UOMINI INUTILI PER DAVOS.

 

UOMINI INUTILI PER DAVOS.

 

RITORNO ALLA NORMALITA’? MAI.

Ecco come nasce il mondo nuovo.

Lanuovabq.it – Maurizio Milano – Klaus Schwab – (19 – 8- 2021) – ci dice:

 

Il recente libro di Klaus Schwab, chairman del Forum di Davos, è fondamentale per comprendere quale tipo di mondo intendono costruire le élite mondialiste.

Una governance mondiale dell'economia e della società in grado di decidere dove andare, con quali mezzi e in che modo, partendo dalla transizione ecologica.

E la pandemia da Covid-19 è la grande occasione per l'affermazione di questa sorta di "socialismo liberale", grazie anche al controllo dei media che ripetono la narrazione voluta dal Potere.

Nel suo recente libro “Stakeholder Capitalism: A Global Economy that Works for Progress, People and Planet”, il chairman di Davos, prof. Klaus Schwab, afferma che il modello sociale, economico e politico attuale è giunto al capolinea.

I segni di crisi erano già evidenti negli anni ’70, a partire dal «Rapporto Meadows» del 1972, commissionato dal “Club di Roma” di Aurelio Peccei, che individuava i «limiti dello sviluppo» nella crescita “eccessiva” della popolazione rispetto alle risorse disponibili.

E siccome le persone emettono anidride carbonica e lasciano un’«impronta ecologica», per l’ideologia “verde” oggi dominante la popolazione è considerata come la principale minaccia per la “salute” stessa del pianeta.

Schwab si focalizza poi sulla svolta definita come «neo-liberista», iniziata negli anni ’80 con la “Reaganomics” e il “Thatcherismo”, incentrata «maggiormente su fondamentalismo del mercato e individualismo e meno sull’intervento statale o sull’implementazione di un contratto sociale», giudicandola «un errore».

 Egli afferma che il modello dominante – che definisce «shareholder capitalism» perché la responsabilità delle imprese è limitata alla produzione di utili per gli azionisti, senza ulteriori implicazioni “sociali” – dev’essere urgentemente superato nella direzione di quello che definisce lo «stakeholder capitalism del XXI secolo», dove debbono essere presi in considerazione tutti i “portatori di interesse”, dai clienti ai lavoratori, dai cittadini alle comunità, dai governi al pianeta, in una prospettiva non più locale o nazionale ma “globale”, che richiede quindi un nuovo “multilateralismo”.

In linea di principio, la logica dello “stakeholder capitalism” è anche condivisibile, giacché le imprese non vivono nel vacuum ma in contesti sociali e politici e quindi, oltre alla generazione di profitto per gli azionisti servendo al meglio i clienti in una libera e leale concorrenza, è equo che sostengano i costi delle eventuali esternalità e si assumano anche responsabilità più ampie, secondo il principio del bene comune a cui tutti sono tenuti a contribuire.

 Che cosa si intende però esattamente col termine «stakeholder capitalism del XXI secolo»? Al cuore di tale modello, secondo Schwab, vi sono due realtà: le “persone” e il “pianeta”.

Le “persone”: Schwab scrive che «il benessere delle persone in una società influisce su quello di altre persone in altre società, e spetta a tutti noi come cittadini globali ottimizzare il benessere di tutti».

I «cittadini globali» astratti indicati da Schwab esistono però solo nelle visioni ideologiche:

 le “persone” concrete hanno sempre relazioni, a partire dalla famiglia e con la società circostante, e sono sempre portatrici di una storia – e di una geografia –, nonché di una visione del mondo.

Non esistono i “cittadini del mondo”, se non tra le élite tecnocratiche apolidi a cui si indirizza, evidentemente, il prof. Schwab.

Il “pianeta”: Schwab lo definisce come «lo stakeholder centrale nel sistema economico globale, la cui salute dovrebbe essere ottimizzata nelle decisioni effettuate da tutti gli altri stakeholder.

In nessun altro punto ciò è divenuto più evidente come nella realtà del cambiamento climatico planetario e nei conseguenti eventi climatici estremi provocati».

 La teoria del «riscaldamento globale» di origine antropica – ultimamente sostituita dal «cambiamento climatico», forse perché così la narrazione rimarrebbe valida anche se la temperatura del pianeta dovesse “malauguratamente” ridiscendere! –  è appunto soltanto una teoria, non una realtà, in quanto manca di conferme scientifiche certe.

Pur considerando l’uomo come il “cancro” del pianeta, l’ideologia ecologista pecca paradossalmente per eccesso di “antropocentrismo” perché attribuisce all’essere umano un potere che nei fatti è ben lungi da avere:

 non è forse prometeico pretendere di abbassare la temperatura del pianeta come si fa col climatizzatore dell’ufficio e pensare di potere cambiare il clima della Terra come se fosse quello della serra dell’orto di casa?

UNA TRANSIZIONE TOTALIZZANTE. Schwab non ne parla in questo suo ultimo libro ma si sa che la “transizione ecologica” imposta non si limiterà alle tematiche di tipo “energetico”, con l’abbandono dei combustibili fossili, ma si estenderà anche al cambio dei modelli alimentari, incentivando la “conversione” al veganesimo e al consumo di “carne sintetica”;

 per non parlare della “suggestione” ad avere preferibilmente un solo figlio per famiglia, ad adottare uno stile di vita all’insegna dell’austerità, rinunciando a viaggiare per non inquinare oppure preferendo andare a piedi o in bicicletta e utilizzare solo i mezzi pubblici;

 e chissà cos’altro in futuro, perché la rivoluzione verde, come tutte le rivoluzioni, è un processo in divenire perenne, e quindi non può arrestarsi.

I costi saranno probabilmente stratosferici, a carico dei contribuenti e dei consumatori, con inevitabili gravi alterazioni della concorrenza e quindi delle stesse prospettive di crescita economica futura, a danno dei più e a beneficio delle industrie favorite da tali progetti oltre che della “finanza sostenibile ESG”.

 Per non parlare delle pesanti restrizioni alla libertà, che abbiamo già iniziato ad “assaporare”: una decrescita, insomma, davvero poco felice.  

 

Se lo «stakeholder capitalism del XXI secolo» si fonda su questi due pilastri c’è quindi da temere davvero derive liberticide.

 Mentre le società e l’iniziativa economica nascono storicamente dal basso, a partire dalle persone concrete, inserite in famiglie e in comunità, per poi svilupparsi secondo logiche sussidiarie nei vari corpi intermedi, qui ci troviamo di fronte a una visione distopica fondata su un’antropologia distorta e conseguentemente su una sociologia “rovesciata”.

Una prospettiva atomistica e materialistica, centralistica e dirigistica, dove i “migliori” vorrebbero guidare dal centro e dall’alto, come nella città ideale vagheggiata da Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) nella Politéia.

Ovviamente verso un “mondo migliore”: prospero, inclusivo, resiliente e sostenibile: vaste programme!

Concordando con la visione dell’economista italiana Mariana Mazzucato, Schwab sostiene che «un governo forte non dovrebbe limitarsi alla regolamentazione, ma essere anche una forza fondamentale di innovazione e di valore aggiunto per la società».

 Chi legge Schwab e gli altri economisti mainstream è portato a pensare che il sistema economico attuale goda di un “eccesso di libertà” dei privati, disfunzionale per il bene del “mondo”, che manchino le regole, che gli Stati non intervengano nella vita sociale ed economica delle proprie nazioni.

Tale percezione si ritrova purtroppo anche in chi è critico delle posizioni dirigistiche e liberticide di Davos:

se si cade nella trappola di utilizzare lo stesso linguaggio si rischia seriamente di sbagliare diagnosi e quindi anche “terapia”.

IL PROGETTO DI UNA GOVERNANCE MONDIALE.

Nella realtà, invece, i Paesi contemporanei – a chi li osserva senza inforcare le lenti deformanti dell’ideologia – sono caratterizzati tutti, chi più chi meno, da una presenza molto forte dello Stato nella vita economica e sociale, da un livello di pressione fiscale e contributiva importante, da un’elevata collusione dei grandi gruppi industriali e finanziari col potere politico (il cosiddetto capitalismo clientelare) e da un monopolio statale sul denaro, la cui quantità viene manipolata ad libitum dalle rispettive Banche centrali che negli ultimi anni intervengono in modo sempre più attivo e spregiudicato per orientare i sistemi finanziari, e quindi economici, dei propri Paesi.

Dove sarebbe, quindi, questo fantomatico «neo-liberismo» denunciato da tutti – da Davos e dai critici di Davos – quando negli stessi Stati Uniti, considerati l’emblema dell’economia libera, il potere politico è colluso con i grandi gruppi privati e lo stesso andamento di Wall Street – nell’immaginario collettivo simbolo iconico del «capitalismo selvaggio» e del «turbo-capitalismo» – dipende in realtà sempre più dalla politica, in particolare dalle politiche monetarie ultra-espansive attuate dal 2009 dalla Federal Reserve statunitense, solo formalmente indipendente dall’establishment politico-economico?

Com’è noto, la prospettiva di Davos è quella del «Great Reset» dei sistemi economici-sociali-politici attuali, all’interno del quadro di riferimento dell’Agenda ONU 2030 per il cosiddetto «sviluppo sostenibile ESG»:

 la direzione proposta (imposta?) è quella di andare verso un «New Normal», una sorta di governance mondiale, dove delle “cabine di regia” sempre più alte, composte da organismi sovranazionali, Stati, Banche centrali, grandi gruppi finanziari ed economici, think tank come Davos, assumeranno il ruolo di direttori d’orchestra per decidere dove andare, con quali mezzi e in che modo, per «ricostruire il mondo in modo migliore», secondo lo slogan «B3W», ovvero «Build Back a Better World» del Presidente statunitense Joe Biden, condiviso dai Paesi del G7.

RITORNO ALLA NORMALITÀ? MAI.

Ma come imporre tali cambiamenti?

Nel suo libro precedente, molto conosciuto, “COVID-19: The Great Reset”, il leader del WEF scriveva che, al di là dei dati di fatto, della “realtà”, «le nostre azioni e reazioni umane […] sono determinate dalle emozioni e dai sentimenti: le narrazioni guidano il nostro comportamento», lasciando intendere che, con uno story-telling adeguato, sarà possibile indurre un po’ per volta il cambiamento dall’alto, creando il consenso con un mix di bastone e di carota.

La manipolazione del linguaggio e la propaganda, insieme al controllo dei flussi finanziari e a regolamentazioni sempre più rigide, sono funzionali all’attuazione di un processo di disruption, che è già sotto gli occhi di tutti e che sta iniziando a dare i “frutti” sperati.

Il Grande Reset verso il “Brave New World” «post-pandemico» va quindi nella direzione opposta a quella desiderabile.

Pensando alla “Certificazione verde COVID-19” – imposta in Italia con decreto-legge in piena estate, incuranti dei prevedibili gravi danni alla stagione turistica a fronte di una “necessità” e “urgenza” che non si comprendono – si ha sempre più l’impressione di trovarsi all’interno di uno straordinario esperimento di “ingegneria sociale”.

 Perché l’hanno chiamata verde? Forse perché il pass è destinato a rimanere anche passata l’epidemia CoViD, e si potrà utilizzarlo per imporre restrizioni alla libertà per gestire la prossima “emergenza”, quella climatica?

Dopo 18 mesi di “stato di eccezione” le persone sono state condizionate con la paura, l’isolamento e la propaganda martellante ad accettare il cambiamento, a barattare spazi crescenti di libertà e privacy in cambio della speranza di “sicurezza” e “salute”.

Non bisogna «sprecare la crisi», questa «grande opportunità» dell’epidemia, come scrivono la Mazzucato e Schwab:

ciò spiega la “fretta” di attuare l’Agenda di Davos, senza neppure preoccuparsi di nascondere il progetto, peraltro condiviso da tutte le classi dirigenti.

 L’opposizione, se c’è, non si vede.

Lo «stakeholder capitalism del XXI secolo» appare come una sorta di “socialismo liberale”, un po’ gnostico e un po’ fabiano, che ricorda più la prospettiva del “Nuovo Mondo” di Aldous Huxley (1894-1963) che non quella di “1984” di George Orwell (1903-1950).

Quos Deus perdere vult, dementat prius:

qualsiasi progetto contrario alla natura dell’uomo e all’ordine delle cose è destinato inevitabilmente al fallimento finale, ma può tuttavia arrecare dei seri danni, per molti anni a venire.

«Quando torneremo, dunque, alla normalità?»: «Quando? Mai», scrive Schwab.

 Ė scritto nero su bianco, basta prendersi la briga di andare a leggere quello che scrivono:

non è complottismo, ma se anche lo fosse sarebbe allora il complottismo del WEF di Davos, non certo quello di chi si limita a denunciarlo.

 

 

Le “persone inutili” di Yuval Harari

 e la negazione del libero arbitrio.

Conquistedelavoro.it – (28 giugno 2022) – Raffaella   Vitulano – ci dice:

Li definiscono intellettuali famosi, Yuval Noah Harari e Slavoj Zizek, anche se quest’ultimo sussulta quando viene chiamato così.

Diverse le loro specializzazioni accademiche: storia medievale per Harari, filosofia hegeliana e psicoanalisi lacaniana per Zizek.

Al più grande festival di filosofia del mondo, “HowTheLightGetsIn”, si sono confrontati sulla questione della natura:

amica o nemica?

La risposta non è sorprendentemente sfumata: la natura non è né nostra amica né nostra nemica.

 Stiamo per entrare in un’era post-natura e questo cambierà tutto.

Dopo un lungo periodo di pensiero illuminista che ha visto la natura conquistata dalla ragione e domata dalla tecnologia, il suo posto nella società è tornato in grande stile, anche grazie alla pandemia di Covid e alla crisi climatica.

Per Harari e Zizek la natura non è né buona né cattiva, è semplicemente al di fuori della moralità.

 L’idea che le innovazioni guidate dall’uomo e gli incidenti come i reattori nucleari, il vaccino contro il Covid-19 o persino la guerra in Ucraina siano “naturali” può suonare strano.

Ma dato che la loro esistenza non viola nessuna legge naturale e sono fatti dello stesso materiale fisico di tutto il resto, allora in un certo senso lo sono.

Siamo sul punto di creare quelle che Harari chiama “forme di vita inorganiche”, riferendosi all’Intelligenza Artificiale avanzata.

E vedrete se non le considereremo come naturali.

 Al Festival di Filosofia si concorda: stiamo per cambiare la nostra composizione biologica, cambiando la nostra natura in modi radicali.

Questo potrebbe eccitare alcuni transumanisti e scienziati che sono concentrati sull’uso di questi strumenti per risolvere problemi ristretti e specifici nei loro campi, ma Harari ha un tono più cupo e mette in allerta.

Questo è ciò che hanno sognato dittatori spietati.

In passato, quando i dittatori cadevano, almeno ciò che lasciavano dietro di loro era ancora umano.

 In futuro, potrebbe non essere più così.

Stalin, interviene Zizek, voleva fare esattamente questo:

creare un esercito di lavoratori geneticamente modificati che potessero lavorare oltre i limiti di qualsiasi essere umano e sopravvivere con un minimo di sostentamento e provviste di base.

“Il problema non è se saremo ridotti in schiavitù dalle macchine, ma che questa schiavitù rafforzerà la divisione tra gli umani”, ha detto Zizek.

“Alcune persone ci controlleranno e altre saranno controllate”.

 Se ingegnerizziamo geneticamente gli esseri umani per essere più intelligenti, più coraggiosi, più efficienti, ciò alla fine porterà alla scomparsa di tutte le nostre altre caratteristiche, quelle che saranno ritenute meno desiderabili dagli ingegneri dell’umanità.

 La selezione di alcune funzionalità significherà la scomparsa di altre.

 “Se dai loro la tecnologia per iniziare a incasinare il nostro Dna, per iniziare a incasinare i nostri cervelli, multinazionali ed eserciti potrebbero amplificare alcune qualità umane di cui hanno bisogno, come la disciplina.

Nel frattempo, potrebbero sminuire altre qualità umane come la compassione o la sensibilità artistica o la spiritualità”:

detto dal transumanista Yuval Noah Harari, consulente chiave del World Economic Forum di Davos e di Klaus Schwab, l’allarme suona ipocrita.

Suona allarmante invece il fatto che pensi che il libero arbitrio sia un “mito pericoloso”.

Un punto su cui il neurochirurgo Michael Egnor lo contesta con forza:

 “La negazione del libero arbitrio è una pietra angolare del totalitarismo.

Senza il libero arbitrio, siamo bestiame senza diritti”.

 Lo storico Yuval Noah Harari è anche coautore con Thierry Malleret di “Covid-19: The Great Reset”.

E in una domanda rivela tutta la sua vera ideologia:

Cosa fare nei prossimi decenni con tutte le persone inutili?”.

Una classe dirigente si interrogherà con “noia” su cosa fare di loro dato che “ sono fondamentalmente privi di significato, senza valore”.

Harari calpesta così le orme di Aldous Huxley durante la sua famigerata conferenza “Ultimate Revolution” del 1962 al Berkley College:

“La mia ipotesi migliore, al momento è una combinazione di droghe e giochi per computer come soluzione finale per la maggior parte di loro. Penso che una volta che sei superfluo, non hai potere”.

 L’apoteosi del pensiero eugenetico affiora nel ruolo della tecnologia nella creazione di una nuova classe inutile globale “post-rivoluzionaria”, per sempre sotto il dominio dell’emergente “casta alta” di élite dai colletti d’oro di Davos.

 La casta alta che domina la nuova tecnologia non sfrutterà i poveri. Semplicemente non avrà bisogno di loro.

 E sarà molto più difficile ribellarsi all’irrilevanza che allo sfruttamento.

Yuval è elogiato da Klaus Schwab, ma anche da Barack Obama, Mark Zuckerberg e Bill Gates, che hanno recensito l'ultimo libro di Harari sulla copertina del New York Times Book Review.

Per lui la morale, proprio come Dio, il patriottismo, l’anima o la libertà, sono concetti astratti creati dall’uomo che non hanno alcuna esistenza ontologica nell’universo meccanicistico, freddo e in definitiva senza scopo in cui si presume che esistiamo.

 Le relazioni umane diventano insignificanti a causa di sostituti artificiali.

 I poveri muoiono ma i ricchi no.

 È questa la rivoluzione industriale incentrata sull’intelligenza artificiale.

Ma il prodotto questa volta non saranno tessuti, macchine, veicoli e nemmeno armi, il prodotto questa volta saranno gli stessi umani, corpi e menti, conclude Harari, precisando infine che le “persone inutili” a cui fa riferimento il consulente del Wef saranno quelle che rifiuteranno di ricevere le capacità di intelligenza artificiale nei prossimi decenni.

Descrivendo gli esseri umani come “animali hackerabili”, Harari crede che le masse non avrebbero molte possibilità contro questi cambiamenti anche se dovessero organizzarsi.

(Raffaella Vitulano)

 

 

 

Per il forum dei miliardari di Davos il Covid-19

è l'occasione per resettare l'economia

mondiale, ma a vantaggio di pochi.

Italiaoggi.it - Tino Oldani – (4 novembre 2020) – ci dice:

 

Incredibile, ma vero: c'è chi vede nella pandemia mondiale da Covid-19, con i suoi milioni di contagi e i tanti morti, un'occasione irripetibile per avere più ricchezza e più potere.

Una visione cinica, con l'ambizione di essere nello stesso tempo un punto di riferimento culturale per le élites mondiali del potere finanziario e politico.

 La prova?

 Basta leggere i passaggi chiave del rapporto «Covid-19. The Great Reset», ordinato dal “World economic forum” (Wef), il club esclusivo che ogni anno riunisce a Davos, in Svizzera, i supermiliardari e i leader politici del mondo per tracciare gli scenari futuri e come affrontarli.

 Il rapporto è firmato da Klaus Schwab, 82 anni, da sempre grande regista del club di Davos, e da un suo collaboratore, Thierry Malleret, direttore del “Global risk network”, che opera all'interno del Wef.

Un libro preparato in vista del prossimo meeting di Davos, che solitamente si tiene a gennaio, rinviato però a metà maggio 2021 (dal 18 al 21) a causa della pandemia, con sede non più a Davos, ma a Burgenstock, cittadina vicino a Lucerna.

Questa nuova bibbia dei supermiliardari non cela affatto il cinismo, ma usa un linguaggio chiaro, perfino spietato:

 «Molti si chiedono quando torneremo alla normalità. La risposta è concisa: mai.

Ci sarà sempre un'epoca di 'prima del Coronavirus' e 'dopo il Coronavirus'. Il peggio della pandemia deve ancora venire».

Ancora: «Affronteremo le sue ricadute per anni e molte cose cambieranno per sempre.

 Ha provocato sconvolgimento economici di proporzioni monumentali, e continuerà a farlo.

Nessuna azienda sarà in grado di evitare l'impatto dei cambiamenti futuri.

 O tutti si adatteranno all'Agenda del Great Reset, o non sopravviveranno. Milioni di aziende rischiano di scomparire, soprattutto quelle di dimensioni piccole. Soltanto poche saranno abbastanza forti da sopportare il disastro».

Grazie alla blogger francese, Virginie Février, che ha fatto una sintesi del rapporto citando i passaggi più incisivi, è possibile capire che cosa Schwab e Malleret intendono per grande riassetto:

«Alcuni industriali e alcuni quadri superiori rischiano di confondere il reset con un reinizio.

 Ma non sarà un reinizio, non può succedere.

Le misure di distanziamento sociale e fisico rischiano di persistere ben al di là della scomparsa della pandemia.

 E questo servirà per giustificare la decisione di numerose aziende nei più svariati settori di accelerare l'automatizzazione.

 Non è affatto sicuro che la crisi del Covid-19 faccia pendere la bilancia a favore del lavoro contro il capitale.

Politicamente e socialmente sarebbe possibile, ma il dato tecnologico cambia tutto».

Così, ecco qualche squarcio illuminante sui cambiamenti attesi per il futuro

: «Fino all'86% dei posti di lavoro nella ristorazione, il 75% dei posti di lavoro nel commercio al dettaglio e il 59% dei posti di lavoro nei giochi e divertimenti potrebbero essere automatizzati entro il 2035.

Fino al 75% dei ristoranti indipendenti potrebbero non sopravvivere al confinamento e alle misure di distanziamento sociale ulteriori.

Nessuna industria o azienda sarà risparmiata».

Le ricadute sul modo di governare l'economia investiranno tutti i paesi, costringendo i governi a prenderne atto, fermo restando un principio cardine per il club di Davos:

 «La governance mondiale è al cuore di tutte le altre questioni». È facile prevedere che una frase simile scatenerà i cosiddetti «complottisti», che da anni vedono nel World economic forum il fautore di un Nuovo ordine mondiale, dove a comandare saranno, più di oggi, le élites del potere finanziario.

Ma il rapporto di Schwab e Malleret se ne infischia dei complottisti, e va giù piatto:

«La tirannia della crescita del pil finirà. La fiscalità aumenterà.

Come nel passato, la logica sociale e la giustificazione politica alla base degli aumenti delle imposte saranno basati sulla narrativa dei 'paesi in guerra' (ma questa volta contro un nemico invisibile)».

 Risultato: la classe media sarà spolpata, mentre aumenteranno i redditi di cittadinanza.

Confermando quanto è già accaduto con i primi lockdown, il rapporto del Wef vede lo statalismo in crescita: «Il controllo pubblico delle aziende private aumenterà.

 Le aziende non aderiranno a queste misure perché le considerano 'buone', ma piuttosto perché il prezzo da pagare per non sottomettersi sarà troppo alto in termini di collera dei militanti».

 Quali militanti?

Ovvio: i giovani che, come Greta Thunberg, scendono in piazza per il clima, o quelli che lo fanno per i diritti sessuali.

 È su di loro che i supermiliardari di Davos contano per fare passare la loro nuova dottrina:

«L'attivismo dei giovani aumenta nel mondo, essendo rivoluzionato dalle reti sociali che accentuano la mobilitazione a un livello che sarebbe stato impossibile precedentemente.

 Assume diverse forme, dalla partecipazione politica non istituzionale alle manifestazioni e proteste, e affronta questioni diverse, come il cambiamento climatico, le riforme economiche, la parità dei sessi e i diritti Lgbt.

La nuova generazione è fermamente all'avanguardia del cambiamento sociale. Non ci sono dubbi che sarà il catalizzatore del cambiamento sociale e una fonte di slancio critico per il Great Reset».

Gli unici ostacoli, conclude il rapporto, saranno il “sovranismo” e “la religione”, «un miscuglio tossico», che è così descritto:

 «Con il lockdown, il nostro attaccamento ai prossimi si è potenziato con un sentimento rinnovato di apprezzamento per tutti coloro che amiamo: la famiglia e gli amici.

Ma il lato oscuro è lo scaturire di sentimenti patriottici e nazionalistici, con considerazioni religiose ed etniche preoccupanti.

Questo miscuglio tossico ha messo in risalto il peggio di noi stessi in quanto gruppo sociale».

Populisti, sovranisti, e ora anche il papa e i preti, si considerino avvisati.

 

 

 

La lezione di Davos: è la narrazione

che guida il cambiamento.

Lanuovabq.it – (01-02-2023) – Maurizio Milano – ci dice:

Al Forum di gennaio meno leader politici e massiccia presenza di media globali: l'obiettivo di limitare la libertà e la privacy esige una narrazione degli avvenimenti capace di convincere le persone della necessità e dell'urgenza dell'iniziativa per creare un futuro migliore.

 Primo passo per resistere:

non confondere la globalizzazione economica (buona) con il globalismo ideologico (cattivo).

«La Cooperazione in un Mondo Frammentato:

Affrontare le crisi pressanti, gestire le sfide del futuro»:

questo il tema del convegno internazionale tenutosi nella settimana dal 16 al 20 gennaio 2023 a Davos, nelle Alpi svizzere, nuovamente a pieno regime dopo le edizioni in formato ridotto e on-line per via dell’epidemia CoViD-19.

All’appuntamento annuale del World Economic Forum hanno partecipato quasi 3.000 “global leader”, tra cui 50 capi di stato, oltre 350 leader di governo, 19 banchieri centrali, 1.500 business leader, di cui circa 600 amministratori delegati delle principali aziende mondiali, e capi delle grandi agenzie di comunicazione mondiali.

 Di che cosa hanno discusso i “grandi” della Terra?

«Altezze reali, Eccellenze, distinti Capi di Stato e di Governo, cari partner e amici del World Economic Forum […] All’inizio di quest’anno siamo confrontati con sfide multiple e senza precedenti …] che spingono verso una crescente frammentazione e competizione […] Noi abbiamo la capacità di creare, in modo collaborativo, un mondo più pacifico, resiliente, inclusivo e sostenibile […], di trasformare le sfide in opportunità».

Così inizia, con compiaciuta solennità, il discorso inaugurale del Forum 2023 (svoltosi dal 16 al 20 gennaio) tenuto dal prof. Klaus Schwab, fondatore e direttore esecutivo del World Economic Forum.

È dal lontano 1971 che a Davos si ritrovano i potenti del mondo, sia del settore privato che di quello pubblico.

La mission del WEF, d’altronde, è proprio quella di essere «l’Organizzazione Internazionale per la Cooperazione Pubblico-Privato […] che ingaggia i principali leader, politici, economici, culturali e altri, per modellare le agende globali, regionali e settoriali».

Nell’edizione di quest’anno si nota una partecipazione inferiore a quella usuale dei leader politici:

è presente Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ma mancano i Presidenti statunitense e cinese, Joe Biden e Xi Jinping, oltre al Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, che ovviamente non è stato invitato.

Dei premier dei Paesi del G7 è presente solo il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Da segnalare, per contro, una massiccia presenza di media globali, il cui ruolo è quello di sostenere a una voce la grande narrazione portata avanti dal WEF.

 Come sostiene Schwab, infatti, «le nostre azioni e reazioni umane […] sono determinate dalle emozioni e dai sentimenti: le narrazioni guidano il nostro comportamento»

 (Cfr. Klaus Schwab, Thierry Malleret, COVID-19: The Great Reset, Forum Publishing 2020).

Oltre alla guida politica dei flussi degli investimenti e delle regolamentazioni, l’«iniziativa del Great Reset» attribuisce un ruolo centrale alla narrazione:

in considerazione dei costi e delle limitazioni a privacy e libertà per la ristrutturazione completa del sistema, economico, sociale e politico che ci si prefigge di attuare, è infatti fondamentale convincere le persone della necessità e dell’urgenza dell’iniziativa, per salvare il pianeta e creare un futuro migliore

 (Cfr. Klaus Schwab, Thierry Malleret, The Great Narrative, For a Better Future, ed. Forum Publishing, 2021).

Nei confronti del Forum di Davos credo che occorra evitare due atteggiamenti speculari:

da un lato, credere che tutto sia deciso in tale contesto e quindi non ci siano spazi di azione;

dall’altro, pensare che si tratti solo di una “settimana bianca” di VIP, per distrarsi un po’.

Il primo atteggiamento porterebbe alla rassegnazione, al pessimismo e al disimpegno, col rischio di scivolare anche in derive “complottistiche”;

 il secondo porterebbe a ignorare quanto si dice in tale contesto, ritenendolo poco rilevante.

In realtà, e l’esperienza degli ultimi anni ce l’ha insegnato “ad abundantiam,” molte decisioni poi programmate e implementate dai governi sono state anticipate proprio a Davos:

dall’identità digitale alle divise digitali delle Banche Centrali, dalle metriche ESG (Envinronmental, Social, Governance) alla base della cosiddetta finanza sostenibile, alle politiche sanitarie di lockdown, ai ricatti vaccinali e alla certificazione “verde”.

Allo stesso tempo, tuttavia, molti dei fatti poi accaduti non sono stati per nulla previsti dal WEF, tra tutti lo scoppio di una guerra convenzionale ad alta intensità nel cuore dell’Europa e l’esplosione dell’inflazione.

 Proprio il conflitto in Ucraina è stato uno dei punti centrali del forum, con sullo sfondo il rischio di un possibile deterioramento dei rapporti anche tra la Cina e Taiwan e una conseguente ulteriore frammentazione a livello geopolitico.

Ciò potrebbe comportare un ulteriore passo indietro della cosiddetta “globalizzazione economica”, quel processo di forte crescita dell’interscambio commerciale e finanziario intensificatosi esponenzialmente a partire dalla fine della guerra fredda, che ha consentito un costante miglioramento delle condizioni di vita, in particolare nei Paesi in via di sviluppo.

A tal proposito, occorre puntualizzare che il mito della crescita come un gioco a somma zero, come sostenuto dallo studio dell’organizzazione non governativa Oxfam in occasione proprio del WEF, per cui se aumentano i ricchi allora aumentano inevitabilmente anche i poveri, è smentito dai dati.

Fino allo scoppio della cosiddetta pandemia, infatti, aumentavano i ricchi ma contemporaneamente diminuiva il numero dei poveri, proprio grazie al libero scambio e al riconoscimento della proprietà privata, con un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione mondiale, a partire dai più poveri.

Una tendenza che si è purtroppo esaurita negli ultimi anni, sia per la gestione scellerata dei lockdown che ha portato a una frammentazione delle filiere produttive e distributive, sia per gli errori legati ai” sotto investimenti nei combustibili fossili” che hanno creato scarsità energetica, sia per le politiche monetarie e fiscali ultra-espansive degli ultimi lustri:

 un mix micidiale all’origine dell’inflazione, questa sì a danno soprattutto dei poveri e del ceto medio, dei piccoli risparmiatori e dei titolari di redditi fissi.

Mentre è giusto, anzi doveroso, criticare l’ideologia globalista del WEF, che spinge per una governance globale di tipo politico, in una prospettiva di globalismo ideologico e di “capitalismo clientelare”, sarebbe invece ingenuo tifare per una diminuzione della globalizzazione di tipo economico, cioè dell’interscambio commerciale e finanziario tra le nazioni, perché ciò spingerebbe all’insù i prezzi, comprometterebbe la crescita e acuirebbe le stesse rivalità geopolitiche.

In questo senso le critiche populistiche al “mercato”, oppure ai “ricchi”, solo in quanto ricchi, spinte dall’invidia sociale, sbagliano il target:

il problema si presenta invece quando ricchi e potenti si alleano col potere politico per restringere la proprietà privata, la privacy e la libertà economica per il resto della popolazione.

 Come accade a Davos.

È necessario, quindi, criticare il neo-corporativismo promosso da Schwab, ma occorre farlo con intelligenza;

altrimenti, unendosi al coro dei detrattori del cosiddetto liberismo o neo-liberismo, si porterebbe paradossalmente acqua al mulino dei globalisti (super ricchi e DEM), che guardano con sospetto al mercato, alla proprietà privata, alla libertà economica e alla democrazia.

 

 

 

Davos e le ansie degli oligarchi.

 Altrenotizie.org - Michele Paris – (21 Gennaio 2020) – ci dice:

 

Il tradizionale appuntamento dell’oligarchia mondiale a Davos è iniziato martedì con un intervento dai contorni surreali del presidente Trump, impegnato a celebrare le prestazioni di un’economia, come quella degli Stati Uniti, a suo dire in grado di creare ricchezza e benessere virtualmente per l’intera popolazione americana.

Il clima prevalente al 50esimo World Economic Forum (WEF) appare però esattamente opposto, con i leader politici e gli esponenti delle élites economiche e finanziarie del pianeta intenti a salvaguardare i privilegi e le ricchezze riservati a pochissimi di fronte al dilagare di proteste e sentimenti di repulsione nei confronti del sistema capitalistico in crisi profonda.

Il tema di quest’anno dell’evento nel “resort” elvetico è quasi inevitabilmente legato alla questione climatica.

Il riferimento alla necessità di costruire un “mondo coeso e sostenibile” e una serie di inutili accorgimenti “green”, predisposti dagli organizzatori del forum annuale, darà la possibilità agli ultra-miliardari presenti e ai loro riferimenti politici di atteggiarsi a leader turbati dagli effetti dei cambiamenti climatici e pronti ad agire per salvare il pianeta.

L’immancabile presenza della giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, assieme a conferenze sull’argomento e iniziative varie, permette inoltre ancora una volta di perpetuare l’illusione della capacità del capitalismo e del libero mercato di autoregolarsi per attuare finalmente misure volte a fermare il riscaldamento globale.

L’unico interesse che banchieri e speculatori riuniti a Davos hanno nella battaglia per l’ambiente è in realtà quello di fare profitti, possibilmente enormi, anche sulle politiche ecologiche. L’invito e la presenza di Trump confermano pienamente questa realtà.

 Il presidente americano è uno dei negazionisti più convinti e nel suo intervento di martedì lo ha ribadito senza tante ambiguità, definendo gli ambientalisti “profeti di sventura” e respingendo le loro “previsioni apocalittiche” per difendere l’attuale modello economico statunitense.

Il consueto rapporto del WEF indica dunque come rischio principale sul medio periodo quello climatico, potenzialmente in grado di creare danni significativi anche in ambito economico e finanziario.

 Un'altra indagine mostra invece come i rischi che potrebbero aumentare più rapidamente nel corso del 2020 siano da ricondurre a questioni puramente economiche e alle disparità sociali e di reddito.

A livello ufficiale, praticamente come ogni anno a Davos si cerca di dibattere e di trovare soluzioni ai processi di polarizzazione economica e sociale che continuano a creare vere e proprie voragini tra una ristretta cerchia di super-ricchi e la stragrande maggioranza della popolazione.

 La sensazione diffusa tra i frequentatori del forum è appunto quella di una situazione di estrema pericolosità, con tensioni sociali pronte a esplodere mettendo in pericolo le posizioni di privilegio.

Ogni anno, tuttavia, le differenze aumentano e, una volta chiusi i summit internazionali, i processi di impoverimento che riguardano miliardi di persone nel pianeta e, per contro, quelli di accumulazione di ricchezze dalla parte opposta della piramide sociale continuano senza sosta. I numeri concreti che definiscono questa situazione li ha dati come al solito alla vigilia del WEF la ONG britannica Oxfam.

A oggi, appena 2.153 persone detengono ricchezze superiori a quelle possedute dai 4,6 miliardi di abitanti più poveri della terra.

 Forse ancora più incredibile è un altro dato, quello che spiega come l’1% della popolazione controlla il doppio della ricchezza di 6,9 miliardi di persone, in pratica tutto il resto degli abitanti del pianeta.

Oxfam propone un esempio curioso per cercare di dare l’idea di questo quadro quasi incomprensibile.

Se, cioè, ognuno dovesse sedere sulle proprie ricchezze complessive trasformate in banconote da 100 dollari USA, “la maggior parte dell’umanità sarebbe seduta sul pavimento”.

Un appartenente alla “classe media di un paese ricco siederebbe all’altezza di una normale sedia”, mentre i due uomini più ricchi della terra si ritroverebbero nello “spazio esterno”.

Per l’ennesima volta, così, i potenti della terra cercheranno a Davos di proiettare un’immagine di filantropi e riformatori impegnati nel tentativo di creare un nuovo modello di sviluppo ecologicamente “sostenibile” e più equo, quanto meno per frenare le spinte anti-sistema, se non apertamente rivoluzionarie, sempre più evidenti in focolai di protesta che vanno dall’Europa all’Africa, dal Medio Oriente all’Asia, fino al continente americano.

Col passare degli anni, però, queste pretese trovano sempre meno appigli e un numero crescente di persone in tutto il mondo acquisisce la consapevolezza che quanti animano meeting esclusivi e vertici politici, rigorosamente vietati al resto della popolazione, sono essi stessi la causa di povertà e disuguaglianze sociali, da cui anzi traggono profitti e privilegi.

In questo scenario, diventa in qualche modo comprensibile anche l’impegno del presidente americano Trump nel cercare di dipingere un quadro ultra-ottimistico della situazione economica degli Stati Uniti.

Da un lato, l’insistenza sulla potenza USA e sui livelli di crescita raggiunti negli ultimi anni serve a ostentare un’immagine di solidità sul piano internazionale proprio nel momento in cui la posizione e l’influenza di questo paese stanno toccando i punti più bassi della sua storia.

Dall’altro, emerge invece il tentativo di Trump di ingigantire i successi economici degli Stati Uniti o, meglio, di generalizzare una crescita che ha in realtà beneficiato in larghissima misura solo le grandi corporation, gli speculatori di Wall Street e, in generale, i grandi interessi americani, lasciando nella migliore delle ipotesi le briciole a lavoratori e classe media.

Una strategia, quella dell’inquilino della Casa Bianca, che a Davos deve essere stata accolta con favore, malgrado la retorica ufficiale dell’evento, perché serve, almeno nelle intenzioni, ad argine la rivolta contro il sistema e ad alimentare l’inganno di un capitalismo ancora capace di produrre occupazione stabile, ricchezza generalizzata e stabilità sociale.

 

 

 

I più ricchi e potenti della terra

in jet privato a Davos, Greenpeace:

“Emissioni come 350.000 auto”.

Fanpage.it – Valerio Renzi – (13-1-2023) – ci dice:

 

Lo studio commissionato da “Greenpeace International “mostra come 1 partecipante su 10 è giunto al World Economic Forum dello scorso anno su un jet privato, percorrendo per oltre l’80% distanze breve e ultra brevi.

 Tra pochi giorni si apre l’edizione 2023 del Forum di Davos:

“Basta con l’ipocrisia di chi vuole salvare il pianeta in jet, vietare l’aviazione privata”.

A pochi giorni dal prossimo “World Economic Forum” di Davos, l'appuntamento annuale dove si incontrano alcuni tra gli uomini politici più potenti della terra con i più ricchi rappresentanti dell'industria e dell'economia, Greenpeace rende noto che lo scorso anno sono atterrati e partiti dall'aeroporto che serve la località Svizzera, 1040 jet privati, un traffico quattro volte superiore la norma secondo la società di consulenza olandese CD Delft.

 Secondo la stima di Greenpeace International 1 partecipante su 10 alla scorsa edizione del Forum di Davos ha viaggiato su un velivolo privato.

"L'impatto climatico è stato di conseguenza enorme: in una sola settimana i jet privati hanno causato emissioni di CO₂ pari alle emissioni medie di 350mila automobili nello stesso periodo di tempo", è la stima che si può leggere nel rapporto.

 "Le persone più ricche e potenti del pianeta si ritrovano a Davos per discutere a porte chiuse di questioni cruciali come la crisi climatica e le disuguaglianze, ma ci vanno usando la forma di trasporto più iniqua e inquinante: i jet privati. – dichiara Federico Spadini, campagna trasporti di Greenpeace Italia – Nel frattempo l’Europa sta vivendo l’inverno più caldo mai registrato, gli eventi climatici estremi diventano sempre più devastanti in tutto il mondo, e la crisi energetica ed economica riduce sul lastrico moltissime famiglie".

Secondo lo studio reso noto dall'organizzazione ecologista, gli oltre mille jet atterrati in Svizzera per Davos hanno percorso per oltre la metà tratte inferiore a 750 chilometri, per percorsi a breve raggio facilmente percorribili in poche ore in treno o in auto, per non parlare di distanze ultra brevi inferiori a 500 chilometri. C'è addirittura un caso di un volo di 21 chilometri:

 giusto il tempo di alzarsi in quota e ridiscendere.

Il Forum economico mondiale del 2023 attirerà come minimo lo stesso volume di traffico aereo privato di quello dello scorso anno.

Un volume non giustificabile come abbiamo visto dalla quantità di voli brevi, dalle impellenti necessità di capi di Stato.

 E i jet privati, con il loro peso di emissioni superflue e ingiustificabili, stanno diventando il simbolo di come giustizia sociale e giustizia climatica siano strettamente intrecciate.

"Se il Forum di Davos volesse davvero dimostrare impegno nel raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi dovrebbe, una volta e per tutte, mettere fine all’ipocrisia e all’inaccettabile spreco di energia dei voli privati. – aggiunge Spadini

– Per questo chiediamo al governo italiano di vietare i jet privati e gli inutili voli a corto raggio, in modo da poter garantire un futuro verde, giusto e sicuro per tutti e tutte".

La Francia di Emmanuel Macron ha aperto la strada alla limitazione dell'aviazione di lusso e ai voli per coprire brevi tratte coperte da alta velocità e autostrade, un esempio che in pochi sembrano voler seguire però.

(fanpage.it/)

(fanpage.it/attualita/i-piu-ricchi-e-potenti-della-terra-in-jet-privato-a-davos-greenpeace-emissioni-come-350-000-auto/)

 

 

 

Davos, gli Umani si Eliminano

anche con i Giochi della Rete.

Agostino Nobile.

Stiliumcurtiae.com - Marco Tosatti – Agostino Nobile -  (Gen. 28, 2023) – ci dice:

 

Carissimi StilumCuriali, Agostino Nobile offre alla vostra attenzione queste riflessioni inquietanti sul recente summit di Davos, in cui personaggi ancora più inquietanti discutono del futuro dell’umanità.

Buona lettura e condivisione...

Il summit 2023 del World Economic Forum, WEF, svolto tra il 16 e il 20 gennaio non ci ha regalato sorprese.

Carta che vince non si cambia.

Si è parlato ancora di vaccini, di ecologia, di sostenibilità e, ovviamente, del conflitto in Ucraina in cui i Russi hanno praticamente azzoppato i piani della Cupola che si riunisce tutti gli anni a Davos, una piccola località della Svizzera.

Tra gli americani sono presenti tra gli altri Bill Gates e George Soros, il CEO Jamie Dimon della JPMorgan Chase, Larry Fink di BlackRock, che con i suoi dieci trilioni di dollari rappresenta la banca di investimenti più potente del mondo, basti pensare che ha le mani in pasta anche nel conflitto ucraino.

Presenti anche le cosche di Big Pharma e i CEO dei cosiddetti GAFAM, Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft.

Dall’Europa partecipano 18 miliardari, il resto è costituito dai politici e giornalisti più corrotti della storia, che hanno il preciso compito di massacrare economicamente e psicologicamente i popoli.

 Come ho scritto più volte, i miliardari decidono tutto, dalla nascita alla morte dell’uomo, pensiero, sessualità, economia, costumi, aborto, eutanasia e via distruggendo.

Un altro personaggio della Cupola che non dovremmo sottovalutare e Yuval Harari, su cui ho scritto un articolo nel 2021.

(marcotosatti.com/2021/07/27/libero-arbitrio-macche-algoritmi-le-tossiche-menzogne-del-dott-harari/)

Il professor Harari è il principale mentore di Klaus Schwab, fondatore del famigerato WEF che, tra gli altri “pregi”, mira alla riduzione del numero della popolazione mondiale e all’eliminazione della proprietà privata entro il 2030.

 A questo proposito, permettetemi una breve parentesi.

Quando nel dicembre 2021 scrissi su questa ennesima sovietizzazione, nessun altro commentatore ne aveva dato notizia, così dovetti sorbirmi il solito genio che mi apostrofò con la trita e ritrita parola sprezzante creata appositamente per darla in bocca agli ebeti: cospirazionista.

 Dopo alcuni mesi finalmente hanno iniziato a parlarne alcuni, pochi per la verità, personaggi mediatici.

Qui l’articolo pubblicato dall’amico Tosatti dopo che sono andato a spulciare nelle pagine del WEF:

(marcotosatti.com/2021/12/10/nobile-la-fine-della-proprieta-privata-e-altre-chicche-al-cianuro/)

Bene, il professor Harari, sposato civilmente a Toronto con il signor Itzik Yahav, in un video di alcuni anni fa manifesta in maniera chiara l’amore sconfinato che la Cupola di Davos nutre per la famiglia umana.

 

Traduco: “Nella rivoluzione industriale del XIX secolo ciò che l’umanità ha fondamentalmente imparato a produrre era ogni genere di cose, come tessuti e scarpe, armi e veicoli e questo era sufficiente per pochissimi paesi che hanno subito la rivoluzione abbastanza velocemente da sottomettere tutti gli altri.

 Quello di cui stiamo parlando ora è come una seconda rivoluzione industriale (più tardi, se non sbaglio nel 2017, Schwab pubblica un libro sulla Quarta rivoluzione industriale).

Ma questa volta non saranno tessili, macchine o veicoli e nemmeno armi, il prodotto sarà costituito degli stessi esseri umani.

Stiamo fondamentalmente imparando a produrre corpi e menti.

Corpi e menti saranno i due prodotti principali della prossima ondata di cambiamenti.

 Il divario tra quelli che producono corpi e menti e quelli che non lo fanno sarà il più grande di tutte le altre che abbiamo visto prima nella storia.

Questa volta, chi non farà parte della rivoluzione abbastanza velocemente, allora probabilmente si estinguerà.

Una volta che si saprà come produrre corpi, cervelli e menti, la manodopera a basso costo in Africa o in sud Asia o dovunque sia, non conterà semplicemente nulla.

 Ancora una volta, credo che la domanda più grande da porsi in economia e in politica dei prossimi decenni sarà cosa fare con tutte queste persone inutili.

Perché non credo che abbiamo un modello economico per risolvere questo.

 La mia migliore ipotesi, che è solo una opinione, è che il cibo non sarà un problema con questo tipo di tecnologia (insetti e cibi industriali).

 Il problema è sempre cosa fare con loro (persone inutili) e come troveranno un senso di significato nella vita, quando sono fondamentalmente senza senso e senza valore.

La mia ipotesi migliore al momento è una combinazione di droghe e giochi per computer”.(youtube.com/watch?v=Ex3_brOUdpA).

Harari non è, come alcuni potrebbero pensare, una scheggia impazzita.

 Per i davosiani è il saggio per eccellenza.

Tutti gli affiliati al WEF condividono lo stesso programma, da Bill Gates ai Rockefeller, dai Rothschild ai fondatori di banche di investimento, da George Soros e ai maggiori politici del pianeta, esclusi i governi dei paesi che costituiscono il BRICS, almeno per ora.

Concludo.

 Durante il summit di Davos, qualcuno in rete ha commentato: speriamo che un grosso asteroide colpisca tutti i presenti.

(Agostino Nobile)

 

 

 

La pandemia è un'occasione

per rovesciare le gerarchie di potere

nelle nostre case.

 Euronews.com – (25/03/2021) - Lorenzo Gasparrini – ci dice:

(L'editoriale dell'autore Lorenzo Gasparrini per il progetto #CryLikeABoy)

 

In ogni ambiente di vita sono presenti delle gerarchie di potere; può essere qualcosa di poco piacevole da ricordare ma le società umane molto raramente prevedono luoghi liberi da queste gerarchie.

Anche la casa è un luogo di potere, e tradizionalmente è gestita da una figura femminile, da un ruolo femminile al quale sono affidate le mansioni di cura;

il ruolo maschile è invece riconosciuto nel mantenere e proteggere quel luogo.

L’emergenza pandemica ha fortemente stressato questa situazione tradizionale.

Quando per gli abitanti di una casa è impossibile uscire, svolgere le loro attività in altri luoghi, è necessaria una redistribuzione attenta di tempi, spazi e poteri di agire perché la situazione si è fatta estremamente più complicata della “normalità”.

Lo stesso luogo deve necessariamente trasformarsi in postazione di lavoro e in luogo di relax e disimpegno - e non sempre è facilmente possibile;

in più, gli spazi solitamente condivisi per pochi momenti al giorno ora sono da convivere tutto il giorno.

 Eppure, l’inerzia dei ruoli di genere tradizionali tende a far rimanere la gestione degli stessi nelle mani della stessa persona, soprattutto per i compiti meno gradevoli come le pulizie o l’alimentazione.

Come ormai un anno di esperienze ci hanno testimoniato e comprovato, in media l’uomo è meno preparato a questo cambiamento, mentre la donna, purtroppo per lei, è ben più allenata al carico mentale necessario a muoversi tra diversi compiti e responsabilità.

Quello a cui nessuno dei due - o più abitanti della casa - è abituato, è la gestione del conflitto di potere che inevitabilmente si crea.

Il ruolo del bread winner viene fortemente minato dall’obbligo del lavoro a casa, perché in casa è molto più complicato dimostrare a colleghi e colleghe di lavoro il proprio ruolo:

non ci sono l’ufficio, lo spazio comune diviso per ambiti e settori, la divisa, la simbologia codificata a ricordare una gerarchia.

Questa si è smaterializzata in un contatto digitale molto più complesso da gestire, basato in parte sulla memoria delle precedenti esperienze e ora collocato in linguaggi più astratti e in comunicazioni più complesse e strutturate.

 Queste ultime potrebbero essere, per chi è abituato a un comando gestuale, diretto, vocale e molto “corporeo”, una vera fonte di frustrazione.

Questa posizione dominante, nell’ambito delle relazioni familiari, si complica.

La figura del lavoratore è realizzata soprattutto attraverso il gesto dell’ “uscire di casa”;

rimanere tra le mura domestiche davanti a uno schermo è qualcosa di gestualmente simile a un’attività ludica, a un passatempo, non a un lavoro.

Questa simbologia colpisce gli altri abitanti della casa, che vedono fortemente depotenziato un ruolo abitualmente svolto fuori, avvolto da quell’aura misteriosa ma abituale che è diventata luogo comune: “com’è andata al lavoro, oggi?”

È una conversazione, un inizio di contatto umano, difficile da riproporre a chi è stato sotto i nostri occhi tutto il giorno a “lavorare”.

Sempre che un lavoro, questo bread winner, lo abbia ancora.

Alle altre figure presenti in casa, spesso loro malgrado, la situazione non va in maniera migliore.

Statistiche inquietanti raccontano che quasi sicuramente la parte femminile del nucleo familiare ha perso il lavoro, se lo aveva, o se l’è visto fortemente ridotto, e deve sobbarcarsi la gestione di una casa più abitata - quindi più sporca, più usata, più affamata - e degli altri abitanti che accumulano nello stesso luogo domestico le loro difficoltà:

una scuola chiusa, un “parcheggio” ospitale per i più piccoli che ora non può erogare il suo servizio, mansioni di cura e accudimento improvvisamente aumentate esponenzialmente, libertà e relazioni affettive compromesse.

Il tasso di stress generale sale rapidamente a livelli altissimi, e la sola idea di cercare valvole di sfogo alternative a quelle solite - non si può uscire, non ci sono sport e palestre disponibili - suona come un ulteriore impegno insopportabile.

I vecchi ruoli della casa non hanno più senso di esistere.

Nel microcosmo domestico diventato più popolato, più rumoroso, più stretto, più sporco, i ruoli che ciascuno aveva “prima” non hanno alcun senso né motivo di sussistere.

Però essi conferivano all’identità di ciascun abitante della casa una posizione gerarchica precisa; elastica e criticabile, sicuramente, ma definita.

Questi confini non contengono più, queste linee di rispetto sono saltate, energie prima contenute e controllate circolano liberamente.

Evitare il conflitto richiamandosi alle rigidità dei ruoli non è gestire il conflitto, è comprimerlo, rischiando di farlo esplodere.

Gestire il conflitto significa prima di tutto riconoscerlo come inevitabile, quindi essere pronti e pronte a ridiscutere quei ruoli tipicamente associati al genere, ridisegnarne i limiti, riorganizzare i compiti e la coabitazione.

Se lo spazio diventa più comune, deve diventare più comune il linguaggio, verbale e corporeo, con il quale vivere quello spazio.

Cosa fare?

Non smetto di essere un uomo o una donna cambiando quelle abitudini che credo essere la mia identità.

Vanno riconosciuti da parte di tutti e tutte i condizionamenti e le pressioni vecchie e nuove, e ridiscussi in modo da non gravare ingiustamente solo su qualcuno o qualcuna, in modo da non danneggiare solo uno o una delle vite con le quali condividiamo un tempo costretto e ristretto.

Questo non ci rende meno uomini o meno donne.

Culture diverse avranno a disposizione soluzioni diverse, per gli effetti differenti che la pandemia ha avuto in ciascuna specificità sociale;

ma non si può comunque resistere sconsideratamente nel mantenere i ruoli di genere tradizionali.

Se già erano ampiamente criticabili in un “prima”, che non tornerà, a maggior ragione sono insensati in un “ora” incerto e destabilizzante, e inutili per un “dopo” da re- immaginare e da ricostruire necessariamente diverso.

Le risorse per questa riconfigurazione, per questa ridiscussione delle identità di genere, ci sono, e non da poco tempo;

parafrasando un noto slogan politico, non c’è miglior momento di questo per divulgarle, metterle all’opera, renderle patrimonio comune di una collettività.

(Lorenzo Gasparrini)

 

 

 

 

Verso un Summit non inclusivo, diretto

dal potere globale e dalle élite finanziarie.

Ecor.network – Alex – (20 settembre 2021) – ci dice:

(UN Food Systems Summit 2021 - La Via Campesina)

Avrà inizio il 23 settembre a New York il Vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari (UNFSS21), un summit originato dalla partnership tra le Nazioni Unite e il World Economic Forum (WFE).

Apparentemente è una collaborazione bizzarra quella che accomuna l'organizzazione che rappresenta (nelle retoriche) i popoli del mondo, e il forum delle élites più ricche del pianeta.

Il World Economic Forum (o Forum di Davos) è infatti una fondazione con sede in Svizzera che annovera fra i suoi membri un migliaio di multinazionali, in genere corporations con fatturato superiore ai 5 miliardi di euro.

Siede nel suo consiglio di amministrazione una schiera di multimiliardari provenienti dall'industria (Nestlè, Roche, African Rainbow Minerals, Siemens, Philips, Unilever) dalla finanza (Black Rock, Goldman Sachs, Sberbank, Carlyle), esponenti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea - la stessa Christine Lagard - di governi e istituti di ricerca economico/finanziaria.

Dalle sue origini nel 1971, il World Economic Forum si è andato sempre più posizionando come centro di elaborazione politica ad uso e consumo del capitalismo mondiale, come ambito di cooptazione dei decisori politici e di esercizio di influenza sulle agende dei governi e delle istituzioni internazionali.

La sua storia, per chi volesse approfondire, è stata ampiamente dettagliata dal “Transnational Institute” in "World Economic Forum: a history and analysis", e su ECN, in questo profilo del suo fondatore, Klaus Schwab:

"Il dr. Schwab e il suo Forum Economico Mondiale".

Una storia ben conosciuta dai movimenti contro la globalizzazione neoliberista che circa vent'anni fa contestarono in massa il WEF a Davos e a Melbourne, affrontando cariche e arresti per respingere la cessione della governance mondiale al potere economico/finanziario, e le relative conseguenze sulle condizioni di vita per milioni di persone, in termini di licenziamenti, deregulation del lavoro, privatizzazioni, depotenziamento dei servizi pubblici essenziali.

Vent'anni dopo, citando il TNI, il World Economic Forum "è sempre più il luogo in cui vengono prese decisioni globali e inoltre sta diventando la forma predefinita di governance globale.

Ci sono prove considerevoli che in passato il WEF abbia promosso accordi di libero scambio come il NAFTA ed abbia anche contribuito a frenare la regolamentazione di Wall Street all'indomani della crisi finanziaria.

Meno noto è il fatto che il WEF dal 2009 stia lavorando a un ambizioso progetto chiamato “Global Redesign Iniziative “(GRI), che propone nei fatti una transizione dal processo decisionale intergovernativo verso un sistema di governance multi-stakeholder.

In altre parole, di nascosto, stanno marginalizzando un modello riconosciuto dove votiamo governi che poi negoziano trattati che vengono poi ratificati dai nostri rappresentanti eletti, con un modello in cui un gruppo auto-selezionato di "stakeholder" [portatori di interessi] prende decisioni per nostro conto".

Evidentemente, per quanto i nostri rappresentanti eletti abbiano da sempre ratificato ogni tipo di porcheria, il capitalismo sembra ogni giorno di più volerne, e poterne, fare a meno.

Gli estensori della “Global Redesign Initiative” affermano che "gli stati nazione e le strutture intergovernative continueranno a svolgere un ruolo centrale nel processo decisionale globale. Ma devono essere adattati alle esigenze e condizioni odierne se desiderano preservare la loro efficacia e legittimità.

Il primo passo è che i governi e le organizzazioni internazionali si concepiscano più esplicitamente come costituenti parte di un sistema di cooperazione globale molto più ampio, che ha il potenziale per superare i limiti di scala, informazione e coerenza di cui attualmente soffrono.

In effetti, dovrebbero lavorare deliberatamente per coltivare un tale sistema ancorando la preparazione e l'attuazione delle loro decisioni più profondamente nei processi di interazione con reti multistakeholder interdisciplinari di esperti e attori rilevanti".

In pratica, gli Stati e le organizzazioni internazionali dovrebbero considerare i "portatori di interessi" privati, gli "attori rilevanti" e le loro reti, come fossero loro pari e integrarli a pieno titolo nei propri processi decisionali, perché è da loro, e non dalle popolazioni che dovrebbero rappresentare, che deriva la legittimazione (dove quel "se desiderano preservare la loro efficacia e legittimità" pare sottendere una sottile minaccia).

Nell'ambito di questa tendenza alla trasformazione anche formale (dopo quella sostanziale) dei governi e delle organizzazioni internazionali in appendici delle multinazionali, rientra pienamente anche l'accordo siglato nel 2019 dall'ONU, a firma del Segretario Generale António Guterres, e il World Economic Forum.

Una sostanziale "corporate capture" dell'organizzazione intergovernativa più grande del mondo da parte di interessi privati, contestata a suo tempo da centinaia di organizzazioni di base perché delegittimante per le Nazioni Unite e perché fornisce alle multinazionali un accesso preferenziale al Sistema ONU.

Oltre ad occuparsi della riforma delle Nazioni Unite e del sistema internazionale, la “Global Redesign Initiative del World Economic Forum “definisce l'agenda globale da dettare alle istituzioni pubbliche per una infinità di settori, quali sistemi educativi, welfare, sanità, lavoro, demografia, energia, alimentazione, commercio, flussi finanziari, sistema monetario internazionale, corruzione, sistema legale, terrorismo, crisi climatica, ecc.

Un'agenda specifica del capitale per ogni ambito della società, dell'economia e della funzione pubblica.

Ce n'è una, ovviamente, anche per l'agricoltura e la produzione di cibo, che definisce le linee della “Global Food, Agriculture and Nutrition Redesign Initiative” (GFANRI), l'iniziativa istituita nel 2010 dal World Economic Forum per affrontare il dramma della fame e della malnutrizione attraverso nuove versioni di vecchie devastanti politiche.

Le stesse che quella fame e malnutrizione hanno pesantemente contribuito a generare.

L'iniziativa promuove la sinergia fra vari "portatori di interesse" (stakeholders), a partire da i monopoli delle sementi, dei fertilizzanti, dei pesticidi, e della nutrizione: Monsanto, Syngenta, Bunge, Kraft, Coca Cola, PepsiCo, Yara, ADM, Pioneer, Unilever, Kraft, Nestlé, SAB Miller.

La rete delle sinergie si estende alle agenzie pubbliche come l'USAID - da sempre veicolo per politiche imperialiste degli Stati Uniti, la penetrazione dei loro interessi all'estero e la destabilizzazione dei governi sgraditi - o come la NEPAD, un programma di sviluppo dell'Unione Africana contestato dai movimenti di base per le sue connotazioni neoliberiste e anti democratiche.

"Questi organismi multi-stakeholder sostengono politiche basate sulla convinzione che la liberalizzazione del commercio internazionale possa garantire la sicurezza alimentare e nutrizionale (FNS) globale e nazionale senza bisogno di una specifica governance.

Ignorano puntualmente l'impatto dell'aggiustamento strutturale, le condizioni commerciali internazionali totalmente ingiuste imposte dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea (UE) e il ruolo delle politiche neoliberiste nel minare la sicurezza alimentare".

Producono direttamente l'insicurezza alimentare, promuovendo - come postula la “Global Redesign Initiative” - l'uso di "tecnologie emergenti", cioè i pacchetti tecnologici (comprese colture OGM) che rendono i contadini sempre più dipendenti e indebitati, avvelenano suoli e acque, distruggono biodiversità agricola, salute umana e sovranità alimentare.

È in queste mani che l'attuale segreteria dell'ONU ha posto un vertice dove si andranno a disegnare le linee di governance per la nutrizione delle popolazioni del pianeta.

Pubblichiamo di seguito parte del position paper di La Via Campesina sul carattere antidemocratico dell’UNFSS - che ha escluso dalla partecipazione le organizzazioni dei piccoli produttori di cibo, della società civile e dei popoli indigeni - e sul progressivo scivolamento delle agenzie dell'ONU verso legami sempre più stretti con le compagnie transnazionali.

(Alexik, per Ecor.Network)

Un summit sotto assedio!

Position paper sul Food Systems Summit dell’ONU 2021.

“La Via Campesina”, dicembre 2020, pp.12.

Annunciato nel dicembre 2019, l' “UN Food Systems Summit 2021” ha gli obiettivi dichiarati di massimizzare i benefici che un approccio olistico ai sistemi alimentari possa apportare all’intera Agenda 2030, affrontare le sfide del cambiamento climatico, rendere i sistemi alimentari inclusivi e sostenere una pace sostenibile.

Tuttavia, sin dal principio il processo dell’”UNFSS21” è stato caratterizzato dalla sua opacità e dall’assenza di inclusività.

In passato, la FAO convocò i Summit mondiali sul cibo (World Food Summit, WFS) – nel 1996 e nel 2002 – seguendo esplicite indicazioni dei governi membri.

Questi summit precedenti videro anche una partecipazione attiva – e pienamente sostenuta – della Società Civile attraverso forum paralleli autonomi e auto-organizzati.

Invece, l’UNFSS21 non ha ricevuto alcun mandato derivato da una decisione o da un processo intergovernativo.

Al contrario, la decisione di organizzarlo è stata presa dal Segretario Generale dell’ONU, in risposta a una richiesta fatta dal World Economic Forum, che è una organizzazione del settore privato che rappresenta gli interessi globali delle corporation.

Esso ha poi ottenuto il supporto cruciale di pochi stati membri potenti mentre alcune tra le più grandi organizzazioni “filantro-capitaliste” si sono promosse come sponsor dell’evento.

Anche se il Segretariato dell’UNFSS21 ha sostenuto che questo “sarà il summit più aperto di sempre”, la governance del Summit rimane invece saldamente nelle mani di un pugno di grandi corporation internazionali.

“Esperti” conosciuti come strenui difensori dell’agricoltura industriale e alcuni Stati, gli stessi in cui hanno sede molte di queste grandi corporation internazionali, ne stanno decidendo l’agenda!

Ai movimenti sociali è stato concesso solo lo spazio per partecipare a qualche consultazione, senza poter partecipare autonomamente ai processi decisionali.

Il segretariato dell’UNFSS21 ha consapevolmente deciso di non instaurare un dialogo con Movimenti Sociali o piattaforme organizzate, come LVC o l’IPC.

Al contrario, ha deciso di selezionare a suo piacimento singoli partecipanti da diverse organizzazioni.

Poche organizzazioni e individui sono stati convocati per partecipare agli organismi consultivi, mentre un numero crescente di persone vengono chiamate a partecipare in qualità di “padrini” (“champions”) dell’UNFSS21.

Non è stata mostrata alcuna preoccupazione di includere le organizzazioni dei piccoli produttori di cibo, della società civile e dei popoli indigeni in modo che la loro autonomia, auto-organizzazione e auto-determinazione fossero rispettate.

Nell’ottobre 2020, il Meccanismo della Società Civile (CSM) ha lanciato un appello pubblico a impegnarsi in risposta all’UNFSS21, denunciando la sua non inclusività e invitando movimenti e organizzazioni che si occupano di cibo a unire i propri sforzi per costruire un processo collettivo che possa sfidare il Summit.

Un mese dopo, e quasi un anno dopo l’annuncio del Summit, il “Presidente del Comitato sulla Sicurezza Alimentare Mondiale” (CFS) fu invitato a unirsi al comitato consultivo.

Contestualmente, un invito ha anche prospettato la partecipazione del Meccanismo della Società Civile (CSM) nelle “Action Tracks” – consultazioni tra gli stakeholders attorno agli obiettivi del Summit.

Nonostante questi inviti tardivi, il ruolo del CFS come la principale piattaforma politica internazionale e intergovernativa (e della FAO come agenzia chiave nell’implementazione delle politiche) sulle questioni legate al cibo continua a essere indebolito.

L’idea che un gruppo ristretto di cosiddetti “esperti” debba essere al timone dei processi di deliberazione delle politiche sul sistema alimentare globale è del tutto antidemocratica.

Tale idea è stata già respinta unanimemente e rimpiazzata dal CFS riformato.

L’attuale traiettoria dei processi di costruzione del Summit permette alle élite del potere globale e specialmente al settore privato di legittimarsi ancora una volta come gli architetti del futuro del nostro sistema alimentare, usando le loro braccia transnazionali private per continuare ad accumulare capitale e distruggere il pianeta.

 

Si sta dando all’agribusiness campo libero per dare forma al futuro dei nostri sistemi alimentari, offrendo alle grandi multinazionali la copertura di politiche pubbliche antidemocratiche.

Per questo, non possiamo considerare l’UNFSS21 come uno spazio governativo multilaterale legittimo che permetta la partecipazione autonoma della Società Civile.

Il processo verso l’UNFSS21, inoltre, mostra chiaramente come le corporation stiano ulteriormente aumentando il proprio potere di controllo di alcune importanti strutture dell’ONU.

NOI VOGLIAMO POLITICHE SUL CIBO CHE SIANO LIBERE DAL CONTROLLO DELLE CORPORATION!

Per più di due decenni,” La Via Campesina”, assieme ad altri movimenti sociali e organizzazioni della società civile, ha mostrato i rischi del controllo sui sistemi alimentari da parte delle corporation a tutti i livelli.

Ora esprimiamo le nostre preoccupazioni rispetto ai processi legati all’UNFSS21.

Ci sono indicazioni chiare che gli interessi delle corporation controlleranno il Summit, come è evidente dal fatto che esso nasce da una partnership tra il World Economic Forum (WEF) e il Segretario Generale dell’ONU.

Queste preoccupazioni sono ulteriormente aumentate in seguito alle nostre discussioni con l’Inviata Speciale (Special Envoy) del Segretario Generale dell’ONU per la supervisione del Summit, la dottoressa Agnes Kalibata, cioè l’attuale presidente della “Alleanza per una Rivoluzione Verde in Africa” (Alliance for a Green Revolution in Africa, AGRA), che è stata al centro di controversie tra i movimenti sociali e la società civile in Africa e altrove sin dalla sua costituzione.

In Africa uno studio recente ha rivelato il fallimento catastrofico del piano continentale di AGRA per porre fine alla fame attraverso un cambiamento aggressivo dei sistemi agricoli africani verso modelli agricoli industriali e fondati sull’uso di agrotossici.

 A nostro avviso, la nomina della dottoressa Agnes Kalibata come Inviata Speciale per il Summit mostra quanto gli interessi delle corporation multinazionali controllino il “Summit” e rafforzino ulteriormente il loro potere di influenza sulle politiche pubbliche e sulla governance del sistema alimentare globale.

Crediamo sia essenziale opporsi alla cattura dei sistemi alimentari da parte delle corporation perché l’agrobusiness globale promuove la sottomissione dei sistemi di produzione e distribuzione di cibo ai paradigmi della finanza e del mercato.

Questa logica ha causato la crisi alimentare del 2008 e ha continuato a produrre un impatto negativo per i piccoli produttori di cibo e, in generale, i popoli, in tutto il mondo.

Oggi, un ristretto gruppo di corporation ambisce a controllare i dati, i terreni agricoli, l’acqua, i semi e altre risorse, e attraverso tutto questo a controllare i nostri sistemi alimentari per ottenere profitto privato e arrivare ad un dominio globale.

Le loro pratiche distruttive includono l’accaparramento di terre su larga scala, la concentrazione e privatizzazione della terra, dell’acqua e di altre risorse, la produzione industrializzata in agricoltura, nella pesca e nell’allevamento, il super sfruttamento della natura (incluso lo sfruttamento degli esseri umani), l’uso autocratico e avido delle nuove tecnologie e l’implementazione di grandi opere infrastrutturali basate su investimenti esteri diretti e su un insostenibile debito pubblico.

Questa morsa delle corporation si è espansa nei luoghi della politica internazionale, continentale e nazionale, e ha continuato incessantemente a provare ad accrescere la propria influenza all’interno del sistema dell’ONU.

L’accordo di partnership tra il WEF e l’ONU firmato nel 2019 ha di fatto garantito alle corporation transnazionali un accesso preferenziale e ossequioso al sistema delle Nazioni Unite.

Questa partnership, denunciata da LVC e da altre organizzazioni, ha fatto nascere serie preoccupazioni rispetto all’integrità delle Nazioni Unite come sistema multilaterale e alla sua indipendenza e imparzialità, specialmente per quanto concerne la protezione e promozione dei diritti umani.

Inoltre, molte agenzie dell’ONU, tra cui l’UNICEF, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (United Nations Development Program, UNDP), l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNESCO hanno dato vita a partnership con grandi imprese transnazionali (Transnational companies, TNCs);

allo stesso tempo, tali organizzazioni non stanno facendo abbastanza per frenare l’impunità delle TNCs.

Il risultato è che vediamo un numero sempre maggiore di politiche dell’ONU che mettono gli interessi e le speculazioni private al di sopra degli interessi pubblici.

 

 

 

Lo Scontro fra Occidente e Russia

diventa Esistenziale ed Ideologico.

 

Conoscenzealconfine.it – (10 Marzo 2023) -  Luciano Lago – ci dice:

 

La Russia di Putin è consapevole che quella che si sta conducendo in Ucraina è una lotta definitiva, poiché l’élite statunitense è disposta a tutto pur di perseguire il suo obiettivo di distruzione della Russia come stato e come civiltà.

 

Come altre volte abbiamo sostenuto, il conflitto in atto in Europa, combattuto sul suolo dell’Ucraina, è molto più che un conflitto di carattere geopolitico combattuto per gli interessi delle superpotenze:

da una parte la NATO, quale braccio militare dell’egemonia USA che sostiene l’esercito ucraino, dall’altra la Russia.

Una guerra per procura che vuole la distruzione dell’avversario come esito finale.

In realtà, lo scontro si sta allargando fra quanti paesi hanno aderito alle pressioni di Washington per l’invio di armi ed istruttori militari in Ucraina e gli altri paesi, la maggioranza del sud del mondo, che rifiutano le sanzioni alla Russia e si sono schierate per la neutralità o per il sostegno a Mosca.

La Russia di Putin è consapevole che quella che si sta conducendo in Ucraina è una lotta definitiva, a motivo della radicale ostilità russo fobica della élite statunitense che è disposta a tutto pur di perseguire il suo obiettivo di distruzione della Russia come stato e come civiltà.

Da tempo quella che era definita una “operazione speciale militare”, da offensiva regionale per rispondere ad una minaccia dell’Ucraina (possibile ingresso nella NATO ed attacco alla Crimea), si è trasformata presto per la Russia in una guerra esistenziale, visto l’appoggio massiccio dell’occidente globalista e liberale coalizzato contro la Russia.

Il conflitto è cambiato radicalmente, dopo sei mesi circa, in una guerra a tutto campo, una guerra di civiltà tra il liberalismo occidentale globalista, trans gender, anti umanista, contro la Russia che rappresenta un diverso tipo di civiltà, legata alle sue radici tradizionali, spirituali, anti progressista e antagonista della visione globalista e transumanista dell’occidente.

La deriva dell’Occidente post-cristiano si basa sulla disumanizzazione dell’uomo, sul primato della pseudo scienza, essendo questa la peculiare caratteristica della ideologia liberal globalista dominante in occidente. Questa è una vera sfida sia per i valori religiosi che per i valori dell’umanesimo secolare.

I russi in questo frangente si propongono come difensori della tradizione e dell’identità e avversano l’ideologia occidentalista che viene vista come una patologia diabolica;

infatti questa in occidente costituisce la base di una nuova religione, una dittatura anticristiana che tende a perseguitare ed emarginare coloro che non sono d’accordo.

Tuttavia, nel perseguire questo percorso, le stesse élite occidentali si sono condannate all’isolamento rispetto ad un maggior numero di paesi che condannano questa ideologia come perversione, dall’India alla Cina, ai paesi islamici ed a quelli africani.

La Russia quindi, impersonando la difesa della tradizione e delle leggi naturali, non è sola ma ha assunto un ruolo guida e si trova ad avere l’appoggio di molti altri paesi che sono la maggioranza del mondo.

Questa è la forza ideologica che può essere trascinante per erigere un cordone sanitario attorno alle società occidentali intrise della ideologia liberal globalista che, anche nel resto del mondo, viene propagandata dalle centrali USA e dalle ONG infiltrate e collegate a questi.

Il presidente Putin ha compreso la grande forza che può acquisire la Russia come capofila di una crociata anti occidentale e nei suoi discorsi emerge questa consapevolezza.

Non soltanto una alternativa geopolitica ma anche una visione ideologica contrapposta a quella occidentale e anglosassone che può trovare sostenitori anche nella stessa Europa, in coloro che non sono mentalmente asserviti al vassallaggio politico e culturale americano.

Ne consegue che la vittoria della Russia potrebbe rappresentare una vera svolta per tutti quelli che aspirano ad un mondo multipolare non più dominato dalle strutture di potere politico, finanziario, militare ed ideologico dell’occidente a guida USA.

Questo spiega il favore con cui molti paesi si avvicinano ai nuovi blocchi come i BRICS e l’”accordo di Shangai”, dove non ci sono paesi dominatori ma tutti sono soci nella cooperazione e nello sviluppo.

In definitiva la Russia si batte per la instaurazione di un nuovo ordine multipolare non più dominato dall’occidente globalista.

Washington, Londra e Bruxelles hanno avvertito il pericolo e cercano a tutti i costi di arginare questa trasformazione dell’ordine globale.

Lo scontro si è fatto esiziale per entrambe le parti.

(Luciano Lago)

(controinformazione.info/lo-scontro-fra-occidente-e-russia-diventa-esistenziale-ed-ideologico/)

 

 

 

Costruzione della realtà:

via americana al dominio.

Micromega.net - Pierfranco Pellizzetti – (12 Dicembre 2022) ci dice:

 

Dalla comparazione di questi due saggi ricaviamo una puntuale conferma:

 la svalutazione in corso del principio illuministico di verità (l’antica parresia greca che Michel Foucault propugnava come “il dire la verità che funge da antidoto ai giochi di potere” ), da parte dell’Occidente americanizzato, quale ci giunge dal recentissimo saggio di Ganser.

“I termini della politica vanno considerati non solo strumenti ma poste in gioco. Quando nel Settecento Voltaire e Diderot si impossessarono della luce (si definirono illuministi) e relegarono gli avversari nell’oscurità, avevano già vinto”

(Marco D’Eramo)

“Una caratteristica duratura della politica americana ha spesso visto politici appartenenti alle classi superiori sfruttare l’energia dei ceti inferiori per perseguire i propri scopi”.

“Howard Zinn”

(George Lakoff, Non pensare all’elefante! Chiarelettere, Milano 2022)

(Daniele Ganser, Le guerre illegali della Nato, Fazi, Roma 2022)

Dove tutto inizia.

Quale punto di contatto può esserci tra uno spiritoso pamphlet, datato 2004, sull’uso imbonitorio del linguaggio di partito (il sottotitolo reca la dicitura “come riprendersi il discorso politico”)), opera del linguista Lakoff che vive e insegna in California, e un recentissimo saggio storico, serio e rigoroso quanto può esserlo un accademico svizzero quale Ganser, docente dell’università di San Gallo?

Anticipiamo un embrione di risposta osservando che entrambi i testi hanno a che fare con il potere, in base a modalità largamente influenzate da un proto-paradigma settecentesco escogitato tra “le maestose sequoie del New England”. Insomma, roba americana.

Con le parole di Howard Zinn, storico radicale dell’Università di Boston, “intorno al 1776 alcuni personaggi eminenti delle colonie inglesi fecero una scoperta che si sarebbe dimostrata enormemente utile per i successivi duecento anni.

Capirono che creando una nazione, un’unità di diritto chiamata Stati Uniti, potevano impadronirsi della terra, dei profitti e del potere politico sottraendolo ai favoriti dell’Impero.

 Allo stesso tempo avrebbero potuto prevenire una serie di rivolte potenziali e creare un consenso, un sostegno popolare intorno al governo di un nuovo gruppo dirigente privilegiato”.

Ossia il sistema di controllo più efficace della modernità, a dimostrazione dei vantaggi che si ottengono associando il paternalismo al comando.

E la scoperta di cui si parla è la malleabilità delle scelte collettive attraverso un abile utilizzo delle metafore a scopo di consenso.

 Ciò significa, creando “codici mentali che determinano la nostra visione del mondo e di conseguenza i nostri obiettivi” (G.L. pag. 6); Lakoff li chiama frame.

Il metodo messo a punto due secoli e mezzo fa è quello del dirottamento dei risentimenti popolari verso bersagli diversivi (i nativi, le giubbe rosse di re Giorgio…) da virare a guerre tra poveri (proletari bianchi vs. schiavi negri, poi immigrati latinos).

Nate durante la guerra di liberazione coloniale chiamata “rivoluzione americana”, queste pratiche manipolative verranno recepite nel secolo successivo dalla nascente business community.

 L’obiettivo era quello di orientare al consumo il comportamento di massa.

E convertire gli americani dalla psicologia della sobrietà a quella della spesa non fu un compito facile, come osservava il presidente della Foundation on Economic Trends di Washington Jeremy Rifkin:

“l’etica protestante del lavoro, che dominava lo spirito della frontiera americana, aveva radici molto profonde.

 La parsimonia e il risparmio erano le chiavi di volta dello stile di vita americano, elementi fondanti della tradizione yankee. […]

La comunità degli affari si diede il compito di cambiare radicalmente la psicologia che aveva costruito la nazione, con l’obiettivo di trasformare gli americani da investitori nel futuro a consumatori nel presente”.

Anni prima John Kenneth Galbraith aveva sintetizzato la faccenda osservando che la nuova missione dell’attività d’impresa sarebbe “creare i bisogni che vuole soddisfare”.

Ma sono le guerre novecentesche a dare un’accelerazione parossistica alle ricerche sulla manipolazione delle mentalità, fino a trasformarla in lavaggio del cervello di massa attraverso una serie di programmi pensati per predire, controllare e modificare il comportamento umano.

Opera in cui si distinse la CIA diretta da Allen Dulles.

Come ricostruisce la sociologa di Harvard Soshana Zuboff:

“Dulles fece in modo che la CIA si affrettasse a studiare e sviluppare sistemi di ‘controllo della mente’, dalla de-programmazione alla riscrittura della psiche di un individuo, per poter dare forma a mentalità e azioni di un’intera nazione. […]

Gran parte del lavoro fu parte del progetto segretissimo MKUltra della CIA, incaricato di ‘ricercare e sviluppare materiali chimici, biologici e radiologici che possano essere impiegati in operazioni segrete di controllo del comportamento umano’”.

Ispiratore di queste ricerche, manipolative all’ennesima potenza, viene unanimemente indicato lo psicologo comportamentista Burrhus Frederic Skinner;

seguace di Ivan Pavlov, l’etologo russo scopritore del riflesso condizionato.

La sua utopia era quella di un ordine sociale le cui leggi derivano dalla scienza del comportamento.

 L’ipnotica disciplina sociale dell’alveare.

Studi liquidati senza esitazioni da Noam Chomsky:

“la scienza del comportamento umano di Skinner, per la sua vaghezza, va a genio tanto ai liberisti quanto ai fascisti”.

Ciò nonostante, costituiscono le linee guida di quanto la Zuboff definisce “capitalismo della sorveglianza:

l’uso di tecniche mentaliste come potere strumentalizzante per orientare le scelte; sia in materia di propensioni d’acquisto, sia in politica.

La metafora del padre severo e quella del genitore premuroso.

Questa idea di una società popolata da moltitudini di manipolabili a piacere – simil-zombi, resi tali mediante l’asportazione della capacità critica – giustifica la presunzione di indurne le scelte pigiando i giusti “tasti mentali” che attivano pavloviani riflessi condizionati.

 Assunto che Lakoff teorizza, seppure in maniera soft, applicandolo al caso americano:

 in politica i suoi compatrioti sarebbero rigorosamente (sconfortantemente) eterodiretti, secondo tendenze di chiara natura etologica che riducono a pura velleità ogni impegno per favorire processi di civilizzazione, di evoluzione della coscienza civica attraverso l’educazione democratica;

 secoli di lavorio illuministico di “rischiaramento delle coscienze”: la liberazione della ragione.

Propugnatore di una ingegneria del comportamento, Skinner sosteneva “che la conoscenza non ci rende liberi, bensì ci consente di privarci dell’illusione della libertà. In realtà, libertà e ignoranza sono sinonimi”.

E il potere strumentalizzante opererebbe per ridurre gli umani a una condizione animalesca – tipo formicaio o alveare – nella quale il comportamento viene privato di significato riflessivo.

Dunque, saremmo prigionieri di un mito illuministico che recita: “la verità rende liberi […]

 Ma le scienze cognitive ci hanno dimostrato che gli individui non ragionano così. Ragionano tramite frame” (G.L. pag. 35) Sicché, le visioni del mondo sono “determinate da circuiti neuronali all’interno del cervello” (G.L. pag. 87);

per cui il problema delle organizzazioni di partito è quello di mettere all’incasso in termine di voti tali tendenze innate, attivandone il giusto frame e incassandone il feedback, il riflesso condizionato.

 Altrimenti risulterebbe inspiegabile la ragione per cui “molte persone meno abbienti spesso votano misure che peggiorano la loro vita anziché migliorarla, e ciò accade perché l’incessante framing conservatore ha attivato una visione del mondo conservatrice anche in coloro le cui vite possono essere sostanzialmente rovinate da questi ideali” (G.L. pag. 104).

Operazione comunicativa per sfruttare a scopo di potere il condizionamento subliminale che – secondo Lakoff – i Repubblicani contemporanei padroneggerebbero assai meglio dei Democratici:

“le neuroscienze e le scienze cognitive hanno cambiato radicalmente la nostra idea di cosa sia la ragione e di cosa significhi essere razionali.

Sfortunatamente fin troppi progressisti si sono formati su una teoria della ragione falsa e obsoleta, in base alla quale il framing, il pensiero metaforico e l’emotività non influirebbero in alcun modo sulla razionalità” (G.L. pag. 10).

 Nella competizione tra due schemi mentali – come dire? – innati: quello repubblicano/conservatore del “padre severo” e quello democratico/progressista del “genitore premuroso”.

Il primo familismo esprime un’idea educativa, fondata sui presupposti che il mondo è un posto pericoloso perché fuori c’è il male, ci saranno sempre vincitori e vinti, esiste un bene assoluto (la tua famiglia-Patria) e un male assoluto (il nemico/canaglia).

 Dunque, “ben consapevole del legame che intercorre tra questo modello, la politica di destra, la religione evangelica, il liberismo economico e la politica neoconservatrice” (G.L. pag. 20).

Invece il format “premuroso” promuove l’assunto che “il mondo è un posto migliorabile ed è nostro dovere impegnarci a tale scopo” (G.L. pag. 28).

 Sicché i neuro-scienziati americani che studiano il discorso pubblico ci spiegano che la mentalità di destra ha come modello politico di riferimento il “padre severo”, che insegna ai propri figli a curare esclusivamente i propri interessi e mirare al successo; tenendosi lontani dai pietosi benefattori che con i loro programmi sociali “immorali”, in quanto rendono le persone dipendenti dagli aiuti, mandano letteralmente a rotoli il sistema.

La metafora del capitalismo fatta persona;

con allegata gerarchia:

Dio al di sopra dell’uomo, l’uomo al di sopra della natura, gli uomini al di sopra delle donne, i cristiani al di sopra dei non cristiani, i bianchi al di sopra dei non bianchi, gli eterosessuali al di sopra degli omosessuali, la cultura occidentale al di sopra di quelle non occidentali, il nostro Paese al di sopra di tutti gli altri (G.L. Pag. 27).

Dopo lo choc dell’11 settembre e il crollo della Torri Gemelle, Lakoff analizza l’utilizzo dei codici repubblicani come framing metaforico anche in politica estera:

“l’amministrazione Bush ha reagito agli attentati in perfetto stile conservatore, ovvero applicando rigidamente la morale del padre severo:

 se il mondo è pieno di malvagi a piede libero, il nostro compito è di mostrare i muscoli e farli fuori tutti” (pag. 165).

D’altro canto – commenta il linguista di Berkeley – “bombardare civili innocenti e distruggere le infrastrutture di un Paese è controproducente, oltre che immorale” (pag. 170);

giungendo così alla conclusione fatidica: “se gli Stati Uniti vogliono mettere fine al terrore, devono mettere fine anche al loro contributo al terrore” (pag. 175).

Chi è la vera canaglia?

La conclusione che ne discende è la puntuale conferma della svalutazione in corso del principio illuministico di verità (l’antica parresia greca che Michel Foucault propugnava come “il dire la verità che funge da antidoto ai giochi di potere”, da parte dell’Occidente americanizzato, quale ci giunge dal recentissimo saggio di Ganser.

Come ha scritto nella sua efficace prefazione il saggista Carlo Rovelli:

l’umanità ha fatto uno sforzo per fondare una legalità internazionale che riduca la catastrofe delle guerre, e chi maggiormente ha calpestato questa legalità internazionale è l’Occidente, dominato dagli Stati Uniti, che si è arrogato e si arroga oggi con la forza il diritto all’illegalità e all’impunità. […] È importante riconoscerlo e considerarne la rilevanza e le implicazioni, per due motivi, entrambi seri.

 Il primo è che in Occidente siamo quotidianamente immersi in una narrazione basata su un’impressionante ipocrisia.

Usiamo l’espressione “comunità internazionale” per designare i nostri interessi di parte, e ci raccontiamo l’un l’altro che noi occidentali siamo fautori della giustizia e della legalità, mentre qualunque Stato o organizzazione si venga a trovare in conflitto con l’Occidente, qualunque sia la sua politica o la sua ideologia, è comunque designato come “rogue state” (‘Stato criminale’) e accusato dal coro quasi unanime dei politici e dei media di essere illegale e delinquente.

La realtà, alla fredda prova dei fatti, è il contrario:

è l’Occidente, con il suo strapotere militare, a essere il più delle volte dalla parte dell’illegalità internazionale” (D.G. pag. 14).

Lo ribadisce il nostro autore, lo storico pacifista creatore e direttore dell’Istituto svizzero per la ricerca sulla pace e l’energia con sede a Basilea:

con la fondazione dell’ONU è entrato in vigore il divieto mondiale della guerra, eppure “negli ultimi settant’anni sono stati in massima parte i paesi Nato, la maggiore alleanza militare del mondo, guidata dagli Stati Uniti, ad avviare guerre illegali, riuscendo però sempre a farla franca. Gli Usa e la Nato sono un pericolo per la pace nel mondo” (D.G. Pag. 23).

Quell’alleanza atlantica che recentemente Lucio Caracciolo definiva “veste transatlantica dell’America-mondo”;

con un’opportuna considerazione riguardo alla condizione creatasi dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ripresa dal romanziere Le Carré:

“ora che sono l’unica superpotenza, gli Stati Uniti scopriranno che guerre altruistiche saranno parte del loro futuro”.

Per cui commenta:

“normale. Quando da ‘superpotenza unica’ – clamoroso ossimoro – ti identifichi con il mondo.

Doloroso, quando più combatti e più scopri che il mondo non si identifica con te.

Quale migliore definizione preventiva della ventennale ‘guerra al terrorismo’, monumento alla carenza di strategia che ha minato l’America post 1991, mono-potenza deprivata del Nemico suicida?

 Prologo della Guerra Grande fra Stati Uniti, Cina e Russia”.

Nel frattempo continua lo stillicidio bellico, per cui lo psicologo tedesco “Rainer Mansfeld

” “critica giustamente il fatto che nei paesi Nato si riflette poco sugli oltre 20 milioni di morti a partire dal 1945, la cui responsabilità ricade sugli USA” (D. G. pag. 53).

 Così come l’intera pubblica opinione occidentale neppure riflette sul silenzio sospetto dei mezzi di comunicazione di massa, persino sulle operazioni segrete e illegali come la creazione di reparti militari stay-behind predisposti per difendere i territori dei Paesi Nato in previsione di invasioni sovietiche.

 In Italia si trattava della “Operazione Gladio” (D.G, pag, 44).

Questioni spinose che il saggio espone con franchezza, ma anche con una punta di ingenuità.

Come la scoperta che gli Stati Uniti sarebbero diventati nel dopoguerra una oligarchia (D.G, pg, 54), quando la loro natura fin dalla nascita è quella di una “plutocrazia coloniale” – come ci ha spiegato l’opera di “Howard Zinn” qui già citata – e le classiche ricerche, risalenti a un quarto di secolo prima, di “Charles Wright Mills “sui “quattrocento metropolitani”: l’élite;

 il cui potere nasce in prevalenza dalle ricchezze accumulate: “con poche eccezioni, il denaro – il puro, semplice e volgare denaro – è sempre riuscito ad aprire tutte le porte nella società americana”.

Del resto, se vogliamo parlare di imperialismo americano è giocoforza notare che i suoi germi erano già rigogliosamente presenti nella Dottrina del presidente James Monroe (in carica dal 1817 al 1825) del “cortile di casa”, intesa come affermazione della supremazia degli Stati Uniti sul continente americano;

con il corollario della “politica del big stick” (il “grosso bastone”, inteso come intervento militare) teorizzato dal presidente Teddy Roosevelt (dal 1901 al 1909) a giustificazione dell’espansionismo stelle-e-strisce come epifania di un destino nazionale.

Una vocazione belligerante che indubbiamente ha subito un’accelerazione nell’ascesa a primi del mondo come delirio di onnipotenza americano, nel secondo dopoguerra;

che Ganser ricostruisce puntualmente a partire dal colpo di Stato, in combutta con l’MI6 britannico, contro il premier persiano Mohammad Mossadeq reo di voler assicurare al proprio popolo i benefici della rendita petrolifera.

Da qui la sequenza di interventi illegali: appunto, Iran 1953 e poi Guatemala 1954, Egitto 1956, Cuba 1961, Vietnam 1964, Nicaragua 1981, Serbia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Ucraina 2014, Yemen 2015 e – per concludere – la guerra ininterrotta contro la Siria di Assad.

Un quadro – quello tracciato dal saggio di “Daniele Ganser” – da cui emerge una tristissima verità:

La Nato non è un’organizzazione al servizio della pace nel mondo ma, al contrario, rappresenta un elemento destabilizzante” (D.G. pag. 525). E “anche la cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ è costellata da menzogne. […] È uno scontro sulle materie prime e per il predominio globale” (D.G. pag. 526).

 E questa ipocrisia menzognera sta producendo danni irreparabili all’intero apparato valoriale prodotto dalla civiltà occidentale nelle sue più nobili espressioni.

 Lo scrivevano già qualche anno fa due autorevoli politologi, quali “Stephen Holmes” e “Ivan Krastev”:

“i tentativi di salvare il buon nome della democrazia liberale evidenziandone gli aspetti positivi rispetto all’autocrazia non occidentale sono stati vanificati dall’incosciente violazione delle norme liberali. […]

Anche l’idea di una ‘società aperta’ ha perso il lustro di un tempo.

Oggi, per molti cittadini disincantati, l’apertura al mondo è causa più di inquietudine che di speranza”].

Mentre ancora varrebbero le parole preveggenti proferite da “Raymond Aron” cinquant’anni fa:

 “nell’umanità in via di unificazione, la disuguaglianza tra i popoli assume lo stesso significato che aveva un tempo la disparità tra le classi”.

In conclusione-

Sicché quanto si profilerebbe alla luce del combinato Lakoff-Ganser è l’imbarazzante constatazione per l’Occidente (nonostante le attuali, incessanti prolusioni di fede nell’Atlantismo da parte dell’establishment plutocratico e i suoi supporter politici) di essere immersi in una sorta di “Impero del falso”, che proprio per questo si avvia al tramonto.

Alla fine del “secolo americano”.

Mentre si sta delineando quanto nel pieno della Guerra Fredda (1955) i popoli del Terzo Mondo avevano denunciato nella conferenza di Bandung propugnando il non allineamento a quella alternativa paranoica prima ancora che ipocrita.

 Ciò che un grande osservatore del tempo – il giornalista francese Jean Daniel – avrebbe definito in un suo celebre saggio del 1979” L’ère des ruptures”, l’età delle rotture.

La rottura del patto su cui si era fondato a Occidente il matrimonio novecentesco tra capitalismo e democrazia, mettendo a repentaglio il bene prezioso della coesione sociale.

Avvisaglie della fine di una fase storica a centralità occidentale durata oltre mezzo millennio;

da quando – aggirando il blocco navale turco – giunse a Calcutta il vascello armato di Vasco de Gama, avviando il processo di espansione aggressiva attraverso una supremazia indiscussa sui mari.

Mentre ora cresce nel mondo occidentale una domanda lancinante: e dopo?

 Cosa ci aspetta alla fine dell’attuale declino-interregno?

Forse quel caos sistemico, quale terza ipotesi tra un Impero militarizzato e un mercato gravitante sul Far East, che “Giovanni Arrighi” prefigurava nel suo ultimo saggio-testamento.

 

 

 

LA RICERCA DEL DOMINIO MONDIALE

DELL’ EGEMONE USA

ATTRAVERSO LA FORZA BRUTA.

Controinformazione.info - REDAZIONE – (4 DICEMBRE 202)2 - Stephen Lendman – ci dice:

 

L’Atto finale di Helsinki del 1975 (accordi di Helsinki), concordato da 35 nazioni occidentali e dalla Russia sovietica, sull’astensione dall’uso della forza, sul rispetto dei diritti sovrani di tutte le nazioni e sulle questioni correlate avrebbe dovuto essere un passo importante verso la fine per sempre delle guerre in favore di una nuova era di pace e stabilità.

L’era di pace e stabilità che avrebbe potuto subentrare non si è mai attuata a causa della ricerca del dominio da parte dell’egemone USA, che si è adoperato per soggiogare la comunità mondiale delle nazioni alla sua volontà, compresi i suoi alleati.

Quando nel dicembre 1991 si conclusero decenni di Guerra Fredda, una possibilità di pace nel nostro tempo non fu raggiunta per lo stesso motivo.

Al culmine della fine della Guerra Fredda nel 1990, gli stati membri della NATO e del Trattato di Varsavia annunciarono la fine del confronto Est/Ovest.

Per come andarono le cose, i regimi occidentali egemoni dominati dagli Stati Uniti non avevano alcuna intenzione di mantenere il loro impegno in Europa o nel mondo.

Invece di attenersi ai principi dell’Atto Finale di Helsinki, le guerre eterne degli Stati Uniti e dell’Occidente sono continuate contro nemici inventati.

Invece di sciogliere la NATO in risposta alla fine del Trattato di Varsavia, l’alleanza bellica si è avvicinata sempre più ai confini della Russia.

Sergey Lavrov ha spiegato che il “famigerato ‘ordine basato su regole’ degli Stati Uniti egemoni ha messo radici in quell’epoca, aggiungendo:

 

Queste regole, senza alcuna motivazione valida, hanno giustificato lo smembramento, lo stupro e la distruzione dell’ex Jugoslavia negli anni ’90.

Dopo l’11 settembre, madre di tutte le false bandiere (false flags) sponsorizzate dalla élite dominante di Washington fino a quel momento, seguì la distruzione di Afghanistan, Yemen, Iraq, Libia e Siria, paesi che non erano una minaccia verso la sicurezza degli Stati Uniti e della NATO.

Iniziata nel 2014, non nel febbraio di quest’anno, la guerra in Ucraina è stata pianificata ed istigata negli Stati Uniti, non in Russia.

Tutte le guerre di sanzioni di cui sopra, fatte da USA e alleati occidentali, hanno violato in modo flagrante la lettera e lo spirito degli accordi di Helsinki.

“La Russia sperava che i principi di Helsinki potessero essere ripristinati”, ha spiegato Lavrov, aggiungendo:

“Abbiamo proposto di redigere un documento giuridicamente vincolante, una Carta dell’OSCE basata sull’Atto finale di Helsinki”.

“L’Occidente non ha accettato la nostra iniziativa”.

L’Egemone USA ha proibito ai suoi vassalli occidentali di adempiere ai principi del “Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa” (CFE).

Quella che doveva essere “la pietra angolare della sicurezza europea” non si è mai avverata.

L’impero della menzogna in seguito abbandonò i trattati ABM, INF e Open Skies. Tutti pezzi di carta senza valore per Washington.

La cosiddetta “Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa” (OSCE) si è trasformata in un ramo della macchina bellica della NATO. L’adozione della Carta per la sicurezza europea da parte dell’OSCE nel 1999 richiedeva che nessuno Stato membro perseguisse interessi di sicurezza a spese di altre nazioni.

Lavrov ha spiegato che “la Russia e le (nazioni) che la pensano allo stesso modo hanno adottato una dichiarazione, che (afferma) che la sicurezza deve essere uguale e indivisibile…”

“Gli stati dovrebbero essere liberi di scegliere alleanze a condizione che non cerchino di rafforzare la propria sicurezza indebolendo la sicurezza degli altri”.

“La formula cruciale è che nessuno stato o gruppo di stati ha il diritto di rivendicare la responsabilità preminente per la sicurezza nell’area euro-atlantica”.

Tuttavia, per tutta la sua esistenza, specialmente a partire dagli anni ’90, i regimi NATO dominati dagli Stati Uniti hanno violato praticamente tutto ciò su cui avevano formalmente concordato.

L’Atto istitutivo del 1997 sulle relazioni reciproche, la cooperazione e la sicurezza tra la NATO e la Federazione Russa richiedeva “un processo decisionale e un’azione congiunta (come) nucleo (principio) delle relazioni reciproche tra NATO e Russia”.

La NATO egemone dominata dagli USA si è impegnata a non dispiegare armi o truppe nucleari nei nuovi stati membri.

La Russia e la NATO si erano impegnate ad astenersi dall’uso della forza, nonché a rispettare la sovranità, i confini e l’integrità territoriale delle nazioni firmatarie dell’accordo.

Lavrov in precedenza ha criticato gli Stati Uniti per aver gravemente violato i principi del “Founding Act”, compresi i “tentativi ostili di cambiare l’equilibrio delle forze in Europa” nel perseguimento dei suoi obiettivi egemonici.

L’avanzata della NATO vicino ai confini della Russia ha ignorato la crescente minaccia di guerra tra le potenze nucleari dominanti nel mondo. Il primo segretario generale della NATO,” Hastings Ismay”, aveva affermato che lo scopo dell’alleanza è “tenere l’Unione Sovietica fuori (dall’Europa), gli americani dentro e i tedeschi sotto”.

Più o meno la stessa politica viene perseguita oggi, ha spiegato Lavrov, aggiornata per mantenere “l’intera Europa sottomessa” come vassalli asserviti agli interessi degli Stati Uniti.

Nel corso della sua storia, la NATO dominata dagli Stati Uniti ha privilegiato il confronto rispetto alle relazioni di cooperazione tra le nazioni.

L’alleanza bellica “porta devastazione e sofferenza alle nazioni” nella sua lista di obiettivi per il cambio di regime.

I 12 stati membri fondatori della NATO si sono allargati fino a 16 al momento dello scioglimento della Russia sovietica nel 1991. Tutti verso Est.

Oggi la Nato conta 30 membri, a cui presto si aggiungeranno Finlandia e Svezia, 37 partner e cerca di espandersi in Asia in vista del confronto con la Cina.

Le esercitazioni militari dell’Alleanza vicino ai confini della Russia sono le prove per fare la guerra.

Nel dicembre 2021, il regime di Biden ha respinto le proposte di sicurezza in buona fede della Russia.

I russi avevano chiesto di astenersi dal dispiegare armi nucleari e di altro tipo nell’Europa orientale – da parte della NATO dominata dagli Stati Uniti – quelle che minacciano la sicurezza della Russia, anche nelle acque e nello spazio aereo al confine con il suo territorio.

Non chiedevano alcuna ulteriore espansione della NATO a est vicino al confine con il territorio della Russia, né l’istituzione di basi militari nelle ex repubbliche sovietiche.

Il loro scopo era allentare le tensioni tra Est e Ovest attraverso la diplomazia.

Vladimir Putin ha invitato la NATO, dominata dagli Stati Uniti, a impegnarsi in colloqui sostanziali su garanzie di sicurezza legalmente vincolanti/a lungo termine tra la Russia e l’Occidente.

Entrambe le ali del partito della guerra degli Stati Uniti rifiutano la pace e la stabilità a favore di guerre eterne contro nemici inventati a caldo e/o con altri mezzi.

La guerra in Ucraina avrebbe potuto essere evitata se Kiev avesse rispettato i termini di risoluzione del conflitto di Minsk I e II che aveva accettato formalmente ma violato di fatto, come veniva ordinato dal suo padrone statunitense.

Dal colpo di stato del 2014 ad oggi, l’”impero della menzogna” ha trasformato l’ex stato-nazione dell’Ucraina in una piattaforma armata per la guerra perpetua contro la Russia.

L’escalation della guerra di Kiev a Donetsk e Lugansk, insieme a oltre 100.000 truppe ucraine mobilitate in preparazione all’invasione di entrambe le repubbliche e della Crimea, ha costretto la Russia a lanciare il suo SMO per autodifesa:

 il diritto della Carta delle Nazioni Unite di tutte le nazioni sotto attacco o se uno è imminente.

Forze USA in Ucraina.

La guerra di sanzioni dell’Occidente collettivo contro la Russia sta distruggendo economicamente l’Europa come previsto dall’impero della menzogna.

E uno stato di guerra perpetua USA/NATO contro la Russia continua con l’uso di fanti ucraini sacrificabili.

Finirà nella sua forma attuale quando l’esercito del regime crollerà – forse per essere seguito da operazioni di guerriglia, cosa che  l’impero delle bugie potrebbe volere.

Un commento finale.

In risposta alla proposta del capo della Commissione europea von der Leyen di istituire un tribunale specializzato per ritenere la Russia responsabile dei crimini di guerra di Kiev, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato quanto segue:

“(A) le tentazioni di avviare una sorta di tribunale… sarebbero illegittime.”

Se stabilito, la Russia lo rifiuterà e lo condannerà.

Gli USA egemoni, i suoi vassalli della NATO e l’Ucraina infestata dai nazisti sono colpevoli di crimini di guerra contro l’umanità, chiaramente non è la Russia il colpevole.

Il ministero degli Esteri russo ha condannato il progetto del tribunale, dicendo:

L’attuale tentativo da parte dei (regimi) occidentali di creare un meccanismo quasi giudiziario non ha precedenti nel suo nichilismo legale ed è ancora un altro esempio della pratica occidentale dei doppi standard”, aggiungendo:

“Una tale una cabala non avrà mai giurisdizione” sulla Russia.

In risposta al sostegno del regime Macron all’ingiustizia della “corte canguro”, il Ministero ha aggiunto:

“Non smettiamo mai di stupirci del cinismo delle autorità francesi”.

Insieme al suo padrone degli Stati Uniti, il Regno Unito e altri stati dell’UE, la Francia ignora “l’illegalità legale del regime di Kiev, i (suoi) numerosi crimini di guerra documentati” dal 2014 contro i civili del Donbass.

La Francia (e altri stati occidentali) dovrebbero istituire tribunali tipo Norimberga per ritenersi responsabili di secoli di gravi crimini di guerra.

(Stephen Lendman)

CINA: “CI SARANNO INEVITABILMENTE

CONFLITTI E SCONTRI.”

 Controinformazione.info – REDAZIONE - Bruno Bertez – (9 MARZO 2023) – ci dice:

 

Pechino chiede a Washington di cambiare atteggiamento, altrimenti ci sarà “inevitabilmente un conflitto”.

La Cina ha accusato gli Stati Uniti di alimentare le tensioni tra le due potenze e ha avvertito del rischio di scontro se Washington non fa nulla contro il “neo-maccartismo isterico” diretto a Pechino.

Il 7 marzo il ministro degli Esteri cinese “Qin Gang” ha avvertito Washington del suo approccio alle relazioni sino-americane.

“Se gli Stati Uniti continuano a percorrere la strada sbagliata e non rallentano, nessuna salvaguardia può impedire il deragliamento [delle relazioni] “, ha lanciato il ministro, intervenuto a margine della sessione annuale del Parlamento.

Se ciò accade, ” ci saranno inevitabilmente conflitti e scontri “, ha aggiunto “Qin Gang”, chiedendosi: ” Chi ne sopporterà le conseguenze catastrofiche?” »

Il giorno prima il presidente Xi Jinping aveva deplorato il “contenimento” e la “repressione” degli occidentali che prendono di mira la Cina, citando per nome gli Stati Uniti e invitando il settore privato a innovare di più per rendere il suo Paese meno dipendente dall’estero.

Le ambizioni high-tech di Pechino sono sempre più limitate da Washington e dai suoi alleati, spingendo le aziende cinesi a raddoppiare i loro sforzi per fare a meno delle importazioni cruciali.

“Sfide senza precedenti”.

La Cina e gli Stati Uniti sono in particolare impegnati in una feroce battaglia per la produzione di semiconduttori, questi componenti elettronici essenziali per il funzionamento di smartphone, auto connesse ma anche attrezzature militari.

In nome della sicurezza nazionale, negli ultimi mesi Washington ha intensificato le sanzioni contro i produttori di chip cinesi, ora ostacolati dall’approvvigionamento di tecnologia americana.

 ” I fattori incerti e imprevedibili sono aumentati in modo significativo” per la Cina, ha affermato Xi Jinping secondo un resoconto della “China News News Agency” pubblicato il 6 marzo.

“I paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno attuato una politica di contenimento, accerchiamento e repressione contro la Cina, che ha portato sfide senza precedenti allo sviluppo del nostro Paese”, ha affermato, aggiungendo in un’insolita critica diretta a Washington.

Il leader 69enne, che tra pochi giorni otterrà un terzo mandato presidenziale senza precedenti, ha parlato ai membri di un comitato consultivo durante la sessione annuale del parlamento cinese.

” Di fronte a cambiamenti profondi e complessi a livello internazionale come in Cina, è necessario rimanere calmi, concentrati… agire in modo proattivo, mostrare unità e osare combattere” per avere successo, ha detto Xi Jinping.

Tecnologia cinese.

“Neo-maccartismo isterico.”

Interrogato il 7 marzo, anche il ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, ha deplorato lo stato attuale delle relazioni sino-americane.

 “Penso solo che ciò che determina le relazioni Cina-USA dovrebbero essere gli interessi comuni, le responsabilità comuni e l’amicizia tra i due popoli [e non] la politica interna degli Stati Uniti e questo tipo di neo-maccartismo isterico”, ha sottolineato Qin Gang, in riferimento al ripetuto critiche della classe politica americana contro il suo Paese.

(Bruno Bertez)

 

 

 

L’EURODEPUTATO MARIANI: LA PAURA

DELLA SCONFITTA COSTRINGE ZELENSKY

A TRASCINARE L’OCCIDENTE NEL CONFLITTO.

Controinformazione.info – REDAZIONE – Thierry  Mariani - (10 MARZO 2023) – ci dice:

 

Il leader ucraino Volodymyr Zelenskyy continua a cercare il coinvolgimento diretto dei paesi occidentali al conflitto armato per un motivo.

 Sulle ragioni del comportamento del politico ha parlato il deputato Thierry Mariani.

Il parlamentare è giunto alla conclusione che il capo del regime di Kiev è ben consapevole dell’inevitabilità della sua sconfitta da parte della Russia.

La paura lo costringe a cogliere ogni opportunità per evitare lo scenario descritto.

“Lui vede che l’esaurimento delle truppe e delle attrezzature ucraine lo sta portando alla sconfitta”, ha aggiunto l’eurodeputato in un’intervista a” Izvestia”.

 

Thierry Mariani è uno dei rari politici francesi a mostrare le sue opinioni filo-russe. Un anno dopo l’invasione dell’Ucraina, l’eurodeputato ha offerto un’analisi controversa, nettamente distinta dai gruppi filo atlantisti.

Siamo di fronte a un doppio errore.

 Prima dei russi, che credevano che l’Ucraina sarebbe crollata molto rapidamente, poi gli occidentali, che credevano che avrebbero fatto crollare l’economia russa con le sanzioni.

 Siamo anche in una situazione in cui, militarmente, le cose sono piuttosto stabilizzate sul terreno … e dietro la NATO.

 Così quando arriverà la primavera, sarà il momento della verità.

Certo, gli ucraini riceveranno attrezzature moderne, ma una guerra si vince con gli uomini.

Tuttavia, l’Ucraina, che, come la Russia, ha subito molte perdite, non ha le stesse risorse demografiche

Ad una domanda su cosa possa succedere, Marani ha risposto...

“Fornire sempre più armi è quello che vogliono paesi come la Polonia o i paesi baltici. Insisto quindi nel dire che l’Ucraina può vincere la guerra solo coinvolgendo il resto dell’Europa.»

In conclusione, Mariani ha annunciato il modo migliore per risolvere la crisi in Ucraina.

Secondo il politico si tratta di tenere una conferenza di pace.

 

 

 

Chi è il "Gandhi turco" che

vuole spodestare Erdogan.

Today.it – Redazione - Kemal Kilicdaroglu – (10 marzo 2023) – ci dice:

L'opposizione ha trovato l'intesa su Kemal Kilicdaroglu, 72enne leader del centrosinistra che correrà per la presidenza del Paese.

Lo chiamano il "Gandhi turco" per il suo fisico esile e lo stile umile che ne ha contraddistinto la lunga carriera politica.

Niente a che vedere con l'atteggiamento da uomo forte del suo storico rivale, il presidente “Recep Tayyip Erdogan”.

 Eppure, dopo il fallito golpe che ha portato il leader turco a rafforzare la concentrazione di poteri nelle sue mani e a inasprire la stretta giudiziaria nei confronti dell'opposizione, Kemal Kilicdaroglu è stato uno dei pochi esponenti politici capaci di sfidare apertamente il "Sultano" e di sconfiggerlo sul campo, come successo a Instanbul e Ankara.

 Anche per questo, un variegato fronte di partiti ha deciso di coalizzarsi intorno a lui per scalzare Erdogan dai vertici del Paese, dopo un ventennio di dominio incontrastato.

Le umili origini.

Nato 74 anni fa in un villaggio isolato dell'Anatolia da una famiglia povera che afferma di discendere dal profeta Maometto, Kilicdaroglu ha raccontato spesso della sua infanzia di sacrifici, di quando andava a scuola a piedi nudi e con vestiti rattoppati.

Proprio la scuola è stata lo strumento del suo riscatto sociale:

diplomato con il massimo dei voti, ha studiato finanza all'università e una volta laureto è entrato nella pubblica amministrazione come ispettore fiscale, scaldando a poco a poco i ranghi fino a diventare uno dei più alti funzionari dello Stato.

La carriera professionale è andata di pari passo con quella politica: nel 2002 viene eletto deputato nel collegio di Instanbul tra le fila del Chp, il Partito popolare repubblicano, principale forza di centrosinistra del Paese.

Nel 2010, ne diventa il leader e da quel momento comincia la sua personale sfida a Erdogan, che lo ricambia chiamandolo "Bay Kemal" (signor Kemal), usando il termine "bay" tradizionalmente riservato agli stranieri.

Un modo per sottolineare l'appartenza di Kilicdaroglu agli aleviti, minoranza di fede islamica che è stata vittima in passato di discriminazioni e massacri in Turchia e che viene considerata eretica dai sunniti ortodossi, il grande bacino elettorale di Erdogan.

 Gli aleviti osservano una forma di islam moderato, che professa la tolleranza verso tutte le religioni e le etnie, e la parità tra uomini e donne.

Il contrario della svolta ortodossa imposta da Erdogan negli ultimi anni per consolidare il suo potere.

La Tavola dei sei.

Se eletto, Kilicdaroglu sarebbe il primo alevita a diventare presidente turco.

Inoltre, provenendo da una regione a forte presenza curda, il leader del Chp viene visto come un potenziale pacificatore delle tensioni sempre più aspre tra il governo di Ankara e la minoranza curda in Turchia.

Non a caso, l'Alleanza del lavoro e della libertà, coalizione di sei partiti filocurdi guidata dal Partito democratico del popolo (Hdp), di sinistra, ha fatto intendere che potrebbe appoggiare un fronte di opposizione a Erdogan solo con Kilicdaroglu al comando.

La coalizione curda è accreditata tra il 10% e il 12% dei voti, un bottino che potrebbe risultare determinante per scalzare il Sultano dal trono.

Al netto dei curdi, Kilicdaroglu ha alle sue spalle una variegata coalizione di sei partiti, che vanno dal centrosinistra alla destra nazionalista.

Secondo gli ultimi sondaggi, questa "Tavola dei sei", come è stata ribattezzata, potrebbe raggiungere il 40% dei consensi, in un testa a testa con l'Akp di Erdogan e il suo alleato di estrema destra, l'Mhp.

 Entrambi i partiti dell'attuale maggioranza sono dati in netto calo rispetto alle elezioni del 2018:

le cause vanno cercate soprattutto nella grave inflazione che sta erodendo i redditi delle famiglie turche e che il governo non è riuscito finora a contrastare.

 “Questa è la mia battaglia per i tuoi diritti.

I ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri", aveva detto Kilicdaroglu nell'aprile del 2022 dopo essersi rifiutato di pagare le bollette dell'elettricità per protesta contro il forte aumento dei prezzi.

Per Erdogan c'è poi lo scoglio del grave terremoto che ha colpito il Paese a inizio febbraio:

 il presidente è stato accusato da più parti non solo di non aver saputo gestire un'adeguata risposta all'emergenza, ma anche di aver favorito la speculazione edilizia a fronte del programma antisismico lanciato anni fa.

Sullo sfondo, le accuse di corruzione al suo partito, a cui fa da contraltare l'immagine di onestà che Kilicdaroglu ha saputo costruirsi nel tempo.

Convincere gli indecisi.

Ma basterà tutto questo a porre fine al dominio del Sultano, che tra incarichi da premier e da presidente guida la Turchia dal 2003?

Per diversi osservatori, il "Gandhi turco" pecca di eccessiva morbidezza, e le sue posizioni laiche rischiano di fare scarsa breccia nella maggioranza sunnita.

Kilicdaroglu è consapevole dei suoi limiti, e negli ultimi anni ha cercato di farvi fronte.

 I suoi discorsi sono diventati più duri e forti, nel 2017, nel pieno della repressione post golpe che ha portato agli arresti (spesso controversi) di tantissimi leader politici dell'opposizione, l'ex funzionario statale ha mostrato i muscoli ponendosi alla testa di una marcia di 420 km tra Ankara e Istanbul per protestare contro il regime autoritario di Erdogan e i processi sommari.

Per strizzare l'occhio agli alleati più conservatori, Kilicdaroglu ha anche ammorbidito le sue posizioni alavite, portando per esempio donne velate nel Chp.

“La nostra tavola è quella della pace e della fraternità.

 Il nostro obiettivo principale è portare la Turchia a giorni prosperi, pacifici e gioiosi. Governeremo la Turchia attraverso la consultazione e il consenso”, ha detto dopo l'investitura da parte dell'opposizione.

L'accordo tra i sei partiti prevede 12 punti, tra cui, forse il principale, ridare centralità al parlamento, ribaltando la deriva presidenzialista di Erdogan.

 Per quanto riguarda la politica estera, le speranze dell'Occidente sono di trovare in lui un leader capace di riportare la Turchia verso l'Europa.

Kilicdaroglu adesso avrà poche settimane per convincere i 9 milioni di elettori ancora indecisi: le urne si apriranno il 14 maggio.

 

 

 

 

L'EDITORIALE - Dall’aborto al gender,

dalla prostituzione alla pornografia.

Le istanze trans femministe per l’8 marzo

distruggono le donne.

Provitaefamiglia.it – (08/03/2023) -  Maria Rachele Ruiu – ci dice:

“Se si fermano le donne si ferma il mondo”.

È lo slogan dello sciopero e della manifestazione di oggi delle femministe – in prima linea “Non Una di Meno” – per la Giornata Internazionale della Donna.

Ma cosa aspettarsi da uno sciopero che già nel nome “transfemminista” svela il volto della ideologia da cui prende vita?

Niente di buono.

Lo slogan scelto, infatti, su cui siamo tutti d’accordo, viene subito smentito dalle stesse istanze pensate dalle organizzatrici:

annientare le donne e le loro peculiarità, a partire dalla maternità per finire a tutto quello che “San Giovanni Paolo II” chiamava “genio femminile”.

Sarò onesta:

fa un certo effetto vedermi quasi “difendere” la Giornata della Donna, perché l’ho sempre considerata una giornata priva di senso, se non addirittura pericolosa, così come le quote rosa e tutto quello che gira intorno.

La donna non ha bisogno di essere uguale all’uomo per essere.

Non ha bisogno di occupare gli spazi come gli uomini, anzi “Una donna che voglia essere come un uomo manca di ambizione”.

La donna ha un valore intrinseco specifico in quanto donna, da custodire:

non siamo panda a cui concedere degli spazi a prescindere dal merito.

 E soprattutto quanta violenza durante queste giornate quando si indicano gli uomini come il male del mondo assoluto, fino ad annientare la figura del padre.

 E oggi subiamo le conseguenze di questa assenza del padre;

 e quanta infelicità nella distruzione dell’alleanza creativa tra uomini e donne, a cui questa giornata, che piaccia o no, negli anni ha contribuito.

Ahimè, sono convinta che proprio nel vecchio femminismo, che indicava alla donna la felicità nell’emanciparsi dal suo essere donna e madre, e che oggi prende le distanze dal femminismo queer, ci sia la matrice di quello che oggi riempirà le nostre strade, tv, case.

 

La domanda decisiva è:

cosa è una donna per le organizzatrici di questo sciopero?

Leggendo i loro proclami non si scorge una parola di realtà sui problemi che una donna oggi deve affrontare o sulle ingiustizie che subisce.

Non una parola sulla libertà di essere madre, lavoratrici o entrambe e sul bisogno concreto di sostegni per poter armonizzare le due cose, se non quella di proporre di lasciare i papà a casa così le mamme possono tornare prima a servire il capo.

 Non vogliamo tornare a lavoro, pur di non perderlo, con i seni pieni di latte quando i nostri figli sono ancora minuscoli e bisognosi di noi.

Vogliamo smettere di essere costrette a nascondere gravidanze o temere lo sguardo del capo quando ne annunciamo una.

Vorremmo un welfare che ci riconosca come madri e lavoratrici e ci aiuti, per esempio, con il lavoro flessibile.

 Vogliamo portare il nostro contributo unico al mondo del lavoro senza dover rinunciare ai nostri figli;

un lavoro che rispetti questa peculiarità.

Poi certo, se i nostri mariti potessero starci accanto per un numero di giorni superiore a 10 e accompagnarci nelle prime settimane delicatissime del puerpero saremmo felicissime.

Ma insieme.

Non una parola, poi, sull’indegna bullizzazione e denigrazione che bolla come frustrate o donne di serie B chi sceglie, ed alcune lo fanno con grandi sacrifici, di prendersi cura esclusivamente dei loro figli e mariti, o magari dei nonni, quando malati.

Non una parola sulle donne caregiver, che offrono la loro vita per la cura dei più fragili subendo, loro e le loro famiglie, l’ingiustizia di essere abbandonate e di dover strappare sempre con i denti quello che invece sarebbe diritto ricevere.

Non una parola sulle troppe donne abbandonate all’unica soluzione dell’aborto quando si trovano di fronte a una gravidanza inaspettata o difficile.

In Italia nessuna donna è costretta a partorire per presunte carenze dell’ingiusta Legge 194, ma moltissime sono costrette ad abortire per la mancanza di aiuti che riescano a far superare i disagi economici, sociali e psicologici.

Oggi in Italia, infatti, NON è garantito il diritto a NON abortire, come del resto abbiamo denunciato con una serie di affissioni partite qualche giorno fa (a Roma e nelle principali città italiane) e con una petizione popolare.

Ci verrebbe spontaneo immaginarci l’una accanto alle altre per pretendere aiuti in questa direzione, e invece nelle istanze dello sciopero troviamo la richiesta di censurare e impedire l’esistenza delle associazioni pro life che si impegnano per proporre alle donne incinte soluzioni per superare le difficoltà che le costringono ad abortire, negando tra l’altro ciò che l’aborto è realmente:

 la soppressione di una vita umana innocente e un dramma per le donne, con  conseguenze fisiche e psicologiche in alcuni casi anche molto gravi.

Ma se non toccano questi temi, quale sarà l’agenda dello sciopero di oggi?

Lor signore, compresa la neo segretaria del Pd Elly Schlein, dicono di voler rappresentare tutte noi, ma ci danneggiano fino anche a volerci cancellare, promuovendo gender, utero in affitto, prostituzione, pornografia e aborto per tutte.

Riempiono, infatti, i manifesti di ə (Schwa), e chiedono, il giorno della celebrazione della donna, di entrare nelle scuole per chiedere di indottrinare i nostri figli all’educazione gender, insegnare loro, cioè, che chiunque voglia dichiararsi donna debba essere riconosciuto come tale.

Che quindi, tirando le somme, le donne non esistono in quanto tali.

E aggiungono di voler sponsorizzare, sempre nelle scuole, l’approccio affermativo, compreso di carriera alias, che in tutto il mondo si sta rivelando fallimentare e pericoloso, soprattutto per le ragazzine.

Lo sanno che il contagio sociale, che sta portando ad aumento esponenziale delle disforie di genere tra gli adolescenti, sta colpendo maggiormente le ragazzine, convinte che sarebbero più felici se fossero maschi?

Conoscono i movimenti di donne, ex ragazzine disforiche, che denunciano di aver subito medicalizzazioni non solo inutili, ma anche dannose e irreversibili, in nome di una ideologia feroce che non ha voluto indagare la loro sofferenza, come mastectomia e isterectomia?

Non è un cortocircuito questo?

O ancora, in quei Paesi in cui 10 anni fa si promuovevano queste visioni, oggi alcuni uomini rubano i posti di lavoro e nello sport alle donne, forti dell’ideologia gender che permette loro di sentirsi “donna” o accedono agli spazi femminili, come i bagni, gli spogliatoi e le carceri, con conseguenze anche tragiche sulle donne.

Però per le scioperanti questo non solo è accettabile ma è l’idea di fondo che auspicano.

Chiedono, poi, di legalizzare la prostituzione chiamandola “sex work”, quando invece è scientificamente dimostrato che ovunque sia stata legalizzata è aumentata la tratta di donne e bambine, stuprate e schiavizzate per essere alla mercè di maschi vogliosi e di papponi insaziabili.

Chiedono di incentivare la pornografia, cioè la prostituzione filmata, anche attraverso progetti nelle scuole di educazione sessuale, quando è ormai acclarato dagli studi che l'uso della pornografia dilagante sta comportando una diminuzione di empatia nei confronti delle donne che subiscono violenza.

Chi fa uso di pornografia, infatti, rafforza la credenza che il maschio debba dominare e la femmina sottomettersi (e no, non è la sottomissione paolina che viene rinforzata), oltre a normalizzare pratiche sessuali estreme.

Chi fa uso di pornografia, sempre più, tende a rapportarsi a una donna come oggetto.

Impressionanti, in tal senso, sono gli studi che mostrano che si elaborano le immagini sessualizzate delle donne con i processi con cui si elaborano gli oggetti, e non con processi che di norma usiamo quando ci relazioniamo con altri esseri umani.

Nella sostanza, quindi, il giorno della celebrazione della donna, con una mano si finge di volere essere contro la violenza, con l’altra la si nutre, sponsorizzando la pornografia.

Chiedono, come se non bastasse, di legalizzare la pratica disumana dell’utero in affitto, schiavitù del terzo millennio, che obbliga donne povere a vendere il proprio figlio per i capricci ideologici di persone ricche che si dimenticano che i bambini non si comprano, ma neanche si regalano ci dovesse essere l’intenzione.

 Ma in fondo, se i figli si possono eliminare, perché stupirsi che si possano vendere o cedere a terzi?

Sempre le stesse manifestanti, infatti, vorrebbero convincere le nostre figlie che l’aborto sia socialmente preferibile alla maternità, più conveniente, nascondendo loro quello che l’aborto è:

 non può farti tornare indietro e decidere di non essere mamma, ma ti fa scegliere se essere mamma di un figlio vivo o morto.

Chiedono di ruspare i cimiteri che accolgono i nostri figli che non abbiamo potuto abbracciare.

Infine non manca, nel manifesto, un rimando alla cosiddetta “medicina trans femminista” che, tanto per fare un esempio, non parla di donne ma di “persone con le mestruazioni”, ma non si preoccupa di raccontare, per esempio, che una donna che sta per avere un infarto non ha gli stessi sintomi di un uomo.

Ma quale Giornata della Donna?

 La chiamassero la festa del gender, dei diritti Lgbtqia+, del fluido, ma non della donna:

siamo stanche di essere sfruttate da una ideologia che, dopo averci indicato ingiustamente come nemici i nostri alleati, cioè gli uomini, vorrebbe affondare il colpo e annullarci in quanto donne e madri.

 È questa, dunque, la Giornata della Donna?

NO! Non nel mio nome!

 

 

 

 

ELOGIO DELL’UOMO FORTE.

Comedonchisciotte.org - Redazione CDC – (09 Marzo 2023) - Roberto Giacomelli – ci dice:

 (Ideeazione.com)

La società nutritiva, dove il cibo è un feticcio erotico e viene fotografato con cupidigia come un oggetto sessuale e gli acquisti di oggetti riempiono il vuoto dell’anima, esalta l’aspetto femmineo e materno dei maschi e condanna quello virile.

Gli uomini deboli delle nuove generazioni, orfani della figura paterna archetipo di virilità, cresciuti da madri iperprotettive, hanno perso le caratteristiche maschili che da sempre contraddistinguono la loro funzione sociale e spirituale.

Le società organiche del passato, dove i principi del mondo della Tradizione erano ancora vivi, prevedevano per i giovani riti di passaggio all’età adulta, prove di coraggio e forza per dominare il dolore e la paura.

Il “comitatus romano” e la “sippe germanica”, le scuole della cavalleria medievale, le corporazioni di arti e mestieri e le accademie militari preparavano i giovani maschi al mestiere delle armi.

Dal mondo classico a quello medievale fino alla prima parte del Novecento, il culto della forza virile era diffuso in tutte le culture, come tratto eminente della mascolinità.

 

Destrezza, resistenza alla fatica, difesa della Patria e della famiglia, i compiti virili si basavano sull’uso della forza, fisica e mentale.

 I giovani che aspiravano ad entrare nel mondo dei grandi si vantavano della loro forza che esibivano fieramente con le fanciulle che volevano conquistare.

Per loro l’uomo forte era garanzia di sicurezza e protezione, di prole sana e continuità della stirpe e mai avrebbero preso in considerazione un pretendente debole o affetto da menomazioni.

 La virilità si accompagnava inevitabilmente alla forza, alla quale nessun uomo avrebbe mai rinunciato.

In tempi ancora vicini nei borghi sperduti lontani dall’insana frenesia delle megalopoli, le prove di forza sono rimaste vive nel folklore e nelle tradizioni popolari, ultimo retaggio di un mondo povero e dignitoso, non ancora corrotto dal consumo compulsivo.

Nelle città contemporanee habitat naturale del capitalismo selvaggio, la forza è un orpello del passato, una caratteristica inutile e demonizzata.

Qualità obsoleta di uomini rozzi e non abbastanza civilizzati, resti patetici di un tempo da cancellare per far posto ad una nuova tipologia umana: i maschi femminei.

Consumatori perfetti di qualsiasi oggetto stupido e costoso prodotto dal grande capitale cosmopolita, pazienti ideali per terapie farmacologiche sperimentali, clienti migliori per gli spacciatori di sostanze stupefacenti.

Vittime indifese di invasori famelici che li elimineranno nella sostituzione dei popoli in atto, estranei che prenderanno il loro posto, godranno i frutti del lavoro dei loro padri e colonizzeranno la terra dei maschi deboli con culture aliene e violente.

 

Per ottenere una rapida sostituzione non ci deve essere resistenza alla conquista, ma una facile penetrazione permessa dalla mancanza di uomini forti, orgogliosi delle loro tradizioni e dell’appartenenza alla loro stirpe.

I maschi deboli del nostro tempo elogiati per la loro fragilità, indecisi e spaventati, attori inconsapevoli di una tragedia che li travolgerà senza scampo.

Vittime della loro debolezza, spinti al vittimismo da una sapiente propaganda che li vuole inermi, lamentosi, eterni lattanti desiderosi solo di protezione e comprensione.

Il piacere della forza, del coraggio e dell’eroismo sono soppiantati dalla pratica del lamento, schiere di finti perseguitati, vittime sacrificali senza fare alcun sacrificio si lamentano di non essere capiti e supportati.

Generazioni viziate dal permissivismo e dal buonismo nemico di ogni regola, che le ha convinte che tutto sia dovuto, che si deve ottenere ciò che si desidera senza impegno, gratuitamente.

 Frustrati narcisisti, vivono per apparire e non per essere, nemmeno più per avere perché il possesso comporta una conquista, quindi uno sforzo.

Soggetti spaventati dalla realtà che non affrontano mai, invocando la protezione di chi disprezzano e considerano violento e brutale:

 gli uomini veri.

Pacifisti fomentatori di guerre fatte dagli altri purché non li coinvolgano, femministi inconsciamente terrorizzati dalle donne che sentono più forti, ambientalisti che spargono rifiuti tecnologici dei dispositivi dai quali sono dipendenti.

Smidollati che si vantano di essere fragili e tormentati, rifuggono lo scontro da cui tutto prende forma come ricordava Eraclito, perché si sono già arresi prima di combattere.

 

Il loro male sottile è la mancanza di disciplina, dall’antico verbo greco “disco” ovvero imparo, senza la forza e la capacità di soffrire caratteristica dell’Eroe.

Poppanti a vita si fermano all’archetipo del “Puer” senza evolvere mai in quello del “Guerriero”, che fa sua la forza e la violenza per piegare il “Fato”.

 Le prove a cui si sottopone l’Eroe sono i passaggi iniziatici che portano alla liberazione della materia pesante di cui è impastata la natura umana per fare emergere quella divina.

I deboli, i fragili, le vittime sono destinati a soccombere perché la Natura è crudele e non fa sconti, solo la Forza può salvare i popoli della vecchia Europa dalla fine annunciata.

Il capitalismo terminale vuole maschi deboli da sostituire con genti giovani e forti da sfruttare come manodopera a basso costo, un unico popolo di soggetti indistinti e omologati senza identità.

Solo l’educazione al pericolo ad al coraggio, alla confidenza quotidiana con la Forza formerà l’élite di coloro che vedranno la nuova Età dell’Oro, per gli altri la condanna all’estinzione.

“Fino da piccoli vi insegnano ad avere paura del lupo, poi da grandi scoprite che il vero pericolo viene dalle pecore”.

(Roberto Giacomelli, scrittore e saggista)

 

 

 

ARMI, PETROLIO E GAS:

PERCHE’ LA GUERRA IN

UCRAINA CONVIENE AGLI USA.

 Comedonchisciotte.org - Domenico Moro - Redazione CDC – (10 Marzo 2023) – ci dice:

 

La guerra in Ucraina ha creato difficoltà economiche alla Ue, tra cui la crisi energetica e l’aumento dei costi di approvvigionamento di gas e petrolio, ma ha determinato grandi vantaggi per l’economia degli Usa.

Ad avvantaggiarsi sono due settori molto importanti del sistema produttivo statunitense: gli armamenti e l’estrazione di gas e petrolio.

Già nel 1961 il presidente statunitense Dwight Eisenhower aveva messo in guardia l’opinione pubblica sul “Complesso militare industriale”, che, attraverso l’integrazione tra” Forze armate e industria”, rappresentava un centro di influenza importante sulle decisioni politiche degli Usa.

La forza del Complesso militare industriale si è mantenuta intatta fino a oggi:

 l’industria bellica impiega ben 800mila addetti e, da sola, la prima impresa bellica del Paese, la Lockheed, riceve più fondi pubblici del Dipartimento di Stato, che è in pratica il ministero degli esteri statunitense, e di Usaid, l’agenzia per lo sviluppo internazionale, messi insieme.

Grazie alla guerra in Ucraina, il “Complesso militare industriale” sta sperimentando una crescita esponenziale.

Dei 50 miliardi di dollari in aiuti militari arrivati a Kiev oltre 30 vengono dai soli Stati Uniti.

 I rifornimenti di armi e di munizioni stanno assottigliando le riserve delle Forze Armate statunitensi, mettendo in difficoltà, secondo alcuni analisti, la capacità potenziale degli Usa di combattere, oltre al conflitto in Ucraina, un secondo conflitto in Estremo Oriente, che potrebbe scaturire dalla contesa con la Cina su Taiwan.

Quindi, bisogna ricostruire le riserve di armi e munizioni.

Di conseguenza, le fabbriche di armamenti sono travolte dagli ordini: la sola produzione di proiettili d’artiglieria è salita del 500%.

Per questa ragione le principali società attive nella produzione bellica stanno allargando la loro base produttiva.

Ma ad aumentare non è solo la produzione: le imprese belliche negli ultimi sei mesi hanno guadagnato in borsa spesso oltre il 10%.

Le imprese belliche possono contare anche sull’aumento del budget per la difesa degli Usa, che con Biden ha continuato a salire, e che raggiungerà nel 2023 gli 858 miliardi di dollari, pari al +10% rispetto al 2022.

Inoltre, il budget statunitense è varie volte superiore a quello degli altri stati.

Nel 2021, secondo il Sipri, la Cina aveva un budget militare di 293 miliardi di dollari e la Russia di 65,9 miliardi.

 La guerra in Ucraina sta determinando una nuova corsa agli armamenti che vede coinvolta anche la Ue.

Quest’ultima sta studiando meccanismi per aumentare le capacità di produzione dell’industria europea.

 In particolare, verrà utilizzato un miliardo proveniente dal Fondo europeo per la pace (sì proprio da un fondo per la pace!) per rifondere gli stati europei fino al 50-60% di quanto verrà convogliato in Ucraina.

L’altro settore dell’economia Usa, oltre a quello degli armamenti, a beneficiare della guerra è quello dell’estrazione mineraria.

Gli Usa dallo scoppio della guerra si sono rafforzati come super-potenza del gas e del petrolio non solo diventando il primo produttore mondiale ma anche, a livello geostrategico, diventando il fornitore privilegiato dell’Ue.

Dagli Usa l’Ue non ha mai ricevuto tanto gas, ma ora anche il petrolio arriva in quantità record, da quando la Ue ha deciso l’embargo petrolifero contro la Russia.

Verso la fine di febbraio l’export di greggio Usa ha raggiunto circa 5 milioni di barili al giorno (mbg), a fronte di una media di 3,6 mbg nel 2022.

 Da marzo in avanti l’Europa è diventata, per gli Usa, il primo mercato con 1,6 mbg.

Allo stesso tempo gli Usa sono diventati il primo produttore mondiale di greggio con 11,9 mbg, superando l’Arabia Saudita (10,6 mbg) e la Russia (10,7 mbg).

 Inoltre, il petrolio statunitense entrerà nel paniere del “Brent” (benchmark un tempo riferito al petrolio del Mare del Nord), acquistando un’influenza ancora più forte sulla formazione dei prezzi dell’energia a livello internazionale.

Per quanto riguarda le esportazioni di gas liquefatto (Gnl), gli Usa hanno superato Qatar e Australia.

 Anche per il gas l’Europa è diventata la prima destinazione dell’export statunitense, che ha soddisfatto la metà delle importazioni europee di gas liquefatto, crescendo del 60% e sfiorando i 140 miliardi di metri cubi una volta che il gas è stato rigassificato, vale a dire una quantità simile a quella che un tempo arrivava dalla Russia via gasdotto.

Le forniture di gas e petrolio statunitensi sono, però, molto più costose di quelle russe, anche per le difficoltà tecniche e logistiche dovute alla distanza che incide molto sul prezzo del Gnl, visto che il combustibile viene prima liquefatto, poi trasportato via nave e infine rigassificato tramite impianti che richiedono grandi investimenti.

Di conseguenza i costi sono notevolmente maggiori di qualsiasi fornitura che arrivi mediante gasdotti già esistenti e quindi già ammortizzati.

Ma il problema non è rappresentato solo dai costi più alti.

La dipendenza dal Gnl, aumenta la dipendenza della Ue dagli Usa.

 Il Gnl diventa parte dell’arsenale di armi non letali a disposizione della Nato.

Inoltre, il trasporto via mare del Gnl aumenta la dipendenza dal commercio marittimo e dalla sicurezza delle rotte di rifornimento, che viene garantita dalla Marina militare statunitense, che è la più potente del mondo con le sue super-portaerei nucleari.

Sul piano dell’energia, gli Usa tendono a stabilizzare il rapporto con l’Europa, stipulando contratti di fornitura pluriennali. In questo modo le compagnie energetiche statunitensi mirano a cavalcare l’onda lunga di crescita dell’export del petrolio e soprattutto del gas.

In sintesi, la guerra in Ucraina danneggia i Paesi europei, in particolare l’Italia, che ha registrato, a causa dell’aumento del costo delle importazioni di petrolio e soprattutto di gas, il primo deficit dell’interscambio commerciale con l’estero da dieci anni a questa parte.

Ancora più grave è la dipendenza geostrategica dagli Usa, diventati i principali fornitori di materie prime energetiche dell’Europa.

 Al contrario, la guerra in Ucraina corrisponde, oltre che agli interessi geostrategici degli Usa, anche agli interessi economici del loro apparato produttivo, di cui il complesso militare industriale e le estrazioni minerarie rappresentano parti importanti.

Per queste ragioni gli Usa non hanno interesse a incoraggiare un processo di negoziazione tra le parti in guerra che conduca alla fine delle ostilità.

(Domenico Moro)

 

 

 

 

LE QUATTRO ETÀ DELL’UOMO.

Comedonchisciotte.org - Redazione CDC – (07 Marzo 2023) - Marcello Veneziani – ci dice:

 

La vita dell’uomo, come quella del mondo, è scandita da quattro stagioni a cui corrispondono altrettante vocazioni.

Da bambino l’uomo è filosofo, e a dirlo sorprende, pensando che la saggezza si acquisisca con gli anni, come stigmate dell’esperienza.

Ma se la filosofia nasce dalla meraviglia per il cosmo e la vita, per l’essere e il morire, allora lo stupore infantile è alle fonti della filosofia.

 Il filosofo risale all’infanzia del cosmo, coglie la verità del mondo al suo atto sorgivo.

E accoglie con meraviglia le manifestazioni della vita.

Lo diceva del resto anche il grande Aristotele:

la filosofia sorge dallo stupore, la sorpresa di essere al mondo.

Dopo la primavera del bambino filosofo viene l’estate del ragazzo poeta.

 L’età che parte dall’adolescenza e attraversa la giovinezza è l’età poetica per eccellenza.

 Lo stupore muta in emozione, a volte in commozione, nasce il desiderio non solo di conoscere ma di abbracciare il mondo, e questo è propriamente l’impulso di amore che domina la giovinezza.

Il poeta è colui che fa, come insegnano i nostri maestri greci;

il giovane crede di poter modificare poeticamente il mondo, di poter realizzare i sogni e di poter conquistare la vita e fecondare la sorte.

 Le energie eccedono, traboccano dal proprio corpo e si uniscono al mondo per renderlo gravido di sé.

Poi viene l’autunno della maturità, la perdita dell’incanto secondo taluni, la conquista della realtà e dei suoi limiti, secondo altri.

 L’albero della vita si spoglia delle sue foglie e appare nella sua nudità.

Qui diventa centrale l’opera, il lavoro, la famiglia, la comunità, la città, l’edificazione e il mantenimento.

L’uomo adulto è concittadino; la sua dimensione preminente è dunque la politica, la necessità principale è governare la vita, dalla famiglia alla città.

Ma col passare degli anni e con il sopraggiungere dell’età grave, ritornano le domande dell’infanzia e ritorna la poesia, non più legata all’azione ma alla contemplazione.

E la precarietà della vita, la perdita di chi ti è caro con le sue cerimonie d’addio, la morte davanti, ti induce a pensare alla tragica sorte di chi vive sull’orlo dell’infinito conoscendo la sua finitezza e si dispone alla morte, aspirando all’immortalità.

 In quella quarta e finale stagione invernale l’uomo è religioso.

La senilità gli ha profuso con l’esperienza e la prossimità della morte l’aura ieratica e la vanità delle cose mondane.

Così l’uomo diventa profeta.

Ecco le quattro stagioni della vita: ciascuna di esse ha una sua propria bellezza, un suo fascino ed una sua piena ragione di esprimersi.

A nessuna di esse possiamo rinunciare, perché l’uomo coincide con le sue quattro stagioni, la sua umanità è raccolta in quei quattro stati che si richiamano e si sostengono a vicenda.

 Il bambino filosofo può dirsi la primavera dell’uomo nel fiorito risveglio del mondo, il ragazzo poeta esprime invece la pienezza calda e fruttuosa dell’estate;

 il cives maturo coglie l’autunno della vita in cui la luce si ritira ma si raccoglie e si vendemmia;

e la vecchiaia è infine il raccogliersi religioso intorno al focolare divino per scaldarsi dal frigido inverno.

(Lucilio a Seneca, in Vivere non basta, Mondadori, 2011)

(Marcello Veneziani, giornalista e scrittore)

 

 

 

In un mondo multipolare,

l'idea di un nuovo ordine

mondiale muore.

Globalresearch.ca - Timothy Alexander Guzman – (09 marzo 2023) – ci dice:

 

Quando l'ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush e il suo regime neocon hanno lanciato la loro campagna antiterrorismo dopo l'11 settembreesimo "Ogni nazione, in ogni regione, ha ora una decisione da prendere. O sei con noi, o sei con i terroristi".

Le minacce occidentali contro il Sud del mondo continuano ancora oggi.

Nella recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco 2023, il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock ha affermato che:

"La neutralità non è un'opzione, perché allora sei dalla parte dell'aggressore", ha continuato, "e questo è un appello che daremo anche la prossima settimana di nuovo al mondo: per favore prendi una parte, una parte per la pace, una parte per l'Ucraina, una parte per il diritto internazionale umanitario, e in questi tempi questo significa anche fornire munizioni in modo che l'Ucraina possa difendersi".

La maggior parte del mondo non è d'accordo con i leader occidentali sul fatto che la Russia sia l'aggressore in questo conflitto.

 L'obiettivo dell'Ucraina è quello di diventare un membro della NATO, il che sarebbe una minaccia per le preoccupazioni di sicurezza della Russia proprio ai suoi confini.

Come dimostra la storia, è stata l'Ucraina a bombardare la regione del Donbass per più di 8 anni, che comprende le aree di Donetsk e Luhansk uccidendo più di 8.000 persone con l'aiuto delle forze USA-NATO il cui unico scopo è distruggere la Russia.

Questo è il lavoro delle potenze occidentali che non vogliono altro che contenere l'ascesa della Russia come attore principale sulla scena mondiale.

Non solo la Russia è stata vittima dell'aggressione occidentale, molti paesi del Sud del mondo hanno anche assistito a guerre senza fine, colpi di stato e operazioni di cambio di regime con rivoluzioni colorate sostenute dall'Occidente dalla fine della seconda guerra mondiale.

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina, è solo ora che i media mainstream stanno iniziando a prendere atto che il Sud del mondo sta iniziando a ribellarsi contro le potenze occidentali su molti livelli, almeno secondo France24.com, "La guerra in Ucraina espone le divisioni tra Nord e Sud del mondo" riflette sulla situazione attuale che

"Un abisso tettonico sembra aver diviso il Nord globale dal Sud globale”.

Di fronte al tipo di aggressione e all'espansionismo territoriale che l'ordine mondiale del dopoguerra è stato progettato per evitare, l'alleanza occidentale, chiamata anche “Nord globale”, ha superato la concorrenza e le rivalità per mantenere l'unità.

L'Occidente ha sconfitto la loro "competizione e rivalità" bombardando paesi all'età della pietra come hanno fatto con l'Iraq e la Libia.

 È noto che Saddam Hussein e Muammar Gheddafi volevano cambiare rotta nel modo in cui i loro paesi conducevano affari con il resto del mondo abbandonando l'uso del dollaro USA a favore di altre valute.

Nel caso dell'Iraq, gli Stati Uniti e i loro partner alleati stavano anche facendo un favore a Israele distruggendo un avversario.

Quindi, un cambiamento ha avuto luogo con "più di 70 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, diversi paesi di Asia, Africa, Medio Oriente e Sud America che stavano "emergendo" per decenni sono essenzialmente emersi sulla scena mondiale" formando quello che ora è noto come il "Sud globale".

La guerra in Ucraina ha cambiato tutto per la folle visione dei globalisti per l'umanità, ora accusano la Russia di essere l'aggressore per aver ampliato la sua impronta in Ucraina, ma ignorando la campagna di bombardamenti di 8 anni nella regione del Donbas da parte delle forze ucraine con l'assistenza della NATO.

 Gli Stati Uniti e nella maggior parte dei casi i loro alleati della NATO hanno "evitato" le loro guerre "aggressive" contro il Vietnam, l'Iraq o la Libia?

Per quanto riguarda l'"espansione territoriale", gli Stati Uniti, la Francia e le altre potenze occidentali non hanno ancora colonie in tutto il mondo?

 Gli Stati Uniti occupano illegalmente anche la Siria settentrionale e l'Iraq con basi militari, e questa è una forma di espansione territoriale.

Newsweek ha pubblicato un interessante articolo di opinione di Michael Gfoeller e David H. Rundell,

"Quasi il 90% del mondo non ci segue sull'Ucraina. Opinione' dice che c'è un crescente sentimento anti-occidentale nel Sud del mondo.

Le alleanze che sono state create in parte per contrastare l'influenza economica e politica occidentale si stanno espandendo.

Egitto, Arabia Saudita e Turchia hanno annunciato il loro interesse ad aderire ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa).

L'Organizzazione cooperativa di Shanghai attualmente collega Cina, Russia, India e Pakistan, tra gli altri.

L'Iran prevede di aderire questo mese, mentre Bahrein, Egitto, Arabia Saudita e Qatar diventeranno probabilmente "partner di dialogo" o membri candidati.

Inoltre, l'ambiziosa “Belt and Road Initiative cinese” sta legando molte nazioni africane a Pechino con cordoni commerciali e debito.

La Russia sta anche raggiungendo il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, che recentemente si è rivolto ai suoi 22 omologhi della Lega Araba al Cairo prima di visitare un certo numero di paesi africani.

Se questo non è sufficiente per far riflettere l'Occidente, Mosca è di nuovo all'offensiva in America Latina, rafforzando le sue relazioni militari con Nicaragua, Venezuela e Cuba.

 Le due potenze di quella regione, Brasile e Messico, hanno rifiutato esplicitamente di sostenere le sanzioni occidentali contro la Russia.

Gfoeller e Rundell ammettono su una rivista di notizie dei media mainstream che i dollari sono strumenti di guerra economica dall'imposizione di sanzioni paralizzanti ai sequestri di beni ai paesi che non seguono gli ordini di Washington, ma è solo un pezzo di opinione, ovviamente non un articolo che farà notizia in prima pagina.

Lo status di valuta di riserva del dollaro rimane un pilastro dell'ordine economico globale, ma la fiducia in quell'ordine è stata danneggiata.

Le sanzioni economiche hanno armato parti dei settori bancari e assicurativi internazionali, incluso il sistema di trasferimento di fondi SWIFT.

I beni sono stati sequestrati e i contratti sulle materie prime annullati.

Le richieste di de-dollarizzazione sono diventate più forti.

Quando la Russia ha richiesto pagamenti energetici in rubli, yuan o dirham degli Emirati Arabi Uniti, Cina e India hanno rispettato.

Queste preoccupazioni stanno generando un considerevole sentimento anti-occidentale in gran parte del Sud del mondo.

 Mentre una Russia dotata di armi nucleari non mostra alcuna volontà di porre fine a una guerra, i suoi leader non possono permettersi di perdere;

 l'Occidente sta rapidamente perdendo il resto e minando così l'”ordine internazionale basato sulle regole” che ha cercato di creare.

 La nostra soluzione più promettente a questo dilemma sarà probabilmente una sorta di compromesso diplomatico.

Sì, è vero che le dinamiche dell'ordine mondiale sono cambiate radicalmente dal giorno in cui il presidente degli Stati Uniti George H.W. Bush (il cui padre Prescott Bush, fondatore della Union Banking Corporation, una banca d'investimento che aveva legami con un uomo d'affari tedesco, Fritz Thyssen che sosteneva i nazisti) ha tenuto un discorso sull'invasione dell'Iraq il 16 gennaio, 1991.

 Ecco una parte di ciò che ha detto:

Questo è un momento storico. In quest'ultimo anno abbiamo compiuto grandi progressi nel porre fine alla lunga era di conflitti e guerre fredde. Abbiamo davanti a noi l'opportunità di forgiare per noi stessi e per le generazioni future un nuovo ordine mondiale, un mondo in cui lo stato di diritto, non la legge della giungla, governa la condotta delle nazioni.

 Quando avremo successo – e lo saremo – avremo una reale possibilità di questo nuovo ordine mondiale, un ordine in cui le Nazioni Unite credibili possano usare il loro ruolo di mantenimento della pace per adempiere alla promessa e alla visione dei fondatori delle Nazioni Unite.

Avevano superato la prova allora, oggi, è una storia diversa, il mondo è stanco dell'ipocrisia occidentale, delle sue continue guerre e colpi di stato sostenuti dalla CIA contro i loro governi che non sempre sono d'accordo con le loro prescrizioni per la democrazia.

Tuttavia, l'idea di un nuovo ordine mondiale non è iniziata con Bush padre, è iniziata dopo la creazione della “Società delle Nazioni” dopo la prima guerra mondiale, quando il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson ha chiesto un nuovo ordine mondiale per migliorare la sicurezza globale e la democrazia.

Ma l'idea di formare un nuovo ordine mondiale o un impero globalista per “imporre un ordine basato sulle regole “dovrebbe essere una conclusione scontata, non funzionano e sono distruttivi.

 Le strutture di potere globaliste o gli imperi alla fine si distruggono dall'interno, quindi, ne vale la pena per il regime al potere?

Alcune persone direbbero anche che la Russia e la Cina vogliono governare il mondo.

 Non lo fanno, sanno che gestire un impero è immorale, estremamente costoso e incredibilmente ridicolo governare un mondo pieno di idee, culture, etnie e lingue diverse.

Sanno che la diplomazia, il rispetto e il commercio sono un'opzione migliore per il bene dell'umanità.

Ora, significa che in un mondo multipolare, le guerre future saranno evitate?

Non necessariamente, ma almeno vale la pena provare, dato che gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali non hanno creato altro che guerre e caos dalla fine della seconda guerra mondiale e ora siamo a un punto in cui questo sistema basato sull'ordine mondiale sta per scatenare una guerra devastante che coinvolge armi nucleari.

Dalla seconda guerra mondiale, sono stati gli Stati Uniti in prima linea a costruire un ordine mondiale basato sulle sue proiezioni egemoniche per controllare ogni nazione sulla terra.

 Il Ministero degli Affari Esteri cinese ha deciso di togliersi i guanti e pubblicare "L'egemonia degli Stati Uniti e i suoi pericoli" che espone come gli Stati Uniti hanno usato il loro status di superpotenza, compresa la sua macchina economica, finanziaria, politica e militare per creare il loro "copione egemonico.

Gli Stati Uniti hanno sviluppato un copione egemonico per mettere in scena "rivoluzioni colorate", istigare dispute regionali e persino lanciare direttamente guerre con il pretesto di promuovere la democrazia, la libertà e i diritti umani.

Aggrappati alla mentalità della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno intensificato la politica dei blocchi e alimentato conflitti e scontri.

Ha sovraccaricato il concetto di sicurezza nazionale, abusato dei controlli sulle esportazioni e imposto sanzioni unilaterali ad altri. Ha adottato un approccio selettivo al diritto e alle regole internazionali, utilizzandole o scartandole come meglio crede, e ha cercato di imporre regole che servono i propri interessi in nome del mantenimento di un "ordine internazionale basato sulle regole".

L'unico grafico che spiega tutto. Contenere la Cina. "L'umanità coinvolta in una terza guerra mondiale"

Questo rapporto, presentando i fatti rilevanti, cerca di esporre l'abuso dell'egemonia degli Stati Uniti nei campi politico, militare, economico, finanziario, tecnologico e culturale, e di attirare una maggiore attenzione internazionale sui pericoli delle pratiche statunitensi per la pace e la stabilità del mondo e il benessere di tutti i popoli.

La Cina non sta cercando di diventare il prossimo impero, poiché i media mainstream stanno mettendo in guardia soprattutto su FOX News e altri.

Nel 2018, il dottor Chandra Muzaffar, uno scienziato politico e attivista malese, ha scritto "Cina, una nuova potenza imperiale?" ha chiesto nella sua introduzione "La Cina è una nuova potenza imperiale che minaccia alcune delle economie in via di sviluppo in Asia e Africa?"

Ha detto che "questa è una percezione che viene promossa attraverso i media da alcuni osservatori cinesi nelle università e nei think-tank principalmente in Occidente, vari politici e da un segmento della comunità globale delle ONG".

Una delle bandiere rosse per le reti mediatiche statunitensi ed europee era che la Cina stava offrendo prestiti impagabili ai paesi poveri in quella che era ed è ancora considerata una "trappola del debito", almeno ai falchi della guerra cinese a Washington.

Il Dr. Muzaffar spiega perché l'Occidente si sbaglia sulla trappola del debito cinese riguardante uno dei paesi che hanno accettato un prestito e cioè il Pakistan.

Il Pakistan ha ottenuto prestiti dalla Cina per progetti nell'ambito del corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC).

Il CPEC da 50 miliardi di dollari degli Stati Uniti è una rete di progetti infrastrutturali attualmente in costruzione in tutto il Pakistan che collegherà la provincia cinese dello Xinjiang con il porto di Gwadar nella provincia pakistana del Belucistan.

Alcuni di questi progetti rafforzeranno il settore energetico pakistano, vitale per la sua crescita economica.

 Contribuiranno a ridurre il suo grave deficit commerciale.

 Il servizio del debito dei prestiti CPEC che inizieranno solo quest'anno ammonta a meno di 80 milioni.

I maggiori creditori del Pakistan non sono la Cina, ma i paesi occidentali e i prestatori multilaterali guidati dal FMI e dalle banche commerciali internazionali.

Il suo debito estero "dovrebbe superare i 95 miliardi quest'anno e si prevede che il servizio del debito raggiungerà i 31 miliardi entro il 2022-2023".

 Ci sono prove che dimostrano che i suoi creditori "si sono attivamente intromessi nelle politiche fiscali del Pakistan e nella sua sovranità attraverso programmi di rinegoziazione del debito e le condizionalità collegate ai prestiti del FMI".

Dice anche che la maggior parte del debito a lungo termine dell'Africa è stata gestita dal Fondo monetario internazionale (FMI) e dalla Banca mondiale, ma afferma che "molti stati africani hanno debito cinese.

Questo di per sé non è un problema, a condizione che i prestiti siano utilizzati per il bene pubblico.

A questo proposito, il finanziamento delle infrastrutture nell'ambito della “Belt and Road Initiative” (BRI) – costruzione di porti, ferrovie e cavi in fibra ottica – sembra essere una componente importante del coinvolgimento della Cina in Africa.

Gibuti aveva escluso 1,4 miliardi dalla Cina che hanno permesso alla Cina di costruire la sua prima base militare.

Burocrati occidentali e funzionari militari hanno affermato che la Cina sta espandendo il suo impero in Africa secondo un rapporto dell'Istituto navale degli Stati Uniti (USNI) su ciò che il comandante dell'esercito africano degli Stati Uniti, generale Stephen Townsend, ha detto al Comitato dei servizi armati della Camera nell'aprile 2021 "che l'Esercito popolare di liberazione stava espandendo la sua installazione navale esistente adiacente a un porto commerciale in acque profonde di proprietà cinese e anche cercando altre opzioni di base militare altrove il continente" e che "La loro prima base militare all'estero, la loro unica, è in Africa, e l'hanno appena ampliata aggiungendo un molo significativo che può persino supportare le loro portaerei in futuro.

 In tutto il continente sono alla ricerca di altre opportunità di base". I

l Dr. Muzaffar ci ricorda che "Va notato allo stesso tempo che Gibuti ospita anche la più grande base militare statunitense in Africa"

Tuttavia, sostiene anche che l'ascesa della Cina è di natura economica mentre l'Occidente continua la sua agenda neocoloniale

Gibuti a parte, le imprese cinesi in Africa sono state quasi totalmente economiche.

Il quid pro quo per i cinesi è vero che è stato l'accesso alle ricche risorse naturali del continente.

Ma è sempre accesso, mai controllo.

Il controllo sulle risorse naturali delle nazioni che colonizzarono fu la forza trainante dietro 19esimo secolo colonialismo occidentale.

Il controllo attraverso governi flessibili e, in casi estremi, attraverso il cambio di regime continua ad essere un fattore chiave nella ricerca dell'egemonia dell'Occidente – specialmente degli Stati Uniti – sull'Africa e sul resto del mondo contemporaneo.

È perché l'ascesa pacifica della Cina come attore globale sfida quell'egemonia che i centri di potere in Occidente stanno facendo di tutto per denigrare e demonizzare la Cina.

Etichettare la Cina come una nuova potenza imperiale o coloniale fa parte di quella feroce propaganda contro una nazione, anzi una civiltà che ha già iniziato a cambiare l'equilibrio di potere globale.

È un cambiamento – verso una distribuzione più equa del potere – che è nell'interesse più ampio dell'umanità.

Per questo motivo, i popoli del mondo dovrebbero impegnarsi con tutto il cuore per il cambiamento che sta abbracciando tutti noi.

La Cina capisce di cosa sono capaci gli imperi invasori da quando sono stati invasi dalle forze imperiali giapponesi durante la seconda guerra mondiale, che è stata un'occupazione orribile che ha portato alle innumerevoli morti e alla distruzione della società cinese.

Anche i sovietici vissero gli orrori delle forze d'invasione di Hitler. Mantenere un impero è immorale e costoso, quindi potenze emergenti come Cina, Russia o India non sono interessate a controllare e occupare paesi sovrani per il loro guadagno politico o economico.

Un mondo multipolare è inevitabile mentre il voto delle Nazioni Unite per condannare l'invasione della Russia fallisce.

Le nazioni occidentali e i loro alleati, tra cui Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Australia, Regno Unito, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e altri governi fantoccio, rappresentano più di 1 miliardo di persone che sono state tenute insieme sotto un ordine mondiale unipolare basato su regole, poiché per il Sud del mondo, rappresenta oltre 6 miliardi di persone.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, molti paesi che fanno parte del Sud del mondo si sono astenuti dal votare per un'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 marzo, 2022, per condannare l'invasione della Russia, compresi 17 paesi africani.

I "17 paesi africani dell'Africa orientale si astengono dal voto delle Nazioni Unite per condannare l'invasione della Russia" hanno affermato che più di 35 paesi hanno deciso di astenersi dal voto per condannare l'invasione russa dell'Ucraina.

"Circa 35 paesi si sono astenuti dal voto, tra cui Russia e Cina, e stati africani – Burundi, Senegal, Sud Sudan, Sud Africa, Uganda, Mali e Mozambico".

 Anche Algeria, Bolivia, Cuba, Iran, Iraq, Laos, Mozambico, Nicaragua, Pakistan, Sud Africa e Vietnam L'astensione dimostra che la marea si sta rivoltando contro l'Occidente.

Coloro che hanno votato contro la risoluzione sono stati Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria.

I tempi stanno davvero cambiando.

La sezione europea del “Carnegie Endowment for International Peace” o “Carnegieeurope.eu “ha pubblicato un articolo del Senior fellow “Stefan Lehne

"Dopo la guerra della Russia contro l'Ucraina: che tipo di ordine mondiale?" ha iniziato il suo pezzo con il capo degli affari esteri dell'Unione europea, Josep Borrell e i suoi commenti sulla differenza tra l'Europa e il resto del mondo o come Borrell ha chiamato la "giungla" ha guadagnato proteste ed è stato criticato per questo.

Borrel ha detto che "la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l'umanità è stata in grado di costruire" mentre paragonava l'Europa al Sud del mondo dicendo che "la maggior parte del mondo è una giungla e la giungla potrebbe invadere il giardino".

Lehne ha cercato di giustificare i commenti di Borrell dicendo che "questo era probabilmente un riferimento al libro di Robert Kagan del 2018, The Jungle Grows Back: America and Our Imperiled World".

Lehne ha detto che il libro di Kagan "equivale a un duro avvertimento sulle conseguenze di un ritiro degli Stati Uniti dalle sue responsabilità globali.

Kagan scrive che senza una determinata leadership americana, le nazioni tornerebbero ai modelli tradizionali di comportamento e il mondo ricadrebbe nel disordine, nell'oscurità e nel caos.

Quindi, secondo l'establishment europeo ed evidentemente “Robert Kagan”, che è il marito di “Victoria Nuland “che ha sostenuto il colpo di stato in Ucraina nel 2014, solo l'Europa e gli Stati Uniti possono guidare la popolazione globale verso un futuro giusto e prospero, anche se sono responsabili di molti dei problemi che il mondo affronta oggi.

Il fatto è che le potenze occidentali sostengono e talvolta partecipano a guerre continue, mantengono possedimenti coloniali, impongono sanzioni economiche e politiche contro coloro che non hanno seguito gli ordini di offrire alle nazioni povere prestiti da istituzioni globaliste come la Banca Mondiale o il FMI che non possono mai essere ripagati per organizzare cambi di regime e colpi di stato contro governi che non gli piacciono.

Questo non vuol dire che ci siano una manciata di paesi nel Sud del mondo che tradiranno il loro popolo per guadagno politico o economico che si uniranno all'Occidente se si presenterà l'opportunità, come il presidente brasiliano, Lula Da Silva.

Nel complesso, è l'Occidente che ha creato la maggior parte del disordine, dell'oscurità e del caos in tutto il mondo.

Per quanto riguarda la Russia, Lehne dice che "la Russia si è trasformata in una potenza revisionista aggressiva".

Ma omette di menzionare che le azioni delle forze USA-NATO politicamente e militarmente hanno causato l'aggressività della Russia.

"Come dimostrato dalla guerra della Russia in Georgia nel 2008, dalla sua annessione della Crimea e dall'intervento nel Donbas nel 2014 e dalla sua invasione dell'Ucraina nel 2022, la leadership di Mosca è determinata a invertire alcune delle perdite degli anni 1990, aumentare il territorio della Russia e stabilire solide zone di influenza".

Quindi ora la Russia vuole espandere il suo territorio?

 Quindi, dopo, l'Ucraina i russi invaderanno la Polonia, la Finlandia, forse l'Italia, forse la Spagna?

Non sono d'accordo con la conclusione di Lehne che "la globalizzazione ha rallentato ma non sarà completamente invertita".

 Il Sud del mondo sta già invertendo la morsa delle potenze occidentali su molti livelli.

Un buon esempio è ciò che sta accadendo nel paese africano del “Burkina Faso “mentre il governo ha chiesto che le truppe francesi si ritirino dal paese durante le crescenti tensioni tra i due governi secondo un africanews.com in un recente articolo "Il Burkina Faso conferma la richiesta alla Francia di ritirare le truppe" ha riferito che "Il governo del Burkina Faso ha chiarito lunedì che ha chiesto all'ex sovrano coloniale francese di ritirare le sue truppe dal paese colpito dall'insurrezione all'interno un mese."

La Francia ha più di 400 truppe delle forze speciali in quella che viene chiamata la nazione governata dalla giunta.

 Il portavoce Jean-Emmanuel Ouedraogo ha dichiarato alla Radio-Television du Burkina che "stiamo terminando l'accordo che consente alle forze francesi di essere in Burkina Faso".

Ha detto che le relazioni diplomatiche non finiranno nonostante le crescenti tensioni tra i due governi, ma questo è solo un esempio.

 Stepan Lehne ritiene che l'interdipendenza economica e le comunicazioni internazionali avranno bisogno di istituzioni occidentali ed è per questo che crede che "l'attuale sistema multilaterale ereditato dal dopoguerra sopravviverà".

Lehne vede la realtà che l'ordine mondiale sta diventando irrilevante negli anni a venire "Ma l'impegno per le sue regole continuerà a diminuire, e la politica di potere e gli accordi transazionali spesso prevarranno".

L'agenda USA-NATO: balcanizzare la Russia e poi andare in guerra contro la Cina.

 

Come tutti sappiamo, l'alleanza USA-NATO sta conducendo una guerra per procura in Ucraina per destabilizzare la Russia.

L'obiettivo finale è balcanizzare la Russia come hanno fatto con l'ex Jugoslavia.

 I falchi della guerra di Washington sia democratici che repubblicani, hanno a lungo sognato di dividere la Russia per impedirle di diventare una potenza politica ed economica in ascesa sulla scena mondiale.

Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti del presidente, Jimmy Carter, professore alla Columbia University e membro del “Council of Foreign Relations” (CFR) e del “gruppo Bilderberg” ha scritto "The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives" che è stato pubblicato nel 1998 ha chiaramente affermato che "È imperativo che non emerga nessuno sfidante eurasiatico, in grado di dominare l'Eurasia e quindi di sfidare anche l'America".

Per quanto riguarda l'ascesa della Cina, gli Stati Uniti sono nelle fasi di pianificazione di una guerra.

Il 28 gennaioesimo, 2023, Reuters ha pubblicato "Il generale a quattro stelle degli Stati Uniti avverte della guerra con la Cina nel 2025" che "Un generale a quattro stelle dell'aeronautica statunitense ha detto in un memo che il suo istinto gli ha detto che gli Stati Uniti avrebbero combattuto la Cina nei prossimi due anni" Il generale Mike Minihan, che dirige l'Air Mobility Command, ha detto: "Spero di sbagliarmi", ha continuato "Il mio istinto mi dice che combatterà nel 2025".

La linea di fondo è che i burocrati statunitensi ed europei, i banchieri internazionali, le società, le agenzie di intelligence e il loro complesso militare-industriale noto come MIC temono tutti un mondo multipolare ed è per questo che il discorso sulla guerra con la Russia e la Cina è una parte importante della loro agenda.

Una dichiarazione congiunta tra Russia e Cina è stata rilasciata il 4 febbraioesimo, ecco parte della dichiarazione:

Le parti sostengono l'approfondimento del partenariato strategico all'interno dei BRICS, promuovono la cooperazione ampliata in tre aree principali:

politica e sicurezza, economia e finanza e scambi umanitari.

In particolare, Russia e Cina intendono incoraggiare l'interazione nei settori della salute pubblica, dell'economia digitale, della scienza, dell'innovazione e della tecnologia, comprese le tecnologie di intelligenza artificiale, nonché il maggiore coordinamento tra i paesi BRICS sulle piattaforme internazionali.

Le parti si sforzano di rafforzare ulteriormente il formato BRICS Plus / Outreach come meccanismo efficace di dialogo con le associazioni di integrazione regionale e le organizzazioni dei paesi in via di sviluppo e degli Stati con mercati emergenti.

L'Occidente teme la coalizione BRICS e il loro potenziale di attirare il resto del Sud del mondo.

Parlando del Sud del mondo, un'interessante analisi del “Bennet Institute for Public Policy”, sponsorizzata dall'Università di Cambridge, intitolata "La guerra in Ucraina allarga il divario globale negli atteggiamenti pubblici nei confronti di Stati Uniti, Cina e Russia – rapporto", suggerisce che il Sud del mondo e il loro sostegno alla Cina, alla Russia o a entrambi sono aumentati in modo significativo.

Tuttavia, il rapporto identifica anche una zona di società illiberali e antidemocratiche, che si estende dall'Asia orientale attraverso il Medio Oriente e verso l'Africa occidentale, caratterizzata dalla tendenza esattamente opposta: popolazioni che hanno costantemente aumentato il sostegno per la Cina, la Russia o entrambi, negli ultimi anni.

Tra gli 1,2 miliardi di persone che abitano le democrazie liberali del mondo, tre quarti (75%) ora hanno una visione negativa della Cina e l'87% una visione negativa della Russia, secondo il rapporto, pubblicato oggi dal Centro universitario per il futuro della democrazia (CFD).

Tuttavia, tra i 6,3 miliardi che vivono nei restanti 136 paesi del mondo, è vero il contrario, con il 70% delle persone che si sente positivamente verso la Cina e il 66% verso la Russia.

L'analisi include dati significativi sull'opinione pubblica provenienti dalle economie emergenti e dal Sud del mondo e suggerisce che questo divario non è solo economico o strategico, ma basato sull'ideologia personale e politica.

L'idea di un nuovo ordine mondiale è morta?

Il mondo multipolare sta diventando una realtà per Washington, Bruxelles e il resto dei loro alleati poiché la loro rilevanza sta iniziando a diminuire nei prossimi anni, ma Washington e i suoi cagnolini della NATO sono disposti a lanciare la terza guerra mondiale contro la Russia e la Cina e chiunque considerino un nemico, anche se ciò significa iniziare una guerra nucleare in modo che il loro ordine mondiale rimanga rilevante.

L'Occidente è disposto a rischiare una guerra nucleare per il bene del loro ordine mondiale, anche se li uccide nel processo?

Nel caso di una guerra nucleare, dove andranno a correre i burocrati occidentali, i banchieri, i leader aziendali e le loro famiglie? Patagonia, Argentina? forse in una delle piccole isole del Pacifico, forse nelle Fiji?

 Questi leader occidentali non si preoccupano dei loro cittadini, sono psicopatici assetati di potere e faranno tutto il possibile per rimanere al potere, anche se ciò significa che le loro vite saranno a rischio in caso di una guerra nucleare tra est e ovest.

Si spera che l'Occidente rinsavisca e cerchi di fare pace con il resto del mondo e abbandoni la sua idea di globalismo, ma da quello che vediamo nella guerra in Ucraina e nel loro tintinnio di sciabole con la Cina su Taiwan, non lo faranno.

 Il globalista David Rockefeller una volta disse: "Siamo sull'orlo di una trasformazione globale.

Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è la giusta grande crisi e le Nazioni accetteranno il Nuovo Ordine Mondiale!"

Beh, Rockefeller deve rotolarsi nella tomba perché il mondo sta vivendo un diverso tipo di crisi che sta sfidando il panorama economico, politico e militare che è stato in atto per secoli.

Ci saranno problemi e conflitti in un mondo multipolare?

Forse, tutto è possibile, ma è giusto dire che il mondo ha bisogno di qualcosa di diverso perché da quello che è successo negli ultimi 500 anni con Gran Bretagna, Francia, Spagna e Paesi Bassi e secoli dopo, gli Stati Uniti come governanti globali, hanno solo portato il mondo a guerre infinite e spargimenti di sangue, quindi è tempo di cambiare.

Ciò di cui il mondo ha bisogno è un nuovo sistema in cui la diplomazia, il rispetto e il commercio siano lo stato di diritto piuttosto che guerre, cambi di regime, sanzioni economiche, interferenze nelle elezioni straniere, guerre biologiche e omicidi politici.

Un mondo multipolare ha la possibilità di stabilire un paesaggio equilibrato in cui nessuna potenza occidentale può dettare il suo ordine basato su regole alle sue ex colonie e al resto del pianeta, un nuovo paesaggio in cui anche il pensiero di una guerra nucleare diventa impensabile, e questo è il tipo di mondo che tutti vogliamo.

(Timothy Alexander Guzman, collabora regolarmente con Global Research)

 

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