L’ideologia green viene imposta e applicata tramite Direttive e Regolamenti economici della UE.
L’ideologia green viene imposta e applicata tramite
Direttive
e Regolamenti economici della UE.
La
direttiva Ue sulle case green è cosa fatta.
Una
follia, che ha la sponda della Bce.
Piaccia
o no, Greta ha vinto.
Italiaoggi.it
– Tino Oldani – (7-2-2023) – ci dice:
In
settimana sono previsti due appuntamenti importanti per l'Europa, in
particolare per l'Italia.
Giovedì e venerdì il Consiglio Ue dei capi di
governo dovrà decidere quale linea seguire su tre grandi temi: economia,
migrazioni, Ucraina.
Venerdì,
al Parlamento europeo di Strasburgo, la Commissione energia voterà la direttiva
sulle case green in base al testo concordato da una larga maggioranza, che vede
uniti Ppe, Socialisti, Renew Europe, Verdi e Sinistra.
In
entrambi gli appuntamenti, il governo di Giorgia Meloni è atteso a una prova
non facile.
Sulla
carta, ha molto da perdere e ben poco da guadagnare.
Sul
tema dell'economia, la previsione è che la Germania avrà partita vinta e
otterrà il via libera a una proroga degli aiuti di Stato per fare fronte alla
sfida lanciata da Joe Biden per agevolare gli investimenti Usa nel green.
In disaccordo, non potendo competere con le
disponibilità del bilancio tedesco, Meloni ha proposto, insieme alla Spagna, un Fondo sovrano Ue per gli
investimenti green, dotato di risorse comuni dei paesi membri, più un uso
flessibile dei fondi Ue esistenti, sul cui impiego l'Italia è in ritardo
rispetto ai tempi concordati.
La risposta di Olaf Scholz e dei paesi
sedicenti «frugali» è stata un «no» secco per il Fondo sovrano, giustificato
con il fatto che l'Italia non è riuscita a spendere le risorse già ottenute.
Possibili
aperture, invece, sulla flessibilità.
Quanto
alle migrazioni, tema fortemente preteso in agenda dalla Meloni per «la difesa comune dei confini
europei»,
c'è il rischio che non si vada al di là di belle parole retoriche, seguite,
come al solito, da un rinvio delle decisioni concrete di qualche mese, forse di
un anno, proprio per l'opposizione della Svezia, che ha la presidenza di turno
dell'Europa.
Scontata,
infine, l'unita Ue sugli aiuti all'Ucraina aggredita da Vladimir Putin, un
impegno che la Meloni sta perseguendo con fermezza, in continuità con Mario
Draghi.
Del
tutto sfavorevole per l'Italia si annuncia, poi, il voto di Strasburgo sulla
direttiva per le case green.
Il
testo concordato è ancora più stringente di quello varato dalla Commissione Ue
e prevede che in tutta Europa gli immobili che disperdono energia, perciò da
ristrutturare, dovranno essere portati nelle classi energetiche E e D (non più
in quelle F ed E) entro il 2030 e il 2033.
Per
l'Italia significa dover ristrutturare in pochi anni il 75% degli immobili
residenziali esistenti, oltre nove milioni, con un costo stimato in almeno
1.500 miliardi di euro.
Il
tutto per ridurre le emissioni nocive dello 0,11 per cento.
Cioè
quasi nulla.
Una
follia ideologica green, che fa a pugni con la realtà. L'esperienza del bonus 110% dice
che, in due anni, si sono fatti 360mila interventi, con un costo per lo Stato
di 68,7 miliardi, aggravato dal forte rialzo dei prezzi nell'edilizia.
Per
attuare la direttiva Ue, ha ironizzato l'Ance, associazione dei costruttori,
sarebbero necessari 630 anni per soddisfare il primo step e ben 3.800 anni per
arrivare alla decarbonizzazione completa degli edifici.
È
sempre più evidente che l'ideologia green è diventata l'asse portante della
politica europea sia economica che monetaria, improntate entrambe al dirigismo,
con effetti distorsivi sul mercato per famiglie e imprese, mentre a
beneficiarne è la grande finanza, che da anni promuove la svolta green.
Se
fino a pochi mesi fa era Greta Thumberg a farsi portavoce di questa battaglia,
ora che ha vinto sono ben altri gli epigoni sul proscenio.
A
Bruxelles, Frans Timmermans, socialista, vicepresidente della Commissione Ue con la delega per la transizione
green, è
sempre più l'uomo di punta dei veti dogmatici:
stop
ai motori a benzina e diesel, spinta alle auto elettriche, obbligo di case
green, abolizione delle caldaie a gas entro il 2029.
E ora eccolo proiettato verso un nuovo
traguardo, la conquista delle energie alternative e dell'idrogeno verde
dell'Africa.
Proprio
così: non essendo sufficienti in Europa queste nuove risorse per rimpiazzare i
combustibili fossili, Timmermans si è presentato l'altro ieri ad Abu Dhabi,
dove era in corso l'assemblea delle Agenzie internazionali per le energie
rinnovabili, assicurando che «il continente africano sarà il partner più
importante dell'Ue per la produzione e la fornitura delle energie rinnovabili e
dell'idrogeno verde».
Un
obiettivo prioritario del Global Gateway, il piano «ambizioso» con cui l'Ue vuole sfidare la Cina
in Africa.
In
realtà, è l'ennesimo esempio di dirigismo, che prescinde da alcune
considerazioni banali.
Metà
della popolazione africana, secondo la Banca Mondiale, non ha accesso
all'elettricità, e 600 milioni di abitanti dell'area subsahariana non hanno mai
avuto connessione elettriche.
Siano
sicuri che i paesi africani siano entusiasti di produrre con pannelli solari
l'energia elettrica e l'idrogeno verde per l'Europa, prima ancora che per le
loro popolazioni?
Tra
gli epigoni altolocati di Greta può annoverarsi anche Christine Lagarde, presidente
della Banca centrale europea, che ora considera la svolta green come parte integrante del
mandato della Bce, il
che non risulta scritto in nessun trattato.
In questa tesi autoproclamata l'ha preceduta
la tedesca Isabel Schnabel, membro del direttivo della Bce, la prima ad
allargare al green il mandato Bce, limitato dai trattati solo al controllo
dell'inflazione.
Negli Usa, il governatore della Fed, Jerome Powell,
sostiene che non è compito delle banche centrali salvare il mondo con la
rivoluzione verde.
Ma
Lagarde sostiene il contrario, tanto che nell'ultima conferenza stampa ha
dettato l'agenda verde ai governi dell'eurozona, ordinando di eliminare quanto prima
i sussidi per ridurre le bollette dell'energia per famiglie e imprese.
Risorse,
a suo avviso, da usare piuttosto per le energie alternative.
Piaccia
o meno, Greta ha stravinto.
l’Unione
Europea deve
prepararsi
a un
nuovo aumento dei prezzi del gas.
italy24.press
- Richard Trend -Report – (10- 3- 2023) -ci dice:
L’Europa
scommette sul boom del solare fotovoltaico per diventare energeticamente
indipendenti, anche per la produzione di pannelli solari.
Nel
corso di una serie di incontri ad alto livello a Bruxelles, il direttore
esecutivo dell’”Agenzia Internazionale dell’Energia” (AIE), Fatih Birol, ha incontrato i vertici delle
principali istituzioni dell’Unione Europea per discutere della crisi energetica
globale e delle opportunità e sfide che il L’Europa deve affrontare mentre cerca di rafforzare la sua sicurezza energetica e far
progredire la sua transizione verso l’energia verde.
In un
incontro con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, Birol ha
delineato le misure per preparare l’Europa al prossimo inverno e mitigare i
rischi di una possibile recrudescenza della crisi energetica entro la fine
dell’anno.
Dopo
aver evidenziato “i progressi compiuti dall’Ue nel ridurre la sua dipendenza
dal gas naturale russo negli ultimi 12 mesi, dimostrando quanto siano essenziali
risposte politiche efficaci e tempestive in tempi di crisi”, il capo dell’Aie ha avvertito che “in futuro, l’energia dell’Ue i
prezzi aumenteranno in modo significativo e il gas naturale a buon mercato non
sarà più disponibile.
I
prezzi del gas naturale non saranno mai più gli stessi di prima delle sanzioni
occidentali contro la Russia.
E i
consumatori dovrebbero essere preparati a questo”.
Michel
e Birol hanno
poi avuto un’ampia discussione sul rafforzamento della competitività
industriale dell’Europa, mentre altri paesi e regioni stanno intensificando gli sforzi
per attrarre maggiori investimenti nella produzione di tecnologie per l’energia
pulita.’
Birol ha anche incontrato il vicepresidente
esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans e i due hanno discusso del Green Deal europeo e di altre iniziative dell’UE in materia di energia e clima nel contesto dell’attuale turbolenza
economica e geopolitica.
Hanno
anche parlato dei preparativi per la 28a Conferenza delle Parti sui
Cambiamenti Climatici (Cop28 Unfccc) che si terrà ad Abu Dhabi a novembre.
Su
invito del Parlamento
europeo,
Birol è intervenuto a una riunione della commissione per l’industria, la
ricerca e l’energia insieme a Cristian Bușoi, presidente della commissione, e
al commissario europeo per l’energia Kadri Simson, scambiando opinioni con i
parlamentari e poi rispondendo ai giornalisti domande in una conferenza stampa
e ancora una volta messo in guardia contro l’autocompiacimento, anche se i
prezzi del gas sono leggermente in calo rispetto ai livelli record raggiunti lo
scorso anno.
Ha inoltre evidenziato la necessità che l’Europa si
doti di “Un nuovo business plan industriale mentre si infiamma la corsa alla
leadership nel settore delle energie pulite”.
L’8
marzo, Birol ha tenuto un discorso programmatico all’inizio del SolarPower Europe Summit a Bruxelles, che ha riunito alti rappresentanti
del governo e dell’industria e ha sottolineato che “la continua crescita impressionante
del solare ha reso l’Unione Europea la regina dei mercati globali
dell’elettricità”.
Simon
si è anche complimentato con l’industria europea del solare fotovoltaico:
“Nell’ultimo
anno, è diventata un attore chiave e ha contribuito ai nostri sforzi per
aumentare la capacità di energia rinnovabile in Europa.
Il solare fotovoltaico è dove stiamo
assistendo agli sviluppi più positivi, con installazioni record anno dopo anno!
I 41
gigawatt di fotovoltaico installati sono un grande successo.
E
questo è solo l’inizio. L’UE vuole vedere l’industria solare continuare a prosperare
in Europa”.
Il
commissario Ue ha illustrato come l’Europa stia sostenendo la diffusione
dell’energia solare:
«Con “REPowerEU” miriamo a raggiungere il 45% di energia rinnovabile nel
nostro mix entro il 2030.
La chiave per raggiungere questo obiettivo è
la strategia dell’UE per l’energia solare.
Da 136
gigawatt di fotovoltaico installati nell’UE tre anni fa, il piano è di
raggiungere i 320 entro il 2025 e i 600 entro il 2030.
Per
aiutarci a raggiungere questo obiettivo, stiamo lavorando per creare un
ambiente più favorevole attraverso una serie di azioni.
In
primo luogo, attraverso le nuove regole di licenza dell’UE.
Questi sono entrati in vigore lo scorso
dicembre e ci aspettiamo che abbiano un effetto catalizzatore sullo sviluppo di
nuove fonti energetiche rinnovabili.
Accelereranno
i processi di autorizzazione e semplificheranno le procedure di approvazione
dei progetti.
In secondo luogo, attraverso la nostra
imminente riforma della progettazione del mercato dell’elettricità.
La
Commissione è pienamente consapevole del fatto che la stabilità normativa è
essenziale per l’agenda “REPowerEU”.
Quindi
voglio garantire che la riforma del mercato dell’elettricità non metta in
discussione i fondamenti del mercato.
L’obiettivo
è solo quello di mitigare l’effetto dei prezzi elevati del gas.
Simon ha ricordato che
«Dall’inizio della crisi, i
consumatori europei si sono fatti carico di un onere economico enorme con
dolorosi aumenti dei prezzi e aumenti scioccanti delle bollette elettriche.
Tutti
i consumatori, dalle grandi industrie alle piccole imprese e alle famiglie,
dovrebbero beneficiare della crescita e del basso costo delle energie
rinnovabili.
A tal
fine, rafforzeremo il mercato dei contratti di acquisto di energia e
introdurremo l’uso obbligatorio dei Contratti per Differenza per gli investimenti di nuova
generazione dove è necessario un finanziamento pubblico.
L’imminente
riforma migliorerà anche le soluzioni di flessibilità e affronterà i problemi di stoccaggio
dell’energia che attualmente ostacolano la diffusione delle energie rinnovabili.
Parallelamente, sosterremo gli Stati membri
nei loro sforzi per affrontare gli ostacoli alla diffusione dell’energia
rinnovabile, formulando raccomandazioni concrete, anche sullo stoccaggio dell’energia.’
Poi il
commissario Ue ha affrontato il tema della produzione di pannelli solari:
«Perché
oggi l’Ue importa la maggior parte dei pannelli solari che installa. E circa
tre quarti provenivano da un solo paese.
Passare dai combustibili fossili alle
rinnovabili non dovrebbe significare scambiare una dipendenza con un’altra.
Questo
ci rende vulnerabili a potenziali interruzioni della catena di
approvvigionamento e mina la sicurezza energetica.
Quindi l’Europa deve fare il suo gioco.
Ciò
significa agire per diversificare la nostra offerta e migliorare le nostre
capacità di generazione di energia solare nell’UE.
Questo
è il motivo per cui lo scorso dicembre abbiamo lanciato una EU Solar PV Industry Alliance, di cui molti di voi sono ora membri.
Il suo
obiettivo sarà raggiungere i 30 gigawatt di capacità di generazione lungo
l’intera catena del valore del fotovoltaico entro il 2025.
Questo
è anche il motivo per cui, nell’ambito del Green Deal Industry Plan, “il
Net-Zero Industry Act” pubblicato la prossima settimana sosterrà i progetti di produzione di
tecnologie pulite, compresa la generazione solare”.
Non
tutti gli ambientalisti sono diventati "gretini".
Reteresistenzacrinale.it
– Alberto Cuppini – (10 ottobre 2019) – ci dice:
Confutiamo
l'impressione, che si sta rafforzando nell'opinione pubblica italiana come già
accaduto negli Stati Uniti e in Brasile, che tutto l'ambientalismo sia preda
di una ideologia anti-industriale, dell'irrazionalità ed ora anche
dell'infantilismo, e perciò stesso sia non solo inaffidabile ma persino
deleterio.
Come
prova del fatto che rimangono forti presìdi ambientalisti con i piedi
saldamente piantati nel tempo e nello spazio, presentiamo il caso dell'Imposta
sulle emissioni aggiunte (Imea) e la sponsorizzazione di questa proposta di una nuova fiscalità per le emissioni
clima-alteranti fatta dagli “Amici della Terra” in tutte le sedi istituzionali.
L'Imea mira a valorizzare sull’IVA le reali emissioni di CO2, a prescindere da dove i beni siano
stati prodotti, e ambisce a diventare uno standard di produzione sostenibile.
A tal
fine, l'Imea si propone di incorporare il costo della CO2 nei prodotti attraverso uno schema di
fiscalità ambientale valido sia per i prodotti interni che per quelli
importati, prendendo
come riferimento i migliori benchmark di intensità emissiva nei vari settori di
produzione.
Non ha
infatti alcun senso da un punto di vista ambientale - e industriale -
disincentivare le produzioni locali europee a basse emissioni nel confronto di
mercato con quelle più inquinanti.
Oggi,
grazie alle tecniche denominate "blockchain", potrebbe essere possibile
tracciare le emissioni di beni complessi e contrastare il fenomeno del carbon
leakage, e
quindi l'involontario aumento delle emissioni clima-alteranti, attraverso un approccio bottom-up, in contrapposizione al "sistema Kyoto", che invece è il tipico metodo top-down, deciso dall'alto e imposto alla
base.
La
realizzazione di questo schema potrebbe spalancare le porte ad un nuovo paradigma:
lo spostamento della tassazione da chi produce
ricchezza collettiva a chi consuma risorse comuni non riproducibili. L'applicazione dell'efficienza energetica delle best
practice europee (o anche semplicemente l'applicazione dell'efficienza energetica
italiana, che eccelle nel mondo) permetterebbe di raggiungere risultati migliori, nel
contenimento delle emissioni carboniche, di quelli previsti con i metodi
utopistici e velleitari suggeriti dalle varie COP dell'ONU, da cui derivano direttamente i grotteschi,
tragicomici regolamenti ordoliberisti della commissione Ue, scritti sotto
dettatura dei lobbysti che imperversano a Bruxelles.
In
Cina sono state create delle apocalittiche acciaierie cinesi dove viene
prodotto l’acciaio consumato dai “gretini” europei.
"Togliere
la difesa dell'ambiente dalle mani degli ambientalisti" tuonava il titolo del fondo di Claudio Cerasa
sul Foglio del 24 settembre scorso, che denunciava "i danni di un ambientalismo che
gioca con il capitalismo, le tasse, i vizi, le nascite e il modello bancomat
dell’Europa"
ed in particolare, ci permettiamo di aggiungere noi, che gioca con le gabelle in costante
ed insopportabile crescita, finora celate nelle bollette elettriche di tutti
gli italiani, per sussidiare in modo inverosimile le rinnovabili elettriche non
modulabili (in primis eolico e fotovoltaico) e per evitare che il sistema
elettrico italiano tracolli proprio a causa della loro natura non
programmabile.
Scriveva
il Foglio (uno
dei pochissimi giornali italiani che hanno fatto la scelta contro corrente
di criticare "la teologia apocalittica scelta dai follower di Greta
Thunberg"):
"Difendere
l'ambiente è cosa buona e giusta anche se, come suggerito qualche giorno fa dal
“Wall Street Journal”, lasciare che i bambini siano i leader nel campo dei
cambiamenti climatici è una ricetta per il disastro sicuro.
Ma chi
ha a cuore la difesa dell'ambiente dovrebbe preoccuparsi più di chiunque altro
di non delegittimare le battaglie in difesa dell'ambiente... quando
l'ambientalismo diventa una scusa per fare quello che senza l'ambientalismo non
sarebbe concesso...".
Per
fortuna, la denuncia del Foglio è solo una generalizzazione.
Qualche ambientalista italiano (pochi, in verità...)
non ha perso la trebisonda a seguito della tempesta mediatica della
"piccola Greta" (che è stata strumentalizzata, guarda caso proprio in
coincidenza della redazione dei piani nazionali energia clima, dai lobbysti
delle rinnovabili - e poi dai mass media - con la massima spregiudicatezza), rinunciando così a cogliere i facili
vantaggi della popolarità garantita a chi si conforma ad argomentazioni puerili
ed a comportamenti opportunistici.
Ne
abbiamo avuto la prova provata (sperando che non si tratti della classica
eccezione che conferma la regola) da una notizia riportata dalla stampa
specializzata.
"Carbon
border tax, Amici della Terra scrive a Gentiloni" titolava, lo stesso 24
settembre scorso, la Staffetta Quotidiana:
"La
presidente degli Amici della Terra Monica Tommasi ha inviato stamani una
lettera al nuovo commissario UE per l'economia Paolo Gentiloni, incaricato di
elaborare una Carbon Tax così come previsto dal documento programmatico della
presidente della Commissione Ursula von der Leyen..."
Per
saperne di più potete andare sul sito dell'Astrolabio, dove è riportato il testo della
lettera a Gentiloni, nel post "ImEA, la tassa che non punisce l’industria
efficiente" che così la presentava:
"Con
una lettera della presidente Tommasi, inviata in questi giorni al Commissario
europeo all’Economia Gentiloni, gli Amici della Terra rilanciano la proposta dell’ImEA, una carbon tax non discriminatoria
sulla Co2 nei beni che non è un dazio ma una nuova strada che l’UE può aprire
per trasformare la sostenibilità in uno dei parametri della competizione
globale."
Di
nuovo dall'Astrolabio avevamo appreso da Beniamino Bonardi, nel post "Energia e ambiente nella nuova
Commissione europea", che al nuovo commissario all'Economia Paolo Gentiloni
"spetterà
anche farsi promotore della riforma fiscale europea, in particolare per quanto
riguarda l’introduzione della tassa sul carbonio.
Nella lettera d'incarico a Gentiloni, la presidente von der Leyen scrive:
“La
tassazione deve svolgere un ruolo centrale nel Green Deal europeo. Voglio che
Lei diriga i lavori del riesame della direttiva sulla tassazione dell'energia
per allinearla alle nostre ambizioni e porre fine alle sovvenzioni dei
combustibili fossili.
In stretta collaborazione con il
vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, dovrà guidare i lavori
sulla proposta di imposta sul carbonio alle frontiere, strumento fondamentale per evitare la
rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e permettere alle imprese dell'Unione
di competere in condizioni di parità."
Noi
non abbiamo avuto mai nessuna fiducia in Gentiloni, e risparmiamo, per carità
di Patria, le considerazioni sulla salute della democrazia italiana che si
potrebbero formulare partendo dalla sua nomina alla Commissione europea dopo la
sua personale - pesantissima - sconfitta elettorale alle politiche nel marzo
2018 e dopo l'insuccesso del suo partito anche nelle elezioni europee del
maggio di quest'anno.
Ammettiamo
però che il tentativo degli Amici della Terra andasse comunque fatto.
La Von
der Leyen ha aperto uno spiraglio, con la citazione di una” carbon border
tax” (per contrastare il fenomeno del “carbon leakage”) già nel suo discorso di
insediamento, che andava allargato il più rapidamente possibile.
Sempre
sull'ultimo numero dell'Astrolabio abbiamo letto l'intervista di “Tommaso
Franci” alla professoressa “Agime Gerbeti”, ideatrice dell'Imea, intitolata "Salvare il clima e difendere le
industrie meno inquinanti", che così viene introdotta dall'intervistatore stesso:
"Abbiamo
chiesto all’autrice di “CO2 nei beni” un parere sulla praticabilità degli
obiettivi
europei 2030 di decarbonizzazione, sull’efficacia del meccanismo UE di ETS e sulle criticità per l’industria
europea eco-efficiente.
La
proposta dell’Imea, che è molto diversa da un dazio alla frontiera (carbon
“border” tax) e che rappresenterebbe un vantaggio perpetuo per chiunque produca
beni emettendo di meno, può trovare sostenitori nel Governo e nelle istituzioni
italiane."
Nell'intervista,
tra l'altro, leggiamo che "l'imposta sulle emissioni aggiunte (Imea) mira
a valorizzare sull’IVA le reali e puntualmente contabilizzate emissioni di CO2,
a prescindere da dove i beni siano stati prodotti, e ambisce a diventare uno standard
di produzione sostenibile.
Quindi
la contabilizzazione è sempre sulla produzione reale e non sulla media della
nazione di provenienza.
Questo rende l’Imea molto diversa da una carbon border tax..."
Abbiamo
molto ben giudicato non solo la lettera degli Amici della Terra a Gentiloni, ma anche la rinnovata attenzione,
da sempre dedicata dall'Astrolabio all'Imea, e l'assidua sponsorizzazione di
questa proposta di una nuova fiscalità per le emissioni clima-alteranti fatta
dagli Amici della Terra in tutte le sedi istituzionali.
Seguivamo
con la massima attenzione il lavoro della Gerbeti sin dai tempi della
pubblicazione del suo libro "CO2 nei beni e competitività industriale europea" nel 2014.
Ne eravamo venuti a conoscenza proprio
dall'Astrolabio, da una bella recensione del compianto “Francesco Mauro”:
"l’autrice
viene fuori con durezza a mostrare il non funzionamento del sistema ETS e degli accordi internazionali ad
esso connessi, la sua burocratizzazione, persino il suo uso a fini speculativi.
E
propone di uscirne fuori incorporando il costo della CO2 nei prodotti
attraverso uno schema di fiscalità ambientale applicato all’IVA sia per i
prodotti interni che per quelli importati, prendendo come riferimento i
migliori benchmark di intensità emissiva nei vari settori di produzione."
Mauro
aveva, in estrema sintesi, individuato i due elementi che, insieme, rendevano l'idea della Gerbeti rivoluzionaria:
1) il concetto di carbon footprint (o
CFP) dell'ingegnere svizzero Mathis Wackernagel (pagina 100 e seguenti del testo) ed
in particolare che "caratteristica della CFP è procedere attraverso un
approccio bottom-up, letteralmente dal basso verso l'alto, in (apparente) contrapposizione col sistema Kyoto
che invece è il tipico metodo top-down, deciso dall'alto e imposto alla base" e che
2) la nuova imposta doveva essere
applicata a tutti i beni consumati (ripetiamo: consumati, non prodotti) in
Europa ed essere incorporata nell'IVA, a parità di gettito tributario,
sostituendosi progressivamente ad essa per non apparire un nuovo odioso
balzello.
La
realizzazione di questo schema potrebbe spalancare le porte ad un nuovo
paradigma: lo
spostamento della tassazione da chi produce ricchezza collettiva a chi consuma
risorse comuni non riproducibili.
“Francesco
Mauro” non aveva però colto il limite invalicabile (allora) della proposta
della Gerbeti, che ingenuamente auspicava (a pagina 126 del testo), per
definire un metodo lineare e non discriminatorio per quantificare la CO2 e la
sua tracciabilità per ogni singolo prodotto, niente meno che l'avvento di "decine di
migliaia di esperti energetici e sulle emissioni per definire nel dettaglio il
meccanismo, per valutare quanto ogni singolo prodotto dovrebbe mettere per
essere considerato efficiente ecc.".
Dio ce
ne scampi e liberi!
Sarebbe
stata l'apoteosi proprio dei tecnocrati di Bruxelles, che invece sono i nemici
principali, assieme alle Conferenze delle Parti (COP) dell'ONU, che l'approccio
bottom-up
al problema delle emissioni clima-alteranti dovrebbe sconfiggere.
Da
allora, però, la tecnologia ha fornito qualcosa di assolutamente nuovo: lo strumento della blockchain.
La
professoressa Gerbeti ha intuito le sue potenzialità e lo ha rapidamente
inserito nella sua costruzione teorica, a partire dall'articolo "Blockchain e tracciabilità
delle emissioni industriali" - firmato assieme a Fabio Catino - pubblicato nel
secondo numero del 2019 della rivista Energia.
A sua
volta, la
redazione di Energia ne ha colto la portata rivoluzionaria al punto da pubblicare
non uno ma due post di presentazione (che vi sollecitiamo a leggere per
intero), il
primo del 20 giugno dal titolo "La blockchain per tracciare le emissioni
industriali (e tutelare la competitività europea)":
“La
logica di fondo consiste nel riconoscere che non ha alcun senso da un punto di
vista ambientale – e industriale – disincentivare le produzioni locali europee
a basse emissioni nel confronto di mercato con quelle più inquinanti.”
ed il
secondo il
22 agosto, dal titolo "Blockchain: cos’è e come può servire la causa
climatica":
"Grazie
alla blockchain è possibile tracciare le emissioni di beni complessi e
contrastare in questo modo il fenomeno del carbon leakage... Le emissioni in sostanza
dovrebbero essere calcolate non al momento della produzione di un bene, ma a
quello del suo consumo, così da conteggiare anche i beni prodotti altrove e poi
importati.
Altrimenti si rischia un gioco delle tre carte
che consente ipocritamente di vantare numeri virtuosi che non riflettono la
realtà delle cose".
Non
siamo però assolutamente d'accordo con una delle conclusioni del sopra
menzionato articolo a firma Gerbeti-Catino:
"L'Imea,
... seppure favorita dalla tecnologia blockchain, non può considerarsi di
semplice adozione." E fino qui tutto bene.
"Le
complicazioni in merito non sono tuttavia di natura concettuale... nè di natura
tecnica, ma di carattere politico, economico e finanziario." Assolutamente
no! I problemi principali sono proprio di natura tecnica.
Neppure
i successivi chiarimenti richiesti alla Gerbeti, che evidentemente ha suscitato un
grosso interesse tra gli addetti ai lavori, ci sono parsi soddisfacenti.
Non
nell'articolo pubblicato sulla Staffetta Quotidiana del 27 settembre "I problemi della carbon border
tax - L'analisi di Agime Gerbeti (Aiee)", in cui la blockchain non viene neppure
nominata,
nè nell'articolo ben più interessante, pubblicato il 24 settembre su Orizzontenergia, Climate change:
Globalizzazione del problema e blockchain, in cui ci si limita ad osservare,
con un eccesso di semplificazioni, che:
"se
fino ad ora la blockchain è stata impiegata per le transazioni economiche e spesso
associata con approssimazione alle cryptovalute, questo non significa affatto che non possa essere
utilizzata per tracciare le transazioni emissive di bene in bene per tutta la
filiera produttiva peraltro con straordinaria efficacia.
Il passaggio monetario o quello dei dati
riferiti alle emissioni per la produzione di un determinato componente non
differiscono assolutamente da un punto di vista digitale."
Il
problema della determinazione tramite blockchain della "traccia
carbonica" su tutti i beni e servizi consumati (non prodotti!) in Italia
(o in Europa) è iper-complesso e va affrontato con un approccio
multidisciplinare, affidandosi ad una task force comprendente le menti migliori
(almeno) dell'università italiana (che devono lavorare in stretto
coordinamento, altrimenti lo sforzo sarebbe inutile), a cominciare dai più
brillanti ingegneri, informatici, economisti e tributaristi.
La
soluzione (ammesso che arrivi) non sarà affatto immediata, anche se tale
potrebbe apparire ai posteri, così come oggi appare a noi ovvia e naturale
l'applicazione dell'IVA, che invece ha comportato a suo tempo un percorso
intellettuale e culturale arduo e molto tortuoso.
Ci
rammarichiamo del fatto che nell'intervista di” Franci” si sia parlato della blockchain
in modo del tutto marginale.
In realtà tutto l'edificio teorico dell'Imea dipende dalla percorribilità di
questo strumento tecnologico.
Se ci
possiamo permettere un consiglio, sarebbe opportuno, alla prossima occasione,
farsi spiegare da altri esperti, in modi comprensibili dai lettori
dell'Astrolabio, quali sono i termini, i problemi ed i costi di questa
tecnologia applicata al caso specifico.
In particolare, penso che sarebbero utili più
puntuali analogie ed alcuni esempi teorici per qualche bene (e servizio, meglio
ancora) di uso comune.
Al
momento, senza soluzioni semplificatorie che al momento risiedono nella mente
degli Dei, la
nostra impressione è che i problemi ed i conseguenti costi dell'applicazione
capillare delle tecniche blockchain sarebbero devastanti.
E
tuttavia lo sforzo merita di essere fatto.
I
danni per l'economia italiana e per l'ecosistema planetario del carbon leakage
non risultano, neppure come prima approssimazione (per quello che se ne sa), da
nessun documento o, almeno, da nessun documento italiano.
È un fatto gravissimo, che però sembra non
interessare a nessuno, neppure al ministero dello Sviluppo economico.
Non
credo che tutte le potenziali conseguenze positive di questo approccio
completamente nuovo al problema (conseguenze indotte da una tassazione delle
emissioni carboniche di tutti i beni e servizi in un mercato, come quello
europeo, di 500 milioni di grandi consumatori) siano state ben comprese,
neppure dalla professoressa “Gerbeti”. (Occorre, in seguito, spiegarne
implicazioni e vantaggi).
Nel
frattempo dovrebbe essere facile, partendo da alcune ipotesi semplificatorie,
calcolare come
l'applicazione
dell'efficienza energetica delle best practice europee (o anche semplicemente l'applicazione
dell'efficienza energetica italiana, che eccelle nel mondo) a livello globale avrebbe permesso di raggiungere
risultati migliori, nel contenimento delle emissioni carboniche, di quelli
previsti con i metodi utopistici e velleitari suggeriti dalle varie COP
dell'ONU, da cui derivano direttamente i grotteschi, tragicomici regolamenti
ordoliberisti della commissione Ue, scritti sotto dettatura dei lobbysti
che imperversano a Bruxelles.
(Alberto
Cuppini)
Politiche Internazionali Green:
dall’Agenda
2030 al Green Deal europeo.
Symbola.net
– (16 -2-2022) – Marco Frey – ci dice:
Dall'Agenda
2030 al Green Deal europeo: il cambiamento climatico è entrato in maniera
dirompente su tutti gli scenari internazionali.
RICERCA:
GreenItaly
2020.
(Realizzato
in collaborazione con Marco Frey. Presidente del Comitato scientifico di
Symbola. Professore ordinario di
Economia e gestione delle imprese, direttore del gruppo di ricerca sulla sostenibilità
(SuM) della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa; docente allo IUSS
di Pavia e all’Università Cattolica di Milano; presidente della Fondazione
Global Compact Italia.)
Questo
contributo fa parte del decimo rapporto GreenItaly, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, in collaborazione con CONAI,
Novamont e Ecopneus.
Il
quadro globale e l’Agenda 2030.
É
ormai trascorso un terzo del quindicennio che – da quel 25 settembre 2015 in
cui le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile
– ci conduce al 2030, e non si può che evidenziare la lunga distanza ancora da
percorrere nei confronti del 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs).
il
Rapporto ONU sulla sostenibilità del 2019
ha evidenziato che, nonostante i progressi conseguiti in molteplici
aree, vi è oggi la necessità di azioni e politiche più rapide e ambiziose per realizzare la trasformazione
economica e sociale necessaria al raggiungimento degli SDGs.
A
richiedere interventi più urgenti sono soprattutto la lotta contro il cambiamento
climatico e alle disuguaglianze:
nel
primo caso, gli effetti catastrofici e irreversibili che si verificheranno – e
in parte già si manifestano – in assenza di una riduzione delle emissioni di
gas serra renderanno inabitabili molte parti del mondo, colpendo in particolar
modo i Paesi e le persone più vulnerabili; d’altra parte, le diseguaglianze, la
povertà, la fame e le malattie sono in crescita in numerosi Paesi.
A tal
fine, il Rapporto evidenzia alcune linee strategiche che possono determinare
progressi significativi, quali, ad esempio, lo sviluppo della finanza
sostenibile, l’ammodernamento delle istituzioni, un’efficace cooperazione
internazionale nella prospettiva multilaterale, un miglior uso dei dati
statistici e la valorizzazione della scienza, della tecnologia e
dell’innovazione, con una maggior attenzione alla trasformazione digitale.
Più
recentemente nella relazione “Progress towards the Sustainable Development Goals” il segretario generale dell’ONU Guterres ha ribadito l’urgenza di aumentare
drasticamente il ritmo e la portata degli sforzi da compiere nel prossimo
decennio per realizzare gli SDGs.
Se
fino al 2019 i Goal 1 (sconfiggere la povertà), 3 (salute e benessere), 7
(energia pulita e accessibile) hanno fatto registrare progressi importanti,
molti Goal non hanno evidenziato miglioramenti e alcuni hanno persino invertito
la rotta:
cresce
il numero di persone che soffrono la fame (Goal 2);
il cambiamento climatico si sta verificando
con ritmi più veloci del previsto (Goal 13) e crescono le disuguaglianze
all’interno dei Paesi (Goal 10).
Desta
poi particolare preoccupazione l’impatto della pandemia da Covid-19.
Pur
iniziando come una emergenza sanitaria, quella scatenata dal coronavirus è
diventata la peggiore crisi sociale ed economica dal dopoguerra in poi.
In
occasione della presentazione del Rapporto 2020 sullo Human Development Achim
Steiner, Direttore dell’UNDP ha dichiarato che
“la distruzione ha assunto proporzioni
su scala mondiale e in modo sincronizzato senza precedenti tanto da dovere
aggiornare l’indice di sviluppo umano che per la prima volta da 30 anni sta
regredendo, Dobbiamo ripensare ai nostri modelli economici e sociali. Ogni
crisi porta con sé una opportunità che i leader globali devono cogliere”.
L’indice
di sviluppo umano, che è un indicatore composito costituito da variabili
economiche (come il PIL pro-capite) e sociali (quali il livello educativo e
della salute) non era decresciuto a livello globale neanche negli anni della
crisi finanziaria del 2008.
Nel
2020 è viceversa prevista una decrescita consistente per l’azione congiunta di
tutti i parametri che lo compongono.
Tornando
all’Agenda 2030, gli obiettivi più a carattere economico: l’8, il 9, l’11 e il
12, hanno subito una battuta di arresto, dopo che nei Paesi occidentali avevano
visto una fase di graduale miglioramento.
Gli
obiettivi più ambientali presentano dati altalenanti.
Il Goal 14 (vita sott’acqua), nonostante il
raddoppio delle aree marine protette rispetto al 2010, registra un aumento
dell’acidità degli oceani del 10-30% rispetto al periodo 2015-2019.
La
percentuale di aree forestali (SDG 15)
è scesa dal 31,9% della superficie totale nel 2000 al 31,2% nel 2020, con una
perdita netta di quasi 100 milioni di ettari di foreste.
Le
aree protette non sono concentrate in contesti fondamentali per la biodiversità
e le specie rimangono minacciate di estinzione.
Infine
il Goal 16 evidenzia che milioni di persone sono state private della loro
sicurezza, dei diritti umani e dall’accesso alla giustizia.
Nel 2018, il numero di persone in fuga da
guerre, persecuzioni e conflitti ha superato i 70 milioni, il livello più alto
registrato dall’UNHCR in quasi 70 anni.
A ciò
si è aggiunta la pandemia da Covid-19, che può portare ad un aumento dei
disordini sociali che minerebbe la capacità di raggiungere i target fissati.
Il
quadro mondiale si presenta quindi come particolarmente critico e sino alla
fine della pandemia non sarà facile comprendere quali saranno i tempi e le
condizioni per recuperare il terremo perso nel perseguimento degli obiettivi
dell’Agenda 2030, che continua a rappresentare a livello globale il riferimento
principale per orientare la ripartenza in modo sostenibile, valorizzando gli
ambiti essenziale per la transizione verso uno sviluppo economico e sociale più
resiliente, inclusivo e in armonia con la natura.
Le
rilevanti ricadute socio-economiche della crisi in corso hanno fatto sì che i principali
sforzi dei diversi Paesi si siano concentrati sull’emergenza occupazione e
sociale, spesso trascurando gli investimenti più di lungo periodo in una
prospettiva green.
L’Unione
Europea (UE), grazie anche alla spinta della nuova presidenza costituisce un esempio
di maggiore lungimiranza ed è stata capace negli ultimi mesi di mantenere una
forte coerenza con le linee strategiche definite con il Green Deal alla fine
del 2019.
Sono numerosi e significativi i documenti
strategici e di pianificazioni realizzati o in programma nel prossimo biennio
che articolano questa visione strategica e che descriveremo sinteticamente
nelle prossime pagine.
La
nostra convinzione infatti è che l’UE stia in questo momento provando a fare un
importante salto di qualità nella transizione verso la sostenibilità, facendo
leva sull’eccezionale sforzo di investimento che la ripresa post-pandemica
richiede.
Questa
transizione si articola in diverse dimensioni che vedono il pilastro ambientale della
sostenibilità al centro delle interazioni con l’economia e con il pilastro sociale:
la transizione verso la decarbonizzazione
(SDG13 dell’Agenda 2030), verso l’economia circolare (SDG12),
la
transizione alimentare (SDG2),
quella
verso un diverso rapporto con la natura ed ecosistemi più resilienti (SDG 14 e
15),
verso
un sistema economico, produttivo ed abitativo ad inquinamento zero (SDG8 e SDG
11),
la transizione energetica e infrastrutturale
orientata alla rinnovabilità e sostenibilità (SDG7 e SDG 9).
Tutto ciò con le connesse ricadute sociali ed
economiche che coinvolgono tutti gli altri obiettivi dell’Agenda 2030.
L’Europa
al centro delle politiche Green.
L’Europa
ha iniziato il 2019 con uno degli ultimi atti della Presidenza Junker che ha
presentato il 30 gennaio il documento “Verso un’Europa sostenibile entro il
2030”, in cui si misura proprio con l’Agenda 2030.
In tal
documento si evidenzia come gli SDGs grazie alla loro universalità hanno la potenzialità di
risolvere le spinte sociali disgregative sia all’interno che all’esterno
dell’Unione e inducono “a lavorare in un’ottica internazionale, incitando i paesi,
l’industria e le persone a unirsi in questa missione”.
La
capacità di visione sistemica crea le condizioni per costruire la convergenza
delle politiche sociali, ambientali ed economiche, in quanto “La crescita
‘verde’ avvantaggia tutti, i produttori come i consumatori”.
E ciò
si deve realizzare nel quadro della coerenza delle politiche interne ed
esterne.
“Dobbiamo
fare in modo di non esportare la nostra impronta ecologica o creare povertà,
disuguaglianze e instabilità in altre parti del mondo.
In quanto europei siamo del tutto consapevoli
che gli impatti negativi che si manifestano altrove avranno a loro volta un
effetto boomerang per la nostra economia e la nostra società”.
A ciò seguiva la considerazione che una
leadership europea nella transizione verso un’economia verde e inclusiva, dando un forte impulso alla
definizione di regole internazionali è necessaria per conseguire un forte
vantaggio competitivo sul mercato globale.
Fin
qui le dichiarazioni di principio, è poi spettato alla nuova presidente della
Commissione Europea (CE), Ursula Von del Leyen, dare un reale impulso
strategico a questi orientamenti generali, segnando l’inizio del suo mandato
con la presentazione l’11 dicembre del Green New Deal.
Al
momento della presentazione le sue dichiarazioni furono:
“Il
Green Deal europeo è la nostra nuova strategia di crescita, per restituire più
di quanto togliamo, trasformando il nostro modo di vivere e lavorare, di
produrre e consumare… Tutti possiamo essere coinvolti nella transizione e tutti
possiamo trarre vantaggio dalle opportunità.
Aiuteremo la nostra economia europea a essere un
leader globale muovendoci per primi e velocemente.
Siamo
determinati ad avere successo per il bene di questo pianeta e della vita su di
esso – per il patrimonio naturale dell’Europa, per la biodiversità, per le
nostre foreste e per i nostri mari. Mostrando al resto del mondo come
essere sostenibili e competitivi, possiamo convincere altri paesi muoversi con
noi”.
Con il
Green Deal infatti la Ce si propone di posizionare l’UE come leader mondiale,
anche attraverso un Patto per il Clima che sarà presentato nel corso del 2020,
e si articola in 8 obiettivi, il primo dei quali riguarda ancora una volta il
clima.
Questi
obiettivi li approfondiremo successivamente uno per uno, salvo quelli più
connessi all’energia che considereremo congiuntamente, in quanto verranno
sviluppati nel capitolo successivo.
Gli
obiettivi sono supportati da cinque misure trasversali:
Perseguire
i finanziamenti e gli investimenti verdi, garantendo una transizione giusta,
con un piano di investimenti per un’Europa sostenibile che comprenda:
un
meccanismo e un Fondo per una transizione giusta, concentrato sulle regioni e
sui settori più dipendenti dalle fonti fossili;
una
strategia rinnovata in materia di finanza sostenibile per indirizzare i flussi
finanziari e di capitale privato verso gli investimenti verdi ed evitare gli
attivi non recuperabili.
E
trasformando la BEI nella nuova banca dell’UE per il clima, prevedendo che il
50% delle sue operazioni siano dedicate all’azione per il clima entro il 2025;
“Inverdire”
i bilanci nazionali e inviare i giusti segnali di prezzo, riorientando gli investimenti
pubblici, i consumi e la tassazione verso le priorità verdi, abbandonando le sovvenzioni dannose,
definendo con gli stati membri riforme fiscali ben concepite che possano
stimolare la crescita economica, migliorare la resilienza agli shock climatici,
contribuire
a una società più equa e sostenere una transizione giusta;
Stimolare
la ricerca e l’innovazione attraverso “Horizon Europe” e altre azioni sinergiche a
livello europeo e degli Stati membri, coinvolgendo un’ampia gamma di portatori
d’interessi tra cui regioni, cittadini, imprese, chiamando in causa tutti i settori e le discipline in
un impegno di sistema;
Fare
leva sull’istruzione e la formazione, definendo un quadro europeo delle
competenze che aiuti a coltivare conoscenze, abilità e attitudini connesse ai
cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile, utilizzando e aggiornando
strumenti quali il Fondo sociale europeo Plus, l’agenda per le competenze e la garanzia per i giovani;
valutare
preventivamente gl’impatti ambientali, utilizzando gli strumenti di cui la
Commissione dispone per legiferare meglio basandosi sulle consultazioni
pubbliche,
sulle previsioni degli effetti ambientali, sociali ed economici, includendo nelle relazioni che
accompagnano tutte le proposte legislative e gli atti delegati una sezione
specifica che illustra come viene garantito il rispetto di tale principio.
Il 14
gennaio 2020 è stato quindi presentato il Piano di investimenti connesso al
Green Deal,
finalizzato oltre che alla messa in campo diretta di risorse comunitarie, nella
creazione
di un quadro favorevole per facilitare gli investimenti pubblici e privati
necessari per la transizione verso un’economia climaticamente neutrale, verde,
competitiva e inclusiva.
Il Piano si basa su tre dimensioni:
Finanziamento: mobilitare almeno 1.000 miliardi di
euro di investimenti sostenibili nel prossimo decennio, attribuendo un ruolo chiave alla Banca Europea per
gli Investimenti che aumenterà la quota che riservata ai progetti sostenibili dal 25 al
50%.
Nel
complesso la
CE ha
previsto di destinare circa un quarto del nuovo budget pluriennale a progetti
sostenibili.
Abilitazione: fornire incentivi per sbloccare e
reindirizzare gli investimenti pubblici e privati, mettendo la finanza sostenibile al centro del
sistema finanziario e facilitando gli investimenti sostenibili da parte delle
autorità pubbliche.
Supporto: la Commissione fornirà supporto alle
autorità pubbliche e ai promotori di progetti nella pianificazione, ideazione e
realizzazione di progetti sostenibili.
Al
tempo stesso è stato introdotto il meccanismo per una transizione giusta (JTM), uno strumento chiave per garantire
che la
transizione verso la decarbonizzazione avvenga in modo equo, senza lasciare
indietro nessuno.
Il
meccanismo fornisce un sostegno mirato per aiutare a mobilitare almeno 100
miliardi di euro nel periodo 2021- 2027 per alleviare l’impatto socioeconomico
della transizione, aiutando i lavoratori e le comunità che dipendono dalla
catena del valore dei combustibili fossili.
Successivamente
poi si è avuta la crisi pandemica a livello internazionale che ha condizionato
tutte le scelte di policy.
In Europa fortunatamente il forte orientamento
strategico definito con il Green Deal ha di fatto indirizzato le scelte di
allocazione e condizionerà le modalità di erogazione degli ingenti fondi per la
ripartenza.
Il 27
maggio con la Comunicazione “Il bilancio dell’UE come motore del piano per la ripresa
europea”
(COM(2020), 442 final), la CE, rispondendo alle necessità straordinarie di finanziare la
ripresa economica dei paesi membri dell’UE colpiti dalla crisi del Covid-19, ha proposto l’introduzione di uno
strumento europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”) del valore
di 750 miliardi di EURO, in aggiunta a un quadro finanziario pluriennale (QFP)
rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro.
La
novità del fondo Next Generation EU è la possibilità per gli stati di
poter beneficiare di un meccanismo di finanziamento temporaneo che consente un aumento ingente e
tempestivo della spesa senza accrescere i debiti nazionali.
Per la
prima volta l’UE diventa il garante dell’indebitamento dei Paesi membri,
riuscendo così a contenere in misura significativa anche il costo
dell’indebitamento.
All’interno
della crisi più grave che abbia interessato l’economia globale ed europea negli
ultimi settantacinque anni, si tratta quindi di una grande opportunità per
accelerare la transizione verso un’economia più green e circolare.
Veniamo
ora ad analizzare come il Green Deal (e la connessa Next Generation UE) si articola nelle politiche sulle dimensioni chiave
della green economy.
Partiremo
dalle politiche prioritarie che caratterizzano il Green Deal Europeo, ovvero la lotta al cambiamento
climatico e l’economia circolare, per poi analizzare le politiche sul sistema
alimentare, sulla biodiversità, sull’inquinamento, con un cenno finale su quelle
inerenti all’energia e i trasporti che saranno analizzate nel prossimo capitolo.
La
sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e incarnata
nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior ruolo
internazionale all’egida della transizione alla “green, circular e decarbonised economy”
ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri, dopo gli effetti della
Brexit e dei neonazionalismi.
Il
cambiamento climatico.
Il
2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più
caldo, dal 2010 al 2019.
Con una temperatura media globale di 1,1°C al
di sopra dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta
particolarmente urgente.
Al
fine marzo 2020 sono 185 i Paesi più l’Unione Europea che hanno comunicato il loro primo Contributo Nazionale
Volontario alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici.
Il quadro degli impegni non è inadeguato per
raggiungere gli obiettivi di 1,5 o 2°C previsti dall’accordo di Parigi e
pertanto i Paesi sono stati invitati ad aggiornare i contributi a livello
nazionale o a comunicarne di nuovi entro il 2020, aumentando il loro livello di
ambizione nell’azione per il clima.
Anche
se le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 6% nel 2020 (in Italia la
riduzione è del 7.5% rispetto al 2019 secondo le stime Ispra) e la qualità
dell’aria è migliorata a causa del divieto di viaggiare e del rallentamento
economico dovuto alla pandemia, il miglioramento è solo temporaneo e la crisi
può compromettere alcuni degli impegni ed investimenti previsti.
Viceversa i governi dovrebbero utilizzare le
lezioni apprese per accelerare le transizioni necessarie per raggiungere
l’accordo di Parigi, ridefinire il rapporto con l’ambiente ed effettuare
cambiamenti sistemici per ridurre le emissioni di gas serra.
L’Europa è in prima linea in questa sfida.
Tra il
1990 e il 2018 l’UE ha ridotto del 23 % le emissioni di gas a effetto serra,
mentre l’economia è cresciuta del 61 %.
Tuttavia,
mantenendo le attuali politiche, la riduzione delle emissioni di gas a effetto
serra sarà limitata al 60% entro il 2050: per Bruxelles occorre fare di più.
Con il
Regolamento europeo sul clima del 4 marzo 2020, propedeutico al preannunciato
Patto per il Clima, la CE ha proposto un obiettivo giuridicamente vincolante di
azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 (già
indicato nella risoluzione del Parlamento Europeo del 14 marzo 2019), assumendo
il compito di esaminare la legislazione dell’Unione e le politiche vigenti per
valutarne la coerenza rispetto all’obiettivo della neutralità climatica e alla
traiettoria stabilita.
Ciò coinvolge i Piani nazionali per l’energia e il clima degli Stati
membri (la
cui valutazione è prevista all’art.6 del Regolamento), le relazioni periodiche
dell’Agenzia europea dell’ambiente e i
più recenti dati scientifici sui cambiamenti climatici e i relativi
impatti.
Entro
il 2020 la Commissione dovrebbe presentare il Piano corredato di una
valutazione d’impatto per aumentare l’obiettivo dell’UE di riduzione delle
emissioni di gas a effetto serra per il 2030, portandolo almeno al 50%-55%
rispetto ai livelli del 1990 (oggi l’obiettivo è al 40%).
Tra le
varie misure da introdurre vi è anche la revisione della direttiva sulla
tassazione dell’energia, introducendo un meccanismo di adeguamento del carbonio
alle frontiere (border carbon tax).
Ciò è
necessario finché l’impegno dei diversi Paesi rispetto all’accordo di Parigi
non sarà più equilibrato.
Sull’adattamento,
cruciale date le conseguenze già evidenti del cambiamento climatico, il
regolamento prevede (art.4) che gli Stati membri elaborino e attuino strategie
e piani di adattamento che includono quadri completi di gestione dei rischi,
fondati su basi di riferimento rigorose in materia di clima e di vulnerabilità
e sulle valutazioni dei progressi compiuti.
Anche
in questo ambito l’UE vuole confermare il proprio ruolo di apripista,
recuperando lo spirito della COP di Parigi, purtroppo un po’ perso nelle COP
successive.
Anche
nell’ultima, tenutasi a dicembre 2019, a Madrid non sono state prese decisioni
particolarmente rilevanti o ambiziose, senza trovare un accordo su uno dei temi
più delicati, cioè il meccanismo che in futuro dovrebbe permettere ai paesi che
inquinano di meno di «cedere» la quota rimanente di gas serra a paesi che
inquinano di più.
Nei
documenti approvati alla fine della conferenza dalla plenaria vi è l’impegno
(anche se non vincolante) a presentare piani per ridurre ulteriormente le
proprie emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi fissati dagli
Accordi di Parigi sul clima.
L’UE
ha spinto in tale direzione, ma a frenare compromessi più ambiziosi sono
intervenuti i delegati di paesi come il Brasile e soprattutto gli Stati Uniti,
che hanno avviato le procedure per uscire formalmente dagli Accordi di Parigi.
Cruciale
per l’impegno globale sul clima sarà pertanto la COP 26 che si terrà a Glasgow a
fine 2021, dopo il rinvio di un anno causa Covid-19.
La
tassonomia europea per la finanza sostenibile è una pietra miliare nell’agenda
verde europea:
il primo sistema di classificazione al mondo
di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che darà una
spinta reale agli investimenti sostenibili.
L’economia
circolare e Il nuovo Piano di azione.
Per
quanto riguarda l’Economia circolare (EC), l’ultimo anno ha visto l’emanazione
di diversi provvedimenti comunitari, che sono culminati poi a marzo 2020
con il nuovo Piano di azione.
A
marzo 2019, la Commissione europea ha adottato una relazione globale
sull’attuazione del piano d’azione per l’economia circolare del 2015.
La
relazione indica, grazie alle attività di monitoraggio previste nel Piano, che l’EC
sta fornendo un contributo significativo nella creazione di occupazione.
Nel 2016 nei settori attinenti all’economia
circolare erano impiegati oltre quattro milioni di lavoratori (di cui 510.145
in Italia, saliti a 517.540 nel 2017), il 6% in più rispetto al 2012.
Ulteriori
posti di lavoro sono destinati a essere creati nei prossimi anni al fine di
soddisfare la domanda prevista di materie prime secondarie generata da mercati
pienamente funzionanti.
La circolarità ha inoltre aperto nuove
opportunità commerciali, dato origine a nuovi modelli di impresa e sviluppato
nuovi mercati, sia all’interno sia all’esterno dell’UE.
Nel
2017 attività circolari come la riparazione, il riutilizzo o il riciclaggio
hanno generato quasi 155 miliardi di euro di valore aggiunto, registrando
investimenti pari a circa 18,5 miliardi di euro.
In Europa il riciclaggio di rifiuti urbani nel periodo
2008-2016 è aumentato e il contributo dei materiali riciclati alla domanda
globale di materiali registra un continuo incremento.
In media, tuttavia, i materiali riciclati
riescono soltanto a soddisfare meno del 12% della domanda di materiali dell’UE.
Questo
aspetto è ribadito da una recente relazione dei portatori di interessi secondo
la quale la piena circolarità si applicherebbe solo al 9% dell’economia mondiale, lasciando ampi
margini di miglioramento.
La CE
ha introdotto nell’ultimo quinquennio una serie di azioni nell’ambito della EC,
tra cui la prima strategia settoriale ha riguardato la plastica:
prevedendo che entro il 2030 tutti gli imballaggi di
plastica immessi sul mercato dell’UE siano riutilizzabili o riciclabili;
e che, entro il 2025, 10 milioni di tonnellate di
plastica riciclata vengano utilizzati per la realizzazione di nuovi prodotti.
Sono
già state raggiunte alcune tappe verso un riciclaggio della plastica di
maggiore qualità.
Tra
queste rientrano il nuovo obiettivo di riciclaggio per gli imballaggi di
plastica, fissato al 55% per il 2030, gli obblighi di raccolta differenziata e
i miglioramenti riguardanti i regimi di responsabilità estesa del produttore.
Si
prevede che questi ultimi agevoleranno la progettazione che mira alla
riciclabilità grazie all’eco-modulazione dei contributi dei produttori.
Ulteriori passi in avanti sono stati definiti
con la direttiva 2019/904/UE sulla riduzione dell’incidenza di determinati
prodotti di plastica sull’ambiente (come le plastiche monouso).
La
strategia si è poi proposta di allargare a scala globale l’azione della UE.
In base alle iniziative messe in campo, in
particolare sulla plastica monouso, la leadership dell’UE nelle sedi
multilaterali ha giocato un ruolo fondamentale nell’attivare l’interesse
internazionale nei confronti dell’agenda sulla plastica, come dimostrato da
iniziative quali la piattaforma Global Plastics in collaborazione con l’UNEP e il partenariato internazionale sui
rifiuti di plastica nel quadro della convenzione di Basilea.
Nel
2020 La Commissione europea ha, infine, adottato un nuovo piano d’azione
per l’economia circolare, uno degli elementi cardine del Green Deal europeo.
Il
nuovo Piano di azione dell’Unione Europea per l’economia circolare esprime la chiara convinzione che
l’estensione dell’economia circolare dai “first movers!” agli operatori
economici tradizionali contribuirà in modo significativo al conseguimento della neutralità
climatica entro il 2050 e alla dissociazione della crescita economica dall’uso delle
risorse, garantendo allo stesso tempo la competitività a lungo termine dell’UE
e una ripresa dalla crisi pandemica orientata alla sostenibilità.
Il
modello di crescita circolare viene chiaramente descritto come rigenerativo e capace di
contribuire agli obiettivi di riduzione dell’impronta dei consumi, grazie alla
diffusione di prodotti circolari.
Esso intende rappresentare un programma
orientato al futuro per costruire un’Europa più pulita e competitiva in co-
creazione con gli operatori economici, i consumatori, i cittadini e le
organizzazioni della società civile, capace di accelerare il profondo cambiamento
richiesto dal Green Deal europeo.
Il piano d’azione pone un quadro strategico solido e
coerente in cui i prodotti, i servizi e i modelli di business sostenibili
costituiranno la norma, ciò:
al
fine di trasformare i modelli di consumo in modo da evitare innanzitutto la
produzione di rifiuti;
focalizzandosi
sulle catene di valore dei prodotti chiave (il Piano ne individua sette:
elettronica e TIC; batterie e veicoli; imballaggi; plastica; prodotti tessili;
costruzioni e edilizia; prodotti alimentari;
riducendo
i rifiuti e
garantire il buon funzionamento del mercato interno dell’UE per le materie
prime secondarie di alta qualità;
consentendo
all’Unione si assumerà sempre di più la responsabilità dei rifiuti che produce (riducendo le spedizioni
transfrontaliere).
Secondo
la CE nell’economia circolare esiste un chiaro vantaggio competitivo anche per
le singole aziende, in quanto la spesa delle imprese manifatturiere per
l’acquisto di materiali (circa il 40% della spesa complessiva) potrebbe sensibilmente ridursi grazie
a modelli a ciclo chiuso, incrementando la loro redditività e proteggendole
dalle fluttuazioni dei prezzi delle risorse.
La
transizione verso un modello circolare intende rafforzare la base
industriale e favorire la creazione di imprese e l’imprenditorialità tra le
Pmi.
Grazie
alla spinta innestata dalla circolarità le imprese adotteranno modelli
innovativi basati su una relazione più stretta con i clienti, favorendo la personalizzazione di
massa e l’economia collaborativa e partecipata.
Le tecnologie digitali forniranno una
ulteriore impulso alla circolarità e alla dematerializzazione, consentendo all’Europa di ridurre
la dipendenza dalle materie prime.
Al
proposito è chiara la sinergia con la Strategia Industriale della UE presentata nel marzo 2020, in cui si individuano tre fattori
chiave per l’Europa: essere più green, più circolare e più digitale.
Per
quanto riguarda i cittadini, l’economia circolare fornirà prodotti di elevata
qualità, funzionali, sicuri, efficienti e economicamente accessibili, che
durano più a lungo e sono concepiti per essere riutilizzati, riparati o
sottoposti a procedimenti di riciclaggio di elevata qualità.
Un’intera
gamma di nuovi servizi sostenibili, modelli di “prodotto come servizio” (product-as-service)
e soluzioni digitali consentiranno di migliorare la qualità della vita, creare
posti di lavoro innovativi e incrementare le conoscenze e le competenze.
Il piano mira inoltre a garantire che l’economia
circolare vada a beneficio delle persone, delle regioni e delle città,
contribuisca pienamente alla neutralità climatica e sfrutti appieno il
potenziale della ricerca, dell’innovazione e della digitalizzazione.
Il
Piano prevede, infine, l’ulteriore messa a punto di un quadro di monitoraggio adeguato
che contribuisca a misurare il benessere al di là del PIL.
Particolare
attenzione meritano, nell’ambito del Piano, due azioni trasversali, che
dimostrano quale sia il livello di interconnessione tra le diverse politiche
europee.
La
prima attiene alla neutralità climatica.
Al
fine di conseguire questo obiettivo la Commissione intende rafforzare le
sinergie tra circolarità e riduzione dei gas a effetto serra.
Per
fare ciò:
saranno
analizzati i metodi di misura dell’impatto della circolarità sulla mitigazione
dei cambiamenti climatici e sull’adattamento ai medesimi;
verranno
migliorati gli strumenti di modellizzazione per cogliere le ricadute positive
dell’economia circolare sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra
a livello nazionale e di UE;
sarà
promosso il rafforzamento del ruolo della circolarità nelle future revisioni
dei piani nazionali per l’energia e il clima e, se del caso, in altre politiche
in materia di clima.
Oltre
alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, il conseguimento della
neutralità climatica richiederà che il carbonio presente nell’atmosfera
sia assorbito, utilizzato nella nostra economia senza essere rilasciato e, quindi,
rimanendo stoccato per periodi di tempo più lunghi.
Per incentivare l’assorbimento e una maggiore
circolarità del carbonio, nel pieno rispetto degli obiettivi in materia di
biodiversità, la Commissione intende lavorare a un quadro normativo per la
certificazione degli assorbimenti di carbonio basato su una contabilizzazione
del carbonio solida e trasparente al fine di monitorare e verificare
l’autenticità degli assorbimenti.
La
seconda azione trasversale attiene alle politiche economiche. In tale ambito, la Commissione
intende:
migliorare
la divulgazione dei dati ambientali da parte delle imprese grazie al
riesame della direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non
finanziario;
sostenere
un’iniziativa promossa dalle imprese per sviluppare principi di
contabilità ambientale che integrino i dati finanziari con i dati sulle
prestazioni dell’economia circolare;
promuovere
l’integrazione di criteri di sostenibilità nelle strategie aziendali,
migliorando il quadro in materia di governo societario;
far sì
che gli obiettivi connessi all’economia circolare siano rispecchiati nel quadro del
riorientamento del processo del semestre europeo e nel contesto della prossima
revisione della disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente
e dell’energia;
continuare
a incoraggiare l’applicazione più ampia di strumenti economici ben progettati, come la tassazione
ambientale che include imposte per il conferimento in discarica e
l’incenerimento, e a mettere gli Stati membri in condizione di utilizzare le
aliquote dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) per promuovere le attività di
economia circolare destinate ai consumatori finali come i servizi di
riparazione.
Sono
molte le novità nel Piano Europeo per l’economia circolare, ci concentriamo qui
su due tra le più significative.
Un
approccio efficace alla circolarità prende il via dalla progettazione dei
prodotti. Al proposito nel Piano per rendere i prodotti idonei a un’economia
neutra dal punto di vista climatico, efficiente sotto il profilo delle risorse
e circolare, ridurre i rifiuti e garantire che le prestazioni dei precursori
della sostenibilità diventino progressivamente la norma, la Commissione
proporrà un’iniziativa legislativa relativa ad una strategia in materia di
prodotti sostenibili.
L’obiettivo centrale di questa iniziativa
legislativa sarà l’estensione della direttiva concernente la progettazione
ecocompatibile oltre ai prodotti connessi all’energia, in modo che il quadro della
progettazione ecocompatibile possa applicarsi alla più ampia gamma possibile di
prodotti e rispetti i principi della circolarità.
Dal
punto di vista delle misure, la Commissione valuterà la possibilità di
stabilire dei principi di sostenibilità e altre modalità adeguate a
disciplinare i seguenti aspetti:
miglioramento
della durabilità, della riutilizzabilità, della possibilità di upgrading e
della riparabilità dei prodotti, la questione della presenza di sostanze
chimiche pericolose nei prodotti e l’aumento della loro efficienza sotto il
profilo energetico e delle risorse;
aumento
del contenuto riciclato nei prodotti, garantendone al tempo stesso le
prestazioni e la sicurezza;
la
possibilità di ri-fabbricazione e di riciclaggio di elevata qualità;
la
riduzione delle impronte carbonio e ambientale;
la
limitazione dei prodotti monouso e la lotta contro l’obsolescenza prematura;
l’introduzione
del divieto di distruggere i beni durevoli non venduti;
la
promozione del modello “prodotto come servizio” o di altri modelli in cui i produttori mantengono la proprietà
del prodotto o la responsabilità delle sue prestazioni per l’intero ciclo di vita;
la
mobilitazione del potenziale di digitalizzazione delle informazioni relative ai prodotti, ivi comprese
soluzioni come i passaporti, le etichettature e le filigrane digitali;
un
sistema di ricompense destinate ai prodotti in base alle loro diverse prestazioni
in termini di sostenibilità, anche associando i livelli elevati di prestazione
all’ottenimento di incentivi;
Sarà
data priorità ai gruppi di prodotti individuati nel contesto delle catene di
valore che figurano nel piano d’azione, come l’elettronica, le TIC e i tessili,
ma anche i mobili e i prodotti intermedi ad elevato impatto, come l’acciaio, il
cemento e le sostanze chimiche. Altri gruppi di prodotti saranno individuati in base
all’impatto ambientale e al loro potenziale di circolarità.
Progettare
un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente.
Lo
slogan utilizzato nella Strategia presentata il 20 maggio 2020 con la COM(2020)
381 final è “Dal produttore al consumatore” (from farm to fork).
La UE si pone l’obiettivo di divenire riferimento
mondiale per la sostenibilità, attraverso una strategia specifica nel settore
alimentare coerente con l’economia circolare.
La
strategia “Dal
produttore al consumatore”, al centro del Green Deal e del perseguimento dell’Agenda 2030 da
parte della UE (in particolare per quanto riguarda l’SDG 2), affronta in modo globale
le sfide poste dal conseguimento di sistemi alimentari sostenibili, riconoscendo i legami inscindibili
tra persone, società e pianeta sani.
Il
passaggio a un sistema alimentare sostenibile può apportare benefici
ambientali, sanitari e sociali, offrire vantaggi economici e assicurare che la
ripresa dalla crisi pandemica conduca l’UE su un percorso sostenibile.
Un
sistema alimentare sostenibile deve garantire ai consumatori un
approvvigionamento sufficiente e diversificato di alimenti sicuri, nutrienti,
economicamente accessibili e sostenibili in qualsiasi momento, anche in tempi
di crisi.
Come è
noto noi viviamo una profonda contraddizione tra l’obesità e lo spreco
alimentare da un lato e la carenza di cibo per una parte della popolazione
europea dall’altro.
Il 20% circa degli alimenti prodotti va
sprecato e l’obesità è in aumento, con
oltre la metà della popolazione adulta europea attualmente in sovrappeso.
Al
tempo stesso 33 milioni di cittadini europei non possono permettersi un pasto
di qualità ogni due giorni.
Se i regimi alimentari europei fossero
conformi alle raccomandazioni nutrizionali e più equilibrati (con una dieta
maggiormente basata sui vegetali), l’impronta ambientale e l’equità sociale dei
sistemi alimentari sarebbe notevolmente migliorata.
Si
stima che nel 2017 nell’UE oltre 950 000 decessi (uno su cinque) e la perdita
di oltre 16 milioni di anni di vita in buona salute fossero attribuibili a
cattive abitudini alimentari e alle malattie connesse.
Eppure
in generale i prodotti alimentari europei costituiscono già uno standard a
livello globale, sinonimo di sicurezza, abbondanza, nutrimento e qualità
elevata.
Inoltre il settore agricolo dell’UE è l’unico
grande sistema al mondo ad aver ridotto le emissioni di gas a effetto serra
(del 20 % dal 1990).
Questo
è il risultato di anni di politiche dell’UE volte a proteggere la salute umana,
degli animali e delle piante ed è frutto degli sforzi di agricoltori, pescatori
e produttori.
I prodotti alimentari europei dovrebbero ora diventare
lo standard globale anche in materia di sostenibilità.
Sono
numerose le azioni che devono essere introdotte a questo fine, la strategia le
delinea, rimandando poi a fasi successive per una effettiva implementazione, accompagnata da una ampia
consultazione con tutti gli stakeholder.
Per
garantire la sostenibilità della produzione alimentare occorre il contributo di
tutti gli attori della filiera alimentare.
Ciò al
fine di accelerare la trasformazione dei metodi di produzione sfruttando al
meglio le “Nature based solutions”, le tecnologie digitali e satellitari per
aumentare la resilienza ai cambiamenti climatici e ridurre e ottimizzare
l’uso di fattori di produzione (acqua,
pesticidi e fertilizzanti).
Queste
soluzioni richiedono investimenti dal punto di vista umano e finanziario, ma
promettono anche rendimenti più elevati creando valore aggiunto e riducendo i
costi.
La CE
mira a ricompensare gli agricoltori, i pescatori e gli altri operatori della
filiera alimentare che hanno già compiuto la transizione verso pratiche
sostenibili, a consentire la transizione di tutti gli altri e a creare
ulteriori opportunità per le loro attività.
Per
estendere l’approccio già sviluppato in molti contesti della UE vi è
l’impellente necessità di ridurre la dipendenza da pesticidi e antimicrobici (l’obiettivo è di ridurli di un
ulteriore 50% entro il 2030, dopo che già sono stati ridotti del 20% negli
ultimi 5 anni), contenere il ricorso ai fertilizzanti, potenziare l’agricoltura
biologica, migliorare il benessere degli animali e invertire la perdita di
biodiversità.
Nella strategia vengono citati alcune aree di
innovazione significativamente, come:
a) il sequestro del carbonio da parte di
agricoltori e silvicoltori (carbon farming), con associati sistemi di certificazione
e di pagamento;
b) la bioeconomia circolare, di cui un esempio citato riguarda
le bioraffinerie di cui l’italiana Novamont è un pioniere, che si raccorda strettamente con il
Piano per
l’economia circolare;
c) un ambito particolarmente rilevante
riguarda le
emissioni di gas serra, che provengono in larga parte (in Europa il 70% delle
emissioni provenienti dall’agricoltura, pari al 10,3% del totale) dall’allevamento, che occupa peraltro
il 68% della superficie agricola.
In
questo contesto la CE intende agire sui mangimi, attraverso ad esempio l’immissione
sul mercato di additivi per mangimi sostenibili e innovativi, promuovendo le
proteine vegetali coltivate nell’UE e materie prime per mangimi alternative
quali gli
insetti, le alghe e i sottoprodotti della bioeconomia (come gli scarti del pesce).
d) L’agricoltura biologica deve essere promossa ulteriormente:
ha
effetti positivi sulla biodiversità, crea posti di lavoro e attrae giovani
agricoltori, e i consumatori ne riconoscono il valore.
La
Commissione presenterà un piano d’azione sull’agricoltura biologica, con
l’obiettivo di raggiungere almeno il 25% della superficie agricola dell’UE
investita ad agricoltura biologica entro il 2030 e un aumento significativo dell’acquacoltura
biologica.
La
transizione verso un’agricoltura sostenibile dovrà essere sostenuta da una PAC
incentrata sul Green Deal.
La
nuova PAC, che la Commissione ha proposto nel giugno 2018, mira ad aiutare gli
agricoltori a migliorare le loro prestazioni ambientali e climatiche attraverso
un modello maggiormente orientato ai risultati, un uso più sistematico dei dati e
delle analisi, un miglioramento delle norme ambientali obbligatorie, nuove
misure volontarie e una maggiore attenzione agli investimenti nelle tecnologie
e nelle pratiche verdi e digitali.
Intende inoltre garantire un reddito dignitoso che
consenta agli agricoltori di provvedere alle proprie famiglie, di resistere a
crisi di ogni tipo e di continuare a svolgere il loro ruolo di custodi del
territorio.
In questa prospettiva la nuova PAC si propone
di migliorare l’efficienza e l’efficacia dei pagamenti diretti con il sostegno
al reddito agli agricoltori che ne hanno bisogno e contribuiscono al
conseguimento degli obiettivi ambientali, anziché a soggetti e imprese che
semplicemente possiedono terreni agricoli.
Occorre
al proposito tenere conto che nel 2017 le sovvenzioni della PAC, ad eccezione
del sostegno agli investimenti, hanno rappresentato il 57% del reddito agricolo
netto nell’UE.
La
capacità degli Stati membri di garantire questa impostazione sarà attentamente
valutata nei piani strategici e monitorata durante tutto il processo di
attuazione.
Inoltre
la CE richiederà, anche attraverso uno specifico codice di condotta, alle imprese
e alle organizzazioni del settore alimentare di impegnarsi in azioni concrete
in materia di salute e sostenibilità, mirate in particolare a:
riformulare i prodotti alimentari conformemente a
linee guida per regimi alimentari sani e sostenibili, ridurre la propria
impronta ambientale e il proprio consumo energetico, adottare opportune
strategie di marketing e pubblicitarie, ridurre gli imballaggi in linea con il
nuovo Piano
di azione sull’Economia Circolare.
Tra le
azioni di policy previste vi sono:
a) Il riesame della normativa sui materiali a contatto con gli
alimenti al fine di migliorare la sicurezza degli alimenti e la salute
pubblica, sostenendo l’impiego di soluzioni di imballaggio innovative e
sostenibili che utilizzino materiali ecologici, riutilizzabili e riciclabili;
b) Il sostegno, allo scopo di creare
filiere più corte la CE, della riduzione della dipendenza dai trasporti a lunga
distanza (nel 2017 circa 1,3 miliardi di tonnellate di prodotti stati
trasportati su strada);
c)
l’introduzione, al fine di consentire ai consumatori di fare scelte alimentari
consapevoli, sane e sostenibili, di un’etichettatura nutrizionale obbligatoria
e armonizzata sulla parte anteriore dell’imballaggio, nonché la
possibilità di estendere le indicazioni
di origine o di provenienza;
d)
l’arricchimento delle EPD contemplando congiuntamente gli aspetti nutrizionali,
climatici, ambientali e sociali dei prodotti alimentari.
e) Il
sollecito agli Stati membri di utilizzare le aliquote IVA in modo mirato, ad esempio per sostenere i prodotti ortofrutticoli
biologici.
Preservare
e ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità.
La CE
ha definito nel maggio 2020 una nuova strategia per la biodiversità per assicurare che l’UE svolga un
ruolo fondamentale per l’arresto della perdita di biodiversità a livello
internazionale nelle prossime negoziazioni 2020 della Convenzione per la
diversità biologica, perseguendo il principio che tutte le politiche dell’UE contribuiscano
a preservare e ripristinare il capitale naturale europeo.
Nella
strategia si evidenzia come la pandemia di Covid-19 abbia dimostrato una volta di più
quanto sia urgente intervenire per proteggere e ripristinare la natura, facendo
prendere coscienza dei legami che esistono tra la nostra salute e la salute
degli ecosistemi, oltre a dimostrare la necessità di adottare catene di
approvvigionamento e modi di consumo sostenibili che rispettino i limiti del
pianeta.
Da un
lato il rischio di insorgenza e diffusione delle malattie infettive aumenta con
la distruzione della natura, dall’altro investire nella protezione e nel ripristino
della natura sarà di cruciale importanza per la ripresa economica dell’Europa
dalla crisi Covid-19.
La
protezione della biodiversità ha giustificazioni economiche ineludibili, come è
stato anche evidenziato all’ultimo World Economic Forum.
I geni, le specie e i servizi ecosistemici
sono fattori di produzione indispensabili per l’industria e le imprese,
soprattutto per la produzione di medicinali.
Oltre
la metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai servizi che fornisce: in particolare tre dei settori
economici più importanti — edilizia, agricoltura, settore alimentare e delle
bevande — ne sono fortemente dipendenti.
Si è
stimato che dal 1997 al 2011 i cambiamenti nella copertura del suolo abbiano
causato perdite tra 3.500 e 18.500 miliardi di euro l’anno in servizi
ecosistemici a livello mondiale e che il degrado del suolo sia costato
5.500-10.500 miliardi di euro l’anno.
La
conservazione della biodiversità può apportare benefici economici diretti a
molti settori dell’economia.
Il rapporto benefici/costi complessivi di un
programma mondiale efficace per la conservazione della natura è valutato essere
superiore a 7 a 1.
Gli
investimenti nel capitale naturale sono così considerati tra le cinque
politiche più importanti di risanamento del bilancio della UE in quanto offrono
moltiplicatori economici elevati e un impatto positivo sul clima.
L’impegno
della UE per il capitale naturale riguarda:
a) L’Estensione della rete di protezione
dell’ambiente: la CE si propone di proteggere almeno il 30% della superficie terrestre
(4% in più di oggi) e il 30 % del mare (19% in più di oggi), con importanti
ricadute non solo ambientali, ma anche economiche.
I benefici di Natura 2000 sono stati valutati
tra i 200 e i 300 miliardi di EUR all’anno e i nuovi investimenti per la protezione
genererebbero fino a 500.000 nuovi posti di lavoro ; così come nelle zone marine
protette per ogni euro investito se ne genererebbero almeno tre .
b) La creazione di corridoi ecologici che, nell’ambito di una rete
naturalistica transeuropea davvero resiliente, impediscano l’isolamento
genetico, consentano la migrazione delle specie e preservino e rafforzino
l’integrità degli ecosistemi. In tale contesto la CE intende sostenere gli investimenti
nelle infrastrutture verdi e blu .
c) La predisposizione di un Piano di
ripristino della natura, di cui l’UE vuole fare da apripista a livello globale.
Tale Piano ridurrà le pressioni sugli habitat
e le specie, assicurando che gli ecosistemi siano sempre usati in modo
sostenibile, sostenendo il risanamento della natura, limitando
l’impermeabilizzazione del suolo e l’espansione urbana, contrastando
l’inquinamento e le specie esotiche invasive.
In
tale ambito la Commissione proporrà nel 2021 obiettivi di ripristino della
natura giuridicamente vincolanti al fine di ripristinare gli ecosistemi
degradati.
Gli
Stati membri dovranno assicurare che almeno il 30 % delle specie e degli
habitat il cui attuale stato di conservazione non è soddisfacente lo diventi o
mostri una netta tendenza positiva.
A
questo scopo nel 2020 la Commissione e l’Agenzia europea dell’ambiente forniranno orientamenti
agli Stati membri su come selezionare le specie e gli habitat e stabilirne
l’ordine di priorità.
d)
L’intensificazione degli sforzi per proteggere il suolo (una risorsa rinnovabile cruciale),
ridurne l’erosione e aumentarne la fertilità, attraverso una revisione nel 2021
della strategia tematica dell’UE per il suolo.
e) La predisposizione nel 2021 di una
specifica Strategia forestale coerente con le ambizioni in materia di biodiversità e
neutralità climatica.
La
proposta includerà una tabella di marcia per la piantumazione di almeno 3 miliardi
di alberi supplementari nell’UE entro il 2030, nel pieno rispetto dei principi
ecologici.
La
piantumazione di alberi sarà supportata, attingendo dal programma “LIFE”, anche
dalla nuova piattaforma europea per l’inverdimento urbano.
f) La
proposta di un nuovo Piano d’azione per conservare le risorse della pesca e
proteggere gli ecosistemi marini, favorendo, tra l’altro, la transizione verso tecniche
di pesca più selettive e meno dannose con il sostegno del Fondo europeo per gli
affari marittimi.
g) Un impegno ad adoperarsi maggiormente
per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi, al fine di conseguire gli obiettivi
(la cui attuazione è in ritardo) della direttiva quadro sulle acque.
Uno
dei modi per farlo consiste nell’eliminare o adeguare le barriere che
impediscono il passaggio dei pesci migratori e nel migliorare il flusso libero
dei sedimenti:
s’intende
così ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25.000 km di fiumi entro il
2030, eliminando le barriere obsolete e ripristinando le pianure alluvionali.
h) La volontà di riportare la natura
nelle città e ricompensare l’azione delle comunità, per cui la CE invita le città europee
di almeno 20.000 abitanti a elaborare entro la fine del 2021 piani ambiziosi di
inverdimento urbano, che verranno supportati e valorizzati attraverso una
piattaforma UE per il verde urbano che verrà creata nel 2021.
Inquinamento
zero per un ambiente privo di sostanze tossiche.
La CE
si propone di essere più efficace nel monitorare, segnalare, prevenire e porre
rimedio all’inquinamento atmosferico, idrico, del suolo e dei prodotti di
consumo.
A tal
fine esaminerà insieme agli Stati membri tutte le politiche e i regolamenti in
modo più sistematico, definendo nel 2021 un piano d’azione per l’inquinamento
zero di aria, acqua e suolo.
Nel
caso delle norme sulla qualità dell’aria saranno riviste per allinearle
maggiormente alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Sarà
perseguito l’Inquinamento zero degl’impianti industriali, aggiornando gli
strumenti normativi in coerenza con gli obiettivi di sostenibilità e decarbonizzazione.
Il 10
luglio 2020 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Strategia
in materia di sostanze chimiche per la sostenibilità in cui, anticipando alcuni
degli indirizzi per il piano inquinamento zero, evidenzia le interconnessioni
tra diversi
piani e strategie del Green Deal, quali la strategia per la biodiversità, dal
produttore al consumatore, economia circolare, nonché il piano europeo per la
lotta contro il cancro.
Il
2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più
caldo, dal 2010 al 2019.
Con una temperatura media globale di 1,1°C al
di sopra dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta
particolarmente urgente.
Le
infrastrutture: energia, mobilità e digitale.
Disporre
di infrastrutture di elevata efficienza nei settori dell’energia, dei trasporti
e del digitale è essenziale per un’UE integrata e competitiva, in cui i cittadini
e le imprese possano trarre pienamente vantaggio dalla libera circolazione, dal
mercato unico e da infrastrutture sociali adeguate.
Le
reti transeuropee mirano in questa prospettiva a soddisfare il fabbisogno di
infrastrutture resilienti, sostenibili, innovative e senza soluzione di
continuità.
Due
delle azioni specifiche previste nel Green Deal, energia e mobilità, possono in
questa sede essere semplicemente richiamate, in quanto verranno riprese
successivamente
. In
ogni caso qui troviamo le strategie presentate l’8 luglio 2020 per un sistema
energetico integrato [COM(2020) 299 final] e per l’idrogeno pulito [COM(2020) 301 final].
L’interconnessione
tra le diverse strategie è particolarmente richiesta dalla decarbonizzazione che richiede una visione di sistema,
investimenti e processi che integrino i diversi vettori energetici e gli usi
dell’energia.
La
strategia per l’idrogeno pulito viene ad integrarsi efficacemente quale
chiusura del sistema.
La CE
considera queste strategie come centrali nel piano di risanamento economico, poiché propongono un percorso a
costi contenuti, promuovendo investimenti mirati nelle infrastrutture, che
riducano i costi dell’energia per aziende e clienti.
Ciò
vale anche nell’ambito della mobilità.
Per
conseguire la neutralità climatica è necessario ridurre le emissioni prodotte
dai trasporti del 90 % entro il 2050 e occorrerà il contributo del trasporto
stradale, ferroviario, aereo e per vie navigabili.
Una strada importante è quella della mobilità
elettrica, dove a livello globale siamo arrivati a più di 7 milioni di veicoli
elettrici per passeggeri o merci (erano 1,5 milioni nel 2016).
Se in
questo ambito è la Cina a prevalere (con più di 3 milioni), l’Europa arriva a
quasi 2 milioni e nei primi tre mesi dell’anno, in una fase di forte contrazione del
mercato, le immatricolazioni sono cresciute dell’81,7% sul primo trimestre del
2019.
Nel
2020 la Commissione adotterà una strategia per una mobilità intelligente e
sostenibile per mettere gli utenti al primo posto e fornire loro alternative più
economiche, accessibili e pulite rispetto alle loro attuali abitudini.
In
ultimo, come abbiamo già evidenziato, la trasformazione verde e la
trasformazione digitale sono due sfide indissociabili.
Secondo il Green Deal europeo, queste sfide
richiedono un immediato riorientamento verso soluzioni più sostenibili che
siano circolari, efficienti nell’impiego delle risorse e a impatto climatico
zero.
È
necessario che ogni cittadino, ogni lavoratore, ogni operatore economico,
ovunque viva, abbia un’equa possibilità di cogliere i vantaggi di questa società
sempre più digitalizzata.
La
Comunicazione “Plasmare il futuro digitale dell’Europa” del febbraio 2020 indica un pacchetto di azioni che il
Parlamento europeo a giugno ha fatto proprie, evidenziandone l’importanza nella
trasformazione dell’economia e della società europee, soprattutto quale mezzo
per raggiungere la neutralità climatica dell’UE entro il 2050 e per creare
posti di lavoro, concordando che l’accelerazione della trasformazione digitale
rappresenterà una componente essenziale della risposta dell’UE alla crisi
economica generata dalla pandemia di Covid-19.
Green
Economy e ripartenza.
Il
Consiglio europeo del 23 aprile 2020 accogliendo con favore la “Tabella di
marcia per la ripresa.
Verso
un’Europa più resiliente, sostenibile ed equa” ha sostenuto che l’Unione
europea ha bisogno di uno sforzo di investimento simile al piano Marshall per
sostenere la ripresa e modernizzare l’economia.
Ciò
significa investire massicciamente nella transizione verde e nella
trasformazione digitale nonché nell’economia circolare parallelamente ad altre politiche
quali la politica di coesione e la politica agricola comune.
Una
scelta la cui bontà è confermata da uno studio dell’Università di Oxford
firmato da un team di esperti di fama internazionale, tra cui il Nobel Joseph Stiglitz e
l’economista del clima Lord Nicholas Stern della London School of Economics, che hanno valutato circa 700
pacchetti di stimolo attuati contro la crisi del 2008 (utile bussola quindi
anche contro la crisi della pandemia):
per risollevare le economie, la strategia migliore,
anche dal punto di vista economico e dell’occupazione è stata puntare su
politiche “green” riducendo le emissioni di gas serra.
Una
grande opportunità per il nostro Paese, che parte avvantaggiato: un’altra recente ricerca dell’Università di Oxford e della
Smith School of Enterprise and the Environment, partendo dal primo e più grande
database al mondo di prodotti green, colloca l’Italia al secondo posto fra i
paesi in grado di esportare “i prodotti più verdi e complessi avendo una
capacità di produzione green altamente avanzata”; e addirittura al primo posto per il
potenziale per diventare competitiva a livello globale in prodotti ancora più
green e tecnologicamente sofisticati. In questo contesto il Green Deal europeo
avrà una funzione essenziale in quanto strategia di crescita inclusiva e
sostenibile.
Le
risorse introdotte come è noto sono molto significative.
Al quadro finanziario pluriennale rinforzato
per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro si vanno a sommare i 750
miliardi di euro dello strumento europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”), nonché i 540 miliardi delle misure
eccezionali approvate dal Consiglio europeo del 23 aprile 2020.
Occorre
ricordare come questi stanziamenti eccezionali stiano caratterizzando i
principali Paesi a livello internazionale, con modalità che però risultano poco
coordinate a livello globale.
L’ONU
a marzo con il rapporto “Shared responsibility, global solidarity: Responding
to the socio-economic impacts of COVID-19” [, ha posto in evidenza come il
mondo stia affrontando una crisi globale non solo sanitaria, ma umana, diversa
da qualsiasi altra nei 75 anni di storia delle Nazioni Unite proprio per la sua
estensione e profondità.
Questa
crisi richiede una risposta collettiva all’interno dei Paesi e soprattutto tra
Paesi:
“da
sole, le azioni a livello nazionale non possono corrispondere alla scala globale
e alla complessità della crisi”.
L’ONU
sottolinea quindi come tale momento richieda un’azione politica coordinata,
decisa e innovativa da parte delle principali economie mondiali e il massimo
sostegno finanziario e tecnico per le persone e i paesi più poveri e
vulnerabili, che saranno i più colpiti.
Questa
“call to action” ha avuto difficoltà ad essere colta in un contesto
internazionale sempre meno orientato al multilateralismo.
In
questo contesto possiamo considerare l’Unione Europea, dopo le prime settimane
in cui ha stentato a trovare una visione comune, come un esempio di politiche
coordinate, in cui l’orientamento strategico green trova uno spazio centrale.
D’altronde la sfida per l’Europa, chiara anche prima
dell’emergenza sanitaria e incarnata nella nuova presidenza, è quella di
riuscire a esercitare un maggior ruolo internazionale all’egida della
transizione alla green, “circular e decarbonised economy”, ricostruendo il
senso della coesione degli Stati membri, dopo gli effetti della Brexit e dei
neonazionalismi.
Nel
frattempo cosa stanno facendo i due Paesi leader dell’economia globale?
Alla
fine del mese di marzo il governo americano ha realizzato un maxi intervento
senza precedenti per stimolare l’economia USA;
è
stato stanziato un pacchetto di aiuti pari a 2.000 miliardi di dollari, circa
il 13% del PIL degli Stati Uniti.
Il pacchetto è di tipo emergenziale,
prevedendo sostegno economico a imprese e ospedali, oltre che assegni diretti a
milioni di americani colpiti dalla recessione.
Parallelamente
la Cina, che ha innestato la pandemia, ma che è anche riuscita a
contenerla sta
cercando di reperire i finanziamenti necessari per una più rapida transizione
green che
consenta di superare i problemi ambientali del Paese, insieme alla sua
ripartenza post-Covid.
Il
settore manifatturiero cinese ha recuperato rapidamente, con le aziende che hanno
avviato il ritorno graduale al lavoro nei siti produttivi per i loro
dipendenti, con il supporto dei governi locali.
La
rapida ripresa è testimoniata dal valore del “China Manufacturing Purchasing
Managers Index” (PMI), passato da 35,7 a febbraio a 52 a marzo.
Al
fine di mitigare l’impatto del Covid-19, il governo ha messo in campo piani di
stimolo volti a rilanciare il sistema economico, con una particolare attenzione
alle “nuove
infrastrutture”:
come i
ripetitori di segnale 5G, l’intelligenza artificiale, la creazione di grandi database,
treni ad alta velocità, griglie ad altissimo voltaggio e colonnine per veicoli
elettrici.
Una delle politiche più significative messe in campo
dalla Cina nell’ultimo
periodo riguarda
infatti quella che vedrà diventare elettrici entro il 2020 il 30% dei veicoli
pubblici.
Secondo
Morgan Stanley, gli investimenti della Cina in questo genere di infrastrutture
per i prossimi 10 anni ammonteranno a circa 180 miliardi di dollari.
Inoltre, per contrastare eventuali rallentamenti
economici di breve periodo, queste nuove infrastrutture possono aumentare la
produttività a lungo termine sfruttando le tecnologie di nuova generazione.
Questi
investimenti in innovazione sono sempre più spesso correlati alla green economy
oggi corrispondono ad una quota dell’8% del PIL cinese (ovvero circa 740
miliardi di euro).
Il
fabbisogno finanziario rispetto alla sostenibilità in Cina è dell’ordine dei 2
mila miliardi, di cui il governo può supportare solo il 15%.
Per questo sono favoriti gli investimenti
dall’estero di operatori che conoscano le tecnologie adatte a raggiungere
obiettivi utili, come trattamento dell’aria, epurazione dell’acqua o
smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
In
questo quadro internazionale cosa ci possiamo attendere per il nostro Paese?
Dalla
Commissione Europea potrebbero arrivare a breve in Italia 110 miliardi:
21 di
fondi riassegnati, 5 dalla BEI, i 36 del MES, 15 dal SURE, più altri 30 di
trasferimenti disponibili.
Ad essi si potrebbero sommare, per comprendere
appieno l’impegno della CE e l’importanza per noi che l’Unione assume, i 180 miliardi di acquisti dei titoli
di stato grazie all’estensione del quantitative easing e i 350 miliardi di
rifinanziamenti alle banche italiane per prestiti alle imprese da parte della
BCE.
I
finanziamenti che arriveranno dall’Europa saranno però vincolati alle Country Specific Recommendations elaborate all’interno del processo
del Semestre europeo , che riguardano in particolare, oltre alle consuete raccomandazioni
sul bilancio pubblico e sul debito (questa volta però molto attenuate):
il Green new deal e la digitalizzazione;
l’innovazione, la formazione e lotta alle disuguaglianze; la riforma della
Pubblica amministrazione e della giustizia civile; oltre che il miglioramento del
sistema sanitario, tramite il MES.
Tra
questi, gli investimenti a favore della transizione verde saranno
particolarmente rilevanti per sostenere la ripresa e aumentare la resilienza
futura.
L’Italia è molto vulnerabile ai fenomeni
meteorologici estremi e alle catastrofi idrogeologiche, compresi la siccità e
gli incendi boschivi.
Nella
percezione della CE la trasformazione dell’Italia in un’economia climaticamente
neutra necessiterà di consistenti investimenti pubblici e privati per un lungo
periodo di tempo.
Il
coinvolgimento degli attori finanziari e la tassonomia europea.
Se il
contributo europeo sarà nei prossimi anni consistente è necessario anche un
pari apporto da parte degli attori finanziari privati.
In questo ambito sono proseguiti i passi in
avanti già manifestati negli scorsi anni.
A
livello europeo, nel marzo del 2018 era uscito il Piano di azione per la finanza
sostenibile, con l’obiettivo di incrementare gli investimenti in progetti sostenibili
e di promuovere l’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di governance
(ESG) nella
gestione dei rischi e nell’orizzonte temporale degli operatori finanziari, in
coerenza con l’Agenda 2030 e con l’accordo di Parigi.
Il
primo passo previsto dal Piano era la predisposizione di una tassonomia europea
per la finanza sostenibile, ovvero un sistema condiviso di definizione e classificazione delle
attività economiche sostenibili.
ll
Parlamento europeo con la risoluzione del 17 giugno 2020 riguardante “l’Istituzione di un quadro che
favorisce gli investimenti sostenibili” ha chiuso l’iter d’approvazione del
regolamento UE per la Tassonomia, adottato dal Consiglio europeo il 15 aprile
2020.
“Una
pietra miliare nella nostra agenda verde”, ha commentato il vicepresidente
della Commissione europea Valdis Dombrovskis, illustrando come si tratti del “primo sistema di classificazione al
mondo di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che
darà una spinta reale agli investimenti sostenibili”.
Inoltre, è prevista anche l’istituzione
formale di una piattaforma sulla finanza sostenibile che “svolgerà un ruolo cruciale nello
sviluppo della tassonomia dell’Unione europea e della nostra strategia di
finanziamento sostenibile nei prossimi anni”.
Il
mercato degli investimenti sostenibili (SRI) sta crescendo in modo rapido (+27%
dal 2016 al 2018) e ha ampiamente superato i 30.000 miliardi di dollari.
L’Europa fa la parte del leone con “Asset under Management” superiori a 14.000 miliardi di
dollari, che rappresentano già la metà del totale degli asset investiti nella
regione.
Anche
i dati di adesione a UN PRI testimoniano l’attenzione crescente degli
investitori verso questi temi.
nel 2019 i “Principles for Responsible Investment”
hanno
superato i 2.500 firmatari con una crescita del 20% rispetto al 2018.
Le
emissioni di green bond dell’area euro hanno segnato un nuovo record nel 2019:
l’ammontare
emesso ha raggiunto 170 miliardi di euro +50% rispetto all’anno precedente.
Inoltre
lo stock in circolazione di titoli green a livello globale è stato pari a 566
miliardi di euro a fine gennaio 2020.
Il mercato appare in ulteriore forte crescita: nel solo mese di gennaio di
quest’anno sono stati collocati sul mercato titoli per 20 miliardi di euro pari
al 75% di quanto emesso nel primo trimestre 2019.
Negli
ultimi anni i green bond hanno conosciuto non solo una crescita delle emissioni
ma anche dei rendimenti.
“NN
Investment Partners” ha analizzato l’andamento degli indici dei green bond
rispetto agli indici tradizionali, nei comparti euro green bond ed euro
corporate green bond negli ultimi quattro anni.
Nel
2019 i green bond hanno generato rendimenti del 7,4% rispetto al 6% delle
obbligazioni ordinarie.
Tuttavia
i dati positivi degli ultimi anni potrebbero nascondere alcune criticità; uno
studio di Insight, la più grande società di asset
management del gruppo BNY Mellon, ha analizzato 83 green bond e 96 social impact bond presenti
sul mercato mondiale nel 2019;
il 15%
dei “green bond” e il 16% degli “impact bond” del campione risultano in qualche
modo sospetti, poiché generano dubbi sulla reale sostenibilità dell’emissione, soprattutto per una mancanza di trasparenza sul modo in
cui i capitali raccolti verranno utilizzati per finanziare progetti dichiarati
come “verdi”.
Al
fine di orientare gli investitori, gli emittenti e di contrastare problemi come
il greenwashing, occorre quindi uno standard,
riconosciuto a livello internazionale e capace di disciplinare le componenti
fondamentali dei green bond.
Il 18
giugno 2019 il TEG ha pubblicato un report con cui ha illustrato la sua
proposta per uno standard europeo dei green bond (EU-GBS), il secondo degli
obiettivi prioritari del “Piano di azione sulla finanza sostenibile”.
Affinché
un progetto sia finanziabile con il “nuovo Green Bond Standard “deve essere
allineato alla tassonomia europea;
questo
significa che il progetto deve contribuire in modo sostanziale ad almeno uno
dei 6 obiettivi ambientali identificati dalla tassonomia europea (mitigazione del cambiamento
climatico, adattamento ai cambiamenti climatici, utilizzo sostenibile e
protezione delle risorse idriche e marine, transizione verso l’economia
circolare, prevenzione e riciclo dei rifiuti, prevenzione e controllo
dell’inquinamento e protezione degli ecosistemi) senza compromettere il raggiungimento
degli altri (è il concetto del “do not significant harm”) e deve presentare una serie
di garanzie sociali minime.
Al
fine di valutare la capacità di un’attività, di un progetto di contribuire al
raggiungimento di uno degli obiettivi della tassonomia è essenziale l’utilizzo
dei “technical screening criteria”;
ad
oggi il TEG ha sviluppato dei criteri tecnici di selezione per valutare la
capacità di un’attività di contribuire agli obiettivi di climate change mitigation e
adaptation, l’ambito identificato come prioritario dalla CE;
in questo caso sono state individuate 3
classi:
attività
a basse emissioni di carbonio e che già contribuiscono all’obiettivo della
neutralità climatica; si pensi alla produzione di energia solare.
Attività
in fase di transizione; possono contribuire al raggiungimento dell’obiettivo zero
emissioni entro il 2050 ma, attualmente non operano ancora su questo livello; si pensi alla ristrutturazione di un
edificio per assicurare una maggiore efficienza energetica.
Attività
abilitanti;
hanno un impatto sulle categorie precedenti. Per esempio un produttore di
pannelli solari o di pale eoliche consente la produzione di energia rinnovabile
che rientra nella prima classe.
É
interessante osservare un’evoluzione all’interno dei green bond, alla ricerca
di un posizionamento sempre più strategico rispetto alle sfide della
sostenibilità.
Così settembre 2019 Enel ha lanciato il suo primo SDG linked Bond, collocando con successo sul mercato
americano un’emissione obbligazionaria da 1,5 miliardi di dollari;
gli ordini, per circa 4 miliardi di dollari
USA, hanno superato l’emissione di quasi 3 volte;
a fronte di questo successo, ad ottobre 2019
Enel ha deciso di intervenire anche sul mercato europeo con il nuovo strumento
obbligazionario e, ancora una volta, la domanda ha superato l’offerta.
L’utilizzo
dei proventi non è vincolato ad una serie di progetti green eleggibili, ma agli obiettivi di sviluppo sostenibile
dell’Agenda 2030;
questo
garantisce maggiore flessibilità all’emittente e l’ambito di intervento dei
potenziali investimenti risulta più esteso;
in
particolare Enel si è orientata alla creazione di valore mediante scelte di
business che supportano il perseguimento dei seguenti SDGs:
“Energia
accessibile e pulita” SDG 7, “Imprese, innovazione e infrastrutture” SDG 9,
“Città e comunità sostenibili” SDG 11, “Lotta contro il cambiamento climatico”
SDG 13.
Le
risorse raccolte sul mercato dei capitali soddisfano l’ordinario fabbisogno
finanziario dell’emittente;
quest’ultimo non utilizza le risorse per un
progetto specifico ma per il raggiungimento di un determinato target al quale
corrisponde un KPI.
Per esempio, con l’emissione di settembre
2019, Enel si è impegnata a raggiungere una percentuale di capacità installata
da fonti rinnovabili pari o superiore al 55% della capacità installata totale
consolidata entro il 31 dicembre 2021.
Il
processo di monitoraggio, basato sui KPI, consente di intervenire sul tasso di
interesse in base ai risultati conseguiti dall’azienda;
nel
caso in cui Enel non rispettasse la condizione di capacità di energia
rinnovabile installata nei tempi dichiarati, il tasso di interesse legato al
prestito obbligazionario sarà automaticamente rettificato con un meccanismo di
step up (incremento di 25 bps).
Come
detto il monitoraggio che consente di intervenire sul costo del denaro risulta molto attraente per gli investitori
ed è anche un efficace incentivo per l’emittente al fine di migliorare la
propria performance di sostenibilità nel tempo.
Il Green Deal Europeo, 10 azioni
per
trasformare l'Europa e il mondo.
Agenda2030.provincia.tn.it
– Redazione – 10-3-2023) – ci dice
Il
Green Deal europeo è la nostra tabella di marcia per rendere sostenibile
l'economia dell'UE.
Per
realizzare questo obiettivo è necessario trasformare le problematiche
climatiche e le sfide ambientali in opportunità in tutti i settori politici e
rendendo la transizione equa e inclusiva per tutti.
I
cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia enorme per
l'Europa e il mondo.
Per
superare queste sfide, l'Europa ha bisogno di una nuova strategia per la
crescita che trasformi l'Unione in un'economia moderna, efficiente sotto il
profilo delle risorse e competitiva in cui:
nel
2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra;
la
crescita economica sia dissociata dall'uso delle risorse;
nessuna
persona e nessun luogo sia trascurato.
Il
Green Deal europeo prevede una tabella di marcia con azioni volte a:
promuovere
l'uso efficiente delle risorse passando a un'economia pulita e circolare;
ripristinare
la biodiversità e ridurre l'inquinamento.
Esso
illustra gli investimenti necessari e gli strumenti di finanziamento
disponibili e spiega come garantire una transizione giusta e inclusiva.
Nel
2050 l'UE avrà un impatto climatico zero e a tal fine è stata proposta una legge europea sul clima per trasformare l'impegno politico in
un obbligo giuridico e in un incentivo agli investimenti.
La”
Road map” con le 10 azioni necessarie:
Ambizione
climatica,
Energia
pulita, a prezzi accessibili e sicura,
Strategia
industriale per una economia pulita e circolare,
Mobilità
intelligente e sostenibile,
Rendere
verde la politica agricola e favorire "Farm to Fork" dalla fattoria
alla tavola,
Preservare
e proteggere la biodiversità,
Ambire
a un inquinamento-zero per un ambiente libero da sostanze tossiche,
Integrare
la sostenibilità in tutte le politiche EU,
l'UE
come leader globale.
Lavorare
insieme - il Patto europeo su clima.
Sono
10 azioni ambiziose ma sono necessarie per raggiungere entro il 2050 il “Green
Deal europeo” e in primis quello Italiano.
Green
Deal europeo.
Consilium.europa.eu
– Redazione – (10 - 3 -2023) – ci dice:
Il
futuro dell'Europa dipende dalla buona salute del pianeta.
I paesi dell'UE si sono impegnati a conseguire
l'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 rispettando gli impegni
internazionali assunti nel quadro dell'accordo di Parigi.
Il
Green Deal europeo è la strategia dell'UE per conseguire l'obiettivo entro il
2050.
L'obiettivo
dell'UE: raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Il
Consiglio e il Parlamento raggiungono un accordo sulla direttiva
sull'efficienza energetica.
(19.12.2022)
Gli
Stati membri concordano nuove norme per ridurre le emissioni di metano.
(19.12.2022)
Il
Consiglio adotta una decisione sugli obblighi di compensazione delle emissioni
del trasporto aereo (regime CORSIA).
(18.12.2022)
Accordo
provvisorio sul sistema di scambio di quote di emissione dell'UE e sul Fondo
sociale per il clima.
(7.12.2022)
ETS
trasporto aereo: accordo provvisorio del Consiglio e del Parlamento per ridurre le
emissioni degli aerei.
Cos'è
il Green Deal europeo.
Il
Green Deal europeo è un pacchetto di iniziative strategiche che mira ad avviare
l'UE sulla strada di una transizione verde, con l'obiettivo ultimo di
raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Sostiene
la trasformazione dell'UE in una società equa e prospera con un'economia
moderna e competitiva.
Mette
in evidenza la necessità di un approccio olistico e intersettoriale in cui
tutti i settori strategici pertinenti contribuiscano all'obiettivo ultimo in
materia di clima. Il pacchetto comprende iniziative riguardanti clima,
ambiente, energia, trasporti, industria, agricoltura e finanza sostenibile,
tutti settori fortemente interconnessi.
Il
Green Deal europeo è stato avviato dalla Commissione nel dicembre 2019 e il
Consiglio europeo ne ha preso atto nella riunione di dicembre dello stesso anno.
La
transizione verso la neutralità climatica offrirà opportunità significative, ad
esempio un potenziale di crescita economica, di nuovi modelli di business e
mercati, di nuovi posti di lavoro e sviluppo tecnologico.
Conclusioni
del Consiglio europeo, 12 dicembre 2019.
Consiglio
europeo, 12 e 13 dicembre 2019.
Iniziative
incluse nel Green Deal.
Pronti
per il 55%.
Pronti
per il 55%: in che modo l'UE trasformerà gli obiettivi climatici in
legislazione.
L'infografica
illustra il pacchetto Pronti per il 55%, i principali settori d'azione dell'UE
per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nonché il processo decisionale
per trasformare le proposte in legislazione.
Il
pacchetto "Pronti per il 55%" mira a tradurre in normativa le ambizioni
del “Green Deal”.
Il
pacchetto consiste in una serie di proposte volte a rivedere la legislazione in
materia di clima, energia e trasporti e a mettere in atto nuove iniziative
legislative per allineare la legislazione dell'UE ai suoi obiettivi climatici.
Comprende:
una
revisione del sistema di scambio di quote di emissione dell'UE (EU ETS), che
comprende la sua estensione al trasporto marittimo, e una revisione delle norme
sulle emissioni del trasporto aereo nonché l'istituzione di un sistema di scambio
di quote di emissione distinto per il trasporto stradale e l'edilizia.
Una
revisione del regolamento sulla condivisione degli sforzi che disciplina gli
obiettivi di riduzione degli Stati membri nei settori non compresi nell'EU ETS.
Una
revisione del regolamento LULUCF relativo all'inclusione delle emissioni e
degli assorbimenti di gas a effetto serra risultanti dall'uso del suolo, dal
cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura.
Una
modifica del regolamento che stabilisce le norme sulle emissioni di CO2 di
autovetture e furgoni.
Una
revisione della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili.
Una
rifusione della direttiva sull'efficienza energetica:
Una
revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici:
Un meccanismo
di adeguamento del carbonio alle frontiere.
Una
revisione della direttiva sulla realizzazione di un'infrastruttura per i
combustibili alternativi.
ReFuelEU
Aviation per
carburanti sostenibili per l'aviazione.
FuelEU
Maritime per
uno spazio marittimo europeo sostenibile.
Un
fondo sociale per il clima.
Una
revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia.
La
riduzione delle emissioni di metano nel settore dell'energia.
Una
revisione del terzo pacchetto "Energia" sul gas.
Pronti
per il 55% (informazioni generali)
Normativa
europea sul clima.
Con il
“regolamento sulla normativa europea sul clima” l'ambizione politica di
raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 diventa per l'UE un obbligo
giuridico.
Con la
sua adozione, l'UE e i suoi Stati membri si sono impegnati a ridurre le
emissioni nette di gas a effetto serra nell'UE di almeno il 55% entro il 2030,
rispetto ai livelli del 1990.
Si
tratta di un obiettivo giuridicamente vincolante, basato su una valutazione
d'impatto effettuata dalla Commissione.
Almeno
il 55% di riduzione netta delle emissioni entro il 2030.
Le
principali azioni previste dal regolamento sono le seguenti:
definire
il ritmo di riduzione delle emissioni fino al 2050 per garantire prevedibilità
alle imprese, ai portatori di interessi e ai cittadini;
sviluppare
un sistema per monitorare i progressi compiuti verso il conseguimento
dell'obiettivo e riferire in merito a essi;
garantire
una transizione verde efficiente in termini di costi ed equa dal punto di vista
sociale.
A
seguito dell'accordo provvisorio raggiunto con il Parlamento europeo
nell'aprile 2021, il Consiglio ha approvato l'accordo nel maggio 2021.
Il regolamento è in vigore.
Legge
europea sul clima: il Consiglio e il Parlamento raggiungono un accordo provvisorio
(comunicato stampa, 5 maggio 2021).
Strategia
dell'UE di adattamento ai cambiamenti climatici.
Nel
giugno 2021 i ministri dell'Ambiente dell'UE hanno approvato conclusioni in cui
approvano la nuova strategia dell'UE di adattamento ai cambiamenti climatici.
La strategia delinea una visione a lungo
termine affinché l'UE diventi, entro il 2050, una società resiliente ai
cambiamenti climatici e del tutto adeguata ai loro inevitabili impatti.
Le
misure previste dalla strategia comprendono:
una
migliore raccolta e condivisione dei dati ai fini di un migliore accesso alle
conoscenze sugli impatti climatici e al loro scambio;
soluzioni
basate sulla natura per contribuire a creare resilienza ai cambiamenti
climatici e a proteggere gli ecosistemi;
integrazione
dell'adattamento nelle politiche macro fiscali.
Le
conclusioni forniscono orientamenti politici alla Commissione sull'attuazione
della strategia.
Il
Consiglio approva la nuova strategia dell'UE di adattamento ai cambiamenti
climatici (comunicato stampa, 10 giugno 2021).
Nel
marzo 2022 il Consiglio ha adottato conclusioni in cui chiede di adattare la
protezione civile affinché possa affrontare gli eventi meteorologici estremi
provocati dai cambiamenti climatici.
I
ministri hanno chiesto l'adattamento dei sistemi di protezione civile, con
particolare attenzione a:
prevenzione,
preparazione, risposta, ripresa.
L'azione
della protezione civile in materia di cambiamenti climatici:
il
Consiglio adotta conclusioni (comunicato stampa, 3 marzo 2022).
Strategia
dell'UE sulla biodiversità per il 2030.
La
strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030 mira a contribuire al recupero
della biodiversità in Europa entro il 2030, che “apporterebbe benefici alle
persone, al clima e al pianeta”.
Le
azioni previste dalla strategia comprendono:
l'estensione
delle superfici terrestri e marine protette in Europa;
il
ripristino degli ecosistemi degradati attraverso la riduzione dell'uso e della
nocività dei pesticidi;
l'aumento
del finanziamento delle azioni e un migliore monitoraggio dei progressi
compiuti;
Nell'ottobre
2020 il Consiglio "Ambiente" ha adottato conclusioni sulla
biodiversità, approvando gli obiettivi della strategia dell'UE sulla
biodiversità per il 2030.
Gli
Stati membri hanno riconosciuto la necessità di intensificare gli sforzi
affrontando le cause dirette e indirette della perdita di biodiversità e di
risorse naturali e hanno ribadito la necessità di integrare pienamente gli
obiettivi in materia di biodiversità in altri settori, come l'agricoltura, la
pesca e la silvicoltura.
Consiglio
"Ambiente", 23 ottobre 2020.
Biodiversità: come l'UE protegge la natura
(informazioni generali).
Strategia
"Dal produttore al consumatore".
La
strategia della Commissione "Dal produttore al consumatore" mira ad
aiutare l'UE a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 orientando
l'attuale sistema alimentare dell'UE verso un modello sostenibile.
Oltre
alla sicurezza dell'approvvigionamento alimentare e alla sicurezza degli
alimenti, i suoi obiettivi principali sono i seguenti:
garantire
alimenti nutrienti, in quantità sufficiente e a prezzi accessibili entro i
limiti del pianeta;
promuovere
la sostenibilità della produzione alimentare;
promuovere
un consumo alimentare e regimi alimentari sani più sostenibili.
Nell'ottobre
2020 il Consiglio ha adottato conclusioni sulla strategia, approvando l'obiettivo
di sviluppare un sistema alimentare europeo sostenibile, dalla produzione al
consumo.
Il
Consiglio dà la priorità alle azioni a favore di sistemi alimentari
sostenibili: conclusioni sulla strategia "Dal produttore al
consumatore" (comunicato stampa, 19 ottobre 2020).
Dal
produttore al consumatore (informazioni generali).
Strategia
industriale per l'Europa.
L'UE
si affida all'industria europea per guidare la transizione verso la neutralità
climatica.
L'obiettivo
della strategia industriale dell'UE è sostenere l'industria nel suo ruolo di
acceleratore e motore di cambiamento, innovazione e crescita.
A
seguito della pubblicazione della nuova strategia industriale della Commissione
nel marzo 2020, nel novembre 2020 il Consiglio ha adottato conclusioni in
merito in cui i ministri sottolineano che i principi della sostenibilità,
della circolarità e della tutela ambientale dovrebbero sostenere la ripresa dalla
pandemia di COVID-19.
Un
aggiornamento della strategia industriale, pubblicato dalla Commissione nel
maggio 2021, mira a rafforzare la resilienza e a promuovere la competitività
dell'Europa.
Si
prefigge di consentire all'industria europea di guidare la trasformazione verde
e digitale e di diventare la forza trainante a livello globale nel passaggio
alla neutralità climatica e alla digitalizzazione.
Verso
un'industria europea più dinamica, resiliente e competitiva:
il Consiglio adotta conclusioni (comunicato
stampa, 16 novembre 2020).
Politica
industriale dell'UE (informazioni generali):
Piano
d'azione per l'economia circolare
La
dissociazione della crescita economica dall'uso delle risorse e il passaggio a
sistemi circolari di produzione e consumo sono fondamentali per conseguire la
neutralità climatica dell'UE entro il 2050.
Nel
marzo 2020 la Commissione ha presentato un nuovo piano d'azione per l'economia
circolare, su cui il Consiglio ha adottato conclusioni nel dicembre 2020.
Queste ultime evidenziano anche il ruolo dell'economia circolare per garantire
una ripresa verde dalla COVID-19.
Il
piano d'azione prevede oltre 30 punti d'azione sulla progettazione di prodotti
sostenibili, la circolarità nei processi produttivi e l'opportunità di dare ai
consumatori e agli acquirenti pubblici la possibilità di operare scelte
informate.
Riguarda
settori come l'elettronica e le TIC, le batterie, gli imballaggi, la plastica,
i prodotti tessili, la costruzione e l'edilizia e i prodotti alimentari.
Il
Consiglio approva conclusioni per una ripresa circolare e verde (comunicato stampa, 17 dicembre 2020).
Batterie
e rifiuti di batterie.
Verso
una catena di approvvigionamento europea sostenibile e circolare per le
batterie.
Illustrazione
della catena di approvvigionamento per le batterie.
La
Commissione ha proposto di rivedere le norme vigenti in materia di batterie e
di adottare nuovi requisiti obbligatori per tutte le batterie (industriali,
automobilistiche, portatili e per veicoli elettrici) immesse sul mercato
dell'UE.
Obiettivo
della nuova proposta è coprire l'intero ciclo di vita delle batterie, dal processo produttivo ai requisiti di
progettazione, nonché la "seconda vita", il riciclaggio e
l'integrazione del contenuto riciclato in nuove batterie.
Il 17
marzo 2022 il Consiglio ha adottato un orientamento generale sulla proposta.
La
posizione negoziale del Consiglio mantiene e rafforza i principi fondamentali
della proposta originaria della Commissione, compresi il "passaporto della batteria", rigide restrizioni delle sostanze
pericolose, un'impronta di carbonio delle batterie e la responsabilità estesa
del produttore.
Batterie
sostenibili: Stati membri pronti ad avviare negoziati con il Parlamento (comunicato
stampa, 17 marzo 2022).
Proposta
di regolamento relativo alle batterie e ai rifiuti di batterie.
Transizione
giusta.
Il
meccanismo dell'UE per una transizione giusta aiuterà le regioni che dipendono
fortemente dai combustibili fossili e dalle industrie ad alta intensità di
carbonio a effettuare la transizione verso l'energia pulita.
Per
alcuni Stati membri e regioni il conseguimento della neutralità climatica entro
il 2050 sarà più impegnativo che per altri.
Ad esempio, alcuni dipendono maggiormente dai
combustibili fossili o hanno industrie ad alta intensità di carbonio che
impiegano un numero significativo di persone.
L'UE
ha introdotto un meccanismo per una transizione giusta al fine di fornire
sostegno finanziario e assistenza tecnica alle regioni più colpite dalla
transizione verso un'economia a basse emissioni di CO2.
Il
meccanismo contribuirà a mobilitare almeno 65-75 miliardi di EUR nel periodo
2021-2027 a favore di:
persone
e comunità:
agevolando le opportunità di lavoro e la riqualificazione, migliorando
l'efficienza energetica degli alloggi e lottando contro la povertà energetica.
Aziende: incentivando investimenti nella
transizione verso tecnologie a basse emissioni di CO2, fornendo sostegno
finanziario e investimenti per la ricerca e l'innovazione.
Stati
membri o regioni: investendo in nuovi posti di lavoro nell'economia verde, nel trasporto
pubblico sostenibile, nella connettività digitale e in infrastrutture
energetiche pulite.
Con
una dotazione complessiva di 17,5 miliardi di EUR, il Fondo per una transizione
giusta è il primo pilastro del meccanismo. Fornisce un sostegno su misura
volto ad attenuare i costi socioeconomici derivanti dalla transizione verde per
le regioni dipendenti dai combustibili fossili e dalle industrie ad alte emissioni.
Sostiene
investimenti in:
PMI e
nuove imprese:
ricerca
e innovazione;
tecnologie
energetiche pulite e riduzione delle emissioni;
riqualificazione
dei lavoratori e assistenza nella ricerca di un impiego.
Fino a
90 miliardi di EUR per una transizione giusta.
Il 7
giugno 2021 il Consiglio ha adottato il regolamento che istituisce il Fondo.
Neutralità
climatica:
il Consiglio adotta il Fondo per una transizione giusta (comunicato stampa, 7
giugno 2021).
La
transizione verso un futuro più verde richiede il contributo del settore
finanziario.
Nell'ambito
del Green Deal, la Commissione ha proposto una serie di iniziative in materia
di finanza sostenibile:
piani
d'investimento;
tassonomia
sugli investimenti verdi;
norme
sulle obbligazioni verdi.
Finanziamento
della transizione climatica (informazioni generali):
Energia
pulita, economica e sicura.
Tenuto
conto che il 75% delle emissioni di gas a effetto serra dell'UE è riconducibile
alla produzione e all'uso di energia, la decarbonizzazione del settore
energetico costituisce un passo fondamentale verso un'UE a impatto climatico
zero.
Ondata
di ristrutturazioni: edilizia verde per il futuro
Per
conseguire tali obiettivi, l'UE sta lavorando a vari livelli:
sostegno
allo sviluppo e alla diffusione di fonti di energia più pulita, come le energie
rinnovabili offshore e l'idrogeno;
promozione
dell'integrazione dei sistemi energetici in tutta l'UE;
sviluppo
di infrastrutture energetiche interconnesse attraverso i corridoi energetici
dell'UE;
revisione
dell'attuale legislazione in materia di efficienza energetica ed energie
rinnovabili, compresi gli obiettivi per il 2030.
Energia
pulita (informazioni
generali).
Pronti
per il 55% (informazioni
generali).
Il
settore dell'edilizia è uno dei maggiori consumatori di energia in Europa ed è
responsabile di oltre un terzo delle emissioni di gas a effetto serra dell'UE.
Nel
giugno 2021 i ministri dell'UE hanno approvato conclusioni sulla strategia "ondata di ristrutturazioni" della Commissione in cui
sottolineano gli aspetti dell'inclusione sociale, della ripresa economica e
della transizione verde.
I
ministri hanno approvato l'obiettivo della strategia, ossia almeno raddoppiare
i tassi di ristrutturazione energetica nell'UE entro il 2030.
Il
Consiglio approva conclusioni su un'ondata di ristrutturazioni nell'UE (comunicato stampa, 11 giugno 2021):
Strategia
dell'UE in materia di sostanze chimiche sostenibili.
Strategia
UE in materia di sostanze chimiche per un ambiente sostenibile e privo di
sostanze tossiche.
Strategia
UE in materia di sostanze chimiche per un ambiente sostenibile e privo di
sostanze tossiche.
Le
sostanze chimiche sono essenziali per il moderno tenore di vita e per
l'economia.
Possono
però essere nocive per la salute umana e per l'ambiente.
Nel
marzo 2021 il Consiglio ha adottato conclusioni in cui approva la strategia
dell'UE in materia di sostanze chimiche sostenibili presentata dalla
Commissione.
La
strategia delinea una visione a lungo termine per la politica dell'UE in
materia di sostanze chimiche, con cui l'UE e gli Stati membri intendono:
proteggere
meglio la salute umana;
rafforzare
la competitività dell'industria;
sostenere
un ambiente privo di sostanze tossiche;
La
strategia è un elemento essenziale del Green Deal europeo e del suo ambizioso
obiettivo di azzerare l'inquinamento.
Il
Consiglio approva conclusioni sulla strategia dell'UE in materia di sostanze
chimiche sostenibili (comunicato stampa, 15 marzo 2021).
Strategia
forestale e importazioni a deforestazione zero.
La
strategia dell'UE per le foreste per il 2030 presentata dalla Commissione a
luglio 2021, uno degli elementi principali del Green Deal europeo, si basa
sulla strategia dell'UE sulla biodiversità e svolge un ruolo centrale negli
sforzi volti a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55%
entro il 2030.
Le
misure proposte sono destinate, tra l'altro, a:
promuovere
la gestione sostenibile delle foreste;
fornire
incentivi finanziari per i proprietari e i gestori di foreste affinché adottino
pratiche rispettose dell'ambiente;
migliorare
le dimensioni e la biodiversità delle foreste, anche piantando tre miliardi di
nuovi alberi entro il 2030;
3
miliardi di nuovi alberi entro il 2030.
Nelle
conclusioni approvate nel novembre 2021 il Consiglio ha posto l'accento sul
ruolo essenziale delle foreste per la salute umana e sulla necessità di trovare
un equilibrio tra gli aspetti ambientali, sociali ed economici della gestione
sostenibile delle foreste.
Il
Consiglio adotta conclusioni sulla nuova strategia dell'UE per le foreste per
il 2030 (comunicato
stampa, 15 novembre 2021).
La
Commissione ha proposto nuove misure che mirano a ridurre l'impatto dell'UE
sulla deforestazione globale e garantirebbero che i prodotti acquistati,
utilizzati e consumati dai cittadini nel mercato dell'UE non contribuiscano
alla deforestazione e al degrado forestale a livello mondiale.
Si
stima che tra il 1990 e il 2020 sia andata perduta a causa della deforestazione
una superficie più ampia di quella dell'UE (fonte: Nazioni Unite).
La
deforestazione e il degrado forestale hanno un impatto sulla biodiversità e sui
cambiamenti climatici.
La
Commissione ha presentato la sua proposta nel novembre 2021.
Il 28
giugno 2022 il Consiglio ha adottato la sua posizione negoziale
("orientamento generale") sulle nuove norme.
Il Consiglio ha convenuto di imporre norme
obbligatorie di dovuta diligenza agli operatori e ai commercianti che immettono
o mettono a disposizione sul mercato dell'UE i seguenti prodotti o li esportano
dal mercato dell'UE:
olio
di palma, carne bovina, legno, caffè, cacao e soia.
Il
Consiglio e il Parlamento raggiungono un accordo provvisorio per ridurre la
deforestazione a livello mondiale.
Il
Consiglio concorda nuove norme per ridurre la deforestazione e il degrado
forestale a livello mondiale (comunicato stampa, 28 giugno 2022).
Il
ruolo del Consiglio europeo e del Consiglio nel Green Deal.
Il
Consiglio europeo fornisce orientamenti politici in merito alle politiche
dell'UE. L'impegno
dell'UE a raggiungere l'impatto climatico zero entro il 2050, sancito dai
leader dell'UE nell'agenda strategica e ribadito nel dicembre 2019, fissa un
chiaro obiettivo per i prossimi anni.
La
Commissione presenta al Consiglio dell'UE e al Parlamento europeo le sue
proposte e iniziative previste nell'ambito del Green Deal.
I
ministri dell'UE, riuniti in varie formazioni del Consiglio, discutono le
misure legislative e non legislative proposte.
Nel
caso di proposte legislative, l'obiettivo finale è adottare una normativa,
nella maggior parte dei casi secondo la procedura legislativa ordinaria in base
alla quale il Consiglio e il Parlamento europeo decidono in qualità di legislatori.
Formazioni
del Consiglio.
La
procedura legislativa ordinaria.
Illustrazione
sulla neutralità climatica.
Cinque
fatti riguardanti l'obiettivo della neutralità climatica dell'UE.
Lottare
contro i cambiamenti climatici è essenziale per il futuro dell'Europa e del mondo.
La normativa europea sul clima introduce nella
legislazione l'obiettivo dell'UE di raggiungere l'impatto climatico zero entro
il 2050.
Questo
obiettivo ha fatto seguito agli impegni assunti dall'UE e dai suoi Stati membri
con la firma dell'accordo di Parigi nel 2015.
Cosa
significa neutralità climatica e in che modo l'UE intende raggiungere questo
obiettivo?
Cos'è
lo sviluppo sostenibile:
significato
e agenda
2030.
Magazine.a2aenergia.eu
– Redazione – (17 dicembre 2021) – ci dice:
Che cos'è
lo sviluppo sostenibile - A2A.
Sostenibilità
ambientale e sviluppo sostenibile sono i punti cardine della transizione
ecologica.
Tutti
siamo chiamati a fare la nostra parte e contribuire a ridurre il nostro impatto
ambientale, per raggiungere gli obiettivi stilati dall’agenda 2030 per lo
sviluppo sostenibile.
Per
proteggere il Pianeta e contrastare il cambiamento climatico è necessario
adottare un modello di sviluppo sostenibile.
Oggi, infatti, è necessaria un’azione concreta
per tutelare l’ambiente, le risorse naturali e tutti gli abitanti della Terra;
tuttavia,
bisogna innanzitutto comprendere che cos’è lo sviluppo sostenibile e quali
interventi possono contribuire a diminuire la nostra impronta ecologica per
vivere in modo green e socialmente responsabile.
Le
azioni da intraprendere sono diverse, come il passaggio dai combustibili
fossili alle energie rinnovabili, la preservazione degli ecosistemi marini e
terrestri, fino alla garanzia di un adeguato benessere delle collettività, in
special modo delle comunità vulnerabili.
Vediamo quali sono i punti principali
dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, per conoscere gli obiettivi da
raggiungere e capire perché è importante lo sviluppo sostenibile.
Cosa
si intende per sviluppo sostenibile?
Per
capire cos’è lo sviluppo sostenibile in breve, una spiegazione semplice è
quella fornita dalle Nazioni Unite, in particolare la definizione data dalla
Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’ONU nel 1987.
Secondo
le Nazioni Unite, per sviluppo sostenibile si intende un modello socioeconomico
che soddisfa le esigenze delle generazioni presenti, senza compromettere la
capacità del Pianeta di soddisfare anche le necessità delle generazioni future.
Si può
definire quindi come un processo di cambiamento, per adeguare ai bisogni delle
prossime generazioni gli attuali sistemi di sfruttamento delle risorse,
direzionando lo sviluppo tecnologico, gli investimenti e le politiche
istituzionali verso un modello di sviluppo responsabile in termini economici,
sociali e ambientali.
Bisogna dunque rispettare i limiti del Pianeta, garantire una vita dignitosa a
tutta la popolazione globale e assicurare che anche le future generazioni
abbiano le stesse possibilità di cui usufruiamo noi oggi.
Gli
obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU.
Nel
settembre 2015, allo scopo di proteggere il Pianeta, salvaguardare il benessere
dell’uomo e delle generazioni future, i 193 Stati membri dell’ONU hanno
ratificato l’Agenda 2030.
Si tratta del documento che contiene i 17 Obiettivi di
Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals o SDG), tre dei quali si concentrano proprio
sulla sostenibilità ambientale:
SDG 13: lotta al cambiamento climatico
attraverso l’adozione di misure urgenti, volte a ridurre le emissioni nocive e
a favorire l’impiego di energia rinnovabile;
SDG 14: preservare in modo sostenibile gli
oceani, i mari e le risorse marine, ridurre l’uso di plastica e regolare la
pesca;
SDG
15: proteggere,
recuperare e promuovere l'uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire
in modo sostenibile le foreste, combattere la desertificazione, arrestare il
degrado del suolo e fermare la perdita della biodiversità.
Secondo
gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, tutti i Paesi sono
tenuti a impegnarsi per definire una propria strategia di sviluppo sostenibile
che consenta di raggiungere gli obiettivi fissati.
L’Unione
Europea, in particolare, ha risposto con il Green Deal europeo, un documento
programmatico molto ambizioso.
Il
Green Deal europeo, o Patto verde europeo, è parte integrante della strategia
della Commissione Europea per l’attuazione dell’Agenda 2030, il cui scopo è trasformare l’UE in
un'economia moderna ed efficiente sotto il profilo delle risorse, garantendo quanto
segue:
azzeramento
delle emissioni nette di gas serra entro il 2050;
crescita
economica dissociata dall'uso delle risorse;
assicurare
che nessuna persona e luogo vengano trascurati.
I
principi della sostenibilità ambientale, quindi, sono alla base della
strategia di crescita dell’Unione Europea, la quale con l’applicazione del Green
Deal europeo promuove la transizione ecologica e punta a diventare il primo
continente a impatto climatico zero.
Il
Green Deal offre
numerosi e importanti vantaggi, i quali contribuiranno ad accrescere il
benessere e la salute delle generazioni future:
aria e
acqua pulite e un suolo sano;
salvaguardia
della biodiversità;
cibo
sano a prezzi accessibili;
edifici
efficienti dal punto di vista energetico;
energia
pulita proveniente da fonti rinnovabili;
prodotti
che durano più a lungo e che possono essere riciclati o riutilizzati;
posti
di lavoro adeguati alle nuove esigenze e formazione delle competenze
necessarie;
un’industria
competitiva a livello globale.
Esempi
di sostenibilità ambientale: come salvaguardare il pianeta?
Il
percorso verso il raggiungimento della sostenibilità ambientale non passa solo
dalla promozione delle fonti di energia rinnovabile, dall’uso efficiente delle
risorse e dalla progettazione di città sostenibili e intelligenti.
Allo
stesso tempo, infatti, investe anche la quotidianità:
d’altronde,
bastano pochi e semplici gesti per salvaguardare la salute del pianeta e delle
persone che lo abitano.
Ecco
quali sono le buone abitudini di sostenibilità da adottare nella vita di tutti
i giorni:
fare
la raccolta differenziata e smaltire correttamente i rifiuti;
scegliere
forme di mobilità sostenibile come i veicoli elettrici, per ridurre
l’inquinamento nelle città e prevenire il degrado urbano;
diminuire
gli sprechi di energia elettrica, ad esempio utilizzando lampade a LED per
l’illuminazione a basso consumo;
preferire
prodotti alimentari a km 0 e biologici, consumare frutta e verdura di stagione
e ridurre il consumo di carne rossa, supportando modelli di agricoltura
sostenibile;
limitare
l’utilizzo di plastica, carta e oggetti monouso;
riciclare
e riutilizzare gli oggetti, valorizzando lo shopping sostenibile ed evitando le
filiere produttive fast fashion, prediligendo i prodotti con un ciclo di vita
più duraturo ed ecocompatibile.
Sostenibilità
ambientale, economia circolare e transizione energetica sono al centro della
strategia di A2A, con il nuovo Piano Strategico 2021-2030 che prevede 16 miliardi di euro
di investimenti in 10 anni, di cui:
6
miliardi per l’economia circolare, con particolare attenzione al ciclo idrico,
al teleriscaldamento e alla gestione dei rifiuti;
10
miliardi per la transizione energetica a supporto della decarbonizzazione e
dell’elettrificazione dei consumi;
90%
degli investimenti in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle
Nazioni Unite.
Per
raggiungere tali obiettivi, A2A ha introdotto un nuovo modello operativo, il
quale prevede semplificazione, una corporate più leggera, decentralizzazione,
sviluppo delle competenze e digitalizzazione.
Sostenibilità
ambientale,
sicurezza alimentare
e
politiche dell’Unione europea nel quadro
degli obiettivi dell’Agenda 2030.
Books.openedition.org
- Maria Pia Genesin – Luca Battaglini – Ilaria Zuanazzi – (14-5-2022) – ci
dicono:
1) Comunicazione della Commissione, Il futuro sostenibile dell’Europa:
prossime tappe.
Il
2015, come sottolineato dalla Commissione Ue nella sua Comunicazione sul futuro
sostenibile dell’Europa1, ha rappresentato un anno importante per la presa di
coscienza a livello mondiale della necessità di fissare obiettivi di sviluppo
sostenibile per il prossimo futuro.
(-2 Risoluzione delle Nazioni Unite
A/Res/69/313.)
(3- Risoluzione delle Nazioni Unite
A/Res/70/1. In argomento si veda M. Montini, F. Volpe, Sustainable ...)
(4- In proposito si veda L. Aristei,
L’Accordo di Parigi: obiettivi e disciplina, «Rivista Quadrimestr ...)
Nel
mese di luglio è stato approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il
programma di azione Addis Abeba, che delinea la cornice finanziaria per il
conseguimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile.
A
settembre è stata adottata la c.d. Agenda 2030 (Trasformare il nostro mondo: l’Agenda
2030 per lo sviluppo sostenibile), approvata all’unanimità dai 193 Paesi membri
delle Nazioni Unite3.
Nel
dicembre è stato raggiunto l’Accordo di Parigi, in occasione della Conferenza
sui cambiamenti climatici – Cop 21, al centro del quale vi è l’impegno delle
Parti contraenti nel senso di una significativa riduzione di emissioni di CO2
nell’atmosfera.
(5-
Per un approfondimento sui contenuti dell’enciclica Laudato si’ di Papa
Francesco si veda L. Boi...)
Si
ricorda, infine, che il 2015 è anche l’anno della Lettera enciclica Laudato si’
di Papa Francesco sulla cura della casa comune, in cui si afferma a chiare
lettere che «l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e
responsabilità di tutti».
(6-
Per una ricognizione a tutto tondo del valore giuridico di tali documenti e del
loro contenuto si...)
L’Agenda
2030 pone 17 obiettivi (Sustainable development goals) e 169 target che, nel loro insieme,
ampliano gli 8 obiettivi di sviluppo del millennio (Millennium development
goals) concordati nel 2000 a livello di Nazioni Unite e giunti a scadenza nel
2015.
L’Agenda 2030 si fonda su cinque P – People,
Planet, Prosperity, Peace, Partnership – e si pone in linea di continuità
con i principi della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano,
adottata a Stoccolma nel 1972, in cui si afferma che «difendere e migliorare
l’ambiente per le generazioni presenti e future è diventato per l’umanità un
obiettivo imperativo», e con i principi della Dichiarazione su ambiente e
sviluppo adottata a Rio de Janeiro nel 1992 in occasione della Conferenza su
ambiente e sviluppo – Earth summit, da cui è originata l’Agenda 21.
Grazie
a tale conferenza il concetto di sviluppo sostenibile – ripreso dal Rapporto
delle Nazioni Unite Our common future del 1987 (c.d. rapporto Brundtland) – è
entrato a far parte del lessico istituzionale e della società civile.
Nel 2012 si è svolta la Conferenza delle Nazioni Unite
sullo sviluppo sostenibile, detta anche Rio + 20;
in tale occasione è stato particolarmente
valorizzato il ruolo dell’imprenditoria privata e dei partenariati
pubblico-privati nel perseguimento dell’obiettivo di uno sviluppo economico
compatibile con la salvaguardia delle risorse a disposizione delle generazioni
future6.
(7-
Sull’evoluzione del ruolo dell’agricoltura, nel senso di una sua acquisita
multidimensionalità, in...)
L’Agenda
2030 riconosce la responsabilità primaria degli Stati nella gestione della propria economia
e nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e prevede azioni di
follow-up per misurare e monitorare i risultati raggiunti. Lo sviluppo
sostenibile deve, però, essere obiettivo che impegna non solo l’azione delle
istituzioni – Legislatore e pubbliche amministrazioni – ma anche la società
civile e il mondo imprenditoriale.
Con
riguardo specifico al comparto produttivo alimentare occorre sottolineare il
ruolo importante del settore agricolo poiché la maggior parte degli alimenti in
commercio ha origine nella produzione primaria.
Centrale
diviene il passaggio dal modello di agricoltura monofunzionale e di allevamento
intensivo, che si è consolidato a partire dal secondo dopo guerra con
l’obiettivo di garantire l’autonomia alimentare, ad un diverso modello che
sappia coniugare l’esigenza di produrre un reddito soddisfacente con il
rispetto dell’ambiente, degli animali, delle risorse naturali.
Le
imprese impegnate nel settore della trasformazione, della distribuzione, della
ristorazione – dalle microimprese alle multinazionali – devono impegnarsi in
una crescita economica che sfrutti l’innovazione e la creatività per realizzare
uno sviluppo sostenibile che sia tale nelle sue tre dimensioni – economica,
sociale, ambientale.
Le
imprese devono contribuire a cambiare i modelli di consumo. I consumatori, a
loro volta, sono chiamati a sviluppare e coltivare una maggiore sensibilità
verso comportamenti di consumo responsabile, il che, sotto il profilo alimentare,
significa essenzialmente ridurre, sino all’obiettivo ottimale di evitare, lo
spreco di cibo.
Il
percorso verso l’obiettivo di coniugare produttività, consumo, sostenibilità è
lungo e non facile.
L’Agenda
2030 pone goals importanti, che dovrebbero segnare un cambiamento epocale, di cui,
però, si vedono ancora solo pochi, concreti segnali. Si nota interesse verso
l’adozione di modelli di produzione e di consumo sostenibili, ma la velocità
con cui si investe in tale direzione non è, al momento, in grado di competere
con la velocità con cui crescono i rischi ambientali legati all’inquinamento e
ai cambiamenti climatici.
Il
Rapporto Asvis 2018 segnala che non si è ancora concretizzata «la discontinuità
culturale e di scelte strategiche» necessaria per raggiungere, entro il 2030, i
17 obiettivi dell’Agenda 2030, alcuni dei quali impongono risultati già entro
il 2020.
Lo
scenario pare essere ancora quello di «business as usual», in cui non si avvertono
cambiamenti significativi nelle attitudini e nelle priorità delle persone e non
ci sono evoluzioni significative nella tecnologia, nell’economia, nelle
politiche di contrasto alle emissioni di CO2.
Occorre,
invece, sviluppare un modello culturale di business integrato, improntato non
alla massimizzazione del profitto, ma alla realizzazione di un equo
contemperamento fra le esigenze dell’economia, quelle della società, quelle
dell’ambiente.
Leggermente
più ottimista appare essere il Rapporto Asvis 2019 che segnala un maggiore
sostegno da parte della società civile per azioni coraggiose, anche se costose
nel breve termine; si può affermare che si sia sviluppata una presa di
coscienza globale che non vi sia più tempo.
2. Gli
alimenti nell’Agenda 2030.
Gli
alimenti sono ampiamente interessati dagli obiettivi dell’Agenda 2030.
(8- Il
tema connesso all’obiettivo n. 2 è dunque quello della sovranità alimentare nel
quale trova esp...)
(9- Si
tratta, dunque, di conciliare il diritto al cibo con la tutela dell’ambiente,
sviluppando sistemi...)
L’obiettivo n. 2 intende garantire la
sicurezza alimentare nel senso della disponibilità di cibo sufficiente;
entro
il 2030 deve essere raddoppiata la produttività agricola e il reddito dei
produttori di cibo su piccola scala.
Entro il 2030 bisogna garantire sistemi di
produzione alimentare sostenibili e implementare pratiche agricole resilienti
che aumentino la produttività e la produzione, che aiutino a proteggere gli
ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici,
a condizioni meteorologiche estreme e che migliorino progressivamente la
qualità del suolo.
(10 L.
Costato et al., Compendio di diritto alimentare, Cedam, Milano 2019, p. 2).
(11
Per approfondimenti si rinvia a L. Giacomelli, Diritto al cibo e solidarietà.
Politiche e pratiche ...)
11) Con riguardo alla sicurezza
alimentare una
distinzione consueta negli studi giuridici riguarda la contrapposizione fra
food security e food safety.
La
prima accezione attiene al profilo qualitativo/quantitativo, da intendersi come
garanzia per tutte le persone di poter avere, in ogni momento, accesso fisico,
sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che
garantiscano i loro bisogni e preferenze alimentari per condurre una vita
attiva e sana, secondo la definizione di food security proposta dalla Fao in
occasione del World Food Summit di Roma del 1996; la seconda accezione è più
restrittiva, è specifica del diritto alimentare ed attiene al profilo
qualitativo, da intendersi come disponibilità di cibo sicuro dal punto di vista
igienico-sanitario.
12) L’obiettivo di garantire cibo
sicuro, nell’accezione di sicurezza alimentare integrata proposta dallo Fao, a livello globale è lungi
dall’essere raggiunto. Cresce sempre più il divario fra la popolazione mondiale
malnutrita e quella ipernutrita; cresce sempre più il consumo di risorse
ambientali limitate – acqua, suolo – per produrre cibo industriale a basso
costo e di scarsa qualità nutrizionale, che contribuisce all’aumento del
fenomeno dell’obesità nelle fasce più povere della popolazione dei paesi
industrialmente avanzati. La Fao stima che se la popolazione mondiale dovesse
raggiungere il tetto dei 9,6 miliardi entro il 2050, sarebbe necessario, per la
sola produzione alimentare, l’equivalente di tre pianeti.
13) L’obiettivo n. 12 intende garantire modelli sostenibili
di produzione e di consumo; entro il 2030 bisogna dimezzare lo spreco
alimentare globale pro capite a livello di vendita al dettaglio e dei
consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di
fornitura, comprese le perdite post-raccolto. Entro il 2030 occorre accertarsi
che tutte le persone, in ogni parte del mondo, abbiano le informazioni
rilevanti e la giusta consapevolezza dello sviluppo sostenibile e di uno stile
di vita in armonia con la natura.
14) L’obiettivo n. 15 riguarda l’uso sostenibile dell’ecosistema
terrestre.
15) A livello delle Nazioni Unite, il monitoraggio e la revisione dei
progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi di sviluppo
sostenibile si svolgono ogni anno nel mese di luglio presso il Forum politico
di alto livello, e ogni quattro anni a livello di capi di Stato e di governo.
3.
Obiettivi di sviluppo sostenibile e ruolo dell’Unione europea
(12 Si veda in proposito la
Comunicazione della Commissione, Il Green deal europeo, 11 dicembre 2019, ...)
16) L’Ue riveste un ruolo centrale
nell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.
L’Ue
ha svolto un ruolo determinante nella definizione dell’agenda globale 2030, che
si pone in linea con la visione europea e rappresenta, a livello mondiale, un
modello per lo sviluppo sostenibile.
L’Ue
rivendica espressamente il proprio ruolo di leader in tale senso, ribadendolo
anche nei suoi documenti più recenti;
tale vocazione è particolarmente evidente con
riguardo al settore alimentare ed emerge da una serie di documenti di “soft law”,
come tali non vincolanti ma dal forte valore programmatico, prodotti dalle
istituzioni euro unitarie.
(13
Comunicazione della Commissione, 22 novembre 2016, Com(2016) 739 final.)
(14
Commissione europea, 30 gennaio 2019, Com(2019) 22.)
(15 In
proposito si veda anche la Comunicazione della Commissione, L’anello mancante –
Piano d’azione ...)
(16
Comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010, Com(2010) 2020 def.)
17) Si ricorda, a tal proposito, la
Comunicazione della Commissione «Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime
tappe.
L’azione europea a favore della sostenibilità»
del novembre 2016, in cui si sottolinea la piena integrazione degli obiettivi
di sviluppo sostenibile nel quadro strategico europeo e nelle priorità della
Commissione.
In
senso analogo si è espresso anche il Documento della Commissione di riflessione
verso un’Europa sostenibile entro il 2030, in cui si afferma il ruolo dell’Ue
quale «pioniere mondiale dello sviluppo sostenibile» e si sottolinea la
necessità della transizione dall’economia lineare, improntata alla logica del
consumo delle risorse, all’economia circolare improntata alla logica del
riutilizzo, della riparazione, del riciclaggio.
Queste
politiche sono integrate da iniziative nel campo della ricerca e
dell’innovazione in materia di sicurezza alimentare e nutrizionale, quale “Food
2030”.
“Food
2030” è una piattaforma per il dialogo, con l’obiettivo di creare un quadro
politico coerente in materia di ricerca e innovazione per la sicurezza
alimentare e nutrizionale.
Già nel 2010 era stata emanata la
Comunicazione della Commissione, Europa 2020. Una strategia per una crescita
intelligente, sostenibile e inclusiva.
18) Europa
2020 presenta tre priorità che si rafforzano a vicenda:
crescita
intelligente: sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e
sull’innovazione;
crescita
sostenibile: promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle
risorse, più verde e più competitiva;
crescita
inclusiva: promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione che
favorisca la coesione sociale e territoriale
(17 In
tema di sviluppo sostenibile si veda F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La
voce flebile ...)
19) Lo
sviluppo sostenibile è un obiettivo fondamentale dell’Unione, come previsto
dall’articolo 3, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea (Tue);
lo sviluppo sostenibile, come esplicato a
livello di fonti primarie dell’Unione europea, implica una crescita economica
equilibrata e un’economia sociale di mercato che, pur restando fortemente
competitiva, mira alla piena occupazione e al progresso sociale e si fonda su
un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente,
promuovendo il progresso scientifico e tecnologico.
(18 La
politica agricola comune si basa attualmente su un pacchetto di regolamenti
dell’Unione europea (...)
(19
Per comprendere il ruolo della Pac nel passato e le prospettive di evoluzione
futura si veda la Co ...)
20) Spesso
si afferma che, nel contesto europeo, il problema della insicurezza alimentare, legato alla mancanza di
disponibilità di cibo in quantità adeguata, sia stato risolto nel secondo
dopoguerra grazie alla politica agricola comune (Pac) adottata dalla Comunità
economica europea a partire dai primi anni Sessanta del secolo scorso con
l’obiettivo di sostenere il reddito degli agricoltori e migliorare la
produttività agricola.
Si afferma, altresì, che la Pac abbia avuto il
demerito, accanto a tanti meriti, di incentivare l’utilizzo di tecniche di
allevamento e di coltivazione intensivi, con il conseguente massiccio ricorso a
sostanze di derivazione chimica in agricoltura e di antibiotici negli
allevamenti.
La
risoluzione del problema dell’insicurezza alimentare ha permesso al legislatore
Ue di occuparsi degli aspetti qualitativi legati alla produzione alimentare,
sviluppando una corposa legislazione in tema di igiene degli alimenti e di
produzioni agroalimentari di qualità.
Questa
legislazione ha ricevuto un suo assetto sistematico moderno grazie al Reg. (Ce)
n. 178/2002, general food law, al quale si deve la configurazione attuale del
diritto alimentare in ambito europeo.
(20 In
argomento si veda L. Costato, Dalla food security alla food insecurity,
«Rivista di diritto agr (...)
(21 Lo
sviluppo di biocarburanti avanzati è auspicato dall’Unione europea, consapevole
dei rischi di i (...)
21) Oggi,
però, si assiste alla presa di coscienza di un’insicurezza alimentare di
ritorno, risvolto negativo delle politiche ambientali di riduzione delle
emissioni di CO2 nell’atmosfera.
La
produzione di biocarburanti e di bioplastiche di prima generazione implica
l’utilizzo dei suoli agricoli per fini concorrenziali rispetto a quelli della
produzione alimentare.
L’utilizzo concorrenziale dei suoli agricoli –
risorsa limitata – induce a riflettere sulle conseguenze future in termini di
insicurezza alimentare di una produzione su larga scala di tali materiali e
sostanze; senza trascurare le conseguenze ambientali legate alla deforestazione
e all’utilizzo di monocolture intensive per produrre le materie prime
necessarie.
Lo
stesso utilizzo dei suoli agricoli per l’installazione di pannelli fotovoltaici
può rappresentare un uso concorrenziale degli stessi rispetto alle finalità di
produzione alimentare.
Questo
evidenzia come sia irto di difficoltà di non poco momento e di contraddizioni
il cammino verso la sostenibilità ambientale delle attività umane e come sia
necessario investire risorse nella ricerca e nello sviluppo di biocarburanti
avanzati che non siano in concorrenza con le colture alimentari, ma che si
basino, ad es., sull’utilizzo di rifiuti alimentari e scarti agricoli.
22) Il
richiamo alla Pac permette di sviluppare un’ulteriore riflessione collegata
all’obiettivo n. 2 dell’Agenda 2030 per quanto concerne l’aumento della produttività
dei suoli agricoli.
Dal recente Rapporto su politica agricola
comune e cambiamenti climatici realizzato da un gruppo di esperti esterni per
la Commissione UE emerge la relazione conflittuale che intercorre fra le misure
di sostegno alla produzione agricola contenute nella Pac e gli obiettivi di
tutela ambientale, che la Pac stessa si pone.
Mentre
i c.d. pagamenti verdi stanziati a favore di chi adotta metodi di coltivazione
rispettosi dell’ambiente – ad es. mantenimento di prati e pascoli permanenti,
diversificazione delle colture, misure a tutela della biodiversità –
favoriscono la riduzione delle emissioni di gas serra, al contrario gli aiuti
accoppiati alla produzione, essendo legati alle rese, alle superfici delle
aziende, al numero di capi allevati risultano incentivanti per gli allevamenti
intensivi e, dunque, favoriscono indirettamente l’emissione di gas serra.
Per
questa ragione le attuali proposte relative alla Pac post 2020 (2021-2027)
fissano maggiori obiettivi ambientali e climatici e prevedono una maggiore
incentivazione di pratiche agricole compatibili con la tutela ambientale,
rafforzandone la componente greening.
La mitigazione del clima e la sostenibilità
ambientale devono essere al centro della Pac, coerentemente agli obiettivi
dell’Agenda 2030, al fine di rendere il settore agricolo più resiliente,
sostenibile e competitivo.
23)- Il tema della sostenibilità
ambientale delle attività agricole porta a sottolineare il ruolo che svolge il metodo di
coltivazione e di allevamento biologico. In questo settore il Legislatore Ue è
attivo sin dal 1991 (Reg. (Cee) n. 2092/91); attualmente è ancora vigente il
Reg. (Ce) n. 834/2007; dal 1° gennaio 2022 troverà applicazione il Reg. (Ue) n.
2018/848. Pur con tutti i suoi limiti, tale legislazione rappresenta uno dei
più significativi strumenti introdotti dall’Ue nell’ottica della sostenibilità
ambientale, con risultati di grande interesse considerato il progressivo
aumento della produzione con metodo biologico.
Strumento
ulteriore, meno virtuoso, ma comunque utile in un’ottica di sostenibilità
ambientale è la produzione integrata: sistema di produzione agroalimentare che
utilizza tutti i mezzi produttivi e di difesa delle produzioni agricole dalle
avversità, volti a ridurre al minimo l’uso delle sostanze chimiche di sintesi e
a razionalizzare la fertilizzazione, nel rispetto dei principi ecologici,
economici e tossicologici (l. n. 4/2011).
Produzione biologica e produzione integrata
rappresentano due modelli alternativi alla produzione intensiva da prediligere
in un’ottica di sostenibilità ambientale. Al vertice delle tecniche produttive
maggiormente compatibili con la tutela dell’ambiente si pone la produzione
biodinamica, che non è, però, disciplinata né dal legislatore Ue né da quello
nazionale.
4.
L’impegno dell’Unione europea nella lotta allo spreco alimentare
24) La
lotta allo spreco alimentare, nel perseguimento dell’obiettivo n. 12 dell’Agenda, vede
fortemente impegnato il Legislatore Ue e gli Stati membri.
(22
Commissione europea, Orientamenti dell’Ue sulle donazioni alimentari, 2017/C
361/01.)
25) Secondo i dati riportati nel
documento della Commissione europea, Orientamenti dell’Ue sulle donazioni alimentari22,
ogni anno nella Ue sono prodotti circa 88 milioni di tonnellate di rifiuti
alimentari (173 kg pro capite annui), per un costo stimato in 143 miliardi di
euro. Nello stesso tempo, nel 2015, si è calcolato che nella Ue quasi un quarto
della popolazione (119,1 milioni di persone) era a rischio di povertà o di
esclusione sociale e che 42,5 milioni di persone non avevano i mezzi economici
necessari per permettersi un pasto di qualità un giorno su due. A livello
mondiale, la Fao calcola che un terzo del cibo prodotto vada perso o sprecato,
mentre 795 milioni di persone non hanno abbastanza da mangiare.
(23 Si
veda anche il rapporto Fusions Reducing food waste through social innovation,
Estimates of Euro(...)
26) Oltre ai profili economici e
sociali, lo spreco alimentare preoccupa per l’impatto ambientale. La produzione di cibo richiede
l’impiego di risorse naturali, che non sono infinite. Gli alimenti che,
successivamente al raccolto, vengono persi o sprecati lungo la filiera
consumano circa un quarto di tutta l’acqua impiegata dall’agricoltura ogni anno
e necessitano di una superficie coltivata della grandezza della Cina. Inoltre,
i rifiuti alimentari generano ogni anno circa l’8% delle emissioni globali di
gas a effetto serra23.
(24 In
proposito si veda la Comunicazione della Commissione, Il futuro sostenibile
dell’Europa: prossi (...)
27A
fronte di un quadro così desolante l’Ue ha intrapreso differenti strategie di
azione24.
25 La
piattaforma ha prodotto svariati documenti di grande interesse per il tema in
esame. Si veda, i ...)
28) Nel 2016 è stata costituita la
piattaforma europea contro le perdite e gli sprechi alimentari – Eu Platform on Food Losses and Food
Waste, una commissione informale di esperti rappresentanti gli Stati membri,
organizzazioni internazionali (tra cui Fao e Ocse), imprese alimentari e
organizzazioni non governative. Il compito principale della piattaforma è di
facilitare l’armonizzazione delle misure adottate dai singoli Stati e lo
scambio di informazioni e buone pratiche. Al suo interno, alcuni gruppi studiano
questioni specifiche, come l’elaborazione di un metodo affidabile e armonizzato
per misurare l’ammontare dei rifiuti alimentari25.
(26
Decisione delegata (Ue) 2019/1597 della Commissione del 3 maggio 2019 che
integra la direttiva 200 ...)
29) Nel 2019 la Commissione Ue ha
approvato una decisione delegata riguardante una metodologia comune e requisiti minimi
di qualità per la misurazione uniforme dei livelli di rifiuti alimentari26;
tale iniziativa deriva dall’esigenza di poter quantificare lo spreco al fine di
ridurlo.
L’assenza
di criteri comuni di misurazione costituisce, infatti, un ostacolo per le
autorità nazionali nel comprendere la portata del problema dello spreco
alimentare e la sua evoluzione.
La decisione delegata precisa che, essendo i
rifiuti alimentari alimenti che sono diventati rifiuti e dovendosi trarre la
definizione di alimento dal Reg. (CE) n. 178/2002, i rifiuti alimentari non
comprendono le perdite che si verificano in fasi della filiera alimentare in
cui determinati prodotti non sono ancora diventati alimenti ai sensi
dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002, quali piante commestibili che
non sono state raccolte.
Non
sono, inoltre, inclusi i sottoprodotti della produzione di alimenti che
soddisfano i criteri di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva
2008/98/CE, poiché tali sottoprodotti non sono rifiuti.
(27
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano si veda T. Ronchetti, M. Medugno,
Pacchetto economia ci (...)
28 In
argomento si veda M. Cocconi, La regolazione dell’economia circolare.
Sostenibilità e nuovi par (...)
29 In
merito alla distinzione fra food losses, concetto riferito alle perdite che si
verificano nelle ...)
30) Nel 2018 l’Ue ha, infine, emanato un
pacchetto di direttive (c.d. pacchetto economia circolare o pacchetto rifiuti)
entrato in vigore a luglio di quello stesso anno e da recepire entro luglio
202027, di cui fa parte la direttiva (UE) 2018/851, che modifica la direttiva
quadro sui rifiuti 2008/98/CE, inserendo fra i rifiuti anche quelli
alimentari28.
Rifiuti
alimentari sono tutti gli alimenti, tali ai sensi dell’art. 2 Reg. (CE) n.
178/2002, che sono diventati rifiuti.
Si
ricorda che per rifiuto si intende, sul piano giuridico, «qualsiasi sostanza o
oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di
disfarsi». La direttiva, attraverso la definizione di rifiuto alimentare,
supera le difficoltà interpretative legate alla distinzione fra food losses
(perdite alimentari) e food waste (rifiuti alimentari) e fornisce una formula
unitaria che può essere intesa come sintesi di armonizzazione per la
definizione di spreco alimentare.
3) La direttiva (Ue) 2018/851 impone
agli Stati membri di controllare la produzione di rifiuti alimentari e di
adottare misure per limitarla.
Fra le
misure vi sono incentivi per incoraggiare la donazione di alimenti e altre
forme di distribuzione delle eccedenze nonché campagne di sensibilizzazione.
L’obiettivo è quello di giungere ad una riduzione del 30% dei rifiuti
alimentari entro il 2025 e del 50% entro il 2030, come richiesto dall’obiettivo
n. 12 dell’Agenda 2030. Lo Stato italiano deve recepire la direttiva
modificando il codice dell’ambiente d.lgs. n. 152/2016.
(30 ec.europa.eu/food/safety/food_waste/stop_en.)
32) Fra le iniziative dell’Ue per la riduzione
dello spreco alimentare si ricorda la campagna di sensibilizzazione dei consumatori
per l’adozione di buone pratiche e per la migliore comprensione della
differenza fra data di scadenza (da consumarsi entro – use by) e termine minimo
di conservazione (da consumarsi preferibilmente entri – best before)30.
33)- Infine, si ricorda la già
menzionata comunicazione della Commissione, Orientamenti dell’Ue sulle
donazioni alimentari finalizzata a dissipare i dubbi sui profili legislativi delle
donazioni di alimenti, fissando linee comuni in materia di sicurezza
alimentare, rintracciabilità, responsabilità, fiscalità da parte di chi dona o
riceve cibo.
34) Il documento da ultimo menzionato sottolinea
che, per prevenire gli sprechi, è necessario intervenire alla fonte, limitando la
produzione di eccedenze alimentari in ciascuna fase della filiera (produzione,
trasformazione, distribuzione e consumo). Laddove vi siano eccedenze, la
migliore destinazione possibile, in presenza di prodotti alimentari ancora
idonei al consumo, è la ridistribuzione per l’alimentazione umana. La
ridistribuzione alimentare è un processo grazie al quale eccedenze alimentari,
che potrebbero altrimenti andare sprecate, vengono recuperate, raccolte e
fornite a persone bisognose.
35) Le eccedenze alimentari, costituite da prodotti
alimentari finiti (compresi carne, frutta e ortaggi freschi), prodotti
parzialmente formulati o ingredienti alimentari, possono generarsi – sottolinea
il documento in esame – in qualsiasi fase della filiera di produzione e
distribuzione degli alimenti, per motivi di varia natura. Eccedenze nei settori
agricolo e manifatturiero possono generarsi con riguardo ad alimenti non
conformi alle specifiche del produttore e/o del cliente (ad esempio differenze
di colore, dimensione, forma del prodotto ecc.) oppure per errori di produzione
e di etichettatura. Difficoltà nella gestione dell’offerta e della domanda
possono dare luogo a ordinazioni eccedentarie e/o ad annullamenti di ordini.
(31 Si
ricorda che le definizioni di data di scadenza e di termine minimo di
conservazione sono recate ...)
36)
La Commissione sottolinea come problemi connessi all’indicazione della
data di consumo – quali un’insufficiente vita residua dei prodotti al momento della
consegna oppure la presenza di norme nazionali che impediscono la
ridistribuzione degli alimenti successivamente al termine minimo di
conservazione, consistente nella data indicata nella dicitura «da consumarsi
preferibilmente entro il» – possono precludere la vendita e la distribuzione di
generi alimentari attraverso i consueti canali della vendita al dettaglio.
A
questo proposito il documento della Commissione si sforza di apportare
chiarezza relativamente ad un profilo oggetto di ricorrente incertezza;
trattasi della liceità della commercializzazione di alimenti oltre lo spirare
del termine minimo di conservazione.
A tal proposito si afferma che la
commercializzazione degli alimenti oltre il termine minimo di conservazione è
consentita ai sensi delle norme dell’UE, a condizione che i prodotti
interessati siano ancora sicuri e la loro presentazione non induca in errore.
In ogni fase della filiera alimentare è, quindi, consentito immettere sul
mercato prodotti che hanno superato il termine minimo di conservazione.
Spetta
all’operatore del settore alimentare (ad esempio il dettagliante) garantire che
l’alimento sia ancora sicuro per il consumo umano e che i consumatori siano
debitamente informati del fatto che il prodotto interessato ha superato la data
di cui alla dicitura «da consumarsi preferibilmente entro il»;
i prodotti in questione potrebbero, ad es.,
essere commercializzati separatamente, con l’indicazione dell’avvenuto
superamento del termine minimo di conservazione. Risulta evidente che eventuali
discipline nazionali che vietano la commercializzazione di alimenti con termine
minimo di conservazione superato favoriscono sprechi alimentari evitabili; si
può notare, a questo specifico riguardo, che il legislatore italiano non ha
ancora preso esplicita posizione, in termini generali, sulla possibilità di
commercializzazione di alimenti con termine minimo di conservazione superato,
generando in tal modo incertezza e cautela fra gli operatori del settore.
37) Ai fini dell’applicazione della
legislazione in materia di “food safety” è irrilevante il fine di lucro
connesso alla fornitura a terzi di alimenti; per tale ragione anche la
distribuzione di alimenti a fine di beneficenza è soggetta agli obblighi di
sicurezza alimentare previsti dal Reg. (Ce) n. 178/2002 e dal c.p. pacchetto
igiene con riguardo, in particolare, al Reg. (Ce) n. 852/2004 nonché agli
obblighi di etichettatura di cui al Reg. (Ue) n. 1169/2011.
Principio
cardine, da questo punto di vista, è quello secondo cui tutti i consumatori
devono essere tutelati allo stesso modo, dalle stesse norme di sicurezza
alimentare.
Di conseguenza, rientrano nella nozione di
operatore del settore alimentare, primo responsabile della sicurezza degli
alimenti immessi in commercio, anche le organizzazioni che ricevono le
eccedenze alimentari, siano esse organizzazioni di ridistribuzione o di
beneficienza.
38) Le eccedenze alimentari possono
essere ridistribuite a condizione che siano idonee al consumo umano e conformi a
tutti i requisiti di sicurezza alimentare imposti dalle norme dell’Ue in materia
di sicurezza degli alimenti e di informazioni alimentari ai consumatori e dalle
norme nazionali pertinenti.
Tra
gli alimenti idonei alla donazione possono figurare, ad esempio, prodotti che:
non rispettano le specifiche del produttore o del cliente; presentano
alterazioni a livello di imballaggio e/o di etichettatura che tuttavia non
compromettono né la sicurezza dell’alimento né l’informazione al consumatore;
recano una indicazione di carattere temporale (prodotti destinati a un
particolare periodo di festa o a una particolare attività promozionale);
sono
raccolti nei campi con il consenso del produttore; hanno superato la data
indicata nella dicitura «da consumarsi preferibilmente entro il» ma possono
ancora essere consumati in sicurezza; sono stati raccolti e/o confiscati dalle
autorità di regolamentazione per motivi non attinenti alla sicurezza alimentare
ecc.
39) Gli operatori del settore alimentare
possono dunque ridistribuire le eccedenze alimentari e svolgere attività di
donazione in ogni fase della filiera.
Tali
operatori (ad esempio agricoltori, produttori e dettaglianti di generi
alimentari) possono donare gli alimenti in eccesso tramite organizzazioni di
ridistribuzione (come le banche alimentari), reti di raccolta e altre
organizzazioni di beneficenza oppure elargirli direttamente agli stessi
consumatori (ad esempio il personal dipendente).
5. I
riflessi nell’ordinamento italiano: la l. n. 166/2016.
(32 Per un approfondimento, anche in
chiave critica, sulla l. n. 166/2016 e per un confronto con la co ...)
40) L’ordinamento italiano si
caratterizza, sul piano del contrasto allo spreco alimentare, per aver preso
l’iniziativa di incentivare le donazioni delle eccedenze alimentari attraverso
la l. n. 166/2016, recante disposizioni concernenti la donazione e la
distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà
sociale e per la limitazione degli sprechi32.
41) Per eccedenze alimentari si intendono
i prodotti alimentari, agricoli e agro-alimentari che sono invenduti, non somministrati
per carenza di domanda, ritirati dalla vendita perché non conformi ai requisiti
aziendali di vendita, rimanenze di attività promozionali, prossimi al
raggiungimento della data di scadenza, rimanenze di prove di immissione in
commercio di nuovi prodotti, invenduti a causa di danni provocati da eventi
meteorologici, invenduti a causa di errori nella programmazione della
produzione, non idonei alla commercializzazione per alterazioni
dell’imballaggio secondario che non inficiano le idonee condizioni di conservazione.
L’elenco di situazioni che determinano
un’eccedenza alimentare è presentato dalla legge stessa come non esaustivo
dimostrando l’intenzione, da parte del legislatore, di essere il più
onnicomprensivo possibile; resta fermo, però, che devono essere rispettati e
mantenuti i requisiti di igiene e sicurezza del prodotto.
42) Il legislatore si premura di stabilire a quale
accezione di spreco alimentare intenda fare riferimento; assume rilevanza, a tal fine, la
circostanza che il prodotto alimentare sia stato scartato dalla catena
agroalimentare per ragioni commerciali o estetiche o per prossimità della
scadenza e che il medesimo sia ancora commestibile e potenzialmente destinabile
al consumo umano o animale e che, in assenza di un utilizzo alternativo, sia
destinato ad essere smaltito. Costituisce, perciò, spreco alimentare l’insieme
dei prodotti alimentari aventi le caratteristiche indicate.
(33
L’incentivo è collegato a sgravi fiscali; si veda, in particolare, l’art. 17
della l. n. 166/2016 ...)
43) La
finalità della l. n. 166/2016, come anticipato, è quella di incentivare gli
operatori del settore alimentare a donare, cedendole gratuitamente a soggetti
donatari, le eccedenze alimentari promuovendo, in tal modo, un fine di
solidarietà sociale in un’ottica di sussidiarietà orizzontale.
44) Le norme che disciplinano le modalità di
cessione consentono
che siano ceduti anche gli alimenti che hanno superato il termine minimo di
conservazione – ovvero, come già ricordato, il termine di durabilità che non
incide sulla sicurezza del prodotto bensì sulle proprietà organolettiche
specifiche dell’alimento – purché sia garantita l’integrità dell’imballaggio
primario e le idonee condizioni di conservazione.
Possono essere ceduti anche alimenti che
presentino irregolarità di etichettatura che non riguardano le informazioni
relative alla data di scadenza oppure alla presenza di allergeni alimentari.
Ugualmente consentita è la cessione a titolo
gratuito delle eccedenze di prodotti agricoli in campo o di prodotti di allevamento
idonei al consumo umano ed animale ai soggetti donatari.
In tal
caso le operazioni di raccolta o ritiro dei prodotti agricoli possono essere
effettuate direttamente dai soggetti donatari sotto la loro responsabilità, nel
rispetto delle norme in materia di igiene e sicurezza alimentare.
(34 Si
veda, in proposito, la Comunicazione della Commissione, Orientamenti per
l’utilizzo come mangim ...)
45) I soggetti donatari devono destinare, in
forma gratuita, le eccedenze alimentari ricevute, che siano idonee al consumo umano,
prioritariamente a persone indigenti; le eccedenze non idonee al consumo umano
possono essere destinate al consumo animale, al compostaggio di comunità con
metodo aerobico, all’auto compostaggio.
Si
prevede, altresì, che le eccedenze alimentari possano essere ulteriormente
trasformate in prodotti destinati, in via prioritaria, all’alimentazione umana
o al sostegno vitale degli animali; resta fermo il rispetto dei requisiti di
igiene e della data di scadenza.
Si
consente, infine, che i prodotti finiti della panificazione e i derivati degli
impasti di farina prodotti negli impianti di panificazione, non necessitanti di
condizionamento termico, che, non essendo stati venduti o somministrati entro
le ventiquattro ore successive alla produzione, risultano eccedenti presso le
rivendite di negozi, anche della grande distribuzione, i produttori artigianali
o industriali, la ristorazione organizzata, inclusi gli agriturismi, e la
ristorazione collettiva, possano essere donati a soggetti donatari.
46) In linea con gli orientamenti
dell’Unione europea, che ritiene fondamentale sensibilizzare i consumatori a
adottare comportamenti più consapevoli sul fronte dello spreco alimentare, la
l. n. 166/2016 delinea uno scenario di promozione, formazione e adozione di
misure preventive con il coinvolgimento del servizio pubblico radiofonico,
televisivo, multimediale, dei ministeri delle politiche agricole, della salute,
dell’ambiente.
Particolare
attenzione è rivolta al settore della ristorazione, ambito in cui la
prevenzione dello spreco implica l’adozione di pratiche virtuose che
consentano, ad es., ai clienti l’asporto, in sicurezza, dei propri avanzi di
cibo.
(35
L’importanza dell’educazione sin dall’infanzia nel contrasto allo spreco è
sottolineata dalla già...)
47)
Fondamentale
nella diffusione di una cultura improntata al rispetto per il cibo è, infine, il ruolo delle istituzioni
scolastiche presso le quali dovrebbero essere promossi percorsi mirati
all’educazione ad una sana alimentazione, ad una produzione alimentare
ecosostenibile e alla sensibilizzazione contro lo spreco degli alimenti.
48) La l. n. 166/2016 ha, dunque,
adottato una linea «morbida» per contrastare lo spreco alimentare, basata
sull’introduzione di un regime incentivante, sul piano fiscale e degli
adempimenti burocratici, la donazione delle eccedenze alimentari; la scelta del
legislatore italiano si è orientata in maniera differente rispetto a quella del
legislatore francese che, nello stesso anno, ha invece optato per una linea
«dura» basata sull’obbligo, sanzionato con pene detentive e pecuniarie, di
recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari in capo ai soggetti della
grande distribuzione organizzata.
49) Concludendo, si può affermare che
l’obiettivo dello sviluppo sostenibile declinato con riguardo agli alimenti
imponga un radicale mutamento culturale che coinvolge tutti i livelli della
società civile, chiamando in causa il principio di sussidiarietà orizzontale, e
che, per essere realmente efficace, deve seguire un processo bottom up
attraverso la presa di coscienza da parte della collettività dell’importanza di
avere «rispetto» per il cibo, in ragione delle risorse naturali, umane e
materiali impiegate per produrlo e delle disuguaglianze a livello globale sulla
distribuzione di alimenti in quantità adeguata ed in idonee condizioni
igieniche.
A tal
fine occorrerebbe anche recuperare il senso del «sacrificio» inteso come
disponibilità ad impegnare tempo, energie personali e risorse economiche per
gestire il rapporto con il cibo in modo più consapevole.
Stati
Uniti – Europa:
l’Ira
della discordia.
Ispionline.it-
Redazione – (10-3-2023) – ci dice:
Ursula
von Der Leyen a Washington per incontrare Joe Biden: l’obiettivo è stemperare
le tensioni ed evitare una ‘guerra dei sussidi’.
La
presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen incontra oggi a
Washington il presidente Joe Biden mentre i dissidi i tra le due sponde
dell’Atlantico assumono i contorni di una vera e propria disputa.
Nodo del contendere è la concorrenza e i
sussidi alle industrie ‘green’ previste dall’Inflaction Reduction Act (IRA), un’iniziativa che allarma gli alleati
europei, preoccupati da una possibile ‘fuga’ di aziende verso gli Stati Uniti.
Già
alcuni colossi come Tesla, Enel, Solvay, EDP e Volkswagen stanno riflettendo
sull’opportunità di andare negli Usa anziché nell’Est Europa per beneficiare
dei sussidi previsti dalla legislazione statunitense.
Ciò potrebbe in definitiva significare meno
innovazione per il Vecchio Continente e meno posti di lavoro per gli europei.
Preoccupazioni
che non sembrano scalfire Washington, i cui piani economici, che iniettano miliardi
di dollari nella produzione interna, puntano a vincere la competizione
tecnologica con Pechino:
“Non
mi scuserò per il fatto che stiamo investendo per rendere forte l’America” ha
detto Biden, che ieri ha presentato al Congresso una manovra di bilancio da
6800 miliardi di dollari per il 2024.
La proposta incontrerà con ogni probabilità la
ferma opposizione del Partito repubblicano, che aveva chiesto al presidente
statunitense di ridurre la spesa pubblica, e s’inserisce nel più ampio braccio
di ferro tra democratici e repubblicani sul tetto al debito pubblico.
Manifesto
per il 2024?
La
proposta di bilancio per l’anno fiscale 2024, pubblicata ieri dalla Casa
Bianca, prevede una manovra da 6800 miliardi di dollari con un incremento della
spesa sulle forze armate, fondi per nuovi programmi sociali e più tasse sui
redditi alti.
In
particolare, Joe Biden promette di tagliare il deficit federale di 3mila
miliardi di dollari nel prossimo decennio, attraverso l’imposizione di una
tassa minima del 25% agli americani più ricchi.
Secondo
i media, il presidente democratico conta di trattare con la maggioranza
repubblicana alla Camera sulla base dei generosi tagli alla spesa pubblica.
Ma lo
speaker repubblicano della Camera, Kevin McCarthy, ha già bollato il piano come
“dispendioso
e poco serio”, accusando il presidente di “proporre migliaia di miliardi di nuove tasse, che
le famiglie pagheranno direttamente o attraverso costi più alti”.
La
proposta sul bilancio è solo apparentemente limitata al terreno economico e, secondo
diversi osservatori, è anche un manifesto elettorale con cui il presidente –
pur non avendo ancora ufficializzato la sua ricandidatura – punta a conquistarsi il sostegno
della classe media in vista delle elezioni del 2024.
In
proposito, secondo fonti del “NewYorkTimes,” la Procura di New York sarebbe
prossima ad annunciare l’incriminazione di Donald Trump.
Sarebbe
la prima volta per un ex presidente e potrebbe minare la sua corsa, già
annunciata, verso la Casa Bianca.
IRA
funesta?
Oggi
alla Casa Bianca Joe Biden e Von Der Leyen discuteranno di temi diversi, dal
sostegno all’Ucraina alla task force congiunta sulla sicurezza energetica per
rendere l’Europa autonoma dalla Russia, fino alle sfide poste dalla Cina.
Ma inevitabilmente toccheranno un tasto dolente nelle relazioni
tra Washington e Bruxelles:
la
sfida a colpi di sussidi per la tecnologia verde.
Il
viaggio della presidente della Commissione arriva a pochi giorni dalla
pubblicazione della Net-Zero Industry Act (NZIA), i nuovi sussidi europei in risposta
alle sovvenzioni promosse da Washington.
Che la
corda sia ormai tesa, lo hanno rivelato le parole di John Podestà, consulente
della Casa Bianca sulla transizione energetica, al Financial Times:
“Piuttosto
che contestare l’America, ha sottolineato Podestà, gli alleati europei
dovrebbero ringraziare la leadership Usa”, ossia fare come hanno fatto loro, incentivando la propria transizione
energetica.
“Noi
speriamo”, è il suo auspicio, “che le industrie europee ce la facciano, ma è
compito dell’Europa fare la propria parte”.
Nell’incontro di oggi Von der Leyen punta anche a
convincere gli americani a collaborare per “la produzione di materie prime
strategiche, essenziali per l’industria verde”.
Una
disputa che lascia il segno?
Sia
l’amministrazione americana che i vertici europei fanno di tutto per
rassicurare osservatori e mercati che l’IRA non metterà in crisi le relazioni
transatlantiche.
Ma
l’epopea sui sussidi green rischia di lasciare il segno.
Come la pandemia di Covid e l’invasione russa, la
disputa ha contribuito a rilanciare il dibattito in seno all’Unione su regole
in materia di commercio, autonomia strategica e ruolo geopolitico dell’Ue.
Il
compito dei responsabili politici degli Stati Uniti e dell’UE ora è di
scongiurare una battaglia a colpi di sussidi tra le due sponde dell’Atlantico.
“In
anni passati – scrive Jeremy Shapiro sul Financial Times – gli Stati Uniti non
avrebbero mai preso in considerazione iniziative come l’IRA senza consultazione
[…].
Gli europei avrebbero partecipato alle prime
fasi della formulazione di queste politiche, probabilmente innescando duri
negoziati e ottenendo compromessi”.
Al
momento, tuttavia, la profonda e crescente dipendenza della sicurezza dell’Ue
dagli Stati Uniti significa che i governi europei non hanno altra scelta che
rimettersi a Washington.
È
quella che Shapiro definisce la strategia del ‘coordinamento ex-post’.
Come
per l’Afghanistan e l’”Affaire Aukus”, anche con l’Ira, osserva, per gli Usa “è
sia una questione di politica economica interna che un’arma nel contrastare la
Cina.
L’America si aspetta che gli europei si rimettano su
quest’ultimo punto e per lo più ignorino il primo.
Finora funziona”.
Il
commento di Mario del Pero di Sciences Po e ISPI.
“L’Ucraina,
le relazioni con la Cina, le tensioni provocate dal nazionalismo economico di
Biden e dalla aggressiva politica di sussidi al settore industriale
statunitense.
Sono
questi i tre dossier, strettamente interdipendenti, che definiscono oggi i
rapporti tra l’unione Europea e gli Stati Uniti e che sono al centro dei
colloqui tra Joe Biden e Ursula von der Leyen.
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