I POLITICI CI VOGLIONO ROVINARE

 

I POLITICI CI VOGLIONO ROVINARE.

 

 

Google vara il

“politicamente corretto”.

 Labparlamento.it - Alessandro Alongi - (16 Gennaio 2023) -ci dice:

 

Meglio “partner di casa” che il più sconveniente “casalinga”. “Ufficiale di polizia” al posto di “poliziotto”.

 Forse anche “proprietario” sembrerebbe più indicato per descrivere il “padrone di casa”, almeno secondo Google che, fra qualche tempo, potrebbe scegliere per tutti noi le parole da usare, con buona pace della libertà di scrittura e di pensiero.

Il più grande motore di ricerca, da qualche mese infatti, ha varato una nuova funzionalità all’interno dei suoi fogli “Google Doc” per spingere gli utenti ad usare linguaggi politicamente corretti e non discriminatori, con il rischio di avere, domani, testi-fotocopia.

Il testo c.d. “predittivo” è a volte un’ancora di salvezza tesa ad aiutare gli scrittori da imbarazzanti errori grammaticali o di ortografia, ma ora Google sta entrando a gamba tesa nel linguaggio di ognuno, dicendo agli utenti di non usare particolari parole particolari, perché – a suo dire – non sarebbero abbastanza inclusive.

“Coniuge casalingo” o “scheda madre” infatti, sono soltanto alcune delle parole che, in automatico, Google Doc suggerisce a chi sta scrivendo sui propri fogli elettronici.

 Un suggerimento robotizzato (che si può accettare o meno) e che vorrebbe spingere verso una maggiore “inclusività” dei testi, falsando però la costruzione narrativa che ognuno di noi compie quando si trova davanti ad un foglio bianco (seppur elettronico).

Ma l’algoritmo non gode del dono dell’infallibilità e, sotto il suo sguardo da censore, a volte esagera (o falla):

è il caso, ad esempio, della trascrizione di un’intervista all’ex leader del Klu Klux Klan David Duke, in cui egli usa toni non proprio benevoli verso persone di colore diverso dal suo;

in questo caso Google non ha ritenuto di dover censurare nulla, forse per rispetto alla libertà di pensiero.

 Dove invece ha messo becco è stato nel discorso inaugurale di John Fitzgerald Kennedy:

secondo l’algoritmo di “Big G” la frase “per tutto il genere umano” sarebbe meglio cambiarla in “per tutta l’umanità”.

Al di là delle note di colore, il fenomeno desta preoccupazione.

Silkie Carlo, esponente di spicco del” Big Brother Watch” (l’organizzazione britannica impegnata nella difesa delle libertà civili) ha lanciato il proprio grido di allarme:

“Le nuove parole di avvertimento di Google non sono di aiuto, sono profondamente invadenti”, una sorta di controllo “di polizia” che per l’attivista “è profondamente goffo, inquietante e sbagliato, spesso rafforza i pregiudizi”.

Non sappiamo ancora se l’umanità si avvia ad entrare in una “dittatura del linguaggio” ma tant’è.

E intanto l’algoritmo incontrollato macina sinonimi da benpensante.

(Alessandro Alongi).

Danni causati dai robot:

l’Unione europea interviene

per stabilire colpe e risarcimenti

labparlamento.it - Alessandro Alongi – (11 Gennaio 2023) – ci dice:

 

Nuove norme in arrivo tese ad aggiornare e rafforzare quelle già esistenti basate sulla responsabilità oggettiva dei produttori, per il risarcimento delle lesioni personali, dei danni alle cose o della perdita di dati causati da prodotti non sicuri, siano essi mobili da giardino o macchinari iper-sofisticati.

A smuovere le acque regolamentari ci ha pensato la Commissione europea che, il 28 settembre 2022, ha adottato due proposte intese a adeguare le norme in materia di responsabilità all’era digitale.

Tali nuove norme consentiranno risarcimenti per i danni causati da prodotti come robot, droni o sistemi di domotica, diventati non sicuri in seguito ad aggiornamenti del software, dei servizi di Intelligenza artificiale (IA) o dei servizi digitali necessari al funzionamento dei prodotti stessi, nonché quando i produttori non rimedieranno alle vulnerabilità esistenti in termini di cybersicurezza.

Le attuali norme nazionali in materia di responsabilità per eventuali danni causati “per colpa” dell’Intelligenza artificiale, infatti, non sono adatte alla gestione dei reclami hi-tech.

In base alle regole esistenti oggi, al danneggiato è richiesto – al pari di un frullatore difettoso – di provare un’azione illecita o un’omissione da parte di un soggetto che ha causato il danno.

La specifica caratteristiche dell’IA, tra cui complessità, autonomia e opacità, rendere tutto ciò molto difficile per le vittime (se non addirittura proibitivo), che devono avere cura di identificare esattamente il soggetto responsabile e dimostrare, in tal modo, i requisiti per una richiesta di risarcimento.

 

Se oggi una qualsiasi persona dovesse presentare un ricorso contro il malfunzionamento di una macchina algoritmica, ciascun tribunale europeo, di fronte alle caratteristiche specifiche dell’IA, non può fare altro che adattare il diritto esistente (pensato per i prodotti tradizionali del secolo scorso) e tentare in tal modo di giungere ad una giusta decisione, causando inevitabilmente incertezza giuridica tra uno stato e un altro.

In primo luogo, l’esecutivo guidato da Ursula Von der Leyen ha proposto di ammodernare le norme vigenti in materia di responsabilità oggettiva dei fabbricanti per prodotti difettosi (dalle tecnologie intelligenti ai prodotti farmaceutici).

 Le norme così rivedute, almeno nelle intenzioni di Bruxelles, garantiranno la certezza del diritto alle imprese, che potranno quindi investire in prodotti nuovi e innovativi, e permetteranno alle vittime di ottenere un equo risarcimento per i danni causati da prodotti malfunzionanti, compresi i prodotti digitali e ricondizionati.

In secondo luogo, la Commissione ha proposto (per la prima volta) un’armonizzazione mirata delle norme nazionali in materia di responsabilità per l’Intelligenza artificiale, agevolando l’ottenimento di risarcimenti da parte di chi ha subito danni connessi all’IA.

Conformemente agli obiettivi del Libro bianco sull’IA e alla proposta di Legge sull’Intelligenza artificiale della Commissione del 2021, le nuove regole permetteranno a chi ha subito danni causati da prodotti o servizi basati sull’IA di beneficiare dei medesimi livelli di protezione di cui godrebbe se i danni fossero riconducibili a qualsiasi altra circostanza.

Ma, in particolare, scopo di quest’ultima proposta di direttiva sulla responsabilità da Intelligenza artificiale è proprio quello di stabilire norme uniformi per l’accesso alle informazioni e l’alleggerimento dell’onere della prova in relazione ai danni causati dai sistemi di IA, garantendo una protezione più ampia per i malcapitati (siano esse persone fisiche o imprese).

Per tale motivo essa armonizzerà alcune norme per le azioni che esulano dall’ambito di applicazione della direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi “classici”, nei casi in cui il danno sia causato da un comportamento scorretto.

Si tratta ad esempio delle violazioni della vita privata o dei danni causati da problemi di sicurezza.

Le nuove norme agevoleranno, ad esempio, l’ottenimento di un risarcimento da parte delle persone vittime di discriminazione nel corso di un processo di assunzione che comporta l’uso di tecnologie basate sull’IA.

(Alessandro Alongi).

 

 

 

L’Agenzia delle Entrate ipoteca

le Case che hanno approfittato

del Superbonus.

Conoscenzealconfine.it – (31 Gennaio 2023) - Redazione Lapekoranera.it- ci dice:

 

Si chiamano in gergo “procedure cautelari”, prevedono l’ipoteca preventiva sugli immobili che hanno beneficiato dei bonus 110% e 90%.

L’ipoteca serve a garantire banche, Agenzia delle Entrate e creditori vari:

 rimarrà iscritta fino all’appurata congruità della spesa e, soprattutto, servirà a chiarire se condominio o singolo proprietario ne potevano effettivamente beneficiare.

A sindacare su tutta la procedura, come da sentenza della Cassazione, tocca all’Agenzia delle Entrate che dovrà appurare i bonus abbiano raggiunto immobili privi di abusi, soprattutto persone fisiche in regola col fisco, non segnalate alle centrali rischi bancarie e che non abbiano riportato condanne penali, soprattutto per evasione fiscale.

 In pratica la Cassazione ha ribadito sui vari bonus i principi che si applicano sul “reddito di cittadinanza” che, ovviamente, non viene elargito a pregiudicati o a soggetti che lavorano a nero.

Parimenti, l’Agenzia delle Entrate chiede la restituzione dell’importo del bonus ai proprietari di immobili non meritevoli, come già fa l’Inps per le procedure di restituzione dei soldi a chi ha indebitamente percepito il “reddito di cittadinanza”.

La Cassazione ha anche definito “Suscettibili di sequestro preventivo i crediti dei terzi cessionari oggetto del superbonus 110%”.

La Suprema Corte ha così sentenziato, pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza, con cui il tribunale del riesame aveva confermato il provvedimento del GIP:

quest’ultimo aveva disposto il “sequestro preventivo impeditivo” (ex art. 321, comma 1, c.p.p.) nei confronti di alcuni soggetti (poi indagati dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di truffa, evasione fiscale e falso) che avevano beneficiato indebitamente del cosiddetto superbonus.

Così la Corte di Cassazione penale Sez. III, con la sentenza del 28 ottobre 2022, numero 40867, ha rigettato ogni tesi difensiva, secondo cui “detti crediti non erano sequestrabili in quanto non derivanti dall’originario diritto alla detrazione ma autonomamente costituiti a seguito dell’esercizio del diritto di opzione previsto dal decreto Rilancio del 2020”.

 La Cassazione ha invece ritenuto i crediti suscettibili sempre di “sequestro preventivo impeditivo”, e siccome la sentenza fa legge, l’alea della “truffa aggravata ai danni dello Stato” ora pende su tutti i crediti dei terzi cessionari:

quindi l’Agenzia delle Entrate dovrà operare in tutela, ipotecando preventivamente ogni bene immobile su cui verrà accolta la procedura di riqualificazione tramite bonus.

 

Una sentenza che i Caf (centri assistenza fiscale) si aspettavano, in considerazione che trovare un edificio con proprietari immacolati e senza alcun peccatuccio catastale, fiscale, giudiziario e bancario è davvero difficile.

Gli unici condomini dove questo forse è possibile sono i palazzi dove risiedono funzionari dell’Agenzia delle Entrate, magistrati, funzionari delle forze dell’ordine e del catasto (oggi Agenzia del Territorio).

Ma basta che tra i proprietari s’intrufoli un commerciante o un libero professionista, che già è certezza possano pendere cartelle esattoriali sul soggetto, come sospesi col fisco ed anche problemi più grossi.

Ma gli alti dirigenti di stato ben si guardano dal criticare la sentenza della Cassazione, evitano anche di parlare male del superbonus, casomai sopportano in silenzio l’ipoteca da parte di uno Stato che ha regalato loro stipendi e rango:

 il rapporto che hanno col potere è omertoso e da sudditi, anzi mafioso.

Così la Cassazione ha messo i paletti con una bella ipoteca fino al giorno in cui sarà stata dimostrata la piena liceità di tutto il procedimento.

Di fatto con i “superbonus” i condomini hanno ipotecato le loro case.

 Il “Centro Studi ICAF” aveva già individuato, e ben prima della sentenza della Suprema Corte, oltre ottanta elementi di criticità:

prevalentemente ignorati dagli amministratori condominiali nell’ambito della deliberazione delle opere di “riqualificazione del fabbricato attraverso ricorso a bonus fiscali”.

Il dottor Ivan Giordano (direttore scientifico della rete “ICAF”) aveva rilevato queste criticità molti mesi prima della sentenza della Suprema Corte.

 

 

“Spiace vedere che all’interno di un decreto che si chiama ‘sostegni’ è stato inserito un provvedimento che di sostegno non ha proprio nulla, sia per le imprese che per i cittadini”, aveva fatto notare Gabriele Buia (presidente dell’Associazione nazionale costruttori) già in epoca Draghi.

“Nonostante le proteste di gran parte del mondo economico e le proposte sul tavolo di soluzioni alternative che noi per primi abbiamo suggerito, il Governo ha deciso di non ascoltare nessuno, mettendo così di fatto un’ipoteca sui cantieri del Superbonus 110% – aggiunge oggi Buia.

 I nuovi vincoli alla cessione dei crediti per gli interventi derivanti dai bonus edilizi, infatti, come segnalato da tutti gli operatori economici compresa l’Abi, avranno un impatto pesantissimo sui lavori in corso, con il rischio di creare migliaia di contenzioni e di bloccare interventi già avviati con gravi ripercussioni sociali ed economiche per famiglie e imprese.

Una norma incomprensibile contro la quale si sono espressi anche molti esponenti della maggioranza.

Facciamo appello al Parlamento perché corregga al più presto questa stortura che rischia di mettere a repentaglio la ripresa economica – ha concluso Buia.

Non è così che si combattono le frodi.

Serve una qualificazione delle imprese e la tracciabilità delle operazioni, altrimenti finiamo solo con il penalizzare le imprese e i cittadini onesti “.

“Indubbiamente il Superbonus ha attratto la maggior parte delle attenzioni, mettendo nell’ombra i bonus minori – spiega Ivan Giordano – ma ogni volta che si decide di ristrutturare il patrimonio immobiliare privato attraverso l’utilizzo di denaro pubblico, l’attenzione dei proprietari immobiliari e di chi ha il mandato a gestirli deve inevitabilmente essere prioritaria, a prescindere dalla tipologia di bonus dal 50% al 110%, nessuno escluso.

La storia degli ultimi anni è già scritta:

sull’onda del ‘tutto gratis’ – chiosa Giordano – attraverso contratti capestro e delibere assunte nella quasi totale inconsapevolezza, i condomini hanno deliberato l’ipoteca a favore dell’Agenzia delle Entrate gravante sul patrimonio dei singoli proprietari”.

Di fatto la Cassazione ha sentenziato, abbracciando una sfera che va del diritto tributario al diritto civile, dall’amministrativo al penale.

Nei casi più sciagurati, già è possibile prevedere il pignoramento dell’immobile, e poi la messa all’asta.

Ma cosa succederà quando i sindaci che giocano a fare i più bravi della classe (Gualtieri e Sala) faranno partire accertamenti sugli immobili non conformi alle regole europee?

C’è già chi prevede l’ecatombe sanzionatoria, per importi che andranno da 10mila a 50mila euro per unità immobiliare, a cui s’andrà comunque ad aggiungere l’obbligo entro un certa data, di messa a norma nella classe energetica e nelle norme Ue.

È decollato l’esproprio immobiliare europeo e a beneficiarne potrebbero essere le multinazionali finanziarie, le stesse che negli Usa posseggono il 90% del patrimonio abitativo delle grandi città.

 E quando decidono di rinnovare un quartiere o di costruirci un centro commerciale, mettono per strada tutti i condomini (ormai affittuari) con la forza pubblica.

Finisce così il mondo dei piccoli proprietari, e c’è pure chi a Bruxelles ipotizza la creazione in ogni stato dell’Ue dell’agenzia pubblica per il mercato immobiliare, per porre fine ad eventuali evasioni fiscali favorite dalle agenzie immobiliari private.

È evidente che il grande capitalismo stia vestendosi di ambientalismo per costringerci a fare lavori inutili sugli immobili (utili solo a favorire la politica consumistica dei colossi industriali) e, soprattutto, abbia armato una leva fiscale e politica su stampo vetero comunista per abolire la diffusa proprietà privata.

(Redazione Lapekoranera.it) – (lapekoranera.it/2023/01/28/lagenzia-delle-entrate-ipoteca-le-case-che-hanno-approfittato-del-superbonus).

 

 

 

Perché le promesse dei politici

porteranno alla rovina le famiglie

colpite dai terremoti?

Casewonderwalt.com – Elvis – (31 ottobre 2018) – ci dice:

 

(Cosa-fare-per-evitare-tutto-ciò).

I politici e le loro promesse fasulle.

Cosa faresti se qualcuno ti promettesse di fare qualcosa per te e poi non lo fa?

La cosa più probabile è che ti arrabbieresti con questa persona senza pensarci due volte.

Nella vita di tutti i giorni infatti capita spesso che qualcuno prometta qualcosa e poi non lo fa. Pensaci bene.

Al lavoro potresti aver chiesto aiuto a qualche collega per portare a termine un determinato compito, ma poi per un motivo o l’altro, ti dice “Mi dispiace, ma non posso darti una mano perché ho già altri impegni. ”

O magari avrai fatto anche tu un favore a qualcuno ma quando avevi proprio bisogno di questa persona non si fa trovare da nessuna parte o semplicemente sparisce nel nulla.

 

So come ci si sente perché a me ad esempio mi è capitato un sacco di volte di ritrovarmi in situazioni del genere.

Potresti dire che la sfiga capita a tutti, ma non sempre è così.

Ad ogni modo, se il favore non era così importante, trovi sempre un’altra soluzione.

In qualche modo ci si arrangia.

Fa parte della nostra natura.

All'inizio ci sentiamo tristi e senza speranze, ma dopo un po’ ci rendiamo conto che dobbiamo fare qualcosa perché se non troviamo la soluzione, allora sarà la nostra fine.

Non è un’esagerazione la mia. È così.

Ti basta ricordare un momento della tua vita in cui tutti quanti che ritenevi i tuoi amici di fiducia ti hanno voltato le spalle...

Ma siamo sicuri che sia sempre così?

Pensiamo ad esempio ai nostri cari politici.

I politici italiani non sono certo famosi per le loro “promesse”.

In realtà quasi nessun politico al mondo è famoso per la parola data.

Ma quelli italiani sono dei veri campioni olimpici se devo essere sincero con te!

Si riempiono la bocca sparando cavolate di ogni genere.

Alcuni dicono che la disoccupazione è diminuita. Altri invece dicono che la crisi economica sta per passare e così via.

Ma qual è il problema quando questi personaggi non promettono quello che dicono?

Penso che non ci sia bisogno di dirlo vero?

Succede che inizia a crearsi un enorme diffidenza nei confronti dei politici.

 Non si crede più alle loro promesse.

E poi cosa succede?

 

Si crea un clima molto “caldo” all’interno del paese.

Iniziano gli scioperi. Scoppiano proteste dappertutto.

E sa meglio di me che non sto esagerando.

Ti basta semplicemente accendere la tv e guardare uno di quei programmi di dibattito politico per renderti conto di quante cavolate dicono i nostri politici.

Il tipo di pubblico che partecipa a queste trasmissioni è gente incazzata pronta a dare sfogo alle sue frustrazioni più profonde.

Ad ogni modo, è da un pezzo che nel nostro paese si va avanti così.

Nessuno ci garantisce niente, cominciando dal lavoro in primis!

C’è chi dice una volta i tempi erano completamente diversi. E chi gli dà torto?

Le cose nel passato erano diverse.

Si stava bene nei vecchi tempi.

Ma ormai dobbiamo farcene una ragione.

Il passare del tempo è inevitabile e questo comporta anche dei cambiamenti nelle persone e nell’ambiente circostante.

A questo punto penso che ti starai domandando cosa c’entra tutta questa “retorica” con i terremoti?

Prima di tutto non c’entra niente perché come ben sa qui su Wonder Wall non si parla di terremoti nel vero senso della parola.

O meglio non facciamo lezioni teoriche sui terremoti.

Facciamo qualcosa di completamente diverso: Analizziamo i problemi che i cittadini possono avere quando ci sono terremoti e promuoviamo il sistema costruttivo Wonder Wall.

Quindi quello che facciamo noi è completamente diverso. Ti rendi conto vero?

Se hai bisogno di farti una cultura sui terremoti, puoi andare tranquillamente su Wikipedia o leggere un libro di geofisica.

 Sono certo che li troverai informazioni molto più dettagliate.

Ad ogni modo, quello che voglio dirti oggi è che siamo stufi di quello che promettono i nostri politici.

Ma siamo stufi soprattutto perché fanno promesse alle persone più vulnerabili in questo momento: I terremotati.

Prova ad immaginare per un attimo (anche se so che è difficile) che tu abbia perso la casa, gli amici, i parenti e chissà cos'altro e non sa più cosa fare...

Poi un giorno arriva nella tua zona il politico di turno e dice: " Tranquilli cari concittadini. Tra due mesi sistemeremo tutto. Vi daremo una sistemazione decente. Non vi abbandoneremo. Vi prometto che tutto ritornerà a com'era prima! "

E poi i due mesi passano e non succede niente. Tutto rimane uguale come prima.

Che faresti in quel caso?

Andresti sicuramente in panico perché ti fidavi di quella persona.

Avevi riposto tutte le tue speranze e quelle della tua famiglia in quella promessa...non importava se quel politico ti stava simpatico.

 Lui ti aveva promesso qualcosa, una soluzione e tu ci credevi davvero.

Ma poi il tempo passa e scopri con rammarico che non ha mantenuto la parola data.

Potresti pensare che nei peggiori dei casi si potrebbe andare avanti nonostante tutto...

Vivere nelle tende predisposte dalle associazioni di volontariato.

 Mangiare quel poco che ti regala la gente che arriva da altre parti dell’Italia. Accettare che il futuro dei tuoi figli non sarà più lo stesso. Etc.

Ma la cosa non è così facile come sembra.

Perché c’è un fattore che nessuno prende in considerazione.

Ed è quello psicologico.

La maggior parte delle persone - di fronte ad un evento così traumatico - semplicemente non ce la fa.

Si entra in uno stato depressivo di cui non c’è via di scampo.

 

Si inizia a pensare “perché a me, perché io, cosa ho fatto di sbagliato per meritarmi questo?”

Alcuni addirittura se ne fregano dei loro familiari rimasti in vita. Si isolano dal mondo e dalle altre persone fino a che quando tutti meno se lo aspettano prendono la fatale decisione di farla finita con la vita!

Non voglio entrare nei particolari di tale decisione, ma una cosa è vera.

Bisogna capire perché queste persone hanno preso questa decisione.

E ci piaccia o no, la colpa è dei nostri politici e le loro promesse fasulle.

Ad esempio, Il governo Renzi aveva promesso ai terremotati delle zone colpite dal terremoto nell’Italia centrale che le case sarebbero arrivate in primavera.

Primavera è arrivata ed è già passata tra l’altro e delle case neanche l’ombra.

Nel frattempo ci sono stati molti casi di suicidio...la prima causa: La depressione.

È brutto dirlo ma la verità è questa.

D'altronde, ci sono già dei casi in cui la gente si suicida perché il governo non promette quello che dice.

Non molto tempo fa a Torino una donna si è data fuoco al centro per l’impiego di Torino perché non le era arrivato l’assegno di disoccupazione.

Le avevano detto che il mese prossimo avrebbe ricevuto il bonifico e lei c’ha creduto.

Il mese dopo controlla il suo conto corrente e scopre che non è arrivato niente. Neanche un euro.

Presa dal panico si reca nel centro per l’impiego e si dà fuoco davanti a centinaia di persone. C’erano anche dei bambini in quel momento.

Quella donna ora è ricoverata all'ospedale di Torino, e solo Dio sa se un giorno si riprenderà da tutte le ferite causate dal fuoco e si potrà avere di nuovo una vita normale.

Questo è quello che fanno i nostri politici.

Sappiamo che dicono un sacco di bugie ma spesso non analizziamo quali sono le conseguenze di tali bugie. Tante volte finiamo per credere alle loro promesse, quando in realtà fanno solo i loro interessi!

Se stai leggendo questo blog è perché sicuramente sei alla ricerca della miglior soluzione per la costruzione della tua casa.

Già il fatto che tu abbia deciso di documentarti per conto tuo ti differenzia dalla massa perché non vuoi cedere il controllo della tua vita al politico o ciarlatano di turno.

Ma al di là di questo, voglio farti riflettere su una cosa.

Prova a pensare per un attimo se decidessi di costruire la tua casa, ignorando il problema dei terremoti?

Cosa ti potrebbe succedere tra 5 o 10 anni se un domani arrivassero terremoti di magnitudo 7 o addirittura 8 ?

Nei “migliori” dei casi potresti perdere la casa e ringraziare Dio che i tuoi figli e tua moglie siano ancora vivi.

Nei peggiori dei casi invece ti sei mai chiesto cosa potrebbe succedere?

Come reagirebbe la tua dolce metà se le promesse e le soluzioni fatte dai politici non arrivassero a tempo debito?

Se la prenderebbe con te? Ti rinfaccerebbe il giorno in cui hai firmato il contratto per la costruzione di quella casa? O ti direbbe che sei stato un irresponsabile per aver deciso di trasferire la tua famiglia in una zona ad alto rischio sismico?

Solo tu puoi capire come reagirebbe la tua dolce metà in una situazione del genere.

Prova a pensare ai tuoi figli adesso.

Pensa ai traumi psicologici che potrebbero portarsi dietro per tutta la vita.

Supponiamo per un momento che fino ad un giorno prima del terremoto tu hai “viziato” i tuoi figli in modo “eccessivo” perché come ogni genitore di questo mondo vuoi il meglio per tuoi figli.

 

E ora immagina cosa penserebbe o come si sentirebbe tuo figlio se - dopo il terremoto - non ha più niente?

Niente giocattoli. Niente amici. Niente animali domestici. Niente vacanze. Niente passeggiate in famiglia.

Non solo la sua vita potrebbe rimanere segnata a vita da questa tragedia, ma potrebbe anche sviluppare dei traumi psicologici che comprometterebbero per sempre la sua vita da adulto.

Molti psicologi dicono che quando un bambino subisce un evento traumatico in tenera età, esso si ripercuoterà drasticamente sulla sua vita adulta per sempre.

Ora ti faccio questa domanda:

È questo quello che vuoi per la tua famiglia?

Mi piange il cuore sapendo che nelle zone terremotate ci sono migliaia di famiglie italiane che forse in questo momento sono presi dal panico e senza l’aiuto necessario possono porre fine alle loro vite.

Rifletti su quanto detto perché anche se non ti sembra vero ti basta semplicemente andare su internet e potrai comprovare con i tuoi occhi che quello che dico è verissimo.

Prima di chiudere ho un consiglio per te.

Se vuoi avere il controllo totale sulla tua vita, senza lasciare che i terremoti la distruggano, e provvedere ai bisogni della tua famiglia, allora non dare retta a quello che dicono i nostri politici.

Se ancora non l’hai fatto ti invito a leggere gli altri articoli di questo blog.

 Sono sicuro che ti aiuteranno ad avere una panoramica generale della situazione in cui potresti ritrovarti se un domani prendessi la decisione sbagliata.

 

 

 

 

Il dramma di avere un Paese

in mano agli sconosciuti:

Italia a rischio rovina.

Ilriformista.it - Piero Sansonetti – (28 Marzo 2020) – ci dice:

 

La forza dell’Italia è che ha sempre avuto ceti politici molto forti.

Dall’Ottocento. Dai tempi dell’Unità.

Ha sempre avuto una classe di governo robusta e una opposizione di grande livello.

 Soprattutto dopo il fascismo, cioè nella storia della Repubblica.

 La classe politica, mediamente, è sempre stata il meglio che l’Italia intellettuale sapesse esprimere.

Sia a sinistra, sia nel centro cattolico, sia a destra.

La borghesia e la classe operaia, cioè i due pilastri sui quali si è costruita la grandezza di questo Paese, non si facevano amministrare da personaggi di seconda fila, ma consegnavano la loro parte migliore alla politica.

Scorrete un piccolo elenco di nomi, e concorderete.

De Gasperi, Sturzo, Dossetti erano personaggi di assoluto vertice del mondo cattolico.

 Non era facile trovarne di migliori, di più carismatici, neppure nelle altissime gerarchie ecclesiastiche, o tra i professori.

E così Togliatti e Nenni e Lombardi e Di Vittorio.

Quando eravamo ragazzi noi che ormai sfioriamo i settanta, la politica faceva una selezione durissima.

 Se volevi provare ad entrare in quella che adesso chiamano “casta”, dovevi sgobbare, studiare e avere ingegno.

Se non ce la facevi, come succedeva ai più, ti accontentavi di fare l’ingegnere, o l’avvocato, o il giudice, o di prendere una cattedra all’Università.

Non sto mica esagerando: era esattamente così.

 E i grandi professori facevano la fila dietro la porta dei politici, non per avere un posto o un premio, ma per avere idee.

Mi ricordo un sindaco di Roma di origini umilissime, che non credo avesse neppure il diploma di maturità, e che teneva in pugno – dico, intellettualmente in pugno – dei giganti dell’intellighenzia di sinistra come Argan, Lombardo Radice, Asor Rosa, Giovanni Berlinguer, Salinari, Giannantoni.

E sto parlando di livello locale. E dell’opposizione.

Nei partiti di governo, nella Dc, del Psi, anche tra i liberali, era la stessa cosa. Einaudi e anche Malagodi (parlo del minuscolo partito liberale) erano degli Dei.

Ritratto di Giuseppe Conte, premier affetto da eiaculazione precoce del cervello.

Conte e Di Maio?

Come Gastone e Paperino: al premier va tutto bene, al ministro nulla.

Coronavirus, ennesimo decreto di Conte: “4,3 miliardi ai comuni, 400 milioni per la spesa”.

E quando uno andava al governo, anche per fare magari il sottosegretario, aveva alle spalle una esperienza robustissima.

 Non facevi il ministro se non eri stato sperimentato per molti anni.

Nelle sezioni di partito, nelle assemblee di fabbrica, nei consigli comunali di provincia.

 E se non c’era l’assoluta certezza della tua capacità di fare il ministro, non facevi il ministro.

Non diventavi presidente del Consiglio se non eri unanimemente considerato tra le dieci persone più capaci di tutto il Paese.

Le poche volte che i partiti ricorrevano a figure di non primissima fila per fare il premier è quando volevano fare un governo passeggero, perché già pensavano a una formula nuova ma non era ancora matura, e avevano bisogno di qualche mese.

 Si chiamavano governi balneari.

In genere li presiedeva Giovanni Leone.

Anche Lui era un avvocato, come questo di adesso, Conte.

Però era uno degli avvocati più famosi d’Italia e aveva fatto tanta gavetta politica, e aveva capacità politiche, cultura, lungimiranza, sapienza che oggi se metti insieme tutti i membri del governo, e chiami anche i loro parenti e amici, e magari i loro professori non ne fai neanche la metà.

Magari avere un Leone, oggi.

Questo credo che sia uno dei principali problemi del Paese.

La fine della classe politica.

Molti hanno festeggiato: gli abbiamo tagliato gli stipendi, le pensioni, li abbiamo arrestati, impauriti, scacciati. Bel risultato.

Ecco come ci troviamo adesso, con un premier che balbetta su Facebook.

 La crisi della classe politica era già iniziata con la Seconda Repubblica, perché i leader della seconda politica, salvo una mezza dozzina, non erano all’altezza di quelli della prima.

Però se scorrevi la lista di governo, conoscevi quasi tutti, conoscevi il passato dei ministri, i loro titoli, i loro meriti.

Un po’ ti fidavi.

 Oggi la fine della professione del politico è totale.

Il premier è uno sconosciuto avvocato che per mettere insieme un curriculum ha dovuto inventarsi un insegnamento fantasma a New York.

Nessuno sapeva chi era, quando è arrivato.

 Quale fosse il suo passato, cosa sapesse fare.

Pare che fosse molto stimato da un avvocato importante come il professor Alpa, e questo è bastato per spedirlo a palazzo Chigi.

E poi i Di Maio, i Bonafede, i Casalino e tutti gli altri. Mammamia.

Anche il Pd e Italia Viva non hanno mandato al governo i loro esponenti più prestigiosi.

Quasi a confermare l’idea che il governo è un posto che deve contare poco.

Uno vale uno, nessuno vale due.

Se vale due è meglio fargli un avviso di garanzia e mandarlo a casa.

È in queste condizioni che l’Italia sta vedendo in faccia il suo inevitabile declino.

È inutile farsi illusioni.

Un paese non cammina da solo.

 Se finisce in mano a Travaglio, a un gruppetto sgangherato di Pm, e a un pezzetto terrorizzato e imbelle di Pd (che sembra l’ombra all’ombra dell’Ulivo di Prodi), non si va lontano.

 In tutto il mondo esiste la crisi della politica.

 L’America non la governano più né Kennedy né Eisenhower, c’è Trump.

E Johnson sta lì al posto di Churchill.

Macron fa le veci di De Gaulle. D’accordo.

Però quei Paesi hanno sempre avuto borghesie fortissime, capaci di governare anche a prescindere dalle loro classi politiche.

Da noi la politica è stata sempre il meglio.

Per questo paghiamo la crisi più degli altri.

Per questo se almeno ci decidessimo, forse, a trovare un altro lavoro a Conte e Bonafede, un lumicino di speranza si accenderebbe.

(Piero Sansonetti)

 

 

 

 

 

La Città Eterna, eternamente

sommersa dai rifiuti.

Labparlamento.it - Donatella Chiodi – (10 Gennaio 2023) – ci dice:

 

L’Epifania tutte le feste si porta via, ma non la mondezza.

 E dire che il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, nell’intervento della vecchina a cavallo della scopa deve averci sperato fino all’ultimo.

Ma benché munita di ramazza il miracolo nella Capitale non le è riuscito.

Perché nella città eterna, eternamente sommersa dai rifiuti, ormai c’è da sperare solo nel miracolo per vedere strade e piazze libere finalmente dai rifiuti.

E dire che lo scorso anno, appena insediatosi in Campidoglio, il primo cittadino della Capitale aveva assicurato una città “luccicante” entro Natale.

Ma di Natali ne sono trascorsi due e l’unica cosa che luccica nelle strade romane sono i sacchi neri dell’immondizia che traboccano dai cassonetti e che fanno gola a cinghiali ma anche ai topi che ormai a Roma sono talmente ben nutriti che si confondono quasi per le dimensioni con gli ungulati.

E il problema rifiuti non è più solo una questione di decoro, ma una vera e propria emergenza sanitaria.

 Che con la riapertura delle scuole di ogni ordine e grado mette a repentaglio la salute anche dei più piccoli, costretti a fare lo slalom con i loro zainetti tra i cumuli di mondezza per varcare i cancelli degli istituti scolastici.

“Riaprono le scuole e a Roma migliaia di studenti tornano in giro per la città.

 Ma ancora una volta il rientro è drammatico con le strade sommerse dai rifiuti la cui raccolta è resa ancora più difficoltosa dal cattivo tempo”, denuncia Fabrizio Santori, capogruppo della Lega in Campidoglio. 

“Un copione già scritto nell’insopportabile atteggiamento del Campidoglio che pare remare contro il decoro, l’igiene, la tutela sanitaria di adulti e bambini, registrando ancora una volta il solito nulla di fatto senza mettere in campo soluzioni degne di una metropoli e di una città d’arte importante e unica come Roma”, prosegue Santori.

E mette il dito nella piaga anche sulla pessima immagine che ha dato di sé la Capitale d’Italia agli occhi dei turisti che quest’anno, dopo due anni di chiusure dovute al Covid,  sono finalmente tornati a visitare la città eterna.

 “Se l’immondizia e la ressa non hanno scoraggiato i turisti e i romani in ferie per l’Epifania, non è possibile con il rientro a scuola e al lavoro tollerare oltre questo stato di cose”, denuncia ancora il capogruppo leghista, che ogni giorno sulla sociale denuncia con foto “raccapriccianti” il degrado della città.

Un degrado “democratico”, proprio come il sindaco dem, perché non risparmia nessun quartiere, quando si dice la coerenza insomma.

“Mondezza per tutti”, potrebbe essere il motto di Gualtieri che se possibile è riuscito non solo ad eguagliare, ma a fare addirittura peggio del suo predecessore, Virginia Raggi.

E non era facile.

“Dall’Ostiense a piazza Vittorio, dalla Collatina a Monteverde, Portuense, Ostia, Spinaceto:

dal centro alla periferia e dovunque l’immondezzaio capitale è ancora una volta padrone assoluto della città e mette “Ama” ko. I dipendenti dell’azienda lamentano di nuovo mancanza di organizzazione, mezzi e personale, ma l’Ordine dei medici lancia l’allarme igienico sanitario”, conclude Fabrizio Santori.

E dalla grande bellezza alla grande mondezza è un attimo, complici anche le festività appena trascorse, che come sempre fanno registrare un aumento del volume dei rifiuti.

 E quegli avanzi di cotechino, la bottiglia vuota di spumante e il cartone del panettone sono ancora là.

Chissà se il sindaco riuscirà a provvedere al loro smaltimento prima che arrivino nei cassonetti anche gli incarti delle uova di Pasqua.

 O dobbiamo continuare ad ingrassare topi e cinghiali?

 

 

 

 

Elezioni, Italia Sovrana e Popolare:

La guerra ci porta alla rovina economica,

fuori dalla Nato”.

Ilquotidianodellazio.it - Giulia Bertotto – (21 settembre 2022) – ci dice:

 

L'intervista ai candidati del Lazio Fabio Massimo Vernillo, Antonella D'Angeli e Matteo Di Cocco.

Italia Sovrana e Popolare è la lista antisistema costituita dal Partito Comunista di Marco Rizzo, Ancora Italia di Francesco Toscano, Riconquistare l’Italia di Stefano D’Andrea, l’ex magistrato Antonio Ingroia e il Comitato No Draghi presieduto da Antonella D’Angeli e Igor Camilli.

Figurano tra i suoi candidati illustri i nomi dell’inviato di guerra Giorgio Bianchi, il giornalista Claudio Messora e il filosofo Andrea Zhok.

Italia Sovrana e Popolare propone tra i punti del suo programma l’uscita dall’Europa, dalla Nato, l’abolizione di qualsiasi pass sanitario e obbligo vaccinale.

Il suo capo politico è Giovanna Colone, insegnante sospesa perché ha rifiutato l’imposizione vaccinale.

Italia Sovrana e Popolare è inoltre l’unica forza tra quelle extraparlamentari ad aver raccolto firme in 49 collegi su 49, un entusiasmo oltre qualsiasi aspettativa.

Fabio Massimo Vernillo: Italia fuori da UE e NATO.

Abbiamo raccolto le parole di tre candidati locali del territorio del Lazio.

 Fabio Massimo Vernillo segretario regionale del Partito Comunista è candidato nella lista Lazio1-p02, la quale comprende alcune zone capitoline come Appio, San Giovanni, Tuscolano, Don Bosco ed altre e tutti i comuni dei Castelli Romani ma anche parte del litorale con Anzio e Nettuno, fino ai confini del frusinate Colleferro, Guidonia, Artena e Labico.

“Italia Sovrana e Popolare nasce da un’esigenza che si è manifestata in questi due anni di pandemia, nei quali abbiamo capito che una questione sanitaria, sicuramente importante, è stata utilizzata per esercitare delle forzature sul popolo italiano.

 La politica italiana oggi è sottomessa alla volontà europea, alle mire espansionistiche della Nato, insomma siamo sudditi di Bruxelles e un’altra stella sulla bandiera americana.

 Noi vogliamo riappropriarci della sovranità popolare del nostro paese.

In questi due anni abbiamo visto la sistematica violazione della Costituzione, ricattando i cittadini con il diritto al lavoro.

Non a caso il nostro capo politico è Giovanna Colone, insegnante sospesa perché ha rifiutato la somministrazione.

Le imprese fallivano, Amazon fatturava sopra ogni record.

Trent’anni anni di tagli alla sanità pubblica hanno portato all’incapacità di far fronte alla situazione pandemica, mentre ogni responsabilità è stata scaricata sui cosiddetti novax.

 I politici che già conosciamo da sinistra a destra non hanno fatto altro che scaricare le loro inadeguatezze sui cittadini mentre medie e piccole imprese fallivano.

 Intanto davano miliardi alla Fiat, Amazon ha incassato 44 miliardi e senza pagare un euro di tasse e le multinazionali del farmaco hanno fatturato miliardi.

L’incontro tra Francesco Toscano di Ancora Italia, Marco Rizzo del PC, e Stefano D’Andrea di Riconquistare l’Italia è stato una scintilla:

hanno deciso di unire le forze del dissenso contro il partito unico liberale che va da Renzi a Salvini, da Letta a Meloni.

 Italia Sovrana e Popolare è composta da 15 movimenti, ciascuno ha fatto un passo indietro per farne avanti verso la riaffermazione della Costituzione, per Scuola, il Lavoro e la Sanità.

Intanto il Pd come FdI vuole perseverare nell’invio di armi all’Ucraina, alimentando una pericolosissima escalation.

Meloni rappresenta infatti una finta opposizione: ricordiamoci solo la sua astensione dal decreto Mille Proroghe.

 Ci sembra che questi personaggi litighino per ragioni che interessano il nostro paese, in realtà se le danno di santa ragione per il taglio dei parlamentari che sono passati da 600 a 400.

 Il PD non è un partito ma” una corrente economica” comandata dal Deep State made Usa.

Antonella D’Angeli: salvare le piccole e medie imprese da sanzioni e speculazioni.

Antonella D’Angeli, candidata come prima capolista nel territorio che comprende alcune zone capitoline come Appio, San Giovanni, Tuscolano, Don Bosco ed altre e tutti i comuni dei Castelli Romani ma anche parte del litorale con Anzio e Nettuno, fino ai confini del frusinate: Colleferro, Guidonia, Artena e Labico.

“Nel Lazio 12mila piccole e medie imprese hanno chiuso in pochi mesi, la stessa situazione coinvolge forni e panetterie;

solo a Roma 2500 panetterie sono a rischio chiusura.

Prima il rialzo della benzina quindi il costo per il trasporto merci, poi il caro gas ed energia hanno pesato sui costi di lavoro insieme all’aumento del prezzo delle materie prime.

Noi eravamo un paese di produttori e ora ci scopriamo senza grano pur essendo produttori di pasta.

Non solo il proprietario dell’attività si trova senza entrata ma anche i suoi dipendenti senza stipendio e così un’intera filiera produttiva si inceppa.

Naturalmente anche per consumatore il costo al dettaglio è cresciuto, e non parliamo di primizie ma di beni di prima necessità, come frutta e verdure di stagione.

Vogliono perfino decidere a che ora dobbiamo fare la lavatrice e quanti elettrodomestici possiamo accendere.

Le sanzioni contro in funzione antirussa stanno danneggiando noi italiani.

Questa la drammatica situazione in cui ci troviamo in nome della difesa degli interessi degli Usa (della sua élite progressista  Dem  e del suo Deep State), e in cui si insinuano speculazione e accise.

Quali sono gli obiettivi della vostra coalizione?

“I nostri obiettivi sono innanzitutto la pace, intavolare trattative con la Russia, essere liberi di scambiare merci con tutti gli stati, per un mondo multipolare. Diritto al lavoro sicuro, retribuzioni eque minimo 1200 euro di retribuzione, abolizione di quelle norme di Renzi sul precariato, contratti a progetto e partita Iva, fine immediata dell’alternanza scuola-lavoro, che non è un tirocinio ma una vera e propria pratica di sfruttamento.

Non dimentichiamo che solo lo scorso anno sono morti due ragazzi e un altro giovane pochi giorni fa”.

Una denuncia sul territorio di Colleferro.

“Vorrei anche denunciare un fatto locale molto serio che avviene nella scuola infermieristica di Colleferro.

I ragazzi non solo affiancano l’infermiere di ruolo ma svolgono lo stesso lavoro e attività dei sanitari già specializzati con i medesimi orari, anche notturni, con rischi e responsabilità per i pazienti e ragazzi stessi.

 Come se non bastasse pagano 300 euro per un posto letto.

Una rapina nelle tasche delle famiglie per avere una forza lavoro gratis.

Questo non è solo un fatto episodico ma una dimostrazione della mancanza di responsabilità della nostra classe dirigente.

L’Italia non può continuare a reggersi su divieti e sussidi.

Dobbiamo tornare liberi e protagonisti. Sovranità significa tornare capaci di autodeterminare le politiche economiche del nostro paese”.

Matteo Di Cocco: sovranità significa protagonismo della cittadinanza.

Con Matteo Di Cocco, candidato come candidato nel collegio uninominale da Colleferro a Guidonia, proviamo a parlare anche del futuro che ci attende.

“Il futuro dell’Italia è al momento oscuro. In questi momenti stiamo affrontando delle grosse sfide, dei mutamenti epocali dopo anni di stasi.

 Negli ultimi trent’anni i governi hanno deciso di salvaguardare il proprio ambiente, limitando le stazioni di gas metano ed altri idrocarburi sul proprio territorio nazionale, per salvaguardare la salute dell’ambiente.

Questo è stato fatto anche in Italia, appoggiandoci però totalmente alle forniture straniere, ad esempio incamerando energia nucleare dalla Francia, gas dal Nord Africa e dalla Russia, così come il petrolio.

Insomma, da dove era più conveniente acquistarla con le tante navi petrolifere che tutt’oggi arrivano nel Mediterraneo e fino all’ENI, Ente nazionale degli idrocarburi, che ricordiamo essere a partecipazione statale. A causa della guerra per procura degli Usa, l’Italia -non potendo decidere in maniera autonoma e sovrana- è stata trascinata in un conflitto che non le appartiene e che la conduce alla rovina.

Un conflitto che nasce, come ben sappiamo dalle provocazioni della NATO, che dura da quattordici anni e non da febbraio 2022, e che ha portato la Russia a diminuire le razioni di gas.

 Che non è però l’unica responsabile perché le aziende energetiche e la Borsa di Amsterdam stanno speculando e lucrando sulla situazione.

Andiamo verso la rovina economica per assecondare gli interessi Usa, ora basta.

È di pochi giorni fa la notizia che la Francia, da cui acquistiamo energia nucleare, dovrà fare manutenzione delle proprie centrali nucleari e quindi diminuirà le forniture energetiche verso l’Italia.

Quindi ci sarà non solo un aumento dei costi, non ci sarà proprio.

Una carenza di energia nel nostro paese significa grave crisi economica.

Una crisi economica che si abbatterà sul presente ma che porterà a rivedere i piani per il futuro, soprattutto per i giovani, questi giovani che hanno già subito per due anni restrizioni e lockdown”.

È di pochi giorni fa il dramma che ha visto l’ennesimo ragazzo perdere la vita durante uno stage:

“Tragedie come queste accadono anche perché al primo posto nell’agenda dei nostri governanti non ci sono gli interessi del paese ma quelli di organi esterni all’Italia.

La chiave sta nel nostro nome, Italia Sovrana e Popolare, vuol dire che l’Italia deve tornare a decidere da sé le priorità e i propri interessi nazionali, quello che noi vogliamo fare è riportare i cittadini nelle istituzioni e le istituzioni in ascolto dei cittadini”.

 

 

Perché Putin ha

già perso la guerra.

Legrandcontinent.eu - Jean-Baptiste Jeangène Vilmer – (28th Febbraio 2022) -ci dice:

 

 

Prospettive Guerra.

Il costo della vittoria militare, il pantano dell'occupazione, il rafforzamento della NATO, l'isolamento della Russia, la destabilizzazione interna di Putin...

L'invasione dell'Ucraina sarà, qualunque sia il risultato, una guerra persa.

Una prospettiva in cinque punti e tre scenari di Jean-Baptiste Jeangène-Vilmer.

 

Il 24 febbraio 2022, il primo giorno dell’offensiva russa contro l’Ucraina, scrivevo:

1 “Qualunque sia il risultato della guerra, Putin l’ha già persa.

Oltre a spingere ciò che resta dell’Ucraina verso ovest, rafforzerà e persino allargherà la NATO, isolerà e indebolirà la Russia come paria, e minaccerà il suo stesso potere a Mosca. L’inizio della fine”

2. Può sembrare presuntuoso il primo giorno di una guerra prevedere il suo esito, e controintuitivo – o ottimista – considerare che non sarà favorevole al più potente dei due belligeranti.

Tuttavia, mi sembrava che questo risultato fosse la conclusione logica del seguente ragionamento in cinque fasi.

1 – Il prezzo della vittoria militare.

Se la vittoria militare di Putin sembra inevitabile, data l’asimmetria delle forze coinvolte, avrà un costo umano e materiale considerevole.

In soli tre giorni di confronto, lo stato maggiore dell’esercito ucraino – le cui cifre devono ovviamente essere prese con il necessario senno di poi – stima che le forze russe hanno perso 4.300 uomini (uccisi o catturati), 27 aerei, 26 elicotteri, 2 barche, 146 carri armati e 706 veicoli corazzati3.

Mosca, da parte sua, nega di aver subito queste perdite e probabilmente non comunicherà mai il vero costo.

In ogni caso, grazie alla straordinaria combattività degli ucraini, forniti di armi da almeno 28 paesi, lo scontro non è la guerra lampo sperata:

 è più intenso e sarà senza dubbio più lungo di quanto gli strateghi russi sperassero.

 Come ha sottolineato Lawrence Freedman, hanno commesso due errori classici, la sottovalutazione del nemico e la sopravvalutazione delle proprie forze, che in realtà sono due facce della stessa medaglia: l’arroganza.

Questo pone problemi logistici alle forze russe (mancanza di carburante, razioni e forse anche di munizioni) – che si sapeva già prima dell’invasione essere il punto debole di una tale operazione – ma anche problemi di immagine, poiché la parte ucraina documenta e diffonde foto e video di aerei abbattuti, carri armati distrutti, soldati russi uccisi e catturati, e crimini di guerra commessi (per esempio l’uso di bombe a grappolo in aree civili).

 Lo fanno con il supporto di una comunità di “Osinters”, cioè esperti di intelligence open-source situati in tutto il mondo, la cui efficacia in questo conflitto è spettacolare – così come il loro uso dei social network, specialmente Twitter.

 A differenza dei loro avversari, le forze ucraine stanno comunicando estremamente bene e il presidente Zelensky è diventato in pochi giorni una figura eroica, lodata in tutto il mondo.

 Qualunque sia il risultato militare del conflitto, Putin ha già perso la battaglia dell’immagine.

La mancanza di risultati concreti sul terreno, la lentezza dell’avanzata degli invasori, che al momento di scrivere non controllavano ancora nessuna città importante, unita alle difficoltà precedenti, possono portare a un crescente senso di frustrazione tra le truppe russe.

 Poiché non tutti erano convinti della necessità di questa guerra, più va avanti e più il dubbio si insinua, raggiungendo forse presto il morale delle truppe.

In ogni caso, è certo che Mosca perderà almeno diverse migliaia di uomini, rendendo questa guerra il suo intervento militare più costoso degli ultimi due decenni.

In queste condizioni, ci sono due possibilità. I

l primo è che Putin non andrà fino in fondo.

 La resistenza locale, combinata con la pressione internazionale e il rischio interno , potrebbe spingerlo a negoziare prima che l’esercito ucraino sia sconfitto.

 Lo presenterebbe in modo vantaggioso, ma nessuno si farebbe ingannare: sarebbe un enorme fallimento per lui personalmente e per le forze armate russe, e anche un’umiliazione.

 Era pronto a pagare un prezzo calcolato per un guadagno, ma rischia di pagare un prezzo molto più alto di quello che immaginava per un guadagno minimo o nullo.

Putin sa che una sconfitta in Ucraina significherebbe probabilmente la sua caduta a Mosca.

Se ha le spalle al muro, la linea d’azione più probabile è la fuga.

La seconda possibilità, che purtroppo sembra più probabile, è che egli persista, a qualunque costo.

 I combattimenti potrebbero andare avanti per settimane e, al fine di accelerare il risultato e quindi ridurre l’impressione di una sconfitta russa, per rompere il morale della popolazione ucraina, potrebbe essere tentato di ricorrere a massicci attacchi aerei uccidendo decine di migliaia di civili, come i russi hanno dimostrato di poter fare in Siria.

 Ciò è tanto più probabile in quanto l’ipotesi era già stata discussa alla televisione russa nel 2016: mentre un oratore suggeriva “che non sarebbe utile inviare forze di terra russe nelle principali città ucraine perché porterebbe a “enormi perdite per l’esercito russo” [, altri] non erano d’accordo e dicevano che [il bombardamento a tappeto di] Aleppo mostra il percorso che Mosca potrebbe seguire”.

2 – Il pantano dell’occupazione

In questa seconda ipotesi, se in qualche modo Mosca finisce con una vittoria militare – ad un prezzo che sarà esorbitante, non solo per il popolo ucraino ma anche per i soldati russi – questo sarebbe solo l’inizio delle difficoltà.

Se la guerra americana in Iraq (Operazione Iraqi Freedom, 2003) è un’indicazione, persino un’ispirazione per Mosca poiché, come ha mostrato Elie Tenenbaum, il parallelo “è impressionante”, va ricordato che il famoso discorso di George W. Bush del 1° maggio 2003 sulla portaerei USS Abraham Lincoln che mostrava con orgoglio uno striscione “Missione compiuta” ha segnato non la fine ma l’inizio dei guai per gli americani in Iraq (nel 2010, Bush ammetterà che questo striscione fu “un errore”).

 C’è una differenza importante, che è che i russi sono molto più vicini agli ucraini di quanto lo fossero gli americani agli iracheni, e quindi avevano più ragione di aspettarsi di essere accolti come ‘liberatori’ da almeno alcuni di loro – ma l’aggressione russa invece di approfittare della disunione della società ucraina sembra aver creato un effetto ‘rally around the flag‘ contro l’invasore, che Mosca chiaramente non si aspettava.

In ogni caso, conquistare un paese è una cosa – ed è alla portata di una grande potenza militare come la Russia – ma tenerlo, cioè occuparlo, è un’altra.

 Questo vale anche per la Cina nei confronti di Taiwan.

Se, prima opzione, Putin annette de facto tutto il territorio ucraino, le truppe russe dovranno affrontare una resistenza quotidiana, certamente variabile ma reale e probabilmente duratura perché sostenuta da stranieri, sia in termini di equipaggiamento che di volontari (che già si stanno riversando: il 27 febbraio Zelensky ha annunciato la creazione di una legione internazionale, una formazione della guardia nazionale che arruola stranieri).

Questa occupazione sarebbe quindi estremamente costosa, sia economicamente che umanamente, e per questo sarebbe senza dubbio impopolare non solo con la popolazione russa ma anche con l’élite.

Se, come seconda opzione, che per le ragioni di cui sopra è più probabile, Putin preferisce mantenere sotto il suo controllo solo una parte del territorio – probabilmente il Donbass e il corridoio meridionale che lo collega alla Crimea o anche alla Transnistria – e mettere un governo filorusso a Kiev, il rischio è allora quello di una guerra civile poiché la resistenza sarà la stessa ma diretta questa volta contro queste autorità illegittime.

 Poiché l’equilibrio di potere non è a priori a favore di quest’ultimo – dato che il centro e l’ovest dell’Ucraina sono proprio le regioni a maggioranza filo-occidentale – i russi che controllano il resto del paese saranno probabilmente costretti a intervenire regolarmente, tenendo le autorità locali sotto perfusione, il che equivarrebbe in effetti a una versione degradata della prima opzione.

Se, come terza opzione, che per le ragioni di cui sopra è più probabile delle altre due, Putin divide il paese in due, per esempio a livello del Dnieper, creando un’Ucraina orientale de facto sotto il suo controllo (o direttamente tramite annessione, o indirettamente istituendo un’autorità al suo soldo in stile bielorusso) e un’Ucraina occidentale a cui sta rinunciando perché sarebbe comunque ingovernabile e perché questo gli dà una carta da giocare nei negoziati con la NATO.

 La situazione a lungo termine non gli sarà più favorevole perché questa Ucraina occidentale cercherà di entrare al più presto nell’Unione Europea o addirittura nella NATO, il che potrebbe essere più favorevole di prima.

 In altre parole, anche se non riguarderà la stessa area territoriale, Putin avrà accelerato l’espansione che voleva impedire.

Ecco perché ho scritto che avrebbe “spinto ciò che resta dell’Ucraina verso ovest”.

3 – Il rafforzamento della NATO.

L’aggressione russa – la sua doppiezza, la sua portata e la sua brutalità – è stata per gli europei soprattutto, ma anche per i nordamericani e parte del resto del mondo, uno shock di portata ancora maggiore di quello dell’11 settembre 2001, che ci ha portato in una nuova era di relazioni internazionali (un’era post-guerra fredda, cioè “l’inizio di una vera guerra fredda” per dirla con Bruno Tertrais, con il paradosso che inizia con una guerra “calda”).

Questo shock ha avuto e avrà diversi effetti.

In primo luogo, ha rafforzato immediatamente la ragion d’essere di un’alleanza che, dalla dissoluzione del Patto di Varsavia contro cui era diretta, aveva attraversato diverse crisi esistenziali.

La guerra in Ucraina ha messo fine alle domande metafisiche che alcuni avrebbero potuto avere sulla rilevanza o l’interesse della NATO oggi, dimostrando chiaramente che il fatto che non ci sia più l’URSS non significa che i paesi dell’Alleanza non debbano affrontare una minaccia comune – tanto più che questa minaccia è visibilmente motivata dal desiderio di ricostruire una forma di URSS o addirittura di impero – che giustifica quindi una difesa comune (e, a posteriori, giustifica anche la preveggenza di coloro che pensavano che fosse meglio mantenere la NATO in caso di irredentismo russo).

La guerra ha anche rafforzato la coesione della NATO, che per la prima volta nella sua storia ha attivato la sua forza di reazione rapida, creata al vertice di Praga del 2002.

In secondo luogo, questo shock, che è stato una brusca presa di coscienza – per coloro che, per ideologia o ingenuità, fingevano ancora di ignorarlo – che la Russia è uno stato ostile alle porte dell’Europa, guidato da un uomo imprevedibile e irrazionale, spingerà tutti i paesi interessati ad aumentare il loro sforzo di difesa.

Non c’è incentivo migliore per raggiungere o superare l’obiettivo della NATO del 2% del PIL per le spese militari, per modernizzare l’equipaggiamento e aumentare la sua prontezza per i conflitti ad alta intensità.

Il 27 febbraio, durante una sessione straordinaria del Bundestag, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato un budget di 100 miliardi di euro per modernizzare l’esercito tedesco e un aumento del bilancio della difesa a più del 2% del PIL.

Si tratta di un passo storico.

 Putin è riuscito a svegliare la Germania, che era particolarmente arretrata in questo campo.

Come ha scritto Benjamin Haddad, “il tempo del riarmo europeo è arrivato”.

Infine, questo shock ha anche aumentato notevolmente l’attrattiva della NATO, poiché l’Ucraina è stata una vivida dimostrazione della vulnerabilità di coloro che non fanno parte della NATO.

Il presidente Biden ha reso questo punto molto chiaro quando ha avvertito, due settimane prima dell’invasione russa, che gli americani non avrebbero inviato truppe in Ucraina.

Se la decisione era ben fondata in termini assoluti – poiché si trattava di evitare un’escalation che avrebbe potuto portare a una “guerra mondiale” – è discutibile se fosse necessario chiarirlo, poiché la dichiarazione potrebbe essere interpretata a Mosca come un via libera.

L’ambiguità strategica sarebbe stata preferibile.

 In ogni caso, questa guerra è una dimostrazione per assurdo del valore aggiunto della NATO, cioè una dimostrazione del rischio di non farne parte.

 Avrà conseguenze immediate per paesi come la Svezia e la Finlandia che se lo stavano chiedendo: l’invasione russa dell’Ucraina “cambierà” il dibattito nazionale sull’adesione alla NATO, ha detto il primo ministro finlandese il primo giorno dell’offensiva.

 Questo è il motivo per cui ho scritto sulla necessità che l’UE assuma un ruolo più attivo nel processo della NATO.

Ecco perché ho scritto che questa guerra “rafforzerà e persino amplierà la NATO”. Renderà più forti, sia individualmente che collettivamente, proprio le persone che Putin voleva indebolire.

4 – L’isolamento della Russia.

La reazione della comunità internazionale può sembrare per il momento insufficiente perché non ha effetti immediati sui combattimenti, ma le sanzioni contro Mosca, che sono le più massicce mai prese contro uno stato, avranno un impatto duraturo su settori (finanza, energia, trasporti, tecnologia) e individui, compresi potenti oligarchi.

 Stanno già cominciando ad essere applicate: il 26 febbraio, per esempio, le autorità francesi hanno intercettato una nave cargo russa nel Canale della Manica, carica di automobili dirette a San Pietroburgo, che è stata dirottata a Boulogne-sur-Mer.

L’esclusione della Russia dal sistema del mercato interno dell’UE avrà un forte impatto sull’economia del paese.

L’esclusione della Russia dal sistema bancario Swift – una delle misure economiche più radicali – dovrebbe entrare in vigore presto.

 Le sanzioni non vengono solo dall’Europa e dal Nord America, ma anche dall’Australia, dal Giappone, dalla Corea del Sud e da Taiwan, anche su tecnologie chiave necessarie a Mosca come i semiconduttori.

 La Cina sarà in grado di compensare alcuni di questi effetti, ma non tutti e ci vorrà del tempo.

 Non potrà restituire i fondi sequestrati, i beni, gli yacht; non potrà riaprire lo spazio aereo ormai chiuso agli aerei russi, ecc.

La risoluzione presentata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (CSNU) il 26 febbraio16 ha confermato l’isolamento della Russia, l’unico stato a votare contro – e che quindi, senza sorpresa, l’ha bloccata con il suo veto (un’occasione per ricordare che la Russia è, di gran lunga, il membro permanente del CSNU che ha fatto più uso del suo veto dal 1990, e soprattutto nell’ultimo decennio).

 L’astensione della Cina era attesa, quella dell’India e degli Emirati Arabi Uniti sono state deludenti, anche se, in totale, 11 Stati su 15 hanno votato a favore del testo che chiede a Mosca di fermare immediatamente il suo attacco e ritirare le sue truppe.

 L’esito di questa risoluzione era certo, ma era necessario andare fino in fondo per considerare altre opzioni.

Alcuni pensano ora a una risoluzione dell’Assemblea Generale, che confermerebbe l’isolamento della Russia sulla scena internazionale.

La società civile globale non è da meno e può anche causare gravi danni, non solo d’immagine.

All’indomani dell’offensiva sull’Ucraina, il collettivo di hacker Anonymous ha dichiarato “guerra cibernetica” alla Russia e ha rivendicato la responsabilità degli attacchi che hanno messo offline diversi siti web governativi, tra cui quello del ministero della Difesa russo, nonché quello del media RT (ex Russia Today).

In diversi paesi, tra cui il Regno Unito e la Francia, parlamentari e personalità pubbliche hanno chiesto la sospensione di RT20.

 In Australia, l’operatore televisivo Foxtel lo ha fatto il 26 febbraio.

YouTube ha già “iniziato a sospendere la capacità di alcuni canali [russi] di generare entrate su YouTube, compresi i canali di RT in tutto il mondo”.

E presto potrebbero essere adottate misure europee per combattere la propaganda russa.

Anche il mondo dello sport si è mobilitato: la UEFA ha condannato l'”invasione militare” russa e ha spostato la finale di Champions League che doveva essere giocata a San Pietroburgo, diversi sportivi di alto profilo si sono ritirati dalle competizioni in Russia e diverse squadre nazionali hanno annunciato che non giocheranno più contro squadre russe.

In tutti i settori, gli appelli a boicottare beni e servizi russi sono in aumento.

In queste condizioni, l’indebolimento economico della Russia è inevitabile, così come il suo isolamento politico sulla scena internazionale.

 La Russia diventerà veramente uno stato paria, non più desiderato nelle relazioni commerciali, nei formati diplomatici (il secondo giorno dell’offensiva il Consiglio d’Europa stava già sospendendo i diritti di rappresentanza della Russia), nello spazio aereo, nello spazio d’informazione, nelle competizioni sportive e in tutti gli eventi che costituiscono la vita internazionale.

Ecco perché ho scritto che la guerra “isolerà e indebolirà la Russia, che diventerà un paria”.

Putin può rassicurarsi che avrà relazioni con la Cina, l’Iran, il Pakistan e qualche altro stato indifferente al rispetto del diritto internazionale e dei principi dell’umanità, ma questo potrebbe non convincere gli imprenditori, gli atleti e in generale la popolazione che pagherà il prezzo di questo isolamento.

L’indebolimento economico della Russia è inevitabile, così come il suo isolamento politico sulla scena internazionale. La Russia diventerà veramente uno stato paria.

5 – La fine di Putin?

Quello che questa guerra sta distruggendo è il futuro della Russia e il suo popolo lo sa.

La guerra in Ucraina produrrà un immenso malcontento in Russia, e quindi un immenso problema per Putin che, come tutti i dittatori, teme prima di tutto il suo popolo.

 Prima di tutto, perché la guerra provocherà migliaia di morti russi e decine di migliaia di famiglie e amici in lutto.

Le autorità ucraine stanno giocando questa carta molto abilmente, istituendo una hotline, un servizio di assistenza telefonica e un sito internet24 per le famiglie dei soldati russi uccisi o catturati, e chiedendo al CICR di rimpatriare i corpi in Russia.

Questa pratica ha almeno due interessi: da un lato, aggira la censura russa, che non informa le famiglie sulla sorte dei loro cari, in modo che la popolazione russa prenda coscienza delle perdite e dei costi di questa guerra, ma anche delle menzogne del loro governo, che cerca di nasconderla loro, il che dovrebbe aumentare il loro risentimento e quindi le possibilità che si mobilitino.

D’altra parte, è anche un guadagno d’immagine, poiché gli ucraini mostrano così che la loro condotta è più umanitaria di quella dei russi che li attaccano comunque.

La popolazione russa non capisce questa guerra e si oppone ad essa.

Appena iniziata l’offensiva, sono state organizzate manifestazioni in tutto il paese.

I cartelli “No alla guerra” sono apparsi ovunque, e i pochi media indipendenti rimasti nel paese stanno mostrando la loro opposizione al conflitto e il loro sostegno al popolo ucraino.

Un collettivo di 664 ricercatori e scienziati russi ha denunciato la responsabilità della Russia in una lettera aperta e ritiene che si sia “condannata all’isolamento internazionale e a un destino di paese paria”.

 Anche il consenso politico ha cominciato a incrinarsi: il terzo giorno di guerra, un deputato della Duma che aveva votato a favore del riconoscimento delle entità separatiste si é opposto all’invasione.

 In generale, la guerra sarà un catalizzatore dell’opposizione russa.

In contrasto con il sostegno popolare per l’annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti filorussi nel Donbass nel 2014 e negli anni successivi, la guerra totale di Putin a tutta l’Ucraina, senza alcuna ragione, sta generando incomprensione e proteste che cresceranno solo quando le forze russe massacreranno i civili ucraini, ai quali la maggior parte dei russi si sente piuttosto vicina, e quando questa carneficina avrà un impatto sul loro tenore di vita.

La popolazione russa è troppo repressa perché questo possa portare a grandi rivolte – 1700 manifestanti sono stati arrestati in 42 città solo il 24 febbraio28 – e, consapevole del pericolo, il regime probabilmente aumenterà ulteriormente la repressione interna.

 Infatti, il 25 febbraio, l’ex presidente russo Dmitry Medvedev ha proposto di approfittare dell’espulsione della Russia dal Consiglio d’Europa per reintrodurre la pena di morte – un segnale alla popolazione che, per assicurare la sua sopravvivenza, il regime è pronto a prendere misure sempre più radicali.

 Questo non farà che aggravare la situazione e confermare che con questa guerra Putin ha probabilmente perso parte del sostegno popolare che aveva costruito negli ultimi due decenni.

Più preoccupante per lui è il malcontento dell’élite economica russa, che perderà molto denaro a causa dell’avventurismo del presidente, che presenta un rischio reale di frammentazione del regime che finora ha mantenuto sottili equilibri.

Con la “sua” guerra, Putin si sta facendo nemici dall’interno, compresi oligarchi molto potenti che pagheranno il prezzo dei suoi sogni di grandezza.

Il risentimento e l’ostilità che genererà all’interno dell’élite russa costituisce un rischio reale per la sua continuazione al potere nei prossimi mesi e anni.

Questa guerra “di troppo” è il suo più grande errore di giudizio e potrebbe essere la sua rovina.

Ecco perché ho scritto che “minaccerà il suo stesso potere a Mosca” e che sarà “l’inizio della fine” – della sua fine.

Lo scenario peggiore.

Tutto quanto sopra è solo uno scenario, e per giunta uno ottimistico, poiché presuppone che la guerra rimanga limitata al territorio ucraino, il che non è affatto certo.

 Purtroppo c’è un’altra possibilità.

Vedendo che ha sopravvalutato le sue forze in Ucraina e sottovalutato la reazione internazionale, cioè che sta perdendo il controllo della situazione, Putin potrebbe voler riprendere l’iniziativa con un’escalation.

Può farlo in almeno tre modi:

Verso la NATO, in un contesto di estrema tensione, attaccando uno stato membro e accusandolo di fornire armi e/o intelligence, di proteggere il presidente Zelensky e/o membri del suo governo, di un attacco inscenato – come parte di un’operazione false flag – o attraverso un incidente di frontiera – per esempio, al confine polacco attraverso il quale passano le armi – o attraverso una schermaglia nei cieli o nel Mar Nero.

 Se attacca uno stato membro, lo farà segnalando la minaccia nucleare in modo abbastanza esplicito da mettere alla prova la solidarietà dell’articolo.

Può anche condurre un’escalation sul territorio ucraino, inizialmente ricorrendo a bombardamenti massicci come menzionato sopra, ma anche come ultima risorsa usando un’arma nucleare tattica, con il pretesto di rappresaglia contro un attacco inscenato – Mosca sta già iniziando a diffondere la voce che gli ucraini potrebbero far esplodere una ‘bomba sporca’ sul territorio russo.

 Attraverso l’uso dell’arma nucleare, il governo russo può anche usare le proprie armi nucleari per attaccare gli ucraini.

Usando armi nucleari contro l’Ucraina, Mosca segnalerebbe la sua intenzione di andare “fino in fondo”, sperando di creare un effetto di stordimento e supponendo che la NATO non oserà escalation.

Potrebbe infine voler aprire un nuovo fronte, nei Balcani o altrove, non solo per massimizzare le sue possibilità di vittoria allo stesso costo (se sente che le sanzioni internazionali hanno già raggiunto il loro picco), ma anche per creare un diversivo, cioè per coprire quello che sarà un fallimento relativo o assoluto in Ucraina.

Tuttavia, questa ipotesi si scontra con una realtà materiale e psicologica: visto il costo umano e materiale della guerra in Ucraina, non è affatto certo che la Russia abbia i mezzi per altre ambizioni, e soprattutto che i generali – alcuni dei quali si diceva già non fossero favorevoli all’avventura ucraina – seguiranno Putin altrove, il che non farebbe che aumentare la sua frustrazione.

Lo scenario peggiore è improbabile ma non impossibile, così come in generale il rischio di una grande guerra.

 Poiché Putin è visibilmente chiuso in un delirio paranoico e arrogante, nulla può essere escluso.

 È anche in questo senso tragico che questo potrebbe essere “l’inizio della fine”.

 

 

 

 

 

Le Farine di Insetti.

Conoscenzealconfine.it – (1° Febbraio 2023) - t.me/RadioGregInfo – ci dice:

Mi sono deciso a scrivere perché ho la sensazione che pochi stiano davvero comprendendo la manovra.

Hanno “buttato un osso” e tutti, come cani arrabbiati, si sono gettati a discutere di questo ma, secondo me, senza capire la reale manovra; provo a illustrarla.

Hanno parlato di questi “animaletti”, ma ora emerge la vera ragione.

Cito uno stralcio di un articolo dell’ottimo Giorgio Bianchi:

“Come già anticipato, a partire dal 26 gennaio le larve di verme della farina minore (Alphitobius diaperinus) possono essere commercializzate in tutti i Paesi membri dell’Unione europea e saranno vendute surgelate, in pasta oppure essiccate:

nemmeno il tempo di arrivare sugli scaffali dei supermercati, tuttavia, che scatta già l’allarme allergie e la raccomandazione per gli under 18 di non consumare cibi da esse derivate.

L’Alphitobius diaperinus è concretamente il quarto insetto a cui la Commissione europea ha concesso di entrare nelle tavole dei cittadini, dopo le larve gialle, la locusta migratoria e i grilli.

Una decisione che ha creato forte dibattito tra chi continua a sostenere la tesi secondo cui mangiare insetti aiuterebbe a combattere l’inquinamento ambientale e a sfamare più persone in modo “sostenibile”, e chi ritiene che si tratti di un vero e proprio orrore alimentare in grado di infliggere un duro colpo alla cucina nostrana “.

Davvero pensate che le grandi multinazionali alimentari “alleveranno insetti” e li venderanno, congelate, in pasta o essiccate?

Non avete idea dei costi di un simile processo; io SI… e anche LORO!

Tutta questa manfrina serve a ben altro… e infine ce lo dicono:

“Alphitobius diaperinus”, larve di verme della farina minore.

 

Per lavoro ho avuto a che fare con diversi produttori di pasta, i quali mi hanno spiegato come funzionano i meccanismi di approvvigionamento.

 Se una partita di grano proveniente dal Canada mostra muffe e funghi (tossici, alcuni letali), quel grano DOVREBBE essere distrutto e non utilizzato per impieghi alimentari.

Un doppio costo quindi: perdita della materia prima e smaltimento del rifiuto.

Cosa fanno allora? Mischiano il grano con altro, fino a raggiungere una “soglia di accettabilità”;

chiaramente, diversi enti oscuri si impegnano a “ritoccare” i limiti di legge, così da facilitare l’operazione.

CHIARO?

Ora, per favore, vogliate comprendere che qui siamo di fronte allo stesso meccanismo:

grandi partite di farina per uso alimentare SVILUPPANO VERMI (che poi divengono farfalle);

a chi non è successo di vederlo in casa propria?

Invece di scartare la farina come “prodotto non idoneo all’uso alimentare umano”, s’inventano l’arricchimento proteico!

 In buona sostanza, vogliono rifilarvi un prodotto marcio, compromesso e inutilizzabile, che le leggi attuali IMPONGONO di non impiegare e smaltire come rifiuto.

Come lo fanno? Decidendo, PER LEGGE, che quella merda è “arricchimento proteico”!

E voi… giù a discutere di grilli e cavallette!

Poi, quando fra qualche mese si vedrà che… niente cavallette e grilli negli scaffali, qualche tonto esulterà pure, dicendo “abbiamo vinto noi”.

In verità, vi starete già MANGIANDO QUELLA MERDA… ma nelle merendine, nel pane, nella pasta e in ogni altro prodotto che includa le farine.

Questa è la storia delle cavallette, nonché un ottimo esempio di come i “soliti noti” manipolano con grandissima facilità le masse che, bisogna dirlo, non mostrano particolare capacità intellettiva.

(t.me/RadioGregInfo).

 

 

 

 

"La struttura per la sicurezza

europea è completamente in rovina"

swissinfo.ch - Eva Hirschi – Henrik Larsen - (6-3-2022) – ci dicono:

 

La Svizzera non fa parte della NATO: la sua neutralità glielo vieta.

Negli ultimi decenni ha tuttavia stretto dei partenariati internazionali per mantenere e promuovere la pace.

 La guerra in Ucraina ha ora stravolto l'intera politica di sicurezza.

Questo contenuto è stato pubblicato il 06 marzo 2022.

Henrik Larsen è direttore del Centro per gli studi di sicurezza (CSS) del Politecnico federale di Zurigo.

 Le sue ricerche si concentrano soprattutto sulla NATO e sulla sicurezza transatlantica.

A colloquio con SWI swissinfo.ch, l'esperto illustra la politica di sicurezza della Svizzera negli ultimi decenni.

Prima di lavorare al CSS, Henrik Larsen è stato consulente della delegazione UE in Ucraina. zVg

SWI swissinfo.ch: lunedì, il Governo svizzero ha deciso di adottare le sanzioni contro la Russia.

 È una decisione che l'ha sorpresa?

Henrik Larsen:

No. La Svizzera è da tempo uno Stato neutrale, ma quale sarebbe stata l'alternativa?

 La Confederazione doveva forse rimanere l'unico Stato della comunità occidentale che non aderiva alle sanzioni?

 Una scelta simile poteva essere male interpretata.

 Si poteva essere tentati a pensare che la Svizzera approvasse il comportamento della Russia.

La Svizzera è integrata economicamente e culturalmente in Europa.

 Inoltre, la Confederazione si adopera a favore di relazioni pacifiche.

Per questo motivo non può semplicemente rimanere alla finestra a guardare se un Paese viola palesemente le leggi e le norme internazionali.

Ripercorriamo la politica di sicurezza della Svizzera.

La Confederazione non fa parte della NATO.

Dal 1996 partecipa però al Partenariato per la pace della NATO.

 Come mai?

Alla fine della Guerra fredda, la Svizzera voleva salvaguardare il suo statuto di Paese neutrale, nello stesso tempo intendeva contribuire al mantenimento della pace e alla creazione di una struttura di sicurezza globale, soprattutto per le questioni di "soft security".

 Per la Svizzera, il Partenariato con la NATO è una sorta di strumento per fare osservare le norme internazionali.

 La Confederazione non ha mai fornito sostegno operativo.

Da allora, com'è cambiato il rapporto tra Svizzera e NATO?

 

Gli anni Novanta possono essere considerati un periodo d'oro.

Nell'ambito del “Partenariato per la pace”, la Svizzera ha potuto difendere i suoi valori e impegnarsi per il mantenimento della pace e dei diritti internazionali.

 Con l'occupazione da parte della Russia di una parte della Georgia nel 2008 e la susseguente guerra in Afghanistan, la NATO si è concentrata sulla difesa territoriale.

Per la Svizzera è stato più difficile mantenere una partnership forte con la NATO.

Infatti, partecipare alle missioni della NATO significava diventare complice dell'uccisione di esseri umani.

In quanto Stato neutrale, la Confederazione se n'è guardata bene.

L'annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 ha ridotto ulteriormente l'importanza del partenariato NATO-Svizzera.

Tre anni fa, in un articolo sosteneva che la Svizzera doveva riavvicinarsi alla NATO. Perché?

A cinque anni circa dall'annessione della Crimea, la situazione in Europa sembrava più tranquilla e le priorità della NATO erano cambiate: l

a presenza in Europa dell'Est era stata rafforzata e temi "soft" erano al centro dell'attenzione, quali la sicurezza informatica, le nuove tecnologie e la protezione delle infrastrutture.

 La NATO era anche disposta ad allacciare nuove partnership con Stati che non volevano unire questi temi alla difesa collettiva.

Visti i suoi valori e le interdipendenze economiche e sociali con i Paesi occidentali, in quel momento era sensato pensare a un riavvicinamento della Svizzera alla NATO per valutare altre possibilità di collaborazione.

Si erano inoltre tenuti colloqui del gruppo informale formato dagli Stati non-membri della NATO, ossia Austria, Svezia, Finlandia, Irlanda e Svizzera, con la partecipazione occasione di Malta.

L'attenzione era rivolta al "soft power".

Contenuto esterno.Come può la Svizzera partecipare alla politica di sicurezza europea e nello stesso tempo salvaguardare il suo ruolo di mediatrice con Stati terzi?

La NATO si augurava un sostegno maggiore da parte della Svizzera in materia di sicurezza informatica.

Ora la situazione è cambiata rispetto al 2014.

Allora, l'annessione della Crimea alla Russia si era svolta in maniera quasi pacifica.

I soldati russi non indossavano nemmeno un'uniforme.

Nel 2022 è tutto diverso: la Russia ha deciso di invadere uno Stato.

 Sembra quasi che Vladimir Putin voglia ridare vita all'antico impero russo.

Fintanto che la Svizzera non è disposta a scendere in campo a favore di una difesa territoriale, la NATO la considererà un partner secondario, non importante.

La guerra in Ucraina altera la politica di sicurezza globale?

La struttura per la sicurezza europea è completamente in rovina.

Tra le nazioni non c'è più alcun equilibrio.

Gli Stati occidentali non possono più fidarsi della Russia: tutte le menzogne e le macchinazioni che hanno portato alla guerra in Ucraina hanno eroso quel poco di fiducia che nutrivano in Putin.

 Al momento non si può ancora fare una previsione sulla politica di sicurezza dopo la guerra.

Anche in Stati come la Finlandia o la Svezia ci si chiede se non sia giunto il momento di entrare nella NATO.

Già nel 2014 si erano espresse queste richieste, anche se erano meno insistenti.

Secondo me è un passo molto rischioso perché non sappiamo come potrebbe reagire la Russia.

Anche se la retorica di Putin era più aggressiva, gli Stati Uniti si erano finora concentrati piuttosto sull'Asia, visto che la Cina è il suo principale concorrente.

Gli USA vogliono naturalmente mantenere la NATO, ma spetta agli europei inviare le loro truppe.

Da soli, gli USA non scenderanno in campo con il loro esercito.

Cosa significa sul lungo termine per la politica europea?

 

È probabile che buona parte degli Stati chiedano un aumento della spesa a favore degli armamenti e della difesa.

 La Germania ha già preso una decisione in questo senso.

Si tratta di un cambiamento fondamentale della sua strategia, un cambio di rotta che non si vedeva dai tempi della Guerra fredda.

La Svizzera rischia molto con l'UE.

La Svizzera porta avanti un pericoloso gioco di equilibrismo con l'UE dal quale potrebbe uscire sconfitta.

Come finirà la guerra in Ucraina?

Nel peggiore dei casi, si giungerà a una guerra tra la NATO e la Russia, se quest'ultima attaccherà gli Stati membri poiché hanno sostenuto militarmente l'Ucraina.

La Russia li ha già avvisati: le nazioni straniere che si immischiano nella guerra dovranno pagarne le conseguenze.

 Putin non esclude l'uso di armi atomiche. Speriamo però che non si giunga a tanto.

L'altra possibilità è che la Russia occupi l'Ucraina, o almeno Kiev, la parte orientale e meridionale, mentre la parte ad occidente si separi dal resto del Paese.

Occupando l'Ucraina, la Russia corre il rischio di essere confrontata con una forte opposizione del popolo ucraino, sostenuto dall'Occidente.

 La Russia è militarmente superiore, ma la questione sarà se, in patria, riuscirà a sopportare il prezzo politico della guerra.

Quale effetto avranno le sanzioni economiche?

Al momento hanno un grande effetto simbolico.

Tanto più che la Svizzera ha aderito alle sanzioni.

Queste sanzioni vogliono colpire l'economia russa e gli oligarchi affinché facciano sentire il loro malcontento nei confronti del Cremlino, indebolendolo.

 Le proteste a Mosca e il fatto che i primi oligarchi hanno espresso il loro dissenso, evidenziano che non tutti sostengono la decisione di Putin.

Inoltre, l'Occidente sta cercando di sostenere militarmente e finanziariamente l'Ucraina per aumentare i costi dell'invasione.

Più danni causa questa guerra, meno popolare sarà il conflitto armato in Russia.

 

 

 

 

MICHAIL GORBACIOV BOCCIO’

IL PIANO SHATALIN DI “GEORGE

SOROS”: CHI HA ROVINATO LA RUSSIA?

Libertates.com - Alexander Bush – (14 Marzo, 2022) – ci dice: 

 

Quando Putin chiese a Boris Berezovskij di buttare giù una palazzina a Mosca: 3000 morti in una notte.

Le minacce di Berezovskij a George Soros.

“Nel suo discorso di guerra del 21 febbraio, Vladimir Putin ha fatto un’affermazione che ha lasciato sbigottiti gli storici.

Ha detto che “l’Ucraina contemporanea è stata completamente e

interamente creata dalla Russia, per la precisione dalla Russia comunista e bolscevica.

 Questo processo è iniziato quasi subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi compagni hanno agito in modo davvero scorretto con la Russia, arraffandole e strappandole una parte dei suoi territori storici” …

Ebbene, evocando il 1917, il “professor” Putin “dimentica” che nel 1917 vi furono

due rivoluzioni:

quella democratica nel mese di febbraio e quella di ottobre che consentì a Lenin,

il 7 novembre, di creare il primo regime totalitario della Storia…”.

(Stéphane Courtois, “Lenin, l’Ucraina e lo spettro di Orwell”)

“Ieri ho visitato Mikhail Gorbaciov in ospedale, ha compiuto da poco 91 anni e non sta bene, ma mi ha confermato che bisogna fare quanto possibile per fermare la minaccia di una guerra nucleare”.

(Dmitrij Muratov, vincitore del Premio Nobel per la pace 2021)

Il mito dell’eziologia tanto cara a Sigmund Freud è insufficiente a comprendere la realtà che è per sua natura ambigua e complessa;

non è chiaro come mai Vladimir Putin si è scompensato, precipitando tra gli stati misti: i più pericolosi, nella liaison tra i poli opposti della frustrazione e dell’eccitazione.

Il fantasma di Lenin si ripercuote sulla pace dell’Europa, che torna indietro di ottanta anni:

la principale responsabilità di questa tragedia che si consuma tra la distruzione degli ospedali e degli asili a Kiev, è senza dubbio del contadino Michail Gorbaciov.

Che non ha dato retta a George Soros, privatizzando le terre.

Se l’avesse fatto, Boris Eltsin non sarebbe andato al potere con il golpe del 1991.

È l’ora più buia dal 1940 sullo sfondo del tramonto della civiltà occidentale diagnosticato da Oswald Spengler;

l’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina con il suo para delirante discorso del 21 febbraio 2021, in cui si identifica con Nicolay Vladimir Lenin tra l’altro super contraddittoriamente come hanno rilevato gli analisti, rappresenta – come ha scritto Maurizio Molinari nel suo editoriale “Assalto alla democrazia” –

la “più grave crisi militare dalla fine della Seconda guerra mondiale e dimostra che il presidente russo Vladimir Putin ha scelto di usare la forza delle armi per poter ridefinire l’architettura della sicurezza europea, a scapito della Nato, della Ue e più in generale delle democrazie”.

Per Wolodymyr Zelensky, l’eroe della resistenza ucraina, Putin non si fermerà fino a Berlino con la cattiveria antisociale di cui è capace quando si sente messo all’angolo: e purtroppo, è assai verosimile che siamo già entrati nella III guerra mondiale.

L’analista polacco Zbgnew Brzezinsky, già presidente della Trilateral Commission e autore del formidabile “Il grande fallimento – ascesa e caduta del comunismo nel XX secolo” con prefazione di Sergio Romano, l’aveva detto a Euronews nel 2012: Putin vuole ricostituire l’Urss, e l’aggressione all’Ucraina ne è la principale tappa.

Gli oligarchi della onorata “societas scelerum” come Roman Abramovich, ex enfant prodige del pericolosissimo Boris Berezovskij morto suicida il 24 marzo 2013 a Londra senza aver realizzato la transizione da “capitalista di rapina” a “capitalista legale” auspicata da George Soros e tutti gli altri degni complici come Michail Khodorkovsky, sono costretti a scegliere il “laissez faire” di Boris Johnson per sopravvivere, e a tradire lo zar Vladimir: meglio tardi che mai.

Come è stato possibile che uno psicopatico costituzionale alla Sam Giancana come il mediocre Vladimir sia riuscito a mettere sotto scacco l’assetto securitario dell’Europa e del mondo, con la minaccia di una ritorsione nucleare?

L’anomalia Putin con la riduzione in miseria della Russia – ai livelli della disgregazione dell’impero zarista dei Romanov pre-Rivoluzione – è il grande fallimento dell’Occidente nei suoi rapporti con la Russia uscita dalla caduta del Muro di Berlino nel novembre 1989 e dalla fine della guerra fredda: l

e Amministrazioni Bush, Thatcher e Reagan non ascoltarono i consigli del fondatore della “Opening Society Foundation” George Soros, che fu deriso pubblicamente dal Ministro degli Esteri William Waldgrave per aver proposto il coinvolgimento delle risorse dei bilanci pubblici occidentali nel nuovo Piano Marshall a favore del New Deal capitalista della Russia e dell’Est Europa:

la Iron Lady e Bush tra gli altri, erano contrari al deficit spending in soccorso dei russi, che chiedevano di non essere abbandonati nella transizione storica dalla “società chiusa” del socialismo reale alle società aperte dell’Occidente – che non andava promossa solo con la retorica della libertà, ma anche con i soldi;

ma furono abbandonati proprio dai più devoti apologeti della libertà, schiavi ideologicamente del cosiddetto “punto di equilibrio” dell’ordoliberalismo di Milton Friedman che è la negazione estremistica del deficit spending (spesa in deficit):

chiarissimo è stato George Soros sul punto con il suo atto d’accusa “Chi ha rovinato la Russia?”:

“Nel 1947, a seguito della devastazione prodotta dalla Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti lanciarono lo storico piano Marshall con lo scopo di ricostruire l’Europa;

un’iniziativa dello stesso tipo, nell’epoca successiva al collasso del sistema sovietico, era impensabile.

Proposi qualcosa di simile in occasione di una conferenza tenutasi nel 1989 a Potsdam (che allora faceva ancora parte della Germania orientale), ma fui letteralmente additato al pubblico ludibrio, a cominciare da William Waldgrave, alto funzionario del ministero degli Esteri di Margaret Thatcher.

La Thatcher era una devota apologeta della libertà – ogni volta che ha visitato i paesi comunisti ha insistito per incontrare i dissidenti –, ma l’idea che una società aperta vada costruita e che la sua costruzione possa richiedere (e meritare) un sostegno esterno esorbitava palesemente dalla sua comprensione.

Da fondamentalista del mercato qual’ era, non aveva fiducia nell’intervento governativo.

 In effetti, si è lasciato che i paesi comunisti si arrangiassero perlopiù da sé;

alcuni ce l’hanno fatta, altri no”.

Intanto Cosa Nostra russa metteva le sue radici a Mosca tra la seconda metà degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta (lo sappiamo bene che la mafia si rafforza senza il business);

un ambizioso social climber senza un briciolo di originalità che proveniva dal nulla e aveva fatto il funzionario del Kgb interiorizzando tutte le piccinerie e le distorsioni piccoloborghesi del Comunismo, si alleava con la malavita organizzata tra il riciclaggio di denaro sporco e la corruzione all’ombra di uomini come Anatolij Aleksandrovic Sobcak, l’incarnazione dell’Homo Sovieticus alla fine della guerra fredda come sindaco di San Pietroburgo, e professore dello stesso Putin:

in Italia abbiamo avuto Mario Chiesa al Pio Albergo Trivulzio, arrestato il 17 febbraio 1992, e tra l’altro i due un po’ si somigliano.

Il documentario “Da zar a zar” di Andrea Purgatori su La 7 in contrapposizione alla lettura apologetica del putinismo di Oliver Stone ricostruisce molto bene la carriera criminale di Vladimir Putin nel crepuscolo della guerra fredda, membro di Cosa Nostra russa che era e resta la principale nemica della Opening Society di George Soros:

non a caso lo stesso Putin si proclama oggi erede di Lenin.

Entrambi avversano il capitalismo a favore della “società chiusa”, che è solo povertà, miseria e uomini d’onore.

Ma l’errore più grave è stato commesso da Michail Gorbaciov, il fautore di “Glasnost e Perestrojka” – Liberalizzazione e Trasparenza – che ha consegnato la Russia alla cleptocrazia di Eltsin e Putin, cioè Il Padrino al Cremlino: poiché credeva di essere l’erede di Lenin, scegliendo l’ideologia sul pragmatismo.

E vale la pena di articolare una riflessione su questo punto, pubblicando ampi passaggi dei diari di George Soros, che ha agito come market operator sui mercati dell’Urss al tramonto e ha fondato la teoria della riflessività che lo qualifica come erede di Adam Smith, più che di Karl Popper:

la Società Aperta resta una delle grandi eredità del Novecento, ma è stata ostruita nella sua potente azione di riforma dalla miopia ideologica del segretario del Pcus che non volle occidentalizzare la Perestrojka, ma si innamorò dell’idea di ripetere la Nep di Lenin, all’interno del socialismo dal volto umano.

Un errore tragico: il dirigismo è intrinsecamente fallimentare.

Come ha scritto molto correttamente Marcello Flores nel capitolo “La fine dell’Urss e la storia del comunismo” del libro “Urss addio” a cura di Antonio Curati, “Nell’autunno del 1987, in occasione del settantesimo anniversario della rivoluzione d’Ottobre, due anni e mezzo dopo essere stato nominato segretario generale del Pcus e due anni prima del crollo del Muro di Berlino, Michail Gorbaciov introduceva il suo discorso richiamando le “lezioni istruttive” di quell’evento, prime fra tutte “l’opzione socialista” e la linea strategica di Lenin, di cui ricordava con particolare enfasi la “Nuova politica economica”, ammonendo però a non equipararla a “ciò che stiamo facendo oggi”.

Gorbaciov ricordava anche il cambiamento radicale prodotto dalla collettivizzazione, che aveva creato la base per modernizzare il settore agrario liberando una parte importante della forza lavoro necessaria all’edificazione socialista, ma puntualizzava i limiti di quell’esperienza nel frenare il progresso della democrazia socialista”:

questa analisi tecnicamente errata elogiava il principio del collettivismo dirigista delle terre, pur denunciandone gli eccessi (quando invece fu un disastroso fallimento di Nicolay Vladimir Lenin) ed appare eziologicamente connessa alla bocciatura del meraviglioso “Piano Shatalin” da 500 miliardi di dollari:

 infatti Marcello Flores, notava bene:

“Riformare il comunismo nel solco di Lenin e andando oltre: questo il messaggio che il segretario generale lanciava innanzitutto al Pcus e al popolo sovietico in un momento cruciale della propria proposta politico-strategica, fondata sui due pilastri della perestrojka (la ristrutturazione dell’economia e dello Stato) e della glasnost (la trasparenza e l’ampliamento degli spazi pubblici di libertà…”; Gorbaciov avrebbe dovuto abbandonare il tracciato di Lenin, per diventare un vero leader occidentale – anziché riformare il comunismo nel solco di Lenin.

Le idee hanno conseguenze”: come diceva Friedrich Hayek, e la distorsione dell’ideologia è di riprogettare la realtà senza tenerne conto.

Con il risultato oggettivo di aver favorito ancorché involontariamente la mafia di Boris Berezovskij e Anatolij Sobcak, che dalla mancata americanizzazione della Perestrojka ha tratto linfa per nutrire il suo durty business basato sul capitalismo senza mercato all’interno di un ambiente criminogeno e illegale.

Soros, versato nel polytropos delle attività – filosofo, uomo d’affari, scrittore, filantropo, fondatore delle Fondazioni per la Società Aperta e teorico della riflessività (“Essere molte cose significa essere nessuno: lo ha detto Kant”, come dice un attore di Relazione intima) – non è stato ascoltato né da Gorbaciov né dai leaders della rivoluzione neoliberista dei Chicago Boys; ecco i passaggi decisivi del suo libro The Opening Society, alla voce “Chi ha rovinato la Russia?”.

Una preziosa lezione per i posteri, mentre siamo a un centimetro dall’apocalisse come dice Massimo Cacciari:

“Chi ha rovinato la Russia? –

… Le società aperte dell’Occidente non credevano nella società aperta come idea universale, la cui realizzazione giustificherebbe uno sforzo notevole:

questo è stato il mio più grande errore di valutazione, oltre che la mia più cocente delusione.

Ero stato tratto in inganno dalla retorica della guerra fredda.

L’Occidente era disposto a promuovere la transizione solo a parole, non con i soldi; e qualsiasi aiuto o consiglio fornito era fuorviato dall’ottica distorta del fondamentalismo del mercato.

 I sovietici e poi i russi erano ben disposti verso i consigli provenienti dall’esterno; anzi, li bramavano addirittura.

Si erano accorti che il loro sistema era marcio, e tendevano ad adorare l’Occidente.

Ahimè, hanno commesso il mio stesso errore: hanno presunto che l’Occidente si sarebbe impegnato davvero.

Avevo costituito la mia prima Fondazione in Unione Sovietica nel 1987.

Quando Michail Gorbaciov raggiunse telefonicamente Andrej Sacharov nel suo esilio di Gor ’Kij e gli chiese di “riprendere le sue attività patriottiche a Mosca”, mi accorsi che un mutamento rivoluzionario era in fieri.

 In altra sede ho descritto le mie esperienze in quella fase.

Quel che qui conta è che nel 1988 proposi di costituire una task force internazionale che mettesse allo studio la creazione di un “settore aperto” in seno all’economia sovietica e, non senza meraviglia – non ero che un oscuro gestore di fondi, allora – appresi che i funzionari sovietici avevano accettato la mia proposta.

L’idea era di creare un settore di mercato all’interno dell’economia dirigistica, scegliendo una branca industriale, come poteva essere quella alimentare, che vendesse i prodotti ai consumatori ai prezzi di mercato anziché a quelli imposti (con un adeguato sistema per passare dai prezzi imposti a quelli di mercato).

Questo settore aperto poteva poi essere gradualmente ampliato.

Fu presto chiaro che l’idea non era praticabile, perché l’economia dirigistica era troppo malata per alimentare l’embrione di un’economia di mercato:

 il problema del trapasso fra i sistemi di prezzi era irresolubile.

 Ma persino un’idea tanto balzana, e proveniente da una fonte così trascurabile, ha trovato appoggio ai più alti livelli:

il primo ministro Nikolai Ryzhkov ordinò ai vertici delle principali istituzioni sovietiche (Gosplan, Gosnab, ecc.) di collaborare.

È pur vero che io riuscii a coinvolgere, da parte occidentale, economisti come Wassily Leontief e Romano Prodi.

Più tardi ho messo insieme un gruppo di esperti occidentali che hanno fatto consulenze a gruppi di economisti russi che stavano redigendo programmi di riforma in senso concorrenziale.

Poi ho fatto in modo che gli autori della principale proposta di riforma economica russa (il cosiddetto piano Shatalin), guidati da Grigory Yavlinsky, fossero invitati a Washington per partecipare alla riunione del 1990 del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.

Gorbaciov era titubante sul piano e infine lo ha bocciato, particolarmente in merito a due questioni:

 la privatizzazione della terra e la dissoluzione dell’Unione Sovietica parallelamente alla formazione di una unione economica.

 Continuo a pensare che il piano Shatalin avrebbe prodotto una transizione più ordinata rispetto all’attuale stato di cose.

Poco dopo che Gorbaciov ha perduto il potere l’Unione Sovietica si è disgregata, e Boris Eltsin è diventato presidente della Russia (colpo di Stato del 1991, ndr).

Eltsin affidò l’economia a Egor Gajdar, allora a capo di un istituto di ricerche economiche, e che aveva studiato macroeconomia sul classico manuale di Rudi Dornbusch e Stan Fischer.

 Gajdar tentò di applicare le norme della teoria monetaria a un’economia che non obbediva ai segnali monetari.

 Le imprese di Stato stavano continuando a produrre sulla base della pianificazione di Stato, anche se non venivano più pagate per farlo.

Mi ricordo di aver chiamato Gajdar nell’aprile del 1992, per fargli notare che l’indebitamento tra le imprese stava crescendo fino a raggiungere un ammontare a un terzo del PIL; egli riconobbe il problema, ma continuò come se niente fosse.

L’uscita di scena di Gajdar è stata seguita da un difficile numero acrobatico;

 alla fine è emerso come vice primo ministro responsabile dell’economia Anatolij Chubais, che proveniva da un altro istituto di ricerche.

La priorità di Chubais è stata il trasferimento delle proprietà dallo Stato ai privati.

Chubais era convinto che una volta che le proprietà statali fossero passate in mano ai privati, i nuovi proprietari avrebbero cominciato a proteggere i propri beni e il processo di disintegrazione si sarebbe arrestato.

 Non è andata così.

Un piano di distribuzione dei buoni che davano ai cittadini il diritto di acquistare quote delle società di proprietà statale è sfociato in una corsa selvaggia ad arraffare il patrimonio di Stato.

 I dirigenti “politici” delle società in questione ne hanno preso il controllo, defraudando dei buoni i lavoratori, o accaparrandosi le quote per pochi soldi.

Hanno continuato a stornare gli utili, e sovente gli stessi patrimoni, in holding finanziarie con base a Cipro:

in parte per evitare le tasse, in parte per pagare le quote che avevano rilevato, in parte per costituirsi un patrimonio all’estero (non essendo per nulla rassicurati da ciò che stava succedendo in patria).

Le fortune nascevano dalla sera alla mattina, nonostante l’estrema scarsità di denaro e di credito, sia in rubli sia in dollari.

Da questa situazione caotica ha cominciato a emergere l’abbozzo di un nuovo ordine economico.

Si trattava di una forma di capitalismo, ma molto particolare, ed è sorta con un procedimento diverso da quello che ci si sarebbe potuti aspettare in condizioni normali.

La prima privatizzazione è stata quella della Pubblica sicurezza, e per certi versi è stata la più riuscita:

il potere è andato a una miriade di eserciti privati e di mafie costituitasi nel frattempo.

I gruppi dirigenti delle imprese di Stato hanno creato società private specialmente a Cipro, che stipulavano contratti con le imprese statali ex sovietiche.

Le loro fabbriche funzionavano in perdita, non pagavano le tasse e sono andate in arretrato con i pagamenti dei salari e con il saldo dei debiti verso altre imprese.

 Il contante ricavato dalle operazioni veniva spedito a Cipro.

 Sono state così formate delle nuove banche – parte da banche di proprietà dello Stato, parte da gruppi capitalistici emergenti.

Alcune banche hanno fatto fortuna gestendo i conti di vari enti statali, compreso il Tesoro russo.

Poi, parallelamente al succitato piano di privatizzazione tramite distribuzione dei buoni, è nato un mercato azionario, prima ancora che venissero istituiti i registri dei titoli e i meccanismi di compensazione necessari, e molto prima che le imprese, le cui azioni venivano scambiate, cominciassero a comportarsi da società di capitali.

 I proventi del piano-buoni non sono affluiti né allo Stato né alle stesse società.

 I dirigenti hanno dovuto per prima cosa, consolidare il proprio controllo e onorare i debiti che avevano contratto durante il processo di acquisizione dei pacchetti di controllo;

solo in un secondo momento hanno potuto creare utili a beneficio delle loro società, e anche allora ai dirigenti conveniva nascondere gli utili, anziché pubblicarli, a meno che non potessero sperare di raccogliere capitali vendendo azioni.

Ma solo pochissime imprese hanno raggiunto questa fase.

 Un quadro del genere si potrebbe giustamente descrivere come “capitalismo di rapina”, perché il modo più efficace per accumulare capitali privati partendo quasi da zero era appropriarsi del patrimonio dello Stato.

Naturalmente, vi sono state delle eccezioni. In un’economia priva (nonché assai bisognosa) di servizi e di assistenza, era possibile fare soldi in modo più o meno legittimo fornendo quei servizi; per esempio, con attività di restauro e ristoranti.

L’aiuto estero è stato per la gran parte all’iniziativa di due istituzioni finanziarie internazionali (il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale), perché i paesi occidentali non erano disposti a prelevare denaro dai propri bilanci.

Mi sono opposto a questo sistema, sulla base del fatto che il Fondo è istituzionalmente inadatto al compito:

esso agisce facendo sottoscrivere ai governi una lettera di intenti in cui essi promettono di rispettare certe condizioni nell’amministrare la stabilità della moneta e il bilancio statale (oltre ad aderire ad altre richieste), e sospende i pagamenti se un governo non soddisfa le condizioni poste.

Nel caso di paesi con governi deboli e inefficienti questo metodo è quasi una garanzia che il programma fallirà, e in Russia è puntualmente accaduto.

 Il governo centrale era incapace di riscuotere le imposte, e l’unico modo per tenere sotto controllo la massa monetaria consisteva nel sottrarsi agli obblighi di bilancio.

Gli arretrati nel pagamento degli stipendi e i debiti tra le imprese si sono accumulati fino a raggiungere livelli inimmaginabili.

 Allora sostenni che c’era bisogno di un approccio più diretto e invadente, che a quell’epoca sarebbe stato accettato di tutto cuore.

Tuttavia, esso avrebbe richiesto lo stanziamento di soldi veri, e di fronte a tale prospettiva le democrazie occidentali si ritrassero.

Quando il Fondo Monetario Internazionale ha accordato un prestito di 15 milioni di dollari alla Russia io ho sostenuto, in un articolo pubblicato sul “Wall Street Journal” dell’11 novembre 1992, che quel denaro si sarebbe dovuto destinare alle indennità della previdenza sociale, e che si sarebbe dovuto monitorare minuziosamente l’erogazione dei fondi.

A causa della svalutazione del rublo gli assegni pensionistici ammontavano a soli otto dollari al mese, quindi il denaro sarebbe stato sufficiente per pagare tutte le pensioni.

 La mia proposta non ha ricevuto una seria considerazione, perché non era conforme al modus operandi del Fondo.

 Così mi sono dato da fare per dimostrare che l’assistenza estera poteva essere efficace.

Ho istituito la “International Science Foundation” con una sovvenzione di cento milioni di dollari (l’esborso finale ha toccato i centoquaranta milioni).

Il nostro primo atto fu la distribuzione di cinquecento dollari a testa a circa quarantamila scienziati di punta russi, nella speranza che ciò li avrebbe incentivati a rimanere in patria e proseguire il proprio lavoro.

Ciò è costato solo venti milioni di dollari, e per un anno ha dato da vivere a quegli scienziati.

I criteri per la scelta dei destinatari erano aperti, trasparenti e oggettivi:

il candidato doveva aver pubblicato almeno tre articoli sulle più importanti riviste scientifiche.

 In pochi mesi, e con una spesa aggiuntiva inferiore al dieci per cento, abbiamo portato a termine la distribuzione della somma, e il piano ha garantito pagamenti in dollari a ciascuno dei destinatari, che erano sparsi per tutto il territorio ex sovietico.

A dimostrazione che la mia proposta di controllare l’erogazione dei fondi era perfettamente praticabile.

Il denaro residuo è stato speso per ottenere la ricerca sulla base di uno scrupoloso processo di selezione dei progetti, organizzato a livello internazionale, al quale hanno partecipato i più famosi scienziati del mondo (Boris Berezovskij, che poi è diventato un infame oligarca, ha erogato un milione e mezzo di dollari in borse di studio all’estero, per ragioni sue. Questo è stato l’unico contributo russo).

Tutti i fondi sono stati assegnati in meno di due anni.

Le ragioni per cui ho finanziato gli scienziati sono complesse.

Volevo dimostrare che l’assistenza estera poteva andare a buon fine, e ho scelto come terreno di prova la scienza perché potevo contare sulla collaborazione di diversi esponenti della comunità scientifica internazionale, disposti a spendere tempo ed energie per valutare progetti di ricerca.

Ma il meccanismo per la distribuzione degli aiuti urgenti avrebbe potuto funzionare altrettanto bene anche per i pensionati.

C’erano poi altri argomenti a favore dell’aiuto agli scienziati.

Durante il regime sovietico molti dei migliori cervelli erano entrati negli istituti di ricerca, dove il pensiero indipendente era più tollerato che nel resto dell’apparato di regime;

 essi hanno partorito una produzione scientifica annoverabile fra i punti massimi raggiunti dall’umanità.

Avevano una predisposizione alquanto diversa della scienza occidentale: più astratta e meno avanzata tecnologicamente, salvo per pochi settori privilegiati.

Gli scienziati erano inoltre in prima linea nell’opera di riforma politica.

Andrej Sacharov era particolarmente noto e ammirato, ma ce n’erano molti altri. Per giunta, esisteva il pericolo che gli scienziati atomici venissero allettati (e ingaggiati) da Stati criminali.

L’impresa si è rivelata un successo clamoroso su tutta la linea, e ha conferito alla mia fondazione una reputazione inattaccabile.

Abbiamo altresì subìto molti attacchi, perché ci siamo impegnati in programmi su cui era facile alimentare polemiche.

Per esempio, abbiamo indetto un concorso per nuovi libri di testo liberi dall’ideologia marxista-leninista, e siamo stati accusati di avvelenare le menti degli studenti.

 La Duma ha condotto indagini conoscitive sulla base di accuse secondo le quali stavamo comprando segreti scientifici a buon mercato, benché tutta la ricerca finanziata dalla fondazione fosse obbligatoriamente destinata alla pubblicazione e fosse di dominio pubblico.

La comunità scientifica al completo si levò in nostro sostegno, e così la Duma finì per approvare una mozione di ringraziamento.

Quindi, quando affermo che la storia avrebbe preso un’altra direzione se le democrazie occidentali fossero andate in soccorso della Russia dopo il collasso dell’impero sovietico, parlo sulla base di un’esperienza concreta.

Immaginate quanto sarebbe diverso oggi il sentimento dei russi nei confronti dell’Occidente se il Fondo Monetario Internazionale avesse pagato loro le pensioni quando erano quasi alla fame.

Mi sono astenuto dall’investire in Russia, in parte per evitare qualsiasi problema di conflitto di interessi, ma soprattutto perché ciò che vedevo non mi piaceva.

 Non ho peraltro interferito con i gestori del mio fondo, che volevano investire, e ho anche approvato la nostra partecipazione a un fondo d’investimenti a gestione russa su un piano di parità con altri investitori occidentali.

Nel gennaio del 1996 ho partecipato al forum mondiale dell’economia, a Davos, nel corso del quale il candidato comunista alla presidenza, Gennadi Zyuganov, ha ricevuto una buona accoglienza dal mondo degli affari.

Incontrai Boris Berezovskij e gli dissi che, se fosse stato eletto Zyuganov, lui si sarebbe ritrovato a penzolare da un lampione.

Volevo che Berezovskij sostenesse Grigorij Javlinskij, che tra tutti i candidati consideravo l’unico genuino riformatore; ma sono stato un ingenuo.

Non avevo capito fino a che punto Berezovskij era coinvolto in loschi affari con la famiglia Eltsin.

Stando a quanto dichiarò pubblicamente, il mio monito riguardo alla sua sicurezza personale gli aveva chiarito le idee.

Si incontrò con gli altri uomini d’affari russi che presenziavano alla conferenza di Davos, e insieme formarono un cartello per favorire la rielezione di Eltsin.

È così che sono diventati gli oligarchi.

Si è trattato di un atto di ingegneria politica davvero notevole:

 Eltsin partiva da una base di sostegno popolare inferiore al dieci per cento, e sono riusciti a farlo rieleggere.

La campagna è stata orchestrata da Anatoly Chubais.

Non sono a conoscenza dei dettagli, ma li posso immaginare.

Quando uno dei collaboratori di Chubais è stato arrestato mentre usciva dalla “Casa Bianca” russa – il quartier generale del primo ministro e del suo gabinetto – con circa duecentomila dollari in una valigetta, ero sicuro che non si trattasse di uno scherzo.

 Gli oligarchi hanno estorto una ingente ricompensa, in cambio del sostegno a Eltsin.

 Hanno ricevuto azioni delle imprese statali più pregiate come garanzia dei prestiti concessi per rimpinguare il bilancio statale, in uno scellerato progetto “prestiti contro azioni”.

Dopo che Eltsin ha vinto le elezioni, queste imprese sono state messe all’asta, e gli oligarchi se le sono spartite.

Conosco bene Chubais.

Secondo me è un sincero riformatore che ha venduto l’anima al diavolo per combattere quella che definiva la “minaccia rosso-bruna”, cioè una combinazione di socialismo e nazionalismo…”.

COME OPERAVANO GLI OLIGARCHI.

C’è un passaggio molto importante dei diari di George Soros, che è stato oggetto di una grave manipolazione menzognera da parte del sociologo Pino Arlacchi nel suo dossier “L’inganno Khodorkovsky” – che tra l’altro scopiazza lo stesso Soros – pubblicato su l’Unità nel dicembre del 2013, per legittimare la falsa credenza che Soros partecipasse agli affari sporchi di Berezovskij: quando tale asserzione è intollerabile:

“… E’ in questo scenario che nel 1997 ho deciso di partecipare all’asta dello Svyazinvest, la holding di Stato della telefonia.

Non è stata una decisione facile, poiché ero fin troppo conscio della dilagante corruzione russa.

Sarebbe stato più semplice lavarmene le mani dedicandomi solo alla filantropia, ma mi pareva che la Russia avesse maggiormente bisogno di investimenti esteri. Se la Russia non fosse riuscita a passare dal capitalismo di rapina a quello legale, tutta la mia filantropia sarebbe stata vana.

Così ho deciso di partecipare a una delle offerte per aggiudicarsi la Svyazinvest, che è poi risultata quella vincente.

Fu la prima vera vendita all’asta in cui lo Stato non venisse bidonato.

Nonostante avessimo pagato un prezzo onesto (poco meno di due miliardi di dollari, prelevati per metà dal mio fondo), calcolai che si sarebbe dimostrato un investimento assai remunerativo, qualora fosse avvenuta la transizione al capitalismo legale.

Purtroppo non è stato così.

 L’asta ha innescato una dura e prolungata lotta fra gli oligarchi, una sorta di rissa fra ladri.

Alcuni di essi non vedevano l’ora di compiere la transizione a un capitalismo legale, altri puntavano i piedi perché sapevano di essere incapaci di operare nel rispetto delle leggi.

Il più importante oppositore dell’asta e del suo esito è stato Boris Berezovskij: dopo che la cordata dei suoi sodali ha permesso, si è dedicato alla distruzione di Chubais.

Ho avuto spesso discussioni molto franche con Berezovskij, senza riuscire a dissuaderlo.

Era un uomo ricco, un miliardario (almeno sulla carta): la sua più grande proprietà era la Sibneft, una delle maggiori compagnie petrolifere del mondo.

Tutto ciò che doveva fare era consolidare la propria posizione: se non poteva farlo da sé, che si rivolgesse a una investment bank.

Mi rispondeva che non avevo capito nulla: la questione non verteva su quanto egli fosse ricco, ma su come avrebbe tenuto testa a Chubais e agli altri oligarchi.

Quelli avevano fatto un patto, e dovevano rispettarlo.

Doveva distruggerli, o ne sarebbe stato distrutto.

Stavo assistendo, a distanza ravvicinata, a uno spettacolo storico stupefacente:

 dei potenti oligarchi cercavano di ribaltare non solo i risultati dell’asta, ma l’intero tentativo del governo di tenerli a freno.

Mi sembrava di vedere delle persone che si azzuffano a bordo di una zattera che la corrente trascina verso le cateratte.

 Nel quadro della campagna di accuse e controaccuse, Berezovskij rivelò che Chubais aveva ottenuto novantamila dollari nella forma di un artato anticipo per un suo libro (era in realtà l’altra tranche del pagamento degli oligarchi per i suoi servigi come campaign manager di Eltsin).

Chubais è stato così indebolito e disturbato, costretto a investire tutte le sue energie per difendersi.

Il gettito fiscale è calato, poiché il suo intervento personale era necessario affinché si procedesse all’esazione delle imposte.

Nel 1998, proprio quando hanno cominciato a farsi sentire le ripercussioni della crisi asiatica, l’economia russa ha registrato un pericoloso ribasso, culminato nell’agosto 1998 con il venir meno della Russia al rimborso del debito interno, che ha fatto tremare i mercati finanziari di tutto il mondo”.

IL FALLIMENTO DI SOROS, IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE E PUTIN.

Mentre chi scrive reitera al computer i passaggi più significativi di una parte dei diari di George Soros – la cui magnifica razionalità ebraica non è possibile eguagliare, ma si ammirare – non si può non aprire e chiudere una breve parentesi sulla tesi tanto cara a Piero Ottone:

 il fallimento di Soros con la Russia è legato anche al tramonto dell’Occidente secondo Oswald Spengler, nel pessimo spettacolo dato dagli esponenti dei governi del G7 nell’agosto del 1997: contattati telefonicamente da George Soros per la grave crisi finanziaria della Russia, erano tutti irreperibili perché in vacanza!

Una classe dirigente al mare: ecco ai lettori un indizio probante del declino della civiltà occidentale, che per l’autore del presente dossier è un dato oggettivo e si suggerisce la lettura dell’opera “Il tramonto della nostra civiltà” edito da Mondadori a cura di Piero Ottone:

 

“Venerdì 7 agosto (1997, ndr) ho telefonato ad Anatolij Chubais, che era in vacanza, e a Egor Gajdar, rimasto a “badare a bottega”.

 Ho detto loro che a mio parere la situazione era giunta allo stadio terminale, e che il governo non sarebbe riuscito a rinnovare i propri debiti dopo settembre anche se fosse stata versata la seconda tranche del prestito del Fondo Monetario Internazionale.

Ad aggravare la situazione, il governo ucraino era sull’orlo della bancarotta perché un prestito da 450 milioni di dollari ottenuto con la mediazione della Nomura Securities, scadeva il martedì successivo.

Viste le circostanze, non potevo pensare di partecipare a un prestito-ponte: il rischio di insolvenza era troppo elevato.

Ai miei occhi c’era una sola via d’uscita:

costituire un consorzio abbastanza numeroso da coprire le esigenze del governo russo fino alla fine dell’anno.

 Il gruppo Svyazinvest poteva partecipare, poniamo, con circa 500 milioni di dollari, ma il settore privato da solo non sarebbe stato sufficiente.

Ho chiesto quanto occorreva, e Gajdar mi ha risposto: sette miliardi di dollari.

Questo presupponeva che la Sberbank – l’unica banca dove i depositi dei risparmiatori erano ingenti – riuscisse a rinnovare i suoi crediti.

Per il momento i risparmiatori non erano ancora giunti a ritirare in massa i propositi delle banche.

“Ciò significa” dissi, “che il consorzio dovrà essere costituito con dieci miliardi di dollari, in modo da ristabilire la fiducia dell’opinione pubblica.”.

Una metà avrebbe dovuto venire da fonti governative straniere, come l’ “Exchange Stabilization Fund”, controllato dal Tesoro americano, e l’altra metà dal settore privato.

Il consorzio sarebbe diventato operativo a settembre, quando fosse stata versata la seconda tranche del prestito del Fondo Monetario Internazionale.

Avrebbe sottoscritto dei GKO a un anno cominciando, poniamo, al 35 per cento e scendendo gradualmente fino, per esempio, al 25 per cento (il tasso annuale è attorno al 90 per cento).

Il programma sarebbe stato annunciato anticipatamente, e ciò avrebbe attirato qualche compratore pubblico:

 investire al 35 per cento sarebbe stato sensato, con in atto un programma credibile di ridurre il tasso al 25 per cento entro la fine dell’anno.

Se l’operazione fosse andata in porto, soltanto una piccola porzione dei dieci miliardi di dollari sarebbe stata usata.

Sarebbe stato difficile mettere insieme la componente pubblica e quella privata, ma ero disposto a tentare.

Comprensibilmente, Gajdar si mostrò entusiasta.

A quel punto ho telefonato a David Lipton, sottosegretario del Tesoro USA responsabile degli affari internazionali.

 Lipton era perfettamente al corrente del problema, ma non aveva minimamente pensato di utilizzare l’ “Exchange Stabilization Fund”.

Il Congresso si mostrava fortemente contrario a qualsiasi operazione di salvataggio.

Io ho ribattuto che lo sapevo, ma non vedevo alternative: era scoppiato il panico, e rientrava nei nostri interessi nazionali appoggiare a Mosca un governo di orientamento riformatore.

Una partecipazione privata avrebbe reso il salvataggio politicamente più digeribile.

Tuttavia, sarebbe stato necessario che il piano di emergenza venisse difeso dai russi presso i membri del Congresso americano… In un abboccamento con il segretario del Tesoro (Robert, ndr) Rubin ho sottolineato l’urgenza della situazione.

Ne era perfettamente consapevole, ma i suoi timori non erano condivisi dagli altri governi del G – 7, i cui membri, durante le vacanze, erano per lo più, irraggiungibili.

L’evoluzione politica e sociale della Russia è stata assai meno soddisfacente.

La famiglia Eltsin, consigliata da Boris Berezovskij, si è data alla ricerca di un successore che la proteggesse da eventuali procedimenti giudiziari dopo le elezioni presidenziali.

Alla fine l’hanno trovato nella persona di Vladimir Putin, direttore del Servizio di sicurezza federale. N

ell’estate del 1999 egli è stato nominato primo ministro e scelto come candidato di Eltsin alla presidenza.

Era in corso una recrudescenza del terrorismo ceceno.

Quando Shamil Basayev, un leader della guerriglia cecena, ha invaso il confinante Dagestan, Putin ha reagito con vigore.

Le forze di sicurezza russe hanno attaccato i ceceni e Putin ha lanciato un ultimatum, annunciando che il Dagestan sarebbe stato ripulito dai terroristi ceceni entro il 25 agosto.

 La data è stata rispettata.

La popolazione russa ha reagito con entusiasmo per il modo in cui Putin ha trattato la situazione, e la sua popolarità è aumentata a dismisura.

Successivamente a Mosca una serie di misteriose esplosioni ha distrutto interi condomìni, uccidendo nel sonno circa tremila persone.

Nel panico che è seguito la paura e la rabbia si sono riversate contro i ceceni, con l’aiuto di una campagna accortamente orchestrata sui giornali e le televisioni.

Putin ha invaso la Cecenia e le elezioni per la Duma si sono tenute in un’atmosfera di isteria bellica.

Pochissimi candidati hanno osato dichiararsi contrari all’invasione.

Grigorij Javlinskij è stato uno di quei pochi.

 Ha sostenuto la campagna antiterrorismo in Dagestan, ma non è arrivato al punto di avallare la vera e propria invasione della Cecenia.

La popolarità del suo partito (lo Yabloco) è precipitata di colpo, ed esso ha raggiunto a malapena la soglia del 5 per cento necessaria per entrare nella Duma…

Sullo slancio della vittoria elettorale alla Duma l’ultimo dell’anno Eltsin ha annunciato le proprie dimissioni, mettendo praticamente al sicuro l’elezione di Putin come suo successore.

Primakov ha ritirato la propria candidatura.

La fenomenale ascesa dal nulla di Putin presenta una sinistra somiglianza con le trame che hanno assicurato la rielezione di Eltsin nel 1996.

L’esperienza di lunga data che ho dei sistemi di Berezovskij mi induce a riconoscere la sua mano in entrambe le operazioni.

 L’ho incontrato per la prima volta in occasione della sua donazione di un milione e mezzo di dollari all’”International Science Foundation”, quando il direttore esecutivo della fondazione, Alex Goldfarb, ci ha presentati.

Ho già descritto la nostra ben nota conversazione a Davos;

in seguito, Berezovskij ha affermato che è stata quella conversazione a indurlo a costituire un consorzio per la rielezione di Eltsin.

Nel corso del 1997 abbiamo avuto parecchie discussioni molto schiette sulla campagna elettorale; sono riuscito a capire come agisce.

In seguito ci siamo trovati su fronti opposti in occasione dell’asta di Svyazinvest, ma non abbiamo smesso di dialogare.

 Ho tentato di trasformarlo da capitalista di rapina in capitalista legale; lui ha provato a usarmi nella sua campagna per la presidenza di Gazprom, di gran lunga la massima entità economica russa.

Nel giugno 1997 mi ha invitato a Sochi a far visita a Viktor Cernomyrdin, che aveva presieduto la Gazprom prima di diventare primo ministro, e poi mi ha offerto il volo di ritorno a Mosca sul suo aereo privato.

Berezovskij mi ha detto che sia Chubais che Nemtsov sostenevano la sua candidatura.

Non gli ho creduto, quindi ho chiesto conferma a Nemtsov: era la prima volta che ne sentiva parlare.

La sua reazione è stata: “Deve passare sul mio cadavere”.

In seguito ho pranzato con Berezovskij al suo “club”, arredato, intenzionalmente o no, in modo molto simile alla rappresentazione hollywoodiana di un ritrovo di mafiosi.

 Ero l’unico ospite.

Non gli ho riferito quello che mi aveva detto Nemtsov, ma gli ho detto che alla mia domanda aveva sostenuto di non sapere nulla sulle aspirazioni di Berezovskij alla presidenza di Gazprom.

Berezovskij si è infuriato, e la sua rabbia mi ha dato i brividi:

ho avuto la sensazione che potesse letteralmente ammazzarmi.

E anche se non l’ha detto esplicitamente, mi ha fatto capire che, parlando con Nemtsov, l’avevo tradito.

È stato un punto di svolta nei nostri rapporti.

Abbiamo continuato a sentirci – una volta Berezovskij è anche volato a New York per incontrarmi – ma da allora in poi ho cercato di starne alla larga.

Come ho detto, la faida fra gli oligarchi, e in particolare il conflitto fra Berezovskij e Chubais, è stato un episodio bizzarro, anche se non quanto la promozione di Putin a erede di Eltsin.

Berezovskij vedeva il mondo attraverso il prisma dei suoi interessi personali.

Non si è fatto alcun problema a subordinare il destino della Russia al suo destino personale.

Credeva sinceramente che lui e gli oligarchi, versando soldi per far rieleggere Eltsin, avessero comprato il governo, e che il governo aveva violato i patti consentendo che la Svyazinvest fosse ceduta con un’asta autentica.

Era fermamente determinato ad abbattere Chubais perché ne era stato tradito.

Quando l’ho avvertito che così facendo avrebbe segato il ramo su cui poggiava, ha risposto che non aveva scelta:

se avesse mostrato la minima esitazione non sarebbe riuscito a sopravvivere.

A quell’epoca non ero riuscito a capire, ma a posteriori il suo atteggiamento appare perfettamente logico.

Berezovskij non poteva effettuare la transizione alla legalità;

 la sua unica opportunità di sopravvivere consisteva nel mantenere le persone intrappolate nella rete di rapporti illeciti che lui stesso aveva ordito.

Teneva in pugno Eltsin grazie ai favori illeciti che aveva predisposto a vantaggio della sua famiglia.

Ad esempio, aveva fatto del genero di Eltsin un manager dell’Aeroflot;

i ricavi in valuta pregiata della compagnia aerea venivano stornati in una società svizzera chiamata Forus, la quale, come mi è stato spiegato, significava proprio “per noi” (è come dire Cosa Nostra, ndr).

Questo gli conferiva un potere su Eltsin di cui nessun altro oligarca godeva.

Aveva strumenti per condizionare anche Chubais, e quando le cose si sono messe male non ha esitato a farne uso.

 I novantamila dollari ricevuti da Chubais sotto forma di un contratto editoriale fasullo ne hanno causato la temporanea caduta.

È questa la prospettiva da cui guardo gli eventi successivi.

Berezovskij e la famiglia Eltsin stavano cercando un modo per perpetuare l’impunità di cui hanno goduto durante l’amministrazione Eltsin.

 Hanno fatto tentativi disparati, alcuni dei quali davvero ridicoli.

A un certo punto Eltsin, su imbeccata di Berezovskij, ha informato il presidente della Duma che stava per nominare primo ministro Nikolay Aksyomenko ma è intervenuto Chubais: i

l documento ufficiale inviato alla Duma indicava Sergeij Stepashin.

Poi Stepashin è stato destituito.

La situazione di Berezovskij è diventata disperata nel 1999, quando è scoppiato lo scandalo del riciclaggio di denaro sporco russo nelle banche statunitensi;

 l’episodio gli ha fatto capire che non poteva più trovare rifugio in Occidente.

In un modo o nell’altro doveva trovare un successore di Eltsin che lo proteggesse. Allora è stato architettato il piano per sostenere la candidatura di Putin.

Nel volo da Sochi a Mosca del 1997, Berezovskij mi aveva raccontato come aveva prezzolato i capi militari antirussi in Cecenia e in Abkhazia.

Così, quando il leader ceceno Shamil Basayev ha invaso il Dagestan, ho fiutato l’imbroglio.

Era semplice da smascherare: Basayev si sarebbe ritirato entro il termine posto da Putin? Lo ha fatto.

Comunque, non potevo proprio credere che le esplosioni negli edifici di Mosca potessero far parte di un piano per giustificare la guerra.

 Era fin troppo diabolico.

Non sarebbe stato un caso unico – la storia russa è piena di crimini commessi da agenti provocatori, dalla spia Azev nell’epoca zarista all’assassinio di Kirov, addotto a pretesto per scatenare le purghe staliniane –, ma avrebbe comunque costituito una categoria a sé.

Tuttavia non potevo escludere quella possibilità.

Nell’ottica di Berezovskij quegli attentati avevano una logica:

 non solo avrebbero aiutato a eleggere un presidente che avrebbe procurato un salvacondotto a Eltsin e alla sua famiglia, ma avrebbero anche consentito a Berezovskij di avere un’arma di ricatto contro Putin.

Per ora non è venuto a galla niente che possa contraddire questa teoria.

Potremmo non scoprire mai la verità sulle esplosioni di Mosca, ma non c’è dubbio che la guerra in Cecenia ha spinto Putin verso la vittoria.

Trovo tutto ciò a dir poco angosciante.

Tra il 1994 e il 1996, durante la precedente guerra cecena, la popolazione russa era rimasta sconvolta vedendo in TV la devastazione e il dolore causati dall’invasione della Cecenia.

Le proteste delle madri dei soldati di leva e degli attivisti dei diritti umani come Sergeij Kovalev, avevano contribuito a determinare una soluzione negoziale.

Stavolta la reazione della popolazione russa è stata l’opposto.

 È chiaro che i terroristi ceceni devono accollarsi una grande parte della colpa; hanno catturato cooperatori e giornalisti, li hanno tenuti in ostaggio per ottenere un riscatto e spesso li hanno uccisi.

Fred Cuny, l’eroe di Sarajevo, è morto così.

Non è rimasto più nessuno che osi impegnarsi per sostenere i ceceni o per denunciare le atrocità che hanno subìto.

C’è stata una sapiente manipolazione del sentimento popolare contro di loro. Resta il fatto che l’atteggiamento della popolazione russa è molto cambiato rispetto a pochi anni fa.

All’inizio dell’era post-gorbacioviana i russi avevano una chiara avversione nei confronti della violenza.

 Nei primi tempi, infatti, era stato versato pochissimo sangue, e nelle rare occasioni in cui delle persone erano state uccise – a Tbilisi (Georgia), a Vilnius (Lituania), e nel corso dell’assedio alla Duma del 1993 – l’opinione pubblica aveva mostrato ostilità nei confronti di coloro che facevano uso della forza.

Ora le cose stanno diversamente.

 Eleggendo Putin, nel marzo del 2000, il popolo russo si è compromesso nel bagno di sangue della Cecenia”.

Concludeva nel 1999 Soros nei suoi “diari personali” che costituiranno poi la raccolta organica del libro dimenticato “La società aperta” (nel senso di Karl Popper), quando ancora il problema Putin non era chiaro come adesso e lo stesso Soros esprimeva una scettica ammirazione per l’autoritarismo di Vladimir (vedete com’è difficile analizzare la realtà?), pur ritenendolo lontano dall’ideale della società aperta – ma soprattutto, il fatto che possa essere stato il mandante degli attentati di Mosca era pur sempre compatibile secondo questa chiave di lettura con l’esercizio di una corretta autorità politica nelle nebbie della Russia postsovietica:

 viene in mente Giuliano Ferrara, a proposito dell’amoralità dei crimini del Potere come categoria indipendente dal codice penale nella sua brillante analisi sul caso Renzi un anno fa sul Foglio “La falsa questione morale contro Renzi”:

“Il punto è che con Bin Salman il Royal baby ha commesso un errore politico (più grave di un delitto, diceva Talleyrand)”.

“… Putin cercherà di restaurare uno Stato forte, e forse ci riuscirà. Per molti aspetti, ciò sarebbe desiderabile. Come ci ha insegnato l’esperienza russa, uno Stato debole può minacciare la libertà.

Un’autorità che sappia far rispettare le regole è indispensabile per il funzionamento di un’economia di mercato.

Portando a termine la transizione dal capitalismo di rapina a quello legale, Putin può ben dirigere la ripresa economica russa;

i miei investimenti in Russia, compresa la Svyazinvest, potrebbero finalmente rendere.

Ma è improbabile che lo Stato di Putin sia costruito in base ai princìpi della società aperta;

è più credibile che sia fondato sullo scoraggiamento, l’umiliazione e la frustrazione che il popolo russo ha sperimentato dopo il collasso del sistema sovietico.

Putin cercherà di ristabilire l’autorità statale sul fronte interno e l’onore della Russia su quello estero.

 La Russia non è perduta; al contrario, sotto Putin essa potrebbe riprendersi.

Ma l’Occidente ha perduto la Russia sia come amica e alleata, sia come seguace dei princìpi della società aperta.

 Un fatto è lampante: l’attuale situazione russa si sarebbe potuta evitare se le società aperte dell’Occidente si fossero impegnate con più decisione in sostegno dei princìpi della società aperta…

Ho dovuto trarne, con rammarico, la conclusione che all’Occidente non importava granché della società aperta come concetto universale.

In caso contrario, la transizione sarebbe stata comunque dolorosa e costellata di sconvolgimenti e delusioni, ma almeno la Russia sarebbe andata nella direzione giusta.

Avrebbe potuto diventare una vera democrazia e un vero amico degli Stati Uniti, proprio come la Germania dopo la Seconda guerra mondiale e il piano Marshall. Non è questa la prospettiva che ci troviamo di fronte oggi.

La mia fondazione prosegue le sue attività in Russia e sta ricevendo un vigoroso supporto dalla società di quel paese.

Abbiamo costituito trentadue centri informatici in altrettante università dislocate nelle province, contribuendo a sviluppare un’infrastruttura Internet in Russia, e l’informazione on line si sta profilando come l’alternativa a una stampa sempre più intimidita.

 In gran parte dei nostri recenti programmi insistiamo perché le autorità locali concorrano, in misura pari alla nostra, al finanziamento delle iniziative previste.

Per esempio, stiamo procurando i libri a cinquemila biblioteche locali, e richiediamo la copertura del 25 per cento del costo nel primo anno, del 50 nel secondo e del 75 nel terzo: effettivamente, le autorità stanno puntualmente pagando.

Quando abbiamo voluto introdurre un programma di riforma dell’istruzione in sei regioni (Oblast), quindici si sono offerte di sborsare i fondi corrispondenti.

Continuerò a impegnarmi per sostenere il lavoro della fondazione finché essa sarà supportata dalla società russa e potrà operare liberamente.

L’aspirazione a una società aperta è una fiamma che neppure il terrore di Stalin può spegnere: sono sicuro che, qualsiasi futuro attenda la Russia, quella fiamma resterà viva”.

Parole alla Jfk. E che sopravviveranno alla morte dello stesso George Soros.

Soros come erede di Adam Smith.

La realtà è ambigua e complessa, e soltanto i fanatici non lo capiscono (si suggeriscono ai lettori la riflessione di Paolo Inzerilli sul Tempo.it

“L’ex comandante di Gladio e dei servizi segreti: “Sto con Putin, il problema della guerra è Zelensky” e “A Mosca qualcosa si muove.

La senatrice Narusova, vedova del mentore di Putin, prende posizione contro la guerra” pubblicato sull’Huffington Post).

È tempo ormai di sostituire l’era della Ragione con l’era della Fallibilità, mentre l’orologio della Storia torna indietro all’attentato di Sarajevo.

 (Alexander Bush).

 

 

 

 

L'Europa si prepara a una

grave battuta d'arresto nel settore

immobiliare dopo l'aumento dei tassi.

Idealista.it – Redazione – (30 Gennaio 2023) – ci dice:

 

Le difficoltà di rifinanziamento di un edificio ad uso ufficio nella City di Londra o la tesa vendita della Commerzbank Tower a Francoforte, due dei mercati più potenti d’Europa, sono chiari esempi degli alti e bassi del settore immobiliare, colpito dalla crescente difficoltà di credito a fronte del rapido aumento dei tassi di interesse.

Secondo Bloomberg, gli investitori immobiliari europei stanno affrontando il più grande cambio di ciclo del settore in attesa dei risultati delle banche e di come agiranno di fronte ai crediti dubbi.

Nelle prossime settimane si conoscerà l’entità della situazione con i risultati di fine anno dei principali istituti di credito di tutta Europa.

 I bruschi cali delle valutazioni minacciano di causare insolvenze sui contratti di prestito, innescando misure di finanziamento di emergenza che vanno dalle vendite forzate alle iniezioni di denaro.

Prestiti, obbligazioni e altri debiti totali per circa 1,9 trilioni di euro, quasi le dimensioni dell’economia italiana, sono garantiti da immobili commerciali ed estesi ai proprietari in Europa e nel Regno Unito, secondo l’Autorità bancaria europea, la Bayes Business School e i dati raccolti da Bloomberg.

Circa il 20%, pari a circa 390 miliardi di euro, scadrà quest’anno e la crisi incombente segna il primo vero banco di prova delle normative progettate dopo la crisi finanziaria globale del 2008 per contenere i rischi del credito immobiliare.

Quelle regole potrebbero finire per apportare una correzione ancora più ripida e brusca.

Cosa faranno gli enti con i loro crediti problematici?

Le nuove normative eserciteranno pressioni sugli istituti di credito di tutta Europa affinché agiscano in modo più aggressivo nei confronti dei crediti inesigibili.

 Le banche e gli enti sono protetti meglio rispetto all’ultima crisi immobiliare, registrata più di un decennio fa, quindi potrebbero essere meno inclini a lasciare che i problemi peggiorino.

All’indomani della crisi finanziaria del 2008, la maggior parte delle banche è stata riluttante a richiedere prestiti inesigibili, poiché ciò avrebbe causato enormi perdite.

 In base alle nuove regole sui crediti deteriorati, banche e istituti di credito devono anticipare le perdite attese, anziché accumulate.

Ciò significa che hanno meno incentivi a stare a guardare e aspettare che i valori degli asset si riprendano.

“Le valutazioni di fine anno nel primo trimestre saranno fondamentali”, ha affermato Ravi Stickney, managing partner e responsabile degli investimenti immobiliari presso Cheyne Capital, un gestore di fondi di investimento alternativi che ha raccolto 2,5 miliardi di sterline per prestiti immobiliari lo scorso anno.

“La grande domanda è cosa faranno davvero le banche”, ha sottolineato Stickney.

Finora, le valutazioni non sono scese abbastanza da mettere a rischio il debito senior, i prestiti che le banche detengono in genere, ma le cose potrebbero cambiare presto.

Le proprietà commerciali del Regno Unito valutate dalla società di consulenza immobiliare CBRE sono diminuite del 13% lo scorso anno.

Il calo si è accelerato nella seconda metà dell’anno, con una diminuzione del 3% nel solo mese di dicembre.

Gli analisti di Goldman Sachs prevedono che il calo totale potrebbe superare il 20%.

 

Le banche potrebbero agire prima che i prezzi scendano ulteriormente e rischino perdite, costringendo i proprietari di case indebitati a difficili alternative.

 I problemi possono diventare più seri per coloro che devono affrontare scadenze del debito.

 Banche ed enti stanno riducendo il valore degli immobili che sono disposti a finanziare.

Ciò significa che una valutazione inferiore potrebbe agire come un doppio smacco, ampliando il divario di finanziamento.

“L’appetito delle banche è debole e rimarrà contenuto fino a quando non ci saranno segnali che il mercato abbia toccato il fondo”, ha affermato Vincent Nobel, direttore dei prestiti presso Federated Hermes.

Aggiungendo: “I nuovi regolamenti incoraggiano le banche ad affrontare i crediti inesigibili e un modo per risolvere i problemi è farne il problema di qualcun altro”.

Dalla Svezia al resto d’Europa: fondi e prestiti alternativi possono essere l’ancora di salvezza.

La Svezia è stata finora l’epicentro della crisi, con i prezzi delle case che dovrebbero scendere del 20% rispetto ai loro massimi.

Le società immobiliari quotate del Paese hanno perso il 30% del loro valore negli ultimi 12 mesi e la Banca centrale svedese e l’Autorità di vigilanza finanziaria (FSA) hanno ripetutamente messo in guardia sui rischi del debito immobiliare commerciale.

Il calo dei valori delle proprietà potrebbe innescare un “effetto domino” poiché le richieste di maggiori garanzie potrebbero costringere a vendere in perdita, secondo Anders Kvist, consigliere senior del direttore della FSA.

Mentre ci sono alcune sacche di stabilità come l’Italia e la Spagna, che sono state colpite più duramente all’indomani della crisi finanziaria globale, il Regno Unito sta crollando e ci sono segnali in base ai quali la Germania potrebbe essere la prossima.

Tra i lati positivi, ci sono più opzioni disponibili per gli investitori immobiliari in difficoltà.

Entità come i fondi di credito si sono espanse nell’ultimo decennio.

 Secondo l’indagine di Bayes, nella prima metà dello scorso anno gli assicuratori e altri istituti di credito alternativi avevano una quota maggiore di nuovi prestiti immobiliari nel Regno Unito rispetto alle principali banche del Paese.

Nei prossimi 18 mesi, gli investitori verseranno una quantità record di denaro nei cosiddetti fondi opportunistici che fanno scommesse immobiliari più rischiose, ha detto la scorsa settimana l’amministratore delegato di Cantor Fitzgerald, Howard Lutnick, al World Economic Forum di Davos.

 La tendenza contribuirà ad accelerare un rimbalzo nei mercati immobiliari commerciali, ha osservato.

Questi nuovi strumenti potrebbero abbreviare la crisi rispetto al passato, quando le banche si sono aggrappate per anni alle sofferenze.

 Louis Landeman, analista del credito presso Danske Bank a Stoccolma, si aspetta che il riavvio sia relativamente ordinato.

 

 

 

Le “persone inutili” di Yuval Harari

e la negazione del libero arbitrio.

Conquistedellavoro.it – Raffaella Vitulano – (28 giugno 2022) ci dice:

Li definiscono intellettuali famosi, Yuval Noah Harari e Slavoj Zizek, anche se quest’ultimo sussulta quando viene chiamato così.

Diverse le loro specializzazioni accademiche: storia medievale per Harari, filosofia hegeliana e psicoanalisi lacaniana per Zizek.

Al più grande festival di filosofia del mondo,” How The Light GetsIn”, si sono confrontati sulla questione della natura: amica o nemica?

La risposta non è sorprendentemente sfumata:

la natura non è né nostra amica né nostra nemica.

Stiamo per entrare in un’era post-natura e questo cambierà tutto.

Dopo un lungo periodo di pensiero illuminista che ha visto la natura conquistata dalla ragione e domata dalla tecnologia, il suo posto nella società è tornato in grande stile, anche grazie alla pandemia di Covid e alla crisi climatica.

Per Harari e Zizek la natura non è né buona né cattiva, è semplicemente al di fuori della moralità.

L’idea che le innovazioni guidate dall’uomo e gli incidenti come i reattori nucleari, il vaccino contro il Covid-19 o persino la guerra in Ucraina siano “naturali” può suonare strano.

Ma dato che la loro esistenza non viola nessuna legge naturale e sono fatti dello stesso materiale fisico di tutto il resto, allora in un certo senso lo sono.

Siamo sul punto di creare quelle che Harari chiama “forme di vita inorganiche”, riferendosi all’Intelligenza Artificiale avanzata.

E vedrete se non le considereremo come naturali.

Al Festival di Filosofia si concorda: stiamo per cambiare la nostra composizione biologica, cambiando la nostra natura in modi radicali.

 Questo potrebbe eccitare alcuni transumanisti e scienziati che sono concentrati sull’uso di questi strumenti per risolvere problemi ristretti e specifici nei loro campi, ma Harari ha un tono più cupo e mette in allerta.

 Questo è ciò che hanno sognato dittatori spietati.

In passato, quando i dittatori cadevano, almeno ciò che lasciavano dietro di loro era ancora umano.

 In futuro, potrebbe non essere più così.

 Stalin, interviene Zizek, voleva fare esattamente questo:

creare un esercito di lavoratori geneticamente modificati che potessero lavorare oltre i limiti di qualsiasi essere umano e sopravvivere con un minimo di sostentamento e provviste di base.

“Il problema non è se saremo ridotti in schiavitù dalle macchine, ma che questa schiavitù rafforzerà la divisione tra gli umani”, ha detto Zizek.

 “Alcune persone ci controlleranno e altre saranno controllate”.

Se ingegnerizziamo geneticamente gli esseri umani per essere più intelligenti, più coraggiosi, più efficienti, ciò alla fine porterà alla scomparsa di tutte le nostre altre caratteristiche, quelle che saranno ritenute meno desiderabili dagli ingegneri dell’umanità.

La selezione di alcune funzionalità significherà la scomparsa di altre.

Se dai loro la tecnologia per iniziare a incasinare il nostro Dna, per iniziare a incasinare i nostri cervelli, multinazionali ed eserciti potrebbero amplificare alcune qualità umane di cui hanno bisogno, come la disciplina.

Nel frattempo, potrebbero sminuire altre qualità umane come la compassione o la sensibilità artistica o la spiritualità”:

 detto dal transumanista Yuval Noah Harari, consulente chiave del World Economic Forum di Davos e di Klaus Schwab, l’allarme suona ipocrita.

Suona allarmante invece il fatto che pensi che il libero arbitrio sia un “mito pericoloso”.

Un punto su cui il neurochirurgo Michael Egnor lo contesta con forza:

 “La negazione del libero arbitrio è una pietra angolare del totalitarismo.

Senza il libero arbitrio, siamo bestiame senza diritti”.

Lo storico Yuval Noah Harari è anche coautore con Thierry Malleret di “Covid-19: The Great Reset”.

E in una domanda rivela tutta la sua vera ideologia: “Cosa fare nei prossimi decenni con tutte le persone inutili?”.

Una classe dirigente si interrogherà con “noia” su cosa fare di loro dato che “sono fondamentalmente privi di significato, senza valore”.

Harari calpesta così le orme di Aldous Huxley durante la sua famigerata conferenza “Ultimate Revolution” del 1962 al Berkley College:

“La mia ipotesi migliore, al momento è una combinazione di droghe e giochi per computer come soluzione finale per la maggior parte di loro. Penso che una volta che sei superfluo, non hai potere”.

L’apoteosi del pensiero eugenetico affiora nel ruolo della tecnologia nella creazione di una nuova classe inutile globale “post-rivoluzionaria”, per sempre sotto il dominio dell’emergente “casta alta” di élite dai colletti d’oro di Davos.

La casta alta che domina la nuova tecnologia non sfrutterà i poveri. Semplicemente non avrà bisogno di loro.

 E sarà molto più difficile ribellarsi all’irrilevanza che allo sfruttamento.

 Yuval è elogiato da Klaus Schwab, ma anche da Barack Obama, Mark Zuckerberg e Bill Gates, che hanno recensito l'ultimo libro di Harari sulla copertina del New York Times Book Review.

Per lui la morale, proprio come Dio, il patriottismo, l’anima o la libertà, sono concetti astratti creati dall’uomo che non hanno alcuna esistenza ontologica nell’universo meccanicistico, freddo e in definitiva senza scopo in cui si presume che esistiamo.

Le relazioni umane diventano insignificanti a causa di sostituti artificiali.

I poveri muoiono ma i ricchi no.

 È questa la rivoluzione industriale incentrata sull’intelligenza artificiale.

 Ma il prodotto questa volta non saranno tessuti, macchine, veicoli e nemmeno armi, il prodotto questa volta saranno gli stessi umani, corpi e menti, conclude Harari, precisando infine che le “persone inutili” a cui fa riferimento il consulente del Wef saranno quelle che rifiuteranno di ricevere le capacità di intelligenza artificiale nei prossimi decenni.

Descrivendo gli esseri umani come “animali hackerabili”, Harari crede che le masse non avrebbero molte possibilità contro questi cambiamenti anche se dovessero organizzarsi.

(Raffaella Vitulano).

 

 

 

Harari è l’ideologo

del grande reset.

 Francescadonato.eu – Francesca Donato - Carlo Freccero – (29 Dic. 2022) – ci dicono:

 

(Covid-19, Libertà e diritti).

Il grande reset è alimentato da una grande narrazione.

Uno dei volti di questa narrazione è lo scrittore israeliano Harari.

I suoi testi ed i suoi interventi sono riproposti in modo sempre più insistente nella nostra società tradotti e distribuiti in decine di lingue e paesi.

Ho letto con grande interesse questo articolo di Carlo Freccero, che qui ripropongo.

Un articolo pubblicato da La Verità, il primo che mi risulti su un grande quotidiano, che evidenzia la pericolosità di questa narrazione, fortemente ideologica, che apre verso un transumanesimo che io vedo pericoloso nella misura in cui propone con arroganza una direzione che sembra volere tradire l’uomo per come lo conosciamo il nome di una parola, fortemente ridisegnata in questi anni: scienza.

Caro Guerrieri, attenzione ad Harari. È lui l’ideologo del Grande Reset di Carlo Freccero.

Ho letto con piacere ed attenzione la bella intervista rilasciata a Caverzan da Giordano Bruno Guerri.

 È un insieme di affermazioni di buon senso con cui non si può essere d’accordo. Ma c’è un punto che mi ha stupito.

Guerri si dice affascinato, tra gli autori moderni, dai libri di Yuval Noah Harari. Identifica Harari con autore letterario, mentre per me è molto di più.

 È l’autore del copione che da tre anni va in onda nella vita reale ad opera del World Economic Forum di Klaus Schwab.

È il teorico del futuro che ci aspetta tra breve.

È un utopista con una differenza fondamentale rispetto a tutti gli altri utopisti della storia.

Le loro fantasie erano ambientate in un NON LUOGO (UTOPIA) a testimonianza del fatto che il loro stesso autore le riteneva irrealizzabili.

L’ utopia di Harari si chiama Grande Reset, ed è in corso di attuazione, a tappe forzate, a partire dalla famosa pandemia che Klaus Schwab ha definito un’occasione irripetibile di cambiamento del mondo.

 Klaus Schwab esprime questo concetto nel suo libro più famoso COVID 19 THE GREAT RESET scritto a quattro mani con Thierry Mallaret.

E descrive invece nel dettaglio la natura di questo cambiamento in un’opera precedente (LA QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, con prefazione, nell’edizione italiana di John Elkann) e successiva (GOVERNARE LA IV RIVOLUZIONE INDUSTRIALE) in cui si parla apertamente di fusione della natura umana con l’intelligenza artificiale emergente.

Ciò sarebbe possibile con un’agenda dì digitalizzazione che i governi di tutto il mondo hanno recepito e fatto propria.

Due temi, l’agenda digitale e l’agenda verde, sono al centro del cambiamento epocale in atto sul pianeta.

 L’uomo deve cambiare la sua stessa natura diventando dipendente dall’agenda digitale.

 Contestualmente deve ridimensionare i suoi consumi alimentari ed energetici per limitare un riscaldamento globale che le élite ritengono incontestabile, ma che molti esimi scienziati ritengono invece pretestuoso.

Ma cosa c’entra Yuval Noah Harari con Klaus Schwab?

Schwab non è abbastanza rassicurante.

C’è in Schwab, nel suo accento tedesco, nella sua postura rigida e quasi militare, qualcosa di inquietante.

Ed ecco che, nel tempo, l’immaginifico Harari ha sempre più conquistato il centro della scena ed è diventata la voce ufficiale dei forum di Davos.

D’altronde Harari non è uno scrittore come gli altri. Il suo successo è il risultato della sua identificazione col sistema.

I suoi libri sono best sellers assoluti ed hanno stampato milioni di copie in tutti i paesi del mondo.

Il suo libro SAPIENS – BREVE STORIA DELL’UMANITÀ è stato tradotto in trenta lingue.

Il successivo HOMO DEUS ha avuto una visibilità ed un rilievo anche maggiore.

 Ma non si tratta di un caso: Il sistema lo impone.

Harari ha tenuto lezioni obbligatorie in tutte le grandi aziende di Silicon Valley, con lo scopo di procedere alla formazione della nuova classe dirigente.

I suoi libri sono la bibbia del mondo che sta per nascere.

 E non uso il termine a caso perché Harari vuole sostituire il nuovo HOMO DEUS agli dei del passato che erano, secondo lui, compreso Gesù Cristo, fake news.

Nel passato l’evoluzione si è svolta naturalmente.

Oggi una élite di filantropi è in grado di prendere in mano il progetto evolutivo dell’uomo e del pianeta, per costruire forme di vita inorganica ed ibrida.

Harari viene definito transumanista e questa visione del transumanesimo ha fatto sì che la parola transumanesimo significhi oramai qualcosa di agghiacciante.

Qualche anno fa ero interessato al transumanesimo come prosecuzione e completamento ideale dell’umanesimo rinascimentale.

 L’umanesimo ha prodotto filosofia, sapere, bellezza.

La frase che meglio definisce l’umanesimo è la famosa definizione di Pico della Mirandola che afferma che l’uomo può scegliere cosa diventare: degenerare nell’animalità o ascendere alla natura divina, con una semplice decisione della sua anima.

È un appello a migliorarsi, crescere, elevarsi.

Per Harari e per le élite di cui è espressione, i due ruoli ,animale e divino, devono separarsi e non saranno più oggetto della scelta di ciascuno di noi.

Le élite saranno i nuovi dei ,gli uomini normali saranno respinti nel regno animale e come animali saranno allevati e controllati per non alterare l’equilibrio del pianeta.

Sopravviveranno a scopi utilitaristici per integrarsi nell’agenda digitale e nella vita inorganica.

E dice queste cose apertamente, senza procurare nessuna relazione, ma solo ammirazione nei suoi ascoltatori, diretti interessati e vittime designate dai suoi progetti.

Capisco il fascino che un autore come Harari può suscitare, soprattutto per la presunta modernità di certe sue argomentazioni.

Tuttavia bisogna vigilare sulle trappole e i falsi miraggi che il suo pensiero ci prospetta.

(FRANCESCA DONATO)

 

 

 

 

Yuval Noah Harari, Bill Gates,

Klaus Schwab: le riflessioni di un agnostico.

Ilgiornaleditalia.it - Alfredo Tocchi – (28 Novembre 2022) – ci dice:

 

Leggo tutto ciò che trovo scritto da questi tre protagonisti del nostro presente. Loro hanno una visione precisa, un progetto e lo portano avanti con determinazione.

 Hanno già plasmato il nostro presente, gli ultimi tre anni sono stati un assaggio di ciò che hanno in serbo per noi.

“Gesù Cristo è una fake news… Grazie alla fusione con l’intelligenza artificiale, l’essere umano diverrà l’artefice del proprio destino”.

Stimo Yuval Noah Harari.

Da agnostico, non mi sento offeso dalle sue affermazioni.

Io stesso ho scritto molte volte che la Bibbia è un libro di fiabe.

Le religioni, queste meravigliose fiabe per un’umanità bambina, composte con gli elementi più classici, come un colossal hollywoodiano: il bene, il male, l’eroe che salva il mondo, il peccato, il castigo, la redenzione, la vita eterna…

Stimo anche Bill Gates.

C’è stato un periodo della mia vita, nel 2014, in cui occupandomi di transumanesimo ho scritto che il pianeta terra non era in grado di sostenere dignitosamente otto miliardi di persone.

 Più di tutti, stimo Klaus Schwab, che mi è persino simpatico.

Quando racconta ridendo, con quel suo accento da tedesco dei cartoni animati, di avere infiltrato i “suoi ragazzi” nei governi di mezzo mondo Occidentale, ne ammiro la spudoratezza, la sincerità tipica dell’uomo che non ha timore di farsi beffa dei suoi avversari e detrattori.

Leggo tutto ciò che trovo scritto da questi tre protagonisti del nostro presente. Loro hanno una visione precisa, un progetto e lo portano avanti con determinazione.

Hanno già plasmato il nostro presente, gli ultimi tre anni sono stati un assaggio di ciò che hanno in serbo per noi.

Naturalmente, la loro negazione di Gesù Cristo è una bestemmia per tutti credenti.

Fin dal 2014, ho scritto che i più tenaci oppositori del transumanesimo saranno i musulmani.

Oggi aggiungo i cattolici tradizionalisti come Monsignor Carlo Maria Viganò, sempre lucidissimo nelle sue analisi e i cristiani ortodossi russi.

Tutti gli altri – e sono il 99% dell’umanità – non hanno capito nulla e dormono sonni beati, cullati dalle bugie dei media, dalla propaganda, dalla mistificazione perfetta per tenerli addormentati.

Così è ed è sempre stato, non me ne stupisco.

 Tuttavia, mi sorprende la quantità di utili idioti che fungono da megafoni della propaganda:

non tutti i giornalisti sono corrotti, la maggior parte sono semplicemente degli ignoranti.

Procediamo gioiosamente verso il superamento dell’homo sapiens, ci accingiamo a realizzare il sogno di Friedrich Nietzsche, “l’Übermensch”, l’oltre uomo, il superuomo o - se vogliamo tradurlo diversamente - il transumano.

Il punto (e non è un sofisma) è che non abbiamo la più pallida idea di quale sia il compito dell’essere umano su questa terra.

Per quanto ne so io, potrebbe benissimo essere distruggere qualsiasi altra forma di vita, per eliminare l’eccezione di un pianeta abitato.

Paradossi a parte, dopo otto anni di studi, io ho concluso che il transumanesimo è l’ennesima utopia partorita dalla fantasia dell’uomo.

Provo un’avversione istintiva verso l’eugenetica, il mind uploading, i modem all’interno dei corpi e i cyborg.

L’essere umano è un mistero e abbandonare le leggi della natura per intraprendere una strada verso l’ignoto è un azzardo che potrebbe risultare fatale.

Ricordo il verso di Charles Baudelaire “Race de Caïn, au ciel monte, et sur la terre jette Dieu !” e ne ho timore.

Così, anche se li stimo, Yuval Noah Harari, Bill Gates, Klaus Schwab mi fanno ribrezzo.

Il primo non fa mistero che a suo modo di vedere le cose una parte dell’umanità dovrebbe essere soppressa.

La chiama l’umanità inutile e io – da giurista – mi domando se il diritto di vivere possa essere negato a chi non abbia un’utilità sociale.

Sento il nauseabondo tanfo dell’ideologia nazista, e osservo che c’è davvero un fil rouge che lega questi tre uomini, ed è la svastica.

 Non è un caso se il Deep State (credete che non esista? Ancora siete davvero così ingenui?) ha posto ai confini del mondo Occidentale un fantoccio neonazista, non è un caso se neonazisti vengono chiamati eroi e fatti passare per lettori di Immanuel Kant.

Quanto a Bill Gates, trovo osceni i suoi finanziamenti all’OMS e al CEPI (nato a Davos il 21 luglio 2017) - qui il documento ufficiale:

(who.int/medicines/ebola-treatment/TheCoalitionEpidemicPreparednessInnovations-an-overview.pdf).

per iniziativa di Norvegia - il cui fondo sovrano è gestito dal fondo BlackRock - la Bill & Melinda Gates Foundation, la casa farmaceutica Wellcome e il World Economic Forum, la cui mission, dal 2017 e dunque ben prima della pandemia, è la diffusione planetaria dei vaccini).

Soprattutto trovo osceni i legami tra Moderna e il DARPA, (en.wikipedia.org/wiki/DARPA) e scandaloso il suo essere un neomalthusiano, convinto che il pianeta terra sia “un vascello spaziale programmato per trasportare non più di tre miliardi di persone”.

Certo, è americano e forse affetto da Asperger.

Ma dovrebbe spiegare cosa significhi trasportare: non siamo in Star Trek, la vita è un mistero e - se siamo in viaggio – l’unica destinazione è la morte, l’incognito definitivo e inconoscibile.

Tutte le stupidate dei transumanisti tipo: “Sconfiggeremo la morte” o “Trasmetteremo i contenuti del cervello” vanno prese per quello che sono: vaneggiamenti di menti deboli.

Infine, Klaus Schwab è un ottimista e un convinto transumanista.

C’è una meravigliosa intervista rilasciata alla televisione francese in cui gongola letteralmente parlando della possibilità che i nostri assistenti virtuali imparino da noi.

Quest’uomo crede davvero nelle “magnifiche sorti e progressive” e non fa mistero di sognare un Occidente retto da un regime in cui ogni aspetto della vita umana sia controllato grazie all’intelligenza artificiale da governi paternalisti e totalitari.

Nell’ultimo discorso, a margine del G 20, ha annunciato una stagione di impoverimento e tumulti sociali, preludio del Great Reset.

L’agenda 2030 non è un complotto, è un progetto già in parte realizzato.

Tre uomini, dietro di loro il Deep State.

 I 23 trilioni di dollari dei fondi BlackRock, Vanguard e State Street gli consentono di opprimere Nazioni sovrane gravate da un debito pubblico soggetto alle fluttuazioni dei mercati.

Il totale controllo dei media gli consente di portare avanti una campagna di mistificazione dopo l’altra.

Think tank come il World Economic Forum e l’Aspen Institute formano la classe politica del serpente: globalisti malthusiani senza alcun rispetto per l’unicità della condizione umana.

E noi, minoranza sveglia e consapevole, cosa possiamo opporre?

Un ritorno alla Messa in latino, qualche norma che impedisca di ripetere i crimini degli eugenisti già commessi dai nazisti, l’apologia dei bei tempi che furono.

 La verità è che noi al modello di società dei transumanisti non abbiamo nulla – proprio nulla – da opporre.

Nell’eterna lotta tra il bene e il male, anche se noi davvero fossimo il bene, saremmo destinati alla sconfitta.

 E non mi si dica che l’Apocalisse racconta la nostra vittoria, perché io sono agnostico e per me l’Apocalisse è una fiaba per bambini.Sono agnostico ma non bestemmio e rispetto i credenti, quindi nulla dirò sul valore della preghiera.

Il presente è già distopico e il futuro inizia a somigliare ai sogni di Yuval Noah Harari, Bill Gates, Klaus Schwab.

Come un russo bianco io combatterò la mia battaglia per il mondo di ieri.

Faceva schifo per buona parte dell’umanità, ne sono consapevole.

 Ma era meglio di ciò che ci aspetta.

 I miei alleati li ho indicati otto anni fa: sono i cristiani ortodossi russi, i musulmani e i cattolici tradizionalisti di Monsignor Carlo Maria Viganò.

I nemici sono i transumanisti, i neonazisti e i neomalthusiani.

Se sarà necessario, mi trasferirò all’estero per continuare a vivere nel mondo di ieri.

Non ho intenzione di subire altre violazioni dei miei diritti umani e costituzionali, mi resta troppo poco da vivere per diventare uno schiavo.

Le anime candide della dissidenza nostrana, quelle che organizzano i Duran Adam per non politicizzare il dissenso, quelle che non capiscono nulla del presente non possono essere miei compagni di viaggio.

 Sono tutt’al più fiancheggiatori inconsapevoli, rientrano nel numero degli utili idioti.

Great Reset o rivoluzione, tertium non datur.

 Rivoluzionari all’orizzonte non ne scorgo, vedo soltanto una massa di pigri e molli esseri umani distratti dai filmati divertenti su TikTok.

 Esseri incapaci di comprendere il presente, già persi nel meta verso, in buona parte inutili esattamente come me.

Animali al vertice della catena alimentare, parassiti distruttori del pianeta blu, l’unico dove viva l’homo sapiens.

Ancora per quanto?

(Alfredo Tocchi)

 

DA RUSSELL E HILBERT A WIENER E HARARI:

LE INQUIETANTI ORIGINI DELLA CIBERNETICA

E DEL TRANSUMANESIMO.

Comedonchisciotte.org – (9 giugno 2021) - Matthew Ehret - strategic-culture.org – ci dice:

 

Più veniamo incoraggiati a pensare come freddi computer, più la tesi che "i computer devono sostituire il pensiero umano" potrà concretizzarsi:

EUGENETICA -DISTOPIA-GLOBALIZZAZIONE.

Come avevo sottolineato nel mio precedente articolo sullo scontro dei due sistemi, la fine del XIX secolo aveva assistito ad un grande confronto tra due paradigmi opposti di economia politica, confronto in gran parte cancellato dai libri di storia.

Proprio come oggi, questi due sistemi contrapposti erano caratterizzati, da un lato, da una volontà di controllo centralizzato del mondo da parte di un’élite unipolare desiderosa di ergersi al di sopra dell’influenza degli stati nazionali sovrani, quasi come moderni dei dell’Olimpo, mentre l’altro si fondava su un disegno “multipolare” di una comunità di stati nazionali sovrani cooperanti allo sviluppo di infrastrutture e progressi tecnologici su larga scala.

 Uno presupponeva standard economici malthusiani a sistema chiuso adattati a rendimenti decrescenti, mentre l’altro era fondato su uno standard di progresso scientifico continuo che portava a salti creativi svincolati da panieri di risorse limitate.

Oggi vorrei continuare a tracciare le radici di queste perfide idee che caratterizzano l’attuale paradigma unipolare nascosto dietro un “Grande Reset” della civiltà mondiale inventato dai miliardari.

Ci viene detto da personaggi come Klaus Schwab che, in questo Reset, una “Quarta Rivoluzione Industriale” introdurrà non solo un alto grado di automazione e di uso dell’Intelligenza Artificiale ad ogni livello della società, ma anche una fusione uomo-macchina.

Figure come Elon Musk e Ray Kurzweil di Google affermano che questa integrazione sarà necessaria per “rimanere rilevanti” nella prossima fase evolutiva.

L’uomo di Davos, Yuval Harari, ha ribadito che la spinta evoluzionistica sarà trasferita dalla casualità della natura alle nuove divinità che gestiscono Google, Facebook e il WEF.

Questa fede deterministico-cibernetica nella sintesi uomo-macchina che pervade il pensiero di tutti i transumanisti moderni è allo, stesso tempo, cultuale, inquietante e completamente sbagliata.

 Tuttavia, senza una corretta valutazione delle radici storiche di queste idee che minacciano di portare la civiltà globale verso un collasso distopico, è impossibile comprendere questo importante fenomeno degli ultimi 120 anni della storia umana, così come non si riuscirebbero a scorgere le pecche fatali all’interno del sistema operativo transumanista del Grande Reset.

Nella prima parte di questa trilogia, abbiamo esplorato alcuni aspetti delle radici eugenetiche del transumanesimo, con particolare attenzione alla creazione da parte di Julian Huxley dell’UNESCO, il cui il mandato di “rendere l’impensabile pensabile” avrebbe guidato la ripresa di una nuova politica eugenetica negli anni della Guerra Fredda.

Nella seconda parte, abbiamo analizzato le origini di alcuni think tank britannici, nati alla fine del XIX secolo per interrompere l’evoluzione naturale di un nuovo sistema di cooperazione internazionale.

Un grande disegno che aveva avuto origine nell’X Club di Thomas Huxley, con l’obiettivo di riportare l’Impero Britannico al rango di unica potenza unipolare della Terra.

Il progetto di Huxley mirava non solo ad unificare tutti i rami delle scienze in un modello descrittivo privo di qualsiasi effettiva scoperta creativa, ma tentava anche di usare il nuovo significato della definizione di “legge naturale scientifica” per giustificare una nuova, aggressiva imposizione dell’economia politica imperiale al resto del mondo.

La danza della matematica e della fisica: chi conduce e chi segue?

 

Nei mesi iniziali del nuovo secolo, si era svolto un importante evento che avrebbe avuto molta influenza ai fini della missione di Huxley.

La Conferenza sul Futuro della Matematica dell’agosto 1900 era stato un evento globale a cui avevano partecipato più di 160 tra i più grandi matematici desiderosi di affrontare i problemi emergenti nella scienza e di occuparsi della relazione tra fisica e matematica.

Ovviamente, questi due campi erano strettamente interconnessi, ma rimaneva la domanda:

chi avrebbe condotto e chi avrebbe seguito?

Considerando il fatto che, all’epoca, la popolazione mondiale era ancora ben al di sotto dei due miliardi, l’importanza delle scoperte scientifiche che avvenivano in tutti i campi era un fenomeno mai visto prima nella storia dell’umanità.

Viste le nuove acquisizioni in biologia, embriologia, fisica atomica, elettromagnetismo, aerodinamica e chimica, la risposta alla domanda se fosse più importante la matematica o la fisica stava diventando sempre più ovvia.

 Il fatto era che la crescita della conoscenza umana stava superando velocemente i limiti del linguaggio matematico usato dagli scienziati.

Col tempo, sarebbero stati sviluppati nuovi sistemi matematici per descrivere queste nuove scoperte, ma nessuno poteva negare che, all’epoca, era il pensiero creativo a condurre le danze.

Altrettanto innegabile era l’enorme beneficio portato da queste nuove idee al miglioramento delle condizioni di vita di un numero incalcolabile di persone tramite balzi in avanti nel progresso scientifico e tecnologico.

Hilbert e Russell modellano un nuovo paradigma.

Due personaggi particolarmente importanti, che avevano avuto un ruolo di primo piano nel sabotare il discorso scientifico durante la Conferenza di Parigi del 1900 e le cui idee avrebbero portato alla successiva evoluzione dell’eugenetica, della cibernetica e del transumanesimo, erano stati l’apostolo di Cambridge, Lord Bertrand Russell, e il matematico di Gottingen, David Hilbert.

I due miravano, niente meno, che a rinchiudere l’intero universo in una serie di proposizioni e assiomi matematici finiti e internamente coerenti.

Durante la conferenza del 1900, Hilbert aveva presentato i suoi 23 problemi matematici [in realtà erano 10, l’elenco completo sarebbe stato pubblicato in seguito, N.D.T.], che avrebbero dovuto essere risolti dai matematici del XX secolo.

Mentre molti di questi problemi erano veramente importanti, i più distruttivi, per lo scopo di questo articolo, erano quelli incentrati sulla necessità di “dimostrare che tutti gli assiomi dell’aritmetica sono coerenti” (problema 2) e “assiomatizzare quelle scienze fisiche in cui la matematica gioca un ruolo importante” (problema 6).

Ci sarebbero voluti 13 anni perché Russell raggiungesse questo obiettivo, con i suoi “Principia Mathematica” (co-firmati insieme al suo ex maestro e collega Apostolo di Cambridge, Alfred North Whitehead).

Il titolo “Principia Mathematica” era stato esplicitamente scelto in omaggio ai Principia Mathematica di Newton pubblicati 200 anni prima.

Nel 1900, all’epoca del lancio del progetto Russell-Hilbert, le interpretazioni piatte dello spazio-tempo fisico sia di Euclide che di Newton si stavano rapidamente sgretolando davanti alle nuove scoperte di Riemann, Curie, Weber, Planck ed Einstein, che avevano dimostrato come la forma dello spazio-tempo fisico avesse caratteristiche vive e creative.

Ad ogni scoperta creativa, si stabiliva sempre più saldamente un’interconnessione reciproca tra lo spazio interno “soggettivo” della cognizione umana e lo spazio esterno “oggettivo” dell’universo scopribile.

Esemplificando l’intuizione e la passione nel cercare l’ignoto, sentimento comune tra i grandi scienziati in questo fertile e rivoluzionario periodo, Einstein aveva dichiarato: “Voglio sapere come Dio ha creato questo mondo. Non mi interessa questo o quel fenomeno, lo spettro di questo o quell’elemento. Voglio conoscere i suoi pensieri; il resto sono dettagli.”

Riflettendo, a modo suo, questo stesso punto di vista, Max Planck aveva affermato:

 “La scienza accresce il valore morale della vita, perché promuove l’amore per la verità e il rispetto – l’amore per la verità, che si manifesta nello sforzo costante di arrivare ad una conoscenza più esatta del mondo della mente e della materia che ci circonda, e il rispetto, perché ogni progresso nella conoscenza ci porta faccia a faccia con il mistero del nostro stesso essere.”

 

L’entropia di un sistema chiuso deve definire l’universo!

La matematica entropica del sistema chiuso di Russell era un riflesso diretto della sua visione misantropica di una umanità destinata all’entropia, come si può chiaramente vedere nella sua dichiarazione del 1903:

“Che l’uomo è il prodotto di cause che non avevano alcuna previsione del fine che stavano raggiungendo;

che la sua origine, la sua crescita, le sue speranze e le sue paure, i suoi amori e le sue convinzioni, altro non sono che il risultato di collocazioni accidentali di atomi;

che nessun ardore, nessun eroismo, nessuna profondità di pensiero e di sentimento può conservare la vita individuale oltre la tomba;

che tutte le fatiche delle varie epoche, tutta la devozione, tutta l’ispirazione, tutta la brillantezza del genio umano sono destinate ad estinguersi con la morte del sistema solare e che l’intero tempio delle conquiste umane finirà inevitabilmente con l’essere seppellito sotto le macerie di un universo in rovina – tutte queste cose, se non del tutto fuori discussione, sono tuttavia così quasi certe che nessuna filosofia che le rifiuti può sperare di resistere …

Solo all’interno dell’impalcatura di queste verità, solo sul solido fondamento di un’inflessibile disperazione, potrà d’ora in poi essere costruita in modo sicuro la dimora dell’anima.”

Quando si riflette su quale sia la visione metafisica con la maggior pretesa di verità, vale la pena porsi la domanda:

chi aveva effettivamente realizzato scoperte dimostrabili e chi si era limitato a formulare modelli teorici da torre d’avorio privi di qualsiasi elemento di reale scoperta?

Nella mente di Russell, una parte della formula del successo dipendeva dalla sua ossessione per l’equilibrio matematico in tutte le cose.

Quando applicato alla società, non c’è da meravigliarsi che Russell fosse un devoto malthusiano, nonché promotore vita natural durante dell’eugenetica e del controllo della popolazione.

Una delle molte dimostrazioni di questa sua disgustosa visione si può trovare nei “Prospects of Industrial Civilization” del 1923, dove l’ingegnere sociale aveva dichiarato:

 

“Il socialismo, specialmente il socialismo internazionale, è possibile come sistema stabile solo se la popolazione è stazionaria o quasi.

Ad un lento aumento si potrebbe far fronte con miglioramenti nei metodi agricoli, ma una rapida crescita ridurrà alla fine l’intera popolazione alla miseria…

la popolazione bianca del mondo cesserà presto di aumentare.

Per le razze asiatiche occorrerà più tempo e per i negri ancora di più, prima che il loro tasso di natalità si riduca sufficientemente, in modo da stabilizzarne il numero senza l’aiuto di guerre o pestilenze…

Finché questo non accadrà, i benefici a cui mira il socialismo potranno essere realizzati solo parzialmente e le razze meno prolifiche dovranno difendersi da quelle più prolifiche con metodi che sono disgustosi ma necessari.”

Gli scritti successivi di Russell, apparsi in “The Scientific Outlook” (1930), allargano questa visione di una società globale stazionaria e si occupano della riforma dell’istruzione, dove [secondo Russell] occorrerebbe avere non uno, ma due metodi separati di apprendimento:

uno per la classe dirigente dell’élite che dovrà governare e uno per la classe inferiore degli schiavi.

Russell, senza mezze parole, descrive così le due caste:

“I governanti scientifici forniranno un tipo di educazione per gli uomini e le donne comuni, e un altro per coloro che diventeranno detentori del potere scientifico.

Ci si aspetta che gli individui della classe comune siano docili, industriosi, puntuali, indifferenti e contenti.

Di queste qualità, probabilmente, la contentezza sarà considerata la più importante.

Per stimolarla dovranno intervenire tutti i ricercatori della psicoanalisi, del comportamentismo e della biochimica…. Tutti i ragazzi e le ragazze impareranno fin dalla più tenera età a praticare quello che va sotto il nome di ‘cooperatività,’ cioè a fare esattamente quello che fanno tutti.

In questi bambini l’iniziativa sarà scoraggiata e l’insubordinazione, senza essere punita, sarà scientificamente rimossa.”

In riferimento alla classe dirigente, “tranne che per l’unica questione della fedeltà allo Stato mondiale e al proprio ordine,” spiega Russell, “i membri della classe dirigente saranno incoraggiati ad essere avventurosi e pieni di iniziativa. Si riconoscerà che il loro compito è quello di migliorare la tecnica scientifica e mantenere i lavoratori manuali soddisfatti per mezzo di nuovi e continui divertimenti.”

Tutti gli scritti successivi di Russell, che auspicavano bombardamenti nucleari preventivi sulla Russia, un governo mondiale gestito da una dittatura scientifica e l’indottrinamento dei bambini per far credere loro che “la neve è nera” devono essere letti tenendo ben presente la sua razzistica visione filosofica del mondo.

Norbert Wiener e l’ascesa della cibernetica.

Nel 1913, mentre veniva dato alle stampe il terzo e ultimo volume dei “Principia Mathematica” di Russell, dagli Stati Uniti era arrivato a Cambridge con una borsa di studio un giovane studente di matematica.

Questo adolescente, che si chiamava “Norbert Wiener”, era rapidamente entrato a far parte di una ristretta comunità di giovani che venivano istruiti da Bertrand Russell e David Hilbert.

Con Russell Wiener aveva studiato logica e filosofia e con Hilbert il calcolo differenziale.

Parlando di Russell, Wiener aveva detto:

“quando ero venuto a studiare in Inghilterra da Bertrand Russell, avevo capito che mi ero perso quasi tutte le vere questioni di significato filosofico.”

Aveva definito Hilbert “l’unico genio veramente universale della matematica.”

Per tutta la sua vita, Wiener sarebbe stato posseduto dall’ossessione di esprimere in modi pratici il sistema logico chiuso di Russell.

Nonostante il fatto che, nel 1931, un giovane genio leibniziano di nome Kurt Gödel avesse messo un grosso bastone tra le ruote dei Principia di Russell con una sua brillante dimostrazione, secondo cui nessun sistema logico avrebbe mai potuto essere veramente coerente con se stesso a causa della natura autoriflessiva di tutti i sistemi esistenti, Russell aveva continuato a spingere incessantemente il suo progetto e Wiener era diventato il suo principale apostolo.

Fra gli altri seguaci delle teorie sull’apprendimento automatico di Russell possiamo ricordare Alan Turing, Oskar Morgenstern, Claude Shannon e John von Neumann. Anche se ogni matematico aveva il suo particolare contributo da offrire, erano tutti uniti dalla fede incrollabile che la mente umana altro non fosse che un miscuglio di impulsi bestiali guidati dalla logica delle macchine a sistema chiuso e niente di più.

In un computer, il tutto non è che la somma delle parti, e così deve essere anche nel resto dei sistemi informatici, compreso il cervello umano, gli ecosistemi e l’universo nel suo complesso.

Per principi “metafisici” come anima, scopo, Dio, giustizia e libero arbitrio non c’era posto nella mente di quei calcolatori umani.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il lavoro di Wiener sui cicli di feedback in aeronautica e lo studio dei sistemi radar aveva portato il matematico ad ideare un nuovo linguaggio per la gestione dei sistemi umani complessi che ben presto si sarebbe rivelato utile anche nel mondo degli affari, in campo militare e persino a livello di intere nazioni.

Il nome dato a questo nuovo strumento di controllo era “cibernetica.”

Descrivendo la sua invenzione, Weiner aveva dichiarato:

“Cibernetica, che ho fatto derivare dalla parola greca Kubernetes, o timoniere, è la stessa parola greca da cui, alla fine, deriva il termine governatore.”

Basandosi sulle macchine informatiche binarie a sistema chiuso come modello per la mente umana, Weiner pretendeva che i concetti metafisici venissero concepiti come esistenti solo all’interno delle caratteristiche meramente fisiche delle proprietà elettrochimiche misurabili del cervello.

 Descrivendo questo analogo computer-mente, Weiner aveva dichiarato: “Avevamo capito che questa macchina calcolatrice ultra rapida, dipendendo come fa da dispositivi di commutazione sequenziali, doveva essere quasi il modello ideale dei problemi che sorgono nel sistema nervoso” e che “il problema di interpretare la natura e i vari tipi di memoria nell’animale ha il suo parallelo nel problema di costruire memorie artificiali per la macchina.”

La cibernetica per un governo globale.

Prevedendo l’inevitabilità dei sistemi di controllo globale dell’informazione (e quindi del controllo politico totale da parte di una classe dirigente quasi divina) e dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale, Weiner aveva scritto:

 “dove arriva la parola di un uomo e dove va il suo potere di percezione, fino a quel punto si estende il suo controllo e, in un certo, senso la sua esistenza fisica.

Vedere e dare comandi a tutto il mondo è quasi lo stesso che essere ovunque.”

La chiave per comprendere l’attrattiva della cibernetica per una dittatura scientifica desiderosa di onniscienza e onnipotenza totali è la seguente:

nel contesto di una grande barca, solo il timoniere deve avere un’idea dell’insieme. Tutti gli altri devono avere coscienza solo del loro ruolo, locale e compartimentato.

Con l’applicazione della cibernetica all’organizzazione dei sistemi economici (voluta da Sir Alexander King dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico e applicata ai governi transatlantici durante gli anni ’60 e ’70), erano nate enormi e complesse burocrazie, con solo piccoli nodi di “timonieri” (incorporati all’interno di questa nuova organizzazione dello Stato Profondo) a cui era consentito l’accesso ad una visione d’insieme.

Questo, per una tecnocrazia sovranazionale, era il sistema operativo ideale per controllare le leve del Nuovo Ordine Mondiale.

Durante questo periodo di trasformazione, uno dei più entusiasti sostenitori del nuovo sistema era stato Pierre Elliot Trudeau (il neo-imposto primo ministro del Canada), il padre dell’enorme rivoluzione cibernetica del governo canadese tra il 1968-1972 attuata sotto il controllo del “Privy Council Office”.

In una conferenza del novembre 1969 sulla cibernetica nella pratica di governo, Trudeau aveva affermato:

“Siamo consapevoli che le tante tecniche della cibernetica, con la trasformazione della funzione di controllo e con la manipolazione delle informazioni, cambieranno l’intera nostra società.

 Sulla base di questa conoscenza, siamo svegli, attenti, capaci di agire; non più ciechi e inerti nelle mani del destino.”

Trudeau aveva lavorato a stretto contatto con Sir Alexander King nella formazione di una nuova organizzazione denominata Club di Roma, che ha avuto un profondo impatto sulla governance globale dal 1968 ad oggi.

Trudeau era un devoto sostenitore di questa nuova organizzazione che, durante i primi anni ’70, sarebbe diventata un centro di revivalismo neo-malthusiano.

Trudeau aveva persino presieduto la filiale canadese del Club di Roma e aveva stanziato fondi per finanziare lo studio del MIT-Club di Roma Limits to Growth  [Rapporto sui limiti dello sviluppo], che sarebbe diventato la bibbia della moderna organizzazione ambientale.

Alexander King e il modello informatico reso famoso in” Limits to Growth” del 1972, che imponeva un nuovo scisma tra il desiderio di sviluppo dell’umanità e la presunta tendenza della natura a soggiacere ad un equilibrio matematico.

A differenza di Russell, che negava tutti i casi di anti-entropia, Weiner ammetteva l’esistenza di aree isolate con un certo grado di anti-entropia, per esempio in biologia e nei sistemi umani, tendenti ad operare in modalità che portano ad una diminuzione dell’entropia (la propensione dei sistemi all’equilibrio naturale).

Tuttavia, proprio come Russell, Wiener credeva che la cibernetica e la teoria dell’informazione venissero interamente plasmate dall’entropia:

“La nozione di quantità di informazione ricorda subito una nozione classica della meccanica statistica: quella di entropia” (la seconda legge della termodinamica).

Nella mente di Wiener, la legge dominante l’universo, inteso come luogo finito, in decadimento e modellato dalla morte, avrebbe inevitabilmente distrutto quelle poche condizioni di vita anti-entropica sviluppatesi, per mera fatalità, in aree casuali dello “spazio” e nel “tempo.”

 Nel 1954 aveva detto:

“È altamente probabile che l’intero universo che ci circonda morirà di morte termica quando il mondo arriverà al completo equibrio termico, in cui non accadrà mai nulla di veramente nuovo.

Altro non rimarrà se non una scialba uniformità.”

Le conferenze Macy sulla cibernetica.

Nel periodo 1943-1953, la cibernetica di Wiener e il suo corollario della teoria dell’informazione erano diventati il punto focale di un nuovo sacerdozio scientifico che avrebbe spinto i più importanti esponenti dei vari rami della conoscenza nella direzione presa in precedenza dal timoniere del XIX secolo, Thomas Huxley, e dal suo X-Club della Royal Society.

Queste conferenze erano finanziate dalla Fondazione Josiah Macy, creata dal generale Marlborough Churchill (un cugino di Winston Churchill) nel 1930 con lo scopo primario di convogliare fondi verso la ricerca eugenetica negli Stati Uniti e in Germania insieme alla sua organizzazione sorella, la Fondazione Rockefeller.

In Germania, dal 1928 e per tutti gli anni ’30, [la Fondazione] aveva finanziato il principale eugenista nazista, Ernst Rudin, mentre, contemporaneamente, sponsorizzava la ricerca condotta dalle società eugenetiche britanniche e americane.

Come sottolinea Anton Chaitkin nel suo “British Psychiatry from Eugenics to Assassination”, il fondatore e responsabile della Macy Foundation, il generale Marlborough, aveva precedentemente diretto la Black Chamber dell’intelligence militare dal 1919 fino al suo scioglimento, nel 1929.

La Black Chamber aveva stretti contatti con l’intelligence britannica e aveva aperto la strada a quella che poi sarebbe diventata la “National Security Agency” (NSA).

Dopo il 1945, nel disperato tentativo di prevenire la diffusione del “Sistema Americano di Economia Politica e del New Deal internazionale” messo in moto dal presidente anti-imperialista Franklin D. Roosevelt, le Macy Conferences on Cybernetics avevano iniziato a tenersi ogni sei mesi, riunendo psichiatri, biologi, neurologi, ingegneri informatici, sociologi, economisti, matematici e persino teologi collegati alla Clinica Tavistock.

 Wiener aveva descritto queste conferenze, che avrebbero plasmato il corso dei successivi 75 anni, con queste parole:

“per l’organizzazione umana, abbiamo cercato l’aiuto degli antropologi, i Dottori Gregory Bateson e Margaret Mead, mentre il Dr. Oskar Morgenstern, dell’Institute of Advanced Study, è stato il nostro consulente nell’importante campo dell’organizzazione sociale, di competenza della teoria economica…

il Dr. Kurt Lewin ha portato i contributi più recenti sulla teoria del campionamento delle opinioni e sulla pratica del creare opinioni.”

L’ingegneria sociale guida l’ordine del dopoguerra.

Per chi non lo sapesse, il dottor Bateson era stato uno dei principali responsabili del programma “MK Ultra” della CIA, che aveva funzionato dal 1952 al 1973 come operazione segreta da diversi miliardi di dollari, progettata per studiare gli effetti del rimodellamento individuale e collettivo tramite un mix di elettroshock, tortura e farmaci.

Oskar Morgenstern era stato l’innovatore della “Teoria dei Giochi,” che avrebbe avuto un ruolo determinante sia nella pianificazione militare della guerra del Vietnam che nei sistemi economici dei successivi 70 anni.

Il Dr. Kurt Lewin, un importante psichiatra della Tavistock Clinic di Londra e membro della Scuola di Francoforte, aveva messo a punto un programma concertato per eliminare la peste del patriottismo nazionale, la fede nella verità e l’amore per la famiglia durante il periodo della Guerra Fredda.

Membro di spicco di queste conferenze, nonché pianificatore di questa operazione era stato Sir Julian Huxley, eugenista di fama e grande stratega imperiale, che aveva lavorato a stretto contatto con il collega Bertrand Russell, leader della Fabian Society.

Huxley, che condivideva la cieca fede di Russell e Wiener nell’entropia universale, nel 1953,[parlando dell’universo] aveva detto:

“Da nessuna parte in tutta la sua vasta estensione c’è una traccia di scopo, o anche di significato prospettico.

 È propulso da forze fisiche cieche, una gigantesca danza caotica di particelle e radiazioni in cui l’unica tendenza generale che siamo stati finora in grado di rilevare è quella riassunta nella seconda legge della termodinamica – la tendenza ad esaurirsi.”

Mentre iniziava a formulare il suo concetto di “transumanesimo” e mentre organizzava le conferenze cibernetiche Macy, Julian Huxley, nel 1946, aveva anche trovato il tempo per creare l’”Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura” (UNESCO), redigendone il manifesto di fondazione.

 La sua visione entropica della biologia e della fisica era chiaramente espressa nelle sue agghiaccianti opinioni politiche:

“La morale per l’UNESCO è chiara. Il compito che dovrebbe realizzare, quello di promuovere la pace e la sicurezza, non potrà mai essere portato a termine unicamente con i mezzi a sua disposizione, educazione, scienza e cultura.

 Occorre prevedere una qualche forma di unità politica mondiale, attraverso un unico governo mondiale o in altro modo, come solo mezzo certo per evitare la guerra… nel suo programma educativo bisognerà sottolineare la necessità ultima di un’unità politica mondiale e familiarizzare tutti i popoli alla possibilità del trasferimento della piena sovranità da nazioni separate ad un’organizzazione mondiale.”

Lavorando in tandem con l’ “Organizzazione Mondiale della Sanità”, a sua volta creata da uno psichiatra della Clinica Tavistock, G. Brock Chrisholm, e finanziata interamente dalla Fondazione Macy, Huxley aveva dato vita alla “Federazione Mondiale della Salute Mentale” (WFMH), supervisionata da Montagu Norman della Banca d’Inghilterra e diretta dal capo della Clinica Tavistock di Londra, il Maggiore Generale John Rawlings Rees, nominato direttamente da Montagu.

Chaitkin sottolinea che, nel 1949-1950, tra i primi progetti organizzati congiuntamente dalla WFMH e dalla Fondazione Macy, vi erano state le “Conferenze sui problemi della salute e delle relazioni umane in Germania,” che avevano fatto sì che la tesi sulla personalità autoritaria della Scuola di Francoforte fosse inculcata nella mente di tutti i bambini tedeschi.

L’obiettivo era quello di persuadere il popolo tedesco che l’intera colpa dell’ascesa al potere di Hitler non era da ricercare in cospirazioni internazionali o nelle manovre della City londinese e di Wall Street… ma piuttosto nella disposizione “psicologico-genetica all’autoritarismo” del popolo tedesco.

Questo programma era stato supervisionato dal direttore della Clinica Tavistock, Kurt Lewin, che, successivamente, sarebbe diventato una figura di spicco della Scuola di Francoforte e promotore di una nuova tecnica di lavaggio del cervello chiamata “allenamento della sensibilità,” basata essenzialmente sull’uso dei complessi di colpa e della pressione collettiva per piegare la volontà di un gruppo target, sia nella scuola che sul posto di lavoro, allo scopo di riportare le menti indipendenti all’interno del pensiero di gruppo.

 Il lavoro di Lewin con la WFMH e la Clinica Tavistock è anche alla base delle odierne dottrine della “Teoria Critica”, che minacciano l’intera civiltà occidentale.

Nella misura in cui gli individui pensano in maniera autonoma e sono diretti interiormente da fattori di 1) ragione creativa e 2) di coscienza, i sistemi di pensiero collettivo non si comportano più secondo le regole statisticamente prevedibili di entropia ed equilibrio tanto care agli oligarchi e ai tecnocrati assetati di controllo.

Eliminando questo fattore di “imprevedibilità,” con l’argomentazione che tutti i leader che ricercano la verità sono semplicemente “personalità autoritarie” e “novelli Hitler,” la virtù della folla è stata innalzata al di sopra della virtù del genio e dell’iniziativa individuale, un fenomeno che continua ancora a pesare sul mondo. (1)

Nel periodo 1960-1970, le conferenze cibernetiche si erano evolute, integrandosi sempre di più con organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’”Organizzazione Mondiale della Sanità”, la NATO e l’OCSE.

Mentre era in corso questa integrazione, i nuovi tecnocrati erano diventati sempre più influenti nel fissare gli standard del nuovo sistema operativo mondiale.

Nel frattempo, i governi nazionali venivano privati dei loro leader morali, come John F. Kennedy, Charles De Gaulle, Enrico Mattei e John Dieffenbachie, con conseguente integrazione dell’analisi dei sistemi e della cibernetica nella struttura di governo del nuovo “Deep State internazionale”.

Nel 1957, mentre Julian Huxley coniava il termine “transumanesimo,” il culto dell’Intelligenza Artificiale, guidato dalla fede nell’inevitabile fusione uomo-macchina, cresceva sempre di più tramite eventi importanti, come la tesi della simbiosi uomo-computer di J.C.R Licklider del 1960 e l’applicazione di questi sistemi in alcuni programmi del Dipartimento della Difesa, come i sistemi di comando dei wargames, il SAGE (Semi Automatic Ground Environment), e le reti di difesa per velivoli senza pilota.

Le diadi Computer-Soldato a Cognizione Aumentata della DARPA si sono rivelate un’altra espressione di questa idea perversa, con centinaia di milioni di dollari spesi per la creazione di soldati cyborg potenziati.

Nel corso degli anni, i seguaci di questo nuovo culto si sono ritrovati ad operare come timonieri nella nuova nave globale terrestre, dando origine ad una nuova classe elitaria mondiale di tecnocrati e oligarchi fedeli solo alla loro casta e alla loro ideologia, con il pensiero sempre più allineato al modello della macchina computerizzata, capace di logica ma non di amore o creatività.

Più questi adepti del culto tecnocratico, come Yuval Harari, Ray Kurzweil, Bill Gates o Klaus Schwab, riusciranno a pensare come freddi computer, facendo fare lo stesso alle popolazioni della Terra, più potrà essere sostenuta la tesi che “i computer devono ovviamente sostituire il pensiero umano.”

(Matthew Ehret)

(Fonte: strategic-culture.org)

(strategic-culture.org/news/2021/05/31/from-russell-and-hilbert-to-wiener-and-harari-the-disturbing-origins-of-cybernetics-and-transhumanism/)

(1) L’attuale ruolo della Clinica Tavistock come leader mondiale nella terapia della transizione di genere per gli adolescenti, con un aumento del 400% dei casi transitati nella struttura nel periodo 2015-2020, è un segno che questa operazione non è una cosa del passato, ma continua tutt’ora ad esercitare la sua influenza sulla salute mentale [della comunità].

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