Il male dell’occidente globalista è l’amore per il denaro.
Il
male dell’occidente globalista è l’amore per il denaro.
IL DIO
DENARO, SIMBOLO DI TUTTI I POTERI.
Tragicomico.it
– (9 Gennaio 2023) – Ivan Petruzzi – ci dice:
“Il dio
denaro permette l’impossibile;
Il dio
denaro può anche far comprar l’amore;
Il dio
denaro consente la mia istruzione;
Il dio
denaro distrugge tutti gli altri dei;
Il dio
denaro è un dio speciale,
Fatto
di carta e presunto potere.”
(Bluvertigo,
“Il Dio denaro”)
Fin
dalla più remota antichità, nulla turba e affascina il genere umano più del
denaro.
Un
autentico emblema di una mondanità edonista che sovrasta tutto ciò che, per
converso, si protende a fatica verso l’avanzamento spirituale della specie alla
quale apparteniamo.
Il
denaro, in tutte le sue varianti, è percepito come massima fonte di corruzione
per il genere umano, tanto nei testi sacri ebraici e cristiani, quanto nelle
antiche religioni indoeuropee, come l’induismo, che vedono nell’adorazione della
moneta il segno inevitabile della decadenza dei tempi e di un ribaltamento
morale dei valori ascetici.
Persino
Goethe, nel suo celebre “Faust”, descrive con disprezzo l’ideazione della
moneta, percependola come la summa di tutti i mali del mondo, concepita da
Mefistofele in persona per gettare nel caos l’umanità intera e per farla
deviare dai suoi fini naturali.
L’ossessione
per il denaro è radicata in ogni tradizione filosofica, politica e religiosa
esistente, proprio perché la moneta rappresenta l’elemento principe in grado di
traslare ciò che, di fatto, è un semplice mezzo, a fine supremo dell’esistenza.
Di per
sé privo di qualunque connotazione ideologica e di qualunque valore morale, il
denaro è stato ideato per facilitare gli scambi e le transazioni tra gli esseri
umani e per fungere da sostituto per una serie di beni e servizi, in sede di
scambio.
Molto
più comodo e agevole del baratto, il denaro non è altro che uno strumento che
ci permette di fare acquisti e transazioni senza dover per forza offrire in
cambio beni e servizi di svariata natura al venditore di riferimento.
Se
provassimo ad immaginare un mondo privo di denaro, comprenderemmo
immediatamente come la sola idea di procurarci un semplice maglione, porti in
dote la necessità di offrire a colui che produce e vende il suddetto capo
d’abbigliamento una gamma di beni o servizi di egual valore, o di suo
gradimento.
Facendo
riferimento al denaro, per converso, possiamo acquistare un maglione
trasferendo qualcosa di impalpabile e poco ingombrante, che consente al
commerciante di essere scambiato, in seconda battuta, con altri beni o altri
servizi, senza il bisogno di produrre noi stessi quei determinati beni o quei
servizi.
Se il
denaro non è, dunque, di per sé una pessima invenzione, da dove nasce questa
idolatria continua, destinata a soffocare tutto ciò che è puro e dotato di
valore morale?
Come
spesso accade, la venerazione del denaro nasce dal fatto che l’essere umano si
trova incapace di comprendere la differenza tra mezzo e fine e tende a
perseguire tutto ciò che gli procura un senso di (falsa) potenza, persino se
inespressa.
Quando
poniamo il denaro al centro del nostro agire, ci stiamo allontanando dalla
sfera ontologica nella quale la moneta è stata concepita, per raggiungere
un’idea distorta di potere che ci eleva sopra i nostri simili.
“Il
denaro non è il demonio; il “demonio”, tutt’al più, è la stupidità tutta umana
di considerarlo un fine quando è nato per essere strumento, la follia è farsi
abbagliare dalle sue lusinghe al punto da farsene fagocitare, perdendo il senso
dei ruoli e delle proporzioni.”
(Dal
mio libro “LIBERI DENTRO, LIBERI FUORI” di Ivan Petruzzi).
Tendiamo
ad accumulare molto più denaro di quanto ne possiamo spendere, perché l’idea di
possedere ingenti ricchezze ci apre un mondo immaginario, in cui tutto è
possibile e in cui ci ergiamo a sovrani di un universo privo di reali
riferimenti morali o estetici.
Il
denaro diventa dunque il fine ultimo di un agire che non porta in sé valore
alcuno, se non quello di accumulare ricchezze che non vengono spese (se non
malamente) e che non procurano piacere alcuno, se non in quella vaga illusione
di potenza derivante dal sentirsi “più ricchi” (e dunque migliori) dei nostri
simili.
Quando
il dio denaro si impadronisce delle nostre menti, tutto risulta invertito e
innaturale: così come il mezzo diventa fine, la conseguenza diventa causa.
Presi
dal desiderio di accatastare denaro, dimentichiamo spesso che i soldi sono una
conseguenza di quello che facciamo e non la causa suprema del nostro agire.
I soldi dovrebbero rappresentare una
ricompensa e un riconoscimento per il lavoro che svolgiamo, per le opere che
creiamo o per i servizi che prestiamo, non un obiettivo da raggiungere ad ogni
costo.
E
invece, offuscati da una mentalità postmoderna che ha fatto della corruzione il
suo mantra, ci troviamo spesso intenti a intraprendere un’attività con l’unico
scopo di ricavarne denaro. Lavoriamo, ci mostriamo mezzi nudi, scriviamo libri,
componiamo musica, elargiamo corsi di ogni tipo, discutiamo online e creiamo
siti web non con l’intento di comunicare qualcosa di salvifico, ma sulla scia
di vacue ricerche di mercato e di mode passeggere da cavalcare.
Se
l’asservimento assoluto al dio denaro è spesso celato e latente nel sentimento
comune, esso si manifesta in modo lampante quando viene rivolto al versante
politico e sociale dell’esistenza.
“Fare il politico” è ormai diventata una (remunerativa)
carriera, che spinge orde di giovani in direzione di un’attività pubblica
finalizzata all’ottenimento del tanto agognato vitalizio, di pensioni a
svariati zeri e di quel senso di onnipotenza tipico di chi guadagna cifre tali
da fare impallidire un operaio.
Ne
consegue, non solo la morte della politica, intesa come arte di derivazione
greca rivolta alla corretta gestione della polis, ma anche l’asservimento della
dimensione sociale a tutte quelle entità e a quegli organismi che finanziano la
politica stessa.
Se la
politica è dunque ormai un triste sottoinsieme dell’economia e uno specchio
fedele di un tessuto sociale votato in direzione di un becero arrivismo, riusciremo forse a salvarci dal tracollo
morale assoluto, nel momento stesso in cui ricominceremo a ricondurre il denaro
alla sua naturale sfera d’appartenenza, relegandolo al ruolo di semplice mezzo
che gli compete.
“Può
essere bene avere il denaro e le cose che il denaro può comprare, ma è bene
anche, ogni tanto, controllare ed essere sicuri di non aver perso le cose che
il denaro non può comprare.”
(George
Horace Lorimer)
Ricominciare
a produrre arte e cultura, a vivere in maniera autosufficiente e sostenibile, a
discutere, a confrontarci, a ritagliarci spazi per la nostra coscienza e a
esistere senza la lunga ombra del dio denaro, è forse l’unica possibilità a nostra
disposizione per riappropriarci di tutto ciò che la folle rincorsa al guadagno
ci ha sottratto, per tornare all’origine della vita stessa e per riportare
umanità e uguaglianza tra cifre e monete.
Per
abbattere il simbolo di tutti i poteri dobbiamo necessariamente tornare
all’essenza delle cose, considerare la ricchezza non un fattore economico, ma
spirituale;
bisogna essere ricchi di spirito, di
inventiva, di amore, per un senso di appartenenza verso il prossimo che
travalichi l’avidità per il denaro.
C’è il
bisogno di spogliare questo dio dal suo ruolo assolutistico, ossessivo e
dominante, di smantellare la sua religione mondana fatta di illusioni, promesse
e oggetti luccicanti.
Soltanto
così l’uomo potrà vivere tempi nuovi, tempi all’insegna di valori, come il
piacere di fare e dare senza tornaconto, che lo renderanno veramente degno di
quel dono incommensurabile che è la vita.
(Ivan
Petruzzi)
Sta
Venendo giù Tutto?
Conoscenzealconfine.it
- Maurizio Martucci – (15 Marzo 2023) – ci dice:
(“Il
Tecnoribelle”)
Crisi
digitale: Sta venendo giù tutto? Conti in rosso, fallimenti e licenziamenti:
l’agonia di Meta, Twitter, Amazon, 5G e bitcoin.
Transumanisti
e tecno-ottimisti ascoltate bene:
il
boom d’investimenti per il Covid è stato controproducente e così, ad effetto
domino, il castello di sabbia sta inesorabilmente venendo giù.
Sì,
perché tra conti in rosso, licenziamenti di massa, richieste di rateizzazioni
miliardarie allo Stato italiano, crack e bancarotta, una dopo l’altra Telco e
big tech della Silicon Valley stanno annaspando, anzi stanno letteralmente
affossando sotto i loro stessi colpi.
Zuckerberg
ha gli utili dimezzati e prefigura il tonfo di “Meta”.
Rilevata
per 44 miliardi di dollari “Twitter”, Musk ne ipotizza già il fallimento.
Amazon
ha bloccato le assunzioni.
Acqua
alla gola, Tim pretendeva di posticipare una rata da 1,7 miliardi, poi pagata
mal volentieri.
E
100.000 creditori al mondo sono rimasti col cerino in mano, dalle Bahamas
fallita la finanza digitale di FTX:
insomma,
il
migliore dei mondi possibili incardinato dagli architetti del virtuale su 5G, social,
visore ottico, palmare atipico, algoritmi e criptovalute, assume sempre più le sembianze di un
grande bluff, un over promise mondiale col botto finale.
Da paura: sentita qua…
“Metaverso”: 700 miliardi di dollari di valore di
mercato bruciati in un solo anno per la pochezza di appena 38 ‘utenti attivi’
in 24 ore.
“I licenziamenti di Meta sono colpa
dell’ambizione smodata di Zuckerberg”, titola “Wired” commentando l’invio
a casa di un dipendente su otto, italiani compresi, roba da 11.000 licenziamenti tra
Facebook, Instagram e Whatsapp.
E se
Sparta piange, Atene non ride di certo: così in un caos di licenziamenti
consumati via email, oltre i top manager della dirigenza altri 3.700 posti di
lavoro vanno in malora nella Twitter di Elon Musk a un passo dal fallimento, abdicato persino lo “smart working”
per 40 ore settimanali in presenza.
“Twitter
rischia la bancarotta – riporta Rai News – il fallimento potrebbe essere una
possibilità se la compagnia non inizia a generare più denaro”.
E
minor denaro in effetti lo introitano anche le compagnie telefoniche:
se il
mercato Smartphone perde quasi il 10% all’anno, in Italia tra il 2016 e il 2020
i ricavi delle Telco sono crollati ad un “tasso medio ponderato del 2,7%, con
la rete mobile in maggior affanno (-5,2%) rispetto alla fissa (- 0,3%)“.
Così
per saldare il 73% contrattualizzato con lo Stato e nella legge di bilancio
2018 per l’acquisto all’asta dei primi tre lotti di radiofrequenze del 5G, Tim,
Vodafone, WindTre e Iliad hanno fatto di tutto per ammorbidire la rata da 4,8
dei 6,55 miliardi di euro, fissata al 30 Settembre 2022:
“gli
operatori – prima del saldo scriveva Il Sole 24 Ore – incrociano le dita nella
speranza che possa arrivare una rimodulazione di quello che altrimenti sarebbe
un salasso.“
Dita
incrociate inutilmente, perché il salasso a bocca storta è stato saldato e alla
sola TIM costato 1,7 miliardi, rovinosamente capitalizzati nell’indebitamento
finanziario netto “after lease” pari a 20,1 miliardi di euro:
ecco
perché “ASSTEL”, ramo telecomunicazioni di “Confindutria”, con insistenza
pretende l’innalzamento dei limiti soglia d’irradiazione elettromagnetica nelle
media giornaliera da 6 a 61 V/m, perché – già saturo dalla ‘pre-5G selva di
antenne’ il fondo ambientale di città e piccoli centri – se non schizzassero
all’inverosimile dei + 110 volte i limiti d’elettrosmog, l’industria si troverebbe costretta a
disseminare decine di migliaia di unità di nuova infrastruttura tecnologica per
un ulteriore esborso quantificato in altri 4 miliardi.
Un
rischio grosso come le perdite di 5 miliardi di dollari per “Alexa”,
intelligenza artificiale di Jeff Bezos e Amazon, oppure il botto dei bitocoin di FTX, una delle principali piattaforme
per lo scambio di valute digitali al mondo, l’exchange di criptovalute stimata ad inizio anno 32 miliardi di
dollari, finiti in fumo nell’istanza di fallimento per miliardi, spariti nel
nulla con “Sam
Bankman-Fried,” spacciato adesso per latitante:
“la
Casa Bianca ha fatto sapere di stare monitorando il” tracollo di FTX”, e ritiene che la sua bancarotta
confermi la necessità di regole più stringenti per il settore”.
Sì, ma
c’è già pure chi sospetta un enorme giro di riciclaggio di denaro per finanziare
illegalmente l’ultima campagna elettorale di metà mandato USA.
E non ci sarebbe da meravigliarsi più di tanto
se si pensa che Ericsson, leader incontrastato in Europa per i brevetti sul 5G e
fornitore in Italia di rete per TIM, per fare affari nei territori di guerra, finì per finanziare i tagliagole
dell’ISIS.
Chapeau!
E
adesso il fallimento di “Silicon Valley Bank” e “Signature Bank” …
(Maurizio
Martucci)
(oasisana.com/2022/11/16/crisi-digitale-sta-venendo-giu-tutto-conti-in-rosso-fallimenti-e-licenziamenti-lagonia-di-meta-twitter-amazon-5g-e-bitcoin/)
Tempesta
di Fuoco Finanziario.
Conoscenzealconfine.it
– (14 Marzo 2023) - Gianmarco Landi – ci dice:
Oltre
alla californiana “Silicon Valley Bank”, anche la newyorchese “Signature Bank”
è stata chiusa dalla FED, perché sono saltati in aria gli equilibri dei conti.
Si
tratta di due lampi, a cui seguiranno due tuoni e a cui seguirà una tempesta di
fuoco che metterà a rogo i leader occidentali.
Tutti
i depositanti delle due banche saranno interamente protetti, infatti Powell
(Governatore della FED) e Yellen (Segretario del Tesoro USA) hanno annunciato
una nuova linea di credito FED fino a 25 miliardi di dollari dall’ESF, in modo
da garantire i depositi bancari delle due piccole banche.
Gli
azionisti e i detentori di obbligazioni di debito della Silicon Valley e della
Signature non saranno protetti e vedranno azzerati i loro valori patrimoniali.
Come
ho sempre detto da due anni a questa parte, le proporzioni del crack del
sistema finanziario occidentale saranno storiche e colossali.
L’unico modo per uscirne, se fossimo stati in
altre epoche, sarebbe stato quello di una guerra mondiale che non avrebbe fatto
capire nulla a nessuno, ammantando le città di sangue e menzogne
‘provvidenzialmente’ giustificative il “Reset finanziario”.
Questo
avrebbero voluto fare “quelli del WEF”, un Great Reset attraverso cui sarebbe stato tolto ai piccoli tutto per darlo alla minuscola élite responsabile del disastro annunciato.
In FED
fino ai ieri si preoccupavano della diversità dei consigli di amministrazione e
di non alzare troppo i tassi, mentre la Yellen volava in Ucraina, non si
capisce a fare cosa:
poveri
loro… I 25 miliardi creati dalla FED per mettere una toppa ai correntisti di
queste due banche medio piccole, che comunque faranno affondare moltissime
aziende strategiche del settore “Allarme Climatico” e quindi vicine ai Democratici, non possono arginare la valanga presto scatenata dalle
implosioni delle criticità di un sistema finanziario globale disarticolato
concettualmente da decenni.
Il
pericolo che scoppi in America una corsa agli sportelli per reclamare 18 Trilioni di
‘soldi’ propri che non ci sono, cioè non 25 miliardi che corrispondono alla inezia dei
depositi delle due piccole banche appena saltate in aria, ma 18 mila miliardi di dollari di
depositi degli americani, è secondo me una conseguenza inevitabile.
La
scorsa settimana, su Twitter e Facebook, migliaia di americani imprecavano
perché non si ritrovavano più i soldi messi da loro alla “Wells Fargo”, la quarta banca americana, enne volte più grande della Silicon
Valley Bank. L’Amministrazione Biden, tutti i politici a lui collegati nel
Mondo, l’UE, le multinazionali di quel pugno di fondi di investimento che è
dietro al WEF e finanche le banche centrali finiranno nelle catacombe.
La
soluzione sarà quella di far nascere un nuovo sistema finanziario estraneo
a quello esistente, ed in effetti vedrete che sarà proprio quello che
succederà.
“Non
so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare le scienze e porre i
semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere
si illuderà di avere vinto.
Il cambiamento arriverà inatteso quando i potenti saranno convinti di
aver vinto.”
(Giordano
Bruno)
(Gianmarco
Landi)
(scenarieconomici.it/tempesta-di-fuoco-finanziario/)
Cyberuomini
e transumanesimo:
perché
dal progresso (ogni tanto)
si
dovrebbe diffidare.
Blog.ilgiornale.it
– (11 aprile 2019) – Blog di Cristiano Puglisi – ci dice:
Cyberuomo,
Progresso, tecnologia, innovazione, futuro, digitalizzazione.
Concetti
che sono solitamente espressi sempre e solo in senso positivo, per il loro
impatto sulla società umana.
Eppure
non sempre il progresso ha portato cambiamenti in meglio.
Basti
pensare alla bomba atomica, o alla disoccupazione provocata dalla
“robotizzazione”.
Insomma, senza essere “luddisti” a tutti i
costi, dal progresso, a volte, sarebbe bene diffidare.
Specialmente
quando questo rischia di disumanizzare la società.
Lo
spiega, ad esempio, nel suo ultimo lavoro (“Cyberuomo. L’alba del
transumanesimo e il tramonto dell’umanità”, edito da Arianna Editrice), la
scrittrice torinese Enrica Perucchetti.
Uno
dei primi capitoli si apre con un titolo che è una domanda.
Perché
scrivere oggi, in pieno neo-positivismo tecnologico, un libro sul
transumanesimo?
“Perché – spiega l’autrice – è una tematica che
sebbene sembri ‘lontana’ nel tempo riguarda e dovrebbe interessare maggiormente
la collettività, dall’automazione alle ripercussioni di alcune ricerche nel
campo del post-umano.
Credo
sia necessario proporre all’opinione pubblica i retroscena e gli aspetti più
ambigui e opachi non solo della rivoluzione digitale e dell’automazione ma più
in generale delle ricerche nel campo dell’Intelligenza Artificiale e della
medicina perché sfociano nel controllo sociale e nella sorveglianza
tecnologica.
Dietro
al mantra del ‘progresso’ si stanno finanziando ricerche che secondo me
dovrebbero invece essere discusse soprattutto da un punto di vista etico e
sociale: che senso hanno clonazione, creazione di chimere, uteri artificiali,
crionica, mind uploading e soprattutto l’ibridazione uomo-macchina?
Ho
l’impressione che si stia divinizzando la tecnologia, facendone un nuovo
feticcio da adorare.
Al
contrario, le macchine e l’innovazione dovrebbero essere al servizio dell’uomo,
un mezzo per migliorare il benessere collettivo, non per aumentare il divario
tra ricchi e poveri e per stringere le maglie del controllo sociale”.
Nel
secolo scorso le distopie futuristico-tecnologiche riscuotevano grande
successo, sia nella letteratura che al cinema.
Oggi è
un genere meno affrontato.
Segno che forse l’uomo ha meno paura della tecnica.
O,
forse, come spiega la Perucchetti: “sono affrontate ma con un taglio
radicalmente diverso: hanno subito una specie di ribaltamento, eccetto pochi
casi come esempio la trilogia di Richard Morgan “Altered Carbon” da cui è stata
tratta anche la celebre serie TV prodotta da Netflix.
Negli anni Settanta e Ottanta, per esempio, i
film di fantascienza e i romanzi cyberpunk contenevano un’aspra critica verso
le derive tecnologiche:
la tecnologia e i suoi paradisi artificiali
rischiavano di schiavizzare l’uomo.
Oggi,
invece, questa critica è solo accennata se non addirittura scomparsa, offrendo
semmai un connubio di spettacolo e intrattenimento volti a sdoganare la
comodità e l’efficacia della tecnologia.
Ci
sono sempre più film, romanzi, graphic novels e serie TV con protagonisti
ibridi, supereroi che sono stati potenziati fisicamente e cerebralmente o
persino automi, che spingono quindi lo spettatore ad anelare di vivere in una
condizione simile di potenziamento fisico e psichico, come se la condizione
umana non fosse abbastanza.
Stiamo cioè vivendo una fase in cui i limiti
vengono rigettati e si sogna di poter abbattere le catene biologiche.
Drammaticamente,
però, come narro nell’antefatto del mio libro, stiamo percorrendo un sentiero
inverso a quello del Pinocchio di Collodi:
Pinocchio attua una trasmutazione dallo stato
di schiavitù (la condizione di marionetta) a quello di Uomo (con la libertà e
le responsabilità che ne conseguono).
Noi
oggi, invece, siamo irretiti da un sogno prometeico: abbattere la natura,
potenziare il corpo, cambiare il nostro destino biologico e trascendere i
nostri limiti.
Per
diventare una marionetta dalle sembianze cibernetiche.
Una
macchina”.
Il
progresso sta, insomma, rischiando di superare la capacità umana di guidarlo e
controllarlo.
“La
paradisiaca strada – prosegue la Perucchetti – della tecnologia può condurre
verso scenari che non sono stati meritatamente discussi ma che filosofi,
scienziati, persino romanzieri hanno predetto in modo straordinario, lanciando
un grido d’allarme che è rimasto inascoltato.
L’entusiasmo e l’esaltazione acritica nel
progresso e nella tecnologia stanno oscurando il lato nascosto delle ricerche
che analizzo nel libro, dal campo dell’automazione alla ricerca della vita
eterna.
La domanda che pongo al lettore è la seguente:
‘Siamo
sicuri che tutto ciò che è tecnologicamente possibile (o che lo sarà in futuro)
sia da ricercare e applicare a tutti i costi?’.
Come
mostro nel mio libro, dietro la parola ‘progresso’ si nascondono ricerche che
fino a qualche anno fa sarebbero state bollate come incubi distopici e che
vengono offerte all’opinione pubblica come un traguardo per l’evoluzione
collettiva.
Se
critichi qualunque cosa venga etichettata come ‘progresso’ vieni
automaticamente bollato come un oscurantista e un neoluddista, inibendo il
confronto e censurando il dialogo che invece sarebbe a mio dire necessario”.
La
tecnica sta oggi raggiungendo dei traguardi (o e prossima a raggiungerli) di
cui forse, anziché accoglierli sempre e comunque con aria festante,
bisognerebbe avere paura.
“Le
ricerche che mi inquietano di più – conclude l’autrice – sono quelle relative al tecnosesso,
mind uploading, crionica, ibridazione uomo-macchina, ma anche la possibilità di clonare
essere umani, la fabbricazione di chimere, gli xenotrapianti e l’ectogenesi:
è
probabile che in futuro le nuove generazioni nasceranno in uteri artificiali.
Vi è
poi il problema legato a un eventuale pericolo legato alla IA (Intelligenza
Artificiale).
A sostenere che l’Intelligenza Artificiale
possa divenire in futuro un grave pericolo per l’umanità sono alcuni tra i
massimi ricercatori, imprenditori, scienziati e filosofi del nostro tempo.
Il
patron di Tesla, l’imprenditore visionario Elon Musk ha definitivo l’IA come
‘la più grande minaccia alla nostra esistenza’.
Anche
Bill Gates e l’astrofisico Stephen Hawking, hanno espresso la loro
preoccupazione.
Tra i
‘pentiti’ troviamo persino un transumanista come Nick Bostrom che nel suo
ultimo libro “Superintelligenza “prevede quali possono essere i superpoteri e
le strategie che una IA divenuta superintelligente potrebbe usare contro di noi:
dall’hackeraggio
per sfuggire al controllo dei suoi ‘guardiani’ umani, a un vero e proprio
attacco.
Insomma,
quello che costoro ci stanno dicendo è che una sfida tecnologica potrebbe
diventare nell’imminente futuro, una sfida per la sopravvivenza.
Le
macchine prenderanno il sopravvento e la specie umana rischia di scomparire
nella competizione tra materia organica e inorganica.
Fermo
restando che l’innovazione e le ricerche in campo medico, scientifico e
tecnologico sono tanto apprezzabili quanto auspicabili, dovremmo andare più
cauti e interrogarci sugli eccessi del progresso, individuando quali di queste
ricerche non siano in realtà dei ‘cavalli di Troia’ per legittimare progetti
iper-capitalistici volti alla reificazione dell’uomo.
Ricerca
sulla vita artificiale, clonazione, creazione di chimere, potenziamento
tecnologico, crionica, mind uploading, sono i molteplici aspetti di un unico
scopo, la creazione dell’uomo OGM, di un individuo geneticamente modificato che
possa soddisfare le esigenze del potere: obbedienza, sottomissione,
omologazione.
Lo
scopo del saggio è far conoscere al grande pubblico il pensiero transumanista,
ancora sconosciuto ai più e aprire un dibattito sulle possibili conseguenze che
tali ricerche possono comportare per l’intera società”.
La
guerra in Ucraina come
“Attacco
all’Europa”.
L’ultimo libro di Marco Pizzuti.
Blog.ilgiornale.t
– (14 ottobre 2022) – Blog di Cristiano Puglisi – ci dice:
Si
intitola “Attacco all’Europa. L’altra faccia della guerra in Ucraina” l’ultimo
libro-inchiesta di Marco Pizzuti (edizioni Il Punto d’Incontro).
Il conferenziere, saggista e già ufficiale
dell’esercito romano, autore prolifico nel ramo della cosiddetta
“contro-informazione” (cioè l’informazione che esce dai circuiti ordinari del
mainstream mediatico), ha voluto dedicare la sua ultima fatica al conflitto che
vede contrapposte Mosca e Kiev.
La scelta del titolo è di per sé
significativa, perché prelude a una lettura della guerra in corso che tira in
ballo, nelle vesti di vittima, anche l’Europa occidentale.
Il testo, peraltro, è uscito quasi
contemporaneamente al recente attentato ai danni del gasdotto North Stream, nel
Mar Baltico, che ha danneggiato forse irreparabilmente quella che Vladimir
Putin, nel discorso di annessione delle regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e
Zaporozhzhia, ha definito “infrastruttura paneuropea“…
“Il
titolo – spiega l’autore – vuole andare subito al sodo e rivelare il vero scopo
di questo conflitto:
rafforzare
l’egemonia USA sull’Europa, indebolendola economicamente e costringendola a
dipendere da Washington e da Wall Street anche per le sue risorse energetiche
primarie.
In tale contesto, non è un segreto che per gli Stati
Uniti, i gasdotti russi North Stream e North Stream 2 erano visti come fumo
negli occhi e andavano chiusi mettendo l’Europa contro Mosca.
Solo
chi è in malafede infatti, può non accorgersi che tutte le sanzioni economiche
contro la Russia hanno un effetto boomerang disastroso sull’economia europea.
Non a
caso, il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire, non ha usato mezzi
termini nel dichiarare quanto segue durante il suo intervento all’Assemblea
nazionale sulla legge di bilancio:
‘Non dobbiamo lasciare che il
conflitto in Ucraina finisca con un dominio economico degli Stati Uniti e un
indebolimento dell’Europa.
Non
possiamo accettare che il nostro partner americano ci venda il suo gas liquido
(Gnl) a quattro volte il prezzo al quale lo vende ai propri industriali’.
Anche il “Quotidiano del Popolo”, la voce
del Partito comunista cinese, ha assestato un duro affondo contro USA, NATO e soprattutto
l’Europa, incapace si sfilarsi dalla stretta americana:
“Gli Stati Uniti stanno usando l’Ucraina come una
pedina sulla loro scacchiera geopolitica, in modo da contenere la Russia,
soffocare l’indipendenza strategica dell’Europa e sostenere la sua egemonia in
declino in Europa.
Gli
alleati europei degli Stati Uniti stanno pagando un prezzo tangibile per la
guerra in Ucraina, come l’afflusso di rifugiati e la carenza di energia.
Tuttavia, gli Stati Uniti, che vantano ricche
risorse di gas e petrolio e si trovano dall’altra parte dell’Oceano Atlantico,
stanno traendo profitti generosi”.
La convenienza degli Stati Uniti in questa
guerra e nella rottura criminale dei gasdotti non è solo lapalissiana ma
addirittura dichiarata:
‘Se la Russia invade, non ci sarà più un North
Stream 2.
Metteremo
fine a questo’, rispondeva il 7 febbraio 2022 il presidente Joe Biden ad un
cronista.
Il giornalista allora chiese espressamente:
‘E
come farete esattamente, visto che il progetto è sotto il controllo della
Germania?’.
La
replica di Biden non lasciò spazio a fraintendimenti:
‘Vi
garantisco che saremo in grado di farlo’.
Qualche
giorno prima, anche Victoria Nuland (sottosegretario di Stato USA) aveva
dichiarato pubblicamente che in caso di invasione russa dell’Ucraina, gli Stati
uniti avrebbero interrotto il gasdotto North Stream 2 ‘in un modo o
nell’altro’.
Con la
scelta di obbedire supinamente alle decisioni di Washington, i governanti
europei hanno deciso di distruggere il proprio Paese e di nascondendosi dietro
la retorica di una guerra giusta da fare a qualsiasi costo”.
In
Occidente la condanna dell’invasione russa è stata unanime.
Subito
dopo il 24 febbraio del 2022, a sentire gli interventi di autorevoli
giornalisti, esperti e opinionisti in diverse trasmissioni televisive, sembrava
che molti ritenessero che, prima di quell’episodio, in Ucraina non vi fosse
alcuna guerra.
Ma era
davvero così? E davvero la Russia si è sentita minacciata?
“La
crisi ucraina – prosegue Pizzuti – è stata deliberatamente provocata dagli
Stati Uniti con il golpe di Maidan, con le enormi pressioni di Washington per
inglobare l’Ucraina nella NATO e con l’ordine di soffocare brutalmente la
legittima rivolta della minoranza russa del Donbass che rappresenta quasi il
40% dell’intera popolazione.
Ma
facciamo un passo indietro:
grazie
alle trascrizioni declassificate degli accordi verbali presi con Gorbaciov e i
successivi presidenti russi, oggi sappiamo che gli Stati Uniti e i suoi
‘alleati’ europei, promisero che a seguito dello smantellamento dell’Unione
Sovietica, la NATO non sarebbe avanzata di un pollice ad est.
Garantirono
inoltre che il Patto Atlantico, avendo perso il suo originario scopo anti
sovietico, si sarebbe trasformato in una struttura di natura politica volta a
favorire la cooperazione e l’integrazione tra i Paesi europei, compresa la
Russia.
Un’Europa
senza la Russia è un Europa monca mentre un’Europa con la Russia acquisirebbe
lo status di prima potenze economica e militare mondiale, un risultato che
l’America non vuole assolutamente.
Le
promesse a Gorbaciov e a Eltsin infatti, non vennero mai rispettate e
Washington fece esattamente l’opposto, mantenendo la NATO e facendovi entrare i
Paesi dell’ex blocco sovietico per collocare minacciosamente le armi nucleari
ad un passo da Mosca.
NATO
significa basi missilistiche USA e per la Russia l’Ucraina rappresenta l’ultimo
“Stato cuscinetto” contro i missili atomici di Washington.
Nel 1962, a parti inverse, Mosca tentò di
installare le rampe delle sue testate atomiche a Cuba, ad un passo dagli Stati
Uniti ma Kennedy intervenne adducendo motivi di sicurezza nazionale.
In quei giorni il mondo sfiorò un conflitto nucleare
ma i sovietici ebbero buon senso e accettarono le richieste di Washington.
Oggi
invece, gli Stati Uniti rischiano di far scoppiare un terzo conflitto mondiale
solo per aumentare il proprio dominio sull’Europa.
Ciò
premesso, ripartiamo dai fatti più recenti:
Dal 1991, anno di indipendenza dell’Ucraina
dalla Russia, gli USA hanno speso almeno 5 miliardi per destabilizzare il Paese
e farlo entrare nella NATO.
Nel
1997, Joe Biden (all’epoca senatore), dichiarò che il modo migliore per
provocare una risposta dura e violenta della Russia era far entrare Lettonia,
Lituania, Estonia nella NATO.
Biden
quindi è perfettamente consapevole del fatto che mettere le basi NATO in
Ucraina significa provocare pesantemente la Russia.
Peraltro,
sempre nel 1997, Brzezinski, l’ex stratega del presidente Carter, ha pubblicato
il libro ‘La
grande scacchiera’, in cui ha spiegato che la strategia USA è inglobare tutti i
Paesi dell’est nella Nato e circondare la Russia in modo sempre più minaccioso.
Ora andiamo ai fatti più recenti:
Nel
2013 Yanukovych, il presidente Ucraino non accettò di entrare nella UE e si
accordò con la Russia per ottenere dei prestiti.
Gli
Stati Uniti allora lanciarono l’operazione ‘Tech Camp’ della CIA per
rovesciarlo con una sommossa.
Nel
2014, durante le proteste di piazza Maidan fomentate dalle ong di Washington,
il senatore USA John McCain e il sottosegretario Victoria Nuland volarono a
Kiev per incitare apertamente alla rivolta.
Successivamente
alcuni cecchini iniziarono a sparare sui manifestanti uccidendo decine di
persone e la colpa venne fatta ricadere su Janukovych che venne prontamente
destituito.
In seguito però è stato scoperto e dimostrato
che in realtà i cecchini erano mercenari georgiani pagati dall’opposizione.
Ben
tre ministri del nuovo governo golpista furono scelti direttamente da
un’agenzia di consulenza di New York finanziata da George Soros, il burattinaio
delle rivoluzioni colorate.
Tra
questi, la statunitense Natalia Jaresco (di origine ucraina) ex dipendente del
Dipartimento di Stato USA che assunse la direzione del ministero delle finanze,
il banchiere Abromavicius, altro ex dipendente del Dipartimento di Stato USA
posto a capo del ministero dell’economia e il georgiano Kvitashvili (ennesimo
uomo di fiducia di Washington) al vertice del ministero della salute.
Le
prime leggi del nuovo governo golpista, pseudodemocratico e filo-americano
misero al bando la lingua russa suscitando le vive proteste della minoranza
russofona che iniziò a chiedere l’approvazione di uno statuto speciale per
poter continuare a parlare la sua lingua sul suo territorio.
Ciò nonostante il fatto che la Convenzione-quadro
per la protezione delle minoranze nazionali di Strasburgo del 1° febbraio 1995
(ratificata dall’Italia con la legge 28 agosto 1997) stabilisce che ‘una società che si vuole pluralista e
genuinamente democratica deve non solo rispettare l’identità etnica, culturale,
linguistica e religiosa di ogni persona appartenente ad una minoranza
nazionale, ma anche creare condizioni appropriate che le consentano di
esprimere, di preservare e di sviluppare questa identità’.
L’art.3
della nostra Cost. vieta discriminazioni della razza, della lingua, della
religione mentre l’art.6 della Cost. recita quanto segue: ‘La Repubblica tutela con apposite
norme le minoranze linguistiche’.
Dopo
il golpe, nella città di Odessa venne organizzata una pacifica manifestazione
di protesta ma le milizie estremiste ucraine aggredirono brutalmente i
partecipanti che cercarono rifugio nel palazzo della Casa dei Sindacati.
Li
furono assediati e il palazzo dato alle fiamme con le bombe molotov.
Il
fumo rese irrespirabile l’aria e alcune delle persone al suo interno, si
arrampicarono sui cornicioni per non soffocare mentre le milizie ucraine gli
sparavano dal basso con il tiro al piccione.
Molti altri disperati si lanciarono dalle
finestre ma appena giunti a terra furono finiti a pistolettate (è tutto
documentato dai filmati mai trasmessi da media occidentali).
Non
ancora soddisfatti, i miliziani ucraini sono entrati nell’edificio e una volta
sfondate le porte dove si erano barricati i manifestanti, li massacrarono.
Tra le
vittime anche una donna in cinta, ritrovata morta legata ad un tavolo con il
fil di ferro.
Dopo
questi fatti, tutte le successive elezioni nel Paese si sono svolte in un clima
intimidatorio del terrore mentre la minoranza russa del Donbass è stata
perseguitata a suon di stupri, torture, espropri e cannonate che sono costate
la vita a 14.000 persone.
Tutto
ciò si è svolto con l’omertosa censura mediatica dei Paesi NATO e quando la
Russia è intervenuta (24 febbraio 2022), le truppe ucraine stavano per invadere
il Donbass per reprimere la minoranza nel sangue”.
Nel
libro si evidenziano diverse “zone d’ombra” relativamente ai circoli di potere
attualmente ai vertici di Kiev.
“Le più inquietanti – spiega Pizzuti –
riguardano direttamente il presidente Joe Biden e suo figlio Hunter che nel
2014, mentre suo padre era vicepresidente con delega speciale per gli affari
ucraini, entrò nel consiglio d’amministrazione della “Burisma”, la maggiore
società a capo delle risorse energetiche del Paese.
Un
gigantesco giro di corruzione che è stato insabbiato dal governo filoamericano
con la rimozione dei magistrati inquirenti”.
Il
saggio di Marco Pizzuti contiene, però, anche una minuziosa ricostruzione delle
tappe di avvicinamento al conflitto ma anche dei rapporti che hanno legato i
circoli atlantici e l’estrema destra ucraina che, sorprendentemente, risalgono
addirittura al periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda guerra
mondiale.
Che
cosa aspettarci dagli Stati Uniti?
Nuovogiornalenazionale.com - Paolo Raffone –
(7 novembre 2022) – ci dice:
Le
élite di ieri sono ontologicamente contrapposte, la vecchia nuova élite
guerrafondaia potrebbe trarne vantaggio rafforzandosi, e la nuova élite guarda
oltre il recinto federale.
Intanto, in otto mesi di guerra in Europa il
dollaro americano si è apprezzato del 25% sulle principali monete mondiali ma
il sistema economico rischia di andare in recessione anche a causa di un’Europa
stanca, privata di autonomia, e sull’orlo del collasso socio-economico.
Perciò,
la Germania di Scholz ha deciso per sé andando a Pechino da sola per cercare di
tutelare i propri interessi economici, vituperati dalle logiche di guerra
americane e dalle assurde bulimie sanzionatorie dell’UE.
La
vecchia geopolitica, quella della potenza euro-atlantica, dovrà recarsi a breve
al G20 in Indonesia dove l’aspetta una sorpresa: il resto del mondo si
organizza per fatti suoi.
Dal
risultato delle elezioni americane di mid-term, e dalle reazioni successive, si
capirà se gli Stati Uniti sono ancora nella possibilità di esercitare
l’egemonia mondiale.
Si
spera che gli Stati europei si sveglino per tempo, seguendo la Germania.
Questa,
almeno per l’Italia, è l’unica via per non chiudere la parte produttiva del
paese.
Le
elezioni di mid-term americane sono ormai alle porte.
Le
proiezioni dei risultati sembrano essere già consolidate a favore dei
Repubblicani che controlleranno la Camera del Congresso e in bilico di
strettissimo margine (1-2 seggi) al Senato (per il quale sono prevedibili
contestazioni che potrebbero sfociare anche in atti incontrollati di violenza
post elettorale).
Ma il
risultato della vera partita si misurerà nel controllo delle posizioni chiave
delle istituzioni federate, cioè nei singoli stati, che determineranno la nuova
mappa del potere della superpotenza americana.
Gli
Stati Uniti sono un paese fondato sul potere laico della legge, statale e
federale, che è applicata dalle Corti supreme attraverso decisioni
costituzionali che, ad iniziare dalla Corte federale, sono sempre più orientate
ad un rispetto “letterale” delle norme costituzionali (lo abbiamo visto in
materia di dispute elettorali, sull’aborto, sull’immigrazione, ecc.).
Il paese è profondamente diviso in un
elettorato molto polarizzato e una società, notoriamente discretamente armata,
composta di esaltati irriducibili per l’una o l’altra fazione politica: due
visioni politiche alternative di “essere americani” e due movimenti
trasversali.
Una
guerra civile senza eserciti che si divide in quattro campi: Lib-Dem;
Conservatori; Neo-Con; Transumanisti.
Cerchiamo
di capire chi sono i contendenti:
Liberal-Democratici
(Lib-Dem),
principalmente tra i sostenitori del Partito Democratico Usa (e del BBB-Build
Back Better),
con
sfumature diverse tra gli irriducibili libertari di sinistra (socialisti antiautoritarii e
antistatali come gli anarchici, specialmente gli anarchici sociali, ma più in
generale i comunisti/marxisti libertari e i socialisti libertari) e i neoconservatori progressisti (techno-green, antimilitaristi,
favorevoli al green-deal e alla spesa sociale, orientati al mercato, del tipo
John Kerry, Chuck Hagel, Barak Obama), cioè coloro che sostengono il sistema attuale di potere
costruito attorno alla finanza tradizionale (Wall Street e molte delle banche
d’affari che controllano i media mainstream e le politiche green), il complesso militare-industriale
(MIC) e gli apparati di sicurezza, il rafforzamento del welfare state attraverso
operazioni distributive in deficit sostenute anche dalla FED (sostegni
economici e sociali, educazione, salute), l’industria tradizionale
fossile-metallurgica-agroalimentare, sostenitori del big government, e il
mantenimento dell’egemonia mondiale puntando sul dominio “giusto” della libertà
e della democrazia (la sottomissione dell’Europa è l’esempio lampante).
Conservatori, principalmente tra i sostenitori del
Partito Repubblicano, con sfumature diverse tra gli irriducibili “anti-sistema” (seguaci di Donald Trump e del
MAGA-Make America Great Again) e “democratici” che incarnano il trumpismo senza Trump
contiguo
dei libertari di destra (sostenitori dell'anarco-capitalismo e del monarchismo, sostengono il capitalismo del
laissez-faire e forti diritti di proprietà privata come la terra, le
infrastrutture e le risorse naturali, a favore delle libertà civili,
dell'individualismo, della legge naturale, dei diritti negativi, del
capitalismo di libero mercato, del
principio di non aggressione e di un importante capovolgimento del
moderno stato sociale), cioè, nell’insieme rappresentato nella Conservative Political
Action Conference (CPAC) – cara a Giorgia Meloni - coloro che sostengono il necessario
cambiamento del sistema di potere attuale:
decoupling
finanza tradizionale/politiche statali e MIC/apparati di sicurezza,
riallineamento delle politiche industriali agli interessi nazionali
(re-shoring), liberalizzazione dell’informazione (senza vincoli editoriali per i
social media, ad esempio), conservatismo costituzionale (e dei “valori” fondativi della
federazione americana), opposizione alle politiche di deficit per il sostegno al
welfare e alle politiche green-deal, contrari al big government, e per il
rafforzamento dell’egemonia americana possibilmente attraverso accordi
pragmatici bilaterali riducendo espliciti vincoli ideologici.
Neoconservatori
(neo-Con),
dalle origini dei disillusi Democrats degli anni ’60 il viaggio ideologico dalla sinistra
antistalinista al campo del conservatorismo americano è approdato negli anni
duemila –
nell’era della dottrina Bush-Cheney – al dichiarato sostegno della
promozione della democrazia e dell'interesse nazionale americano negli affari
internazionali, anche per mezzo della forza militare e dell’inibizione preventiva
(pre-emptive force, abbandonando il principio conservatore di non aggressione),
e sono noti
per sposare il disprezzo per il comunismo e per il radicalismo politico.
La
trasversalità politica è la cifra dei neoconservatori.
La
loro trasversalità è divenuta esplicita con Barack Obama che ha fatto campagna
per la nomination democratica nel 2008 attaccando i suoi avversari, in
particolare Hillary Clinton, per aver originariamente appoggiato le politiche
di guerra in Iraq di Bush, ma una volta presidente ha mantenuto una selezione
di importanti funzionari militari dell'amministrazione Bush, tra cui Robert
Gates (segretario alla Difesa di Bush) e David Petraeus (generale di Bush in
Iraq).
L’avvento
nel 2016 di Donald Trump ha segnato una svolta tra i neoconservatori.
Robert
Kagan (marito della nota Victoria Nuland tra gli artefici di Maidan nel 2014 e
oggi influente membro del team Biden) insieme ad altri esponenti della
sicurezza nazionale, preoccupati per la deriva isolazionista all'interno del
Partito Repubblicano, decisero di sostenere Hillary Clinton.
In
effetti, i “democratici Usa” hanno accolto a braccia aperte figure come Kagan e
il suo collega estremista neocon Max Boot, preparando il terreno per dove siamo
oggi.
Dopo
aver interiorizzato l’equivalente in politica estera dell'agenda economica del
GOP – interiorizzando il paradigma fondamentalista del mercato ad opera di
Democratici come Bill Clinton, Robert Rubin, Barack Obama e Timothy Geithner -
gli interventisti democratici e i carrieristi Blob siedono alla destra di Biden
- come Antony Blinken, Nicholas Burns, Susan Rice, Samantha Power e Michele
Flournoy – mentre da nessuna parte nell'ambito della politica estera di Biden
troviamo figure mainstream che avvertono dei pericoli di una nuova guerra
fredda con la Russia o la Cina o dei problemi più ampi posti dalla propensione
generale dell'America verso il militarismo.
In realtà, Biden fa esattamente il contrario.
Il
riavvicinarsi di una possibile candidatura di Trump nel 2024 non potrà avere se
non l’effetto di consolidare il blocco di potere neocon nel Partito Democratico, e quindi radicalizzarne ulteriormente
la politica estera e di difesa.
Transumanisti,
nati nella forma moderna alla fine degli anni ’50 (Julian Huxley) sono in
continua evoluzione in una varietà di declinazioni concettuali e filosofiche:
Transumanesimo
democratico,
un'ideologia politica che sintetizza democrazia liberale, socialdemocrazia,
democrazia radicale e transumanesimo;
Equalismo, una teoria socioeconomica basata
sull'idea che le tecnologie emergenti metteranno fine alla stratificazione
sociale attraverso una distribuzione uniforme delle risorse nell'era della
singolarità tecnologica;
Estropianismo, una prima scuola di pensiero
transumanista caratterizzata da una serie di principi che sostengono un
approccio proattivo all'evoluzione umana;
Immortalismo, un'ideologia morale basata sulla
convinzione che l'estensione radicale della vita e l'immortalità tecnologica
siano possibili e desiderabili, e che sostiene la ricerca e lo sviluppo per
garantirne la realizzazione;
Transumanesimo libertario, un'ideologia politica che
sintetizza libertarismo e transumanesimo;
Postgenderismo, una filosofia sociale che cerca
l'eliminazione volontaria del genere nella specie umana attraverso l'applicazione
di biotecnologie avanzate e tecnologie di riproduzione assistita;
Postpoliticismo, una proposta politica transumanista
che mira a creare uno "stato postdemocratico" basato sulla ragione e sul
libero accesso delle tecnologie di potenziamento alle persone;
Singolaritarismo, un'ideologia morale basata sulla
convinzione che una singolarità tecnologica sia possibile e che sostiene
un'azione deliberata per attuarla e garantirne la sicurezza;
Tecnogaianismo, un'ideologia ecologica basata sulla
convinzione che le tecnologie emergenti possano aiutare a ripristinare
l'ambiente terrestre e che lo sviluppo di tecnologie alternative, sicure e
pulite dovrebbe quindi essere un obiettivo importante degli ambientalisti.
Si è
lontani dall’umanesimo dantesco (il “transumanar” nel I cantico del Paradiso),
ma i anche transumanisti moderni, come avvenne a Dante vedendo Beatrice,
propongono di andare oltre l’umano, oltrepassare la condizione di uomo,
spingersi oltre, diventare “di più” e percepire qualcosa di sublime.
Tra le
due guerre mondiali, progetti transumanisti ispirati a teorie eugenetiche
dell’uomo nuovo furono tentati da sistemi totalitari (nazismo e comunismo) con
gli esiti catastrofici che conosciamo.
I transumanisti contemporanei non rassomigliano in nulla
a questi predecessori.
Sul
piano filosofico, sociologico e politico, i transumanisti d’oggi costituiscono
un movimento trasversale che, come avvenne per la nascita dei neo-Con, si pone
in antitesi con l’ordine mondiale impostosi (ad opera dei gesuiti) nel XVI
secolo e rivendicano la “libertà” di collegamento assiale (cara a Carl Jaspers)
a livello planetario.
Una
libertà che oggi le tecnologie accrescono e accelerano per migliorare le
condizioni dell’intero genere umano e potenziarne le capacità finora
inespresse.
Non si tratta di filosofia distopica o di futurismo.
Infatti, è facile rintracciare molti elementi
transumanisti integrati nell’azione politica e sociale soprattutto in area
Lib-Dem Usa, e particolarmente tra i libertari di sinistra.
Nonostante la diversa collocazione politica dei
transumanisti, in prevalenza tra i libertari di destra e di sinistra, e alcune
formazioni in partiti politici, nell’insieme hanno in comune l’obiettivo di
cambiare le legislazioni vigenti dettate dalla vecchia geopolitica attraverso la meta-legislazione che è la
governance (globale) e di influenzare profondamente una nuova generazione di
pensatori che vogliono osare immaginare i prossimi passi dell’umanità
(Humanity+, è un think tank globale).
Le
iniziative globali sostenute da famose personalità pubbliche e da alcuni
governi vanno in questa direzione, ad esempio (non esaustivo):
Global
Health (Bill
Gates; UE, Cina);
SpaceX, Neuralink, OpenAI, Twitter (Elon Musk & partners; vari
governi occidentali);
PayPal,
Palantir Technologies, Breakout Labs (Peter Thiel; numerosi governi nel mondo);
Meta (Mark Zuckerberg);
World
Economic Forum-WEF di Davos (Klaus Schwab; HARARI e numerosi governi e
compagnie nel mondo).
La
deriva di Sanremo e non solo
: ecco
cosa si cela dietro
il
“Blackout” dell’Occidente.
Blog.ilgiornale.it
– blog di Cristiano Puglisi – (16 – 2 - 2023) – ci dice:
Numerose
sono le polemiche che hanno visto come protagonista il recente Festival di
Sanremo.
Nel
mirino dei critici sono finiti i contenuti ad alto tasso
ideologico-propagandistico (e spesso di dubbio gusto) che hanno dominato la
scena di quella che ufficialmente è ancora (o, per lo meno, avrebbe dovuto
essere) la più importante manifestazione canora nazionale.
Tuttavia
non è una grande novità:
l’intera
produzione culturale occidentale sembra attraversata da una crescente mancanza
di originalità e, per contro, da una sempre più invadente presenza
dell’ideologia promossa da una parte (evidentemente molto influente) delle
élite dell’Ovest del mondo.
Un’ideologia
di cui si parla ampiamente nell’ultimo libro della saggista ed economista
Ilaria Bifarini, intitolato “Blackout“.
Un saggio che è già divenuto un caso di
successo.
“Il
festival della musica italiana – spiega l’autrice – già da tempo megafono della
propaganda neo progressista, quest’anno ha raggiunto uno dei suoi picchi di indecorosità,
icasticamente rappresentato dalla simulazione di un atto sodomitico tra Fedez e
uno dei cantanti in gara, andato in onda in prima serata davanti a un pubblico
composto tradizionalmente da famiglie.
Siamo
di fronte al dilagare di un’ideologia dissacratoria, nichilista e
autodistruttiva, che disprezza l’essere umano e le leggi della Natura e cerca
di rovesciarle in tutti i modi, negando le identità di genere, la
genitorialità, il senso della misura e del limite etico.
Come spiego nel mio ultimo saggio, si tratta di un
mostro partorito dal liberalismo occidentale (Dem Usa), giunto all’apice del
nichilismo, che rifiuta ogni legame col passato, i canoni estetici e le
tradizioni culturali.
Ne
troviamo piena espressione nella furia iconoclasta della “cancel culture”, che si abbatte sui personaggi e i
simboli della cultura occidentale e rilegge la storia secondo una lente
colpevolizzante, per cui all’uomo bianco, etero, istruito, appartenente ai
Paesi industrializzati, viene imputata la colpa di ogni male, reo di nefandezze
e soprusi verso le minoranze.
Queste
ultime, finalmente risvegliatesi, dovranno ora ottenere il proprio riscatto,
arrivando al paradosso di teorizzare una dittatura delle minoranze, dei
diversi, come predica la wokeness (Teoria Woke).
Allo
stesso modo la questione ambientale si trasforma in violento fanatismo, divenendo un culto
penitenziale ed espiatorio, basato sul dogma inconfutabile dell’origine antropica (ossia
dell’Uomo) del cambiamento climatico, con un autolesionismo da parte
dell’Occidente, in particolare dell’Europa, che altrove lascia sconcertati.
Il
comune denominatore di questa ideologia totalizzante, catechizzata dalle élite globaliste
in chiave gnostica e propagandata dal mainstream, è proprio il paradosso, il
cortocircuito logico e cognitivo, un blackout mentale appunto.
Siamo
di fronte a un oscuramento dello spirito e della ragione, che minaccia la
sopravvivenza della nostra civiltà”.
L’utilizzo
dei media per veicolare gli schemi concettuali del pensiero dominante non è una
novità.
Solo
che, rispetto al passato e a quanto avviene ad altre latitudini, l’impressione
è che, in questo caso, si promuovano sempre più insistentemente, piuttosto che dei
valori atti a conservare un certo tipo di status quo, dei disvalori
nichilistici totalmente distruttivi.
Nel
mondo della cosiddetta controinformazione c’è anche chi parla addirittura di un
culto luciferino delle élite occidentali (e dei “Dem” in generale).
Solo complottismo?
“Il
paradosso – prosegue Ilaria Bifarini – consiste proprio in questo: una parte
della popolazione, sebbene per fortuna non maggioritaria come si vorrebbe far
credere, ma che purtroppo comprende le nuove generazioni, aderisce come fosse una religione a
un’ideologia che predica distruzione, annichilimento e depauperamento, sia
spirituale che materiale.
Alla
base c’è una visione misantropica e malthusiana, che trova espliciti
riferimenti nella vasta letteratura dei club mondialisti e delle stesse
organizzazioni internazionali, nonché dei cosiddetti filantropi (ultra ricchi).
Per
scelta metodologica sono molto attenta a non cadere in possibili ricostruzioni
dietrologiche o sensazionalistiche e riporto sempre le fonti delle analisi nei
miei saggi.
Effettivamente
esiste una matrice luciferina, che ritroviamo come filo conduttore nel pensiero
dell’élite globalista e che ormai è stata sdoganata senza pudore dalla narrazione
predominante, come testimoniato dall’esibizione di simboli e messaggi espliciti
da parte del mondo dello spettacolo, addirittura in prima serata sul palco
dell’Ariston.
Un
esempio lampante dell’influenza di questo credo tra le organizzazioni
internazionali è rappresentato dalla “Lucis Trust” (derivazione di “Lucifer Trust”), associazione a carattere filantropico
e spirituale che si ispira dichiaratamente al culto di Lucifero e ha una stretta
collaborazione con l’ONU, che le riconosce uno statuto di organo consultivo, con
varie istituzioni che si occupano di formazione e invita i suoi adepti a seguire gli
incontri del Forum di Davos, di Klaus Schwab e Harari, designando i componenti quali ‘Membri illuminati del Gruppo dei
Servitori Mondiali’ che operano per un bene superiore.
Il nemico dichiarato, come testimoniato anche
dalle pubblicazioni del Club di Roma, è la religione cristiana, che deve adeguarsi al nuovo spirito
dei tempi.
Bergoglio
da questo punto di vista ha attuato un’apertura senza precedenti, tanto che la
stessa “Lucis Trust” ne elogia l’operato”.
Esiste
un rapporto tra queste concezioni del mondo e il “Grande Reset”, di cui hai
parlato in un tuo precedente libro?
“Decisamente.
Il
Grande Reset di Davos non va interpretato soltanto come il tentativo, per
fortuna scongiurato, almeno per ora, di attuare un governo bio-totalitario su
scala mondiale basato sul terrorismo pandemico.
È un progetto più ampio, che prevede un rafforzamento
della cooperazione tra pubblico e privato, tra governi, grandi multinazionali e
filantrocapitalisti per realizzare una nuova visione del mondo, da sempre
portata avanti dall’élite globalista (Riccastri + Dem Usa).
Il potere e il carattere inedito di questa
ideologia suicidaria che abbiamo delineato consiste nella capacità di penetrazione
nell’opinione pubblica, forte di una macchina della propaganda e di una schiera di
personaggi del mondo politico, industriale e dello spettacolo che se ne fanno
portatori.
Non
solo prezzolati del sistema, ma veri e propri ipnotizzati, che hanno perso la
facoltà di discernere la realtà dalla finzione, come sosteneva Hanna Arendt.
Rispetto
ai totalitarismi del passato non c’è però alcuna promessa di sviluppo, di
benessere o di gloria, ma al contrario si predica la rinuncia, la cancellazione
della storia, della cultura e persino della bellezza, in nome di un futuro di
decrescita, economica e demografica, e di degradazione morale.
Anche
l’introduzione in Occidente dell’”entomofagia”, l’alimentazione a base di
insetti, rientra in questa deriva ideologica sacrificale.
In
cambio viene offerto il diritto di scegliere chi siamo, se uomo, donna o
‘altro’, in una società totalmente liquida, nei legami e nelle identità.
Per
fortuna, come dicevo, è un’ideologia di fatto minoritaria, nonostante la grande
risonanza mediatica e la colonizzazione di tutti gli ambiti della cultura e
della formazione.
Il
rischio per le generazioni a venire però è enorme”.
L’impressione
che chiunque provi ad avanzare una narrazione differente rispetto a quella,
sempre più folle e fanatica, propagandata dal mainstream si esponga al rischio
di una rigida e soverchiante censura, con ovvie conseguenze professionali,
sociali ed economiche, è piuttosto forte.
Forse è per questo che, di fronte a vere e
proprie aberrazioni come quelle andate in scena sul palco dell’Ariston (basti
pensare al volgare siparietto “fluido” tra Fedez e Rosa Chemical durante
l’ultima serata), nel corso di un evento pagato con i soldi dei contribuenti, anche quei pochi che ancora
percepiscono l’assurdità di tutto ciò non trovano il coraggio di opporsi?
(Ilaria
Bifarini).
“Questa
è la grande arma di difesa della narrazione: la censura, sempre più
onnipervasiva e capillare, adoperata contro chiunque osi mettere in dubbio il
discorso predominante.
È il
caso dei social network:
dapprima
hanno consentito a personaggi fuori dal coro di condividere la propria visione
critica, raggiungendo un pubblico impensabile prima di allora, poi gli stessi padroni del discorso
(pensiamo a Zuckerberg, che detiene una quota spropositata del settore) hanno
avviato delle vere e proprie purghe, per cui è impossibile per chi è finito nel
mirino della censura persino digitare determinate parole, come Covid, vaccino o
gender, senza incappare nell’implacabile algoritmo.
Così,
chi non ha voce all’interno del mainstream, come in “1984” può essere
vaporizzato da un momento all’altro per sempre.
A me è
successo con “Linkedin”, il cui profilo è stato cancellato definitivamente per
aver riportato che l’aspirina evitava le ospedalizzazioni per Covid.
Proprio
durante il totalitarismo pandemico abbiamo avuto la massima dimostrazione di
come sia impossibile per chiunque rivesta un ruolo di visibilità pubblica
discostarsi dalla narrazione dominante:
nessuno, neanche i più audaci dissidenti,
hanno mai dichiarato in televisione di non essersi vaccinati.
Si trattava di infrangere un tabù fatale,
sarebbero stati probabilmente lapidati in pubblico, o semplicemente non sono
stati ammessi nei salotti televisivi neanche per interpretare il fatidico ruolo
di capro espiatorio.
Emblematico,
e triste, il caso della cantante Madame: se vuoi rimanere nel giro devi
cospargerti il capo di cenere e incolpare persino i tuoi genitori.
Contestare
Sanremo per un artista equivale a condannarsi all’ostracizzazione perenne, così
come per un giornalista o un opinionista.
Tuttavia,
la 2sinistra radical chic e neo-progressista2 (riccastri + “Dem” italiani) che
è andata in scena all’Ariston dovrebbe emanciparsi dalla propria supponenza di
superiorità morale e intellettuale e non sottovalutare la disertazione delle
urne nei giorni successivi da parte del suo elettorato”.
Clamorosa
Inversione
di Marcia per il Ministro
della
Salute tedesco Lauterbach:
Ora
ammette Danni
“sconcertanti” e
Profitti “esorbitanti”.
Conoscenzealconfine.it
– (17 Marzo 2023) – Redazione – ci dice:
Le
cose non stanno andando molto bene per il ministro della Salute Karl Lauterbach
a quanto pare.
I suoi
indici di gradimento sono crollati e non twitta quasi più.
Sempre più spesso evita del tutto gli
argomenti virologici, probabilmente per sfuggire all’incessante derisione che
suscita ogni sua osservazione su questo fronte.
Sabato, le cose sono peggiorate ulteriormente
per lui:”
Welt” ha riportato la notizia che nel 1997 aveva falsificato il suo CV mentre
si candidava per una cattedra a Tubinga.
Dal governo
di coalizione, da cui si sarebbe aspettato una vigorosa difesa già l’anno
scorso, c’è solo un assordante silenzio.
Sotto
queste nubi, nei giorni scorsi Lauterbach ha concesso un’intervista al
programma statale “ZDF Heute Journal”, per uno speciale sui danni da
vaccino.
Nel
corso della notevole conversazione, Lauterbach è stato incalzato e costretto a
smentire le sue precedenti affermazioni del 2021, secondo cui i vaccini fossero “privi
di effetti collaterali”; ha riconosciuto che ogni danno è una lesione di troppo
e ha definito questi casi “sconcertanti”; ha paragonato la cosiddetta “sindrome
post-vaccinazione” al Long Covid;
ha sottolineato di non essere responsabile
della negoziazione dei contratti che escludono le aziende farmaceutiche dalla
responsabilità;
e per
due volte ha definito i profitti delle aziende farmaceutiche “esorbitanti”,
concordando sul fatto che queste aziende dovrebbero finanziare un istituto per
aiutare coloro che sono stati danneggiati dai loro prodotti.
Non si
tratta di un’inversione totale:
Lauterbach
non denuncia la vaccinazione di massa e non mette in discussione le stime
ufficiali massificate che indicano un tasso di danni gravi inferiore a 1 su
10.000.
Siamo
più vicini all’inizio che alla fine di un processo costante di ripudio.
Tuttavia,
questo è un grosso segnale.
Poiché
l’intervista sarà estrapolata in modo selettivo, ecco la traduzione integrale:
Christian
Sievers del giornale “ZDF Heute” (d’ora in poi S): Il Ministro federale della Sanità
è qui con noi. Grazie e buonasera, signor Lauterbach.
Karl
Lauterbach (in seguito L): Buonasera, signor Sievers.
S:
Cosa dice a coloro che sono stati colpiti da danni da vaccino?
L:
Prima di tutto, quello che è successo a queste persone è assolutamente
sconcertante, e ogni singolo caso è uno di troppo.
Sinceramente mi dispiace molto per queste
persone. Ci sono gravi disabilità, alcune delle quali saranno permanenti.
Quindi è difficile.
Come
Stato facciamo in modo che le compagnie di assicurazione sanitaria paghino i
costi del trattamento e, beh, gli Stati federali si faranno carico dei costi di
sostegno, se è necessario.
Ma in
realtà abbiamo problemi da entrambe le parti, perché non abbiamo ancora i
farmaci per il trattamento
La ricerca è in corso.
Anche
il diritto ai sussidi è spesso molto lento a causa della burocrazia. Quindi
capisco davvero le persone che si lamentano adesso.
S: Ora
lei fa sembrare che sia tutto risolto. Ma quando si parla con queste
persone, si sente esattamente il contrario.
Un
anno di lotte, di continui rifiuti – molti funzionari semplicemente non credono
loro, a volte non ricevono mai una risposta, e poi, dopo aver fatto tutta la
trafila per ottenere il riconoscimento delle loro lesioni da vaccino, tutto ciò
che ricevono è una piccola somma.
Non
può essere tutto ciò che lo Stato ha da offrire a queste persone in questo
momento, vero?
L:
Assolutamente no, e non voglio dare questa impressione, perché non è così che
vedo le cose.
Questi
casi devono essere riconosciuti più rapidamente, queste lesioni da vaccino, e
ora stiamo lentamente ottenendo un quadro più chiaro.
Ma
devo anche precisare, per non dare un’impressione errata, che le lesioni gravi
da vaccino si verificano in meno di 1 vaccinazione su 10.000, secondo
l’Istituto Paul Ehrlich o le autorità europee preposte al rilascio delle
licenze.
Quindi
non è così comune.
Ma
poiché la nostra comprensione di questi danni sta diventando sempre più chiara,
in futuro dovrebbe essere possibile identificare più rapidamente le persone
colpite, in modo da poterle aiutare più rapidamente.
S:
Perché lei, signor Lauterbach, nell’estate del 2021 continuava a sostenere che
i vaccini non avessero effetti collaterali?
L:
Beh, è stata un’esagerazione che ho fatto una volta in un tweet incauto. Ma non
era fondamentalmente la mia posizione. Avevo già commentato molto, molto
spesso gli effetti collaterali delle vaccinazioni. Per esempio, ho…
S: Ma
in seguito lei ha spesso affermato che gli effetti collaterali sono
praticamente inesistenti. Lo ha ribadito anche nel (talk show televisivo) Anne Will. Quindi, lei ha sempre dato
l’impressione che gli effetti collaterali non fossero affatto un problema.
L:
Beh, non è così, come ho appena detto.
All’epoca
ero a conoscenza delle cifre, che sono rimaste relativamente stabili. Questi
vaccini sono stati utilizzati in tutto il mondo, 1 su 10.000 (si infortuna).
Ma il
vaccino protegge davvero da malattie gravi e, tra l’altro, molto spesso riduce
anche il rischio di Long Covid.
Questo
è simile a ciò di cui stiamo parlando qui, con la sindrome post-vaccinale,
quindi per le vaccinazioni – c’è un beneficio superiore, ma è vero, 1 su 10.000 è la
frequenza di effetti collaterali gravi.
S: Ora
sono in corso le prime cause contro la “BioNTech” e anche contro altri
produttori di vaccini.
Come
pensa che andranno le cose?
L: Non
posso fare ipotesi, non è il mio lavoro. Come ministro devo essere prudente.
È vero
che nell’ambito di questi contratti dell’UE, le aziende sono state ampiamente
esentate dalla responsabilità e che quindi la responsabilità ricade sullo Stato
tedesco, per così dire, come appena descritto, sugli Stati federali… ma la cosa
più importante è che, guardando al futuro, abbiamo bisogno di cure, e quindi
istituirò un programma con il Ministero della Salute, in cui indagheremo sulle
conseguenze del Long Covid, e anche sulla sindrome Post-Vaccinale, in cui
esamineremo questo aspetto e miglioreremo le cure. È un contributo che possiamo
dare.
S:
Quando accadrà tutto questo, in termini concreti? Sono proprio le persone
colpite che subiscono tutti questi ritardi a volerlo sapere.
L: È
vero, ma sto negoziando con la commissione per il bilancio, e in effetti è un
programma che vorrei lanciare il prima possibile, e sono in trattative per
ottenere questi fondi.
Quindi
è un’iniziativa che dobbiamo portare avanti, è un obbligo, e metterebbe in rete
gli esperti del settore in modo tale da aumentare le probabilità di una buona
terapia in Germania.
S: Lei
ha appena menzionato l’esonero dalla responsabilità per le aziende
farmaceutiche.
Significa che le aziende farmaceutiche
possono, per così dire, rilassarsi in tutte queste cause, perché lo Stato si è
assunto il rischio.
Quindi
è lo Stato – cioè voi, il governo federale – a dover rispondere di eventuali
richieste di risarcimento danni.
Le sembra una buona idea?
L:
Cosa significa rilassarsi?
Prima
di tutto, non ho negoziato i contratti; per quanto riguarda il mio ufficio, li
ho ereditati, e credo che sia stato a causa della situazione di allora quando
la gente voleva ottenere i vaccini il più rapidamente possibile, e così lo
Stato si è assunto la responsabilità.
Forse è stata la cosa giusta da fare, perché è
meglio per lo Stato essere responsabile piuttosto che dover affrontare lunghi
accordi o cause con le aziende.
S: Ma abbiamo
appena visto quanto sia difficile ottenere denaro dallo Stato. Cosa pensa che
succederà ora?
Pensa che alla luce della situazione, per
esempio, le aziende farmaceutiche potrebbero mettere volontariamente dei soldi
in una fondazione? Sarebbe un’idea se non avessero alcuna responsabilità?
L:
Sarebbe sicuramente una buona idea se le aziende mostrassero la volontà di dare
una mano, perché i profitti sono stati esorbitanti, esorbitanti.
Quindi
non sarebbe solo un bel gesto, dovremmo aspettarcelo.
Ma mi
chiedete: cosa succederà dopo?
Direi che lo scenario ottimistico è che
finalmente impariamo a gestire la sindrome di Long Covid e Post-Vaccinale, e
che inoltre saremo in grado di riconoscere i casi più velocemente, in modo che
le persone non debbano aspettare così a lungo per essere riconosciute come
affette da sindrome Post-Vaccinale.
S: È
una promessa del Ministro federale della Sanità, Karl Lauterbach.
Grazie
mille per l’intervista di questa sera.
L:
Grazie a voi.
Anche
i Media tedeschi fanno Autocritica.
E c’è
chi ha già iniziato a chiedere scusa ai propri lettori per quanto detto,
sbagliando, durante la pandemia.
In un
editoriale, il caporedattore del settimanale tedesco “Der Spiegel”, Alexander Neubacher si
è detto preoccupato
“per
la facilità con cui le libertà civili sono state sospese nella nostra presunta
società liberale.
Ora
sappiamo che molte misure pandemiche erano prive di senso, eccessive, illegali.
Non è
stata una pagina gloriosa, nemmeno per noi media”.
Neubacher
ha ammesso che, nei primi mesi dall’esplosione della pandemia, in molti avevano
iniziato a guardare alla Cina come a un modello da imitare, con tante persone a
sostenere “la strategia Zero Covid chiedendo alla politica di agire con una
chiusura radicale dell’economia e della vita pubblica.
In
effetti, molte libertà sono state poi gravemente limitate”.
Il Der
Spiegel ha ricordato i tanti divieti introdotti recitando il mea culpa per non
essersi schierato contro le restrizioni.
Il tutto,
proprio nei giorni in cui la Corte costituzionale del Brandeburgo ha sancito
che la legge municipale di emergenza Covid “violava la Costituzione dello Stato
in quanto minava la separazione dei poteri».
Secondo il Der Spiegel, «nessuno di noi può chiamarsi fuori
da quella vergogna, nemmeno i media che amavano vedersi come il quarto
potere”.
(pickline.it/2023/03/15/mea-culpa-della-germania-su-vaccini-e-restrizioni/)
(eugyppius.com/p/karl-lauterbach-in-substantial-reversal)
(eventiavversinews.it/clamorosa-inversione-di-marcia-per-il-ministro-della-salute-tedesco-lauterbach-ora-ammette-danni-sconcertanti-e-profitti-esorbitanti/)
Soros, perché il finanziere è il nemico
numero
uno dei sovranisti.
Ilsole24ore.com
- Riccardo Barlaam – (13 ottobre 2018) – ci dice:
Soros
si arrende e lascia l'Ungheria, troppa repressione.
Donald
Trump lo accusa in quella che sembra una sorta di caccia alle streghe: c’è
sempre lui dietro le quinte quando c’è qualcuno che protesta.
Lo ha fatto lo scorso week-end per i cortei
delle donne davanti a Capitol Hill contro la nomina del giudice Brett Kavanaugh
alla Corte Suprema.
Il
fedelissimo del presidente Rudy Giuliani lo ha definito addirittura
l’anti-Cristo. George Soros, a 88 anni suonati, miliardario americano di
origini ungheresi, attivista politico, filantropo e investitore dal fiuto
leggendario, raider tra i primi al mondo, è diventato da un po’ di tempo lo
spauracchio dei sovranisti.
Qualche
mese fa, nel febbraio 2018, ha deciso di donare 18 miliardi di dollari alla sua
“Open Society Foundation”, la fondazione sulla «società aperta», ed è rimasto
con un patrimonio netto di «soli» 8 miliardi di dollari.
Sopravvissuto
all’occupazione nazista in Ungheria, tolti i panni dell’investitore con il suo “Soros
Fund Management”, negli ultimi tempi Soros è diventato un attivista politico a
tutto tondo e il principale finanziatore dei movimenti e delle cause dei
progressisti in tutto il mondo, in quella che Steve Bannon, ispiratore del trumpismo
della prima ora, ha definito «l’Internazionale dei progressisti».
Tra il
1979 e il 2011 si stima che Soros abbia donato oltre 11 miliardi di dollari
alle più varie iniziative sociali e civili per ridurre la povertà, favorire la
formazione dei giovani più disagiati con borse di studio e università in tutto
il mondo. Ma anche per sostenere le iniziative del fronte progressista (Liberal
Dem Usa).
Il
«globalista» che crede nel libero mercato.
Breitbart
News, la società di Bannon che produce documentari politici al veleno, lo ha bollato
come un «globalista», perché Soros è a favore del libero mercato e della
globalizzazione e non ha cambiato idea negli ultimi tempi.
Lui, Soros, che spesso cita il filosofo Karl
Popper e il suo testo fondamentale por la storia delle dottrine politiche,
quella Società aperta e i suoi nemici di cui è un grande estimatore oltreché
studioso, ha deciso di entrare nell’arena delle battaglie politiche a tarda
età, nella fase finale della sua vita dopo decenni di attività finanziarie in
prima linea e di attività filantropiche per le comunità.
È
diventato un simbolo vivente di ciò che non piace ai movimenti di estrema
destra ed è divenuto il punchball dei movimenti populisti in tutto il mondo.
La sua
idiosincrasia verso nazionalismo e populismo, la difesa di cosmopolitismo,
mercati aperti e immigrati nascono come risposta a quanto sta succedendo in
Ungheria, nel suo paese d’origine, nell’era post comunista di Victor Orban,
quella sovranità a tutti i costi che va a scapito della tradizionale attenzione
a istituzioni sovranazionali come l’Unione europea vieppiù bistrattata.
Un sentimento che è cresciuto nei Paesi
dell’Est Europa, in Polonia, in Scandinavia e nei Balcani.
Bannon, l’ex ispiratore delle politiche di
Trump, sta cercando di organizzare le forze di questa internazionale populista
e sovranista transeuropea in ottica proprio contraria a quanto faccia
Soros con la sua attività filantropica sostenendo i rifugiati e il loro diritto
di asilo.
Due visioni del mondo contrapposte.
«È una
guerra», ha spiegato Bannon qualche mese fa in un’intervista radiofonica. «Una
guerra per il controllo. Soros e le altre Ong lottano, ci distruggeranno».
Insomma,
il finanziere filantropo è diventato così il simbolo vivente del male, di
quello che agli occhi di Bannon è il contrario dell’affermazione del
sovranismo, inteso come micidiale mix di xenofobia, individualismo fatto
istituzione, guerre commerciali e protezionismo e ostilità alle organizzazioni
internazionali nate dopo la Seconda guerra mondiale per mantenere la pace in Occidente
finora.
Soros, sopravvissuto al nazismo, non lo ha
dimenticato.
E si
batte per difendersi da questo vento di destra che soffia forte negli ultimi
tempi nei due lati dell’Oceano.
Per questo lo odiano tutti i sovranisti.
Il
denaro è
la radice di ogni male?
Jw.org
– Redazione – (10-1-2023) – ci dice:
La
risposta della Bibbia.
No. La Bibbia non dice che il denaro sia
qualcosa di sbagliato e non lo identifica come la causa di tutti i mali.
Alcuni
affermano: “Il denaro è la radice di ogni male”, ma questa è una citazione
incompleta e fuorviante della Bibbia.
La
Bibbia infatti dice che ‘l’amore del denaro è la radice di ogni tipo di male’
(1 Timoteo 6:10).
Cosa dice la Bibbia del denaro?
Perché la Bibbia dice di stare in guardia
rispetto all’amore del denaro?
Perché è vantaggioso seguire i consigli della
Bibbia sul denaro?
Versetti biblici a proposito del denaro.
Cosa dice la Bibbia del denaro?
La Bibbia riconosce che, quando vengono usati
con saggezza, i soldi possono essere utili, e possono perfino essere “una
protezione” (Ecclesiaste 7:12).
Inoltre,
la Bibbia parla positivamente di chi dimostra generosità verso il prossimo, e
questo può includere anche donare del denaro (Proverbi 11:25).
Al tempo stesso, la Bibbia mette in guardia
chi pone il denaro al centro della sua vita.
La
Bibbia infatti dice:
“Il
vostro modo di vivere sia libero dall’amore del denaro, e accontentatevi di
quello che avete” (Ebrei 13:5).
La lezione che possiamo trarre è quella di
tenere i soldi al giusto posto e di non rincorrere la ricchezza.
Dovremmo
invece imparare ad accontentarci delle cose davvero necessarie, come cibo,
vestiti e un tetto sulla testa (1 Timoteo 6:8).
Perché la Bibbia dice di stare in guardia rispetto
all’amore del denaro?
Le persone avide non otterranno la vita eterna
(Efesini 5:5).
Un
motivo è che l’avidità è una forma di idolatria, o di falsa adorazione
(Colossesi 3:5).
Un
altro motivo è che le persone avide, nel tentativo di ottenere quello che
desiderano, spesso abbandonano i giusti princìpi.
“Chi si affretta ad accumulare ricchezze non
rimarrà innocente”, dice Proverbi 28:20.
Chi è
avido potrebbe arrivare a commettere dei crimini, come ricatti, estorsioni,
frodi, rapimenti e perfino omicidi.
Anche quando l’amore del denaro non porta a un
comportamento sbagliato, può comunque avere altre conseguenze negative:
la Bibbia dice che “quelli che sono decisi a diventare
ricchi cadono in tentazione, in una trappola e in molti desideri insensati e
dannosi”
(1 Timoteo 6:9).
Perché è vantaggioso seguire i consigli della
Bibbia sul denaro?
Non scendere a compromessi dal punto di vista
morale o spirituale per amore del denaro porta le persone ad avere rispetto di
sé e a ottenere il favore e il sostegno di Dio.
A coloro che cercano sinceramente di
piacergli, Dio promette:
“Non ti lascerò né ti abbandonerò mai” (Ebrei
13:5, 6).
Promette inoltre che “l’uomo fedele riceverà
molte benedizioni” (Proverbi 28:20).
Versetti biblici a proposito del denaro.
Ecclesiaste
7:12: “Il
denaro è una protezione”.
Cosa
significa: Quando
il denaro è usato con saggezza può essere utile perché dà una certa sicurezza.
Luca
12:15: “Anche quando si è nell’abbondanza, la vita non dipende dalle cose che
si possiedono”.
Cosa
significa: Il
denaro non è la cosa più importante nella vita e non contribuirà alla salvezza.
1
Timoteo 6:10: “L’amore del denaro infatti è la radice di ogni tipo di male, e facendosi
prendere da questo amore alcuni si sono sviati dalla fede e si sono procurati
molti dolori”.
Cosa
significa: Il denaro in sé non è qualcosa di sbagliato. Ma le persone che amano il denaro,
che ne fanno il centro della loro vita, subiranno delle conseguenze negative
come una famiglia infelice o problemi di salute a motivo del troppo lavoro.
Ebrei
13:5: “Il vostro modo di vivere sia libero dall’amore del denaro, e
accontentatevi di quello che avete”.
Cosa
significa: Invece di ricercare la ricchezza a tutti i costi, chi si accontenta
di avere quello che è davvero necessario dimostra saggezza.
Matteo
19:24: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che
un ricco entri nel Regno di Dio”.
Cosa
significa: Gesù aveva appena invitato un giovane uomo ricco a seguirlo. L’uomo
rifiutò perché era troppo attaccato a quello che possedeva.
Gesù perciò lo mise in guardia: chi ritiene che la ricchezza sia più
importante di Dio rischia di perdere la vita eterna.
ESSERE
‘PATRIOTA’, OSSIA
LA
VERITÀ DELLA PATRIA.
Centrostudilivantino.it – Prof. Mauro Ronco –
(DIC 27, 2021) – ci dice:
Anticipiamo
su questo sito l’articolo di apertura del numero di L-Jus 2-2021, di imminente
uscita, a firma del prof Mauro Ronco.
Traendo
spunto dal controverso uso nelle ultime settimane del termine ‘patriota’, il
presidente del Centro studi Rosario Livatino approfondisce il senso autentico
della Patria:
perché essa non è assimilabile ad alcun
nazionalismo, ma va invece correlata alla pietas e alla giustizia.
1. Le
virtù di religione e di pietas.
Nelle
scorse settimane, sollecitato dalle parole di un importante esponente politico
italiano, si è acceso un dibattito sulla patria e sul patriottismo che mi
induce a esporre una mia riflessione.
Quando
la Nazionale italiana sconfisse quella germanica 4 v. 3 in un’epica partita dei
Campionati mondiali di calcio del 1970 in Messico, l’intero paese fu incendiato
da un fuoco di entusiasmo incontenibile.
Lo stesso accadde l’estate scorsa, quando la
Nazionale italiana di calcio batté l’Inghilterra nella finale dei campionati
europei.
L’entusiasmo esprimeva qualcosa di istintivo,
presente nell’animo di moltissimi, tendenzialmente predisponente al bene, non
un bene in sé stesso.
La tendenza buona può dare frutti buoni
soltanto se incanalata in condutture atte a dissodare il terreno, arido e
pietroso, su cui vive attualmente il popolo italiano.
L’attaccamento
istintivo alla patria può invece diventare vizioso se si degrada in
nazionalismo aggressivo verso le altre patrie, invidioso del bene che esse
posseggono.
Se il patriottismo è assunto dalla ragione
come vocazione per il bene comune, diventa virtù.
Da
inclinazione naturale si trasforma nella virtù primaria che costituisce la base
per il progresso di ogni società umana: la giustizia.
La
giustizia, secondo il fulgido dictum di Ulpiano, è la costante e incrollabile
volontà di dare a ciascuno il suo.
Sant’Ambrogio ha completato la massima romana
nel modo seguente:
“la
giustizia è quella virtù tramite cui si dà a ciascuno il suo; non si rivendica
ciò che è di altri; si dimentica l’utilità individuale e si custodisce la
comune equità.
Il “suum”
è ciò che spetta a ciascuno.
A ciascuno spetta anzitutto il “suum”, cioè
l’amore e il rispetto, in primis a coloro che ci hanno donato la vita.
Nel
riconoscimento che ciascuno fa di questo “suum” si radicano le virtù
specialissime della religione e della pietas.
Come
dobbiamo ai genitori la pietas, che è reverenza, rispetto, deferenza,
assistenza, amore, come insegna il primo comandamento della seconda Tavola, così dobbiamo una forma analoga di pietas
agli antenati che hanno dato forma alla piccola porzione di mondo in cui siamo
nati, nonché
a tutti coloro che hanno fatto parte e appartengono tutt’oggi alla medesima
terra.
Anch’essi hanno infatti a noi elargíto – e
elargiscono ancor oggi – i doni di cui si alimenta la nostra vita.
La
pietas verso la patria è un prolungamento della pietas verso i genitori.
Il 1°
Comandamento della seconda Tavola ordina: “Onora tuo padre e tua madre, come il
Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sii felice
nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà”.
La
felicità, a cui tutti naturalmente aspiriamo, si dà in un luogo segnato dai
confini del dono di Dio e della storia degli avi.
Non si
dà in qualsiasi luogo e in qualsiasi modo, ma soltanto onorando, cioè amando e
rispettando i propri genitori, i propri antenati e la propria patria.
In quel luogo è meno arduo coltivare
l’amicizia con il prossimo.
Dio è l’unico cui va l’adorazione, cioè
l’amore e il timore congiunti, per la sua trascendenza infinita e il suo amore
gratuito e misericordioso per ciascuno di noi; ci si rivolge e ci si unisce
però a Dio non da soli, ma con gli amici più cari.
Costoro
sono quelli che condividono l’amicizia più alta e disinteressata, l’amore
comune per il bene di tutti.
2. Il
dinamismo della patria. – Il patrimonio della patria non va soltanto usato e
sfruttato, bensì emendato nei suoi vizi di formazione e accresciuto in qualità
e quantità.
La
parabola dei talenti si applica anche in chiave analogica alle società.
Servo malvagio e infingardo è colui che, per
avarizia e accidia, nasconde il talento ricevuto dal padrone, restituendoglielo
intatto, senza nulla aver compiuto per farlo fruttificare.
Parimenti
sono governanti malvagi e infingardi coloro che dissipano il patrimonio della
patria;
coloro
che, per ignavia, lo conservano soltanto nella sua materialità;
coloro che non lo fanno fruttificare per il
servizio di Dio, del popolo governato e dell’umanità.
Guai
ai governanti che dissipano il patrimonio morale della patria.
Sollecitati dal venerabile Pontefice Pio XII a
riscoprire, dopo la calamità della guerra, la vera grandezza della patria
italiana allo scopo di diffonderne i tesori morali nel mondo intero, ci si è
reclusi nel recinto dell’arricchimento materiale, gettando allo sbaraglio le
vere ricchezze:
la
pietà dei cittadini; la castità delle madri; la fecondità dei matrimoni; la
sobrietà dei costumi; la cura per i figli; l’assistenza generosa agli anziani e
ai malati; l’ospitalità agli stranieri;
l’inesauribile
dedizione al lavoro dei padri, come se queste cose fossero fardelli inutili da
lanciare giù dalla barca, affinché essa corresse più veloce sulle ali della
secolarizzazione, cioè del distacco da Dio e dalla sua legge.
Ho
sempre odiato la truce e oscena commedia all’italiana che ha infestato le sale
cinematografiche e gli schermi televisivi per irridere i costumi popolari,
amplificandone i vizi, ignorando le virtù civiche e sociali e disprezzando le
virtù morali, soprattutto la laboriosità e il risparmio a favore dei figli e
dei nipoti, nonché la disponibilità al sacrificio delle genti d’Italia.
Non
pochi, soprattutto ai piani alti della società, compiacendosi del disprezzo
lanciato verso l’ethos italiano ignominiosamente contraffatto, ne
approfittavano per dettare al popolo le massime di una morale laica,
consistente nell’avvicinarsi al pragmatismo intransigente dell’anglosassone, o
alla tetraggine professionale del germanico, o alla volubilità del francese di
Parigi o all’oscuro conformismo dell’homo sovieticus generalizzato dal
comunismo nel mondo.
Lo
scadimento delle virtù ha assunto caratteri drammatici.
La
temperanza è stata dileggiata a ogni livello sociale; la fiacchezza ha preso il
posto della fortezza nelle autorità preposte alla tutela dei valori presi
d’assalto;
la giustizia è stata ferita dall’improprio
lassismo di una criminologia critica che ha abbandonato l’approccio realistico
al diffondersi della violenza e della frode nel corpo vivo della società.
Gli uomini politici, nella loro generalità, salvo
ovviamente qualche rara eccezione, sono rimasti asserragliati nei fortini delle
istituzioni, intenti a molestarsi tra loro, improvvidi nei rapporti con i governi
stranieri, senza ritegno nell’adattarsi ai loro desideri, non rivendicando a
titolo di merito la laboriosità del popolo italiano.
L’esistenza
della patria non è fissata staticamente nel passato.
È un’eredità che dobbiamo continuamente
rinnovare per consegnarla alle generazioni future.
La patria è una realtà viva, la cui esistenza continua
solo se la coltiviamo con zelo affinché i figli e i nipoti e i pronipoti
possano ancora abitarla felici.
Come
accade per le risorse materiali, che, appena crediamo di possederle davvero, ci
sono già sfuggite, così è per il patrimonio della patria, che, appena crediamo
di averlo nelle mani per sfruttarlo appieno, si sottrae alla nostra
disponibilità.
Il patrimonio della patria si perde se non
viene continuamente arricchito.
3. La
custodia della patria. –
La patria va anche difesa. La guerra si
combatte in modo ancora convenzionale, per fortuna oggi lontano dai nostri
confini. La
guerra contemporanea è divenuta asimmetrica, comportando l’uso di metodologie
innovative, rispetto a cui non è semplice approntare gli adeguati mezzi di
difesa.
Nel
mondo globalizzato, senza confini rigidi fissati dal territorio, i più
aggressivi nemici della patria sono gli immensi oligopoli dell’industria
digitale, dell’informazione, del divertimento e del commercio.
Costoro
distruggono le radici della patria – delle patrie – con un odio che sembra
voler annichilire la rete delle relazioni personali che nutrono la vita
spirituale e materiale dell’uomo:
la
famiglia, il municipio, il mestiere, l’impresa, la città, lo Stato.
Essi
si presentano anonimamente, nella vita quotidiana, persino nelle nostre case,
tramite le televisioni e gli smartphone per sedurci con le apparenze più banali
e attrarci con le trivialità più sguaiate, trattando offensivamente coloro che
riescono a evidenziare le menzogne, come se fossero propalatori di odio,
secondo la nota tecnica rivoluzionaria dell’inversione dell’accusa.
L’unico
rimedio è diffondere inesorabilmente la verità dei fatti e richiamare costantemente
le fantasticherie al confronto con la realtà, animando le energie intellettuali
di coloro che sono consapevoli che il vero, il buono, il giusto e il bello sono
sotto scacco.
Il servizio alla verità è essenziale.
Non è
detto che l’asservimento della patria ai seduttori non possa finire.
La via
di risalita è stretta e impervia, molto travagliata e faticosa, ma non è vano
impegnarsi con lo studio instancabile e con la maggiore energia morale
possibile per contestare la disinformazione e far risplendere la verità.
4. Gli
idoli che vanno abbattuti. –
Un
idolo tenebroso della modernità è la concorrenza libera dei mercati economici e
finanziari esercitata senza alcun controllo dell’autorità pubblica.
La
prima fase del liberalismo dal 1789 al 1914 ha segnato il dominio dell’usura
sul lavoro,
con la terribile crisi sociale mirabilmente denunciata nelle sue cause dal
Pontefice Leone XIII nella famosa Enciclica del 1893 Rerum novarum.
Passata
la fase totalitaria, comunista e nazionalsocialista della vita politica e
trascorso in occidente un breve periodo di progresso economico e sociale
diretto alla costruzione di un welfare che elevò le classi inferiori delle
società a un dignitoso benessere, la liberalizzazione dei mercati economici e
finanziari ha
eretto l’idolo della concorrenza al vertice della piramide dei valori della
comunità internazionale.
L’ambizione
è oggi ancora più superba di un tempo, poiché è diretta a creare un subdolo e
iniquo rapporto tra gli uomini, discriminandoli tra pochissimi padroni e una
moltitudine di servi, questi ultimi ridotti a consumatori dipendenti dai beni
materiali e, molto spesso e con invasività crescente, dai vizi inoculati e
indotti della pornografia, della droga e del gioco d’azzardo.
L’Unione
Europea ha fatto della concorrenza lo strumento principale della sua politica
economica, trascurando
il fatto che, se la concorrenza è assolutamente libera, vince inesorabilmente
chi è in grado di investire nella produzione e nel commercio il maggior volume
di denaro possibile, abbassando i costi della produzione e della
commercializzazione, soprattutto riducendo all’osso il costo del lavoro e
svilendo la qualità del prodotto.
Gli
operatori più piccoli e poi medi e poi grandi del mercato spariscono.
Gli
oligopoli, in “concorrenza” tra loro – questo tipo di concorrenza basta ai
globalisti della mondializzazione per sostenere che il mercato è libero – comprimono il costo del lavoro,
riducono enormemente il costo dei fornitori, aumentano i prezzi dei prodotti
finali e impoveriscono il corpo sociale, che diventa progressivamente più
dipendente dai conglomerati multinazionali.
I
quali ultimi traggono ulteriori vantaggi dalle asimmetrie dei regimi tributari
dei vari Stati, localizzando i centri direzionali del business nei luoghi
fiscalmente più convenienti o più disponibili alla trattativa sul volume degli
imponibili e sulle aliquote di prelievo.
La
nostra patria non deve genuflettersi innanzi all’idolo della concorrenza.
La concorrenza senza regole è il luogo in cui domina
l’usuraio.
La famosa direttiva europea Bolkestein
rappresenta, a duecento anni di distanza, l’equivalente della legge Le
Chapelier che, nel 1791 abolì in Francia i mestieri e il rispetto della qualità
del prodotto, nonché la protezione dell’apprendistato.
Anche
allora la parola d’ordine era favorire la concorrenza.
I
mestieri proteggevano la qualità e formavano gli apprendisti. Se in precedenza era obbligatorio
rispettare determinati parametri per ciascun tipo di prodotto, perché non fare
lo “stesso” prodotto senza rispettarli?
Perché non lasciare che il mercato fosse
invaso, a ogni livello, da prodotti di qualità deteriore, che costavano meno,
ma si consumano più in fretta, costringendo i poveri a indebitarsi per
rinnovare continuamente i prodotti e rimpinguando i produttori che non
rispettano i parametri di qualità, sfruttando la mano d’opera a basso costo dei
bambini e delle donne e trasformando gli apprendisti, che imparavano il mestiere sulle
orme dei maestri, in operai costretti a un lavoro massificato?
I
sindacati operai si ricostruirono dopo un lungo periodo di assenza su basi
classiste e socialiste per dar voce alla protesta contro lo sfruttamento
spietato che il liberalismo industrialista aveva esercitato per tutto il secolo
XIX nel processo di accumulazione primaria diretto a realizzare la rivoluzione
industriale.
Nel secondo dopoguerra, dopo le devastanti
guerre mondiali e l’oppressione dei totalitarismi, i sindacati sono riapparsi e
hanno svolto, sia pure inquinati in Italia da un rapporto malsano di dipendenza
col Partito Comunista, un compito prezioso in difesa del lavoro.
Convertitosi
il comunismo in liberalismo aggressivo, i sindacati sono stati emarginati e
i lavoratori sono rimasti privi di tutela, non difendendo più alcuno il
dignitoso welfare da loro raggiunto nell’ultima parte del secolo scorso.
Allo
sconcerto che ciò sia accaduto con l’apporto determinante delle forze politiche
di sinistra, il sociologo tedesco Wolfgang Streeck ha dato una risposta
condivisibile:
l’internazionalismo ideologico, avverso
all’idea di patria e al primato dello Stato, è stato usato dalla Sinistra
politica per togliere qualsiasi controllo democratico sulla politica economica
neoliberale in nome di un malinteso cosmopolitismo, che identifica la globalizzazione
con la liberalizzazione non solo del capitale, ma soprattutto della vita in
generale, determinando
una situazione in cui si è creduto di compensare il declino dei diritti sociali
con l’estensione dei diritti di libertà individuale [non sempre conformi alle verità
dell’uomo].
Il
secondo idolo è la privatizzazione delle imprese ad alto livello tecnologico e
a intensa concentrazione di capitale.
Vi
sono nel mondo contemporaneo dei servizi essenziali per tutta la società,
svolti attraverso l’uso di tecnologie costosissime, che non possono non essere
di proprietà dello Stato o di enti esponenziali degli interessi dei cittadini.
Ciò per varie ragioni.
Ma,
soprattutto, perché
i) essi sono essenziali per la
sopravvivenza dell’intera comunità, e non debbono essere lasciati nella
incertezza del calcolo economicistico dell’utilità dei privati; perché
ii) richiedono investimenti immensi,
proiettati nell’arco di decenni, che l’imprenditore privato non è in grado di
prevedere, di realizzare e di mantenere e perché
iii) implicano l’attribuzione e la
gestione di quote sovrabbondanti di potere economico – e, dunque, anche
finanziario e politico – che, se affidate a privati, squilibrano in modo
irreparabile il rapporto tra i cittadini e la politica, rendendo irrilevanti le
istituzioni di rappresentanza popolare versus il potere politico;
iv) perché gli squilibri eccessivi di potere
generano fenomeni incontrollabili di clientelismo e di corruzione.
L’ente
pubblico, che agisce istituzionalmente nell’interesse di tutti deve poter
controllare la proprietà e l’esercizio di questi servizi.
Si
pensi alla gestione delle risorse idriche, delle risorse energetiche, delle
reti infrastrutturali che consentono e favoriscono le comunicazioni e i
trasporti.
Questi
beni appartengono alla patria.
Sottrarli
alla sua disponibilità, sul pretesto che l’esercizio pubblico non è conveniente
economicamente o che i funzionari pubblici sono disonesti, costituisce un vero e proprio crimine
di Stato.
Nell’epoca
dell’abbuffata delle privatizzazioni (1992-2008), non pochi predatori
comprarono a prezzo vile pezzi pregiati dell’industria italiana, per poi
rivendere a gruppi stranieri, a prezzi moltiplicati, gli assets che avevano
acquistato.
Se in
quegli anni il Tesoro avesse venduto anche le Ferrovie dello Stato ai capitani
coraggiosi, ora che esse sono state riportate a leader mondiale del trasporto
persone su treno grazie all’intelligenza e alla bravura di managers pubblici,
di lavoratori qualificati e all’impiego di investimenti pubblici, non troveremmo neanche più le rotaie,
perché i privati le avrebbero rottamate a beneficio del rilancio dell’industria
automobilistica.
Nessun
dovrebbe dimenticare la privatizzazione di Telecom (la “madre di tutte le
privatizzazioni”) – il primo passo fu la decisione del governo Ciampi del 1997,
presa su pressione europea – vicenda in cui venne oltrepassata di gran lunga la
soglia della decenza economica, giuridica e morale.
La società a controllo pubblico costituiva un
gioiello economico di primordine, competitore a livello internazionale in un
settore caratterizzato da uno sviluppo innovativo travolgente.
Fu
oggetto di una rapina devastante, grazie a un” leveraged by out” compiuto con
l’OPA del febbraio 1999, che face ricadere sul patrimonio di Telecom il
rimborso ai finanziatori dell’operazione.
Il
Financial Times definì l’operazione di conversione delle azioni “una rapina in
pieno giorno.
Il risultato dell’intera operazione sul piano
economico fu:
“Un
saccheggio da 60 miliardi, così i capitalisti senza capitali hanno distrutto un
intero settore”.
Nei
rapporti internazionali la nostra patria è stata precipitata, per codardia,
ignavia e ingenuo arrendismo, a partire dal Trattato di Maastricht del 1992 (7
febbraio 1992), in una serie di istituzioni di cui ha perso ogni controllo,
lasciando la guida agli Stati più potenti e attrezzati finanziariamente ed
economicamente.
La
classe politica italiana si presentò a quell’appuntamento nel più completo
disfacimento, sottoposta ai colpi di maglio di una magistratura inquirente che
rivendicava il suo ruolo di giustiziere dei mali d’Italia (“Mani pulite”).
Peraltro,
la classe politica che aveva fino ad allora detenuto le leve del governo non
aspettava altro che di ricevere alimento di vita dal Partito Comunista, che
stava compiendo un vero suicidio volontario assistito – grazie all’aiuto
dell’ipercapitalismo mondialista – per trasformarsi nel partito radicale di massa, vero
motore della modernizzazione globalista, allo scopo di governare il paese.
L’istituzione
europea cambiò con Maastricht struttura, governance e mission.
L’ingresso
nella nuova Europa richiedeva una classe dirigente attrezzata sul piano
culturale, storico e giuridico, nonché preparata ad affrontare dinamiche
finanziarie ed economiche di straordinaria complessità.
In
quel periodo, invece, dopo “Mani pulite”, l’Italia politica era distratta da
una farsesca contrapposizione tra i liberali di destra, che sostenevano Silvio
Berlusconi, e i liberali di sinistra, impegnati coralmente nel denunciarlo
all’Europa come molestatore impertinente dello Stato di diritto con le riforme
ad personam.
Assopiti
nel sonno, fantasticando di un’Europa inesistente, i governanti non si
accorsero neppure che i rapporti politici stavano cambiando al suo interno in
modo radicale.
Al consolidamento economico-finanziario della
Germania, che, soprattutto dopo l’unificazione, era in grado di operare come un
gigante industriale, trovando nelle regioni orientali del continente spazi
immensi di crescita, faceva da contraltare lo statuto internazionale della
Francia come potenza vincitrice della guerra, componente di diritto del
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e detentrice di una forza atomica
militare.
Quando
nel 2009 il premier italiano Silvio Berlusconi, che aveva stretto con l’arte
dell’intrigo e della seduzione un rapporto personale con il dittatore libico,
allo scopo di proteggere la rete industriale dell’ENI in quel territorio,
facendo al contempo della Libia un antemurale delle ondate di migranti dal
Centro Africa verso l’Europa, il Presidente della Repubblica francese, in spirito di
“amicizia” con il nostro paese, abbatté, nel più completo disprezzo del diritto
internazionale, il governo libico, facendone uccidere da un suo killer il
dittatore, e scompaginò il tessuto delle imprese industriali italiane in quel
territorio.
Esse, peraltro, avevano assicurato il
progresso economico del partner africano e la leadership dell’ENI nel mercato
del petrolio.
Molti nostri governanti, taluni insigniti
della” Legion d’Honneur”, hanno assecondato la politica francese per accrescerne
le sfere di influenza nella politica, nella finanza, nell’industria e nel
commercio.
Ben poco è stato compiuto per frenare a
livello diplomatico questo scivolamento progressivo verso la neutralizzazione
politica della nostra patria e verso il suo asservimento agli altri partner
europei.
Non
siamo forse tutti insieme nell’Europa?
Non
apparteniamo forse tutti alla medesima Europa?
Non ci
ha assicurato l’Europa la pace?
Non
sembra che i governanti degli altri paesi la pensino così.
I veri
patrioti hanno di fronte a sé oggi un compito imponente: ripristinare la serietà della
politica e operare nel confronto internazionale, soprattutto europeo, per
valorizzare le potenzialità di progresso del nostro Paese che non deve essere
schiacciato in forza di regole finanziarie artificiose che giovano ai più forti
e impoveriscono i più deboli.
5.
Conclusione.
–
La
patria va difesa come un bene che Dio ci ha donato e che i nostri antenati
hanno trasformato in un giardino meraviglioso.
Forse
che non ci sono stati grandi combattenti per la giustizia e l’onore in Italia?
Alla Montagna Bianca la vittoria arrise all’esercito cattolico perché i
picchieri napoletani costrinsero con le picche alzate i cavalieri imperiali in
rotta a ritornare in prima fila e capovolgere le sorti della battaglia;
a
Lepanto sulle navi di Spagna erano in gran numero i marinai e i soldati napoletani,
e vi erano le navi da guerra genovesi, veneziane, sabaude, toscane e romane.
E come non ricordare che a Otranto nel 1480,
dopo il massacro degli uomini e dei ragazzi della città, gli ottocento
cristiani scampati, rifugiatisi nella Cattedrale, furono trascinati su un colle
accanto alla città e decapitati?
Morirono
impavidi sotto la scimitarra mussulmana.
Non vi
furono abiure o tradimenti, nonostante la promessa del comandante turco Gedik
Ahmet Pascià di far salva la vita a chi si fosse convertito alla religione di
Mohammed.
I loro resti sono ancora là, come un esercito
schierato a battaglia, nella cappella laterale destra della stupenda Cattedrale
di Otranto, a testimonianza dell’eroismo che i nostri antenati seppero
dimostrare in difesa della patria.
La
vita in questa terra è una lotta, contro il nostro egoismo, anzitutto, e poi
contro gli ostacoli che l’esistenza ci riserva ogni giorno, non impropriamente
definita valle di lacrime nella preghiera alla Vergine del Salve Regina.
La
vita è lotta contro il male che si insinua in noi e che inquina le azioni
nostre e degli altri.
La
vita è lotta contro il Nemico che ci seduce e ci accusa e che detesta la gioia
e la felicità, nostra, dei nostri fratelli e dei nostri figli.
A
questa lotta appartiene anche l’impegno di custodia della patria.
Un
patriottismo ben inteso, come unione forte e coerente delle volontà più
limpidamente motivate a difendere la patria contro l’assalto interno ed
esterno, è, in certi momenti, indispensabile.
Non vi
è libertà del cittadino se non è libera la sua patria.
Allorché
un popolo smarrisce la virtù di religione e abbandona il culto dovuto
pubblicamente a Dio;
disprezza
la propria tradizione storica;
si
diverte a farsi beffe dei costumi degli antenati;
irride alle tragedie della propria terra o si
compiace delle sue difficoltà;
invita
gli stranieri a infliggere ferite alla propria economia o alla propria
stabilità finanziaria;
ebbene,
in quel momento un gruppo determinato di uomini e donne può e deve offrirsi
come baluardo ultimo di resistenza, offrendo la propria stessa vita per
scongiurare l‘abominio della desolazione, nella certezza che ogni sofferenza
per il bene del popolo è offerta di un sacrificio a Dio nostro Signore.
Nella testimonianza per Dio e per la patria
sono custoditi i semi dei nuovi cristiani.
Come
raccontano i libri sacri, il martirio dei sette fratelli Maccabei e della loro
intrepida madre fu la pietra angolare, nel II secolo avanti Cristo, della
vittoria del giudaismo contro il deturpamento della sua fede, nonché della
morte del persecutore Antioco Epifane e della purificazione del tempio.
Che
sia così anche per noi in quest’ora oscura per la nostra patria.
(Prof.
Mauro Ronco)
Il
mondo questa settimana.
Limesonline.com – Luigi Caracciolo – (20/01/2023)
– ci dice:
La
Crimea sul piatto nella guerra d’Ucraina, il ruolo della Turchia, l’accordo
Francia-Spagna, la Cina in Africa…
Il
riassunto geopolitico degli ultimi 7 giorni.
(Analisi
di Agnese Rossi, Daniele Santoro, Federico Petroni, Luciano Pollichieni,
Orietta Moscatelli).
GUERRA
D'UCRAINA, SCONTRO USA-TURCHIA, CINA IN NORDAFRICA, FRANCIA.
CRIMEA
SUL PIATTO.
[di Orietta Moscatelli]
Gli
Stati Uniti hanno messo sul piatto della guerra in Ucraina la Crimea: potremmo
aiutare gli ucraini a riprenderla, hanno detto diversi funzionari
dell’amministrazione americana al New York Times.
L’ipotesi prospetta alla Russia lo scenario
che porterebbe il conflitto in Ucraina alla dimensione “esistenziale” tanto
citata dal presidente Vladimir Putin, ma con deboli riscontri sul teatro
bellico e presso l’opinione pubblica russa.
Annessa
senza colpo ferire nel 2014, la penisola sul Mar Nero che ospita la base
dell’omonima flotta è oggi ampiamente integrata nella Federazione e un attacco
equivarrebbe a un’offensiva aperta contro Mosca.
Per
Putin la Crimea rappresenta il fulcro di una politica di recupero della potenza
russa che i suoi concittadini a lungo hanno sottoscritto come voluta e dovuta,
mentre faticano a comprendere perché si debbano inviare centinaia di migliaia
di uomini a combattere per il Donbas, men che meno per Kherson e Zaporižžja.
Perdere
Sebastopoli e dintorni per il Cremlino concretizzerebbe la sconfitta senza
appello, significherebbe l’inizio della disgregazione dello Stato, il caos,
l’implosione del regime.
L’uso
dell’arma nucleare tattica diventerebbe un’opzione reale.
La
Crimea russa a oggi è, o piuttosto era, l’unica modifica della carta geografica
europea che gli americani avrebbero ipotizzato come accettabile nei contatti
riservati con Mosca, continuati nei mesi di guerra.
L’indiscrezione
mediatica ha scatenato a Mosca il dibattito tra analisti, ultrà della guerra e
più o meno ispirati ideologi come Aleksandr Dugin, che ha evocato «la fine dei
tempi».
Molti
parlano di provocazione, l’opinione prevalente è che Washington stia sondando
il terreno per verificare le reazioni russe.
E per avvertire che una nuova offensiva su
ampia scala cancellerebbe ogni possibilità di congelare il conflitto,
alternativa a un reciproco e potenzialmente fatale logoramento, sia per
l’Ucraina che per la Russia.
Poche
ore prima della pubblicazione dello scenario del New York Times sulla Crimea,
Putin aveva parlato di «vittoria certa», attribuendo la sua sicurezza alla
«solidarietà e l’unità del popolo russo, il coraggio dei nostri soldati […] e
il lavoro del nostro settore militare-industriale».
Implicita
la possibilità di una nuova mobilitazione per sbilanciare la dinamica bellica a
favore della Russia.
I riferimenti alla bomba atomica sono arrivati
invece puntuali da Dmitrij Medvedev, numero due del Consiglio di sicurezza e
numero uno della propaganda anti-occidentale, piazzato a ricordare agli Usa
quando su di lui puntavano per un reset sulla testa di Putin.
Washington
probabilmente vuole sondare anche gli alleati europei, divisi tra gli
entusiasti della guerra sino alla sconfitta russa – Polonia e Baltici – e i
timorosi delle conseguenze economiche e quindi sociali di un conflitto
perdurante.
Nel Vecchio Continente, latitudine di Parigi e
di Berlino in particolare, ci si preoccupa molto anche del futuro della
Federazione, sconfinato territorio eurasiatico punteggiato da circa 6 mila
testate nucleari.
E i
russi si curano di alimentare la riflessione: la Francia è da settimane nel
mirino della propaganda bellicistica, l’Italia è bersagliata dalle invettive
diplomatiche del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e dei suoi
dipendenti.
Lavrov
nella conferenza stampa di bilancio del 2022 ha dichiarato stupore «nel vedere
come l’Italia diventi un leader del fronte antirusso».
Mosca
registra tuttavia speranzosa gli indugi italo-francesi rispetto alla richiesta
di ulteriori invii di armi all’Ucraina, in particolare il sistema antimissile
Samp/T prodotto in consorzio dai due paesi.
L’ambasciata
russa a Roma ha sostenuto che sono stati catturati dei missili anticarro
italiani Milan, ora assegnati ai battaglioni prorussi che combattono nel Donbas
contro gli ucraini.
Tutto
da verificare, ma il messaggio è chiaro: se arriva il Samp/T, la Russia troverà
il modo di impossessarsene e carpirne i segreti.
USA-UCRAINA.
[di Federico Petroni]
Vista
da Washington, la notizia sulla possibilità di dare agli ucraini le armi a
lunga gittata richieste per condurre attacchi sulla Crimea è un classico
dell’approccio americano alla guerra d’Ucraina.
L’obiettivo
dichiarato della Casa Bianca non è la riconquista militare della penisola,
bensì far vedere alla Russia che il suo controllo può essere messo a rischio.
Per
capire questo messaggio, bisogna osservare il resto della comunicazione che
esce in questi giorni dagli Stati Uniti.
Da
gennaio, il governo è molto loquace su una nuova controffensiva ucraina in
preparazione con l’aiuto americano:
si parla di piani condivisi, si inviano armi
sempre più potenti, si sbandierano persino intento tattico e obiettivo, cioè
attaccare Zaporižžja o vicinanze con una formazione corazzata per spezzare il
ponte terrestre tra la Russia e la Crimea.
Per
indurre un’indebolita Mosca a trattare davvero.
Può
essere disinformazione, per confondere i piani di Mosca per una prossima
offensiva (data come probabile, vista la visita del capo della Cia a Kiev).
Però è
in linea, come detto, con l’atteggiamento sin qui dell’amministrazione Biden,
molto attenta a non superare la propria linea rossa, cioè innescare una
destabilizzazione interna alla Russia che possa allargare il conflitto o
indurre i moscoviti a gesti inconsulti. In questo caso, si danza molto vicino
all’orlo del vulcano, non ancora dentro.
A
motivare questa accelerazione (non rivoluzione) sono tanti fattori, fra cui:
il vantaggio numerico dei russi e i loro
attacchi alle infrastrutture rendono insostenibile alla lunga l’attuale tipo di
guerra per gli ucraini;
tutti
gli alleati europei chiedono, chi per un motivo e chi per l’altro, una svolta
nel 2023;
la
sensazione che il rischio di uso dell’arma nucleare sia stato diminuito da una
sorta di intesa con la Cina a contenere il conflitto.
USA VS
TURCHIA
[di Daniele Santoro]
L’incontro
a Washington tra il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu e il
segretario di Stato americano Antony Blinken ha confermato che le relazioni tra
Turchia e Stati Uniti restano in una fase interlocutoria, inchiodate a dispute
tattiche che a meno di clamorosi (ma non del tutto improbabili) colpi di scena
difficilmente verranno risolte prima delle elezioni presidenziali in Turchia,
che Erdoğan intende anticipare al 14 maggio 2023.
A
tenere banco, come avviene ormai da mesi, sono state le questioni degli F-16 e
del consenso di Ankara all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato.
Per quanto la maggioranza del Congresso non
condivida probabilmente la posizione massimalista dell’ex consigliere per la
Sicurezza nazionale John Bolton, che ha perorato un intervento della Nato a
favore dell’opposizione turca, è alquanto inverosimile che Washington foraggi
la campagna elettorale di Erdoğan consegnando alla Turchia i nuovi aerei da
guerra e le componenti per la modernizzazione di quelli già in possesso dell’aeronautica
turca prima delle elezioni.
Specularmente,
è altrettanto improbabile che in assenza dell’estradizione dei 130 “terroristi”
chiesta dal presidente turco la Grande assemblea nazionale rimuova il veto
all’adesione di Stoccolma e Helsinki all’Alleanza Atlantica prima dello
scioglimento pre-elettorale.
Lo
stallo è destinato a prolungarsi fino alla verosimile vittoria di Erdoğan nelle
consultazioni presidenziali.
A meno
che la manovra levantina di Ankara non spinga la superpotenza a fare il primo
passo, inducendo i turchi a reciprocare la cortesia.
A inizio febbraio 2023 – una data precisa non
è stata ancora fissata – è infatti in programma un incontro tra Çavuşoğlu e la
sua controparte siriana, che come quello di dicembre 2022 tra i ministri della
Difesa dei due paesi verrà mediato dall’omologo russo Lavrov.
E che
viene immaginato tanto ad Ankara quanto a Damasco come propedeutico allo
“storico” faccia a faccia tra Erdoğan e Assad.
La riconciliazione turco-siriana turba gli
americani, che hanno immediatamente espresso la propria contrarietà al
riavvicinamento tra i due rivali.
Soprattutto perché tale processo è frutto
della crescente convergenza tra Turchia, Russia e Iran nel quadrante levantino
e potrebbe innescare conseguenze tattiche che trascenderebbero lo specifico
contesto siriano, da oltre un decennio laboratorio degli esperimenti
geopolitici di Ankara.
FRANCIA-SPAGNA:
PROVE DI EUROQUAD
[di Agnese Rossi]
A
partire dal 19 gennaio Francia e Spagna sono legate da un nuovo vincolo
bilaterale, il trattato di Barcellona.
Nel
documento si prospetta l’approfondimento dei rapporti di cooperazione in tutti
i settori delle rispettive politiche nazionali (esteri, difesa, istruzione,
industria…). I governi di Emmanuel Macron e Pedro Sánchez stabiliscono di
incontrarsi e consultarsi regolarmente e si impegnano a collaborare su
questioni internazionali ed europee.
Nel
novembre 2021 Madrid osservava in disparte la ratifica del trattato del
Quirinale tra Roma e Parigi, nel timore di rimanere esclusa dal club delle
potenze euroccidentali.
Il
trattato di Barcellona è per la Spagna occasione di elevarsi al rango di
Germania e Italia, unici altri due paesi cui la Francia è legata con un simile
vincolo.
L’obiettivo
spagnolo è quello di contribuire attivamente alla rete di rapporti
“orizzontali” che cementerebbero un nucleo europeo dell’ovest, nettamente
distinto per storia, cultura e proiezioni geopolitiche dagli europei orientali.
In questo “Euroquad Madrid” – come già a suo
modo Roma – è socio di minoranza rispetto al duo franco-tedesco, ma può
profittare della crisi in corso negli equilibri renani: esempio ne sia
l’affossamento del progetto MidCat (gasdotto che doveva collegare Spagna e
Germania via Francia, voluto dai tedeschi e osteggiato dai francesi) a favore
del BarMar, con cui Francia e Spagna si impegnano a
costruire un gasdotto sottomarino per l’idrogeno che collegherà Barcellona e
Marsiglia.
Parigi
si apre a Italia e Spagna per compensare il deterioramento nella cooperazione
con Berlino, di cui domenica 22 gennaio si celebrano i 60 anni.
In un
riassestamento della geometria europea accelerato dalla guerra in Ucraina,
l’Esagono tenta anche attraverso un attivismo euroccidentale di recuperare peso
in un’Europa con baricentro spostato sempre più a est.
Alternative
alla cooperazione tra i due paesi separati-uniti dal Reno semplicemente non ce
ne sono, per nessuna delle due sponde.
Ma Parigi non può più basare la propria
rincorsa all’egemonia europea esclusivamente sul fulcro franco-tedesco, non più
sufficiente a contenere una Germania oggi autocentrata e distratta dall’Europa
in direzione di Washington.
Rinverdendo
una linea strategica di lungo corso, l’Esagono punta allora sull’asse latino e mediterraneo, nel tentativo di porsi alla testa
di un nucleo di paesi che possano ritagliarsi una qualche autonomia rispetto
alle ingerenze americane in Europa.
Il
campo di prova potrebbe essere la reazione europea alle recenti misure
protezionistiche statunitensi, che ha fatto prospettare lo spettro di una
guerra commerciale tra Usa e Ue e che non a caso è stata al centro dei colloqui
tra Macron e Sánchez.
Nel
frattempo, Parigi si attrezza anche per la “guerra vera”, che si impegna a
combattere d’anticipo, come affermato da Macron con l’annuncio dei 413 miliardi
di euro destinati al rafforzamento delle Forze armate francesi nei prossimi
sette anni.
La
metamorfosi del triangolo Francia-Italia-Germania in quadrilatero è in ottica
francese strumento utile a coordinare una risposta più moderata e meno
russofoba al conflitto in Ucraina.
Ma per non rimanere astratta cornice
geometrica, l’Euroquad dovrà almeno essere integrato con altri accordi bilaterali incrociati; è allo studio un trattato tra Roma e
Madrid.
CINA
IN AFRICA.
[di
Luciano Pollichieni]
Il
ministro degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese Qin Gang ha concluso una
tournée di cinque giorni in Africa. Si tratta del suo primo viaggio dopo
la nomina a capo della diplomazia di Pechino.
La
visita di Gang arriva in un momento in cui Pechino deve far fronte alle sfide
lanciate dal rivale americano in Africa.
Questa
è la chiave di lettura fondamentale per capire la scelta delle tappe, il detto
e soprattutto il non detto del primo viaggio del nuovo ministro nel Continente
Nero.
In
Etiopia – prima tappa – la diplomazia di Pechino si è scontrata con
l’obsolescenza della strategia della “non scelta” venendo sorpassata dallo
sforzo congiunto di Usa, Onu e Unione Africana (Ua) sulle mediazioni per il
cessate-il-fuoco nel Tigray (Tigrè).
Inoltre,
le parole di Gang sulla necessità di una maggiore presenza africana nelle
organizzazioni internazionali, pronunciate durante il bilaterale con il
presidente della Commissione dell’Ua Mahamat Faki, appaiono una risposta alla
proposta di Washington sulla partecipazione permanente dell’Ua nel G20.
Poco o
nulla è stato detto in merito alla cooperazione finanziaria, persino durante la
tappa in Egitto, deludendo le aspettative delle autorità del Cairo che vorrebbero
lanciare i propri “panda bond” entro la fine dell’anno fiscale.
Un silenzio eloquente in merito alle effettive
capacità di Pechino di restare il grande prestatore del continente in un
momento in cui i debiti africani sono sotto pressione.
Il
tour conferma invece la centralità dell’Africa nella strategia energetica
cinese, come dimostra la tappa in Benin, dove la Repubblica Popolare sta
finanziando la costruzione dell’oleodotto più grande del continente (2 mila
chilometri) che collegherà i giacimenti del Niger al porto di Sèmè-Kpodji
(Porto-Novo) sul Golfo di Guinea.
Al
netto dei proclami, la visita di Gang non è riuscita a trasmettere l’idea di
una partnership in sintonia con le priorità del continente – sicurezza,
nutrizione, transizione digitale, emergenza climatica – che sono rimaste sul
tavolo e senza risposta.
Pechino
preferisce ignorare in senso pratico le istanze di maggior indipendenza e di
crescita della soggettività geopolitica africana per non mostrarsi (e
scoprirsi) in crisi.
Fattore che qualcuno, tra Stati Uniti ed
Europa farebbe bene a non trascurare.
Che
cosa celano le castronerie
Alla”
Di Cesare” su Nato e Russia
Startmag.it
- Giuliano Cazzola – (13 Maggio 2022) – ci dice:
Una
parte dell’establishment si muove, in tutte le sedi possibili, per una politica
di appeasement nei confronti di Vladimir Putin.
Il
commento di Giuliano Cazzola.
Sono pronto a fare una scommessa.
Tra
poco ci sarà qualcuno dei reduci “no vax”, passato ai “no war” per stare con
Putin, che
si farà promotore di questa teoria:
è provato che, con le vaccinazioni
anti-covid-19, i ‘’poteri forti’’ (che, come sostengono i “Qanon”, sono l’altra
faccia della medaglia del partito democratico) hanno fatto iniettare in
miliardi di persone un microchip (anche per questo motivo non se ne trovano più
sul mercato) che ne carpisce la volontà e li induce ad obbedire senza fare
domande.
In questo momento il Grande Reset ha scatenato in Occidente tensioni
belliciste contro la Russia di Vladimir Putin, perché – avendo quel governo
fallito con il vaccino prodotto in proprio – il popolo russo non è stato integrato
nell’infame progetto di dominio assoluto del mondo.
E quindi deve essere umiliato con le armi
dalla Nato, che è l’alleanza militare responsabile della guerra in Ucraina e
dell’aggressione della Russia.
Il
post della prof. Donatella Di Cesare non è molto lontano dal professare questi
deliri.
Come
si fa a parlare di ‘’annessione’’ alla Nato, quando un Parlamento di un paese
democratico come la Finlandia chiede di aderire ad un’alleanza militare
difensiva?
I
popoli finlandesi e svedesi – che attraverso le loro legittime istituzioni,
decidono di interrompere una posizione internazionale di storica neutralità,
sono accusati di avere ‘’paura’’, come se non ne avessero motivo.
Peraltro
la Finlandia ha delle antiche ruggini con l’URSS (prima ancora con l’Impero
zarista di cui la Russia si ritiene erede).
E
nella c.d. guerra d’inverno tra il 1939 e il 1940, la Finlandia si oppose con
valore all’invasione sovietica.
È così
difficile capire che dichiarazioni come queste distorcono palesemente la
verità?
Come
ha voluto confermare il presidente del Copasir, Adolfo Urso, ‘’la macchina
della propaganda agisce anche nel nostro Paese”.
Il
Copasir denuncia un’azione sistemica di disinformazione nel mondo del web,
della comunicazione ma anche della cultura e nelle università.
“Ciò avviene in un contesto
geopolitico in cui regimi autocratici tendono a condizionare le democrazie
occidentali” ha ribadito Urso:
“La
macchina dell’informazione russa, come la cinese, è continuamente attiva’’.
In
realtà le spie di Putin e i suoi hacker possono dedicarsi ad altri paesi, tanto
noi la disinformazione ce la facciamo da soli.
Consideriamo
alcuni eventi della settimana che si chiude:
il discorso di Putin il 9 maggio; l’intervento
conclusivo di Emmanuel Macron a Strasburgo; le dichiarazioni di Mario Draghi a
Washington in occasione degli incontri con Joe Biden.
Al
discorsetto propagandistico di Putin sono state attribuire importanti aperture
per un dialogo di pace, senza accorgersi della sequela di menzogne con cui
spiegava le ragioni della sua avventura in Ucraina.
La
Russia – secondo lo zar – si trovava potenzialmente sotto un’aggressione, era
necessario prendere una decisione unica che non poteva assolutamente essere
inevitabile, quella di difendere il nostro Paese’’.
Sarà
il caso di far rispondere a Putin da un analista politico russo il direttore
del Consiglio russo per gli affari internazionali (Riac), Ivan Timofeev, che ha
un ruolo istituzionale, che non è un oppositore del boss del Cremlino e che
espresso queste opinioni sul sito ufficiale del Consiglio.
Prima
dell’attacco armato ‘’ la Russia aveva ancora un ampio margine di manovra. La sua
potenza militare era sufficiente a sopprimere qualsiasi minaccia da parte
dell’Occidente per i decenni a venire, anche nel caso della militarizzazione
più attiva dell’Ucraina da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati.
La
situazione nel Donbas è rimasta tesa ma stabile.
Le
vittime civili hanno raggiunto un picco nei primi anni del conflitto nel
2014-2015, ma poi – ne prendano nota coloro che sparlano di genocidio, (ndr) –
non ce ne sono praticamente più state.
Ci sono state 9 vittime civili e nel 2019 e
2020, rispetto alle 7 del 2021, e 160, 44 e 77 rispettive perdite militari.
La grande offensiva dell’Ucraina nel Donbas
era con molta probabilità destinata al fallimento.
Ovviamente, l’Ucraina era rimasta uno Stato
ostile, ma l’Occidente aveva ridotto significativamente la sua attenzione a
Kyiv rispetto al 2014.
In senso stretto, l’Occidente era pronto a
coesistere sia con la Crimea russa sia con la situazione congelata nel
Donbas’’.
Chi
scrive considera questa analisi molto centrata, tanto più che trova conferma
nella valutazione delle conseguenze, praticamente propagandistiche, delle
sanzioni decise dopo il 2014.
Ovviamente – prosegue Timofeev con tono
disincantato – la Nato ha riaffermato il contenimento della Russia come uno dei
suoi obiettivi chiave dal 2014.
Tuttavia,
la maggior parte dei paesi dell’Ue, soprattutto la Germania, erano stati
riluttanti ad aumentare la spesa per la Difesa e l’hanno ostacolata in ogni
modo.
Le
sanzioni contro la Russia si erano stabilizzate.
Le effettive misure restrittive erano state
chiaramente inferiori al rumore mediatico che le circondava, e anche la
reazione del mercato era stata debole’’. Poi ha aggiunto:
‘’ È semplicemente impossibile prevedere la
traiettoria del futuro nelle condizioni attuali. Tuttavia, è utile ricordare che
l’Unione sovietica è crollata in circostanze internazionali molto più
favorevoli’’.
Queste
considerazioni – benché pubblicate da “Il Foglio” – sono passate inosservate,
mentre da noi in tanti si sono resi protagonisti di vere e proprie
falsificazioni.
È
paradossale che a Macron sia stato attribuito ciò che non ha mai detto ovvero
che non si dovesse umiliare la Russia.
Eppure nonostante le smentite attraverso la
pubblicazione del testo del discorso i media continuano a dare quella versione.
Allo
stesso modo è stata distorta un’affermazione del segretario generale della Nato
accusandolo di voler imporre all’Ucraina la linea da sostenere, a proposito
della Crimea, in occasione di eventuali negoziati.
Perché
se Zelenzky si azzarda a ricordare che la penisola apparteneva all’Ucraina si
alza da noi un coro di accuse come se volesse sottrarre alla Russia un pezzo
del suo territorio.
Poi
quando Draghi negli Usa ha affermato che spetta all’Ucraina definire la sua
posizione negoziale, è stato criticato perché non si deve lasciare il pallino a
Zelensky che, ringalluzzito dalle battaglie sul campo, non esclude di poter
vincere (basterebbe che le truppe russe non riuscissero neppure nell’obiettivo
ridimensionato di occupare il Donbass e passando per Odessa arrivare in
Transnistria.
Mario
Draghi, per l’esito della sua visita negli Usa, viene strattonato da tutte le
parti.
Gli
imbecilli insistono nel rappresentare Draghi come il capo di un governo che è
andato a prendere ordini e si è dimostrato – rispetto a Macron e a Sholz – il
più atlantista dei leader europei.
I più astuti sottolineano il suo impegno per
indurre – come cavaliere di una nuova Europa non prona alla Nato – Biden a più
miti consigli.
Ciò
che lascia di stucco non è soltanto la (sub)cultura pacifista a senso unico;
non si tratta della solita disinformazione dei social.
Oggi
vi è una parte consistente dell’establishment che si muove, in tutte le sedi
possibili, per una politica di appeasement nei confronti di Vladimir Putin.
Non è
una novità.
Anche
nel lungo armistizio tra le due guerre mondiali del secolo scorso una parte
delle classi dirigenti europee, coltivava l’idea di accontentare Hitler in
chiave anti-Urss (e restò con un palmo di naso all’indomani del Patto
Ribbentrob-Molotov con annessa spartizione della Polonia).
Allora c’erano di mezzo le ideologie con le loro
ricadute istituzionali e di modello economico. Oggi è solo una questione di
affari, di relazioni economiche e di forniture ed export.
Del
resto, se Putin è in grado di garantire qualche cosa all’Occidente non è certo
un sistema socialista, ma un ordinamento mafio-oligarco-liberista al di sopra del
bene e del male (con buona pace di tanti ‘’sepolcri imbiancati’’ che continuano a
scambiare la Russia con l’Urss).
Comunque,
è con la lobby potente, che controlla l’informazione fino a deformarla, che
Draghi dovrà fare i conti.
DALL’UMANESIMO
AL TRANSUMANESIMO:
L’ESTINZIONE
DELL’UMANITÀ È IN CORSO.
Nuovogiornalenazionale.com
– Silvano Danesi – (3 gennaio 2021) – ci dice:
È in corso il tentativo di passare
dall’umanesimo al transumanesimo, camuffato da un “nuovo umanesimo”, che è
l’estinzione dell’Umanità.
In questo scorcio di inizio del terzo
millennio, l’essere umano è disorientato e rischia di essere costretto nello spazio
tempo della sua vita terrena, schiavo di illusioni transumananti.
Il transumanesimo è il virtuale surrogato
dell’anima e dello spirito.
La ciber securiy, la psyop, le tecniche di
dominio cognitivo, sono lo strumento di una deriva transumanante al servizio di
un gruppo di potere formato da Big Tech, Big Pharma e Big Money.
Non a
caso chi è allineato con le logiche del transumanesimo si proclama assertore di
un “nuovo umanesimo”, che del transumanesimo e la mascheratura, e intende
appropriarsi degli strumenti che possono concretizzare un disegno che ha radici
nell’Ottocento e nel Novecento dello scorso millennio in ambienti
antidemocratici e totalitari.
Combattere
questa deriva è un compito immane, ma necessario, in quanto siamo in presenza
di teorie che rischiano di snaturare l’essere umano e, conseguentemente
l’Umanità intera.
Il
virtuale al posto dell’anomico e dello spirituale apre le porte ad una
religione cibernetica, perfettamente funzionale alla finanza, che è, a sua
volta, la virtualità dell’economia reale.
Il
confronto in atto non è solo politico, geostrategico, finanziario; è di mutamento antropologico.
La
cibernetica e la genetica stanno diventando sempre più invasive della sfera
relativa all’essenza dell’essere umano.
Le applicazioni della cibernetica sono
arrivate ad un punto cruciale.
Cibernetica deriva dal greco kybernḗtēs, dal
significato di pilota di nave e, oggi, in discussione, da parte dell’avanzare
della cibernetica, è proprio il pilota che, in altri termini, è il complesso
conoscitivo, sensoriale e coscienziale dell’essere umano, a partire dal suo
cervello.
Il vascello, ossia il corpo umano, nella sua
complessità omeostatica, è oggi messo a dura prova dalla genetica che, se da un
lato lo aiuta a risolvere molte malattie, dall’altro lo può modificare nella
sostanza.
La
genetica, infatti, è arrivata al codice.
Un
esempio eclatante viene dalla Cina, che starebbe conducendo esperimenti su
esseri umani, nello specifico membri dell’Esercito Popolare di Liberazione, al
fine di sviluppare soldati che possano vantare capacità biologiche che superino
anche quelle del più addestrato soldato, qualcosa che, in fin dei conti,
abbiamo visto solo in qualche film di fantascienza o di supereroi.
Per ottenere questo scopo i cinesi starebbero
utilizzando la tecnologia CRISPR, una delle tecnologie di manipolazione genetica tra le più
avanzate, ma anche tra le più discusse.
In campo medico la tecnologia CRISPR viene
usata per modificare i genomi e, ad oggi, è uno degli strumenti genetici più
importanti in assoluto.
Lo strumento può essere utilizzato per
alterare in maniera relativamente facile le sequenze di DNA e ciò ha portato a
molte applicazioni, tra le quali la correzione di difetti genetici e il
contrasto e la prevenzione di malattie che vedono proprio nei geni le loro
cause principali.
Le
preoccupazioni riguardano soprattutto eventuali applicazioni che si possono
fare di questa tecnologia per modificare i geni al fine di aumentare le
prestazioni di una persona o modificare le sue caratteristiche genetiche per
scopi non medici.
Il cosmismo nuova religione della Silicon
Valley.
Del cosmismo scrive il saggista americano Douglas
Rushkoff, conduttore del podcast “NPR-One Team Human”, il quale nei suoi
interventi e nei suoi saggi studia come le nuove tecnologie contengano spesso
un’agenda antiumana.
“L’equivalente
russo della spiritualità NewAge – scrive Douglas Rushkoff - era rappresentato
dai praticanti del cosmismo, una forma di gnosticismo nata dall’enfasi data
all’immortalità nella tradizione ortodossa russa”.
Sin
dai primi anni Sessanta, il cosmismo è approdato in America con la fondazione dell’Esalen Institute, un luogo di ritiro molto
frequentato da coloro che hanno costruito le fortune della Silicon Valley.
A
fondare l’”Esalen Institute” sono stati, nel 1962 Dick Price e Michael Murphy e
sin dai primi anni ’80 la moglie di Murphy, Dulce, ha guidato un programma di
scambi culturali con l’Unione Sovietica, chiamato “Esalen Soviet American
Exchange Program”.
Il pensiero unico, l’idea di un’Umanità senza radici e
senza patrie (i luoghi dei padri, degli antenati), senza storia e senza
tradizioni, così come l’idea di un “nuovo umanesimo” che fa la pari con l’idea
sempre coltivata dai totalitarismi dell’uomo nuovo, sono la frontiera della
sfida del Terzo Millennio.
Una frontiera sulla quale si combattono due
distinti fronti:
quello dell’Essere Umano e quello dell’Uomo
Nuovo del Transumanesimo.
Il transumanesimo ha profonde radici nel
cosmismo, una corrente filosofica sviluppatasi in Russia a partire dall'Opera
comune di Nikolaj Fëdorov (1829-1903) e la cui caratteristica principale è
l’idea di “evoluzione attiva” o “evoluzione autodiretta” della razza umana, con
una visione ottimista sui destini e le potenzialità sconfinate dell’umanità,
una mirabile fede nell’evoluzione e nello sviluppo inevitabili della conoscenza
umana.
Gli
aderenti del cosmismo credono che gli uomini siano destinati a diventare un
fattore decisivo nell’evoluzione cosmica, conquistando, trasformando e
perfezionando l’universo, sconfiggendo la malattia e la morte, e infine
generando una razza umana immortale.
Con il
termine “Cosmismo”, coniato verso gli anni settanta del XX secolo, s’indica un
vasto movimento culturale nato e sviluppatosi in Russia a cavallo tra il XIX e
il XX secolo.
Una
corrente che unisce filosofi, scienziati ed artisti, che amalgama elementi
radicati nella tradizione spirituale dell’anima russa con la scienza e la
tecnica occidentale moderna.
Una
corrente sorprendentemente creatrice, fertile ed eclettica, che è stata capace
di partorire ed influenzare alcune delle più importanti personalità russe del
novecento, cresciuto in quell’humus culturale unico da cui è germogliata anche
l’altra grande rivoluzione del tempo, l’«assalto al cielo» del bolscevismo,
influenzandosi reciprocamente.
Le
idee di Fëdorov ebbero influenza su Dostoevskij, Tolstoj, Solovev.
Durante
il periodo sovietico, specialmente nei primi anni rivoluzionari, questa
corrente scientifico-filosofica-religiosa ricevette la stima, l'appoggio e
l'entusiasmo non solo nella ristretta cerchia dei ricercatori scientifici, ma
anche di personalità politiche che a volte sopprimendo, a volte alimentando una
tendenza che parve quasi occultista, se ne resero in qualche modo protagonisti.
Storicamente
è con il lavoro culturale di Aleksandr Gorskij (1886-1943) e Nikolaj Setnitskij
(1888-1937) che ebbe inizio la transizione dal fedorovismo puro al cosmismo.
Il cosmismo – con le sue idee forza
dell’“evoluzione attiva” e delle potenzialità cosmiche dell’umanità - è
comunque una filosofia universale, e come tale lo è anche la sua eredità.
Non sorprende quindi di ritrovare richiami al
cosmismo anche in altre parti del mondo.
Per
esempio il ‘Manifesto Cosmista’ dello statunitense Ben Goertzel.
In
esso sono contenute 10 tesi cosmiste.
Manifesto Cosmista di Goertzel.
1)
L’umanità si fonderà con la tecnologia, rapidamente ed in modo sempre più
esteso e profondo.
Questa
è una nuova fase dell’evoluzione della nostra specie, che sta cominciando ad
essere evidente ai nostri giorni.
La divisione fra il naturale e l’artificiale
sarà prima sfumata, e poi sparirà.
Alcuni di noi continueranno ad essere umani,
ma con un’espansione radicale e crescente delle opzioni disponibili, ed una
diversità e complessità radicalmente aumentate.
Altri
cresceranno fino a divenire nuove forme di intelligenza, molto al di là del
dominio umano.
2) Svilupperemo tecnologie di intelligenza
artificiale cosciente e mind uploading. Il mind uploading permetterà di
estendere indefinitamente la vita di quelli che sceglieranno di lasciarsi la
biologia alle spalle (uploads).
Alcuni
uploads sceglieranno di fondersi con altri uploads e con intelligenze
artificiali.
Questo
richiederà un ripensamento e una riformulazione della nozione di identità
personale, ma saremo capaci di farvi fronte.
3) Raggiungeremo le stelle, e ci espanderemo
nell’universo. Incontreremo altre specie nel cosmo, e ci fonderemo con loro. Potremmo
anche raggiungere altre dimensioni dell’esistenza, oltre quelle di cui siamo
attualmente consapevoli.
4) Svilupperemo realtà sintetiche
interoperabili (mondi virtuali) capaci di contenere esseri coscienti.
Alcuni
uploads sceglieranno di vivere in mondi virtuali.
La divisione fra realtà fisiche e sintetiche
sarà prima sfumata, e poi sparirà.
5)
Svilupperemo tecnologie di ingegneria spazio-temporale ed una “magia futura”
basata sulla scienza, molto al di là delle nostre attuali comprensione ed
immaginazione.
6) L’
ingegneria spazio-temporale e la magia futura permetteranno di realizzare,
attraverso la scienza, molte delle promesse delle religioni—e molte cose
meravigliose che nessuna religione ha mai sognato.
Un
giorno saremo capaci di resuscitare i morti “copiandoli al futuro”.
7) La vita intelligente diverrà il fattore principale
nell’evoluzione del cosmo, e guiderà questo nelle direzioni volute.
8)
Radicali progressi tecnologici ridurranno drasticamente la scarsezza delle
risorse materiali, in modo da rendere possibile un’abbondanza di ricchezza,
crescita ed esperienza, per tutte le menti che così desiderano.
Nuovi sistemi di auto-regolazione emergeranno
per mitigare la possibilità che la mente esaurisca, oltre ogni controllo, le
vaste risorse del cosmo.
9) Nuovi sistemi etici emergeranno, basati su
principi che includeranno la diffusione di gioia, crescita e libertà
nell’universo, e anche su nuovi principi che non possiamo ancora immaginare.
10)
Questi cambiamenti miglioreranno in modo fondamentale l’esperienza soggettiva e
sociale degli esseri umani, delle nostre creazioni e dei nostri successori, portando a
stati di consapevolezza personale e condivisa le cui meravigliose vastità e
profondità andranno molto al di là dell’esperienza dei “vecchi umani”.
Nuovi
umani senza umanità Il pericolo della disumanizzazione era presente già
presente nella denuncia profetica di alcuni scrittori, come Orwell e Isaac
Asimov, il quale nei suoi scritti di fantascienza (che oggi non appare più
tanto fanta) scrisse le tre leggi della robotica, pubblicate per la prima volta
nel 1942, nel racconto “Circolo vizioso”, apparso sulla rivista specializzata
statunitense Astounding Science Fiction.
Nei
romanzi dello scrittore russo-americano, le tre leggi della robotica governano
il comportamento dei cosiddetti robot positronici, macchine create per servire
l’uomo, dotate di sistemi di sicurezza per non nuocergli.
Si
tratta di principi rigidi, da non trasgredire, teorizzati per rassicurare
l’umanità sulle buone “intenzioni” dei robot.
Vediamo
cosa dicono:
Prima
Legge: “Un
robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che a causa del
proprio mancato intervento un essere umano riceva danno”.
Seconda
legge: “Un
robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani purché tali ordini
non contravvengano alla prima legge”.
Terza
legge: “Un
robot deve proteggere la propria esistenza purché questo non contrasti con la
prima e la seconda legge”.
Successivamente
l’autore di “Io Robot” ne aggiungerà una quarta, superiore per importanza a tutte le
altre, ma valida solo per gli automi più sofisticati, definita
legge zero: “Un robot non può recar danno
all’umanità e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento,
l’umanità riceva danno”.
La deriva del disumanesimo e le radici naziste.
La deriva del disumanesimo presenta anche
aspetti di modificazione dell’essere umano che derivano dall’ideologia
eugenetica nazista, come quella operata nel progetto Lebensborn.
“Lebensborn – scrive Ingrid Von Oelhafen - è
un’antica parola tedesca che significa “sorgente di vita”, travisata e distorta
dall’eugenetica nazionalsocialista”
Le
teorie giustificazioniste dell’utero in affitto (dei DEM Usa) ricordano il progetto Lebensborn, con il traffico di bambini rubati
alle famiglie e ritenuti razzialmente trasformabili in tedeschi di pura razza
ariana.
L’idea che i figli possano essere sradicati dalle
famiglie con leggerezza non è figlia di nessuno, ma ha le sue radici nel
cosmismo, nel transumanesimo e nel nazismo, così come è di stampo nazista
l’idea di costruire esseri umani a piacimento, scegliendo alla banca dati
ovociti e spermatozoi per depositarli in una donna ridotta a fattrice per
soddisfare gli egoismi di chi può permettersi di usare i soldi per fare
qualsiasi cosa.
Il
nazismo non è finito con la fine del Terzo Reich.
Con
l’organizzazione Odessa e con la complicità del “corridoio francescano”, il
nazismo ha semplicemente trasferito in America latina gran parte della sua
organizzazione e ha continuato a elaborare la sua ideologia dell’uomo nuovo
della razza pura.
Cile Brasile,
l’Argentina di Peron e di Videla e della Guardia de Hierro, sono stati luoghi
sicuri per i gerarchi nazisti e per la continuazione degli esperimenti
eugenetici.
In particolare l’Argentina è stata il fulcro
dell’accoglienza degli emigrati nazisti.
“Schematizzando,
si può dire – scrive in proposito Guido Caldiron - che le zone [prescelte]
furono quattro:
la Selva misionera che offriva sicurezza per
la sua posizione lungo le frontiere con Paraguay e Brasile;
la valle di Calamuchita e le grandi sierre di
Córdoba, nel centro del Paese e con piccole comunità in un paesaggio alpino
come – fra le altre – Santa Rosa de Calamuchita, La Cumbrecita e Villa General
Belgrano;
la regione che circonda San Carlos de
Bariloche, fra laghi e montagne e a un passo dalla frontiera con il Cile;
infine, le località a nord della capitale
federale:
Villa
Ballester, El Palomar, Olivos, San Isidro, Vicente López, Florida e San
Fernando”.
Con la connivenza dell’Argentina, del Brasile,
del Paraguay il dottor morte dei campi di sterminio nazista, Josef Mengele,
continuò a fare i suoi esperimenti sui gemelli e sulla clonazione degli esseri
umani.
La
Guardia de Hierro, nata sulla falsariga di quella del nazista rumeno Corneliu
Zelea Codreanu, è un punto essenziale di riferimento per la comprensione di
quanto è andato maturando in Argentina, anche in tempi recenti.
Sir
Henry Sire, docente universitario e storico, nonché cavaliere dell’Ordine di
Malta, con lo pseudonimo di Marcantonio Colonna, ha scritto nel suo testo:
“Il
Papa dittatore”, che Francesco è “la trasposizione ecclesiastica di Peron” e lo
descrive come peronista, non marxista e estraneo alla teologia della
liberazione e più incline alla “teologia del popolo” che alla scuola marxista.
Jorge Mario Bergoglio entra in seminario nel
1958 e è consacrato sacerdote nel 1969.
Nel 1971 è Maestro dei novizi, ma coniuga
questo suo incarico con il “sostegno alla Guardia de Hierro”, gruppo a quel
tempo impegnato a favorire il ritorno di Peron dall’esilio.
Sir Henry Sire trae la notizia dal biografo di
Francesco, Austen Ivereigh, il quale, a proposito della vicinanza di Bergoglio
alla Guardia de Hierro parla di “sostegno spirituale”.
Resta
il fatto che la Guardia de Hierro argentina si ispira all’omonimo gruppo rumeno
fondato dal nazista Codreanu.
La
Guardia di Ferro (in romeno Garda de Fier) è, infatti, la denominazione data da
Corneliu Zelea Codreanu alla branca armata del movimento da lui fondato negli
anni Trenta del XX secolo.
Nel 1973 ritorna Peron a ottobre e a luglio
dell’anno successivo muore.
Gli succede la moglie Isabel, che scatena una
repressione violenta contro i guerriglieri sostenuti da Cuba, fino alla sua
destituzione con il golpe militare messo in atto la notte del 24 marzo 1976
dalle forze armate con il supporto esterno degli Usa e durato fino al 30
ottobre 1983.
Sono gli anni delle torture, delle squadre
della morte, dei desaparecidos.
Jorge
Mario Bergoglio è padre superiore dell’Argentina dal 31 luglio del 1973 al
1979.
Nel 1979 partecipa al vertice della Celam
(Consiglio espiscopale latino americano) ed è fra coloro che si oppongono
decisamente alla teologia della liberazione, sostenendo la necessità che il
continente latino-americano faccia i conti con la propria tradizione culturale
e religiosa.
Nasce
così l’idea della Grande Patria latino americana, che ancora oggi ispira la linea
anti europea e anti Usa di Bergoglio.
Anche in questo caso la coerenza vorrebbe che
ci si ricordasse che le radici della Patria latina sono state strappate con la
violenza dei conquistadores nel nome di Cristo.
Ma
questi, evidentemente, sono particolari secondari.
Considerati i precedenti di Bergoglio, Sir
Henry Sire si chiede cosa abbia determinato il suo passaggio alle attuali
posizioni.
“Il
grande enigma che dobbiamo affrontare – scrive Sir Henry Sire – è la sua
conversione nell’uomo che la parte liberale della Chiesa, e in particolare il
gruppo di San Gallo, ha trasformato nel suo uomo guida”.
La risposta potrebbe stare nel fatto che il Gruppo di san Gallo, guidato dal
cardinal Martini, costituito dai prelati della linea “progressista” della
Chiesa, ha
costituito il nucleo centrale del pacchetto di cardinali che ha eletto
Bergoglio.
Del
Gruppo di san Gallo era membro autorevole il cardinal Silvestrini, il
realizzatore della scuola di pensiero che si è strutturata a Villa Nazareth,
dove ha insegnato anche l’attuale segretario di Stato del Vaticano, autore
principale degli accordi con la Cina.
L’Italia
cavia del progetto globalista del Grande Reset Bergoglio è una figura chiave per
capire quanto sta accadendo, soprattutto in Italia.
L’Italia, grazie anche alla linea politica del
Vaticano del papa argentino, è infatti divenuta il laboratorio di
sperimentazione delle teorie globaliste del Grande Reset voluto dalla finanza
internazionale, teorizzato dal” World Economic Forum di Davos di Klaus Schwab e dai Guardiani del capitalismo inclusivo e che ha come braccio armato la Cina del regime
dittatoriale comunista di Xi Jimping.
La Chiesa di Bergoglio è in prima linea
nell’attuazione di un progetto autoritario, antidemocratico e liberticida come
quello voluto dal WEF di Davos.
Coerentemente con la linea globalista, il
Vaticano, l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, ha ufficializzato la
partnership con il “Council of inclusive capitalism voluto da Lynn Forester de
Rothschild”,
definita la Papessa della Chiesa, e membro di un gruppo di multimiliardari che gestisce
10 trilioni di dollari, chiamato “Guardiani per un capitalismo inclusivo”.
Lynn
Forester Rothschild, moglie di uno dei massimi esponenti della famiglia, Evelyn Rothschild, è stata la consigliera e l’eminenza
grigia di Hillary Clinton e consigliera di Bill Clinton.
Lynn
Forester de Rothschild è, infatti, stata coinvolta nel mondo della politica del
“Partito Democratico” alla fine degli anni '70 quando ha lavorato alla campagna
del 1976 del senatore falco Daniel Patrick Moynihan (Dem-NY), insieme a
neoconservatori ormai famosi come Elliott Abrams.
È stata anche presentata al suo secondo
marito, Evelyn de Rothschild, da Henry Kissinger in una conferenza del
Bilderberg (altro santuario del Nuovo Ordine Mondiale).
Il Vaticano ha inoltre inviato un messaggio di elogio
a Klaus Schwab, presidente del World economic forum e teorizzatore del Great
Reset.
È del tutto evidente che Bergoglio ha scelto
di stare con la Cina dittatoriale e con chi, in Occidente, vuole distruggere la
democrazia e la libertà.
La
linea di Bergoglio è sempre più evidentemente alleata della finanza internazionale
e con i suoi seguaci italiani ha trasformato l’Italia in una cavia da
sperimentazione delle teorie del WEF.
Il sito di Strategie Economiche (strategieeconomiche.com/) ci avverte che:
“Il
caso ha voluto che l'Italia fosse il primo laboratorio sul campo dove per la
prima volta verranno applicati molti dei principi del WEF in programmi
attuativi concreti portati avanti da un governo nazionale" e ciò sta avvenendo attraverso
il Recovery
Fund, che
viene definito
"il
primo esperimento in cui un governo pianificherà per davvero una rivoluzione in
stile WEF in molti campi strutturali del Paese".
Nelle
pieghe nascoste del “nuovo umanesimo” disumanizzante, non si nasconde solo l’orwelliana
presenza del Grande Fratello in veste algoritmica, ossia la follia di trasformare
l’essere umano in una macchina immortale, ma anche il fondo razziale eugenetico
nazista, la follia cosmista del transumanesimo e un progetto teso a ridurre
l’umanità in una massa amorfa di consumatori, da dominare non solo nel corpo, ma
anche nell’anima.
Ddl
Zan, rebus dei tempi in aula
tra
polemiche e influencer.
Avvenire.it
- Eugenio Fatigante – (9 luglio 2021) – ci dice:
Per il
testo, in aula senza relatore, servirà un accordo fra i gruppi anche per
fissare la scadenza degli emendamenti.
Con il
calendario ingolfato, pare inevitabile l’allungamento dell’esame.
La
Lega tenta l’ultima mossa di dialogo sul ddl Zan contro l’omotransfobia.
Ma
l’intesa è ancora lontana e il futuro della legge deve confrontarsi anche con
il rebus dei tempi, molto incerti.
Il presidente della commissione Giustizia, il
leghista Andrea Ostellari, nella riunione di ieri ha depositato ufficialmente il
testo della sua mediazione, in cui viene tolta l’identità di genere all’art. 1;
un
atto con il quale la Lega cerca di offrire un appiglio a quei senatori di Pd e
M5s che, facendo loro le perplessità di un ampio fronte dell’opinione pubblica,
hanno manifestato dubbi su tale termine.
Matteo
Salvini a sua volta ha annunciato una lettera aperta a tutti i parlamentari per
invitare al dialogo.
Il Pd
continua però a non fidarsi della Lega alla luce del precedente ostruzionismo
(di cui si teme il bis), mentre continua la polemica con i dem da parte di Italia Viva, sempre alle prese nella sua guerra
con Ferragni e Fedez.
Una
serie di senatori del Pd descritti come "malpancisti" assicurano però
il proprio voto (Vito Vattuono, Vanna Iori, Salvatore Margiotta), mentre una voce critica continua a
levarsi dal deputato di Leu Stefano Fassina, che ha accusato il Pd di una
«antropologia del transumanesimo».
E contro il Pd si è scagliato di nuovo il
capogruppo in Senato di Iv, Davide Faraone, accusando Enrico Letta e i suoi di
essere «sdraiati sugli influencer» e di un eventuale naufragio della legge.
A sua
volta Iv è stata oggetto degli strali di Leu, che l’accusa di volersi alleare
con il centrodestra, parole che hanno indignato gli esponenti di Iv Marco Di
Maio e Silvia Fregolent.
Anche Alessandro Alfieri, coordinatore di Base
Riformista, cioè l’area del Pd degli ex renziani, ha intimato a Iv di «chiarire»
se intende stare «con gli amici di Orbán».
Ostellari
ha tentato comunque di smuovere le acque. Ha infatti depositato ufficialmente
in commissione la proposta di mediazione annunciata martedì scorso.
Sempre
in commissione ha annunciato di voler sospendere le 170 audizioni che finora
avevano bloccato il provvedimento, arrivato il 5 novembre scorso dalla Camera.
«Un po’ troppo tardi», è stato il commento del vicecapogruppo dem Franco
Mirabelli.
«Solo
fumo negli occhi», ha sentenziato Monica Cirinnà.
Salvini,
tuttavia, in una intervista non ha detto se sostiene la proposta Ostellari, bensì ha rilanciato il ddl Ronzulli
che prevede semplici aggravanti comuni per i reati di odio.
In
aggiunta ci sono gli aspetti tecnici, che però in questo caso hanno un ruolo
non secondario.
Il ddl
Zan arriva in aula senza relatore.
Il che
vuol dire che anche solo per fissare il termine per gli emendamenti servirà un
non facile accordo tra i gruppi.
Probabilmente
già martedì 13 si voteranno le pregiudiziali di costituzionalità.
Di
mezzo ci sono anche le nomine Rai, quindi è scontato che poi si slitti alla
settimana successiva, dove però la priorità sarà data al "dl
Sostegni-bis", da approvare entro il 24 luglio.
Poi incombe agosto e se ne riparlerà dopo la
pausa estiva.
A cosa
e a chi serve davvero
il
World Economic Forum di Davos.
Valori.it
– Claudia Vago – (20.01.2023) – ci dice:
Il
summit degli uomini ultraricchi e ultraliberisti (compreso tra gli invitati i “Dem” Usa e i “Dem” Italiani) che vogliono
disegnare il futuro di tutte e tutti noi.
C’è
poca neve quest’anno a Davos. E a mancare sono anche gli oligarchi russi. La
guerra in Ucraina, infatti, ridisegna la geografia della ricchezza all’annuale
appuntamento del World Economic Forum (WEF) che si svolge nella località
elvetica.
Un
incontro a inviti in cui un pugno di ricchissimi e/o potentissimi (e il
maschile non è un caso) discutono dei temi all’ordine del giorno dell’agenda
globale.
Cos’è
il World Economic Forum.
Nato
nel 1971 per iniziativa dell’economista ed accademico Klaus Schwab, il World
Economic Forum è una fondazione senza scopo di lucro che, si legge nel sito
dell’organizzazione, è «Committed to improving the state of the world». Impegnata a migliorare lo stato
del mondo.
Partito
come European
Management Symposium sotto il patrocinio della Commissione europea e di alcune
associazioni industriali del Vecchio Continente, aveva come scopo quello di introdurre
le aziende europee alle pratiche di management statunitensi.
Dal
1974 gli inviti all’evento annuale sono stati estesi anche a capi di Stato e di
governo, allargando sempre più i campi di interesse a questioni economiche e
sociali
.
Anche per rispondere e adattarsi ai grandi cambiamenti che avvenivano, come per
esempio il crollo del meccanismo dei tassi di cambio fissi di Bretton Woods o
la guerra dello Yom Kippur.
E dal
1987 il Simposio ha adottato il nome con cui è noto oggi: World Economic Forum.
Puntando
a presentarsi come una piattaforma per la risoluzione dei conflitti
internazionali.
Davos,
località sciistica nelle Alpi svizzere, nel Cantone dei Grigioni, è stata
scelta da subito come sede dell’appuntamento che si tiene ogni anno a fine
gennaio.
Per
decenni Davos è stato il luogo in cui artefici e manovratori della
globalizzazione neoliberista si riunivano.
Ma è stato anche il luogo in cui si sono
incontrati Nelson Mandela e Frederick de Klerk, Yasser Arafat e Simon Peres,
Henry Kissinger e ex-dirigenti dell’Unione Sovietica.
Davos
ha accolto nel 2017 il leader cinese Xi Jinping in un tentativo, da molti
osservatori letto come maldestro, di normalizzare l’esperienza cinese
riconducendola all’interno della cornice neoliberista occidentale che al World
Economic Forum trova la sua summa.
Chi è
il “Davos
man”.
La
fondazione organizzatrice del meeting di fine gennaio è finanziata da un
migliaio circa di aziende associate.
Si tratta, perlopiù, di multinazionali con fatturato
superiore ai 5 miliardi di euro.
E per
questo i partecipanti al forum sono principalmente uomini, CEO delle più grandi
aziende del Pianeta, ricchissimi.
Il
“Davos man”, espressione coniata nel 2004 dal politologo di Harvard Samuel
Huntington è un “colletto d’oro”.
Membro
di una élite.
Per
alcuni una guida illuminata.
«Il
vero eroe del 2020».
E voi
che pensavate a medici e infermieri.
Nel
suo “Davos
Man: how the billionaires devoured the world” pubblicato a gennaio 2022, il
giornalista del New York Times Peter S. Goodman disegna un preciso ritratto dei
membri di questa classe di miliardari.
Si
tratta di «persone (per lo più uomini) la cui ricchezza e potere sono così
vasti da essere in grado di scrivere le regole per il resto di noi», scrive
Goodman.
DIRITTI.
I
patrimoni delle 10 persone più ricche del mondo sono raddoppiati.
Un
esempio è Marc Benioff, presidente e CEO di Salesforce.com, una società di
cloud computing aziendale.
È lui
che ritiene i CEO i veri eroi del 2020. E come dargli torto? Salesforce.com, nel 2020, ha visto un boom di
vendite dei propri prodotti. Portando nelle tasche di Benioff 10 miliardi di dollari da
aggiungere alla sua già notevole ricchezza personale.
Numeri
e storie che non stupiscono, soprattutto alla luce dell’ultimo rapporto
pubblicato da Oxfam International proprio alla vigilia dell’appuntamento di
Davos di quest’anno.
Dal quale emerge che le disuguaglianze globali
si sono acuite, con l’1% più ricco che si è accaparrato quasi due terzi dei
42mila miliardi di dollari di ricchezza creati dal 2020. I patrimoni dei
miliardari sono cresciuti al ritmo di 2,7 miliardi di dollari al giorno.
Il
rapporto.
Gli
ultra-ricchi si sono arricchiti ancor di più durante gli ultimi anni.
ECONOMIA.
Ai
super-ricchi 2,7 miliardi di dollari al giorno nell’ultimo triennio.
World
Economic Forum 2023: come cambia il “Davos man”
Sono
116 le persone iscritte a partecipare all’evento di Davos quest’anno.
Il 40% in più di 10 anni fa.
Specchio
di un mondo in cui alla povertà estrema che aumenta corrisponde un aumento
della ricchezza estrema.
Mancano
gli oligarchi russi, dicevamo.
Perché
sebbene le tendenze autoritarie e l’avversione alla democrazia di Putin fossero
fatti noti da tempo è servita l’invasione russa dell’Ucraina lo scorso 24
febbraio per porre distanze tra l’Occidente e la Russia, per interrompere
(seppure parzialmente) l’acquisto di petrolio e gas.
Ma non di uranio.
Mancano
i cinesi. Con il Paese alle prese con un’ondata di Covid e dopo che il crollo
del mercato azionario nel 2022 ha cancellato 224 miliardi di dollari dalle
fortune delle persone più ricche del Paese.
I filippini iscritti sono pochi, ma nessuno ha
patrimoni con meno di 10 cifre.
Aumentano
i miliardari provenienti dai Paesi del Golfo, grazie all’impennata dei prezzi
del petrolio.
E 13 sono i partecipanti provenienti
dall’India.
Tra di
essi Gautam Adani, attualmente la terza persona più ricca del mondo, secondo il
Bloomberg Billionaires Index.
La sua
ricchezza è aumentata di 44 miliardi di dollari l’anno scorso.
Gli
americani sono, come sempre, i più numerosi: ben 33.
E Wall
Street è ben rappresentata, con l’amministratore delegato di JPMorgan Chase
Jamie Dimon, Larry Fink di BlackRock e Steve Schwarzman di Blackstone.
Dall’Europa
partecipano “solo” 18 miliardari.
Gli
unici partecipanti dal Regno Unito sono indiani: Lakshmi Mittal, del gigante
dell’acciaio ArcelorMittal, che ha sede a Londra, e i suoi figli.
Emerge
la Davos woman?
A
latitare, poi, sono le donne.
Solo
il 27% delle persone delegate è composto da donne.
Si
chiama “Davos man” non per caso, insomma.
Anche
se un’analisi del maggio 2022 dei ricercatori Shawn Pope e Patricia Bromley
evidenzia come negli ultimi otto anni la presenza femminile sia lentamente, ma
costantemente aumentata.
Parallelamente,
è aumentata l’attenzione a temi come l’inclusione sociale e l’ambiente al posto
di crescita e sviluppo.
Almeno nei comunicati stampa degli ultimi anni
pubblicati dall’organizzazione e analizzati da Pope e Bromley.
«Sebbene
venga resuscitato dai media ogni anno, l’”uomo di Davos “dei primi anni Duemila
sta diventando un anacronismo», scrivono i due ricercatori.
«I cambiamenti, a dire il vero, sono ancora in
corso e rimangono molte contraddizioni.
Senza
dubbio, il” nuovo uomo di Davos” continuerà a predicare l’uguaglianza, anche se
la sua conferenza rimane uno degli eventi più esclusivi dell’anno».
Per Klaus
Schwab (Forum di Davos)
la
proprietà privata e mangiare
carne
sono «cose insostenibili».
Un'agenda
folle, che l'Ue sta già realizzando.
Italiaoggi.it
- Tino Oldani – (24-1-2023) – ci dice:
La
direttiva finale, che Klaus Schwab ha postato in inglese sul web a conclusione
dell'ultimo World economic forum (Wef), mette i brividi:
«Mentre
l'umanità si dirige ulteriormente verso un futuro post-carbonio, il popolo deve
accettare che mangiare carne e la proprietà privata sono cose semplicemente
insostenibili».
Come dire: preparatevi al cibo green, a
mangiare larve di insetti e farine di grilli, poiché gli allevamenti di bovini
inquinano il mondo e saranno fortemente ridotti.
Di
più: dimenticate anche la proprietà privata, smettetela di comprare case,
poiché anche queste inquinano e provocano costi da eliminare.
Può
sembrare folle, ma è solo una piccola parte dell'agenda del Grand Reset
mondiale post-Covid che Schwab e il Forum di Davos predicano da tempo.
Un'agenda
che spaventa la gente comune, ma vanta potenti sostenitori nella finanza
speculativa globale, nonché solerti esecutori perfino negli euroburocrati di
Bruxelles.
Alcuni
osservatori si sono chiesti come mai di questi temi che riguardano il futuro
del mondo si occupi il Forum di Davos e non l'Onu.
Una domanda opportuna, sollecitata da un
attacco di Elon Mark, a memoria d'uomo il primo di un multimiliardario contro
Schwab:
«Il
Wef è un governo mondiale non eletto, che il popolo non vuole e non ha mai
chiesto».
Ineccepibile.
Il
Forum di Davos è certamente un meeting di alto livello, organizzato ogni anno
da un'azienda familiare svizzera, di cui è titolare la famiglia di Schwab (vedi
ItaliaOggi del 18 gennaio), finanziata dalle numerose multinazionali che
partecipano ai suoi convegni.
Dunque, un'organizzazione privata.
L'Onu,
invece, è un'organizzazione intergovernativa con un mandato globale per
promuovere la pace, la sicurezza internazionale, lo sviluppo sostenibile, i
diritti umani e la cooperazione internazionale. Diversamente dal Wef, le sue
decisioni sono soggette alla votazione dell'assemblea Onu, dove sono
rappresentati 193 paesi.
Dunque, un organismo democratico mondiale, che in
teoria dovrebbe avere più voce in capitolo quando si parla di futuro del mondo.
Ma in pratica non è così, grazie al ruolo
sempre più dominante della grande finanza speculativa.
«Quest'anno si è registrato a Davos la più
alta partecipazione di imprese, con oltre 1.500 leader provenienti da 700
organizzazioni.
C'erano più di 100 miliardari, affaristi
sauditi e degli Emirati arabi.
Ma
Davos è stato un ambiente tossico per i capi delle grandi democrazie.
Un luogo da evitare», si legge su ilsussidiario.net,
che ha sottolineato l'assenza di numerosi leader politici mondiali.
«Quest'anno
a Davos abbiamo capito che la politica non è più in grado di gestire l'economia
globalizzata. Abbiamo capito che l'economia è in mano a un ristretto gruppo di
privati e della finanza internazionale».
Per la
verità, i segnali di una politica dell’Ue succube all'agenda Schwab sono già
evidenti.
«A
Bruxelles la pressione delle multinazionali della nutrizione è fortissima»,
dice Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, contrariato dal fatto che la
Commissione Ue di Ursula von der Leyen ha concesso all'Irlanda di mettere sul
vino le etichette che lo equiparano al fumo come cancerogeno.
«Daranno
via libera anche alla carne, al pesce e al latte sintetici. Perché a Bruxelles
comandano i lobbisti delle multinazionali», sostiene in un'intervista a La
Verità.
«Pensiamo al “Nutriscore”, l'etichetta a semaforo, che non è affatto un
pericolo scampato.
Le
multinazionali che la sostengono insistono perché gli “energy drink”, le
patatine fritte, gli alimenti Frankestein prendano il posto dei cibi sani, agricoli,
dell'olio extravergine di oliva. E la Commissione Ue le ascolta con attenzione».
Prandini
non esita ad attaccare i leader Ue, con nomi e cognomi. Invita la presidente Ursula von der
Leyen a «rendere omaggio a Bill Gates», come ha fatto con Big Pharma per i
vaccini:
«Bill
Gates è il primo produttore e sponsor della carne sintetica ed è anche il maggiore
finanziatore privato dell'Oms, l'Organizzazione mondiale della sanità, che
dovrebbe essere un organismo terzo.
Invece dall'Oms arrivano allarmi sulla carne rossa
(che per fortuna sono stati rintuzzati) e inviti ai “novel food”, che sono solo
prodotti della chimica.
Risultato:
la
Commissione Ue ha dato via libera alla finta carne e agli insetti importati dal
Vietnam».
Prandini
ne ha anche per Frans Timmermans, vice di von der Leyen, con la delega per la
transizione verde:
«In
Olanda vuole azzerare la zootecnia per fare posto ai bioreattori, che il suo
paese ospita insieme alla Danimarca, dove si producono le bistecche sintetiche.
Con la
scusa dell'ambiente, ci dicono che dobbiamo mangiare gli insetti, quando i
reattori che producono la finta carne, il finto latte e il finto pesce usano
enormi quantità d'acqua e hanno emissioni record.
La verità è che si vuole togliere dal mercato
l'eccellenza agroalimentare, quella italiana in particolare.
Con
una sola finalità: omologare il gusto per consentire alle multinazionali di
guadagnare indisturbati».
Quanto
all'agenda Schwab sulla insostenibilità della proprietà, all'insegna del motto
«non possiederete nulla e sarete felici», ovviamente rivolto al popolo bue, non
certo ai miliardari che lo foraggiano, le norme Ue sulla casa green, con
l'obbligo di ristrutturare entro il 2030 quelle che disperdono energia, siamo
solo al primo passo.
Che
sia una pretesa folle dell'Ue lo ha spiegato bene Marino Longoni su ItaliaOggi:
in 3
anni con il superbonus sono state ristrutturate in Italia 350 mila abitazioni;
farlo per 20-25 milioni di abitazioni in 5-6
anni sarebbe impossibile anche per Mandrake.
Ma
l'agenda Schwab tira dritto con la stessa arroganza cieca. Speriamo che faccia la stessa fine.
Davos
2023: azione sui timori
di
recessione in cima all'ordine
del
giorno della riunione annuale.
Thenationalnews-cometraslate.org
– Mustafà Alrawi – (15- 01-2023) -ci dice:
Davos,
Svizzera.
I
responsabili politici hanno ancora l'opportunità di ridurre al minimo l'impatto
della recessione e stimolare la ripresa, afferma il World Economic Forum.
È
presente il presidente del World Economic Forum Borge Brende e l'amministratore
delegato del forum Saadia Zahidi in vista dell'incontro annuale, che si terrà
nella città svizzera di Davos dal 16 al 20 gennaio.
Funzionari
ed economisti a Davos valuteranno la gravità di una prevista recessione
economica globale e tracceranno modi per mitigarne l'impatto quando si
incontreranno questa settimana durante l'incontro annuale del World Economic
Forum nella località montana svizzera.
Tra i
partecipanti ci saranno Kristalina Georgieva , amministratore delegato del
Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, presidente della Banca
Centrale Europea, Bruno Le Maire, il Ministro dell'Economia francese e gli
economisti Larry Summers e Raghuram Rajan.
Questioni
come l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell'energia in tutto il
mondo e le prospettive per l'economia europea saranno al centro
dell'attenzione.
La
Banca mondiale avverte che l'economia globale potrebbe scivolare in recessione,
con la crescita del 2023 quasi dimezzata
Davos
2023 sarà il trampolino di lancio per il vertice sul clima Cop28 negli Emirati
Arabi Uniti.
"In
realtà, lunedì inizieremo la settimana con le prospettive dei nostri principali
economisti che delineano l'agenda per il 2023 ... il rischio di recessione,
cosa potrebbe accadere in termini di intensità, in termini di tassi di
interesse e dove alcune delle maggiori opportunità risiedono in termini di
varie aree geografiche dell'economia globale", ha dichiarato la scorsa
settimana Saadia Zahidi, amministratore delegato e responsabile delle agende
sociali ed economiche al forum.
“Prenderemo
in considerazione anche il rischio di recessione a breve termine.
Ma penso che sia ancora nelle mani dei
politici e dei leader che si riuniranno la prossima settimana per mettere in
atto il giusto tipo di programma di crescita e garantire che ci siano meno
danni possibili e una ripresa molto più rapida".
L'
economia globale è destinata a una brusca flessione quest'anno, secondo
l'ultima proiezione della Banca mondiale.
La
crescita dovrebbe scendere all'1,7% nel 2023, rispetto al 3% previsto sei mesi
fa, ha affermato l'istituto di credito con sede a Washington nel suo ultimo
rapporto “Global Economic Prospects” pubblicato martedì.
Questo
è il terzo ritmo di crescita più debole in circa tre decenni, riflettendo la
stretta monetaria globale, gli effetti della guerra Ucraina-Russia, gli alti
livelli di rigidità, il peggioramento delle condizioni finanziarie e la più
debole crescita negli Stati Uniti, in Cina e nell'area dell'euro.
"La limitazione della crescita e degli
investimenti delle imprese aggraverà le già devastanti inversioni di tendenza
in materia di istruzione, sanità, povertà e infrastrutture e le crescenti
richieste derivanti dal cambiamento climatico", ha dichiarato la scorsa
settimana il presidente della Banca mondiale David Malpass.
La
banca ha chiesto un maggiore sostegno ai paesi a basso reddito per far fronte agli shock alimentari
ed energetici, alle persone sfollate a causa dei conflitti e al crescente
rischio di crisi del debito.
Anche
le ultime prospettive del “Fondo monetario internazionale” sono attese alla
fine di questo mese.
La
gente fa la fila per comprare la farina di frumento a prezzi controllati dal
governo a Islamabad.
L'economia
pakistana è stata duramente colpita da una crisi politica, oltre che da
inondazioni devastanti e dalla crisi energetica globale, con la rupia in forte
calo e l'inflazione ai massimi decenni.
La
gente fa la fila per comprare la farina di frumento a prezzi controllati dal
governo a Islamabad.
L'economia pakistana è stata duramente colpita
da una crisi politica, oltre che da inondazioni devastanti e dalla crisi
energetica globale, con la rupia in forte calo e l'inflazione ai massimi
decenni.
Negli
Stati Uniti, la più grande economia del mondo, i problemi stanno affliggendo
anche il settore tecnologico - per anni un'industria in rapida crescita - con
perdite di posti di lavoro in corso presso le più grandi aziende, tra cui Meta,
la società madre di Amazon e Facebook.
“C'è un
quadro complesso qui... dobbiamo in qualche modo abbracciare la piena
comprensione di quella complessità.
Da un lato ... stiamo vedendo alcuni titoli
importanti in alcune parti del settore tecnologico. Ma gran parte di ciò che
cercheremo di esaminare la prossima settimana e l'opportunità emergente di
implementare la tecnologia in più settori, compresa l'agricoltura, compresa
l'istruzione, compresa l'energia", ha affermato Zahidi.
"E
questo in realtà significa che la tecnologia è molto più onnipresente in più
settori. E
c'è un'enorme opportunità per un'ulteriore creazione di posti di lavoro, per
un'ulteriore crescita, specialmente nei mercati emergenti, e una prospettiva
molto più positiva".
Per
garantire ciò, ha affermato, saranno necessari investimenti per sostenere una
crescita economica sostenibile, inclusiva e resiliente.
La
rottura è la nuova normalità: Business Extra.
"Un
gruppo di leader del settore pubblico e privato si unirà per affrontare
esattamente questa domanda, progettando un quadro e iniziando ad allinearsi
attorno a quella nuova agenda.
Ciò include anche pensare di più ai mercati di domani,
alle specifiche aree di investimento, tutto, dallo stoccaggio dell'energia,
alle tecnologie educative che possono creare la crescita giusta, resiliente,
sostenibile e inclusiva del futuro", ha affermato Zahidi.
Sarà
inoltre necessario concentrarsi sulle persone, anche sull'istruzione e sullo
sviluppo delle competenze, altrimenti "nessuna di queste opportunità può
davvero realizzarsi, e non avremo nemmeno il tipo di resilienza sociale
necessaria per essere preparati a futuri inevitabili shock". L'iniziativa "Reskilling Revolution" del forum mira a dare a un miliardo di persone
l'accesso a un'istruzione, competenze e opportunità economiche migliori entro
il 2030.
“Annunciamo
che abbiamo effettivamente raggiunto il traguardo che ci eravamo prefissati tre
anni fa, ovvero raggiungere un miliardo di persone entro il 2030, a questo
punto doveva essere il 30 per cento dell'obiettivo. E in realtà andremo ben
oltre", ha detto.
Tuttavia,
il quadro dei posti di lavoro rimane disomogeneo in tutto il mondo.
“Stiamo
osservando mercati del lavoro molto ristretti in gran parte del mondo
occidentale.
Ma in molte economie emergenti e in via di sviluppo, è necessario porre molta più attenzione alla qualità del lavoro, ai salari dignitosi e alla realizzazione di investimenti per la creazione di posti di lavoro, soprattutto per i giovani", ha affermato Zahidi.
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