, nel caso che, come spero, ci si decida per la prima alternativa, mettere in condizioni di non nuocere le nefaste organizzazioni degli adoratori del feticcio-denaro, sciogliendole e mettendone l’immenso patrimonio a disposizione di donne e uomini di questo pianeta.

Anche perché, come afferma “John Lanchester” in un altro articolo di grande interesse apparso sullo stesso numero di “Internazionale”, il sistema finanziario costituisce oggi una minaccia per la democrazia molto più di qualsiasi organizzazione terroristica.

 Le banche certo continueranno ad essere necessarie, ma dovrà trattarsi di banche ricondotte alle loro funzioni istituzionali e tradizionali, servizio di credito alle imprese e non parte (peraltro minore) di un potere apparentemente inarrestabile e privo di controlli.

 

 

 

UN NUOVO SOGGETTO POLITICO

D’ISPIRAZIONE CRISTIANA E POPOLARE?

Centrostudimarcora.itVincenzo Ortolina – (5 agosto 2020) – ci dice:

 

Avevo sottoscritto il “Manifesto Zamagni” (che ipotizza la creazione di un “soggetto politico ‘nuovo’ d’ispirazione cristiana e popolare”) un po’ affrettatamente, senza averlo cioè debitamente approfondito.

 E per questo mi scuso.

 L’ho “studiato” in questi giorni nella tranquillità della località montana che sto frequentando, leggendo anche le tante, diverse opinioni che sul tema sono state espresse.

 E sono arrivato alla conclusione (o quasi) che l’idea, oggi, di un “partito cattolico”, pur aperto a credenti e non, non mi convince.

 Certo, io condivido in partenza una visione personalista dell’economia, della società, e dello Stato -uno Stato in ogni caso radicato nella prospettiva europea, e nel quale la “cosa pubblica” funzioni al meglio-, la piena valorizzazione delle formazioni sociali e dei corpi intermedi (come si conviene a un ben inteso principio di sussidiarietà), la difesa della persona, della sua dignità in tutti gli stadi di vita, e della famiglia.

Però ho perplessità non da poco, ribadisco, ad utilizzare oggi, in politica, il termine “cattolico” legato a un partito.

 Tanto più considerando quanto sta giusto accadendo nel “mondo cattolico” negli ultimi anni.

In particolare, dal momento dell’arrivo di papa Francesco.

 Oggi, lo sappiamo, la Chiesa sta vivendo un momento assai difficile, e Colui che dovrebbe essere il simbolo della sua unità è sotto un attacco fortissimo, anche, o forse soprattutto, all’interno.

 Vale a dire persino da una pur assolutamente minoritaria parte della gerarchia.

Troppo facile, naturalmente, partire dalla vicenda dell’ex nunzio apostolico negli Usa, mons. Carlo Maria Viganò, “nemico” di Bergoglio e “amico” di Donald Trump, il “figlio della luce", cui monsignore ha dedicato la nota “lettera aperta” del 6 giugno, dopo aver sottoscritto, insieme, tra l’altro, a tre cardinali e otto vescovi, un appello contro il “Nuovo ordine mondiale”.

Interessante leggere allora anche solo un pezzo di detta lettera: “…da una parte vi sono quanti, pur con mille difetti e debolezze, sono animati dal desiderio di compiere il bene, essere onesti, costituire una famiglia, impegnarsi nel lavoro, dare prosperità alla Patria, soccorrere i bisognosi, nell’obbedienza alla Legge di Dio, il Regno dei cieli.

Dall’altra si trovano coloro che servono sé stessi, non hanno principi morali, vogliono demolire la famiglia e la Nazione, fomentare le divisioni intestine e le guerre, accumulare il potere e il denaro:

 per costoro l’illusione fallace di un benessere temporale rivelerà –se non si ravvedono- la tremenda sorte che li aspetta, lontano da Dio, nella dannazione eterna.

 Nella società, Signor Presidente, convivono queste due realtà contrapposte, eterne nemiche come eternamente nemici sono Dio e Satana”.

"Per la prima volta, gli Stati Uniti hanno in Lei un Presidente che difende coraggiosamente il diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare le persecuzioni dei cristiani nel mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto dei cittadini alla libertà di culto….”.

Donald santo subito, dunque!

Va segnalato in proposito che l’ex nunzio è noto per essersi scagliato da tempo contro il Concilio Vaticano II, da lui definito come un “focolaio di eresie”, che deve essere lasciato cadere in toto, dimenticato.

L’intero Concilio ha da essere cestinato, a suo dire, mentre taluni suoi amici si limitano invece a chiedere, bontà loro, che vangano “corretti” singoli errori di dottrina contenuti nei documenti conciliari.

Ecco, pertanto, il punto:

 questo papa è sotto attacco perché, ringraziando Iddio, ci sta dando quotidiane lezioni di che cosa significhi essere “cristiani” oggi, nella società “post-moderna”.

Si rifà, così, alle definizioni “pastorali”, e non solo, dell’ultimo Concilio, definizioni che hanno provocato anche un ripensamento della concezione intellettualistica, manualistica, “scolastica”, della teologia.

Promuovendo così una nuova teologia che, coniugando “trascendenza” e “immanenza”, tenga conto della “storia” e del suo evolversi, pur senza dimenticare affatto, naturalmente, il “fondamento” del cristianesimo stesso.

Una teologia, nella debita misura, finalmente anche “antropologica”, pertanto.

Il problema è che questa posizione di Francesco, che finisce con avere inevitabilmente qualche significativo riflesso sulla stessa politica, è invisa non soltanto a Viganò & C., ma anche a consistenti gruppi di cristiano/cattolici conservatori, integralisti, reazionari.

 Negli Usa, ma non solo.

 Gruppi che riscuotono infatti simpatie anche altrove, Italia compresa, se non soprattutto.

Negli ambienti salviniani in particolare, guarda caso.

 Così, Francesco è stato ripetutamente fischiato, il 18 maggio dello scorso anno, in piazza Duomo, a Milano, non appena il “devoto” ras della Lega (quello del rosario e del Vangelo sbandierati nei comizi) lo ha nominato.

 Ma il problema è anche che, da noi, dicono gli esperti, quel partito è tuttora il più votato dai “praticanti” cattolici, quelli che vanno a Messa tutte le domeniche.

Orbene: è evidente che il sottoscritto non vuole avere nulla, ma proprio nulla, a che spartire, sul piano dei valori cristiani da tradurre in politica, con detti ambienti.

Perché in politica (nella DC, nel PPI, nella Margherita, nel PD) io mi sono sempre definito “cattolico” sì, ma anche, insieme, “democratico”, non scindendo mai i due termini.

Certo, la Dc si definiva partito “di centro”, ma da De Gasperi e da Moro il “centro” non è mai stato considerato come un’idea statica, immobile nella sua fissità, bensì come un’idea in continuo movimento.

In realtà, un centro che ha voluto sempre guardare verso le istanze della sinistra.

 Anche in ragione di ciò, e proprio in conseguenza della mia visione del mondo, della mia concezione antropologica, della mia cultura politica, io mi trovo più a mio agio (pur non senza qualche problema) in un partito dichiaratamente di “centrosinistra”, non di centro.

Consapevole e memore che i partiti che ho frequentato sinora nella mia pur lunga esperienza politica hanno contribuito, insieme ad “altri”, alla tenuta democratica del Paese, a provare a realizzare un’economia mista, una società meno crudele di altre sul welfare, un ancoraggio istituzionale fortemente europeo.

 “Insieme ad altri”, dicevo.

Sarà anche in ragione di ciò che, prescindendo dalla questione diciamo tecnica della legge elettorale più opportuna, io non disdegno la prospettiva del “bipolarismo”, oggi.

Non parlo, dunque, di “bipartitismo” modello anglosassone, che, di fatto, mortifica la tradizione pluralista.

E non mi piacciono neppure leaderismo e presidenzialismo, che deprezzano il pluralismo sociale e istituzionale.

Ma considero che, pur consapevoli delle forzature del modello iper-maggioritario, non dobbiamo esorcizzare, come ha ben scritto qualche amico, i problemi e i costi delle stagioni precedenti, nelle quali elementi di consociativismo hanno concorso a propiziare l’impennata del debito pubblico e diffuse pratiche consociative.

Tutto ciò detto, sull’intera questione, avendoci, come detto, riflettuto, sto registrando con una certa simpatia i pensieri sul tema apparsi sulla rivista “Appunti” (organo dell’associazione “Città dell’uomo”, fondata da Giuseppe Lazzati), a firma, rispettivamente, di Franco Monaco e Filippo Pizzolato.

 Assai perplessi entrambi sul partito cattolico di centro, o come lo si voglia chiamare (ma “meglio pensare a un ambito circolare, più che centrista, capace di raccogliere suggestioni programmatiche utili a tutta la popolazione, senza distinzioni oltre a quelle che derivano dai valori consolidati della civiltà”, ha scritto un aderente all’iniziativa).

Di Monaco, il quale ha tra l’altro citato la famosa frase di Martinazzoli per cui “la differenza tra moderazione e moderatismo è uguale alla differenza tra castità e impotenza”, apprezzo in particolare questo pezzo:  (…nella situazione data) …“occorrono scelte di valore e ricette che sanno di radicalità, non di centro moderato".

Chi ha provato nel passato a interpretare il centro moderato non ha brillato per qualità, quantità e persino durata.

 Il profondo disagio materiale e spirituale che affligge la società concorre a premiare le proposte radicali, non quelle moderate di centro…

Il problema non è quello di una nuova offerta politica ma della razionalizzazione di un sistema politico già troppo frammentato.

Serve semmai una rigenerazione dei partiti attuali”.

“Occorre concorrere a organizzare un fronte largo e unitario che positivamente rappresenti un’alternativa politica all’egemonia manifesta e insidiosa di una destra illiberale, nazionalista e sovranista.

Non ci possiamo permettere posizioni ambiguamente terziste”.

Pizzolato, per parte sua, è perplesso sull’idea di fare dei cattolici i “baluardi della tenuta del sistema”, a guardia di un ordine di cui in teoria continuano a contestare le ingiustizie, un’oasi roccaforte dell’esistente, votata a una moderazione che immediatamente viene scambiata per conservazione, una forza di stabilizzazione posta al centro.

 E ricorda che il posizionamento politico dei cattolici è sempre stato plurale, nonostante le forzature e le convenzioni storiche.

“Oggi è perfino inafferrabile e indefinibile”, questo posizionamento.

“Una volta, il cattolicesimo era la base della cultura popolare e dettava le scansioni della vita e gli orizzonti del sociale”, ma oggi non è più così.

Con riferimento, poi, allo slogan dell’ipotizzato nuovo partito: “Antagonisti alla destra, alternativi alla sinistra” (una definizione che tenta a mio avviso con difficoltà di non mettere sullo stesso piano il tipo di diffidenza verso i due gruppi), Pizzolato obietta, ed io condivido, che non si può paragonare il Partito democratico alla destra di oggi, autoritaria e rozza.

E segnala altresì che non si possono rigettare tutti i partiti, alla cui storia i cattolici hanno ampiamente contribuito.

 Il rischio, conclude, è quello di uno svuotamento delle componenti più ragionevoli dei due poli, contribuendo, di fatto, a una più marcata polarizzazione del Paese.

Avviandomi a concludere, mi permetto di esternare la mia convinzione che una delle ragioni (pur non espressamente dichiarata pur se, in fondo, comprensibile) dell’avversione dei fautori del nuovo partito al Pd abbia a che fare in qualche misura con la questione dei cosiddetti (una volta) “valori non negoziabili”, ben noti ai cattolici praticanti.

 Irrita cioè, a me pare di poter dire, il “laicismo” di una parte dei piddini, la cui rappresentante “simbolica” può essere individuata in Monica Cirinnà (ci capiamo).

Sul tema, da anzianetto, oso allora fare le seguenti considerazioni:

 ho vissuto i tempi dei referendum del 1974 sul divorzio e di quello sull’aborto del 1981.

 Io, allora giovane militante dc “al fronte”, votai (ovviamente?) contro entrambi gli istituti, impegnandomi anche di persona nell’agone, diciamo, elettorale.

E fui sorpreso, come buona parte dei cattolici, credo, dall’esito di dette consultazioni: nella “cattolicissima” Italia di allora, con una Chiesa ancora, diciamo, forte nella società, e il partito “d’ispirazione cristiana” con grandi posizioni di potere, il divorzio fu approvato da circa il 60% dei votanti, e, sette anni più tardi, l’aborto (argomento ovviamente ben più delicato e problematico che non il divorzio) ottenne il favore di ben il 70% dei partecipanti.

 Il fatto è che è la “secolarizzazione” (non tutta, certo, da disprezzare, anzi!) era avanzata già allora, e la gerarchia cattolica, e gli esponenti di peso della DC (come dimenticare le battaglie di Amintore Fanfani?) non se n’erano sufficientemente accorti.

Dopo, sono arrivate le “unioni civili”, anche per le coppie omosessuali (io, che resto peraltro consapevole che le persone vanno comunque sempre rispettate, m’infastidisco un poco quando dette unioni vengono paragonate tout-court, di fatto, ai “matrimoni”).

 Oggi impazza la questione del “gender”, così che la differenza tra uomo e donna, ritenuta una volta un dato essenziale e imprescindibile della natura umana, è posta in discussione dalla più recente cultura sessuale.

 Ora c’è in ballo la proposta di legge sull’omotransfobia, che taluni temono diventi un bavaglio alla libertà d’espressione e di opinione e apra la strada a pericolose derive liberticide.

E intanto le famiglie si sfasciano, i matrimoni durano poco, e non si fanno figli, è il …” refrain”.

 Oggi, ancora, grazie anche a internet (strumento straordinariamente positivo se si è in grado di dominarlo e di non farsi Invece plagiare), abbonda tra l’altro la pornografia, anche nell’orribile versione pedopornografica, veicolata facilmente, appunto, attraverso gli Phone, gli Jpad, eccetera, con le possibili conseguenze che sappiamo sui ragazzi.

 Sui telefonini, negli ultimi anni, c’è anche l’esplosione delle icone per i “siti di incontri”, per single e non.

 E la “qualità” di molti programmi TV è quella che sappiamo. I

n proposito non possiamo dimenticare il ruolo delle televisioni di Silvio, le prime a “sfruttare” il momento della “liberalizzazione” del sistema televisivo e a “guastare” il clima.

 Un Berlusconi che certi buoni centristi cattolici definivano “cattolico non comunista" (inviso, conseguentemente, ai “cattocomunisti”!).

Mia impressione è che per certi cattolici, che magari auspicano un’illusoria ed impossibile ritorno al passato, questo “marciume” (scusate il termine “moralista”) è attribuibile in gran parte alla responsabilità dei… “comunisti” (o ex), del ’68 e dei post sessantottini, dei radical-chic di sinistra, e via discorrendo.

 Gente che vota prevalentemente “a sinistra”, dunque, e pertanto anche il Pd.

 Ecco un’altra ragione, oltre alle altre più squisitamente politiche, per ritenersi, ci allora, ci dicono, “alternativi” alla sinistra.

Io, invece, ho quest’opinione: i “comunisti” (passati e presenti) c’entrano poco.

 E non lo dico soltanto perché, avendo fatto (provenendo da una famiglia “proletaria”) il sindaco DC per anni, decenni orsono, con i “comunisti” all’opposizione, io ho sempre registrato che su non pochi valori, diciamo, cattolici” non c’erano grandi differenze tra democristiani e “compagni” di allora.

Mia convinzione, semmai, è che la situazione attuale, in Italia e nel mondo occidentale in genere, è figlia della cultura che via via negli ultimi decenni è stata inoculata in particolare dai “media” e da certi “poteri” sempre alla ricerca dell’obiettivo di “far soldi”.

Comunque, e tanti.

 Gli adoratori del dio-denaro.

Stiamo poi registrando anche i disordini, lo squilibrio e i gravi danni causati dal predominio incontrollato della finanza sull’economia reale.

 C’è bisogno allora, senza scomodare certo Karl Marx, di una fase di profondo ripensamento del “sistema” che abbiamo costruito, caratterizzato tra l’altro da un iperconsumismo in ogni campo.

Un sistema che ha oltretutto aggravato non poco le differenze sociali: i ricchi lo sono diventati di più, e così i poveri.

 Un ripensamento che ci consenta di riparare almeno in parte i guasti sopra accennati.

 E, in questa impegnativa operazione, i cattolici, perlomeno quelli sufficientemente sensibili, possono riavere, certo, un ruolo significativo, pur militando magari in raggruppamenti politici diversi.

Tornando all’immediato, io confermo in ogni caso, per parte mia che, pur con le perplessità accennate, non mi trovo particolarmente a disagio nel PD, e non intendo cambiare.

Anche perché sono convinto sia alla fine “giusto”, per uno come me, stare nell’area complessiva del centrosinistra (ma non ho più spazio, qui, per parlare anche del rapporto del centrosinistra con la “sinistra” tout court), i cui valori sono in buona parte alternativi, come ho accennato, a quelli del centrodestra, e come tali sono riconoscibili nella lotta alle diseguaglianze, alla povertà, per la giustizia, per la libertà e la dignità delle persone, immigrati compresi, per la sussidiarietà, per il lavoro, per il welfare.

Una posizione, in ogni caso, che certo non impedisce ai cattolici di questa parte, ribadisco, di accordarsi, su singoli punti (ne ho giusto citati taluni, in questa mia), con quelli dell’altro fronte.

Per concludere (finalmente) davvero, segnalo che faccio allora mia la domanda che già si sono posti altri amici:

può l’area del centrosinistra, con tutti i limiti e le contraddizioni che la caratterizzano, evolvere fino al punto da unificare, pur nelle specifiche diversità, questa grande area, nella convinzione che tutto ciò non solo è un valore in sé ma anche la condizione per vincere la destra e per governare?

Un’ultimissima frecciatina, in quanto tale inevitabilmente maliziosa: io sono consapevole di aver l’obbligo di rispettare comunque anche quei leader di destra e dintorni, locali e mondiali (i riferimenti non sono casuali) che hanno la tendenza, discutibile, di mostrarsi in pubblico da “devoti”.

Rispettarli sì, sperando però di non scoprire che si tratta di “cultori” della filosofia che va sotto il nome di...” vizi privati, pubbliche virtù”.

(VINCENZO ORTOLINA)

 

 

 

COS’E’ IL DEEP STATE.

Macrolibrarsi.it – Cosimo Massaro – (7-8-2022) – ci dice:

 

Alcune pagine del libro “Scontro Globale” di Cosimo Massaro.

Per comprendere al meglio le dinamiche degli eventi che ci circondano, anche in questo caso, entriamo nel significato profondo della locuzione "Deep State", oggi di uso quotidiano.

La sua traduzione letterale è "Stato Profondo".

Ma cos'è questo stato profondo?

Semplicemente è uno Stato (decisionale), dentro uno Stato (di facciata), dove si prendono tutte le decisioni, che in seguito i burattini della storia mettono in atto.

Forse si tratta di un sistema operativo moderno? Assolutamente no.

Questo sistema è sempre esistito e ce lo fa notare il citato Honoré de Balzac quando scriveva:

"Vi sono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che ci viene insegnata ad "usum Delphini" e la storia segreta, dove si trovano le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa."

Questa sua frase, ci fa comprendere, che c'è sempre stata una storia apparente, quella usata appunto ad "usum Delphini".

Locuzione latina, che sta a rappresentare quella "falsa storia' insegnata al "Delfino del Re", cioè il primogenito del Re di Francia.

Questa falsa storia di facciata, scritta dai vincitori è oggi ben rappresentata dalla propaganda quotidiana divulgata dall'informazione ufficiale, che diventerà la futura "storia" che lasceremo ai posteri, qualora dovessimo perdere la guerra finale.

Dall'altra parte, invece, vi è quella "storia vergognosa" dove si decidono le sorti degli avvenimenti.

Il lato oscuro.

In pratica il "Deep State' rappresenta il lato oscuro dell'inconscio profondo della nostra coscienza collettiva, che fa uscire il peggio a livello sociale.

Si dovrebbe consapevolizzare, l'importanza delle decisioni prese singolarmente, attraverso la legge universale del libero arbitrio, perché sono in grado di modificare quella coscienza collettiva, oggi sbilanciata verso le forze oscure rappresentate dal "Deep State".

Mahatma Gandhi disse "Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo".

Le forze oscure, serpeggiando, hanno preso il sopravvento sulla nostra vita quotidiana, grazie all'opera messa in atto dai suoi centri di potere nascosti, che hanno lavorato per secoli nell'ombra.

In più di duemila anni, sono state tante le sette segrete che hanno cospirato per invertire l'ordine naturale delle cose e per distruggere il messaggio che Gesù Cristo ha voluto lasciare all'umanità.

Il Deep State culturalmente cosa rappresenta?

Da dove nasce?

È il frutto di quale espressione filosofica?

A tutte queste domande dobbiamo dare delle risposte se vogliamo veramente capire cos'è questo stato profondo che sta dominando il mondo.

Per consapevolizzare meglio il tutto, inizierei ad analizzare la filosofia che è alla base del suo operato e in secondo luogo le organizzazioni che hanno concretizzato i piani del Deep State per arrivare al raggiungimento del NWO (New World Order).

Cercherò di sintetizzare duemila anni di storia in alcuni passaggi fondamentali.

Il pensiero filosofico alla base del Deep State.

Partiamo da un presupposto contrario per capire meglio.

Sicuramente il Deep State ha da sempre osteggiato fortemente il pensiero cristiano cattolico e il suo messaggio fondante dell'"Ama il prossimo tuo come te stesso", essendo una élite dominante, altamente egoistica e incurante del benessere del prossimo.

A questo punto, basta capire quali sono le filosofie che, in oltre duemila anni di storia, si sono contrapposte al messaggio cristiano, sposando la pura cultura di Lucifero.

Nella terza tentazione, il Diavolo mostrò a Cristo tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". Gesù ovviamente si rifiutò.

Quelle poche famiglie, che oggi dominano il mondo si sono prostrate a Satana.

Da questo punto di vista Satana è una persona seria e mantiene sempre le promesse fatte a fin di male, solo che in cambio ha voluto le loro anime.

La Moneta di Satana.

Uno degli strumenti principali che il demonio ha concesso ai suoi adepti, è appunto, "La Moneta di Satana", cioè quella moneta debito, con la quale l'élite finanziaria è riuscita a schiavizzare tutti i popoli del mondo.

Lo studio della moneta come filo conduttore che ha solcato il tempo, segnando la storia fino ai giorni nostri, ci permette di avere una prospettiva completamente diversa della storia che ci hanno fatto sempre studiare sui principali libri di scuola.

È necessario capire cosa sia la realtà materiale e spirituale della moneta, per consapevolizzare il valore della vita e di tutto quello che ci accade intorno.

Che oggi ci siano poche famiglie che dominano tutto il mondo è un dato di fatto, lo negano solo coloro che sono parte integrante del sistema, i cosiddetti "agenti", per dirla alla "Matrix" e tutti coloro che vivono la propria vita inconsapevolmente.

Questi uomini, gli adoratori di Mammona, hanno invertito l'ordine naturale delle cose insito nel concetto filosofico creazionista, che possiamo sintetizzare in questi sostanziali punti:

Esiste un Dio creatore di tutte le cose visibili e invisibili.

Tutta la creazione è stata messa a disposizione dell'uomo.

L'uomo ha avuto il compito di gestire il creato con parsimonia e senso di giustizia secondo i comandamenti di Dio.

La società cristiana, di conseguenza, in virtù di questi punti fondanti ha preso la seguente forma:

Sottoposto al potere di Dio, troviamo il potere morale, rappresentato dagli uomini di Chiesa, che avevano il compito di infondere i valori cristiani nella società.

Sottoposto al potere morale, troviamo il potere politico, rappresentato da Re, Regine, Principi e Imperatori con il compito di legiferare, difendere il proprio territorio e gestire l'economia per il benessere di tutti.

Sottoposto al potere politico, troviamo il potere economico, rappresentato dai primi banchieri e dai ricchi commercianti i quali dovevano operare con parsimonia, evitando l'usura, altamente condannata e gestire quella primordiale finanza senza speculazione.

Il potere dell'economia.

Il potere economico aveva il dovere morale di utilizzare la moneta nella sua qualità di strumento, per assolvere solo alla sua funzione di mezzo di scambio per il pagamento delle merci e dei servizi e non per quello dell'usura.

Naturalmente, con questo breve quadro, non intendo affermare che il mondo antico era perfetto, ma aveva sicuramente dei valori fondanti, basati sulla cultura cristiana, che nel bene e nel male, contribuirono a fondare una società affascinante e ricca che ci ha lasciato tanto, da tutti i punti di vista.

L'inversione della piramide dei valori culturali, ad oggi è frutto di varie filosofie che nel tempo hanno preso il sopravvento.

Tra questi pensatori, troviamo sicuramente Friedrich Wilhelm Nietzsche, il quale ci ha voluto "insegnare", secondo il suo pensiero "nichilista attivo", che nel mondo occidentale, ormai, "Dio è morto" e che i vecchi valori tradizionali, sui quali si era costruita l'Europa e l'Occidente, erano ormai obsoleti, pertanto dovevano essere sostituiti, dalla modernità, dalla scienza e dalla tecnologia.

Oltre al nichilismo, un forte impulso al cambiamento sociale è giunto anche dal "relativismo", un mondo dove tutto è relativo e non esiste più nessuna Verità.

Pensiero fortemente criticato anche da Papa Benedetto XVI che affermò: "Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo.

 Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ''qua e là da qualsiasi vento di dottrina'" appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie."

Nella lista delle filosofie contrapposte alla tradizione, troviamo anche il "Modernismo" nato con l'intento di far adeguare e conciliare le proprie idee e esigenze, alle fasi di sviluppo del progresso nel tempo in cui si vive.

Da tale pensiero si sviluppa anche il "Modernismo cattolico", sorto alla fine del XIX secolo, mirato a conciliare la rivelazione neotestamentaria, con le correnti filosofiche, sociali e politiche del momento.

 Tale movimento fu condannato come eretico da papa Pio X nel 1907.

In conclusione, aggiungiamo il "Progressismo", estremo difensore e acceleratore dell'evoluzione della società, pensiero sposato pienamente dalla "politica di sinistra",

 troviamo il "liberismo economico", fondato sul dogma del "dio mercato" (produzione e commercio) dove l'intervento dello Stato è ammesso soltanto nei casi in cui l'iniziativa privata non riesce a soddisfare le esigenze della collettività e infine troviamo l'attuale "neoliberismo economico" che promuove la deregolamentazione e la libertà di mercato senza nessun limite con la totale esclusione dello Stato.

Dopo questa brevissima carrellata, dove sono state citate solo alcune delle correnti filosofiche che hanno maggiormente inciso sulla costituzione della società moderna, possiamo evidenziare come la piramide dei valori culturali, si sia oggi invertita rispetto a quella basata sui valori della tradizione.

Oggi all'apice dei valori moderni, avendo spodestato il Dio creatore dal suo posto, appunto perché, secondo l'attuale cultura ''Dio è morto", è stato facile sostituirlo con un altro dio; il dio Mammona.

 

Un falso dio, che esalta il ruolo della moneta come strumento usuraio, funzionale solo all'arricchimento egoistico, utile al raggiungimento dei lussi e dei piaceri personali, incurante del bene comune.

"Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro.

 Non potete servire Dio e Mammona" Gesù Cristo (Matteo 6,24-34).

Evidenziamo i punti sostanziali dell'attuale scala dei valori invertiti della società moderna.

Al primo posto troviamo il dio denaro, Mammona, adorato dall'élite al potere.

Al secondo posto troviamo l'élite finanziaria.

L'usurocrazia internazionale apolide, rappresentata da quell'1% della popolazione che domina sul restante 99% e che impone il suo volere attraverso la sua moneta debito e la finanza speculativa per raggiungere il dominio sui popoli.

Al terzo posto troviamo il potere economico, che impone i suoi voleri alla politica dei vari Stati, attraverso le sue istituzioni sovranazionali come FMI, Banche Centrali, WTO (Organizzazione mondiale del commercio), Bilderberg, Commissione Trilaterale, OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e tante altre.

Al quinto, che eseguono direttive funzionali, troviamo il potere politico, burattini sottoposti al potere economico monetario e a quello delle istituzioni sovranazionali interessi dell'élite dominante e non per quelli del popolo che dovrebbero rappresentare.

Al sesto posto troviamo i popoli:

frutti da spremere come i limoni per gli interessi dei dominatori.

 

IL DIO DENARO, SIMBOLO

DI TUTTI I POTERI.

Tragicomico.it -il blog di Ivan Petruzzi – (9 Gennaio 2023) – ci dice:

 

“Il dio denaro permette l’impossibile;

Il dio denaro può anche far comprar l’amore;

Il dio denaro consente la mia istruzione;

Il dio denaro distrugge tutti gli altri dei;

Il dio denaro è un dio speciale

Fatto di carta e presunto potere.”

(Bluvertigo, “Il Dio denaro”)

 

Fin dalla più remota antichità, nulla turba e affascina il genere umano più del denaro.

Un autentico emblema di una mondanità edonista che sovrasta tutto ciò che, per converso, si protende a fatica verso l’avanzamento spirituale della specie alla quale apparteniamo.

Il denaro, in tutte le sue varianti, è percepito come massima fonte di corruzione per il genere umano, tanto nei testi sacri ebraici e cristiani, quanto nelle antiche religioni indoeuropee, come l’induismo, che vedono nell’adorazione della moneta il segno inevitabile della decadenza dei tempi e di un ribaltamento morale dei valori ascetici.

Persino Goethe, nel suo celebre “Faust”, descrive con disprezzo l’ideazione della moneta, percependola come la summa di tutti i mali del mondo, concepita da Mefistofele in persona per gettare nel caos l’umanità intera e per farla deviare dai suoi fini naturali.

L’ossessione per il denaro è radicata in ogni tradizione filosofica, politica e religiosa esistente, proprio perché la moneta rappresenta l’elemento principe in grado di traslare ciò che, di fatto, è un semplice mezzo, a fine supremo dell’esistenza.

Di per sé privo di qualunque connotazione ideologica e di qualunque valore morale, il denaro è stato ideato per facilitare gli scambi e le transazioni tra gli esseri umani e per fungere da sostituto per una serie di beni e servizi, in sede di scambio.

Molto più comodo e agevole del baratto, il denaro non è altro che uno strumento che ci permette di fare acquisti e transazioni senza dover per forza offrire in cambio beni e servizi di svariata natura al venditore di riferimento.

Se provassimo ad immaginare un mondo privo di denaro, comprenderemmo immediatamente come la sola idea di procurarci un semplice maglione, porti in dote la necessità di offrire a colui che produce e vende il suddetto capo d’abbigliamento una gamma di beni o servizi di egual valore, o di suo gradimento.

Facendo riferimento al denaro, per converso, possiamo acquistare un maglione trasferendo qualcosa di impalpabile e poco ingombrante, che consente al commerciante di essere scambiato, in seconda battuta, con altri beni o altri servizi, senza il bisogno di produrre noi stessi quei determinati beni o quei servizi.

Se il denaro non è, dunque, di per sé una pessima invenzione, da dove nasce questa idolatria continua, destinata a soffocare tutto ciò che è puro e dotato di valore morale?

Come spesso accade, la venerazione del denaro nasce dal fatto che l’essere umano si trova incapace di comprendere la differenza tra mezzo e fine e tende a perseguire tutto ciò che gli procura un senso di (falsa) potenza, persino se inespressa.

Quando poniamo il denaro al centro del nostro agire, ci stiamo allontanando dalla sfera ontologica nella quale la moneta è stata concepita, per raggiungere un’idea distorta di potere che ci eleva sopra i nostri simili.

“Il denaro non è il demonio; il “demonio”, tutt’al più, è la stupidità tutta umana di considerarlo un fine quando è nato per essere strumento, la follia è farsi abbagliare dalle sue lusinghe al punto da farsene fagocitare, perdendo il senso dei ruoli e delle proporzioni.”

(Dal mio libro “LIBERI DENTRO, LIBERI FUORI”)

Tendiamo ad accumulare molto più denaro di quanto ne possiamo spendere, perché l’idea di possedere ingenti ricchezze ci apre un mondo immaginario, in cui tutto è possibile e in cui ci ergiamo a sovrani di un universo privo di reali riferimenti morali o estetici.

 Il denaro diventa dunque il fine ultimo di un agire che non porta in sé valore alcuno, se non quello di accumulare ricchezze che non vengono spese (se non malamente) e che non procurano piacere alcuno, se non in quella vaga illusione di potenza derivante dal sentirsi “più ricchi” (e dunque migliori) dei nostri simili.

Quando il dio denaro si impadronisce delle nostre menti, tutto risulta invertito e innaturale: così come il mezzo diventa fine, la conseguenza diventa causa.

Presi dal desiderio di accatastare denaro, dimentichiamo spesso che i soldi sono una conseguenza di quello che facciamo e non la causa suprema del nostro agire.

 I soldi dovrebbero rappresentare una ricompensa e un riconoscimento per il lavoro che svolgiamo, per le opere che creiamo o per i servizi che prestiamo, non un obiettivo da raggiungere ad ogni costo.

E invece, offuscati da una mentalità postmoderna che ha fatto della corruzione il suo mantra, ci troviamo spesso intenti a intraprendere un’attività con l’unico scopo di ricavarne denaro.

 Lavoriamo, ci mostriamo mezzi nudi, scriviamo libri, componiamo musica, elargiamo corsi di ogni tipo, discutiamo online e creiamo siti web non con l’intento di comunicare qualcosa di salvifico, ma sulla scia di vacue ricerche di mercato e di mode passeggere da cavalcare.

Se l’asservimento assoluto al dio denaro è spesso celato e latente nel sentimento comune, esso si manifesta in modo lampante quando viene rivolto al versante politico e sociale dell’esistenza.

“Fare il politico” è ormai diventata una (remunerativa) carriera, che spinge orde di giovani in direzione di un’attività pubblica finalizzata all’ottenimento del tanto agognato vitalizio, di pensioni a svariati zeri e di quel senso di onnipotenza tipico di chi guadagna cifre tali da fare impallidire un operaio.

Ne consegue, non solo la morte della politica, intesa come arte di derivazione greca rivolta alla corretta gestione della polis, ma anche l’asservimento della dimensione sociale a tutte quelle entità e a quegli organismi che finanziano la politica stessa.

Se la politica è dunque ormai un triste sottoinsieme dell’economia e uno specchio fedele di un tessuto sociale votato in direzione di un becero arrivismo, riusciremo forse a salvarci dal tracollo morale assoluto, nel momento stesso in cui ricominceremo a ricondurre il denaro alla sua naturale sfera d’appartenenza, relegandolo al ruolo di semplice mezzo che gli compete.

“Può essere bene avere il denaro e le cose che il denaro può comprare, ma è bene anche, ogni tanto, controllare ed essere sicuri di non aver perso le cose che il denaro non può comprare.”

(George Horace Lorimer)

Ricominciare a produrre arte e cultura, a vivere in maniera autosufficiente e sostenibile, a discutere, a confrontarci, a ritagliarci spazi per la nostra coscienza e a esistere senza la lunga ombra del dio denaro, è forse l’unica possibilità a nostra disposizione per riappropriarci di tutto ciò che la folle rincorsa al guadagno ci ha sottratto, per tornare all’origine della vita stessa e per riportare umanità e uguaglianza tra cifre e monete.

Per abbattere il simbolo di tutti i poteri dobbiamo necessariamente tornare all’essenza delle cose, considerare la ricchezza non un fattore economico, ma spirituale;

bisogna essere ricchi di spirito, di inventiva, di amore, per un senso di appartenenza verso il prossimo che travalichi l’avidità per il denaro.

C’è il bisogno di spogliare questo dio dal suo ruolo assolutistico, ossessivo e dominante, di smantellare la sua religione mondana fatta di illusioni, promesse e oggetti luccicanti.

Soltanto così l’uomo potrà vivere tempi nuovi, tempi all’insegna di valori, come il piacere di fare e dare senza tornaconto, che lo renderanno veramente degno di quel dono incommensurabile che è la vita.

(Il blog di Ivan Petruzzi)

 

La fine della sovranità. La dittatura del denaro

che toglie il potere ai popoli.

Ibis.it- Alain de Benoist – (10-2-2020) – ci dice:

 

Quella attuale è una crisi contrassegnata dalla completa emancipazione della finanza di mercato, dall'economia reale e dall'indebitamento generalizzato.

Il capitalismo non riconosce alcun limite e neppure alcun ostacolo politico, etico, sociale o economico, e uno dei suoi effetti diretti è stato l'affidamento del potere concreto ai rappresentanti di Goldman Sachs e di Lehman Brothers.

Vanno in tal senso anche le decisioni prese dall'Unione europea con il Meccanismo europeo di stabilità (MES), il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance (TSCG) e il Partenariato transatlantico sul commercio e sugli investimenti (TTIP), che equivalgono a un totale esproprio di ciò che rimaneva della sovranità delle nazioni.

I parlamenti nazionali - palesemente subalterni, e quindi complici - si vedono amputare una delle loro principali ragioni d'essere:

il potere di decidere le entrate e le spese dello Stato, ruolo ormai trasferito alla Commissione europea, mentre i contenziosi tra gli Stati diventano ormai di competenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea, così come la totale deregolamentazione del commercio euroatlantico, nel perverso connubio con gli interessi della NATO, porta alla mercificazione dell'economia.

 In tal modo, l'intera Europa viene posta sotto la tutela di una nuova autorità, priva di qualsiasi legittimità democratica, che assegna il potere ai mercati finanziari, rendendoli completamente liberi di imporre il loro volere.

 Una dittatura del denaro, che toglie la sovranità ai popoli.

(Alain De Benoist-Recensione)

 

 

 

L’unione delle migliori menti

per combattere l’ineguaglianza sociale.

Linkiesta.it - Boris Pahor –(30 giugno 2022) – ci dice:

 

Nella sua autobiografia scritta con Cristina Batticletti, l‘autore sloveno Boris Pahor recentemente scomparso spiega che bisogna organizzare una società intelligente, in cui ciascun uomo trovi una posizione dignitosa e valida, perché il consumismo e l‘attaccamento malsano al denaro conducono di nuovo alle dittature dei pochi sui molti.

Intellettuali, poeti, economisti, scienziati unitevi!

Solo voi potete dare una soluzione politica all’ineguaglianza sociale, promuovendo principi umanitari universali.

Dopo decenni di denuncia del crimine d’inquinamento, che i governi a lungo hanno bollato come fantasie, i grandi della terra alla fine hanno dovuto riconoscere il disastro che attanaglia il pianeta dal punto di vista ecologico.

Abbiamo preso coscienza che dobbiamo difendere i nostri diritti primari a respirare un’aria pulita, a mangiare del cibo sano, a trovare un ambiente non degradato.

Condividiamo un destino planetario, quello di una Terra che divenga patria di tutti noi, come sostiene il filosofo Edgar Morin.

Dobbiamo pensare a un mondo senza frontiere.

 E perché sia più giusto è giunto il momento per noi tutti di ribellarci alla dittatura del denaro.

La schiavitù al capitale, agli oggetti ci ha reso disumani.

A cosa è servito combattere il fascismo se abbiamo perso la nostra umanità? Abbiamo dimenticato le grandi battaglie vinte contro le dittature del Novecento? Siamo un continente senza memoria.

Oggi il nostro sistema di welfare è in crisi e alimenta la protesta in Europa.

 La cartina di tornasole del buon funzionamento di uno Stato è quella del mondo del lavoro:

 un paese sano è quello in cui non ci sono scioperi perché significa che il salario è giusto e i servizi pubblici funzionano bene, come accade negli Stati socialdemocratici del Nord Europa, dove i datori di lavoro hanno accettato di guadagnare meno per garantire agli operai una vita dignitosa.

Oggi la nostra società si è incrinata, i principi su cui abbiamo basato la nostra esistenza e la nostra politica rischiano di essere cancellati da una finanza spregiudicata.

Il capitalismo finanziario è molto diverso da quello produttivo, è il suo parassita perché dirotta i capitali nella speculazione.

Dobbiamo organizzare una nuova sorta di resistenza che cambi il corso perverso della politica attuale, il laissez-faire che ha portato avanti solo alcuni e lasciato indietro molti.

Ormai il capitalismo nella nostra società è proliferato in maniera insana.

Domina l’egemonia del profitto, il predominio delle lobby finanziarie che svuota di fatto la nostra democrazia, perché l’oligarchia schiaccia chi non ha più nemmeno la forza del lavoro.

 Devono essere perfezionate le leggi che vietano i monopoli e gli oligopoli sotterranei.

 La disoccupazione, lo sfruttamento, il mancato accesso alla sanità sono stati il minimo comune denominatore delle rivolte dei paesi nordafricani delle Primavere arabe, dei cacerolazos dell’Argentina, dei rivoltosi cileni, degli indignati spagnoli e greci.

Dobbiamo svegliarci, chiarirci le idee. L’atteggiamento di chi spacca gli autobus, le vetrine dei negozi e brucia automobili, come è accaduto nelle manifestazioni dei Gilet gialli in Francia, è condannabile.

Altrettanto quello di chi sfila con i vestiti da deportato del regime nazifascista per reclamare il suo diritto a non essere vaccinato contro il Covid-19, un insulto per chi, come me, quella casacca l’ha dovuta indossare.

Ma sono gesti di insofferenza da interpretare.

Si deve esecrare la violenza, ma anche chi l’ha provocata, chi scatena la diseguaglianza.

Sfondare i negozi non rende chi agisce diverso dai delinquenti e dagli estremisti.

Vandalizzare è sintomo di inciviltà, ma certo comprendo, anche se non giustifico, questi atti estremi, perché nessuno ascolterebbe un uomo che gira con l’immagine di Cristo nella folla a ricordare la fratellanza.

Sono in tanti a patire, soprattutto dopo questa pandemia, che ha reso ancora più aspre le condizioni e acuito la frustrazione di chi non ha avuto successo nella vita privata e professionale.

 Se la ricchezza venisse distribuita, invece di essere concentrata nelle mani di pochi, si potrebbe saziare un mucchio di gente che non ha nemmeno il pane.

 Lo ha detto papa Francesco e l’ho proposto anche io più modestamente quando sono stato ospite del Parlamento europeo nel 2014.

Ho avvertito i deputati: «Se continuiamo così andiamo alla distruzione completa».

Il problema è ancora il dominio dell’uomo sull’uomo, simile a quello che si è scatenato nelle dittature del Novecento.

 Solo che ora si esprime attraverso la proprietà delle cose.

Spogliare gli altri uomini del possesso dei beni necessari significa privarli della loro dignità e renderli schiavi.

Il capitalista sfrenato è un dominatore.

In Italia sono milioni le persone che la mattina e la sera si mettono in fila per ricevere un pasto dalle organizzazioni di carità e così anche nella mia Slovenia.

 È vergognoso che questo accada, non solo per chi ha fede, ma per chi crede nell’essere umano.

L’aiuto, il sostegno, la solidarietà reciproca sono sentimenti antichi e istintivi, ma oggi sono in disuso.

Il globalismo, che ha indubbi lati positivi nell’aver coinvolto nel progresso una fetta sempre più larga di popolazione, dando accesso a una migliore sanità e all’alfabetizzazione, ha però portato con sé una logica del profitto feroce.

Dobbiamo imparare la lezione del passato:

l’Europa, dopo aver elaborato l’Illuminismo, ha partorito i totalitarismi occidentali del XX secolo, in cui i grandi possidenti hanno finito per appoggiare il nazismo per la paura del comunismo.

Ma anche questo non è un fenomeno nato da solo, è il risultato dei nazionalismi, sviluppatisi nell’Ottocento in Europa.

Per questo dobbiamo stare attenti e mantenere viva la memoria.

 Quando si agitano i nazionalismi e i sovranismi dobbiamo pensare bene a quali conseguenze hanno portato.

Prima di me è stato l’amico Hessel a sostenere che bisogna ribellarsi.

Hessel, che ha lavorato per il segretariato generale dell’ONU ed è stato uno dei principali redattori della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, nel 2010 ha scritto un volumetto in francese dal titolo” Indignatevi!”,* tradotto poi in italiano, che ha venduto tre milioni di copie in trenta paesi.

In quelle pagine invitava la popolazione a prendere coscienza che il nostro è, grazie alla globalizzazione, un destino planetario, suggerendo una rivoluzione pacifica, intelligente.

La rivoluzione pacifica non c’è stata e non è in atto ora.

Ma si può e si deve indignarsi sempre, perché l’indignazione, insegna Hessel, è il principio alla base della Resistenza e non possiamo rischiare di perdere le conquiste raggiunte dopo la guerra in Europa:

le pensioni per un diritto a una vecchiaia dignitosa, una stampa indipendente, l’istruzione per tutti senza discriminazioni.

Non è possibile, spiega Hessel, che non ci siano più i fondi per mantenere queste conquiste sociali.

Li abbiamo trovati nel momento di massima povertà, quando tutto era distrutto.

A maggior ragione oggi che la produzione di ricchezza è fortemente aumentata, possiamo reperire il denaro sufficiente.

La rivolta è cosa seria e non ha nulla di improvvisato:

 per fare una rivolta ci deve essere una preparazione e un’organizzazione razionale, come inizialmente l’aveva pensata la rivoluzione comunista per arrivare a creare un’economia in cui i lavoratori dovevano essere sovrani.

Io non sono mai stato comunista, ma ne ho apprezzato l’intento nel suo basilare sforzo genuino di battersi perché il lavoratore ricevesse la paga che meritava e non il minimo della retribuzione.

 Io condanno il comunismo quando diventa dittatura, quando, raggiunta la maggioranza, scavalca il lavoratore.

Il comunismo di Marx non dice di andare a rubare, ma alla fine anche i comunisti hanno seguito, senza confessarlo, il catechismo anarchico, che ammette ogni mezzo per distruggere la società malvagia.

Di fatto ha ammesso il furto, perché Lenin e Stalin, i capi stessi della Rivoluzione, hanno rubato il potere al popolo.

 Hanno iniziato già il loro percorso politico con un amoralismo, una mancanza di etica.

 La rivoluzione sovietica invece di rinnovare il sistema ha solo sostituito lo zar con la dittatura comunista. I

l bolscevismo era un movimento nuovo, in mano agli operai, ma purtroppo non è mai stato degli operai.

 

Oggi non c’è la dittatura del capitale, ma quella del denaro.

 L’attaccamento al denaro è come una malattia del corpo.

La tendenza a dominare è connaturata nell’uomo: accadeva già nel Vecchio testamento, Caino e Abele ne sono l’esempio.

Anche se allora il denaro non era stato inventato era evidente il concetto di sottomissione.

Albert Camus diceva di non credere in Dio, ma nemmeno nella Storia, perché nella Storia rimane traccia solo dei dominatori: Alessandro, Napoleone, Mussolini, Hitler sono accomunati dalla stessa sete di potere.

Morti “gli Alessandri” sono i loro figli a dividersi la torta, creando dei domini minori, ma pur sempre domini.

Una volta una ragazza di tredici anni mi chiese perché i nazisti non uccidevano noi prigionieri immediatamente: «Semplice desiderio di sopraffazione», le risposi.

Ci consumavano come cartucce fino all’ultimo grammo di energia e poi morivamo per consunzione.

Oggi di che cosa ha bisogno l’uomo per dominare? Di denaro.

E la versione contemporanea di dominio è rappresentata dai tanti che silentemente prendono il comando del mondo, dalla loro bella casa guadagnano speculando sul denaro e nessuno conosce il loro nome.

Io non accosto il nazismo al capitalismo, ma condanno il capitalismo perché fonda la società sull’inclinazione dell’uomo a sopraffare l’altro, invitando alla lotta tra gli esseri umani per avere di più.

Uno dei nodi focali di questo fenomeno è il consumismo.

I centri commerciali hanno ucciso i piccoli esercizi e i negozi di quartiere, gli artigiani che invece vanno preservati e salvaguardati.

Ha vinto la logica del prezzo più basso in un unico luogo, dove le cose devono essere subito smerciate per indurre all’acquisto di oggetti non necessari.

 Questo è possibile pagando poco il lavoro, delocalizzando.

Invece di tenere vivi tanti piccoli punti vendita, ormai sono rimasti solo i supermercati dove si creano i cartelli, in cui si comprano i prodotti in condizioni di esclusività, dove si entra per acquistare beni di prima necessità, come zucchero e riso, e ci si trova alla fine ad acquistare il superfluo, grazie a un’esposizione strategica.

Il consumismo dissennato è nocivo, ci spinge a comprare compulsivamente oggetti dalle virtù illusorie in una logica costante della prevalenza della quantità sulla qualità, ma il benessere legato all’oggetto svanisce immediatamente.

 Non abbiamo bisogno di accumulare cose, ve lo garantisco io che vesto ancora gli abiti degli anni settanta, camicie di altri tempi e maglioni lisi.

Quando mi fanno notare che indosso un capo rammendato, ne sono fiero.

Sono incapace di buttare via qualsiasi cosa.

 E continuano a dirmi: «Pahor, come sei elegante!»

Per essere in ordine basta avere un indumento dignitoso.

 Dobbiamo rigettare l’economia dello spreco, la corsa all’accumulo di prodotti dal valore virtuale spropositato.

 Oggi i nuovi proletari d’Occidente sono le persone che hanno perduto l’impiego, a causa della globalizzazione.

E ne pagano le conseguenze anche quelli che il posto di lavoro lo conservano, perché il carico sulle loro spalle è più che raddoppiato.

Bisogna sostituire la concorrenza esacerbata con una sana competizione in cui convivano regole univoche per tutti.

L’unica risposta a questo stato di cose è quella di un mondo economicamente “de globalizzato”, in cui si rispettino le economie territoriali, rimanendo però connessi nella circolazione della cultura, delle informazioni, del rispetto dei diritti.

Dobbiamo organizzare una società intelligente, in cui ciascun uomo trovi una posizione dignitosa e valida.

(Un‘autobiografia senza frontiere di Boris Pahor con Cristina Battocletti).

 

Le Morti Improvvise degli ultimi

Tempi hanno in comune un Danno

alla Ghiandola Pineale.

Conoscenzealconfine.it – (5 Febbraio 2023) – Dott. Valerio Petterle – ci dice:

Il lavoro del Dr. Petterle consiste nel verificare la correttezza delle diagnosi. Intervistato da “La Verità” snocciola numeri e dubbi su quanto sta accadendo da qualche tempo a questa parte.

Valerio Petterle è un medico specializzato in urologia, medicina legale e criminologia clinica, in servizio presso l’Ulss 2 della Regione Veneto, che da 7 anni, certifica decessi in abitazioni private e Rsa di circa 25 Comuni della provincia di Treviso.

Il Dr. Petterle è l’ufficiale di polizia mortuaria incaricato di certificare il decesso di una persona, che sia per un incidente stradale, un annegamento o una morte violenta o, negli ultimi tempi, soprattutto per morti improvvise.

Il suo lavoro consiste anche nel verificare la correttezza della diagnosi.

Ebbene, intervistato da “La Verità” snocciola numeri e dubbi su quanto sta accadendo da qualche tempo a questa parte.

Per esempio, non accetta che si scriva “arresto cardiaco”, che presuppone una ripresa: “Se una persona è deceduta, è morte cardiaca”.

Cosa hanno in comune le Morti Improvvise degli ultimi tempi?

Il Dr. Petterle confessa che ultimamente compie in media dai 10 ai 20 accertamenti nell’arco delle 24 ore che sono numeri alti rispetto al passato.

 Il medico rivela, inoltre, che si applicano ancora le linee guida dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza:

“Ancora oggi, quando arriva il 118 e il medico si trova davanti una persona in fin di vita o già morta, assieme alla constatazione del decesso fa eseguire il tampone.

Il risultato del test, continua a comparire nella diagnosi di morte”.

 

Insomma, siamo ormai alla follia estrema che consiste nel fare tamponi ai defunti.

Non so se ci rendiamo conto.

Per cui se il deceduto risulta positivo, in base a una circolare interna dell’Azienda sanitaria, viene trattato come morto per Covid.

Ma la parte più importante e impressionante dell’intervista arriva quando il Dr. Petterle rivela le tipologie di morti che vede da qualche tempo a questa parte:

“In persone sane, sportive, di mezza età e senza patologie cliniche, negli ultimi cinque mesi la metà dei decessi è per “Sads”, la sindrome della morte improvvisa dell’adulto.

Anche ieri, due uomini di 54 e 55 anni se ne sono andati così, all’improvviso, nelle loro abitazioni.

Erano in salute”.

Per loro il medico ha richiesto l’autopsia, anche alla luce di alcuni studi che ora correlano le morti improvvisa alla vaccinazione anti Covid.

 Finora le autopsie, stando all’esperienza diretta di Petterle, hanno dimostrato:

“infarto del miocardio molto frequente e la quasi “scomparsa” della ghiandola pineale (ai margini del terzo ventricolo – una cavità del cervello che contiene liquido cerebrospinale – rilascia ormoni nell’organismo attraverso il sistema circolatorio, ndr).

Un’atrofia riscontrata dagli anatomopatologi, sulla quale bisognerebbe indagare.

Può essere conseguenza di scarsa produzione di ormoni e segnale di un deterioramento del sistema immunitario “.

 

Attenzione perché all’interessante intervista del Dr. Petterle si aggiunge quella che, secondo noi, è la notizia scoop.

Il medico, che ricordiamo è ufficiale di polizia mortuaria, ci sta dicendo che per quanto riguarda le morti improvvise è stato riscontrato che oltre all’infarto del miocardio, tutti hanno qualcos’altro in comune, ossia la quasi “scomparsa” della ghiandola pineale il che è indice di un deterioramento del sistema immunitario.

 La domanda sorge spontanea: Perché tutte queste morti improvvise e perché hanno tutte questa “strana” caratteristica in cui la ghiandola pineale è praticamente distrutta?

La Ghiandola Pineale.

L’epifisi, chiamata anche “ghiandola pineale”, è la ghiandola endocrina situata sul mesencefalo, e malgrado la sua piccola dimensione la sua importanza è grande, con dei ruoli ben precisi come:

Regolazione dei ritmi circadiani (giorno/notte),

Secerne melatonina, la mancanza di melatonina può avere effetti negativi sullo sviluppo di ovaie, testicoli e ciclo mestruale,

Influenza il metabolismo osseo,

Senso dell’orientamento.

Non solo, ma oltre a questa funzione per così dire biologica, secondo molti ve ne sarebbe anche un’altra di natura, come dire, “spirituale”, come se a livello cerebrale coesistessero due sistemi neurochimici fondamentali, polari e complementari fra di loro.

Il primo chiamato “Sistema Oppioide”, è connesso alla vita inconscia, all’ipofisi o ghiandola pituitaria situata al centro del cervello.

Questo sistema è attivo in condizioni di stress, dolore, ansia, irritabilità e induce immunosoppressione o stato di malattia.

 È mediato da catecolamine, steroidi surrenalici e oppioidi, endorfine e dinorfine.

Il secondo chiamato “Sistema Cannabinoide”, è connesso alla vita cosciente e super cosciente, dando la possibilità all’uomo di percepire il mondo spirituale.

Esso è in rapporto con la ghiandola pineale o epifisi, situata nell’encefalo pur non facendo parte di esso ed è coinvolto nell’induzione della percezione del piacere e della gioia.

Non è, quindi, la produzione di endorfine a rendere possibile la percezione del piacere e ad esaltare l’immunità, bensì la produzione dei cannabinoidi e degli indoli pinealici.

La conoscenza della ghiandola pineale e l’associazione con il cosiddetto “terzo occhio” (che consentirebbe di vedere oltre) risale a tempi molto antichi e possiamo trovarne rappresentazione in varie culture nel corso della storia umana.

Era già indicata nel passato come sede dell’anima da Galeno e Cartesio, a rappresentare il punto di unione fra questi due tipi di regolazione.

Insomma, per alcuni la ghiandola pineale sarebbe quella parte più profonda dell’intimo umano.

D’altronde, la formazione dell’essere umano è descritta nella Bibbia come un vero e proprio miracolo, sin dal primo secondo del concepimento, sin dall’attimo in cui inizia l’ovulazione nel grembo materno.

“Sei tu che hai formato le mie reni,

che mi hai intessuto nel seno di mia madre.

Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo stupendo.

Meravigliose sono le tue opere,

e l’anima mia lo sa molto bene.

Le mie ossa non ti erano nascoste,

quando fui formato in segreto

e intessuto nelle profondità della terra” (Salmo 139:13-15)

Cosa Dice la Bibbia?

Solitamente i sistemi religiosi che si rifanno alla Bibbia, ebrei, cattolici o protestanti, ingabbiati nelle proprie dottrine e nelle proprie pratiche dogmatiche e dogmatizzanti costituiscono, de facto, la loro stessa prigione e per questo non riescono ad andare oltre.

Sono queste limitazioni che impediscono di attenersi davvero alla Bibbia che pure essi citano continuamente.

 Il motivo è che essa viene letta con le lenti che hanno fornito loro le impalcature dottrinali della denominazione di cui fanno parte.

Sono questi apparati dottrinali che costituiscono delle vere e proprie fortezze di cui parla la Bibbia stessa (2Corinzi 10:4, 5).

Rivolgendoci, invece, esclusivamente alla Bibbia, così com’è e senza artifici umani, mi domando sinceramente se non sia proprio questa ghiandola pineale quella parte del nostro essere che qualcuno ha voluto chiamare “Sé superiore” e che invece la Bibbia definisce: “UOMO INTERIORE” (Efesini 3:16) ossia quella parte del nostro essere in cui dimora Dio e che ci consente di avere comunione con Lui.

Allargando l’orizzonte, secondo me è proprio qui che interviene Dio per guarire, alleviare dolori, parlare in sogno, ecc.

La questione, che è da tempo oggetto di miei studi, è comunque complessa e non è possibile affrontarla qui e adesso.

 Posso, però, provare a sintetizzarla in pochi punti:

A. La parte più intima e profonda dell’essere umano, che noi stessi non conosciamo completamente (inconscio e subconscio).

“Infatti chi, tra gli uomini, conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio” (1Corinzi 2:11).

B. Quella parte dell’uomo che dopo il ravvedimento, la conversione e la nuova nascita, viene “vivificata”, perché prima essendo “morta” era insensibile.

“Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati” (Efesini 2:1; cfr. Giovanni 3:3-5; 2Corinzi 5:17).

C. Quella parte dell’uomo che una volta “risuscitata” a nuova vita, diventa la “sede” dove viene ad abitare Cristo.

“Faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore” (Efesini 3:17; cfr. Romani 8:9, 10; Giovanni 14:23).

D. Quella parte del credente rigenerato che gli consente di adorare Dio in “spirito e verità” (Giovanni 4:24) e quindi di entrare in contatto con Dio e avere comunione con Lui.

 

“Attraverso queste ci sono state elargite le sue preziose e grandissime promesse perché per mezzo di esse voi diventaste partecipi della natura divina, dopo essere sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza” (2Pietro 1:4).

E. Quella parte del credente salvato e rigenerato che deve rinnovarsi di continuo.

“Avete imparato, per quanto concerne la vostra condotta di prima, a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; ad essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente” (Efesini 4;22, 23; cfr. Romani 12:2)

Conclusione.

In conclusione, è forse questa la ragione per cui in tanti hanno notato un’alterazione della personalità in alcuni “vaccinati”?

È forse questo uno degli scopi di questi “vaccini” a mRNA, ossia quello di alterare non solo il DNA ma pure la coscienza umana trasformando le persone in automi così da indurle a credere alle cose più assurde?

Queste non sono domande retoriche. Sinceramente non ho le risposte e le domande le rilancio come punto di partenza su cui instaurare un dialogo e un confronto.

(laveritarendeliberi.it/le-morti-improvvise-degli-ultimi-tempi-hanno-in-comune-tutte-un-danno-alla-ghiandola-pineale/)

 

 

 

Non abbiamo bisogno di mangiare

farina di insetti ma vietarla

sarebbe stato miope.

Ilsalvagente.it - prof. Alberto Ritieni – (19 Gennaio 2023) – ci dice:

 

FARINA DI INSETTI.

Continuano le polemiche sulla decisione della Commissione europea di dare il via libera alle farine di insetti, prima, e alle larve della farina poi, come alimento.

Politica e industria (italiana) fanno fuoco e fiamme spesso strumentalmente. Cerchiamo di capirne di più con il contributo del professor Alberto Ritieni.

Chiediamoci: cos’è ciò che chiamiamo presente?

 Non è forse il passato del nostro futuro e se comprendiamo il presente, non ci sorprenderemmo di ciò che accadrà e molte delle nostre paure saranno esorcizzate.

Poco più di un secolo fa l’introduzione del latte pastorizzato, in sostituzione del latte fresco, provocò paure e fobie che oggi ci fanno sorridere.

 Solo qualche anno fa mai avremmo pensato di mettere in tavola delle alghe oppure di accettare la filosofia del fast food;

 eppure, oggi cerchiamo integratori alla spirulina e siamo tornati a mangiare semi.

Gli insetti, sotto forma di farina o di prodotti trasformati, probabilmente saranno parte del nostro futuro alimentare per vari motivi e la paura che proviamo nei loro confronti è del tutto comprensibile.

Il poeta spagnolo Pedro Salinas diceva “…conoscersi è luce improvvisa…” e da sempre la luce allontana le ombre delle paure.

L’occasione di riflettere su questo tema, come comprenderete, la decisione della Commissione europea di dare il via libera alla farina di grilli, prima e alle larve della farina poi, come alimento.

Se ci saranno insetti nel mio pasto, sicuramente sarà riportata la loro presenza in etichetta.

VERO Tutti i vari “Novel Food” che sono stati autorizzati in Europa sono elencati sulla Gazzetta ufficiale europea e si può rimanere sorpresi leggendo che oggi sono ammessi prodotti come l’olio di krill oppure l’estratto della cresta di gallo, così da poco anche gli insetti.

 La storia degli insetti parte nel 2022 con l’inserimento della larva gialla della farina (Tenebrio molitor) e della Locusta migratoria congelata, essiccate e in polvere grazie al Regolamento 169/2022 poi il Regolamento 188/2022, completa le specie ammesse con il grillo domestico (Acheta domesticus).

L’International Platform of Insects as Food and Feed (IPIFF), ha pubblicato una serie di linee guida utili ad etichettare i prodotti alimentari a base di insetti basandosi sui Regolamenti 1169/2011 e 1924/2006 (NHCR, Nutrition and Health Claims Regulation) che assicurano le informazioni ai consumatori.

Ad esempio, non è permesso fuorviare i consumatori indicando proprietà che i prodotti a base di insetti non posseggono, non è neanche possibile associare immagini esotiche alla farina di insetti prodotta in Nord Europa, oppure esaltare un contenuto di particolari Vitamine o altre molecole già presenti in frutta o altri vegetali.

Esiste l’obbligo, come per tutti gli alimenti, di fornire oltre a nome, lista degli ingredienti, paese di origine, le informazioni nutrizionali anche la lista degli allergeni sia se sono presenti come ingredienti del prodotto sia se possono derivare dal substrato dove si alleva l’insetto. 

Vale la pena ricordare che l’”Indicazione Quantitativa degli Ingredienti” o QUID è richiesta se un ingrediente o una categoria di ingredienti compare nel nome del prodotto alimentare o se viene enfatizzato tramite parole o immagini in etichetta, oppure se è essenziale per caratterizzare il prodotto alimentare.

 Nel caso degli insetti è quasi sempre necessario citarne come percentuale la presenza nei prodotti che effettivamente li contengono, a meno che il prodotto alimentare non sia costituito dal solo insetto come unico ingrediente.

Sono sicuro che la useranno senza farcelo sapere.

FALSO.

 Se l’alimento è prodotto, ad esempio, da farina di grilli al 100% è possibile non indicare questo ingrediente mentre è necessario riportare la presenza della farina da insetti se è presente in percentuale nel prodotto, come ad esempio una merendina, un prodotto da forno etc.

Probabilmente sarà questa la situazione più probabile che si verificherà.

La potenziale allergenica e pericolosità degli insetti, nonostante le ricerche in atto, non è ancora provata in maniera sicura.

Un lavoro molto recente riporta la necessità di sviluppare degli opportuni test diagnostici per valutare questo rischio senza adattare quelli già presenti sul mercato.

Un diverso studio riporta che in alcuni ambienti di lavoro, il 57% dei dipendenti è stato sensibilizzato e ben il 60% dei dipendenti ha riportato sintomi legati alla presenza di insetti ma non perché li mangiasse.

 In un secondo lavoro scientifico pubblicato dall’Efsa si sottolinea che al momento le informazioni disponibili sui pericoli associati agli insetti per l’uso in alimenti e mangimi sono ancora molto limitate.

Le attuali conoscenze disponibili suggeriscono che le proteine degli insetti possono causare delle reazioni allergiche negli esseri umani e negli animali così come accade per altri artropodi, tipo i crostacei, quali gamberi, scampi etc.

 In etichetta la cross-reattività fra insetti e crostacei sconsiglia il consumo di insetti agli allergici ai crostacei o agli acari della polvere.

 In etichetta, sarà necessariamente riportato questo possibile rischio allergenico e quindi saremo a conoscenza della presenza di insetti come ingredienti dell’alimento.

In rete girano ricerche scientifiche che imputano al consumo di insetti un’attività infiammatoria, c’è da avere paura?

 

VERO/FALSO In maniera del tutto imprevedibile ai nostri occhi, alcune sostanze derivate da insetti si stanno proponendo dal punto di vista medico come nuovi farmaci e trova molto interesse il loro uso come antinfiammatori naturali come ad esempio, la papiliocina, la cecropina A etc.

Si sta esplorando anche il settore dell’oncologia per affiancare alla chemioterapia, alla radioterapia e alla chirurgia dei composti di insetti con attività anticancro come la cantaridina, la norcantaridina, l’isocumarina, la plancipirazina A, la pancratistatina, la narciclasina e l’ungeremina.

Altri studi su animali hanno dimostrato che il grillo “Gryllus bimaculatus”, un insetto commestibile per ora riconosciuto dalla “Korea Food and Drug Administration” protegge dai danni dell’infiammazione epatica o dalla steatosi epatica, riducendo lo stress ossidativo anche più della nota silimarina ottenuta come miscela dal cardo.

È pur vero che le patologie trasmesse da insetti sono note e numerose, basta ricordare malaria, febbre gialla etc. e anche la sola puntura di api, calabroni etc. provoca una infiammazione prima ancora di risposte allergiche più gravi a livello generale.

Mangiare insetti non mi dà alcun vantaggio nutrizionale o salutistico.

FALSO.

 In alcuni studi su animali, si è osservato che un supplemento in polvere di 0,5 g/kg di glicosaminoglicani riduce significativamente il peso del grasso addominale dal 5 al 40%, la glicemia si riduce dal 10 al 22% e i livelli di colesterolo per circa il 10%.

Un supplemento di 5 mg/kg di chitina/chitosano riduce il peso corporeo (1-4%) e l’accumulo di grasso addominale (4%) rispetto alle diete di controllo.

Altri studi su animali, contenenti dosi di derivati di insetti commestibili dal 7 al 15% migliorano significativamente il peso vivo (9-33%), riducendo del 44% i livelli di trigliceridi, del 14% quelli del colesterolo e delll’8% i livelli di glucosio.

 Inoltre, si osserva aumentare la biodiversità del microbiota (2%) rispetto alla dieta di controllo.

 Negli studi sull’uomo, dosi fino al 7% del livello di inclusione di insetti commestibili hanno prodotto un miglioramento significativo della salute intestinale (6%) e una riduzione dell’infiammazione sistemica (2%) rispetto alle diete di controllo e un aumento significativo delle concentrazioni ematiche di proteine essenziali e a catena ramificata aminoacidi e un rallentamento della fase di digestione del 40% rispetto al trattamento con siero di latte.

 

C’è chi dice che la storia della sostenibilità ambientale della farina di insetti è una balla…

FALSO.

 Se consideriamo gli indicatori ambientali (uso del suolo, impronta idrica ed emissioni di gas serra) questi si riducono del 40-60% rispetto alla produzione dei mangimi tradizionali.

Gli insetti commestibili possono essere una fonte proteica alternativa non solo per migliorare l’alimentazione umana e animale ma anche per migliorare la salute del pianeta.

In realtà l’uomo cavernicolo già consumava insetti forse anche per la minore scelta che aveva, ma oggi, in particolare nei paesi industrializzati, gli unici alimenti derivanti da essi che vengono consumati sono miele e pappa reale.

 Gli studi mostrano come gli insetti possiedano un buon profilo nutrizionale, fornendo proteine e tutti gli aminoacidi essenziali, ferro, zinco, e acidi grassi insaturi e polinsaturi (PUFA) della serie omega-3 e omega-6.

 Inoltre, cavallette e grilli sono fonte di vitamina B12, mentre il baco da seta di vitamina A.

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto gli aspetti nutrizionali positivi degli insetti.

Io non ho mai mangiato, né mangerò mai degli insetti.

FALSO.

 Qualcosa di simile viene detto per gli Ogm eppure se sono presenti in quantità inferiori allo 0,9% in un alimento ne viene ammesso la vendita e quindi il consumo.

Gli insetti sono già nostri commensali, sia pure dal lato sbagliato del tavolo, perché il colorante E120 o carminio, sigla che indica la cocciniglia non è vietato, ma è autorizzato ad essere immesso in commercio.

Questo colorante è prodotto da un insetto per difendersi dai predatori e ai nostri scopi servono per un chilogrammo di colorante circa 100.000 insetti e una volta macinato l’esoscheletro si può estrarre l’acido carminico.

Questo colorante rosso, che può dare delle forme di allergie, è usato per alimenti o per bevande ed è comune anche nell’industria tessile, anche se talvolta si usano dei coloranti sintetici più economici denominati E122 oppure E124.

Parallelamente, ogni anno inconsapevolmente e mediamente consumiamo circa 500 g di insetti e tutto ciò è tollerato dalla legislazione alimentare perché considerati dei contaminanti.

 La FDA americana impone per farina e sfarinati un limite di tolleranza di 50 frammenti di insetto, antenne, zampe etc., in 50 g di prodotto e tali valori sono usati comunemente anche in Europa.

I Filth-Test sono test utili ad evidenziare le impurità solide negli alimenti, fra cui anche le parti di insetti che involontariamente si possono ritrovare negli alimenti.

La legislazione italiana, su questo punto, è vacante, anche perché zampette, ali, antenne e quant’altro non sono nocivi e non esistono quindi limiti massimi per la loro presenza nei cibi.

Conclusioni.

Avere paura degli insetti deriva dal nostro cervello primordiale, la qualcosa è comprensibile, ma abbiamo superato ben altri limiti metacognitivi e anche gli insetti si troveranno col tempo ad essere accettati.

 Del resto, i loro cugini come gamberi, aragoste e crostacei vari non solo sono accettati, ma addirittura considerati beni di lusso eppure sono artropodi, stesso esoscheletro chitinoso, stesse caratteristiche.

Forse perché vivendo in acqua sembrano lontani dal nostro ecosistema terrestre o forse ci sembrano puliti, ma l’intestino di un gambero o altre parti dei crostacei rappresentano pur sempre un punto di rischio per la nostra salute.

Abbiamo bisogno di mangiare insetti?

La risposta è “non è necessario”, ma non è necessario avere allevamenti animali intensivi, o sfruttare le risorse del pianeta per poi sprecarle.

Gli insetti sono un piano B per il futuro alimentare e per la nutrizione a basso impatto, ma per alcuni paesi in emergenza alimentare sono già oggi il loro piano A.

Non siamo obbligati a mangiarli, nessuno può costringere ad accettare un prodotto sicuro dal punto di vista allergenico e tossicologico e utile dal punto di vista nutrizionale, ma è anche vero che non possiamo decidere per altri e paesi avanzati nel settore agro-alimentare come lo è l’Italia, possono dare le linee guida a chi ha bisogno di fonti alimentari alternative, assicurando sicurezza e qualità.

 

 

 

 

"Oggi il dittatore è il denaro

farei un film sull'economia".

Ilgiornale.it - Stefano Giani – (12 Agosto 2022) – ci dice:

 

Il regista premio Oscar ritira a Locarno il Pardo alla carriera: "Non girerei una serie tv, meglio le sale".

"Oggi il dittatore è il denaro farei un film sull'economia".

Locarno. Gli occhi della Storia. La sentinella della democrazia nel cinema.

La meravigliosa giovinezza di un ragazzo di 89 anni che ieri ha ritirato il Pardo alla carriera dopo essersi portato a casa un Oscar per “Missing”, una Palma d'oro per lo stesso film che, in quel lontano 1982, aveva fatto litigare il presidente di giuria Giorgio Strehler con il giurato Gabriel García Márquez, un Orso d'oro per Music box - Prova d'accusa e un Golden Globe per Z – “L'orgia del potere” che, tredici anni prima - ed era il '69, a Cannes si era messo in tasca il premio della giuria.

Con queste credenziali, Costa-Gavras arriva a Locarno, dove non era mai stato, con l'entusiasmo di un ragazzino e spiega - forse con una punta di gratitudine - che questo festival è più importante di Cannes e gli altri perché solo qui ci sono film popolari e di ricerca.

 Le diverse tendenze di una settima arte che sta vivendo anni di apprensione e fatica.

Come siamo messi, Maestro?

«Male, malissimo. Siamo al capolinea di tutto».

Perché?

«La gente ormai guarda i film nel telefonino. Un'imperdonabile barbarie».

Anche su computer e tv, a essere onesti...

«Il cinema consiste in una collettività che guarda uno spettacolo di fronte a un grande schermo, non altro. È un'esperienza condivisa».

Quindi lo streaming e le piattaforme sono il Male assoluto?

«Diciamo che un piccolo pregio ce l'hanno. Uno solo, però.

 Rendono accessibili molti film a prezzi ridotti. Questo mi piace».

Le capita spesso di andare in sala?

«Sempre. Non c'è vita senza cinema».

E guarda anche i suoi film?

«Mai. La verità è che ogni tanto mi tocca perché, in occasione di qualche proiezione, mi chiedono di guidare il dibattito alla fine».

Chi consiglia tra i registi più giovani?

«Farei due nomi. Xavier Giannoli, l'autore di “Illusioni perdute”, e Julia Ducournau che l'anno scorso ha vinto a Cannes con “Titane”. Ma l'hanno massacrata».

Se oggi dovesse scegliere il protagonista di un suo nuovo film, chi sarebbe l'Yves Montand di oggi?

«Mi piace Vincent Cassel. Prenderei lui».

Anche se dovesse fare una serie?

«Oh no... Quelle non mi piacciono proprio. Sono un approfondimento concentrato su una materia specifica ma no... preferisco fare cinema».

 

Eppure per uno come lei che si è occupato di totalitarismo a più riprese...

«Ci si può esprimere adeguatamente anche senza eccedere».

Immaginiamo una nuova opera sulla dittatura. A che cosa penserebbe?

«Fortunatamente l'Europa non fornisce materia di studio. Diciamo che mi viene in mente Trump e, come contraltare, la Cina».

Ma Pechino ha fatto passi enormi verso il capitalismo.

«Appunto. Li ha fatti in un momento storico strategico».

In che senso?

«È cambiata la forma di potere mondiale, siamo passati dal fanatismo religioso alla dittatura del denaro e dell'economia».

Un ribaltamento.

«Diciamo che esistono dittature anche in Africa e in America Latina.

 L'unica riflessione possibile è l'opportunità di spiegarle e renderle plausibili ma nessuna è accettabile.

Il riferimento è ancora Trump ma le più pericolose sono le persone dietro di lui.

 Si può comprendere la sua ascesa alla Casa Bianca ma non si può appoggiarlo».

Difficilmente le sue opere impongono una chiave di interpretazione.

«Voglio che tutti vedano e ognuno in base alla propria preparazione poi si faccia un'idea personale. Però...».

Però?

«Oggi al cinema non ci va più nessuno».

Allora qual è la forma giusta?

«Un film è come un libro. Un concerto. Va considerato nella sua totalità. La cosa più importante è la storia che si intende raccontare».

 

Un segreto per non fallire?

«Avere la consapevolezza che si sta creando uno spettacolo. In ogni momento vanno seminati i presupposti perché lo spettatore vada avanti.

 Va continuamente coinvolto e interessato. L'attenzione non deve scemare mai».

Anche a costo di scontentare qualcuno... A lei è capitato con “Amen” che compie vent'anni.

«Non si trattò di creare fratture, però».

Tuttavia qualcuno non gradì proprio.

«Se la presero gli integralisti. E con questo intendo coloro che scusano tutto e non accettano di assumere una posizione critica davanti ai fatti storici».

Anche se si tratta di un pontefice...

«Certo. Non c'era la volontà di attaccare Pio XII. Semplicemente il problema è la comunicazione. Il Vaticano non accettò di rivelare ciò che sapeva sulle camere a gas».

Costa-Gavras alla guida della “Cinémathèque” è altrettanto severo?

«Ma no, ho cercato di cambiare il modo di insegnare cinema».

In che senso?

«Ho preferito abituare i ragazzi a trasformarsi in piccoli registi. Non l'aveva mai fatto nessuno».

E su che cosa ha puntato?

«Se un ragazzo impara a fare un film e tutto ciò che questo comporta, avrà un modo diverso anche di guardare quello che incontrerà in sala».

Due risultati a un tempo, migliori piccoli cineasti e migliori spettatori.

«L'importante è non dimenticare mai che quello che si fa a scuola o a livello amatoriale è solo un assaggio.  Essere professionisti è ben diverso ma almeno è un'occasione per intuirne le difficoltà».

 

Farina di insetti nel piatto:

a rischio la salute e la dieta mediterranea.

Italiaatavola.net – Elisa Santa Maria – (12 gennaio 2023) – ci dice:

 

“ITA0039-Italian Taste”, il protocollo di certificazione che traccia l’originalità dei prodotti italiani nei ristoranti nel mondo contro la decisione dell’Ue di commercializzare cibi a base di “Acheta Domesticus”.

No e ancora no alla farina di grilli.

La decisione dell’Unione Europea di rendere libero il commercio di prodotti alimentari a base di “Acheta Domesticus”, cioè fatti con polvere di grillo domestico, sta provocando molte reazioni negative nel mondo del food italiano.

ITA0039 – Italian Taste, il protocollo di certificazione che traccia l’originalità dei prodotti italiani nei ristoranti nel mondo, esprime profonda contrarietà all’introduzione di farine di insetti in Europa ed in Italia, in un momento in cui si sta lavorando con determinazione e fatica alla difesa della cucina made in Italy e della dieta mediterranea.

Farina di grillo ITA0039: «Farine di insetto: a rischio la salute dei consumatori e la dieta mediterranea»

Farina di grillo.

«Per la dieta mediterranea non solo è aberrante l'idea della farina di insetto ma, fatto ancor più grave è che al momento non sono noti gli effetti sul corpo umano di questo tipo di alimenti».

Lo afferma Fabrizio Capaccioli, amministratore delegato di ASACERT e ideatore di ITA0039, che aggiunge:

«L’Unione Europea dovrebbe concentrarsi maggiormente nella difesa dei prodotti delle nostre filiere agroalimentari che sono a rischio contraffazione ed estinzione nei nostri stessi Paesi e nel mondo, piuttosto che aprire all’invasione orientale di cibi lontanissimi dalle nostre sane tradizioni».

Quale sicurezza?

 A preoccupare è anche la sicurezza alimentare delle farine di insetto.

 «Mi sono scagliato più volte contro le farine di insetti.

Si può anche sperimentarle le farine ma occorre partire da un concetto:

gli italiani vivono più a lungo dei cinesi perché non mangiano soia e non mangiano insetti, i quali procurano una reattività allergica molto particolare.

 Contengono proteine iperattive che inducono a molte allergie», incalza il dottor Giorgio Calabrese, esperto di alimentazione e difensore della dieta mediterranea.

Il ministero della Salute aveva già fermato locuste e grilli fritti ITA0039:

 «Farine di insetto: a rischio la salute dei consumatori e la dieta mediterranea»

«Nel food noi non abbiamo bisogno della farina di insetti o di locuste o di grilli.

Noi abbiamo bisogno di continuare il nostro percorso con cibi che sono sicuri soprattutto nella parte iniziale perché vengono coltivati o allevati in modo sicuro, e quindi il concetto di introdurre le farine serve solo ai paesi dell’oriente per invadere l’occidente e qualcuno ci guadagnerà», conclude Calabrese.

 

 

 

Farina di grillo: cos'è, quanto

costa e se fa bene all'organismo.

Gazzetta.it – Redazione – (26 gennaio 2023) – ci dice:

 

A deciderlo è stata l’Ue, secondo la quale la commercializzazione degli insetti come alimenti risponde all’esigenza di rendere più sostenibile il sistema alimentare.

Prima le larve gialle, poi le locuste e più recentemente i grilli: in più, da domani, 26 gennaio, anche le larve della farina potranno essere commercializzate come nuovo alimento.

A deciderlo è stata proprio l’Ue, secondo la quale - come da regolamento sui “novel food”, entrato in vigore a gennaio 2018 - la commercializzazione degli insetti come alimenti risponde all’esigenza di trovare fonti di proteine alternative per rendere più sostenibile il sistema alimentare.

Gli insetti, infatti, sono ricchi di proteine e nutrienti, e sono responsabili di meno dell’1% dell’impronta di carbonio totale connessa all’allevamento.

Questo li rende quindi un’alternativa sostenibile alla carne e altri alimenti della dieta tradizionale.

COS'È LA FARINA DI GRILLO.

 La farina di grillo è una particolare polvere ottenuta dalla macinazione di grilli allevati naturalmente ed essiccati.

Si tratta di un prodotto ad alto contenuto proteico, pari circa a 3 volte quello della carne, che è al 100% naturale.

LA FARINA DI GRILLO FA MALE?

 Rispetto ad altre fonti animali proteiche, la farina di grillo contiene un'importante quantità di fibra, che la rende particolarmente salutare per l’organismo umano.

Questa risulta ideale per la creazione di farinacei e prodotti di panificazione come biscotti, pane e crackers.

Inoltre, è particolarmente ricca di calcio, ferro e vitamina B12:

tutti elementi che non sempre vengono correttamente assunti con la normale dieta mediterranea.

Accanto a tutto questo, promuove l'accrescimento osseo e aiuta a prevenire l'anemia sideropenica e megaloblastica.

FARINA DI GRILLO IN VENDITA: PREZZI E PRODOTTI IN CUI PUÒ ESSERE CONTENUTA.

 L’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha spiegato anche quali sono i prodotti nei quali potrà essere contenuta la farina di grillo.

 L’elenco è lungo, ma di base parliamo di pane e panini multi-cereali;

nei cracker e nei grissini; nelle pre-miscele secche per prodotti da forno e così via.

Le regole Ue prevedono che quando questi prodotti compaiono sugli scaffali dei supermercati, i nuovi ingredienti sono esplicitamente elencati sulle etichette.

Riconoscere la farina di grillo, poi, sarà abbastanza facile, anche e soprattutto grazie al suo prezzo:

 oggi la farina di grillo costa circa 15 euro per 200 grammi di prodotto, come è facilmente verificabili sui siti specializzati.

DUBBI E TITUBANZE. 

Un discorso analogo è poi quello che riguarda le larve della farina.

Gli usi, infatti, potranno essere gli stessi e allo stesso modo sono sorti diversi dubbi in merito all’utilizzo stesso.

Come riporta il Corriere.it, In molti Paesi europei tra cui l’Italia, infatti, continua a esserci diffidenza da parte dei consumatori per questi nuovi alimenti.

 In particolare, come conferma un’indagine Coldiretti, ben il 54% dei consumatori italiani si è detto contrario alla scelta dell’Ue.

 Allo stesso tempo, molti esponenti del governo Meloni hanno criticato la decisione, parlando di un “attacco alla dieta mediterranea”.

Un mantra che si ripete dai primi giorni della scorsa campagna elettorale, che ha visto la coalizione di centrodestra esporsi anche contro le carni sintetiche.

 In merito alle farine, però, Coldiretti ricorda anche che il consumo di alcuni insetti può creare reazioni allergiche, tant’è che l’Ue è già intervenuta affermando che l’assunzione di queste farine potrebbe causare reazioni soprattutto nei soggetti già allergici a crostacei, acari della polvere e, in alcuni casi, ai molluschi.

Farina di grillo prezzo e prodotti.

IL PARERE DI FILIERA ITALIA. 

Altri dubbi arrivano poi da “Filiera Italia”, una delle realtà associative della filiera agroalimentare.

“Nessuno vuole vietare un bel piatto di insetti a chi lo desidera - ha detto Luigi Scardamaglia, consigliere delegato -, ma non si racconti la barzelletta della sostenibilità”.

Secondo Scardamaglia, infatti, non è l’utilizzo della farina di insetti che può aiutare il pianeta, soprattutto “in un momento in cui la nostra produzione agroalimentare rischia di essere smantellata in nome di una sostenibilità ideologica che vorrebbe trasformare i nostri terreni agricoli in giardini improduttivi”.

Eppure, è bene precisarlo, Bruxelles ha più volte dichiarato di vedere gli insetti e le proteine alternative come una risposta all’aumento del costo delle proteine animali, e soprattutto del loro impatto ambientale.

Una scelta che va in una direzione precisa, ma che non vuole risultare una impostazione ai consumi degli europei.

L’allevamento di insetti, infatti, potrebbe contribuire anche a ridurre le emissioni di gas serra e lo spreco alimentare.

 

 

 

No, l’Europa non ci costringerà

a mangiare vermi e grilli.

Today.it – Fabio Salamida – (26-1-2023) – ci dice:

L’Unione Europea ha dato il via libera alla vendita di farina di Acheta domesticus, comunemente conosciuto come “grillo domestico”, e al regolamento che autorizza la commercializzazione delle larve di Alphitobius diaperinus, per gli amici “verme della farina minore”.

 In realtà non si tratta di una decisione maturata negli ultimi mesi, ma una normale conseguenza dell’entrata in vigore del regolamento sui cosiddetti "novel food”, che cataloga gli insetti e i loro derivati sia come nuovi alimenti che come prodotti tradizionali.

La notizia è stata un toccasana per la propaganda dei partiti al Governo, ultimamente un po’ a corto di argomenti e di nemici.

 “Ci opporremo, con ogni mezzo e in ogni sede, a questa follia che arricchirebbe qualche multinazionale e impoverirebbe la nostra agricoltura e la nostra cultura” tuona Matteo Salvini sulle sue pagine social:

ma persino in quei luoghi virtuali dove ogni post è studiato per alimentare divisioni, c’è chi si chiede perché vietare la vendita di un prodotto quando basterebbe semplicemente non acquistarlo e soprattutto perché il Governo dovrebbe perdere tempo dichiarare guerra alla farina di grillo e alle larve di vermi invece di occuparsi di questioni più serie.

La risposta è molto semplice: si parla di cibo per distrarre da questioni più serie.

L'attacco alla "cucina tradizionale".

Ognuno di noi potrà continuare a mangiare ciò che vuole e la storia che i "novel food” danneggerebbero la cucina mediterranea è un po’ come quella dei diritti delle famiglie arcobaleno che danneggerebbero la cosiddetta “famiglia tradizionale”:

collegamenti artefatti per indottrinare un certo elettorato attraverso una presunta divisione tra “buoni” e “cattivi”, “invasori” e “invasi”.

 In verità, se c’è qualcosa di davvero dannoso, è proprio l’utilizzo di cibi e bevande come argomento di propaganda politica e lo stesso Salvini è il politico che più “condisce” il discorso pubblico con alimenti di vario tipo, dal parmigiano stagionato 36 mesi al “sugo pronto” comprato al supermercato;

 prodotti spesso gustosi ma non sempre salutari, dati in pasto a milioni di follower su Facebook, Instagram, Twitter e TikTok al grido di “mangiate italiano”:

ma un politico - food blogger fa davvero il bene del Paese?

Cosa c'è da sapere sul 'novel food', grilli e insetti.

“Nonostante l’Italia sia annoverata tra i luoghi in cui la tradizione culinaria e le materie prime di qualità dovrebbero garantire uno stile alimentare sano – spiega Santa Mundi, nutrizionista e docente – i dati sull’obesità e il sovrappeso del 2021, raccolti dall’ “Italian Barometer Obesity Report”, dicono che nel Belpaese il 46% degli adulti e il 26,3% dei bambini/adolescenti è obeso o in sovrappeso.

Questi risultati ci suggeriscono due cose:

 o non siamo più uno dei luoghi in cui si mangia meglio al mondo, oppure il consumatore ha difficoltà ad orientarsi nelle scelte a causa di un sistema comunicativo che non fornisce corrette informazioni”.

Tornando agli insetti, quello che dovrebbe fare una politica seria (invece di fomentare pezzi di popolo con frasi a effetto tipo “i grilli se li mangino i burocrati di Bruxelles, noi vogliamo la parmigiana di melanzane”) sarebbe chiedere all’Europa maggiori delucidazioni su alcune caratteristiche dei "novel food”, a tutela dei consumatori:

 “Se dovessimo fare un’analisi di testa e non di pancia della questione – continua Santa Mundi – dovremmo basarci prima di tutto sui dati.

Le analisi bromo metriche della farina di insetti dicono che questa non contiene molecole completamente sconosciute al nostro organismo:

la chitina, ad esempio, incriminata come molecola ‘molesta’ per l’organismo umano, è presente nei funghi o nei crostacei che, seppur in quantità limitata, vengono mangiati da sempre.

Certo, c’è da chiedersi se un aumento della frequenza di consumo di queste molecole determinato dall’inserimento di farina di insetti in alimenti di uso quotidiano come biscotti, pasta e pane, possa determinare degli effetti sull’organismo:

in passato sono stati fatti degli studi tesi a valutare gli effetti dell’aumento del consumo di” Tenebrio molitor” da parte di polli di allevamento (che già lo consumavano in piccole quantità e che, peraltro, sono animali abituati a consumare insetti) scomodando perfino la genomica.

C’è da chiedersi perché tanta prudenza non venga usata anche quando si tratta dell’uomo – prosegue –.

 Oltretutto, queste farine potrebbero essere particolarmente allergeniche (come i crostacei, per intenderci) e sarà importante che la loro presenza sia segnalata in modo ben visibile sulle etichette in maniera tale che il consumatore possa individuarle negli alimenti che compra tanto chiaramente quanto chiaramente riuscirebbe a individuare un gamberetto nel piatto.

 I motivi per essere prudenti, quindi, ci sarebbero:

ma non hanno molto a che vedere con il presunto oltraggio alla dieta mediterranea, già quotidianamente profanata (col beneplacito di tutti) da spot pubblicitari di merendine per bambini e alimenti per adulti ultra processati; tantomeno con la salvaguardia del “Made in Italy”, già tanto messo alla prova da materie prime di derivazione estera e politiche agricole tutte italiane che infestano le nostre tavole, silentemente e da decenni”.

Non è il "cibo dei poveri".

Altro particolare non da poco che gli esponenti del Governo e i loro megafoni forse ignorano, è che tra i produttori di alimenti lavorati con derivati di insetti vi sono anche aziende italiane, aziende che ormai da mesi subiscono un danno di immagine a causa di una martellante propaganda ostile.

Oltre al ministro delle Infrastrutture, infatti, ad attaccare i "novel food” ci si è messo anche il Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida, che di quelle aziende dovrebbe essere il punto di riferimento.

Lollobrigida, nel suo j’accuse, ha messo in uno stesso calderone le farine di insetti alla carne sintetica, facendo una gran confusione.

Una bufala anche la storia del “cibo per poveri” fatto con vermi e insetti, che circola da qualche giorno sulle chat di complottisti, terrapiattisti e “no vax”, che ovviamente partecipano attivamente al dibattito:

chi sostiene questa affascinante tesi deve essere rimasto molto scioccato dalla visione del film “Snow piercer” di Bong Joon-ho in cui, a seguito di una glaciazione, gli ultimi sopravvissuti rimasti sul pianeta Terra sono costretti a vivere su un treno e ai più poveri (che abitano nelle ultime carrozze) vengono date delle barrette proteiche prodotte con gli scarafaggi.

Nel mondo reale, che non è un film, i "novel food” costeranno molto più dei tradizionali, entreranno nel circuito della “moda bio” e saranno consumati da una nicchia.

Un insetto è pronto da mangiare.

La guerra all'etichetta al vino.

E nelle stesse ore in cui i nostri eroici “patrioti” dichiarano guerra ai grilli invasori che vogliono entrare in quelle bocche in cui le bistecche fiorentine non vogliono più entrare, sul Fronte Alpino infuria la battaglia dell’etichetta, altra iniziativa dell’Unione Europea che secondo il ragionamento di cui sopra danneggerebbe i prodotti italiani:

la polemica risulta ancor più surreale di quella sulle farine di insetti, perché al momento non esiste nessuna direttiva che impone ai Paesi membri l’etichettatura degli alcolici con le avvertenze sanitarie;

la Commissione ha semplicemente autorizzato l’Irlanda ad apporre le etichette in attesa di una regola condivisa che sarà discussa nei prossimi mesi, una regola che riguarderà le etichettature delle bevande alcoliche prodotte da tutti i Paesi membri, non solo dall’Italia.

Apriti cielo: per difendere l’italico nettare degli dei, i cavalieri della tavola imbandita si preparano a un’epica battaglia contro i barbari, arrivando quasi a negare il fatto che gli alcolici facciano male, che siano causa di tumori e patologie croniche, nonché indirettamente responsabili di migliaia di morti sulle strade.

A gettare benzina sul fuoco, una dichiarazione un po’ forte dell’immunologa Antonella Viola, che ha scatenato le ire di molti affermando che “chi beve ha il cervello più piccolo”.

 In realtà l’affermazione non è affatto campata in aria: come emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica “Jamal Psychiatry”, il consumo moderato e regolare di alcolici arreca danni strutturali e funzionali al cervello, creando lesioni che possono progredire per settimane.

 E poi ci sono i tumori legati all’uso e all’abuso:

 come spiega l’Oms, non esistono quantità sicure di consumo di alcolici:

il “rischio zero” per il cancro è legato all’astensione dalle bevande alcoliche.

Monumentale, anche in questo caso, il contributo del ministro Lollobrigida, che per lodare il vino ha pubblicato una card con una foto e una frase di Ernst Hemingway, grande e indiscusso scrittore, ma anche noto alcolista malato di cirrosi epatica morto suicida.

Per la cronaca, la frase recita: “il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel mondo”.

Qualche malpensante ha ipotizzato che la card sia stata concepita prendendo per buono il primo risultato di una ricerca “frasi celebri sul vino” fatta su Google.

Verosimile.

Infine, a ulteriore conferma di quanto possa essere fuorviante la propaganda politica quando si parla di cibi e bevande, non si può non menzionare il quotidiano Libero, che in prima pagina titola:

“La folle dieta dell’Europa. No vino, sì vermi. Buon appetito”;

tuttavia, malgrado l’impegno della redazione del giornale delle destre, il Guinness dei primati per il messaggio più dannoso mai diffuso è ancora oggi assegnato per distacco al solito Matteo Salvini, che poco dopo la mezzanotte del 13 luglio del 2013, pubblicò questo tweet:

 "Gran serata coi Fratelli Leghisti. Ginepro, assenzio, limoncello e ora... sereni al volante con Vasco! Liberi liberi siamo Noi!”.

Chissà quel giorno cosa avrà pensato l’immunologa Antonella Viola.

 

 

 

Estate 2022: vivere in uno

stato di crisi multiple.

 Aea.europa.eu - Hans Bruyninckx – (6-12-2022) – ci dice:

 

Sembra che stiamo vivendo una crisi dopo l’altra: una pandemia, ondate di calore estremo e siccità dovute ai cambiamenti climatici, inflazione, guerra e una crisi energetica.

Questo inverno sarà probabilmente caratterizzato da una continua incertezza e da un’elevata volatilità nei mercati globali come l’energia e i prodotti alimentari, che interesseranno alcuni paesi e gruppi più di altri.

Affrontare queste crisi, soprattutto a lungo termine, richiede un impegno politico solido e investimenti nella sostenibilità per rafforzare la resilienza delle nostre società.

La pandemia di COVID-19 ha causato oltre mezzo milione di decessi nell’UE dal suo inizio e non è terminata.

Grazie a vasti programmi di vaccinazione e a una crescente immunità di gregge, la pandemia ha rallentato e la salute delle persone è tutelata meglio, tuttavia nell’ultima settimana sono stati registrati più di 1 000 000 di nuovi casi.

 Con l’arrivo dell’inverno e della stagione influenzale, potremmo affrontare altre varianti e un aumento dei casi.

La pandemia è stata uno dei fattori scatenanti dell’incertezza economica e della vulnerabilità, che mettono a dura prova le finanze pubbliche e portano a ridefinire le priorità delle politiche.

La situazione è stata ulteriormente aggravata dalla guerra in Ucraina, che ha generato enormi sofferenze umane sul campo ma ha anche acuito le difficoltà economiche.

 Alla fine di agosto, il tasso annuo di inflazione nella zona euro era stimato al 9,1 %.

L’aumento dei prezzi dell’energia, una componente del calcolo dell’inflazione complessiva, è stato superiore al 38 %.

 Si prevede che questa elevata inflazione sarà accompagnata da una stagnazione nell’economia, che era in ripresa dopo la pandemia.

 I redditi non sono rimasti al passo con l’inflazione, che continuerà a erodere il potere d’acquisto in Europa e nel mondo.

Estate 2022: calore estremo, siccità e incendi boschivi.

Nel corso dell’estate la crisi climatica è stata al centro dell’attenzione dei media.

La scienza invia da decenni segnali forti circa il fatto che il nostro clima sta cambiando e che ciò avrà un impatto su tutti gli aspetti della nostra vita.

Per milioni di europei i cambiamenti climatici non sono più uno scenario ipotetico di potenziali impatti in futuro; quest’estate sono diventati una realtà quotidiana.

Vaste regioni d’Europa hanno subito intense ondate di calore, che in molte zone hanno superato i 40 ºC.

Le temperature medie di quest’estate in Europa sono state le più alte mai registrate.

 Il calore estremo ha anche determinato un aumento dei rischi di siccità.

L’agosto 2022 è stato generalmente molto più secco della media in gran parte dell’Europa occidentale e in alcune parti dell’Europa orientale.

In effetti, in molte parti d’Europa sono state registrate precipitazioni al di sotto della media per diversi anni consecutivi.

Tuttavia, in gran parte della Scandinavia e in alcune parti dell’Europa meridionale e sudorientale, l’estate è stata più piovosa del solito.

Ciò nonostante, secondo una recente valutazione del “Centro comune di ricerca della Commissione europea”, questa incertezza e volatilità climatica non hanno inciso sul fatto che alla fine di agosto del 2022 quasi due terzi dell’Europa siano stati minacciati dalla siccità, probabilmente «la peggiore da almeno 500 anni».

Il calore estremo e la ridotta umidità del suolo aumentano il rischio di incendi boschivi.

Fino ad ora, quest’anno nell’UE sono bruciati in incendi boschivi 700 000 ettari, una cifra record.

Secondo il Sistema europeo d’informazione sugli incendi boschivi, la Spagna finora è la più colpita, con oltre 283 000 ettari bruciati (corrispondenti a una superficie leggermente superiore a quella del Lussemburgo), seguita da Romania (150 735 ettari), Portogallo (86 631 ettari), Francia (62 102 ettari) e Italia (42 835 ettari).

 

Questi effetti sul clima si inseriscono nel contesto di una più ampia crisi della biodiversità, causata dallo sfruttamento eccessivo, dal degrado degli ecosistemi, dall’inquinamento e sempre più esacerbata dai cambiamenti climatici.

Molti ecosistemi, dal suolo agli habitat marini, sono a rischio e numerose specie sono minacciate dall’estinzione.

Il degrado ambientale incide sulla nostra salute e sul nostro benessere, nonché sulla nostra capacità di far fronte ai cambiamenti climatici.

Queste crisi sono globali e interconnesse. 

Sono le conseguenze di sistemi di produzione e consumo non sostenibili in un’economia globalizzata e diretta dalle multinazionali bancarie.

Ad oggi, oltre 6,5 milioni di persone hanno perso la vita a causa della pandemia di COVID-19.

Quest’estate il subcontinente indiano è stato colpito da un’ondata di calore estremo.

 Un terzo del Pakistan è stato inondato.

Temperature globali estreme hanno provocato il rapido scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya e le conseguenti inondazioni hanno causato lo sfollamento di 32 milioni di pakistani, che hanno urgente bisogno di asilo, cibo e medicinali.

L’entità della devastazione osservata in Pakistan o la gravità del tifone nella Corea del Sud o gli incendi boschivi in corso e la siccità in California hanno superato le previsioni.

Gli effetti delle inondazioni in Pakistan si faranno sentire in tutto il mondo.

 Il Pakistan è un importante produttore e consumatore di riso, uno dei principali prodotti di base del mercato alimentare globale, già messo a dura prova dalla guerra in Ucraina.

 I prezzi dei prodotti alimentari e i mercati sono volatili e devono far fronte a potenziali perturbazioni nelle catene di approvvigionamento.

È probabile che la siccità in Europa influisca ulteriormente sui prezzi, aggravando la crisi del costo della vita.

Guerra in Ucraina e crisi energetica.

La guerra in Ucraina ha causato anche lo sfollamento di milioni di persone, perdite di vite umane, inquinamento ambientale e distruzione di infrastrutture fondamentali.

Si tratta di una crisi umanitaria che richiederà anni, se non decenni, per essere superata.

La guerra ha innescato anche una crisi economica ed energetica in Europa.

 In risposta all’aggressione russa, l’Unione europea ha imposto sanzioni economiche alla Russia, sottoponendo a controllo le importazioni di combustibili fossili dalla Russia.

Per molti Stati membri dell’UE la Russia è stata il principale fornitore di energia, ma la Commissione europea e gli Stati membri stanno ora cercando di ridurre tale dipendenza.

 All’inizio di settembre la Russia ha interrotto le forniture di gas del gasdotto Nord Stream 1, che prima della guerra forniva quasi il 40 % delle importazioni di gas naturale all’UE.

L’attuale crisi energetica in Europa è duplice:

 i prezzi dell’energia sono aumentati drasticamente e l’Europa deve far fronte a un approvvigionamento limitato nei prossimi mesi invernali.

Molti paesi europei hanno iniziato a mettere in atto misure urgenti per ridurre i consumi, garantire la sicurezza energetica e prevenire gli sprechi, nonché per limitare l’impatto dell’aumento delle bollette energetiche sulle famiglie.

Sostenibilità: l’unica via praticabile per il futuro.

Questo quadro di crisi multiple e simultanee, che non abbiamo mai vissuto prima, è complesso e impegnativo.

Come in tutte le crisi, alcuni paesi e comunità saranno colpiti più di altri.

Molte famiglie in Europa e in tutto il pianeta sono preoccupate per la loro capacità di far fronte alle esigenze di base, quali cibo e riscaldamento.

Siamo vulnerabili.

Anche i nostri sistemi naturali, la nostra salute e l’economia sono vulnerabili.

 La maggior parte delle crisi globali indica un’unica causa di fondo: l’uso non sostenibile delle risorse del nostro pianeta.

Tuttavia, l’UE e altri paesi hanno indicato un modo per affrontare questa causa di fondo attraverso azioni a favore del clima e dell’ambiente.

Con il Green Deal europeo, l’UE ha fissato obiettivi ambiziosi per affrontare le cause di queste crisi:

trasformare i nostri sistemi energetici, ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili, investire in fonti energetiche pulite e rinnovabili, ripristinare la natura e rafforzare la circolarità nella nostra economia, garantendo al contempo una transizione giusta in cui sosteniamo le persone più colpite.

La transizione necessaria non sarà facile: richiederà tempo e denaro.

Tuttavia, con queste molteplici crisi che hanno ripercussioni su di noi, che si tratti di carenze energetiche, eventi meteorologici estremi o aumento dell’inflazione, non abbiamo altra scelta se non quella di agire con urgenza.

E le nostre azioni, decisioni e politiche dovrebbero cercare di realizzare un futuro sostenibile.

 L’inerzia è sempre più irresponsabile, più costosa dell’azione ed eticamente inaccettabile.

Le vulnerabilità e gli impatti ambientali, economici e sociali del nostro attuale modello economico sono stati ben studiati e documentati.

Le analisi e i modelli scientifici ci hanno fornito, talvolta già da decenni, una chiara indicazione di dove ci stiamo dirigendo.

Quello a cui stiamo assistendo non è né inaspettato né eccezionale.

Siamo ora in un momento in cui non si tratta più di cercare di prevedere il futuro, ma di utilizzare tutte le conoscenze disponibili per plasmarlo in una direzione sostanzialmente sostenibile.

 (Hans Bruyninckx - Direttore esecutivo AEA)

Serve più impegno contro

il cambiamento climatico.

 

Lavoce.info- GIULIO MARIO CAPPELLETTI E MIRIAM SPALATRO – (30/04/2021) – ci dicono:

 

ENERGIA E AMBIENTE.

La pandemia ha rallentato molte attività umane che emettono CO2 in atmosfera.

L’economia mondiale ne ha sofferto pesantemente, ma l’ambiente ha respirato.

Ma per arginare gli effetti più gravi del cambiamento climatico serve ben altro.

 

Con la pandemia calo record delle emissioni.

 

Una ricerca di “Global Carbon Project” ci informa che nel 2020 le emissioni mondiali di anidride carbonica sono diminuite di ben 2,6 GT (-7 per cento rispetto al 2019).

Un calo mai osservato prima, ma abbastanza prevedibile considerata l’eccezionalità delle restrizioni imposte dalla pandemia.

 

I trasporti sono il settore che ha più contribuito al risultato, basti pensare che nell’aprile del 2020 – quando le aree del mondo responsabili del 90 per cento delle emissioni erano tutte sotto qualche forma di confinamento – il traffico aereo è sceso del 75 per cento, i trasporti via terra del 50 per cento.

 

A partire dalla rivoluzione industriale, le emissioni di CO2 sono sempre cresciute, generando sino a oggi secondo l’Ipcc (l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei cambiamenti climatici) un incremento di temperatura globale di 1°C.

 

Dagli anni Sessanta la crescita ha manifestato una netta impennata, a causa del massiccio uso di fonti fossili di energia.

 

Utilizzate soprattutto nei trasporti e per la produzione di energia elettrica, le fonti fossili sono responsabili del 65 per cento delle emissioni globali di CO2.

 

La seconda causa sono le emissioni di metano (CH4), un gas anch’esso a effetto

serra (GHG) ma del quale si parla meno.

La maggiore causa delle emissioni di metano di origine umana è l’allevamento, in particolare di bovini.

 

Perché non basta.

Per ridurre gli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici dovuti all’azione dell’uomo l’Accordo di Parigi, entrato in vigore nel 2016, impone di limitare l’incremento della temperatura globale al di sotto di 2°C – meglio ancora 1,5°C -, rispetto ai livelli preindustriali.

 

È il limite oltre il quale si ritiene che il cambiamento climatico possa scatenare effetti disastrosi e imprevedibili.

Sono eventi legati al superamento di punti critici (“tipping points”), come lo scioglimento del permafrost e dei ghiacci artici e antartici, il cui raggiungimento è secondo la scienza sempre più prossimo.

 

 L’”Emissions Gap Report 2020” dell’Unep quantifica tale sforzo in una riduzione di emissioni tra 1 e 2 GT all’anno, per più decenni.

Sino ad oggi le cose sono andate diversamente.

L’ultimo decennio 2010 – 2019 risulta essere il periodo di maggior crescita delle emissioni, con un incremento medio annuo dell’1,4 per cento.

 

 Nel 2019, l’anno prima della pandemia, la crescita è balzata addirittura al 2,6 per cento, a causa degli incendi che hanno devastato vaste aree verdi del globo.

 

Secondo il “Climate Action Tracker “continuando con le attuali politiche il mondo si dirige dritto verso un incremento della temperatura globale superiore anche a 3°C nel 2100, 1,5°C già nel 2035 e i temuti 2°C nel 2053.

 

L’enorme sacrificio compiuto dall’umanità nel 2020 inciderà poco sulla febbre del pianeta poiché la riduzione del 7 per cento delle emissioni corrisponderà a un calo di appena 0,01°C del riscaldamento globale nel 2050.

 

 Perché ciò che conta, più del singolo taglio puntuale alle emissioni, è la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera.

La forte preoccupazione sulla crescita di questo dato era stata espressa già nel 1975 dal geologo Wallace S. Broecker.

 

 Broecker aveva previsto un incremento della concentrazione di CO2 nel 2010 vicino a quello effettivamente registrato, anticipandone anche parte dei rischi.

 

Da allora, l’accumulo di anidride carbonica è cresciuto ogni anno, anche nel 2020 nonostante il taglio alle emissioni dovuto al Covid-19.

 

La concentrazione di CO2 del marzo 2021 è stata pari 417,64 ppm (parti per milione), maggiore rispetto a marzo di dieci anni fa (393,88 ppm), ma anche rispetto a marzo 2020 (414,74 ppm).

 

 Come in un secchio colmo per le emissioni accumulate dall’uomo nel tempo, il contributo virtuoso dei tagli indotti dalla pandemia appare insignificante rispetto all’entità delle riduzioni necessarie .

 

 

Le buone notizie.

 

Alcune buone notizie ci sono.

A differenza delle altre crisi economiche, in cui dopo lo shock i parametri ambientali sono tornati immediatamente alla normalità, ci si aspetta che si consolidino molte sane abitudini amplificate dalla pandemia – benefiche per il clima – .

 

Parliamo del maggior ricorso al trasporto attivo nelle città (a piedi o in bicicletta), a sistemi di comunicazione a distanza nelle imprese (meno viaggi di lavoro e più smart working), a forme di turismo regionale e allo shopping online.

 

 A queste si aggiungerà il potenziamento di fenomeni in forte crescita già prima della pandemia, come la diffusione delle auto elettriche, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile (risultato settore abbastanza resiliente durante il 2020 nonostante la crisi economica) e le soluzioni di efficienza energetica.

 

Ma ciò non basterà comunque a ridurre la febbre del pianeta perché, anche se le maggiori aree emettitrici del mondo quali Stati Uniti, Cina e Unione europea hanno dichiarato la loro ambizione di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050 (Usa e Europa) e 2060 (Cina), le loro società continuano a essere basate pesantemente su fonti fossili.

 

Fonti sostenute ancora da incentivi cospicui, valga per tutti l’esempio della mai arrestata crescita delle centrali a carbone in Cina.

 

 Occorre invece un cambio di rotta immediato, basato su azioni forti, molte da realizzare già entro la fine degli anni Venti.

 

L’Ipcc dichiara necessaria una riduzione del 45 per cento delle emissioni globali di CO2 entro il 2030 rispetto al 2010 per raggiungere l’obiettivo di 1,5° C, nonché profonde riduzioni delle emissioni diverse dalla CO2.

 

 L’Iea indica la necessità di duplicare la spesa per energia rinnovabile nei prossimi 10 anni, per raggiungere i principali obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) relativi all’energia.

 

 Per i 64 paesi più sviluppati e attenti al clima del mondo, che sono riusciti dal 2015 ad avviare un processo di decarbonizzazione riducendo le loro emissioni, gli obiettivi consistono nel “decuplicare” il loro impegno per rispettare l’Accordo di Parigi.

 

E se è vero che acquisire consapevolezza vuol dire avere già fatto metà percorso, la pandemia avrà fornito almeno una più chiara misura dell’enorme sforzo da compiere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il futuro delle aziende farmaceutiche

e è trasformarsi in società

di servizi per la salute.

 

Sanita24.ilsole24ore.com- Josef Nierling- (1° aprile 2020) – ci dice:

 

(Josef Nierling- amministratore delegato Porsche Consulting).

 

In un'economia che mostra un rallentamento generalizzato, il farmaceutico è uno dei pochi settori in costante crescita, con un ritmo superiore al 6% annuo.

 

Ha raggiunto un valore complessivo mondiale di quasi 1.000 miliardi di Euro, ed è dello stesso ordine di grandezza l'ammontare di investimenti previsti nel prossimo quinquennio.

 

Per l'economia italiana il farmaceutico è un asset strategico: delle oltre 200 aziende operanti sul territorio, il 40% è a capitale nazionale.

 

Nel 2017, con una produzione di 31,2 miliardi di euro, l'Italia ha raggiunto una posizione di primato all'interno dell'Unione Europea superando la Germania (30 miliardi di euro).

 

E, nel nostro Paese, si investe molto in ricerca e sviluppo: a fianco dei farmaci di sintesi chimica stanno crescendo significativamente i farmaci biologici, i quali costituiscono il 20% dei farmaci oggi in commercio ed il 50% di quelli in sviluppo.

 

Questi nuovi farmaci in molti casi rappresentano l'unica opzione terapeutica per patologie rilevanti e diffuse come talassemia, fibrosi cistica e alcune forme di tumore.

 

E sono tra le principali armi contro le malattie rare, come quelle di origine genetica.

La ricerca per i farmaci biotech è però molto costosa: una molecola di un farmaco tradizionale richiede 3-5 anni di sviluppo e costa da 1 a 5 milioni di euro.

 

Un farmaco biologico richiede in media 7-8 anni di ricerca e un costo tra i 100 e i 250 milioni di euro.

 Per percepirne la differenza, si prenda ad esempio l'Aspirina, costituita da 21 atomi, e l'antitumorale Herceptin, composto da 25.000 atomi.

 

I farmaci biotech si fondano sulla cultura di cellule e sulla purificazione delle proteine al posto delle classiche reazioni chimiche.

 

Richiedono quindi tecnologie produttive complesse, anche a causa dei rischi di contaminazione.

 

Ciò porta ad una maggiore pressione sui costi e a nuovi modelli di pricing e di contracting con i servizi sanitari nazionali.

 

Ma c'è un altro motivo meno immediato e potenzialmente più stravolgente per il quale le aziende farmaceutiche devono rivalutare i propri asset strategici ed i propri investimenti:

il riassetto del settore dovuto allo spostamento della competizione dalla ideazione e produzione di farmaci alla fornitura di servizi per la salute, in un ecosistema centrato sul paziente.

 

O, meglio ancora, centrato idealmente sulla persona sana, per evitare che essa diventi paziente di una cura.

 

Ci sono alcuni importanti trend che sostengono il cambiamento: l'invecchiamento della popolazione e il conseguente fabbisogno di tenere in salute in maniera economicamente sostenibile una fascia sempre più ampia di persone, lo sviluppo di tecnologie connesse che consentono l´autodiagnosi e il monitoraggio dei risultati delle terapie da remoto, o la diffusione di servizi di coaching digitale dedicati a specifici segmenti di popolazione a rischio di malattie croniche.

 

E si vedono i primi passi in questa direzione: la Pfizer, ad esempio, sebbene sia il più grande produttore mondiale di farmaci, da un lato sta sviluppando sofisticate applicazioni di “Artificial Intelligence” per migliorare la realizzazione di trials sui farmaci ma, dall'altra, ha recentemente investito nella start-up svedese “Amra”, una società “Medtech “che trasforma immagini di risonanza magnetica in precise analisi e biomarker della composizione del corpo a supporto di servizi di medicina preventiva.

 

La centralità del paziente per le case farmaceutiche acquista oggi un nuovo significato e le trasforma da produttori di molecole a società di servizi per la salute:

nei loro futuri modelli di “business Big Data”, “Internet of Things” ed “Intelligenza Artificiale” diventano asset strategici.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Pharma di domani,

tra nuovi valori,

competenze e professioni.

 

Lincmagazine.it - Gianluca Dotti – (10 giugno 2021) – ci dice:

 

 

Biotecnologie, comunicazione e una rete di relazioni: il punto di vista dei fondatori di “BioPharma Network” sul futuro occupazionale del comparto farmaceutico.

 

Pure il settore Pharma – forse persino più di molti altri – ha risentito dell’effetto accelerante della pandemia, con una serie di trasformazioni che parevano essere di lungo periodo diventate invece realtà nel giro di pochi mesi.

 

Non è retorica: i nuovi farmaci sono profondamente diversi da quelli tradizionali, il mestiere di chi lavora nelle aziende farmaceutiche è cambiato radicalmente, ed è mutata anche la percezione stessa che le persone hanno delle aziende del comparto.

 

Con la conseguenza che, dalla formazione fino alla pratica quotidiana e agli obiettivi perseguiti, il lavoro in ambito farmacologico sta assumendo un volto nuovo.

 

Per orientarci in questa inevitabile metamorfosi che guarda al futuro, per Linc ne abbiamo parlato con i tre fondatori di “BioPharma Network”, l’associazione dei manager del settore farmaceutico che aggrega professionisti di grande esperienza, spaziando dai temi scientifici delle biotecnologie a quelli gestionali delle grandi aziende, fino agli aspetti legati alla formazione e alla rete di relazioni esterne.

 

“Le professioni stavano già cambiando prima della pandemia, ma oggi c’è proprio un nuovo modo di approcciarsi al settore, sia come tipologia di servizi sia nel modo con cui ci si relaziona con gli stakeholder clinici, istituzionali e pazienti”, ha spiegato Luca Simonato, tesoriere e segretario di BioPharma Network oltre che Direttore Generale di Inrete, agenzia di Relazioni Istituzionali e Comunicazione.

 

D’altra parte, quando arrivano sul mercato grandi innovazioni, nuove opzioni terapeutiche e tecnologie come le terapie geniche o il digital health, i cambiamenti sono radicali.

 

Cambiando il contesto in cui le aziende operano, di conseguenza viene meno il classico schema delle divisioni aziendali”, ha continuato. “

Per questo, anche le competenze evolvono, ed è sempre più necessaria un aggiornamento costante e multidisciplinare”.

 

Insieme all’approccio generale da parte delle aziende, a essersi modificata è anche la percezione del settore della Salute:

 se negli ultimi anni ci si è dovuto confrontare con problemi di reputazione, oggi la sfida è far comprendere il valore che le aziende Life Science determinano per la società di oggi e di quella di domani.

 

“Dalla narrazione delle opzioni di cura, ora il modo di raccontarsi è cambiato ed è volto a sottolineare la centralità del paziente, ancora di più dopo una pandemia che ci ha spinto a ripensare i modelli e i sistemi organizzativi per la presa in carico dei pazienti stessi”, ha chiarito Simonato.

 

“Chi lavora nel Pharma deve quindi avere l’ambizione di sapersi concentrare non solo sui singoli progetti, ma avere una capacità di relazionarsi con associazioni di pazienti, istituzioni e altri stakeholder.

 

Ciò significa sviluppare competenze e abilità che vanno ben oltre la parte tecnica”.

 

Queste nuove competenze, peraltro, sono richieste a tutti i livelli e sulla struttura organizzativa.

 “Si sta notando molto il cambio di approccio, perché non si tratta solo di promozione, ma di trasferire il valore aggiunto di un’opzione terapeutica non solo sull’aspetto clinico per il medico e per il paziente, ma anche per la sostenibilità del sistema: la salute quindi diventa da costo a valore sociale”, ha concluso Simonato.

 

Tutto ciò si riflette poi direttamente nella struttura interna delle aziende.

 “Le aziende Pharma hanno sempre più strutture flat e presentano spesso organigrammi ibridi”, ha aggiunto il presidente di “BioPharma Network” Domenico Guajana.

 

“Da sempre una specificità del mondo farmacologico è l’essere guidato dalla soluzione farmaceutica che le aziende producono, ma fino a qualche anno fa le terapie erano il risultato di sintesi chimica e indirizzate a popolazioni ampie di pazienti come i diabetici, gli ipercolesterolemici e gli ipertesi, mentre oggi le nuove terapie non sono più di natura chimica ma biotecnologica, e rivolte a popolazioni ristrette in termini epidemiologici,con un elevato “unmeet medical need”, come nel caso di malattie rare, genetiche, sottotipi di patologie o malattie oncologiche e immunologiche a diversi stadi”.

 

Come anticipato, l’effetto è anche e soprattutto in termini comunicativi.

 Se prima la comunicazione era prevalentemente incentrata sull’aspetto clinico, oggi si orbita attorno al valore del farmaco, non tanto in termini di prezzo bensì di impatto economico sul sistema sociale, sanitario e sulla vita delle persone e della comunità.

“Questo cambio di prospettiva si riflette sulle competenze necessarie”, ha continuato Guajana.

 

“Prima servivano capacità hard e soft di un certo tipo, mentre oggi la parte tecnica è meno chimica e più biotecnologica, e sul fronte della comunicazione importa di meno il dato clinico e di più l’impatto del farmaco sulle persone”.

 

Insomma, si potrebbe dire che serve la capacità di comprendere un contesto complesso, di imparare facilmente e di gestire interlocutori con richieste diverse.

 

“Tra cambi generazionali e digitalizzazione, anche il ruolo del manager farmaceutico evolve velocemente: deve imparare nuovi approcci al lavoro che si generano da questo cambiamento, con la consapevolezza che aumenterà sempre di più il peso del contributo del singolo”, ha precisato.

 

Ma come impatta questo cambiamento sul fronte dell’occupazione e della formazione?

 

“Se già oggi tutte le aziende Pharma più importanti hanno il focus sulle biotecnologie, tra 5 o 10 anni ciò sarà ancora più evidente, tra ingegneria tissutale, farmaci biologici di nuova generazione, terapia genica, diagnostica genetica e nuove tecniche di screening”, ha raccontato il vicepresidente di BioPharma Network Michele Barletta.

 

Biotecnologi e Biologi, insomma, avranno la laurea di maggiore rilevanza.

 

“Oggi, è sempre di più nel prossimo futuro, l’informazione scientifica sarà sempre più complessa e centrata su prodotti e meccanismi biotecnologici di ultima generazione, di nuova scoperta per particolari manifestazioni cliniche e ad alto valore economico.

 

Sarà quindi necessario trasferire alla classe medica e ai diversi stakeholders nozioni e meccanismi biotecnologici e genetici e con un approccio e una competenza diversa dal passato.

 

Sicuramente se a farlo sarà un biotecnologo o un biologo, che ha studiato in profondità queste tematiche, si concorrerà maggiormente a far comprendere le caratteristiche e il valore clinico dei nuovi farmaci biotecnologici.”

 

Ma non c’è solo la parte tecnica.

Accanto alla competenza scientifica, infatti, nel mondo occupazionale Pharma sono sempre più necessarie competenze manageriali.

 

 “Il laureato in biotecnologie avrà opportunità professionali nei diversi dipartimenti manageriali dell’azienda: Marketing, Comunicazione, Market Access, Medical Affair, in ambito regolatorio e dell’informazione scientifica”, ha confermato Barletta.

Su questo tema la stessa “BioPharma Network” ha recentemente realizzato una survey tra gli associati dal titolo Pharma:

 

analisi sulla tipologia di laurea e professione, da cui emerge per esempio quali sono i curricula universitari più presenti nelle imprese, e quali dipartimenti aziendali hanno le maggiori quote di occupati, confermando di fatto come biotecnologi e biologi sono oggi la rappresentatività più alta del settore (34,1%), con impiego nei dipartimenti di Medica, Informazione scientifica, Marketing e Market Access, e con uniforme distribuzione tra ruoli dirigenziali, manageriali e specialistici.

 

“Una strategia che sarà interessante innescare per la formazione universitaria di domani è fondere le competenze, incorporare nei piani di studio, insieme alla fondamentale parte scientifica, anche discipline che per ora sono toccate marginalmente, come marketing, comunicazione, innovazione, economia e allenare le soft skill, in modo da permettere agli studenti di conoscere queste aree, di potersi orientare durante il percorso di studi e di approfondire ulteriormente la competenza manageriale attraverso percorsi post-laurea dedicati e specifici di settore e potenziare la formazione, anticipando l’ingresso in azienda, attraverso percorsi dedicati come stage e tirocini”, ha spiegato Barletta.

 

Nei corsi di laurea in biotecnologie o in biologia possiamo quindi aspettarci insegnamenti di marketing e management, da approfondire poi dopo la laurea.

 

“BioPharma Network” sta collaborando con alcune Università Italiane per formare e orientare gli studenti di Biotecnologie e Biologia verso il comparto farmaceutico con progettualità che avvicinano la formazione tradizionale alle competenze manageriali.

Tra i trend prospettati da “BioPharma Network”, e non solo, c’è l’ulteriore incremento di Biotecnologi e PhD, specializzati in aree Oncologiche, Genetiche e Immunologiche, nelle aziende del comparto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Che cosa hanno in comune

Pfizer, BlackRock, Facebook e le banche?

 

Econopoly.ilsole24ore.com - Francesco Mercadante – (02 Febbraio 2021) – ci dice:

 

Si ringrazia Michaela Odderoli, web analyst, per il contributo di ricerca.

 

Pfizer, entità inafferrabile da 214 miliardi di dollari, è la terza azienda farmaceutica al mondo.

 

Per descriverla, nella recente letteratura giornalistica, si sono sprecati appellativi e similitudini d’ogni genere e specie:

“(…) come un Titano” qualcuno scrive, rievocando le ancestrali forze cosmogoniche;

 

altri la associa con Moloch, la temibile divinità cananea dell’Antico Testamento;

 

non manca poi chi ricorre alla spaventosa figura del Leviatano, anch’essa veterotestamentaria;

 si è giunti pure a Humbaba, il terrificante guardiano della foresta nell’epopea di Gilgameš.

 

 Insomma, s’è lasciata la fantasia a briglie sciolte e, come spesso accade, s’è ecceduto allontanandosi molto dai fatti.

Noi, però, già che ci siamo, vogliamo contribuire ad arricchire la lista e aggiungiamo l’immagine di Briareo:

non già per partecipare al gioco di differimento, bensì per offrire un medium di pertinenza:

Briareo, figlio di Urano e Gea, ha cinquanta teste e cento mani; non a caso, è altrimenti noto come centimani.

 

Ci proponiamo, infatti, di guidare il lettore all’interno della selva oscura di quegli intrecci finanziari che caratterizzano il mondo del farmaco e, oggi, in particolare dei vaccini anti-covid.

 

Intendiamoci, a scanso di equivoci: d’una parte della selva!

Questo è un articolo, non un dossier; e si comprende bene che, invece, occorrerebbe un congruo carteggio.

Per l’appunto, dicevamo di Briareo, metafora mitologica dalle cinquanta teste e dalle cento mani;

 la qual cosa non deve portarci di filato all’idea del complotto dei plutocrati occulti.

 

Sarebbe ridicolo e qualunquistico, oltre che impertinente.

Abbiamo il dovere, tuttavia, di osservare con rigore i dati e le circostanze in cui questi si sono formati.

 

Cominciamo col dire che, nell’azionariato della Pfizer compaiono alcuni insormontabili giganti degli investimenti come Vanguard, BlackRock e Wellington, che possiedono, rispettivamente, l’8,12%, il 7,46% e il 4,22% del colosso farmaceutico statunitense.

 

Anche se non hanno bisogno di presentazioni, per dovere di cronaca diciamo chi sono, di cosa si occupano e che valore hanno sul mercato.

 

BlackRock è la più potente e ricca società d’investimenti al mondo, è una statunitense purosangue, gestisce un patrimonio di più di 8.000 miliardi di dollari ed è stata definita “banca mondiale ombra”, “roccia invisibile” et similia.

 

Vanguard Group è un’altra società d’investimenti statunitense, ha asset per oltre 5.000 miliardi e, in quanto a negoziazione di fondi, è seconda sola a BlackRock.

 

 La più piccola del gruppo – “piccola”… si fa per dire – è la “Wellington Management Company”, altra società d’investimento statunitense, con una gestione di circa 1.500 miliardi di dollari.

 

Quest’ultima, tra le altre cose, è strettamente ‘imparentata’ proprio con la Vanguard.

 

Fin qui, null’altro se non un quadro di finanza internazionale ordinario.

 

Senza troppa fatica, però, si scopre che BlackRock e Vanguard sono pure i maggiori investitori istituzionali di Facebook:

BlackRock col 6,59%, Vanguard col 7,71%; in pratica, si tratta dei primi due.

 

E la Wellington? Non sta di certo a guardare, giacché, a propria volta, è dentro la BlackRock col 3,36%.

 

La metafora delle cinquanta teste e delle cento mani comincia a farsi efficace. Vanguard e Wellington, inoltre, sono presenti nell’azionariato della Pfizer anche attraverso i fondi comuni:

 

Vanguard-Wellington Fund 0,96%, Vanguard Specialized-Health Care Fund 1,31%, Vanguard 500 Index Fund 2,05%, Vanguard Total Stock Market Index Fund 2,80%.

 

Se, da una parte, non possiamo – né intendiamo – giungere a conclusioni strampalate circa le forme di controllo della salute globale, dall’altra, non possiamo di certo fare a meno d’interrogarci sul valore che assumono alcuni dati, in specie quelli di un social network ormai noto per aver venduto a Spotify, Netflix, Amazon e Microsoft gli accessi degli utenti.

 

Alla luce dell’accertato legame finanziario tra il settore farmaceutico, quello finanziario e quello dei social network, sorgono per lo meno dei dubbi in materia di vigilanza.

 

Chi può controllarne l’operato?

 

Qual è – se mai esiste – il criterio con cui definire questo operato?

 Forse, è impossibile ricavarne una definizione vera e propria.

 

Aggiungiamo, adesso, che tra i grandi azionisti di Pfizer troviamo anche le grandi banche:

Bank of America, Deutsche Bank, Morgan Stanley, JP Morgan et al.

 

 Se passiamo ad AstraZeneca, il leitmotiv non cambia.

BlackRock ne possiede il 7,7%, Wellington il 5,9% e Vanguard il 3,5%, unitamente al solito comparto bancario.

 

E non si può di certo tacere che BlackRock, Vanguard e Wellington hanno solide e cospicue partecipazioni azionarie nella maggior parte delle multinazionali che producono armi, tra le quali possiamo citare Lockheed Martin Corporation, Raytheon RTN, Bae Systems, Northrop Grumman Corporation & Orbital ATK e General Dinamics.

 

Nell’ultima escursione di questa mini-verifica, è doveroso ricordare che l’inarrivabile BlackRock è la maggiore azionista di UniCredit col 5,2% e possiede il 5,7% di MPS, il 5% di Intesa e il 4,8% di Telecom Italia.

Ma non mancano poi le partecipazioni in Atlantia, Azimut, Prysmian, Ubi et cetera. Il ‘caso volle che’, all’epoca degli stress test EBA del 2016 e del 2018, proprio BlackRock e Vanguard fossero le società incaricate della consulenza in materia di vigilanza, cioè le società che avevano – e hanno tuttora – partecipazioni nelle banche da controllare.

 

 E non finisce qui. Se consideriamo che Wellington è titolare del 6,1% delle azioni di CERVED Group, la società italiana che valuta il merito creditizio e la classe di rischio delle nostre imprese, mentre Vanguard ha un’esposizione a Piazza Affari per più di 9 miliardi, allora s’impone come preminente il dovere di trovare una ‘definizione’ per l’operato delle lobby, delle loro estensioni e delle loro combinazioni.

 

La ‘definizione’, cui s’è fatto cenno in precedenza, non è affatto il capriccio di chi trovi diletto nell’uso del metodo scientifico;

 

non è il diversivo filosofico d’una politica inerme o il tentativo di riscatto d’una comunità religiosa.

 

È, invece, soprattutto, il presupposto di un ‘riconoscimento’ logico della questione, l’indispensabile premessa epistemologica all’individuazione delle differenze tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

 

 Non aspiriamo di certo a possedere chissà quale panacea, ma la creazione di un quadro legislativo adeguato deve passare dal riconoscimento, come già detto, concreto e lineare di un fenomeno. Ignorarne alcuni o anche uno di essi vuol dire farsi carico d’una gravissima colpa storica, lasciare che accada tutto e il contrario di tutto.

 

La superficialità con cui, molto di frequente, i governi fingono di non vedere e non sapere è allarmante, tant’è che, a un certo punto, la gente si scandalizza per frasi del genere:

 

“Il titolo della Pfizer ha guadagnato parecchi punti dopo l’annuncio dell’efficacia del vaccino”;

 

 frasi usate all’interno di articoli pieni di allusioni e insinuazioni e i cui autori credono di aver fatto chissà quale scoperta, laddove non hanno fatto altro che attestare che il pozzo è umido.

 

Pensiamo forse che i mercati non premino un’azienda farmaceutica che ha appena scoperto un vaccino anti-pandemia?

 

Purtroppo, non è facile, in un periodo di grande tensione politico-economica e sanitaria, mostrare buona capacità di discernimento, sebbene, nello stesso tempo, non si possano trascurare – ci si conceda l’espressione! – i requisiti di ‘onorabilità’.

 

Una decina d’anni fa, la Pfizer fu condannata per aver messo in circolazione in modo illegale dei farmaci;

 

 ne uscì quasi indenne pagando una multa di 2,3 miliardi di dollari.

 

 2,3 miliardi di dollari, per una società che ha un fatturato annuo di oltre 50 miliardi e un utile netto di più di 16 miliardi, non rappresentano una multa;

 

si tratta – né più né meno – d’un’imposta sui ricavi.

 

Qualcosa del genere è accaduto, per esempio, alle grandi banche che per anni hanno alterato i tassi d’interesse: hanno subito delle ‘multe’, che, naturalmente, a fronte dei profitti, rientrano sempre nel campo dell’imposizione fiscale ‘indiretta’.

 

L’espressione si presta alla metafora: è evidente; ma non c’è spazio per l’ironia di contorno.

 

 Di qui, non si può fare a meno di richiamare ancora una volta l’attenzione sul problema della ‘definizione’.

La relazione di causa ed effetto tra il dolo e la sanzione può essere ridotta unicamente a una stima economica, che peraltro non è mai direttamente proporzionale al danno causato?

 

In una società evoluta può accettarsi una tale distanza tra il giudizio che si emette sull’uomo comune, quello che non ha alcun potere contrattuale, e quello che si emette sulle sovrastrutture economiche del pianeta, non altrimenti che se esistesse una legge extra ordinem?

 

Forse, sarebbe il momento opportuno di tentare la via della risposta.

 

Nel 2000, il Washington Post, nel condurre un’inchiesta sulla Pfizer, portò all’attenzione del grande pubblico proprio il controverso caso d’una grave epidemia in cui l’azienda farmaceutica aveva interpretato un ruolo – a dir poco – spettrale e inquietante.

 

In particolare, i fatti risalgono al 1996, allorché alcuni bambini della città nigeriana di Kano, colpiti da meningiti da meningococco, furono sottoposti a una sperimentazione senza alcun tipo di autorizzazione.

 

 In quell’occasione, la sperimentazione passò dalla somministrazione della trovafloxacina, un farmaco sperimentale, per l’appunto, e che, secondo le accuse causò, in alcuni casi, la morte dei malati e, in altri, danni irreparabili.

 

L’ennesima grossolana – e conclusiva – riflessione che sentiamo l’obbligo di fare non rinvia al senso dello scandalo, giacché, molto probabilmente, la frode non nasce con l’uomo, ma prima dell’uomo.

 

 Lo stesso può dirsi per le trame finanziarie.

 

 Essa afferisce, invece, alla già rilevata e netta separazione tra lo statuto morale del cittadino e quello dei potentati economici.

 

Il problema – si badi bene! – esiste ed è serio: se è vero e inconfutabile che certi imperi non si possono condannare e far crollare perché il loro crollo genererebbe una tale quantità di sciagure economiche che la società civile si riprenderebbe a fatica – Lehman Brothers docet – è altrettanto vero che un cittadino comune, per errori molto meno determinanti, rischia la disfatta social-giudiziaria.

 

Eppure, oggi, il Covid si è abbattuto ‘principalmente’ sui cittadini comuni.

(francescomercadante.it)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il settore farmaceutico:

opportunità per mantenere

un ruolo da leader in Europa.

Sace.it- Redazione – (10-10-2022) – ci dice:

 

Pharma leader.

La crisi generata dalla pandemia Covid-19 ha posto il settore farmaceutico, responsabile dello sviluppo, produzione e commercializzazione di farmaci, al centro dell’attenzione internazionale.

 

Il farmaceutico si configura come uno dei settori più competitivi a livello globale che, anche nel contesto della pandemia, ha continuato a registrare una dinamica espansiva e prospettive positive di crescita.

 

Il comparto è stato infatti favorito dall’emergenza sanitaria, che ne ha prodotto una crescita dei ricavi seguita da un miglioramento degli indici di redditività e da conti più solidi.

 

 L’ITALIA LEADER EUROPEO DI SETTORE.

 

La farmaceutica, è uno dei settori in cui il nostro Paese gode di una maggiore competitività e solidità a livello internazionale.

 

In un contesto globale in cui l’Europa e l’Asia rappresentano oltre il 60% del valore aggiunto del settore farmaceutico, l’Italia può vantare una posizione di leadership a livello europeo, grazie anche ad una tecnologia di settore molto avanzata e a un buon livello di innovazione.

 

L’evoluzione della farmaceutica è stata caratterizzata da importanti investimenti delle aziende e da un incremento dell’export che ha registrato negli ultimi anni, rispetto alla media europea, una crescita superiore in valore, nonché un aumento stesso del valore medio superiore rispetto agli stessi partner europei.

 

La farmaceutica inoltre, se confrontata con altre aree industriali, presenta degli indici di competitività più alti rispetto ad elementi quali ad esempio gli investimenti per addetto, nonché una marcata propensione all’export (+246%).

 

In accordo con i dati del commercio estero, il settore ha contribuito in maniera determinante alla ripresa delle esportazioni italiane di beni sin dal 2010.

Tra il 2008 e il 2017 il settore si è classificato come l’unico ad aver incrementato le proprie quote di mercato a livello internazionale (+0,6%) e nel 2018 ha raggiunto un importante risultato, contando per il 5,6% del totale delle esportazioni nazionali.

 

Nell’ultimo biennio, la crescita dell’export, ha portato un ulteriore aumento della produzione e si prevede dinamica espansiva delle esportazioni per tutto il 2020 e 2021.

 

I principali interscambi commerciali sono mantenuti dall’Italia con i paesi membri dell’Unione Europea, che costituiscono circa il 57% del nostro export e il 70% dell’import, mentre, gli Stati Uniti (18% dell’export e 14% dell’import) rappresentano il principale partner commerciale extra-UE.

 

La forte internazionalizzazione dell’industria farmaceutica italiana è testimoniata dall’elevata presenza di imprese a capitale estero:

nello specifico, il nostro è il primo tra i maggiori paesi europei per la presenza di imprese farmaceutiche a capitale statunitense e tedesco, che rimandano agli Stati Uniti e alla Germania come i principali mercati di destinazione delle vendite estere di settore.

 

Da tenere in considerazione anche la posizione del Belgio, che si distingue per essere un importante centro logistico europeo per la distribuzione di prodotti farmaceutici nel resto del mondo.

 

In particolare, gli Stati Uniti sono il maggiore mercato farmaceutico del mondo, caratterizzato da una spesa pro capite elevata che riflette sia gli alti livelli di consumo di medicinali sia una spiccata preferenza per prodotti innovativi di marca.

 

Le nostre vendite verso Washington hanno registrato, a eccezione del 2018, una crescita a doppia cifra negli ultimi anni, con un dato che è rimasto in positivo anche nei primi otto mesi del 2020 (+5,9% rispetto a gennaio-agosto 2019).

 

Si segnala che circa la metà di questo export è da ascriversi a flussi generati da imprese italiane affiliate a multinazionali americane, che dominano il mercato farmaceutico globale, come evidenziato nel nostro ultimo Rapporto Export "Open again".

 

 NUOVE OPPORTUNITÀ DI MERCATO.

 

Il 2020 ha visto l’entrata in vigore di un accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Vietnam, che comporterà la soppressione del 65% dei dazi sulle esportazioni dell'UE verso il Paese asiatico al momento dell'entrata in vigore, mentre il resto sarà eliminato gradualmente nell'arco del prossimo decennio.

 

 I dazi sulle importazioni dal Vietnam saranno aboliti progressivamente in un periodo di sette anni.

 

 L'accordo consentirà di eliminare le tariffe su una serie di prodotti di esportazione chiave per l'Unione, tra cui appunto quelli farmaceutici.

 

Si tratta di un’intesa che offre importanti opportunità per le aziende italiane interessate agli scambi commerciali con il Vietnam, dove è in corso una progressiva liberalizzazione, e che rappresenta una delle economie più importanti della regione e da dove è possibile instaurare rapporti commerciali con altri paesi dell’area.

 

Il Vietnam, inoltre, garantisce un uso corretto dell’indicatore di provenienza di un prodotto, offrendo un notevole vantaggio per il marchio “Made in Italy”, che potrà essere protetto dalla competizione a livello locale e internazionale da parte di marchi fraudolenti.

 

PHARMA 4.0 – IL SETTORE FARMACEUTICO NELL’ERA DIGITALE.

 

La rivoluzione digitale ha prodotto dei cambiamenti che coinvolgono tutti i settori industriali, compreso quello farmaceutico, sul quale questi esercitano un impatto tale da poterne aumentare la performance e il potenziale di sviluppo.

 

 La digitalizzazione influenza in maniera sempre più marcata tutte le fasi dell’attività dei gruppi farmaceutici: nella ricerca sta implementando la capacità di raccogliere, incrociare e processare dati, così come si assiste ad un aumento stesso della produzione sia per quanto riguarda il “farmafacturing” che la Pharma logistic. 

 

Molte imprese stanno attuando investimenti in digitalizzazione per innovare modelli e riorganizzazione aziendale, in una fase di trasformazione che richiede nuove competenze e figure professionali e in grado di generare nuove opportunità.

 

La farmaceutica rappresenta il settore per il quale la digitalizzazione genera il più alto rapporto tra crescita della produttività e sostituzione del lavoro e circa la metà delle imprese operanti nel settore, ritengono che l’adozione delle nuove tecnologie le porterà ad aumentare l’occupazione.

 

QUALI PROSPETTIVE PER IL FUTURO.

 

Gli effetti del Covid-19, hanno messo in luce numerose e diverse criticità riguardo il funzionamento del settore farmaceutico internazionale, come la carenza di farmaci e dispositivi medici e l’interruzione di catene di approvvigionamento.

 

 Ciò ha portato alla consapevolezza della necessità di una riorganizzazione del sistema stesso, affinché una maggiore resilienza e una capacità di agire in maniera più tempestiva e idonea in caso di emergenza possano essere garantite in futuro.

 

A questo proposito, l’Unione Europea ha lanciato una Nuova Strategia con l’obiettivo di contribuire a garantire l'approvvigionamento da parte dell'Europa di farmaci sicuri e a prezzi accessibili e di sostenere la portata innovatrice dell'industria farmaceutica europea.

 

Nello specifico, la Strategia mira a sostenere quest’ultima nella ricerca e nelle nuove tecnologie, nonché ad affrontare fallimenti di mercato, tenendo conto anche delle debolezze a cui il sistema è stato esposto a causa della pandemica Covid-19.

 

TREASURE CHEST.

La farmaceutica è uno dei settori in cui l’Italia gode di una maggiore competitività e solidità a livello internazionale e di una posizione di leadership a livello europeo e inoltre è il settore per il quale la digitalizzazione genera il più alto rapporto tra crescita della produttività e sostituzione del lavoro e si ritiene che l’adozione delle nuove tecnologie porterà ad aumento dell’occupazione.

 

L’incremento dell’export del settore ha registrato negli ultimi anni, rispetto alla media europea, una crescita superiore in valore, nonché un aumento stesso del valore medio superiore rispetto agli stessi partner europei.

 

 Si prevede dinamica espansiva delle esportazioni per tutto il 2020 e 2021.

 

Tra le destinazioni di opportunità, gli Stati Uniti e la Germania che sono i principali mercati di destinazione delle vendite estere, e il Vietnam, con cui l'UE ha recentemente firmato un accordo di libero scambio.

 

La Nuova Strategia europea ha tra i suoi principali obiettivi quello di sostenere la portata innovatrice dell'industria farmaceutica europea e la sua leadership mondiale.

  

 

 

 

 

 

Il nuovo mondo.

 

 Ilpopolo.cloud – Stalio W.Venceislai – Redazione -il popolo – (11 gennaio 2022) – ci dice:

 

 

Non credo che la terra sia piatta. Sono convinto che gli Americani siano andati sulla Luna. Non sono né vegano né anoressico (anzi!). Sono convinto che la pandemia sia un problema molto serio e non riesco a capire i no-vac. Ciò detto, mi considero nella media delle persone di buon senso. Però...

 

C’è un nuovo mondo attorno a noi. Non mi piace, ma ne avverto la stretta soffocante da anni.

Gli Stati non sono più i garanti delle libertà costituzionali e dei relativi diritti sui quali sono stati costruiti.

 

Nuovi poteri non controllati da alcuno emergono, ben più forti degli Stati stessi, da cui siamo tutti condizionati. Apriamo gli occhi per vedere cosa accade.

 

1 - Le multinazionali economiche.

 

Le multinazionali economiche, in genere di origine britannica o americana, all’inizio avevano carattere settoriale:

materie prime agricole, prodotti tropicali, mercato dell’oro, dei diamanti, del platino, dell’argento, dell’uranio e così via.

 

Poiché i Paesi del terzo e quarto mondo, all’epoca delle colonie, non erano in grado di commercializzare i loro prodotti e non lo sono tuttora, queste multinazionali provvedono a farlo.

 

Si è così instaurata una specie di schiavitù agricola, con bassi prezzi alla produzione (i coltivatori o le cooperative agricole non hanno alternative) e prezzi da monopolio sul mercato internazionale.

 

Con il tempo, le multinazionali hanno esteso la loro attività anche al mondo delle materie prime non agricole (gas, petrolio, microchips, minerali, terre rare, prodotti farmaceutici).

 

Su alcuni mercati (cereali, oro, diamanti) sono intervenuti in proprio anche alcuni Stati produttori (Usa, Canada, Venezuela, Iran, Federazione russa).

 

Il monopolio di fatto su tutti questi prodotti è uno strumento di coazione formidabile che può affamare un Paese e condizionarne la politica.

 

Ovviamente, le multinazionali hanno enormi risorse finanziarie e i loro rapporti si estendono alle altre multinazionali consorelle, quelle finanziarie

 

 

2 - Le multinazionali finanziarie.

 

Le multinazionali finanziarie rastrellano i titoli bancari e azionari, impadronendosi del controllo d’imprese più o meno interessanti, lucrano sulle differenze di cambio e di spread, si avvalgono spesso degli aiuti di Stato, speculano sul fallimento di alcune imprese, ne accorpano o ne vendono altre, in funzione esclusiva dei benefici sui loro bilanci.

 La spersonalizzazione dell’impresa favorisce l’acquisizione anche anonima o indiretta di quote di capitale dell’impresa stessa.

 

Come entità finanziarie private a carattere multinazionale, sono organizzate in funzione dell’ottimizzazione dei profitti e della minimizzazione dei costi.

 

Si sottopongono alle regole internazionali e alle normative dello Stato in cui sono insediate finché queste convengano o proteggano i loro interessi.

Altrimenti, si spostano altrove oppure investono risorse per cambiare tali norme, secondo il loro grado di convenienza economica.

 

Non fanno politica, fanno soldi.

 Se per far soldi occorre schierarsi, far politica, corrompere, si schiereranno, faranno politica e corromperanno.

 

 Il loro fine principale è il profitto. D’altro canto, il profitto non è un prodotto che interessi gli Stati né, è di per sé disdicevole o negativo, anche se ottenuto sfruttando situazioni di comodo.

 

In questo modo e con queste finalità, investendo risorse, comprando e vendendo titoli, sono diventate il motore dell’economia mondiale, sostituendosi alla politica economica del Paese dove sono insediate e non hanno bisogno dei voti di un elettorato da blandire per restare al potere.

 

In termini di potere economico, che si traduce spesso in potere politico, le multinazionali sono di gran lunga più importanti dell’insieme della maggior parte dei Paesi membri dell’ONU.

 

In tal modo interferiscono, spesso anche pesantemente, sulla politica degli Stati.

In termini finanziari, sono delle grandi potenze che detengono il controllo dei settori economici più importanti, se non vitali, di un Paese, fino al controllo dell’opinione pubblica mondiale tramite i social.

 

Pensate che, da soli, Amazon, Facebook e Google hanno la metà del fatturato pubblicitario di tutto il mondo.

 Tutto il nostro PNRR vale 36 miliardi di euro e Amazon ha fatturato, l’anno scorso, solo in Italia, 45 miliardi, senza pagare un euro di tasse!

 

In realtà, mentre gli Stati tradizionali hanno tra loro le frontiere - e, quindi, frequenti e magari conflittuali sono i rapporti tra loro - tra le multinazionali, se c’è un conflitto d’interessi, o si combattono (il che è difficile perché non conveniente) o trovano un accordo, alla stessa stregua degli Stati.

 

Sfuggendo a qualunque controllo, non sono tenute ad alcuna regola di diritto internazionale.

Ciò comporta un effetto negativo nel mondo degli investimenti.

 

Da operazioni volte a produrre beni o servizi, gli investimenti esteri delle multinazionali sono diventati controproducenti per l’economia di un Paese ospite, perché, non coinvolgendosi nei suoi problemi, rispondono a logiche diverse per cui investono o disinvestono a loro piacimento.

 

Le regole, interne e internazionali ci sarebbero, ma loro se ne infischiano.

 Se temono che le cose vadano male, chiudono bottega e burattini, licenziano in tronco il personale e se ne vanno.

 

Resta lo Stato ospite a raccogliere i cocci, dopo averle in tutti i modi agevolate perché investissero nella sua economia.

A fronte dell’esistenza di queste nuove entità internazionali così profondamente influenti sul piano economico, gli Stati sono impotenti.

 

 È difficile identificarle, perché dirette da un board dove i finanzieri del mondo giocano a carte con l’economia planetaria e con la fame del sottosviluppo.

Quando si dissociano da un tipo di politica praticata in un settore o in un Paese per farne un’altra, sono imprendibili, come i pirati in un mare aperto, dopo l’arrembaggio.

 

3 - La smaterializzazione degli Stati.

 

Tirate le somme ed escludendo quattro o cinque grandi Stati continenti, il complesso della cosiddetta Comunità internazionale vale poco e conta quasi nulla.

 

I mali del mondo sono sempre gli stessi. In più, è accaduto qualcosa che non era neppure immaginabile mezzo secolo fa:

il governo del mondo non c’è ma nel vuoto esistente si è inserito un governo della finanza internazionale che condiziona tutti, anche i governi dei Paesi più importanti.

 

A rigore, non si tratta neppure di un governo, è un campo di golf dove cinque o sei magnati della finanza internazionale (gli incappucciati della finanza) si tirano le palline, cercando di conquistare la buca più vicina.

 

 Se qualcuno (uno Stato) li disturba mentre giocano, fanno in modo che il disturbatore non disturbi più o debba chiedere scusa.

 

In questi ultimi decenni i rapporti di forze, quelli veri, si sono trasformati, grazie all’incapacità e alla non preveggenza delle classi politiche di fronte all’emergere di nuove realtà, come le conquiste della scienza e l’avvento di nuove potenze economiche trasnazionali: le multinazionali, appunto.

 

Gli Stati e la politica continuano a gingillarsi con i confini, con l’acquisizione o la perdita di territori, con le guerre commerciali, con il nazionalismo ottocentesco.

È roba vecchia, da dittatoriali di provincia.

Non significa più nulla.

 

Intendiamoci, guerre e dispute ce ne saranno sempre per gli appassionati e per gli allocchi.

Ci siamo talmente abituati che qualcuno pensa, addirittura, che il gene della guerra ce l’abbiamo dentro.

 Se guardiamo appena indietro (cos’è un secolo nella storia del mondo?) vediamo centinaia di milioni di morti, devastazioni infinite, sofferenze a iosa.

Per cosa?

Per una bandiera uncinata o a stelle e strisce oppure con la stella gialla in campo rosso?

Romanticherie omicide.

 A cosa sono serviti? A nulla. Russia, Cina, America (Germania): i problemi e gli assetti del mondo sono sempre là.

 

I tanti morti, le tante devastazioni sono solo banalità geopolitiche.

 L’adozione delle innovazioni dovrebbe, invece, metterci in allarme e cambiare il nostro il modo di pensare.

 

Si può condizionare un popolo privandolo delle fonti d’acqua che gli sono necessarie;

si può impoverire un Paese immettendo sul mercato prodotti a bassissimo costo, stampati da un computer, così da distruggergli il sistema industriale;

si può avvelenare un’intera popolazione con agenti biochimici a basso costo;

si possono fare cose neppure immaginabili solo vent’anni fa.

 

Ciò che si può fare e la sua pericolosità dipendono dal possesso della tecnologia necessaria.

Il conflitto vero si è spostato nei laboratori di ricerca.

 La ricerca costa. Chi paga?

 Le grandi multinazionali possono farlo.

 Sono piene di soldi e di complicità mafiose.

Le multinazionali sono il nuovo monstrum della geopolitica.

Hanno il potere in mano, quello vero, non espresso dagli eserciti, dai missili, dai carri armati, dai sommergibili nucleari o dai diplomatici di un tempo con la feluca.

 

Se vogliono, le multinazionali possono mettere a terra anche le grandi potenze.

Queste si reggono perché alle multinazionali fanno comodo, servono da copertura fin quando non s’accorgeranno d’essere solo dei fantocci.

 

Gli Stati sono diventati marionette di figura, buoni per reprimere i disordini, pronti ad assumersi la responsabilità dell’inquinamento (non bisogna deprimere lo sviluppo industriale), delle guerre (un po’ di riduzione demografica fa bene), della crisi economica (che volete farci, è la congiuntura!).

Ma sono fuori dal grande gioco, quello vero.

 

Il grande gioco è altrove, nelle mani di signori anonimi che non hanno speso un soldo per gestire gli affari degli altri ma che, per l’ignavia di Stati complici o stupidi, gestiscono le vite di tutti, del mercante come del povero indio, del soldatino di guardia come dell’impiegato di banca, dei giovanotti osannanti il nuovo idolo canoro o delle signore bene, preoccupate del colore che andrà di moda quest’anno.

 

Lo straordinario potere delle multinazionali finanziarie vive all’ombra degli Stati, penetra nelle comunicazioni, nei giochi di guerra, nelle confidenze amorose, nei gossip dei media, nelle borse metalli o negli affari agricoli, monopolizza l’energia e i fertilizzanti, insidia la libertà personale di ognuno.

(Stelio W. Venceslai).

 

 

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