RECESSIONE GLOBALE.
RECESSIONE
GLOBALE.
Davos,
maggioranza economisti
attende
una recessione
globale
nel 2023.
Finanza.
La stampa.it – Redazione – (16/01/2023) – ci dice:
Una recessione
è quasi certa per quest'anno:
lo prevede la maggioranza degli economisti
intervistati al “World Economic Forum” di Davos, in Svizzera, il consueto
evento annuale che riunisce il gotha dell'economia e delle banche centrali e
che quest'anno si trova ad affrontare una situazione di grande incertezza, come
mai prima.
La
maggior parte della Community degli economisti interpellati prevede una
recessione globale nel 2023, ritiene che le tensioni geopolitiche continuino ad
avere impatti sull'attività economica ed anticipa un'ulteriore stretta
monetaria negli Stati Uniti e in Europa.
Quasi
due terzi degli economisti ritengono probabile una recessione globale nel 2023
ed il 18% lo considera estremamente probabile, più del doppio rispetto al
precedente sondaggio condotto nel settembre 2022.
L'altro
terzo degli intervistati ritiene improbabile una recessione globale quest'anno.
“Con
due terzi dei principali economisti che si aspettano una recessione mondiale
nel 2023, l'economia globale si trova in una posizione precaria", afferma
Saadia Zahidi, numero uno del “WEF”, sollecitando i leader mondiali a "guardare oltre la crisi per
investire nell'innovazione alimentare ed energetica, nell'istruzione e nello
sviluppo delle competenze e nei mercati di domani ad alto potenziale in grado
di creare posti di lavoro"
Vi è
un forte consenso sul fatto che le prospettive di crescita nel 2023 siano
fosche, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti.
La
totalità degli economisti intervistati prevede una crescita debole o molto
debole in UE nel 2023 (nel precedente sondaggio la percentuale era dell'86%),
mentre il 91% attende una crescita debole o molto debole negli Stati Uniti (era
del 64% nella rilevazione precedente).
Per la
Cina le aspettative di crescita sono polarizzate:
da un
lato coloro che si aspettano una crescita debole, dall'altra quelli che
ritengono che la crescita sarà forte.
Si
ritiene che l'allentamento delle misure anti-Covid darà una spinta alla
crescita, ma resta da vedere quanto sarà dirompente il cambio di politica in
termini di impatto sulla salute.
Per
quanto riguarda l'inflazione, gli economisti vedono una certa variabilità a
livello geografico:
solo
il 5% degli economisti attende un'inflazione elevata in Cina, mentre il 57%
prevede una crescita elevata in Europa.
Dopo un anno caratterizzato dall'inasprimento
delle politiche monetarie delle banche centrali, ci si attende il mantenimento
di una politica austera ancora per quest'anno e resta elevata la probabilità di
nuovi inasprimenti quest'anno (il 59% in Europa ed il 55% negli Stati Uniti).
Venti
contrari freneranno il commercio nel 2023: 9 economisti su 10 si aspettano una
domanda globale debole ed il 60% ritiene che le imprese dovranno sopportare
costi input più elevati.
Si prevede che queste sfide porteranno le imprese
multinazionali a tagliare i costi e molti economisti si aspettano che le
aziende riducano le spese operative (86%), licenzino i lavoratori (78%) e
ottimizzino le catene di approvvigionamento (77%).
C'è
però anche un dato positivo che riguarda le catene di approvvigionamento, che
non si prevede possano causare altre interruzioni e rallentamenti dell'attività
commerciale nel 2023.
Dal 3D
al 5D e non mi
riferisco
alla Cinematografia.
Conoscenzealconfine.it
- (12 Febbraio 2023) - Claudio Martinotti Doria – ci dice:
Nella
realtà che viviamo, da alcuni anni è stata ormai implementata la tecnica degli
effetti speciali 5D ottenendo in brevissimo tempo: Dispotismo, Distopia,
Delirio, Demenza, Disimpegno.
Esco
di casa sempre più raramente.
Pur
aggirandomi esclusivamente nell’area della riserva indigena provinciale dove
risiedo, non ho potuto fare a meno di rilevare che ormai la conformazione
sociale dell’”ex homo sapiens” geneticamente modificato da Big Pharma, ha
assunto tre connotazioni prevalenti:
– la specie “faccia a scarpa” versione umana del Balaeniceps rex
(grande uccello pelecaniforme, detto “becco a scarpa”);
– la specie “occhio di cernia” versione umana del Polyprion
americanus (cernia di fondale, pesce di mare);
– la specie “zombie rallentato”, versione simile all’originale
cromeriano anni ’60;
Evitarli
e impossibile. Interagire è difficile. Comunicare è irrilevante.
La
celebre asserzione dantesca “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e
canoscenza”
è ormai solo un ricordo sbiadito, agli antipodi con l’attuale realtà dove ormai
trionfano i bruti, soprattutto se portano una divisa o un camice e si sentono
investiti dai gradi di caporale alla Totò, micropotere col quale poter sfogare
la loro meschina frustrazione, nella peggiore delle ipotesi potranno sempre
invocare l’attenuante che “stavano eseguendo degli ordini”.
Semmai
andrebbe recuperata e valorizzata la premessa dantesca: “considerante la vostra s(c)emenza”.
Ma
cerchiamo di dettagliare meglio l’elencazione di cui sopra.
La
faccia a scarpa versione umana è in forte diminuzione, ma non a rischio di
estinzione come il Balaeniceps rex.
Probabilmente il calo è dovuto al fatto che il
panico indotto mediaticamente e istituzionalmente sta perdendo efficacia e a
portare la maschera o museruola sul viso rimangono solo quelli che già in
precedenza la indossavano per motivi psicologici più che sanitari.
Per nascondere le loro presunte bruttezze, per
celare la loro identità, perché si sentono più a loro agio riducendo la loro
timidezza e imbarazzo sociale, perché non prendono più il mal di gola e
attribuiscono il merito al feticcio, ecc…
I
motivi possono essere un’infinità, ma quello che duole all’osservatore
obiettivo è rilevare che la maggioranza sono giovani, gli anziani gradualmente
tornano alla normalità, i giovani meno, proprio non vogliono rinunciare a quel
capo di abbigliamento.
I
secondi in elenco, gli occhi di cernia, sono visibili e riconoscibili solo a
distanza ravvicinata, anche se alcune caratteristiche comportamentali
consentono di anticipare la loro identificazione.
Non portano il feticcio in volto ma è come se lo
portassero velato e invisibile sui loro occhi e il loro cervello, sul quale si
dovrebbe indagare, magari anche solo con un EEG.
Sono
spenti nella loro vitalità e socialità, evitano di affrontare qualunque
argomento delicato e vitale che possa compromettere il loro precario equilibrio
esistenziale e porre in dubbio le loro scelte precedenti, privi di autocritica
e capacità analitiche, preferiscono continuare a illudersi piuttosto che
riconoscere la cruda realtà e affrontarla.
Sono
morti dentro, privi di prospettive, sperano sempre e comunque nell’intervento
esterno di qualcuno che si occupi di loro e si lasciano trascinare dagli
eventi.
Probabilmente
erano già così prima della modifica genetica subita da Big Pharma, questa loro
connotazione si è solo accentuata, esasperata, fino a predisporli per il
passaggio successivo, la zombificazione.
I
terzi sono ormai completamente zombificati, proprio quelli dei primi film di
Romero, sono cioè zombie romeriani, lenti e apparentemente innocui se si evita
la distanza ravvicinata.
Sono
ancora in grado di emettere suoni, più o meno disarticolati, già in precedenza
erano analfabeti funzionali gravi ma in qualche occasione riuscivano ancora ad
articolare qualche semplice frase di senso compiuto, ora non più, al massimo
ripetono a fatica e con qualche errore e omissione, quanto hanno sentito
ripetutamente in televisione, qualche slogan propagandistico della narrativa
ufficiale.
Privi
di pensiero autonomo attingono al pensiero unico elementare ultra semplificato
e soprattutto duale, tipo buoni e cattivi, democrazia e dittatura, aggressore e
aggredito, ecc., ovviamente senza sapere come attribuire in maniera appropriata
la dualità ma delegando le istituzioni e i presunti esperti a farlo per loro.
In una
simile condizione sociale ormai consolidata e destinata ad aggravarsi,
paradossalmente per sapere come stanno realmente le cose occorre leggere alcuni
romanzi, saggi, vedere film e serie tv di alcuni anni fa, nei quali trovi tutto
quello che è accaduto recentemente e ti spiegano pure come lo avevano preparato da
decenni, gli autori lo avevano previsto e anticipato e comunicato come
potevano, con la loro arte, l’unica che poteva passare la censura.
Gli
sprovveduti che ancora guardano la tv pensano che sia solo fiction, e che la tv
dei telegiornali riporti la realtà, mentre è il contrario:
la
fiction riporta i fatti e la tv (informativa e d’intrattenimento) riporta
menzogne manipolatorie e mistificatorie, e la propaganda (che è menzogna più
sofisticata).
Se nel
mondo cinematografico si è diffusa la tecnologia 3D mentre la 4D molto più
complessa e costosa è limitata soprattutto ai parchi divertimenti, nella realtà
che viviamo, da alcuni anni è stata ormai implementata la tecnica degli effetti
speciali 5D, solo che molti non se ne sono ancora accorti.
Lo
scopo delle prima due è di rendere il più realistico possibile quanto si
propone come fiction al pubblico pagante, in modo da intensificare le emozioni
indotte nello spettatore come fosse coprotagonista del film.
Ma il
massimo successo, le élite che dominano il pianeta (i burattinai) lo hanno
ottenuto nella realtà stessa tramite le tecniche complesse e multidisciplinari
del 5D, ottenendo in brevissimo tempo: Dispotismo, Distopia, Delirio, Demenza,
Disimpegno, in quasi tutta la società cosiddetta occidentale e alcune sue
colonie in vari continenti, soprattutto nei paesi dove si è accentuata la
sperimentazione, Italia in primis, seguita non a caso da alcuni paesi
anglofoni, come il Canada, Australia e Nuova Zelanda, oltre a parecchi stati
degli USA, controllati dai DEM.
I
burattinai avevano pianificato da parecchi anni questi esperimenti e li avevano anche comunicati
anticipatamente in vari modi, persino pubblicandoli in alcuni siti di
istituzioni e organizzazioni facenti parte della piramide di potere, ma
nell’eccesso di informazione (disinformazione) disponibile la dispersione è
inevitabile e solo pochissimi si erano resi conto di quello che stava per
accadere o stava accadendo e invano hanno cercato di trasmettere i loro
sospetti a quante più persone possibili.
Gli
episodi che caratterizzano questo successo del 5D sono molteplici e
interconnessi, ma i fenomeni principali ovviamente sono due, che pur dissimili
nelle modalità sono simili nella sostanza finalizzata, il primo è stata la psico-pandemia
e il secondo la guerra in Ucraina, entrambe provocate artatamente dai
burattinai dell’élite dominante. Entrambi i fenomeni indotti sono stati gestiti con
gli stessi criteri manipolativi seppur con altri complici, ma sempre sfruttando il completo
controllo del potere mediatico.
Un
piano del genere poteva essere eseguito solo con la partecipazione di centinaia
di migliaia di complici a tutti i livelli istituzionali e gerarchici, sia
tramite la corruzione, che l’intimidazione, la minaccia, il ricatto, il
condizionamento, il mobbing, ecc…
Soprattutto,
efficace si è come sempre rivelato il divide et impera, la psicologia di massa e di
gregge, la propaganda, il marketing, l’ideologia, l’indottrinamento, la
narrazione unica mediatica, la menzogna ripetuta all’infinito, la negazione, la
censura, ecc..
Tutte tecniche ormai collaudate da tempo
immemore, tutte applicate in simultanea.
Il
successo è stato tale che i burattini non si sono mai sentiti manipolati
neanche per un attimo, finché hanno iniziato nelle loro stesse famiglie e in
loro stessi ad avere problemi gravi, la cui correlazione con l’ingerenza di Big
Pharma nelle loro vite non poteva essere negata.
Se
stavano male non era per casualità ma per causalità, e la causa non poteva che
essere una.
Non
occorre essere Sherlock Holmes o Hercule Poirot per scoprire il colpevole.
Anche
in seguito alle demenziali sanzioni alla Russia vi sono state gravi
ripercussioni, in particolare l’aumento dei costi energetici e non ha
funzionato a lungo l’attribuzione della responsabilità a Putin, la speculazione
era in corso da prima del conflitto.
L’inflazione
e la disoccupazione e l’indebitamento porteranno le famiglie a esaurire i loro
risparmi, che è quanto desiderava l’élite per poterle spogliare dei loro averi
e soggiogarle.
Ma c’è
un fatto piuttosto rilevante che è sfuggito ai più, soprattutto a quelli che
pensavano di trarre vantaggio dall’aver scelto “il carro dei vincitori” (o
almeno così credevano), in particolare ai complici, più o meno lautamente
remunerati per aver venduto la loro anima: che i burattinai di rango elevato,
una volta raggiunto lo scopo, oppure per sottrarsi a ripercussioni impreviste,
non esiteranno un attimo a sacrificare i loro complici come capri espiatori,
cioè i burattinai di basso rango o i burattini kapò.
Questi
pagheranno al posto dei loro manovratori che rimarranno quasi tutti impuniti,
perché irraggiungibili, perlopiù non identificabili, mentre quelli di basso
rango sono tutti facilmente identificabili, ancora vivi nella memoria delle
loro vittime.
E
pagheranno sia perché subiranno le stesse conseguenze delle loro stesse
vittime, perché fidandosi dei loro padroni anche loro sono stati intossicati da
Big Pharma, sia perché verranno puniti in un’infinità di modi diversi dalle
loro stesse vittime e dalle circostanze che diverranno molto avverse per loro
col passare del tempo. Nessuno è esente dal precipitarsi degli eventi.
A
differenza degli aguzzini dei campi di concentramento e sterminio nazisti della
II Guerra Mondiale, non ci vorranno decenni come avvenne per molti nazisti per
essere individuati, processati e puniti.
Questa volta i tempi saranno più rapidi e le
ripercussioni molto più complesse ed estese, il tempo non lavora a loro favore
e non la passeranno liscia, nessuno di loro la farà franca, possono
scordarselo.
“Mala
tempora currunt sed peiora parantur”.
(Cav.
Dottor Claudio Martinotti Doria – Email: claudio@gc-colibri.com)
(cavalieredimonferrato.it)
(Ps:
sono completamente d’accordo con quanto sopra scritto. Ndr.)
FMI:
niente recessione globale.
Lasvolta.it
- Sara Capponi – (3 febbraio 2023) – ci dice:
Gli
ultimi dati pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale segnalano una situazione
in netto miglioramento rispetto a Ottobre 2022.
Anche l’Italia può tirare un sospiro di
sollievo.
Il
Fondo Monetario Internazionale (Fmi) spazza via le preoccupazioni di una
recessione globale aumentando le stime rispetto ai dati pubblicati a ottobre
2022.
Negli
ultimi anni abbiamo assistito a momenti particolarmente difficili:
l’inflazione crescente, il conflitto
Russia-Ucraina e il peggioramento della situazione pandemica in Cina avevano
fatto temere gli economisti di tutto il mondo per il futuro della nostra
economia.
Tuttavia
la riapertura dei confini cinesi ha rappresentato l’ulteriore tesserina in un
puzzle prospettico in netto miglioramento.
Il Pil
globale del 2022 si è chiuso con una crescita del 3,4%, al di sotto della media
storica del 3,8% tra il 2000 e il 2019, ma comunque con 0,2 punti percentuali
in più rispetto alle attese del “World Economic Outlook” (Weo) di ottobre.
Anche
le prospettive future ci fanno tirare un sospiro di sollievo: il 2023 dovrebbe
registrare un +2,9% e il 2024 un + 3,1% sul Pil globale.
Al tempo stesso l’inflazione dovrebbe
decrescere passando dall’8,8% del 2022 al 6,6% nel 2023 e al 4,3% nel 2024.
Secondo
Pierre-Olivier Gourinchas, direttore della Ricerca del “Fmi “ha affermato «la lotta contro l’inflazione sta
iniziando a dare i suoi frutti, ma le banche centrali devono proseguire i loro
sforzi, l’economia globale è pronta a rallentare quest’anno, prima di
rimbalzare il prossimo anno».
Tuttavia,
per tornare a una situazione di stabilità sarà necessario attendere il
2024/2025.
Per
questo, per aiutare le famiglie nell’anno in corso è imprescindibile
l’assunzione di misure adeguate e temporanee da parte dei governi.
Tra le
economie avanzate la crescita maggiore è attesa in Giappone (+1,8%), in Canada
(+1,5%) e negli Stati Uniti (+1,4%).
Bene
anche per la Cina che nonostante non abbia raggiunto le aspettative del 2022 –
che la proiettavano a un +3,2% quando invece ha chiuso l’anno con un +3% netto
- migliora le attese del 2023: si calcola una crescita del Pil di 5,2 punti
percentuali.
Quest’ultima
insieme all’India – che prevede un +6,1% per il 2023- potrebbero rappresentare
il vero motore dell’economia globale.
Più
rosea appare anche la situazione per l’Eurozona che registra 0,2 punti
percentuali in più rispetto a Ottobre 2022.
Il
nostro Paese vedrà una crescita di 0,8 punti percentuali nel 2023 passando
dalla previsione di un valore negativo (-0,2%) a uno positivo (+0,6%).
Si
prospetta, inoltre, una crescita ulteriore nel 2024 arrivando a un +0,9%.
Una crescita sicuramente lenta quella del Pil
tricolore, anche in relazione ai trend degli anni passati, ma che ci dona una
boccata di speranza rispetto ai calcoli precedenti.
A
livello europeo è pressoché immobile la crescita della Germania che segna solamente
un +0,1% nel 2023, rimangono, invece, invariati i valori previsti per la
Francia (+0,7%), mentre il Regno Unito registra una decrescita di 0,9 punti
percentuali rispetto al “Weo” di ottobre passando da +0,3% a -0.6%.
Segnali
positivi nel nostro Paese anche sul livello occupazionale dove si è raggiunto
il 60,4% di occupati.
Numeri che, tuttavia, sottolineano il sempre
presente problema di genere: su 334.000 nuovi assunti solo 38.000 sono donne.
Ulteriore
ostacolo da gestire è il divario tra prezzi e salari che continuano ad
allontanarsi sempre di più.
Mentre
i prezzi registrano una crescita media dell’8,7% gli stipendi sono aumentati
solamente dell’1,1%, mostrando un’area di criticità che necessità di interventi
mirati.
Rispetto
a quando il Presidente Meloni è stato eletto le carte in gioco sono cambiate
permettendo una maggiore distensione.
Tuttavia, le stime sono sempre stime e
qualsiasi obiettivo dovrà essere raggiunto e mantenuto con politiche adeguate.
Per
questo motivo decisivo sarà il Documento di Economia e Finanza che verrà
definitivamente pubblicato alla fine di marzo 2023.
Banca
mondiale taglia
stime crescita
globale
2023 da 3% a 1,7%, rischio recessione.
Ilsole24ore.com-
Stefania Arcudi – (10 gennaio 2023)- ci dice:
Pesano
la persistente inflazione, l'aumento dei tassi di interesse e gli effetti della
guerra in Ucraina. In Eurozona attesa crescita zero.
L’Outlook
potrebbe peggiorare ulteriormente in caso di un nuovo shock per l'economia.
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - La Banca mondiale
ha rivisto in forte ribasso le previsioni sulla crescita mondiale nel 2023,
tagliandole a +1,7% da +3% di giugno scorso, a causa della persistente
inflazione, dell'aumento dei tassi di interesse e degli effetti della guerra in
Ucraina.
L'istituto
internazionale attende poi una ripresa moderata a +2,7% nel 2024.
La
Banca mondiale, nel “Global Economic Prospects”, il rapporto annuale sulle
prospettive economiche globali, ha rivisto le previsioni per quasi tutti i
Paesi sviluppati e per quasi il 70% di quelli emergenti e in via di sviluppo,
con una crescita particolarmente debole negli Stati Uniti e nulla in Eurozona.
La tendenza potrebbe peggiorare ulteriormente,
con un rischio concreto di recessione, in caso di un nuovo shock per
l'economia, causato da una fiammata dell'inflazione, da una nuova ondata di
Covid o da tensioni geopolitiche.
Rallentamento
più evidente nelle economie avanzate.
Come
ha spiegato Ayhan Kose, direttore dell'ufficio di ricerca della Banca mondiale,
«si
tratta della crescita più debole degli ultimi trent'anni, fatta eccezione per
la crisi del 2008 e il post-pandemia del 2020.
Il rallentamento è generale e l'evoluzione
dell'economia mondiale è complessa».
In caso di rialzo dei tassi di un punto percentuale da
parte delle banche centrali mondiali, ha aggiunto Kose, « il peso sulla crescita globale
sarebbe dello 0,6%, provocando quindi un calo dello 0,3% del Pil pro capite e
quindi una recessione tecnica globale».
Come evidenziato dalla Banca mondiale, nei
Paesi sviluppati il rallentamento sarà più evidente:
si
prevede una crescita dello 0,5% negli Stati Uniti (contro l'1,9% stimato lo
scorso giugno) e crescita zero nell'Eurozona (sempre rispetto all'1,9%
precedente).
Anche
i Paesi emergenti non saranno risparmiati: la crescita cinese è ora prevista al
4,3% (0,9 punti percentuali in meno) e gli altri Paesi emergenti e sviluppati
dovrebbero vedere le loro economie crescere del 2,7%.
Eurozona
crescita zero in 2023 con caro energia e inflazione.
Più
nel dettaglio, per quanto riguarda l'Eurozona, l'istituto ha tagliato
pesantemente le stime e attende ora una crescita zero (+1,9% la stima di
giugno).
Per il
2024 la stima è di una crescita dell'1,6% (contro il +1,9% previsto a giugno).
«Nell'Eurozona l'attività nella prima metà del 2022 ha superato le aspettative,
con il risultato che la crescita annuale è stata rivista al 3,3%.
Nel
secondo semestre, tuttavia, c'è stato un indebolimento sostanziale come
risultato del balzo dei prezzi dell'energia, delle incertezze sull'offerta e
dell'aumento dei costi di finanziamento», si legge nel rapporto.
L'istituto
segnala che «l'inflazione ha toccato livelli record dopo l'invasione russa
dell'Ucraina, portando a tagli delle forniture globali di gas e a un aumento
dei costi che, nonostante qualche recente miglioramento, restano sopra i
livelli pre-guerra».
Alla
luce di tutto questo, la Banca mondiale prevede una contrazione nella prima
metà del 2023 e una stabilizzazione nella seconda parte dell'anno.
L'inflazione dovrebbe moderarsi, complice
anche il calo dei prezzi dell'energia.
Allarme
povertà nell'Africa Subsahariana.
L'istituto
ha inoltre espresso preoccupazione per le conseguenze del rallentamento dal
punto di vista sociale e in termini di lotta al riscaldamento globale e alla
povertà.
Nell'Africa subsahariana, dove vive il 60%
delle persone considerate in condizioni di estrema povertà, la crescita
prevista sarà probabilmente insufficiente per combatterla in modo efficace:
«Ci
aspettiamo una crescita dell'1% del Pil pro capite, che è di gran lunga
inferiore a quella necessaria per sradicare la povertà estrema», ha detto Kose,
spiegando che «sarà quasi impossibile ridurre la povertà o anche la
disuguaglianza ai livelli che vorremmo».
Davos,
passerella per potenti
che
non sanno come fermare
la
recessione globale.
Remocontro.it – (16 Gennaio 2023) -Redazione –
ci dice:
Il
2023 porterà una recessione globale, con l’economia che continuerà ad essere
segnata dalle tensioni geopolitiche e la Fed Usa e la Bce europea che
continueranno nella stretta monetaria.
Questa
la sintesi del ‘Chief Economists Outlook’, «Una ’survey’ fra i capi economisti delle maggiori
istituzioni finanziarie e aziende», sperando siamo solo ’gufi’.
Tra loro, ben due terzi -il doppio che nello scorso
settembre – considerano una recessione globale ‘estremamente probabile’.
Davos
misura lo stato di crisi della globalizzazione.
Nelle
Alpi svizzere il meeting della élite planetaria:
i capo-economisti vedono lo spettro della
recessione globale, ma il picco dell’inflazione è più vicino, e quindi della
malattia oltre la quale inizia la possibile guarigione.
«Un
mondo frammentato da guerra, pandemia, crisi economica e dell’energia, tensioni
geopolitiche, nazionalismi e climate change».
La
‘permacrisi’.
Il “World
Economic Forum” fa i conti con la successione di emergenze che dà forma a
quella che è stata definita l’era della ‘permacrisi’.
E il
contesto, riferiscono i giornali economici più prestigiosi, è di
‘preoccupazione crescente’.
Secondo
un rapporto appena diffuso dal “Wef”, una recessione globale nel 2023 è uno
scenario sempre più possibile: lo sostengono i due terzi di capoeconomisti
intervistati.
Il
senso di Davos per la globalizzazione.
Oltre
2.700 rappresentanti provenienti da 130 Paesi da Oggi al 20 gennaio a Davos,
nei lussuosi alberghi della città alpina svizzera.
Dibattuti e soprattutto, negli incontri a
porte chiuse.
Il
punto di incontro della élite planetaria, ammettendo che loro, spesso
corresponsabili di una parte del negativo accaduto, siano analisti credibili
per misurare lo stato di salute di una globalizzazione assediata su tutti i
fronti e per molti versi costretta alla ritirata.
«Viviamo
in un’era di shock multipli, potremmo essere a un punto di svolta per
l’economia globale», avverte Kenneth Rogoff, professore dell’Università di
Harvard e uno fa gli scongiuri.
‘Collaborazione in un mondo
frammentato’.
Davos
alla 53sima edizione, dedicato appunto alla «collaborazione in un mondo
frammentato» che si svolge «nel contesto geopolitico ed economico più complesso
degli ultimi decenni», prova ad addolcire qualcuno ma non sono in molti a
crederci.
Poi i
vertici politici, e qui si va dal male al peggio.
50
capi di Stati e di governo.
50
capi di Stato e di Governo, i vertici delle principali istituzioni
internazionali, alcune di loro in profonda crisi, come la “Wto per il commercio”,
e centinaia dei più importanti leader d’azienda del mondo.
Importanti
ma non troppo visto che sul fronte dei politici, il cancelliere tedesco Olaf
Scholz sarà l’unico leader del G7 presente.
Poi,
per quanta autonomia possano esprimere, la presidente della Commissione Ue,
Ursula von der Leyen, e la presidente della Bce, Christine Lagarde.
Più il
peso degli assenti.
Tra
gli assenti di spicco, il presidente statunitense Joe Biden e quello cinese Xi
Jinping.
Sia Washington che Pechino sono presenti
tuttavia con delegazioni di alto livello. Per l’Italia, dopo la rinuncia di
Giancarlo Giorgetti, ci sarebbe il solo ministro dell’Istruzione, Giuseppe
Valditara, che non è chiaro cosa possa dire, dato il tema, se non ascoltare.
L’agenda
della globalizzazione.
Dalla
guerra in Ucraina, con le sue conseguenze economiche globali e le implicazioni
per la sicurezza energetica, all’impennata dell’inflazione, che espone al
rischio povertà decine di milioni di persone, soprattutto nei Paesi a basso
reddito.
Temi
intrecciati alla sicurezza alimentare e alla sfida posta dal riscaldamento
globale, che impone un ripensamento di stili di vita e produzione e la
conversione verso fonti di energia non inquinanti.
Problemi
globali che spingono però Stati e opinioni pubbliche a complicate risposte
nazionali, mentre i forum internazionali fanno sempre più fatica a trovare
soluzioni condivise per problemi planetari.
La
carica dei miliardari.
Sono
in lista almeno 100 miliardari.
La
maggior parte di questi proviene dagli Stati Uniti, ma non mancheranno indiani
e sauditi.
Da
Wall Street arrivano gli amministratori di JPMorgan, di Goldman Sachs e di
Citigroup, insieme alle controparti di Bank of America, Ubs e Deutsche Bank.
Dell‘ex
uomo più ricco del mondo Eddie Musk, che nell’ultimo anno è riuscito a perdere
200 miliardi, non risulta traccia.
Inevitabile
Zelensky in video e niente russi.
Il
presidente ucraino Zelensky parteciperà anche quest’anno in collegamento video.
È
attesa anche una delegazione del Governo, insieme al sindaco di Kiev, Vitaliy
Klitschko.
Per il
secondo anno consecutivo, non ci saranno né delegati né oligarchi russi
bloccati dalle sanzioni internazionali, dopo l’invasione dell’Ucraina.
Bandiera
svizzera e stelle e strisce.
L’edizione
di questo Forum è la più ‘americana’ della sua storia.
Pochi
‘grandi leader’ ma, tra le 703 persone registrate, gli americani costituiscono
il 27% di tutti i partecipanti accreditati.
Il mondo a cercare di capire cosa ha in tasca
e per la testa gli attuali più ricchi e potenti del pianeta le cui scelte ci
ricadranno comunque addosso.
Russia
e Cina, o escluse o ai margini.
La
delegazione statunitense inviata dall’amministrazione Biden è indicativa nella
sua composizione: trittico diplomazia economica-ambiente-sicurezza nazionale.
Attorno
a cui far ruotare gli interlocutori più vicini o utili, dove spunta persino il
segretario nato uscente Jens Stoltenberg, ancora a parlare di sostegno occidentale
all’Ucraina invasa dalla Russia.
Usa-Europa,
più per interesse che per amore.
Dalla
presidente della Commissione Ue è attesa una risposta all’”Inflation Reduction Act” di Biden, misura protezionistica
non certo amichevole, dopo quello che è accaduto sul fronte dei rifornimenti
energetici passati dalla vicina Russia all’Atlantico, con moltiplicazione dei
costi.
Stati
Uniti-Cina e la ‘trappola di Tucidide’.
Paradosso
politico-culturale, che la globalizzazione possa continuare a parlare americano
anche in una fase in cui l’idea del mondo unipolare è tramontata.
Forse
ci aiuterà a capire Henry Kissinger, prossimo ai cento anni, che dialogherà col
politologo Graham Allison della “Harvard Kennedy School of Government”, teorico
della “trappola di Tucidide” e dell’ammonimento sui rischi dello scontro diretto Usa-
Cina.
Davos,
la vergogna dei più
ricchi
e incapaci del pianeta.
Remocontro.it - Ennio Remondino – (17 Gennaio
2023) – ci dice:
Un
pianeta di sempre più ricchi e di sempre più poveri, e anche se sei un
relativamente povero tra i ricchi ma se sei ancora una persona per bene, la
cosa un po’ ti dovrebbe indignare. Almeno il tempo di quello che a
catechismo ci avevano insegnato come ‘esame di coscienza’.
Ma a
Davos, “World Economic Forum”, l’esame di coscienza non è in programma, e la
diseguaglianza sempre meglio organizzata non conosce crisi.
Il
nuovo rapporto di Oxfam all’apertura del “World Economic Forum” a Davos.
Sempre
più ricchi e sempre più, molto più poveri.
La
pandemia, i cambiamenti climatici, il caro energia e l’inflazione hanno
prodotto pochi ‘grandi ricchi’ e moltiplicato i ‘sempre più ricchi’, ma senza
esagerare.
Assieme
a molti poveri, e ai sempre più poveri.
È
quanto emerge dal rapporto Oxfam «La diseguaglianza non conosce crisi», pubblicato – come di consueto –
all’apertura del “World Economic Forum (Wef), a Davos, sulle Alpi svizzere, che già
la località prescelta la dice lunga, che Cortina D’Ampezzo passa per località
da turismo popolare.
‘Cooperazione’
dove ognuno corre per sé.
Oltre
2700 i partecipanti, tanti economisti che le crisi spesso le causano e poi le
analizzano, una cinquantina di Capi di Stato, ma quasi nessuno tra quelli che
veramente contano e poi deludono, e poi ‘aria fritta’.
Ah, scusate,
dimenticavamo il presidente ucraino Zelenzky in video, che non può mancare a
nessun meeting, visto che trova persino il tempo di andare da Bruno Vespa a
Porta a porta.
Colpevoli
e anche pessimisti.
Ad
eccezione del Cancelliere tedesco Olaf Scholz, non sarà presente nessun leader
del G7, visto che di Grandi s’è persa la misura politica e visto che le
aspettative sono basse, brutte, quasi pessime, e non fa bene mostrarsi al proprio
elettore dove si parla di «recessione globale, mentre l’economia continuerà ad
essere segnata dalle tensioni geopolitiche».
Per
fortuna i ‘super-ricchi’ –informa Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam– hanno
superato ogni record nei primi due anni della pandemia, inaugurando quelli che
potremmo definire i «ruggenti anni ’20’ del nuovo millennio».
E noi
siamo felici.
Globalizzazione
in crisi?
Un
mondo frammentato da guerra, nazionalismi e tensioni geopolitiche crescenti, ma
ora i protagonisti di gran parte di queste disgrazie provano a dirci come forse
ne usciremo, ovviamente dopo che tutti noi avremo pagato un prezzo molto
salato.
E
visto che le disgrazie non vengono mai sole, il “World Economic Forum” ci
avverte che dobbiamo prepararci, oltre che alla recessione globale nel 2023,
anche a un ‘disordine mondiale’, che sta trasformando la globalizzazione come
l’avevamo conosciuta finora.
La
colpa fu del rosso fiorellin…
Non
solo colpa della guerra della Russia -oggi assente per castigo- e neppure le
barriere commerciali fra Stati Uniti e Cina, e della gara perversa tra
Bruxelles e Washington che si scontrano (facendo finta di non farlo) su chi sussidia
di più la propria industria pe far andare a picco quella dell’amico
concorrente.
Colpa
di chi manca?
Sarà per questo che al vertice di quest’anno
nelle Alpi svizzere fanno più rumore gli assenti dei presenti:
mancano
gli oligarchi russi, il presidente americano Joe Biden e il cinese Xi Jinping,
come pure il francese Emmanuel Macron, il premier britannico Rishi Sunak, il
canadese Justin Trudeau e il rieletto leader brasiliano Luiz Inácio Lula da
Silva.
Per
fortuna gli amati miliardari…
In
compenso, sulla lista degli invitati ci sono oltre 100 miliardari,
rappresentanti sauditi e degli Emirati Arabi, innumerevoli Ceo e operatori
finanziari di Wall Street. Con la politica che formalmente decide, quasi
assente.
Sospetto
di codardia, il nostro, condiviso da chi, anche in Oxfam, ritiene che la loro
assenza sia una dimostrazione di come l’economia globale non sia più materia su
cui i capi di stato hanno il controllo, ormai esercitato da un ristretto
manipolo di privati che noi non siamo chiamati ad eleggere.
Anzi,
che in gran parte, neppure conosciamo.
Disuguaglianze
favorite dal fisco?
I
numeri parlano chiaro.
Dal 2020 l’1% dei più ricchi si è accaparrato
quasi il doppio dell’incremento della ricchezza netta globale, rispetto al
restante 99% della popolazione mondiale.
Le
fortune dei miliardari crescono alla velocità di 2,7 miliardi di dollari al
giorno, mentre almeno 1 miliardo e 700 milioni di lavoratori vivono in paesi in
cui l’inflazione supera l’incremento medio dei salari.
Quando
il povero non servirà più neppure come forza lavoro…
Intanto
i governi delle regioni più povere spendono oggi quattro volte di più per
rimborsare i debiti rispetto a quanto destinano per la spesa pubblica in
sanità.
Col risultato che ogni quattro secondi una persona
muore per mancanza di accesso alle cure, per gli impatti della crisi climatica,
per fame, per violenza di genere.
Ovviamente,
‘Ça va sans dire’, il debito degli ultra poveri e con gli ultra ricchi.
Sempre
meno tasse per i ricchi.
Come
il malvagio delle favole, anche quella vera ama esagerare.
E dopo decenni di tagli alle tasse sui più ricchi, una
tendenza che si traduce in povertà, migrazioni, conflitto sociale e crisi delle
democrazie, basterebbe un’imposta del 5% sui grandi patrimoni «potrebbe
generare per la lotta alla povertà affrancando dalla povertà fino a 2 miliardi
di persone».
Ma noi siamo adulti e non crediamo più alle
favole.
“World
Economic Forum”, massoneria per ricchi.
«La
percezione popolare è che il WEF sia un’organizzazione segreta e sinistra
simile a qualcosa uscito da un romanzo di James Bond», si lascia scappare Larry
Elliott sul Guardian.
A Davos solo passerella, dove non c’è nessuno
tra quelli che alla fine decidono, salvo quei 100 miliardari di cui abbiamo
detto.
Mentre
qualcuno opportunamente ricorda che “la prima Grande Guerra in Europa” viene
combattuta a poco più di duemila chilometri dalle piste innevate di Davos.
Diritti
universali, abusi globali.
Orrori
sui minori.
Remocontro.it – (12 Gennaio 2023) – Redazione -ci
dice:
Dai
bambini migranti non accompagnati ai piccoli schiavi nelle miniere fino ai
giovani detenuti.
Nel rapporto sui diritti globali di “Human
Rights Watch” tutti gli abusi nei confronti dei figli di un dio minore.
Dove
scopriamo un filo nero di vergogna che lega governi democratici e regimi
autoritari: la delegittimazione strutturale del diritto internazionale. (hrw.org/world-report/2023).
Il
2022 secondo “Human Rights Watch Hrw”
L’anno
dell’invasione russa dell’Ucraina, del consolidamento della leadership talebana
a Kabul con il suo bagaglio di guerra alle donne, della rivolta – senza
precedenti – in Iran.
Un
2022 di poche luci e molte ombre che, per il 33esimo anno, l’associazione “Human
Rights Watch” riassume in 700 pagine di rapporto.
Cento paesi sviscerati secondo un’ottica precisa:
il
mancato rispetto dei diritti umani, che si tratti di libertà di movimento e
libertà d’espressione, eguaglianza di genere, tutela dei minori, giustizia
sociale e climatica.
Diritto
internazionale calpestato.
«A
emergere è una tendenza, tanto pericolosa quanto strutturale, che accomuna
regimi autoritari e governi democratici: la delegittimazione del diritto
internazionale», la sintesi estrema che ne fa il Manifesto.
«Strumentalizzato
a fini politici, relativizzato secondo doppi standard, spesso ridotto a
orpello, il diritto internazionale nato dopo la seconda guerra mondiale non
sembra godere più di un riconoscimento collettivo e dunque di una difesa
globale», denuncia la direttrice esecutiva di Hrw Tirana Hassan.
«Senza
alcun controllo, le gravi azioni di governi abusanti montano, cementando l’idea
che corruzione, censura, impunità e violenza siano i mezzi più efficaci per
raggiungere i propri obiettivi».
Regressioni
della destra nazionalista.
«Se
l’ingresso dell’estrema destra nazionalista nelle istituzioni dei paesi
occidentali sta conducendo a un rapido smantellamento di sistemi di diritti
ritenuti ormai consolidati, dall’altra parte si sta assistendo alla reazione
delle società civili globali.
Da sud a nord, il ruolo dei movimenti di protesta
nazionali e globali (quello femminista e quello ambientalista in primis) appare
il solo argine all’autoritarismo».
Il
rapporto è disponibile da oggi sul sito di Hrw.
Remocontro, sull’esempio del già citato
Manifesto, ha deciso di trattare oggi dei diritti dei minori e delle violazioni
compiute dalle istituzioni dei paesi occidentali.
Stati
Uniti ricchi e potenti, ogni tre minuti un bimbo senza genitori.
Soltanto
nel 2019 negli Stati uniti sono stati incarcerati almeno 240mila minori, con un
aumento del 9 percento rispetto al 2010, con l’alta probabilità che all’arresto
segua l’emissione di sentenza di colpevolezza e una pena carceraria.
I numeri più alti all’interno delle comunità più
marginalizzate dal punto di vista sociale ed economico:
l’ispanica,
l’afroamericana e l’asiatica.
Una
diseguaglianza interna al sistema di welfare diretto ai minori:
ogni
tre minuti un bambino viene sottratto dalle istituzioni governative a una
famiglia disagiata e povera.
In
moltissimi Stati, l’orfanotrofio sostituisce di fatto un più efficace sostegno
finanziario e sociale alle famiglie con difficoltà economiche.
Barriere
francesi per i piccoli migranti.
Se a
luglio il “Defensor des Droits”, l’autorità francese garante dei diritti, ha
accusato il governo di non investire abbastanza nell’educazione nei territori
oltremare.
In
Francia a destare le maggiori preoccupazioni è il trattamento riservato ai
minori migranti non accompagnati (mancata accoglienza e diniego della
protezione internazionale) e ai figli di cittadini francesi membri dello Stato
islamico a cui è spesso negato il rimpatrio.
Sono
ancora 150 detenuti nei campi in Siria, contro i 77 i rimpatriati.
Spagna,
il caso di Cañada Real.
Per il
terzo anno consecutivo, 4mila persone tra cui 1.800 bambini non hanno alcun
accesso all’energia elettrica.
Vivono
a Cañada Real, slum di Madrid, a cui alla fine del 2020 il comune ha tagliato
l’elettricità per sgomberare l’area.
Nonostante lo scorso ottobre il Comitato
europeo per i diritti umani abbia chiesto al governo spagnolo di intervenire a
causa dei gravi abusi in termini di igiene, accesso all’educazione e diritto
alla casa a Cañada Real, Madrid non ha ancora offerto soluzioni abitative
alternative.
Ungheria,
rom sottratti alle famiglie.
La
comunità rom resta tra le più discriminate d’Ungheria, sul posto di lavoro, ma
anche a scuola e negli orfanotrofi.
Lo scorso febbraio è stato un tribunale di
Budapest ad accusare il governo di ricorrere alla sottrazione di bambini rom
dalle proprie famiglie in misura sproporzionata sulla base delle mancate
capacità economiche familiari.
Bambini utilizzati anche a fini di
discriminazione delle persone Lgbtqi+, per una legge che ne riduce i diritti
per una presunta tutela dei minori.
Australia,
indigeni in cella 20 volte di più.
I
bambini indigeni vengono arrestati e detenuti in un numero venti volte maggiore
a quello dei bambini non indigeni, in un paese -l’Australia- in cui l’età
minima di responsabilità penale è di soli 10 anni, contro i 14 previsti a
livello internazionale.
Nel
2022 ben 444 bambini australiani con meno di 14 anni sono stati incarcerati.
A ciò si aggiungono condizioni carcerarie
considerate non rispettose degli standard internazionali in molti penitenziari
minorili, secondo rapporti delle stesse autorità nazionali.
Poca
cosa rispetto al troppo ancora nascosto.
In
quadro completo nel rapporto di 700 pagine.
Alcune considerazioni aggiuntive da parte
nostra.
La
dovuta citazione degli attacchi contro i civili in Ucraina assieme alla
vergogna leader mondiali di paesi che si dicono campioni di democrazia
costretti a cedere cinicamente sui diritti umani per un po’ più di gas o di
petrolio.
E a moderare attenzioni e critiche al
crescente autoritarismo in India, Tailandia, Filippine e altrove nella regione
sempre per motivi economici e di sicurezza.
Ma sta
accadendo con maggiore o minore gravità in mezzo mondo.
Doppio standard non solo delle superpotenze
globali.
Il resto, se volete –noi lo suggeriamo-, su (hrw.org/world-report/2023).
Il
giorno del ‘Giudizio nucleare’:
Vladimir
Stranamore e altri.
Remocontro.it - Ugo Traballi – (11 Febbraio
2023) – ci dice:
‘Siamo
a 90 secondi dal giorno del giudizio nucleare, mai così vicini dai tempi di
Hiroshima e Nagasaki.
L’invasione
dell’Ucraina e ‘’la minaccia non troppo velata della Russia di usare le armi
nucleari, ricordano al mondo che un’escalation – per errore, intenzione o
calcolo errato – è un rischio terribile’.
Ugo Traballi,
dalle sue Slow News e ISPI, ha tutte le intenzioni di farci paura e, almeno con
noi, ci riesce.
Doomsday
Clock.
Come
ogni anno il “Bulletin of the Atomic Scientists” dell’Università di Chicago ha
calcolato quanto siamo distanti da un conflitto nucleare.
Il Doomsday Clock, l’orologio del giorno del
giudizio, è un’unità di misura teorica ma lo spostamento delle sue lancette è
definito dai comportamenti dei governi.
Chi li
calcola è un gruppo di scienziati, fra i quali dieci Nobel.
Forse
nel tentativo di prendere le distanze dal mostro che avevano creato, il
Bollettino era stato fondato nel 1945 da Albert Einstein, Robert Oppenheimer,
Eugene Rabinovich e dagli altri scienziati del Progetto Manhattan:
le atomiche sganciate sul Giappone.
Armageddon.
La
prima misurazione da qui all’eternità dell’Armageddon è del 1947: sette minuti.
Il limite più pericoloso – tre – fu raggiunto nel 1953, quando i sovietici
sperimentarono la prima bomba all’idrogeno; quello più ottimistico nel 1991,
dopo i primi accordi sul disarmo e la caduta dell’Urss: 17 minuti.
L’invasione
dell’Ucraina è l’atto conclusivo di un lungo periodo di tensioni geopolitiche
crescenti: dal 2020 la misurazione del Doomsday Clock non è più in minuti ma in
secondi: 100 secondi per tre anni e ora 90.
Se
cadono i tabù nucleari.
Per
decenni, nei rapporti fra le due superpotenze nucleari (il 93% delle testate
nel mondo, è posseduto da Usa e Russia), l’eventualità dell’uso di un’arma così
distruttiva era sempre stata un tabù.
Nelle loro guerre in Vietnam e Afghanistan, americani
e sovietici non avevano mai cercato di evitare la sconfitta usando l’atomica o
minacciando di farlo.
La
Russia oltre Putin.
È ciò
che da mesi invece chiaramente suggeriscono politici e generali russi di fronte
al disastro delle loro operazioni militari in Ucraina.
La
settimana scorsa, nell’anniversario della battaglia di Stalingrado, Putin lo ha
fatto di nuovo: la vera potenza russa è nei suoi arsenali nucleari.
Nell’età
dell’atomica non era mai accaduto.
Come il Dottor Stranamore del film di Stanley Kubrick:
ma Vladimir Stranamore è reale.
Bollettino
comunque americano.
La
Russia, dice il bollettino, “ha anche portato la guerra nei siti nucleari di
Chernobyl e Zaporizhzhia, violando i protocolli internazionali e rischiando un
ampio rilascio di materiali radioattivi.
Gli sforzi dell’Agenzia Atomica di mettere al
sicuro quelle centrali, sono stati respinti”.
Le
preoccupazioni degli scienziati di Chicago sono ancor più attuali ora che Usa e
Germania hanno deciso di dare agli Ucraini i carri armati Abrams e Leopard, considerate
armi offensive letali.
Solo
‘difesa’ e armi ‘non letali’?
In
realtà tutte le armi sono offensive e difensive, dipende dall’uso tattico che
se ne fa.
Non è
neppure scontato che quei carri facciano effettivamente la differenza sui campi
di battaglia.
Ma quello che conta, come per i mercati azionari, è il
“sentiment” generale: segnalano la solidità della risposta occidentale
all’invasione russa.
Al Pentagono sono convinti che anche di fronte
a una sconfitta definitiva, Putin non userà l’arma atomica: troppo rischiosa per il fallout
nucleare e per le reazioni internazionali.
Eventi
collaterali: corsa agli armamenti.
Ma la
guerra ucraina, secondo il “Bulletin”, provoca eventi collaterali.
I trattati sulla riduzione delle armi nucleari
sono fermi; la Cina vuole quintuplicare il suo arsenale entro il 2035; seguendo
l’esempio di cinesi, Usa e Russia, l’India modernizza il suo; Iran e Corea del
Nord sono una minaccia crescente.
E il
problema non è solo l’atomica.
Per Giappone e Corea del Sud è più conveniente restare
sotto l’ombrello nucleare americano ma il loro riarmo convenzionale è spedito.
Nel
2021, nonostante le conseguenze economiche della pandemia, per la prima volta
le spese mondiali per la difesa hanno superato i 2mila miliardi di dollari.
E
Putin non aveva ancora invaso l’Ucraina.
Rapporto
sulle esplosioni dell'oleodotto
che
hanno causato tumulto.
Global-china
daily-com - cn.traslate.goog – (10-2-2023) – Wang Qingyun - ci dice:
(Substack,
Seymour Hersh)
Fuga
di gas al Nord Stream 2 vista dall'intercettore F-16 danese a Bornholm,
Danimarca, 27 settembre 2022.
Il
Cremlino giura "conseguenze" mentre la Casa Bianca cerca di spegnere
il fuoco sull'articolo.
Una
storia letteralmente esplosiva secondo cui gli Stati Uniti avrebbero fatto
saltare in aria tre dei quattro gasdotti Nord Stream costruiti dalla Russia ha
avuto scarsa copertura nei media occidentali, a parte i resoconti sulle
smentite della Casa Bianca.
In un
articolo di 5.800 parole pubblicato mercoledì sulla sua pagina Substack, Seymour Hersh, un giornalista investigativo che
una volta ha lavorato per il New York Times e ha vinto un premio Pulitzer, ha
detto che gli Stati Uniti hanno complottato e addestrato sommozzatori della
Marina in Florida per portare a termine la missione.
I tubi sono stati costruiti per fornire gas
naturale dalla Russia alla Germania.
Le
esplosioni sono avvenute a settembre dopo il via libera del presidente Usa Joe
Biden, ha presunto Hersh, 85 anni, criticato in passato per aver utilizzato
fonti anonime.
Adrienne
Watson, una portavoce della Casa Bianca, ha dichiarato in una e-mail che si
tratta di "finzione falsa e completa".
Tammy
Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency, ha scritto: "Questa
affermazione è completamente e assolutamente falsa".
Giovedì,
in un'intervista all'agenzia di stampa statale russa RIA Novosti, il
viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov ha incolpato l'amministrazione
Biden per le esplosioni del Nord Stream e ha promesso che ci sarebbero state
"conseguenze".
"In
generale, la pubblicazione di ieri (del rapporto Hersh) ha confermato una
conclusione che abbiamo fatto per noi stessi - il rappresentante ufficiale del
ministero degli Esteri ha detto ieri che non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto
che gli Stati Uniti, forse altri paesi della NATO, sarebbero stati coinvolti in
questo sabotaggio oltraggioso", ha detto Ryabkov.
Ha
anche detto ai giornalisti a Mosca che l'ipotesi della Russia era che gli Stati
Uniti e diversi alleati della NATO fossero coinvolti in questo "crimine
disgustoso".
La
Svezia e la Danimarca hanno entrambe concluso che gli oleodotti sono stati
deliberatamente fatti saltare in aria, ma non hanno affermato chi sia stato.
Russia
e Ucraina sono impegnate in un feroce conflitto militare dal febbraio 2022 e le
nazioni occidentali hanno usato sanzioni per soffocare le esportazioni della
Russia, una nazione ricca di petrolio, per impedirle di finanziare le sue
operazioni militari.
La
NATO, gli Stati Uniti e le altre nazioni occidentali hanno fornito all'Ucraina
decisioni di miliardi di dollari in aiuti militari e di altro tipo.
La
costruzione del Nord Stream 2 è stata progettata per raddoppiare il volume di
gas che la Russia potrebbe inviare alla Germania sotto il Mar Baltico.
È
stato completato nel settembre 2021, ma non è mai entrato in funzione dopo che
Berlino l'ha accantonato poco prima dell'inizio del conflitto russo-ucraino.
Due
dei gasdotti, noti collettivamente come Nord Stream 1, hanno fornito alla
Germania e a gran parte dell'Europa occidentale gas naturale russo a buon
mercato per più di un decennio, ha scritto Hersh.
Una
seconda coppia, Nord Stream 2, era stata costruita ma non era ancora operativa.
Il
portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha detto venerdì che gli
Stati Uniti dovrebbero dare una spiegazione responsabile al mondo in merito al
rapporto.
Le
esplosioni hanno causato gravi impatti negativi sul mercato globale
dell'energia e sull'ambiente, ha detto Mao in una conferenza stampa.
"Se
il rapporto di Hersh è vero, allora tale comportamento è inaccettabile e deve
essere ritenuto responsabile", ha detto.
Parlando
della copertura limitata del rapporto di Hersh da parte dei media statunitensi,
Mao ha affermato che "alcuni media si preoccupano poco dei fatti o della
verità".
False
narrazioni.
"Fanno
finta di non vedere la verità che conta. Ciò che hanno pubblicizzato sono
spesso false narrazioni, invece della verità", ha aggiunto il portavoce.
Il
rapporto ha suscitato critiche da parte di alcuni utenti dei social media in
Occidente.
Il
giornalista Michael Tracey ha scritto ai suoi 300.000 follower su Twitter:
"In
conclusione: quando Seymour Hersh riferisce di abusi dello stato di sicurezza da parte
di repubblicani, come Nixon o Bush, i suoi metodi di approvvigionamento sono
vigorosamente difesi da rispettabili opinioni mainstream.
Quando
si tratta di un Dem, come con l'odierno Rivelazione di Biden/Nordstream,
diventa improvvisamente un pazzo".
L'utente
di Twitter "banthebbc" ha detto ai suoi 82.000 follower:
"SILENZIO
RADIO - Ancora non una sbirciatina dalla BBC sulla storia bomba di Seymour
Hersh secondo cui gli Stati Uniti hanno fatto saltare in aria il Nordstream e
hanno cercato di incolpare la Russia per l'inizio della Terza Guerra Mondiale.
Come
mai questa non è la più grande storia di sempre Twitter è ora l'ultimo posto
dove puoi andare per scoprire cosa sta succedendo?"
Il
giornalista britannico Jonathan Cook ha scritto su Twitter:
"Stranamente,
non riesco ancora a trovare una parola sul sito web di The Guardian sulla
storia di Seymour Hersh sugli Stati Uniti che fanno saltare in aria gli
oleodotti Nord stream, anche se la Casa Bianca ha passato tutto il giorno a
cercare freneticamente di spegnere gli incendi che la sua storia ha acceso".
Hersh
inizia l'articolo con una descrizione di dove ha detto che i sommozzatori della
Marina degli Stati Uniti sono stati addestrati per l'operazione.
"Il
centro immersioni e salvataggio della Marina degli Stati Uniti si trova in un
luogo oscuro come il suo nome: lungo quella che una volta era una strada di
campagna nella rurale Panama City, una città turistica ora in forte espansione
nella striscia sud-occidentale della Florida, 110 chilometri a sud del Confine
con l'Alabama", ha scritto.
"Il
centro ha addestrato per decenni subacquei altamente qualificati che, una volta
assegnata alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di
effettuare immersioni tecniche per fare il bene - usando esplosivi C4 per
liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi - così come il male, come far saltare in aria piattaforme
petrolifere straniere, sporcare valvole di aspirazione per centrali elettriche
sottomarine, distruggere chiuse su canali marittimi cruciali", ha
continuato.
"La
decisione di Biden di sabotare gli oleodotti è arrivata dopo più di nove mesi
di dibattiti altamente segreti all'interno della comunità della sicurezza
nazionale di Washington su come raggiungere al meglio tale obiettivo.
Per
gran parte di quel tempo, il problema non era se svolgere la missione, ma come
farlo senza alcun chiaro indizio su chi fosse il responsabile."
Fin
dai suoi primi giorni, il Nord Stream 1 è stato visto da Washington e dai suoi
partner anti-russi della NATO come una minaccia al dominio occidentale, ha
scritto Hersh.
Nel
dicembre 2021, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli
Stati Uniti, ha convocato una riunione di una nuova task force dei capi di
stato maggiore congiunti, della CIA e dei dipartimenti di Stato e Tesoro.
"La
Marina ha proposto di utilizzare un sottomarino appena commissionato per
attaccare direttamente l'oleodotto.
L'Air
Force ha discusso di sganciare bombe con micce ritardate che poteva essere
attivata a distanza.
La CIA
ha sostenuto che qualunque cosa fosse stata fatta, avrebbe dovuto essere
nascosta. Tutti i soggetti coinvolti capivano la posta in gioco", ha
scritto Hersh.
"'Questa
non è roba da bambini', ha detto la fonte. Se l'attacco fosse riconducibile
agli Stati Uniti, 'È un atto di guerra'".
'La va
bene'.
In una
conferenza stampa del 7 febbraio 2022, poco prima dell'inizio del conflitto,
Biden, dopo aver incontrato il cancelliere tedesco Olaf Scholz alla Casa
Bianca, ha dichiarato: "Se la Russia invade, ... non ci sarà più un Nord
Stream 2.
Porremo
fine a tutto ciò."
La
Norvegia, dove gli Stati Uniti hanno una base sottomarina, era il sito di
sosta, ha scritto Hersh.
"La
Norvegia è stata uno dei firmatari originali del Trattato NATO nel 1949, nei
primi giorni della Guerra Fredda.
Oggi, il comandante supremo della NATO è Jens
Stoltenberg (della Norvegia) ... Era un intransigente su tutto ciò che riguarda
Putin e la Russia che aveva collaborato con la comunità dell'intelligence
americana sin dalla guerra del Vietnam.
Da
allora ci si è fidati completamente di lui.
"È
il guanto che si adatta alla mano americana", ha detto la fonte.
I
norvegesi potrebbero aver avuto anche altri interessi, ha ipotizzato Hersh.
La
distruzione del Nord Stream consentirebbe alla Norvegia di vendere più del proprio
gas naturale all'Europa.
Il 26
settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese ha
effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar.
Il
segnale si è diffuso sott'acqua, inizialmente verso il Nord Stream 2 e poi
verso il Nord Stream 1.
Poche
ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza che erano stati precedentemente
posizionati da sommozzatori statunitensi sono stati innescati e tre dei quattro
gasdotti sono stati messi fuori servizio.
"In
pochi minuti, pozze di gas metano rimaste nelle condutture chiuse potevano
essere viste diffondersi sulla superficie dell'acqua, e il mondo ha scoperto
che era accaduto qualcosa di irreversibile", ha detto.
(Wang
Qingyun a Pechino).
Germania. La grande paura tedesca
della rinascita del III Reich.
Collegamenti
con l’eversione di estrema destra.
Difesapopolo.it-
(9 dicembre 2022) – Massimo Lavena – ci dice:
È
stata una delle più grandi operazioni di polizia contro l’estremismo di
ispirazione neonazista populista in Germania.
Le manette sono scattate per 25 persone della
cosiddetta “Reichsbürger” (Cittadini del Reich), che aspira al ripristino del
III Reich, il cui obiettivo era abbattere il sistema politico costituzionale
della Germania unita.
Arresti anche in Italia (fonti della polizia
italiana confermano che la persona tedesca arrestata in un albergo di Ponte San
Giovanni, è un ex ufficiale di un’unità speciale dell’esercito tedesco le cui
procedure per l'estradizione in corso) e Austria Germania.
La grande paura tedesca della rinascita del
III Reich. Collegamenti con l’eversione di estrema destra
A
destare preoccupazione anche le peculiarità di alcuni degli arrestati.
Tra
loro infatti figurano il giudice Birgit Malsack-Winkemann, ex parlamentare del
Bundestag nelle fila del partito populista Alternative für Deutschland (AfD);
un
soldato del comando delle forze speciali dell’esercito tedesco e anche
l’imprenditore Heinrich XIII Principe Reuss d’Assia, considerato uno dei capi
dell’organizzazione, destinato dai membri ad assumere il ruolo di leader del
rinato III Reich.
Un’organizzazione
“estremamente pericolosa”.
Così
il governo federale ha classificato la Reichsbürger,
“stiamo
parlando infatti di un’organizzazione che, ha detto a Berlino il portavoce del
governo Steffen Hebestreit facendo riferimento ai loro piani per “un attacco
armato al Bundestag”, secondo quanto sappiamo finora, ha pianificato
l’eliminazione congiunta del nostro stato costituzionale democratico”.
Il
servizio di intelligence interno tedesco Verfassungsschutz aveva già messo
sotto osservazione il movimento Reichsbürger nel 2016, poco dopo che uno dei
suoi membri aveva ucciso un poliziotto durante un raid nella sua casa.
Il Verfassungsschutz, al momento, attribuisce
circa 21.000 persone alla Reichsbürger.
Di
queste, oltre 3000, sarebbero estremisti di estrema destra, pronti a usare la
violenza per raggiungere i propri obiettivi.
Secondo
il rapporto annuale 2021 dell’agenzia, tra i membri figurerebbero anche diversi
appartenenti all’esercito.
“Le
indagini – ha riferito a Colonia un portavoce del Servizio di controspionaggio
militare (MaD) – sono rivolte, tra le altre cose, a un soldato attivo e a
diversi riservisti”.
Una
notizia importante, da non sottovalutare, che non ha mancato di suscitare
apprensione e stupore in tutta la Germania.
“Sono
estremamente inquietanti le minacce e le violenze contro i funzionari
governativi che Reichsbürger pone,
– ha
detto Martin Hochholzer, consulente per le questioni settarie e ideologiche
presso l’Ufficio cattolico per la pastorale missionaria (Kamp) a Erfurt –, non
sono solo sparatorie spettacolari, ma anche tentativi di intimidire il
personale amministrativo, gli ufficiali giudiziari e i giudici con cui la
Reichsbürger entra in contatto magari per multe per eccesso di velocità e
questioni più gravi”.
Secondo
Hochholzer i fatti emersi “tuttavia, possono essere visti come un indicatore di
problemi, come un indicatore di sconvolgimenti sociali di più vasta portata e
di sfide più globali.
Ritengo
quindi che la Reichsbürger sia un punto focale in cui vari aspetti convergono e
si uniscono”.
Fatti
comunque inquietanti dei quali abbiamo parlato con Carlo Augusto Melis Costa,
avvocato, esperto di politica internazionale e membro della Commissione internazionale
dei giuristi democratici.
Secondo
Melis Costa
“la
memoria storica del nazismo, che pareva metabolizzata nella Germania Ovest, è
divenuta, in alcuni casi, passato mitico dopo la riunificazione.
Conta
sicuramente il vecchio antagonismo tra cultura renana e cultura prussiana,
quest’ultima assai più incline a subire fascinazioni militariste. Allo stesso
tempo conta anche il drammatico divario economico che tutt’ora si avverte tra
ex Germania dell’Est e dell’Ovest”.
“Quanto
venuto alla luce grazie a questa operazione – prosegue Melis Costa, peraltro
legale delle famiglie delle vittime della tragedia della Moby Prince –
evidenzia quanto sia stato difficile, nei lander orientali, liberarsi d’un
tratto di un pensiero autoritario e fortemente statalista.
Non è
un caso che la stessa iconografia della Germania dell’Est fosse implementata
fortemente al Terzo Reich, persino nelle uniformi.
Sotto
il profilo ideologico è il caso di ricordare il caso di Thomas Mann (oltre
quello di Berthold Brecht), originariamente aderente alla Germania Democratica
ma che in seguito ne fuoriuscì proprio per le implicazioni autoritarie.
Mann
non fu certamente l’unico intellettuale ad avvertire questa continuità
autoritaria, assai più palese che nella Germania Federale”.
“Non
c’è dubbio poi – aggiunge Melis Costa – che in questo processo un ruolo
preponderante lo ha giocato la disastrosa situazione economica della Germania
Orientale.
Ricordo
di aver assistito ai primi disordini neonazisti (ma in realtà di nostalgici
dell’ex Ddr), a Rostock nel 1992”.
Commentando
poi le allarmanti affermazioni della ministra dell’interno federale, Nancy
Faeser , secondo cui “l’organizzazione terroristica era guidata da fantasie
violente di rovesciamento e ideologia di cospirazione”, Melis Costa precisa che
“i servizi tedeschi hanno una lunga tradizione di democraticità e trasparenza.
Da loro, a mio avviso è rarissimo l’uso deviato dell’intelligence.
Certamente
la crescita del partito nazionalista populista di Alternative für Deutschland
(AfD), i cui collegamenti con l’eversione di estrema destra sono comunque tutti
da indagare, ha suscitato un forte allarme nell’establishment cresciuto nella
cultura della ex Germania dell’Ovest”.
“Personalmente
– conclude Melis Costa – ritengo che l’allarme sia giustificato, e che persino
in Germania, dove la metabolizzazione del passato era un tempo esemplare, vi
siano delle spinte revansciste, strumentalizzate da forze antieuropeiste, la
cui origine però non è ancora chiara”.
(Massimo
Lavena)
La
bibbia neonazista che ha fatto 200 morti
e ispirato l’assalto al Congresso Usa:
“Il
libro più pericoloso dell’epoca contemporanea”.
Valigiablu.it
– (6 Febbraio 2021) - Leonardo Bianchi – ci dice:
Un
plotone di agenti dell’FBI sta circondando una casa di legno sull’isola di
Whidbey, circa cinquanta chilometri a nord di Seattle, il 7 dicembre del 1984.
L’uomo all’interno, che si chiama Robert Jay Mathews, non solo rifiuta di
uscire – è pronto a dare battaglia.
Dentro
l’edificio piovono granate stordenti e fumogeni, che però non sortiscono alcun
effetto: l’assediato indossa una maschera antigas.
Un
paio di agenti provano a sfondare la porta, ma sono investiti da una
sventagliata di piombo.
Nella notte un elicottero si avvicina
all’abitazione ma viene raggiunto dai colpi ed è costretto a battere in
ritirata.
Nel
frattempo, con una manovra a tenaglia, gli agenti a terra riescono a lanciare
dei razzi di segnalazione che fanno detonare granate e munizioni all’interno
dell’abitazione.
Mentre
scoppia un incendio, l’uomo continua a sparare con un mitragliatore. Smette
solo quando le fiamme hanno completamente avvolto la struttura.
Diverse
ore dopo, quando il fuoco si è placato, le forze dell’ordine trovano dei resti
umani.
Sono dell’uomo che, secondo i rapporti
ufficiali, ha sparato più di mille colpi in qualche ora.
Il suo
nome è Robert Jay Mathews: aveva 31 anni, ed era il leader di una cellula
terroristica neonazista.
Nato
in Texas nel 1953 e cresciuto in Arizona, Mathews è stato un estremista di
destra fin dall’adolescenza.
Ad
appena 11 anni si avvicina alla John Birch Society, un’associazione anticomunista e
razzista fondata negli anni ’50 dal magnate Robert W. Welch.
A 16
si converte al mormonismo e intorno ai 20 anni mette in piedi i “Sons of
Liberty” (“I figli della libertà”), una milizia paramilitare che si scioglie
nel 1974.
In
seguito a quell’esperienza fallimentare si trasferisce nelle campagne intorno a
Metaline Falls, una piccolissima cittadina nello stato di Washington, unendosi
a gruppi suprematisti che vogliono allestire un “etno-stato” solo per “ariani”.
All’inizio
degli anni ’80, più precisamente nel 1983, Mathews decide che è arrivato il
momento di passare all’azione.
Chiama a raccolta una dozzina di camerati – appartenenti al Ku Klux Klan, alla
Aryan Nations e al partito nazista National Alliance – con l’intenzione di scatenare una
“guerra razziale” negli Stati Uniti.
L’organizzazione
prende alternativamente il nome di “The Order” (“L’Ordine”) o “Silent
Brotherhood” (“La fratellanza silenziosa”), e in poco più di un anno sparge il
terrore in varie zone degli Usa.
Per
finanziarsi parte da piccole rapine, passa alla contraffazione di denaro e
arriva agli assalti ai portavalori, che fruttano svariati milioni di dollari –
almeno uno di questi non è mai stato recuperato, e si sospetta che sia finito
nelle casse di vari partiti e movimenti estremisti.
Il
tiro viene ulteriormente alzato con azioni terroristiche in piena regola.
I militanti guidati da Mathews piazzano bombe
in sinagoghe e cinema, e nel giugno del 1984 uccidono il conduttore radiofonico
ebreo Alan Berg, massacrandolo con un’arma da guerra di fronte al garage di
casa sua a Denver (in Colorado).
Dopo
l’omicidio, la pressione delle forze dell’ordine cresce a dismisura.
L’FBI
si infiltra nella cellula e convince un militante, Thomas Martinez, a diventare
un informatore.
Sarà
lui a comunicare alle forze dell’ordine l’ubicazione del covo di Mathews,
condannandolo di fatto alla morte.
Testimoniando
al processo, Martinez ricorda il momento esatto in cui è stato reclutato.
Mathews
l’aveva portato in un ripostiglio, aveva estratto una copia da una pila di
libri con la copertina rossa e gli aveva detto:
“Tom,
qui c’è scritto il futuro. Devi leggerlo. Devi farlo.”
Il
titolo di quel romanzo è “The Turner Diaries”, “I diari di Turner” (tradotto in
Italia come “La seconda guerra civile americana”). E il gruppo di Mathews, a partire dal
nome, ha cercato di trasporlo nel mondo reale.
L’Ordine
contro il Sistema.
All’epoca,
I diari di Turner erano conosciuti e apprezzati solo da una ristretta cerchia
di militanti.
La
loro prima apparizione risale al 1975, quando la rivista del partito National
Alliance – Attack! – pubblica la prima puntata di questo diario fittizio, che
andrà avanti per tre anni e mezzo.
I vari episodi vengono poi raccolti in un
libro auto pubblicato nel 1978.
La
trama grossomodo è questa:
negli
anni ’90 del secolo scorso, il governo degli Stati Uniti (ribattezzato “Il
Sistema”) è comandato da democratici, minoranze ed ebrei che – tra le varie
nefandezze – vogliono confiscare tutte le armi ai “patrioti”.
Il
protagonista, Earl Turner, è disgustato da questa situazione (“la vita è sempre
più brutta, ci sono sempre più ebrei”) e si unisce ad un’organizzazione
terroristica di suprematisti bianchi chiamata genericamente “L’Organizzazione” o “L’Ordine”.
Le
prime azioni però non colgono nel segno, nel senso che non innescano una
rivolta generalizzata come auspicato.
L’Organizzazione inizia così ad uccidere
poliziotti e politici, mentre la cellula di Turner si finanzia – esattamente
come farà Mathews – con assalti a portavalori ed emissione di banconote false.
Col
passare del tempo, L’Ordine mette a segno attentati sempre più sanguinosi – tra
cui la distruzione di un edificio federale dell’ Fbi e l’assalto al Congresso
americano a colpi di mortaio.
L’ondata
di violenza culmina nel cosiddetto “giorno del cappio”, una spaventosa purga in
cui tutti i “traditori” (giornalisti, avvocati, insegnati, deputati, burocrati,
predicatori e coppie “miste”) sono impiccati in piazza.
Nel
finale, Turner si sacrifica per la causa in una missione suicida e si schianta
con un aereo (caricato con un ordigno atomico) sul Pentagono, dando il via alla
fase finale dell’offensiva: una guerra mondiale termonucleare, dalla quale la “razza
bianca” emergerà vincitrice una volta per tutte.
L’autore
del romanzo è Andrew Macdonald, pseudonimo di William Luther Pierce.
Fisico di professione, si radicalizza durante
l’era del movimento per i diritti civili entrando nell’”American Nazi Party di
George Lincoln Rockwell” (soprannominato “il Führer americano”).
Quando
quest’ultimo è assassinato da un membro del partito, Pierce diventa uno dei
leader dell’Anp – salvo poi fondare la “National Alliance”.
I
diari di Turner nascono soprattutto per aumentare la circolazione di Attack!
Secondo il ricercatore J. M. Berger, autore di un dettagliato paper sul tema,
il libro “è
sicuramente l’opera più importante del suprematismo bianco”; eppure, non è del
tutto originale.
Rientra
infatti nel filone letterario sciovinista e antiabolizionista del periodo della
guerra civile statunitense, e soprattutto nella letteratura distopica di
estrema destra degli anni Cinquanta.
Per ammissione dello stesso Pierce, la fonte
principale è un romanzo anonimo distribuito nel 1959 dalla “John Birch Society”
e intitolato” The John Franklin Letters”.
La
differenza cruciale con i suoi predecessori non sta dunque nella struttura, ma
nel messaggio e nell’obiettivo.
Il libro è una specie di manuale per compiere
atti di terrorismo, pieno com’è di suggerimenti pratici e psicologici rivolti
agli aspiranti attentatori.
“I
diari di Turner sarebbero rimasti una nota a piè di pagina nel genere della
distopia razzista e politica”, scrive Berger, “se non fosse per tutta la violenza
che hanno generato”.
Earl
Turner al Congresso.
La
parabola di Robert Jay Mathews e del suo The Order, infatti, è stata solo
l’inizio: dalla sua pubblicazione a oggi, sono oltre duecento gli omicidi
attribuiti a persone che hanno letto il libro di Pierce.
Nel
1994 una banda di criminali neonazisti – che si autodefiniva “Aryan Republican
Army” (Arn, “Esercito repubblicano ariano”) – riesce a mettere a segno ben 22
rapine in banca, rifacendosi esplicitamente al modello di Earl Turner e di The
Order.
Una
volta scontata la pena, alcuni ex membri dell’Arn vanno a vivere in una
comunità di estrema destra nelle campagne dell’Oklahoma, conosciuta come Elohim City;
lì influenzano Chevie Kehoe, un giovane suprematista
che aveva fondato a sua volta un’altra cellula (la “Aryan People’s Republic”,
“Repubblica popolare ariana”) dedita ad omicidi, attentati e rapine.
Kehoe è arrestato nel 1997 dopo un confronto
armato con la polizia, venendo in seguito condannato all’ergastolo.
L’anno
dopo tre bianchi a Jasper (in Texas) legano un nero disabile al retro del loro
pickup, trascinandolo per la strada e uccidendolo in maniera orribile.
“Stiamo
lanciando I diari di Turner,” spiegano alle forze dell’ordine.
A
cavallo del nuovo millennio, il libro raggiunge l’altra sponda dell’Atlantico.
Nel
1999 l’estremista di destra David Copeland compie tre attentati dinamitardi
contro la comunità asiatica, nera e LGBTQ+ di Londra, uccidendo tre persone e
ferendone più di cento.
Anche lui, come gli assassini di Jasper, dice
agli inquirenti di essersi ispirato al testo e di aver agito perché “nel 2000 ci saranno rivolte razziali
per strada”.
In
Germania, i membri della rete terroristica “Nationalsozialistischer Untergrund
– responsabili di una scia di omicidi razzisti tra il 2000 e il 2007 – dovevano
leggere I diari di Turner come parte della loro formazione.
In Svezia, il serial killer nazista Peter
Mangs ha detto di essere stato condizionato dall’opera di Pierce (e anche da
quella successiva, Hunter).
Ma il
più spaventoso attentato legato al libro è senz’ombra di dubbio quello contro
l’edificio federale Alfred P. Murrah di Oklahoma City.
Avvenuto il 19 aprile del 1995, ha causato 168
morti (tra cui 19 bambini) e oltre 600 feriti, e ancora adesso è il più grave
episodio di terrorismo interno negli Stati Uniti.
L’attentatore
Timothy McVeigh, un veterano che frequentava il cosiddetto “movimento dei
Patrioti”, era letteralmente ossessionato da “I diari” di Turner – al punto da
voler ricreare una delle scene più cruente del libro.
A partire dal bersaglio, McVeigh e il complice
Terry Nichols seguono passo per passo la preparazione dell’ordigno a base di
nitrato di ammonio (descritta in dettaglio da Pierce) e persino le modalità
dell’esplosione, ossia un’autobomba.
Qualche
ora dopo l’arresto, le forze dell’ordine trovano nell’auto di McVeigh parecchio
materiale propagandistico – tra cui le fotocopie di alcuni paragrafi de I diari
di Turner.
Uno in particolare, riferito all’attacco
dell’Ordine al Congresso, desta l’attenzione degli inquirenti:
Il
valore reale degli attacchi di oggi sta nell’impatto psicologico, non nelle
vittime dirette.
Ancora
più importante è quel che abbiamo insegnato ai politici e ai burocrati. Hanno
imparato che nessuno di loro è al di là della nostra portata.
Possono nascondersi dietro al filo spinato e
ai carri armati, oppure dietro i muri in cemento e i sistemi d’allarme delle
loro tenute di campagna, ma riusciremo sempre a stanarli e ucciderli.
Se
quel passaggio era inquietante nel 1995, nel 2021 è arrivato a un passo
dall’essere realizzato.
Il
libro più pericoloso del mondo.
Lo
spettro di Earl Turner si è materializzato più volte durante l’assedio al
Congresso americano del 6 gennaio.
Fuori
dal Campidoglio, ad esempio, era stata montata una forca; molti gridavano a più
riprese di voler “impiccarli tutti”; e alcuni manifestanti, una volta penetrati
dentro l’edificio, si erano messi a cercare il vicepresidente Mike Pence con
l’intenzione di impiccarlo come punizione per il “tradimento” nei confronti di
Donald Trump.
Sull’ecosistema
social di estrema destra, inoltre, diversi utenti hanno paragonato l’attacco al
“giorno del cappio” o scritto cose come:
“Era
tutto scritto nei Diari di Turner. Leggeteli”.
Ma
com’è possibile che, a oltre quarant’anni dalla sua pubblicazione, questa
bibbia neonazista abbia ancora così tanta rilevanza?
Secondo Berger, la risposta va cercata nel
genere e nello stile dei Diari di Turner.
Le
distopie sono ambientate in un futuro non troppo distante dal presente, e
spesso sono rese obsolete dall’incedere della storia – com’è successo ai
predecessori scritti nell’epoca della guerra civile.
Il
testo in questione però non romanza figure politiche reali, e l’assenza di un
contesto politico specifico – dovuta alle scarse qualità letterarie di Pierce –
è paradossalmente il suo punto di forza:
la trama è la classica lotta tra il bene e il
male, dove non c’è spazio per le sfumature.
Questo
permette inoltre di massimizzare l’impatto presso il pubblico di riferimento –
suprematisti, neonazisti e razzisti – che è costantemente invitato a mettere in
pratica le proprie convinzioni, perché il momento di agire è ora; poi non ci
sarà più tempo.
Non a
caso i personaggi più negativi del libro sono i conservatori e gli estremisti
che non hanno il coraggio di andare fino in fondo.
Queste
caratteristiche hanno permesso al libro di attraversare epoche molto diverse
tra loro, accompagnando l’evoluzione dell’estrema destra americana e – grazie
alla sua crescente diffusione su Internet – anche di quella globale.
Il
22enne neonazista di Savona arrestato qualche settimana fa, ad esempio, nelle
intercettazioni invocava la “guerra razziale” e il “giorno del cappio”.
I
diari di Turner, insomma, rimangono il libro più pericoloso dell’epoca
contemporanea;
in fondo, è stato pensato esattamente per
diventare tale.
In un’intervista rilasciata qualche anno prima
della sua morte, verificatasi nel 2002, Pierce disse che:
Quando
ho iniziato a scriverlo volevo prendere tutte le femministe, tutti i fanatici
del mescolamento della razza, tutti i giornalisti, tutti i burocrati e tutti i
politici collaborazionisti e metterli al muro, migliaia di loro alla volta, e
abbatterli a colpi di mitra.
Voglio
farlo ancora adesso.
E come
hanno tragicamente dimostrato gli ultimi decenni, non è l’unico a volerlo.
Prigozhin
nel mirino
(e un
avvertimento a Pechino).
Corriere.it
-America-Cina - MARILISA PALUMBO – (27-1-2023) – ci dice:
Sul
«New York Times» il giornalista russo Mikhail Zygar lo definisce «l’uomo che
può sfidare Putin per il potere».
Di
certo c’è che il ruolo di Evgeny Prigozhin nella campagna di Mosca contro
l’Ucraina è ogni giorno più evidente.
Ieri
il dipartimento del Tesoro ha ufficialmente inserito il suo gruppo di
mercenari, la “Wagner”, nella lista delle organizzazioni criminali
internazionali.
Una
mossa attesa e simbolica, ma con alcune conseguenze reali.
Per esempio le sanzioni a una società cinese
che avrebbe fornito alla Wagner immagini satellitari del territorio ucraino per
aiutare i militari a selezionare i loro bersagli nella guerra.
Washington vuole far capire a Pechino che anche le
«forniture non letali» che consentono a Mosca di proseguire la guerra, anche se
passano da privati, saranno sotto osservazione e sanzione.
L’altro
fronte caldo di questi mesi è Taiwan:
Xi
affida al suo ideologo un (ultimo?) tentativo di riunificare l’isola con la
politica, ma resta la convinzione tra gli esperti che sia prontissimo a usare
la via militare.
Dall’Asia
voliamo nel Mediterraneo con le esercitazioni Usa-Israele;
ci spostiamo in Africa con il raid contro il
leader Isis in Somalia;
rientriamo
in America con l’ennesimo caso di violenza della polizia che rischia di
incendiare una città, Memphis;
torniamo al caso delle carte segrete dei
presidenti;
vi
aggiorniamo sulle vicende processuali dell’(ex) re delle criptovalute e finiamo
con due icone lontane nel tempo: Jane Austen e Joan Didion.
La
newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere
della Sera.
1.
Taccuino militare: spie, carri da esportazione e la Wagner nella lista delle
«organizzazioni criminali transnazionali»
(editorialista GUIDO OLIMPIO).
Una
misura simbolica attesa:
il
Tesoro Usa ha designato la compagnia di mercenari russi Wagner come
organizzazione criminale transnazionale, dunque appartenenti e beni possono
essere colpiti da sanzioni.
È un ulteriore passo contro la società diretta
da Evgeny Prigozhin, da sempre strumento utile al Cremlino e oggi impegnato con
migliaia di uomini in Ucraina.
Tema
carri. La Polonia invierà a Kiev altri 60 tank PT-91, sono mezzi di seconda
mano, una copia ammodernata dei T 72 di concezione sovietica.
Sempre
Varsavia donerà 14 Leopard tedeschi mentre il Canada ne offre 4.
Dagli Stati Uniti precisano che gli Abrams
promessi a Zelensky saranno un «modello per l’esportazione», ossia privo di
alcune componenti considerate riservate.
Intanto
gli esperti continuano a mettere in guardia sul complesso sforzo logistico che
attende gli ucraini.
Spie
al lavoro. La polizia tedesca ha fermato all’aeroporto di Amburgo una persona
appena sbarcata da un volo in arrivo dagli Stati Uniti.
Arthur
E. è sospettato di aver passato informazioni ai russi ed era in contatto con un
funzionario dell’intelligence di Berlino arrestato di recente per la stessa
accusa. Alle indagini ha partecipato l’FBI.
2.
Washington sanziona l’azienda cinese che ha aiutato i mercenari di Prigozhin:
un avvertimento a Pechino.
(editorialista
GUIDO SANTEVECCHI-corrispondente da Pechino).
C’è la
mano di un’azienda (privata) cinese dietro i mercenari russi della Wagner in
Ucraina.
Gli
Stati Uniti hanno accusato e sottoposto a sanzioni “Spacety China”, una società
che sviluppa tecnologia spaziale e che avrebbe fatto arrivare ai combattenti della
Wagner immagini satellitari del territorio ucraino, utilizzate per selezionare
i bersagli nella guerra.
“Spacety
China” (nome completo “Changsha Tianyi Space Science and Technology Research
Institute”) è finita nella lista nera del dipartimento del Tesoro americano: le
sanzioni vietano qualsiasi collaborazione commerciale o tecnologica con
l’azienda, che ha il quartier generale a Pechino e una filiale in Lussemburgo
(anche questa metta sotto embargo da Washington).
Secondo l’indagine americana, il gruppo cinese
avrebbe fornito le foto satellitari del territorio ucraino a Terra Tech,
un’azienda russa, che a sua volta le avrebbe passate al comando della Wagner.
Tecnicamente
le immagini riprese dai satelliti cinesi si definiscono «aiuti non letali»,
perché non si tratta di armi o munizioni.
Ma il rapporto del Tesoro americano ricorda
che le foto «hanno consentito alla Wagner di pianificare attacchi e
combattimenti in Ucraina» (anche l’esercito di Kiev ha a disposizione grazie al
sostegno occidentale immagini dello schieramento russo che permettono attacchi
di precisione).
“Spacety
China “è formalmente un’azienda privata, anche se ogni iniziativa industriale
nella Repubblica popolare è comunque perlomeno sorvegliata dal governo.
Sul
suo sito la società che ha i laboratori a Changsha nella provincia di Henan, si
descrive come «pioniera nella fornitura commerciale di immagini ottenute con tecnologia
Sar», che
sta per «synthetic
aperture radar» e in
parole povere è un sistema che consente di riprendere dai satelliti immagini
della terra ad alta definizione.
La ditta cinese vanta la sua capacità di
produrre su vasta scala satelliti commerciali in versione micro, nano e
piccola.
Il 4
febbraio del 2022, tre settimane prima dell’aggressione russa all’Ucraina, a
Pechino Xi Jinping e Vladimir Putin si promisero «collaborazione senza limiti».
Da
allora Xi non ha mai condannato l’invasione e ha invece denunciato le sanzioni
imposte dall’Occidente a Mosca.
Ma la
Cina ha continuato a definirsi neutrale nel conflitto e a quanto risulta
all’intelligence americana non ha inviato agli amici russi forniture belliche.
Xi
Jinping cammina su una corda sottile: non sconfessa l’amicizia politica con
Putin ma vuole evitare «sanzioni secondarie» da parte americana per l’industria
statale cinese.
L’appoggio concreto di Pechino si è limitato
(e non è comunque poco) a un aumento massiccio dell’acquisto di gas e petrolio
russo.
Ora però, Washington mette in guardia i cinesi
sul fronte delle «forniture non letali» utili alla prosecuzione della guerra.
Fonti dell’amministrazione Biden hanno detto di aver
avuto uno scambio di opinioni molto fermo con i cinesi riguardo a queste
manovre, nelle quali sarebbero coinvolte anche aziende cinesi controllate
direttamente dal Partito-Stato.
3.
Negoziati, anche i turchi alzano le mani.
(editorialista - GIUSEPPE SARCINA)
Nei
giorni scorsi i diplomatici del Paese guidato da Recep Tayyip Erdogan hanno
fatto sapere agli alleati della Nato e agli altri partner del «Gruppo di
Contatto sull’Ucraina» che al momento non ci sono possibilità di negoziato con
la Russia.
La Turchia era, di fatto, la frontiera più
avanzata del dialogo con Mosca e, ancora nelle ultime settimane, c’erano stati
contatti tra Erdogan e Putin.
A
questo punto, però, lo scenario è cambiato:
si
preannuncia uno scontro furibondo tra gli eserciti in primavera;
fervono
i preparativi di guerra.
Il governo di Ankara ne ha preso atto:
il
Cremlino non ha alcuna intenzione di aprire uno spiraglio.
Erdogan
puntava su un obiettivo minimo, cioè il cessate il fuoco, senza richieste
precise da una parte e dall’altra.
I russi non avrebbero dovuto ritirarsi e gli
ucraini avrebbero mantenuto le posizioni sul terreno recuperate tra l’estate e
l’autunno.
Un
modo per congelare il conflitto ed esplorare tempi e modi della trattativa.
Nel
corso del 2022, in effetti, la Turchia ha ottenuto risultati vitali, come lo
sblocco delle esportazioni di cereali e il negoziato per evacuare i militari e
i civili ucraini asserragliati nell’acciaieria Azovstal, a Mariupol.
Adesso
viene meno anche questo canale di comunicazione.
4.
Dalla storica organizzazione dei diritti umani alle news di Meduza:
la
guerra totale di Mosca al pensiero indipendente.
(editorialista - MARCO IMARISIO).
La
prima era una vecchia gloria, la seconda una nuova spina nel fianco. La più
antica organizzazione dei diritti umani, e la più recente e aggressiva testata
giornalistica.
La fine è stata simile, e forse anche
inevitabile, dati i tempi.
Tre
giorni fa il tribunale di Mosca ha imposto la chiusura al “Moscow Helsinki
Group” (MHG), la più antica organizzazione indipendente russa per i diritti
umani.
È la
storia che si ripete. Era già successo.
MHG venne fondata
nel 1976 dal fisico Andrey Orlov durante una
Conferenza stampa
tenuta nell’appartamento del suo amico e premio Nobel Andrey Sakharov,
all’epoca il dissidente più famoso.
Sua moglie, Yelena Bonner, divenne la prima
presidente onoraria.
Il
nome dell’Ong fa riferimento agli accordi di Helsinki sul rispetto delle
libertà fondamentali dell’uomo, che l’Unione Sovietica aveva firmato l’anno
precedente.
Ogni
membro dell’associazione cominciò a subire persecuzioni di vario genere, a
cominciare dall’esclusione dei rispettivi posti di lavoro.
Nel
1982 lo scioglimento fu inevitabile.
Sette
anni di nulla, poi la rinascita dopo il crollo del Muro.
Anche se i tempi erano cambiati, e MHG è
sempre stata vissuta come un reperto del passato
. Lo
scioglimento ovviamente è giustificato con presunte irregolarità
amministrative.
MHG
era autorizzata a operare solo nella capitale, mentre negli ultimi anni avrebbe
osato spingere la sua presenza oltre la cinta daziaria di Mosca.
Per “Meduza”
non si tratta di una replica, ma semplicemente dell’atto finale di un processo
cominciato ancora prima dell’avvio dell’Operazione militare speciale.
La testata online indipendente, una delle voci
più forti dell’informazione alternativa, con una linea molto critica verso il
Cremlino e la gestione del conflitto ucraino, era già stata bollata come
«agente straniero».
L’intera
redazione si era trasferita all’estero, in Lettonia.
Senza
cambiare nulla.
Adesso
la procura generale l’ha bollata come una organizzazione indesiderata «che
minaccia le basi dell’ordine costituzionale e della sicurezza».
Non è un cambiamento da poco.
Significa
negare il diritto di esistere, almeno in Russia.
La
legge russa prevede quattro anni di reclusione per chi collabora con un
«indesiderato», e in linea teorica punisce anche chi commenta o linka o
rilancia i suoi articoli.
Il
rischio non è più solo di chi scrive, ma anche di chi legge.
Sono
due provvedimenti ben diversi tra loro, ma simili nello spirito da guerra
totale che sta impregnando l’intera Russia.
Ma se
la chiusura del “Moscow Helsinki Group” ha un valore più simbolico che altro,
la stretta draconiana sul quotidiano online più aggressivo rivela anche una
debolezza.
Soprattutto
dallo scorso settembre, dall’avvio della “mobilitazione parziale”, la fiducia
nell’informazione controllata dal governo è in calo.
I famosi talk show di propaganda stanno
facendo registrare notevoli cali di ascolto. La vendita di contrabbando della VPN
che permettono di collegarsi a siti esteri invece è in aumento, soprattutto
nelle grandi città. Anche da lontano, la voce della “Medusa” continuava a dare
fastidio.
(P. S. L’autorità delle comunicazioni
russa Roskomnadzor ha annunciato venerdì di aver bloccato i siti di Cia e Fbi
accusando le due agenzie governative americane di diffondere false informazioni).
5. La
mano del Cremlino dietro il rogo del “Corano” in Svezia
(Editorialista
- MONICA RICCI SARGENTINI)
Proteste
nei giorni scorsi davanti al consolato svedese a Istanbul.
C’è lo
zampino della Russia nello stop (temporaneo) all’entrata della Svezia nella
Nato decretato dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan.
A
indignare Ankara, ma anche molti altri Paesi di fede musulmana, è stato, sabato
scorso, il rogo di una copia del Corano davanti all’ambasciata della Turchia
nella capitale svedese.
Come è
noto a compiere il gesto è stato “Rasmus Paludan”, un avvocato danese, che però
ora ha ammesso di aver avuto l’idea (e i soldi) da Chang Frick, ex
collaboratore del canale di propaganda russa” Russia Today”, proprietario del
quotidiano online “Nyheter Idag” e giornalista di punta nel canale tv “Ris”ks
che è finanziato dai “Democratici Svedesi”, la formazione nazionalista e
populista che appoggia dall’esterno il governo di “Ulf Kristersson”.
Questi
ultimi si sono subito chiamati fuori dalla vicenda mentre Frick ha ammesso di
aver pagato le spese per l’autorizzazione a svolgere la manifestazione: «Se
sono riuscito a sabotare il processo di adesione alla Nato, pagando una quota
amministrativa di 320 corone (circa 32 euro) allora non so se il problema sono
io o se è l’intero processo di adesione alla Nato dall’inizio» ha detto
aggiungendo, provocatoriamente, «io, poi, non gli avevo detto di bruciare il
Corano ma piuttosto una certa bandiera.
Volevo
che l’azione fosse contro la Turchia, null’altro».
Ora
Frick è noto per essere un ammiratore di Vladimir Putin, di cui colleziona
anche i calendari e le magliette, nonché un sostenitore della causa di Mosca,
ostile all’allargamento Nato che avrebbe «implicazioni negative» per la pace in
Europa.
«Il
rogo del Corano a Stoccolma è chiaramente opera dei servizi speciali russi — ha
detto “Oleksandr Danyliuk”, consigliere del ministero della Difesa ucraino —,
azioni del genere non dovrebbero rimanere senza risposta».
6. Xi
incarica il suo ideologo” Wang “di trovare una nuova idea per riunificare
Taiwan.
L’ideologo”
Wang Huning” è membro del Politburo.
(Guido
Santevecchi) Wang Huning, 67 anni, è considerato il più raffinato ideologo del
Partito comunista cinese.
A
ottobre è stato promosso numero 4 nella gerarchia del Politburo.
Secondo voci raccolte da Nikkei, che ha buone
fonti a Pechino, Xi Jinping avrebbe affidato al «cervellone» della Repubblica
popolare la missione di coordinare la strategia di riunificazione di Taiwan.
Non
dal punto di vista militare, per questo Xi ha inserito nel nuovo gruppo
dirigente del Partito una serie di militari con diretta esperienza del teatro
di operazioni intorno all’isola da riunificare.
“Wang
Huning” dovrebbe invece elaborare una nuova proposta politica, dopo che il
modello «Un
Paese due sistemi» è diventato inaccettabile per i taiwanesi, i quali hanno
visto come è finito a Hong Kong:
repressione,
cancellazione dell’opposizione democratica, riduzione delle libertà economiche.
Per
chiudere la partita a Hong Kong, Xi Jinping ha consapevolmente ucciso la
possibilità di convincere «i compatrioti taiwanesi» ad accettare un compromesso
che preveda la sovranità di Pechino sulla «provincia».
Da
tempo il leader comunista non cita la formula «Un Paese due sistemi» che era stata lanciata da Deng
Xiaoping per ottenere nel 1997 la restituzione.
È ipotizzabile che voglia tentare una strada
propria per coronare il sogno della riunificazione.
“Wang
Huning “a marzo dovrebbe essere nominato vicedirettore del Gruppo guida
centrale sugli Affari di Taiwan, l’organo che decide la strategia verso
l’isola.
Il “Gruppo
guida” è diretto da Xi.
Il
cervellone ideologico “Wang” dovrebbe elaborare una nuova strategia per rilanciare
il dialogo politico con il governo di Taipei.
Wang è un ex accademico, politologo della
prestigiosa università Fudan.
Ed è il sommo ideologo del Partito.
Un
uomo che ha messo la sua mente raffinata, colta e cinica al servizio del potere
sotto gli ultimi tre segretari generali, da Jiang Zemin a Hu Jintao e poi Xi.
Si
dice che tutte le formule del Pensiero di Xi siano state discusse con questo
studioso che parla pochissimo in pubblico.
Ma è
svelto di riflessi e di mano, come ha dimostrato al Congresso di ottobre, nei
momenti drammatici dell’espulsione del vecchio Hu Jintao dalla Grande sala del
popolo.
L’ideologo “Wang” era seduto due posti alla
sinistra dello sfortunato “Hu” (forse malato, sicuramente umiliato) e ha
trattenuto tirandolo per la giacca il compagno “Li Zhanshu” che voleva alzarsi
per sostenere fisicamente l’ex segretario generale. Il gesto e l’espressione
del volto di “Wang” dicevano al compagno generoso e forse ingenuo: «Non ti esporre, non è affar tuo».
7. E
nell’isola sta per arrivare l’ammiraglio Davidson (che ha previsto l’invasione
cinese nel 2027)
(Guido
Santevecchi) Torna a «fare onde» l’ammiraglio Philip Davidson, che quando era a
capo dell’”Indo-Pacific Command” delle forze armate americane aveva previsto
l’attacco della Cina contro Taiwan «entro il 2027».
L’ufficiale
a quattro stelle è andato in congedo a 62 anni, è un privato cittadino, e
secondo quanto riferisce «Nikkei» da Tokyo lunedì sarà in visita a Taipei.
Nell’isola
dovrebbe incontrare anche la presidente “Tsai Ing-wen”.
Prima di partire, Davidson avrebbe ricevuto il
via libera dalla US Navy.
Non ci
sono ancora commenti da Pechino, che lo scorso agosto aveva scatenato
un’esercitazione militare intorno all’isola, come reazione alla visita della
speaker della Camera americana Nancy Pelosi.
Come
detto, Davidson ha lasciato la divisa da ammiraglio e non ha alcun incarico
governativo, ma continua a studiare la situazione strategica del Pacifico.
A
Tokyo ha tenuto una conferenza nella quale si è detto sempre convinto e
preoccupato per una possibile azione di forza cinese nello Stretto di Taiwan
entro il 2027.
Non è
una data scelta a caso.
Il
2027 nel calendario politico della Cina ha un notevole significato:
è la
data del prossimo “Congresso del Partito comunista”, dopo quello che lo scorso
ottobre ha assegnato almeno altri cinque anni di potere a Xi Jinping.
Dal
2012, quando è stato nominato per la prima volta segretario generale del
Partito e presidente della Commissione militare centrale, Xi ha cominciato a dire
che «la
provincia taiwanese deve tornare alla madrepatria, la questione non può più
essere lasciata aperta e rinviata alle generazioni future».
Ora ha
altri cinque anni, fino al 2027, per mantenere fede alla promessa e consegnarsi
alla storia come il grande riunificatore.
L’ammiraglio Davidson ha osservato che nel
discorso al Congresso di ottobre Xi ha rifiutato di rinunciare all’uso della
forza per prendere il controllo dell’isola democratica:
«Ecco
perché non cambio la mia previsione sul rischio» di attacco.
Se
anche lo sbarco dell’ex comandante militare dell’Indo-Pacifico passerà
«inosservato» a Pechino, porterebbe sicuramente a un nuovo rialzo della
tensione una missione di Kevin McCarthy, il nuovo speaker della Camera dei
Rappresentanti di Washington.
Fonti
di stampa americane sostengono che McCarthy sta discutendo con il Pentagono la
data migliore per la visita dimostrativa nell’isola.
8.
Usa-Israele: dimostrazione di forza contro l’Iran.
In
un’immagine rilasciata dal dipartimento della Difesa, il sergente della Air Force Sadie
Jurado durante l’esercitazione Juniper Oak .
(Guido
Olimpio) Juniper Oak 23.
È il nome in codice per le grandi
esercitazioni Usa-Israele nel Mediterraneo, manovre che vengono interpretate
dagli osservatori (e non dalle fonti ufficiali) come un monito rivolto
all’Iran.
I
militari infatti simulano una serie di operazioni che potrebbero essere usate
contro il regime dei mullah e il suo arsenale nucleare.
Sono
coinvolti 6400 soldati americani e 1500 israeliani, 12 navi (compresa la
portaerei Bush) e 140 aerei sempre statunitensi.
A
questi si aggiungono i mezzi dello Stato ebraico. Presenti B52, F35, droni
d’attacco, lanciarazzi a lunga gittata Himars, velivoli d’intelligence e di
rifornimento.
Gli
equipaggi si addestrano a violare le difese nemiche, all’uso di sistemi
elettronici e ad altre tattiche. Oltre al dispiegamento di forze è rilevante il sempre
stretto coordinamento tra i due alleati, sottolineato anche dalla visita in
corso del capo della Cia William Burns, reduce da una missione in Egitto.
9.
Memphis con il fiato sospeso per la diffusione del video dell’afroamericano
ucciso da 5 agenti di polizia.
(editorialista
- VIVIANA MAZZA), corrispondente da New York.
Il
presidente degli Stati Uniti ha invitato i manifestanti a restare pacifici in
Tennessee in attesa della diffusione venerdì sera del video dell’arresto di
Tyre Nichols, 29 anni, afroamericano.
«Mi
unisco alla famiglia di Tyre nel chiedere una protesta pacifica — ha detto
Biden — L’indignazione è comprensibile, ma la violenza non è mai accettabile».
Giovedì
sera, alcune centinaia di persone hanno partecipato ad una veglia in un parco
di Memphis dove Nichols andava con lo skateboard.
Nichols
era al volante della sua auto il 7 gennaio quando cinque poliziotti, anche loro
neri, lo hanno fermato e picchiato brutalmente.
I genitori hanno mostrato una foto del figlio
in ospedale, privo di coscienza e con la faccia gonfia per le botte, scattata
il 10 gennaio, prima che morisse.
Cerelyn
Davis, la prima donna nera a guidare la polizia di Memphis, dopo aver visto il
filmato ripreso dalle bodycam degli agenti, lo ha definito un «fallimento
dell’umanità».
Tutte
le autorità hanno condannato l’accaduto come «un crimine». L’Fbi e il
dipartimento di Giustizia hanno aperto un’inchiesta sul caso.
Nichols,
che per lavoro faceva consegne per “FedEx” e aveva un figlio di 4 anni, era
stato fermato per guida pericolosa, secondo la polizia.
L’avvocato dice che nel video si vede come sia
stato attaccato con spray urticante e taser, ammanettato, preso a calci e
colpito senza sosta per tre minuti consecutivi.
I poliziotti — Tadarrius Bean, Demetrius
Haley, Emmitt Martin III, Desmond Mills Jr. e Justin Smith — sono stati
licenziati la scorsa settimana e incriminati per omicidio di secondo grado, ma
uno di loro è stato rilasciato su cauzione.
Anche
la loro unità, detta Scorpion (Street Crimes Operation to Restore Peace in Our
Neighborhoods) è ora sotto indagine.
Secondo
le autorità, Nichols ha tentato di scappare a piedi quando gli agenti si sono
avvicinati alla sua auto.
«Nessuno
quella notte voleva che Tyre Nichols morisse», ha detto l’avvocato di uno degli
accusati.
«Abbiamo
lottato per avere poliziotti neri», ha dichiarato il reverendo Al Sharpton alla
Bbc.
«Ed ecco il modo egregio in cui si comportano.
Non posso credere che, se si fossero trovati davanti un giovane bianco, lo
avrebbero trattato in questo modo».
I casi
di uomini neri uccisi da poliziotti neri raramente fanno notizia — afferma
l’avvocato californiano Adanté Pointer — ma mostrano che non si tratta
semplicemente di una questione di bianchi contro neri, ma di «una dinamica di potere che si
ripete indipendentemente dal colore della pelle degli agenti».
10.
Carte segrete e dove trovarle: gli archivi nazionali fanno appello agli ex
presidenti.
(editorialista - MASSIMO GAGGI)
New
York.
Fu
Carter a firmare la legge che obbliga gli ex presidenti e vice a consegnare i
documenti classificati, ma lui stesso ne ha trovati dopo anni alcuni che non si
era reso conto di possedere nella sua casa di Plains, Georgia.
L’Archivio
nazionale degli Stati Uniti sta pensando di scrivere a tutti gli ex presidenti
ed ex vicepresidenti per chiedere loro di esaminare di nuovo in profondità i
documenti conservati nelle loro residenze e nei loro uffici per assicurarsi che
non ci siano carte coperte da segreto.
I National Archives, che non forniscono
informazioni nemmeno sui documenti che periodicamente vengono ritrovati da ex
funzionari dello Stato e riconsegnati, non confermano la notizia, pubblicata
dalla Cnn.
Notizia
che, però, deve essere stata presa sul serio dai personaggi in questione, visto
che rappresentanti di Bill Clinton, George Bush, Barack Obama, Dan Quayle (che
fu vicepresidente di Bush padre) e Dick Cheney (vice di Bush figlio) si sono
precipitati a ribadire che tutti i documenti «sensibili» sono stati consegnati
agli archivi prima di lasciare i palazzi del governo.
Affermazioni
sicuramente fatte in buonafede ma la cui attendibilità è tutta da verificare
alla luce di quanto accaduto con “Joe Biden” e “Mike Pence” che hanno scoperto
di avere in casa documenti classificati dopo aver assicurato che tutto era
stato riconsegnato.
Proprio
il caso di Pence fa capire quanto la materia sia sfuggente: alla fine del
mandato, nei giorni incandescenti in cui Trump cercava di non far arrivare
Biden alla Casa Bianca e accusava il suo vice di averlo tradito perché aveva
ratificato l’elezione del leader democratico, Pence dovette svuotare in fretta
e furia la residenza del vicepresidente dell’Osservatorio Navale, che è una
struttura militare.
E fu
personale militare — non gli avvocati del vicepresidente — a raccogliere i
documenti di Pence, sigillarli e inviarli alla sua residenza: casse che,
magari, non sono mai state aperte.
È
probabile che lo stesso sia avvenuto con altri ex presidenti visto che perfino
Jimmy Carter — firmatario nel 1978 del “Presidential Records Act” che ha
introdotto l’obbligo, per i leader e i loro team di consegnare tutti i
documenti riservati, in precedenza considerati di proprietà dei presidenti — ha
trovato dopo decenni carte segrete nella sua residenza di “Plain” in Georgia.
Se
inciampa perfino il leader che ha ratificato il nuovo obbligo, è probabile che
anche i suoi successori abbiano, a loro insaputa, carte riservate nei
raccoglitori abbandonati in qualche scantinato.
Il
problema di fondo è quello del numero troppo elevato di documenti sui quali
vengono impressi i timbri dei vari gradi di riservatezza (confidenziale, secret
e top secret):
addirittura
milioni secondo alcuni esperti.
Il potere di dichiarare un documento segreto o
di desecretarlo quando non ci sono più rischi per la sicurezza nazionale, è
formalmente del presidente che, però, data la gran mole di carte da valutare,
lo delega al gabinetto e a vari organi di governo che a loro volta delegano le
agenzie federali.
Alla
fine sono centinaia i funzionari chiamati a esaminare i documenti: i più
tendono a imporre un vincolo di segretezza anche su messaggi innocui, tanto per
non correre rischi.
Alla
moltiplicazione dei documenti vincolati corrisponde, poi, una moltiplicazione
dei rischi di violazione, da parte non solo dei presidenti e dei loro vice:
sono
già stati registrati casi di ministri, da Alberto Gonzales, ex titolare della
Giustizia, a Hillary Clinton che, da segretario di Stato, trasferì molti
messaggi segreti sulla sua posta elettronica privata.
Per
non parlare dei mille membri dell’amministrazione che di continuo portano a
casa carte, classificate o no, da leggere dopo cena.
E un
anonimo funzionario avanza qualche dubbio anche sugli stessi presidenti: «Come credete che facciano a dare
alle stampe libri autobiografici con ricostruzioni storiche tanto ben
documentate?».
11. Le
forze speciali americane uccidono un importante leader Isis in Somalia
(Funzionari
di polizia vicino ai corpi di militanti al Shaabab ucciso in un raid a
Mogadiscio il 22 gennaio -Afp)
(Guido
Olimpio) La
Somalia è teatro della guerra strisciante al terrore.
Gli
Usa, nell’arco di una settimana, hanno condotto strike su due fronti.
Il
primo: attacchi aerei contro i qaedisti di “al Shaabab”, fazione protagonista
di attentati sanguinosi.
Il
secondo: il contrasto dello Stato Islamico, presenza minoritaria ma ritenuta
sempre una minaccia.
Le
forze speciali statunitensi hanno ucciso in un raid “Bilal al Sudani”, ritenuto
uno dei capi della fazione pro-Califfato e con un’influenza al di fuori dei
confini somali.
La
missione doveva portare alla cattura del leader ma la resistenza dei suoi
uomini ha portato ad un conflitto a fuoco chiusosi con la morte di numerosi
elementi. Teatro della battaglia un nascondiglio composto da grotte nel
Puntland.
Tre
note sul blitz.
Il
Pentagono si affida di solito a droni e caccia, invece qui ha impiegato soldati
sul terreno, scenario che deve aver avuto il placet della Casa Bianca.
I
militari hanno ricostruito in un poligono il rifugio di al Sudani per
addestrarsi all’incursione.
Joe
Biden ha deciso di schierare all’inizio della sua presidenza circa 500 membri
dei corpi speciali, un supporto alle autorità locali davanti alla sfida
terroristica.
12.
L’«altra» fidanzata (e beneficiaria) di “Bankman-Fried” e il mistero di chi gli
ha pagato la cauzione.
(editorialista - MATTEO PERSIVALE)
Il
fondatore di FTX Sam Bankman-Fried lascia la corte federale di Manhattan il 3
gennaio scorso dopo essersi dichiarato «non colpevole».
«Il
prossimo Warren Buffett?», ci interrogava una copertina di Fortune invecchiata
malissimo;
Sam Bankman-Fried,
fondatore di FTX, intermediario di criptovalute tra l’exchange (per acquistare
criptovalute) e la piattaforma tout court (per scambiare azioni tokenizzate)
era anche il leader dei «top 400» della nuova finanza digitale secondo un’altra
copertina importantissima, quella di Forbes.
In
realtà più gli inquirenti indagano sulla bancarotta da 30 miliardi di dollari
(100mila clienti di FTX erano italiani; i loro conti sono attualmente azzerati)
più Bankman-Fried appare un normale truffatore che ha però goduto di
incredibili appoggi e straordinaria libertà operativa grazie all’assenza di
regole nel mondo delle criptovalute e alle opache norme bancarie delle Bahamas
dove FTX aveva la sede.
Non
solo la Sec lo accusa di aver nascosto agli investitori FTX (più di un milione
in tutto il mondo) che i loro soldi venivano trasferiti a “Alameda Research”,
hedge fund gestito dalla sua socia e ex fidanzata di “Bankman-Fried, Caroline
Ellison “(figlia di due professori del MIT), che godeva di «una linea di
credito senza limiti».
No,
adesso si scopre anche che «il prossimo Warren Buffett» non molto tempo prima del crollo di
FTX ha inviato — sempre tramite Alameda — 400 milioni di dollari a una
misteriosa società di trading di criptovalute chiamata “Modulo Capital”.
Modulo, fondata a marzo 2022 e operante nello stesso edificio delle Bahamas in
cui viveva” Bankman-Fried”, ha due soci fondatori:
Duncan Rheingans-Yoo, laureato da ben due
anni, e Xiaoyun Zhang detta Lily, ex trader di Wall Street e ex fidanzata di “Bankman-Fried”
secondo il New York Times.
“Modulo”
sta emergendo come un elemento centrale delle indagini, perché — ovviamente —
c’è urgenza di capire se e quanti soldi dei clienti FTX siano ancora recuperabili
dalle autorità, e dove siano.
La
scorsa settimana gli avvocati di “FTX” hanno affermato di aver «ritrovato» una
somma enorme, 5,5 miliardi di dollari (tra cash, titoli e criptovalute, anche
se il valore effettivo di molte delle criptovalute possedute da FTX è difficile
da stabilire).
E
sempre la scorsa settimana gli investigatori hanno annunciato di aver
sequestrato più di 600 milioni di dollari in beni appartenenti a “Bankman-Fried”,
tra cui un mix di contanti e azioni.
Bankman-Fried
non è attualmente in carcere — cosa che ha comprensibilmente provocato polemiche
oltreoceano — ma dopo l’arresto ha potuto usufruire della libertà su cauzione e
ora è barricato a casa dei genitori a Palo Alto in attesa del processo.
Altro
elemento interessantissimo: chi ha garantito alla Corte i 250 milioni di
dollari della cauzione, visto che i genitori dell’ex trader non sono miliardari
e lui dice di aver perso tutto, come i suoi clienti?
Il
giudice ha per ora deciso di tenere segreti i nomi delle due persone che
garantiscono quella cifra enorme (e che dovrebbero pagarla in caso di fuga)
«per motivi di sicurezza», visto che già i genitori di Bankman-Fried avrebbero
ricevuto minacce di morte.
Bloomberg,
il Financial Times, Reuters Associated Press, Cnbc, Dow Jones, Insider e il
Washington Post hanno depositato un’istanza dei loro avvocati che chiede di
rivelarne i nomi «per interesse pubblico»: la decisione è attesa per la
prossima settimana.
13.
Jane Austen, la più «Gen-Z» di tutte.
(editorialista
- IRENE SOAVE)
Uno
dei tanti” meme” che girano su Jane Austen: «Offre alle donne aspettative
irrealistiche fin dal 1811»
A ogni
generazione il suo romanzo rosa: se le “Millennial” sono state formate dalla
saga di Cinquanta sfumature a cercarsi dei tenebrosi un po’ sadici, le ragazze
della “Gen-Z” — molte delle quali, essendo la fluidità l’imperativo della generazione,
obietterebbero pure a essere chiamate ragazze — registrano un’imprevedibile svolta
verso il romanticismo e incoronano Jane Austen.
La
dimostrazione: le centinaia di “meme” con la faccia di Mark Darcy, interpretato
da Colin Firth, che circolano sui social.
Uno studio dell’università di Cambridge, che
si intitola” Omg Jane Austen” ed è appena stato pubblicato, spiega perché (Omg
sta per Oh my god, esclamazione «da meme»).
Dopo il #meToo, le giovani donne e ragazze sono in
cerca di un tipo di mascolinità protettiva ma non minacciosa, animata da nobili
sentimenti e sensibilità, spiegano gli autori.
E
questo permetterebbe ai più giovani di discutere tra loro, proprio a mezzo “meme”,
i codici di comportamento che maschi e femmine tra loro possono o devono
adottare.
Niente
più Pigmalioni, Christian Grey, conti Wronskij: l’uomo ideale è rassicurante e nobile
d’animo come Mark Darcy (che ha un carattere rigido e cupo, però pazienza).
14. Le
lettere a John Wayne e il grazie per il pollo di Tom Wolfe: alla New York
Public Library l’archivio di Joan Didion.
(Irene
Soave)
Un’asta di qualche tempo fa, dove un paio di suoi occhiali da sole sono stati
venduti per 27 mila dollari, ha mostrato quanto diffuso e radicato sia
diventato, dopo la sua morte nel 2021, il culto della personalità della
scrittrice Joan Didion.
Ora i
suoi molti cultori hanno una nuova Mecca, la New York Public Library, che ha
appena acquisito l’archivio personale della scrittrice e del marito, John
Gregory Dunn, per una somma non specificata ma — si vocifera — favolosa.
Settanta
metri lineari di appunti, lettere, quaderni, ricette: non ci sono i diari dei
due scrittori, ma lettere a (e di) Richard Avedon, Helen Gurley Brown, Michael
Crichton, Nora Ephron, Allen Ginsberg, Lillian Hellman, Diane Keaton,
Jacqueline Onassis, Philip Roth e Charles Schulz.
«Toccante»
per i curatori la corrispondenza con John Wayne;
poetica quella con il drammaturgo Tennessee
Williams, che acclude a una lettera un mazzolino di fiori pressati e essiccati.
C’è il
certificato di nascita, datato 1934, con tanto di impronta digitale della madre
e del piedino della futura scrittrice;
i ringraziamenti di Tom Wolfe per una cena di
cui era «squisito tutto, ma soprattutto il pollo».
C’è un
archivio della “New York Review of Books”, dove Didion e Dunn erano di casa;
i
manoscritti dei libri di lui, pagine e pagine di appunti per i saggi di lei, le
bozze di “L’anno del pensiero magico”.
Le lettere di condoglianze ricevute da Didion
per la morte del marito, nel 2003, e della figlia Quintana Roo, nel 2005.
C’è insomma lavoro per biografi e filologi,
giornalisti e curiosi; la consultazione, fanno sapere i bibliotecari, sarà
libera e aperta a tutti.
(Marilisa
Palumbo)
Terremoto
in Turchia:
Catastrofe
Naturale?
Conoscenzealconfine.it
– (14 Febbraio 2023) - Massimo Mazzucco – ci dice:
Le
onde ELF Possono causare terremoti…
Davvero
possiamo escludere che dietro a questo terremoto ci sia la mano assassina di
qualcuno?
Magari
che abbia dato anche solo un “aiutino”, in una zona già di per sé ad alto
rischio tellurico?
È noto
a tutti che in questo periodo le “simpatie” che la Turchia sta mostrando verso
la Russia non facciano piacere a Washington.
Ai falchi della NATO piacerebbe molto che Erdogan
fosse pienamente allineato con la loro dottrina di demolizione della Russia, ma
il leader turco è troppo furbo (e probabilmente abbastanza potente) da non
cascare in questo tranello.
A lui
conviene tenere il piede in due scarpe.
Ecco
che allora, nel momento in cui la Turchia viene colpita da un terremoto
devastante come quello di ieri, ad alcuni viene il sospetto che questa “catastrofe naturale” sia stata invece provocata
intenzionalmente dagli americani, come una sorta di messaggio di avviso per
Erdogan stesso.
Noi
sappiamo già da tempo che le “onde ELF” possono penetrare in profondità nel
terreno, causando
sismi di notevoli dimensioni.
E sappiamo anche che “HAARP” è in grado di
emettere queste onde, e di farle rimbalzare sulla ionosfera, mandandole a
colpire un qualunque bersaglio predestinato.
A
questo aggiungiamo la notizia, data dal Corriere, secondo la quale “diversi filmati pubblicati sui
social mostrano le luci nel cielo proprio in corrispondenza del sisma che ha
colpito il Paese.”
Davvero
possiamo escludere che dietro a questo terremoto ci sia la mano assassina di
qualcuno?
Magari
che abbia dato anche solo un “aiutino”, in una zona già di per sé ad alto
rischio tellurico?
La
scheda su “HAARP”, scritta ancora per il vecchio sito.
(Massimo
Mazzucco -- luogocomune.net/16-geopolitica/6171-terremoto-in-turchia-catastrofe-naturale).
Come
le Multinazionali hanno imposto
l’Estinzione
del Pomodoro “San Marzano”
Conoscenzealconfine.it
– ( 13 Febbraio 2023) - Gianpaolo Usai – ci dice:
“Per
fare l’albero ci vuole il seme”, recitava una filastrocca delle scuole
elementari.
Peccato
che questo mondo bucolico e incantato sia stato stravolto e monopolizzato dalle
cosiddette multinazionali dei semi brevettati e omologati, ovvero le 4 grandi
aziende al mondo che hanno attuato negli ultimi sessant’anni un vero e proprio
scippo del patrimonio agricolo di molti territori del mondo, Italia inclusa, e
oggi detengono più del 70% del mercato globale delle sementi commerciali:
Monsanto-Bayer, Dupont, Singenta e Kraft-Heinz.
La
prime tre dell’elenco producono anche i pesticidi, da usare poi nei campi dove
vengono piantati i loro semi, che tutti i consorzi agrari al mondo acquistano
ogni anno e rivendono agli agricoltori.
Pacchetto completo insomma per un fatturato da
capogiro.
La Kraft-Heinz è l’unica delle 4 a limitare il
proprio business, comunque miliardario, alla produzione e commercio dei semi
ibridi.
Ma
comincerò il mio racconto proprio da questa multinazionale americana leader del
settore nella produzione di pomodoro, salse e non solo (detiene infatti anche
marchi come Plasmon, Philadelfia e altri).
Il
Pomo d’Oro: c’era una volta il “San Marzano”.
In
poche generazioni in Campania, in Italia e nel mondo abbiamo perso la
tradizione e la memoria del sapore del pomodoro campano: il San Marzano.
Era
considerato il principe dei pomodori pelati da conserva, non solo in Italia.
Un
patrimonio italiano conosciuto e apprezzato nel mondo, che dava lavoro a
migliaia di persone, soprattutto donne del sud Italia.
Il San
Marzano, quello originale, aveva una buccia sottile e soltanto le mani potevano
eliminarla mantenendo integro tutto il frutto.
Era un
lavoro sicuramente duro e di precisione quello delle donne che pelavano a mano
quei pomodori, perché dovevano togliere le bucce quando erano ancora bollenti.
Ma era
un lavoro che il piemontese Francesco Cirio garantì a molte donne campane agli
inizi del Novecento, aprendo due stabilimenti per quelle conserve che facevano
impazzire tutto il mondo.
Nel
giro di 30 anni gli impianti al Sud diventarono otto, gli addetti più di
diecimila e l’azienda riuscì a ripopolare vaste zone abbandonate garantendo
lavoro sia agli agricoltori che alle donne.
Qualche
decennio dopo si sono ritrovate da un giorno all’altro licenziate o a
raccogliere foglie di tabacco, un impiego ancor più massacrante.
Questo
riferisce la giornalista Sabrina Giannini nel suo libro-inchiesta “La rivoluzione nel piatto “.
Cosa
era successo?
Come
mai alcuni agricoltori del sud Italia sono passati a coltivare tabacco, una
pianta che causa il cancro, abbandonando i campi di pomodori?
Semplice:
un bel
giorno a Bruxelles i politici hanno deciso di non destinare più i contributi
agricoli alla produzione del pomodoro italiano, bensì di sostenere il tabacco,
favorendo così gli affari della Philip Morris, azienda leader di sigarette, e
della Heinz, che ha sostituito (o meglio scippato) i semi del pomodoro San
Marzano ibridandoli con altri semi e poi brevettandoli.
La
Campania è ad oggi la regione italiana con la maggior produzione di tabacco, i
poli produttivi di rilievo sono Caserta e Benevento, dove si realizza circa il
90% della produzione di tabacco regionale, proprio in virtù di un accordo dello
Stato italiano con la Philip Morris risalente ai primi anni 2000, e che oggi
gode addirittura del supporto di organizzazioni fintamente a tutela degli
interessi di agricoltori e consumatori come la Coldiretti, il cui
vice-presidente nazionale è anche presidente dell’Organizzazione Nazionale
Tabacco Italia.
Un
accordo che l’Italia ha fatto – come al solito – perché la UE lo richiedeva,
dopo la decisione di devolvere fondi europei a chi coltivava tabacco piuttosto
che pomodori di qualità tradizionali come il San Marzano.
Da
allora i pomodori si coltivano ancora, ma con i semi brevettati dalle multinazionali
suddette.
E i fondi UE vanno a chi coltiva con questi
semi.
A
partire dalla diffusione dei semi di varietà ibride, il mondo dell’agricoltura
è sostanzialmente cambiato lasciando ben poco spazio alla sovranità degli
agricoltori nella scelta delle varietà da coltivare e nella conservazione dei
semi.
Il furto dell’eredità contadina viene
legalizzato nel 2002 con la Direttiva UE numero 55.
I ministri europei si riunirono per rendere
illegale la semina libera, stilando l’unico catalogo ufficiale per entrare nel
sistema commerciale e produttivo: per ogni ortaggio, frutto, cereale,
definiscono migliaia di semi commerciabili mettendo fuori legge tutti gli
altri.
La
quasi totalità dei semi legale inizia con la sigla F1, che sta a significare
semi di prima generazione ottenuti tramite processo di ibridazione genetica.
In quali laboratori sono stati ibridati questi semi?
In
quelli delle multinazionali del seme.
È
banale sottolineare che questa Direttiva UE sopprime due valori fondamentali:
la libertà e la concorrenza.
Due
valori di cui spesso le istituzioni europee si riempiono la bocca ma che di
fatto in questo settore vengono sotterrati nei campi assieme ai semi F1.
Campi
dove oggi maturano bene gli interessi delle multinazionali.
E così ai contadini non rimane che scambiarsi
di nascosto i semi non ibridi, spedire semi di nascosto all’altra parte del
mondo, nelle scatole di fette biscottate per eludere i controlli alle
frontiere, come fa l’associazione francese Kokopelli.
Se gli agricoltori sono costretti a queste
pratiche è perché da anni chi ha il “monopolio dei semi” ha bloccato gli scambi
dall’Europa con l’India e l’America Latina, con il pretesto di difendere la
biodiversità locale, anche se in realtà hanno creato leggi che impediscono alle
popolazioni locali di scambiarsi i semi locali tradizionali.
La
fortuna commerciale di queste multinazionali è data dal fatto che con questo
sistema legale la maggior parte degli agricoltori, se vogliono lavorare, sono
costretti ad acquistare i semi ibridi e far crescere gli ortaggi con questi
semi.
Questi
agricoltori non potranno poi raccogliere e utilizzare i semi dei frutti per
interrarli l’anno successivo, ma saranno costretti a ricomprarli, perché i semi
F1 sono sostanzialmente sterili, nel senso che se riutilizzati non garantiscono
più il raccolto abbondante e dalle stesse caratteristiche per cui quel seme è
stato progettato.
Questo viene garantito solo per una
produzione, la prima.
Qualora
l’agricoltore riutilizzasse lo stesso seme, si ritroverebbe con un raccolto
diversificato e imprevedibile, rischiando di essere estromesso dal circuito
commerciale.
Chi
compra il raccolto sono infatti le aziende della grande distribuzione, che acquistano
solo se il raccolto ha le caratteristiche desiderate dall’industria, e se il
raccolto arriva a maturazione nei tempi richiesti dall’industria, non qualche
settimana in anticipo o in ritardo.
Tutto deve essere standardizzato.
Pomodori
Maturi tutto l’Anno: la Soluzione è Chimica.
Torniamo
alla buccia sottile del pomodoro San Marzano, che le donne campane pelavano a
mano con tanta cura.
Ad un certo punto l’industria delle conserve
di pomodoro ha dettato le proprie regole e quella buccia sottile non piaceva
più.
I
requisiti dell’industria per il pomodoro pelato sono: un colore sempre rosso
vivo tutto l’anno, un elevato contenuto di zuccheri per ottenere una buona
passata, una consistenza e una forma adatta ai macchinari che effettuano la
pelatura.
Oggi
il pomodoro pelato ha una buccia dura in modo che si possa sbucciare a
macchina.
Nei
laboratori chimici delle multinazionali del seme hanno preso dal San Marzano
quello che serviva – la sua fragranza, i suoi profumi e la sua forma –
ibridando poi queste caratteristiche con quelle del mercato.
Al
genoma del San Marzano hanno unito quello di altri pomodori per avere più
colore, bucce più resistenti e facili da pelare con i macchinari industriali,
più durata nello scaffale e più malleabilità ai trattamenti chimici in campo.
I nomi
dei pomodori oggi sono in codice:
Heinz
1301 F1 è uno di quei pomodori che ha sostituito il San Marzano nelle conserve,
e che infatti risulta la varietà più coltivata in Italia come dichiara la
dicitura sulla confezione del produttore.
E le varietà di pomodoro prodotte dalla stessa
Heinz sono tantissime, oltre questa. Ogni varietà ha caratteristiche peculiari.
Ma non
potrebbe essere altrimenti, visto che ormai pretendiamo di mangiare pomodori,
melanzane, zucchine tutto l’anno e che durino molti giorni nel nostro
frigorifero, senza però chiederci mai come sia possibile che questi ortaggi
estivi possano maturare ed essere disponibili tutto l’anno.
In
realtà c’è dietro il lavoro di esperti genetisti di laboratorio, appunto.
I pomodori
in campo vanno raccolti quando passa il camion di raccolta della Grande Distribuzione, perché le industrie di conserve
trasformano soltanto alcuni giorni dell’anno e hanno un calendario definito.
Gli agronomi passano nei campi in estate e
controllano la maturazione dei pomodori, poi lasciano una ricetta
all’agricoltore come fossero dei medici che devono sistemare lo stato dei
pomodori:
prescrivono sostanze “maturanti” (ormoni) se i
pomodori sono ancora troppo verdi, oppure ormoni “ritardanti” se la colorazione
è già troppo rossa e mancano alcuni giorno al passaggio del camion di raccolta.
Con il
maturante dopo appena 48 ore i pomodori sono già rossi.
Queste sostanze vengono chiamate “agrofarmaci”
ma il termine è fuorviante in quanto si tratta di ormoni della crescita a tutti
gli effetti, “fitormoni” per la precisione, ormoni vegetali.
Tra
questi maturanti un nome molto diffuso è “Etefon”, a base di etilene.
L’etilene
sarebbe l’ormone naturale della pianta, ma quello di sintesi ha la
caratteristica di ossidarsi molto facilmente, e l’ossido di etilene è un probabile
cancerogeno, a detta di biologi esperti come la dottoressa Fiorella Belpoggi,
direttrice dell’Istituto Ramazzini di Bologna, che si occupa di ricerca medica
e biochimica indipendente.
La
dottoressa fa notare che la cancerogenicità di questa e altre sostanze
ampiamente usate in agricoltura viene testata soltanto sugli animali da
laboratorio, perché non c’è l’interesse a indagare la cancerogenicità nell’uomo
e le autorità UE fanno finta che il problema non esista.
È
esattamente ciò che è accaduto con un diffuso fungicida, il “Mancozeb”, cancerogeno sui ratti grazie proprio
ad uno studio fatto dall’Istituto Ramazzini, che ha scoperto per primo al mondo
anche la cancerogenicità di sostanze come la formaldeide e il benzene.
Ma la
tossicità di tale prodotto nell’uomo non è mai stata testata, nonostante sia il
fungicida più diffuso al mondo in agricoltura.
Questo
è il sistema di coltivazione, non solo del pomodoro ma di tanti altri cibi.
Chi
vuole inserirsi nel settore commerciale e coltivare pomodori deve sottostare a
queste regole, altrimenti rimane fuori dal circuito dei grandi numeri e dovrà
accontentarsi di essere un piccolissimo produttore che deve occuparsi di tutto
dalla A alla Z: seminare, coltivare, raccogliere e poi vendere in proprio nei
mercati o nel proprio punto vendita aziendale.
L’Ibridazione
dei Semi crea un Problema Strutturale.
Il
punto non è che l’ibridazione sia negativa di per sé.
Anche in natura esistono spontaneamente degli
innesti e degli incroci genetici, basti pensare al lavoro continuativo delle
api e della semplice azione del vento, che riesce a trasportare sostanze e
polveri per parecchi chilometri.
Anche
l’uomo ha creato incroci fin dai tempi antichi, selezionando le varietà più
produttive e sperimentando ibridi alla ricerca delle coltivazioni migliori.
Ma c’è una sostanziale differenza: gli incroci
che crea la natura e l’uomo non sono imposti a nessun agricoltore, ma sono a
libera disposizione di chi li vuole o non vuole utilizzare.
E soprattutto non danno semi sterili dopo il
primo utilizzo, si possono ripiantare di anno in anno.
Gli
aspetti negativi e di ordine pratico legati alle sementi F1, oltre a tutto il
discorso della perdita di biodiversità e dei sapori tradizionali e regionali
tipici di alimenti fortemente legati alla coltivazione in un dato specifico
territorio, sono essenzialmente i seguenti:
Costano
di più, visto che si paga tutto il lavoro di laboratorio necessario per
ibridare le diverse varietà.
Il prezzo è nettamente superiore rispetto ad
altri tipi di semi tradizionali e locali.
Non si
possono riprodurre e riutilizzare più di una annata (è vietato), costringendo
così il produttore a comprare ogni anno semi ibridi nuovi.
Usare sementi ibride significa essere sempre
dipendenti dal venditore di semi. Niente auto produzione, niente scambio di
sementi tra coltivatori.
Questo consente la messa in piedi di un
gigantesco business per le multinazionali nella vendita di semi.
Non
sempre portano frutti migliori.
Le
multinazionali selezionano caratteristiche utili all’agricoltura industriale.
Poco importa che gli ortaggi siano buoni e
saporiti, si cercano piuttosto il bell’aspetto, la forma regolare, la capacità
di conservarsi, la maturazione omogenea.
Le
varietà F1 rispecchiano spesso i valori vacui della nostra società
consumistica, basati sull’apparenza più che sulla sostanza.
Per
chi vuole boicottare i semi ibridi F1 è consigliabile acquistare sementi
tradizionali, locali, o anche solo moderne ma che non sono ibride.
Esistono, anche se ormai sono in minoranza.
Ancora
meglio poi riprodurre i propri semi, scambiarli con altri ortisti, sostenere le
associazioni di “seed savers”.
Un
altro modo di evitare i semi ibridi è quello di comprare le piantine nei vivai
piuttosto che i semi dal consorzio agrario.
Ovviamente
non comprate le piantine F1, perché non potrete trarne dei semi utili per
l’anno successivo.
Insomma
il San Marzano era un pomodoro “come Natura crea”, nato in una terra con
caratteristiche climatiche e di terreno uniche (di natura vulcanica), mentre il
pomodoro ibridato di Heinz è un pomodoro insapore come tanti al mondo,
omologato, che sopprime la biodiversità e i sapori tradizionali dei territori.
(Gianpaolo
Usai-- lindipendente.online /2023/02/06/come-le-multinazionali-hanno-imposto-lestinzione-del-pomodoro-san-marzano/)
IL
DIRITTO ALL’ABORTO NEGLI STATES,
UNA STORIA MOLTO POLITICA E POCO GIUSTA.
Eurobull.it
– (4 luglio 2022) - Cesare Ceccato – ci dice:
Con la
sentenza “Dobbs contro Jackson Women’s Health Organization”, la Corte Suprema
degli Stati Uniti d’America ha negato il diritto all’aborto quale materia
federale e ha rimesso il potere nelle mani dei singoli Stati, ribaltando la
celebre “Roe contro Wade”, vigente dal 1973.
Un
passo indietro storico, caratterizzato dalla politica degli States, sempre più
influente della giustizia, anche quando si parla di diritti umani.
Guardare
al di là dell’Atlantico, per noi Europei, fa sempre uno strano effetto.
Si colgono tante analogie quante profonde
differenze, e spesso e volentieri si tralasciano queste ultime perché mai
pesanti quanto quelle con il blocco orientale.
Eppure
certi aspetti ci traumatizzano ancora.
Innegabile
come solo poche settimane fa a tutti noi sia salito un brivido sulla schiena
sapendo dell’ennesimo caso di “school shooting” e come ci abbia stranito sapere
che il Senato degli Stati Uniti abbia dichiarato la legge in risposta, che
conferma il libero commercio di armi da fuoco ma impone controlli - neanche
tanto stringenti - sui minori di ventuno anni intenzionati all’acquisto, la più
importante sul tema da decenni.
Se
pensavamo quella sarebbe stata la notizia più sconcertante del periodo ad
arrivare dal Paese a stelle e strisce, ci sbagliavamo di grosso;
con
una sentenza della Corte Suprema, da oggi, il diritto all’interruzione di
gravidanza negli Stati Uniti non è più garantito a livello federale.
Non si
può dire un fulmine a ciel sereno, infatti, a inizio maggio “Politico” rilasciò
lo scoop che anticipava questa decisione.
Seppur sia incontestabile l’affidabilità delle
sue notizie, al giornale online l’opinione pubblica non rispose universalmente
con preoccupazione, ma anche con scetticismo, vista la rarità con cui si
verificano fughe di notizie sulle decisioni della Corte.
Purtroppo
per tutti i difensori dei diritti umani, l’indiscrezione si è rivelata vera.
Il 24
giugno 2022, con la sentenza “Dobbs contro Jackson” Women’s Health
Organization, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha ribaltato la
sentenza “Roe contro Wade” del 1973.
Come
ci siamo arrivati?
Torniamo
agli anni ‘70, quelli delle grandi proteste contro l’ordine costituito nate con
i moti del Sessantotto e delle altrettanto grandi riforme specialmente nel
campo dei diritti civili.
È un
periodo tormentato per gli Stati Uniti, il periodo più caldo della guerra
fredda, quello della guerra del Vietnam, attraversato sotto la presidenza di
due dei leader più controversi della storia del Paese, Lyndon B. Johnson prima,
Richard Nixon poi.
Tra
repubblicani e democratici, conservatori e progressisti, il popolo americano
non è mai stato tanto diviso.
In
questo contesto, emerge la figura della texana” Sarah Weddington”, neolaureata
in giurisprudenza intenzionata, insieme a un gruppo di altri giovani giuristi
dell’Università di Austin, a sfidare gli statuti anti-aborto vigenti.
Ai
tempi, la disciplina era completamente statale e in ben trenta Stati l’aborto
era considerato reato, non poteva essere praticato nemmeno in caso di stupro,
incesto, malformazioni fetali o pericolo per la donna.
Weddington, attraverso alcuni amici, conosce
Norma McCorvey, ragazza di Houston incinta del terzo figlio, conscia di non
poterlo crescere e volenterosa di abortire, ma impossibilitata dai parametri
imposti dallo Stato del Texas.
Le due
intentano causa contro Henry Wade, procuratore distrettuale della contea di
Dallas.
A fondamento dell’accusa di McCorvey - negli
atti del tribunale indicata con il nome fittizio di Jane Roe, assunto per
proteggerne l’identità - la vaghezza delle leggi statali, contrarie alla
certezza assicurata dalla Costituzione, e la violazione del diritto alla
privacy personale, protetto dal primo, quarto, quinto, nono e quattordicesimo
emendamento.
In parole povere, la norma texana con cui si
vieta l’aborto aggira la Costituzione americana invadendo la sfera privata
della persona.
I
giudici si trovano a dover verificare questa supposta violazione, tenendo conto
di come il diritto alla privacy, nel caso di specie, sia bilanciato dagli
interessi del Governo nel proteggere la salute delle donne e proteggere «il
potenziale della vita umana».
Con il
parere favorevole di sette dei nove giudici, la Corte stabilisce che il diritto
di una donna di scegliere di abortire rientra in toto nel diritto alla privacy
e che una legge statale che proibisce l’aborto senza riguardo allo stadio della
gravidanza viola tale diritto.
Infatti,
sempre secondo la Corte, sebbene lo Stato abbia interessi legittimi nel
proteggere la salute delle donne incinte e la «potenzialità della vita umana»,
il peso relativo di ciascuno di questi interessi varia nel corso della
gravidanza e la legge deve tenere conto di questa variabilità.
Per
cui, nel primo trimestre di gravidanza, lo Stato non può regolamentare la
decisione di aborto, solo la donna incinta e il suo medico curante possono
prendere tale decisione.
La sentenza, naturalmente, va a condizionare
le leggi degli altri Stati americani e il “caso Roe contro Wade “definisce la
legge sull’aborto a livello federale.
Tutto
chiaro, lampante, preciso.
E allora come è possibile che le carte in
tavola siano cambiate a distanza di cinquant’anni?
Nel
2018, con una legge denominata “Gestational Age Act”, lo Stato del Mississippi
si pone in contrasto con la storica sentenza e pone un limite oltre il quale
non sarebbe possibile alcuna pratica abortiva.
L’unica
clinica per aborti del Mississippi, la “Jackson Women’s Health Organization”, e
uno dei suoi medici, Sacheen Carr-Ellis, citano quindi in giudizio Thomas E.
Dobbs, ufficiale sanitario statale del Dipartimento della salute dello Stato
del Mississippi, e Kenneth Cleveland, direttore esecutivo del “Mississippi
State Board of Medical Licensure,” per contestare la costituzionalità della
legge.
Dopo
due passaggi superficiali e infruttiferi al tribunale distrettuale, eccoci di
nuovo davanti alla Corte Suprema.
La
Corte Suprema degli Stati Uniti è composta di nove giudici, secondo quanto
dettato dalla Costituzione, questi vengono nominati dal Presidente degli Stati
Uniti, con il consenso confermativo del Senato e, una volta occupata la
poltrona, coprono il ruolo a vita o finché non optino per il ritiro.
La Corte del 1972 citata in precedenza mostra
una eterogeneità invidiabile, proprio perché andata formandosi in un periodo di
incertezza politica della potenza a stelle e strisce.
Per
andare nel concreto, dei nove giudici di quella Corte, tre erano stati nominati
da Nixon, ma di quelli solo uno si può dire gran conservatore, William
Rehnquist. La Corte di oggi, invece, si è costruita con un Senato mai in
bilico, sempre saldamente orientato a destra o a sinistra e ancorato all’ideologia
di chi sedeva nello studio ovale.
Ecco perché la colpa della sentenza ribaltata
si attribuisce all’ex Presidente Donald Trump, reo di aver nominato tre dei
cinque giudici che hanno appena rifatto la storia: Neil Gorsuch, Brett
Kavanaugh e Amy Coney Barrett.
Per
dovere di cronaca, gli altri due sono Samuel Alito, nominato nel 2006 da George
W. Bush e Clarence Thomas, alla Corte dal 1991 per volontà di George H. W.
Bush.
Si
tratta quindi di una sentenza politica?
Sì,
come lo era quella del 1972.
Entrambe
sono condizionate dall’ideologia del tempo, ma se allora si presero in
considerazione dei criteri legali e delle libertà indiscutibili, oltre ad
analizzare la sfera scientifica, qui c’è stata l’azione di pancia.
La giustificazione della Corte a favore della sentenza
del 24 giugno è la seguente: la Costituzione non fa alcun riferimento
all’aborto, e nessun tale diritto è implicitamente tutelato da alcuna
disposizione costituzionale, l’appellarsi al diritto alla privacy è un
ragionamento eccezionalmente debole e non può bilanciare il diritto alla vita,
anche quando questa è “potenziale”, per cui la questione dell’aborto è da
restituire ai rappresentanti eletti del popolo.
Insomma, per i giudici sembra valere solo
quanto scritto nel 1789, senza alcuna analogia applicabile.
Nelle zone d’ombra, operino i senatori, poco
importa se lo faranno in nome della propria mentalità e non del benessere del
popolo americano.
Ora
che il tema sarà di competenza statale, secondo le stime, circa cento milioni
di cittadini americani, quelli del già citato Mississippi, come quelli
dell’Alabama, del Michigan, del Missouri, dell’Arkansans, del Kentucky, della
Louisiana, dell’Oklahoma, dello Utah, dell’Idaho, del Tennessee, del Texas, del
Wyoming, del Nord e del Sud Dakota, vedranno il diritto all’aborto sparire
completamente o quasi.
Poco
possono farci le potenti parole dell’ex first lady Michelle Obama o della
speaker della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi.
Il
diritto all’aborto è stato negato e i pro-life di tutto il mondo, dal locale
Mike Pence agli italiani Mario Adinolfi e Simone Pillon (ormai famoso perché
felice solo quando si compromette qualche libertà altrui), fino al primo
ministro polacco Mateusz Morawiecki, esultano, non comprendendo come non sia stata
negata la pratica dell’aborto.
Questa
tornerà a essere clandestina e - di conseguenza - estremamente pericolosa per
tantissime donne americane.
Per la
loro vita, a cui gli anti-abortisti dicono di essere tanto affezionati.
(Cesare
Ceccato)
Medvedev
attacca: «Presto
l'Europa
scomparirà del tutto».
Bluewin.ch
-Redazione – (11-2-2023) – ci dice:
Ancora
dichiarazioni bellicose da parte Dmitry Medvedev.
L'Europa
«si sta già dissolvendo» e «presto scomparirà del tutto» in un nuovo «ratto
dell'Europa» ad opera degli Stati Uniti.
È
l'ultimo attacco del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry
Medvedev commentando il viaggio europeo del presidente ucraino Volodymyr
Zelensky.
«Dirette,
prime pagine di giornali, foto con capi europei mentre in parallelo centinaia
di ucraini mobilitati ogni giorno muoiono, spinti con la forza a proteggere gli
interessi della cricca nazista al potere», ha scritto l'ex presidente russo su
Telegram, definendo i leader europei «dilettanti del tutto miserabili» e
«russofobi» che «non staranno mai nemmeno accanto ai loro predecessori, coloro
che, dopo la guerra più distruttiva del XX secolo, stavano costruendo una nuova
Europa indipendente e prospera».
«La
vecchia civiltà europea si sta già dissolvendo sotto l'assalto degli immigrati
che arrivano da tutto il mondo.
E presto scomparirà del tutto, ripetendo il
noto mito del ratto di Europa da parte di Zeus.
Solo
che oggi, il ruolo del toro sarà svolto dall'impudente America, servita dai
traditori degli interessi europei come la Polonia e i Paesi baltici», conclude
Medvedev.
La
Russia ha
rinunciato a salvare
la sua
economia, ma il peggio
deve
ancora venire.
Linkiesta.it
- Maurizio Stefanini – (6 12-2022) – ci dice:
Dopo
mesi di sanzioni, il Cremlino ha smesso di credere di poter rilanciare lo
sviluppo nazionale e ora si accontenta di fornire ai suoi cittadini
l’essenziale.
Ma questa perdita di investimenti, tecnologia
e competenze rischia di ripercuotersi per generazioni.
Entrano
in vigore sia il price cap di 60 dollari al barile sul petrolio russo
concordato da G7, Usa, Unione europea e Australia che l’embargo Ue al greggio
russo spedito via mare, e si riaccende il dibattito sia sui limiti delle
sanzioni, sia sul loro risultato.
«Guerra
e sanzioni minacciano di riportare l’economia russa indietro nel tempo», è ad
esempio la recentissima valutazione del New York Times.
«Sebbene l’economia russa non sia crollata, un
esodo di società occidentali sta erodendo i progressi conquistati a fatica e
gli esperti affermano che il peggio potrebbe ancora venire».
Vladislav
Inozemtsev, direttore di un” Center for Post-Industrial Studies” con sede a
Washington, ha spiegato in particolare al “Nyt” che le sanzioni hanno
ostacolato i vacillanti tentativi della Russia di modernizzare la sua economia
secondo criteri occidentali e di raggiungere gli standard di vita europei dopo
la caduta dell’Unione Sovietica, offuscando la speranza che il Paese possa
diventare una nazione moderna e prospera nel breve termine.
«Lo slogan ora è ‘Impedisci che le cose peggiorino’, e questo è un cambiamento
importante», spiega Inozemtsev.
«Anche il governo ha smesso di scommettere
sullo sviluppo nazionale».
Nella sua analisi il modello rischia di essere sempre
più l’Iran, dove la legittimità politica si basa sul fornire ai cittadini
l’essenziale piuttosto che stimolare una crescita trasformativa.
Oltre mille
multinazionali dopo l’invasione dell’Ucraina hanno ridotto o addirittura
cancellato la propria presenza in Russia, e sta andando in particolare a
catafascio quel settore manifatturiero che impiega dieci milioni di russi e che
era stato il fulcro dell’ambizioso programma di Putin per diversificare dalla
dipendenza dalle esportazioni di petrolio e gas.
L’industria automobilistica rappresenta una
grande percentuale di questi lavoratori: almeno trecentomila lavoratori, che
diventano 3,5 milioni con l’indotto.
A
settembre, la produzione dell’industria automobilistica è diminuita del 77 per
cento su base annua, mentre le vendite di auto sono crollate del 60 per cento
rispetto allo stesso periodo del 2021.
Perfino il ministero dell’Interno non è
riuscito a trovare 2800 nuovi veicoli che servivano alla polizia stradale. Uno dei motivi principali è che le
industrie russe dipendono fortemente dai componenti occidentali, e in alcuni
settori le componenti importate arrivano al 90 per cento.
Secondo
il “Nyt”, una combinazione di elevate entrate petrolifere, grandi riserve
valutarie e un team esperto di funzionari economici ha permesso a Putin di
ammorbidire il colpo.
Ma la
perdita di investimenti, tecnologia e competenze causata dalle sanzioni rischia
di ripercuotersi di generazione in generazione, privando molti russi della
possibilità di un futuro economico migliore.
Nell’analisi di Inozemtsev, «la storia moderna
offre pochi esempi di tentativi riusciti di sostituire la tecnologia
occidentale importata con sostituti locali».
«Le aziende russe mancano del know-how e dei
lavoratori qualificati per sostituire il capitale occidentale nei settori ad
alta intensità tecnologica.
Affidarsi
a sostituti nostrani si tradurrà in una ‘primitivizzazione’».
«La produzione non scomparirà, a si degraderà
gradualmente, con conseguente minore qualità e quantità di prodotti che
ridurranno progressivamente il tenore di vita dei russi».
Altre
testimonianze riferiscono della crisi del settore immobiliare, per la
difficoltà di fare previsioni a lungo termine.
E del fatto che dopo la mobilitazione, le
banche hanno smesso di concedere prestiti perché clienti potevano essere
richiamati.
«Speriamo
nell’anno nuovo, ma dopo, potremmo essere fottuti» è il crudo finale
dell’analisi, attraverso lo sfogo del proprietario di un bar già di successo.
«Le
sanzioni contro la Russia stanno funzionando», spiega anche Agathe Demarais,
direttore delle previsioni globali presso l’Economist Intelligence Unit, su
Foreign Policy.
«La capacità del Cremlino di fare la guerra è
già limitata, ma il peggio deve ancora venire».
«Ci sono stati incessanti dibattiti
sull’efficacia delle sanzioni alla Russia», osserva.
«I
politici di estrema destra e di estrema sinistra che tradizionalmente
incanalano le opinioni di Mosca affermano di essere inefficaci e di danneggiare
solo gli europei.
La leader francese di estrema destra Marine Le
Pen ha definito le sanzioni “completamente inutili, se non per far soffrire gli
europei”.
In
Germania, le sue opinioni sono riprese non solo dall’Alternativa per la
Germania di destra, ma anche da eminenti politici della Linke, come Sahra
Wagenknecht.
“Le sanzioni non danneggiano la Russia, solo noi”, ha
detto di recente. Per queste voci amiche del Cremlino, le sanzioni non hanno
fatto praticamente alcun danno all’economia russa, che a loro avviso prospera
tra i prezzi dell’energia alle stelle».
Altri
con opinioni più soft rilevano come comunque le sanzioni non hanno impedito a
Putin di intensificare i suoi attacchi contro l’Ucraina.
Una narrazione su cui scommette Putin, per far
stancare l’Occidente.
Ma,
spiega Agathe Demarais, «le sanzioni alla Russia sono più una maratona che uno
sprint e l’efficacia delle sanzioni aumenterà nel tempo».
Più
che altro, in questa analisi, «la confusione sull’efficacia delle sanzioni
deriva da una mancanza di chiarezza sui loro obiettivi.
I paesi occidentali non hanno mai avuto intenzione di
usare sanzioni per costringere Putin a fare marcia indietro e ritirarsi
dall’Ucraina;
sanno
che Putin crede di condurre una guerra per la sopravvivenza della Russia contro
un Occidente decadente.
Nemmeno
l’obiettivo è provocare un cambio di regime a Mosca:
le
sanzioni contro Cuba, Corea del Nord e Siria dimostrano che questo non funziona
mai, e non c’è motivo di credere che l’ipotetico successore di Putin
cambierebbe rotta in Ucraina.
Provocare
un collasso in stile venezuelano dell’economia russa non è nemmeno l’obiettivo:
questo è impossibile quando l’obiettivo è l’undicesima economia mondiale.
Inoltre, il crollo della Russia probabilmente
manderebbe l’economia globale in recessione interrompendo bruscamente le
esportazioni russe di molte materie prime, tra cui grano, fertilizzanti,
energia e metalli».
Il
problema per cui poi è stato stabilito un “price cap” sul petrolio
relativamente alto.
In
realtà, gli obiettivi delle sanzioni non sono stati mai dichiarati
esplicitamente, ma secondo questa analisi uno sguardo attento ai pacchetti di
sanzioni implementati dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dai loro alleati
indica che hanno tre obiettivi.
Primo:
inviare al
Cremlino un forte segnale di determinazione e unità.
Secondo: degradare la capacità della Russia
di fare la guerra.
Terzo: le democrazie occidentali
scommettono che le sanzioni asfissieranno lentamente l’economia russa e in
particolare il settore energetico del paese.
Il
primo obiettivo è pienamente riuscito.
Il secondo pure sta andando avanti.
«Nonostante le affermazioni contrarie del Cremlino, le
sanzioni hanno mandato l’economia russa in una profonda recessione.
Questo
impatto è notevole perché le sanzioni non hanno ancora preso di mira le
esportazioni di energia del paese;
infatti, le entrate petrolifere della Russia
sono aumentate quest’anno a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio a
seguito della guerra.
Le cose andrebbero molto peggio per il
Cremlino se i prezzi dell’energia fossero alla loro media storica».
Questa arma scatta ora.
Proprio
per negare all’Occidente trasparenza sul successo delle sanzioni, il Cremlino
ha ridotto il rilascio di statistiche economiche.
Ma si
sa comunque che a ottobre, il Pil della Russia è stato inferiore del 4,4 per
cento rispetto allo stesso mese del 2021.
La
produzione industriale, inclusa l’estrazione di petrolio e gas, è stata
inferiore di quasi il 3 per cento rispetto al 2021.
Il commercio al dettaglio è crollato di quasi
il 10 per cento su base annua.
Anche “Fp”
come il “Nyt” evidenzia il crollo del settore automobilistico con la produzione
ridotta del 64 per cento.
Il
cattivo stato dell’economia significa che il bilancio della Russia è saldamente
in rosso;
dato
insolito per un esportatore di energia quando i prezzi delle materie prime sono
a livelli record.
Dunque, «nei prossimi mesi, Mosca dovrà
risolvere un’equazione impossibile per finanziare la guerra in Ucraina
mantenendo i sussidi sociali abbastanza alti da evitare disordini.
(Non
sarà un’impresa da poco se si verificherà una seconda mobilitazione).
Il Cremlino ha ancora riserve, in particolare
dal suo fondo sovrano.
Senza
rifornimento, tuttavia, a un certo punto si esauriranno.
Il
governo russo vive già delle riserve».
Ma
l’asso nella manica occidentale è soprattutto sul piano tecnologico.
Quasi
tutti i semiconduttori avanzati utilizzati per apparecchiature elettroniche e
militari sono infatti realizzati utilizzando il know-how delle aziende
statunitensi.
Dall’invasione,
Washington ha imposto controlli sulle esportazioni che frenano l’accesso russo
ai microchip.
Per
Mosca, questo è un problema urgente, anche perché i missili russi sono pieni di
semiconduttori che il Paese non può produrre da solo.
Di fronte a un calo del 90 per cento delle
importazioni di microchip, il Cremlino sta cercando freneticamente di stabilire
reti di contrabbando di semiconduttori.
«Le sanzioni non sono quasi mai a tenuta
stagna, ma qualsiasi perdita probabilmente non sarà sufficiente alla Russia per
ricostituire le sue scorte di missili, soprattutto se la guerra continuerà
senza sosta nei prossimi mesi».
Il
terzo e ultimo obiettivo delle sanzioni è, infine, l’asfissia lenta e a lungo
termine dell’economia russa, privando le compagnie petrolifere e del gas russe
dei finanziamenti e della tecnologia occidentali.
«Per
Mosca, questa è un’altra minaccia esistenziale: i giacimenti russi di petrolio
e gas si stanno esaurendo e nuove riserve da sfruttare si trovano sopra o nel
Mare Artico.
Lo sviluppo di questi campi richiederà una
sofisticata tecnologia occidentale (che non sarà fornita) ed enormi quantità di
denaro (che scarseggia).
Le sanzioni sulla produzione di energia russa
risalgono al 2014, quando la Russia ha annesso illegalmente la Crimea, e
potrebbero volerci decenni per funzionare. Una volta che lo faranno, saranno le
più dolorose di tutte le sanzioni per la Russia perché sia l’economia che le
entrate fiscali dipendono dall’estrazione di petrolio e gas.».
Conclusione:
le cose andranno solo peggio per Mosca.
I
prezzi dell’energia sono in calo, con i prezzi del petrolio ora al di sotto di
dove erano all’inizio della guerra.
Ulteriori
diminuzioni sono probabili nel 2023 con il rallentamento dell’economia globale.
A
partire dal prossimo anno, l’Ue smetterà di importare petrolio russo.
Inoltre, la Russia si è sparata sui piedi
chiudendo la maggior parte dei rubinetti del gas verso l’Europa, interrompendo
l’ancora di salvezza finanziaria del Cremlino.
Il riorientamento delle esportazioni di gas
verso la Cina richiederà molti anni ed enormi investimenti in nuove
infrastrutture, poiché la maggior parte dei gasdotti russi sono diretti a
servire l’Europa.
La costruzione di nuovi gasdotti verso la Cina
risolverebbe questo problema, ma Pechino non ha fretta.
Il tempo è dalla parte di Pechino; il paese sa
che lo sarà in grado di strappare maggiori concessioni finanziarie a un
Cremlino sempre più disperato.
E le
possibili sanzioni non sono ancora finite. L’analisi ricorda che ci sono ancora
tre misure che sono state adottate con l’Iran e non ancora con la Russia:
escludere
tutte le banche russe da SWIFT, il che manderebbe il paese in isolamento
finanziario;
vietare
alla Russia di utilizzare il dollaro americano;
costringere
tutte le società, straniere o nazionali, a scegliere tra il mercato russo e
quello statunitense.
Dunque,
«non solo le sanzioni contro la Russia stanno funzionando, ma il peggio per il
Cremlino probabilmente deve ancora venire».
Un’Europa
più
rapida
nel decidere.
Ilgiorno.it - Achille Colombo Clerici-Presidente
Asso edilizia – (7-5-2022) – ci dice:
I
cittadini d’Europa si sono espressi.
A
conclusione di una delle più imponenti iniziative di democrazia diretta del
Continente – la Conferenza sul Futuro dell’Europa cui hanno contribuito oltre
600.000 persone – sono state elaborate 49 proposte che spaziano dalla salute
all’economia, dal lavoro alla redistribuzione dei migranti.
Spicca
la proposta di abolire il voto all’unanimità del Consiglio Europeo e di altre
istituzioni che l’Europarlamento proporrà alle istituzioni comunitarie il
prossimo lunedì 9 maggio.
Il documento interviene sul tema della
modifica dei trattati: in altre parole, tutte le decisioni che oggi si possono
assumere solo all’unanimità dovrebbero essere validate da un voto a maggioranza
qualificata.
Tranne l’autorizzazione all’ingresso di nuovi
Paesi nell’Ue e le modifiche ai principi fondamentali dell’Unione.
Ciò
renderebbe più snella ed efficace la governance comunitaria.
“Cambiare o sparire” ha annunciato il
co-presidente della Conferenza Guy Verhofstadt.
Aggiungendo:
“Il mondo di domani è un mondo di imperi e di pericoli, come abbiamo visto con
l’invasione dell’Ucraina.
Dobbiamo
difenderci e organizzarci.
Altrimenti
l’Ue scomparirà e l’Europa sarà dominata da autocrati invece che dalla
democrazia liberale”.
La
gran parte delle proposte avanzate, tuttavia, potrebbe essere realizzata già
per tramite della legislazione ordinaria, comunitaria o nazionale.
Ad
esempio, è sufficiente modificare il Sistema di Dublino per “garantire la
redistribuzione dei migranti tra gli Stati membri”, come recita una delle
richieste avanzate.
Tra le
altre proposte: introduzione di pensione e salario minimo uguali in tutti i
Paesi comunitari;
divieto di importazione da Paesi che sfruttano
il lavoro minorile;
costruzione
di una rete ferroviaria paneuropea ad alta velocità;
istituzione di forze armate comuni a fini di
autodifesa onde rafforzare la sicurezza e il peso geopolitico dell’Unione.
Anche nel campo della cooperazione sanitaria,
delle energie rinnovabili, e della produzione agricola sostenibile le
istituzioni comunitarie sono già all’opera sugli obiettivi delineati nella
Conferenza.
Nessun accenno, invece, alla giurisdizione
penale comunitaria per fatti compiuti da funzionari ed esponenti Ue.
Recessione,
inflazione e
banche
centrali: cosa aspettarsi dal 2023.
Ing.it-
(19/12/2022) - Redazione – Advise Only - ci dice:
Doveva
essere l’anno della ripresa dopo il Covid. E invece il 2022 è stato l’anno
della guerra, dell’inflazione e del caro energia. Cosa ci riserva il 2023?
Partiamo
da un presupposto: molti dei problemi del 2022 non scompariranno magicamente la
notte di Capodanno. Il che non è però un buon motivo per essere pessimisti.
Anzi.
Le sfide ci sono – alta inflazione e rischi di rallentamento economico – ma a
livello di banche centrali si sta lavorando per contenere la prima e rendere il
più moderato possibile il secondo.
Un
rallentamento economico del quale, comunque, al momento ci sono relativamente
pochi segnali: negli Stati Uniti il mercato del lavoro continua a tenere,
mentre l’Europa, grazie anche alle temperature straordinariamente miti
registrate finora, sta riuscendo a evitare la tanto paventata crisi energetica,
con conseguente crisi economica.
E poi, altro dato molto interessante: dagli ultimi
aggiornamenti sull’inflazione ha cominciato a emergere una iniziale, modesta,
ma incoraggiante frenata dei prezzi.
Inflazione
in calo negli States. E nell’area euro?
Lato
economia, un fatto è sicuro: tra i principali temi del 2023 ci sarà, per
l’appunto, l’inflazione.
Stati Uniti gli ultimi dati sono stati i più
bassi da un anno a questa parte (+7,1% su novembre 2021), mentre la corsa dei
prezzi rallenta anche nel Regno Unito (dall’11,1% annuo di ottobre al 10,7% di
novembre).
Interessanti
come i punti di ingresso sui mercati che tutto ciò creerà a beneficio di chi
investe.
Lato
economia, un fatto è sicuro: tra i principali temi del 2023 ci sarà l’inflazione.
Nell’Eurozona,
l’inflazione risente principalmente dei prezzi dell’energia, delle materie
prime e degli alimentari.
Una
sua discesa, soprattutto nel caso in cui le quotazioni del gas dovessero
rimanere elevate, risulterà quindi più lenta.
Prevista
al 10,2% nel quarto trimestre, diminuirà gradualmente e raggiungerà il target
del 2% della BCE soltanto dopo la prima metà del 2024.
Energia,
meno consumi per superare l’inverno 2023-2024.
L’embargo
europeo del petrolio russo, entrato in vigore il 5 dicembre e che verrà esteso
ai prodotti raffinati a partire dal 5 febbraio, rende incerte le prospettive
sulle forniture di Mosca.
Così si esprime l’esperto di commodity di ING
Warren Patterson.
“Crediamo
che l’offerta russa diminuirà in modo significativo all’inizio dell’anno
prossimo, di circa 1,8 milioni di barili al giorno su base annua nel primo
trimestre”.
A
questo vanno aggiunti i continui tagli alla produzione decisi dal cartello
OPEC+, allargato alla Russia, che renderanno il mercato alquanto avaro nel
2023. L’incremento
delle forniture statunitensi, dal canto suo, non sarà in grado di compensare la
riduzione dell’offerta a livello mondiale. E questo quadro potrebbe tradursi in
un aumento dei prezzi.
Per
quanto riguarda il gas, l’autunno insolitamente mite ha contribuito a
raffreddare i prezzi e a ritardare i prelievi dagli stoccaggi, che sono infatti
rimasti pieni fino a metà novembre.
Secondo
lo scenario base di ING, quest’inverno i Paesi europei riusciranno a evitare un
razionamento energetico.
Tuttavia,
la vera sfida sarà il 2023.
Mentre
quest’anno, infatti, l’Europa ha potuto contare sulle forniture russe, seppur
ridotte, per fare rifornimento in vista della stagione fredda, l’anno prossimo
i flussi da Mosca caleranno del 60% rispetto al 2022.
E il gas naturale liquefatto non sarà in grado di
sostituirli.
Per
assicurare un’offerta adeguata di gas per l’inverno 2023-2024 sarà quindi
necessario ridurre i consumi.
Una
missione non facile, certo, ma neanche impossibile.
Dopotutto,
il 2022 ha dimostrato che se l’Europa vuole può agire come un sol uomo per
affrontare e superare tutte le criticità.
Cosa faranno le banche centrali?
Protagoniste
indiscusse di quest’anno, le banche centrali saranno sotto la lente anche nel
prossimo.
L’era dei tassi zero può dirsi ormai
definitivamente archiviata.
Con
l’eccezione del Giappone, rialzi consistenti sono stati operati ovunque, con
gli Stati Uniti in testa nella lotta all’inflazione.
Nella
seconda metà del 2022 l’economia americana si è mostrata solida: il mercato del
lavoro è in salute, i salari continuano ad aumentare e le famiglie a spendere.
Il
tutto mentre la Fed, dopo quattro rialzi consecutivi da 75 punti base, ha
ritoccato i tassi soltanto di 50 punti.
Nessuna svolta da “colomba”, tuttavia.
Anche
perché i recenti cali dei rendimenti dei Treasury e l’indebolimento del dollaro
stanno minacciando la lotta all’inflazione dichiarata dalla banca centrale USA.
E
l’Europa?
Neanche
la BCE ha finito il suo lavoro.
Ma
anche qui, come negli Stati Uniti, l’economia ha finora dato segnali di tenuta
che, sebbene non siano riusciti a tacitare i timori di una recessione, ne
stanno pian piano allontanando lo spettro.
Viviamo
tempi interessanti: come investire?
In un
contesto come questo, è più che mai fondamentale non avventurarsi nella lettura
dei fatti e dei dati da soli:
non
solo e non tanto perché gli esiti potrebbero essere spiacevoli, ma anche e
soprattutto perché l’attuale contesto sta creando – e sempre più creerà –
interessanti punti d’ingresso, che solo l’affiancamento di un Financial Coach
potrà aiutarti a individuare.
Come?
Traducendo quei fatti e quei dati in opportune decisioni di investimento,
tenendo conto del tuo profilo, dei tuoi obiettivi e dei tuoi specifici bisogni.
Agri
voltaico: luce rossa per
l’agricoltura,
blu per l’energia elettrica.
Ilbolive.unipod.it
- Francesco Suman – (1°-2-2023) – ci dice:
Solitamente, la quantità di luce solare che irraggia
un campo coltivato è considerata una condizione a cui ci si deve adattare.
Se
l’esposizione sarà troppa, occorrerà ad esempio aumentare la quantità d’acqua
destinata all’irrigazione.
Troppa
poca luce potrebbe invece non far maturare il raccolto a sufficienza:
occorrerebbe quindi occupare una maggiore superficie agricola per ottenere la
resa desiderata.
Tuttavia,
l’aumento della popolazione mondiale, che l’anno scorso ha superato per la
prima volta gli 8 miliardi di persone, impone di soddisfare una domanda
crescente di cibo, acqua ed energia, e al contempo rende sempre più stringente
la necessità di fissare un limite allo sfruttamento delle risorse del pianeta,
gestendo in modo sempre più parsimonioso e intelligente quelle a nostra
disposizione.
È a
partire da queste considerazioni che Matteo Camporese, professore al
dipartimento di ingegneria civile, edile e ambientale (Dicea) dell’università
di Padova, è
arrivato a pensare alla luce solare come una risorsa, abbondante per natura,
che merita di essere gestita e calibrata, a seconda delle necessità.
Così
come il petrolio è stato il carburante del XX secolo, il solare è destinato a
diventare il perno energetico del XXI.
Per
ridurre le emissioni di gas climalteranti, le nostre società hanno imboccato la
strada dell’elettrificazione ed entro il 2050 fotovoltaico ed eolico da soli
genereranno il 70% dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili, che a loro
volta rappresenteranno il 90% di tutta l’energia elettrica generata nel mondo,
secondo i dati del rapporto della IEA Net Zero by 2050.
La
luce solare naturalmente continuerà ad alimentare anche il settore agricolo,
tramite la fotosintesi con cui le piante trasformano l’anidride carbonica in
biomassa, grazie all’energia assorbita dal sole.
Ed è
proprio affrontando insieme sfide provenienti da settori diversi che si può
arrivare a un uso più intelligente delle risorse:
quelle
della generazione elettrica e dell’agricoltura ad esempio possono trovare
soluzioni comuni nell’agri voltaico.
Agri
voltaico: una possibile alleanza tra agricoltura e transizione energetica.
In una
ricerca pubblicata su “Earth’s Futur”e, Matteo Camporese mostra come la
gestione della luce solare possa venire ottimizzata sia in favore
dell’agricoltura, sia in favore della generazione di energia elettrica, grazie
a uno sfruttamento più mirato di diverse lunghezze d’onda dello spettro di
luce.
Agri
voltaico blu rosso.
“Da
studi precedenti sapevamo che le piante, con la fotosintesi, non utilizzano
tutte le frequenze di luce alla stessa maniera:
la
luce verde ad esempio viene assorbita di meno, quella rossa di più” spiega
Matteo Camporese, che ha condotto la ricerca in California grazie a una borsa
del programma di finanziamento Fulbright, vinta nel 2019.
“La CO2 assorbita dalla pianta viene combinata
con altri nutrienti che le permettono di crescere, quindi la fotosintesi non è
direttamente proporzionale alla resa agricola.
Ci
sono altre variabili che vanno considerate”.
Con il
collega dell’Università della California a Davis, Majdi Abou Najm (co-autore
dello studio), Camporese ha lavorato alla messa a punto di un modello
matematico in cui fotosintesi e traspirazione della pianta sono funzione del
tipo di irraggiamento luminoso.
“Abbiamo
considerato diversi parametri abiotici, come qualità e quantità di
irraggiamento, pressione e temperatura dell’aria, umidità, ma anche diversi
parametri di risposta della pianta” come la conduttanza stomatica, ovvero la
capacità degli stomi di aprirsi e chiudersi per lasciar passare acqua e
anidride carbonica durante i processi di traspirazione e fotosintesi, e la
capacità della pianta di convertire fotoni in molecole di CO2 assorbita, una
misura nota come quantum yield.
Per
saggiarne la validità, il modello è stato testato con dati già presenti in
letteratura, raccolti in esperimenti dove diversi tipi di piante sono state
esposte a diversi spettri di luce.
In
particolare sono state prese in considerazione due specie di pianta a foglia
verde, lattuga e basilico, e una pianta da frutto, la fragola.
“L’analisi
di sensibilità ci ha mostrato che il rosso è la parte dello spettro di luce più
adatto a far crescere la pianta” spiega Camporese.
“A
parità di luce, usando solo lo spettro rosso la pianta fa più fotosintesi e
perde meno acqua: in altri termini fa un uso più efficiente dell’acqua”.
Con la luce blu invece il risultato è
l’opposto:
meno
fotosintesi e più perdita di acqua.
Per questo, nell’idea di agri voltaico
esplorata nello studio, andrebbe destinata alla generazione di energia
elettrica.
Agri
voltaico 2-agrivoltaico 3.
Sebbene
ci si aspetta che la risposta allo spettro luminoso sia diversa a seconda della
specie di pianta considerata, il modello è costruito in modo tale da poter
essere generalizzabile e adattabile a diversi contesti, aggiustando
opportunamente i parametri. “
Il
modello ora lavora alla scala della superficie della foglia. Da lì bisognerà
ampliarlo a tutta la pianta, ma ci stiamo già lavorando”.
Per
filtrare la luce e separarla in spettro rosso e blu occorrono pannelli
fotovoltaici semitrasparenti e foto selettivi, che possono venir montati 3 o 4
metri sopra le piante coltivate e non solo non toglierebbero luce al campo, ma
addirittura ne migliorerebbero la resa.
“I migliori candidati che abbiamo
individuato ad oggi sono i pannelli solari organici” noti anche come OPV
(Organic Photovoltaic Panels) e alternativi ai più diffusi pannelli in silicio.
È una
tecnologia recente, che può ancora migliorare, ma che presenta dei potenziali
vantaggi.
Innanzitutto
quello della produzione: “Sono basati su dei polimeri plastici, ricavati da
sostanze organiche, il che significa che sono molto economici e chiunque li può
produrre", a differenza di quelli al silicio la cui produzione globale
oggi è dominata dalla Cina.
"Possono
poi essere stampati su pellicole e sono flessibili, adattandosi anche a
superfici curve”.
Dall’altro
lato però, non hanno ancora la stessa efficienza dei pannelli in silicio e
rispetto a questi ultimi si degradano più in fretta.
Sebbene
i pannelli solari organici siano già in commercio, ad oggi non sono stati
ancora adattati al contesto dell’agri voltaico.
“Sono
passati anni da quando negli anni ‘80 l’agri voltaico è stato proposto per la
prima volta e ancora non è molto diffuso, perché molte colture di interesse
commerciale hanno una resa minore all’ombra”.
Le
cose però potrebbero cambiare con ondate di calore e siccità che oggi si
presentano più di frequente che in passato, a causa del cambiamento climatico.
L’interesse
per l’agri voltaico sta crescendo e diverse aziende stanno lavorando a fianco
di centri di ricerca.
Un
progetto internazionale finanziato dai fondi dell’Unione Europea, ad esempio,
raccoglierà dati nei prossimi anni per stabilire l’efficacia dell’agri voltaico
in un meleto in provincia di Bolzano: le piante coltivate sotto i pannelli
verranno confrontate con quelle esposte normalmente al sole.
Tra le
ragioni che non hanno ancora fatto decollare l’agri voltaico in Italia c’è
anche il timore, a più riprese espresso da una parte degli agricoltori, che la
produzione di energia si riveli un’attività più redditizia dell’agricoltura e
che i pannelli finiscano per occupare un suolo altrimenti destinato ai campi
coltivati.
Secondo
Camporese, i pannelli solari organici semitrasparenti e foto selettivi
potrebbero essere un modo di andare incontro alle preoccupazioni di questi
agricoltori:
“i
pannelli al silicio possono essere montati sui tetti delle città, mentre i
terreni agricoli possono essere coperti da altri tipi pannelli, che non avranno
la stessa resa energetica di quelli al silicio, ma che facendo filtrare la luce
rossa garantiscono la resa agricola”, permettendo al contempo, con la luce blu
assorbita, una produzione di energia utile all’azienda agricola.
“Se
l’obiettivo è fare le due cose insieme, c’è margine di miglioramento”.
I
pannelli ottimizzati per l’agri voltaico cui fa riferimento Camporese tuttavia
ad oggi ancora non sono disponibili.
“Ho in mente di portare avanti il progetto di
ricerca” dice Camporese.
“Ci
sono un paio di polimeri già in commercio con caratteristiche simili a quelle
desiderate, però non sono mai stati testati in combinazione con l’agricoltura”.
Per
l’approdo sul mercato quindi occorrerà aspettare, ma non troppo.
“Sono
stato contattato dal Regno Unito da una compagnia che si occupa di servizi
agronomici interessata a sapere come un sistema del genere possa essere
implementato.
Ho
anche avuto colloqui con una multiutility italiana, che si occupa anche di agri
voltaico, ma mi hanno detto che per loro il livello di sviluppo non è
soddisfacente per garantire profitti da subito.
In
realtà si tratterebbe di un investimento che non impatterebbe molto sul loro
bilancio. Il futuro non è lontano, in 5 o 10 anni potremmo essere pronti”.
Zelensky
vuole l’ultimo passo
dell’escalation,
l’Ue cede?
Strisciarossa.it
– (10 FEBBRAIO 2023) - PAOLO SOLDINI –
ci dice:
I
prossimi passi sono gli F16 e un’accelerazione dell’entrata dell’Ucraina
nell’Unione europea.
Gli
esiti della spettacolare tournée tra Londra, Parigi e Bruxelles di Volodymyr
Zelensky sembrerebbero aver avvicinato molto gli obiettivi che l’uomo di Kiev
persegue con ostinazione da quando la sciagurata “operazione speciale” di
Vladimir Putin ha scatenato una guerra che è diventata sempre più estesa e
crudele.
Se
solo quarantotto ore fa Joe Biden rispondeva ai giornalisti accreditati alla
Casa Bianca che niente è cambiato nella strategia americana e che gli Stati
Uniti restano fermi nel no alla fornitura dei jet all’Ucraina, in Europa si
sono sentiti toni assai diversi.
Prima
nell’incontro che Zelensky ha avuto mercoledì con il premier britannico Rishi
Sunak a Londra, il quale ha dato la decisione di fornire aerei da caccia già
quasi per presa, poi per quel poco che si è saputo dai colloqui confidenziali a
tre con Emmanuel Macron e Olaf Scholz a Parigi (e senza Giorgia Meloni che,
come vedremo, non l’ha presa per niente bene), preceduti da una vaga ma a suo
modo impegnativa assicurazione del presidente francese sul fatto che della
questione “si discuterà”, e infine negli incontri che ha avuto a Bruxelles con
i massimi dirigenti dell’Unione.
I “jet
necessari”.
Sugli
F16 la più esplicita è stata la presidente del Parlamento Roberta Metsola, la
quale, aprendo la seduta dell’assemblea con Zelensky in aula, dove è stato
accolto da un grande applauso, gli ha detto che per “onorare il sacrificio che
il vostro popolo ha sopportato per l’Europa” gli Stati “dopo i fondi, gli aiuti
per la ricostruzione e l’addestramento delle truppe” debbono “considerare
rapidamente, come passo successivo la fornitura di sistemi a lungo raggio e dei
jet necessari per proteggere la libertà che troppi hanno dato per scontata”.
I “jet necessari”:
gli
F16 multifunzione, utilizzabili cioè per i combattimenti aerei ma anche per
colpire obiettivi a terra, che gli americani (per ora) negano ma che potrebbero
arrivare dalla Polonia, il cui governo considera la cosa possibile fin
dall’inizio della guerra, o da qualunque altro dei 12 paesi della NATO che ne
posseggono (l’Italia 34).
Si
tratterebbe dell’ennesima barriera sfondata dalla escalation delle armi fornite
dall’occidente all’Ucraina.
Quella
che i russi hanno più volte e chiaramente indicato come il passaggio che
considererebbero come un intervento diretto della NATO nel conflitto.
Può
darsi che sia un bluff, ma andare a vederlo potrebbe essere fatale.
Non
hanno parlato di aerei la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e
il presidente del Consiglio Charles Michel, ma hanno abbandonato ogni riserva,
e ogni prudenza, sull’altro dossier sul quale il presidente ucraino sta
forzando da quando è cominciata la guerra: i tempi e i modi dell’ingresso
nell’Unione europea.
Né si
è trattato soltanto di esercizi retorici – come quello cui si è abbandonato
prendendosi molto sul serio l’uomo di Kiev dichiarando ai leader riuniti nel
Consiglio che “se mi aiuterete a difendere la sicurezza in Europa e a
garantirla nel lungo periodo, vi garantisco che i vostri nomi entreranno nella
storia dell’Europa assieme a quelli di Robert Schumann e Jean Monnet” – ma di
riconoscimenti e di impegni precisi.
Michel,
parlando anche a nome di von der Leyen ha detto che “siamo impressionati dal
lavoro compiuto dall’Ucraina nell’attuazione delle riforme per l’adesione
all’Ue” e a fine anno “valuteremo i progressi”.
Non si
sa quali siano questi “progressi”.
A Kiev
è appena scoppiato un clamoroso scandalo di corruzione proprio sugli aiuti e le
forniture militari occidentali e l’assenza di corruzione è uno dei requisiti
fondamentali che i Trattati europei richiedono ai paesi candidati all’adesione,
insieme con il rispetto dello stato di diritto, la stabilità democratica, la
tutela delle minoranze e la pace sul territorio: tutti capitoli sui quali il
meno che si possa dire è che l’Ucraina non sia proprio al passo.
Propaganda.
L’impressione
è che si galoppi spensieratamente sul terreno della propaganda.
Ci
vorranno molti cambiamenti e molto tempo prima che l’Ucraina sia pronta ad
entrare nell’Unione e che l’Unione sia pronta ad accoglierla:
illudere
gli ucraini, non tanto i dirigenti politici che conoscono la realtà, ma i
cittadini che più che mai in questi tempi terribili sinceramente aspirano ad
“entrare in Europa” può essere un grave errore delle autorità di Bruxelles.
E però
anche la propaganda è un fatto destinato ad avere conseguenze nel conflitto
quanto i carri armati e i caccia bombardieri.
Non
solo Zelensky, ma anche von der Leyen, Michel, Metsola, una buona parte del
parlamento europeo usano l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea come una
clava da abbattere sul cranio di Putin.
Come se si trattasse dell’ingresso nella NATO, quello
che i russi temono come la peste (i russi, non solo Putin) e la cui prospettiva
è stato uno dei fattori alla base della criminale scelta dell’aggressione.
Si
rischia che si riproponga con l’Ucraina lo stesso errore che fu compiuto al
momento dell’allargamento della UE agli altri paesi ex satelliti di Mosca.
In una
buona misura, allora, le classi dirigenti dei paesi del cosiddetto gruppo di Visegrád videro in quell’allargamento non
tanto l’adesione al disegno di una costruzione europea che superasse in una
comunità di valori e di princìpi le divisioni e le rivalità tra le nazioni, ma
l’assicurazione di un’appartenenza occidentale che proteggesse la loro
indipendenza dal Grande Vicino che per decenni li aveva soffocati.
Considerarono
(e continuano a farlo) l’Unione europea il bastione della loro ritrovata
sicurezza nazionale come la NATO e – sia detto per inciso – gli americani e
molti esponenti politici europei incoraggiarono questa identificazione.
Il presidente Clinton l’affermò apertamente,
“raccomandando” che tutti i paesi che chiedevano di entrare nella UE aderissero
prima all’Alleanza atlantica.
Sono
sotto gli occhi di tutti le contraddizioni e le difficoltà che questa
impostazione nazionalistica ha creato all’Unione.
I continui tentativi di Polonia, Ungheria e
altri di ridimensionare gli aspetti comunitari e sovranazionali delle politiche
decise a Bruxelles fino a proclamare la preminenza del diritto nazionale su
quello europeo e le tensioni che ne sono derivate.
Lasciamo
stare, qui, il discorso su quanto la destra-destra al governo italiano sia
parte di questa corruzione nazionalistica dello spirito europeo e di come sia
in atto un tentativo delle destre continentali di modificare la rotta delle
politiche europee verso quei lidi.
Limitiamoci
a rilevare il fatto che la presidente del Consiglio Meloni ne ha fornito
testimonianza anche in questa occasione, saltando come un grillo su una nuova
polemica insensata contro il presidente francese che ha avuto l’ardire di non
convocare anche lei all’incontro che ha avuto con Zelensky insieme con il
cancelliere tedesco.
Più
che lamentarsi di un mancato invito, forse, sarebbe stato più sensato criticare
il fatto che una questione di interesse europeo sia stata trattata in separata
sede nazionale (e per di più in un clima di segretezza).
Per il
resto, Meloni delusa dal fatto che “a causa della mancanza di tempo” il leader
ucraino aveva disdetto tutti i bilaterali con i leader, ha avuto con lui
soltanto un fugace scambio di saluti.
Peccato
che l’ufficio stampa della presidenza del Consiglio avesse già diffuso un
comunicato in cui si parlava di “una lunga conversazione” durante la quale lei aveva
ribadito “il pieno sostegno” e lui espresso “la profonda gratitudine” e tv e
giornali in linea ci avevano creduto.
Meloni comunque ha confermato che andrà a Kiev
prima del 24 febbraio e nell’attesa, sabato, il pensiero di Zelensky ci
arriverà da Sanremo.
Disastrosa
ambiguità.
Fra le
due questioni emerse dalla tournée europea del presidente ucraino e
dall’atteggiamento dei suoi interlocutori c’è un legame abbastanza stretto,
anche se non è immediatamente evidente.
Sia il
nuovo passo nell’escalation delle forniture militari – arrivino veramente o no
gli F16 a Kiev – sia l’accelerazione del processo di adesione dell’Ucraina alla
UE – sia davvero praticabile o mera propaganda – testimoniano insieme una
disastrosa assenza di chiarezza sulle prospettive della guerra e dei rapporti
che si dovrà continuare ad avere con la Russia.
Che cosa vogliono fare gli occidentali?
E
quello che vogliono fare coincide davvero con quello che vogliono gli ucraini?
Fino a
che punto pensano di poter spingere l’azzardo senza che la NATO entri in guerra
direttamente, cosa che (per ora) quasi tutti, ma non tutti, escludono?
Come
immaginano il futuro della Russia se e quando Putin scomparirà dalla scena?
Mettono
nel conto – come suggeriscono alcuni analisti americani – che sconfitta e
umiliata in Ucraina la Federazione russa si possa sfasciare lasciando senza
un’autorità statale un territorio che copre il 13 per cento delle terre emerse
del mondo?
Sono
domande politiche alle quali una risposta politica non c’è.
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