UOMINI INUTILI PER DAVOS.
UOMINI
INUTILI PER DAVOS.
RITORNO
ALLA NORMALITA’? MAI.
Ecco
come nasce il mondo nuovo.
Lanuovabq.it
– Maurizio Milano – Klaus Schwab – (19 – 8- 2021) – ci dice:
Il
recente libro di Klaus Schwab, chairman del Forum di Davos, è fondamentale per
comprendere quale tipo di mondo intendono costruire le élite mondialiste.
Una
governance mondiale dell'economia e della società in grado di decidere dove
andare, con quali mezzi e in che modo, partendo dalla transizione ecologica.
E la
pandemia da Covid-19 è la grande occasione per l'affermazione di questa sorta
di "socialismo liberale", grazie anche al controllo dei media che
ripetono la narrazione voluta dal Potere.
Nel suo
recente libro “Stakeholder Capitalism: A Global Economy that Works for Progress, People
and Planet”,
il chairman di Davos, prof. Klaus Schwab, afferma che il modello sociale,
economico e politico attuale è giunto al capolinea.
I
segni di crisi erano già evidenti negli anni ’70, a partire dal «Rapporto
Meadows» del 1972, commissionato dal “Club di Roma” di Aurelio Peccei, che
individuava i «limiti dello sviluppo» nella crescita “eccessiva” della
popolazione rispetto alle risorse disponibili.
E
siccome le persone emettono anidride carbonica e lasciano un’«impronta
ecologica», per l’ideologia “verde” oggi dominante la popolazione è considerata
come la principale minaccia per la “salute” stessa del pianeta.
Schwab
si focalizza poi sulla svolta definita come «neo-liberista», iniziata negli
anni ’80 con la “Reaganomics” e il “Thatcherismo”, incentrata «maggiormente su fondamentalismo del
mercato e individualismo e meno sull’intervento statale o sull’implementazione
di un contratto sociale», giudicandola «un errore».
Egli afferma che il modello dominante – che
definisce «shareholder
capitalism»
perché la responsabilità delle imprese è limitata alla produzione di utili per
gli azionisti, senza ulteriori implicazioni “sociali” – dev’essere urgentemente superato
nella direzione di quello che definisce lo «stakeholder capitalism del XXI
secolo»,
dove debbono essere presi in considerazione tutti i “portatori di interesse”, dai clienti ai lavoratori, dai
cittadini alle comunità, dai governi al pianeta, in una prospettiva non più locale o
nazionale ma “globale”, che richiede quindi un nuovo “multilateralismo”.
In
linea di principio, la logica dello “stakeholder capitalism” è anche condivisibile, giacché le
imprese non vivono nel vacuum ma in contesti sociali e politici e quindi, oltre alla generazione di profitto
per gli azionisti servendo al meglio i clienti in una libera e leale
concorrenza,
è equo che sostengano i costi delle eventuali esternalità e si assumano anche
responsabilità più ampie, secondo il principio del bene comune a cui tutti sono
tenuti a contribuire.
Che cosa si intende però esattamente col
termine «stakeholder
capitalism del XXI secolo»? Al cuore di tale modello, secondo Schwab, vi sono due
realtà: le
“persone” e il “pianeta”.
Le
“persone”:
Schwab scrive che «il benessere delle persone in una società influisce su
quello di altre persone in altre società, e spetta a tutti noi come cittadini
globali ottimizzare il benessere di tutti».
I
«cittadini globali» astratti indicati da Schwab esistono però solo nelle
visioni ideologiche:
le “persone” concrete hanno sempre relazioni, a
partire dalla famiglia e con la società circostante, e sono sempre portatrici
di una storia – e di una geografia –, nonché di una visione del mondo.
Non
esistono i “cittadini del mondo”, se non tra le élite tecnocratiche apolidi a
cui si indirizza, evidentemente, il prof. Schwab.
Il
“pianeta”:
Schwab lo definisce come «lo stakeholder centrale nel sistema economico
globale, la cui salute dovrebbe essere ottimizzata nelle decisioni effettuate
da tutti gli altri stakeholder.
In
nessun altro punto ciò è divenuto più evidente come nella realtà del
cambiamento climatico planetario e nei conseguenti eventi climatici estremi
provocati».
La teoria del «riscaldamento globale» di origine
antropica – ultimamente sostituita dal «cambiamento climatico», forse perché così la narrazione
rimarrebbe valida anche se la temperatura del pianeta dovesse “malauguratamente”
ridiscendere! – è appunto soltanto una
teoria, non una realtà, in quanto manca di conferme scientifiche certe.
Pur
considerando l’uomo come il “cancro” del pianeta, l’ideologia ecologista pecca
paradossalmente per eccesso di “antropocentrismo” perché attribuisce all’essere
umano un potere che nei fatti è ben lungi da avere:
non è forse prometeico pretendere di abbassare
la temperatura del pianeta come si fa col climatizzatore dell’ufficio e pensare di potere cambiare il clima
della Terra come se fosse quello della serra dell’orto di casa?
UNA
TRANSIZIONE TOTALIZZANTE. Schwab non ne parla in questo suo ultimo libro ma si sa che
la “transizione ecologica” imposta non si limiterà alle tematiche di tipo
“energetico”, con l’abbandono dei combustibili fossili, ma si estenderà anche
al cambio dei modelli alimentari, incentivando la “conversione” al veganesimo e
al consumo di “carne sintetica”;
per non parlare della “suggestione” ad avere
preferibilmente un solo figlio per famiglia, ad adottare uno stile di vita
all’insegna dell’austerità, rinunciando a viaggiare per non inquinare oppure
preferendo andare a piedi o in bicicletta e utilizzare solo i mezzi pubblici;
e chissà cos’altro in futuro, perché la
rivoluzione verde, come tutte le rivoluzioni, è un processo in divenire
perenne, e quindi non può arrestarsi.
I costi
saranno probabilmente stratosferici, a carico dei contribuenti e dei
consumatori, con inevitabili gravi alterazioni della concorrenza e quindi delle
stesse prospettive di crescita economica futura, a danno dei più e a beneficio
delle industrie favorite da tali progetti oltre che della “finanza sostenibile
ESG”.
Per non parlare delle pesanti restrizioni alla
libertà, che abbiamo già iniziato ad “assaporare”: una decrescita, insomma,
davvero poco felice.
Se lo
«stakeholder
capitalism del XXI secolo» si fonda su questi due pilastri c’è quindi da temere
davvero derive liberticide.
Mentre le società e l’iniziativa economica
nascono storicamente dal basso, a partire dalle persone concrete, inserite in
famiglie e in comunità, per poi svilupparsi secondo logiche sussidiarie nei
vari corpi intermedi, qui ci troviamo di fronte a una visione distopica fondata
su un’antropologia distorta e conseguentemente su una sociologia “rovesciata”.
Una
prospettiva atomistica e materialistica, centralistica e dirigistica, dove i
“migliori” vorrebbero guidare dal centro e dall’alto, come nella città ideale
vagheggiata da Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) nella Politéia.
Ovviamente
verso un “mondo migliore”: prospero, inclusivo, resiliente e sostenibile: vaste
programme!
Concordando
con la visione dell’economista italiana Mariana Mazzucato, Schwab sostiene che «un governo forte non dovrebbe
limitarsi alla regolamentazione, ma essere anche una forza fondamentale di
innovazione e di valore aggiunto per la società».
Chi legge Schwab e gli altri economisti mainstream è
portato a pensare che il sistema economico attuale goda di un “eccesso di
libertà” dei privati, disfunzionale per il bene del “mondo”, che manchino le
regole, che gli Stati non intervengano nella vita sociale ed economica delle
proprie nazioni.
Tale
percezione si ritrova purtroppo anche in chi è critico delle posizioni
dirigistiche e liberticide di Davos:
se si
cade nella trappola di utilizzare lo stesso linguaggio si rischia seriamente di
sbagliare diagnosi e quindi anche “terapia”.
IL
PROGETTO DI UNA GOVERNANCE MONDIALE.
Nella
realtà, invece, i Paesi contemporanei – a chi li osserva senza inforcare le
lenti deformanti dell’ideologia – sono caratterizzati tutti, chi più chi meno,
da una presenza molto forte dello Stato nella vita economica e sociale, da un
livello di pressione fiscale e contributiva importante, da un’elevata collusione dei grandi
gruppi industriali e finanziari col potere politico (il cosiddetto capitalismo
clientelare) e da un monopolio statale sul denaro, la cui quantità viene
manipolata ad libitum dalle rispettive Banche centrali che negli ultimi anni
intervengono in modo sempre più attivo e spregiudicato per orientare i sistemi
finanziari, e quindi economici, dei propri Paesi.
Dove sarebbe,
quindi, questo fantomatico «neo-liberismo» denunciato da tutti – da Davos e dai
critici di Davos – quando negli stessi Stati Uniti, considerati l’emblema
dell’economia libera, il potere politico è colluso con i grandi gruppi privati
e lo stesso andamento di Wall Street – nell’immaginario collettivo simbolo
iconico del «capitalismo selvaggio» e del «turbo-capitalismo» – dipende in
realtà sempre più dalla politica, in particolare dalle politiche monetarie
ultra-espansive attuate dal 2009 dalla Federal Reserve statunitense, solo
formalmente indipendente dall’establishment politico-economico?
Com’è
noto, la prospettiva di Davos è quella del «Great Reset» dei sistemi
economici-sociali-politici attuali, all’interno del quadro di riferimento
dell’Agenda ONU 2030 per il cosiddetto «sviluppo sostenibile ESG»:
la direzione proposta (imposta?) è quella di
andare verso un «New Normal», una sorta di governance mondiale, dove delle
“cabine di regia” sempre più alte, composte da organismi sovranazionali, Stati,
Banche centrali, grandi gruppi finanziari ed economici, think tank come Davos,
assumeranno il ruolo di direttori d’orchestra per decidere dove andare, con
quali mezzi e in che modo, per «ricostruire il mondo in modo migliore», secondo
lo slogan «B3W», ovvero «Build Back a Better World» del Presidente statunitense
Joe Biden, condiviso dai Paesi del G7.
RITORNO
ALLA NORMALITÀ? MAI.
Ma
come imporre tali cambiamenti?
Nel
suo libro precedente, molto conosciuto, “COVID-19: The Great Reset”, il leader del WEF scriveva che, al di là dei dati di fatto, della
“realtà”, «le nostre azioni e reazioni umane […] sono determinate dalle
emozioni e dai sentimenti: le narrazioni guidano il nostro comportamento»,
lasciando intendere che, con uno story-telling adeguato, sarà possibile indurre
un po’ per volta il cambiamento dall’alto, creando il consenso con un mix di
bastone e di carota.
La
manipolazione del linguaggio e la propaganda, insieme al controllo dei flussi
finanziari e a regolamentazioni sempre più rigide, sono funzionali all’attuazione di un
processo di disruption, che è già sotto gli occhi di tutti e che sta iniziando a dare
i “frutti” sperati.
Il
Grande Reset verso il “Brave New World” «post-pandemico» va quindi nella direzione opposta a quella
desiderabile.
Pensando
alla “Certificazione
verde COVID-19” – imposta
in Italia con decreto-legge in piena estate, incuranti dei prevedibili gravi
danni alla stagione turistica a fronte di una “necessità” e “urgenza” che non
si comprendono – si ha sempre più l’impressione di trovarsi all’interno di uno
straordinario esperimento di “ingegneria sociale”.
Perché l’hanno chiamata verde? Forse perché il
pass è destinato a rimanere anche passata l’epidemia CoViD, e si potrà utilizzarlo per
imporre restrizioni alla libertà per gestire la prossima “emergenza”, quella
climatica?
Dopo
18 mesi di “stato di eccezione” le persone sono state condizionate con la
paura, l’isolamento e la propaganda martellante ad accettare il cambiamento, a
barattare spazi crescenti di libertà e privacy in cambio della speranza di
“sicurezza” e “salute”.
Non
bisogna «sprecare la crisi», questa «grande opportunità» dell’epidemia, come
scrivono la Mazzucato e Schwab:
ciò
spiega la “fretta” di attuare l’Agenda di Davos, senza neppure preoccuparsi di
nascondere il progetto, peraltro condiviso da tutte le classi dirigenti.
L’opposizione, se c’è, non si vede.
Lo «stakeholder capitalism del XXI secolo» appare come una sorta di “socialismo liberale”, un po’ gnostico
e un po’ fabiano, che ricorda più la prospettiva del “Nuovo Mondo” di Aldous Huxley
(1894-1963) che non quella di “1984” di George Orwell (1903-1950).
Quos
Deus perdere vult, dementat prius:
qualsiasi
progetto contrario alla natura dell’uomo e all’ordine delle cose è destinato
inevitabilmente al fallimento finale, ma può tuttavia arrecare dei seri danni,
per molti anni a venire.
«Quando
torneremo, dunque, alla normalità?»: «Quando? Mai», scrive Schwab.
Ė scritto nero su bianco, basta prendersi la
briga di andare a leggere quello che scrivono:
non è
complottismo, ma se anche lo fosse sarebbe allora il complottismo del WEF di Davos, non certo quello di chi si limita a
denunciarlo.
Le
“persone inutili” di Yuval Harari
e la negazione del libero arbitrio.
Conquistedelavoro.it
– (28 giugno 2022) – Raffaella Vitulano
– ci dice:
Li
definiscono intellettuali famosi, Yuval Noah Harari e Slavoj Zizek, anche se quest’ultimo sussulta
quando viene chiamato così.
Diverse
le loro specializzazioni accademiche: storia medievale per Harari, filosofia
hegeliana e psicoanalisi lacaniana per Zizek.
Al più
grande festival di filosofia del mondo, “HowTheLightGetsIn”, si sono confrontati sulla questione
della natura:
amica
o nemica?
La risposta
non è sorprendentemente sfumata: la natura non è né nostra amica né nostra
nemica.
Stiamo per entrare in un’era post-natura e
questo cambierà tutto.
Dopo
un lungo periodo di pensiero illuminista che ha visto la natura conquistata
dalla ragione e domata dalla tecnologia, il suo posto nella società è tornato
in grande stile, anche grazie alla pandemia di Covid e alla crisi climatica.
Per
Harari e Zizek la natura non è né buona né cattiva, è semplicemente al di fuori della
moralità.
L’idea che le innovazioni guidate dall’uomo e
gli incidenti come i reattori nucleari, il vaccino contro il Covid-19 o persino
la guerra in Ucraina siano “naturali” può suonare strano.
Ma
dato che la loro esistenza non viola nessuna legge naturale e sono fatti dello
stesso materiale fisico di tutto il resto, allora in un certo senso lo sono.
Siamo
sul punto di creare quelle che Harari chiama “forme di vita inorganiche”, riferendosi all’Intelligenza Artificiale avanzata.
E
vedrete se non le considereremo come naturali.
Al Festival di Filosofia si concorda: stiamo per cambiare la nostra
composizione biologica, cambiando la nostra natura in modi radicali.
Questo
potrebbe eccitare alcuni transumanisti e scienziati che sono concentrati
sull’uso di questi strumenti per risolvere problemi ristretti e specifici nei
loro campi, ma Harari ha un tono più cupo e mette in allerta.
Questo
è ciò che hanno sognato dittatori spietati.
In passato,
quando i dittatori cadevano, almeno ciò che lasciavano dietro di loro era
ancora umano.
In futuro, potrebbe non essere più così.
Stalin, interviene Zizek, voleva fare
esattamente questo:
creare
un esercito di lavoratori geneticamente modificati che potessero lavorare oltre
i limiti di qualsiasi essere umano e sopravvivere con un minimo di
sostentamento e provviste di base.
“Il
problema non è se saremo ridotti in schiavitù dalle macchine, ma che questa
schiavitù rafforzerà la divisione tra gli umani”, ha detto Zizek.
“Alcune
persone ci controlleranno e altre saranno controllate”.
Se ingegnerizziamo geneticamente gli esseri
umani per essere più intelligenti, più coraggiosi, più efficienti, ciò alla
fine porterà alla scomparsa di tutte le nostre altre caratteristiche, quelle
che saranno ritenute meno desiderabili dagli ingegneri dell’umanità.
La selezione di alcune funzionalità
significherà la scomparsa di altre.
“Se dai loro la tecnologia per iniziare a
incasinare il nostro Dna, per iniziare a incasinare i nostri cervelli,
multinazionali ed eserciti potrebbero amplificare alcune qualità umane di cui
hanno bisogno, come la disciplina.
Nel
frattempo, potrebbero sminuire altre qualità umane come la compassione o la
sensibilità artistica o la spiritualità”:
detto
dal transumanista Yuval Noah Harari, consulente chiave del World Economic Forum
di Davos e di Klaus Schwab, l’allarme suona ipocrita.
Suona
allarmante invece il fatto che pensi che il libero arbitrio sia un “mito
pericoloso”.
Un
punto su cui il neurochirurgo Michael Egnor lo contesta con forza:
“La negazione del libero arbitrio è una pietra
angolare del totalitarismo.
Senza
il libero arbitrio, siamo bestiame senza diritti”.
Lo storico Yuval Noah Harari è anche coautore
con Thierry Malleret di “Covid-19: The Great Reset”.
E in
una domanda rivela tutta la sua vera ideologia:
“Cosa fare nei prossimi decenni con
tutte le persone inutili?”.
Una
classe dirigente si interrogherà con “noia” su cosa fare di loro dato che “
sono fondamentalmente privi di significato, senza valore”.
Harari
calpesta così le orme di Aldous Huxley durante la sua famigerata conferenza “Ultimate Revolution” del 1962 al
Berkley College:
“La
mia ipotesi migliore, al momento è una combinazione di droghe e giochi per
computer come soluzione finale per la maggior parte di loro. Penso che una volta che sei
superfluo, non hai potere”.
L’apoteosi del pensiero eugenetico affiora nel
ruolo della tecnologia nella creazione di una nuova classe inutile globale
“post-rivoluzionaria”, per sempre sotto il dominio dell’emergente “casta alta” di
élite dai colletti d’oro di Davos.
La casta alta che domina la nuova tecnologia
non sfrutterà i poveri. Semplicemente non avrà bisogno di loro.
E sarà molto più difficile ribellarsi
all’irrilevanza che allo sfruttamento.
Yuval
è elogiato da Klaus Schwab, ma anche da Barack Obama, Mark Zuckerberg e Bill
Gates, che hanno recensito l'ultimo libro di Harari sulla copertina del New York
Times Book Review.
Per
lui la morale, proprio come Dio, il patriottismo, l’anima o la libertà, sono
concetti astratti creati dall’uomo che non hanno alcuna esistenza ontologica
nell’universo meccanicistico, freddo e in definitiva senza scopo in cui si
presume che esistiamo.
Le relazioni umane diventano insignificanti a
causa di sostituti artificiali.
I poveri muoiono ma i ricchi no.
È questa la rivoluzione industriale incentrata
sull’intelligenza artificiale.
Ma il
prodotto questa volta non saranno tessuti, macchine, veicoli e nemmeno armi, il
prodotto questa volta saranno gli stessi umani, corpi e menti, conclude Harari,
precisando infine che le “persone inutili” a cui fa riferimento il consulente
del Wef saranno quelle che rifiuteranno di ricevere le capacità di intelligenza
artificiale nei prossimi decenni.
Descrivendo
gli esseri umani come “animali hackerabili”, Harari crede che le masse non
avrebbero molte possibilità contro questi cambiamenti anche se dovessero
organizzarsi.
(Raffaella
Vitulano)
Per il
forum dei miliardari di Davos il Covid-19
è
l'occasione per resettare l'economia
mondiale,
ma a vantaggio di pochi.
Italiaoggi.it
- Tino Oldani – (4 novembre 2020) – ci dice:
Incredibile,
ma vero: c'è chi vede nella pandemia mondiale da Covid-19, con i suoi milioni
di contagi e i tanti morti, un'occasione irripetibile per avere più ricchezza e
più potere.
Una
visione cinica, con l'ambizione di essere nello stesso tempo un punto di
riferimento culturale per le élites mondiali del potere finanziario e politico.
La prova?
Basta leggere i passaggi chiave del rapporto «Covid-19. The Great Reset», ordinato dal “World economic forum”
(Wef), il club esclusivo che ogni anno riunisce a Davos, in Svizzera, i
supermiliardari e i leader politici del mondo per tracciare gli scenari futuri
e come affrontarli.
Il rapporto è firmato da Klaus Schwab, 82
anni, da sempre grande regista del club di Davos, e da un suo collaboratore,
Thierry Malleret, direttore del “Global risk network”, che opera all'interno
del Wef.
Un
libro preparato in vista del prossimo meeting di Davos, che solitamente si
tiene a gennaio, rinviato però a metà maggio 2021 (dal 18 al 21) a causa della
pandemia, con sede non più a Davos, ma a Burgenstock, cittadina vicino a
Lucerna.
Questa
nuova bibbia dei supermiliardari non cela affatto il cinismo, ma usa un
linguaggio chiaro, perfino spietato:
«Molti si chiedono quando torneremo alla
normalità. La risposta è concisa: mai.
Ci
sarà sempre un'epoca di 'prima del Coronavirus' e 'dopo il Coronavirus'. Il
peggio della pandemia deve ancora venire».
Ancora:
«Affronteremo le sue ricadute per anni e molte cose cambieranno per sempre.
Ha provocato sconvolgimento economici di
proporzioni monumentali, e continuerà a farlo.
Nessuna
azienda sarà in grado di evitare l'impatto dei cambiamenti futuri.
O tutti si adatteranno all'Agenda del Great Reset, o non sopravviveranno. Milioni di
aziende rischiano di scomparire, soprattutto quelle di dimensioni piccole. Soltanto poche saranno abbastanza
forti da sopportare il disastro».
Grazie
alla blogger francese, Virginie Février, che ha fatto una sintesi del rapporto
citando i passaggi più incisivi, è possibile capire che cosa Schwab e Malleret intendono per grande riassetto:
«Alcuni
industriali e alcuni quadri superiori rischiano di confondere il reset con un
reinizio.
Ma non sarà un reinizio, non può succedere.
Le
misure di distanziamento sociale e fisico rischiano di persistere ben al di là
della scomparsa della pandemia.
E questo servirà per giustificare la decisione
di numerose aziende nei più svariati settori di accelerare l'automatizzazione.
Non è affatto sicuro che la crisi del Covid-19
faccia pendere la bilancia a favore del lavoro contro il capitale.
Politicamente
e socialmente sarebbe possibile, ma il dato tecnologico cambia tutto».
Così,
ecco qualche squarcio illuminante sui cambiamenti attesi per il futuro
:
«Fino all'86% dei posti di lavoro nella ristorazione, il 75% dei posti di
lavoro nel commercio al dettaglio e il 59% dei posti di lavoro nei giochi e
divertimenti potrebbero essere automatizzati entro il 2035.
Fino
al 75% dei ristoranti indipendenti potrebbero non sopravvivere al confinamento
e alle misure di distanziamento sociale ulteriori.
Nessuna
industria o azienda sarà risparmiata».
Le
ricadute sul modo di governare l'economia investiranno tutti i paesi,
costringendo i governi a prenderne atto, fermo restando un principio cardine
per il club di Davos:
«La governance mondiale è al cuore di tutte le
altre questioni». È facile prevedere che una frase simile scatenerà i cosiddetti
«complottisti», che da anni vedono nel World economic forum il fautore di un
Nuovo ordine mondiale, dove a comandare saranno, più di oggi, le élites del potere finanziario.
Ma il
rapporto di Schwab e Malleret se ne infischia dei complottisti, e va giù
piatto:
«La
tirannia della crescita del pil finirà. La fiscalità aumenterà.
Come
nel passato, la logica sociale e la giustificazione politica alla base degli
aumenti delle imposte saranno basati sulla narrativa dei 'paesi in guerra' (ma
questa volta contro un nemico invisibile)».
Risultato: la classe media sarà spolpata, mentre aumenteranno i redditi di
cittadinanza.
Confermando
quanto è già accaduto con i primi lockdown, il rapporto del Wef vede lo
statalismo in crescita: «Il controllo pubblico delle aziende private aumenterà.
Le aziende non aderiranno a queste misure
perché le considerano 'buone', ma piuttosto perché il prezzo da pagare per non
sottomettersi sarà troppo alto in termini di collera dei militanti».
Quali militanti?
Ovvio:
i giovani
che, come Greta Thunberg, scendono in piazza per il clima, o quelli che lo
fanno per i diritti sessuali.
È su di loro che i supermiliardari di Davos
contano per fare passare la loro nuova dottrina:
«L'attivismo
dei giovani aumenta nel mondo, essendo rivoluzionato dalle reti sociali che
accentuano la mobilitazione a un livello che sarebbe stato impossibile
precedentemente.
Assume diverse forme, dalla partecipazione
politica non istituzionale alle manifestazioni e proteste, e affronta questioni diverse, come il
cambiamento climatico, le riforme economiche, la parità dei sessi e i diritti
Lgbt.
La
nuova generazione è fermamente all'avanguardia del cambiamento sociale. Non ci
sono dubbi che sarà il catalizzatore del cambiamento sociale e una fonte di
slancio critico per il Great Reset».
Gli
unici ostacoli, conclude il rapporto, saranno il “sovranismo” e “la religione”,
«un miscuglio tossico», che è così descritto:
«Con il lockdown, il nostro attaccamento ai
prossimi si è potenziato con un sentimento rinnovato di apprezzamento per tutti
coloro che amiamo: la famiglia e gli amici.
Ma il
lato oscuro è lo scaturire di sentimenti patriottici e nazionalistici, con
considerazioni religiose ed etniche preoccupanti.
Questo
miscuglio tossico ha messo in risalto il peggio di noi stessi in quanto gruppo
sociale».
Populisti,
sovranisti, e ora anche il papa e i preti, si considerino avvisati.
La
lezione di Davos: è la narrazione
che
guida il cambiamento.
Lanuovabq.it
– (01-02-2023) – Maurizio Milano – ci dice:
Al
Forum di gennaio meno leader politici e massiccia presenza di media globali:
l'obiettivo di limitare la libertà e la privacy esige una narrazione degli
avvenimenti capace di convincere le persone della necessità e dell'urgenza
dell'iniziativa per creare un futuro migliore.
Primo passo per resistere:
non
confondere la globalizzazione economica (buona) con il globalismo ideologico
(cattivo).
«La
Cooperazione in un Mondo Frammentato:
Affrontare
le crisi pressanti, gestire le sfide del futuro»:
questo
il tema del convegno internazionale tenutosi nella settimana dal 16 al 20
gennaio 2023 a Davos, nelle Alpi svizzere, nuovamente a pieno regime dopo le
edizioni in formato ridotto e on-line per via dell’epidemia CoViD-19.
All’appuntamento
annuale del World Economic Forum hanno partecipato quasi 3.000 “global leader”,
tra cui 50 capi di stato, oltre 350 leader di governo, 19 banchieri centrali,
1.500 business leader, di cui circa 600 amministratori delegati delle
principali aziende mondiali, e capi delle grandi agenzie di comunicazione
mondiali.
Di che cosa hanno discusso i “grandi” della
Terra?
«Altezze
reali, Eccellenze, distinti Capi di Stato e di Governo, cari partner e amici
del World Economic Forum […] All’inizio di quest’anno siamo confrontati con
sfide multiple e senza precedenti …] che spingono verso una crescente
frammentazione e competizione […] Noi abbiamo la capacità di creare, in modo
collaborativo, un mondo più pacifico, resiliente, inclusivo e sostenibile […],
di trasformare le sfide in opportunità».
Così
inizia, con compiaciuta solennità, il discorso inaugurale del Forum 2023
(svoltosi dal 16 al 20 gennaio) tenuto dal prof. Klaus Schwab, fondatore e direttore
esecutivo del World Economic Forum.
È dal
lontano 1971 che a Davos si ritrovano i potenti del mondo, sia del settore
privato che di quello pubblico.
La
mission del WEF, d’altronde, è proprio quella di essere «l’Organizzazione Internazionale per
la Cooperazione Pubblico-Privato […] che ingaggia i principali leader, politici,
economici, culturali e altri, per modellare le agende globali, regionali e
settoriali».
Nell’edizione
di quest’anno si nota una partecipazione inferiore a quella usuale dei leader
politici:
è
presente Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ma mancano
i Presidenti statunitense e cinese, Joe Biden e Xi Jinping, oltre al Presidente
della Federazione Russa, Vladimir Putin, che ovviamente non è stato invitato.
Dei
premier dei Paesi del G7 è presente solo il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Da
segnalare, per contro, una massiccia presenza di media globali, il cui ruolo è
quello di sostenere a una voce la grande narrazione portata avanti dal WEF.
Come sostiene Schwab, infatti, «le nostre azioni e
reazioni umane […] sono determinate dalle emozioni e dai sentimenti: le
narrazioni guidano il nostro comportamento»
(Cfr. Klaus Schwab, Thierry Malleret,
COVID-19: The Great Reset, Forum Publishing 2020).
Oltre
alla guida politica dei flussi degli investimenti e delle regolamentazioni,
l’«iniziativa del Great Reset» attribuisce un ruolo centrale alla narrazione:
in
considerazione dei costi e delle limitazioni a privacy e libertà per la
ristrutturazione completa del sistema, economico, sociale e politico che ci si
prefigge di attuare, è infatti fondamentale convincere le persone della
necessità e dell’urgenza dell’iniziativa, per salvare il pianeta e creare un
futuro migliore
(Cfr. Klaus Schwab, Thierry Malleret, The
Great Narrative, For a Better Future, ed. Forum Publishing, 2021).
Nei
confronti del Forum di Davos credo che occorra evitare due atteggiamenti
speculari:
da un
lato, credere che tutto sia deciso in tale contesto e quindi non ci siano spazi
di azione;
dall’altro,
pensare che si tratti solo di una “settimana bianca” di VIP, per distrarsi un
po’.
Il
primo atteggiamento porterebbe alla rassegnazione, al pessimismo e al
disimpegno, col rischio di scivolare anche in derive “complottistiche”;
il secondo porterebbe a ignorare quanto si
dice in tale contesto, ritenendolo poco rilevante.
In
realtà, e l’esperienza degli ultimi anni ce l’ha insegnato “ad abundantiam,”
molte decisioni poi programmate e implementate dai governi sono state
anticipate proprio a Davos:
dall’identità
digitale alle divise digitali delle Banche Centrali, dalle metriche ESG
(Envinronmental, Social, Governance) alla base della cosiddetta finanza
sostenibile, alle politiche sanitarie di lockdown, ai ricatti vaccinali e alla
certificazione “verde”.
Allo
stesso tempo, tuttavia, molti dei fatti poi accaduti non sono stati per nulla
previsti dal WEF, tra tutti lo scoppio di una guerra convenzionale ad alta
intensità nel cuore dell’Europa e l’esplosione dell’inflazione.
Proprio il conflitto in Ucraina è stato uno
dei punti centrali del forum, con sullo sfondo il rischio di un possibile
deterioramento dei rapporti anche tra la Cina e Taiwan e una conseguente
ulteriore frammentazione a livello geopolitico.
Ciò
potrebbe comportare un ulteriore passo indietro della cosiddetta “globalizzazione economica”, quel processo di forte crescita
dell’interscambio commerciale e finanziario intensificatosi esponenzialmente a
partire dalla fine della guerra fredda, che ha consentito un costante
miglioramento delle condizioni di vita, in particolare nei Paesi in via di
sviluppo.
A tal
proposito, occorre puntualizzare che il mito della crescita come un gioco a
somma zero, come sostenuto dallo studio dell’organizzazione non governativa
Oxfam in occasione proprio del WEF, per cui se aumentano i ricchi allora
aumentano inevitabilmente anche i poveri, è smentito dai dati.
Fino
allo scoppio della cosiddetta pandemia, infatti, aumentavano i ricchi ma
contemporaneamente diminuiva il numero dei poveri, proprio grazie al libero
scambio e al riconoscimento della proprietà privata, con un miglioramento delle
condizioni di vita della popolazione mondiale, a partire dai più poveri.
Una
tendenza che si è purtroppo esaurita negli ultimi anni, sia per la gestione
scellerata dei lockdown che ha portato a una frammentazione delle filiere
produttive e distributive, sia per gli errori legati ai” sotto investimenti nei
combustibili fossili” che hanno creato scarsità energetica, sia per le politiche monetarie e
fiscali ultra-espansive degli ultimi lustri:
un mix micidiale all’origine dell’inflazione,
questa sì a danno soprattutto dei poveri e del ceto medio, dei piccoli
risparmiatori e dei titolari di redditi fissi.
Mentre
è giusto, anzi doveroso, criticare l’ideologia globalista del WEF, che spinge per una governance
globale di tipo politico, in una prospettiva di globalismo ideologico e di
“capitalismo clientelare”, sarebbe invece ingenuo tifare per una diminuzione
della globalizzazione di tipo economico, cioè dell’interscambio commerciale e
finanziario tra le nazioni, perché ciò spingerebbe all’insù i prezzi,
comprometterebbe la crescita e acuirebbe le stesse rivalità geopolitiche.
In
questo senso le critiche populistiche al “mercato”, oppure ai “ricchi”, solo in
quanto ricchi, spinte dall’invidia sociale, sbagliano il target:
il
problema si presenta invece quando ricchi e potenti si alleano col potere
politico per restringere la proprietà privata, la privacy e la libertà
economica per il resto della popolazione.
Come accade a Davos.
È
necessario, quindi, criticare il neo-corporativismo promosso da Schwab, ma occorre farlo con intelligenza;
altrimenti,
unendosi al coro dei detrattori del cosiddetto liberismo o neo-liberismo, si
porterebbe paradossalmente acqua al mulino dei globalisti (super ricchi e DEM), che
guardano con sospetto al mercato, alla proprietà privata, alla libertà
economica e alla democrazia.
Davos
e le ansie degli oligarchi.
Altrenotizie.org - Michele Paris – (21 Gennaio 2020) –
ci dice:
Il
tradizionale appuntamento dell’oligarchia mondiale a Davos è iniziato martedì
con un intervento dai contorni surreali del presidente Trump, impegnato a
celebrare le prestazioni di un’economia, come quella degli Stati Uniti, a suo
dire in grado di creare ricchezza e benessere virtualmente per l’intera
popolazione americana.
Il
clima prevalente al 50esimo World Economic Forum (WEF) appare però esattamente
opposto, con
i leader politici e gli esponenti delle élites economiche e finanziarie del
pianeta intenti a salvaguardare i privilegi e le ricchezze riservati a
pochissimi di fronte al dilagare di proteste e sentimenti di repulsione nei
confronti del sistema capitalistico in crisi profonda.
Il
tema di quest’anno dell’evento nel “resort” elvetico è quasi inevitabilmente
legato alla questione climatica.
Il
riferimento alla necessità di costruire un “mondo coeso e sostenibile” e una serie di inutili accorgimenti
“green”, predisposti dagli organizzatori del forum annuale, darà la possibilità agli
ultra-miliardari presenti e ai loro riferimenti politici di atteggiarsi a
leader turbati dagli effetti dei cambiamenti climatici e pronti ad agire per
salvare il pianeta.
L’immancabile
presenza della giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, assieme a conferenze sull’argomento
e iniziative varie, permette inoltre ancora una volta di perpetuare l’illusione
della capacità del capitalismo e del libero mercato di autoregolarsi per attuare finalmente misure volte a
fermare il riscaldamento globale.
L’unico
interesse che banchieri e speculatori riuniti a Davos hanno nella battaglia per
l’ambiente è in realtà quello di fare profitti, possibilmente enormi, anche
sulle politiche ecologiche. L’invito e la presenza di Trump confermano pienamente
questa realtà.
Il presidente americano è uno dei negazionisti
più convinti e nel suo intervento di martedì lo ha ribadito senza tante
ambiguità, definendo
gli ambientalisti “profeti di sventura” e respingendo le loro “previsioni
apocalittiche” per difendere l’attuale modello economico statunitense.
Il
consueto rapporto del WEF indica dunque come rischio principale sul medio
periodo quello climatico, potenzialmente in grado di creare danni significativi anche
in ambito economico e finanziario.
Un'altra indagine mostra invece come i rischi
che potrebbero aumentare più rapidamente nel corso del 2020 siano da ricondurre
a questioni puramente economiche e alle disparità sociali e di reddito.
A
livello ufficiale, praticamente come ogni anno a Davos si cerca di dibattere e
di trovare soluzioni ai processi di polarizzazione economica e sociale che
continuano a creare vere e proprie voragini tra una ristretta cerchia di
super-ricchi e la stragrande maggioranza della popolazione.
La sensazione diffusa tra i frequentatori del
forum è appunto quella di una situazione di estrema pericolosità, con tensioni
sociali pronte a esplodere mettendo in pericolo le posizioni di privilegio.
Ogni
anno, tuttavia, le differenze aumentano e, una volta chiusi i summit
internazionali, i processi di impoverimento che riguardano miliardi di persone nel
pianeta e, per contro, quelli di accumulazione di ricchezze dalla parte opposta
della piramide sociale continuano senza sosta. I numeri concreti che definiscono
questa situazione li ha dati come al solito alla vigilia del WEF la ONG britannica Oxfam.
A
oggi, appena 2.153 persone detengono ricchezze superiori a quelle possedute dai
4,6 miliardi di abitanti più poveri della terra.
Forse ancora più incredibile è un altro dato, quello
che spiega come l’1% della popolazione controlla il doppio della ricchezza di
6,9 miliardi di persone, in pratica tutto il resto degli abitanti del pianeta.
Oxfam
propone un esempio curioso per cercare di dare l’idea di questo quadro quasi
incomprensibile.
Se,
cioè, ognuno dovesse sedere sulle proprie ricchezze complessive trasformate in
banconote da 100 dollari USA, “la maggior parte dell’umanità sarebbe seduta sul
pavimento”.
Un
appartenente alla “classe media di un paese ricco siederebbe all’altezza di una
normale sedia”, mentre i due uomini più ricchi della terra si ritroverebbero nello
“spazio esterno”.
Per
l’ennesima volta, così, i potenti della terra cercheranno a Davos di proiettare
un’immagine di filantropi e riformatori impegnati nel tentativo di creare un
nuovo modello di sviluppo ecologicamente “sostenibile” e più equo, quanto meno per frenare le spinte
anti-sistema, se non apertamente rivoluzionarie, sempre più evidenti in focolai di
protesta che vanno dall’Europa all’Africa, dal Medio Oriente all’Asia, fino al
continente americano.
Col
passare degli anni, però, queste pretese trovano sempre meno appigli e un
numero crescente di persone in tutto il mondo acquisisce la consapevolezza che
quanti animano meeting esclusivi e vertici politici, rigorosamente vietati al
resto della popolazione, sono essi stessi la causa di povertà e disuguaglianze
sociali, da cui anzi traggono profitti e privilegi.
In
questo scenario, diventa in qualche modo comprensibile anche l’impegno del
presidente americano Trump nel cercare di dipingere un quadro ultra-ottimistico
della situazione economica degli Stati Uniti.
Da un
lato, l’insistenza sulla potenza USA e sui livelli di crescita raggiunti negli
ultimi anni serve a ostentare un’immagine di solidità sul piano internazionale
proprio nel momento in cui la posizione e l’influenza di questo paese stanno
toccando i punti più bassi della sua storia.
Dall’altro,
emerge invece il tentativo di Trump di ingigantire i successi economici degli
Stati Uniti o, meglio, di generalizzare una crescita che ha in realtà
beneficiato in larghissima misura solo le grandi corporation, gli speculatori
di Wall Street e, in generale, i grandi interessi americani, lasciando nella
migliore delle ipotesi le briciole a lavoratori e classe media.
Una
strategia, quella dell’inquilino della Casa Bianca, che a Davos deve essere stata
accolta con favore, malgrado la retorica ufficiale dell’evento, perché serve, almeno nelle
intenzioni, ad argine la rivolta contro il sistema e ad alimentare l’inganno di
un capitalismo ancora capace di produrre occupazione stabile, ricchezza generalizzata e
stabilità sociale.
I più
ricchi e
potenti della terra
in jet
privato a Davos, Greenpeace:
“Emissioni
come 350.000 auto”.
Fanpage.it
– Valerio Renzi – (13-1-2023) – ci dice:
Lo
studio commissionato da “Greenpeace International “mostra come 1 partecipante
su 10 è giunto al World Economic Forum dello scorso anno su un jet privato,
percorrendo per oltre l’80% distanze breve e ultra brevi.
Tra pochi giorni si apre l’edizione 2023 del Forum di
Davos:
“Basta
con l’ipocrisia di chi vuole salvare il pianeta in jet, vietare l’aviazione
privata”.
A
pochi giorni dal prossimo “World Economic Forum” di Davos, l'appuntamento
annuale dove si incontrano alcuni tra gli uomini politici più potenti della
terra con i più ricchi rappresentanti dell'industria e dell'economia,
Greenpeace rende noto che lo scorso anno sono atterrati e partiti
dall'aeroporto che serve la località Svizzera, 1040 jet privati, un traffico
quattro volte superiore la norma secondo la società di consulenza olandese CD
Delft.
Secondo la stima di Greenpeace International 1
partecipante su 10 alla scorsa edizione del Forum di Davos ha viaggiato su un
velivolo privato.
"L'impatto
climatico è stato di conseguenza enorme: in una sola settimana i jet privati
hanno causato emissioni di CO₂ pari alle emissioni medie di 350mila automobili
nello stesso periodo di tempo", è la stima che si può leggere nel rapporto.
"Le persone più ricche e potenti del
pianeta si ritrovano a Davos per discutere a porte chiuse di questioni cruciali
come la crisi climatica e le disuguaglianze, ma ci vanno usando la forma di
trasporto più iniqua e inquinante: i jet privati. – dichiara Federico Spadini,
campagna trasporti di Greenpeace Italia – Nel frattempo l’Europa sta vivendo
l’inverno più caldo mai registrato, gli eventi climatici estremi
diventano sempre più devastanti in tutto il mondo, e la crisi energetica ed
economica riduce sul lastrico moltissime famiglie".
Secondo
lo studio reso noto dall'organizzazione ecologista, gli oltre mille jet
atterrati in Svizzera per Davos hanno percorso per oltre la metà tratte
inferiore a 750 chilometri, per percorsi a breve raggio facilmente percorribili
in poche ore in treno o in auto, per non parlare di distanze ultra brevi
inferiori a 500 chilometri. C'è addirittura un caso di un volo di 21
chilometri:
giusto il tempo di alzarsi in quota e
ridiscendere.
Il
Forum economico mondiale del 2023 attirerà come minimo lo stesso volume di
traffico aereo privato di quello dello scorso anno.
Un
volume non giustificabile come abbiamo visto dalla quantità di voli brevi,
dalle impellenti necessità di capi di Stato.
E i jet privati, con il loro peso di emissioni
superflue e ingiustificabili, stanno diventando il simbolo di come giustizia
sociale e giustizia climatica siano strettamente intrecciate.
"Se
il Forum di Davos volesse davvero dimostrare impegno nel raggiungere gli
obiettivi dell’Accordo
di Parigi dovrebbe,
una volta e per tutte, mettere fine all’ipocrisia e all’inaccettabile spreco di
energia dei voli privati. – aggiunge Spadini
– Per
questo chiediamo al governo italiano di vietare i jet privati e gli inutili
voli a corto raggio, in modo da poter garantire un futuro verde, giusto e
sicuro per tutti e tutte".
La
Francia di Emmanuel Macron ha aperto la strada alla limitazione dell'aviazione
di lusso e ai voli per coprire brevi tratte coperte da alta velocità e
autostrade, un esempio che in pochi sembrano voler seguire però.
(fanpage.it/)
(fanpage.it/attualita/i-piu-ricchi-e-potenti-della-terra-in-jet-privato-a-davos-greenpeace-emissioni-come-350-000-auto/)
Davos,
gli Umani si Eliminano
anche
con i Giochi della Rete.
Agostino
Nobile.
Stiliumcurtiae.com
- Marco Tosatti – Agostino Nobile - (Gen.
28, 2023) – ci dice:
Carissimi
StilumCuriali, Agostino Nobile offre alla vostra attenzione queste riflessioni inquietanti
sul recente summit di Davos, in cui personaggi ancora più inquietanti discutono
del futuro dell’umanità.
Buona
lettura e condivisione...
Il
summit 2023 del World Economic Forum, WEF, svolto tra il 16 e il 20 gennaio non
ci ha regalato sorprese.
Carta
che vince non si cambia.
Si è
parlato ancora di vaccini, di ecologia, di sostenibilità e, ovviamente, del
conflitto in Ucraina in cui i Russi hanno praticamente azzoppato i piani della
Cupola che si riunisce tutti gli anni a Davos, una piccola località della
Svizzera.
Tra
gli americani sono presenti tra gli altri Bill Gates e George Soros, il CEO
Jamie Dimon della JPMorgan Chase, Larry Fink di BlackRock, che con i suoi dieci
trilioni di dollari rappresenta la banca di investimenti più potente del mondo, basti pensare che ha le mani in
pasta anche nel conflitto ucraino.
Presenti
anche le cosche di Big Pharma e i CEO dei cosiddetti GAFAM, Google, Apple,
Facebook, Amazon, Microsoft.
Dall’Europa
partecipano 18 miliardari, il resto è costituito dai politici e giornalisti più
corrotti della storia, che hanno il preciso compito di massacrare
economicamente e psicologicamente i popoli.
Come ho scritto più volte, i miliardari decidono
tutto, dalla nascita alla morte dell’uomo, pensiero, sessualità, economia,
costumi, aborto, eutanasia e via distruggendo.
Un
altro personaggio della Cupola che non dovremmo sottovalutare e Yuval Harari,
su cui ho scritto un articolo nel 2021.
(marcotosatti.com/2021/07/27/libero-arbitrio-macche-algoritmi-le-tossiche-menzogne-del-dott-harari/)
Il
professor Harari è il principale mentore di Klaus Schwab, fondatore del
famigerato WEF che, tra gli altri “pregi”, mira alla riduzione del numero della
popolazione mondiale e all’eliminazione della proprietà privata entro il 2030.
A questo proposito, permettetemi una breve parentesi.
Quando
nel dicembre 2021 scrissi su questa ennesima sovietizzazione, nessun altro
commentatore ne aveva dato notizia, così dovetti sorbirmi il solito genio che
mi apostrofò con la trita e ritrita parola sprezzante creata appositamente per
darla in bocca agli ebeti: cospirazionista.
Dopo alcuni mesi finalmente hanno iniziato a
parlarne alcuni, pochi per la verità, personaggi mediatici.
Qui
l’articolo pubblicato dall’amico Tosatti dopo che sono andato a spulciare nelle
pagine del WEF:
(marcotosatti.com/2021/12/10/nobile-la-fine-della-proprieta-privata-e-altre-chicche-al-cianuro/)
Bene,
il professor Harari, sposato civilmente a Toronto con il signor Itzik Yahav, in
un video di alcuni anni fa manifesta in maniera chiara l’amore sconfinato che
la Cupola di Davos nutre per la famiglia umana.
Traduco:
“Nella
rivoluzione industriale del XIX secolo ciò che l’umanità ha fondamentalmente
imparato a produrre era ogni genere di cose, come tessuti e scarpe, armi e
veicoli e questo era sufficiente per pochissimi paesi che hanno subito la
rivoluzione abbastanza velocemente da sottomettere tutti gli altri.
Quello di cui stiamo parlando ora è come una
seconda rivoluzione industriale (più tardi, se non sbaglio nel 2017, Schwab
pubblica un libro sulla Quarta rivoluzione industriale).
Ma
questa volta non saranno tessili, macchine o veicoli e nemmeno armi, il
prodotto sarà costituito degli stessi esseri umani.
Stiamo
fondamentalmente imparando a produrre corpi e menti.
Corpi
e menti saranno i due prodotti principali della prossima ondata di cambiamenti.
Il divario tra quelli che producono corpi e
menti e quelli che non lo fanno sarà il più grande di tutte le altre che
abbiamo visto prima nella storia.
Questa
volta, chi non farà parte della rivoluzione abbastanza velocemente, allora
probabilmente si estinguerà.
Una
volta che si saprà come produrre corpi, cervelli e menti, la manodopera a basso
costo in Africa o in sud Asia o dovunque sia, non conterà semplicemente nulla.
Ancora una volta, credo che la domanda più grande da
porsi in economia e in politica dei prossimi decenni sarà cosa fare con tutte
queste persone inutili.
Perché
non credo che abbiamo un modello economico per risolvere questo.
La mia migliore ipotesi, che è solo una opinione, è
che il cibo non sarà un problema con questo tipo di tecnologia (insetti e cibi
industriali).
Il problema è sempre cosa fare con loro (persone
inutili) e come troveranno un senso di significato nella vita, quando sono
fondamentalmente senza senso e senza valore.
La mia
ipotesi migliore al momento è una combinazione di droghe e giochi per
computer”.(youtube.com/watch?v=Ex3_brOUdpA).
Harari
non è, come alcuni potrebbero pensare, una scheggia impazzita.
Per i davosiani è il saggio per eccellenza.
Tutti
gli affiliati al WEF condividono lo stesso programma, da Bill Gates ai
Rockefeller, dai Rothschild ai fondatori di banche di investimento, da George
Soros e ai maggiori politici del pianeta, esclusi i governi dei paesi che costituiscono
il BRICS, almeno per ora.
Concludo.
Durante il summit di Davos, qualcuno in rete
ha commentato: speriamo che un grosso asteroide colpisca tutti i presenti.
(Agostino
Nobile)
La
pandemia è
un'occasione
per
rovesciare le gerarchie di potere
nelle
nostre case.
Euronews.com – (25/03/2021) - Lorenzo
Gasparrini – ci dice:
(L'editoriale
dell'autore Lorenzo Gasparrini per il progetto #CryLikeABoy)
In
ogni ambiente di vita sono presenti delle gerarchie di potere; può essere
qualcosa di poco piacevole da ricordare ma le società umane molto raramente
prevedono luoghi liberi da queste gerarchie.
Anche
la casa è un luogo di potere, e tradizionalmente è gestita da una figura
femminile, da un ruolo femminile al quale sono affidate le mansioni di cura;
il
ruolo maschile è invece riconosciuto nel mantenere e proteggere quel luogo.
L’emergenza
pandemica ha fortemente stressato questa situazione tradizionale.
Quando
per gli abitanti di una casa è impossibile uscire, svolgere le loro attività in
altri luoghi, è necessaria una redistribuzione attenta di tempi, spazi e poteri
di agire perché la situazione si è fatta estremamente più complicata della
“normalità”.
Lo
stesso luogo deve necessariamente trasformarsi in postazione di lavoro e in
luogo di relax e disimpegno - e non sempre è facilmente possibile;
in
più, gli spazi solitamente condivisi per pochi momenti al giorno ora sono da
convivere tutto il giorno.
Eppure, l’inerzia dei ruoli di genere
tradizionali tende a far rimanere la gestione degli stessi nelle mani della
stessa persona, soprattutto per i compiti meno gradevoli come le pulizie o
l’alimentazione.
Come
ormai un anno di esperienze ci hanno testimoniato e comprovato, in media l’uomo
è meno preparato a questo cambiamento, mentre la donna, purtroppo per lei, è
ben più allenata al carico mentale necessario a muoversi tra diversi compiti e
responsabilità.
Quello
a cui nessuno dei due - o più abitanti della casa - è abituato, è la gestione
del conflitto di potere che inevitabilmente si crea.
Il
ruolo del bread winner viene fortemente minato dall’obbligo del lavoro a casa,
perché in casa è molto più complicato dimostrare a colleghi e colleghe di
lavoro il proprio ruolo:
non ci
sono l’ufficio, lo spazio comune diviso per ambiti e settori, la divisa, la
simbologia codificata a ricordare una gerarchia.
Questa
si è smaterializzata in un contatto digitale molto più complesso da gestire,
basato in parte sulla memoria delle precedenti esperienze e ora collocato in
linguaggi più astratti e in comunicazioni più complesse e strutturate.
Queste ultime potrebbero essere, per chi è
abituato a un comando gestuale, diretto, vocale e molto “corporeo”, una vera
fonte di frustrazione.
Questa
posizione dominante, nell’ambito delle relazioni familiari, si complica.
La
figura del lavoratore è realizzata soprattutto attraverso il gesto dell’
“uscire di casa”;
rimanere
tra le mura domestiche davanti a uno schermo è qualcosa di gestualmente simile
a un’attività ludica, a un passatempo, non a un lavoro.
Questa
simbologia colpisce gli altri abitanti della casa, che vedono fortemente
depotenziato un ruolo abitualmente svolto fuori, avvolto da quell’aura
misteriosa ma abituale che è diventata luogo comune: “com’è andata al lavoro, oggi?”
È una
conversazione, un inizio di contatto umano, difficile da riproporre a chi è
stato sotto i nostri occhi tutto il giorno a “lavorare”.
Sempre
che un lavoro, questo bread winner, lo abbia ancora.
Alle
altre figure presenti in casa, spesso loro malgrado, la situazione non va in
maniera migliore.
Statistiche
inquietanti raccontano che quasi sicuramente la parte femminile del nucleo
familiare ha perso il lavoro, se lo aveva, o se l’è visto fortemente ridotto, e
deve sobbarcarsi la gestione di una casa più abitata - quindi più sporca, più
usata, più affamata - e degli altri abitanti che accumulano nello stesso luogo
domestico le loro difficoltà:
una
scuola chiusa, un “parcheggio” ospitale per i più piccoli che ora non può
erogare il suo servizio, mansioni di cura e accudimento improvvisamente
aumentate esponenzialmente, libertà e relazioni affettive compromesse.
Il
tasso di stress generale sale rapidamente a livelli altissimi, e la sola idea
di cercare valvole di sfogo alternative a quelle solite - non si può uscire,
non ci sono sport e palestre disponibili - suona come un ulteriore impegno
insopportabile.
I
vecchi ruoli della casa non hanno più senso di esistere.
Nel
microcosmo domestico diventato più popolato, più rumoroso, più stretto, più
sporco, i ruoli che ciascuno aveva “prima” non hanno alcun senso né motivo di
sussistere.
Però
essi conferivano all’identità di ciascun abitante della casa una posizione
gerarchica precisa; elastica e criticabile, sicuramente, ma definita.
Questi
confini non contengono più, queste linee di rispetto sono saltate, energie
prima contenute e controllate circolano liberamente.
Evitare
il conflitto richiamandosi alle rigidità dei ruoli non è gestire il conflitto,
è comprimerlo, rischiando di farlo esplodere.
Gestire
il conflitto significa prima di tutto riconoscerlo come inevitabile, quindi
essere pronti e pronte a ridiscutere quei ruoli tipicamente associati al
genere, ridisegnarne i limiti, riorganizzare i compiti e la coabitazione.
Se lo
spazio diventa più comune, deve diventare più comune il linguaggio, verbale e
corporeo, con il quale vivere quello spazio.
Cosa
fare?
Non
smetto di essere un uomo o una donna cambiando quelle abitudini che credo
essere la mia identità.
Vanno
riconosciuti da parte di tutti e tutte i condizionamenti e le pressioni vecchie
e nuove, e ridiscussi in modo da non gravare ingiustamente solo su qualcuno o
qualcuna, in modo da non danneggiare solo uno o una delle vite con le quali
condividiamo un tempo costretto e ristretto.
Questo
non ci rende meno uomini o meno donne.
Culture
diverse avranno a disposizione soluzioni diverse, per gli effetti differenti
che la pandemia ha avuto in ciascuna specificità sociale;
ma non
si può comunque resistere sconsideratamente nel mantenere i ruoli di genere
tradizionali.
Se già
erano ampiamente criticabili in un “prima”, che non tornerà, a maggior ragione
sono insensati in un “ora” incerto e destabilizzante, e inutili per un “dopo”
da re- immaginare e da ricostruire necessariamente diverso.
Le
risorse per questa riconfigurazione, per questa ridiscussione delle identità di
genere, ci sono, e non da poco tempo;
parafrasando
un noto slogan politico, non c’è miglior momento di questo per divulgarle,
metterle all’opera, renderle patrimonio comune di una collettività.
(Lorenzo
Gasparrini)
Verso
un Summit non inclusivo, diretto
dal
potere globale e dalle élite finanziarie.
Ecor.network
– Alex – (20 settembre 2021) – ci dice:
(UN
Food Systems Summit 2021 - La Via Campesina)
Avrà
inizio il 23 settembre a New York il Vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi
Alimentari (UNFSS21), un summit originato dalla partnership tra le Nazioni
Unite e il World Economic Forum (WFE).
Apparentemente
è una collaborazione bizzarra quella che accomuna l'organizzazione che
rappresenta (nelle retoriche) i popoli del mondo, e il forum delle élites più
ricche del pianeta.
Il
World Economic Forum (o Forum di Davos) è infatti una fondazione con sede in
Svizzera che annovera fra i suoi membri un migliaio di multinazionali, in
genere corporations con fatturato superiore ai 5 miliardi di euro.
Siede
nel suo consiglio di amministrazione una schiera di multimiliardari provenienti
dall'industria (Nestlè, Roche, African Rainbow Minerals, Siemens, Philips,
Unilever) dalla finanza (Black Rock, Goldman Sachs, Sberbank, Carlyle),
esponenti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea -
la stessa Christine Lagard - di governi e istituti di ricerca
economico/finanziaria.
Dalle
sue origini nel 1971, il World Economic Forum si è andato sempre più
posizionando come centro di elaborazione politica ad uso e consumo del
capitalismo mondiale, come ambito di cooptazione dei decisori politici e di
esercizio di influenza sulle agende dei governi e delle istituzioni
internazionali.
La sua
storia, per chi volesse approfondire, è stata ampiamente dettagliata dal “Transnational
Institute” in "World Economic Forum: a history and analysis", e su
ECN, in questo profilo del suo fondatore, Klaus Schwab:
"Il
dr. Schwab e il suo Forum Economico Mondiale".
Una
storia ben conosciuta dai movimenti contro la globalizzazione neoliberista che
circa vent'anni fa contestarono in massa il WEF a Davos e a Melbourne, affrontando cariche e arresti per
respingere la cessione della governance mondiale al potere
economico/finanziario, e le relative conseguenze sulle condizioni di vita per
milioni di persone, in termini di licenziamenti, deregulation del lavoro,
privatizzazioni, depotenziamento dei servizi pubblici essenziali.
Vent'anni
dopo, citando il TNI, il World Economic Forum "è sempre più il luogo in
cui vengono prese decisioni globali e inoltre sta diventando la forma
predefinita di governance globale.
Ci
sono prove considerevoli che in passato il WEF abbia promosso accordi di libero
scambio come il NAFTA ed abbia anche contribuito a frenare la regolamentazione
di Wall Street all'indomani della crisi finanziaria.
Meno
noto è il fatto che il WEF dal 2009 stia lavorando a un ambizioso progetto
chiamato “Global Redesign Iniziative “(GRI), che propone nei fatti una
transizione dal processo decisionale intergovernativo verso un sistema di
governance multi-stakeholder.
In
altre parole, di nascosto, stanno marginalizzando un modello riconosciuto dove
votiamo governi che poi negoziano trattati che vengono poi ratificati dai
nostri rappresentanti eletti, con un modello in cui un gruppo auto-selezionato
di "stakeholder" [portatori di interessi] prende decisioni per nostro
conto".
Evidentemente,
per quanto i nostri rappresentanti eletti abbiano da sempre ratificato ogni
tipo di porcheria, il capitalismo sembra ogni giorno di più volerne, e poterne,
fare a meno.
Gli
estensori della “Global Redesign Initiative” affermano che "gli stati nazione e le strutture
intergovernative continueranno a svolgere un ruolo centrale nel processo
decisionale globale. Ma devono essere adattati alle esigenze e condizioni
odierne se desiderano preservare la loro efficacia e legittimità.
Il
primo passo è che i governi e le organizzazioni internazionali si concepiscano
più esplicitamente come costituenti parte di un sistema di cooperazione globale
molto più ampio, che ha il potenziale per superare i limiti di scala,
informazione e coerenza di cui attualmente soffrono.
In
effetti, dovrebbero lavorare deliberatamente per coltivare un tale sistema
ancorando la preparazione e l'attuazione delle loro decisioni più profondamente
nei processi di interazione con reti multistakeholder interdisciplinari di
esperti e attori rilevanti".
In
pratica, gli Stati e le organizzazioni internazionali dovrebbero considerare i "portatori di interessi"
privati, gli "attori rilevanti" e le loro reti, come fossero loro pari e integrarli
a pieno titolo nei propri processi decisionali, perché è da loro, e non dalle
popolazioni che dovrebbero rappresentare, che deriva la legittimazione (dove quel "se desiderano
preservare la loro efficacia e legittimità" pare sottendere una sottile
minaccia).
Nell'ambito
di questa tendenza alla trasformazione anche formale (dopo quella sostanziale) dei governi e delle organizzazioni
internazionali in appendici delle multinazionali, rientra pienamente anche l'accordo siglato nel 2019
dall'ONU, a firma del Segretario Generale António Guterres, e il World Economic
Forum.
Una
sostanziale "corporate capture" dell'organizzazione intergovernativa più grande del
mondo da parte di interessi privati, contestata a suo tempo da centinaia di
organizzazioni di base perché delegittimante per le Nazioni Unite e perché
fornisce alle multinazionali un accesso preferenziale al Sistema ONU.
Oltre
ad occuparsi della riforma delle Nazioni Unite e del sistema internazionale, la
“Global
Redesign Initiative del World Economic Forum “definisce l'agenda globale da
dettare alle istituzioni pubbliche per una infinità di settori, quali sistemi
educativi, welfare, sanità, lavoro, demografia, energia, alimentazione,
commercio, flussi finanziari, sistema monetario internazionale, corruzione,
sistema legale, terrorismo, crisi climatica, ecc.
Un'agenda
specifica del capitale per ogni ambito della società, dell'economia e della
funzione pubblica.
Ce n'è
una, ovviamente, anche per l'agricoltura e la produzione di cibo, che definisce
le linee della “Global Food, Agriculture and Nutrition Redesign Initiative”
(GFANRI), l'iniziativa
istituita nel 2010 dal World Economic Forum per affrontare il dramma della fame
e della malnutrizione attraverso nuove versioni di vecchie devastanti
politiche.
Le
stesse che quella fame e malnutrizione hanno pesantemente contribuito a generare.
L'iniziativa
promuove la sinergia fra vari "portatori di interesse"
(stakeholders), a partire da i monopoli delle sementi, dei fertilizzanti, dei
pesticidi, e della nutrizione: Monsanto, Syngenta, Bunge, Kraft, Coca Cola, PepsiCo, Yara,
ADM, Pioneer, Unilever, Kraft, Nestlé, SAB Miller.
La
rete delle sinergie si estende alle agenzie pubbliche come l'USAID - da sempre
veicolo per politiche imperialiste degli Stati Uniti, la penetrazione dei loro
interessi all'estero e la destabilizzazione dei governi sgraditi - o come la
NEPAD, un programma di sviluppo dell'Unione Africana contestato dai movimenti
di base per le sue connotazioni neoliberiste e anti democratiche.
"Questi
organismi multi-stakeholder sostengono politiche basate sulla convinzione che
la liberalizzazione del commercio internazionale possa garantire la sicurezza
alimentare e nutrizionale (FNS) globale e nazionale senza bisogno di una
specifica governance.
Ignorano
puntualmente l'impatto dell'aggiustamento strutturale, le condizioni
commerciali internazionali totalmente ingiuste imposte dagli Stati Uniti e
dall'Unione Europea (UE) e il ruolo delle politiche neoliberiste nel minare la
sicurezza alimentare".
Producono
direttamente l'insicurezza alimentare, promuovendo - come postula la “Global
Redesign Initiative” - l'uso di "tecnologie emergenti", cioè i pacchetti tecnologici
(comprese colture OGM) che rendono i contadini sempre più dipendenti e indebitati,
avvelenano suoli e acque, distruggono biodiversità agricola, salute umana e
sovranità alimentare.
È in
queste mani che l'attuale segreteria dell'ONU ha posto un vertice dove si
andranno a disegnare le linee di governance per la nutrizione delle popolazioni
del pianeta.
Pubblichiamo
di seguito parte del position paper di La Via Campesina sul carattere
antidemocratico dell’UNFSS - che ha escluso dalla partecipazione le organizzazioni dei
piccoli produttori di cibo, della società civile e dei popoli indigeni - e sul
progressivo scivolamento delle agenzie dell'ONU verso legami sempre più stretti
con le compagnie transnazionali.
(Alexik,
per Ecor.Network)
Un
summit sotto assedio!
Position
paper sul Food Systems Summit dell’ONU 2021.
“La
Via Campesina”, dicembre 2020, pp.12.
Annunciato
nel dicembre 2019, l' “UN Food Systems Summit 2021” ha gli obiettivi dichiarati
di massimizzare i benefici che un approccio olistico ai sistemi alimentari possa
apportare all’intera Agenda 2030, affrontare le sfide del cambiamento climatico,
rendere i sistemi alimentari inclusivi e sostenere una pace sostenibile.
Tuttavia,
sin dal principio il processo dell’”UNFSS21” è stato caratterizzato dalla sua
opacità e dall’assenza di inclusività.
In
passato, la FAO convocò i Summit mondiali sul cibo (World Food Summit, WFS) –
nel 1996 e nel 2002 – seguendo esplicite indicazioni dei governi membri.
Questi
summit precedenti videro anche una partecipazione attiva – e pienamente
sostenuta – della Società Civile attraverso forum paralleli autonomi e
auto-organizzati.
Invece,
l’UNFSS21 non ha ricevuto alcun mandato derivato da una decisione o da un
processo intergovernativo.
Al
contrario, la decisione di organizzarlo è stata presa dal Segretario Generale
dell’ONU, in risposta a una richiesta fatta dal World Economic Forum, che è una
organizzazione del settore privato che rappresenta gli interessi globali delle
corporation.
Esso
ha poi ottenuto il supporto cruciale di pochi stati membri potenti mentre
alcune tra le più grandi organizzazioni “filantro-capitaliste” si sono promosse come sponsor
dell’evento.
Anche
se il Segretariato dell’UNFSS21 ha sostenuto che questo “sarà il summit più aperto di sempre”, la governance del Summit rimane
invece saldamente nelle mani di un pugno di grandi corporation internazionali.
“Esperti”
conosciuti come strenui difensori dell’agricoltura industriale e alcuni Stati,
gli stessi in cui hanno sede molte di queste grandi corporation internazionali,
ne stanno decidendo l’agenda!
Ai
movimenti sociali è stato concesso solo lo spazio per partecipare a qualche
consultazione, senza poter partecipare autonomamente ai processi decisionali.
Il
segretariato dell’UNFSS21 ha consapevolmente deciso di non instaurare un
dialogo con Movimenti Sociali o piattaforme organizzate, come LVC o l’IPC.
Al
contrario, ha deciso di selezionare a suo piacimento singoli partecipanti da
diverse organizzazioni.
Poche
organizzazioni e individui sono stati convocati per partecipare agli organismi
consultivi, mentre un numero crescente di persone vengono chiamate a
partecipare in qualità di “padrini” (“champions”) dell’UNFSS21.
Non è
stata mostrata alcuna preoccupazione di includere le organizzazioni dei piccoli
produttori di cibo, della società civile e dei popoli indigeni in modo che la
loro autonomia, auto-organizzazione e auto-determinazione fossero rispettate.
Nell’ottobre
2020, il Meccanismo della Società Civile (CSM) ha lanciato un appello pubblico
a impegnarsi in risposta all’UNFSS21, denunciando la sua non inclusività e
invitando movimenti e organizzazioni che si occupano di cibo a unire i propri
sforzi per costruire un processo collettivo che possa sfidare il Summit.
Un
mese dopo, e quasi un anno dopo l’annuncio del Summit, il “Presidente del
Comitato sulla Sicurezza Alimentare Mondiale” (CFS) fu invitato a unirsi al
comitato consultivo.
Contestualmente,
un invito ha anche prospettato la partecipazione del Meccanismo della Società
Civile (CSM) nelle “Action Tracks” – consultazioni tra gli stakeholders attorno
agli obiettivi del Summit.
Nonostante
questi inviti tardivi, il ruolo del CFS come la principale piattaforma politica
internazionale e intergovernativa (e della FAO come agenzia chiave
nell’implementazione delle politiche) sulle questioni legate al cibo continua a
essere indebolito.
L’idea
che un gruppo ristretto di cosiddetti “esperti” debba essere al timone dei
processi di deliberazione delle politiche sul sistema alimentare globale è del
tutto antidemocratica.
Tale
idea è stata già respinta unanimemente e rimpiazzata dal CFS riformato.
L’attuale
traiettoria dei processi di costruzione del Summit permette alle élite del
potere globale e specialmente al settore privato di legittimarsi ancora una
volta come gli architetti del futuro del nostro sistema alimentare, usando le
loro braccia transnazionali private per continuare ad accumulare capitale e
distruggere il pianeta.
Si sta
dando all’agribusiness campo libero per dare forma al futuro dei nostri sistemi
alimentari, offrendo alle grandi multinazionali la copertura di politiche
pubbliche antidemocratiche.
Per
questo, non possiamo considerare l’UNFSS21 come uno spazio governativo
multilaterale legittimo che permetta la partecipazione autonoma della Società
Civile.
Il
processo verso l’UNFSS21, inoltre, mostra chiaramente come le corporation
stiano ulteriormente aumentando il proprio potere di controllo di alcune
importanti strutture dell’ONU.
NOI
VOGLIAMO POLITICHE SUL CIBO CHE SIANO LIBERE DAL CONTROLLO DELLE CORPORATION!
Per
più di due decenni,” La Via Campesina”, assieme ad altri movimenti sociali e organizzazioni
della società civile, ha mostrato i rischi del controllo sui sistemi alimentari da
parte delle corporation a tutti i livelli.
Ora
esprimiamo le nostre preoccupazioni rispetto ai processi legati all’UNFSS21.
Ci
sono indicazioni chiare che gli interessi delle corporation controlleranno il
Summit, come è evidente dal fatto che esso nasce da una partnership tra il
World Economic Forum (WEF) e il Segretario Generale dell’ONU.
Queste
preoccupazioni sono ulteriormente aumentate in seguito alle nostre discussioni
con l’Inviata Speciale (Special Envoy) del Segretario Generale dell’ONU per la
supervisione del Summit, la dottoressa Agnes Kalibata, cioè l’attuale presidente della “Alleanza per una Rivoluzione Verde in
Africa”
(Alliance for a Green Revolution in Africa, AGRA), che è stata al centro di controversie
tra i movimenti sociali e la società civile in Africa e altrove sin dalla sua
costituzione.
In
Africa uno studio recente ha rivelato il fallimento catastrofico del piano
continentale di AGRA per porre fine alla fame attraverso un cambiamento
aggressivo dei sistemi agricoli africani verso modelli agricoli industriali e
fondati sull’uso di agrotossici.
A nostro avviso, la nomina della dottoressa Agnes Kalibata come
Inviata Speciale per il Summit mostra quanto gli interessi delle corporation multinazionali
controllino il “Summit” e rafforzino ulteriormente il loro potere di influenza
sulle politiche pubbliche e sulla governance del sistema alimentare globale.
Crediamo
sia essenziale opporsi alla cattura dei sistemi alimentari da parte delle
corporation perché l’agrobusiness globale promuove la sottomissione dei sistemi
di produzione e distribuzione di cibo ai paradigmi della finanza e del mercato.
Questa
logica ha causato la crisi alimentare del 2008 e ha continuato a produrre un
impatto negativo per i piccoli produttori di cibo e, in generale, i popoli, in
tutto il mondo.
Oggi,
un ristretto gruppo di corporation ambisce a controllare i dati, i terreni
agricoli, l’acqua, i semi e altre risorse, e attraverso tutto questo a
controllare i nostri sistemi alimentari per ottenere profitto privato e
arrivare ad un dominio globale.
Le
loro pratiche distruttive includono l’accaparramento di terre su larga scala,
la concentrazione e privatizzazione della terra, dell’acqua e di altre risorse,
la produzione industrializzata in agricoltura, nella pesca e nell’allevamento,
il super sfruttamento della natura (incluso lo sfruttamento degli esseri
umani), l’uso autocratico e avido delle nuove tecnologie e l’implementazione di
grandi opere infrastrutturali basate su investimenti esteri diretti e su un
insostenibile debito pubblico.
Questa
morsa delle corporation si è espansa nei luoghi della politica internazionale,
continentale e nazionale, e ha continuato incessantemente a provare ad
accrescere la propria influenza all’interno del sistema dell’ONU.
L’accordo
di partnership tra il WEF e l’ONU firmato nel 2019 ha di fatto garantito alle
corporation transnazionali un accesso preferenziale e ossequioso al sistema
delle Nazioni Unite.
Questa
partnership, denunciata da LVC e da altre organizzazioni, ha fatto nascere serie preoccupazioni rispetto
all’integrità delle Nazioni Unite come sistema multilaterale e alla sua indipendenza e
imparzialità, specialmente per quanto concerne la protezione e promozione dei
diritti umani.
Inoltre,
molte agenzie dell’ONU, tra cui l’UNICEF, il Programma delle Nazioni Unite per
lo Sviluppo (United Nations Development Program, UNDP), l’Organizzazione
Mondiale della Sanità e l’UNESCO hanno dato vita a partnership con grandi
imprese transnazionali (Transnational companies, TNCs);
allo
stesso tempo, tali organizzazioni non stanno facendo abbastanza per frenare
l’impunità delle TNCs.
Il
risultato è che vediamo un numero sempre maggiore di politiche dell’ONU che
mettono gli interessi e le speculazioni private al di sopra degli interessi
pubblici.
Lo
Scontro fra Occidente e Russia
diventa
Esistenziale ed Ideologico.
Conoscenzealconfine.it
– (10 Marzo 2023) - Luciano Lago – ci
dice:
La
Russia di Putin è consapevole che quella che si sta conducendo in Ucraina è una
lotta definitiva, poiché l’élite statunitense è disposta a tutto pur di
perseguire il suo obiettivo di distruzione della Russia come stato e come
civiltà.
Come
altre volte abbiamo sostenuto, il conflitto in atto in Europa, combattuto sul
suolo dell’Ucraina, è molto più che un conflitto di carattere geopolitico
combattuto per gli interessi delle superpotenze:
da una
parte la NATO, quale braccio militare dell’egemonia USA che sostiene l’esercito
ucraino, dall’altra la Russia.
Una
guerra per procura che vuole la distruzione dell’avversario come esito finale.
In
realtà, lo scontro si sta allargando fra quanti paesi hanno aderito alle
pressioni di Washington per l’invio di armi ed istruttori militari in Ucraina e
gli altri
paesi, la maggioranza del sud del mondo, che rifiutano le sanzioni alla Russia
e si sono schierate per la neutralità o per il sostegno a Mosca.
La
Russia di Putin è consapevole che quella che si sta conducendo in Ucraina è una
lotta definitiva, a motivo della radicale ostilità russo fobica della élite
statunitense che è disposta a tutto pur di perseguire il suo obiettivo di
distruzione della Russia come stato e come civiltà.
Da
tempo quella che era definita una “operazione speciale militare”, da offensiva regionale per rispondere
ad una minaccia dell’Ucraina (possibile ingresso nella NATO ed attacco alla
Crimea), si
è trasformata presto per la Russia in una guerra esistenziale, visto l’appoggio
massiccio dell’occidente globalista e liberale coalizzato contro la Russia.
Il
conflitto è cambiato radicalmente, dopo sei mesi circa, in una guerra a tutto campo, una
guerra di civiltà tra il liberalismo occidentale globalista, trans gender, anti
umanista,
contro la Russia che rappresenta un diverso tipo di civiltà, legata alle sue
radici tradizionali, spirituali, anti progressista e antagonista della visione
globalista e transumanista dell’occidente.
La
deriva dell’Occidente post-cristiano si basa sulla disumanizzazione dell’uomo,
sul primato della pseudo scienza, essendo questa la peculiare caratteristica
della ideologia liberal globalista dominante in occidente. Questa è una vera sfida sia per i
valori religiosi che per i valori dell’umanesimo secolare.
I
russi in questo frangente si propongono come difensori della tradizione e
dell’identità e avversano l’ideologia occidentalista che viene vista come una patologia
diabolica;
infatti
questa in occidente costituisce la base di una nuova religione, una dittatura
anticristiana che tende a perseguitare ed emarginare coloro che non sono d’accordo.
Tuttavia,
nel perseguire questo percorso, le stesse élite occidentali si sono condannate
all’isolamento rispetto ad un maggior numero di paesi che condannano questa
ideologia come perversione, dall’India alla Cina, ai paesi islamici ed a quelli
africani.
La
Russia quindi, impersonando la difesa della tradizione e delle leggi naturali,
non è sola ma ha assunto un ruolo guida e si trova ad avere l’appoggio di molti
altri paesi che sono la maggioranza del mondo.
Questa
è la forza ideologica che può essere trascinante per erigere un cordone
sanitario attorno alle società occidentali intrise della ideologia liberal
globalista che, anche nel resto del mondo, viene propagandata dalle centrali
USA e dalle ONG infiltrate e collegate a questi.
Il
presidente Putin ha compreso la grande forza che può acquisire la Russia come
capofila di una crociata anti occidentale e nei suoi discorsi emerge questa
consapevolezza.
Non
soltanto una alternativa geopolitica ma anche una visione ideologica
contrapposta a quella occidentale e anglosassone che può trovare sostenitori
anche nella stessa Europa, in coloro che non sono mentalmente asserviti al vassallaggio
politico e culturale americano.
Ne
consegue che la vittoria della Russia potrebbe rappresentare una vera svolta
per tutti quelli che aspirano ad un mondo multipolare non più dominato dalle
strutture di potere politico, finanziario, militare ed ideologico
dell’occidente a guida USA.
Questo
spiega il favore con cui molti paesi si avvicinano ai nuovi blocchi come i
BRICS e l’”accordo di Shangai”, dove non ci sono paesi dominatori ma tutti sono
soci nella cooperazione e nello sviluppo.
In
definitiva la Russia si batte per la instaurazione di un nuovo ordine
multipolare non più dominato dall’occidente globalista.
Washington,
Londra e Bruxelles hanno avvertito il pericolo e cercano a tutti i costi di
arginare questa trasformazione dell’ordine globale.
Lo
scontro si è fatto esiziale per entrambe le parti.
(Luciano
Lago)
(controinformazione.info/lo-scontro-fra-occidente-e-russia-diventa-esistenziale-ed-ideologico/)
Costruzione
della realtà:
via
americana al dominio.
Micromega.net
- Pierfranco Pellizzetti – (12 Dicembre 2022) ci dice:
Dalla comparazione
di questi due saggi ricaviamo una puntuale conferma:
la svalutazione in corso del principio
illuministico di verità (l’antica parresia greca che Michel Foucault propugnava
come “il dire la verità che funge da antidoto ai giochi di potere” ), da parte
dell’Occidente americanizzato, quale ci giunge dal recentissimo saggio di
Ganser.
“I
termini della politica vanno considerati non solo strumenti ma poste in gioco.
Quando nel Settecento Voltaire e Diderot si impossessarono della luce (si
definirono illuministi) e relegarono gli avversari nell’oscurità, avevano già
vinto”
(Marco
D’Eramo)
“Una
caratteristica duratura della politica americana ha spesso visto politici
appartenenti alle classi superiori sfruttare l’energia dei ceti inferiori per
perseguire i propri scopi”.
“Howard
Zinn”
(George
Lakoff, Non pensare all’elefante! Chiarelettere, Milano 2022)
(Daniele
Ganser, Le guerre illegali della Nato, Fazi, Roma 2022)
Dove
tutto inizia.
Quale
punto di contatto può esserci tra uno spiritoso pamphlet, datato 2004, sull’uso
imbonitorio del linguaggio di partito (il sottotitolo reca la dicitura “come
riprendersi il discorso politico”)), opera del linguista Lakoff che vive e
insegna in California, e un recentissimo saggio storico, serio e rigoroso
quanto può esserlo un accademico svizzero quale Ganser, docente dell’università
di San Gallo?
Anticipiamo
un embrione di risposta osservando che entrambi i testi hanno a che fare con il potere, in base a modalità largamente
influenzate da un proto-paradigma settecentesco escogitato tra “le maestose sequoie del New England”. Insomma, roba americana.
Con le
parole di
Howard Zinn,
storico radicale dell’Università di Boston, “intorno al 1776 alcuni personaggi
eminenti delle colonie inglesi fecero una scoperta che si sarebbe dimostrata
enormemente utile per i successivi duecento anni.
Capirono
che creando una nazione, un’unità di diritto chiamata Stati Uniti, potevano
impadronirsi della terra, dei profitti e del potere politico sottraendolo ai
favoriti dell’Impero.
Allo stesso tempo avrebbero potuto prevenire
una serie di rivolte potenziali e creare un consenso, un sostegno popolare
intorno al governo di un nuovo gruppo dirigente privilegiato”.
Ossia
il sistema di controllo più efficace della modernità, a dimostrazione dei
vantaggi che si ottengono associando il paternalismo al comando.
E la
scoperta di cui si parla è la malleabilità delle scelte collettive attraverso
un abile utilizzo delle metafore a scopo di consenso.
Ciò significa, creando “codici mentali che determinano
la nostra visione del mondo e di conseguenza i nostri obiettivi” (G.L. pag. 6);
Lakoff li chiama frame.
Il
metodo messo a punto due secoli e mezzo fa è quello del dirottamento dei risentimenti
popolari verso bersagli diversivi (i nativi, le giubbe rosse di re Giorgio…) da
virare a guerre tra poveri (proletari bianchi vs. schiavi negri, poi immigrati
latinos).
Nate
durante la guerra di liberazione coloniale chiamata “rivoluzione americana”,
queste pratiche manipolative verranno recepite nel secolo successivo dalla
nascente business community.
L’obiettivo era quello di orientare al consumo
il comportamento di massa.
E
convertire gli americani dalla psicologia della sobrietà a quella della spesa
non fu un compito facile, come osservava il presidente della Foundation on
Economic Trends di Washington Jeremy Rifkin:
“l’etica
protestante del lavoro, che dominava lo spirito della frontiera americana,
aveva radici molto profonde.
La parsimonia e il risparmio erano le chiavi
di volta dello stile di vita americano, elementi fondanti della tradizione
yankee. […]
La
comunità degli affari si diede il compito di cambiare radicalmente la
psicologia che aveva costruito la nazione, con l’obiettivo di trasformare gli
americani da investitori nel futuro a consumatori nel presente”.
Anni
prima John Kenneth Galbraith aveva sintetizzato la faccenda osservando che la
nuova missione dell’attività d’impresa sarebbe “creare i bisogni che vuole
soddisfare”.
Ma
sono le guerre novecentesche a dare un’accelerazione parossistica alle ricerche
sulla manipolazione delle mentalità, fino a trasformarla in lavaggio del
cervello di massa attraverso una serie di programmi pensati per predire,
controllare e modificare il comportamento umano.
Opera
in cui si distinse la CIA diretta da Allen Dulles.
Come
ricostruisce la sociologa di Harvard Soshana Zuboff:
“Dulles
fece in modo che la CIA si affrettasse a studiare e sviluppare sistemi di
‘controllo della mente’, dalla de-programmazione alla riscrittura della psiche
di un individuo, per poter dare forma a mentalità e azioni di un’intera nazione. […]
Gran
parte del lavoro fu parte del progetto segretissimo MKUltra della CIA, incaricato di ‘ricercare e sviluppare materiali
chimici, biologici e radiologici che possano essere impiegati in operazioni
segrete di controllo del comportamento umano’”.
Ispiratore
di queste ricerche, manipolative all’ennesima potenza, viene unanimemente
indicato lo psicologo comportamentista Burrhus Frederic Skinner;
seguace
di Ivan Pavlov, l’etologo russo scopritore del riflesso condizionato.
La sua
utopia era
quella di un ordine sociale le cui leggi derivano dalla scienza del comportamento.
L’ipnotica disciplina sociale dell’alveare.
Studi
liquidati senza esitazioni da Noam Chomsky:
“la
scienza del comportamento umano di Skinner, per la sua vaghezza, va a genio
tanto ai liberisti quanto ai fascisti”.
Ciò
nonostante, costituiscono le linee guida di quanto la Zuboff definisce
“capitalismo della sorveglianza:
l’uso
di tecniche mentaliste come potere strumentalizzante per orientare le scelte;
sia in materia di propensioni d’acquisto, sia in politica.
La
metafora del padre severo e quella del genitore premuroso.
Questa
idea di una società popolata da moltitudini di manipolabili a piacere – simil-zombi, resi tali mediante
l’asportazione della capacità critica – giustifica la presunzione di
indurne le scelte pigiando i giusti “tasti mentali” che attivano pavloviani
riflessi condizionati.
Assunto che Lakoff teorizza, seppure in maniera soft,
applicandolo al caso americano:
in politica i suoi compatrioti sarebbero rigorosamente
(sconfortantemente) eterodiretti, secondo tendenze di chiara natura etologica
che riducono a pura velleità ogni impegno per favorire processi di
civilizzazione, di evoluzione della coscienza civica attraverso l’educazione
democratica;
secoli di lavorio illuministico di
“rischiaramento delle coscienze”: la liberazione della ragione.
Propugnatore
di una ingegneria del comportamento, Skinner sosteneva “che la conoscenza non
ci rende liberi, bensì ci consente di privarci dell’illusione della libertà. In
realtà, libertà e ignoranza sono sinonimi”.
E il
potere strumentalizzante opererebbe per ridurre gli umani a una condizione
animalesca – tipo formicaio o alveare – nella quale il comportamento viene
privato di significato riflessivo.
Dunque,
saremmo
prigionieri di un mito illuministico che recita: “la verità rende liberi […]
Ma le scienze cognitive ci hanno dimostrato
che gli individui non ragionano così. Ragionano tramite frame” (G.L. pag. 35) Sicché, le visioni del mondo sono
“determinate da circuiti neuronali all’interno del cervello” (G.L. pag. 87);
per
cui il problema delle organizzazioni di partito è quello di mettere all’incasso
in termine di voti tali tendenze innate, attivandone il giusto frame e
incassandone il feedback, il riflesso condizionato.
Altrimenti risulterebbe inspiegabile la
ragione per cui “molte persone meno abbienti spesso votano misure che peggiorano la loro
vita anziché migliorarla, e ciò accade perché l’incessante framing conservatore
ha attivato una visione del mondo conservatrice anche in coloro le cui vite
possono essere sostanzialmente rovinate da questi ideali” (G.L. pag. 104).
Operazione
comunicativa per sfruttare a scopo di potere il condizionamento subliminale che
– secondo Lakoff – i Repubblicani contemporanei padroneggerebbero assai meglio
dei Democratici:
“le
neuroscienze e le scienze cognitive hanno cambiato radicalmente la nostra idea
di cosa sia la ragione e di cosa significhi essere razionali.
Sfortunatamente
fin troppi progressisti si sono formati su una teoria della ragione falsa e
obsoleta, in base alla quale il framing, il pensiero metaforico e l’emotività
non influirebbero in alcun modo sulla razionalità” (G.L. pag. 10).
Nella competizione tra due schemi mentali –
come dire? – innati: quello repubblicano/conservatore del “padre severo” e quello
democratico/progressista del “genitore premuroso”.
Il
primo familismo esprime un’idea educativa, fondata sui presupposti che il mondo
è un posto pericoloso perché fuori c’è il male, ci saranno sempre vincitori e
vinti, esiste un bene assoluto (la tua famiglia-Patria) e un male assoluto (il
nemico/canaglia).
Dunque, “ben consapevole del legame che
intercorre tra questo modello, la politica di destra, la religione evangelica,
il liberismo economico e la politica neoconservatrice” (G.L. pag. 20).
Invece
il format “premuroso” promuove l’assunto che “il mondo è un posto migliorabile
ed è nostro dovere impegnarci a tale scopo” (G.L. pag. 28).
Sicché i neuro-scienziati americani che
studiano il discorso pubblico ci spiegano che la mentalità di destra ha come
modello politico di riferimento il “padre severo”, che insegna ai propri figli
a curare esclusivamente i propri interessi e mirare al successo; tenendosi
lontani dai pietosi benefattori che con i loro programmi sociali “immorali”, in
quanto rendono le persone dipendenti dagli aiuti, mandano letteralmente a
rotoli il sistema.
La
metafora del capitalismo fatta persona;
con
allegata gerarchia:
Dio al
di sopra dell’uomo, l’uomo al di sopra della natura, gli uomini al di sopra
delle donne, i cristiani al di sopra dei non cristiani, i bianchi al di sopra
dei non bianchi, gli eterosessuali al di sopra degli omosessuali, la cultura
occidentale al di sopra di quelle non occidentali, il nostro Paese al di sopra
di tutti gli altri (G.L. Pag. 27).
Dopo
lo choc dell’11 settembre e il crollo della Torri Gemelle, Lakoff analizza
l’utilizzo dei codici repubblicani come framing metaforico anche in politica
estera:
“l’amministrazione
Bush ha reagito agli attentati in perfetto stile conservatore, ovvero
applicando rigidamente la morale del padre severo:
se il mondo è pieno di malvagi a piede libero,
il nostro compito è di mostrare i muscoli e farli fuori tutti” (pag. 165).
D’altro
canto – commenta il linguista di Berkeley – “bombardare civili innocenti e
distruggere le infrastrutture di un Paese è controproducente, oltre che
immorale” (pag. 170);
giungendo
così alla conclusione fatidica: “se gli Stati Uniti vogliono mettere fine al terrore,
devono mettere fine anche al loro contributo al terrore” (pag. 175).
Chi è
la vera canaglia?
La
conclusione che ne discende è la puntuale conferma della svalutazione in corso
del principio illuministico di verità (l’antica parresia greca che Michel
Foucault propugnava come “il dire la verità che funge da antidoto ai giochi di potere”, da parte dell’Occidente
americanizzato, quale ci giunge dal recentissimo saggio di Ganser.
Come
ha scritto nella sua efficace prefazione il saggista Carlo Rovelli:
“l’umanità ha fatto uno sforzo per
fondare una legalità internazionale che riduca la catastrofe delle guerre, e
chi maggiormente ha calpestato questa legalità internazionale è l’Occidente,
dominato dagli Stati Uniti, che si è arrogato e si arroga oggi con la forza il
diritto all’illegalità e all’impunità. […] È importante riconoscerlo e
considerarne la rilevanza e le implicazioni, per due motivi, entrambi seri.
Il primo è che in Occidente siamo
quotidianamente immersi in una narrazione basata su un’impressionante
ipocrisia.
Usiamo
l’espressione “comunità internazionale” per designare i nostri interessi di
parte, e ci raccontiamo l’un l’altro che noi occidentali siamo fautori della
giustizia e della legalità, mentre qualunque Stato o organizzazione si venga a
trovare in conflitto con l’Occidente, qualunque sia la sua politica o la sua
ideologia, è comunque designato come “rogue state” (‘Stato criminale’) e
accusato dal coro quasi unanime dei politici e dei media di essere illegale e
delinquente.
La
realtà, alla fredda prova dei fatti, è il contrario:
è
l’Occidente, con il suo strapotere militare, a essere il più delle volte dalla
parte dell’illegalità internazionale” (D.G. pag. 14).
Lo
ribadisce il nostro autore, lo storico pacifista creatore e direttore
dell’Istituto svizzero per la ricerca sulla pace e l’energia con sede a
Basilea:
con la
fondazione dell’ONU è entrato in vigore il divieto mondiale della guerra,
eppure “negli
ultimi settant’anni sono stati in massima parte i paesi Nato, la maggiore
alleanza militare del mondo, guidata dagli Stati Uniti, ad avviare guerre
illegali, riuscendo però sempre a farla franca. Gli Usa e la Nato sono un
pericolo per la pace nel mondo” (D.G. Pag. 23).
Quell’alleanza
atlantica che recentemente Lucio Caracciolo definiva “veste transatlantica
dell’America-mondo”;
con
un’opportuna considerazione riguardo alla condizione creatasi dopo il crollo
dell’Unione Sovietica, ripresa dal romanziere Le Carré:
“ora
che sono l’unica superpotenza, gli Stati Uniti scopriranno che guerre
altruistiche saranno parte del loro futuro”.
Per
cui commenta:
“normale.
Quando da ‘superpotenza unica’ – clamoroso ossimoro – ti identifichi con il
mondo.
Doloroso,
quando più combatti e più scopri che il mondo non si identifica con te.
Quale
migliore definizione preventiva della ventennale ‘guerra al terrorismo’,
monumento alla carenza di strategia che ha minato l’America post 1991,
mono-potenza deprivata del Nemico suicida?
Prologo della Guerra Grande fra Stati Uniti,
Cina e Russia”.
Nel
frattempo continua lo stillicidio bellico, per cui lo psicologo tedesco “Rainer
Mansfeld
”
“critica giustamente il fatto che nei paesi Nato si riflette poco sugli oltre
20 milioni di morti a partire dal 1945, la cui responsabilità ricade sugli USA”
(D. G.
pag. 53).
Così come l’intera pubblica opinione
occidentale neppure riflette sul silenzio sospetto dei mezzi di comunicazione
di massa, persino sulle operazioni segrete e illegali come la creazione di
reparti militari stay-behind predisposti per difendere i territori dei Paesi
Nato in previsione di invasioni sovietiche.
In Italia si trattava della “Operazione Gladio” (D.G, pag, 44).
Questioni
spinose che il saggio espone con franchezza, ma anche con una punta di
ingenuità.
Come
la scoperta che gli Stati Uniti sarebbero diventati nel dopoguerra una
oligarchia (D.G, pg, 54), quando la loro natura fin dalla nascita è quella di
una “plutocrazia coloniale” – come ci ha spiegato l’opera di “Howard Zinn” qui già citata
– e le classiche ricerche, risalenti a un quarto di secolo prima, di “Charles
Wright Mills “sui “quattrocento metropolitani”: l’élite;
il cui potere nasce in prevalenza dalle
ricchezze accumulate: “con poche eccezioni, il denaro – il puro, semplice e
volgare denaro – è sempre riuscito ad aprire tutte le porte nella società
americana”.
Del
resto, se vogliamo parlare di imperialismo americano è giocoforza notare che i
suoi germi erano già rigogliosamente presenti nella Dottrina del presidente
James Monroe (in carica dal 1817 al 1825) del “cortile di casa”, intesa come
affermazione della supremazia degli Stati Uniti sul continente americano;
con il
corollario della “politica del big stick” (il “grosso bastone”, inteso come intervento
militare) teorizzato dal presidente Teddy Roosevelt (dal 1901 al 1909) a
giustificazione dell’espansionismo stelle-e-strisce come epifania di un destino
nazionale.
Una
vocazione belligerante che indubbiamente ha subito un’accelerazione nell’ascesa
a primi del mondo come delirio di onnipotenza americano, nel secondo
dopoguerra;
che
Ganser ricostruisce puntualmente a partire dal colpo di Stato, in combutta con
l’MI6 britannico, contro il premier persiano Mohammad Mossadeq reo di voler
assicurare al proprio popolo i benefici della rendita petrolifera.
Da qui
la sequenza di interventi illegali: appunto, Iran 1953 e poi Guatemala 1954, Egitto
1956, Cuba 1961, Vietnam 1964, Nicaragua 1981, Serbia 1999, Afghanistan 2001,
Iraq 2003, Libia 2011, Ucraina 2014, Yemen 2015 e – per concludere – la guerra
ininterrotta contro la Siria di Assad.
Un
quadro – quello tracciato dal saggio di “Daniele Ganser” – da cui emerge una
tristissima verità:
“La Nato non è un’organizzazione al
servizio della pace nel mondo ma, al contrario, rappresenta un elemento
destabilizzante” (D.G. pag. 525). E “anche la cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ è
costellata da menzogne. […] È uno scontro sulle materie prime e per il
predominio globale” (D.G. pag. 526).
E questa ipocrisia menzognera sta producendo danni
irreparabili all’intero apparato valoriale prodotto dalla civiltà occidentale
nelle sue più nobili espressioni.
Lo scrivevano già qualche anno fa due
autorevoli politologi, quali “Stephen Holmes” e “Ivan Krastev”:
“i
tentativi di salvare il buon nome della democrazia liberale evidenziandone gli
aspetti positivi rispetto all’autocrazia non occidentale sono stati vanificati
dall’incosciente violazione delle norme liberali. […]
Anche
l’idea di una ‘società aperta’ ha perso il lustro di un tempo.
Oggi,
per molti cittadini disincantati, l’apertura al mondo è causa più di
inquietudine che di speranza”].
Mentre
ancora varrebbero le parole preveggenti proferite da “Raymond Aron”
cinquant’anni fa:
“nell’umanità in via di unificazione, la
disuguaglianza tra i popoli assume lo stesso significato che aveva un tempo la
disparità tra le classi”.
In
conclusione-
Sicché
quanto si profilerebbe alla luce del combinato Lakoff-Ganser è l’imbarazzante
constatazione per l’Occidente (nonostante le attuali, incessanti prolusioni di
fede nell’Atlantismo da parte dell’establishment plutocratico e i suoi
supporter politici) di essere immersi in una sorta di “Impero del falso”, che
proprio per questo si avvia al tramonto.
Alla
fine del “secolo americano”.
Mentre
si sta delineando quanto nel pieno della Guerra Fredda (1955) i popoli del
Terzo Mondo avevano denunciato nella conferenza di Bandung propugnando il non
allineamento a quella alternativa paranoica prima ancora che ipocrita.
Ciò che un grande osservatore del tempo – il
giornalista francese Jean Daniel – avrebbe definito in un suo celebre saggio
del 1979” L’ère
des ruptures”, l’età delle rotture.
La
rottura del patto su cui si era fondato a Occidente il matrimonio novecentesco
tra capitalismo e democrazia, mettendo a repentaglio il bene prezioso della coesione sociale.
Avvisaglie
della fine di una fase storica a centralità occidentale durata oltre mezzo
millennio;
da
quando – aggirando il blocco navale turco – giunse a Calcutta il vascello armato
di Vasco de Gama, avviando il processo di espansione aggressiva attraverso una
supremazia indiscussa sui mari.
Mentre
ora cresce nel mondo occidentale una domanda lancinante: e dopo?
Cosa ci aspetta alla fine dell’attuale
declino-interregno?
Forse
quel caos sistemico, quale terza ipotesi tra un Impero militarizzato e un
mercato gravitante sul Far East, che “Giovanni Arrighi” prefigurava nel suo
ultimo saggio-testamento.
LA
RICERCA DEL DOMINIO MONDIALE
DELL’
EGEMONE USA
ATTRAVERSO
LA FORZA BRUTA.
Controinformazione.info
- REDAZIONE – (4 DICEMBRE 202)2 - Stephen Lendman – ci dice:
L’Atto
finale di Helsinki del 1975 (accordi di Helsinki), concordato da 35 nazioni
occidentali e dalla Russia sovietica, sull’astensione dall’uso della forza, sul
rispetto dei diritti sovrani di tutte le nazioni e sulle questioni correlate
avrebbe dovuto essere un passo importante verso la fine per sempre delle guerre
in favore di una nuova era di pace e stabilità.
L’era
di pace e stabilità che avrebbe potuto subentrare non si è mai attuata a causa
della ricerca
del dominio da parte dell’egemone USA, che si è adoperato per soggiogare
la comunità mondiale delle nazioni alla sua volontà, compresi i suoi alleati.
Quando
nel dicembre 1991 si conclusero decenni di Guerra Fredda, una possibilità di
pace nel nostro tempo non fu raggiunta per lo stesso motivo.
Al
culmine della fine della Guerra Fredda nel 1990, gli stati membri della NATO e
del Trattato di Varsavia annunciarono la fine del confronto Est/Ovest.
Per
come andarono le cose, i regimi occidentali egemoni dominati dagli Stati Uniti
non avevano alcuna intenzione di mantenere il loro impegno in Europa o nel
mondo.
Invece
di attenersi ai principi dell’Atto Finale di Helsinki, le guerre eterne degli
Stati Uniti e dell’Occidente sono continuate contro nemici inventati.
Invece
di sciogliere la NATO in risposta alla fine del Trattato di Varsavia,
l’alleanza bellica si è avvicinata sempre più ai confini della Russia.
Sergey
Lavrov ha
spiegato che il “famigerato ‘ordine basato su regole’ degli Stati Uniti egemoni ha messo
radici in quell’epoca, aggiungendo:
Queste
regole, senza alcuna motivazione valida, hanno giustificato lo smembramento, lo
stupro e la distruzione dell’ex Jugoslavia negli anni ’90.
Dopo
l’11 settembre, madre di tutte le false bandiere (false flags) sponsorizzate dalla
élite dominante di Washington fino a quel momento, seguì la distruzione di
Afghanistan, Yemen, Iraq, Libia e Siria, paesi che non erano una minaccia verso
la sicurezza degli Stati Uniti e della NATO.
Iniziata
nel 2014, non nel febbraio di quest’anno, la guerra in Ucraina è stata
pianificata ed istigata negli Stati Uniti, non in Russia.
Tutte
le guerre di sanzioni di cui sopra, fatte da USA e alleati occidentali, hanno
violato in modo flagrante la lettera e lo spirito degli accordi di Helsinki.
“La
Russia sperava che i principi di Helsinki potessero essere ripristinati”, ha
spiegato Lavrov, aggiungendo:
“Abbiamo
proposto di redigere un documento giuridicamente vincolante, una Carta
dell’OSCE basata sull’Atto finale di Helsinki”.
“L’Occidente
non ha accettato la nostra iniziativa”.
L’Egemone
USA ha proibito ai suoi vassalli occidentali di adempiere ai principi del “Trattato
sulle forze armate convenzionali in Europa” (CFE).
Quella
che doveva essere “la pietra angolare della sicurezza europea” non si è mai avverata.
L’impero
della menzogna in seguito abbandonò i trattati ABM, INF e Open Skies. Tutti
pezzi di carta senza valore per Washington.
La
cosiddetta “Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa” (OSCE)
si è trasformata in un ramo della macchina bellica della NATO. L’adozione della Carta per la
sicurezza europea da parte dell’OSCE nel 1999 richiedeva che nessuno Stato
membro perseguisse interessi di sicurezza a spese di altre nazioni.
Lavrov
ha spiegato che “la Russia e le (nazioni) che la pensano allo stesso modo hanno
adottato una dichiarazione, che (afferma) che la sicurezza deve essere uguale e
indivisibile…”
“Gli
stati dovrebbero essere liberi di scegliere alleanze a condizione che non
cerchino di rafforzare la propria sicurezza indebolendo la sicurezza degli
altri”.
“La
formula cruciale è che nessuno stato o gruppo di stati ha il diritto di
rivendicare la responsabilità preminente per la sicurezza nell’area
euro-atlantica”.
Tuttavia,
per tutta la sua esistenza, specialmente a partire dagli anni ’90, i regimi
NATO dominati dagli Stati Uniti hanno violato praticamente tutto ciò su cui
avevano formalmente concordato.
L’Atto
istitutivo del 1997 sulle relazioni reciproche, la cooperazione e la sicurezza
tra la NATO e la Federazione Russa richiedeva “un processo decisionale e
un’azione congiunta (come) nucleo (principio) delle relazioni reciproche tra
NATO e Russia”.
La
NATO egemone dominata dagli USA si è impegnata a non dispiegare armi o truppe
nucleari nei nuovi stati membri.
La
Russia e la NATO si erano impegnate ad astenersi dall’uso della forza, nonché a
rispettare la sovranità, i confini e l’integrità territoriale delle nazioni
firmatarie dell’accordo.
Lavrov
in precedenza ha criticato gli Stati Uniti per aver gravemente violato i
principi del “Founding Act”, compresi i “tentativi ostili di cambiare l’equilibrio delle forze
in Europa”
nel perseguimento dei suoi obiettivi egemonici.
L’avanzata
della NATO vicino ai confini della Russia ha ignorato la crescente minaccia di
guerra tra le potenze nucleari dominanti nel mondo. Il primo segretario generale della
NATO,” Hastings Ismay”, aveva affermato che lo scopo dell’alleanza è “tenere
l’Unione Sovietica fuori (dall’Europa), gli americani dentro e i tedeschi
sotto”.
Più o
meno la stessa politica viene perseguita oggi, ha spiegato Lavrov, aggiornata
per mantenere “l’intera Europa sottomessa” come vassalli asserviti agli interessi degli
Stati Uniti.
Nel
corso della sua storia, la NATO dominata dagli Stati Uniti ha privilegiato il
confronto rispetto alle relazioni di cooperazione tra le nazioni.
L’alleanza
bellica “porta devastazione e sofferenza alle nazioni” nella sua lista di
obiettivi per il cambio di regime.
I 12
stati membri fondatori della NATO si sono allargati fino a 16 al momento dello
scioglimento della Russia sovietica nel 1991. Tutti verso Est.
Oggi
la Nato conta 30 membri, a cui presto si aggiungeranno Finlandia e Svezia, 37
partner e cerca di espandersi in Asia in vista del confronto con la Cina.
Le
esercitazioni militari dell’Alleanza vicino ai confini della Russia sono le prove per
fare la guerra.
Nel
dicembre 2021, il regime di Biden ha respinto le proposte di sicurezza in buona
fede della Russia.
I
russi avevano chiesto di astenersi dal dispiegare armi nucleari e di altro tipo
nell’Europa orientale – da parte della NATO dominata dagli Stati Uniti – quelle
che minacciano la sicurezza della Russia, anche nelle acque e nello spazio
aereo al confine con il suo territorio.
Non
chiedevano alcuna ulteriore espansione della NATO a est vicino al confine con
il territorio della Russia, né l’istituzione di basi militari nelle ex
repubbliche sovietiche.
Il
loro scopo era allentare le tensioni tra Est e Ovest attraverso la diplomazia.
Vladimir
Putin ha invitato la NATO, dominata dagli Stati Uniti, a impegnarsi in colloqui
sostanziali su garanzie di sicurezza legalmente vincolanti/a lungo termine tra
la Russia e l’Occidente.
Entrambe
le ali del partito della guerra degli Stati Uniti rifiutano la pace e la stabilità
a favore di guerre eterne contro nemici inventati a caldo e/o con altri mezzi.
La
guerra in Ucraina avrebbe potuto essere evitata se Kiev avesse rispettato i
termini di risoluzione del conflitto di Minsk I e II che aveva accettato
formalmente ma violato di fatto, come veniva ordinato dal suo padrone statunitense.
Dal
colpo di stato del 2014 ad oggi, l’”impero della menzogna” ha trasformato l’ex
stato-nazione dell’Ucraina in una piattaforma armata per la guerra perpetua
contro la Russia.
L’escalation
della guerra di Kiev a Donetsk e Lugansk, insieme a oltre 100.000 truppe
ucraine mobilitate in preparazione all’invasione di entrambe le repubbliche e
della Crimea, ha costretto la Russia a lanciare il suo SMO per autodifesa:
il diritto della Carta delle Nazioni Unite di tutte le
nazioni sotto attacco o se uno è imminente.
Forze
USA in Ucraina.
La
guerra di sanzioni dell’Occidente collettivo contro la Russia sta distruggendo
economicamente l’Europa come previsto dall’impero della menzogna.
E uno stato
di guerra perpetua USA/NATO contro la Russia continua con l’uso di fanti
ucraini sacrificabili.
Finirà
nella sua forma attuale quando l’esercito del regime crollerà – forse per
essere seguito da operazioni di guerriglia, cosa che l’impero delle bugie potrebbe volere.
Un
commento finale.
In
risposta alla proposta del capo della Commissione europea von der Leyen di istituire un tribunale
specializzato per ritenere la Russia responsabile dei crimini di guerra di Kiev, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov
ha dichiarato quanto segue:
“(A)
le tentazioni di avviare una sorta di tribunale… sarebbero illegittime.”
Se
stabilito, la Russia lo rifiuterà e lo condannerà.
Gli
USA egemoni, i suoi vassalli della NATO e l’Ucraina infestata dai nazisti sono
colpevoli di crimini di guerra contro l’umanità, chiaramente non è la Russia il
colpevole.
Il
ministero degli Esteri russo ha condannato il progetto del tribunale, dicendo:
“L’attuale tentativo da parte dei
(regimi) occidentali di creare un meccanismo quasi giudiziario non ha
precedenti nel suo nichilismo legale ed è ancora un altro esempio della pratica
occidentale dei doppi standard”, aggiungendo:
“Una
tale una cabala non avrà mai giurisdizione” sulla Russia.
In
risposta al sostegno del regime Macron all’ingiustizia della “corte canguro”,
il Ministero ha aggiunto:
“Non
smettiamo mai di stupirci del cinismo delle autorità francesi”.
Insieme
al suo padrone degli Stati Uniti, il Regno Unito e altri stati dell’UE, la
Francia ignora “l’illegalità legale del regime di Kiev, i (suoi) numerosi crimini di
guerra documentati” dal 2014 contro i civili del Donbass.
La
Francia (e altri stati occidentali) dovrebbero istituire tribunali tipo
Norimberga per ritenersi responsabili di secoli di gravi crimini di guerra.
(Stephen
Lendman)
CINA:
“CI SARANNO INEVITABILMENTE
CONFLITTI
E SCONTRI.”
Controinformazione.info – REDAZIONE - Bruno Bertez –
(9 MARZO 2023) – ci dice:
Pechino
chiede a Washington di cambiare atteggiamento, altrimenti ci sarà “inevitabilmente
un conflitto”.
La
Cina ha accusato gli Stati Uniti di alimentare le tensioni tra le due potenze e
ha avvertito del rischio di scontro se Washington non fa nulla contro il
“neo-maccartismo isterico” diretto a Pechino.
Il 7
marzo il ministro degli Esteri cinese “Qin Gang” ha avvertito Washington del suo
approccio alle relazioni sino-americane.
“Se
gli Stati Uniti continuano a percorrere la strada sbagliata e non rallentano,
nessuna salvaguardia può impedire il deragliamento [delle relazioni] “, ha
lanciato il ministro, intervenuto a margine della sessione annuale del
Parlamento.
Se ciò
accade, ” ci saranno inevitabilmente conflitti e scontri “, ha aggiunto “Qin
Gang”, chiedendosi: ” Chi ne sopporterà le conseguenze catastrofiche?” »
Il
giorno prima il presidente Xi Jinping aveva deplorato il “contenimento” e la
“repressione” degli occidentali che prendono di mira la Cina, citando per nome
gli Stati Uniti e invitando il settore privato a innovare di più per rendere il
suo Paese meno dipendente dall’estero.
Le
ambizioni high-tech di Pechino sono sempre più limitate da Washington e dai
suoi alleati, spingendo le aziende cinesi a raddoppiare i loro sforzi per fare
a meno delle importazioni cruciali.
“Sfide
senza precedenti”.
La
Cina e gli Stati Uniti sono in particolare impegnati in una feroce battaglia
per la produzione di semiconduttori, questi componenti elettronici essenziali
per il funzionamento di smartphone, auto connesse ma anche attrezzature
militari.
In
nome della sicurezza nazionale, negli ultimi mesi Washington ha intensificato
le sanzioni contro i produttori di chip cinesi, ora ostacolati
dall’approvvigionamento di tecnologia americana.
” I fattori incerti e imprevedibili sono
aumentati in modo significativo” per la Cina, ha affermato Xi Jinping secondo
un resoconto della “China News News Agency” pubblicato il 6 marzo.
“I
paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno attuato una politica di
contenimento, accerchiamento e repressione contro la Cina, che ha portato sfide
senza precedenti allo sviluppo del nostro Paese”, ha affermato, aggiungendo in
un’insolita critica diretta a Washington.
Il
leader 69enne, che tra pochi giorni otterrà un terzo mandato presidenziale
senza precedenti, ha parlato ai membri di un comitato consultivo durante la
sessione annuale del parlamento cinese.
” Di
fronte a cambiamenti profondi e complessi a livello internazionale come in
Cina, è necessario rimanere calmi, concentrati… agire in modo proattivo,
mostrare unità e osare combattere” per avere successo, ha detto Xi Jinping.
Tecnologia
cinese.
“Neo-maccartismo
isterico.”
Interrogato
il 7 marzo, anche il ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, ha deplorato lo
stato attuale delle relazioni sino-americane.
“Penso solo che ciò che determina le relazioni
Cina-USA dovrebbero essere gli interessi comuni, le responsabilità comuni e
l’amicizia tra i due popoli [e non] la politica interna degli Stati Uniti e
questo tipo di neo-maccartismo isterico”, ha sottolineato Qin Gang, in
riferimento al ripetuto critiche della classe politica americana contro il suo
Paese.
(Bruno
Bertez)
L’EURODEPUTATO
MARIANI: LA PAURA
DELLA
SCONFITTA COSTRINGE ZELENSKY
A
TRASCINARE L’OCCIDENTE NEL CONFLITTO.
Controinformazione.info
– REDAZIONE – Thierry Mariani - (10 MARZO
2023) – ci dice:
Il
leader ucraino Volodymyr Zelenskyy continua a cercare il coinvolgimento diretto
dei paesi occidentali al conflitto armato per un motivo.
Sulle ragioni del comportamento del politico
ha parlato il deputato Thierry Mariani.
Il
parlamentare è giunto alla conclusione che il capo del regime di Kiev è ben
consapevole dell’inevitabilità della sua sconfitta da parte della Russia.
La
paura lo costringe a cogliere ogni opportunità per evitare lo scenario
descritto.
“Lui
vede che l’esaurimento delle truppe e delle attrezzature ucraine lo sta portando
alla sconfitta”, ha aggiunto l’eurodeputato in un’intervista a” Izvestia”.
Thierry
Mariani è uno dei rari politici francesi a mostrare le sue opinioni filo-russe.
Un anno dopo l’invasione dell’Ucraina, l’eurodeputato ha offerto un’analisi
controversa, nettamente distinta dai gruppi filo atlantisti.
“Siamo di fronte a un doppio errore.
Prima dei russi, che credevano che l’Ucraina
sarebbe crollata molto rapidamente, poi gli occidentali, che credevano che
avrebbero fatto crollare l’economia russa con le sanzioni.
Siamo anche in una situazione in cui,
militarmente, le cose sono piuttosto stabilizzate sul terreno … e dietro la
NATO.
Così quando arriverà la primavera, sarà il
momento della verità.
Certo,
gli ucraini riceveranno attrezzature moderne, ma una guerra si vince con gli
uomini.
Tuttavia,
l’Ucraina, che, come la Russia, ha subito molte perdite, non ha le stesse
risorse demografiche.»
Ad una
domanda su cosa possa succedere, Marani ha risposto...
“Fornire
sempre più armi è quello che vogliono paesi come la Polonia o i paesi baltici.
Insisto quindi nel dire che l’Ucraina può vincere la guerra solo coinvolgendo
il resto dell’Europa.»
In
conclusione, Mariani ha annunciato il modo migliore per risolvere la crisi in
Ucraina.
Secondo
il politico si tratta di tenere una conferenza di pace.
Chi è
il "Gandhi
turco"
che
vuole spodestare
Erdogan.
Today.it
– Redazione - Kemal Kilicdaroglu – (10 marzo 2023) – ci dice:
L'opposizione
ha trovato l'intesa su Kemal Kilicdaroglu, 72enne leader del centrosinistra che
correrà per la presidenza del Paese.
Lo
chiamano il "Gandhi turco" per il suo fisico esile e lo stile umile
che ne ha contraddistinto la lunga carriera politica.
Niente
a che vedere con l'atteggiamento da uomo forte del suo storico rivale, il
presidente “Recep Tayyip Erdogan”.
Eppure, dopo il fallito golpe che ha portato
il leader turco a rafforzare la concentrazione di poteri nelle sue mani e a
inasprire la stretta giudiziaria nei confronti dell'opposizione, Kemal
Kilicdaroglu è stato uno dei pochi esponenti politici capaci di sfidare
apertamente il "Sultano" e di sconfiggerlo sul campo, come successo a
Instanbul e Ankara.
Anche per questo, un variegato fronte di
partiti ha deciso di coalizzarsi intorno a lui per scalzare Erdogan dai vertici
del Paese, dopo un ventennio di dominio incontrastato.
Le
umili origini.
Nato
74 anni fa in un villaggio isolato dell'Anatolia da una famiglia povera che
afferma di discendere dal profeta Maometto, Kilicdaroglu ha raccontato spesso
della sua infanzia di sacrifici, di quando andava a scuola a piedi nudi e con
vestiti rattoppati.
Proprio
la scuola è stata lo strumento del suo riscatto sociale:
diplomato
con il massimo dei voti, ha studiato finanza all'università e una volta laureto
è entrato nella pubblica amministrazione come ispettore fiscale, scaldando a
poco a poco i ranghi fino a diventare uno dei più alti funzionari dello Stato.
La
carriera professionale è andata di pari passo con quella politica: nel 2002
viene eletto deputato nel collegio di Instanbul tra le fila del Chp, il Partito
popolare repubblicano, principale forza di centrosinistra del Paese.
Nel
2010, ne diventa il leader e da quel momento comincia la sua personale sfida a
Erdogan, che lo ricambia chiamandolo "Bay Kemal" (signor Kemal), usando il
termine "bay" tradizionalmente riservato
agli stranieri.
Un modo
per sottolineare l'appartenza di Kilicdaroglu agli aleviti, minoranza di fede islamica che è
stata vittima in passato di discriminazioni e massacri in Turchia e che viene
considerata eretica dai sunniti ortodossi, il grande bacino elettorale di Erdogan.
Gli aleviti osservano una forma di islam
moderato, che professa la tolleranza verso tutte le religioni e le etnie, e la
parità tra uomini e donne.
Il
contrario della svolta ortodossa imposta da Erdogan negli ultimi anni per consolidare
il suo potere.
La
Tavola dei sei.
Se
eletto, Kilicdaroglu sarebbe il primo alevita a diventare presidente turco.
Inoltre,
provenendo da una regione a forte presenza curda, il leader del Chp viene visto
come un potenziale pacificatore delle tensioni sempre più aspre tra il governo
di Ankara e la minoranza curda in Turchia.
Non a
caso, l'Alleanza
del lavoro e della libertà, coalizione di sei partiti filocurdi guidata dal Partito
democratico del popolo (Hdp), di sinistra, ha fatto intendere che potrebbe
appoggiare un fronte di opposizione a Erdogan solo con Kilicdaroglu al comando.
La
coalizione curda è accreditata tra il 10% e il 12% dei voti, un bottino che
potrebbe risultare determinante per scalzare il Sultano dal trono.
Al
netto dei curdi, Kilicdaroglu ha alle sue spalle una variegata coalizione di
sei partiti, che vanno dal centrosinistra alla destra nazionalista.
Secondo
gli ultimi sondaggi, questa "Tavola dei sei", come è stata
ribattezzata, potrebbe raggiungere il 40% dei consensi, in un testa a testa con
l'Akp di Erdogan e il suo alleato di estrema destra, l'Mhp.
Entrambi i partiti dell'attuale maggioranza
sono dati in netto calo rispetto alle elezioni del 2018:
le
cause vanno cercate soprattutto nella grave inflazione che sta erodendo i
redditi delle famiglie turche e che il governo non è riuscito finora a
contrastare.
“Questa è la mia battaglia per i tuoi diritti.
I
ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri", aveva detto
Kilicdaroglu nell'aprile del 2022 dopo essersi rifiutato di pagare le bollette
dell'elettricità per protesta contro il forte aumento dei prezzi.
Per
Erdogan c'è poi lo scoglio del grave terremoto che ha colpito il Paese a inizio
febbraio:
il presidente è stato accusato da più parti
non solo di non aver saputo gestire un'adeguata risposta all'emergenza, ma
anche di aver favorito la speculazione edilizia a fronte del programma
antisismico lanciato anni fa.
Sullo
sfondo, le accuse di corruzione al suo partito, a cui fa da contraltare
l'immagine di onestà che Kilicdaroglu ha saputo costruirsi nel tempo.
Convincere
gli indecisi.
Ma
basterà tutto questo a porre fine al dominio del Sultano, che tra incarichi da
premier e da presidente guida la Turchia dal 2003?
Per
diversi osservatori, il "Gandhi turco" pecca di eccessiva morbidezza,
e le sue posizioni laiche rischiano di fare scarsa breccia nella maggioranza
sunnita.
Kilicdaroglu
è consapevole dei suoi limiti, e negli ultimi anni ha cercato di farvi fronte.
I suoi discorsi sono diventati più duri e
forti, nel 2017, nel pieno della repressione post golpe che ha portato agli
arresti (spesso controversi) di tantissimi leader politici dell'opposizione,
l'ex funzionario statale ha mostrato i muscoli ponendosi alla testa di una
marcia di 420 km tra Ankara e Istanbul per protestare contro il regime
autoritario di Erdogan e i processi sommari.
Per
strizzare l'occhio agli alleati più conservatori, Kilicdaroglu ha anche
ammorbidito le sue posizioni alavite, portando per esempio donne velate nel
Chp.
“La
nostra tavola è quella della pace e della fraternità.
Il nostro obiettivo principale è portare la
Turchia a giorni prosperi, pacifici e gioiosi. Governeremo la Turchia
attraverso la consultazione e il consenso”, ha detto dopo l'investitura da
parte dell'opposizione.
L'accordo
tra i sei partiti prevede 12 punti, tra cui, forse il principale, ridare
centralità al parlamento, ribaltando la deriva presidenzialista di Erdogan.
Per quanto riguarda la politica estera, le
speranze dell'Occidente sono di trovare in lui un leader capace di riportare la
Turchia verso l'Europa.
Kilicdaroglu
adesso avrà poche settimane per convincere i 9 milioni di elettori ancora
indecisi: le urne si apriranno il 14 maggio.
L'EDITORIALE
- Dall’aborto al gender,
dalla
prostituzione alla pornografia.
Le
istanze trans femministe per l’8 marzo
distruggono
le donne.
Provitaefamiglia.it
– (08/03/2023) - Maria Rachele Ruiu – ci
dice:
“Se si
fermano le donne si ferma il mondo”.
È lo
slogan dello sciopero e della manifestazione di oggi delle femministe – in
prima linea “Non Una di Meno” – per la Giornata Internazionale della Donna.
Ma
cosa aspettarsi da uno sciopero che già nel nome “transfemminista” svela il
volto della ideologia da cui prende vita?
Niente
di buono.
Lo
slogan scelto, infatti, su cui siamo tutti d’accordo, viene subito smentito dalle
stesse istanze pensate dalle organizzatrici:
annientare
le donne e le loro peculiarità, a partire dalla maternità per finire a tutto
quello che “San Giovanni Paolo II” chiamava “genio femminile”.
Sarò
onesta:
fa un
certo effetto vedermi quasi “difendere” la Giornata della Donna, perché l’ho
sempre considerata una giornata priva di senso, se non addirittura pericolosa,
così come le quote rosa e tutto quello che gira intorno.
La
donna non ha bisogno di essere uguale all’uomo per essere.
Non ha
bisogno di occupare gli spazi come gli uomini, anzi “Una donna che voglia
essere come un uomo manca di ambizione”.
La
donna ha un valore intrinseco specifico in quanto donna, da custodire:
non
siamo panda a cui concedere degli spazi a prescindere dal merito.
E soprattutto quanta violenza durante queste giornate
quando si indicano gli uomini come il male del mondo assoluto, fino ad
annientare la figura del padre.
E oggi subiamo le conseguenze di questa
assenza del padre;
e quanta infelicità nella distruzione
dell’alleanza creativa tra uomini e donne, a cui questa giornata, che piaccia o
no, negli anni ha contribuito.
Ahimè,
sono convinta che proprio nel vecchio femminismo, che indicava alla donna la
felicità nell’emanciparsi dal suo essere donna e madre, e che oggi prende le distanze dal
femminismo queer, ci sia la matrice di quello che oggi riempirà le nostre strade, tv,
case.
La
domanda decisiva è:
cosa è
una donna per le organizzatrici di questo sciopero?
Leggendo
i loro proclami non si scorge una parola di realtà sui problemi che una donna
oggi deve affrontare o sulle ingiustizie che subisce.
Non
una parola sulla libertà di essere madre, lavoratrici o entrambe e sul bisogno
concreto di sostegni per poter armonizzare le due cose, se non quella di
proporre di lasciare i papà a casa così le mamme possono tornare prima a
servire il capo.
Non vogliamo tornare a lavoro, pur di non
perderlo, con i seni pieni di latte quando i nostri figli sono ancora minuscoli
e bisognosi di noi.
Vogliamo
smettere di essere costrette a nascondere gravidanze o temere lo sguardo del
capo quando ne annunciamo una.
Vorremmo
un welfare che ci riconosca come madri e lavoratrici e ci aiuti, per esempio,
con il lavoro flessibile.
Vogliamo portare il nostro contributo unico al
mondo del lavoro senza dover rinunciare ai nostri figli;
un
lavoro che rispetti questa peculiarità.
Poi
certo, se i nostri mariti potessero starci accanto per un numero di giorni
superiore a 10 e accompagnarci nelle prime settimane delicatissime del puerpero
saremmo felicissime.
Ma
insieme.
Non
una parola, poi, sull’indegna bullizzazione e denigrazione che bolla come
frustrate o donne di serie B chi sceglie, ed alcune lo fanno con grandi
sacrifici, di prendersi cura esclusivamente dei loro figli e mariti, o magari
dei nonni, quando malati.
Non
una parola sulle donne caregiver, che offrono la loro vita per la cura dei più fragili
subendo, loro e le loro famiglie, l’ingiustizia di essere abbandonate e di dover
strappare sempre con i denti quello che invece sarebbe diritto ricevere.
Non
una parola sulle troppe donne abbandonate all’unica soluzione dell’aborto
quando si trovano di fronte a una gravidanza inaspettata o difficile.
In
Italia nessuna donna è costretta a partorire per presunte carenze dell’ingiusta
Legge 194, ma moltissime sono costrette ad abortire per la mancanza di aiuti
che riescano a far superare i disagi economici, sociali e psicologici.
Oggi
in Italia, infatti, NON è garantito il diritto a NON abortire, come del resto
abbiamo denunciato con una serie di affissioni partite qualche giorno fa (a
Roma e nelle principali città italiane) e con una petizione popolare.
Ci
verrebbe spontaneo immaginarci l’una accanto alle altre per pretendere aiuti in
questa direzione, e invece nelle istanze dello sciopero troviamo la richiesta
di censurare e impedire l’esistenza delle associazioni pro life che si impegnano per proporre alle
donne incinte soluzioni per superare le difficoltà che le costringono ad
abortire, negando tra l’altro ciò che l’aborto è realmente:
la soppressione di una vita umana innocente e un
dramma per le donne, con conseguenze
fisiche e psicologiche in alcuni casi anche molto gravi.
Ma se
non toccano questi temi, quale sarà l’agenda dello sciopero di oggi?
Lor
signore, compresa la neo segretaria del Pd Elly Schlein, dicono di voler rappresentare tutte
noi, ma ci
danneggiano fino anche a volerci cancellare, promuovendo gender, utero in
affitto, prostituzione, pornografia e aborto per tutte.
Riempiono,
infatti, i manifesti di ə (Schwa), e chiedono, il giorno della celebrazione
della donna, di entrare nelle scuole per chiedere di indottrinare i nostri
figli all’educazione
gender,
insegnare loro, cioè, che chiunque voglia dichiararsi donna debba essere
riconosciuto come tale.
Che
quindi, tirando le somme, le donne non esistono in quanto tali.
E
aggiungono di voler sponsorizzare, sempre nelle scuole, l’approccio
affermativo, compreso di carriera alias, che in tutto il mondo si sta rivelando fallimentare
e pericoloso, soprattutto per le ragazzine.
Lo
sanno che il contagio sociale, che sta portando ad aumento esponenziale delle
disforie di genere tra gli adolescenti, sta colpendo maggiormente le ragazzine,
convinte che sarebbero più felici se fossero maschi?
Conoscono
i movimenti di donne, ex ragazzine disforiche, che denunciano di aver subito
medicalizzazioni non solo inutili, ma anche dannose e irreversibili, in nome di una ideologia feroce che
non ha voluto indagare la loro sofferenza, come mastectomia e isterectomia?
Non è
un cortocircuito questo?
O
ancora, in quei Paesi in cui 10 anni fa si promuovevano queste visioni, oggi
alcuni uomini rubano i posti di lavoro e nello sport alle donne, forti
dell’ideologia gender che permette loro di sentirsi “donna” o accedono agli
spazi femminili, come i bagni, gli spogliatoi e le carceri, con conseguenze
anche tragiche sulle donne.
Però
per le scioperanti questo non solo è accettabile ma è l’idea di fondo che
auspicano.
Chiedono,
poi, di legalizzare
la prostituzione chiamandola “sex work”, quando invece è scientificamente
dimostrato che ovunque sia stata legalizzata è aumentata la tratta di donne e bambine,
stuprate e schiavizzate per essere alla mercè di maschi vogliosi e di papponi
insaziabili.
Chiedono
di incentivare la pornografia, cioè la prostituzione filmata, anche attraverso
progetti nelle scuole di educazione sessuale, quando è ormai acclarato dagli
studi che l'uso della pornografia dilagante sta comportando una diminuzione di
empatia nei confronti delle donne che subiscono violenza.
Chi fa
uso di pornografia, infatti, rafforza la credenza che il maschio debba dominare
e la femmina sottomettersi (e no, non è la sottomissione paolina che viene
rinforzata), oltre a normalizzare pratiche sessuali estreme.
Chi fa
uso di pornografia, sempre più, tende a rapportarsi a una donna come oggetto.
Impressionanti,
in tal senso, sono gli studi che mostrano che si elaborano le immagini
sessualizzate delle donne con i processi con cui si elaborano gli oggetti, e
non con processi che di norma usiamo quando ci relazioniamo con altri esseri
umani.
Nella
sostanza, quindi, il giorno della celebrazione della donna, con una mano si
finge di volere essere contro la violenza, con l’altra la si nutre,
sponsorizzando la pornografia.
Chiedono,
come se non bastasse, di legalizzare la pratica disumana dell’utero in affitto,
schiavitù del terzo millennio, che obbliga donne povere a vendere il proprio
figlio per i capricci ideologici di persone ricche che si dimenticano che i
bambini non si comprano, ma neanche si regalano ci dovesse essere l’intenzione.
Ma in fondo, se i figli si possono eliminare, perché
stupirsi che si possano vendere o cedere a terzi?
Sempre
le stesse manifestanti, infatti, vorrebbero convincere le nostre figlie che l’aborto
sia socialmente preferibile alla maternità, più conveniente, nascondendo loro
quello che l’aborto è:
non può farti tornare indietro e decidere di
non essere mamma, ma ti fa scegliere se essere mamma di un figlio vivo o morto.
Chiedono
di ruspare i cimiteri che accolgono i nostri figli che non abbiamo potuto
abbracciare.
Infine
non manca, nel manifesto, un rimando alla cosiddetta “medicina trans femminista” che, tanto per fare un esempio, non
parla di donne ma di “persone con le mestruazioni”, ma non si preoccupa di raccontare,
per esempio, che una donna che sta per avere un infarto non ha gli stessi sintomi di
un uomo.
Ma
quale Giornata della Donna?
La chiamassero la festa del gender, dei
diritti Lgbtqia+, del fluido, ma non della donna:
siamo
stanche di essere sfruttate da una ideologia che, dopo averci indicato ingiustamente
come nemici i nostri alleati, cioè gli uomini, vorrebbe affondare il colpo e
annullarci in quanto donne e madri.
È questa, dunque, la Giornata della Donna?
NO!
Non nel mio nome!
ELOGIO
DELL’UOMO FORTE.
Comedonchisciotte.org
- Redazione CDC – (09 Marzo 2023) - Roberto Giacomelli – ci dice:
(Ideeazione.com)
La
società nutritiva, dove il cibo è un feticcio erotico e viene fotografato con
cupidigia come un oggetto sessuale e gli acquisti di oggetti riempiono il vuoto
dell’anima, esalta l’aspetto femmineo e materno dei maschi e condanna quello
virile.
Gli
uomini deboli delle nuove generazioni, orfani della figura paterna archetipo di
virilità, cresciuti da madri iperprotettive, hanno perso le caratteristiche
maschili che da sempre contraddistinguono la loro funzione sociale e spirituale.
Le
società organiche del passato, dove i principi del mondo della Tradizione erano
ancora vivi, prevedevano per i giovani riti di passaggio all’età adulta, prove
di coraggio e forza per dominare il dolore e la paura.
Il
“comitatus romano” e la “sippe germanica”, le scuole della cavalleria
medievale, le corporazioni di arti e mestieri e le accademie militari
preparavano i giovani maschi al mestiere delle armi.
Dal
mondo classico a quello medievale fino alla prima parte del Novecento, il culto
della forza virile era diffuso in tutte le culture, come tratto eminente della
mascolinità.
Destrezza,
resistenza alla fatica, difesa della Patria e della famiglia, i compiti virili
si basavano sull’uso della forza, fisica e mentale.
I giovani che aspiravano ad entrare nel mondo dei
grandi si vantavano della loro forza che esibivano fieramente con le fanciulle
che volevano conquistare.
Per
loro l’uomo forte era garanzia di sicurezza e protezione, di prole sana e
continuità della stirpe e mai avrebbero preso in considerazione un pretendente
debole o affetto da menomazioni.
La virilità si accompagnava inevitabilmente
alla forza, alla quale nessun uomo avrebbe mai rinunciato.
In
tempi ancora vicini nei borghi sperduti lontani dall’insana frenesia delle
megalopoli, le prove di forza sono rimaste vive nel folklore e nelle tradizioni
popolari, ultimo retaggio di un mondo povero e dignitoso, non ancora corrotto
dal consumo compulsivo.
Nelle
città contemporanee habitat naturale del capitalismo selvaggio, la forza è un
orpello del passato, una caratteristica inutile e demonizzata.
Qualità
obsoleta di uomini rozzi e non abbastanza civilizzati, resti patetici di un
tempo da cancellare per far posto ad una nuova tipologia umana: i maschi femminei.
Consumatori
perfetti di qualsiasi oggetto stupido e costoso prodotto dal grande capitale
cosmopolita, pazienti ideali per terapie farmacologiche sperimentali, clienti
migliori per gli spacciatori di sostanze stupefacenti.
Vittime
indifese di invasori famelici che li elimineranno nella sostituzione dei popoli
in atto, estranei che prenderanno il loro posto, godranno i frutti del lavoro dei loro
padri e colonizzeranno la terra dei maschi deboli con culture aliene e violente.
Per
ottenere una rapida sostituzione non ci deve essere resistenza alla conquista,
ma una facile penetrazione permessa dalla mancanza di uomini forti, orgogliosi
delle loro tradizioni e dell’appartenenza alla loro stirpe.
I
maschi deboli del nostro tempo elogiati per la loro fragilità, indecisi e
spaventati, attori inconsapevoli di una tragedia che li travolgerà senza
scampo.
Vittime
della loro debolezza, spinti al vittimismo da una sapiente propaganda che li
vuole inermi, lamentosi, eterni lattanti desiderosi solo di protezione e
comprensione.
Il
piacere della forza, del coraggio e dell’eroismo sono soppiantati dalla pratica
del lamento, schiere di finti perseguitati, vittime sacrificali senza fare
alcun sacrificio si lamentano di non essere capiti e supportati.
Generazioni
viziate dal permissivismo e dal buonismo nemico di ogni regola, che le ha
convinte che tutto sia dovuto, che si deve ottenere ciò che si desidera senza
impegno, gratuitamente.
Frustrati narcisisti, vivono per apparire e
non per essere, nemmeno più per avere perché il possesso comporta una
conquista, quindi uno sforzo.
Soggetti
spaventati dalla realtà che non affrontano mai, invocando la protezione di chi
disprezzano e considerano violento e brutale:
gli uomini veri.
Pacifisti
fomentatori di guerre fatte dagli altri purché non li coinvolgano, femministi
inconsciamente terrorizzati dalle donne che sentono più forti, ambientalisti
che spargono rifiuti tecnologici dei dispositivi dai quali sono dipendenti.
Smidollati
che si vantano di essere fragili e tormentati, rifuggono lo scontro da cui tutto
prende forma come ricordava Eraclito, perché si sono già arresi prima di
combattere.
Il
loro male sottile è la mancanza di disciplina, dall’antico verbo greco “disco”
ovvero imparo, senza la forza e la capacità di soffrire caratteristica
dell’Eroe.
Poppanti
a vita si fermano all’archetipo del “Puer” senza evolvere mai in quello del “Guerriero”,
che fa sua la forza e la violenza per piegare il “Fato”.
Le prove a cui si sottopone l’Eroe sono i
passaggi iniziatici che portano alla liberazione della materia pesante di cui è
impastata la natura umana per fare emergere quella divina.
I
deboli, i fragili, le vittime sono destinati a soccombere perché la Natura è
crudele e non fa sconti, solo la Forza può salvare i popoli della vecchia
Europa dalla fine annunciata.
Il
capitalismo terminale vuole maschi deboli da sostituire con genti giovani e
forti da sfruttare come manodopera a basso costo, un unico popolo di soggetti
indistinti e omologati senza identità.
Solo
l’educazione al pericolo ad al coraggio, alla confidenza quotidiana con la
Forza formerà l’élite di coloro che vedranno la nuova Età dell’Oro, per gli
altri la condanna all’estinzione.
“Fino
da piccoli vi insegnano ad avere paura del lupo, poi da grandi scoprite che il
vero pericolo viene dalle pecore”.
(Roberto
Giacomelli, scrittore e saggista)
ARMI,
PETROLIO E GAS:
PERCHE’
LA GUERRA IN
UCRAINA
CONVIENE AGLI USA.
Comedonchisciotte.org - Domenico Moro - Redazione
CDC – (10 Marzo 2023) – ci dice:
La
guerra in Ucraina ha creato difficoltà economiche alla Ue, tra cui la crisi
energetica e l’aumento dei costi di approvvigionamento di gas e petrolio, ma ha
determinato grandi vantaggi per l’economia degli Usa.
Ad
avvantaggiarsi sono due settori molto importanti del sistema produttivo
statunitense: gli armamenti e l’estrazione di gas e petrolio.
Già
nel 1961 il presidente statunitense Dwight Eisenhower aveva messo in guardia
l’opinione pubblica sul “Complesso militare industriale”, che, attraverso
l’integrazione tra” Forze armate e industria”, rappresentava un centro di
influenza importante sulle decisioni politiche degli Usa.
La
forza del Complesso militare industriale si è mantenuta intatta fino a oggi:
l’industria bellica impiega ben 800mila
addetti e,
da sola, la prima impresa bellica del Paese, la Lockheed, riceve più fondi
pubblici del Dipartimento di Stato, che è in pratica il ministero degli esteri
statunitense, e di Usaid,
l’agenzia per lo sviluppo internazionale, messi insieme.
Grazie
alla guerra in Ucraina, il “Complesso militare industriale” sta sperimentando
una crescita esponenziale.
Dei 50
miliardi di dollari in aiuti militari arrivati a Kiev oltre 30 vengono dai soli
Stati Uniti.
I rifornimenti di armi e di munizioni stanno
assottigliando le riserve delle Forze Armate statunitensi, mettendo in
difficoltà, secondo alcuni analisti, la capacità potenziale degli Usa di
combattere, oltre al conflitto in Ucraina, un secondo conflitto in Estremo
Oriente, che potrebbe scaturire dalla contesa con la Cina su Taiwan.
Quindi,
bisogna ricostruire le riserve di armi e munizioni.
Di
conseguenza, le fabbriche di armamenti sono travolte dagli ordini: la sola produzione di proiettili
d’artiglieria è salita del 500%.
Per
questa ragione le principali società attive nella produzione bellica stanno
allargando la loro base produttiva.
Ma ad
aumentare non è solo la produzione: le imprese belliche negli ultimi sei
mesi hanno guadagnato in borsa spesso oltre il 10%.
Le
imprese belliche possono contare anche sull’aumento del budget per la difesa
degli Usa, che con Biden ha continuato a salire, e che raggiungerà nel 2023 gli
858 miliardi di dollari, pari al +10% rispetto al 2022.
Inoltre,
il budget statunitense è varie volte superiore a quello degli altri stati.
Nel
2021, secondo il Sipri,
la Cina aveva un budget militare di 293 miliardi di dollari e la Russia di 65,9
miliardi.
La guerra in Ucraina sta determinando una
nuova corsa agli armamenti che vede coinvolta anche la Ue.
Quest’ultima
sta studiando meccanismi per aumentare le capacità di produzione dell’industria
europea.
In particolare, verrà utilizzato un miliardo
proveniente dal Fondo europeo per la pace (sì proprio da un fondo per la pace!)
per rifondere gli stati europei fino al 50-60% di quanto verrà convogliato in
Ucraina.
L’altro
settore dell’economia Usa, oltre a quello degli armamenti, a beneficiare della
guerra è quello dell’estrazione mineraria.
Gli
Usa dallo scoppio della guerra si sono rafforzati come super-potenza del gas e
del petrolio non solo diventando il primo produttore mondiale ma anche, a
livello geostrategico, diventando il fornitore privilegiato dell’Ue.
Dagli
Usa l’Ue non ha mai ricevuto tanto gas, ma ora anche il petrolio arriva in
quantità record, da quando la Ue ha deciso l’embargo petrolifero contro la
Russia.
Verso
la fine di febbraio l’export di greggio Usa ha raggiunto circa 5 milioni di
barili al giorno (mbg), a fronte di una media di 3,6 mbg nel 2022.
Da marzo in avanti l’Europa è diventata, per
gli Usa, il primo mercato con 1,6 mbg.
Allo
stesso tempo gli Usa sono diventati il primo produttore mondiale di greggio con
11,9 mbg, superando l’Arabia Saudita (10,6 mbg) e la Russia (10,7 mbg).
Inoltre, il petrolio statunitense entrerà nel
paniere del
“Brent” (benchmark
un tempo riferito al petrolio del Mare del Nord), acquistando un’influenza ancora più
forte sulla formazione dei prezzi dell’energia a livello internazionale.
Per
quanto riguarda le esportazioni di gas liquefatto (Gnl), gli Usa hanno superato
Qatar e Australia.
Anche per il gas l’Europa è diventata la prima
destinazione dell’export statunitense, che ha soddisfatto la metà delle
importazioni europee di gas liquefatto, crescendo del 60% e sfiorando i 140 miliardi di metri
cubi una volta che il gas è stato rigassificato, vale a dire una quantità
simile a quella che un tempo arrivava dalla Russia via gasdotto.
Le
forniture di gas e petrolio statunitensi sono, però, molto più costose di
quelle russe, anche per le difficoltà tecniche e logistiche dovute alla
distanza che incide molto sul prezzo del Gnl, visto che il combustibile viene
prima liquefatto, poi trasportato via nave e infine rigassificato tramite
impianti che richiedono grandi investimenti.
Di
conseguenza i costi sono notevolmente maggiori di qualsiasi fornitura che
arrivi mediante gasdotti già esistenti e quindi già ammortizzati.
Ma il
problema non è rappresentato solo dai costi più alti.
La
dipendenza dal Gnl, aumenta la dipendenza della Ue dagli Usa.
Il Gnl diventa parte dell’arsenale di armi non
letali a disposizione della Nato.
Inoltre,
il trasporto via mare del Gnl aumenta la dipendenza dal commercio marittimo e
dalla sicurezza delle rotte di rifornimento, che viene garantita dalla Marina
militare statunitense, che è la più potente del mondo con le sue
super-portaerei nucleari.
Sul
piano dell’energia, gli Usa tendono a stabilizzare il rapporto con l’Europa,
stipulando contratti di fornitura pluriennali. In questo modo le compagnie
energetiche statunitensi mirano a cavalcare l’onda lunga di crescita
dell’export del petrolio e soprattutto del gas.
In
sintesi, la guerra in Ucraina danneggia i Paesi europei, in particolare
l’Italia, che ha registrato, a causa dell’aumento del costo delle importazioni
di petrolio e soprattutto di gas, il primo deficit dell’interscambio
commerciale con l’estero da dieci anni a questa parte.
Ancora
più grave è la dipendenza geostrategica dagli Usa, diventati i principali
fornitori di materie prime energetiche dell’Europa.
Al contrario, la guerra in Ucraina corrisponde,
oltre che agli interessi geostrategici degli Usa, anche agli interessi
economici del loro apparato produttivo, di cui il complesso militare
industriale e le estrazioni minerarie rappresentano parti importanti.
Per
queste ragioni gli Usa non hanno interesse a incoraggiare un processo di
negoziazione tra le parti in guerra che conduca alla fine delle ostilità.
(Domenico
Moro)
LE
QUATTRO ETÀ DELL’UOMO.
Comedonchisciotte.org
- Redazione CDC – (07 Marzo 2023) - Marcello Veneziani – ci dice:
La
vita dell’uomo, come quella del mondo, è scandita da quattro stagioni a cui
corrispondono altrettante vocazioni.
Da
bambino l’uomo è filosofo, e a dirlo sorprende, pensando che la saggezza si
acquisisca con gli anni, come stigmate dell’esperienza.
Ma se
la filosofia nasce dalla meraviglia per il cosmo e la vita, per l’essere e il
morire, allora lo stupore infantile è alle fonti della filosofia.
Il filosofo risale all’infanzia del cosmo,
coglie la verità del mondo al suo atto sorgivo.
E
accoglie con meraviglia le manifestazioni della vita.
Lo
diceva del resto anche il grande Aristotele:
la
filosofia sorge dallo stupore, la sorpresa di essere al mondo.
Dopo
la primavera del bambino filosofo viene l’estate del ragazzo poeta.
L’età che parte dall’adolescenza e attraversa
la giovinezza è l’età poetica per eccellenza.
Lo stupore muta in emozione, a volte in
commozione, nasce il desiderio non solo di conoscere ma di abbracciare il
mondo, e questo è propriamente l’impulso di amore che domina la giovinezza.
Il
poeta è colui che fa, come insegnano i nostri maestri greci;
il
giovane crede di poter modificare poeticamente il mondo, di poter realizzare i
sogni e di poter conquistare la vita e fecondare la sorte.
Le energie eccedono, traboccano dal proprio corpo e si
uniscono al mondo per renderlo gravido di sé.
Poi
viene l’autunno della maturità, la perdita dell’incanto secondo taluni, la conquista della
realtà e dei suoi limiti, secondo altri.
L’albero della vita si spoglia delle sue
foglie e appare nella sua nudità.
Qui
diventa centrale l’opera, il lavoro, la famiglia, la comunità, la città,
l’edificazione e il mantenimento.
L’uomo
adulto è concittadino; la sua dimensione preminente è dunque la politica, la
necessità principale è governare la vita, dalla famiglia alla città.
Ma col
passare degli anni e con il sopraggiungere dell’età grave, ritornano le domande
dell’infanzia e ritorna la poesia, non più legata all’azione ma alla
contemplazione.
E la
precarietà della vita, la perdita di chi ti è caro con le sue cerimonie
d’addio, la morte davanti, ti induce a pensare alla tragica sorte di chi vive
sull’orlo dell’infinito conoscendo la sua finitezza e si dispone alla morte,
aspirando all’immortalità.
In quella quarta e finale stagione invernale
l’uomo è religioso.
La
senilità gli ha profuso con l’esperienza e la prossimità della morte l’aura
ieratica e la vanità delle cose mondane.
Così
l’uomo diventa profeta.
Ecco
le quattro stagioni della vita: ciascuna di esse ha una sua propria bellezza,
un suo fascino ed una sua piena ragione di esprimersi.
A
nessuna di esse possiamo rinunciare, perché l’uomo coincide con le sue quattro
stagioni, la sua umanità è raccolta in quei quattro stati che si richiamano e
si sostengono a vicenda.
Il bambino filosofo può dirsi la primavera
dell’uomo nel fiorito risveglio del mondo, il ragazzo poeta esprime invece la
pienezza calda e fruttuosa dell’estate;
il cives maturo coglie l’autunno della vita in
cui la luce si ritira ma si raccoglie e si vendemmia;
e la
vecchiaia è infine il raccogliersi religioso intorno al focolare divino per
scaldarsi dal frigido inverno.
(Lucilio
a Seneca, in Vivere non basta, Mondadori, 2011)
(Marcello
Veneziani, giornalista e scrittore)
In un
mondo multipolare,
l'idea
di un nuovo ordine
mondiale
muore.
Globalresearch.ca
- Timothy Alexander Guzman – (09 marzo 2023) – ci dice:
Quando
l'ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush e il suo regime neocon hanno
lanciato la loro campagna antiterrorismo dopo l'11 settembreesimo "Ogni nazione, in ogni regione, ha ora
una decisione da prendere. O sei con noi, o sei con i terroristi".
Le
minacce occidentali contro il Sud del mondo continuano ancora oggi.
Nella
recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco 2023, il ministro degli Esteri
tedesco Annalena Baerbock ha affermato che:
"La
neutralità non è un'opzione, perché allora sei dalla parte
dell'aggressore", ha continuato, "e questo è un appello che daremo
anche la prossima settimana di nuovo al mondo: per favore prendi una parte, una
parte per la pace, una parte per l'Ucraina, una parte per il diritto
internazionale umanitario, e in questi tempi questo significa anche fornire
munizioni in modo che l'Ucraina possa difendersi".
La
maggior parte del mondo non è d'accordo con i leader occidentali sul fatto che
la Russia sia l'aggressore in questo conflitto.
L'obiettivo dell'Ucraina è quello di diventare
un membro della NATO, il che sarebbe una minaccia per le preoccupazioni di
sicurezza della Russia proprio ai suoi confini.
Come
dimostra la storia, è stata l'Ucraina a bombardare la regione del Donbass per
più di 8 anni, che comprende le aree di Donetsk e Luhansk uccidendo più di
8.000 persone con l'aiuto delle forze USA-NATO il cui unico scopo è distruggere
la Russia.
Questo
è il lavoro delle potenze occidentali che non vogliono altro che contenere
l'ascesa della Russia come attore principale sulla scena mondiale.
Non
solo la Russia è stata vittima dell'aggressione occidentale, molti paesi del
Sud del mondo hanno anche assistito a guerre senza fine, colpi di stato e
operazioni di cambio di regime con rivoluzioni colorate sostenute dall'Occidente
dalla fine della seconda guerra mondiale.
Da
quando è iniziata la guerra in Ucraina, è solo ora che i media mainstream
stanno iniziando a prendere atto che il Sud del mondo sta iniziando a
ribellarsi contro le potenze occidentali su molti livelli, almeno secondo
France24.com, "La guerra in Ucraina espone le divisioni tra Nord e Sud del
mondo" riflette sulla situazione attuale che
"Un abisso tettonico sembra aver
diviso il Nord globale dal Sud globale”.
Di
fronte al tipo di aggressione e all'espansionismo territoriale che l'ordine
mondiale del dopoguerra è stato progettato per evitare, l'alleanza occidentale,
chiamata anche “Nord globale”, ha superato la concorrenza e le rivalità per
mantenere l'unità.
L'Occidente
ha sconfitto la loro "competizione e rivalità" bombardando paesi
all'età della pietra come hanno fatto con l'Iraq e la Libia.
È noto che Saddam Hussein e Muammar Gheddafi
volevano cambiare rotta nel modo in cui i loro paesi conducevano affari con il
resto del mondo abbandonando l'uso del dollaro USA a favore di altre valute.
Nel
caso dell'Iraq, gli Stati Uniti e i loro partner alleati stavano anche facendo
un favore a Israele distruggendo un avversario.
Quindi,
un cambiamento ha avuto luogo con "più di 70 anni dopo la fine della
seconda guerra mondiale, diversi paesi di Asia, Africa, Medio Oriente e Sud
America che stavano "emergendo" per decenni sono essenzialmente
emersi sulla scena mondiale" formando quello che ora è noto come il "Sud globale".
La
guerra in Ucraina ha cambiato tutto per la folle visione dei globalisti per
l'umanità,
ora accusano la Russia di essere l'aggressore per aver ampliato la sua impronta
in Ucraina, ma ignorando la campagna di bombardamenti di 8 anni nella regione
del Donbas da parte delle forze ucraine con l'assistenza della NATO.
Gli Stati Uniti e nella maggior parte dei casi i loro
alleati della NATO hanno "evitato" le loro guerre
"aggressive" contro il Vietnam, l'Iraq o la Libia?
Per
quanto riguarda l'"espansione territoriale", gli Stati Uniti, la
Francia e le altre potenze occidentali non hanno ancora colonie in tutto il
mondo?
Gli Stati Uniti occupano illegalmente anche la Siria
settentrionale e l'Iraq con basi militari, e questa è una forma di espansione
territoriale.
Newsweek
ha pubblicato un interessante articolo di opinione di Michael Gfoeller e David H. Rundell,
"Quasi il 90% del mondo non ci segue
sull'Ucraina. Opinione' dice che c'è un crescente sentimento anti-occidentale
nel Sud del mondo.
Le
alleanze che sono state create in parte per contrastare l'influenza economica e
politica occidentale si stanno espandendo.
Egitto,
Arabia Saudita e Turchia hanno annunciato il loro interesse ad aderire ai BRICS
(Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa).
L'Organizzazione
cooperativa di Shanghai attualmente collega Cina, Russia, India e Pakistan, tra
gli altri.
L'Iran
prevede di aderire questo mese, mentre Bahrein, Egitto, Arabia Saudita e Qatar
diventeranno probabilmente "partner di dialogo" o membri candidati.
Inoltre,
l'ambiziosa “Belt and Road Initiative cinese” sta legando molte nazioni
africane a Pechino con cordoni commerciali e debito.
La
Russia sta anche raggiungendo il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, che
recentemente si è rivolto ai suoi 22 omologhi della Lega Araba al Cairo prima
di visitare un certo numero di paesi africani.
Se
questo non è sufficiente per far riflettere l'Occidente, Mosca è di nuovo
all'offensiva in America Latina, rafforzando le sue relazioni militari con
Nicaragua, Venezuela e Cuba.
Le due potenze di quella regione, Brasile e Messico,
hanno rifiutato esplicitamente di sostenere le sanzioni occidentali contro la
Russia.
Gfoeller
e Rundell ammettono
su una rivista di notizie dei media mainstream che i dollari sono strumenti di
guerra economica dall'imposizione di sanzioni paralizzanti ai sequestri di beni
ai paesi che non seguono gli ordini di Washington, ma è solo un pezzo di opinione,
ovviamente non un articolo che farà notizia in prima pagina.
Lo
status di valuta di riserva del dollaro rimane un pilastro dell'ordine
economico globale, ma la fiducia in quell'ordine è stata danneggiata.
Le
sanzioni economiche hanno armato parti dei settori bancari e assicurativi
internazionali, incluso il sistema di trasferimento di fondi SWIFT.
I beni
sono stati sequestrati e i contratti sulle materie prime annullati.
Le
richieste di de-dollarizzazione sono diventate più forti.
Quando
la Russia ha richiesto pagamenti energetici in rubli, yuan o dirham degli
Emirati Arabi Uniti, Cina e India hanno rispettato.
Queste
preoccupazioni stanno generando un considerevole sentimento anti-occidentale in
gran parte del Sud del mondo.
Mentre una Russia dotata di armi nucleari non
mostra alcuna volontà di porre fine a una guerra, i suoi leader non possono
permettersi di perdere;
l'Occidente sta rapidamente perdendo il resto e
minando così l'”ordine internazionale basato sulle regole” che ha cercato di
creare.
La nostra soluzione più promettente a questo dilemma
sarà probabilmente una sorta di compromesso diplomatico.
Sì, è
vero che le dinamiche dell'ordine mondiale sono cambiate radicalmente dal
giorno in cui il presidente degli Stati Uniti George H.W. Bush (il cui padre
Prescott Bush, fondatore della Union Banking Corporation, una banca
d'investimento che aveva legami con un uomo d'affari tedesco, Fritz Thyssen che sosteneva i nazisti) ha tenuto un discorso
sull'invasione dell'Iraq il 16 gennaio, 1991.
Ecco una parte di ciò che ha detto:
Questo
è un momento storico. In quest'ultimo anno abbiamo compiuto grandi progressi
nel porre fine alla lunga era di conflitti e guerre fredde. Abbiamo davanti a noi l'opportunità
di forgiare per noi stessi e per le generazioni future un nuovo ordine
mondiale, un mondo in cui lo stato di diritto, non la legge della giungla,
governa la condotta delle nazioni.
Quando avremo successo – e lo saremo – avremo una
reale possibilità di questo nuovo ordine mondiale, un ordine in cui le Nazioni
Unite credibili possano usare il loro ruolo di mantenimento della pace per
adempiere alla promessa e alla visione dei fondatori delle Nazioni Unite.
Avevano
superato la prova allora, oggi, è una storia diversa, il mondo è stanco
dell'ipocrisia occidentale, delle sue continue guerre e colpi di stato sostenuti
dalla CIA contro i loro governi che non sempre sono d'accordo con le loro
prescrizioni per la democrazia.
Tuttavia,
l'idea di un nuovo ordine mondiale non è iniziata con Bush padre, è iniziata
dopo la creazione della “Società delle Nazioni” dopo la prima guerra mondiale,
quando il
presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson ha chiesto un nuovo ordine mondiale
per migliorare la sicurezza globale e la democrazia.
Ma
l'idea di formare un nuovo ordine mondiale o un impero globalista per “imporre
un ordine basato sulle regole “dovrebbe essere una conclusione scontata, non
funzionano e sono distruttivi.
Le strutture di potere globaliste o gli imperi alla
fine si distruggono dall'interno, quindi, ne vale la pena per il regime al
potere?
Alcune
persone direbbero anche che la Russia e la Cina vogliono governare il mondo.
Non lo fanno, sanno che gestire un impero è
immorale, estremamente costoso e incredibilmente ridicolo governare un mondo
pieno di idee, culture, etnie e lingue diverse.
Sanno
che la diplomazia, il rispetto e il commercio sono un'opzione migliore per il bene
dell'umanità.
Ora,
significa che in un mondo multipolare, le guerre future saranno evitate?
Non
necessariamente, ma almeno vale la pena provare, dato che gli Stati Uniti e i
loro alleati occidentali non hanno creato altro che guerre e caos dalla fine
della seconda guerra mondiale e ora siamo a un punto in cui questo sistema
basato sull'ordine
mondiale sta
per scatenare una guerra devastante che coinvolge armi nucleari.
Dalla
seconda guerra mondiale, sono stati gli Stati Uniti in prima linea a costruire
un ordine mondiale basato sulle sue proiezioni egemoniche per controllare ogni
nazione sulla terra.
Il Ministero degli Affari Esteri cinese ha deciso di
togliersi i guanti e pubblicare "L'egemonia degli Stati Uniti e i suoi
pericoli" che espone come gli Stati Uniti hanno usato il loro status di
superpotenza, compresa la sua macchina economica, finanziaria, politica e
militare per creare il loro "copione egemonico.
Gli
Stati Uniti hanno sviluppato un copione egemonico per mettere in scena "rivoluzioni colorate", istigare dispute regionali e
persino lanciare direttamente guerre con il pretesto di promuovere la
democrazia, la libertà e i diritti umani.
Aggrappati
alla mentalità della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno intensificato la
politica dei blocchi e alimentato conflitti e scontri.
Ha
sovraccaricato il concetto di sicurezza nazionale, abusato dei controlli sulle
esportazioni e imposto sanzioni unilaterali ad altri. Ha adottato un approccio selettivo
al diritto e alle regole internazionali, utilizzandole o scartandole come
meglio crede, e ha cercato di imporre regole che servono i propri interessi in nome del
mantenimento di un "ordine internazionale basato sulle regole".
L'unico
grafico che spiega tutto. Contenere la Cina. "L'umanità coinvolta in una terza
guerra mondiale"
Questo
rapporto, presentando i fatti rilevanti, cerca di esporre l'abuso dell'egemonia
degli Stati Uniti nei campi politico, militare, economico, finanziario,
tecnologico e culturale, e di attirare una maggiore attenzione internazionale
sui pericoli delle pratiche statunitensi per la pace e la stabilità del mondo e
il benessere di tutti i popoli.
La
Cina non sta cercando di diventare il prossimo impero, poiché i media
mainstream stanno mettendo in guardia soprattutto su FOX News e altri.
Nel
2018, il dottor Chandra Muzaffar, uno scienziato politico e attivista malese, ha scritto
"Cina,
una nuova potenza imperiale?" ha chiesto nella sua introduzione "La Cina è una nuova potenza imperiale
che minaccia alcune delle economie in via di sviluppo in Asia e Africa?"
Ha
detto che "questa è una percezione che viene promossa attraverso i media
da alcuni osservatori cinesi nelle università e nei think-tank principalmente
in Occidente, vari politici e da un segmento della comunità globale delle
ONG".
Una
delle bandiere rosse per le reti mediatiche statunitensi ed europee era che la
Cina stava offrendo prestiti impagabili ai paesi poveri in quella che era ed è
ancora considerata una "trappola del debito", almeno ai falchi della
guerra cinese a Washington.
Il Dr.
Muzaffar spiega perché l'Occidente si sbaglia sulla trappola del debito cinese
riguardante uno dei paesi che hanno accettato un prestito e cioè il Pakistan.
Il
Pakistan ha ottenuto prestiti dalla Cina per progetti nell'ambito del corridoio
economico Cina-Pakistan (CPEC).
Il
CPEC da 50 miliardi di dollari degli Stati Uniti è una rete di progetti
infrastrutturali attualmente in costruzione in tutto il Pakistan che collegherà
la provincia cinese dello Xinjiang con il porto di Gwadar nella provincia
pakistana del Belucistan.
Alcuni
di questi progetti rafforzeranno il settore energetico pakistano, vitale per la
sua crescita economica.
Contribuiranno a ridurre il suo grave deficit
commerciale.
Il servizio del debito dei prestiti CPEC che
inizieranno solo quest'anno ammonta a meno di 80 milioni.
I
maggiori creditori del Pakistan non sono la Cina, ma i paesi occidentali e i
prestatori multilaterali guidati dal FMI e dalle banche commerciali
internazionali.
Il suo
debito estero "dovrebbe superare i 95 miliardi quest'anno e si prevede che
il servizio del debito raggiungerà i 31 miliardi entro il 2022-2023".
Ci sono prove che dimostrano che i suoi creditori
"si sono attivamente intromessi nelle politiche fiscali del Pakistan e
nella sua sovranità attraverso programmi di rinegoziazione del debito e le
condizionalità collegate ai prestiti del FMI".
Dice
anche che la maggior parte del debito a lungo termine dell'Africa è stata
gestita dal Fondo monetario internazionale (FMI) e dalla Banca mondiale, ma
afferma che "molti stati africani hanno debito cinese.
Questo
di per sé non è un problema, a condizione che i prestiti siano utilizzati per
il bene pubblico.
A
questo proposito, il finanziamento delle infrastrutture nell'ambito della “Belt
and Road Initiative” (BRI) – costruzione di porti, ferrovie e cavi in fibra
ottica – sembra
essere una componente importante del coinvolgimento della Cina in Africa.
Gibuti
aveva escluso 1,4 miliardi dalla Cina che hanno permesso alla Cina di costruire
la sua prima base militare.
Burocrati
occidentali e funzionari militari hanno affermato che la Cina sta espandendo il
suo impero in Africa secondo un rapporto dell'Istituto navale degli Stati Uniti
(USNI) su ciò che il comandante dell'esercito africano degli Stati Uniti,
generale Stephen Townsend, ha detto al Comitato dei servizi armati della Camera
nell'aprile 2021 "che l'Esercito popolare di liberazione stava espandendo
la sua installazione navale esistente adiacente a un porto commerciale in acque
profonde di proprietà cinese e anche cercando altre opzioni di base militare
altrove il continente" e che "La loro prima base militare all'estero,
la loro unica, è in Africa, e l'hanno appena ampliata aggiungendo un molo
significativo che può persino supportare le loro portaerei in futuro.
In tutto il continente sono alla ricerca di
altre opportunità di base". I
l Dr.
Muzaffar ci ricorda che "Va notato allo stesso tempo che Gibuti ospita anche la più
grande base militare statunitense in Africa"
Tuttavia,
sostiene anche che l'ascesa della Cina è di natura economica mentre l'Occidente
continua la sua agenda neocoloniale
Gibuti
a parte, le imprese cinesi in Africa sono state quasi totalmente economiche.
Il
quid pro quo per i cinesi è vero che è stato l'accesso alle ricche risorse
naturali del continente.
Ma è
sempre accesso, mai controllo.
Il
controllo sulle risorse naturali delle nazioni che colonizzarono fu la forza
trainante dietro 19esimo secolo colonialismo occidentale.
Il
controllo attraverso governi flessibili e, in casi estremi, attraverso il
cambio di regime continua ad essere un fattore chiave nella ricerca
dell'egemonia dell'Occidente – specialmente degli Stati Uniti – sull'Africa e
sul resto del mondo contemporaneo.
È
perché l'ascesa pacifica della Cina come attore globale sfida quell'egemonia
che i centri di potere in Occidente stanno facendo di tutto per denigrare e
demonizzare la Cina.
Etichettare
la Cina come una nuova potenza imperiale o coloniale fa parte di quella feroce
propaganda contro una nazione, anzi una civiltà che ha già iniziato a cambiare
l'equilibrio di potere globale.
È un
cambiamento – verso una distribuzione più equa del potere – che è
nell'interesse più ampio dell'umanità.
Per
questo motivo, i popoli del mondo dovrebbero impegnarsi con tutto il cuore per
il cambiamento che sta abbracciando tutti noi.
La
Cina capisce di cosa sono capaci gli imperi invasori da quando sono stati
invasi dalle forze imperiali giapponesi durante la seconda guerra mondiale, che
è stata un'occupazione orribile che ha portato alle innumerevoli morti e alla
distruzione della società cinese.
Anche
i sovietici vissero gli orrori delle forze d'invasione di Hitler. Mantenere un impero è immorale e
costoso, quindi potenze emergenti come Cina, Russia o India non sono
interessate a controllare e occupare paesi sovrani per il loro guadagno
politico o economico.
Un
mondo multipolare è inevitabile mentre il voto delle Nazioni Unite per condannare
l'invasione della Russia fallisce.
Le
nazioni occidentali e i loro alleati, tra cui Stati Uniti, Unione Europea,
Canada, Australia, Regno Unito, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e altri governi
fantoccio, rappresentano più di 1 miliardo di persone che sono state tenute
insieme sotto un ordine mondiale unipolare basato su regole, poiché per il Sud
del mondo, rappresenta oltre 6 miliardi di persone.
Per
quanto riguarda la guerra in Ucraina, molti paesi che fanno parte del Sud del
mondo si sono astenuti dal votare per un'Assemblea generale delle Nazioni Unite
il 2 marzo, 2022, per condannare l'invasione della Russia, compresi 17 paesi
africani.
I
"17 paesi africani dell'Africa orientale si astengono dal voto delle
Nazioni Unite per condannare l'invasione della Russia" hanno affermato che
più di 35 paesi hanno deciso di astenersi dal voto per condannare l'invasione
russa dell'Ucraina.
"Circa
35 paesi si sono astenuti dal voto, tra cui Russia e Cina, e stati africani –
Burundi, Senegal, Sud Sudan, Sud Africa, Uganda, Mali e Mozambico".
Anche Algeria, Bolivia, Cuba, Iran, Iraq,
Laos, Mozambico, Nicaragua, Pakistan, Sud Africa e Vietnam L'astensione
dimostra che la marea si sta rivoltando contro l'Occidente.
Coloro
che hanno votato contro la risoluzione sono stati Bielorussia, Eritrea, Corea
del Nord e Siria.
I
tempi stanno davvero cambiando.
La
sezione europea del “Carnegie Endowment for International Peace” o “Carnegieeurope.eu
“ha pubblicato un articolo del Senior fellow “Stefan Lehne
"Dopo
la guerra della Russia contro l'Ucraina: che tipo di ordine mondiale?" ha iniziato il suo pezzo con il capo
degli affari esteri dell'Unione europea, Josep Borrell e i suoi commenti sulla
differenza tra l'Europa e il resto del mondo o come Borrell ha chiamato la
"giungla" ha guadagnato proteste ed è stato criticato per questo.
Borrel
ha detto che "la migliore combinazione di libertà politica, prosperità
economica e coesione sociale che l'umanità è stata in grado di costruire"
mentre paragonava l'Europa al Sud del mondo dicendo che "la maggior parte del mondo è una
giungla e la giungla potrebbe invadere il giardino".
Lehne
ha cercato di giustificare i commenti di Borrell dicendo che "questo era
probabilmente un riferimento al libro di Robert Kagan del 2018, The Jungle
Grows Back: America and Our Imperiled World".
Lehne
ha detto che il libro di Kagan "equivale a un duro avvertimento sulle
conseguenze di un ritiro degli Stati Uniti dalle sue responsabilità globali.
Kagan
scrive che senza una determinata leadership americana, le nazioni tornerebbero
ai modelli tradizionali di comportamento e il mondo ricadrebbe nel disordine,
nell'oscurità e nel caos.
Quindi,
secondo l'establishment europeo ed evidentemente “Robert Kagan”, che è il
marito di “Victoria Nuland “che ha sostenuto il colpo di stato in Ucraina nel
2014, solo
l'Europa e gli Stati Uniti possono guidare la popolazione globale verso un
futuro giusto e prospero, anche se sono responsabili di molti dei problemi che
il mondo affronta oggi.
Il
fatto è che le potenze occidentali sostengono e talvolta partecipano a guerre
continue, mantengono possedimenti coloniali, impongono sanzioni economiche e
politiche contro coloro che non hanno seguito gli ordini di offrire alle
nazioni povere prestiti da istituzioni globaliste come la Banca Mondiale o il
FMI che non possono mai essere ripagati per organizzare cambi di regime e colpi
di stato contro governi che non gli piacciono.
Questo
non vuol dire che ci siano una manciata di paesi nel Sud del mondo che
tradiranno il loro popolo per guadagno politico o economico che si uniranno
all'Occidente se si presenterà l'opportunità, come il presidente brasiliano,
Lula Da Silva.
Nel
complesso, è l'Occidente che ha creato la maggior parte del disordine,
dell'oscurità e del caos in tutto il mondo.
Per
quanto riguarda la Russia, Lehne dice che "la Russia si è trasformata in una
potenza revisionista aggressiva".
Ma
omette di menzionare che le azioni delle forze USA-NATO politicamente e
militarmente hanno causato l'aggressività della Russia.
"Come
dimostrato dalla guerra della Russia in Georgia nel 2008, dalla sua annessione
della Crimea e dall'intervento nel Donbas nel 2014 e dalla sua invasione
dell'Ucraina nel 2022, la leadership di Mosca è determinata a invertire alcune
delle perdite degli anni 1990, aumentare il territorio della Russia e stabilire
solide zone di influenza".
Quindi
ora la Russia vuole espandere il suo territorio?
Quindi, dopo, l'Ucraina i russi invaderanno la
Polonia, la Finlandia, forse l'Italia, forse la Spagna?
Non
sono d'accordo con la conclusione di Lehne che "la globalizzazione ha
rallentato ma non sarà completamente invertita".
Il Sud del mondo sta già invertendo la morsa
delle potenze occidentali su molti livelli.
Un
buon esempio è ciò che sta accadendo nel paese africano del “Burkina Faso “mentre
il governo ha chiesto che le truppe francesi si ritirino dal paese durante le
crescenti tensioni tra i due governi secondo un africanews.com in un recente
articolo "Il Burkina Faso conferma la richiesta alla Francia di ritirare
le truppe" ha riferito che "Il governo del Burkina Faso ha chiarito
lunedì che ha chiesto all'ex sovrano coloniale francese di ritirare le sue
truppe dal paese colpito dall'insurrezione all'interno un mese."
La
Francia ha più di 400 truppe delle forze speciali in quella che viene chiamata
la nazione governata dalla giunta.
Il portavoce Jean-Emmanuel Ouedraogo ha
dichiarato alla Radio-Television du Burkina che "stiamo terminando
l'accordo che consente alle forze francesi di essere in Burkina Faso".
Ha
detto che le relazioni diplomatiche non finiranno nonostante le crescenti
tensioni tra i due governi, ma questo è solo un esempio.
Stepan Lehne ritiene che l'interdipendenza
economica e le comunicazioni internazionali avranno bisogno di istituzioni
occidentali ed è per questo che crede che "l'attuale sistema multilaterale
ereditato dal dopoguerra sopravviverà".
Lehne
vede la realtà che l'ordine mondiale sta diventando irrilevante negli anni a
venire "Ma l'impegno per le sue regole continuerà a diminuire, e la
politica di potere e gli accordi transazionali spesso prevarranno".
L'agenda
USA-NATO: balcanizzare la Russia e poi andare in guerra contro la Cina.
Come
tutti sappiamo, l'alleanza USA-NATO sta conducendo una guerra per procura in
Ucraina per destabilizzare la Russia.
L'obiettivo
finale è balcanizzare la Russia come hanno fatto con l'ex Jugoslavia.
I falchi della guerra di Washington sia democratici
che repubblicani, hanno a lungo sognato di dividere la Russia per impedirle di
diventare una potenza politica ed economica in ascesa sulla scena mondiale.
Zbigniew
Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti del
presidente, Jimmy Carter, professore alla Columbia University e membro del “Council
of Foreign Relations” (CFR) e del “gruppo Bilderberg” ha scritto "The Grand Chessboard: American
Primacy and Its Geostrategic Imperatives" che è stato pubblicato nel 1998 ha
chiaramente affermato che "È imperativo che non emerga nessuno sfidante
eurasiatico, in grado di dominare l'Eurasia e quindi di sfidare anche
l'America".
Per
quanto riguarda l'ascesa della Cina, gli Stati Uniti sono nelle fasi di
pianificazione di una guerra.
Il 28
gennaioesimo, 2023, Reuters ha pubblicato "Il generale a quattro stelle degli
Stati Uniti avverte della guerra con la Cina nel 2025" che "Un generale a quattro stelle
dell'aeronautica statunitense ha detto in un memo che il suo istinto gli ha
detto che gli Stati Uniti avrebbero combattuto la Cina nei prossimi due
anni" Il generale Mike Minihan, che dirige l'Air Mobility Command, ha
detto: "Spero di sbagliarmi", ha continuato "Il mio istinto mi
dice che combatterà nel 2025".
La
linea di fondo è che i burocrati statunitensi ed europei, i banchieri
internazionali, le società, le agenzie di intelligence e il loro complesso
militare-industriale noto come MIC temono tutti un mondo multipolare ed è per
questo che il discorso sulla guerra con la Russia e la Cina è una parte
importante della loro agenda.
Una
dichiarazione congiunta tra Russia e Cina è stata rilasciata il 4
febbraioesimo, ecco parte della dichiarazione:
Le
parti sostengono l'approfondimento del partenariato strategico all'interno dei
BRICS, promuovono la cooperazione ampliata in tre aree principali:
politica
e sicurezza, economia e finanza e scambi umanitari.
In
particolare, Russia e Cina intendono incoraggiare l'interazione nei settori
della salute pubblica, dell'economia digitale, della scienza, dell'innovazione
e della tecnologia, comprese le tecnologie di intelligenza artificiale, nonché
il maggiore coordinamento tra i paesi BRICS sulle piattaforme internazionali.
Le
parti si sforzano di rafforzare ulteriormente il formato BRICS Plus / Outreach
come meccanismo efficace di dialogo con le associazioni di integrazione
regionale e le organizzazioni dei paesi in via di sviluppo e degli Stati con
mercati emergenti.
L'Occidente
teme la coalizione BRICS e il loro potenziale di attirare il resto del Sud del
mondo.
Parlando
del Sud del mondo, un'interessante analisi del “Bennet Institute for Public
Policy”, sponsorizzata dall'Università di Cambridge, intitolata "La guerra in Ucraina allarga il
divario globale negli atteggiamenti pubblici nei confronti di Stati Uniti, Cina
e Russia – rapporto", suggerisce che il Sud del mondo e il loro sostegno
alla Cina, alla Russia o a entrambi sono aumentati in modo significativo.
Tuttavia,
il rapporto identifica anche una zona di società illiberali e antidemocratiche,
che si estende dall'Asia orientale attraverso il Medio Oriente e verso l'Africa
occidentale, caratterizzata dalla tendenza esattamente opposta: popolazioni che
hanno costantemente aumentato il sostegno per la Cina, la Russia o entrambi,
negli ultimi anni.
Tra
gli 1,2 miliardi di persone che abitano le democrazie liberali del mondo, tre
quarti (75%) ora hanno una visione negativa della Cina e l'87% una visione
negativa della Russia, secondo il rapporto, pubblicato oggi dal Centro
universitario per il futuro della democrazia (CFD).
Tuttavia,
tra i 6,3 miliardi che vivono nei restanti 136 paesi del mondo, è vero il
contrario, con il 70% delle persone che si sente positivamente verso la Cina e
il 66% verso la Russia.
L'analisi
include dati significativi sull'opinione pubblica provenienti dalle economie
emergenti e dal Sud del mondo e suggerisce che questo divario non è solo
economico o strategico, ma basato sull'ideologia personale e politica.
L'idea
di un nuovo ordine mondiale è morta?
Il
mondo multipolare sta diventando una realtà per Washington, Bruxelles e il
resto dei loro alleati poiché la loro rilevanza sta iniziando a diminuire nei
prossimi anni, ma Washington e i suoi cagnolini della NATO sono disposti a
lanciare la terza guerra mondiale contro la Russia e la Cina e chiunque
considerino un nemico, anche se ciò significa iniziare una guerra nucleare in
modo che il loro ordine mondiale rimanga rilevante.
L'Occidente
è disposto a rischiare una guerra nucleare per il bene del loro ordine
mondiale, anche se li uccide nel processo?
Nel
caso di una guerra nucleare, dove andranno a correre i burocrati occidentali, i
banchieri, i leader aziendali e le loro famiglie? Patagonia, Argentina? forse
in una delle piccole isole del Pacifico, forse nelle Fiji?
Questi leader occidentali non si preoccupano
dei loro cittadini, sono psicopatici assetati di potere e faranno tutto il
possibile per rimanere al potere, anche se ciò significa che le loro vite
saranno a rischio in caso di una guerra nucleare tra est e ovest.
Si
spera che l'Occidente rinsavisca e cerchi di fare pace con il resto del mondo e
abbandoni la sua idea di globalismo, ma da quello che vediamo nella guerra in
Ucraina e nel loro tintinnio di sciabole con la Cina su Taiwan, non lo faranno.
Il globalista David Rockefeller una volta disse: "Siamo
sull'orlo di una trasformazione globale.
Tutto
ciò di cui abbiamo bisogno è la giusta grande crisi e le Nazioni accetteranno
il Nuovo Ordine Mondiale!"
Beh,
Rockefeller deve rotolarsi nella tomba perché il mondo sta vivendo un diverso
tipo di crisi che sta sfidando il panorama economico, politico e militare che è
stato in atto per secoli.
Ci
saranno problemi e conflitti in un mondo multipolare?
Forse,
tutto è possibile, ma è giusto dire che il mondo ha bisogno di qualcosa di
diverso perché da quello che è successo negli ultimi 500 anni con Gran
Bretagna, Francia, Spagna e Paesi Bassi e secoli dopo, gli Stati Uniti come governanti
globali, hanno solo portato il mondo a guerre infinite e spargimenti di sangue,
quindi è tempo di cambiare.
Ciò di
cui il mondo ha bisogno è un nuovo sistema in cui la diplomazia, il rispetto e
il commercio siano lo stato di diritto piuttosto che guerre, cambi di regime,
sanzioni economiche, interferenze nelle elezioni straniere, guerre biologiche e
omicidi politici.
Un
mondo multipolare ha la possibilità di stabilire un paesaggio equilibrato in
cui nessuna
potenza occidentale può dettare il suo ordine basato su regole alle sue ex
colonie e al resto del pianeta, un nuovo paesaggio in cui anche il pensiero di
una guerra nucleare diventa impensabile, e questo è il tipo di mondo che tutti
vogliamo.
(Timothy Alexander Guzman, collabora
regolarmente con Global Research)
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