I POLITICI CI VOGLIONO ROVINARE
I
POLITICI CI VOGLIONO ROVINARE.
Google
vara il
“politicamente
corretto”.
Labparlamento.it - Alessandro Alongi - (16 Gennaio 2023)
-ci dice:
Meglio
“partner di casa” che il più sconveniente “casalinga”. “Ufficiale di polizia”
al posto di “poliziotto”.
Forse anche “proprietario” sembrerebbe più
indicato per descrivere il “padrone di casa”, almeno secondo Google che, fra
qualche tempo, potrebbe scegliere per tutti noi le parole da usare, con buona
pace della libertà di scrittura e di pensiero.
Il più
grande motore di ricerca, da qualche mese infatti, ha varato una nuova
funzionalità all’interno dei suoi fogli “Google Doc” per spingere gli utenti ad
usare linguaggi politicamente corretti e non discriminatori, con il rischio di
avere, domani, testi-fotocopia.
Il
testo c.d. “predittivo” è a volte un’ancora di salvezza tesa ad aiutare gli
scrittori da imbarazzanti errori grammaticali o di ortografia, ma ora Google
sta entrando a gamba tesa nel linguaggio di ognuno, dicendo agli utenti di non
usare particolari parole particolari, perché – a suo dire – non sarebbero
abbastanza inclusive.
“Coniuge
casalingo” o “scheda madre” infatti, sono soltanto alcune delle parole che, in
automatico, Google Doc suggerisce a chi sta scrivendo sui propri fogli
elettronici.
Un suggerimento robotizzato (che si può
accettare o meno) e che vorrebbe spingere verso una maggiore “inclusività” dei
testi, falsando però la costruzione narrativa che ognuno di noi compie quando
si trova davanti ad un foglio bianco (seppur elettronico).
Ma
l’algoritmo non gode del dono dell’infallibilità e, sotto il suo sguardo da
censore, a volte esagera (o falla):
è il
caso, ad esempio, della trascrizione di un’intervista all’ex leader del Klu
Klux Klan David Duke, in cui egli usa toni non proprio benevoli verso persone
di colore diverso dal suo;
in
questo caso Google non ha ritenuto di dover censurare nulla, forse per rispetto
alla libertà di pensiero.
Dove invece ha messo becco è stato nel
discorso inaugurale di John Fitzgerald Kennedy:
secondo
l’algoritmo di “Big G” la frase “per tutto il genere umano” sarebbe meglio
cambiarla in “per tutta l’umanità”.
Al di
là delle note di colore, il fenomeno desta preoccupazione.
Silkie
Carlo, esponente di spicco del” Big Brother Watch” (l’organizzazione britannica
impegnata nella difesa delle libertà civili) ha lanciato il proprio grido di
allarme:
“Le
nuove parole di avvertimento di Google non sono di aiuto, sono profondamente
invadenti”, una sorta di controllo “di polizia” che per l’attivista “è
profondamente goffo, inquietante e sbagliato, spesso rafforza i pregiudizi”.
Non
sappiamo ancora se l’umanità si avvia ad entrare in una “dittatura del
linguaggio” ma tant’è.
E
intanto l’algoritmo incontrollato macina sinonimi da benpensante.
(Alessandro
Alongi).
Danni
causati dai robot:
l’Unione
europea interviene
per
stabilire colpe e risarcimenti
labparlamento.it
- Alessandro Alongi – (11 Gennaio 2023) – ci dice:
Nuove
norme in arrivo tese ad aggiornare e rafforzare quelle già esistenti basate
sulla responsabilità oggettiva dei produttori, per il risarcimento delle
lesioni personali, dei danni alle cose o della perdita di dati causati da
prodotti non sicuri, siano essi mobili da giardino o macchinari
iper-sofisticati.
A
smuovere le acque regolamentari ci ha pensato la Commissione europea che, il 28
settembre 2022, ha adottato due proposte intese a adeguare le norme in materia
di responsabilità all’era digitale.
Tali
nuove norme consentiranno risarcimenti per i danni causati da prodotti come
robot, droni o sistemi di domotica, diventati non sicuri in seguito ad
aggiornamenti del software, dei servizi di Intelligenza artificiale (IA) o dei
servizi digitali necessari al funzionamento dei prodotti stessi, nonché quando
i produttori non rimedieranno alle vulnerabilità esistenti in termini di
cybersicurezza.
Le
attuali norme nazionali in materia di responsabilità per eventuali danni
causati “per colpa” dell’Intelligenza artificiale, infatti, non sono adatte
alla gestione dei reclami hi-tech.
In
base alle regole esistenti oggi, al danneggiato è richiesto – al pari di un
frullatore difettoso – di provare un’azione illecita o un’omissione da parte di
un soggetto che ha causato il danno.
La
specifica caratteristiche dell’IA, tra cui complessità, autonomia e opacità,
rendere tutto ciò molto difficile per le vittime (se non addirittura
proibitivo), che devono avere cura di identificare esattamente il soggetto
responsabile e dimostrare, in tal modo, i requisiti per una richiesta di
risarcimento.
Se
oggi una qualsiasi persona dovesse presentare un ricorso contro il
malfunzionamento di una macchina algoritmica, ciascun tribunale europeo, di
fronte alle caratteristiche specifiche dell’IA, non può fare altro che adattare
il diritto esistente (pensato per i prodotti tradizionali del secolo scorso) e
tentare in tal modo di giungere ad una giusta decisione, causando
inevitabilmente incertezza giuridica tra uno stato e un altro.
In primo
luogo, l’esecutivo guidato da Ursula Von der Leyen ha proposto di ammodernare
le norme vigenti in materia di responsabilità oggettiva dei fabbricanti per
prodotti difettosi (dalle tecnologie intelligenti ai prodotti farmaceutici).
Le norme così rivedute, almeno nelle
intenzioni di Bruxelles, garantiranno la certezza del diritto alle imprese, che
potranno quindi investire in prodotti nuovi e innovativi, e permetteranno alle
vittime di ottenere un equo risarcimento per i danni causati da prodotti
malfunzionanti, compresi i prodotti digitali e ricondizionati.
In
secondo luogo, la Commissione ha proposto (per la prima volta)
un’armonizzazione mirata delle norme nazionali in materia di responsabilità per
l’Intelligenza artificiale, agevolando l’ottenimento di risarcimenti da parte
di chi ha subito danni connessi all’IA.
Conformemente
agli obiettivi del Libro bianco sull’IA e alla proposta di Legge
sull’Intelligenza artificiale della Commissione del 2021, le nuove regole
permetteranno a chi ha subito danni causati da prodotti o servizi basati
sull’IA di beneficiare dei medesimi livelli di protezione di cui godrebbe se i
danni fossero riconducibili a qualsiasi altra circostanza.
Ma, in
particolare, scopo di quest’ultima proposta di direttiva sulla responsabilità
da Intelligenza artificiale è proprio quello di stabilire norme uniformi per
l’accesso alle informazioni e l’alleggerimento dell’onere della prova in
relazione ai danni causati dai sistemi di IA, garantendo una protezione più
ampia per i malcapitati (siano esse persone fisiche o imprese).
Per
tale motivo essa armonizzerà alcune norme per le azioni che esulano dall’ambito
di applicazione della direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti
difettosi “classici”, nei casi in cui il danno sia causato da un comportamento
scorretto.
Si
tratta ad esempio delle violazioni della vita privata o dei danni causati da
problemi di sicurezza.
Le
nuove norme agevoleranno, ad esempio, l’ottenimento di un risarcimento da parte
delle persone vittime di discriminazione nel corso di un processo di assunzione
che comporta l’uso di tecnologie basate sull’IA.
(Alessandro Alongi).
L’Agenzia
delle Entrate ipoteca
le
Case che hanno approfittato
del
Superbonus.
Conoscenzealconfine.it
– (31 Gennaio 2023) - Redazione Lapekoranera.it- ci dice:
Si
chiamano in gergo “procedure cautelari”, prevedono l’ipoteca preventiva sugli
immobili che hanno beneficiato dei bonus 110% e 90%.
L’ipoteca
serve a garantire banche, Agenzia delle Entrate e creditori vari:
rimarrà iscritta fino all’appurata congruità
della spesa e, soprattutto, servirà a chiarire se condominio o singolo
proprietario ne potevano effettivamente beneficiare.
A
sindacare su tutta la procedura, come da sentenza della Cassazione, tocca
all’Agenzia delle Entrate che dovrà appurare i bonus abbiano raggiunto immobili
privi di abusi, soprattutto persone fisiche in regola col fisco, non segnalate
alle centrali rischi bancarie e che non abbiano riportato condanne penali,
soprattutto per evasione fiscale.
In pratica la Cassazione ha ribadito sui vari
bonus i principi che si applicano sul “reddito di cittadinanza” che,
ovviamente, non viene elargito a pregiudicati o a soggetti che lavorano a nero.
Parimenti,
l’Agenzia delle Entrate chiede la restituzione dell’importo del bonus ai
proprietari di immobili non meritevoli, come già fa l’Inps per le procedure di
restituzione dei soldi a chi ha indebitamente percepito il “reddito di
cittadinanza”.
La
Cassazione ha anche definito “Suscettibili di sequestro preventivo i crediti
dei terzi cessionari oggetto del superbonus 110%”.
La
Suprema Corte ha così sentenziato, pronunciandosi su un ricorso proposto
avverso l’ordinanza, con cui il tribunale del riesame aveva confermato il
provvedimento del GIP:
quest’ultimo
aveva disposto il “sequestro preventivo impeditivo” (ex art. 321, comma 1,
c.p.p.) nei confronti di alcuni soggetti (poi indagati dei reati di
associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di
truffa, evasione fiscale e falso) che avevano beneficiato indebitamente del
cosiddetto superbonus.
Così
la Corte di Cassazione penale Sez. III, con la sentenza del 28 ottobre 2022,
numero 40867, ha rigettato ogni tesi difensiva, secondo cui “detti crediti non erano
sequestrabili in quanto non derivanti dall’originario diritto alla detrazione
ma autonomamente costituiti a seguito dell’esercizio del diritto di opzione
previsto dal decreto Rilancio del 2020”.
La Cassazione ha invece ritenuto i crediti
suscettibili sempre di “sequestro preventivo impeditivo”, e siccome la sentenza
fa legge, l’alea della “truffa aggravata ai danni dello Stato” ora pende su
tutti i crediti dei terzi cessionari:
quindi
l’Agenzia delle Entrate dovrà operare in tutela, ipotecando preventivamente
ogni bene immobile su cui verrà accolta la procedura di riqualificazione
tramite bonus.
Una
sentenza che i Caf (centri assistenza fiscale) si aspettavano, in
considerazione che trovare un edificio con proprietari immacolati e senza alcun
peccatuccio catastale, fiscale, giudiziario e bancario è davvero difficile.
Gli
unici condomini dove questo forse è possibile sono i palazzi dove risiedono
funzionari dell’Agenzia delle Entrate, magistrati, funzionari delle forze
dell’ordine e del catasto (oggi Agenzia del Territorio).
Ma
basta che tra i proprietari s’intrufoli un commerciante o un libero
professionista, che già è certezza possano pendere cartelle esattoriali sul
soggetto, come sospesi col fisco ed anche problemi più grossi.
Ma gli
alti dirigenti di stato ben si guardano dal criticare la sentenza della
Cassazione, evitano anche di parlare male del superbonus, casomai sopportano in
silenzio l’ipoteca da parte di uno Stato che ha regalato loro stipendi e rango:
il rapporto che hanno col potere è omertoso e
da sudditi, anzi mafioso.
Così
la Cassazione ha messo i paletti con una bella ipoteca fino al giorno in cui
sarà stata dimostrata la piena liceità di tutto il procedimento.
Di
fatto con i “superbonus” i condomini hanno ipotecato le loro case.
Il “Centro Studi ICAF” aveva già individuato,
e ben prima della sentenza della Suprema Corte, oltre ottanta elementi di
criticità:
prevalentemente
ignorati dagli amministratori condominiali nell’ambito della deliberazione
delle opere di “riqualificazione del fabbricato attraverso ricorso a bonus
fiscali”.
Il
dottor Ivan Giordano (direttore scientifico della rete “ICAF”) aveva rilevato
queste criticità molti mesi prima della sentenza della Suprema Corte.
“Spiace
vedere che all’interno di un decreto che si chiama ‘sostegni’ è stato inserito
un provvedimento che di sostegno non ha proprio nulla, sia per le imprese che
per i cittadini”, aveva fatto notare Gabriele Buia (presidente
dell’Associazione nazionale costruttori) già in epoca Draghi.
“Nonostante
le proteste di gran parte del mondo economico e le proposte sul tavolo di
soluzioni alternative che noi per primi abbiamo suggerito, il Governo ha deciso
di non ascoltare nessuno, mettendo così di fatto un’ipoteca sui cantieri del
Superbonus 110% – aggiunge oggi Buia.
I nuovi vincoli alla cessione dei crediti per gli
interventi derivanti dai bonus edilizi, infatti, come segnalato da tutti gli
operatori economici compresa l’Abi, avranno un impatto pesantissimo sui lavori
in corso, con il rischio di creare migliaia di contenzioni e di bloccare
interventi già avviati con gravi ripercussioni sociali ed economiche per
famiglie e imprese.
Una
norma incomprensibile contro la quale si sono espressi anche molti esponenti
della maggioranza.
Facciamo
appello al Parlamento perché corregga al più presto questa stortura che rischia
di mettere a repentaglio la ripresa economica – ha concluso Buia.
Non è
così che si combattono le frodi.
Serve
una qualificazione delle imprese e la tracciabilità delle operazioni,
altrimenti finiamo solo con il penalizzare le imprese e i cittadini onesti “.
“Indubbiamente
il Superbonus ha attratto la maggior parte delle attenzioni, mettendo
nell’ombra i bonus minori – spiega Ivan Giordano – ma ogni volta che si decide
di ristrutturare il patrimonio immobiliare privato attraverso l’utilizzo di
denaro pubblico, l’attenzione dei proprietari immobiliari e di chi ha il
mandato a gestirli deve inevitabilmente essere prioritaria, a prescindere dalla
tipologia di bonus dal 50% al 110%, nessuno escluso.
La
storia degli ultimi anni è già scritta:
sull’onda
del ‘tutto gratis’ – chiosa Giordano – attraverso contratti capestro e delibere
assunte nella quasi totale inconsapevolezza, i condomini hanno deliberato
l’ipoteca a favore dell’Agenzia delle Entrate gravante sul patrimonio dei
singoli proprietari”.
Di
fatto la Cassazione ha sentenziato, abbracciando una sfera che va del diritto
tributario al diritto civile, dall’amministrativo al penale.
Nei
casi più sciagurati, già è possibile prevedere il pignoramento dell’immobile, e
poi la messa all’asta.
Ma
cosa succederà quando i sindaci che giocano a fare i più bravi della classe
(Gualtieri e Sala) faranno partire accertamenti sugli immobili non conformi
alle regole europee?
C’è
già chi prevede l’ecatombe sanzionatoria, per importi che andranno da 10mila a
50mila euro per unità immobiliare, a cui s’andrà comunque ad aggiungere
l’obbligo entro un certa data, di messa a norma nella classe energetica e nelle
norme Ue.
È
decollato l’esproprio immobiliare europeo e a beneficiarne potrebbero essere le
multinazionali finanziarie, le stesse che negli Usa posseggono il 90% del
patrimonio abitativo delle grandi città.
E quando decidono di rinnovare un quartiere o
di costruirci un centro commerciale, mettono per strada tutti i condomini
(ormai affittuari) con la forza pubblica.
Finisce
così il mondo dei piccoli proprietari, e c’è pure chi a Bruxelles ipotizza la
creazione in ogni stato dell’Ue dell’agenzia pubblica per il mercato
immobiliare, per porre fine ad eventuali evasioni fiscali favorite dalle
agenzie immobiliari private.
È
evidente che il grande capitalismo stia vestendosi di ambientalismo per
costringerci a fare lavori inutili sugli immobili (utili solo a favorire la
politica consumistica dei colossi industriali) e, soprattutto, abbia armato una
leva fiscale e politica su stampo vetero comunista per abolire la diffusa
proprietà privata.
(Redazione
Lapekoranera.it) – (lapekoranera.it/2023/01/28/lagenzia-delle-entrate-ipoteca-le-case-che-hanno-approfittato-del-superbonus).
Perché
le promesse dei politici
porteranno
alla rovina le famiglie
colpite
dai terremoti?
Casewonderwalt.com
– Elvis –
(31
ottobre 2018) – ci dice:
(Cosa-fare-per-evitare-tutto-ciò).
I
politici e le loro promesse fasulle.
Cosa
faresti se qualcuno ti promettesse di fare qualcosa per te e poi non lo fa?
La
cosa più probabile è che ti arrabbieresti con questa persona senza pensarci due
volte.
Nella vita
di tutti i giorni infatti capita spesso che qualcuno prometta qualcosa e poi
non lo fa. Pensaci bene.
Al
lavoro potresti aver chiesto aiuto a qualche collega per portare a termine un
determinato compito, ma poi per un motivo o l’altro, ti dice “Mi dispiace, ma
non posso darti una mano perché ho già altri impegni. ”
O
magari avrai fatto anche tu un favore a qualcuno ma quando avevi proprio
bisogno di questa persona non si fa trovare da nessuna parte o semplicemente
sparisce nel nulla.
So
come ci si sente perché a me ad esempio mi è capitato un sacco di volte di
ritrovarmi in situazioni del genere.
Potresti
dire che la sfiga capita a tutti, ma non sempre è così.
Ad
ogni modo, se il favore non era così importante, trovi sempre un’altra
soluzione.
In
qualche modo ci si arrangia.
Fa
parte della nostra natura.
All'inizio
ci sentiamo tristi e senza speranze, ma dopo un po’ ci rendiamo conto che
dobbiamo fare qualcosa perché se non troviamo la soluzione, allora sarà la
nostra fine.
Non è
un’esagerazione la mia. È così.
Ti
basta ricordare un momento della tua vita in cui tutti quanti che ritenevi i
tuoi amici di fiducia ti hanno voltato le spalle...
Ma
siamo sicuri che sia sempre così?
Pensiamo
ad esempio ai nostri cari politici.
I
politici italiani non sono certo famosi per le loro “promesse”.
In
realtà quasi nessun politico al mondo è famoso per la parola data.
Ma
quelli italiani sono dei veri campioni olimpici se devo essere sincero con te!
Si
riempiono la bocca sparando cavolate di ogni genere.
Alcuni
dicono che la disoccupazione è diminuita. Altri invece dicono che la crisi
economica sta per passare e così via.
Ma
qual è il problema quando questi personaggi non promettono quello che dicono?
Penso
che non ci sia bisogno di dirlo vero?
Succede
che inizia a crearsi un enorme diffidenza nei confronti dei politici.
Non si crede più alle loro promesse.
E poi
cosa succede?
Si
crea un clima molto “caldo” all’interno del paese.
Iniziano
gli scioperi. Scoppiano proteste dappertutto.
E sa
meglio di me che non sto esagerando.
Ti
basta semplicemente accendere la tv e guardare uno di quei programmi di
dibattito politico per renderti conto di quante cavolate dicono i nostri
politici.
Il
tipo di pubblico che partecipa a queste trasmissioni è gente incazzata pronta a
dare sfogo alle sue frustrazioni più profonde.
Ad
ogni modo, è da un pezzo che nel nostro paese si va avanti così.
Nessuno
ci garantisce niente, cominciando dal lavoro in primis!
C’è
chi dice una volta i tempi erano completamente diversi. E chi gli dà torto?
Le
cose nel passato erano diverse.
Si
stava bene nei vecchi tempi.
Ma
ormai dobbiamo farcene una ragione.
Il
passare del tempo è inevitabile e questo comporta anche dei cambiamenti nelle
persone e nell’ambiente circostante.
A
questo punto penso che ti starai domandando cosa c’entra tutta questa
“retorica” con i terremoti?
Prima
di tutto non c’entra niente perché come ben sa qui su Wonder Wall non si parla
di terremoti nel vero senso della parola.
O
meglio non facciamo lezioni teoriche sui terremoti.
Facciamo
qualcosa di completamente diverso: Analizziamo i problemi che i cittadini
possono avere quando ci sono terremoti e promuoviamo il sistema costruttivo
Wonder Wall.
Quindi
quello che facciamo noi è completamente diverso. Ti rendi conto vero?
Se hai
bisogno di farti una cultura sui terremoti, puoi andare tranquillamente su
Wikipedia o leggere un libro di geofisica.
Sono certo che li troverai informazioni molto
più dettagliate.
Ad
ogni modo, quello che voglio dirti oggi è che siamo stufi di quello che promettono
i nostri politici.
Ma
siamo stufi soprattutto perché fanno promesse alle persone più vulnerabili in
questo momento: I terremotati.
Prova
ad immaginare per un attimo (anche se so che è difficile) che tu abbia perso la
casa, gli amici, i parenti e chissà cos'altro e non sa più cosa fare...
Poi un
giorno arriva nella tua zona il politico di turno e dice: " Tranquilli
cari concittadini. Tra due mesi sistemeremo tutto. Vi daremo una sistemazione
decente. Non vi abbandoneremo. Vi prometto che tutto ritornerà a com'era prima!
"
E poi
i due mesi passano e non succede niente. Tutto rimane uguale come prima.
Che
faresti in quel caso?
Andresti
sicuramente in panico perché ti fidavi di quella persona.
Avevi
riposto tutte le tue speranze e quelle della tua famiglia in quella
promessa...non importava se quel politico ti stava simpatico.
Lui ti aveva promesso qualcosa, una soluzione
e tu ci credevi davvero.
Ma poi
il tempo passa e scopri con rammarico che non ha mantenuto la parola data.
Potresti
pensare che nei peggiori dei casi si potrebbe andare avanti nonostante tutto...
Vivere
nelle tende predisposte dalle associazioni di volontariato.
Mangiare quel poco che ti regala la gente che
arriva da altre parti dell’Italia. Accettare che il futuro dei tuoi figli non
sarà più lo stesso. Etc.
Ma la
cosa non è così facile come sembra.
Perché
c’è un fattore che nessuno prende in considerazione.
Ed è
quello psicologico.
La
maggior parte delle persone - di fronte ad un evento così traumatico -
semplicemente non ce la fa.
Si
entra in uno stato depressivo di cui non c’è via di scampo.
Si
inizia a pensare “perché a me, perché io, cosa ho fatto di sbagliato per
meritarmi questo?”
Alcuni
addirittura se ne fregano dei loro familiari rimasti in vita. Si isolano dal
mondo e dalle altre persone fino a che quando tutti meno se lo aspettano
prendono la fatale decisione di farla finita con la vita!
Non
voglio entrare nei particolari di tale decisione, ma una cosa è vera.
Bisogna
capire perché queste persone hanno preso questa decisione.
E ci
piaccia o no, la colpa è dei nostri politici e le loro promesse fasulle.
Ad
esempio, Il governo Renzi aveva promesso ai terremotati delle zone colpite dal
terremoto nell’Italia centrale che le case sarebbero arrivate in primavera.
Primavera
è arrivata ed è già passata tra l’altro e delle case neanche l’ombra.
Nel
frattempo ci sono stati molti casi di suicidio...la prima causa: La
depressione.
È
brutto dirlo ma la verità è questa.
D'altronde,
ci sono già dei casi in cui la gente si suicida perché il governo non promette
quello che dice.
Non
molto tempo fa a Torino una donna si è data fuoco al centro per l’impiego di
Torino perché non le era arrivato l’assegno di disoccupazione.
Le
avevano detto che il mese prossimo avrebbe ricevuto il bonifico e lei c’ha
creduto.
Il
mese dopo controlla il suo conto corrente e scopre che non è arrivato niente.
Neanche un euro.
Presa
dal panico si reca nel centro per l’impiego e si dà fuoco davanti a centinaia
di persone. C’erano anche dei bambini in quel momento.
Quella
donna ora è ricoverata all'ospedale di Torino, e solo Dio sa se un giorno si
riprenderà da tutte le ferite causate dal fuoco e si potrà avere di nuovo una
vita normale.
Questo
è quello che fanno i nostri politici.
Sappiamo
che dicono un sacco di bugie ma spesso non analizziamo quali sono le
conseguenze di tali bugie. Tante volte finiamo per credere alle loro promesse,
quando in realtà fanno solo i loro interessi!
Se
stai leggendo questo blog è perché sicuramente sei alla ricerca della miglior
soluzione per la costruzione della tua casa.
Già il
fatto che tu abbia deciso di documentarti per conto tuo ti differenzia dalla
massa perché non vuoi cedere il controllo della tua vita al politico o
ciarlatano di turno.
Ma al
di là di questo, voglio farti riflettere su una cosa.
Prova
a pensare per un attimo se decidessi di costruire la tua casa, ignorando il
problema dei terremoti?
Cosa
ti potrebbe succedere tra 5 o 10 anni se un domani arrivassero terremoti di
magnitudo 7 o addirittura 8 ?
Nei
“migliori” dei casi potresti perdere la casa e ringraziare Dio che i tuoi figli
e tua moglie siano ancora vivi.
Nei
peggiori dei casi invece ti sei mai chiesto cosa potrebbe succedere?
Come
reagirebbe la tua dolce metà se le promesse e le soluzioni fatte dai politici
non arrivassero a tempo debito?
Se la
prenderebbe con te? Ti rinfaccerebbe il giorno in cui hai firmato il contratto
per la costruzione di quella casa? O ti direbbe che sei stato un irresponsabile
per aver deciso di trasferire la tua famiglia in una zona ad alto rischio
sismico?
Solo
tu puoi capire come reagirebbe la tua dolce metà in una situazione del genere.
Prova
a pensare ai tuoi figli adesso.
Pensa
ai traumi psicologici che potrebbero portarsi dietro per tutta la vita.
Supponiamo
per un momento che fino ad un giorno prima del terremoto tu hai “viziato” i
tuoi figli in modo “eccessivo” perché come ogni genitore di questo mondo vuoi
il meglio per tuoi figli.
E ora
immagina cosa penserebbe o come si sentirebbe tuo figlio se - dopo il terremoto
- non ha più niente?
Niente
giocattoli. Niente amici. Niente animali domestici. Niente vacanze. Niente
passeggiate in famiglia.
Non
solo la sua vita potrebbe rimanere segnata a vita da questa tragedia, ma
potrebbe anche sviluppare dei traumi psicologici che comprometterebbero per
sempre la sua vita da adulto.
Molti
psicologi dicono che quando un bambino subisce un evento traumatico in tenera
età, esso si ripercuoterà drasticamente sulla sua vita adulta per sempre.
Ora ti
faccio questa domanda:
È
questo quello che vuoi per la tua famiglia?
Mi
piange il cuore sapendo che nelle zone terremotate ci sono migliaia di famiglie
italiane che forse in questo momento sono presi dal panico e senza l’aiuto
necessario possono porre fine alle loro vite.
Rifletti
su quanto detto perché anche se non ti sembra vero ti basta semplicemente
andare su internet e potrai comprovare con i tuoi occhi che quello che dico è
verissimo.
Prima
di chiudere ho un consiglio per te.
Se
vuoi avere il controllo totale sulla tua vita, senza lasciare che i terremoti
la distruggano, e provvedere ai bisogni della tua famiglia, allora non dare
retta a quello che dicono i nostri politici.
Se
ancora non l’hai fatto ti invito a leggere gli altri articoli di questo blog.
Sono sicuro che ti aiuteranno ad avere una
panoramica generale della situazione in cui potresti ritrovarti se un domani
prendessi la decisione sbagliata.
Il
dramma di avere un Paese
in
mano agli sconosciuti:
Italia
a rischio rovina.
Ilriformista.it
- Piero Sansonetti – (28 Marzo 2020) – ci dice:
La
forza dell’Italia è che ha sempre avuto ceti politici molto forti.
Dall’Ottocento.
Dai tempi dell’Unità.
Ha
sempre avuto una classe di governo robusta e una opposizione di grande livello.
Soprattutto dopo il fascismo, cioè nella
storia della Repubblica.
La classe politica, mediamente, è sempre stata
il meglio che l’Italia intellettuale sapesse esprimere.
Sia a
sinistra, sia nel centro cattolico, sia a destra.
La
borghesia e la classe operaia, cioè i due pilastri sui quali si è costruita la
grandezza di questo Paese, non si facevano amministrare da personaggi di
seconda fila, ma consegnavano la loro parte migliore alla politica.
Scorrete
un piccolo elenco di nomi, e concorderete.
De
Gasperi, Sturzo, Dossetti erano personaggi di assoluto vertice del mondo
cattolico.
Non era facile trovarne di migliori, di più
carismatici, neppure nelle altissime gerarchie ecclesiastiche, o tra i
professori.
E così
Togliatti e Nenni e Lombardi e Di Vittorio.
Quando
eravamo ragazzi noi che ormai sfioriamo i settanta, la politica faceva una
selezione durissima.
Se volevi provare ad entrare in quella che
adesso chiamano “casta”, dovevi sgobbare, studiare e avere ingegno.
Se non
ce la facevi, come succedeva ai più, ti accontentavi di fare l’ingegnere, o
l’avvocato, o il giudice, o di prendere una cattedra all’Università.
Non
sto mica esagerando: era esattamente così.
E i grandi professori facevano la fila dietro
la porta dei politici, non per avere un posto o un premio, ma per avere idee.
Mi
ricordo un sindaco di Roma di origini umilissime, che non credo avesse neppure
il diploma di maturità, e che teneva in pugno – dico, intellettualmente in
pugno – dei giganti dell’intellighenzia di sinistra come Argan, Lombardo
Radice, Asor Rosa, Giovanni Berlinguer, Salinari, Giannantoni.
E sto
parlando di livello locale. E dell’opposizione.
Nei
partiti di governo, nella Dc, del Psi, anche tra i liberali, era la stessa
cosa. Einaudi e anche Malagodi (parlo del minuscolo partito liberale) erano
degli Dei.
Ritratto
di Giuseppe Conte, premier affetto da eiaculazione precoce del cervello.
Conte
e Di Maio?
Come
Gastone e Paperino: al premier va tutto bene, al ministro nulla.
Coronavirus,
ennesimo decreto di Conte: “4,3 miliardi ai comuni, 400 milioni per la spesa”.
E
quando uno andava al governo, anche per fare magari il sottosegretario, aveva
alle spalle una esperienza robustissima.
Non facevi il ministro se non eri stato
sperimentato per molti anni.
Nelle
sezioni di partito, nelle assemblee di fabbrica, nei consigli comunali di
provincia.
E se non c’era l’assoluta certezza della tua
capacità di fare il ministro, non facevi il ministro.
Non
diventavi presidente del Consiglio se non eri unanimemente considerato tra le
dieci persone più capaci di tutto il Paese.
Le
poche volte che i partiti ricorrevano a figure di non primissima fila per fare
il premier è quando volevano fare un governo passeggero, perché già pensavano a
una formula nuova ma non era ancora matura, e avevano bisogno di qualche mese.
Si chiamavano governi balneari.
In
genere li presiedeva Giovanni Leone.
Anche
Lui era un avvocato, come questo di adesso, Conte.
Però
era uno degli avvocati più famosi d’Italia e aveva fatto tanta gavetta
politica, e aveva capacità politiche, cultura, lungimiranza, sapienza che oggi
se metti insieme tutti i membri del governo, e chiami anche i loro parenti e
amici, e magari i loro professori non ne fai neanche la metà.
Magari
avere un Leone, oggi.
Questo
credo che sia uno dei principali problemi del Paese.
La
fine della classe politica.
Molti
hanno festeggiato: gli abbiamo tagliato gli stipendi, le pensioni, li abbiamo
arrestati, impauriti, scacciati. Bel risultato.
Ecco
come ci troviamo adesso, con un premier che balbetta su Facebook.
La crisi della classe politica era già
iniziata con la Seconda Repubblica, perché i leader della seconda politica,
salvo una mezza dozzina, non erano all’altezza di quelli della prima.
Però
se scorrevi la lista di governo, conoscevi quasi tutti, conoscevi il passato
dei ministri, i loro titoli, i loro meriti.
Un po’
ti fidavi.
Oggi la fine della professione del politico è
totale.
Il
premier è uno sconosciuto avvocato che per mettere insieme un curriculum ha
dovuto inventarsi un insegnamento fantasma a New York.
Nessuno
sapeva chi era, quando è arrivato.
Quale fosse il suo passato, cosa sapesse fare.
Pare
che fosse molto stimato da un avvocato importante come il professor Alpa, e
questo è bastato per spedirlo a palazzo Chigi.
E poi
i Di Maio, i Bonafede, i Casalino e tutti gli altri. Mammamia.
Anche
il Pd e Italia Viva non hanno mandato al governo i loro esponenti più
prestigiosi.
Quasi
a confermare l’idea che il governo è un posto che deve contare poco.
Uno
vale uno, nessuno vale due.
Se
vale due è meglio fargli un avviso di garanzia e mandarlo a casa.
È in
queste condizioni che l’Italia sta vedendo in faccia il suo inevitabile
declino.
È
inutile farsi illusioni.
Un
paese non cammina da solo.
Se finisce in mano a Travaglio, a un gruppetto
sgangherato di Pm, e a un pezzetto terrorizzato e imbelle di Pd (che sembra
l’ombra all’ombra dell’Ulivo di Prodi), non si va lontano.
In tutto il mondo esiste la crisi della
politica.
L’America non la governano più né Kennedy né
Eisenhower, c’è Trump.
E
Johnson sta lì al posto di Churchill.
Macron
fa le veci di De Gaulle. D’accordo.
Però
quei Paesi hanno sempre avuto borghesie fortissime, capaci di governare anche a
prescindere dalle loro classi politiche.
Da noi
la politica è stata sempre il meglio.
Per
questo paghiamo la crisi più degli altri.
Per
questo se almeno ci decidessimo, forse, a trovare un altro lavoro a Conte e
Bonafede, un lumicino di speranza si accenderebbe.
(Piero
Sansonetti)
La
Città Eterna, eternamente
sommersa
dai rifiuti.
Labparlamento.it
- Donatella Chiodi – (10 Gennaio 2023) – ci dice:
L’Epifania
tutte le feste si porta via, ma non la mondezza.
E dire che il sindaco di Roma, Roberto
Gualtieri, nell’intervento della vecchina a cavallo della scopa deve averci
sperato fino all’ultimo.
Ma
benché munita di ramazza il miracolo nella Capitale non le è riuscito.
Perché
nella città eterna, eternamente sommersa dai rifiuti, ormai c’è da sperare solo
nel miracolo per vedere strade e piazze libere finalmente dai rifiuti.
E dire
che lo scorso anno, appena insediatosi in Campidoglio, il primo cittadino della
Capitale aveva assicurato una città “luccicante” entro Natale.
Ma di
Natali ne sono trascorsi due e l’unica cosa che luccica nelle strade romane
sono i sacchi neri dell’immondizia che traboccano dai cassonetti e che fanno
gola a cinghiali ma anche ai topi che ormai a Roma sono talmente ben nutriti
che si confondono quasi per le dimensioni con gli ungulati.
E il
problema rifiuti non è più solo una questione di decoro, ma una vera e propria
emergenza sanitaria.
Che con la riapertura delle scuole di ogni
ordine e grado mette a repentaglio la salute anche dei più piccoli, costretti a
fare lo slalom con i loro zainetti tra i cumuli di mondezza per varcare i
cancelli degli istituti scolastici.
“Riaprono
le scuole e a Roma migliaia di studenti tornano in giro per la città.
Ma ancora una volta il rientro è drammatico
con le strade sommerse dai rifiuti la cui raccolta è resa ancora più
difficoltosa dal cattivo tempo”, denuncia Fabrizio Santori, capogruppo della
Lega in Campidoglio.
“Un
copione già scritto nell’insopportabile atteggiamento del Campidoglio che pare
remare contro il decoro, l’igiene, la tutela sanitaria di adulti e bambini,
registrando ancora una volta il solito nulla di fatto senza mettere in campo
soluzioni degne di una metropoli e di una città d’arte importante e unica come
Roma”, prosegue Santori.
E
mette il dito nella piaga anche sulla pessima immagine che ha dato di sé la
Capitale d’Italia agli occhi dei turisti che quest’anno, dopo due anni di chiusure
dovute al Covid, sono finalmente tornati
a visitare la città eterna.
“Se l’immondizia e la ressa non hanno
scoraggiato i turisti e i romani in ferie per l’Epifania, non è possibile con
il rientro a scuola e al lavoro tollerare oltre questo stato di cose”, denuncia
ancora il capogruppo leghista, che ogni giorno sulla sociale denuncia con foto
“raccapriccianti” il degrado della città.
Un
degrado “democratico”, proprio come il sindaco dem, perché non risparmia nessun
quartiere, quando si dice la coerenza insomma.
“Mondezza
per tutti”, potrebbe essere il motto di Gualtieri che se possibile è riuscito
non solo ad eguagliare, ma a fare addirittura peggio del suo predecessore,
Virginia Raggi.
E non
era facile.
“Dall’Ostiense
a piazza Vittorio, dalla Collatina a Monteverde, Portuense, Ostia, Spinaceto:
dal
centro alla periferia e dovunque l’immondezzaio capitale è ancora una volta
padrone assoluto della città e mette “Ama” ko. I dipendenti dell’azienda lamentano
di nuovo mancanza di organizzazione, mezzi e personale, ma l’Ordine dei medici
lancia l’allarme igienico sanitario”, conclude Fabrizio Santori.
E
dalla grande bellezza alla grande mondezza è un attimo, complici anche le
festività appena trascorse, che come sempre fanno registrare un aumento del volume
dei rifiuti.
E quegli avanzi di cotechino, la bottiglia
vuota di spumante e il cartone del panettone sono ancora là.
Chissà
se il sindaco riuscirà a provvedere al loro smaltimento prima che arrivino nei
cassonetti anche gli incarti delle uova di Pasqua.
O dobbiamo continuare ad ingrassare topi e
cinghiali?
Elezioni,
Italia Sovrana e Popolare:
La
guerra ci porta alla rovina economica,
fuori
dalla Nato”.
Ilquotidianodellazio.it
- Giulia Bertotto – (21 settembre 2022) – ci dice:
L'intervista
ai candidati del Lazio Fabio Massimo Vernillo, Antonella D'Angeli e Matteo Di
Cocco.
Italia
Sovrana e Popolare è la lista antisistema costituita dal Partito Comunista di
Marco Rizzo, Ancora Italia di Francesco Toscano, Riconquistare l’Italia di
Stefano D’Andrea, l’ex magistrato Antonio Ingroia e il Comitato No Draghi
presieduto da Antonella D’Angeli e Igor Camilli.
Figurano
tra i suoi candidati illustri i nomi dell’inviato di guerra Giorgio Bianchi, il
giornalista Claudio Messora e il filosofo Andrea Zhok.
Italia
Sovrana e Popolare propone tra i punti del suo programma l’uscita dall’Europa,
dalla Nato, l’abolizione di qualsiasi pass sanitario e obbligo vaccinale.
Il suo
capo politico è Giovanna Colone, insegnante sospesa perché ha rifiutato
l’imposizione vaccinale.
Italia
Sovrana e Popolare è inoltre l’unica forza tra quelle extraparlamentari ad aver
raccolto firme in 49 collegi su 49, un entusiasmo oltre qualsiasi aspettativa.
Fabio
Massimo Vernillo: Italia fuori da UE e NATO.
Abbiamo
raccolto le parole di tre candidati locali del territorio del Lazio.
Fabio Massimo Vernillo segretario regionale
del Partito Comunista è candidato nella lista Lazio1-p02, la quale comprende
alcune zone capitoline come Appio, San Giovanni, Tuscolano, Don Bosco ed altre
e tutti i comuni dei Castelli Romani ma anche parte del litorale con Anzio e
Nettuno, fino ai confini del frusinate Colleferro, Guidonia, Artena e Labico.
“Italia
Sovrana e Popolare nasce da un’esigenza che si è manifestata in questi due anni
di pandemia, nei quali abbiamo capito che una questione sanitaria, sicuramente
importante, è stata utilizzata per esercitare delle forzature sul popolo
italiano.
La politica italiana oggi è sottomessa alla
volontà europea, alle mire espansionistiche della Nato, insomma siamo sudditi
di Bruxelles e un’altra stella sulla bandiera americana.
Noi vogliamo riappropriarci della sovranità
popolare del nostro paese.
In
questi due anni abbiamo visto la sistematica violazione della Costituzione,
ricattando i cittadini con il diritto al lavoro.
Non a
caso il nostro capo politico è Giovanna Colone, insegnante sospesa perché ha
rifiutato la somministrazione.
Le
imprese fallivano, Amazon fatturava sopra ogni record.
Trent’anni
anni di tagli alla sanità pubblica hanno portato all’incapacità di far fronte
alla situazione pandemica, mentre ogni responsabilità è stata scaricata sui
cosiddetti novax.
I politici che già conosciamo da sinistra a
destra non hanno fatto altro che scaricare le loro inadeguatezze sui cittadini
mentre medie e piccole imprese fallivano.
Intanto davano miliardi alla Fiat, Amazon ha incassato
44 miliardi e senza pagare un euro di tasse e le multinazionali del farmaco
hanno fatturato miliardi.
L’incontro
tra Francesco Toscano di Ancora Italia, Marco Rizzo del PC, e Stefano D’Andrea
di Riconquistare l’Italia è stato una scintilla:
hanno
deciso di unire le forze del dissenso contro il partito unico liberale che va
da Renzi a Salvini, da Letta a Meloni.
Italia Sovrana e Popolare è composta da 15
movimenti, ciascuno ha fatto un passo indietro per farne avanti verso la
riaffermazione della Costituzione, per Scuola, il Lavoro e la Sanità.
Intanto
il Pd come FdI vuole perseverare nell’invio di armi all’Ucraina, alimentando
una pericolosissima escalation.
Meloni
rappresenta infatti una finta opposizione: ricordiamoci solo la sua astensione
dal decreto Mille Proroghe.
Ci sembra che questi personaggi litighino per
ragioni che interessano il nostro paese, in realtà se le danno di santa ragione
per il taglio dei parlamentari che sono passati da 600 a 400.
Il PD non è un partito ma” una corrente
economica” comandata dal Deep State made Usa.
Antonella
D’Angeli:
salvare le piccole e medie imprese da sanzioni e speculazioni.
Antonella
D’Angeli, candidata come prima capolista nel territorio che comprende alcune
zone capitoline come Appio, San Giovanni, Tuscolano, Don Bosco ed altre e tutti
i comuni dei Castelli Romani ma anche parte del litorale con Anzio e Nettuno, fino
ai confini del frusinate: Colleferro, Guidonia, Artena e Labico.
“Nel
Lazio 12mila piccole e medie imprese hanno chiuso in pochi mesi, la stessa
situazione coinvolge forni e panetterie;
solo a
Roma 2500 panetterie sono a rischio chiusura.
Prima
il rialzo della benzina quindi il costo per il trasporto merci, poi il caro gas
ed energia hanno pesato sui costi di lavoro insieme all’aumento del prezzo
delle materie prime.
Noi
eravamo un paese di produttori e ora ci scopriamo senza grano pur essendo
produttori di pasta.
Non
solo il proprietario dell’attività si trova senza entrata ma anche i suoi
dipendenti senza stipendio e così un’intera filiera produttiva si inceppa.
Naturalmente
anche per consumatore il costo al dettaglio è cresciuto, e non parliamo di
primizie ma di beni di prima necessità, come frutta e verdure di stagione.
Vogliono
perfino decidere a che ora dobbiamo fare la lavatrice e quanti elettrodomestici
possiamo accendere.
Le
sanzioni contro in funzione antirussa stanno danneggiando noi italiani.
Questa
la drammatica situazione in cui ci troviamo in nome della difesa degli
interessi degli Usa (della sua élite progressista Dem e
del suo Deep State), e in cui si insinuano speculazione e accise.
Quali
sono gli obiettivi della vostra coalizione?
“I
nostri obiettivi sono innanzitutto la pace, intavolare trattative con la
Russia, essere liberi di scambiare merci con tutti gli stati, per un mondo
multipolare. Diritto al lavoro sicuro, retribuzioni eque minimo 1200 euro di
retribuzione, abolizione di quelle norme di Renzi sul precariato, contratti a
progetto e partita Iva, fine immediata dell’alternanza scuola-lavoro, che non è
un tirocinio ma una vera e propria pratica di sfruttamento.
Non
dimentichiamo che solo lo scorso anno sono morti due ragazzi e un altro giovane
pochi giorni fa”.
Una
denuncia sul territorio di Colleferro.
“Vorrei
anche denunciare un fatto locale molto serio che avviene nella scuola
infermieristica di Colleferro.
I
ragazzi non solo affiancano l’infermiere di ruolo ma svolgono lo stesso lavoro
e attività dei sanitari già specializzati con i medesimi orari, anche notturni,
con rischi e responsabilità per i pazienti e ragazzi stessi.
Come se non bastasse pagano 300 euro per un
posto letto.
Una
rapina nelle tasche delle famiglie per avere una forza lavoro gratis.
Questo
non è solo un fatto episodico ma una dimostrazione della mancanza di
responsabilità della nostra classe dirigente.
L’Italia
non può continuare a reggersi su divieti e sussidi.
Dobbiamo
tornare liberi e protagonisti. Sovranità significa tornare capaci di
autodeterminare le politiche economiche del nostro paese”.
Matteo
Di Cocco: sovranità
significa protagonismo della cittadinanza.
Con
Matteo Di Cocco, candidato come candidato nel collegio uninominale da
Colleferro a Guidonia, proviamo a parlare anche del futuro che ci attende.
“Il
futuro dell’Italia è al momento oscuro. In questi momenti stiamo affrontando
delle grosse sfide, dei mutamenti epocali dopo anni di stasi.
Negli ultimi trent’anni i governi hanno deciso
di salvaguardare il proprio ambiente, limitando le stazioni di gas metano ed
altri idrocarburi sul proprio territorio nazionale, per salvaguardare la salute
dell’ambiente.
Questo
è stato fatto anche in Italia, appoggiandoci però totalmente alle forniture
straniere, ad esempio incamerando energia nucleare dalla Francia, gas dal Nord
Africa e dalla Russia, così come il petrolio.
Insomma,
da dove era più conveniente acquistarla con le tante navi petrolifere che
tutt’oggi arrivano nel Mediterraneo e fino all’ENI, Ente nazionale degli
idrocarburi, che ricordiamo essere a partecipazione statale. A causa della guerra per procura
degli Usa, l’Italia -non potendo decidere in maniera autonoma e sovrana- è
stata trascinata in un conflitto che non le appartiene e che la conduce alla
rovina.
Un
conflitto che nasce, come ben sappiamo dalle provocazioni della NATO, che dura
da quattordici anni e non da febbraio 2022, e che ha portato la Russia a
diminuire le razioni di gas.
Che non è però l’unica responsabile perché le aziende
energetiche e la Borsa di Amsterdam stanno speculando e lucrando sulla
situazione.
Andiamo
verso la rovina economica per assecondare gli interessi Usa, ora basta.
È di
pochi giorni fa la notizia che la Francia, da cui acquistiamo energia nucleare,
dovrà fare manutenzione delle proprie centrali nucleari e quindi diminuirà le
forniture energetiche verso l’Italia.
Quindi
ci sarà non solo un aumento dei costi, non ci sarà proprio.
Una
carenza di energia nel nostro paese significa grave crisi economica.
Una
crisi economica che si abbatterà sul presente ma che porterà a rivedere i piani
per il futuro, soprattutto per i giovani, questi giovani che hanno già subito
per due anni restrizioni e lockdown”.
È di
pochi giorni fa il dramma che ha visto l’ennesimo ragazzo perdere la vita
durante uno stage:
“Tragedie
come queste accadono anche perché al primo posto nell’agenda dei nostri
governanti non ci sono gli interessi del paese ma quelli di organi esterni
all’Italia.
La
chiave sta nel nostro nome, Italia Sovrana e Popolare, vuol dire che l’Italia
deve tornare a decidere da sé le priorità e i propri interessi nazionali,
quello che noi vogliamo fare è riportare i cittadini nelle istituzioni e le
istituzioni in ascolto dei cittadini”.
Perché
Putin ha
già
perso la guerra.
Legrandcontinent.eu
- Jean-Baptiste Jeangène Vilmer – (28th Febbraio 2022) -ci dice:
Prospettive
Guerra.
Il
costo della vittoria militare, il pantano dell'occupazione, il rafforzamento
della NATO, l'isolamento della Russia, la destabilizzazione interna di Putin...
L'invasione
dell'Ucraina sarà, qualunque sia il risultato, una guerra persa.
Una
prospettiva in cinque punti e tre scenari di Jean-Baptiste Jeangène-Vilmer.
Il 24
febbraio 2022, il primo giorno dell’offensiva russa contro l’Ucraina, scrivevo:
1
“Qualunque sia il risultato della guerra, Putin l’ha già persa.
Oltre
a spingere ciò che resta dell’Ucraina verso ovest, rafforzerà e persino
allargherà la NATO, isolerà e indebolirà la Russia come paria, e minaccerà il
suo stesso potere a Mosca. L’inizio della fine”
2. Può
sembrare presuntuoso il primo giorno di una guerra prevedere il suo esito, e
controintuitivo – o ottimista – considerare che non sarà favorevole al più
potente dei due belligeranti.
Tuttavia,
mi sembrava che questo risultato fosse la conclusione logica del seguente
ragionamento in cinque fasi.
1 – Il
prezzo della vittoria militare.
Se la
vittoria militare di Putin sembra inevitabile, data l’asimmetria delle forze
coinvolte, avrà un costo umano e materiale considerevole.
In
soli tre giorni di confronto, lo stato maggiore dell’esercito ucraino – le cui
cifre devono ovviamente essere prese con il necessario senno di poi – stima che
le forze russe hanno perso 4.300 uomini (uccisi o catturati), 27 aerei, 26
elicotteri, 2 barche, 146 carri armati e 706 veicoli corazzati3.
Mosca,
da parte sua, nega di aver subito queste perdite e probabilmente non
comunicherà mai il vero costo.
In
ogni caso, grazie alla straordinaria combattività degli ucraini, forniti di
armi da almeno 28 paesi, lo scontro non è la guerra lampo sperata:
è più intenso e sarà senza dubbio più lungo di
quanto gli strateghi russi sperassero.
Come ha sottolineato Lawrence Freedman, hanno
commesso due errori classici, la sottovalutazione del nemico e la
sopravvalutazione delle proprie forze, che in realtà sono due facce della
stessa medaglia: l’arroganza.
Questo
pone problemi logistici alle forze russe (mancanza di carburante, razioni e
forse anche di munizioni) – che si sapeva già prima dell’invasione essere il
punto debole di una tale operazione – ma anche problemi di immagine, poiché la
parte ucraina documenta e diffonde foto e video di aerei abbattuti, carri
armati distrutti, soldati russi uccisi e catturati, e crimini di guerra
commessi (per esempio l’uso di bombe a grappolo in aree civili).
Lo fanno con il supporto di una comunità di
“Osinters”, cioè esperti di intelligence open-source situati in tutto il mondo,
la cui efficacia in questo conflitto è spettacolare – così come il loro uso dei
social network, specialmente Twitter.
A differenza dei loro avversari, le forze
ucraine stanno comunicando estremamente bene e il presidente Zelensky è
diventato in pochi giorni una figura eroica, lodata in tutto il mondo.
Qualunque sia il risultato militare del
conflitto, Putin ha già perso la battaglia dell’immagine.
La
mancanza di risultati concreti sul terreno, la lentezza dell’avanzata degli
invasori, che al momento di scrivere non controllavano ancora nessuna città
importante, unita alle difficoltà precedenti, possono portare a un crescente
senso di frustrazione tra le truppe russe.
Poiché non tutti erano convinti della
necessità di questa guerra, più va avanti e più il dubbio si insinua,
raggiungendo forse presto il morale delle truppe.
In
ogni caso, è certo che Mosca perderà almeno diverse migliaia di uomini,
rendendo questa guerra il suo intervento militare più costoso degli ultimi due
decenni.
In
queste condizioni, ci sono due possibilità. I
l
primo è che Putin non andrà fino in fondo.
La resistenza locale, combinata con la
pressione internazionale e il rischio interno , potrebbe spingerlo a negoziare
prima che l’esercito ucraino sia sconfitto.
Lo presenterebbe in modo vantaggioso, ma
nessuno si farebbe ingannare: sarebbe un enorme fallimento per lui
personalmente e per le forze armate russe, e anche un’umiliazione.
Era pronto a pagare un prezzo calcolato per un
guadagno, ma rischia di pagare un prezzo molto più alto di quello che
immaginava per un guadagno minimo o nullo.
Putin
sa che una sconfitta in Ucraina significherebbe probabilmente la sua caduta a
Mosca.
Se ha
le spalle al muro, la linea d’azione più probabile è la fuga.
La
seconda possibilità, che purtroppo sembra più probabile, è che egli persista, a
qualunque costo.
I combattimenti potrebbero andare avanti per
settimane e, al fine di accelerare il risultato e quindi ridurre l’impressione
di una sconfitta russa, per rompere il morale della popolazione ucraina,
potrebbe essere tentato di ricorrere a massicci attacchi aerei uccidendo decine
di migliaia di civili, come i russi hanno dimostrato di poter fare in Siria.
Ciò è tanto più probabile in quanto l’ipotesi
era già stata discussa alla televisione russa nel 2016: mentre un oratore
suggeriva “che non sarebbe utile inviare forze di terra russe nelle principali
città ucraine perché porterebbe a “enormi perdite per l’esercito russo” [,
altri] non erano d’accordo e dicevano che [il bombardamento a tappeto di]
Aleppo mostra il percorso che Mosca potrebbe seguire”.
2 – Il
pantano dell’occupazione
In
questa seconda ipotesi, se in qualche modo Mosca finisce con una vittoria
militare – ad un prezzo che sarà esorbitante, non solo per il popolo ucraino ma
anche per i soldati russi – questo sarebbe solo l’inizio delle difficoltà.
Se la
guerra americana in Iraq (Operazione Iraqi Freedom, 2003) è un’indicazione,
persino un’ispirazione per Mosca poiché, come ha mostrato Elie Tenenbaum, il
parallelo “è impressionante”, va ricordato che il famoso discorso di George W.
Bush del 1° maggio 2003 sulla portaerei USS Abraham Lincoln che mostrava con
orgoglio uno striscione “Missione compiuta” ha segnato non la fine ma l’inizio
dei guai per gli americani in Iraq (nel 2010, Bush ammetterà che questo
striscione fu “un errore”).
C’è una differenza importante, che è che i
russi sono molto più vicini agli ucraini di quanto lo fossero gli americani
agli iracheni, e quindi avevano più ragione di aspettarsi di essere accolti
come ‘liberatori’ da almeno alcuni di loro – ma l’aggressione russa invece di
approfittare della disunione della società ucraina sembra aver creato un
effetto ‘rally
around the flag‘ contro l’invasore, che Mosca chiaramente non si aspettava.
In
ogni caso, conquistare un paese è una cosa – ed è alla portata di una grande
potenza militare come la Russia – ma tenerlo, cioè occuparlo, è un’altra.
Questo vale anche per la Cina nei confronti di
Taiwan.
Se,
prima opzione, Putin annette de facto tutto il territorio ucraino, le truppe
russe dovranno affrontare una resistenza quotidiana, certamente variabile ma
reale e probabilmente duratura perché sostenuta da stranieri, sia in termini di
equipaggiamento che di volontari (che già si stanno riversando: il 27 febbraio
Zelensky ha annunciato la creazione di una legione internazionale, una
formazione della guardia nazionale che arruola stranieri).
Questa
occupazione sarebbe quindi estremamente costosa, sia economicamente che
umanamente, e per questo sarebbe senza dubbio impopolare non solo con la
popolazione russa ma anche con l’élite.
Se,
come seconda opzione, che per le ragioni di cui sopra è più probabile, Putin
preferisce mantenere sotto il suo controllo solo una parte del territorio –
probabilmente il Donbass e il corridoio meridionale che lo collega alla Crimea
o anche alla Transnistria – e mettere un governo filorusso a Kiev, il rischio è
allora quello di una guerra civile poiché la resistenza sarà la stessa ma
diretta questa volta contro queste autorità illegittime.
Poiché l’equilibrio di potere non è a priori a
favore di quest’ultimo – dato che il centro e l’ovest dell’Ucraina sono proprio
le regioni a maggioranza filo-occidentale – i russi che controllano il resto
del paese saranno probabilmente costretti a intervenire regolarmente, tenendo
le autorità locali sotto perfusione, il che equivarrebbe in effetti a una
versione degradata della prima opzione.
Se,
come terza opzione, che per le ragioni di cui sopra è più probabile delle altre
due, Putin divide il paese in due, per esempio a livello del Dnieper, creando
un’Ucraina orientale de facto sotto il suo controllo (o direttamente tramite
annessione, o indirettamente istituendo un’autorità al suo soldo in stile
bielorusso) e un’Ucraina occidentale a cui sta rinunciando perché sarebbe
comunque ingovernabile e perché questo gli dà una carta da giocare nei
negoziati con la NATO.
La situazione a lungo termine non gli sarà più
favorevole perché questa Ucraina occidentale cercherà di entrare al più presto
nell’Unione Europea o addirittura nella NATO, il che potrebbe essere più
favorevole di prima.
In altre parole, anche se non riguarderà la
stessa area territoriale, Putin avrà accelerato l’espansione che voleva
impedire.
Ecco
perché ho scritto che avrebbe “spinto ciò che resta dell’Ucraina verso ovest”.
3 – Il
rafforzamento della NATO.
L’aggressione
russa – la sua doppiezza, la sua portata e la sua brutalità – è stata per gli
europei soprattutto, ma anche per i nordamericani e parte del resto del mondo,
uno shock di portata ancora maggiore di quello dell’11 settembre 2001, che ci
ha portato in una nuova era di relazioni internazionali (un’era post-guerra
fredda, cioè “l’inizio di una vera guerra fredda” per dirla con Bruno Tertrais,
con il paradosso che inizia con una guerra “calda”).
Questo
shock ha avuto e avrà diversi effetti.
In
primo luogo, ha rafforzato immediatamente la ragion d’essere di un’alleanza
che, dalla dissoluzione del Patto di Varsavia contro cui era diretta, aveva
attraversato diverse crisi esistenziali.
La
guerra in Ucraina ha messo fine alle domande metafisiche che alcuni avrebbero
potuto avere sulla rilevanza o l’interesse della NATO oggi, dimostrando
chiaramente che il fatto che non ci sia più l’URSS non significa che i paesi
dell’Alleanza non debbano affrontare una minaccia comune – tanto più che questa
minaccia è visibilmente motivata dal desiderio di ricostruire una forma di URSS
o addirittura di impero – che giustifica quindi una difesa comune (e, a
posteriori, giustifica anche la preveggenza di coloro che pensavano che fosse
meglio mantenere la NATO in caso di irredentismo russo).
La guerra
ha anche rafforzato la coesione della NATO, che per la prima volta nella sua
storia ha attivato la sua forza di reazione rapida, creata al vertice di Praga
del 2002.
In
secondo luogo, questo shock, che è stato una brusca presa di coscienza – per
coloro che, per ideologia o ingenuità, fingevano ancora di ignorarlo – che la
Russia è uno stato ostile alle porte dell’Europa, guidato da un uomo
imprevedibile e irrazionale, spingerà tutti i paesi interessati ad aumentare il
loro sforzo di difesa.
Non
c’è incentivo migliore per raggiungere o superare l’obiettivo della NATO del 2%
del PIL per le spese militari, per modernizzare l’equipaggiamento e aumentare
la sua prontezza per i conflitti ad alta intensità.
Il 27
febbraio, durante una sessione straordinaria del Bundestag, il cancelliere
tedesco Olaf Scholz ha annunciato un budget di 100 miliardi di euro per
modernizzare l’esercito tedesco e un aumento del bilancio della difesa a più
del 2% del PIL.
Si
tratta di un passo storico.
Putin è riuscito a svegliare la Germania, che
era particolarmente arretrata in questo campo.
Come
ha scritto Benjamin Haddad, “il tempo del riarmo europeo è arrivato”.
Infine,
questo shock ha anche aumentato notevolmente l’attrattiva della NATO, poiché
l’Ucraina è stata una vivida dimostrazione della vulnerabilità di coloro che
non fanno parte della NATO.
Il
presidente Biden ha reso questo punto molto chiaro quando ha avvertito, due
settimane prima dell’invasione russa, che gli americani non avrebbero inviato
truppe in Ucraina.
Se la
decisione era ben fondata in termini assoluti – poiché si trattava di evitare
un’escalation che avrebbe potuto portare a una “guerra mondiale” – è
discutibile se fosse necessario chiarirlo, poiché la dichiarazione potrebbe
essere interpretata a Mosca come un via libera.
L’ambiguità
strategica sarebbe stata preferibile.
In ogni caso, questa guerra è una
dimostrazione per assurdo del valore aggiunto della NATO, cioè una
dimostrazione del rischio di non farne parte.
Avrà conseguenze immediate per paesi come la
Svezia e la Finlandia che se lo stavano chiedendo: l’invasione russa
dell’Ucraina “cambierà” il dibattito nazionale sull’adesione alla NATO, ha
detto il primo ministro finlandese il primo giorno dell’offensiva.
Questo è il motivo per cui ho scritto sulla
necessità che l’UE assuma un ruolo più attivo nel processo della NATO.
Ecco
perché ho scritto che questa guerra “rafforzerà e persino amplierà la NATO”.
Renderà più forti, sia individualmente che collettivamente, proprio le persone
che Putin voleva indebolire.
4 –
L’isolamento della Russia.
La
reazione della comunità internazionale può sembrare per il momento
insufficiente perché non ha effetti immediati sui combattimenti, ma le sanzioni
contro Mosca, che sono le più massicce mai prese contro uno stato, avranno un
impatto duraturo su settori (finanza, energia, trasporti, tecnologia) e
individui, compresi potenti oligarchi.
Stanno già cominciando ad essere applicate: il
26 febbraio, per esempio, le autorità francesi hanno intercettato una nave
cargo russa nel Canale della Manica, carica di automobili dirette a San
Pietroburgo, che è stata dirottata a Boulogne-sur-Mer.
L’esclusione
della Russia dal sistema del mercato interno dell’UE avrà un forte impatto
sull’economia del paese.
L’esclusione
della Russia dal sistema bancario Swift – una delle misure economiche più
radicali – dovrebbe entrare in vigore presto.
Le sanzioni non vengono solo dall’Europa e dal
Nord America, ma anche dall’Australia, dal Giappone, dalla Corea del Sud e da
Taiwan, anche su tecnologie chiave necessarie a Mosca come i semiconduttori.
La Cina sarà in grado di compensare alcuni di
questi effetti, ma non tutti e ci vorrà del tempo.
Non potrà restituire i fondi sequestrati, i
beni, gli yacht; non potrà riaprire lo spazio aereo ormai chiuso agli aerei
russi, ecc.
La
risoluzione presentata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (CSNU) il 26
febbraio16 ha confermato l’isolamento della Russia, l’unico stato a votare
contro – e che quindi, senza sorpresa, l’ha bloccata con il suo veto
(un’occasione per ricordare che la Russia è, di gran lunga, il membro
permanente del CSNU che ha fatto più uso del suo veto dal 1990, e soprattutto
nell’ultimo decennio).
L’astensione della Cina era attesa, quella
dell’India e degli Emirati Arabi Uniti sono state deludenti, anche se, in
totale, 11 Stati su 15 hanno votato a favore del testo che chiede a Mosca di
fermare immediatamente il suo attacco e ritirare le sue truppe.
L’esito di questa risoluzione era certo, ma
era necessario andare fino in fondo per considerare altre opzioni.
Alcuni
pensano ora a una risoluzione dell’Assemblea Generale, che confermerebbe
l’isolamento della Russia sulla scena internazionale.
La
società civile globale non è da meno e può anche causare gravi danni, non solo
d’immagine.
All’indomani
dell’offensiva sull’Ucraina, il collettivo di hacker Anonymous ha dichiarato
“guerra cibernetica” alla Russia e ha rivendicato la responsabilità degli
attacchi che hanno messo offline diversi siti web governativi, tra cui quello
del ministero della Difesa russo, nonché quello del media RT (ex Russia Today).
In
diversi paesi, tra cui il Regno Unito e la Francia, parlamentari e personalità
pubbliche hanno chiesto la sospensione di RT20.
In Australia, l’operatore televisivo Foxtel lo
ha fatto il 26 febbraio.
YouTube
ha già “iniziato a sospendere la capacità di alcuni canali [russi] di generare
entrate su YouTube, compresi i canali di RT in tutto il mondo”.
E
presto potrebbero essere adottate misure europee per combattere la propaganda
russa.
Anche
il mondo dello sport si è mobilitato: la UEFA ha condannato l'”invasione
militare” russa e ha spostato la finale di Champions League che doveva essere
giocata a San Pietroburgo, diversi sportivi di alto profilo si sono ritirati
dalle competizioni in Russia e diverse squadre nazionali hanno annunciato che
non giocheranno più contro squadre russe.
In
tutti i settori, gli appelli a boicottare beni e servizi russi sono in aumento.
In
queste condizioni, l’indebolimento economico della Russia è inevitabile, così
come il suo isolamento politico sulla scena internazionale.
La Russia diventerà veramente uno stato paria,
non più desiderato nelle relazioni commerciali, nei formati diplomatici (il
secondo giorno dell’offensiva il Consiglio d’Europa stava già sospendendo i
diritti di rappresentanza della Russia), nello spazio aereo, nello spazio
d’informazione, nelle competizioni sportive e in tutti gli eventi che
costituiscono la vita internazionale.
Ecco
perché ho scritto che la guerra “isolerà e indebolirà la Russia, che diventerà
un paria”.
Putin
può rassicurarsi che avrà relazioni con la Cina, l’Iran, il Pakistan e qualche
altro stato indifferente al rispetto del diritto internazionale e dei principi
dell’umanità, ma questo potrebbe non convincere gli imprenditori, gli atleti e
in generale la popolazione che pagherà il prezzo di questo isolamento.
L’indebolimento
economico della Russia è inevitabile, così come il suo isolamento politico
sulla scena internazionale. La Russia diventerà veramente uno stato paria.
5 – La
fine di Putin?
Quello
che questa guerra sta distruggendo è il futuro della Russia e il suo popolo lo
sa.
La
guerra in Ucraina produrrà un immenso malcontento in Russia, e quindi un
immenso problema per Putin che, come tutti i dittatori, teme prima di tutto il
suo popolo.
Prima di tutto, perché la guerra provocherà
migliaia di morti russi e decine di migliaia di famiglie e amici in lutto.
Le
autorità ucraine stanno giocando questa carta molto abilmente, istituendo una
hotline, un servizio di assistenza telefonica e un sito internet24 per le
famiglie dei soldati russi uccisi o catturati, e chiedendo al CICR di
rimpatriare i corpi in Russia.
Questa
pratica ha almeno due interessi: da un lato, aggira la censura russa, che non
informa le famiglie sulla sorte dei loro cari, in modo che la popolazione russa
prenda coscienza delle perdite e dei costi di questa guerra, ma anche delle
menzogne del loro governo, che cerca di nasconderla loro, il che dovrebbe
aumentare il loro risentimento e quindi le possibilità che si mobilitino.
D’altra
parte, è anche un guadagno d’immagine, poiché gli ucraini mostrano così che la
loro condotta è più umanitaria di quella dei russi che li attaccano comunque.
La
popolazione russa non capisce questa guerra e si oppone ad essa.
Appena
iniziata l’offensiva, sono state organizzate manifestazioni in tutto il paese.
I
cartelli “No alla guerra” sono apparsi ovunque, e i pochi media indipendenti
rimasti nel paese stanno mostrando la loro opposizione al conflitto e il loro
sostegno al popolo ucraino.
Un
collettivo di 664 ricercatori e scienziati russi ha denunciato la
responsabilità della Russia in una lettera aperta e ritiene che si sia
“condannata all’isolamento internazionale e a un destino di paese paria”.
Anche il consenso politico ha cominciato a
incrinarsi: il terzo giorno di guerra, un deputato della Duma che aveva votato
a favore del riconoscimento delle entità separatiste si é opposto
all’invasione.
In generale, la guerra sarà un catalizzatore
dell’opposizione russa.
In
contrasto con il sostegno popolare per l’annessione della Crimea e il sostegno
ai separatisti filorussi nel Donbass nel 2014 e negli anni successivi, la
guerra totale di Putin a tutta l’Ucraina, senza alcuna ragione, sta generando
incomprensione e proteste che cresceranno solo quando le forze russe
massacreranno i civili ucraini, ai quali la maggior parte dei russi si sente
piuttosto vicina, e quando questa carneficina avrà un impatto sul loro tenore
di vita.
La
popolazione russa è troppo repressa perché questo possa portare a grandi
rivolte – 1700 manifestanti sono stati arrestati in 42 città solo il 24
febbraio28 – e, consapevole del pericolo, il regime probabilmente aumenterà
ulteriormente la repressione interna.
Infatti, il 25 febbraio, l’ex presidente russo
Dmitry Medvedev ha proposto di approfittare dell’espulsione della Russia dal
Consiglio d’Europa per reintrodurre la pena di morte – un segnale alla
popolazione che, per assicurare la sua sopravvivenza, il regime è pronto a
prendere misure sempre più radicali.
Questo non farà che aggravare la situazione e
confermare che con questa guerra Putin ha probabilmente perso parte del
sostegno popolare che aveva costruito negli ultimi due decenni.
Più
preoccupante per lui è il malcontento dell’élite economica russa, che perderà
molto denaro a causa dell’avventurismo del presidente, che presenta un rischio
reale di frammentazione del regime che finora ha mantenuto sottili equilibri.
Con la
“sua” guerra, Putin si sta facendo nemici dall’interno, compresi oligarchi
molto potenti che pagheranno il prezzo dei suoi sogni di grandezza.
Il
risentimento e l’ostilità che genererà all’interno dell’élite russa costituisce
un rischio reale per la sua continuazione al potere nei prossimi mesi e anni.
Questa
guerra “di troppo” è il suo più grande errore di giudizio e potrebbe essere la
sua rovina.
Ecco
perché ho scritto che “minaccerà il suo stesso potere a Mosca” e che sarà
“l’inizio della fine” – della sua fine.
Lo
scenario peggiore.
Tutto
quanto sopra è solo uno scenario, e per giunta uno ottimistico, poiché
presuppone che la guerra rimanga limitata al territorio ucraino, il che non è
affatto certo.
Purtroppo c’è un’altra possibilità.
Vedendo
che ha sopravvalutato le sue forze in Ucraina e sottovalutato la reazione
internazionale, cioè che sta perdendo il controllo della situazione, Putin
potrebbe voler riprendere l’iniziativa con un’escalation.
Può
farlo in almeno tre modi:
Verso
la NATO, in un contesto di estrema tensione, attaccando uno stato membro e
accusandolo di fornire armi e/o intelligence, di proteggere il presidente
Zelensky e/o membri del suo governo, di un attacco inscenato – come parte di
un’operazione false flag – o attraverso un incidente di frontiera – per
esempio, al confine polacco attraverso il quale passano le armi – o attraverso
una schermaglia nei cieli o nel Mar Nero.
Se attacca uno stato membro, lo farà
segnalando la minaccia nucleare in modo abbastanza esplicito da mettere alla
prova la solidarietà dell’articolo.
Può
anche condurre un’escalation sul territorio ucraino, inizialmente ricorrendo a
bombardamenti massicci come menzionato sopra, ma anche come ultima risorsa
usando un’arma nucleare tattica, con il pretesto di rappresaglia contro un
attacco inscenato – Mosca sta già iniziando a diffondere la voce che gli
ucraini potrebbero far esplodere una ‘bomba sporca’ sul territorio russo.
Attraverso l’uso dell’arma nucleare, il
governo russo può anche usare le proprie armi nucleari per attaccare gli
ucraini.
Usando
armi nucleari contro l’Ucraina, Mosca segnalerebbe la sua intenzione di andare
“fino in fondo”, sperando di creare un effetto di stordimento e supponendo che
la NATO non oserà escalation.
Potrebbe
infine voler aprire un nuovo fronte, nei Balcani o altrove, non solo per
massimizzare le sue possibilità di vittoria allo stesso costo (se sente che le
sanzioni internazionali hanno già raggiunto il loro picco), ma anche per creare
un diversivo, cioè per coprire quello che sarà un fallimento relativo o
assoluto in Ucraina.
Tuttavia,
questa ipotesi si scontra con una realtà materiale e psicologica: visto il
costo umano e materiale della guerra in Ucraina, non è affatto certo che la
Russia abbia i mezzi per altre ambizioni, e soprattutto che i generali – alcuni
dei quali si diceva già non fossero favorevoli all’avventura ucraina –
seguiranno Putin altrove, il che non farebbe che aumentare la sua frustrazione.
Lo
scenario peggiore è improbabile ma non impossibile, così come in generale il
rischio di una grande guerra.
Poiché Putin è visibilmente chiuso in un
delirio paranoico e arrogante, nulla può essere escluso.
È anche in questo senso tragico che questo
potrebbe essere “l’inizio della fine”.
Le
Farine di Insetti.
Conoscenzealconfine.it
– (1° Febbraio 2023) - t.me/RadioGregInfo – ci dice:
Mi
sono deciso a scrivere perché ho la sensazione che pochi stiano davvero
comprendendo la manovra.
Hanno
“buttato un osso” e tutti, come cani arrabbiati, si sono gettati a discutere di
questo ma, secondo me, senza capire la reale manovra; provo a illustrarla.
Hanno
parlato di questi “animaletti”, ma ora emerge la vera ragione.
Cito
uno stralcio di un articolo dell’ottimo Giorgio Bianchi:
“Come
già anticipato, a partire dal 26 gennaio le larve di verme della farina minore
(Alphitobius diaperinus) possono essere commercializzate in tutti i Paesi
membri dell’Unione europea e saranno vendute surgelate, in pasta oppure
essiccate:
nemmeno
il tempo di arrivare sugli scaffali dei supermercati, tuttavia, che scatta già
l’allarme allergie e la raccomandazione per gli under 18 di non consumare cibi
da esse derivate.
L’Alphitobius
diaperinus è concretamente il quarto insetto a cui la Commissione europea ha
concesso di entrare nelle tavole dei cittadini, dopo le larve gialle, la
locusta migratoria e i grilli.
Una
decisione che ha creato forte dibattito tra chi continua a sostenere la tesi secondo
cui mangiare insetti aiuterebbe a combattere l’inquinamento ambientale e a
sfamare più persone in modo “sostenibile”, e chi ritiene che si tratti di un
vero e proprio orrore alimentare in grado di infliggere un duro colpo alla
cucina nostrana “.
Davvero
pensate che le grandi multinazionali alimentari “alleveranno insetti” e li
venderanno, congelate, in pasta o essiccate?
Non
avete idea dei costi di un simile processo; io SI… e anche LORO!
Tutta
questa manfrina serve a ben altro… e infine ce lo dicono:
“Alphitobius
diaperinus”, larve di verme della farina minore.
Per
lavoro ho avuto a che fare con diversi produttori di pasta, i quali mi hanno
spiegato come funzionano i meccanismi di approvvigionamento.
Se una partita di grano proveniente dal Canada
mostra muffe e funghi (tossici, alcuni letali), quel grano DOVREBBE essere
distrutto e non utilizzato per impieghi alimentari.
Un
doppio costo quindi: perdita della materia prima e smaltimento del rifiuto.
Cosa
fanno allora? Mischiano il grano con altro, fino a raggiungere una “soglia di
accettabilità”;
chiaramente,
diversi enti oscuri si impegnano a “ritoccare” i limiti di legge, così da
facilitare l’operazione.
CHIARO?
Ora,
per favore, vogliate comprendere che qui siamo di fronte allo stesso meccanismo:
grandi
partite di farina per uso alimentare SVILUPPANO VERMI (che poi divengono
farfalle);
a chi
non è successo di vederlo in casa propria?
Invece
di scartare la farina come “prodotto non idoneo all’uso alimentare umano”,
s’inventano l’arricchimento proteico!
In buona sostanza, vogliono rifilarvi un
prodotto marcio, compromesso e inutilizzabile, che le leggi attuali IMPONGONO
di non impiegare e smaltire come rifiuto.
Come
lo fanno? Decidendo, PER LEGGE, che quella merda è “arricchimento proteico”!
E voi…
giù a discutere di grilli e cavallette!
Poi,
quando fra qualche mese si vedrà che… niente cavallette e grilli negli
scaffali, qualche tonto esulterà pure, dicendo “abbiamo vinto noi”.
In
verità, vi starete già MANGIANDO QUELLA MERDA… ma nelle merendine, nel pane,
nella pasta e in ogni altro prodotto che includa le farine.
Questa
è la storia delle cavallette, nonché un ottimo esempio di come i “soliti noti”
manipolano con grandissima facilità le masse che, bisogna dirlo, non mostrano
particolare capacità intellettiva.
(t.me/RadioGregInfo).
"La
struttura per la sicurezza
europea è completamente in rovina"
swissinfo.ch
- Eva Hirschi – Henrik Larsen - (6-3-2022) – ci dicono:
La
Svizzera non fa parte della NATO: la sua neutralità glielo vieta.
Negli
ultimi decenni ha tuttavia stretto dei partenariati internazionali per
mantenere e promuovere la pace.
La guerra in Ucraina ha ora stravolto l'intera
politica di sicurezza.
Questo
contenuto è stato pubblicato il 06 marzo 2022.
Henrik
Larsen è direttore del Centro per gli studi di sicurezza (CSS) del Politecnico
federale di Zurigo.
Le sue ricerche si concentrano soprattutto
sulla NATO e sulla sicurezza transatlantica.
A colloquio
con SWI swissinfo.ch, l'esperto illustra la politica di sicurezza della
Svizzera negli ultimi decenni.
Prima
di lavorare al CSS, Henrik Larsen è stato consulente della delegazione UE in
Ucraina. zVg
SWI
swissinfo.ch: lunedì, il Governo svizzero ha deciso di adottare le sanzioni
contro la Russia.
È una decisione che l'ha sorpresa?
Henrik
Larsen:
No. La
Svizzera è da tempo uno Stato neutrale, ma quale sarebbe stata l'alternativa?
La Confederazione doveva forse rimanere
l'unico Stato della comunità occidentale che non aderiva alle sanzioni?
Una scelta simile poteva essere male
interpretata.
Si poteva essere tentati a pensare che la
Svizzera approvasse il comportamento della Russia.
La
Svizzera è integrata economicamente e culturalmente in Europa.
Inoltre, la Confederazione si adopera a favore
di relazioni pacifiche.
Per
questo motivo non può semplicemente rimanere alla finestra a guardare se un
Paese viola palesemente le leggi e le norme internazionali.
Ripercorriamo
la politica di sicurezza della Svizzera.
La
Confederazione non fa parte della NATO.
Dal
1996 partecipa però al Partenariato per la pace della NATO.
Come mai?
Alla
fine della Guerra fredda, la Svizzera voleva salvaguardare il suo statuto di
Paese neutrale, nello stesso tempo intendeva contribuire al mantenimento della
pace e alla creazione di una struttura di sicurezza globale, soprattutto per le
questioni di "soft security".
Per la Svizzera, il Partenariato con la NATO è
una sorta di strumento per fare osservare le norme internazionali.
La Confederazione non ha mai fornito sostegno
operativo.
Da
allora, com'è cambiato il rapporto tra Svizzera e NATO?
Gli
anni Novanta possono essere considerati un periodo d'oro.
Nell'ambito
del “Partenariato per la pace”, la Svizzera ha potuto difendere i suoi valori e
impegnarsi per il mantenimento della pace e dei diritti internazionali.
Con l'occupazione da parte della Russia di una
parte della Georgia nel 2008 e la susseguente guerra in Afghanistan, la NATO si
è concentrata sulla difesa territoriale.
Per la
Svizzera è stato più difficile mantenere una partnership forte con la NATO.
Infatti,
partecipare alle missioni della NATO significava diventare complice
dell'uccisione di esseri umani.
In
quanto Stato neutrale, la Confederazione se n'è guardata bene.
L'annessione
della Crimea da parte della Russia nel 2014 ha ridotto ulteriormente
l'importanza del partenariato NATO-Svizzera.
Tre
anni fa, in un articolo sosteneva che la Svizzera doveva riavvicinarsi alla
NATO. Perché?
A
cinque anni circa dall'annessione della Crimea, la situazione in Europa
sembrava più tranquilla e le priorità della NATO erano cambiate: l
a
presenza in Europa dell'Est era stata rafforzata e temi "soft" erano
al centro dell'attenzione, quali la sicurezza informatica, le nuove tecnologie
e la protezione delle infrastrutture.
La NATO era anche disposta ad allacciare nuove
partnership con Stati che non volevano unire questi temi alla difesa
collettiva.
Visti
i suoi valori e le interdipendenze economiche e sociali con i Paesi
occidentali, in quel momento era sensato pensare a un riavvicinamento della
Svizzera alla NATO per valutare altre possibilità di collaborazione.
Si
erano inoltre tenuti colloqui del gruppo informale formato dagli Stati
non-membri della NATO, ossia Austria, Svezia, Finlandia, Irlanda e Svizzera,
con la partecipazione occasione di Malta.
L'attenzione
era rivolta al "soft power".
Contenuto
esterno.Come
può la Svizzera partecipare alla politica di sicurezza europea e nello stesso
tempo salvaguardare il suo ruolo di mediatrice con Stati terzi?
La
NATO si augurava un sostegno maggiore da parte della Svizzera in materia di
sicurezza informatica.
Ora la
situazione è cambiata rispetto al 2014.
Allora,
l'annessione della Crimea alla Russia si era svolta in maniera quasi pacifica.
I
soldati russi non indossavano nemmeno un'uniforme.
Nel
2022 è tutto diverso: la Russia ha deciso di invadere uno Stato.
Sembra quasi che Vladimir Putin voglia ridare
vita all'antico impero russo.
Fintanto
che la Svizzera non è disposta a scendere in campo a favore di una difesa
territoriale, la NATO la considererà un partner secondario, non importante.
La
guerra in Ucraina altera la politica di sicurezza globale?
La
struttura per la sicurezza europea è completamente in rovina.
Tra le
nazioni non c'è più alcun equilibrio.
Gli
Stati occidentali non possono più fidarsi della Russia: tutte le menzogne e le
macchinazioni che hanno portato alla guerra in Ucraina hanno eroso quel poco di
fiducia che nutrivano in Putin.
Al momento non si può ancora fare una
previsione sulla politica di sicurezza dopo la guerra.
Anche
in Stati come la Finlandia o la Svezia ci si chiede se non sia giunto il
momento di entrare nella NATO.
Già
nel 2014 si erano espresse queste richieste, anche se erano meno insistenti.
Secondo
me è un passo molto rischioso perché non sappiamo come potrebbe reagire la
Russia.
Anche
se la retorica di Putin era più aggressiva, gli Stati Uniti si erano finora
concentrati piuttosto sull'Asia, visto che la Cina è il suo principale
concorrente.
Gli
USA vogliono naturalmente mantenere la NATO, ma spetta agli europei inviare le
loro truppe.
Da
soli, gli USA non scenderanno in campo con il loro esercito.
Cosa
significa sul lungo termine per la politica europea?
È
probabile che buona parte degli Stati chiedano un aumento della spesa a favore
degli armamenti e della difesa.
La Germania ha già preso una decisione in
questo senso.
Si
tratta di un cambiamento fondamentale della sua strategia, un cambio di rotta
che non si vedeva dai tempi della Guerra fredda.
La
Svizzera rischia molto con l'UE.
La
Svizzera porta avanti un pericoloso gioco di equilibrismo con l'UE dal quale
potrebbe uscire sconfitta.
Come
finirà la guerra in Ucraina?
Nel
peggiore dei casi, si giungerà a una guerra tra la NATO e la Russia, se
quest'ultima attaccherà gli Stati membri poiché hanno sostenuto militarmente
l'Ucraina.
La
Russia li ha già avvisati: le nazioni straniere che si immischiano nella guerra
dovranno pagarne le conseguenze.
Putin non esclude l'uso di armi atomiche.
Speriamo però che non si giunga a tanto.
L'altra
possibilità è che la Russia occupi l'Ucraina, o almeno Kiev, la parte orientale
e meridionale, mentre la parte ad occidente si separi dal resto del Paese.
Occupando
l'Ucraina, la Russia corre il rischio di essere confrontata con una forte
opposizione del popolo ucraino, sostenuto dall'Occidente.
La Russia è militarmente superiore, ma la
questione sarà se, in patria, riuscirà a sopportare il prezzo politico della
guerra.
Quale
effetto avranno le sanzioni economiche?
Al
momento hanno un grande effetto simbolico.
Tanto
più che la Svizzera ha aderito alle sanzioni.
Queste
sanzioni vogliono colpire l'economia russa e gli oligarchi affinché facciano
sentire il loro malcontento nei confronti del Cremlino, indebolendolo.
Le proteste a Mosca e il fatto che i primi
oligarchi hanno espresso il loro dissenso, evidenziano che non tutti sostengono
la decisione di Putin.
Inoltre,
l'Occidente sta cercando di sostenere militarmente e finanziariamente l'Ucraina
per aumentare i costi dell'invasione.
Più
danni causa questa guerra, meno popolare sarà il conflitto armato in Russia.
MICHAIL
GORBACIOV BOCCIO’
IL
PIANO SHATALIN DI “GEORGE
SOROS”:
CHI HA ROVINATO LA RUSSIA?
Libertates.com
- Alexander Bush – (14 Marzo, 2022) – ci dice:
Quando
Putin chiese a Boris Berezovskij di buttare giù una palazzina a Mosca: 3000
morti in una notte.
Le
minacce di Berezovskij a George Soros.
“Nel
suo discorso di guerra del 21 febbraio, Vladimir Putin ha fatto un’affermazione
che ha lasciato sbigottiti gli storici.
Ha
detto che “l’Ucraina contemporanea è stata completamente e
interamente
creata dalla Russia, per la precisione dalla Russia comunista e bolscevica.
Questo processo è iniziato quasi subito dopo
la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi compagni hanno agito in modo davvero
scorretto con la Russia, arraffandole e strappandole una parte dei suoi territori
storici” …
Ebbene,
evocando il 1917, il “professor” Putin “dimentica” che nel 1917 vi furono
due
rivoluzioni:
quella
democratica nel mese di febbraio e quella di ottobre che consentì a Lenin,
il 7
novembre, di creare il primo regime totalitario della Storia…”.
(Stéphane
Courtois, “Lenin, l’Ucraina e lo spettro di Orwell”)
“Ieri
ho visitato Mikhail Gorbaciov in ospedale, ha compiuto da poco 91 anni e non
sta bene, ma mi ha confermato che bisogna fare quanto possibile per fermare la
minaccia di una guerra nucleare”.
(Dmitrij
Muratov, vincitore del Premio Nobel per la pace 2021)
Il
mito dell’eziologia tanto cara a Sigmund Freud è insufficiente a comprendere la
realtà che è per sua natura ambigua e complessa;
non è
chiaro come mai Vladimir Putin si è scompensato, precipitando tra gli stati
misti: i più pericolosi, nella liaison tra i poli opposti della frustrazione e
dell’eccitazione.
Il
fantasma di Lenin si ripercuote sulla pace dell’Europa, che torna indietro di
ottanta anni:
la
principale responsabilità di questa tragedia che si consuma tra la distruzione
degli ospedali e degli asili a Kiev, è senza dubbio del contadino Michail
Gorbaciov.
Che
non ha dato retta a George Soros, privatizzando le terre.
Se
l’avesse fatto, Boris Eltsin non sarebbe andato al potere con il golpe del 1991.
È
l’ora più buia dal 1940 sullo sfondo del tramonto della civiltà occidentale
diagnosticato da Oswald Spengler;
l’aggressione
di Vladimir Putin all’Ucraina con il suo para delirante discorso del 21
febbraio 2021, in cui si identifica con Nicolay Vladimir Lenin tra l’altro
super contraddittoriamente come hanno rilevato gli analisti, rappresenta – come
ha scritto Maurizio Molinari nel suo editoriale “Assalto alla democrazia” –
la
“più grave crisi militare dalla fine della Seconda guerra mondiale e dimostra
che il presidente russo Vladimir Putin ha scelto di usare la forza delle armi
per poter ridefinire l’architettura della sicurezza europea, a scapito della
Nato, della Ue e più in generale delle democrazie”.
Per
Wolodymyr Zelensky, l’eroe della resistenza ucraina, Putin non si fermerà fino
a Berlino con la cattiveria antisociale di cui è capace quando si sente messo
all’angolo: e purtroppo, è assai verosimile che siamo già entrati nella III
guerra mondiale.
L’analista
polacco Zbgnew Brzezinsky, già presidente della Trilateral Commission e autore
del formidabile “Il grande fallimento – ascesa e caduta del comunismo nel XX
secolo” con prefazione di Sergio Romano, l’aveva detto a Euronews nel 2012: Putin vuole ricostituire l’Urss, e
l’aggressione all’Ucraina ne è la principale tappa.
Gli
oligarchi della onorata “societas scelerum” come Roman Abramovich, ex enfant
prodige del pericolosissimo Boris Berezovskij morto suicida il 24 marzo 2013 a
Londra senza aver realizzato la transizione da “capitalista di rapina” a
“capitalista legale” auspicata da George Soros e tutti gli altri degni complici
come Michail Khodorkovsky, sono costretti a scegliere il “laissez faire” di
Boris Johnson per sopravvivere, e a tradire lo zar Vladimir: meglio tardi che
mai.
Come è
stato possibile che uno psicopatico costituzionale alla Sam Giancana come il
mediocre Vladimir sia riuscito a mettere sotto scacco l’assetto securitario
dell’Europa e del mondo, con la minaccia di una ritorsione nucleare?
L’anomalia
Putin con la riduzione in miseria della Russia – ai livelli della disgregazione
dell’impero zarista dei Romanov pre-Rivoluzione – è il grande fallimento
dell’Occidente nei suoi rapporti con la Russia uscita dalla caduta del Muro di
Berlino nel novembre 1989 e dalla fine della guerra fredda: l
e
Amministrazioni Bush, Thatcher e Reagan non ascoltarono i consigli del
fondatore della “Opening Society Foundation” George Soros, che fu deriso
pubblicamente dal Ministro degli Esteri William Waldgrave per aver proposto il
coinvolgimento delle risorse dei bilanci pubblici occidentali nel nuovo Piano
Marshall a favore del New Deal capitalista della Russia e dell’Est Europa:
la
Iron Lady e Bush tra gli altri, erano contrari al deficit spending in soccorso
dei russi, che chiedevano di non essere abbandonati nella transizione storica
dalla “società chiusa” del socialismo reale alle società aperte dell’Occidente
– che non andava promossa solo con la retorica della libertà, ma anche con i
soldi;
ma
furono abbandonati proprio dai più devoti apologeti della libertà, schiavi
ideologicamente del cosiddetto “punto di equilibrio” dell’ordoliberalismo di
Milton Friedman che è la negazione estremistica del deficit spending (spesa in
deficit):
chiarissimo
è stato George Soros sul punto con il suo atto d’accusa “Chi ha rovinato la
Russia?”:
“Nel
1947, a seguito della devastazione prodotta dalla Seconda Guerra Mondiale, gli
Stati Uniti lanciarono lo storico piano Marshall con lo scopo di ricostruire
l’Europa;
un’iniziativa
dello stesso tipo, nell’epoca successiva al collasso del sistema sovietico, era
impensabile.
Proposi
qualcosa di simile in occasione di una conferenza tenutasi nel 1989 a Potsdam
(che allora faceva ancora parte della Germania orientale), ma fui letteralmente
additato al pubblico ludibrio, a cominciare da William Waldgrave, alto
funzionario del ministero degli Esteri di Margaret Thatcher.
La
Thatcher era una devota apologeta della libertà – ogni volta che ha visitato i
paesi comunisti ha insistito per incontrare i dissidenti –, ma l’idea che una
società aperta vada costruita e che la sua costruzione possa richiedere (e
meritare) un sostegno esterno esorbitava palesemente dalla sua comprensione.
Da
fondamentalista del mercato qual’ era, non aveva fiducia nell’intervento
governativo.
In effetti, si è lasciato che i paesi
comunisti si arrangiassero perlopiù da sé;
alcuni
ce l’hanno fatta, altri no”.
Intanto
Cosa Nostra russa metteva le sue radici a Mosca tra la seconda metà degli anni
Ottanta e l’inizio dei Novanta (lo sappiamo bene che la mafia si rafforza senza
il business);
un
ambizioso social climber senza un briciolo di originalità che proveniva dal
nulla e aveva fatto il funzionario del Kgb interiorizzando tutte le piccinerie
e le distorsioni piccoloborghesi del Comunismo, si alleava con la malavita
organizzata tra il riciclaggio di denaro sporco e la corruzione all’ombra di
uomini come Anatolij Aleksandrovic Sobcak, l’incarnazione dell’Homo Sovieticus
alla fine della guerra fredda come sindaco di San Pietroburgo, e professore
dello stesso Putin:
in
Italia abbiamo avuto Mario Chiesa al Pio Albergo Trivulzio, arrestato il 17
febbraio 1992, e tra l’altro i due un po’ si somigliano.
Il
documentario “Da zar a zar” di Andrea Purgatori su La 7 in contrapposizione
alla lettura apologetica del putinismo di Oliver Stone ricostruisce molto bene la carriera
criminale di Vladimir Putin nel crepuscolo della guerra fredda, membro di Cosa
Nostra russa che era e resta la principale nemica della Opening Society di
George Soros:
non a
caso lo stesso Putin si proclama oggi erede di Lenin.
Entrambi
avversano il capitalismo a favore della “società chiusa”, che è solo povertà,
miseria e uomini d’onore.
Ma
l’errore più grave è stato commesso da Michail Gorbaciov, il fautore di
“Glasnost e Perestrojka” – Liberalizzazione e Trasparenza – che ha consegnato
la Russia alla cleptocrazia di Eltsin e Putin, cioè Il Padrino al Cremlino:
poiché credeva di essere l’erede di Lenin, scegliendo l’ideologia sul
pragmatismo.
E vale
la pena di articolare una riflessione su questo punto, pubblicando ampi
passaggi dei diari di George Soros, che ha agito come market operator sui
mercati dell’Urss al tramonto e ha fondato la teoria della riflessività che lo
qualifica come erede di Adam Smith, più che di Karl Popper:
la
Società Aperta resta una delle grandi eredità del Novecento, ma è stata
ostruita nella sua potente azione di riforma dalla miopia ideologica del segretario
del Pcus che non volle occidentalizzare la Perestrojka, ma si innamorò
dell’idea di ripetere la Nep di Lenin, all’interno del socialismo dal volto
umano.
Un
errore tragico: il dirigismo è intrinsecamente fallimentare.
Come
ha scritto molto correttamente Marcello Flores nel capitolo “La fine dell’Urss
e la storia del comunismo” del libro “Urss addio” a cura di Antonio Curati,
“Nell’autunno del 1987, in occasione del settantesimo anniversario della
rivoluzione d’Ottobre, due anni e mezzo dopo essere stato nominato segretario
generale del Pcus e due anni prima del crollo del Muro di Berlino, Michail
Gorbaciov introduceva il suo discorso richiamando le “lezioni istruttive” di
quell’evento, prime fra tutte “l’opzione socialista” e la linea strategica di
Lenin, di cui ricordava con particolare enfasi la “Nuova politica economica”,
ammonendo però a non equipararla a “ciò che stiamo facendo oggi”.
Gorbaciov
ricordava anche il cambiamento radicale prodotto dalla collettivizzazione, che
aveva creato la base per modernizzare il settore agrario liberando una parte importante della
forza lavoro necessaria all’edificazione socialista, ma puntualizzava i limiti
di quell’esperienza nel frenare il progresso della democrazia socialista”:
questa
analisi tecnicamente errata elogiava il principio del collettivismo dirigista
delle terre, pur denunciandone gli eccessi (quando invece fu un disastroso
fallimento di Nicolay Vladimir Lenin) ed appare eziologicamente connessa alla
bocciatura del meraviglioso “Piano Shatalin” da 500 miliardi di dollari:
infatti Marcello Flores, notava bene:
“Riformare
il comunismo nel solco di Lenin e andando oltre: questo il messaggio che il
segretario generale lanciava innanzitutto al Pcus e al popolo sovietico in un
momento cruciale della propria proposta politico-strategica, fondata sui due
pilastri della perestrojka (la ristrutturazione dell’economia e dello Stato) e
della glasnost (la trasparenza e l’ampliamento degli spazi pubblici di
libertà…”; Gorbaciov
avrebbe dovuto abbandonare il tracciato di Lenin, per diventare un vero leader
occidentale – anziché riformare il comunismo nel solco di Lenin.
“Le idee hanno conseguenze”: come
diceva Friedrich Hayek, e la distorsione dell’ideologia è di riprogettare la
realtà senza tenerne conto.
Con il
risultato oggettivo di aver favorito ancorché involontariamente la mafia di
Boris Berezovskij e Anatolij Sobcak, che dalla mancata americanizzazione della
Perestrojka ha tratto linfa per nutrire il suo durty business basato sul
capitalismo senza mercato all’interno di un ambiente criminogeno e illegale.
Soros,
versato nel polytropos delle attività – filosofo, uomo d’affari, scrittore,
filantropo, fondatore delle Fondazioni per la Società Aperta e teorico della
riflessività (“Essere molte cose significa essere nessuno: lo ha detto Kant”,
come dice un attore di Relazione intima) – non è stato ascoltato né da Gorbaciov
né dai leaders della rivoluzione neoliberista dei Chicago Boys; ecco i passaggi
decisivi del suo libro The Opening Society, alla voce “Chi ha rovinato la
Russia?”.
Una
preziosa lezione per i posteri, mentre siamo a un centimetro dall’apocalisse come dice
Massimo Cacciari:
“Chi
ha rovinato la Russia? –
… Le
società aperte dell’Occidente non credevano nella società aperta come idea
universale, la cui realizzazione giustificherebbe uno sforzo notevole:
questo
è stato il mio più grande errore di valutazione, oltre che la mia più cocente
delusione.
Ero
stato tratto in inganno dalla retorica della guerra fredda.
L’Occidente
era disposto a promuovere la transizione solo a parole, non con i soldi; e
qualsiasi aiuto o consiglio fornito era fuorviato dall’ottica distorta del
fondamentalismo del mercato.
I sovietici e poi i russi erano ben disposti
verso i consigli provenienti dall’esterno; anzi, li bramavano addirittura.
Si
erano accorti che il loro sistema era marcio, e tendevano ad adorare
l’Occidente.
Ahimè,
hanno commesso il mio stesso errore: hanno presunto che l’Occidente si sarebbe
impegnato davvero.
Avevo
costituito la mia prima Fondazione in Unione Sovietica nel 1987.
Quando
Michail Gorbaciov raggiunse telefonicamente Andrej Sacharov nel suo esilio di
Gor ’Kij e gli chiese di “riprendere le sue attività patriottiche a Mosca”, mi
accorsi che un mutamento rivoluzionario era in fieri.
In altra sede ho descritto le mie esperienze
in quella fase.
Quel
che qui conta è che nel 1988 proposi di costituire una task force
internazionale che mettesse allo studio la creazione di un “settore aperto” in
seno all’economia sovietica e, non senza meraviglia – non ero che un oscuro
gestore di fondi, allora – appresi che i funzionari sovietici avevano accettato
la mia proposta.
L’idea
era di creare un settore di mercato all’interno dell’economia dirigistica,
scegliendo una branca industriale, come poteva essere quella alimentare, che
vendesse i prodotti ai consumatori ai prezzi di mercato anziché a quelli
imposti (con un adeguato sistema per passare dai prezzi imposti a quelli di
mercato).
Questo
settore aperto poteva poi essere gradualmente ampliato.
Fu
presto chiaro che l’idea non era praticabile, perché l’economia dirigistica era
troppo malata per alimentare l’embrione di un’economia di mercato:
il problema del trapasso fra i sistemi di
prezzi era irresolubile.
Ma persino un’idea tanto balzana, e
proveniente da una fonte così trascurabile, ha trovato appoggio ai più alti
livelli:
il
primo ministro Nikolai Ryzhkov ordinò ai vertici delle principali istituzioni
sovietiche (Gosplan, Gosnab, ecc.) di collaborare.
È pur
vero che io riuscii a coinvolgere, da parte occidentale, economisti come
Wassily Leontief e Romano Prodi.
Più
tardi ho messo insieme un gruppo di esperti occidentali che hanno fatto
consulenze a gruppi di economisti russi che stavano redigendo programmi di
riforma in senso concorrenziale.
Poi ho
fatto in modo che gli autori della principale proposta di riforma economica
russa (il cosiddetto piano Shatalin), guidati da Grigory Yavlinsky, fossero
invitati a Washington per partecipare alla riunione del 1990 del Fondo
Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Gorbaciov
era titubante sul piano e infine lo ha bocciato, particolarmente in merito a
due questioni:
la privatizzazione della terra e la
dissoluzione dell’Unione Sovietica parallelamente alla formazione di una unione
economica.
Continuo a pensare che il piano Shatalin avrebbe
prodotto una transizione più ordinata rispetto all’attuale stato di cose.
Poco
dopo che Gorbaciov ha perduto il potere l’Unione Sovietica si è disgregata, e
Boris Eltsin è diventato presidente della Russia (colpo di Stato del 1991,
ndr).
Eltsin
affidò l’economia a Egor Gajdar, allora a capo di un istituto di ricerche
economiche, e che aveva studiato macroeconomia sul classico manuale di Rudi
Dornbusch e Stan Fischer.
Gajdar tentò di applicare le norme della
teoria monetaria a un’economia che non obbediva ai segnali monetari.
Le imprese di Stato stavano continuando a
produrre sulla base della pianificazione di Stato, anche se non venivano più
pagate per farlo.
Mi
ricordo di aver chiamato Gajdar nell’aprile del 1992, per fargli notare che
l’indebitamento tra le imprese stava crescendo fino a raggiungere un ammontare
a un terzo del PIL; egli riconobbe il problema, ma continuò come se niente
fosse.
L’uscita
di scena di Gajdar è stata seguita da un difficile numero acrobatico;
alla fine è emerso come vice primo ministro
responsabile dell’economia Anatolij Chubais, che proveniva da un altro istituto
di ricerche.
La
priorità di Chubais è stata il trasferimento delle proprietà dallo Stato ai
privati.
Chubais
era convinto che una volta che le proprietà statali fossero passate in mano ai
privati, i nuovi proprietari avrebbero cominciato a proteggere i propri beni e
il processo di disintegrazione si sarebbe arrestato.
Non è andata così.
Un
piano di distribuzione dei buoni che davano ai cittadini il diritto di
acquistare quote delle società di proprietà statale è sfociato in una corsa
selvaggia ad arraffare il patrimonio di Stato.
I dirigenti “politici” delle società in
questione ne hanno preso il controllo, defraudando dei buoni i lavoratori, o
accaparrandosi le quote per pochi soldi.
Hanno
continuato a stornare gli utili, e sovente gli stessi patrimoni, in holding
finanziarie con base a Cipro:
in
parte per evitare le tasse, in parte per pagare le quote che avevano rilevato,
in parte per costituirsi un patrimonio all’estero (non essendo per nulla
rassicurati da ciò che stava succedendo in patria).
Le
fortune nascevano dalla sera alla mattina, nonostante l’estrema scarsità di
denaro e di credito, sia in rubli sia in dollari.
Da
questa situazione caotica ha cominciato a emergere l’abbozzo di un nuovo ordine
economico.
Si
trattava di una forma di capitalismo, ma molto particolare, ed è sorta con un
procedimento diverso da quello che ci si sarebbe potuti aspettare in condizioni
normali.
La
prima privatizzazione è stata quella della Pubblica sicurezza, e per certi
versi è stata la più riuscita:
il
potere è andato a una miriade di eserciti privati e di mafie costituitasi nel
frattempo.
I
gruppi dirigenti delle imprese di Stato hanno creato società private
specialmente a Cipro, che stipulavano contratti con le imprese statali ex
sovietiche.
Le
loro fabbriche funzionavano in perdita, non pagavano le tasse e sono andate in
arretrato con i pagamenti dei salari e con il saldo dei debiti verso altre
imprese.
Il contante ricavato dalle operazioni veniva
spedito a Cipro.
Sono state così formate delle nuove banche – parte da
banche di proprietà dello Stato, parte da gruppi capitalistici emergenti.
Alcune
banche hanno fatto fortuna gestendo i conti di vari enti statali, compreso il
Tesoro russo.
Poi,
parallelamente al succitato piano di privatizzazione tramite distribuzione dei
buoni, è nato un mercato azionario, prima ancora che venissero istituiti i
registri dei titoli e i meccanismi di compensazione necessari, e molto prima
che le imprese, le cui azioni venivano scambiate, cominciassero a comportarsi
da società di capitali.
I proventi del piano-buoni non sono affluiti
né allo Stato né alle stesse società.
I dirigenti hanno dovuto per prima cosa,
consolidare il proprio controllo e onorare i debiti che avevano contratto
durante il processo di acquisizione dei pacchetti di controllo;
solo
in un secondo momento hanno potuto creare utili a beneficio delle loro società,
e anche allora ai dirigenti conveniva nascondere gli utili, anziché
pubblicarli, a meno che non potessero sperare di raccogliere capitali vendendo
azioni.
Ma
solo pochissime imprese hanno raggiunto questa fase.
Un quadro del genere si potrebbe giustamente
descrivere come “capitalismo di rapina”, perché il modo più efficace per
accumulare capitali privati partendo quasi da zero era appropriarsi del
patrimonio dello Stato.
Naturalmente,
vi sono state delle eccezioni. In un’economia priva (nonché assai bisognosa) di
servizi e di assistenza, era possibile fare soldi in modo più o meno legittimo
fornendo quei servizi; per esempio, con attività di restauro e ristoranti.
L’aiuto
estero è stato per la gran parte all’iniziativa di due istituzioni finanziarie
internazionali (il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale), perché
i paesi occidentali non erano disposti a prelevare denaro dai propri bilanci.
Mi
sono opposto a questo sistema, sulla base del fatto che il Fondo è
istituzionalmente inadatto al compito:
esso
agisce facendo sottoscrivere ai governi una lettera di intenti in cui essi
promettono di rispettare certe condizioni nell’amministrare la stabilità della
moneta e il bilancio statale (oltre ad aderire ad altre richieste), e sospende
i pagamenti se un governo non soddisfa le condizioni poste.
Nel
caso di paesi con governi deboli e inefficienti questo metodo è quasi una
garanzia che il programma fallirà, e in Russia è puntualmente accaduto.
Il governo centrale era incapace di riscuotere
le imposte, e l’unico modo per tenere sotto controllo la massa monetaria
consisteva nel sottrarsi agli obblighi di bilancio.
Gli
arretrati nel pagamento degli stipendi e i debiti tra le imprese si sono
accumulati fino a raggiungere livelli inimmaginabili.
Allora sostenni che c’era bisogno di un
approccio più diretto e invadente, che a quell’epoca sarebbe stato accettato di
tutto cuore.
Tuttavia,
esso avrebbe richiesto lo stanziamento di soldi veri, e di fronte a tale
prospettiva le democrazie occidentali si ritrassero.
Quando
il Fondo Monetario Internazionale ha accordato un prestito di 15 milioni di
dollari alla Russia io ho sostenuto, in un articolo pubblicato sul “Wall Street
Journal” dell’11 novembre 1992, che quel denaro si sarebbe dovuto destinare
alle indennità della previdenza sociale, e che si sarebbe dovuto monitorare
minuziosamente l’erogazione dei fondi.
A
causa della svalutazione del rublo gli assegni pensionistici ammontavano a soli
otto dollari al mese, quindi il denaro sarebbe stato sufficiente per pagare
tutte le pensioni.
La mia proposta non ha ricevuto una seria
considerazione, perché non era conforme al modus operandi del Fondo.
Così mi sono dato da fare per dimostrare che
l’assistenza estera poteva essere efficace.
Ho
istituito la “International Science Foundation” con una sovvenzione di cento
milioni di dollari (l’esborso finale ha toccato i centoquaranta milioni).
Il
nostro primo atto fu la distribuzione di cinquecento dollari a testa a circa
quarantamila scienziati di punta russi, nella speranza che ciò li avrebbe
incentivati a rimanere in patria e proseguire il proprio lavoro.
Ciò è
costato solo venti milioni di dollari, e per un anno ha dato da vivere a quegli
scienziati.
I
criteri per la scelta dei destinatari erano aperti, trasparenti e oggettivi:
il
candidato doveva aver pubblicato almeno tre articoli sulle più importanti
riviste scientifiche.
In pochi mesi, e con una spesa aggiuntiva
inferiore al dieci per cento, abbiamo portato a termine la distribuzione della
somma, e il piano ha garantito pagamenti in dollari a ciascuno dei destinatari,
che erano sparsi per tutto il territorio ex sovietico.
A
dimostrazione che la mia proposta di controllare l’erogazione dei fondi era
perfettamente praticabile.
Il
denaro residuo è stato speso per ottenere la ricerca sulla base di uno
scrupoloso processo di selezione dei progetti, organizzato a livello
internazionale, al quale hanno partecipato i più famosi scienziati del mondo
(Boris Berezovskij, che poi è diventato un infame oligarca, ha erogato un
milione e mezzo di dollari in borse di studio all’estero, per ragioni sue.
Questo è stato l’unico contributo russo).
Tutti
i fondi sono stati assegnati in meno di due anni.
Le
ragioni per cui ho finanziato gli scienziati sono complesse.
Volevo
dimostrare che l’assistenza estera poteva andare a buon fine, e ho scelto come
terreno di prova la scienza perché potevo contare sulla collaborazione di
diversi esponenti della comunità scientifica internazionale, disposti a
spendere tempo ed energie per valutare progetti di ricerca.
Ma il
meccanismo per la distribuzione degli aiuti urgenti avrebbe potuto funzionare
altrettanto bene anche per i pensionati.
C’erano
poi altri argomenti a favore dell’aiuto agli scienziati.
Durante
il regime sovietico molti dei migliori cervelli erano entrati negli istituti di
ricerca, dove il pensiero indipendente era più tollerato che nel resto
dell’apparato di regime;
essi hanno partorito una produzione
scientifica annoverabile fra i punti massimi raggiunti dall’umanità.
Avevano
una predisposizione alquanto diversa della scienza occidentale: più astratta e
meno avanzata tecnologicamente, salvo per pochi settori privilegiati.
Gli
scienziati erano inoltre in prima linea nell’opera di riforma politica.
Andrej
Sacharov era particolarmente noto e ammirato, ma ce n’erano molti altri. Per giunta, esisteva il pericolo che
gli scienziati atomici venissero allettati (e ingaggiati) da Stati criminali.
L’impresa
si è rivelata un successo clamoroso su tutta la linea, e ha conferito alla mia
fondazione una reputazione inattaccabile.
Abbiamo
altresì subìto molti attacchi, perché ci siamo impegnati in programmi su cui
era facile alimentare polemiche.
Per
esempio, abbiamo indetto un concorso per nuovi libri di testo liberi
dall’ideologia marxista-leninista, e siamo stati accusati di avvelenare le
menti degli studenti.
La Duma ha condotto indagini conoscitive sulla
base di accuse secondo le quali stavamo comprando segreti scientifici a buon
mercato, benché tutta la ricerca finanziata dalla fondazione fosse
obbligatoriamente destinata alla pubblicazione e fosse di dominio pubblico.
La
comunità scientifica al completo si levò in nostro sostegno, e così la Duma
finì per approvare una mozione di ringraziamento.
Quindi,
quando affermo che la storia avrebbe preso un’altra direzione se le democrazie
occidentali fossero andate in soccorso della Russia dopo il collasso
dell’impero sovietico, parlo sulla base di un’esperienza concreta.
Immaginate
quanto sarebbe diverso oggi il sentimento dei russi nei confronti
dell’Occidente se il Fondo Monetario Internazionale avesse pagato loro le
pensioni quando erano quasi alla fame.
Mi
sono astenuto dall’investire in Russia, in parte per evitare qualsiasi problema
di conflitto di interessi, ma soprattutto perché ciò che vedevo non mi piaceva.
Non ho peraltro interferito con i gestori del
mio fondo, che volevano investire, e ho anche approvato la nostra partecipazione
a un fondo d’investimenti a gestione russa su un piano di parità con altri
investitori occidentali.
Nel
gennaio del 1996 ho partecipato al forum mondiale dell’economia, a Davos, nel
corso del quale il candidato comunista alla presidenza, Gennadi Zyuganov, ha
ricevuto una buona accoglienza dal mondo degli affari.
Incontrai
Boris Berezovskij e gli dissi che, se fosse stato eletto Zyuganov, lui si
sarebbe ritrovato a penzolare da un lampione.
Volevo
che Berezovskij sostenesse Grigorij Javlinskij, che tra tutti i candidati
consideravo l’unico genuino riformatore; ma sono stato un ingenuo.
Non
avevo capito fino a che punto Berezovskij era coinvolto in loschi affari con la
famiglia Eltsin.
Stando
a quanto dichiarò pubblicamente, il mio monito riguardo alla sua sicurezza
personale gli aveva chiarito le idee.
Si
incontrò con gli altri uomini d’affari russi che presenziavano alla conferenza
di Davos, e insieme formarono un cartello per favorire la rielezione di Eltsin.
È così
che sono diventati gli oligarchi.
Si è
trattato di un atto di ingegneria politica davvero notevole:
Eltsin partiva da una base di sostegno
popolare inferiore al dieci per cento, e sono riusciti a farlo rieleggere.
La
campagna è stata orchestrata da Anatoly Chubais.
Non
sono a conoscenza dei dettagli, ma li posso immaginare.
Quando
uno dei collaboratori di Chubais è stato arrestato mentre usciva dalla “Casa
Bianca” russa – il quartier generale del primo ministro e del suo gabinetto –
con circa duecentomila dollari in una valigetta, ero sicuro che non si
trattasse di uno scherzo.
Gli oligarchi hanno estorto una ingente
ricompensa, in cambio del sostegno a Eltsin.
Hanno ricevuto azioni delle imprese statali
più pregiate come garanzia dei prestiti concessi per rimpinguare il bilancio
statale, in uno scellerato progetto “prestiti contro azioni”.
Dopo
che Eltsin ha vinto le elezioni, queste imprese sono state messe all’asta, e
gli oligarchi se le sono spartite.
Conosco
bene Chubais.
Secondo
me è un sincero riformatore che ha venduto l’anima al diavolo per combattere
quella che definiva la “minaccia rosso-bruna”, cioè una combinazione di
socialismo e nazionalismo…”.
COME
OPERAVANO GLI OLIGARCHI.
C’è un
passaggio molto importante dei diari di George Soros, che è stato oggetto di
una grave manipolazione menzognera da parte del sociologo Pino Arlacchi nel suo
dossier “L’inganno
Khodorkovsky” – che tra l’altro scopiazza lo stesso Soros – pubblicato su l’Unità nel
dicembre del 2013, per legittimare la falsa credenza che Soros partecipasse agli
affari sporchi di Berezovskij: quando tale asserzione è intollerabile:
“… E’
in questo scenario che nel 1997 ho deciso di partecipare all’asta dello
Svyazinvest, la holding di Stato della telefonia.
Non è
stata una decisione facile, poiché ero fin troppo conscio della dilagante
corruzione russa.
Sarebbe
stato più semplice lavarmene le mani dedicandomi solo alla filantropia, ma mi
pareva che la Russia avesse maggiormente bisogno di investimenti esteri. Se la Russia non fosse riuscita a
passare dal capitalismo di rapina a quello legale, tutta la mia filantropia
sarebbe stata vana.
Così
ho deciso di partecipare a una delle offerte per aggiudicarsi la Svyazinvest,
che è poi risultata quella vincente.
Fu la
prima vera vendita all’asta in cui lo Stato non venisse bidonato.
Nonostante
avessimo pagato un prezzo onesto (poco meno di due miliardi di dollari,
prelevati per metà dal mio fondo), calcolai che si sarebbe dimostrato un
investimento assai remunerativo, qualora fosse avvenuta la transizione al
capitalismo legale.
Purtroppo
non è stato così.
L’asta ha innescato una dura e prolungata lotta
fra gli oligarchi, una sorta di rissa fra ladri.
Alcuni
di essi non vedevano l’ora di compiere la transizione a un capitalismo legale,
altri puntavano i piedi perché sapevano di essere incapaci di operare nel
rispetto delle leggi.
Il più
importante oppositore dell’asta e del suo esito è stato Boris Berezovskij: dopo
che la cordata dei suoi sodali ha permesso, si è dedicato alla distruzione di
Chubais.
Ho
avuto spesso discussioni molto franche con Berezovskij, senza riuscire a
dissuaderlo.
Era un
uomo ricco, un miliardario (almeno sulla carta): la sua più grande proprietà
era la Sibneft,
una delle
maggiori compagnie petrolifere del mondo.
Tutto
ciò che doveva fare era consolidare la propria posizione: se non poteva farlo
da sé, che si rivolgesse a una investment bank.
Mi
rispondeva che non avevo capito nulla: la questione non verteva su quanto egli
fosse ricco, ma su come avrebbe tenuto testa a Chubais e agli altri oligarchi.
Quelli
avevano fatto un patto, e dovevano rispettarlo.
Doveva
distruggerli, o ne sarebbe stato distrutto.
Stavo
assistendo, a distanza ravvicinata, a uno spettacolo storico stupefacente:
dei potenti oligarchi cercavano di ribaltare
non solo i risultati dell’asta, ma l’intero tentativo del governo di tenerli a
freno.
Mi
sembrava di vedere delle persone che si azzuffano a bordo di una zattera che la
corrente trascina verso le cateratte.
Nel quadro della campagna di accuse e
controaccuse, Berezovskij rivelò che Chubais aveva ottenuto novantamila dollari
nella forma di un artato anticipo per un suo libro (era in realtà l’altra
tranche del pagamento degli oligarchi per i suoi servigi come campaign manager
di Eltsin).
Chubais
è stato così indebolito e disturbato, costretto a investire tutte le sue
energie per difendersi.
Il
gettito fiscale è calato, poiché il suo intervento personale era necessario affinché
si procedesse all’esazione delle imposte.
Nel
1998, proprio quando hanno cominciato a farsi sentire le ripercussioni della
crisi asiatica, l’economia russa ha registrato un pericoloso ribasso, culminato
nell’agosto 1998 con il venir meno della Russia al rimborso del debito interno,
che ha fatto tremare i mercati finanziari di tutto il mondo”.
IL
FALLIMENTO DI SOROS, IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE E PUTIN.
Mentre
chi scrive reitera al computer i passaggi più significativi di una parte dei
diari di George Soros – la cui magnifica razionalità ebraica non è possibile
eguagliare, ma si ammirare – non si può non aprire e chiudere una breve
parentesi sulla tesi tanto cara a Piero Ottone:
il fallimento di Soros con la Russia è legato anche al
tramonto dell’Occidente secondo Oswald Spengler, nel pessimo spettacolo dato
dagli esponenti dei governi del G7 nell’agosto del 1997: contattati telefonicamente da
George Soros per la grave crisi finanziaria della Russia, erano tutti
irreperibili perché in vacanza!
Una
classe dirigente al mare: ecco ai lettori un indizio probante del declino della
civiltà occidentale, che per l’autore del presente dossier è un dato oggettivo
e si suggerisce la lettura dell’opera “Il tramonto della nostra civiltà” edito
da Mondadori a cura di Piero Ottone:
“Venerdì
7 agosto (1997, ndr) ho telefonato ad Anatolij Chubais, che era in vacanza, e a
Egor Gajdar, rimasto a “badare a bottega”.
Ho detto loro che a mio parere la situazione
era giunta allo stadio terminale, e che il governo non sarebbe riuscito a
rinnovare i propri debiti dopo settembre anche se fosse stata versata la
seconda tranche del prestito del Fondo Monetario Internazionale.
Ad aggravare
la situazione, il governo ucraino era sull’orlo della bancarotta perché un
prestito da 450 milioni di dollari ottenuto con la mediazione della Nomura
Securities, scadeva il martedì successivo.
Viste
le circostanze, non potevo pensare di partecipare a un prestito-ponte: il
rischio di insolvenza era troppo elevato.
Ai
miei occhi c’era una sola via d’uscita:
costituire
un consorzio abbastanza numeroso da coprire le esigenze del governo russo fino
alla fine dell’anno.
Il gruppo Svyazinvest poteva partecipare,
poniamo, con circa 500 milioni di dollari, ma il settore privato da solo non
sarebbe stato sufficiente.
Ho
chiesto quanto occorreva, e Gajdar mi ha risposto: sette miliardi di dollari.
Questo
presupponeva che la Sberbank – l’unica banca dove i depositi dei risparmiatori erano
ingenti – riuscisse a rinnovare i suoi crediti.
Per il
momento i risparmiatori non erano ancora giunti a ritirare in massa i propositi
delle banche.
“Ciò
significa” dissi, “che il consorzio dovrà essere costituito con dieci miliardi
di dollari, in modo da ristabilire la fiducia dell’opinione pubblica.”.
Una
metà avrebbe dovuto venire da fonti governative straniere, come l’ “Exchange
Stabilization Fund”, controllato dal Tesoro americano, e l’altra metà dal
settore privato.
Il
consorzio sarebbe diventato operativo a settembre, quando fosse stata versata
la seconda tranche del prestito del Fondo Monetario Internazionale.
Avrebbe
sottoscritto dei GKO a un anno cominciando, poniamo, al 35 per cento e
scendendo gradualmente fino, per esempio, al 25 per cento (il tasso annuale è
attorno al 90 per cento).
Il
programma sarebbe stato annunciato anticipatamente, e ciò avrebbe attirato
qualche compratore pubblico:
investire al 35 per cento sarebbe stato
sensato, con in atto un programma credibile di ridurre il tasso al 25 per cento
entro la fine dell’anno.
Se
l’operazione fosse andata in porto, soltanto una piccola porzione dei dieci
miliardi di dollari sarebbe stata usata.
Sarebbe
stato difficile mettere insieme la componente pubblica e quella privata, ma ero
disposto a tentare.
Comprensibilmente,
Gajdar si mostrò entusiasta.
A quel
punto ho telefonato a David Lipton, sottosegretario del Tesoro USA responsabile
degli affari internazionali.
Lipton era perfettamente al corrente del
problema, ma non aveva minimamente pensato di utilizzare l’ “Exchange
Stabilization Fund”.
Il
Congresso si mostrava fortemente contrario a qualsiasi operazione di
salvataggio.
Io ho
ribattuto che lo sapevo, ma non vedevo alternative: era scoppiato il panico, e
rientrava nei nostri interessi nazionali appoggiare a Mosca un governo di
orientamento riformatore.
Una
partecipazione privata avrebbe reso il salvataggio politicamente più
digeribile.
Tuttavia,
sarebbe stato necessario che il piano di emergenza venisse difeso dai russi
presso i membri del Congresso americano… In un abboccamento con il segretario
del Tesoro (Robert, ndr) Rubin ho sottolineato l’urgenza della situazione.
Ne era
perfettamente consapevole, ma i suoi timori non erano condivisi dagli altri
governi del G – 7, i cui membri, durante le vacanze, erano per lo più,
irraggiungibili.
L’evoluzione
politica e sociale della Russia è stata assai meno soddisfacente.
La famiglia
Eltsin, consigliata da Boris Berezovskij, si è data alla ricerca di un
successore che la proteggesse da eventuali procedimenti giudiziari dopo le
elezioni presidenziali.
Alla
fine l’hanno trovato nella persona di Vladimir Putin, direttore del Servizio di
sicurezza federale. N
ell’estate
del 1999 egli è stato nominato primo ministro e scelto come candidato di Eltsin
alla presidenza.
Era in
corso una recrudescenza del terrorismo ceceno.
Quando
Shamil Basayev, un leader della guerriglia cecena, ha invaso il confinante
Dagestan, Putin ha reagito con vigore.
Le
forze di sicurezza russe hanno attaccato i ceceni e Putin ha lanciato un
ultimatum, annunciando che il Dagestan sarebbe stato ripulito dai terroristi
ceceni entro il 25 agosto.
La data è stata rispettata.
La
popolazione russa ha reagito con entusiasmo per il modo in cui Putin ha
trattato la situazione, e la sua popolarità è aumentata a dismisura.
Successivamente
a Mosca una serie di misteriose esplosioni ha distrutto interi condomìni,
uccidendo nel sonno circa tremila persone.
Nel
panico che è seguito la paura e la rabbia si sono riversate contro i ceceni,
con l’aiuto di una campagna accortamente orchestrata sui giornali e le
televisioni.
Putin
ha invaso la Cecenia e le elezioni per la Duma si sono tenute in un’atmosfera
di isteria bellica.
Pochissimi
candidati hanno osato dichiararsi contrari all’invasione.
Grigorij
Javlinskij è stato uno di quei pochi.
Ha sostenuto la campagna antiterrorismo in
Dagestan, ma non è arrivato al punto di avallare la vera e propria invasione
della Cecenia.
La
popolarità del suo partito (lo Yabloco) è precipitata di colpo, ed esso ha
raggiunto a malapena la soglia del 5 per cento necessaria per entrare nella
Duma…
Sullo
slancio della vittoria elettorale alla Duma l’ultimo dell’anno Eltsin ha
annunciato le proprie dimissioni, mettendo praticamente al sicuro l’elezione di
Putin come suo successore.
Primakov
ha ritirato la propria candidatura.
La
fenomenale ascesa dal nulla di Putin presenta una sinistra somiglianza con le
trame che hanno assicurato la rielezione di Eltsin nel 1996.
L’esperienza
di lunga data che ho dei sistemi di Berezovskij mi induce a riconoscere la sua
mano in entrambe le operazioni.
L’ho incontrato per la prima volta in
occasione della sua donazione di un milione e mezzo di dollari all’”International
Science Foundation”, quando il direttore esecutivo della fondazione, Alex
Goldfarb, ci ha presentati.
Ho già
descritto la nostra ben nota conversazione a Davos;
in
seguito, Berezovskij ha affermato che è stata quella conversazione a indurlo a
costituire un consorzio per la rielezione di Eltsin.
Nel
corso del 1997 abbiamo avuto parecchie discussioni molto schiette sulla
campagna elettorale; sono riuscito a capire come agisce.
In
seguito ci siamo trovati su fronti opposti in occasione dell’asta di
Svyazinvest, ma non abbiamo smesso di dialogare.
Ho tentato di trasformarlo da capitalista di rapina in
capitalista legale; lui ha provato a usarmi nella sua campagna per la
presidenza di Gazprom, di gran lunga la massima entità economica russa.
Nel
giugno 1997 mi ha invitato a Sochi a far visita a Viktor Cernomyrdin, che aveva
presieduto la Gazprom prima di diventare primo ministro, e poi mi ha offerto il
volo di ritorno a Mosca sul suo aereo privato.
Berezovskij
mi ha detto che sia Chubais che Nemtsov sostenevano la sua candidatura.
Non
gli ho creduto, quindi ho chiesto conferma a Nemtsov: era la prima volta che ne
sentiva parlare.
La sua
reazione è stata: “Deve passare sul mio cadavere”.
In
seguito ho pranzato con Berezovskij al suo “club”, arredato, intenzionalmente o
no, in modo molto simile alla rappresentazione hollywoodiana di un ritrovo di
mafiosi.
Ero l’unico ospite.
Non
gli ho riferito quello che mi aveva detto Nemtsov, ma gli ho detto che alla mia
domanda aveva sostenuto di non sapere nulla sulle aspirazioni di Berezovskij
alla presidenza di Gazprom.
Berezovskij
si è infuriato, e la sua rabbia mi ha dato i brividi:
ho
avuto la sensazione che potesse letteralmente ammazzarmi.
E
anche se non l’ha detto esplicitamente, mi ha fatto capire che, parlando con
Nemtsov, l’avevo tradito.
È
stato un punto di svolta nei nostri rapporti.
Abbiamo
continuato a sentirci – una volta Berezovskij è anche volato a New York per
incontrarmi – ma da allora in poi ho cercato di starne alla larga.
Come
ho detto, la faida fra gli oligarchi, e in particolare il conflitto fra
Berezovskij e Chubais, è stato un episodio bizzarro, anche se non quanto la
promozione di Putin a erede di Eltsin.
Berezovskij
vedeva il mondo attraverso il prisma dei suoi interessi personali.
Non si
è fatto alcun problema a subordinare il destino della Russia al suo destino
personale.
Credeva
sinceramente che lui e gli oligarchi, versando soldi per far rieleggere Eltsin,
avessero comprato il governo, e che il governo aveva violato i patti
consentendo che la Svyazinvest fosse ceduta con un’asta autentica.
Era
fermamente determinato ad abbattere Chubais perché ne era stato tradito.
Quando
l’ho avvertito che così facendo avrebbe segato il ramo su cui poggiava, ha
risposto che non aveva scelta:
se
avesse mostrato la minima esitazione non sarebbe riuscito a sopravvivere.
A
quell’epoca non ero riuscito a capire, ma a posteriori il suo atteggiamento
appare perfettamente logico.
Berezovskij
non poteva effettuare la transizione alla legalità;
la sua unica opportunità di sopravvivere consisteva
nel mantenere le persone intrappolate nella rete di rapporti illeciti che lui
stesso aveva ordito.
Teneva
in pugno Eltsin grazie ai favori illeciti che aveva predisposto a vantaggio
della sua famiglia.
Ad
esempio, aveva fatto del genero di Eltsin un manager dell’Aeroflot;
i
ricavi in valuta pregiata della compagnia aerea venivano stornati in una
società svizzera chiamata Forus, la quale, come mi è stato spiegato,
significava proprio “per noi” (è come dire Cosa Nostra, ndr).
Questo
gli conferiva un potere su Eltsin di cui nessun altro oligarca godeva.
Aveva
strumenti per condizionare anche Chubais, e quando le cose si sono messe male
non ha esitato a farne uso.
I novantamila dollari ricevuti da Chubais
sotto forma di un contratto editoriale fasullo ne hanno causato la temporanea
caduta.
È
questa la prospettiva da cui guardo gli eventi successivi.
Berezovskij
e la famiglia Eltsin stavano cercando un modo per perpetuare l’impunità di cui
hanno goduto durante l’amministrazione Eltsin.
Hanno fatto tentativi disparati, alcuni dei
quali davvero ridicoli.
A un
certo punto Eltsin, su imbeccata di Berezovskij, ha informato il presidente
della Duma che stava per nominare primo ministro Nikolay Aksyomenko ma è
intervenuto Chubais: i
l
documento ufficiale inviato alla Duma indicava Sergeij Stepashin.
Poi
Stepashin è stato destituito.
La
situazione di Berezovskij è diventata disperata nel 1999, quando è scoppiato lo
scandalo del riciclaggio di denaro sporco russo nelle banche statunitensi;
l’episodio gli ha fatto capire che non poteva
più trovare rifugio in Occidente.
In un
modo o nell’altro doveva trovare un successore di Eltsin che lo proteggesse. Allora è stato architettato il piano
per sostenere la candidatura di Putin.
Nel
volo da Sochi a Mosca del 1997, Berezovskij mi aveva raccontato come aveva
prezzolato i capi militari antirussi in Cecenia e in Abkhazia.
Così,
quando il leader ceceno Shamil Basayev ha invaso il Dagestan, ho fiutato
l’imbroglio.
Era
semplice da smascherare: Basayev si sarebbe ritirato entro il termine posto da
Putin? Lo ha fatto.
Comunque,
non potevo proprio credere che le esplosioni negli edifici di Mosca potessero
far parte di un piano per giustificare la guerra.
Era fin troppo diabolico.
Non
sarebbe stato un caso unico – la storia russa è piena di crimini commessi da
agenti provocatori, dalla spia Azev nell’epoca zarista all’assassinio di Kirov,
addotto a pretesto per scatenare le purghe staliniane –, ma avrebbe comunque
costituito una categoria a sé.
Tuttavia
non potevo escludere quella possibilità.
Nell’ottica
di Berezovskij quegli attentati avevano una logica:
non solo avrebbero aiutato a eleggere un
presidente che avrebbe procurato un salvacondotto a Eltsin e alla sua famiglia,
ma avrebbero anche consentito a Berezovskij di avere un’arma di ricatto contro
Putin.
Per
ora non è venuto a galla niente che possa contraddire questa teoria.
Potremmo
non scoprire mai la verità sulle esplosioni di Mosca, ma non c’è dubbio che la
guerra in Cecenia ha spinto Putin verso la vittoria.
Trovo
tutto ciò a dir poco angosciante.
Tra il
1994 e il 1996, durante la precedente guerra cecena, la popolazione russa era
rimasta sconvolta vedendo in TV la devastazione e il dolore causati
dall’invasione della Cecenia.
Le
proteste delle madri dei soldati di leva e degli attivisti dei diritti umani
come Sergeij Kovalev, avevano contribuito a determinare una soluzione
negoziale.
Stavolta
la reazione della popolazione russa è stata l’opposto.
È chiaro che i terroristi ceceni devono
accollarsi una grande parte della colpa; hanno catturato cooperatori e
giornalisti, li hanno tenuti in ostaggio per ottenere un riscatto e spesso li
hanno uccisi.
Fred
Cuny, l’eroe di Sarajevo, è morto così.
Non è
rimasto più nessuno che osi impegnarsi per sostenere i ceceni o per denunciare
le atrocità che hanno subìto.
C’è
stata una sapiente manipolazione del sentimento popolare contro di loro. Resta
il fatto che l’atteggiamento della popolazione russa è molto cambiato rispetto
a pochi anni fa.
All’inizio
dell’era post-gorbacioviana i russi avevano una chiara avversione nei confronti
della violenza.
Nei primi tempi, infatti, era stato versato
pochissimo sangue, e nelle rare occasioni in cui delle persone erano state
uccise – a Tbilisi (Georgia), a Vilnius (Lituania), e nel corso dell’assedio
alla Duma del 1993 – l’opinione pubblica aveva mostrato ostilità nei confronti
di coloro che facevano uso della forza.
Ora le
cose stanno diversamente.
Eleggendo Putin, nel marzo del 2000, il popolo
russo si è compromesso nel bagno di sangue della Cecenia”.
Concludeva
nel 1999 Soros nei suoi “diari personali” che costituiranno poi la raccolta
organica del libro dimenticato “La società aperta” (nel senso di Karl Popper),
quando ancora il problema Putin non era chiaro come adesso e lo stesso Soros
esprimeva una scettica ammirazione per l’autoritarismo di Vladimir (vedete
com’è difficile analizzare la realtà?), pur ritenendolo lontano dall’ideale
della società aperta – ma soprattutto, il fatto che possa essere stato il
mandante degli attentati di Mosca era pur sempre compatibile secondo questa
chiave di lettura con l’esercizio di una corretta autorità politica nelle
nebbie della Russia postsovietica:
viene in mente Giuliano Ferrara, a proposito
dell’amoralità dei crimini del Potere come categoria indipendente dal codice
penale nella sua brillante analisi sul caso Renzi un anno fa sul Foglio “La
falsa questione morale contro Renzi”:
“Il
punto è che con Bin Salman il Royal baby ha commesso un errore politico (più
grave di un delitto, diceva Talleyrand)”.
“…
Putin cercherà di restaurare uno Stato forte, e forse ci riuscirà. Per molti
aspetti, ciò sarebbe desiderabile. Come ci ha insegnato l’esperienza russa, uno
Stato debole può minacciare la libertà.
Un’autorità
che sappia far rispettare le regole è indispensabile per il funzionamento di
un’economia di mercato.
Portando
a termine la transizione dal capitalismo di rapina a quello legale, Putin può
ben dirigere la ripresa economica russa;
i miei
investimenti in Russia, compresa la Svyazinvest, potrebbero finalmente rendere.
Ma è
improbabile che lo Stato di Putin sia costruito in base ai princìpi della
società aperta;
è più
credibile che sia fondato sullo scoraggiamento, l’umiliazione e la frustrazione
che il popolo russo ha sperimentato dopo il collasso del sistema sovietico.
Putin
cercherà di ristabilire l’autorità statale sul fronte interno e l’onore della
Russia su quello estero.
La Russia non è perduta; al contrario, sotto
Putin essa potrebbe riprendersi.
Ma
l’Occidente ha perduto la Russia sia come amica e alleata, sia come seguace dei
princìpi della società aperta.
Un fatto è lampante: l’attuale situazione
russa si sarebbe potuta evitare se le società aperte dell’Occidente si fossero
impegnate con più decisione in sostegno dei princìpi della società aperta…
Ho
dovuto trarne, con rammarico, la conclusione che all’Occidente non importava granché
della società aperta come concetto universale.
In
caso contrario, la transizione sarebbe stata comunque dolorosa e costellata di
sconvolgimenti e delusioni, ma almeno la Russia sarebbe andata nella direzione
giusta.
Avrebbe
potuto diventare una vera democrazia e un vero amico degli Stati Uniti, proprio
come la Germania dopo la Seconda guerra mondiale e il piano Marshall. Non è
questa la prospettiva che ci troviamo di fronte oggi.
La mia
fondazione prosegue le sue attività in Russia e sta ricevendo un vigoroso
supporto dalla società di quel paese.
Abbiamo
costituito trentadue centri informatici in altrettante università dislocate
nelle province, contribuendo a sviluppare un’infrastruttura Internet in Russia,
e l’informazione on line si sta profilando come l’alternativa a una stampa
sempre più intimidita.
In gran parte dei nostri recenti programmi
insistiamo perché le autorità locali concorrano, in misura pari alla nostra, al
finanziamento delle iniziative previste.
Per
esempio, stiamo procurando i libri a cinquemila biblioteche locali, e
richiediamo la copertura del 25 per cento del costo nel primo anno, del 50 nel
secondo e del 75 nel terzo: effettivamente, le autorità stanno puntualmente
pagando.
Quando
abbiamo voluto introdurre un programma di riforma dell’istruzione in sei
regioni (Oblast), quindici si sono offerte di sborsare i fondi corrispondenti.
Continuerò
a impegnarmi per sostenere il lavoro della fondazione finché essa sarà
supportata dalla società russa e potrà operare liberamente.
L’aspirazione
a una società aperta è una fiamma che neppure il terrore di Stalin può
spegnere: sono sicuro che, qualsiasi futuro attenda la Russia, quella fiamma
resterà viva”.
Parole
alla Jfk. E che sopravviveranno alla morte dello stesso George Soros.
Soros
come erede di Adam Smith.
La
realtà è ambigua e complessa, e soltanto i fanatici non lo capiscono (si
suggeriscono ai lettori la riflessione di Paolo Inzerilli sul Tempo.it
“L’ex
comandante di Gladio e dei servizi segreti: “Sto con Putin, il problema della
guerra è Zelensky” e “A Mosca qualcosa si muove.
La
senatrice Narusova, vedova del mentore di Putin, prende posizione contro la
guerra” pubblicato sull’Huffington Post).
È
tempo ormai di sostituire l’era della Ragione con l’era della Fallibilità,
mentre l’orologio della Storia torna indietro all’attentato di Sarajevo.
(Alexander Bush).
L'Europa
si prepara a una
grave
battuta d'arresto nel settore
immobiliare
dopo
l'aumento dei tassi.
Idealista.it
– Redazione – (30 Gennaio 2023) – ci dice:
Le
difficoltà di rifinanziamento di un edificio ad uso ufficio nella City di
Londra o la tesa vendita della Commerzbank Tower a Francoforte, due dei mercati
più potenti d’Europa, sono chiari esempi degli alti e bassi del settore
immobiliare, colpito dalla crescente difficoltà di credito a fronte del rapido
aumento dei tassi di interesse.
Secondo
Bloomberg, gli investitori immobiliari europei stanno affrontando il più grande
cambio di ciclo del settore in attesa dei risultati delle banche e di come
agiranno di fronte ai crediti dubbi.
Nelle
prossime settimane si conoscerà l’entità della situazione con i risultati di
fine anno dei principali istituti di credito di tutta Europa.
I bruschi cali delle valutazioni minacciano di
causare insolvenze sui contratti di prestito, innescando misure di
finanziamento di emergenza che vanno dalle vendite forzate alle iniezioni di
denaro.
Prestiti,
obbligazioni e altri debiti totali per circa 1,9 trilioni di euro, quasi le
dimensioni dell’economia italiana, sono garantiti da immobili commerciali ed
estesi ai proprietari in Europa e nel Regno Unito, secondo l’Autorità bancaria
europea, la Bayes Business School e i dati raccolti da Bloomberg.
Circa
il 20%, pari a circa 390 miliardi di euro, scadrà quest’anno e la crisi
incombente segna il primo vero banco di prova delle normative progettate dopo
la crisi finanziaria globale del 2008 per contenere i rischi del credito
immobiliare.
Quelle
regole potrebbero finire per apportare una correzione ancora più ripida e
brusca.
Cosa
faranno gli enti con i loro crediti problematici?
Le
nuove normative eserciteranno pressioni sugli istituti di credito di tutta
Europa affinché agiscano in modo più aggressivo nei confronti dei crediti
inesigibili.
Le banche e gli enti sono protetti meglio rispetto
all’ultima crisi immobiliare, registrata più di un decennio fa, quindi
potrebbero essere meno inclini a lasciare che i problemi peggiorino.
All’indomani
della crisi finanziaria del 2008, la maggior parte delle banche è stata
riluttante a richiedere prestiti inesigibili, poiché ciò avrebbe causato enormi
perdite.
In base alle nuove regole sui crediti
deteriorati, banche e istituti di credito devono anticipare le perdite attese,
anziché accumulate.
Ciò
significa che hanno meno incentivi a stare a guardare e aspettare che i valori
degli asset si riprendano.
“Le
valutazioni di fine anno nel primo trimestre saranno fondamentali”, ha
affermato Ravi Stickney, managing partner e responsabile degli investimenti
immobiliari presso Cheyne Capital, un gestore di fondi di investimento
alternativi che ha raccolto 2,5 miliardi di sterline per prestiti immobiliari
lo scorso anno.
“La
grande domanda è cosa faranno davvero le banche”, ha sottolineato Stickney.
Finora,
le valutazioni non sono scese abbastanza da mettere a rischio il debito senior,
i prestiti che le banche detengono in genere, ma le cose potrebbero cambiare
presto.
Le
proprietà commerciali del Regno Unito valutate dalla società di consulenza immobiliare
CBRE sono diminuite del 13% lo scorso anno.
Il
calo si è accelerato nella seconda metà dell’anno, con una diminuzione del 3%
nel solo mese di dicembre.
Gli
analisti di Goldman Sachs prevedono che il calo totale potrebbe superare il
20%.
Le banche
potrebbero agire prima che i prezzi scendano ulteriormente e rischino perdite,
costringendo i proprietari di case indebitati a difficili alternative.
I problemi possono diventare più seri per
coloro che devono affrontare scadenze del debito.
Banche ed enti stanno riducendo il valore
degli immobili che sono disposti a finanziare.
Ciò
significa che una valutazione inferiore potrebbe agire come un doppio smacco,
ampliando il divario di finanziamento.
“L’appetito
delle banche è debole e rimarrà contenuto fino a quando non ci saranno segnali
che il mercato abbia toccato il fondo”, ha affermato Vincent Nobel, direttore
dei prestiti presso Federated Hermes.
Aggiungendo:
“I nuovi regolamenti incoraggiano le banche ad affrontare i crediti inesigibili
e un modo per risolvere i problemi è farne il problema di qualcun altro”.
Dalla
Svezia al resto d’Europa: fondi e prestiti alternativi possono essere l’ancora
di salvezza.
La
Svezia è stata finora l’epicentro della crisi, con i prezzi delle case che
dovrebbero scendere del 20% rispetto ai loro massimi.
Le
società immobiliari quotate del Paese hanno perso il 30% del loro valore negli
ultimi 12 mesi e la Banca centrale svedese e l’Autorità di vigilanza
finanziaria (FSA) hanno ripetutamente messo in guardia sui rischi del debito
immobiliare commerciale.
Il
calo dei valori delle proprietà potrebbe innescare un “effetto domino” poiché
le richieste di maggiori garanzie potrebbero costringere a vendere in perdita,
secondo Anders Kvist, consigliere senior del direttore della FSA.
Mentre
ci sono alcune sacche di stabilità come l’Italia e la Spagna, che sono state
colpite più duramente all’indomani della crisi finanziaria globale, il Regno Unito sta crollando e ci
sono segnali in base ai quali la Germania potrebbe essere la prossima.
Tra i
lati positivi, ci sono più opzioni disponibili per gli investitori immobiliari
in difficoltà.
Entità
come i fondi di credito si sono espanse nell’ultimo decennio.
Secondo l’indagine di Bayes, nella prima metà
dello scorso anno gli assicuratori e altri istituti di credito alternativi
avevano una quota maggiore di nuovi prestiti immobiliari nel Regno Unito
rispetto alle principali banche del Paese.
Nei
prossimi 18 mesi, gli investitori verseranno una quantità record di denaro nei
cosiddetti fondi opportunistici che fanno scommesse immobiliari più rischiose,
ha detto la scorsa settimana l’amministratore delegato di Cantor Fitzgerald,
Howard Lutnick, al World Economic Forum di Davos.
La tendenza contribuirà ad accelerare un
rimbalzo nei mercati immobiliari commerciali, ha osservato.
Questi
nuovi strumenti potrebbero abbreviare la crisi rispetto al passato, quando le
banche si sono aggrappate per anni alle sofferenze.
Louis Landeman, analista del credito presso Danske
Bank a Stoccolma, si aspetta che il riavvio sia relativamente ordinato.
Le
“persone inutili” di Yuval Harari
e la
negazione del libero arbitrio.
Conquistedellavoro.it
– Raffaella Vitulano – (28 giugno 2022) ci dice:
Li
definiscono intellettuali famosi, Yuval Noah Harari e Slavoj Zizek, anche se
quest’ultimo sussulta quando viene chiamato così.
Diverse
le loro specializzazioni accademiche: storia medievale per Harari, filosofia
hegeliana e psicoanalisi lacaniana per Zizek.
Al più
grande festival di filosofia del mondo,” How The Light GetsIn”, si sono
confrontati sulla questione della natura: amica o nemica?
La
risposta non è sorprendentemente sfumata:
la
natura non è né nostra amica né nostra nemica.
Stiamo
per entrare in un’era post-natura e questo cambierà tutto.
Dopo
un lungo periodo di pensiero illuminista che ha visto la natura conquistata
dalla ragione e domata dalla tecnologia, il suo posto nella società è tornato
in grande stile, anche grazie alla pandemia di Covid e alla crisi climatica.
Per
Harari e Zizek la natura non è né buona né cattiva, è semplicemente al di fuori
della moralità.
L’idea
che le innovazioni guidate dall’uomo e gli incidenti come i reattori nucleari,
il vaccino contro il Covid-19 o persino la guerra in Ucraina siano “naturali”
può suonare strano.
Ma
dato che la loro esistenza non viola nessuna legge naturale e sono fatti dello
stesso materiale fisico di tutto il resto, allora in un certo senso lo sono.
Siamo
sul punto di creare quelle che Harari chiama “forme di vita inorganiche”,
riferendosi all’Intelligenza Artificiale avanzata.
E
vedrete se non le considereremo come naturali.
Al
Festival di Filosofia si concorda: stiamo per cambiare la nostra composizione
biologica, cambiando la nostra natura in modi radicali.
Questo potrebbe eccitare alcuni transumanisti
e scienziati che sono concentrati sull’uso di questi strumenti per risolvere
problemi ristretti e specifici nei loro campi, ma Harari ha un tono più cupo e
mette in allerta.
Questo è ciò che hanno sognato dittatori
spietati.
In
passato, quando i dittatori cadevano, almeno ciò che lasciavano dietro di loro
era ancora umano.
In futuro, potrebbe non essere più così.
Stalin, interviene Zizek, voleva fare
esattamente questo:
creare
un esercito di lavoratori geneticamente modificati che potessero lavorare oltre
i limiti di qualsiasi essere umano e sopravvivere con un minimo di
sostentamento e provviste di base.
“Il
problema non è se saremo ridotti in schiavitù dalle macchine, ma che questa
schiavitù rafforzerà la divisione tra gli umani”, ha detto Zizek.
“Alcune persone ci controlleranno e altre
saranno controllate”.
Se
ingegnerizziamo geneticamente gli esseri umani per essere più intelligenti, più
coraggiosi, più efficienti, ciò alla fine porterà alla scomparsa di tutte le
nostre altre caratteristiche, quelle che saranno ritenute meno desiderabili
dagli ingegneri dell’umanità.
La
selezione di alcune funzionalità significherà la scomparsa di altre.
“Se dai loro la tecnologia per
iniziare a incasinare il nostro Dna, per iniziare a incasinare i nostri
cervelli, multinazionali ed eserciti potrebbero amplificare alcune qualità
umane di cui hanno bisogno, come la disciplina.
Nel
frattempo, potrebbero sminuire altre qualità umane come la compassione o la
sensibilità artistica o la spiritualità”:
detto dal transumanista Yuval Noah Harari, consulente
chiave del World Economic Forum di Davos e di Klaus Schwab, l’allarme suona
ipocrita.
Suona
allarmante invece il fatto che pensi che il libero arbitrio sia un “mito
pericoloso”.
Un
punto su cui il neurochirurgo Michael Egnor lo contesta con forza:
“La negazione del libero arbitrio è una pietra
angolare del totalitarismo.
Senza
il libero arbitrio, siamo bestiame senza diritti”.
Lo
storico Yuval Noah Harari è anche coautore con Thierry Malleret di “Covid-19:
The Great Reset”.
E in
una domanda rivela tutta la sua vera ideologia: “Cosa fare nei prossimi decenni con
tutte le persone inutili?”.
Una
classe dirigente si interrogherà con “noia” su cosa fare di loro dato che “sono
fondamentalmente privi di significato, senza valore”.
Harari
calpesta così le orme di Aldous Huxley durante la sua famigerata conferenza
“Ultimate Revolution” del 1962 al Berkley College:
“La
mia ipotesi migliore, al momento è una combinazione di droghe e giochi per
computer come soluzione finale per la maggior parte di loro. Penso che una
volta che sei superfluo, non hai potere”.
L’apoteosi
del pensiero eugenetico affiora nel ruolo della tecnologia nella creazione di
una nuova classe inutile globale “post-rivoluzionaria”, per sempre sotto il
dominio dell’emergente “casta alta” di élite dai colletti d’oro di Davos.
La
casta alta che domina la nuova tecnologia non sfrutterà i poveri. Semplicemente
non avrà bisogno di loro.
E sarà molto più difficile ribellarsi
all’irrilevanza che allo sfruttamento.
Yuval è elogiato da Klaus Schwab, ma anche da
Barack Obama, Mark Zuckerberg e Bill Gates, che hanno recensito l'ultimo libro
di Harari sulla copertina del New York Times Book Review.
Per
lui la morale, proprio come Dio, il patriottismo, l’anima o la libertà, sono
concetti astratti creati dall’uomo che non hanno alcuna esistenza ontologica
nell’universo meccanicistico, freddo e in definitiva senza scopo in cui si
presume che esistiamo.
Le
relazioni umane diventano insignificanti a causa di sostituti artificiali.
I
poveri muoiono ma i ricchi no.
È questa la rivoluzione industriale incentrata
sull’intelligenza artificiale.
Ma il prodotto questa volta non saranno tessuti,
macchine, veicoli e nemmeno armi, il prodotto questa volta saranno gli stessi
umani, corpi e menti, conclude Harari, precisando infine che le “persone inutili” a cui fa
riferimento il consulente del Wef saranno quelle che rifiuteranno di ricevere
le capacità di intelligenza artificiale nei prossimi decenni.
Descrivendo
gli esseri umani come “animali hackerabili”, Harari crede che le masse non avrebbero molte
possibilità contro questi cambiamenti anche se dovessero organizzarsi.
(Raffaella
Vitulano).
Harari
è l’ideologo
del
grande reset.
Francescadonato.eu – Francesca Donato - Carlo
Freccero – (29 Dic. 2022) – ci dicono:
(Covid-19,
Libertà e diritti).
Il
grande reset è alimentato da una grande narrazione.
Uno
dei volti di questa narrazione è lo scrittore israeliano Harari.
I suoi
testi ed i suoi interventi sono riproposti in modo sempre più insistente nella
nostra società tradotti e distribuiti in decine di lingue e paesi.
Ho
letto con grande interesse questo articolo di Carlo Freccero, che qui
ripropongo.
Un
articolo pubblicato da La Verità, il primo che mi risulti su un grande
quotidiano, che evidenzia la pericolosità di questa narrazione, fortemente
ideologica, che apre verso un transumanesimo che io vedo pericoloso nella
misura in cui propone con arroganza una direzione che sembra volere tradire
l’uomo per come lo conosciamo il nome di una parola, fortemente ridisegnata in
questi anni: scienza.
Caro
Guerrieri, attenzione ad Harari. È lui l’ideologo del Grande Reset di Carlo
Freccero.
Ho
letto con piacere ed attenzione la bella intervista rilasciata a Caverzan da
Giordano Bruno Guerri.
È un insieme di affermazioni di buon senso con
cui non si può essere d’accordo. Ma c’è un punto che mi ha stupito.
Guerri
si dice affascinato, tra gli autori moderni, dai libri di Yuval Noah Harari.
Identifica Harari con autore letterario, mentre per me è molto di più.
È l’autore del copione che da tre anni va in
onda nella vita reale ad opera del World Economic Forum di Klaus Schwab.
È il
teorico del futuro che ci aspetta tra breve.
È un
utopista con una differenza fondamentale rispetto a tutti gli altri utopisti
della storia.
Le
loro fantasie erano ambientate in un NON LUOGO (UTOPIA) a testimonianza del
fatto che il loro stesso autore le riteneva irrealizzabili.
L’
utopia di Harari si chiama Grande Reset, ed è in corso di attuazione, a tappe
forzate, a partire dalla famosa pandemia che Klaus Schwab ha definito
un’occasione irripetibile di cambiamento del mondo.
Klaus Schwab esprime questo concetto nel suo
libro più famoso COVID 19 THE GREAT RESET scritto a quattro mani con Thierry
Mallaret.
E
descrive invece nel dettaglio la natura di questo cambiamento in un’opera
precedente (LA QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, con prefazione, nell’edizione
italiana di John Elkann) e successiva (GOVERNARE LA IV RIVOLUZIONE INDUSTRIALE)
in cui si parla apertamente di fusione della natura umana con l’intelligenza
artificiale emergente.
Ciò sarebbe
possibile con un’agenda dì digitalizzazione che i governi di tutto il mondo
hanno recepito e fatto propria.
Due
temi, l’agenda digitale e l’agenda verde, sono al centro del cambiamento
epocale in atto sul pianeta.
L’uomo deve cambiare la sua stessa natura
diventando dipendente dall’agenda digitale.
Contestualmente deve ridimensionare i suoi
consumi alimentari ed energetici per limitare un riscaldamento globale che le
élite ritengono incontestabile, ma che molti esimi scienziati ritengono invece
pretestuoso.
Ma
cosa c’entra Yuval Noah Harari con Klaus Schwab?
Schwab
non è abbastanza rassicurante.
C’è in
Schwab, nel suo accento tedesco, nella sua postura rigida e quasi militare,
qualcosa di inquietante.
Ed
ecco che, nel tempo, l’immaginifico Harari ha sempre più conquistato il centro
della scena ed è diventata la voce ufficiale dei forum di Davos.
D’altronde
Harari non è uno scrittore come gli altri. Il suo successo è il risultato della
sua identificazione col sistema.
I suoi
libri sono best sellers assoluti ed hanno stampato milioni di copie in tutti i
paesi del mondo.
Il suo
libro SAPIENS – BREVE STORIA DELL’UMANITÀ è stato tradotto in trenta lingue.
Il
successivo HOMO DEUS ha avuto una visibilità ed un rilievo anche maggiore.
Ma non si tratta di un caso: Il sistema lo
impone.
Harari
ha tenuto lezioni obbligatorie in tutte le grandi aziende di Silicon Valley,
con lo scopo di procedere alla formazione della nuova classe dirigente.
I suoi
libri sono la bibbia del mondo che sta per nascere.
E non uso il termine a caso perché Harari
vuole sostituire il nuovo HOMO DEUS agli dei del passato che erano, secondo
lui, compreso Gesù Cristo, fake news.
Nel
passato l’evoluzione si è svolta naturalmente.
Oggi
una élite di filantropi è in grado di prendere in mano il progetto evolutivo
dell’uomo e del pianeta, per costruire forme di vita inorganica ed ibrida.
Harari
viene definito transumanista e questa visione del transumanesimo ha fatto sì
che la parola transumanesimo significhi oramai qualcosa di agghiacciante.
Qualche
anno fa ero interessato al transumanesimo come prosecuzione e completamento
ideale dell’umanesimo rinascimentale.
L’umanesimo ha prodotto filosofia, sapere,
bellezza.
La
frase che meglio definisce l’umanesimo è la famosa definizione di Pico della
Mirandola che afferma che l’uomo può scegliere cosa diventare: degenerare
nell’animalità o ascendere alla natura divina, con una semplice decisione della
sua anima.
È un
appello a migliorarsi, crescere, elevarsi.
Per
Harari e per le élite di cui è espressione, i due ruoli ,animale e divino,
devono separarsi e non saranno più oggetto della scelta di ciascuno di noi.
Le
élite saranno i nuovi dei ,gli uomini normali saranno respinti nel regno
animale e come animali saranno allevati e controllati per non alterare
l’equilibrio del pianeta.
Sopravviveranno
a scopi utilitaristici per integrarsi nell’agenda digitale e nella vita
inorganica.
E dice
queste cose apertamente, senza procurare nessuna relazione, ma solo ammirazione
nei suoi ascoltatori, diretti interessati e vittime designate dai suoi
progetti.
Capisco
il fascino che un autore come Harari può suscitare, soprattutto per la presunta
modernità di certe sue argomentazioni.
Tuttavia
bisogna vigilare sulle trappole e i falsi miraggi che il suo pensiero ci
prospetta.
(FRANCESCA
DONATO)
Yuval
Noah Harari, Bill Gates,
Klaus
Schwab: le riflessioni di un agnostico.
Ilgiornaleditalia.it
- Alfredo Tocchi – (28 Novembre 2022) – ci dice:
Leggo
tutto ciò che trovo scritto da questi tre protagonisti del nostro presente. Loro hanno una visione precisa, un
progetto e lo portano avanti con determinazione.
Hanno già plasmato il nostro presente, gli
ultimi tre anni sono stati un assaggio di ciò che hanno in serbo per noi.
“Gesù
Cristo è una fake news… Grazie alla fusione con l’intelligenza artificiale,
l’essere umano diverrà l’artefice del proprio destino”.
Stimo
Yuval Noah Harari.
Da
agnostico, non mi sento offeso dalle sue affermazioni.
Io
stesso ho scritto molte volte che la Bibbia è un libro di fiabe.
Le
religioni, queste meravigliose fiabe per un’umanità bambina, composte con gli
elementi più classici, come un colossal hollywoodiano: il bene, il male, l’eroe
che salva il mondo, il peccato, il castigo, la redenzione, la vita eterna…
Stimo
anche Bill Gates.
C’è
stato un periodo della mia vita, nel 2014, in cui occupandomi di transumanesimo
ho scritto che il pianeta terra non era in grado di sostenere dignitosamente
otto miliardi di persone.
Più di tutti, stimo Klaus Schwab, che mi è persino
simpatico.
Quando
racconta ridendo, con quel suo accento da tedesco dei cartoni animati, di avere
infiltrato i “suoi ragazzi” nei governi di mezzo mondo Occidentale, ne ammiro
la spudoratezza, la sincerità tipica dell’uomo che non ha timore di farsi beffa
dei suoi avversari e detrattori.
Leggo
tutto ciò che trovo scritto da questi tre protagonisti del nostro presente.
Loro hanno una visione precisa, un progetto e lo portano avanti con
determinazione.
Hanno
già plasmato il nostro presente, gli ultimi tre anni sono stati un assaggio di
ciò che hanno in serbo per noi.
Naturalmente,
la loro negazione di Gesù Cristo è una bestemmia per tutti credenti.
Fin
dal 2014, ho scritto che i più tenaci oppositori del transumanesimo saranno i
musulmani.
Oggi
aggiungo i cattolici tradizionalisti come Monsignor Carlo Maria Viganò, sempre
lucidissimo nelle sue analisi e i cristiani ortodossi russi.
Tutti
gli altri – e sono il 99% dell’umanità – non hanno capito nulla e dormono sonni
beati, cullati dalle bugie dei media, dalla propaganda, dalla mistificazione
perfetta per tenerli addormentati.
Così è
ed è sempre stato, non me ne stupisco.
Tuttavia, mi sorprende la quantità di utili
idioti che fungono da megafoni della propaganda:
non
tutti i giornalisti sono corrotti, la maggior parte sono semplicemente degli
ignoranti.
Procediamo
gioiosamente verso il superamento dell’homo sapiens, ci accingiamo a realizzare
il sogno di Friedrich Nietzsche, “l’Übermensch”, l’oltre uomo, il superuomo o -
se vogliamo tradurlo diversamente - il transumano.
Il
punto (e non è un sofisma) è che non abbiamo la più pallida idea di quale sia
il compito dell’essere umano su questa terra.
Per
quanto ne so io, potrebbe benissimo essere distruggere qualsiasi altra forma di
vita, per eliminare l’eccezione di un pianeta abitato.
Paradossi
a parte, dopo otto anni di studi, io ho concluso che il transumanesimo è
l’ennesima utopia partorita dalla fantasia dell’uomo.
Provo
un’avversione istintiva verso l’eugenetica, il mind uploading, i modem
all’interno dei corpi e i cyborg.
L’essere
umano è un mistero e abbandonare le leggi della natura per intraprendere una
strada verso l’ignoto è un azzardo che potrebbe risultare fatale.
Ricordo
il verso di Charles Baudelaire “Race de Caïn, au ciel monte, et sur la terre jette
Dieu !” e ne ho timore.
Così,
anche se li stimo, Yuval Noah Harari, Bill Gates, Klaus Schwab mi fanno
ribrezzo.
Il
primo non fa mistero che a suo modo di vedere le cose una parte dell’umanità
dovrebbe essere soppressa.
La
chiama l’umanità inutile e io – da giurista – mi domando se il diritto di
vivere possa essere negato a chi non abbia un’utilità sociale.
Sento
il nauseabondo tanfo dell’ideologia nazista, e osservo che c’è davvero un fil
rouge che lega questi tre uomini, ed è la svastica.
Non è un caso se il Deep State (credete che non
esista? Ancora siete davvero così ingenui?) ha posto ai confini del mondo
Occidentale un fantoccio neonazista, non è un caso se neonazisti vengono
chiamati eroi e fatti passare per lettori di Immanuel Kant.
Quanto
a Bill Gates, trovo osceni i suoi finanziamenti all’OMS e al CEPI (nato a Davos
il 21 luglio 2017) - qui il documento ufficiale:
(who.int/medicines/ebola-treatment/TheCoalitionEpidemicPreparednessInnovations-an-overview.pdf).
per
iniziativa di Norvegia - il cui fondo sovrano è gestito dal fondo BlackRock -
la Bill & Melinda Gates Foundation, la casa farmaceutica Wellcome e il
World Economic Forum, la cui mission, dal 2017 e dunque ben prima della
pandemia, è la diffusione planetaria dei vaccini).
Soprattutto
trovo osceni i legami tra Moderna e il DARPA, (en.wikipedia.org/wiki/DARPA) e scandaloso il suo essere un
neomalthusiano, convinto che il pianeta terra sia “un vascello spaziale
programmato per trasportare non più di tre miliardi di persone”.
Certo,
è americano e forse affetto da Asperger.
Ma
dovrebbe spiegare cosa significhi trasportare: non siamo in Star Trek, la vita
è un mistero e - se siamo in viaggio – l’unica destinazione è la morte,
l’incognito definitivo e inconoscibile.
Tutte
le stupidate dei transumanisti tipo: “Sconfiggeremo la morte” o “Trasmetteremo
i contenuti del cervello” vanno prese per quello che sono: vaneggiamenti di
menti deboli.
Infine,
Klaus Schwab è un ottimista e un convinto transumanista.
C’è
una meravigliosa intervista rilasciata alla televisione francese in cui gongola
letteralmente parlando della possibilità che i nostri assistenti virtuali
imparino da noi.
Quest’uomo
crede davvero nelle “magnifiche sorti e progressive” e non fa mistero di sognare
un Occidente retto da un regime in cui ogni aspetto della vita umana sia
controllato grazie all’intelligenza artificiale da governi paternalisti e
totalitari.
Nell’ultimo
discorso, a margine del G 20, ha annunciato una stagione di impoverimento e
tumulti sociali, preludio del Great Reset.
L’agenda
2030 non è un complotto, è un progetto già in parte realizzato.
Tre
uomini, dietro di loro il Deep State.
I 23 trilioni di dollari dei fondi BlackRock,
Vanguard e State Street gli consentono di opprimere Nazioni sovrane gravate da
un debito pubblico soggetto alle fluttuazioni dei mercati.
Il
totale controllo dei media gli consente di portare avanti una campagna di
mistificazione dopo l’altra.
Think
tank come il World Economic Forum e l’Aspen Institute formano la classe
politica del serpente: globalisti malthusiani senza alcun rispetto per
l’unicità della condizione umana.
E noi,
minoranza sveglia e consapevole, cosa possiamo opporre?
Un
ritorno alla Messa in latino, qualche norma che impedisca di ripetere i crimini
degli eugenisti già commessi dai nazisti, l’apologia dei bei tempi che furono.
La verità è che noi al modello di società dei
transumanisti non abbiamo nulla – proprio nulla – da opporre.
Nell’eterna
lotta tra il bene e il male, anche se noi davvero fossimo il bene, saremmo
destinati alla sconfitta.
E non mi si dica che l’Apocalisse racconta la nostra
vittoria, perché io sono agnostico e per me l’Apocalisse è una fiaba per
bambini.Sono
agnostico ma non bestemmio e rispetto i credenti, quindi nulla dirò sul valore
della preghiera.
Il
presente è già distopico e il futuro inizia a somigliare ai sogni di Yuval Noah
Harari, Bill Gates, Klaus Schwab.
Come
un russo bianco io combatterò la mia battaglia per il mondo di ieri.
Faceva
schifo per buona parte dell’umanità, ne sono consapevole.
Ma era meglio di ciò che ci aspetta.
I miei alleati li ho indicati otto anni fa:
sono i cristiani ortodossi russi, i musulmani e i cattolici tradizionalisti di
Monsignor Carlo Maria Viganò.
I
nemici sono i transumanisti, i neonazisti e i neomalthusiani.
Se
sarà necessario, mi trasferirò all’estero per continuare a vivere nel mondo di
ieri.
Non ho
intenzione di subire altre violazioni dei miei diritti umani e costituzionali,
mi resta troppo poco da vivere per diventare uno schiavo.
Le
anime candide della dissidenza nostrana, quelle che organizzano i Duran Adam
per non politicizzare il dissenso, quelle che non capiscono nulla del presente non
possono essere miei compagni di viaggio.
Sono tutt’al più fiancheggiatori
inconsapevoli, rientrano nel numero degli utili idioti.
Great
Reset o rivoluzione, tertium non datur.
Rivoluzionari all’orizzonte non ne scorgo,
vedo soltanto una massa di pigri e molli esseri umani distratti dai filmati
divertenti su TikTok.
Esseri incapaci di comprendere il presente,
già persi nel meta verso, in buona parte inutili esattamente come me.
Animali
al vertice della catena alimentare, parassiti distruttori del pianeta blu,
l’unico dove viva l’homo sapiens.
Ancora
per quanto?
(Alfredo
Tocchi)
DA
RUSSELL E HILBERT A WIENER E HARARI:
LE
INQUIETANTI ORIGINI DELLA CIBERNETICA
E DEL TRANSUMANESIMO.
Comedonchisciotte.org
– (9 giugno 2021) - Matthew Ehret - strategic-culture.org – ci dice:
Più
veniamo incoraggiati a pensare come freddi computer, più la tesi che "i
computer devono sostituire il pensiero umano" potrà concretizzarsi:
EUGENETICA
-DISTOPIA-GLOBALIZZAZIONE.
Come
avevo sottolineato nel mio precedente articolo sullo scontro dei due sistemi,
la fine del XIX secolo aveva assistito ad un grande confronto tra due paradigmi
opposti di economia politica, confronto in gran parte cancellato dai libri di
storia.
Proprio
come oggi, questi due sistemi contrapposti erano caratterizzati, da un lato, da
una volontà di controllo centralizzato del mondo da parte di un’élite unipolare
desiderosa di ergersi al di sopra dell’influenza degli stati nazionali sovrani,
quasi come moderni dei dell’Olimpo, mentre l’altro si fondava su un disegno
“multipolare” di una comunità di stati nazionali sovrani cooperanti allo
sviluppo di infrastrutture e progressi tecnologici su larga scala.
Uno presupponeva standard economici
malthusiani a sistema chiuso adattati a rendimenti decrescenti, mentre l’altro
era fondato su uno standard di progresso scientifico continuo che portava a
salti creativi svincolati da panieri di risorse limitate.
Oggi
vorrei continuare a tracciare le radici di queste perfide idee che
caratterizzano l’attuale paradigma unipolare nascosto dietro un “Grande Reset”
della civiltà mondiale inventato dai miliardari.
Ci
viene detto da personaggi come Klaus Schwab che, in questo Reset, una “Quarta
Rivoluzione Industriale” introdurrà non solo un alto grado di automazione e di
uso dell’Intelligenza Artificiale ad ogni livello della società, ma anche una
fusione uomo-macchina.
Figure
come Elon Musk e Ray Kurzweil di Google affermano che questa integrazione sarà
necessaria per “rimanere rilevanti” nella prossima fase evolutiva.
L’uomo
di Davos, Yuval Harari, ha ribadito che la spinta evoluzionistica sarà
trasferita dalla casualità della natura alle nuove divinità che gestiscono
Google, Facebook e il WEF.
Questa
fede deterministico-cibernetica nella sintesi uomo-macchina che pervade il
pensiero di tutti i transumanisti moderni è allo, stesso tempo, cultuale,
inquietante e completamente sbagliata.
Tuttavia, senza una corretta valutazione delle
radici storiche di queste idee che minacciano di portare la civiltà globale
verso un collasso distopico, è impossibile comprendere questo importante
fenomeno degli ultimi 120 anni della storia umana, così come non si
riuscirebbero a scorgere le pecche fatali all’interno del sistema operativo
transumanista del Grande Reset.
Nella
prima parte di questa trilogia, abbiamo esplorato alcuni aspetti delle radici
eugenetiche del transumanesimo, con particolare attenzione alla creazione da
parte di Julian Huxley dell’UNESCO, il cui il mandato di “rendere l’impensabile
pensabile” avrebbe guidato la ripresa di una nuova politica eugenetica negli
anni della Guerra Fredda.
Nella
seconda parte, abbiamo analizzato le origini di alcuni think tank britannici,
nati alla fine del XIX secolo per interrompere l’evoluzione naturale di un
nuovo sistema di cooperazione internazionale.
Un
grande disegno che aveva avuto origine nell’X Club di Thomas Huxley, con
l’obiettivo di riportare l’Impero Britannico al rango di unica potenza
unipolare della Terra.
Il
progetto di Huxley mirava non solo ad unificare tutti i rami delle scienze in
un modello descrittivo privo di qualsiasi effettiva scoperta creativa, ma
tentava anche di usare il nuovo significato della definizione di “legge
naturale scientifica” per giustificare una nuova, aggressiva imposizione
dell’economia politica imperiale al resto del mondo.
La
danza della matematica e della fisica: chi conduce e chi segue?
Nei
mesi iniziali del nuovo secolo, si era svolto un importante evento che avrebbe
avuto molta influenza ai fini della missione di Huxley.
La
Conferenza sul Futuro della Matematica dell’agosto 1900 era stato un evento
globale a cui avevano partecipato più di 160 tra i più grandi matematici
desiderosi di affrontare i problemi emergenti nella scienza e di occuparsi
della relazione tra fisica e matematica.
Ovviamente,
questi due campi erano strettamente interconnessi, ma rimaneva la domanda:
chi
avrebbe condotto e chi avrebbe seguito?
Considerando
il fatto che, all’epoca, la popolazione mondiale era ancora ben al di sotto dei
due miliardi, l’importanza delle scoperte scientifiche che avvenivano in tutti
i campi era un fenomeno mai visto prima nella storia dell’umanità.
Viste
le nuove acquisizioni in biologia, embriologia, fisica atomica,
elettromagnetismo, aerodinamica e chimica, la risposta alla domanda se fosse
più importante la matematica o la fisica stava diventando sempre più ovvia.
Il fatto era che la crescita della conoscenza
umana stava superando velocemente i limiti del linguaggio matematico usato
dagli scienziati.
Col
tempo, sarebbero stati sviluppati nuovi sistemi matematici per descrivere
queste nuove scoperte, ma nessuno poteva negare che, all’epoca, era il pensiero
creativo a condurre le danze.
Altrettanto
innegabile era l’enorme beneficio portato da queste nuove idee al miglioramento
delle condizioni di vita di un numero incalcolabile di persone tramite balzi in
avanti nel progresso scientifico e tecnologico.
Hilbert
e Russell modellano un nuovo paradigma.
Due
personaggi particolarmente importanti, che avevano avuto un ruolo di primo
piano nel sabotare il discorso scientifico durante la Conferenza di Parigi del
1900 e le cui idee avrebbero portato alla successiva evoluzione
dell’eugenetica, della cibernetica e del transumanesimo, erano stati l’apostolo
di Cambridge, Lord Bertrand Russell, e il matematico di Gottingen, David
Hilbert.
I due
miravano, niente meno, che a rinchiudere l’intero universo in una serie di
proposizioni e assiomi matematici finiti e internamente coerenti.
Durante
la conferenza del 1900, Hilbert aveva presentato i suoi 23 problemi matematici
[in realtà erano 10, l’elenco completo sarebbe stato pubblicato in seguito,
N.D.T.], che avrebbero dovuto essere risolti dai matematici del XX secolo.
Mentre
molti di questi problemi erano veramente importanti, i più distruttivi, per lo
scopo di questo articolo, erano quelli incentrati sulla necessità di
“dimostrare che tutti gli assiomi dell’aritmetica sono coerenti” (problema 2) e
“assiomatizzare quelle scienze fisiche in cui la matematica gioca un ruolo
importante” (problema 6).
Ci
sarebbero voluti 13 anni perché Russell raggiungesse questo obiettivo, con i
suoi “Principia Mathematica” (co-firmati insieme al suo ex maestro e collega
Apostolo di Cambridge, Alfred North Whitehead).
Il
titolo “Principia Mathematica” era stato esplicitamente scelto in omaggio ai
Principia Mathematica di Newton pubblicati 200 anni prima.
Nel
1900, all’epoca del lancio del progetto Russell-Hilbert, le interpretazioni
piatte dello spazio-tempo fisico sia di Euclide che di Newton si stavano
rapidamente sgretolando davanti alle nuove scoperte di Riemann, Curie, Weber,
Planck ed Einstein, che avevano dimostrato come la forma dello spazio-tempo
fisico avesse caratteristiche vive e creative.
Ad
ogni scoperta creativa, si stabiliva sempre più saldamente un’interconnessione
reciproca tra lo spazio interno “soggettivo” della cognizione umana e lo spazio
esterno “oggettivo” dell’universo scopribile.
Esemplificando
l’intuizione e la passione nel cercare l’ignoto, sentimento comune tra i grandi
scienziati in questo fertile e rivoluzionario periodo, Einstein aveva
dichiarato: “Voglio sapere come Dio ha creato questo mondo. Non mi interessa questo o
quel fenomeno, lo spettro di questo o quell’elemento. Voglio conoscere i suoi
pensieri; il resto sono dettagli.”
Riflettendo,
a modo suo, questo stesso punto di vista, Max Planck aveva affermato:
“La scienza accresce il valore morale della
vita, perché promuove l’amore per la verità e il rispetto – l’amore per la
verità, che si manifesta nello sforzo costante di arrivare ad una conoscenza
più esatta del mondo della mente e della materia che ci circonda, e il
rispetto, perché ogni progresso nella conoscenza ci porta faccia a faccia con
il mistero del nostro stesso essere.”
L’entropia
di un sistema chiuso deve definire l’universo!
La
matematica entropica del sistema chiuso di Russell era un riflesso diretto
della sua visione misantropica di una umanità destinata all’entropia, come si
può chiaramente vedere nella sua dichiarazione del 1903:
“Che
l’uomo è il prodotto di cause che non avevano alcuna previsione del fine che
stavano raggiungendo;
che la
sua origine, la sua crescita, le sue speranze e le sue paure, i suoi amori e le
sue convinzioni, altro non sono che il risultato di collocazioni accidentali di
atomi;
che
nessun ardore, nessun eroismo, nessuna profondità di pensiero e di sentimento
può conservare la vita individuale oltre la tomba;
che
tutte le fatiche delle varie epoche, tutta la devozione, tutta l’ispirazione,
tutta la brillantezza del genio umano sono destinate ad estinguersi con la
morte del sistema solare e che l’intero tempio delle conquiste umane finirà
inevitabilmente con l’essere seppellito sotto le macerie di un universo in
rovina – tutte queste cose, se non del tutto fuori discussione, sono tuttavia
così quasi certe che nessuna filosofia che le rifiuti può sperare di resistere
…
Solo all’interno
dell’impalcatura di queste verità, solo sul solido fondamento di
un’inflessibile disperazione, potrà d’ora in poi essere costruita in modo
sicuro la dimora dell’anima.”
Quando
si riflette su quale sia la visione metafisica con la maggior pretesa di
verità, vale la pena porsi la domanda:
chi
aveva effettivamente realizzato scoperte dimostrabili e chi si era limitato a
formulare modelli teorici da torre d’avorio privi di qualsiasi elemento di
reale scoperta?
Nella
mente di Russell, una parte della formula del successo dipendeva dalla sua
ossessione per l’equilibrio matematico in tutte le cose.
Quando
applicato alla società, non c’è da meravigliarsi che Russell fosse un devoto
malthusiano, nonché promotore vita natural durante dell’eugenetica e del
controllo della popolazione.
Una
delle molte dimostrazioni di questa sua disgustosa visione si può trovare nei “Prospects
of Industrial Civilization” del 1923, dove l’ingegnere sociale aveva
dichiarato:
“Il
socialismo, specialmente il socialismo internazionale, è possibile come sistema
stabile solo se la popolazione è stazionaria o quasi.
Ad un
lento aumento si potrebbe far fronte con miglioramenti nei metodi agricoli, ma
una rapida crescita ridurrà alla fine l’intera popolazione alla miseria…
la
popolazione bianca del mondo cesserà presto di aumentare.
Per le
razze asiatiche occorrerà più tempo e per i negri ancora di più, prima che il
loro tasso di natalità si riduca sufficientemente, in modo da stabilizzarne il
numero senza l’aiuto di guerre o pestilenze…
Finché
questo non accadrà, i benefici a cui mira il socialismo potranno essere
realizzati solo parzialmente e le razze meno prolifiche dovranno difendersi da
quelle più prolifiche con metodi che sono disgustosi ma necessari.”
Gli
scritti successivi di Russell, apparsi in “The Scientific Outlook” (1930),
allargano questa visione di una società globale stazionaria e si occupano della
riforma dell’istruzione, dove [secondo Russell] occorrerebbe avere non uno, ma
due metodi separati di apprendimento:
uno
per la classe dirigente dell’élite che dovrà governare e uno per la classe
inferiore degli schiavi.
Russell,
senza mezze parole, descrive così le due caste:
“I
governanti scientifici forniranno un tipo di educazione per gli uomini e le
donne comuni, e un altro per coloro che diventeranno detentori del potere
scientifico.
Ci si
aspetta che gli individui della classe comune siano docili, industriosi,
puntuali, indifferenti e contenti.
Di
queste qualità, probabilmente, la contentezza sarà considerata la più
importante.
Per
stimolarla dovranno intervenire tutti i ricercatori della psicoanalisi, del
comportamentismo e della biochimica…. Tutti i ragazzi e le ragazze impareranno
fin dalla più tenera età a praticare quello che va sotto il nome di
‘cooperatività,’ cioè a fare esattamente quello che fanno tutti.
In
questi bambini l’iniziativa sarà scoraggiata e l’insubordinazione, senza essere
punita, sarà scientificamente rimossa.”
In
riferimento alla classe dirigente, “tranne che per l’unica questione della
fedeltà allo Stato mondiale e al proprio ordine,” spiega Russell, “i membri della classe dirigente
saranno incoraggiati ad essere avventurosi e pieni di iniziativa. Si
riconoscerà che il loro compito è quello di migliorare la tecnica scientifica e
mantenere i lavoratori manuali soddisfatti per mezzo di nuovi e continui
divertimenti.”
Tutti
gli scritti successivi di Russell, che auspicavano bombardamenti nucleari
preventivi sulla Russia, un governo mondiale gestito da una dittatura
scientifica e l’indottrinamento dei bambini per far credere loro che “la neve è
nera” devono essere letti tenendo ben presente la sua razzistica visione
filosofica del mondo.
Norbert
Wiener e l’ascesa della cibernetica.
Nel
1913, mentre veniva dato alle stampe il terzo e ultimo volume dei “Principia
Mathematica” di Russell, dagli Stati Uniti era arrivato a Cambridge con una
borsa di studio un giovane studente di matematica.
Questo
adolescente, che si chiamava “Norbert Wiener”, era rapidamente entrato a far
parte di una ristretta comunità di giovani che venivano istruiti da Bertrand
Russell e David Hilbert.
Con Russell
Wiener aveva studiato logica e filosofia e con Hilbert il calcolo
differenziale.
Parlando
di Russell, Wiener aveva detto:
“quando
ero venuto a studiare in Inghilterra da Bertrand Russell, avevo capito che mi
ero perso quasi tutte le vere questioni di significato filosofico.”
Aveva
definito Hilbert “l’unico genio veramente universale della matematica.”
Per
tutta la sua vita, Wiener sarebbe stato posseduto dall’ossessione di esprimere
in modi pratici il sistema logico chiuso di Russell.
Nonostante
il fatto che, nel 1931, un giovane genio leibniziano di nome Kurt Gödel avesse
messo un grosso bastone tra le ruote dei Principia di Russell con una sua
brillante dimostrazione, secondo cui nessun sistema logico avrebbe mai potuto
essere veramente coerente con se stesso a causa della natura autoriflessiva di
tutti i sistemi esistenti, Russell aveva continuato a spingere incessantemente
il suo progetto e Wiener era diventato il suo principale apostolo.
Fra
gli altri seguaci delle teorie sull’apprendimento automatico di Russell
possiamo ricordare Alan Turing, Oskar Morgenstern, Claude Shannon e John von
Neumann. Anche se ogni matematico aveva il suo particolare contributo da
offrire, erano tutti uniti dalla fede incrollabile che la mente umana altro non
fosse che un miscuglio di impulsi bestiali guidati dalla logica delle macchine
a sistema chiuso e niente di più.
In un
computer, il tutto non è che la somma delle parti, e così deve essere anche nel
resto dei sistemi informatici, compreso il cervello umano, gli ecosistemi e
l’universo nel suo complesso.
Per
principi “metafisici” come anima, scopo, Dio, giustizia e libero arbitrio non
c’era posto nella mente di quei calcolatori umani.
Alla
fine della Seconda Guerra Mondiale, il lavoro di Wiener sui cicli di feedback
in aeronautica e lo studio dei sistemi radar aveva portato il matematico ad
ideare un nuovo linguaggio per la gestione dei sistemi umani complessi che ben
presto si sarebbe rivelato utile anche nel mondo degli affari, in campo
militare e persino a livello di intere nazioni.
Il
nome dato a questo nuovo strumento di controllo era “cibernetica.”
Descrivendo
la sua invenzione, Weiner aveva dichiarato:
“Cibernetica,
che ho fatto derivare dalla parola greca Kubernetes, o timoniere, è la stessa parola
greca da cui, alla fine, deriva il termine governatore.”
Basandosi
sulle macchine informatiche binarie a sistema chiuso come modello per la mente
umana, Weiner pretendeva che i concetti metafisici venissero concepiti come
esistenti solo all’interno delle caratteristiche meramente fisiche delle
proprietà elettrochimiche misurabili del cervello.
Descrivendo questo analogo computer-mente,
Weiner aveva dichiarato: “Avevamo capito che questa macchina calcolatrice ultra
rapida, dipendendo come fa da dispositivi di commutazione sequenziali, doveva
essere quasi il modello ideale dei problemi che sorgono nel sistema nervoso” e
che “il problema di interpretare la natura e i vari tipi di memoria
nell’animale ha il suo parallelo nel problema di costruire memorie artificiali
per la macchina.”
La
cibernetica per un governo globale.
Prevedendo
l’inevitabilità dei sistemi di controllo globale dell’informazione (e quindi
del controllo politico totale da parte di una classe dirigente quasi divina) e
dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale, Weiner aveva scritto:
“dove arriva la parola di un uomo e dove va il
suo potere di percezione, fino a quel punto si estende il suo controllo e, in
un certo, senso la sua esistenza fisica.
Vedere
e dare comandi a tutto il mondo è quasi lo stesso che essere ovunque.”
La
chiave per comprendere l’attrattiva della cibernetica per una dittatura
scientifica desiderosa di onniscienza e onnipotenza totali è la seguente:
nel
contesto di una grande barca, solo il timoniere deve avere un’idea
dell’insieme. Tutti gli altri devono avere coscienza solo del loro ruolo,
locale e compartimentato.
Con
l’applicazione della cibernetica all’organizzazione dei sistemi economici
(voluta da Sir Alexander King dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico e applicata ai governi transatlantici durante gli anni ’60 e ’70),
erano nate enormi e complesse burocrazie, con solo piccoli nodi di “timonieri”
(incorporati all’interno di questa nuova organizzazione dello Stato Profondo) a
cui era consentito l’accesso ad una visione d’insieme.
Questo,
per una tecnocrazia sovranazionale, era il sistema operativo ideale per
controllare le leve del Nuovo Ordine Mondiale.
Durante
questo periodo di trasformazione, uno dei più entusiasti sostenitori del nuovo
sistema era stato Pierre Elliot Trudeau (il neo-imposto primo ministro del
Canada), il padre dell’enorme rivoluzione cibernetica del governo canadese tra
il 1968-1972 attuata sotto il controllo del “Privy Council Office”.
In una
conferenza del novembre 1969 sulla cibernetica nella pratica di governo,
Trudeau aveva affermato:
“Siamo
consapevoli che le tante tecniche della cibernetica, con la trasformazione
della funzione di controllo e con la manipolazione delle informazioni,
cambieranno l’intera nostra società.
Sulla base di questa conoscenza, siamo svegli,
attenti, capaci di agire; non più ciechi e inerti nelle mani del destino.”
Trudeau
aveva lavorato a stretto contatto con Sir Alexander King nella formazione di
una nuova organizzazione denominata Club di Roma, che ha avuto un profondo
impatto sulla governance globale dal 1968 ad oggi.
Trudeau
era un devoto sostenitore di questa nuova organizzazione che, durante i primi
anni ’70, sarebbe diventata un centro di revivalismo neo-malthusiano.
Trudeau
aveva persino presieduto la filiale canadese del Club di Roma e aveva stanziato
fondi per finanziare lo studio del MIT-Club di Roma Limits to Growth [Rapporto sui limiti dello sviluppo], che sarebbe diventato la bibbia della
moderna organizzazione ambientale.
Alexander
King e il modello informatico reso famoso in” Limits to Growth” del 1972, che
imponeva un nuovo scisma tra il desiderio di sviluppo dell’umanità e la
presunta tendenza della natura a soggiacere ad un equilibrio matematico.
A
differenza di Russell, che negava tutti i casi di anti-entropia, Weiner
ammetteva l’esistenza di aree isolate con un certo grado di anti-entropia, per
esempio in biologia e nei sistemi umani, tendenti ad operare in modalità che
portano ad una diminuzione dell’entropia (la propensione dei sistemi
all’equilibrio naturale).
Tuttavia,
proprio come Russell, Wiener credeva che la cibernetica e la teoria
dell’informazione venissero interamente plasmate dall’entropia:
“La
nozione di quantità di informazione ricorda subito una nozione classica della
meccanica statistica: quella di entropia” (la seconda legge della
termodinamica).
Nella
mente di Wiener, la legge dominante l’universo, inteso come luogo finito, in
decadimento e modellato dalla morte, avrebbe inevitabilmente distrutto quelle
poche condizioni di vita anti-entropica sviluppatesi, per mera fatalità, in
aree casuali dello “spazio” e nel “tempo.”
Nel 1954 aveva detto:
“È
altamente probabile che l’intero universo che ci circonda morirà di morte
termica quando il mondo arriverà al completo equibrio termico, in cui non
accadrà mai nulla di veramente nuovo.
Altro
non rimarrà se non una scialba uniformità.”
Le
conferenze Macy sulla cibernetica.
Nel
periodo 1943-1953, la cibernetica di Wiener e il suo corollario della teoria
dell’informazione erano diventati il punto focale di un nuovo sacerdozio
scientifico che avrebbe spinto i più importanti esponenti dei vari rami della
conoscenza nella direzione presa in precedenza dal timoniere del XIX secolo,
Thomas Huxley, e dal suo X-Club della Royal Society.
Queste
conferenze erano finanziate dalla Fondazione Josiah Macy, creata dal generale
Marlborough Churchill (un cugino di Winston Churchill) nel 1930 con lo scopo
primario di convogliare fondi verso la ricerca eugenetica negli Stati Uniti e in
Germania insieme alla sua organizzazione sorella, la Fondazione Rockefeller.
In
Germania, dal 1928 e per tutti gli anni ’30, [la Fondazione] aveva finanziato
il principale eugenista nazista, Ernst Rudin, mentre, contemporaneamente,
sponsorizzava la ricerca condotta dalle società eugenetiche britanniche e
americane.
Come
sottolinea Anton Chaitkin nel suo “British Psychiatry from Eugenics to
Assassination”, il fondatore e responsabile della Macy Foundation, il generale
Marlborough, aveva precedentemente diretto la Black Chamber dell’intelligence
militare dal 1919 fino al suo scioglimento, nel 1929.
La
Black Chamber aveva stretti contatti con l’intelligence britannica e aveva
aperto la strada a quella che poi sarebbe diventata la “National Security
Agency” (NSA).
Dopo
il 1945, nel disperato tentativo di prevenire la diffusione del “Sistema
Americano di Economia Politica e del New Deal internazionale” messo in moto dal
presidente anti-imperialista Franklin D. Roosevelt, le Macy Conferences on
Cybernetics avevano iniziato a tenersi ogni sei mesi, riunendo psichiatri,
biologi, neurologi, ingegneri informatici, sociologi, economisti, matematici e persino teologi collegati alla
Clinica Tavistock.
Wiener aveva descritto queste conferenze, che
avrebbero plasmato il corso dei successivi 75 anni, con queste parole:
“per
l’organizzazione umana, abbiamo cercato l’aiuto degli antropologi, i Dottori
Gregory Bateson e Margaret Mead, mentre il Dr. Oskar Morgenstern, dell’Institute
of Advanced Study, è stato il nostro consulente nell’importante campo
dell’organizzazione sociale, di competenza della teoria economica…
il Dr.
Kurt Lewin ha portato i contributi più recenti sulla teoria del campionamento
delle opinioni e sulla pratica del creare opinioni.”
L’ingegneria
sociale guida l’ordine del dopoguerra.
Per
chi non lo sapesse, il dottor Bateson era stato uno dei principali responsabili
del programma “MK Ultra” della CIA, che aveva funzionato dal 1952 al 1973 come
operazione segreta da diversi miliardi di dollari, progettata per studiare gli
effetti del rimodellamento individuale e collettivo tramite un mix di
elettroshock, tortura e farmaci.
Oskar
Morgenstern era stato l’innovatore della “Teoria dei Giochi,” che avrebbe avuto
un ruolo determinante sia nella pianificazione militare della guerra del
Vietnam che nei sistemi economici dei successivi 70 anni.
Il Dr.
Kurt Lewin, un importante psichiatra della Tavistock Clinic di Londra e membro
della Scuola di Francoforte, aveva messo a punto un programma concertato per
eliminare la peste del patriottismo nazionale, la fede nella verità e l’amore
per la famiglia durante il periodo della Guerra Fredda.
Membro
di spicco di queste conferenze, nonché pianificatore di questa operazione era
stato Sir Julian Huxley, eugenista di fama e grande stratega imperiale, che aveva
lavorato a stretto contatto con il collega Bertrand Russell, leader della
Fabian Society.
Huxley,
che condivideva la cieca fede di Russell e Wiener nell’entropia universale, nel
1953,[parlando dell’universo] aveva detto:
“Da
nessuna parte in tutta la sua vasta estensione c’è una traccia di scopo, o
anche di significato prospettico.
È propulso da forze fisiche cieche, una
gigantesca danza caotica di particelle e radiazioni in cui l’unica tendenza
generale che siamo stati finora in grado di rilevare è quella riassunta nella
seconda legge della termodinamica – la tendenza ad esaurirsi.”
Mentre
iniziava a formulare il suo concetto di “transumanesimo” e mentre organizzava
le conferenze cibernetiche Macy, Julian Huxley, nel 1946, aveva anche trovato
il tempo per creare l’”Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la
Scienza e la Cultura” (UNESCO), redigendone il manifesto di fondazione.
La sua visione entropica della biologia e
della fisica era chiaramente espressa nelle sue agghiaccianti opinioni
politiche:
“La
morale per l’UNESCO è chiara. Il compito che dovrebbe realizzare, quello di
promuovere la pace e la sicurezza, non potrà mai essere portato a termine
unicamente con i mezzi a sua disposizione, educazione, scienza e cultura.
Occorre prevedere una qualche forma di unità
politica mondiale, attraverso un unico governo mondiale o in altro modo, come
solo mezzo certo per evitare la guerra… nel suo programma educativo bisognerà
sottolineare la necessità ultima di un’unità politica mondiale e familiarizzare
tutti i popoli alla possibilità del trasferimento della piena sovranità da
nazioni separate ad un’organizzazione mondiale.”
Lavorando
in tandem con l’ “Organizzazione Mondiale della Sanità”, a sua volta creata da
uno psichiatra della Clinica Tavistock, G. Brock Chrisholm, e finanziata
interamente dalla Fondazione Macy, Huxley aveva dato vita alla “Federazione
Mondiale della Salute Mentale” (WFMH), supervisionata da Montagu Norman della
Banca d’Inghilterra e diretta dal capo della Clinica Tavistock di Londra, il
Maggiore Generale John Rawlings Rees, nominato direttamente da Montagu.
Chaitkin
sottolinea che, nel 1949-1950, tra i primi progetti organizzati congiuntamente
dalla WFMH e dalla Fondazione Macy, vi erano state le “Conferenze sui problemi
della salute e delle relazioni umane in Germania,” che avevano fatto sì che la
tesi sulla personalità autoritaria della Scuola di Francoforte fosse inculcata
nella mente di tutti i bambini tedeschi.
L’obiettivo
era quello di persuadere il popolo tedesco che l’intera colpa dell’ascesa al
potere di Hitler non era da ricercare in cospirazioni internazionali o nelle
manovre della City londinese e di Wall Street… ma piuttosto nella disposizione
“psicologico-genetica all’autoritarismo” del popolo tedesco.
Questo
programma era stato supervisionato dal direttore della Clinica Tavistock, Kurt
Lewin, che, successivamente, sarebbe diventato una figura di spicco della
Scuola di Francoforte e promotore di una nuova tecnica di lavaggio del cervello
chiamata “allenamento della sensibilità,” basata essenzialmente sull’uso dei
complessi di colpa e della pressione collettiva per piegare la volontà di un
gruppo target, sia nella scuola che sul posto di lavoro, allo scopo di
riportare le menti indipendenti all’interno del pensiero di gruppo.
Il lavoro di Lewin con la WFMH e la Clinica
Tavistock è anche alla base delle odierne dottrine della “Teoria Critica”, che
minacciano l’intera civiltà occidentale.
Nella
misura in cui gli individui pensano in maniera autonoma e sono diretti
interiormente da fattori di 1) ragione creativa e 2) di coscienza, i sistemi di
pensiero collettivo non si comportano più secondo le regole statisticamente
prevedibili di entropia ed equilibrio tanto care agli oligarchi e ai tecnocrati
assetati di controllo.
Eliminando
questo fattore di “imprevedibilità,” con l’argomentazione che tutti i leader
che ricercano la verità sono semplicemente “personalità autoritarie” e “novelli
Hitler,” la virtù della folla è stata innalzata al di sopra della virtù del
genio e dell’iniziativa individuale, un fenomeno che continua ancora a pesare
sul mondo. (1)
Nel
periodo 1960-1970, le conferenze cibernetiche si erano evolute, integrandosi
sempre di più con organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’”Organizzazione
Mondiale della Sanità”, la NATO e l’OCSE.
Mentre
era in corso questa integrazione, i nuovi tecnocrati erano diventati sempre più
influenti nel fissare gli standard del nuovo sistema operativo mondiale.
Nel
frattempo, i governi nazionali venivano privati dei loro leader morali, come
John F. Kennedy, Charles De Gaulle, Enrico Mattei e John Dieffenbachie, con
conseguente integrazione dell’analisi dei sistemi e della cibernetica nella
struttura di governo del nuovo “Deep State internazionale”.
Nel
1957, mentre Julian Huxley coniava il termine “transumanesimo,” il culto
dell’Intelligenza Artificiale, guidato dalla fede nell’inevitabile fusione
uomo-macchina, cresceva sempre di più tramite eventi importanti, come la tesi
della simbiosi uomo-computer di J.C.R Licklider del 1960 e l’applicazione di
questi sistemi in alcuni programmi del Dipartimento della Difesa, come i
sistemi di comando dei wargames, il SAGE (Semi Automatic Ground Environment), e
le reti di difesa per velivoli senza pilota.
Le
diadi Computer-Soldato a Cognizione Aumentata della DARPA si sono rivelate
un’altra espressione di questa idea perversa, con centinaia di milioni di
dollari spesi per la creazione di soldati cyborg potenziati.
Nel
corso degli anni, i seguaci di questo nuovo culto si sono ritrovati ad operare
come timonieri nella nuova nave globale terrestre, dando origine ad una nuova
classe elitaria mondiale di tecnocrati e oligarchi fedeli solo alla loro casta
e alla loro ideologia, con il pensiero sempre più allineato al modello della
macchina computerizzata, capace di logica ma non di amore o creatività.
Più
questi adepti del culto tecnocratico, come Yuval Harari, Ray Kurzweil, Bill
Gates o Klaus Schwab, riusciranno a pensare come freddi computer, facendo fare
lo stesso alle popolazioni della Terra, più potrà essere sostenuta la tesi che
“i computer devono ovviamente sostituire il pensiero umano.”
(Matthew
Ehret)
(Fonte:
strategic-culture.org)
(strategic-culture.org/news/2021/05/31/from-russell-and-hilbert-to-wiener-and-harari-the-disturbing-origins-of-cybernetics-and-transhumanism/)
(1)
L’attuale ruolo della Clinica Tavistock come leader mondiale nella terapia
della transizione di genere per gli adolescenti, con un aumento del 400% dei
casi transitati nella struttura nel periodo 2015-2020, è un segno che questa
operazione non è una cosa del passato, ma continua tutt’ora ad esercitare la
sua influenza sulla salute mentale [della comunità].
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