L’ideologia green viene imposta e applicata tramite Direttive e Regolamenti economici della UE.

 L’ideologia green viene imposta e applicata tramite

Direttive e Regolamenti economici della UE.

 

 

La direttiva Ue sulle case green è cosa fatta.

Una follia, che ha la sponda della Bce.

Piaccia o no, Greta ha vinto.

Italiaoggi.it – Tino Oldani – (7-2-2023) – ci dice:

In settimana sono previsti due appuntamenti importanti per l'Europa, in particolare per l'Italia.

 Giovedì e venerdì il Consiglio Ue dei capi di governo dovrà decidere quale linea seguire su tre grandi temi: economia, migrazioni, Ucraina.

Venerdì, al Parlamento europeo di Strasburgo, la Commissione energia voterà la direttiva sulle case green in base al testo concordato da una larga maggioranza, che vede uniti Ppe, Socialisti, Renew Europe, Verdi e Sinistra.

In entrambi gli appuntamenti, il governo di Giorgia Meloni è atteso a una prova non facile.

Sulla carta, ha molto da perdere e ben poco da guadagnare.

Sul tema dell'economia, la previsione è che la Germania avrà partita vinta e otterrà il via libera a una proroga degli aiuti di Stato per fare fronte alla sfida lanciata da Joe Biden per agevolare gli investimenti Usa nel green.

 In disaccordo, non potendo competere con le disponibilità del bilancio tedesco, Meloni ha proposto, insieme alla Spagna, un Fondo sovrano Ue per gli investimenti green, dotato di risorse comuni dei paesi membri, più un uso flessibile dei fondi Ue esistenti, sul cui impiego l'Italia è in ritardo rispetto ai tempi concordati.

 La risposta di Olaf Scholz e dei paesi sedicenti «frugali» è stata un «no» secco per il Fondo sovrano, giustificato con il fatto che l'Italia non è riuscita a spendere le risorse già ottenute.

Possibili aperture, invece, sulla flessibilità.

Quanto alle migrazioni, tema fortemente preteso in agenda dalla Meloni per «la difesa comune dei confini europei», c'è il rischio che non si vada al di là di belle parole retoriche, seguite, come al solito, da un rinvio delle decisioni concrete di qualche mese, forse di un anno, proprio per l'opposizione della Svezia, che ha la presidenza di turno dell'Europa.

Scontata, infine, l'unita Ue sugli aiuti all'Ucraina aggredita da Vladimir Putin, un impegno che la Meloni sta perseguendo con fermezza, in continuità con Mario Draghi.

Del tutto sfavorevole per l'Italia si annuncia, poi, il voto di Strasburgo sulla direttiva per le case green.

Il testo concordato è ancora più stringente di quello varato dalla Commissione Ue e prevede che in tutta Europa gli immobili che disperdono energia, perciò da ristrutturare, dovranno essere portati nelle classi energetiche E e D (non più in quelle F ed E) entro il 2030 e il 2033.

Per l'Italia significa dover ristrutturare in pochi anni il 75% degli immobili residenziali esistenti, oltre nove milioni, con un costo stimato in almeno 1.500 miliardi di euro.

Il tutto per ridurre le emissioni nocive dello 0,11 per cento.

Cioè quasi nulla.

Una follia ideologica green, che fa a pugni con la realtà. L'esperienza del bonus 110% dice che, in due anni, si sono fatti 360mila interventi, con un costo per lo Stato di 68,7 miliardi, aggravato dal forte rialzo dei prezzi nell'edilizia.

Per attuare la direttiva Ue, ha ironizzato l'Ance, associazione dei costruttori, sarebbero necessari 630 anni per soddisfare il primo step e ben 3.800 anni per arrivare alla decarbonizzazione completa degli edifici.

È sempre più evidente che l'ideologia green è diventata l'asse portante della politica europea sia economica che monetaria, improntate entrambe al dirigismo, con effetti distorsivi sul mercato per famiglie e imprese, mentre a beneficiarne è la grande finanza, che da anni promuove la svolta green.

Se fino a pochi mesi fa era Greta Thumberg a farsi portavoce di questa battaglia, ora che ha vinto sono ben altri gli epigoni sul proscenio.

A Bruxelles, Frans Timmermans, socialista, vicepresidente della Commissione Ue con la delega per la transizione green, è sempre più l'uomo di punta dei veti dogmatici:

stop ai motori a benzina e diesel, spinta alle auto elettriche, obbligo di case green, abolizione delle caldaie a gas entro il 2029.

 E ora eccolo proiettato verso un nuovo traguardo, la conquista delle energie alternative e dell'idrogeno verde dell'Africa.

Proprio così: non essendo sufficienti in Europa queste nuove risorse per rimpiazzare i combustibili fossili, Timmermans si è presentato l'altro ieri ad Abu Dhabi, dove era in corso l'assemblea delle Agenzie internazionali per le energie rinnovabili, assicurando che «il continente africano sarà il partner più importante dell'Ue per la produzione e la fornitura delle energie rinnovabili e dell'idrogeno verde».

Un obiettivo prioritario del Global Gateway, il piano «ambizioso» con cui l'Ue vuole sfidare la Cina in Africa.

 

In realtà, è l'ennesimo esempio di dirigismo, che prescinde da alcune considerazioni banali.

Metà della popolazione africana, secondo la Banca Mondiale, non ha accesso all'elettricità, e 600 milioni di abitanti dell'area subsahariana non hanno mai avuto connessione elettriche.

Siano sicuri che i paesi africani siano entusiasti di produrre con pannelli solari l'energia elettrica e l'idrogeno verde per l'Europa, prima ancora che per le loro popolazioni?

Tra gli epigoni altolocati di Greta può annoverarsi anche Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, che ora considera la svolta green come parte integrante del mandato della Bce, il che non risulta scritto in nessun trattato.

 In questa tesi autoproclamata l'ha preceduta la tedesca Isabel Schnabel, membro del direttivo della Bce, la prima ad allargare al green il mandato Bce, limitato dai trattati solo al controllo dell'inflazione.

 Negli Usa, il governatore della Fed, Jerome Powell, sostiene che non è compito delle banche centrali salvare il mondo con la rivoluzione verde.

Ma Lagarde sostiene il contrario, tanto che nell'ultima conferenza stampa ha dettato l'agenda verde ai governi dell'eurozona, ordinando di eliminare quanto prima i sussidi per ridurre le bollette dell'energia per famiglie e imprese.

Risorse, a suo avviso, da usare piuttosto per le energie alternative.

Piaccia o meno, Greta ha stravinto.

 

l’Unione Europea deve prepararsi

a un nuovo aumento dei prezzi del gas.

italy24.press - Richard Trend -Report – (10- 3- 2023) -ci dice:

 

L’Europa scommette sul boom del solare fotovoltaico per diventare energeticamente indipendenti, anche per la produzione di pannelli solari.

Nel corso di una serie di incontri ad alto livello a Bruxelles, il direttore esecutivo dell’”Agenzia Internazionale dell’Energia” (AIE), Fatih Birol, ha incontrato i vertici delle principali istituzioni dell’Unione Europea per discutere della crisi energetica globale e delle opportunità e sfide che il L’Europa deve affrontare mentre cerca di rafforzare la sua sicurezza energetica e far progredire la sua transizione verso l’energia verde.

In un incontro con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, Birol ha delineato le misure per preparare l’Europa al prossimo inverno e mitigare i rischi di una possibile recrudescenza della crisi energetica entro la fine dell’anno.

Dopo aver evidenziato “i progressi compiuti dall’Ue nel ridurre la sua dipendenza dal gas naturale russo negli ultimi 12 mesi, dimostrando quanto siano essenziali risposte politiche efficaci e tempestive in tempi di crisi”, il capo dell’Aie ha avvertito che “in futuro, l’energia dell’Ue i prezzi aumenteranno in modo significativo e il gas naturale a buon mercato non sarà più disponibile.

I prezzi del gas naturale non saranno mai più gli stessi di prima delle sanzioni occidentali contro la Russia.

E i consumatori dovrebbero essere preparati a questo”.

Michel e Birol hanno poi avuto un’ampia discussione sul rafforzamento della competitività industriale dell’Europa, mentre altri paesi e regioni stanno intensificando gli sforzi per attrarre maggiori investimenti nella produzione di tecnologie per l’energia pulita.’

Birol ha anche incontrato il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans e i due hanno discusso del Green Deal europeo e di altre iniziative dell’UE in materia di energia e clima nel contesto dell’attuale turbolenza economica e geopolitica.

Hanno anche parlato dei preparativi per la 28a Conferenza delle Parti sui Cambiamenti Climatici (Cop28 Unfccc) che si terrà ad Abu Dhabi a novembre.

Su invito del Parlamento europeo, Birol è intervenuto a una riunione della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia insieme a Cristian Bușoi, presidente della commissione, e al commissario europeo per l’energia Kadri Simson, scambiando opinioni con i parlamentari e poi rispondendo ai giornalisti domande in una conferenza stampa e ancora una volta messo in guardia contro l’autocompiacimento, anche se i prezzi del gas sono leggermente in calo rispetto ai livelli record raggiunti lo scorso anno.

 Ha inoltre evidenziato la necessità che l’Europa si doti di “Un nuovo business plan industriale mentre si infiamma la corsa alla leadership nel settore delle energie pulite”.

L’8 marzo, Birol ha tenuto un discorso programmatico all’inizio del SolarPower Europe Summit a Bruxelles, che ha riunito alti rappresentanti del governo e dell’industria e ha sottolineato che “la continua crescita impressionante del solare ha reso l’Unione Europea la regina dei mercati globali dell’elettricità”.

Simon si è anche complimentato con l’industria europea del solare fotovoltaico:

“Nell’ultimo anno, è diventata un attore chiave e ha contribuito ai nostri sforzi per aumentare la capacità di energia rinnovabile in Europa.

 Il solare fotovoltaico è dove stiamo assistendo agli sviluppi più positivi, con installazioni record anno dopo anno!

I 41 gigawatt di fotovoltaico installati sono un grande successo.

E questo è solo l’inizio. L’UE vuole vedere l’industria solare continuare a prosperare in Europa”.

Il commissario Ue ha illustrato come l’Europa stia sostenendo la diffusione dell’energia solare:

 «Con “REPowerEU” miriamo a raggiungere il 45% di energia rinnovabile nel nostro mix entro il 2030.

 La chiave per raggiungere questo obiettivo è la strategia dell’UE per l’energia solare.

Da 136 gigawatt di fotovoltaico installati nell’UE tre anni fa, il piano è di raggiungere i 320 entro il 2025 e i 600 entro il 2030.

Per aiutarci a raggiungere questo obiettivo, stiamo lavorando per creare un ambiente più favorevole attraverso una serie di azioni.

In primo luogo, attraverso le nuove regole di licenza dell’UE.

 Questi sono entrati in vigore lo scorso dicembre e ci aspettiamo che abbiano un effetto catalizzatore sullo sviluppo di nuove fonti energetiche rinnovabili.

Accelereranno i processi di autorizzazione e semplificheranno le procedure di approvazione dei progetti.

 In secondo luogo, attraverso la nostra imminente riforma della progettazione del mercato dell’elettricità.

La Commissione è pienamente consapevole del fatto che la stabilità normativa è essenziale per l’agenda “REPowerEU”.

Quindi voglio garantire che la riforma del mercato dell’elettricità non metta in discussione i fondamenti del mercato.

L’obiettivo è solo quello di mitigare l’effetto dei prezzi elevati del gas.

 

Simon ha ricordato che

«Dall’inizio della crisi, i consumatori europei si sono fatti carico di un onere economico enorme con dolorosi aumenti dei prezzi e aumenti scioccanti delle bollette elettriche.

Tutti i consumatori, dalle grandi industrie alle piccole imprese e alle famiglie, dovrebbero beneficiare della crescita e del basso costo delle energie rinnovabili.

A tal fine, rafforzeremo il mercato dei contratti di acquisto di energia e introdurremo l’uso obbligatorio dei Contratti per Differenza per gli investimenti di nuova generazione dove è necessario un finanziamento pubblico.

L’imminente riforma migliorerà anche le soluzioni di flessibilità e affronterà i problemi di stoccaggio dell’energia che attualmente ostacolano la diffusione delle energie rinnovabili.

 Parallelamente, sosterremo gli Stati membri nei loro sforzi per affrontare gli ostacoli alla diffusione dell’energia rinnovabile, formulando raccomandazioni concrete, anche sullo stoccaggio dell’energia.’

Poi il commissario Ue ha affrontato il tema della produzione di pannelli solari:

«Perché oggi l’Ue importa la maggior parte dei pannelli solari che installa. E circa tre quarti provenivano da un solo paese.

 Passare dai combustibili fossili alle rinnovabili non dovrebbe significare scambiare una dipendenza con un’altra.

Questo ci rende vulnerabili a potenziali interruzioni della catena di approvvigionamento e mina la sicurezza energetica.

 Quindi l’Europa deve fare il suo gioco.

Ciò significa agire per diversificare la nostra offerta e migliorare le nostre capacità di generazione di energia solare nell’UE.

Questo è il motivo per cui lo scorso dicembre abbiamo lanciato una EU Solar PV Industry Alliance, di cui molti di voi sono ora membri.

Il suo obiettivo sarà raggiungere i 30 gigawatt di capacità di generazione lungo l’intera catena del valore del fotovoltaico entro il 2025.

Questo è anche il motivo per cui, nell’ambito del Green Deal Industry Plan, “il Net-Zero Industry Act” pubblicato la prossima settimana sosterrà i progetti di produzione di tecnologie pulite, compresa la generazione solare”.

 

 

 

Non tutti gli ambientalisti sono diventati "gretini".

Reteresistenzacrinale.it – Alberto Cuppini – (10 ottobre 2019) – ci dice:

 

Confutiamo l'impressione, che si sta rafforzando nell'opinione pubblica italiana come già accaduto negli Stati Uniti e in Brasile, che tutto l'ambientalismo sia preda di una ideologia anti-industriale, dell'irrazionalità ed ora anche dell'infantilismo, e perciò stesso sia non solo inaffidabile ma persino deleterio.

Come prova del fatto che rimangono forti presìdi ambientalisti con i piedi saldamente piantati nel tempo e nello spazio, presentiamo il caso dell'Imposta sulle emissioni aggiunte (Imea) e la sponsorizzazione di questa proposta di una nuova fiscalità per le emissioni clima-alteranti fatta dagli “Amici della Terra” in tutte le sedi istituzionali.

L'Imea mira a valorizzare sull’IVA le reali emissioni di CO2, a prescindere da dove i beni siano stati prodotti, e ambisce a diventare uno standard di produzione sostenibile.

A tal fine, l'Imea si propone di incorporare il costo della CO2 nei prodotti attraverso uno schema di fiscalità ambientale valido sia per i prodotti interni che per quelli importati, prendendo come riferimento i migliori benchmark di intensità emissiva nei vari settori di produzione.

Non ha infatti alcun senso da un punto di vista ambientale - e industriale - disincentivare le produzioni locali europee a basse emissioni nel confronto di mercato con quelle più inquinanti.

Oggi, grazie alle tecniche denominate "blockchain", potrebbe essere possibile tracciare le emissioni di beni complessi e contrastare il fenomeno del carbon leakage, e quindi l'involontario aumento delle emissioni clima-alteranti, attraverso un approccio bottom-up, in contrapposizione al "sistema Kyoto", che invece è il tipico metodo top-down, deciso dall'alto e imposto alla base.

La realizzazione di questo schema potrebbe spalancare le porte ad un nuovo paradigma:

 lo spostamento della tassazione da chi produce ricchezza collettiva a chi consuma risorse comuni non riproducibili. L'applicazione dell'efficienza energetica delle best practice europee (o anche semplicemente l'applicazione dell'efficienza energetica italiana, che eccelle nel mondo) permetterebbe di raggiungere risultati migliori, nel contenimento delle emissioni carboniche, di quelli previsti con i metodi utopistici e velleitari suggeriti dalle varie COP dell'ONU, da cui derivano direttamente i grotteschi, tragicomici regolamenti ordoliberisti della commissione Ue, scritti sotto dettatura dei lobbysti che imperversano a Bruxelles.

 

In Cina sono state create delle apocalittiche acciaierie cinesi dove viene prodotto l’acciaio consumato dai “gretini” europei.

"Togliere la difesa dell'ambiente dalle mani degli ambientalisti" tuonava il titolo del fondo di Claudio Cerasa sul Foglio del 24 settembre scorso, che denunciava "i danni di un ambientalismo che gioca con il capitalismo, le tasse, i vizi, le nascite e il modello bancomat dell’Europa" ed in particolare, ci permettiamo di aggiungere noi, che gioca con le gabelle in costante ed insopportabile crescita, finora celate nelle bollette elettriche di tutti gli italiani, per sussidiare in modo inverosimile le rinnovabili elettriche non modulabili (in primis eolico e fotovoltaico) e per evitare che il sistema elettrico italiano tracolli proprio a causa della loro natura non programmabile.

Scriveva il Foglio (uno dei pochissimi giornali italiani che hanno fatto la scelta contro corrente di criticare "la teologia apocalittica scelta dai follower di Greta Thunberg"):

"Difendere l'ambiente è cosa buona e giusta anche se, come suggerito qualche giorno fa dal “Wall Street Journal”, lasciare che i bambini siano i leader nel campo dei cambiamenti climatici è una ricetta per il disastro sicuro.

Ma chi ha a cuore la difesa dell'ambiente dovrebbe preoccuparsi più di chiunque altro di non delegittimare le battaglie in difesa dell'ambiente... quando l'ambientalismo diventa una scusa per fare quello che senza l'ambientalismo non sarebbe concesso...".

Per fortuna, la denuncia del Foglio è solo una generalizzazione.

 Qualche ambientalista italiano (pochi, in verità...) non ha perso la trebisonda a seguito della tempesta mediatica della "piccola Greta" (che è stata strumentalizzata, guarda caso proprio in coincidenza della redazione dei piani nazionali energia clima, dai lobbysti delle rinnovabili - e poi dai mass media - con la massima spregiudicatezza), rinunciando così a cogliere i facili vantaggi della popolarità garantita a chi si conforma ad argomentazioni puerili ed a comportamenti opportunistici.

Ne abbiamo avuto la prova provata (sperando che non si tratti della classica eccezione che conferma la regola) da una notizia riportata dalla stampa specializzata.

"Carbon border tax, Amici della Terra scrive a Gentiloni" titolava, lo stesso 24 settembre scorso, la Staffetta Quotidiana:

"La presidente degli Amici della Terra Monica Tommasi ha inviato stamani una lettera al nuovo commissario UE per l'economia Paolo Gentiloni, incaricato di elaborare una Carbon Tax così come previsto dal documento programmatico della presidente della Commissione Ursula von der Leyen..."

Per saperne di più potete andare sul sito dell'Astrolabio, dove è riportato il testo della lettera a Gentiloni, nel post "ImEA, la tassa che non punisce l’industria efficiente" che così la presentava:

"Con una lettera della presidente Tommasi, inviata in questi giorni al Commissario europeo all’Economia Gentiloni, gli Amici della Terra rilanciano la proposta dell’ImEA, una carbon tax non discriminatoria sulla Co2 nei beni che non è un dazio ma una nuova strada che l’UE può aprire per trasformare la sostenibilità in uno dei parametri della competizione globale."

Di nuovo dall'Astrolabio avevamo appreso da Beniamino Bonardi, nel post "Energia e ambiente nella nuova Commissione europea", che al nuovo commissario all'Economia Paolo Gentiloni

"spetterà anche farsi promotore della riforma fiscale europea, in particolare per quanto riguarda l’introduzione della tassa sul carbonio.

 Nella lettera d'incarico a Gentiloni, la presidente von der Leyen scrive:

 

“La tassazione deve svolgere un ruolo centrale nel Green Deal europeo. Voglio che Lei diriga i lavori del riesame della direttiva sulla tassazione dell'energia per allinearla alle nostre ambizioni e porre fine alle sovvenzioni dei combustibili fossili.

 In stretta collaborazione con il vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, dovrà guidare i lavori sulla proposta di imposta sul carbonio alle frontiere, strumento fondamentale per evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e permettere alle imprese dell'Unione di competere in condizioni di parità."

Noi non abbiamo avuto mai nessuna fiducia in Gentiloni, e risparmiamo, per carità di Patria, le considerazioni sulla salute della democrazia italiana che si potrebbero formulare partendo dalla sua nomina alla Commissione europea dopo la sua personale - pesantissima - sconfitta elettorale alle politiche nel marzo 2018 e dopo l'insuccesso del suo partito anche nelle elezioni europee del maggio di quest'anno.

Ammettiamo però che il tentativo degli Amici della Terra andasse comunque fatto.

La Von der Leyen ha aperto uno spiraglio, con la citazione di una” carbon border tax” (per contrastare il fenomeno del “carbon leakage”) già nel suo discorso di insediamento, che andava allargato il più rapidamente possibile.

Sempre sull'ultimo numero dell'Astrolabio abbiamo letto l'intervista di “Tommaso Franci” alla professoressa “Agime Gerbeti”, ideatrice dell'Imea, intitolata "Salvare il clima e difendere le industrie meno inquinanti", che così viene introdotta dall'intervistatore stesso:

"Abbiamo chiesto all’autrice di “CO2 nei beni” un parere sulla praticabilità degli obiettivi europei 2030 di decarbonizzazione, sull’efficacia del meccanismo UE di ETS e sulle criticità per l’industria europea eco-efficiente.

La proposta dell’Imea, che è molto diversa da un dazio alla frontiera (carbon “border” tax) e che rappresenterebbe un vantaggio perpetuo per chiunque produca beni emettendo di meno, può trovare sostenitori nel Governo e nelle istituzioni italiane."

Nell'intervista, tra l'altro, leggiamo che "l'imposta sulle emissioni aggiunte (Imea) mira a valorizzare sull’IVA le reali e puntualmente contabilizzate emissioni di CO2, a prescindere da dove i beni siano stati prodotti, e ambisce a diventare uno standard di produzione sostenibile.

Quindi la contabilizzazione è sempre sulla produzione reale e non sulla media della nazione di provenienza.

 Questo rende l’Imea molto diversa da una carbon border tax..."

Abbiamo molto ben giudicato non solo la lettera degli Amici della Terra a Gentiloni, ma anche la rinnovata attenzione, da sempre dedicata dall'Astrolabio all'Imea, e l'assidua sponsorizzazione di questa proposta di una nuova fiscalità per le emissioni clima-alteranti fatta dagli Amici della Terra in tutte le sedi istituzionali.

Seguivamo con la massima attenzione il lavoro della Gerbeti sin dai tempi della pubblicazione del suo libro "CO2 nei beni e competitività industriale europea" nel 2014.

 Ne eravamo venuti a conoscenza proprio dall'Astrolabio, da una bella recensione del compianto “Francesco Mauro”:

"l’autrice viene fuori con durezza a mostrare il non funzionamento del sistema ETS e degli accordi internazionali ad esso connessi, la sua burocratizzazione, persino il suo uso a fini speculativi.

E propone di uscirne fuori incorporando il costo della CO2 nei prodotti attraverso uno schema di fiscalità ambientale applicato all’IVA sia per i prodotti interni che per quelli importati, prendendo come riferimento i migliori benchmark di intensità emissiva nei vari settori di produzione."

Mauro aveva, in estrema sintesi, individuato i due elementi che, insieme, rendevano l'idea della Gerbeti rivoluzionaria:

 1) il concetto di carbon footprint (o CFP) dell'ingegnere svizzero Mathis Wackernagel (pagina 100 e seguenti del testo) ed in particolare che "caratteristica della CFP è procedere attraverso un approccio bottom-up, letteralmente dal basso verso l'alto, in (apparente) contrapposizione col sistema Kyoto che invece è il tipico metodo top-down, deciso dall'alto e imposto alla base" e che

 2) la nuova imposta doveva essere applicata a tutti i beni consumati (ripetiamo: consumati, non prodotti) in Europa ed essere incorporata nell'IVA, a parità di gettito tributario, sostituendosi progressivamente ad essa per non apparire un nuovo odioso balzello.

La realizzazione di questo schema potrebbe spalancare le porte ad un nuovo paradigma: lo spostamento della tassazione da chi produce ricchezza collettiva a chi consuma risorse comuni non riproducibili.

“Francesco Mauro” non aveva però colto il limite invalicabile (allora) della proposta della Gerbeti, che ingenuamente auspicava (a pagina 126 del testo), per definire un metodo lineare e non discriminatorio per quantificare la CO2 e la sua tracciabilità per ogni singolo prodotto, niente meno che l'avvento di "decine di migliaia di esperti energetici e sulle emissioni per definire nel dettaglio il meccanismo, per valutare quanto ogni singolo prodotto dovrebbe mettere per essere considerato efficiente ecc.".

Dio ce ne scampi e liberi!

Sarebbe stata l'apoteosi proprio dei tecnocrati di Bruxelles, che invece sono i nemici principali, assieme alle Conferenze delle Parti (COP) dell'ONU, che l'approccio bottom-up al problema delle emissioni clima-alteranti dovrebbe sconfiggere.

Da allora, però, la tecnologia ha fornito qualcosa di assolutamente nuovo: lo strumento della blockchain.

La professoressa Gerbeti ha intuito le sue potenzialità e lo ha rapidamente inserito nella sua costruzione teorica, a partire dall'articolo "Blockchain e tracciabilità delle emissioni industriali" - firmato assieme a Fabio Catino - pubblicato nel secondo numero del 2019 della rivista Energia.

A sua volta, la redazione di Energia ne ha colto la portata rivoluzionaria al punto da pubblicare non uno ma due post di presentazione (che vi sollecitiamo a leggere per intero), il primo del 20 giugno dal titolo "La blockchain per tracciare le emissioni industriali (e tutelare la competitività europea)":

“La logica di fondo consiste nel riconoscere che non ha alcun senso da un punto di vista ambientale – e industriale – disincentivare le produzioni locali europee a basse emissioni nel confronto di mercato con quelle più inquinanti.”

ed il secondo il 22 agosto, dal titolo "Blockchain: cos’è e come può servire la causa climatica":

"Grazie alla blockchain è possibile tracciare le emissioni di beni complessi e contrastare in questo modo il fenomeno del carbon leakage... Le emissioni in sostanza dovrebbero essere calcolate non al momento della produzione di un bene, ma a quello del suo consumo, così da conteggiare anche i beni prodotti altrove e poi importati.

 Altrimenti si rischia un gioco delle tre carte che consente ipocritamente di vantare numeri virtuosi che non riflettono la realtà delle cose".

Non siamo però assolutamente d'accordo con una delle conclusioni del sopra menzionato articolo a firma Gerbeti-Catino:

"L'Imea, ... seppure favorita dalla tecnologia blockchain, non può considerarsi di semplice adozione." E fino qui tutto bene.

"Le complicazioni in merito non sono tuttavia di natura concettuale... nè di natura tecnica, ma di carattere politico, economico e finanziario." Assolutamente no! I problemi principali sono proprio di natura tecnica.

Neppure i successivi chiarimenti richiesti alla Gerbeti, che evidentemente ha suscitato un grosso interesse tra gli addetti ai lavori, ci sono parsi soddisfacenti.

 

Non nell'articolo pubblicato sulla Staffetta Quotidiana del 27 settembre "I problemi della carbon border tax - L'analisi di Agime Gerbeti (Aiee)", in cui la blockchain non viene neppure nominata, nè nell'articolo ben più interessante, pubblicato il 24 settembre su Orizzontenergia, Climate change:

 Globalizzazione del problema e blockchain, in cui ci si limita ad osservare, con un eccesso di semplificazioni, che:

"se fino ad ora la blockchain è stata impiegata per le transazioni economiche e spesso associata con approssimazione alle cryptovalute, questo non significa affatto che non possa essere utilizzata per tracciare le transazioni emissive di bene in bene per tutta la filiera produttiva peraltro con straordinaria efficacia.

 Il passaggio monetario o quello dei dati riferiti alle emissioni per la produzione di un determinato componente non differiscono assolutamente da un punto di vista digitale."

Il problema della determinazione tramite blockchain della "traccia carbonica" su tutti i beni e servizi consumati (non prodotti!) in Italia (o in Europa) è iper-complesso e va affrontato con un approccio multidisciplinare, affidandosi ad una task force comprendente le menti migliori (almeno) dell'università italiana (che devono lavorare in stretto coordinamento, altrimenti lo sforzo sarebbe inutile), a cominciare dai più brillanti ingegneri, informatici, economisti e tributaristi.

La soluzione (ammesso che arrivi) non sarà affatto immediata, anche se tale potrebbe apparire ai posteri, così come oggi appare a noi ovvia e naturale l'applicazione dell'IVA, che invece ha comportato a suo tempo un percorso intellettuale e culturale arduo e molto tortuoso.

Ci rammarichiamo del fatto che nell'intervista di” Franci” si sia parlato della blockchain in modo del tutto marginale.

 In realtà tutto l'edificio teorico dell'Imea dipende dalla percorribilità di questo strumento tecnologico.

Se ci possiamo permettere un consiglio, sarebbe opportuno, alla prossima occasione, farsi spiegare da altri esperti, in modi comprensibili dai lettori dell'Astrolabio, quali sono i termini, i problemi ed i costi di questa tecnologia applicata al caso specifico.

 In particolare, penso che sarebbero utili più puntuali analogie ed alcuni esempi teorici per qualche bene (e servizio, meglio ancora) di uso comune.

Al momento, senza soluzioni semplificatorie che al momento risiedono nella mente degli Dei, la nostra impressione è che i problemi ed i conseguenti costi dell'applicazione capillare delle tecniche blockchain sarebbero devastanti.

E tuttavia lo sforzo merita di essere fatto.

I danni per l'economia italiana e per l'ecosistema planetario del carbon leakage non risultano, neppure come prima approssimazione (per quello che se ne sa), da nessun documento o, almeno, da nessun documento italiano.

 È un fatto gravissimo, che però sembra non interessare a nessuno, neppure al ministero dello Sviluppo economico.

Non credo che tutte le potenziali conseguenze positive di questo approccio completamente nuovo al problema (conseguenze indotte da una tassazione delle emissioni carboniche di tutti i beni e servizi in un mercato, come quello europeo, di 500 milioni di grandi consumatori) siano state ben comprese, neppure dalla professoressa “Gerbeti”. (Occorre, in seguito, spiegarne implicazioni e vantaggi).

Nel frattempo dovrebbe essere facile, partendo da alcune ipotesi semplificatorie, calcolare come l'applicazione dell'efficienza energetica delle best practice europee (o anche semplicemente l'applicazione dell'efficienza energetica italiana, che eccelle nel mondo) a livello globale avrebbe permesso di raggiungere risultati migliori, nel contenimento delle emissioni carboniche, di quelli previsti con i metodi utopistici e velleitari suggeriti dalle varie COP dell'ONU, da cui derivano direttamente i grotteschi, tragicomici regolamenti ordoliberisti della commissione Ue, scritti sotto dettatura dei lobbysti che imperversano a Bruxelles.

(Alberto Cuppini)

 

Politiche Internazionali Green:

dall’Agenda 2030 al Green Deal europeo.

Symbola.net – (16 -2-2022) – Marco Frey – ci dice:

 

Dall'Agenda 2030 al Green Deal europeo: il cambiamento climatico è entrato in maniera dirompente su tutti gli scenari internazionali.

RICERCA: GreenItaly 2020.

(Realizzato in collaborazione con Marco Frey. Presidente del Comitato scientifico di Symbola.  Professore ordinario di Economia e gestione delle imprese, direttore del gruppo di ricerca sulla sostenibilità (SuM) della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa; docente allo IUSS di Pavia e all’Università Cattolica di Milano; presidente della Fondazione Global Compact Italia.)

Questo contributo fa parte del decimo rapporto GreenItaly, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, in collaborazione con CONAI, Novamont e Ecopneus.

Il quadro globale e l’Agenda 2030.

É ormai trascorso un terzo del quindicennio che – da quel 25 settembre 2015 in cui le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – ci conduce al 2030, e non si può che evidenziare la lunga distanza ancora da percorrere nei confronti del 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs).

il Rapporto ONU sulla sostenibilità del 2019  ha evidenziato che, nonostante i progressi conseguiti in molteplici aree, vi è oggi la necessità di azioni e politiche più rapide e ambiziose per realizzare la trasformazione economica e sociale necessaria al raggiungimento degli SDGs.

A richiedere interventi più urgenti sono soprattutto la lotta contro il cambiamento climatico e alle disuguaglianze:

nel primo caso, gli effetti catastrofici e irreversibili che si verificheranno – e in parte già si manifestano – in assenza di una riduzione delle emissioni di gas serra renderanno inabitabili molte parti del mondo, colpendo in particolar modo i Paesi e le persone più vulnerabili; d’altra parte, le diseguaglianze, la povertà, la fame e le malattie sono in crescita in numerosi Paesi.

A tal fine, il Rapporto evidenzia alcune linee strategiche che possono determinare progressi significativi, quali, ad esempio, lo sviluppo della finanza sostenibile, l’ammodernamento delle istituzioni, un’efficace cooperazione internazionale nella prospettiva multilaterale, un miglior uso dei dati statistici e la valorizzazione della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, con una maggior attenzione alla trasformazione digitale.

Più recentemente nella relazione “Progress towards the Sustainable Development Goals”  il segretario generale dell’ONU Guterres ha ribadito l’urgenza di aumentare drasticamente il ritmo e la portata degli sforzi da compiere nel prossimo decennio per realizzare gli SDGs.

Se fino al 2019 i Goal 1 (sconfiggere la povertà), 3 (salute e benessere), 7 (energia pulita e accessibile) hanno fatto registrare progressi importanti, molti Goal non hanno evidenziato miglioramenti e alcuni hanno persino invertito la rotta:

cresce il numero di persone che soffrono la fame (Goal 2);

 il cambiamento climatico si sta verificando con ritmi più veloci del previsto (Goal 13) e crescono le disuguaglianze all’interno dei Paesi (Goal 10).

Desta poi particolare preoccupazione l’impatto della pandemia da Covid-19.

Pur iniziando come una emergenza sanitaria, quella scatenata dal coronavirus è diventata la peggiore crisi sociale ed economica dal dopoguerra in poi.

In occasione della presentazione del Rapporto 2020 sullo Human Development Achim Steiner, Direttore dell’UNDP ha dichiarato che

la distruzione ha assunto proporzioni su scala mondiale e in modo sincronizzato senza precedenti tanto da dovere aggiornare l’indice di sviluppo umano che per la prima volta da 30 anni sta regredendo, Dobbiamo ripensare ai nostri modelli economici e sociali. Ogni crisi porta con sé una opportunità che i leader globali devono cogliere”.

L’indice di sviluppo umano, che è un indicatore composito costituito da variabili economiche (come il PIL pro-capite) e sociali (quali il livello educativo e della salute) non era decresciuto a livello globale neanche negli anni della crisi finanziaria del 2008.

Nel 2020 è viceversa prevista una decrescita consistente per l’azione congiunta di tutti i parametri che lo compongono.

Tornando all’Agenda 2030, gli obiettivi più a carattere economico: l’8, il 9, l’11 e il 12, hanno subito una battuta di arresto, dopo che nei Paesi occidentali avevano visto una fase di graduale miglioramento.

Gli obiettivi più ambientali presentano dati altalenanti.

 Il Goal 14 (vita sott’acqua), nonostante il raddoppio delle aree marine protette rispetto al 2010, registra un aumento dell’acidità degli oceani del 10-30% rispetto al periodo 2015-2019.

La percentuale di   aree forestali (SDG 15) è scesa dal 31,9% della superficie totale nel 2000 al 31,2% nel 2020, con una perdita netta di quasi 100 milioni di ettari di foreste.

Le aree protette non sono concentrate in contesti fondamentali per la biodiversità e le specie rimangono minacciate di estinzione.

Infine il Goal 16 evidenzia che milioni di persone sono state private della loro sicurezza, dei diritti umani e dall’accesso alla giustizia.

 Nel 2018, il numero di persone in fuga da guerre, persecuzioni e conflitti ha superato i 70 milioni, il livello più alto registrato dall’UNHCR in quasi 70 anni.

A ciò si è aggiunta la pandemia da Covid-19, che può portare ad un aumento dei disordini sociali che minerebbe la capacità di raggiungere i target fissati.

Il quadro mondiale si presenta quindi come particolarmente critico e sino alla fine della pandemia non sarà facile comprendere quali saranno i tempi e le condizioni per recuperare il terremo perso nel perseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030, che continua a rappresentare a livello globale il riferimento principale per orientare la ripartenza in modo sostenibile, valorizzando gli ambiti essenziale per la transizione verso uno sviluppo economico e sociale più resiliente, inclusivo e in armonia con la natura.

Le rilevanti ricadute socio-economiche della crisi in corso hanno fatto sì che i principali sforzi dei diversi Paesi si siano concentrati sull’emergenza occupazione e sociale, spesso trascurando gli investimenti più di lungo periodo in una prospettiva green.

L’Unione Europea (UE), grazie anche alla spinta della nuova presidenza costituisce un esempio di maggiore lungimiranza ed è stata capace negli ultimi mesi di mantenere una forte coerenza con le linee strategiche definite con il Green Deal alla fine del 2019.

 Sono numerosi e significativi i documenti strategici e di pianificazioni realizzati o in programma nel prossimo biennio che articolano questa visione strategica e che descriveremo sinteticamente nelle prossime pagine.

La nostra convinzione infatti è che l’UE stia in questo momento provando a fare un importante salto di qualità nella transizione verso la sostenibilità, facendo leva sull’eccezionale sforzo di investimento che la ripresa post-pandemica richiede.

Questa transizione si articola in diverse dimensioni che vedono il pilastro ambientale della sostenibilità al centro delle interazioni con l’economia e con il pilastro sociale:

 la transizione verso la decarbonizzazione (SDG13 dell’Agenda 2030), verso l’economia circolare (SDG12),

la transizione alimentare (SDG2),

quella verso un diverso rapporto con la natura ed ecosistemi più resilienti (SDG 14 e 15),

verso un sistema economico, produttivo ed abitativo ad inquinamento zero (SDG8 e SDG 11),

 la transizione energetica e infrastrutturale orientata alla rinnovabilità e sostenibilità (SDG7 e SDG 9).

 Tutto ciò con le connesse ricadute sociali ed economiche che coinvolgono tutti gli altri obiettivi dell’Agenda 2030.

L’Europa al centro delle politiche Green.

L’Europa ha iniziato il 2019 con uno degli ultimi atti della Presidenza Junker che ha presentato il 30 gennaio il documento “Verso un’Europa sostenibile entro il 2030”, in cui si misura proprio con l’Agenda 2030.

In tal documento si evidenzia come gli SDGs grazie alla loro universalità hanno la potenzialità di risolvere le spinte sociali disgregative sia all’interno che all’esterno dell’Unione e inducono “a lavorare in un’ottica internazionale, incitando i paesi, l’industria e le persone a unirsi in questa missione”.

La capacità di visione sistemica crea le condizioni per costruire la convergenza delle politiche sociali, ambientali ed economiche, in quanto “La crescita ‘verde’ avvantaggia tutti, i produttori come i consumatori”.

E ciò si deve realizzare nel quadro della coerenza delle politiche interne ed esterne.

“Dobbiamo fare in modo di non esportare la nostra impronta ecologica o creare povertà, disuguaglianze e instabilità in altre parti del mondo.

 In quanto europei siamo del tutto consapevoli che gli impatti negativi che si manifestano altrove avranno a loro volta un effetto boomerang per la nostra economia e la nostra società”.

 A ciò seguiva la considerazione che una leadership europea nella transizione verso un’economia verde e inclusiva, dando un forte impulso alla definizione di regole internazionali è necessaria per conseguire un forte vantaggio competitivo sul mercato globale.

Fin qui le dichiarazioni di principio, è poi spettato alla nuova presidente della Commissione Europea (CE), Ursula Von del Leyen, dare un reale impulso strategico a questi orientamenti generali, segnando l’inizio del suo mandato con la presentazione l’11 dicembre del Green New Deal.

Al momento della presentazione le sue dichiarazioni furono:

“Il Green Deal europeo è la nostra nuova strategia di crescita, per restituire più di quanto togliamo, trasformando il nostro modo di vivere e lavorare, di produrre e consumare… Tutti possiamo essere coinvolti nella transizione e tutti possiamo trarre vantaggio dalle opportunità.

 Aiuteremo la nostra economia europea a essere un leader globale muovendoci per primi e velocemente.

Siamo determinati ad avere successo per il bene di questo pianeta e della vita su di esso – per il patrimonio naturale dell’Europa, per la biodiversità, per le nostre foreste e per i nostri mari. Mostrando al resto del mondo come essere sostenibili e competitivi, possiamo convincere altri paesi muoversi con noi”.

Con il Green Deal infatti la Ce si propone di posizionare l’UE come leader mondiale, anche attraverso un Patto per il Clima che sarà presentato nel corso del 2020, e si articola in 8 obiettivi, il primo dei quali riguarda ancora una volta il clima.

Questi obiettivi li approfondiremo successivamente uno per uno, salvo quelli più connessi all’energia che considereremo congiuntamente, in quanto verranno sviluppati nel capitolo successivo.

Gli obiettivi sono supportati da cinque misure trasversali:

Perseguire i finanziamenti e gli investimenti verdi, garantendo una transizione giusta, con un piano di investimenti per un’Europa sostenibile che comprenda:

un meccanismo e un Fondo per una transizione giusta, concentrato sulle regioni e sui settori più dipendenti dalle fonti fossili;

una strategia rinnovata in materia di finanza sostenibile per indirizzare i flussi finanziari e di capitale privato verso gli investimenti verdi ed evitare gli attivi non recuperabili.

E trasformando la BEI nella nuova banca dell’UE per il clima, prevedendo che il 50% delle sue operazioni siano dedicate all’azione per il clima entro il 2025;

“Inverdire” i bilanci nazionali e inviare i giusti segnali di prezzo, riorientando gli investimenti pubblici, i consumi e la tassazione verso le priorità verdi, abbandonando le sovvenzioni dannose, definendo con gli stati membri riforme fiscali ben concepite che possano stimolare la crescita economica, migliorare la resilienza agli shock climatici, contribuire a una società più equa e sostenere una transizione giusta;

Stimolare la ricerca e l’innovazione attraverso “Horizon Europe” e altre azioni sinergiche a livello europeo e degli Stati membri, coinvolgendo un’ampia gamma di portatori d’interessi tra cui regioni, cittadini, imprese, chiamando  in causa tutti i settori e le discipline in un impegno di sistema;

Fare leva sull’istruzione e la formazione, definendo un quadro europeo delle competenze che aiuti a coltivare conoscenze, abilità e attitudini connesse ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile, utilizzando e aggiornando strumenti quali il Fondo sociale europeo Plus, l’agenda per le competenze e la garanzia per i giovani;

valutare preventivamente gl’impatti ambientali, utilizzando gli strumenti di cui la Commissione dispone per legiferare meglio basandosi sulle consultazioni pubbliche, sulle previsioni degli effetti ambientali, sociali ed economici, includendo nelle relazioni che accompagnano tutte le proposte legislative e gli atti delegati una sezione specifica che illustra come viene garantito il rispetto di tale principio.

Il 14 gennaio 2020 è stato quindi presentato il Piano di investimenti connesso al Green Deal, finalizzato oltre che alla messa in campo diretta di risorse comunitarie, nella creazione di un quadro favorevole per facilitare gli investimenti pubblici e privati necessari per la transizione verso un’economia climaticamente neutrale, verde, competitiva e inclusiva.

 Il Piano si basa su tre dimensioni:

Finanziamento: mobilitare almeno 1.000 miliardi di euro di investimenti sostenibili nel prossimo decennio, attribuendo un ruolo chiave alla Banca Europea per gli Investimenti che aumenterà la quota che riservata ai progetti sostenibili dal 25 al 50%.

Nel complesso la CE ha previsto di destinare circa un quarto del nuovo budget pluriennale a progetti sostenibili.

Abilitazione: fornire incentivi per sbloccare e reindirizzare gli investimenti pubblici e privati, mettendo la finanza sostenibile al centro del sistema finanziario e facilitando gli investimenti sostenibili da parte delle autorità pubbliche.

Supporto: la Commissione fornirà supporto alle autorità pubbliche e ai promotori di progetti nella pianificazione, ideazione e realizzazione di progetti sostenibili.

Al tempo stesso è stato introdotto il meccanismo per una transizione giusta (JTM), uno strumento chiave per garantire che la transizione verso la decarbonizzazione avvenga in modo equo, senza lasciare indietro nessuno.

Il meccanismo fornisce un sostegno mirato per aiutare a mobilitare almeno 100 miliardi di euro nel periodo 2021- 2027 per alleviare l’impatto socioeconomico della transizione, aiutando i lavoratori e le comunità che dipendono dalla catena del valore dei combustibili fossili.

Successivamente poi si è avuta la crisi pandemica a livello internazionale che ha condizionato tutte le scelte di policy.

 In Europa fortunatamente il forte orientamento strategico definito con il Green Deal ha di fatto indirizzato le scelte di allocazione e condizionerà le modalità di erogazione degli ingenti fondi per la ripartenza.

Il 27 maggio con la Comunicazione “Il bilancio dell’UE come motore del piano per la ripresa europea” (COM(2020), 442 final), la CE, rispondendo alle necessità straordinarie di finanziare la ripresa economica dei paesi membri dell’UE colpiti dalla crisi del Covid-19, ha proposto l’introduzione di uno strumento europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”) del valore di 750 miliardi di EURO, in aggiunta a un quadro finanziario pluriennale (QFP) rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro.

La novità del fondo Next Generation EU è la possibilità per gli stati di poter beneficiare di un meccanismo di finanziamento temporaneo che consente un aumento ingente e tempestivo della spesa senza accrescere i debiti nazionali.

Per la prima volta l’UE diventa il garante dell’indebitamento dei Paesi membri, riuscendo così a contenere in misura significativa anche il costo dell’indebitamento.

All’interno della crisi più grave che abbia interessato l’economia globale ed europea negli ultimi settantacinque anni, si tratta quindi di una grande opportunità per accelerare la transizione verso un’economia più green e circolare.

Veniamo ora ad analizzare come il Green Deal (e la connessa Next Generation UE) si articola nelle politiche sulle dimensioni chiave della green economy.

Partiremo dalle politiche prioritarie che caratterizzano il Green Deal Europeo, ovvero la lotta al cambiamento climatico e l’economia circolare, per poi analizzare le politiche sul sistema alimentare, sulla biodiversità, sull’inquinamento, con un cenno finale su quelle inerenti all’energia e i trasporti che saranno analizzate nel prossimo capitolo.

La sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e incarnata nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior ruolo internazionale all’egida della transizione alla “green, circular e decarbonised economy” ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri, dopo gli effetti della Brexit e dei neonazionalismi.

Il cambiamento climatico.

Il 2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più caldo, dal 2010 al 2019.

 Con una temperatura media globale di 1,1°C al di sopra dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta particolarmente urgente.

Al fine marzo 2020 sono 185 i Paesi più l’Unione Europea che hanno comunicato il loro primo Contributo Nazionale Volontario alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

 Il quadro degli impegni non è inadeguato per raggiungere gli obiettivi di 1,5 o 2°C previsti dall’accordo di Parigi e pertanto i Paesi sono stati invitati ad aggiornare i contributi a livello nazionale o a comunicarne di nuovi entro il 2020, aumentando il loro livello di ambizione nell’azione per il clima.

Anche se le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 6% nel 2020 (in Italia la riduzione è del 7.5% rispetto al 2019 secondo le stime Ispra) e la qualità dell’aria è migliorata a causa del divieto di viaggiare e del rallentamento economico dovuto alla pandemia, il miglioramento è solo temporaneo e la crisi può compromettere alcuni degli impegni ed investimenti previsti.

 Viceversa i governi dovrebbero utilizzare le lezioni apprese per accelerare le transizioni necessarie per raggiungere l’accordo di Parigi, ridefinire il rapporto con l’ambiente ed effettuare cambiamenti sistemici per ridurre le emissioni di gas serra.

 L’Europa è in prima linea in questa sfida.

Tra il 1990 e il 2018 l’UE ha ridotto del 23 % le emissioni di gas a effetto serra, mentre l’economia è cresciuta del 61 %.

Tuttavia, mantenendo le attuali politiche, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sarà limitata al 60% entro il 2050: per Bruxelles occorre fare di più.

Con il Regolamento europeo sul clima del 4 marzo 2020, propedeutico al preannunciato Patto per il Clima, la CE ha proposto un obiettivo giuridicamente vincolante di azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 (già indicato nella risoluzione del Parlamento Europeo del 14 marzo 2019), assumendo il compito di esaminare la legislazione dell’Unione e le politiche vigenti per valutarne la coerenza rispetto all’obiettivo della neutralità climatica e alla traiettoria stabilita.

 Ciò coinvolge i  Piani nazionali per l’energia e il clima degli Stati membri (la cui valutazione è prevista all’art.6 del Regolamento), le relazioni periodiche dell’Agenzia europea dell’ambiente e i   più recenti dati scientifici sui cambiamenti climatici e i relativi impatti.

Entro il 2020 la Commissione dovrebbe presentare il Piano corredato di una valutazione d’impatto per aumentare l’obiettivo dell’UE di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per il 2030, portandolo almeno al 50%-55% rispetto ai livelli del 1990 (oggi l’obiettivo è al 40%).

Tra le varie misure da introdurre vi è anche la revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia, introducendo un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (border carbon tax).

Ciò è necessario finché l’impegno dei diversi Paesi rispetto all’accordo di Parigi non sarà più equilibrato.

Sull’adattamento, cruciale date le conseguenze già evidenti del cambiamento climatico, il regolamento prevede (art.4) che gli Stati membri elaborino e attuino strategie e piani di adattamento che includono quadri completi di gestione dei rischi, fondati su basi di riferimento rigorose in materia di clima e di vulnerabilità e sulle valutazioni dei progressi compiuti.

Anche in questo ambito l’UE vuole confermare il proprio ruolo di apripista, recuperando lo spirito della COP di Parigi, purtroppo un po’ perso nelle COP successive.

Anche nell’ultima, tenutasi a dicembre 2019, a Madrid non sono state prese decisioni particolarmente rilevanti o ambiziose, senza trovare un accordo su uno dei temi più delicati, cioè il meccanismo che in futuro dovrebbe permettere ai paesi che inquinano di meno di «cedere» la quota rimanente di gas serra a paesi che inquinano di più.

Nei documenti approvati alla fine della conferenza dalla plenaria vi è l’impegno (anche se non vincolante) a presentare piani per ridurre ulteriormente le proprie emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi fissati dagli Accordi di Parigi sul clima.

L’UE ha spinto in tale direzione, ma a frenare compromessi più ambiziosi sono intervenuti i delegati di paesi come il Brasile e soprattutto gli Stati Uniti, che hanno avviato le procedure per uscire formalmente dagli Accordi di Parigi.

Cruciale per l’impegno globale sul clima sarà pertanto la COP 26 che si terrà a Glasgow a fine 2021, dopo il rinvio di un anno causa Covid-19.

 

La tassonomia europea per la finanza sostenibile è una pietra miliare nell’agenda verde europea:

 il primo sistema di classificazione al mondo di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che darà una spinta reale agli investimenti sostenibili.

L’economia circolare e Il nuovo Piano di azione.

Per quanto riguarda l’Economia circolare (EC), l’ultimo anno ha visto l’emanazione di diversi provvedimenti comunitari, che sono culminati poi a marzo 2020 con il nuovo Piano di azione.

A marzo 2019, la Commissione europea ha adottato una relazione globale sull’attuazione del piano d’azione per l’economia circolare del 2015.

La relazione indica, grazie alle attività di monitoraggio previste nel Piano, che l’EC sta fornendo un contributo significativo nella creazione di occupazione.

 Nel 2016 nei settori attinenti all’economia circolare erano impiegati oltre quattro milioni di lavoratori (di cui 510.145 in Italia, saliti a 517.540 nel 2017), il 6% in più rispetto al 2012.

Ulteriori posti di lavoro sono destinati a essere creati nei prossimi anni al fine di soddisfare la domanda prevista di materie prime secondarie generata da mercati pienamente funzionanti.

 La circolarità ha inoltre aperto nuove opportunità commerciali, dato origine a nuovi modelli di impresa e sviluppato nuovi mercati, sia all’interno sia all’esterno dell’UE.

Nel 2017 attività circolari come la riparazione, il riutilizzo o il riciclaggio hanno generato quasi 155 miliardi di euro di valore aggiunto, registrando investimenti pari a circa 18,5 miliardi di euro.

 In Europa il riciclaggio di rifiuti urbani nel periodo 2008-2016 è aumentato e il contributo dei materiali riciclati alla domanda globale di materiali registra un continuo incremento.

 In media, tuttavia, i materiali riciclati riescono soltanto a soddisfare meno del 12% della domanda di materiali dell’UE.

Questo aspetto è ribadito da una recente relazione dei portatori di interessi secondo la quale la piena circolarità si applicherebbe solo al 9%  dell’economia mondiale, lasciando ampi margini di miglioramento.

La CE ha introdotto nell’ultimo quinquennio una serie di azioni nell’ambito della EC, tra cui la prima strategia settoriale ha riguardato la plastica:

 prevedendo che entro il 2030 tutti gli imballaggi di plastica immessi sul mercato dell’UE siano riutilizzabili o riciclabili;

 e che, entro il 2025, 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata vengano utilizzati per la realizzazione di nuovi prodotti.

Sono già state raggiunte alcune tappe verso un riciclaggio della plastica di maggiore qualità.

Tra queste rientrano il nuovo obiettivo di riciclaggio per gli imballaggi di plastica, fissato al 55% per il 2030, gli obblighi di raccolta differenziata e i miglioramenti riguardanti i regimi di responsabilità estesa del produttore.

Si prevede che questi ultimi agevoleranno la progettazione che mira alla riciclabilità grazie all’eco-modulazione dei contributi dei produttori.

 Ulteriori passi in avanti sono stati definiti con la direttiva 2019/904/UE sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente (come le plastiche monouso).

La strategia si è poi proposta di allargare a scala globale l’azione della UE.

 In base alle iniziative messe in campo, in particolare sulla plastica monouso, la leadership dell’UE nelle sedi multilaterali ha giocato un ruolo fondamentale nell’attivare l’interesse internazionale nei confronti dell’agenda sulla plastica, come dimostrato da iniziative quali la piattaforma Global Plastics in collaborazione con l’UNEP e il partenariato internazionale sui rifiuti di plastica nel quadro della convenzione di Basilea.

Nel 2020 La Commissione europea ha, infine, adottato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare, uno degli elementi cardine del Green Deal europeo.

 

Il nuovo Piano di azione dell’Unione Europea per l’economia circolare esprime la chiara convinzione che l’estensione dell’economia circolare dai “first movers!” agli operatori economici tradizionali contribuirà in modo significativo al conseguimento della neutralità climatica entro il 2050 e alla dissociazione della crescita economica dall’uso delle risorse, garantendo allo stesso tempo la competitività a lungo termine dell’UE e una ripresa dalla crisi pandemica orientata alla sostenibilità.

Il modello di crescita circolare viene chiaramente descritto come rigenerativo e capace di contribuire agli obiettivi di riduzione dell’impronta dei consumi, grazie alla diffusione di prodotti circolari.

 Esso intende rappresentare un programma orientato al futuro per costruire un’Europa più pulita e competitiva in co- creazione con gli operatori economici, i consumatori, i cittadini e le organizzazioni della società civile, capace di accelerare il profondo cambiamento richiesto dal Green Deal europeo.

 Il piano d’azione pone un quadro strategico solido e coerente in cui i prodotti, i servizi e i modelli di business sostenibili costituiranno la norma, ciò:

al fine di trasformare i modelli di consumo in modo da evitare innanzitutto la produzione di rifiuti;

focalizzandosi sulle catene di valore dei prodotti chiave (il Piano ne individua sette: elettronica e TIC; batterie e veicoli; imballaggi; plastica; prodotti tessili; costruzioni e edilizia; prodotti alimentari;

riducendo i rifiuti e garantire il buon funzionamento del mercato interno dell’UE per le materie prime secondarie di alta qualità;

consentendo all’Unione si assumerà sempre di più la responsabilità dei rifiuti che produce (riducendo le spedizioni transfrontaliere).

Secondo la CE nell’economia circolare esiste un chiaro vantaggio competitivo anche per le singole aziende, in quanto la spesa delle imprese manifatturiere per l’acquisto di materiali (circa il 40% della spesa complessiva) potrebbe sensibilmente ridursi grazie a modelli a ciclo chiuso, incrementando la loro redditività e proteggendole dalle fluttuazioni dei prezzi delle risorse.

La transizione verso un modello circolare intende rafforzare la base industriale e favorire la creazione di imprese e l’imprenditorialità tra le Pmi.

Grazie alla spinta innestata dalla circolarità le imprese adotteranno modelli innovativi basati su una relazione più stretta con i clienti, favorendo la personalizzazione di massa e l’economia collaborativa e partecipata.

 Le tecnologie digitali forniranno una ulteriore impulso alla circolarità e alla dematerializzazione, consentendo all’Europa di ridurre la dipendenza dalle materie prime.

Al proposito è chiara la sinergia con la Strategia Industriale della UE presentata nel marzo 2020, in cui si individuano tre fattori chiave per l’Europa: essere più green, più circolare e più digitale.

Per quanto riguarda i cittadini, l’economia circolare fornirà prodotti di elevata qualità, funzionali, sicuri, efficienti e economicamente accessibili, che durano più a lungo e sono concepiti per essere riutilizzati, riparati o sottoposti a procedimenti di riciclaggio di elevata qualità.

Un’intera gamma di nuovi servizi sostenibili, modelli di “prodotto come servizio” (product-as-service) e soluzioni digitali consentiranno di migliorare la qualità della vita, creare posti di lavoro innovativi e incrementare le conoscenze e le competenze.

 Il piano mira inoltre a garantire che l’economia circolare vada a beneficio delle persone, delle regioni e delle città, contribuisca pienamente alla neutralità climatica e sfrutti appieno il potenziale della ricerca, dell’innovazione e della digitalizzazione.

Il Piano prevede, infine, l’ulteriore messa a punto di un quadro di monitoraggio adeguato che contribuisca a misurare il benessere al di là del PIL.

Particolare attenzione meritano, nell’ambito del Piano, due azioni trasversali, che dimostrano quale sia il livello di interconnessione tra le diverse politiche europee.

La prima attiene alla neutralità climatica.

Al fine di conseguire questo obiettivo la Commissione intende rafforzare le sinergie tra circolarità e riduzione dei gas a effetto serra.

Per fare ciò:

saranno analizzati i metodi di misura dell’impatto della circolarità sulla mitigazione dei cambiamenti climatici e sull’adattamento ai medesimi;

verranno migliorati gli strumenti di modellizzazione per cogliere le ricadute positive dell’economia circolare sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra a livello nazionale e di UE;

sarà promosso il rafforzamento del ruolo della circolarità nelle future revisioni dei piani nazionali per l’energia e il clima e, se del caso, in altre politiche in materia di clima.

Oltre alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, il conseguimento della neutralità climatica richiederà che il carbonio presente nell’atmosfera sia assorbito, utilizzato nella nostra economia senza essere rilasciato e, quindi, rimanendo stoccato per periodi di tempo più lunghi.

 Per incentivare l’assorbimento e una maggiore circolarità del carbonio, nel pieno rispetto degli obiettivi in materia di biodiversità, la Commissione intende lavorare a un quadro normativo per la certificazione degli assorbimenti di carbonio basato su una contabilizzazione del carbonio solida e trasparente al fine di monitorare e verificare l’autenticità degli assorbimenti.

La seconda azione trasversale attiene alle politiche economiche. In tale ambito, la Commissione intende:

migliorare la divulgazione dei dati ambientali da parte delle imprese grazie al riesame della direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario;

sostenere un’iniziativa promossa dalle imprese per sviluppare principi di contabilità ambientale che integrino i dati finanziari con i dati sulle prestazioni dell’economia circolare;

promuovere l’integrazione di criteri di sostenibilità nelle strategie aziendali, migliorando il quadro in materia di governo societario;

far sì che gli obiettivi connessi all’economia circolare siano rispecchiati nel quadro del riorientamento del processo del semestre europeo e nel contesto della prossima revisione della disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia;

continuare a incoraggiare l’applicazione più ampia di strumenti economici ben progettati, come la tassazione ambientale che include imposte per il conferimento in discarica e l’incenerimento, e a mettere gli Stati membri in condizione di utilizzare le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) per promuovere le attività di economia circolare destinate ai consumatori finali come i servizi di riparazione.

Sono molte le novità nel Piano Europeo per l’economia circolare, ci concentriamo qui su due tra le più significative.

Un approccio efficace alla circolarità prende il via dalla progettazione dei prodotti. Al proposito nel Piano per rendere i prodotti idonei a un’economia neutra dal punto di vista climatico, efficiente sotto il profilo delle risorse e circolare, ridurre i rifiuti e garantire che le prestazioni dei precursori della sostenibilità diventino progressivamente la norma, la Commissione proporrà un’iniziativa legislativa relativa ad una strategia in materia di prodotti sostenibili.

 L’obiettivo centrale di questa iniziativa legislativa sarà l’estensione della direttiva concernente la progettazione ecocompatibile oltre ai prodotti connessi all’energia, in modo che il quadro della progettazione ecocompatibile possa applicarsi alla più ampia gamma possibile di prodotti e rispetti i principi della circolarità.

Dal punto di vista delle misure, la Commissione valuterà la possibilità di stabilire dei principi di sostenibilità e altre modalità adeguate a disciplinare i seguenti aspetti:

 

miglioramento della durabilità, della riutilizzabilità, della possibilità di upgrading e della riparabilità dei prodotti, la questione della presenza di sostanze chimiche pericolose nei prodotti e l’aumento della loro efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse;

aumento del contenuto riciclato nei prodotti, garantendone al tempo stesso le prestazioni e la sicurezza;

la possibilità di ri-fabbricazione e di riciclaggio di elevata qualità;

la riduzione delle impronte carbonio e ambientale;

la limitazione dei prodotti monouso e la lotta contro l’obsolescenza prematura;

l’introduzione del divieto di distruggere i beni durevoli non venduti;

la promozione del modello “prodotto come servizio” o di altri modelli in cui i produttori mantengono la proprietà del prodotto o la responsabilità delle sue prestazioni per l’intero ciclo di vita;

la mobilitazione del potenziale di digitalizzazione delle informazioni relative ai prodotti, ivi comprese soluzioni come i passaporti, le etichettature e le filigrane digitali;

un sistema di ricompense destinate ai prodotti in base alle loro diverse prestazioni in termini di sostenibilità, anche associando i livelli elevati di prestazione all’ottenimento di incentivi;

Sarà data priorità ai gruppi di prodotti individuati nel contesto delle catene di valore che figurano nel piano d’azione, come l’elettronica, le TIC e i tessili, ma anche i mobili e i prodotti intermedi ad elevato impatto, come l’acciaio, il cemento e le sostanze chimiche. Altri gruppi di prodotti saranno individuati in base all’impatto ambientale e al loro potenziale di circolarità.

Progettare un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente.

Lo slogan utilizzato nella Strategia presentata il 20 maggio 2020 con la COM(2020) 381 final è “Dal produttore al consumatore” (from farm to fork).

 La UE si pone l’obiettivo di divenire riferimento mondiale per la sostenibilità, attraverso una strategia specifica nel settore alimentare coerente con l’economia circolare.

La strategia “Dal produttore al consumatore”, al centro del Green Deal e del perseguimento dell’Agenda 2030 da parte della UE (in particolare per quanto riguarda l’SDG 2), affronta in modo globale le sfide poste dal conseguimento di sistemi alimentari sostenibili, riconoscendo i legami inscindibili tra persone, società e pianeta sani.

Il passaggio a un sistema alimentare sostenibile può apportare benefici ambientali, sanitari e sociali, offrire vantaggi economici e assicurare che la ripresa dalla crisi pandemica conduca l’UE su un percorso sostenibile.

Un sistema alimentare sostenibile deve garantire ai consumatori un approvvigionamento sufficiente e diversificato di alimenti sicuri, nutrienti, economicamente accessibili e sostenibili in qualsiasi momento, anche in tempi di crisi.

Come è noto noi viviamo una profonda contraddizione tra l’obesità e lo spreco alimentare da un lato e la carenza di cibo per una parte della popolazione europea dall’altro.

 Il 20% circa degli alimenti prodotti va sprecato  e l’obesità è in aumento, con oltre la metà della popolazione adulta europea attualmente in sovrappeso.

Al tempo stesso 33 milioni di cittadini europei non possono permettersi un pasto di qualità ogni due giorni.

 Se i regimi alimentari europei fossero conformi alle raccomandazioni nutrizionali e più equilibrati (con una dieta maggiormente basata sui vegetali), l’impronta ambientale e l’equità sociale dei sistemi alimentari sarebbe notevolmente migliorata.

Si stima che nel 2017 nell’UE oltre 950 000 decessi (uno su cinque) e la perdita di oltre 16 milioni di anni di vita in buona salute fossero attribuibili a cattive abitudini alimentari e alle malattie connesse.

Eppure in generale i prodotti alimentari europei costituiscono già uno standard a livello globale, sinonimo di sicurezza, abbondanza, nutrimento e qualità elevata.

 Inoltre il settore agricolo dell’UE è l’unico grande sistema al mondo ad aver ridotto le emissioni di gas a effetto serra (del 20 % dal 1990).

Questo è il risultato di anni di politiche dell’UE volte a proteggere la salute umana, degli animali e delle piante ed è frutto degli sforzi di agricoltori, pescatori e produttori.

 I prodotti alimentari europei dovrebbero ora diventare lo standard globale anche in materia di sostenibilità.

Sono numerose le azioni che devono essere introdotte a questo fine, la strategia le delinea, rimandando poi a fasi successive per una effettiva implementazione, accompagnata da una ampia consultazione con tutti gli stakeholder.

Per garantire la sostenibilità della produzione alimentare occorre il contributo di tutti gli attori della filiera alimentare.

Ciò al fine di accelerare la trasformazione dei metodi di produzione sfruttando al meglio le “Nature based solutions”, le tecnologie digitali e satellitari per aumentare la resilienza ai cambiamenti climatici e ridurre e ottimizzare l’uso  di fattori di produzione (acqua, pesticidi e fertilizzanti).

Queste soluzioni richiedono investimenti dal punto di vista umano e finanziario, ma promettono anche rendimenti più elevati creando valore aggiunto e riducendo i costi.

La CE mira a ricompensare gli agricoltori, i pescatori e gli altri operatori della filiera alimentare che hanno già compiuto la transizione verso pratiche sostenibili, a consentire la transizione di tutti gli altri e a creare ulteriori opportunità per le loro attività.

Per estendere l’approccio già sviluppato in molti contesti della UE vi è l’impellente necessità di ridurre la dipendenza da pesticidi e antimicrobici (l’obiettivo è di ridurli di un ulteriore 50% entro il 2030, dopo che già sono stati ridotti del 20% negli ultimi 5 anni), contenere il ricorso ai fertilizzanti, potenziare l’agricoltura biologica, migliorare il benessere degli animali e invertire la perdita di biodiversità.

 Nella strategia vengono citati alcune aree di innovazione significativamente, come:

a) il sequestro del carbonio da parte di agricoltori e silvicoltori (carbon farming), con associati sistemi di certificazione e di pagamento;

b) la bioeconomia circolare, di cui un esempio citato riguarda le bioraffinerie di cui l’italiana Novamont è un pioniere, che si raccorda strettamente con il Piano per l’economia circolare;

c) un ambito particolarmente rilevante riguarda le emissioni di gas serra, che provengono in larga parte (in Europa il 70% delle emissioni provenienti dall’agricoltura, pari al 10,3% del totale) dall’allevamento, che occupa peraltro il 68% della superficie agricola.

In questo contesto la CE intende agire sui mangimi, attraverso ad esempio l’immissione sul mercato di additivi per mangimi sostenibili e innovativi, promuovendo le proteine vegetali coltivate nell’UE e materie prime per mangimi alternative quali gli insetti, le alghe e i sottoprodotti della bioeconomia (come gli scarti del pesce).

d) L’agricoltura biologica deve essere promossa ulteriormente:

ha effetti positivi sulla biodiversità, crea posti di lavoro e attrae giovani agricoltori, e i consumatori ne riconoscono il valore.

La Commissione presenterà un piano d’azione sull’agricoltura biologica, con l’obiettivo di raggiungere almeno il 25% della superficie agricola dell’UE investita ad agricoltura biologica entro il 2030 e un aumento significativo dell’acquacoltura biologica.

La transizione verso un’agricoltura sostenibile dovrà essere sostenuta da una PAC incentrata sul Green Deal.

La nuova PAC, che la Commissione ha proposto nel giugno 2018, mira ad aiutare gli agricoltori a migliorare le loro prestazioni ambientali e climatiche attraverso un modello maggiormente orientato ai risultati, un uso più sistematico dei dati e delle analisi, un miglioramento delle norme ambientali obbligatorie, nuove misure volontarie e una maggiore attenzione agli investimenti nelle tecnologie e nelle pratiche verdi e digitali.

 Intende inoltre garantire un reddito dignitoso che consenta agli agricoltori di provvedere alle proprie famiglie, di resistere a crisi di ogni tipo e di continuare a svolgere il loro ruolo di custodi del territorio.

 In questa prospettiva la nuova PAC si propone di migliorare l’efficienza e l’efficacia dei pagamenti diretti con il sostegno al reddito agli agricoltori che ne hanno bisogno e contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali, anziché a soggetti e imprese che semplicemente possiedono terreni agricoli.

Occorre al proposito tenere conto che nel 2017 le sovvenzioni della PAC, ad eccezione del sostegno agli investimenti, hanno rappresentato il 57% del reddito agricolo netto nell’UE.

La capacità degli Stati membri di garantire questa impostazione sarà attentamente valutata nei piani strategici e monitorata durante tutto il processo di attuazione.

Inoltre la CE richiederà, anche attraverso uno specifico codice di condotta, alle imprese e alle organizzazioni del settore alimentare di impegnarsi in azioni concrete in materia di salute e sostenibilità, mirate in particolare a:

 riformulare i prodotti alimentari conformemente a linee guida per regimi alimentari sani e sostenibili, ridurre la propria impronta ambientale e il proprio consumo energetico, adottare opportune strategie di marketing e pubblicitarie, ridurre gli imballaggi in linea con il nuovo Piano di azione sull’Economia Circolare.

 

Tra le azioni di policy previste vi sono:

a) Il riesame della normativa sui materiali a contatto con gli alimenti al fine di migliorare la sicurezza degli alimenti e la salute pubblica, sostenendo l’impiego di soluzioni di imballaggio innovative e sostenibili che utilizzino materiali ecologici, riutilizzabili e riciclabili;

b) Il sostegno, allo scopo di creare filiere più corte la CE, della riduzione della dipendenza dai trasporti a lunga distanza (nel 2017 circa 1,3 miliardi di tonnellate di prodotti stati trasportati su strada);

c) l’introduzione, al fine di consentire ai consumatori di fare scelte alimentari consapevoli, sane e sostenibili, di un’etichettatura nutrizionale obbligatoria e armonizzata sulla parte anteriore dell’imballaggio, nonché la possibilità   di estendere le indicazioni di origine o di provenienza;

d) l’arricchimento delle EPD contemplando congiuntamente gli aspetti nutrizionali, climatici, ambientali e sociali dei prodotti alimentari.

e) Il sollecito agli Stati membri di utilizzare le aliquote IVA in modo mirato, ad esempio per sostenere i prodotti ortofrutticoli biologici.

Preservare e ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità.

La CE ha definito nel maggio 2020 una nuova strategia per la biodiversità per assicurare che l’UE svolga un ruolo fondamentale per l’arresto della perdita di biodiversità a livello internazionale nelle prossime negoziazioni 2020 della Convenzione per la diversità biologica, perseguendo il principio che tutte le politiche dell’UE contribuiscano a preservare e ripristinare il capitale naturale europeo.

Nella strategia si evidenzia come la pandemia di Covid-19 abbia dimostrato una volta di più quanto sia urgente intervenire per proteggere e ripristinare la natura, facendo prendere coscienza dei legami che esistono tra la nostra salute e la salute degli ecosistemi, oltre a dimostrare la necessità di adottare catene di approvvigionamento e modi di consumo sostenibili che rispettino i limiti del pianeta.

Da un lato il rischio di insorgenza e diffusione delle malattie infettive aumenta con la distruzione della natura, dall’altro investire nella protezione e nel ripristino della natura sarà di cruciale importanza per la ripresa economica dell’Europa dalla crisi Covid-19.

La protezione della biodiversità ha giustificazioni economiche ineludibili, come è stato anche evidenziato all’ultimo World Economic Forum.

 I geni, le specie e i servizi ecosistemici sono fattori di produzione indispensabili per l’industria e le imprese, soprattutto per la produzione di medicinali.

Oltre la metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai servizi che fornisce: in particolare tre dei settori economici più importanti — edilizia, agricoltura, settore alimentare e delle bevande — ne sono fortemente dipendenti.

Si è stimato che dal 1997 al 2011 i cambiamenti nella copertura del suolo abbiano causato perdite tra 3.500 e 18.500 miliardi di euro l’anno in servizi ecosistemici a livello mondiale e che il degrado del suolo sia costato 5.500-10.500 miliardi di euro l’anno.

La conservazione della biodiversità può apportare benefici economici diretti a molti settori dell’economia.

 Il rapporto benefici/costi complessivi di un programma mondiale efficace per la conservazione della natura è valutato essere superiore a 7 a 1.

Gli investimenti nel capitale naturale sono così considerati tra le cinque politiche più importanti di risanamento del bilancio della UE in quanto offrono moltiplicatori economici elevati e un impatto positivo sul clima.

L’impegno della UE per il capitale naturale riguarda:

a) L’Estensione della rete di protezione dell’ambiente: la CE si propone di proteggere almeno il 30% della superficie terrestre (4% in più di oggi) e il 30 % del mare (19% in più di oggi), con importanti ricadute non solo ambientali, ma anche economiche.

 I benefici di Natura 2000 sono stati valutati tra i 200 e i 300 miliardi di EUR all’anno e i nuovi investimenti per la protezione genererebbero fino a 500.000 nuovi posti di lavoro ; così come nelle zone marine protette per ogni euro investito se ne genererebbero almeno tre .

b) La creazione di corridoi ecologici che, nell’ambito di una rete naturalistica transeuropea davvero resiliente, impediscano l’isolamento genetico, consentano la migrazione delle specie e preservino e rafforzino l’integrità degli ecosistemi. In tale contesto la CE intende sostenere gli investimenti nelle infrastrutture verdi e blu .

c) La predisposizione di un Piano di ripristino della natura, di cui l’UE vuole fare da apripista a livello globale.

 Tale Piano ridurrà le pressioni sugli habitat e le specie, assicurando che gli ecosistemi siano sempre usati in modo sostenibile, sostenendo il risanamento della natura, limitando l’impermeabilizzazione del suolo e l’espansione urbana, contrastando l’inquinamento e le specie esotiche invasive.

In tale ambito la Commissione proporrà nel 2021 obiettivi di ripristino della natura giuridicamente vincolanti al fine di ripristinare gli ecosistemi degradati.

Gli Stati membri dovranno assicurare che almeno il 30 % delle specie e degli habitat il cui attuale stato di conservazione non è soddisfacente lo diventi o mostri una netta tendenza positiva.

A questo scopo nel 2020 la Commissione e l’Agenzia europea dell’ambiente forniranno orientamenti agli Stati membri su come selezionare le specie e gli habitat e stabilirne l’ordine di priorità.

d) L’intensificazione degli sforzi per proteggere il suolo (una risorsa rinnovabile cruciale), ridurne l’erosione e aumentarne la fertilità, attraverso una revisione nel 2021 della strategia tematica dell’UE per il suolo.

e) La predisposizione nel 2021 di una specifica Strategia forestale coerente con le ambizioni in materia di biodiversità e neutralità climatica.

La proposta includerà una tabella di marcia per la piantumazione di almeno 3 miliardi di alberi supplementari nell’UE entro il 2030, nel pieno rispetto dei principi ecologici.

La piantumazione di alberi sarà supportata, attingendo dal programma “LIFE”, anche dalla nuova piattaforma europea per l’inverdimento urbano.

f) La proposta di un nuovo Piano d’azione per conservare le risorse della pesca e proteggere gli ecosistemi marini, favorendo, tra l’altro, la transizione verso tecniche di pesca più selettive e meno dannose con il sostegno del Fondo europeo per gli affari marittimi.

g) Un impegno ad adoperarsi maggiormente per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi, al fine di conseguire gli obiettivi (la cui attuazione è in ritardo) della direttiva quadro sulle acque.

Uno dei modi per farlo consiste nell’eliminare o adeguare le barriere che impediscono il passaggio dei pesci migratori e nel migliorare il flusso libero dei sedimenti:

s’intende così ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25.000 km di fiumi entro il 2030, eliminando le barriere obsolete e ripristinando le pianure alluvionali.

h) La volontà di riportare la natura nelle città e ricompensare l’azione delle comunità, per cui la CE invita le città europee di almeno 20.000 abitanti a elaborare entro la fine del 2021 piani ambiziosi di inverdimento urbano, che verranno supportati e valorizzati attraverso una piattaforma UE per il verde urbano che verrà creata nel 2021.

Inquinamento zero per un ambiente privo di sostanze tossiche.

La CE si propone di essere più efficace nel monitorare, segnalare, prevenire e porre rimedio all’inquinamento atmosferico, idrico, del suolo e dei prodotti di consumo.

A tal fine esaminerà insieme agli Stati membri tutte le politiche e i regolamenti in modo più sistematico, definendo nel 2021 un piano d’azione per l’inquinamento zero di aria, acqua e suolo.

Nel caso delle norme sulla qualità dell’aria saranno riviste per allinearle maggiormente alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Sarà perseguito l’Inquinamento zero degl’impianti industriali, aggiornando gli strumenti normativi in coerenza con gli obiettivi di sostenibilità  e decarbonizzazione.

Il 10 luglio 2020 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Strategia in materia di sostanze chimiche per la sostenibilità in cui, anticipando alcuni degli indirizzi per il piano inquinamento zero, evidenzia le interconnessioni tra diversi piani e strategie del Green Deal, quali la strategia per la biodiversità, dal produttore al consumatore, economia circolare, nonché il piano europeo per la lotta contro il cancro.

Il 2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più caldo, dal 2010 al 2019.

 Con una temperatura media globale di 1,1°C al di sopra dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta particolarmente urgente.

Le infrastrutture: energia, mobilità e digitale.

Disporre di infrastrutture di elevata efficienza nei settori dell’energia, dei trasporti e del digitale è essenziale per un’UE integrata e competitiva, in cui i cittadini e le imprese possano trarre pienamente vantaggio dalla libera circolazione, dal mercato unico e da infrastrutture sociali adeguate.

Le reti transeuropee mirano in questa prospettiva a soddisfare il fabbisogno di infrastrutture resilienti, sostenibili, innovative e senza soluzione di continuità.

Due delle azioni specifiche previste nel Green Deal, energia e mobilità, possono in questa sede essere semplicemente richiamate, in quanto verranno riprese successivamente

. In ogni caso qui troviamo le strategie presentate l’8 luglio 2020 per un sistema energetico integrato [COM(2020) 299 final] e per l’idrogeno pulito [COM(2020) 301 final].

L’interconnessione tra le diverse strategie è particolarmente richiesta dalla decarbonizzazione che richiede una visione di sistema, investimenti e processi che integrino i diversi vettori energetici e gli usi dell’energia.

La strategia per l’idrogeno pulito viene ad integrarsi efficacemente quale chiusura del sistema.

La CE considera queste strategie come centrali nel piano di risanamento economico, poiché propongono un percorso a costi contenuti, promuovendo investimenti mirati nelle infrastrutture, che riducano i costi dell’energia per aziende e clienti.

Ciò vale anche nell’ambito della mobilità.

Per conseguire la neutralità climatica è necessario ridurre le emissioni prodotte dai trasporti del 90 % entro il 2050 e occorrerà il contributo del trasporto stradale, ferroviario, aereo e per vie navigabili.

 Una strada importante è quella della mobilità elettrica, dove a livello globale siamo arrivati a più di 7 milioni di veicoli elettrici per passeggeri o merci (erano 1,5 milioni nel 2016).

Se in questo ambito è la Cina a prevalere (con più di 3 milioni), l’Europa arriva a quasi 2 milioni e nei primi tre mesi dell’anno, in una fase di forte contrazione del mercato, le immatricolazioni sono cresciute dell’81,7% sul primo trimestre del 2019.

Nel 2020 la Commissione adotterà una strategia per una mobilità intelligente e sostenibile per mettere gli utenti al primo posto e fornire loro alternative più economiche, accessibili e pulite rispetto alle loro attuali abitudini.

In ultimo, come abbiamo già evidenziato, la trasformazione verde e la trasformazione digitale sono due sfide indissociabili.

 Secondo il Green Deal europeo, queste sfide richiedono un immediato riorientamento verso soluzioni più sostenibili che siano circolari, efficienti nell’impiego delle risorse e a impatto climatico zero.

È necessario che ogni cittadino, ogni lavoratore, ogni operatore economico, ovunque viva, abbia un’equa possibilità di cogliere i vantaggi di questa società sempre più digitalizzata.

La Comunicazione “Plasmare il futuro digitale dell’Europa” del febbraio 2020  indica un pacchetto di azioni che il Parlamento europeo a giugno ha fatto proprie, evidenziandone l’importanza nella trasformazione dell’economia e della società europee, soprattutto quale mezzo per raggiungere la neutralità climatica dell’UE entro il 2050 e per creare posti di lavoro, concordando che l’accelerazione della trasformazione digitale rappresenterà una componente essenziale della risposta dell’UE alla crisi economica generata dalla pandemia di Covid-19.

Green Economy e ripartenza.

Il Consiglio europeo del 23 aprile 2020 accogliendo con favore la “Tabella di marcia per la ripresa.

Verso un’Europa più resiliente, sostenibile ed equa” ha sostenuto che l’Unione europea ha bisogno di uno sforzo di investimento simile al piano Marshall per sostenere la ripresa e modernizzare l’economia.

Ciò significa investire massicciamente nella transizione verde e nella trasformazione digitale nonché nell’economia circolare parallelamente ad altre politiche quali la politica di coesione e la politica agricola comune.

Una scelta la cui bontà è confermata da uno studio dell’Università di Oxford firmato da un team di esperti di fama internazionale, tra cui il Nobel Joseph Stiglitz e l’economista del clima Lord Nicholas Stern della London School of Economics, che hanno valutato circa 700 pacchetti di stimolo attuati contro la crisi del 2008 (utile bussola quindi anche contro la crisi della pandemia):

 per risollevare le economie, la strategia migliore, anche dal punto di vista economico e dell’occupazione è stata puntare su politiche “green” riducendo le emissioni di gas serra.

Una grande opportunità per il nostro Paese, che parte avvantaggiato: un’altra recente ricerca dell’Università di Oxford e della Smith School of Enterprise and the Environment, partendo dal primo e più grande database al mondo di prodotti green, colloca l’Italia al secondo posto fra i paesi in grado di esportare “i prodotti più verdi e complessi avendo una capacità di produzione green altamente avanzata”; e addirittura al primo posto per il potenziale per diventare competitiva a livello globale in prodotti ancora più green e tecnologicamente sofisticati. In questo contesto il Green Deal europeo avrà una funzione essenziale in quanto strategia di crescita inclusiva e sostenibile.

Le risorse introdotte come è noto sono molto significative.

 Al quadro finanziario pluriennale rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro si vanno a sommare i 750 miliardi di euro dello strumento europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”), nonché i 540 miliardi delle misure eccezionali approvate dal Consiglio europeo del 23 aprile 2020.

Occorre ricordare come questi stanziamenti eccezionali stiano caratterizzando i principali Paesi a livello internazionale, con modalità che però risultano poco coordinate a livello globale.

L’ONU a marzo con il rapporto “Shared responsibility, global solidarity: Responding to the socio-economic impacts of COVID-19” [, ha posto in evidenza come il mondo stia affrontando una crisi globale non solo sanitaria, ma umana, diversa da qualsiasi altra nei 75 anni di storia delle Nazioni Unite proprio per la sua estensione e profondità.

Questa crisi richiede una risposta collettiva all’interno dei Paesi e soprattutto tra Paesi:

“da sole, le azioni a livello nazionale non possono corrispondere alla scala globale e alla complessità della crisi”.

L’ONU sottolinea quindi come tale momento richieda un’azione politica coordinata, decisa e innovativa da parte delle principali economie mondiali e il massimo sostegno finanziario e tecnico per le persone e i paesi più poveri e vulnerabili, che saranno i più colpiti.

Questa “call to action” ha avuto difficoltà ad essere colta in un contesto internazionale sempre meno orientato al multilateralismo.

 

In questo contesto possiamo considerare l’Unione Europea, dopo le prime settimane in cui ha stentato a trovare una visione comune, come un esempio di politiche coordinate, in cui l’orientamento strategico green trova uno spazio centrale.

 D’altronde la sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e incarnata nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior ruolo internazionale all’egida della transizione alla green, “circular e decarbonised economy”, ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri, dopo gli effetti della Brexit e dei neonazionalismi.

Nel frattempo cosa stanno facendo i due Paesi leader dell’economia globale?

Alla fine del mese di marzo il governo americano ha realizzato un maxi intervento senza precedenti per stimolare l’economia USA;

è stato stanziato un pacchetto di aiuti pari a 2.000 miliardi di dollari, circa il 13% del PIL degli Stati Uniti.

 Il pacchetto è di tipo emergenziale, prevedendo sostegno economico a imprese e ospedali, oltre che assegni diretti a milioni di americani colpiti dalla recessione.

Parallelamente la Cina, che ha innestato la pandemia, ma che è anche riuscita a contenerla sta cercando di reperire i finanziamenti necessari per una più rapida transizione green che consenta di superare i problemi ambientali del Paese, insieme alla sua ripartenza post-Covid.

Il settore manifatturiero cinese ha recuperato rapidamente, con le aziende che hanno avviato il ritorno graduale al lavoro nei siti produttivi per i loro dipendenti, con il supporto dei governi locali.

La rapida ripresa è testimoniata dal valore del “China Manufacturing Purchasing Managers Index” (PMI), passato da 35,7 a febbraio a 52 a marzo.

Al fine di mitigare l’impatto del Covid-19, il governo ha messo in campo piani di stimolo volti a rilanciare il sistema economico, con una particolare attenzione alle “nuove infrastrutture”:

come i ripetitori di segnale 5G, l’intelligenza artificiale, la creazione di grandi database, treni ad alta velocità, griglie ad altissimo voltaggio e colonnine per veicoli elettrici.

 Una delle politiche più significative messe in campo dalla Cina nell’ultimo periodo riguarda infatti quella che vedrà diventare elettrici entro il 2020 il 30% dei veicoli pubblici.

Secondo Morgan Stanley, gli investimenti della Cina in questo genere di infrastrutture per i prossimi 10 anni ammonteranno a circa 180 miliardi di dollari.

 Inoltre, per contrastare eventuali rallentamenti economici di breve periodo, queste nuove infrastrutture possono aumentare la produttività a lungo termine sfruttando le tecnologie di nuova generazione.

Questi investimenti in innovazione sono sempre più spesso correlati alla green economy oggi corrispondono ad una quota dell’8% del PIL cinese (ovvero circa 740 miliardi di euro).

Il fabbisogno finanziario rispetto alla sostenibilità in Cina è dell’ordine dei 2 mila miliardi, di cui il governo può supportare solo il 15%.

 Per questo sono favoriti gli investimenti dall’estero di operatori che conoscano le tecnologie adatte a raggiungere obiettivi utili, come trattamento dell’aria, epurazione dell’acqua o smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

In questo quadro internazionale cosa ci possiamo attendere per il nostro Paese?

Dalla Commissione Europea potrebbero arrivare a breve in Italia 110 miliardi:

21 di fondi riassegnati, 5 dalla BEI, i 36 del MES, 15 dal SURE, più altri 30 di trasferimenti disponibili.

 Ad essi si potrebbero sommare, per comprendere appieno l’impegno della CE e l’importanza per noi che l’Unione assume, i 180 miliardi di acquisti dei titoli di stato grazie all’estensione del quantitative easing e i 350 miliardi di rifinanziamenti alle banche italiane per prestiti alle imprese da parte della BCE.

I finanziamenti che arriveranno dall’Europa saranno però vincolati alle Country Specific Recommendations elaborate all’interno del processo del Semestre europeo , che riguardano in particolare, oltre alle consuete raccomandazioni sul bilancio pubblico e sul debito (questa volta però molto attenuate):

 il Green new deal e la digitalizzazione; l’innovazione, la formazione e lotta alle disuguaglianze; la riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia civile; oltre che il miglioramento del sistema sanitario, tramite il MES.

Tra questi, gli investimenti a favore della transizione verde saranno particolarmente rilevanti per sostenere la ripresa e aumentare la resilienza futura.

 L’Italia è molto vulnerabile ai fenomeni meteorologici estremi e alle catastrofi idrogeologiche, compresi la siccità e gli incendi boschivi.

Nella percezione della CE la trasformazione dell’Italia in un’economia climaticamente neutra necessiterà di consistenti investimenti pubblici e privati per un lungo periodo di tempo.

Il coinvolgimento degli attori finanziari e la tassonomia europea.

Se il contributo europeo sarà nei prossimi anni consistente è necessario anche un pari apporto da parte degli attori finanziari privati.

 In questo ambito sono proseguiti i passi in avanti già manifestati negli scorsi anni.

A livello europeo, nel marzo del 2018 era uscito il Piano di azione per la finanza sostenibile, con l’obiettivo di incrementare gli investimenti in progetti sostenibili e di promuovere l’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) nella gestione dei rischi e nell’orizzonte temporale degli operatori finanziari, in coerenza con l’Agenda 2030 e con l’accordo di Parigi.

Il primo passo previsto dal Piano era la predisposizione di una tassonomia europea per la finanza sostenibile, ovvero un sistema condiviso di definizione e classificazione delle attività economiche sostenibili.

ll Parlamento europeo con la risoluzione del 17 giugno 2020 riguardante “l’Istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili” ha chiuso l’iter d’approvazione del regolamento UE per la Tassonomia, adottato dal Consiglio europeo il 15 aprile 2020.

“Una pietra miliare nella nostra agenda verde”, ha commentato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, illustrando come si tratti del “primo sistema di classificazione al mondo di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che darà una spinta reale agli investimenti sostenibili”.

 Inoltre, è prevista anche l’istituzione formale di una piattaforma sulla finanza sostenibile che “svolgerà un ruolo cruciale nello sviluppo della tassonomia dell’Unione europea e della nostra strategia di finanziamento sostenibile nei prossimi anni”.

Il mercato degli investimenti sostenibili (SRI) sta crescendo in modo rapido (+27% dal 2016 al 2018) e ha ampiamente superato i 30.000 miliardi di dollari.

 L’Europa fa la parte del leone con “Asset under Management” superiori a 14.000 miliardi di dollari, che rappresentano già la metà del totale degli asset investiti nella regione.

Anche i dati di adesione a UN PRI testimoniano l’attenzione crescente degli investitori verso questi temi.

 nel 2019 i “Principles for Responsible Investment” hanno superato i 2.500 firmatari con una crescita del 20% rispetto al 2018.

Le emissioni di green bond dell’area euro hanno segnato un nuovo record nel 2019:

l’ammontare emesso ha raggiunto 170 miliardi di euro +50% rispetto all’anno precedente.

Inoltre lo stock in circolazione di titoli green a livello globale è stato pari a 566 miliardi di euro a fine gennaio 2020.

 Il mercato appare in ulteriore forte crescita: nel solo mese di gennaio di quest’anno sono stati collocati sul mercato titoli per 20 miliardi di euro pari al 75% di quanto emesso nel primo trimestre 2019.

Negli ultimi anni i green bond hanno conosciuto non solo una crescita delle emissioni ma anche dei rendimenti.

“NN Investment Partners” ha analizzato l’andamento degli indici dei green bond rispetto agli indici tradizionali, nei comparti euro green bond ed euro corporate green bond negli ultimi quattro anni.

Nel 2019 i green bond hanno generato rendimenti del 7,4% rispetto al 6% delle obbligazioni ordinarie.

Tuttavia i dati positivi degli ultimi anni potrebbero nascondere alcune criticità; uno studio di Insight, la più grande società di asset management del gruppo BNY Mellon, ha analizzato 83 green bond e 96 social impact bond presenti sul mercato mondiale nel 2019;

il 15% dei “green bond” e il 16% degli “impact bond” del campione risultano in qualche modo sospetti, poiché generano dubbi sulla reale sostenibilità dell’emissione, soprattutto per una mancanza di trasparenza sul modo in cui i capitali raccolti verranno utilizzati per finanziare progetti dichiarati come “verdi”.

Al fine di orientare gli investitori, gli emittenti e di contrastare problemi come il greenwashing, occorre quindi uno standard, riconosciuto a livello internazionale e capace di disciplinare le componenti fondamentali dei green bond.

Il 18 giugno 2019 il TEG ha pubblicato un report con cui ha illustrato la sua proposta per uno standard europeo dei green bond (EU-GBS), il secondo degli obiettivi prioritari del “Piano di azione sulla finanza sostenibile”.

Affinché un progetto sia finanziabile con il “nuovo Green Bond Standard “deve essere allineato alla tassonomia europea;

questo significa che il progetto deve contribuire in modo sostanziale ad almeno uno dei 6 obiettivi ambientali identificati dalla tassonomia europea (mitigazione del cambiamento climatico, adattamento ai cambiamenti climatici, utilizzo sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine, transizione verso l’economia circolare, prevenzione e riciclo dei rifiuti, prevenzione e controllo dell’inquinamento e protezione degli ecosistemi) senza compromettere il raggiungimento degli altri (è il concetto del “do not significant harm”) e deve presentare una serie di garanzie sociali minime.

Al fine di valutare la capacità di un’attività, di un progetto di contribuire al raggiungimento di uno degli obiettivi della tassonomia è essenziale l’utilizzo dei “technical screening criteria”;

ad oggi il TEG ha sviluppato dei criteri tecnici di selezione per valutare la capacità di un’attività di contribuire agli obiettivi di climate change mitigation e adaptation, l’ambito identificato come prioritario dalla CE;

 in questo caso sono state individuate 3 classi:

attività a basse emissioni di carbonio e che già contribuiscono all’obiettivo della neutralità climatica; si pensi alla produzione di energia solare.

Attività in fase di transizione; possono contribuire al raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni entro il 2050 ma, attualmente non operano ancora su questo livello; si pensi alla ristrutturazione di un edificio per assicurare una maggiore efficienza energetica.

Attività abilitanti; hanno un impatto sulle categorie precedenti. Per esempio un produttore di pannelli solari o di pale eoliche consente la produzione di energia rinnovabile che rientra nella prima classe.

É interessante osservare un’evoluzione all’interno dei green bond, alla ricerca di un posizionamento sempre più strategico rispetto alle sfide della sostenibilità.

Così settembre 2019 Enel ha lanciato il suo primo SDG linked Bond, collocando con successo sul mercato americano un’emissione obbligazionaria da 1,5 miliardi di dollari;

 gli ordini, per circa 4 miliardi di dollari USA, hanno superato l’emissione di quasi 3 volte;

 a fronte di questo successo, ad ottobre 2019 Enel ha deciso di intervenire anche sul mercato europeo con il nuovo strumento obbligazionario e, ancora una volta, la domanda ha superato l’offerta.

L’utilizzo dei proventi non è vincolato ad una serie di progetti green eleggibili, ma  agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030;

questo garantisce maggiore flessibilità all’emittente e l’ambito di intervento dei potenziali investimenti risulta più esteso;

in particolare Enel si è orientata alla creazione di valore mediante scelte di business che supportano il perseguimento dei seguenti SDGs:

“Energia accessibile e pulita” SDG 7, “Imprese, innovazione e infrastrutture” SDG 9, “Città e comunità sostenibili” SDG 11, “Lotta contro il cambiamento climatico” SDG 13.

Le risorse raccolte sul mercato dei capitali soddisfano l’ordinario fabbisogno finanziario dell’emittente;

 quest’ultimo non utilizza le risorse per un progetto specifico ma per il raggiungimento di un determinato target al quale corrisponde un KPI.

 Per esempio, con l’emissione di settembre 2019, Enel si è impegnata a raggiungere una percentuale di capacità installata da fonti rinnovabili pari o superiore al 55% della capacità installata totale consolidata entro il 31 dicembre 2021.

Il processo di monitoraggio, basato sui KPI, consente di intervenire sul tasso di interesse in base ai risultati conseguiti dall’azienda;

nel caso in cui Enel non rispettasse la condizione di capacità di energia rinnovabile installata nei tempi dichiarati, il tasso di interesse legato al prestito obbligazionario sarà automaticamente rettificato con un meccanismo di step up (incremento di 25 bps).

Come detto il monitoraggio che consente di intervenire sul costo del denaro risulta molto attraente per gli investitori ed è anche un efficace incentivo per l’emittente al fine di migliorare la propria performance di sostenibilità nel tempo.

 

 

 

Il Green Deal Europeo, 10 azioni

per trasformare l'Europa e il mondo.

Agenda2030.provincia.tn.it – Redazione – 10-3-2023) – ci dice

Il Green Deal europeo è la nostra tabella di marcia per rendere sostenibile l'economia dell'UE.

Per realizzare questo obiettivo è necessario trasformare le problematiche climatiche e le sfide ambientali in opportunità in tutti i settori politici e rendendo la transizione equa e inclusiva per tutti.

I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia enorme per l'Europa e il mondo.

Per superare queste sfide, l'Europa ha bisogno di una nuova strategia per la crescita che trasformi l'Unione in un'economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva in cui:

nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra;

la crescita economica sia dissociata dall'uso delle risorse;

nessuna persona e nessun luogo sia trascurato.

Il Green Deal europeo prevede una tabella di marcia con azioni volte a:

promuovere l'uso efficiente delle risorse passando a un'economia pulita e circolare;

ripristinare la biodiversità e ridurre l'inquinamento.

Esso illustra gli investimenti necessari e gli strumenti di finanziamento disponibili e spiega come garantire una transizione giusta e inclusiva.

Nel 2050 l'UE avrà un impatto climatico zero e a tal fine è stata proposta una legge europea sul clima per trasformare l'impegno politico in un obbligo giuridico e in un incentivo agli investimenti.

La” Road map” con le 10 azioni necessarie:

Ambizione climatica,

Energia pulita, a prezzi accessibili e sicura,

Strategia industriale per una economia pulita e circolare,

Mobilità intelligente e sostenibile,

Rendere verde la politica agricola e favorire "Farm to Fork" dalla fattoria alla tavola,

Preservare e proteggere la biodiversità,

Ambire a un inquinamento-zero per un ambiente libero da sostanze tossiche,

Integrare la sostenibilità in tutte le politiche EU,

l'UE come leader globale.

Lavorare insieme - il Patto europeo su clima.

Sono 10 azioni ambiziose ma sono necessarie per raggiungere entro il 2050 il “Green Deal europeo” e in primis quello Italiano.

 

 

 

Green Deal europeo.

Consilium.europa.eu – Redazione – (10 - 3 -2023) – ci dice:

 

Il futuro dell'Europa dipende dalla buona salute del pianeta.

 I paesi dell'UE si sono impegnati a conseguire l'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 rispettando gli impegni internazionali assunti nel quadro dell'accordo di Parigi.

Il Green Deal europeo è la strategia dell'UE per conseguire l'obiettivo entro il 2050.

L'obiettivo dell'UE: raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Il Consiglio e il Parlamento raggiungono un accordo sulla direttiva sull'efficienza energetica.

(19.12.2022)

Gli Stati membri concordano nuove norme per ridurre le emissioni di metano.

(19.12.2022)

Il Consiglio adotta una decisione sugli obblighi di compensazione delle emissioni del trasporto aereo (regime CORSIA).

 

(18.12.2022)

Accordo provvisorio sul sistema di scambio di quote di emissione dell'UE e sul Fondo sociale per il clima.

(7.12.2022)

ETS trasporto aereo: accordo provvisorio del Consiglio e del Parlamento per ridurre le emissioni degli aerei.

Cos'è il Green Deal europeo.

Il Green Deal europeo è un pacchetto di iniziative strategiche che mira ad avviare l'UE sulla strada di una transizione verde, con l'obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Sostiene la trasformazione dell'UE in una società equa e prospera con un'economia moderna e competitiva.

Mette in evidenza la necessità di un approccio olistico e intersettoriale in cui tutti i settori strategici pertinenti contribuiscano all'obiettivo ultimo in materia di clima. Il pacchetto comprende iniziative riguardanti clima, ambiente, energia, trasporti, industria, agricoltura e finanza sostenibile, tutti settori fortemente interconnessi.

Il Green Deal europeo è stato avviato dalla Commissione nel dicembre 2019 e il Consiglio europeo ne ha preso atto nella riunione di dicembre dello stesso anno.

La transizione verso la neutralità climatica offrirà opportunità significative, ad esempio un potenziale di crescita economica, di nuovi modelli di business e mercati, di nuovi posti di lavoro e sviluppo tecnologico.

 

Conclusioni del Consiglio europeo, 12 dicembre 2019.

Consiglio europeo, 12 e 13 dicembre 2019.

Iniziative incluse nel Green Deal.

Pronti per il 55%.

Pronti per il 55%: in che modo l'UE trasformerà gli obiettivi climatici in legislazione.

L'infografica illustra il pacchetto Pronti per il 55%, i principali settori d'azione dell'UE per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nonché il processo decisionale per trasformare le proposte in legislazione.

Il pacchetto "Pronti per il 55%" mira a tradurre in normativa le ambizioni del “Green Deal”.

Il pacchetto consiste in una serie di proposte volte a rivedere la legislazione in materia di clima, energia e trasporti e a mettere in atto nuove iniziative legislative per allineare la legislazione dell'UE ai suoi obiettivi climatici.

 Comprende:

una revisione del sistema di scambio di quote di emissione dell'UE (EU ETS), che comprende la sua estensione al trasporto marittimo, e una revisione delle norme sulle emissioni del trasporto aereo nonché l'istituzione di un sistema di scambio di quote di emissione distinto per il trasporto stradale e l'edilizia.

Una revisione del regolamento sulla condivisione degli sforzi che disciplina gli obiettivi di riduzione degli Stati membri nei settori non compresi nell'EU ETS.

Una revisione del regolamento LULUCF relativo all'inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto serra risultanti dall'uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura.

Una modifica del regolamento che stabilisce le norme sulle emissioni di CO2 di autovetture e furgoni.

Una revisione della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili.

Una rifusione della direttiva sull'efficienza energetica:

Una revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici:

Un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere.

Una revisione della direttiva sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi.

ReFuelEU Aviation per carburanti sostenibili per l'aviazione.

FuelEU Maritime per uno spazio marittimo europeo sostenibile.

Un fondo sociale per il clima.

Una revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia.

La riduzione delle emissioni di metano nel settore dell'energia.

Una revisione del terzo pacchetto "Energia" sul gas.

Pronti per il 55% (informazioni generali)

Normativa europea sul clima.

Con il “regolamento sulla normativa europea sul clima” l'ambizione politica di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 diventa per l'UE un obbligo giuridico.

Con la sua adozione, l'UE e i suoi Stati membri si sono impegnati a ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra nell'UE di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.

Si tratta di un obiettivo giuridicamente vincolante, basato su una valutazione d'impatto effettuata dalla Commissione.

Almeno il 55% di riduzione netta delle emissioni entro il 2030.

Le principali azioni previste dal regolamento sono le seguenti:

definire il ritmo di riduzione delle emissioni fino al 2050 per garantire prevedibilità alle imprese, ai portatori di interessi e ai cittadini;

sviluppare un sistema per monitorare i progressi compiuti verso il conseguimento dell'obiettivo e riferire in merito a essi;

garantire una transizione verde efficiente in termini di costi ed equa dal punto di vista sociale.

A seguito dell'accordo provvisorio raggiunto con il Parlamento europeo nell'aprile 2021, il Consiglio ha approvato l'accordo nel maggio 2021.

 Il regolamento è in vigore.

Legge europea sul clima: il Consiglio e il Parlamento raggiungono un accordo provvisorio (comunicato stampa, 5 maggio 2021).

Strategia dell'UE di adattamento ai cambiamenti climatici.

Nel giugno 2021 i ministri dell'Ambiente dell'UE hanno approvato conclusioni in cui approvano la nuova strategia dell'UE di adattamento ai cambiamenti climatici.

 La strategia delinea una visione a lungo termine affinché l'UE diventi, entro il 2050, una società resiliente ai cambiamenti climatici e del tutto adeguata ai loro inevitabili impatti.

Le misure previste dalla strategia comprendono:

una migliore raccolta e condivisione dei dati ai fini di un migliore accesso alle conoscenze sugli impatti climatici e al loro scambio;

soluzioni basate sulla natura per contribuire a creare resilienza ai cambiamenti climatici e a proteggere gli ecosistemi;

integrazione dell'adattamento nelle politiche macro fiscali.

Le conclusioni forniscono orientamenti politici alla Commissione sull'attuazione della strategia.

Il Consiglio approva la nuova strategia dell'UE di adattamento ai cambiamenti climatici (comunicato stampa, 10 giugno 2021).

Nel marzo 2022 il Consiglio ha adottato conclusioni in cui chiede di adattare la protezione civile affinché possa affrontare gli eventi meteorologici estremi provocati dai cambiamenti climatici.

 

I ministri hanno chiesto l'adattamento dei sistemi di protezione civile, con particolare attenzione a:

prevenzione, preparazione, risposta, ripresa.

L'azione della protezione civile in materia di cambiamenti climatici:

il Consiglio adotta conclusioni (comunicato stampa, 3 marzo 2022).

Strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030.

La strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030 mira a contribuire al recupero della biodiversità in Europa entro il 2030, che “apporterebbe benefici alle persone, al clima e al pianeta”.

Le azioni previste dalla strategia comprendono:

l'estensione delle superfici terrestri e marine protette in Europa;

il ripristino degli ecosistemi degradati attraverso la riduzione dell'uso e della nocività dei pesticidi;

l'aumento del finanziamento delle azioni e un migliore monitoraggio dei progressi compiuti;

Nell'ottobre 2020 il Consiglio "Ambiente" ha adottato conclusioni sulla biodiversità, approvando gli obiettivi della strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030.

Gli Stati membri hanno riconosciuto la necessità di intensificare gli sforzi affrontando le cause dirette e indirette della perdita di biodiversità e di risorse naturali e hanno ribadito la necessità di integrare pienamente gli obiettivi in materia di biodiversità in altri settori, come l'agricoltura, la pesca e la silvicoltura.

Consiglio "Ambiente", 23 ottobre 2020.

Biodiversità: come l'UE protegge la natura (informazioni generali).

Strategia "Dal produttore al consumatore".

La strategia della Commissione "Dal produttore al consumatore" mira ad aiutare l'UE a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 orientando l'attuale sistema alimentare dell'UE verso un modello sostenibile.

Oltre alla sicurezza dell'approvvigionamento alimentare e alla sicurezza degli alimenti, i suoi obiettivi principali sono i seguenti:

garantire alimenti nutrienti, in quantità sufficiente e a prezzi accessibili entro i limiti del pianeta;

promuovere la sostenibilità della produzione alimentare;

promuovere un consumo alimentare e regimi alimentari sani più sostenibili.

Nell'ottobre 2020 il Consiglio ha adottato conclusioni sulla strategia, approvando l'obiettivo di sviluppare un sistema alimentare europeo sostenibile, dalla produzione al consumo.

Il Consiglio dà la priorità alle azioni a favore di sistemi alimentari sostenibili: conclusioni sulla strategia "Dal produttore al consumatore" (comunicato stampa, 19 ottobre 2020).

Dal produttore al consumatore (informazioni generali).

Strategia industriale per l'Europa.

L'UE si affida all'industria europea per guidare la transizione verso la neutralità climatica.

L'obiettivo della strategia industriale dell'UE è sostenere l'industria nel suo ruolo di acceleratore e motore di cambiamento, innovazione e crescita.

A seguito della pubblicazione della nuova strategia industriale della Commissione nel marzo 2020, nel novembre 2020 il Consiglio ha adottato conclusioni in merito in cui i ministri sottolineano che i principi della sostenibilità, della circolarità e della tutela ambientale dovrebbero sostenere la ripresa dalla pandemia di COVID-19.

Un aggiornamento della strategia industriale, pubblicato dalla Commissione nel maggio 2021, mira a rafforzare la resilienza e a promuovere la competitività dell'Europa.

Si prefigge di consentire all'industria europea di guidare la trasformazione verde e digitale e di diventare la forza trainante a livello globale nel passaggio alla neutralità climatica e alla digitalizzazione.

Verso un'industria europea più dinamica, resiliente e competitiva:

 il Consiglio adotta conclusioni (comunicato stampa, 16 novembre 2020).

Politica industriale dell'UE (informazioni generali):

Piano d'azione per l'economia circolare

La dissociazione della crescita economica dall'uso delle risorse e il passaggio a sistemi circolari di produzione e consumo sono fondamentali per conseguire la neutralità climatica dell'UE entro il 2050.

Nel marzo 2020 la Commissione ha presentato un nuovo piano d'azione per l'economia circolare, su cui il Consiglio ha adottato conclusioni nel dicembre 2020. Queste ultime evidenziano anche il ruolo dell'economia circolare per garantire una ripresa verde dalla COVID-19.

Il piano d'azione prevede oltre 30 punti d'azione sulla progettazione di prodotti sostenibili, la circolarità nei processi produttivi e l'opportunità di dare ai consumatori e agli acquirenti pubblici la possibilità di operare scelte informate.

Riguarda settori come l'elettronica e le TIC, le batterie, gli imballaggi, la plastica, i prodotti tessili, la costruzione e l'edilizia e i prodotti alimentari.

Il Consiglio approva conclusioni per una ripresa circolare e verde (comunicato stampa, 17 dicembre 2020).

Batterie e rifiuti di batterie.

Verso una catena di approvvigionamento europea sostenibile e circolare per le batterie.

Illustrazione della catena di approvvigionamento per le batterie.

La Commissione ha proposto di rivedere le norme vigenti in materia di batterie e di adottare nuovi requisiti obbligatori per tutte le batterie (industriali, automobilistiche, portatili e per veicoli elettrici) immesse sul mercato dell'UE.

Obiettivo della nuova proposta è coprire l'intero ciclo di vita delle batterie, dal processo produttivo ai requisiti di progettazione, nonché la "seconda vita", il riciclaggio e l'integrazione del contenuto riciclato in nuove batterie.

Il 17 marzo 2022 il Consiglio ha adottato un orientamento generale sulla proposta.

La posizione negoziale del Consiglio mantiene e rafforza i principi fondamentali della proposta originaria della Commissione, compresi il "passaporto della batteria", rigide restrizioni delle sostanze pericolose, un'impronta di carbonio delle batterie e la responsabilità estesa del produttore.

Batterie sostenibili: Stati membri pronti ad avviare negoziati con il Parlamento (comunicato stampa, 17 marzo 2022).

Proposta di regolamento relativo alle batterie e ai rifiuti di batterie.

Transizione giusta.

Il meccanismo dell'UE per una transizione giusta aiuterà le regioni che dipendono fortemente dai combustibili fossili e dalle industrie ad alta intensità di carbonio a effettuare la transizione verso l'energia pulita.

Per alcuni Stati membri e regioni il conseguimento della neutralità climatica entro il 2050 sarà più impegnativo che per altri.

 Ad esempio, alcuni dipendono maggiormente dai combustibili fossili o hanno industrie ad alta intensità di carbonio che impiegano un numero significativo di persone.

L'UE ha introdotto un meccanismo per una transizione giusta al fine di fornire sostegno finanziario e assistenza tecnica alle regioni più colpite dalla transizione verso un'economia a basse emissioni di CO2.

Il meccanismo contribuirà a mobilitare almeno 65-75 miliardi di EUR nel periodo 2021-2027 a favore di:

persone e comunità: agevolando le opportunità di lavoro e la riqualificazione, migliorando l'efficienza energetica degli alloggi e lottando contro la povertà energetica.

Aziende: incentivando investimenti nella transizione verso tecnologie a basse emissioni di CO2, fornendo sostegno finanziario e investimenti per la ricerca e l'innovazione.

Stati membri o regioni: investendo in nuovi posti di lavoro nell'economia verde, nel trasporto pubblico sostenibile, nella connettività digitale e in infrastrutture energetiche pulite.

Con una dotazione complessiva di 17,5 miliardi di EUR, il Fondo per una transizione giusta è il primo pilastro del meccanismo. Fornisce un sostegno su misura volto ad attenuare i costi socioeconomici derivanti dalla transizione verde per le regioni dipendenti dai combustibili fossili e dalle industrie ad alte emissioni.

Sostiene investimenti in:

PMI e nuove imprese:

ricerca e innovazione;

tecnologie energetiche pulite e riduzione delle emissioni;

riqualificazione dei lavoratori e assistenza nella ricerca di un impiego.

Fino a 90 miliardi di EUR per una transizione giusta.

Il 7 giugno 2021 il Consiglio ha adottato il regolamento che istituisce il Fondo.

Neutralità climatica: il Consiglio adotta il Fondo per una transizione giusta (comunicato stampa, 7 giugno 2021).

La transizione verso un futuro più verde richiede il contributo del settore finanziario.

Nell'ambito del Green Deal, la Commissione ha proposto una serie di iniziative in materia di finanza sostenibile:

piani d'investimento;

tassonomia sugli investimenti verdi;

norme sulle obbligazioni verdi.

Finanziamento della transizione climatica (informazioni generali):

Energia pulita, economica e sicura.

Tenuto conto che il 75% delle emissioni di gas a effetto serra dell'UE è riconducibile alla produzione e all'uso di energia, la decarbonizzazione del settore energetico costituisce un passo fondamentale verso un'UE a impatto climatico zero.

Ondata di ristrutturazioni: edilizia verde per il futuro

Per conseguire tali obiettivi, l'UE sta lavorando a vari livelli:

 

sostegno allo sviluppo e alla diffusione di fonti di energia più pulita, come le energie rinnovabili offshore e l'idrogeno;

promozione dell'integrazione dei sistemi energetici in tutta l'UE;

sviluppo di infrastrutture energetiche interconnesse attraverso i corridoi energetici dell'UE;

revisione dell'attuale legislazione in materia di efficienza energetica ed energie rinnovabili, compresi gli obiettivi per il 2030.

Energia pulita (informazioni generali).

Pronti per il 55% (informazioni generali).

Il settore dell'edilizia è uno dei maggiori consumatori di energia in Europa ed è responsabile di oltre un terzo delle emissioni di gas a effetto serra dell'UE.

Nel giugno 2021 i ministri dell'UE hanno approvato conclusioni sulla strategia "ondata di ristrutturazioni" della Commissione in cui sottolineano gli aspetti dell'inclusione sociale, della ripresa economica e della transizione verde.

I ministri hanno approvato l'obiettivo della strategia, ossia almeno raddoppiare i tassi di ristrutturazione energetica nell'UE entro il 2030.

Il Consiglio approva conclusioni su un'ondata di ristrutturazioni nell'UE (comunicato stampa, 11 giugno 2021):

Strategia dell'UE in materia di sostanze chimiche sostenibili.

Strategia UE in materia di sostanze chimiche per un ambiente sostenibile e privo di sostanze tossiche.

Strategia UE in materia di sostanze chimiche per un ambiente sostenibile e privo di sostanze tossiche.

Le sostanze chimiche sono essenziali per il moderno tenore di vita e per l'economia.

Possono però essere nocive per la salute umana e per l'ambiente.

Nel marzo 2021 il Consiglio ha adottato conclusioni in cui approva la strategia dell'UE in materia di sostanze chimiche sostenibili presentata dalla Commissione.

La strategia delinea una visione a lungo termine per la politica dell'UE in materia di sostanze chimiche, con cui l'UE e gli Stati membri intendono:

proteggere meglio la salute umana;

rafforzare la competitività dell'industria;

sostenere un ambiente privo di sostanze tossiche;

La strategia è un elemento essenziale del Green Deal europeo e del suo ambizioso obiettivo di azzerare l'inquinamento.

Il Consiglio approva conclusioni sulla strategia dell'UE in materia di sostanze chimiche sostenibili (comunicato stampa, 15 marzo 2021).

Strategia forestale e importazioni a deforestazione zero.

La strategia dell'UE per le foreste per il 2030 presentata dalla Commissione a luglio 2021, uno degli elementi principali del Green Deal europeo, si basa sulla strategia dell'UE sulla biodiversità e svolge un ruolo centrale negli sforzi volti a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030.

Le misure proposte sono destinate, tra l'altro, a:

promuovere la gestione sostenibile delle foreste;

fornire incentivi finanziari per i proprietari e i gestori di foreste affinché adottino pratiche rispettose dell'ambiente;

migliorare le dimensioni e la biodiversità delle foreste, anche piantando tre miliardi di nuovi alberi entro il 2030;

3 miliardi di nuovi alberi entro il 2030.

Nelle conclusioni approvate nel novembre 2021 il Consiglio ha posto l'accento sul ruolo essenziale delle foreste per la salute umana e sulla necessità di trovare un equilibrio tra gli aspetti ambientali, sociali ed economici della gestione sostenibile delle foreste.

Il Consiglio adotta conclusioni sulla nuova strategia dell'UE per le foreste per il 2030 (comunicato stampa, 15 novembre 2021).

La Commissione ha proposto nuove misure che mirano a ridurre l'impatto dell'UE sulla deforestazione globale e garantirebbero che i prodotti acquistati, utilizzati e consumati dai cittadini nel mercato dell'UE non contribuiscano alla deforestazione e al degrado forestale a livello mondiale.

Si stima che tra il 1990 e il 2020 sia andata perduta a causa della deforestazione una superficie più ampia di quella dell'UE (fonte: Nazioni Unite).

La deforestazione e il degrado forestale hanno un impatto sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici.

La Commissione ha presentato la sua proposta nel novembre 2021.

Il 28 giugno 2022 il Consiglio ha adottato la sua posizione negoziale ("orientamento generale") sulle nuove norme.

 Il Consiglio ha convenuto di imporre norme obbligatorie di dovuta diligenza agli operatori e ai commercianti che immettono o mettono a disposizione sul mercato dell'UE i seguenti prodotti o li esportano dal mercato dell'UE:

olio di palma, carne bovina, legno, caffè, cacao e soia.

Il Consiglio e il Parlamento raggiungono un accordo provvisorio per ridurre la deforestazione a livello mondiale.

Il Consiglio concorda nuove norme per ridurre la deforestazione e il degrado forestale a livello mondiale (comunicato stampa, 28 giugno 2022).

Il ruolo del Consiglio europeo e del Consiglio nel Green Deal.

Il Consiglio europeo fornisce orientamenti politici in merito alle politiche dell'UE. L'impegno dell'UE a raggiungere l'impatto climatico zero entro il 2050, sancito dai leader dell'UE nell'agenda strategica e ribadito nel dicembre 2019, fissa un chiaro obiettivo per i prossimi anni.

La Commissione presenta al Consiglio dell'UE e al Parlamento europeo le sue proposte e iniziative previste nell'ambito del Green Deal.

I ministri dell'UE, riuniti in varie formazioni del Consiglio, discutono le misure legislative e non legislative proposte.

Nel caso di proposte legislative, l'obiettivo finale è adottare una normativa, nella maggior parte dei casi secondo la procedura legislativa ordinaria in base alla quale il Consiglio e il Parlamento europeo decidono in qualità di legislatori.

Formazioni del Consiglio.

La procedura legislativa ordinaria.

Illustrazione sulla neutralità climatica.

Cinque fatti riguardanti l'obiettivo della neutralità climatica dell'UE.

Lottare contro i cambiamenti climatici è essenziale per il futuro dell'Europa e del mondo.

 La normativa europea sul clima introduce nella legislazione l'obiettivo dell'UE di raggiungere l'impatto climatico zero entro il 2050.

Questo obiettivo ha fatto seguito agli impegni assunti dall'UE e dai suoi Stati membri con la firma dell'accordo di Parigi nel 2015.

Cosa significa neutralità climatica e in che modo l'UE intende raggiungere questo obiettivo?

 

 

 

 

Cos'è lo sviluppo sostenibile:

significato e agenda 2030.

Magazine.a2aenergia.eu – Redazione – (17 dicembre 2021) – ci dice:

Che cos'è lo sviluppo sostenibile - A2A.

Sostenibilità ambientale e sviluppo sostenibile sono i punti cardine della transizione ecologica.

Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte e contribuire a ridurre il nostro impatto ambientale, per raggiungere gli obiettivi stilati dall’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Per proteggere il Pianeta e contrastare il cambiamento climatico è necessario adottare un modello di sviluppo sostenibile.

 Oggi, infatti, è necessaria un’azione concreta per tutelare l’ambiente, le risorse naturali e tutti gli abitanti della Terra;

tuttavia, bisogna innanzitutto comprendere che cos’è lo sviluppo sostenibile e quali interventi possono contribuire a diminuire la nostra impronta ecologica per vivere in modo green e socialmente responsabile.

Le azioni da intraprendere sono diverse, come il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, la preservazione degli ecosistemi marini e terrestri, fino alla garanzia di un adeguato benessere delle collettività, in special modo delle comunità vulnerabili.

 Vediamo quali sono i punti principali dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, per conoscere gli obiettivi da raggiungere e capire perché è importante lo sviluppo sostenibile.

Cosa si intende per sviluppo sostenibile?

Per capire cos’è lo sviluppo sostenibile in breve, una spiegazione semplice è quella fornita dalle Nazioni Unite, in particolare la definizione data dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’ONU nel 1987.

Secondo le Nazioni Unite, per sviluppo sostenibile si intende un modello socioeconomico che soddisfa le esigenze delle generazioni presenti, senza compromettere la capacità del Pianeta di soddisfare anche le necessità delle generazioni future.

Si può definire quindi come un processo di cambiamento, per adeguare ai bisogni delle prossime generazioni gli attuali sistemi di sfruttamento delle risorse, direzionando lo sviluppo tecnologico, gli investimenti e le politiche istituzionali verso un modello di sviluppo responsabile in termini economici, sociali e ambientali.

 Bisogna dunque rispettare i limiti del Pianeta, garantire una vita dignitosa a tutta la popolazione globale e assicurare che anche le future generazioni abbiano le stesse possibilità di cui usufruiamo noi oggi.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU.

Nel settembre 2015, allo scopo di proteggere il Pianeta, salvaguardare il benessere dell’uomo e delle generazioni future, i 193 Stati membri dell’ONU hanno ratificato l’Agenda 2030.

 Si tratta del documento che contiene i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals o SDG), tre dei quali si concentrano proprio sulla sostenibilità ambientale:

 

SDG 13: lotta al cambiamento climatico attraverso l’adozione di misure urgenti, volte a ridurre le emissioni nocive e a favorire l’impiego di energia rinnovabile;

SDG 14: preservare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine, ridurre l’uso di plastica e regolare la pesca;

SDG 15: proteggere, recuperare e promuovere l'uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, combattere la desertificazione, arrestare il degrado del suolo e fermare la perdita della biodiversità.

Secondo gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, tutti i Paesi sono tenuti a impegnarsi per definire una propria strategia di sviluppo sostenibile che consenta di raggiungere gli obiettivi fissati.

L’Unione Europea, in particolare, ha risposto con il Green Deal europeo, un documento programmatico molto ambizioso.

Il Green Deal europeo, o Patto verde europeo, è parte integrante della strategia della Commissione Europea per l’attuazione dell’Agenda 2030, il cui scopo è trasformare l’UE in un'economia moderna ed efficiente sotto il profilo delle risorse, garantendo quanto segue:

azzeramento delle emissioni nette di gas serra entro il 2050;

crescita economica dissociata dall'uso delle risorse;

assicurare che nessuna persona e luogo vengano trascurati.

I principi della sostenibilità ambientale, quindi, sono alla base della strategia di crescita dell’Unione Europea, la quale con l’applicazione del Green Deal europeo promuove la transizione ecologica e punta a diventare il primo continente a impatto climatico zero.

Il Green Deal offre numerosi e importanti vantaggi, i quali contribuiranno ad accrescere il benessere e la salute delle generazioni future:

 

aria e acqua pulite e un suolo sano;

salvaguardia della biodiversità;

cibo sano a prezzi accessibili;

edifici efficienti dal punto di vista energetico;

energia pulita proveniente da fonti rinnovabili;

prodotti che durano più a lungo e che possono essere riciclati o riutilizzati;

posti di lavoro adeguati alle nuove esigenze e formazione delle competenze necessarie;

un’industria competitiva a livello globale.

Esempi di sostenibilità ambientale: come salvaguardare il pianeta?

Il percorso verso il raggiungimento della sostenibilità ambientale non passa solo dalla promozione delle fonti di energia rinnovabile, dall’uso efficiente delle risorse e dalla progettazione di città sostenibili e intelligenti.

Allo stesso tempo, infatti, investe anche la quotidianità:

d’altronde, bastano pochi e semplici gesti per salvaguardare la salute del pianeta e delle persone che lo abitano.

Ecco quali sono le buone abitudini di sostenibilità da adottare nella vita di tutti i giorni:

fare la raccolta differenziata e smaltire correttamente i rifiuti;

scegliere forme di mobilità sostenibile come i veicoli elettrici, per ridurre l’inquinamento nelle città e prevenire il degrado urbano;

diminuire gli sprechi di energia elettrica, ad esempio utilizzando lampade a LED per l’illuminazione a basso consumo;

preferire prodotti alimentari a km 0 e biologici, consumare frutta e verdura di stagione e ridurre il consumo di carne rossa, supportando modelli di agricoltura sostenibile;

limitare l’utilizzo di plastica, carta e oggetti monouso;

riciclare e riutilizzare gli oggetti, valorizzando lo shopping sostenibile ed evitando le filiere produttive fast fashion, prediligendo i prodotti con un ciclo di vita più duraturo ed ecocompatibile.

Sostenibilità ambientale, economia circolare e transizione energetica sono al centro della strategia di A2A, con il nuovo Piano Strategico 2021-2030 che prevede 16 miliardi di euro di investimenti in 10 anni, di cui:

6 miliardi per l’economia circolare, con particolare attenzione al ciclo idrico, al teleriscaldamento e alla gestione dei rifiuti;

10 miliardi per la transizione energetica a supporto della decarbonizzazione e dell’elettrificazione dei consumi;

90% degli investimenti in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Per raggiungere tali obiettivi, A2A ha introdotto un nuovo modello operativo, il quale prevede semplificazione, una corporate più leggera, decentralizzazione, sviluppo delle competenze e digitalizzazione.

 

 

 

Sostenibilità ambientale, sicurezza alimentare

e politiche dell’Unione europea nel quadro

degli obiettivi dell’Agenda 2030.

Books.openedition.org - Maria Pia Genesin – Luca Battaglini – Ilaria Zuanazzi – (14-5-2022) – ci dicono:

 

1) Comunicazione della Commissione, Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe.

Il 2015, come sottolineato dalla Commissione Ue nella sua Comunicazione sul futuro sostenibile dell’Europa1, ha rappresentato un anno importante per la presa di coscienza a livello mondiale della necessità di fissare obiettivi di sviluppo sostenibile per il prossimo futuro.

(-2 Risoluzione delle Nazioni Unite A/Res/69/313.)

(3- Risoluzione delle Nazioni Unite A/Res/70/1. In argomento si veda M. Montini, F. Volpe, Sustainable ...)

(4- In proposito si veda L. Aristei, L’Accordo di Parigi: obiettivi e disciplina, «Rivista Quadrimestr ...)

Nel mese di luglio è stato approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il programma di azione Addis Abeba, che delinea la cornice finanziaria per il conseguimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile.

A settembre è stata adottata la c.d. Agenda 2030 (Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile), approvata all’unanimità dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite3.

Nel dicembre è stato raggiunto l’Accordo di Parigi, in occasione della Conferenza sui cambiamenti climatici – Cop 21, al centro del quale vi è l’impegno delle Parti contraenti nel senso di una significativa riduzione di emissioni di CO2 nell’atmosfera.

(5- Per un approfondimento sui contenuti dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco si veda L. Boi...)

Si ricorda, infine, che il 2015 è anche l’anno della Lettera enciclica Laudato si’ di Papa Francesco sulla cura della casa comune, in cui si afferma a chiare lettere che «l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti».

(6- Per una ricognizione a tutto tondo del valore giuridico di tali documenti e del loro contenuto si...)

L’Agenda 2030 pone 17 obiettivi (Sustainable development goals) e 169 target che, nel loro insieme, ampliano gli 8 obiettivi di sviluppo del millennio (Millennium development goals) concordati nel 2000 a livello di Nazioni Unite e giunti a scadenza nel 2015.

 L’Agenda 2030 si fonda su cinque P – People, Planet, Prosperity, Peace, Partnership – e si pone in linea di continuità con i principi della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, adottata a Stoccolma nel 1972, in cui si afferma che «difendere e migliorare l’ambiente per le generazioni presenti e future è diventato per l’umanità un obiettivo imperativo», e con i principi della Dichiarazione su ambiente e sviluppo adottata a Rio de Janeiro nel 1992 in occasione della Conferenza su ambiente e sviluppo – Earth summit, da cui è originata l’Agenda 21.

Grazie a tale conferenza il concetto di sviluppo sostenibile – ripreso dal Rapporto delle Nazioni Unite Our common future del 1987 (c.d. rapporto Brundtland) – è entrato a far parte del lessico istituzionale e della società civile.

 Nel 2012 si è svolta la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, detta anche Rio + 20;

 in tale occasione è stato particolarmente valorizzato il ruolo dell’imprenditoria privata e dei partenariati pubblico-privati nel perseguimento dell’obiettivo di uno sviluppo economico compatibile con la salvaguardia delle risorse a disposizione delle generazioni future6.

(7- Sull’evoluzione del ruolo dell’agricoltura, nel senso di una sua acquisita multidimensionalità, in...)

L’Agenda 2030 riconosce la responsabilità primaria degli Stati nella gestione della propria economia e nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e prevede azioni di follow-up per misurare e monitorare i risultati raggiunti. Lo sviluppo sostenibile deve, però, essere obiettivo che impegna non solo l’azione delle istituzioni – Legislatore e pubbliche amministrazioni – ma anche la società civile e il mondo imprenditoriale.

Con riguardo specifico al comparto produttivo alimentare occorre sottolineare il ruolo importante del settore agricolo poiché la maggior parte degli alimenti in commercio ha origine nella produzione primaria.

Centrale diviene il passaggio dal modello di agricoltura monofunzionale e di allevamento intensivo, che si è consolidato a partire dal secondo dopo guerra con l’obiettivo di garantire l’autonomia alimentare, ad un diverso modello che sappia coniugare l’esigenza di produrre un reddito soddisfacente con il rispetto dell’ambiente, degli animali, delle risorse naturali.

Le imprese impegnate nel settore della trasformazione, della distribuzione, della ristorazione – dalle microimprese alle multinazionali – devono impegnarsi in una crescita economica che sfrutti l’innovazione e la creatività per realizzare uno sviluppo sostenibile che sia tale nelle sue tre dimensioni – economica, sociale, ambientale.

Le imprese devono contribuire a cambiare i modelli di consumo. I consumatori, a loro volta, sono chiamati a sviluppare e coltivare una maggiore sensibilità verso comportamenti di consumo responsabile, il che, sotto il profilo alimentare, significa essenzialmente ridurre, sino all’obiettivo ottimale di evitare, lo spreco di cibo.

Il percorso verso l’obiettivo di coniugare produttività, consumo, sostenibilità è lungo e non facile.

L’Agenda 2030 pone goals importanti, che dovrebbero segnare un cambiamento epocale, di cui, però, si vedono ancora solo pochi, concreti segnali. Si nota interesse verso l’adozione di modelli di produzione e di consumo sostenibili, ma la velocità con cui si investe in tale direzione non è, al momento, in grado di competere con la velocità con cui crescono i rischi ambientali legati all’inquinamento e ai cambiamenti climatici.

Il Rapporto Asvis 2018 segnala che non si è ancora concretizzata «la discontinuità culturale e di scelte strategiche» necessaria per raggiungere, entro il 2030, i 17 obiettivi dell’Agenda 2030, alcuni dei quali impongono risultati già entro il 2020.

Lo scenario pare essere ancora quello di «business as usual», in cui non si avvertono cambiamenti significativi nelle attitudini e nelle priorità delle persone e non ci sono evoluzioni significative nella tecnologia, nell’economia, nelle politiche di contrasto alle emissioni di CO2.

Occorre, invece, sviluppare un modello culturale di business integrato, improntato non alla massimizzazione del profitto, ma alla realizzazione di un equo contemperamento fra le esigenze dell’economia, quelle della società, quelle dell’ambiente.

Leggermente più ottimista appare essere il Rapporto Asvis 2019 che segnala un maggiore sostegno da parte della società civile per azioni coraggiose, anche se costose nel breve termine; si può affermare che si sia sviluppata una presa di coscienza globale che non vi sia più tempo.

 

2. Gli alimenti nell’Agenda 2030.

Gli alimenti sono ampiamente interessati dagli obiettivi dell’Agenda 2030.

(8- Il tema connesso all’obiettivo n. 2 è dunque quello della sovranità alimentare nel quale trova esp...)

(9- Si tratta, dunque, di conciliare il diritto al cibo con la tutela dell’ambiente, sviluppando sistemi...)

 L’obiettivo n. 2 intende garantire la sicurezza alimentare nel senso della disponibilità di cibo sufficiente;

entro il 2030 deve essere raddoppiata la produttività agricola e il reddito dei produttori di cibo su piccola scala.

 Entro il 2030 bisogna garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e implementare pratiche agricole resilienti che aumentino la produttività e la produzione, che aiutino a proteggere gli ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, a condizioni meteorologiche estreme e che migliorino progressivamente la qualità del suolo.

(10 L. Costato et al., Compendio di diritto alimentare, Cedam, Milano 2019, p. 2).

(11 Per approfondimenti si rinvia a L. Giacomelli, Diritto al cibo e solidarietà. Politiche e pratiche ...)

11) Con riguardo alla sicurezza alimentare una distinzione consueta negli studi giuridici riguarda la contrapposizione fra food security e food safety.

La prima accezione attiene al profilo qualitativo/quantitativo, da intendersi come garanzia per tutte le persone di poter avere, in ogni momento, accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano i loro bisogni e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana, secondo la definizione di food security proposta dalla Fao in occasione del World Food Summit di Roma del 1996; la seconda accezione è più restrittiva, è specifica del diritto alimentare ed attiene al profilo qualitativo, da intendersi come disponibilità di cibo sicuro dal punto di vista igienico-sanitario.

 

12) L’obiettivo di garantire cibo sicuro, nell’accezione di sicurezza alimentare integrata proposta dallo Fao, a livello globale è lungi dall’essere raggiunto. Cresce sempre più il divario fra la popolazione mondiale malnutrita e quella ipernutrita; cresce sempre più il consumo di risorse ambientali limitate – acqua, suolo – per produrre cibo industriale a basso costo e di scarsa qualità nutrizionale, che contribuisce all’aumento del fenomeno dell’obesità nelle fasce più povere della popolazione dei paesi industrialmente avanzati. La Fao stima che se la popolazione mondiale dovesse raggiungere il tetto dei 9,6 miliardi entro il 2050, sarebbe necessario, per la sola produzione alimentare, l’equivalente di tre pianeti.

 

13) L’obiettivo n. 12 intende garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo; entro il 2030 bisogna dimezzare lo spreco alimentare globale pro capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite post-raccolto. Entro il 2030 occorre accertarsi che tutte le persone, in ogni parte del mondo, abbiano le informazioni rilevanti e la giusta consapevolezza dello sviluppo sostenibile e di uno stile di vita in armonia con la natura.

14) L’obiettivo n. 15 riguarda l’uso sostenibile dell’ecosistema terrestre.

 

15) A livello delle Nazioni Unite, il monitoraggio e la revisione dei progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile si svolgono ogni anno nel mese di luglio presso il Forum politico di alto livello, e ogni quattro anni a livello di capi di Stato e di governo.

3. Obiettivi di sviluppo sostenibile e ruolo dell’Unione europea

(12 Si veda in proposito la Comunicazione della Commissione, Il Green deal europeo, 11 dicembre 2019, ...)

16) L’Ue riveste un ruolo centrale nell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.

L’Ue ha svolto un ruolo determinante nella definizione dell’agenda globale 2030, che si pone in linea con la visione europea e rappresenta, a livello mondiale, un modello per lo sviluppo sostenibile.

L’Ue rivendica espressamente il proprio ruolo di leader in tale senso, ribadendolo anche nei suoi documenti più recenti;

 tale vocazione è particolarmente evidente con riguardo al settore alimentare ed emerge da una serie di documenti di “soft law”, come tali non vincolanti ma dal forte valore programmatico, prodotti dalle istituzioni euro unitarie.

(13 Comunicazione della Commissione, 22 novembre 2016, Com(2016) 739 final.)

(14 Commissione europea, 30 gennaio 2019, Com(2019) 22.)

(15 In proposito si veda anche la Comunicazione della Commissione, L’anello mancante – Piano d’azione ...)

(16 Comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010, Com(2010) 2020 def.)

17) Si ricorda, a tal proposito, la Comunicazione della Commissione «Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe.

 L’azione europea a favore della sostenibilità» del novembre 2016, in cui si sottolinea la piena integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nel quadro strategico europeo e nelle priorità della Commissione.

In senso analogo si è espresso anche il Documento della Commissione di riflessione verso un’Europa sostenibile entro il 2030, in cui si afferma il ruolo dell’Ue quale «pioniere mondiale dello sviluppo sostenibile» e si sottolinea la necessità della transizione dall’economia lineare, improntata alla logica del consumo delle risorse, all’economia circolare improntata alla logica del riutilizzo, della riparazione, del riciclaggio.

Queste politiche sono integrate da iniziative nel campo della ricerca e dell’innovazione in materia di sicurezza alimentare e nutrizionale, quale “Food 2030”.

“Food 2030” è una piattaforma per il dialogo, con l’obiettivo di creare un quadro politico coerente in materia di ricerca e innovazione per la sicurezza alimentare e nutrizionale.

 Già nel 2010 era stata emanata la Comunicazione della Commissione, Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

18) Europa 2020 presenta tre priorità che si rafforzano a vicenda:

crescita intelligente: sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione;

crescita sostenibile: promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva;

crescita inclusiva: promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale

(17 In tema di sviluppo sostenibile si veda F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile ...)

19) Lo sviluppo sostenibile è un obiettivo fondamentale dell’Unione, come previsto dall’articolo 3, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea (Tue);

 lo sviluppo sostenibile, come esplicato a livello di fonti primarie dell’Unione europea, implica una crescita economica equilibrata e un’economia sociale di mercato che, pur restando fortemente competitiva, mira alla piena occupazione e al progresso sociale e si fonda su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente, promuovendo il progresso scientifico e tecnologico.

 

(18 La politica agricola comune si basa attualmente su un pacchetto di regolamenti dell’Unione europea (...)

(19 Per comprendere il ruolo della Pac nel passato e le prospettive di evoluzione futura si veda la Co ...)

20) Spesso si afferma che, nel contesto europeo, il problema della insicurezza alimentare, legato alla mancanza di disponibilità di cibo in quantità adeguata, sia stato risolto nel secondo dopoguerra grazie alla politica agricola comune (Pac) adottata dalla Comunità economica europea a partire dai primi anni Sessanta del secolo scorso con l’obiettivo di sostenere il reddito degli agricoltori e migliorare la produttività agricola.

 Si afferma, altresì, che la Pac abbia avuto il demerito, accanto a tanti meriti, di incentivare l’utilizzo di tecniche di allevamento e di coltivazione intensivi, con il conseguente massiccio ricorso a sostanze di derivazione chimica in agricoltura e di antibiotici negli allevamenti.

La risoluzione del problema dell’insicurezza alimentare ha permesso al legislatore Ue di occuparsi degli aspetti qualitativi legati alla produzione alimentare, sviluppando una corposa legislazione in tema di igiene degli alimenti e di produzioni agroalimentari di qualità.

Questa legislazione ha ricevuto un suo assetto sistematico moderno grazie al Reg. (Ce) n. 178/2002, general food law, al quale si deve la configurazione attuale del diritto alimentare in ambito europeo.

 

(20 In argomento si veda L. Costato, Dalla food security alla food insecurity, «Rivista di diritto agr (...)

(21 Lo sviluppo di biocarburanti avanzati è auspicato dall’Unione europea, consapevole dei rischi di i (...)

21) Oggi, però, si assiste alla presa di coscienza di un’insicurezza alimentare di ritorno, risvolto negativo delle politiche ambientali di riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera.

La produzione di biocarburanti e di bioplastiche di prima generazione implica l’utilizzo dei suoli agricoli per fini concorrenziali rispetto a quelli della produzione alimentare.

 L’utilizzo concorrenziale dei suoli agricoli – risorsa limitata – induce a riflettere sulle conseguenze future in termini di insicurezza alimentare di una produzione su larga scala di tali materiali e sostanze; senza trascurare le conseguenze ambientali legate alla deforestazione e all’utilizzo di monocolture intensive per produrre le materie prime necessarie.

Lo stesso utilizzo dei suoli agricoli per l’installazione di pannelli fotovoltaici può rappresentare un uso concorrenziale degli stessi rispetto alle finalità di produzione alimentare.

Questo evidenzia come sia irto di difficoltà di non poco momento e di contraddizioni il cammino verso la sostenibilità ambientale delle attività umane e come sia necessario investire risorse nella ricerca e nello sviluppo di biocarburanti avanzati che non siano in concorrenza con le colture alimentari, ma che si basino, ad es., sull’utilizzo di rifiuti alimentari e scarti agricoli.

 

22) Il richiamo alla Pac permette di sviluppare un’ulteriore riflessione collegata all’obiettivo n. 2 dell’Agenda 2030 per quanto concerne l’aumento della produttività dei suoli agricoli.

 Dal recente Rapporto su politica agricola comune e cambiamenti climatici realizzato da un gruppo di esperti esterni per la Commissione UE emerge la relazione conflittuale che intercorre fra le misure di sostegno alla produzione agricola contenute nella Pac e gli obiettivi di tutela ambientale, che la Pac stessa si pone.

Mentre i c.d. pagamenti verdi stanziati a favore di chi adotta metodi di coltivazione rispettosi dell’ambiente – ad es. mantenimento di prati e pascoli permanenti, diversificazione delle colture, misure a tutela della biodiversità – favoriscono la riduzione delle emissioni di gas serra, al contrario gli aiuti accoppiati alla produzione, essendo legati alle rese, alle superfici delle aziende, al numero di capi allevati risultano incentivanti per gli allevamenti intensivi e, dunque, favoriscono indirettamente l’emissione di gas serra.

Per questa ragione le attuali proposte relative alla Pac post 2020 (2021-2027) fissano maggiori obiettivi ambientali e climatici e prevedono una maggiore incentivazione di pratiche agricole compatibili con la tutela ambientale, rafforzandone la componente greening.

 La mitigazione del clima e la sostenibilità ambientale devono essere al centro della Pac, coerentemente agli obiettivi dell’Agenda 2030, al fine di rendere il settore agricolo più resiliente, sostenibile e competitivo.

 

23)- Il tema della sostenibilità ambientale delle attività agricole porta a sottolineare il ruolo che svolge il metodo di coltivazione e di allevamento biologico. In questo settore il Legislatore Ue è attivo sin dal 1991 (Reg. (Cee) n. 2092/91); attualmente è ancora vigente il Reg. (Ce) n. 834/2007; dal 1° gennaio 2022 troverà applicazione il Reg. (Ue) n. 2018/848. Pur con tutti i suoi limiti, tale legislazione rappresenta uno dei più significativi strumenti introdotti dall’Ue nell’ottica della sostenibilità ambientale, con risultati di grande interesse considerato il progressivo aumento della produzione con metodo biologico.

Strumento ulteriore, meno virtuoso, ma comunque utile in un’ottica di sostenibilità ambientale è la produzione integrata: sistema di produzione agroalimentare che utilizza tutti i mezzi produttivi e di difesa delle produzioni agricole dalle avversità, volti a ridurre al minimo l’uso delle sostanze chimiche di sintesi e a razionalizzare la fertilizzazione, nel rispetto dei principi ecologici, economici e tossicologici (l. n. 4/2011).

 Produzione biologica e produzione integrata rappresentano due modelli alternativi alla produzione intensiva da prediligere in un’ottica di sostenibilità ambientale. Al vertice delle tecniche produttive maggiormente compatibili con la tutela dell’ambiente si pone la produzione biodinamica, che non è, però, disciplinata né dal legislatore Ue né da quello nazionale.

4. L’impegno dell’Unione europea nella lotta allo spreco alimentare

24) La lotta allo spreco alimentare, nel perseguimento dell’obiettivo n. 12 dell’Agenda, vede fortemente impegnato il Legislatore Ue e gli Stati membri.

 

(22 Commissione europea, Orientamenti dell’Ue sulle donazioni alimentari, 2017/C 361/01.)

25) Secondo i dati riportati nel documento della Commissione europea, Orientamenti dell’Ue sulle donazioni alimentari22, ogni anno nella Ue sono prodotti circa 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (173 kg pro capite annui), per un costo stimato in 143 miliardi di euro. Nello stesso tempo, nel 2015, si è calcolato che nella Ue quasi un quarto della popolazione (119,1 milioni di persone) era a rischio di povertà o di esclusione sociale e che 42,5 milioni di persone non avevano i mezzi economici necessari per permettersi un pasto di qualità un giorno su due. A livello mondiale, la Fao calcola che un terzo del cibo prodotto vada perso o sprecato, mentre 795 milioni di persone non hanno abbastanza da mangiare.

 

(23 Si veda anche il rapporto Fusions Reducing food waste through social innovation, Estimates of Euro(...)

26) Oltre ai profili economici e sociali, lo spreco alimentare preoccupa per l’impatto ambientale. La produzione di cibo richiede l’impiego di risorse naturali, che non sono infinite. Gli alimenti che, successivamente al raccolto, vengono persi o sprecati lungo la filiera consumano circa un quarto di tutta l’acqua impiegata dall’agricoltura ogni anno e necessitano di una superficie coltivata della grandezza della Cina. Inoltre, i rifiuti alimentari generano ogni anno circa l’8% delle emissioni globali di gas a effetto serra23.

 

(24 In proposito si veda la Comunicazione della Commissione, Il futuro sostenibile dell’Europa: prossi (...)

27A fronte di un quadro così desolante l’Ue ha intrapreso differenti strategie di azione24.

25 La piattaforma ha prodotto svariati documenti di grande interesse per il tema in esame. Si veda, i ...)

 

28) Nel 2016 è stata costituita la piattaforma europea contro le perdite e gli sprechi alimentari – Eu Platform on Food Losses and Food Waste, una commissione informale di esperti rappresentanti gli Stati membri, organizzazioni internazionali (tra cui Fao e Ocse), imprese alimentari e organizzazioni non governative. Il compito principale della piattaforma è di facilitare l’armonizzazione delle misure adottate dai singoli Stati e lo scambio di informazioni e buone pratiche. Al suo interno, alcuni gruppi studiano questioni specifiche, come l’elaborazione di un metodo affidabile e armonizzato per misurare l’ammontare dei rifiuti alimentari25.

 

(26 Decisione delegata (Ue) 2019/1597 della Commissione del 3 maggio 2019 che integra la direttiva 200 ...)

29) Nel 2019 la Commissione Ue ha approvato una decisione delegata riguardante una metodologia comune e requisiti minimi di qualità per la misurazione uniforme dei livelli di rifiuti alimentari26; tale iniziativa deriva dall’esigenza di poter quantificare lo spreco al fine di ridurlo.

L’assenza di criteri comuni di misurazione costituisce, infatti, un ostacolo per le autorità nazionali nel comprendere la portata del problema dello spreco alimentare e la sua evoluzione.

 La decisione delegata precisa che, essendo i rifiuti alimentari alimenti che sono diventati rifiuti e dovendosi trarre la definizione di alimento dal Reg. (CE) n. 178/2002, i rifiuti alimentari non comprendono le perdite che si verificano in fasi della filiera alimentare in cui determinati prodotti non sono ancora diventati alimenti ai sensi dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002, quali piante commestibili che non sono state raccolte.

Non sono, inoltre, inclusi i sottoprodotti della produzione di alimenti che soddisfano i criteri di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE, poiché tali sottoprodotti non sono rifiuti.

 

(27 Per quanto riguarda l’ordinamento italiano si veda T. Ronchetti, M. Medugno, Pacchetto economia ci (...)

28 In argomento si veda M. Cocconi, La regolazione dell’economia circolare. Sostenibilità e nuovi par (...)

29 In merito alla distinzione fra food losses, concetto riferito alle perdite che si verificano nelle ...)

30) Nel 2018 l’Ue ha, infine, emanato un pacchetto di direttive (c.d. pacchetto economia circolare o pacchetto rifiuti) entrato in vigore a luglio di quello stesso anno e da recepire entro luglio 202027, di cui fa parte la direttiva (UE) 2018/851, che modifica la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, inserendo fra i rifiuti anche quelli alimentari28.

Rifiuti alimentari sono tutti gli alimenti, tali ai sensi dell’art. 2 Reg. (CE) n. 178/2002, che sono diventati rifiuti.

Si ricorda che per rifiuto si intende, sul piano giuridico, «qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi». La direttiva, attraverso la definizione di rifiuto alimentare, supera le difficoltà interpretative legate alla distinzione fra food losses (perdite alimentari) e food waste (rifiuti alimentari) e fornisce una formula unitaria che può essere intesa come sintesi di armonizzazione per la definizione di spreco alimentare.

 

3) La direttiva (Ue) 2018/851 impone agli Stati membri di controllare la produzione di rifiuti alimentari e di adottare misure per limitarla.

Fra le misure vi sono incentivi per incoraggiare la donazione di alimenti e altre forme di distribuzione delle eccedenze nonché campagne di sensibilizzazione. L’obiettivo è quello di giungere ad una riduzione del 30% dei rifiuti alimentari entro il 2025 e del 50% entro il 2030, come richiesto dall’obiettivo n. 12 dell’Agenda 2030. Lo Stato italiano deve recepire la direttiva modificando il codice dell’ambiente d.lgs. n. 152/2016.

(30 ec.europa.eu/food/safety/food_waste/stop_en.)

32) Fra le iniziative dell’Ue per la riduzione dello spreco alimentare si ricorda la campagna di sensibilizzazione dei consumatori per l’adozione di buone pratiche e per la migliore comprensione della differenza fra data di scadenza (da consumarsi entro – use by) e termine minimo di conservazione (da consumarsi preferibilmente entri – best before)30.

 

33)- Infine, si ricorda la già menzionata comunicazione della Commissione, Orientamenti dell’Ue sulle donazioni alimentari finalizzata a dissipare i dubbi sui profili legislativi delle donazioni di alimenti, fissando linee comuni in materia di sicurezza alimentare, rintracciabilità, responsabilità, fiscalità da parte di chi dona o riceve cibo.

34)  Il documento da ultimo menzionato sottolinea che, per prevenire gli sprechi, è necessario intervenire alla fonte, limitando la produzione di eccedenze alimentari in ciascuna fase della filiera (produzione, trasformazione, distribuzione e consumo). Laddove vi siano eccedenze, la migliore destinazione possibile, in presenza di prodotti alimentari ancora idonei al consumo, è la ridistribuzione per l’alimentazione umana. La ridistribuzione alimentare è un processo grazie al quale eccedenze alimentari, che potrebbero altrimenti andare sprecate, vengono recuperate, raccolte e fornite a persone bisognose.

35)  Le eccedenze alimentari, costituite da prodotti alimentari finiti (compresi carne, frutta e ortaggi freschi), prodotti parzialmente formulati o ingredienti alimentari, possono generarsi – sottolinea il documento in esame – in qualsiasi fase della filiera di produzione e distribuzione degli alimenti, per motivi di varia natura. Eccedenze nei settori agricolo e manifatturiero possono generarsi con riguardo ad alimenti non conformi alle specifiche del produttore e/o del cliente (ad esempio differenze di colore, dimensione, forma del prodotto ecc.) oppure per errori di produzione e di etichettatura. Difficoltà nella gestione dell’offerta e della domanda possono dare luogo a ordinazioni eccedentarie e/o ad annullamenti di ordini.

 

(31 Si ricorda che le definizioni di data di scadenza e di termine minimo di conservazione sono recate ...)

36)  La Commissione sottolinea come problemi connessi all’indicazione della data di consumo – quali un’insufficiente vita residua dei prodotti al momento della consegna oppure la presenza di norme nazionali che impediscono la ridistribuzione degli alimenti successivamente al termine minimo di conservazione, consistente nella data indicata nella dicitura «da consumarsi preferibilmente entro il» – possono precludere la vendita e la distribuzione di generi alimentari attraverso i consueti canali della vendita al dettaglio.

A questo proposito il documento della Commissione si sforza di apportare chiarezza relativamente ad un profilo oggetto di ricorrente incertezza; trattasi della liceità della commercializzazione di alimenti oltre lo spirare del termine minimo di conservazione.

 A tal proposito si afferma che la commercializzazione degli alimenti oltre il termine minimo di conservazione è consentita ai sensi delle norme dell’UE, a condizione che i prodotti interessati siano ancora sicuri e la loro presentazione non induca in errore. In ogni fase della filiera alimentare è, quindi, consentito immettere sul mercato prodotti che hanno superato il termine minimo di conservazione.

Spetta all’operatore del settore alimentare (ad esempio il dettagliante) garantire che l’alimento sia ancora sicuro per il consumo umano e che i consumatori siano debitamente informati del fatto che il prodotto interessato ha superato la data di cui alla dicitura «da consumarsi preferibilmente entro il»;

 i prodotti in questione potrebbero, ad es., essere commercializzati separatamente, con l’indicazione dell’avvenuto superamento del termine minimo di conservazione. Risulta evidente che eventuali discipline nazionali che vietano la commercializzazione di alimenti con termine minimo di conservazione superato favoriscono sprechi alimentari evitabili; si può notare, a questo specifico riguardo, che il legislatore italiano non ha ancora preso esplicita posizione, in termini generali, sulla possibilità di commercializzazione di alimenti con termine minimo di conservazione superato, generando in tal modo incertezza e cautela fra gli operatori del settore.

 

37) Ai fini dell’applicazione della legislazione in materia di “food safetyè irrilevante il fine di lucro connesso alla fornitura a terzi di alimenti; per tale ragione anche la distribuzione di alimenti a fine di beneficenza è soggetta agli obblighi di sicurezza alimentare previsti dal Reg. (Ce) n. 178/2002 e dal c.p. pacchetto igiene con riguardo, in particolare, al Reg. (Ce) n. 852/2004 nonché agli obblighi di etichettatura di cui al Reg. (Ue) n. 1169/2011.

Principio cardine, da questo punto di vista, è quello secondo cui tutti i consumatori devono essere tutelati allo stesso modo, dalle stesse norme di sicurezza alimentare.

 Di conseguenza, rientrano nella nozione di operatore del settore alimentare, primo responsabile della sicurezza degli alimenti immessi in commercio, anche le organizzazioni che ricevono le eccedenze alimentari, siano esse organizzazioni di ridistribuzione o di beneficienza.

38) Le eccedenze alimentari possono essere ridistribuite a condizione che siano idonee al consumo umano e conformi a tutti i requisiti di sicurezza alimentare imposti dalle norme dell’Ue in materia di sicurezza degli alimenti e di informazioni alimentari ai consumatori e dalle norme nazionali pertinenti.

Tra gli alimenti idonei alla donazione possono figurare, ad esempio, prodotti che: non rispettano le specifiche del produttore o del cliente; presentano alterazioni a livello di imballaggio e/o di etichettatura che tuttavia non compromettono né la sicurezza dell’alimento né l’informazione al consumatore; recano una indicazione di carattere temporale (prodotti destinati a un particolare periodo di festa o a una particolare attività promozionale);

sono raccolti nei campi con il consenso del produttore; hanno superato la data indicata nella dicitura «da consumarsi preferibilmente entro il» ma possono ancora essere consumati in sicurezza; sono stati raccolti e/o confiscati dalle autorità di regolamentazione per motivi non attinenti alla sicurezza alimentare ecc.

39) Gli operatori del settore alimentare possono dunque ridistribuire le eccedenze alimentari e svolgere attività di donazione in ogni fase della filiera.

Tali operatori (ad esempio agricoltori, produttori e dettaglianti di generi alimentari) possono donare gli alimenti in eccesso tramite organizzazioni di ridistribuzione (come le banche alimentari), reti di raccolta e altre organizzazioni di beneficenza oppure elargirli direttamente agli stessi consumatori (ad esempio il personal dipendente).

5. I riflessi nell’ordinamento italiano: la l. n. 166/2016.

(32 Per un approfondimento, anche in chiave critica, sulla l. n. 166/2016 e per un confronto con la co ...)

40) L’ordinamento italiano si caratterizza, sul piano del contrasto allo spreco alimentare, per aver preso l’iniziativa di incentivare le donazioni delle eccedenze alimentari attraverso la l. n. 166/2016, recante disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi32.

41) Per eccedenze alimentari si intendono i prodotti alimentari, agricoli e agro-alimentari che sono invenduti, non somministrati per carenza di domanda, ritirati dalla vendita perché non conformi ai requisiti aziendali di vendita, rimanenze di attività promozionali, prossimi al raggiungimento della data di scadenza, rimanenze di prove di immissione in commercio di nuovi prodotti, invenduti a causa di danni provocati da eventi meteorologici, invenduti a causa di errori nella programmazione della produzione, non idonei alla commercializzazione per alterazioni dell’imballaggio secondario che non inficiano le idonee condizioni di conservazione.

 L’elenco di situazioni che determinano un’eccedenza alimentare è presentato dalla legge stessa come non esaustivo dimostrando l’intenzione, da parte del legislatore, di essere il più onnicomprensivo possibile; resta fermo, però, che devono essere rispettati e mantenuti i requisiti di igiene e sicurezza del prodotto.

42)  Il legislatore si premura di stabilire a quale accezione di spreco alimentare intenda fare riferimento; assume rilevanza, a tal fine, la circostanza che il prodotto alimentare sia stato scartato dalla catena agroalimentare per ragioni commerciali o estetiche o per prossimità della scadenza e che il medesimo sia ancora commestibile e potenzialmente destinabile al consumo umano o animale e che, in assenza di un utilizzo alternativo, sia destinato ad essere smaltito. Costituisce, perciò, spreco alimentare l’insieme dei prodotti alimentari aventi le caratteristiche indicate.

 

(33 L’incentivo è collegato a sgravi fiscali; si veda, in particolare, l’art. 17 della l. n. 166/2016 ...)

43) La finalità della l. n. 166/2016, come anticipato, è quella di incentivare gli operatori del settore alimentare a donare, cedendole gratuitamente a soggetti donatari, le eccedenze alimentari promuovendo, in tal modo, un fine di solidarietà sociale in un’ottica di sussidiarietà orizzontale.

 

44)  Le norme che disciplinano le modalità di cessione consentono che siano ceduti anche gli alimenti che hanno superato il termine minimo di conservazione – ovvero, come già ricordato, il termine di durabilità che non incide sulla sicurezza del prodotto bensì sulle proprietà organolettiche specifiche dell’alimento – purché sia garantita l’integrità dell’imballaggio primario e le idonee condizioni di conservazione.

 Possono essere ceduti anche alimenti che presentino irregolarità di etichettatura che non riguardano le informazioni relative alla data di scadenza oppure alla presenza di allergeni alimentari.

 Ugualmente consentita è la cessione a titolo gratuito delle eccedenze di prodotti agricoli in campo o di prodotti di allevamento idonei al consumo umano ed animale ai soggetti donatari.

In tal caso le operazioni di raccolta o ritiro dei prodotti agricoli possono essere effettuate direttamente dai soggetti donatari sotto la loro responsabilità, nel rispetto delle norme in materia di igiene e sicurezza alimentare.

 

(34 Si veda, in proposito, la Comunicazione della Commissione, Orientamenti per l’utilizzo come mangim ...)

45)  I soggetti donatari devono destinare, in forma gratuita, le eccedenze alimentari ricevute, che siano idonee al consumo umano, prioritariamente a persone indigenti; le eccedenze non idonee al consumo umano possono essere destinate al consumo animale, al compostaggio di comunità con metodo aerobico, all’auto compostaggio.

Si prevede, altresì, che le eccedenze alimentari possano essere ulteriormente trasformate in prodotti destinati, in via prioritaria, all’alimentazione umana o al sostegno vitale degli animali; resta fermo il rispetto dei requisiti di igiene e della data di scadenza.

Si consente, infine, che i prodotti finiti della panificazione e i derivati degli impasti di farina prodotti negli impianti di panificazione, non necessitanti di condizionamento termico, che, non essendo stati venduti o somministrati entro le ventiquattro ore successive alla produzione, risultano eccedenti presso le rivendite di negozi, anche della grande distribuzione, i produttori artigianali o industriali, la ristorazione organizzata, inclusi gli agriturismi, e la ristorazione collettiva, possano essere donati a soggetti donatari.

46) In linea con gli orientamenti dell’Unione europea, che ritiene fondamentale sensibilizzare i consumatori a adottare comportamenti più consapevoli sul fronte dello spreco alimentare, la l. n. 166/2016 delinea uno scenario di promozione, formazione e adozione di misure preventive con il coinvolgimento del servizio pubblico radiofonico, televisivo, multimediale, dei ministeri delle politiche agricole, della salute, dell’ambiente.

Particolare attenzione è rivolta al settore della ristorazione, ambito in cui la prevenzione dello spreco implica l’adozione di pratiche virtuose che consentano, ad es., ai clienti l’asporto, in sicurezza, dei propri avanzi di cibo.

(35 L’importanza dell’educazione sin dall’infanzia nel contrasto allo spreco è sottolineata dalla già...)

47Fondamentale nella diffusione di una cultura improntata al rispetto per il cibo è, infine, il ruolo delle istituzioni scolastiche presso le quali dovrebbero essere promossi percorsi mirati all’educazione ad una sana alimentazione, ad una produzione alimentare ecosostenibile e alla sensibilizzazione contro lo spreco degli alimenti.

 

48) La l. n. 166/2016 ha, dunque, adottato una linea «morbida» per contrastare lo spreco alimentare, basata sull’introduzione di un regime incentivante, sul piano fiscale e degli adempimenti burocratici, la donazione delle eccedenze alimentari; la scelta del legislatore italiano si è orientata in maniera differente rispetto a quella del legislatore francese che, nello stesso anno, ha invece optato per una linea «dura» basata sull’obbligo, sanzionato con pene detentive e pecuniarie, di recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari in capo ai soggetti della grande distribuzione organizzata.

 

49) Concludendo, si può affermare che l’obiettivo dello sviluppo sostenibile declinato con riguardo agli alimenti imponga un radicale mutamento culturale che coinvolge tutti i livelli della società civile, chiamando in causa il principio di sussidiarietà orizzontale, e che, per essere realmente efficace, deve seguire un processo bottom up attraverso la presa di coscienza da parte della collettività dell’importanza di avere «rispetto» per il cibo, in ragione delle risorse naturali, umane e materiali impiegate per produrlo e delle disuguaglianze a livello globale sulla distribuzione di alimenti in quantità adeguata ed in idonee condizioni igieniche.

A tal fine occorrerebbe anche recuperare il senso del «sacrificio» inteso come disponibilità ad impegnare tempo, energie personali e risorse economiche per gestire il rapporto con il cibo in modo più consapevole.

 

 

 

 

 

Stati Uniti – Europa:

l’Ira della discordia.

Ispionline.it- Redazione – (10-3-2023) – ci dice:

Ursula von Der Leyen a Washington per incontrare Joe Biden: l’obiettivo è stemperare le tensioni ed evitare una ‘guerra dei sussidi’.

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen incontra oggi a Washington il presidente Joe Biden mentre i dissidi i tra le due sponde dell’Atlantico assumono i contorni di una vera e propria disputa.

 Nodo del contendere è la concorrenza e i sussidi alle industrie ‘green’ previste dall’Inflaction Reduction Act (IRA), un’iniziativa che allarma gli alleati europei, preoccupati da una possibile ‘fuga’ di aziende verso gli Stati Uniti.

Già alcuni colossi come Tesla, Enel, Solvay, EDP e Volkswagen stanno riflettendo sull’opportunità di andare negli Usa anziché nell’Est Europa per beneficiare dei sussidi previsti dalla legislazione statunitense.

 Ciò potrebbe in definitiva significare meno innovazione per il Vecchio Continente e meno posti di lavoro per gli europei.

Preoccupazioni che non sembrano scalfire Washington, i cui piani economici, che iniettano miliardi di dollari nella produzione interna, puntano a vincere la competizione tecnologica con Pechino:

“Non mi scuserò per il fatto che stiamo investendo per rendere forte l’America” ha detto Biden, che ieri ha presentato al Congresso una manovra di bilancio da 6800 miliardi di dollari per il 2024.

 La proposta incontrerà con ogni probabilità la ferma opposizione del Partito repubblicano, che aveva chiesto al presidente statunitense di ridurre la spesa pubblica, e s’inserisce nel più ampio braccio di ferro tra democratici e repubblicani sul tetto al debito pubblico.

Manifesto per il 2024?

La proposta di bilancio per l’anno fiscale 2024, pubblicata ieri dalla Casa Bianca, prevede una manovra da 6800 miliardi di dollari con un incremento della spesa sulle forze armate, fondi per nuovi programmi sociali e più tasse sui redditi alti.

In particolare, Joe Biden promette di tagliare il deficit federale di 3mila miliardi di dollari nel prossimo decennio, attraverso l’imposizione di una tassa minima del 25% agli americani più ricchi.

Secondo i media, il presidente democratico conta di trattare con la maggioranza repubblicana alla Camera sulla base dei generosi tagli alla spesa pubblica.

Ma lo speaker repubblicano della Camera, Kevin McCarthy, ha già bollato il piano come “dispendioso e poco serio”, accusando il presidente di “proporre migliaia di miliardi di nuove tasse, che le famiglie pagheranno direttamente o attraverso costi più alti”.

La proposta sul bilancio è solo apparentemente limitata al terreno economico e, secondo diversi osservatori, è anche un manifesto elettorale con cui il presidente – pur non avendo ancora ufficializzato la sua ricandidatura – punta a conquistarsi il sostegno della classe media in vista delle elezioni del 2024.

In proposito, secondo fonti del “NewYorkTimes,” la Procura di New York sarebbe prossima ad annunciare l’incriminazione di Donald Trump.

Sarebbe la prima volta per un ex presidente e potrebbe minare la sua corsa, già annunciata, verso la Casa Bianca.

IRA funesta?

Oggi alla Casa Bianca Joe Biden e Von Der Leyen discuteranno di temi diversi, dal sostegno all’Ucraina alla task force congiunta sulla sicurezza energetica per rendere l’Europa autonoma dalla Russia, fino alle sfide poste dalla Cina.

 Ma inevitabilmente toccheranno un tasto dolente nelle relazioni tra Washington e Bruxelles:

la sfida a colpi di sussidi per la tecnologia verde.

Il viaggio della presidente della Commissione arriva a pochi giorni dalla pubblicazione della Net-Zero Industry Act (NZIA), i nuovi sussidi europei in risposta alle sovvenzioni promosse da Washington.

Che la corda sia ormai tesa, lo hanno rivelato le parole di John Podestà, consulente della Casa Bianca sulla transizione energetica, al Financial Times:

“Piuttosto che contestare l’America, ha sottolineato Podestà, gli alleati europei dovrebbero ringraziare la leadership Usa”, ossia fare come hanno fatto loro, incentivando la propria transizione energetica.

“Noi speriamo”, è il suo auspicio, “che le industrie europee ce la facciano, ma è compito dell’Europa fare la propria parte”.

 Nell’incontro di oggi Von der Leyen punta anche a convincere gli americani a collaborare per “la produzione di materie prime strategiche, essenziali per l’industria verde”.

Una disputa che lascia il segno?

Sia l’amministrazione americana che i vertici europei fanno di tutto per rassicurare osservatori e mercati che l’IRA non metterà in crisi le relazioni transatlantiche.

Ma l’epopea sui sussidi green rischia di lasciare il segno.

 Come la pandemia di Covid e l’invasione russa, la disputa ha contribuito a rilanciare il dibattito in seno all’Unione su regole in materia di commercio, autonomia strategica e ruolo geopolitico dell’Ue.

Il compito dei responsabili politici degli Stati Uniti e dell’UE ora è di scongiurare una battaglia a colpi di sussidi tra le due sponde dell’Atlantico.

“In anni passati – scrive Jeremy Shapiro sul Financial Times – gli Stati Uniti non avrebbero mai preso in considerazione iniziative come l’IRA senza consultazione […].

 Gli europei avrebbero partecipato alle prime fasi della formulazione di queste politiche, probabilmente innescando duri negoziati e ottenendo compromessi”.

Al momento, tuttavia, la profonda e crescente dipendenza della sicurezza dell’Ue dagli Stati Uniti significa che i governi europei non hanno altra scelta che rimettersi a Washington.

È quella che Shapiro definisce la strategia del ‘coordinamento ex-post’.

Come per l’Afghanistan e l’”Affaire Aukus”, anche con l’Ira, osserva, per gli Usa “è sia una questione di politica economica interna che un’arma nel contrastare la Cina.

 L’America si aspetta che gli europei si rimettano su quest’ultimo punto e per lo più ignorino il primo.

 Finora funziona”.

Il commento di Mario del Pero di Sciences Po e ISPI.

“L’Ucraina, le relazioni con la Cina, le tensioni provocate dal nazionalismo economico di Biden e dalla aggressiva politica di sussidi al settore industriale statunitense.

Sono questi i tre dossier, strettamente interdipendenti, che definiscono oggi i rapporti tra l’unione Europea e gli Stati Uniti e che sono al centro dei colloqui tra Joe Biden e Ursula von der Leyen.

Con gli Usa evidentemente pronti a fare delle concessioni all’industria europea solo laddove questa accetti di partecipare a un graduale disaccoppiamento da quella cinese, contribuendo a una strategia statunitense, nella quale l’approfondimento dell’integrazione transatlantica è in larga misura funzionale all’isolamento e al contenimento di Pechino”. 

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