FERMARE LE FOLLIE GREEN DEI GLOBALISTI.
FERMARE
LE FOLLIE GREEN DEI GLOBALISTI.
Case
green, il sindaco di Siena:
“Il
Governo fermi questa follia”
Quotidianodelcondominio.it – Redazione – (21
marzo 2023) – ci dice:
(Agenzia
Ansa)
“Siena
rischia conseguenze disastrose dalla folle direttiva europea sulle cosiddette
Case green:
chiediamo al Governo di fare tutto il
possibile per fermare o modificare una scelta che potrebbe svalutare in modo
significativo i valori immobiliari del nostro territorio.
Chiedo
anche ai parlamentari nazionali senesi e toscani di farsi parte attiva per
evitare un danno colossale alle famiglie e alle imprese.
Sulla casa non si scherza”.
Così
il sindaco di Siena Luigi De Mossi, commentando l’approvazione da parte del
Parlamento europeo dell’avvio dell’iter negoziale per la nuova direttiva sulle
prestazioni energetiche degli edifici.
Secondo
il testo approvato dal Parlamento Ue, spiega una nota, gli edifici residenziali
dovrebbero raggiungere almeno la classe di prestazione energetica “E” entro il
2030 e “D” entro il 2033, mentre gli edifici non residenziali e pubblici le
stesse classi entro il 2027 e il 2030.
“Nessuno
ama il territorio, l’ambiente e la qualità della vita più di noi toscani, e
vorrei dire di noi senesi in particolar modo – aggiunge De Mossi.
Qui
non è in discussione una spinta, anche giusta, verso la transizione energetica
e la sostenibilità.
Sono
cose sacrosante.
Ma c’è modo e modo”.
Per De
Mossi “per raggiungere prima gli obiettivi ambientali non si può imporre alle
famiglie, ai condomini, alle imprese un carico spaventoso.
Molte
delle case del nostro territorio sono antiche, o hanno i loro anni.
La loro classificazione energetica è
penalizzante.
Possiamo
imporre ai proprietari di investire decine di migliaia di euro per migliorarne
le prestazioni energetiche in pochi anni?”.
“Per questo – conclude – chiedo ai nostri
rappresentanti nel Parlamento nazionale e in quello europeo, di tutti i
partiti, di dichiarare subito la propria posizione, e di fare tutto il
possibile per fermare o modificare la direttiva.
L’Italia
difenda il diritto alla casa e i bilanci delle famiglie”.
Case
green: costo potenziale di 540 miliardi.
Quotidianodelcondominio.it – Ansa – Redazione
– (14 febbraio 2023) – ci dice:
La
direttiva sulle ‘Case Green’ approvata in via preliminare in Commissione al
Parlamento europeo ha un costo stimato di 540 miliardi in Italia, pari a 20
finanziarie: tali sarebbero i costi – secondo MutuiOnline – perché tutti gli
immobili residenziali raggiungano la classe energetica” E” e quella “D” entro
il 2033.
Con 27
milioni di abitazioni interessate, “entro il 2033 bisognerebbe ristrutturare
7.400 case al giorno”, stima MutuiOnline.
“Le
possibili sanzioni per chi non rispetta le normative verranno lasciate a
discrezione dei singoli governi ma di sicuro si andrà incontro a una perdita
notevole di valore degli immobili che non rientrano in queste classi
energetiche”.
Per
finanziare un simile esborso – ricorda MutuiOnline – è possibile richiedere un
mutuo green, che come tutti i prestiti risente dell’aumento dei tassi
d’interesse da parte della Bce.
Se a gennaio 2022 il costo medio di un mutuo
green a tasso fisso da 140 mila euro a 20 anni per un immobile da 200 mila euro
era dell’1,2%, pari a una rata da 658 euro, oggi per la stessa richiesta si
spenderebbero 821 euro al mese, con un tasso del 3,6%.
(Agenzia
Ansa)
LA
COERENZA DEI “SOCIALISTI” EUROPEI
IN
MEZZO AL GUADO SULLA VIA DELLA SETA.
Nuovogiornalenazionale.com - Silvano Danesi –
(27 Febbraio 2022) - ci dice:
Possiamo
gridare a gran voce tutti gli improperi e le condanne nei confronti di Vladimir
Putin, ma se guardiamo la realtà, che ci viene incontro con tutta la sua
drammaticità, dobbiamo constatare che il presidente russo ha colpito
esattamente mentre l’Occidente è al massimo della sua debolezza, è in mezzo al
guado e dimostra di non sapere nemmeno nuotare.
Dopo
la caduta del Muro di Berlino (1989), come ha pubblicato “Der Spiegel”, i
leader dei maggiori paesi della” Nato” avevano promesso a Mosca che l'”Alleanza
atlantica” non sarebbe avanzata verso Est «neppure di un centimetro».
Promessa
smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi sono passati dall'ex
impero sovietico all'alleanza militare atlantica.
Da qui
le contromosse di Putin:
la
guerra in Georgia, l'occupazione della Crimea, l'appoggio ai separatisti del
Donbass, lo schieramento di oltre centomila soldati al confine ucraino e, ora,
l’occupazione manu militari dell’Ucraina.
Per
capire il baratro nel quale siamo precipitati non è sufficiente alzare alte
grida di condanna della guerra, ma cercare di capire cosa ci sia alla base
delle scelte drammatiche di Putin e quanto siano state frutto di una
politica ideologica, che ha alla base l’ideologia dei “Dem Usa”, condivisa dai
mondialisti del “Gop”, di esportare la democrazia, con i risultati che vediamo e che
abbiamo visto recentemente in Afghanistan.
L’idea
di un Nuovo Ordine Mondiale risale a George H.W. Bush, con l’avvio del
globalismo caro alla finanza e con l’idea di fare della Cina la fabbrica del
mondo, comprimendo diritti e welfare nell’Occidente, soprattutto nell’Occidente
europeo.
Poi è
arrivato Bill Clinton, con annessa moglie, che ha aperto il Wto alla Cina.
George
Bush junior ha devastato il Medio Oriente e Barack Obama, con Hillary Clinton,
ha favorito le primavere arabe, devastando il Magreb.
In
questo quadro, i socialisti europei (e non solo) hanno venduto il welfare e
l’anima alla finanza internazionale e alla politica Usa dei Bush, dei Clinton e
degli Obama e hanno favorito due delle più evidenti falle nel sistema europeo:
la politica cinese della Merkel, con la
conseguente distruzione progressiva di diritti e di welfare e la svolta green
della Germania, che ha reso impotente energeticamente l’Europa, rendendola
quasi totalmente dipendente dalla Russia.
L’idea
di allargare Nato e Unione Europea all’Ucraina ha dato il destro a Putin,
proprio nel momento di maggiore confusione dell’Unione Europea e di maggiore
dipendenza, di cogliere il vecchio continente in mezzo al guado e di fare i
conti con un’America che ha un presidente in calo vertiginoso di consensi e
prossimo ad essere ingessato dalle elezioni di medio termine.
La
vicenda dell’Afghanistan, con la fuga precipitosa di Biden e il finanziamento
dei talebani, è stato ed è un altro elemento del quale tenere conto.
I talebani hanno tentato di destabilizzare
poche settimane fa il Kazakistan, con una rivoluzione arancione simile a quella
dell’Ucraina del 2004 e poi del 2014.
Ora,
del tutto in mezzo al guado, l’Europa cinguetta e tentenna, al di là delle
frasi roboanti, perché si dimostra impotente energeticamente, grazie alle scelte ideologiche del
green e a anni di politiche di delocalizzazione nella fabbrica del mondo.
I
socialisti, che avrebbero dovuto essere un argine nei confronti
dell’impoverimento del welfare, sono stati proni alle politiche della finanza
internazionale, alle logiche dei vari Soros, alla ideologia green, che poco ha
a che fare con l’ecologia e molto con i certificati verdi.
Ed
eccoci giunti alla farsa.
Dopo
aver impaurito Putin con un cinguettio, dove diceva che i russi non avrebbero
più fatto compere a Milano e feste a Saint Tropez, il socialista spagnolo Borrell,
Alto commissario europeo, chiede ai cinesi di usare la loro influenza per
salvare la sovranità territoriale ucraina.
Il New York Times rivela che per ben sei volte
l’amministrazione di Joe Biden ha supplicato la Cina di bloccare Putin.
In
buona sostanza, per bloccare un dittatore, l’Occidente impotente chiede
supplice l’intervento di un altro dittatore.
Ovviamente la Cina ha fatto sapere che sta
dalla parte di Putin.
L’aspetto
sconcertante di tutta la vicenda è che la politica dei “Dem americani”, da
sempre guerrafondaia e incapace di guardare al mondo con le lenti della realpolitik,
dopo aver demotivato l’Occidente con la “cancel culture”, gli “Antifa”, i
“Black Lives Matter” e tutte le amenità oicofobiche delle élite debosciate del
pensiero unico politicamente corretto, supplica Xi Jinping di salvare
l’integrità ucraina dopo aver spinto il governo ucraino a chiedere l’adesione
alla Nato.
L’aspetto
sconcertante della vicenda europea è che dopo anni di sudditanza dell’Unione
Europea ai disegni della Germania, che ha stabilito legami stretti con la Cina
per le sue convenienze, conculcando il welfare e i diritti civili, proprio
mentre la Germania filo cinese si allinea ad Occidente, Borrel chiama la Cina a
mediare.
L’aspetto
sconcertante di questa vicenda è che i capi di Stato, compreso il nostro, dopo
essersi inginocchiati davanti ad una ragazzina affermando la loro svolta green,
con smantellamento di centrali nucleari e a carbone, ora si accorgano che sono
alla canna del gas, impotenti e brancolino nella loro nullità per aver dato
ascolto alle follie ecologiste giocate in chiave ideologica.
La
follia dei Dem americani ci ha regalato le primavere arabe e il caos in Libia, che
abbiamo favorito da utili idioti.
Ora
dalla Libia petrolio e gas arrivano se lo vogliono russi e turchi.
Non
avendo rigassificatori ci sogniamo il gas americano in arrivo con le navi.
Il “Tap”,
osteggiato dai grillini, dipende comunque da un paese amico della Russia.
Abbiamo
gas in abbondanza nell’Adriatico, ma abbiamo dato ascolto a chi voleva chiudere
le trivellazioni e i pozzi e siamo “grillinamente” cornuti e mazziati.
Abbiamo
detto no al nucleare e importiamo elettricità dal nucleare francese.
La
Francia, peraltro, non sta facendo figure migliori. Abbandonando il Mali lascia
campo libero a russi e cinesi nel Sahel.
In
buona sostanza l’Europa non esiste, è alla canna del gas, grida la sua
impotenza e chiede ai cinesi di fermare Putin.
Per
anni la Merkel ha imbambolato l’Unione Europea e i socialisti di tutte
latitudini e longitudini del vecchio continente si sono abbeverati al pensiero
unico della finanza globalista e ora, acerebrati, chiedono alla Cina, alleata
della Russia, di fermare la Russia per fare gli interessi dell’Europa ridotta
alla canna del gas.
Siamo
oltre il penoso, siamo alla disfatta dell’intelligenza.
La
disfatta dell’intelligenza ha un nome: “swift”.
I
nostri eroi da tastiera, dotatosi di elmetti social, invocano dure sanzioni,
ben sapendo che usare il blocco delle transazioni interbancarie impedirebbe a
chi deve pagare alla Russia le forniture del gas non potrebbe farlo, attivando
ritorsioni facilmente immaginabili, ossia il blocco delle forniture.
Putin
è esecrabile, condannabile, sanzionabile, ecc. ecc.?
Sicuramente sì, ma ancor più esecrabili e
condannabili sono gli attori della politica europea da Maastricht ad oggi, che
hanno messo l’Europa in mutande, cantando Bella Ciao e consegnandoci e Russia e
Cina.
Inutile
piangere sul latte versato.
Ora si
tratta di gestire l’emergenza, riattivando nucleare, carbone, gas
nell’Adriatico e via discorrendo ma, per farlo, la vera emergenza è di chiudere
la fase del socialismo prono alle politiche della finanza globalista e alle
follie green degli inginocchiati ad una ragazzina.
Draghi,
per quanto riguarda l’Italia, dopo aver privato gli italiani della libertà in
omaggio a logiche anti-Covid provenienti dal circolo del “New England” e
attuate dal ministero della Salute, dovrebbe usare l’emergenza per chiudere la
fase del circolino filo cinese che opera costantemente in Italia e provvedere a
rimediare, per quanto possibile, alle follie green, attuando una politica che,
sia pure orientata all’ecologia, sappia coniugare un progetto ecologico con la
realtà e con i tempi che la realtà impone.
Putin
è sicuramente un autocrate deprecabile, ma chi ha posto l’Europa e l’Italia in
mezzo al guado non è il presidente russo, ma chi ha governato l’Europa e
l’Italia negli ultimi decenni.
Perché
per quest’autunno-inverno
si
prospetta un “lockdown energetico”
ed i
rischi per l’Italia.
Fondazionehume.it – (12 Settembre 2022) -
Mario Menichella – ci dice:
“Nei
momenti di pericolo, non esiste peccato più grave dell’inerzia”.
(Dan
Brown)
L’invasione
russa dell’Ucraina ha sconvolto i mercati energetici globali, generando il più
grande aumento dei prezzi del petrolio dagli anni ’70.
Parallelamente,
i prezzi del carbone e del gas hanno tutti raggiunto i massimi storici in
termini nominali.
In termini reali, tuttavia, solo i prezzi
europei del gas naturale hanno raggiunto i massimi storici e rimangono
notevolmente al di sopra del picco precedente del 2008.
Le
conseguenze di tutto ciò per la crescita mondiale saranno significative:
è
probabile che l’aumento dei prezzi dell’energia, da solo, riduca la produzione
globale di quasi l’1% entro la fine del 2023, come suggerisce una recente
analisi della Banca Mondiale.
Ma per l’Europa – e in particolare per
l’Italia – l’impennata dei prezzi del gas e dell’energia elettrica, e quindi
delle relative bollette, verosimilmente imporrà la necessità di una sorta di
“lockdown energetico” nel prossimo autunno-inverno.
Le
conseguenze di questo nuovo lockdown sono difficili da stimare, ma poiché
l’aumento dei prezzi dell’energia ha un impatto sproporzionato sulle attività
imprenditoriali più energivore e sulle famiglie con i redditi più bassi, qualora
si superassero determinate soglie critiche si potrebbe lacerare in modo
irreparabile il tessuto economico e sociale, innescando una spirale di effetti
a catena difficile da arginare e con effetti potenzialmente sistemici.
In
questo articolo cercherò di illustrare tali rischi alla luce dei nuovi dati
oggi disponibili, evidenziando in particolare alcune questioni chiave
largamente sottovalutate dal Governo italiano.
I
motivi geopolitici della recente impennata dei prezzi dell’energia in Europa.
Già
prima dell’inizio della guerra, i prezzi del petrolio greggio sono aumentati
notevolmente a causa della ripresa economica dalla crisi del Covid, mentre
l’offerta non era tornata del tutto al livello pre-crisi.
La
guerra ha rafforzato questo movimento al rialzo dei prezzi, poiché l’offerta
russa è diminuita prima a causa delle difficoltà di trasporto e di pagamento in
relazione alle sanzioni, poi per la parziale “chiusura dei rubinetti” da parte di
Gazprom, che è controllata dalla Federazione Russa.
Prima
della guerra, il prezzo all’esportazione della Russia seguiva da vicino il
prezzo del mercato globale per il petrolio Brent, indice di alta sostituibilità
di questa materia prima.
Dato che la Russia è solo uno dei molti
fornitori di petrolio dell’Unione Europea (l’incidenza delle importazioni dalla
Russia era del 12,5% per l’Italia, del 22,8% per la UE), il petrolio mancante
per le importazioni dell’UE dalla Russia venute meno può essere sostituito da
importazioni fatte da altrove;
mentre, per la Russia, le mancate esportazioni di
petrolio verso l’Occidente possono essere in parte compensate dagli acquisti di
India e Cina.
A
differenza del petrolio, il mercato del gas è regionale.
Esistono,
a grandi linee, tre grandi mercati del gas a livello globale: Europa, Nord
America e Asia.
I prezzi su questi mercati normalmente sono
correlati, poiché il gas naturale liquefatto (GNL) può essere spedito a ognuno
di essi, tuttavia possono differire fra loro in modo significativo.
A partire dal 2021, l’elevata domanda in Asia
ha portato a una crescita importante della divergenza tra il prezzo del gas
nordamericano (più basso) ed i prezzi in Asia ed Europa (più alti).
Il
caso del gas si differenzia da quello del petrolio perché le importazioni
europee vengono consegnate principalmente tramite gasdotti: a causa dei vincoli
di trasporto, il mercato del gas non è globale (cioè con prezzi allineati fra
loro a livello mondiale), ed i prezzi dei 3 mercati regionali non sono
unificati, come si può vedere molto bene dal una figura.
In essa risulta evidente come l’impennata dei prezzi
del gas sia un problema prettamente europeo, non riguarda aree lontane come
USA, Giappone, etc.
Il
prezzo del gas naturale è espresso in dollari USA) in diverse zone del mondo.
Si noti come solo in Europa si sia avuta
un’abnorme impennata del prezzo.
20
mmbtu sono equivalenti a circa 6 MWh. (fonte: World Bank and IEA)
I
prezzi del gas sono fortemente aumentati in Europa già a partire dal 2021, poiché il forte aumento della
domanda legato alla ripresa economica ha incontrato un’offerta meno dinamica da
parte di Paesi Bassi e Russia, con quest’ultima che a seguito delle note
vicende belliche ha gradualmente smesso di servire i mercati a breve termine
(onorando per un certo tempo solo i suoi contratti a lungo termine già firmati,
per poi ridurre ulteriormente i flussi di gas con motivazioni di comodo).
E, come succede in questi casi, il prezzo
della materia prima che scarseggia si è letteralmente impennato.
Nel
2020 la Russia ha prodotto il 22% del gas mondiale, mentre l’Europa ha
consumato il 13% del gas naturale prodotto nel mondo (dati Enerdata).
Poiché
la Russia rappresenta circa il 40% del gas consumato in Europa (e per l’Italia
il 43%), la totale scomparsa di questa fornitura rappresenterebbe uno shock del
13% x 40% = 5% a livello mondiale ma molto di più a livello regionale, poiché
la fornitura alternativa è limitata dalla capacità di trasporto e di
rigassificazione del Gas Naturale Liquefatto importato (GNL), che oggi
rappresenta soltanto il 20% della fornitura europea di gas (secondo i dati
forniti da Bruegel).
Sostituire
interamente le importazioni russe di gas con GNL significherebbe triplicare le
forniture europee di GNL, cosa che nel breve termine non è né tecnicamente
possibile (per l’offerta limitata sul mercato mondiale, e per la bassa capacità
di rigassificazione aggiuntiva in Europa) né economicamente fattibile (l’Europa
è in concorrenza con l’Asia sul mercato del GNL e il reindirizzamento dei
flussi verso l’Europa è costoso).
L’AIE prevede quindi la sostituzione con GNL
solo del 13% del gas russo mancante.
Per
questo, a partire dal 2021, il prezzo del gas è aumentato molto di più del
prezzo del petrolio per i Paesi europei: circa +60% a marzo 2022 rispetto a
febbraio; e di ben 5 volte ad aprile 2022 rispetto ad aprile 2021.
Ed è
per tale ragione che, specie in caso di rilevante o totale interruzione delle
forniture di gas russo, gli esperti prevedono per quest’autunno-inverno un
prezzo estremamente alto della materia prima (e delle relative bollette), o
addirittura un razionamento quantitativo di gas e luce sul suolo europeo.
D’altra
parte, l’Unione Europea non può, nel corso di quest’anno e del prossimo,
sostituire del tutto le importazioni di gas naturale russo.
Quindi, nel breve periodo la domanda di gas
dell’UE è relativamente anelastica. In
regime di monopolio, un’elasticità così bassa porterebbe la Russia a fissare un
prezzo molto alto, anche in assenza di guerra.
Il motivo per cui la Russia non l’ha fatto in
passato è che l’elasticità sul lungo periodo è sicuramente assicurata, e quindi
deve affrontare un compromesso intertemporale:
un
prezzo molto alto aumenta i ricavi nel breve termine, ma li diminuisce nel
lungo termine.
La
guerra, tuttavia, ha due effetti evidenti e importanti su questo tipo di
calcolo.
Il primo è un’esigenza ancora maggiore di
maggiori entrate oggi, portando ad un aumento del prezzo.
La seconda è che la permanenza futura o
l’inasprimento delle sanzioni, nonché la chiara decisione dell’Unione Europea
di svezzarsi dalle importazioni di gas russo, riducono gli effetti di un
aumento del prezzo sui ricavi futuri, portando ancora una volta la Russia ad
aumentare il prezzo mentre la domanda è ancora lì.
In
breve, ignorando le sanzioni, la Russia potrebbe voler aumentare le entrate
delle esportazioni di energia.
Ma
mentre per il petrolio ciò implicherebbe un aumento del volume delle
esportazioni (dato il prezzo mondiale), per il gas comporterebbe un aumento dei
prezzi (e quindi volumi di esportazione in diminuzione).
I veri
contratti di gas a lungo termine normalmente precludono tale comportamento, in
quanto specificano l’indicizzazione dei prezzi sul petrolio o sulla borsa del
gas olandese (TTF).
Ma la Russia
ha una certa flessibilità per spostare parte della sua offerta dalle consegne
nell’ambito di contratti esistenti a vendite sul mercato non regolamentato.
In
altre parole, i contratti possono essere rivisti o interrotti.
Per
cercare di rimpiazzare una parte del gas russo, il Governo italiano si è mosso
rapidamente, attraverso gli accordi con Algeria, Angola e Congo, ma il grosso
delle forniture aggiuntive non arriverà fino al 2023.
L’import
di gas annuale dalla Russia verso l’UE prima della guerra era di circa 155
miliardi di metri cubi.
È
possibile rimpiazzarne poco meno della metà attraverso maggiori forniture da
Stati Uniti, Norvegia, Africa.
L’Italia può inoltre contare sulla riattivazione di
alcune centrali a carbone.
Di
conseguenza, quest’inverno il deficit di gas per il nostro paese dovrebbe
arrivare, al più, al 13-18% del fabbisogno pre-crisi.
Altri
shock per l’Europa collegati alla situazione attuale.
Oltre
al greggio e al gas naturale, la Russia esporta carbone (che viene trasportato
via nave, il che lo rende altamente sostituibile con altri fornitori) e
prodotti petroliferi raffinati (in particolare il gasolio), dai quali l’Europa
occidentale è particolarmente dipendente poiché le capacità di raffinazione
sono specifiche e difficili da sostituire a breve termine.
La
Russia esporta anche metalli rari (nichel, palladio, di cui è il primo
produttore mondiale) per i quali la sostituzione è invece delicata, e altri
prodotti (fertilizzanti, grano, legno, etc.) che vengono scambiati su un
mercato mondiale.
Oltre
a questi shock dell’offerta e dei relativi prezzi, gli europei devono
aggiungere la perdita di mercati in Russia a causa delle restrizioni alle
esportazioni, che a maggio è arrivata a raggiungere circa il 60% dei volumi
esportati in quel paese nel 2021, ovvero circa lo 0,4% del PIL europeo.
Inoltre,
secondo l’interessante analisi di Blanchard & Pisani-Ferry , relativa alle
implicazioni della guerra Russia-Ucraina per la politica economica dell’Unione
Europea, il
ritiro delle grandi aziende europee dal territorio russo rappresenterebbe da
solo una perdita di circa l’1 per cento del PIL per l’economia europea.
Infine,
l’invasione dell’Ucraina potrebbe innescare comportamenti precauzionali da
parte di famiglie e imprese in Europa, portandole a rivedere al ribasso i
propri investimenti, a risparmiare di più ed a indirizzare i propri risparmi
verso asset a basso rischio.
Potrebbe
anche aumentare l’incertezza sui mercati finanziari, nonché accrescere
ulteriormente il deprezzamento dell’euro (che nei confronti del dollaro USA è
stato di quasi il 20% nell’ultimo anno), il che potrebbe sostenere le
esportazioni extra-UE nel breve termine, aumentando però al contempo le pressioni
inflazionistiche.
In
realtà, gli shock dei prezzi dell’energia influenzano l’attività economica e
l’inflazione attraverso una varietà di canali, con effetti diretti e indiretti
sulle economie importatrici ed esportatrici di energia.
Gli
effetti indiretti possono verificarsi attraverso il commercio e altri mercati
delle materie prime, attraverso le risposte di politica monetaria e fiscale e
attraverso l’incertezza degli investimenti.
Attraverso questi canali, i prezzi
dell’energia possono anche avere ripercussioni immediate sui saldi fiscali ed
esterni.
In
Italia, l’aumento dei prezzi dell’energia e dei beni ha spinto l’inflazione
fino al +8,4% di agosto, ed essa è per quasi l’80% dovuta proprio all’impennata
dei prezzi delle materie prime energetiche.
Tali valori sono ben al di sopra
dell’obiettivo del 2% che la Banca Centrale Europea si era a suo tempo posta.
È
probabile che i prezzi aumentino più velocemente del reddito per molte persone.
Ciò
significa che il costo della vita per un gran numero di italiani sta pesando
fortemente sul budget personale e familiare.
L’inflazione
in Italia, è arrivata in poco tempo a livelli record che non si raggiungevano
da 37 anni. (fonte: La Verità)
I
prezzi più elevati per i beni che acquistiamo dall’estero sono uno dei motivi
principali di ciò.
Poiché
le restrizioni Covid si sono allentate in molti paesi, le persone hanno
iniziato a comprare più cose, avendo accumulato livelli record di risparmi nel
corso della pandemia.
Ciò ha generato un’impennata della domanda globale
di beni di consumo durevoli e non durevoli, portando a carenze sul mercato di
alcuni semilavorati e prodotti finali, a “colli di bottiglia” senza precedenti
nella produzione e nel commercio, e di conseguenza a prezzi più elevati, in
particolare per le merci importate dall’estero.
Anche
l’aumento dei prezzi dell’energia ha svolto un ruolo importante.
I
forti aumenti dei prezzi del petrolio e del gas hanno spinto verso l’alto i
prezzi della benzina e le bollette dell’energia, e questi aumenti sono iniziati
ben prima dello scoppio della guerra fra Russia e Ucraina.
Poiché
i prezzi dell’energia verosimilmente continueranno a crescere sul breve termine
(e
potenzialmente anche sul medio termine, specie se i paesi dell’UE non
adottassero misure adeguate o il conflitto nel frattempo si estendesse ad altri
paesi), ci
si aspetta che l’inflazione salga ulteriormente quest’anno e che l’economia
rallenti.
Infine,
l’invasione russa dell’Ucraina ha portato ad aumenti assai più accelerati e più
consistenti del prezzo di cose come energia e cibo.
Come
se non bastasse, sia la guerra che i lockdown per Covid in Cina stanno rendendo
più difficile importare cose, oltre ad allungare i tempi di consegna.
È probabile che ciò faccia in futuro aumentare
ulteriormente i prezzi di alcuni beni. Come risultato di questi fattori,
prevediamo un aumento dell’inflazione, che potrebbe far addirittura rimpiangere
i valori attuali.
A
questo quadro, va aggiunto lo “shock” legato al fenomeno dell’immigrazione
irregolare, che, dal punto di vista dell’impatto negativo sul tessuto sociale
dovuto alla “male gestio” dello stesso, riguarda principalmente l’Italia, e che
è tale soprattutto per i numeri assoluti e senza precedenti che si vanno
raggiungendo.
Gli immigrati clandestini rappresentano ormai
una vera e propria “quinta colonna” in Italia, per questo in qualsiasi paese
occidentale serio (Australia, Giappone, Stati Uniti, etc.) tale problema viene
considerato una questione di sicurezza nazionale ed è affrontato con metodi
assai decisi e risolutivi.
Nei
primi 8 mesi di quest’anno, secondo i dati del Viminale, sono sbarcati in
Italia circa 57.000 migranti (principalmente di nazionalità egiziana,
bengalese, tunisina, afghana e siriana), cioè ben tre volte quanti ne erano
sbarcati – nello stesso periodo – due anni prima, cioè nel 2020;
e
potrebbero sfiorare i 100.000 entro la fine dell’anno, da confrontarsi con gli
appena 11.500 del 2018.
Inoltre,
secondo i dati Istat relativi al 2021, gli stranieri che in Italia vivono in
povertà assoluta sono oltre 1.600.000, con un’incidenza pari al 32,4%, oltre
quattro volte superiore a quella degli italiani in stato di povertà assoluta (7,2%).
L’impatto
dello shock energetico sull’economia di un Paese.
Una
volta definiti gli shock, occorre guardare alle loro conseguenze.
Ci
limitiamo qui al versante energetico, cominciando dalle conseguenze
dell’aumento del prezzo del petrolio sulle famiglie e sulle aziende e passando
poi ad analizzare quelle dell’aumento dei prezzi del gas naturale.
Ricordo
che i prodotti petroliferi possono essere trovati in qualsiasi cosa: dai
dispositivi di protezione individuale, plastica, prodotti chimici e
fertilizzanti fino all’aspirina, vestiti, carburante per il trasporto e persino
pannelli solari.
Per un
paese importatore netto, un aumento del prezzo del petrolio porta a un
trasferimento di reddito al resto del mondo, e quindi all’impoverimento delle
famiglie, in quanto i derivati del petrolio che pesano molto sul budget
familiare sono i carburanti per i veicoli e il gasolio da riscaldamento (per
chi ha il riscaldamento centralizzato).
Se i
salari non si adeguano immediatamente all’aumento dei prezzi, il potere
d’acquisto e quindi il consumo diminuiranno nel breve termine.
Le
aziende, dal canto loro, non possono trasferire immediatamente sui loro prezzi
di vendita i maggiori prezzi del petrolio (che incidono sui prezzi dei
carburanti, su quelli del trasporto e quindi sui costi di approvvigionamento
delle materie prime e di distribuzione dei prodotti finiti o semi-lavorati).
Quindi i loro margini si riducono, a scapito
degli investimenti.
D’altra
parte, quando le aziende aumentano i prezzi, preservano i loro margini ma
perdono quote di mercato.
Le 5
componenti di prezzo di un prodotto.
Gli aumenti di prezzo in atto stanno agendo su
ben 3 di essi, riducendo di conseguenza in misura notevole il margine di
guadagno per l’imprenditore.
Inoltre,
il calo dei redditi in altri paesi europei importatori di petrolio riduce
meccanicamente la domanda estera e quindi le esportazioni del nostro Paese
verso di essi.
Tuttavia,
l’aumento dei prezzi del petrolio, a differenza di quello del gas, è uno shock
globale.
Poiché
tutte le aziende devono far fronte a costi più elevati, gli effetti sulla
competitività delle nostre aziende sono relativamente limitati.
Veniamo
ora invece all’impatto dei prezzi del gas naturale.
Nei
modelli macro econometrici standard, il gas non è identificato come tale e si
presume che il suo prezzo segua quello del petrolio.
A
fortiori, un’interruzione della fornitura di gas è difficile da simulare.
In questi modelli, la produzione di beni e
servizi dipende dal lavoro, dal capitale e da una cosiddetta “Produttività Totale dei Fattori”
(PTF)
esogena, definibile come la parte residua di output eccedente gli input di
lavoro e capitale.
Un’interruzione
nella fornitura di gas importato potrebbe essere vista come una diminuzione
esogena della PTF.
Tuttavia,
in questi modelli keynesiani, la PTF è rilevante solo a lungo termine.
Nel
breve periodo, il PIL è determinato dalla domanda, sebbene i prezzi rispondano
agli shock dell’offerta.
Pertanto,
un modello macro econometrico standard non è in grado di tenere adeguatamente
conto dell’interruzione delle catene del valore (non c’è solo il problema gas: si
pensi ad es. alla scarsità di microchip, etc.).
Pertanto,
si deve invece utilizzare un modello di equilibrio generale che descriva come
lo shock colpisce non solo le industrie che utilizzano direttamente la materia
prima che viene meno – in questo caso il gas – ma anche le industrie a valle
(chimica, vetro, etc.);
e come
il relativo impatto sulla filiera può essere attutito dalle sostituzioni e
dall’uso delle importazioni a tutti i livelli delle catene del valore.
A
seconda delle assunzioni del modello, si può arrivare così a stimare un determinato
calo del PIL.
Tuttavia,
in un’economia rigida, il riequilibrio dei mercati dopo un forte shock implica
altrettanto forti variazioni dei prezzi relativi, e quindi un costo economico
significativo quando alcuni prezzi si adeguano solo con ritardo.
Ad
esempio, le aziende del settore del vetro e ceramica, ma anche le fonderie, le
cartiere, alcune aziende del settore chimico e alimentare – o comunque molte
delle aziende energivore – non riescono a trasferire i costi più elevati sui
propri clienti e alcune interrompono la produzione, il che si ripercuote, a
cascata, su altre aziende energivore e non che utilizzavano i loro prodotti.
Perciò,
è necessaria una combinazione di approcci diversi per arrivare a una stima
realistica degli effetti della crisi energetica.
Si
possono poi aggiungere altri elementi:
calo delle esportazioni verso la Russia,
deprezzamento di alcuni beni, comportamenti precauzionali, politiche pubbliche,
ecc.
Data la complessità di queste stime, dubito
che l’Europa abbia deciso di rinunciare al gas e al petrolio russo dopo aver
fatto – come invece avrebbe dovuto – opportune analisi del rapporto
rischi-benefici.
Blanchard
& Pisani-Ferry hanno stimato il drenaggio dei redditi europei dovuto a un
aumento del 25% del prezzo del petrolio e del gas importato a circa 1 punto di
PIL.
L’aumento
anno su anno del prezzo del gas è stato però assai più alto: circa 5 volte,
pari al 500%, per cui l’impatto sul PIL si preannuncia assai elevato.
Questa cifra costituisce una forma di costo
economico sottovalutato della guerra per gli europei, un costo che potrebbe
aumentare a causa di:
ulteriori
interruzioni dell’offerta, ricadute internazionali sfavorevoli, chiusure di
imprese chiave o di intere filiere e/o “fallimenti” di massa delle famiglie più
povere.
L’aumento
impressionante del prezzo del gas in Italia negli ultimi mesi, all’interno di
un arco di quasi 3 anni.
Sono
riportati i prezzi medi mensili dell’indice della Borsa italiana del gas,
ovvero del PSV (che sta per “Punto di Scambio Virtuale”).
Il
prezzo del gas è aumentato di quasi 10 volte rispetto ai livelli pre-crisi. (fonte: elaborazione dell’Autore su
dati del Gestore dei Mercati Energetici)
L’impatto
teorico del caro-energia sui consumi e sul potere d’acquisto.
La
politica può – e deve – affrontare lo squilibrio tra domanda e offerta di gas e
di petrolio.
I responsabili politici devono dare priorità
alle politiche che incoraggino una maggiore efficienza energetica e accelerino
la transizione verso fonti energetiche a basse emissioni di carbonio, come il
fotovoltaico e l’eolico (in particolare quello off-shore).
Il
conseguente miglioramento dell’equilibrio tra domanda e offerta di energia può
aiutare a ridurre il rischio di stagflazione e superare i venti contrari alla
crescita.
Poiché
la domanda di energia è – come si dice in gergo – “anelastica” nel breve
periodo, i forti aumenti di prezzo dell’energia implicano un calo significativo
del potere d’acquisto delle famiglie, che dovrà essere assorbito attraverso:
(i) un consumo ridotto di beni e servizi non
energetici,
(ii) una riduzione del risparmio o
(iii)
un aumento di reddito.
Sul
breve termine, per attutire gli effetti negativi delle famiglie, il sostegno
temporaneo mirato ai gruppi vulnerabili può quindi avere la priorità rispetto
ai sussidi energetici che potrebbero ritardare la transizione verso un’economia
a zero emissioni di carbonio.
Ma in
realtà la partita è assai più grossa.
La
crisi energetica, come scritto dal Financial Times, è una delle principali
cause che hanno portato gli hedge fund a realizzare la più grande scommessa
contro il debito italiano dal 2008.
Secondo
Gianclaudio Torlizzi, fondatore della società di consulenza finanziaria
T-Commodity, “il prossimo governo, pur rimanendo all’interno della cornice delle
regole europee, dovrà agire per ottenere le necessarie compensazioni per far
fronte agli inevitabili razionamenti energetici. I prezzi dei beni energetici
sono infatti destinati a rimanere estremi per molto tempo”.
In
effetti, le variazioni del prezzo del petrolio e del gas possono riflettere sia
gli shock dell’offerta di materia prima che quelli della domanda globale.
L’aumento dei prezzi dell’energia non sempre
porta a una contrazione dei consumi:
infatti, possono anche essere una conseguenza
di un aumento dei consumi a livello globale.
Tuttavia,
l’aumento dei prezzi del petrolio e del gas trasferisce ricchezza dai paesi
importatori di tali materie prime ai paesi esportatori e quell’effetto
ricchezza, a sua volta, ha un impatto negativo sul consumo nei paesi
importatori come il nostro, attraverso effetti moltiplicatori.
Secondo
un’analisi pubblicata dalla Banca Centrale Europea (a cui hanno contribuito due
italiani), “l’impatto
economico di una variazione del prezzo del petrolio causata da uno shock
imprevisto della domanda globale aggregata è molto diverso da quello di un
aumento del prezzo del petrolio causato da una carenza imprevista nella
produzione di petrolio. Pertanto, è importante comprendere fino a che punto gli
aumenti del prezzo del petrolio sono guidati da diversi tipi di shock prima di
formulare risposte politiche”.
Quando,
ad esempio, i prezzi del petrolio salgono a causa di un aumento della domanda
aggregata, aumentano anche i salari e la politica monetaria dovrà diventare più
restrittiva.
Al contrario, se i prezzi del petrolio
aumentano a causa di interruzioni nell’offerta di petrolio e non ci sono
effetti di secondo impatto sui salari, la politica monetaria non ha bisogno di
inasprirsi per stabilizzare l’inflazione.
Tuttavia, è difficile pensare che
un’inflazione galoppante non contribuisca a creare un mix socialmente
esplosivo.
Infatti,
come osservano gli autori dello studio in questione, “poiché spendono una percentuale
relativamente elevata del loro reddito per l’energia, le famiglie povere sono
particolarmente colpite in termini di inflazione quando i prezzi dell’energia
aumentano. In caso di un forte shock dei prezzi dell’energia, l’impatto
negativo su alcune famiglie potrebbe essere così ampio da superare facilmente
qualsiasi impatto positivo visto attraverso i canali macroeconomici (ad es. l’occupazione)”.
Inoltre,
va sottolineato che secondo la teoria economica i prezzi dell’energia più elevati
incidono sui consumi privati attraverso canali sia diretti che indiretti. Un
aumento dei prezzi dell’energia incide direttamente sul potere d’acquisto delle
famiglie attraverso l’aumento dei prezzi dei prodotti energetici (elettricità,
gas, benzina, olio combustibile, ecc.).
Nell’area dell’euro, circa il 30% di tutto il
consumo di energia assume la forma del consumo finale da parte dei consumatori.
Il resto riguarda invece l’energia utilizzata
nella produzione di beni e servizi non energetici (cioè i “consumi intermedi”).
Al
tempo stesso, un aumento dei prezzi dell’energia comporta un aumento dei costi
di produzione dei settori non energetici e, nella misura in cui i produttori di
beni e servizi non energetici adeguano i loro prezzi finali, un’ulteriore
riduzione diretta del potere d’acquisto delle famiglie (l’effetto è dunque, in
questo caso, indiretto).
Infatti,
se tali costi non possono essere trasferiti sui prezzi finali dei beni in
questione, ci sarà inevitabilmente un impatto sul potere d’acquisto delle
famiglie, poiché i produttori nei settori interessati taglieranno i salari o
avranno minori profitti da distribuire.
Non è
facile contrastare l’aumento dell’inflazione, che è determinato da molti
fattori diversi:
dall’aumento
dei costi energetici derivanti dagli sviluppi geopolitici, dagli effetti
temporanei delle formazioni dei prezzi non supportate dai fondamentali
economici, dai forti shock negativi dell’offerta causati dall’aumento dei
prezzi globali dell’energia (che incidono sui prezzi alla produzione e sul
trasporto di materie prime e prodotti finiti), ma anche dei generi alimentari e
delle materie prime agricole e non, dalle continue interruzioni nelle catene di
approvvigionamento, etc.
Di
fronte a questi problemi e rischi crescenti, secondo gli economisti la politica
fiscale di un paese deve essere flessibile e pronta a fornire maggiore sostegno
alle famiglie vulnerabili via via che la situazione peggiora.
In un
grave scenario al ribasso con carenza di gas e costi in aumento per i
consumatori di gas, potrebbe essere necessario posticipare il ritorno alla
regola europea del freno all’indebitamento affinché i governi nazionali possano
assumere ulteriori prestiti per sostenere l’economia.
L’impatto
reale su famiglie ed imprese e sul tessuto economico.
I
modelli macro econometrici, per quanto sofisticati possano essere, non sono in
grado di simulare in modo realistico una situazione così complessa come quella
fin qui illustrata, in cui per l’Italia si sommano una serie di shock, non ultimo
quello da cui siamo appena usciti, legato ai lockdown prima fisici e poi
“virtuali” imposti nell’emergenza pandemica, che rappresentano peraltro solo
due dei 10 grandi fattori che hanno impoverito imprese e famiglie durante la
pandemia.
Sebbene
l’aumento dell’inflazione – e quindi del costo della vita – impatti
apparentemente sull’intera popolazione, l’aumento dei prezzi dell’energia, in
realtà, ha un impatto sproporzionato sulle attività imprenditoriali più
energivore e sulle famiglie con i redditi più bassi.
In altre parole, la spesa per gas ed elettricità in
proporzione al reddito disponibile è più alta per le famiglie più povere, e
rappresenta un fattore crescente nella compressione dei bilanci delle famiglie,
e non solo di quelle italiane.
Nell’UE,
i prezzi dell’energia per le abitazioni colpiscono il 20% più povero delle
famiglie più di quanto non colpiscano le famiglie a reddito più elevato.
Per
quanto riguarda i costi di trasporto, invece, il loro aumento colpisce più le
famiglie ad alto reddito che le famiglie a basso reddito in diversi paesi.
In effetti, in un terzo dei paesi europei, le
famiglie a reddito più elevato spendono quote maggiori del proprio reddito per
la guida della propria auto rispetto alle famiglie a reddito più basso, il che
riflette generalmente il possesso di un’auto che è meno comune e si concentra
tra le famiglie a reddito più alto in questi paesi.
Il
rapporto tra il reddito speso per il trasporto dal 20% delle famiglie di
reddito più alto e il 20% delle famiglie con il reddito più basso.
100
indica che entrambi i gruppi spendono parti uguali dei loro budget.
Ad
esempio, in Bulgaria, la quota di reddito dedicata ai costi di trasporto dal
20% delle famiglie più ricche è del 280% la quota del 20% delle famiglie con i
redditi più bassi.
Nel
nostro Paese, però, l’impatto dell’aumento dei costi di energia elettrica, gas
e carburanti è stato molto più alto che in altri Paesi europei per una serie di
ragioni: (1)
non abbiamo l’energia nucleare e l’eolico off-shore nel mix delle fonti
energetiche;
(2)
eravamo già prima della pandemia uno dei Paesi dell’UE che paga di più
l’elettricità e il gas;
(3) le
misure di mitigazione prese dal Governo negli scorsi mesi sono state largamente
insufficienti e, in parte, mal concepite.
Non
deve quindi stupire il fatto che la cronaca ci racconti una realtà del tutto
diversa da quella fredda, edulcorata e spesso fatta di semplici “medie” dei
modelli macro econometrici.
Non
c’è giorno che a un gran numero di aziende italiane arrivino bollette “monstre”
che le costringono – nel migliore dei casi – a fare a meno di qualche
dipendente e, nel peggiore, a chiudere i battenti temporaneamente (come ad es.
nel caso di alcuni hotel o di attività più energivore) oppure per sempre.
Ripeto,
per sempre.
Non è
facile quantificare, al momento, l’impatto del caro-bollette sulle aziende in
termine di “sofferenze” e di cessate attività.
Tuttavia,
quest’estate gli aumenti raggiunti dagli importi delle bollette luce e gas sono
stati così elevati (da 3 a 5 volte più alti, se non addirittura di più,
rispetto ai livelli dell’anno precedente) che non solo i settori industriali
più energivori, ma anche la filiera della ristorazione, il settore alberghiero,
gli allevamenti di bestiame e perfino la vendita al dettaglio ne sono stati
fortemente colpiti.
Secondo
un’analisi effettuata ad agosto da Confcommercio-Imprese, già solo per
l’impennata dei prezzi delle materie prime energetiche e per l’inflazione, “di
qui ai primi mesi del 2023 in Italia potrebbero “saltare” ben 120.000 aziende
del terziario di mercato e 370.000 posti di lavoro”.
Complessivamente,
la spesa in energia per i comparti del terziario nel 2022 ammonterà a 33
miliardi di euro, il triplo rispetto al 2021 (11 miliardi) e più del doppio
rispetto al 2019 (14,9 miliardi).
Tra i
settori più esposti, il commercio al dettaglio – in particolare la media e
grande distribuzione alimentare, che a luglio ha visto quintuplicare le
bollette di luce e gas – la ristorazione e gli alberghi, i trasporti (che oltre
al caro carburanti, si trovano ora a dover fermare i mezzi a gas metano per i
rincari della materia prima);
ma
sono colpiti anche i liberi professionisti, le agenzie di viaggio, le attività
artistiche e sportive, i servizi di supporto alle imprese e il comparto dell’abbigliamento.
E le aziende manifatturiere non possono far
lievitare i prezzi dei loro prodotti per non perdere competitività rispetto a
quelle estere.
“Intere
filiere produttive, fra cui quella del legno-arredo, saranno costrette a
fermare la produzione, a mettere i lavoratori in cassa integrazione ed a
perdere competitività sui mercati.
In pratica, già ad ottobre ci sarà il ‘black out’
della nostra filiera”.
È
questo il grido d’allarme lanciato da Claudio Feltrin, presidente di Federlegno
Arredo, che rappresenta una delle filiere più importanti del made in Italy nel
mondo.
Non è
difficile prevedere, quindi che nei prossimi mesi la richiesta di cassa
integrazione avrà un “boom”.
Ciò
succederà perché – i politici sembrano ignorare questo aspetto – lo stop delle
aziende energivore si ripercuoterà a cascata sull’intera filiera.
E un
discorso del tutto analogo si potrebbe fare per le filiere della chimica,
dell’alimentare e di tanti altri settori merceologici.
Quindi,
se si fermano le aziende energivore, che sono il “canarino del minatore”, non
si ferma solo la percentuale di aziende interessate direttamente dal
caro-bolletta, ma anche l’indotto, per cui vi è una sorta di inquietante
“effetto moltiplicatore”.
E
questo effetto sembra essere del tutto ignorato anche dagli studi degli
organismi statali preposti!
Come
raccontato a fine agosto da Piero Scandellari, presidente del Center gross di
Bologna (la più grande area commerciale B2B europea della Moda Pronta italiana
e dell’ingrosso), “abbiamo al nostro interno 680 aziende e già il 15 per cento
di queste ci ha chiesto di staccare loro il gas.
Sicuramente,
molte devono ancora riaprire e siamo già a queste percentuali destinate a
crescere.
Ci
aspettiamo sicuramente un intervento del Governo, ma è certo che il gas non ci
sarà per tutti”.
Questi
numeri rappresentano, però, solo la classica “punta dell’iceberg”, se si
considera il fatto che per il prossimo autunno-inverno si presenta sempre più
concretamente la necessità di un “lockdown energetico”, del quale peraltro poco trapela
dal Governo, per quanto riguarda i dettagli operativi per famiglie e aziende,
con una mancanza di programmazione, di comunicazione e, in generale, con una “mala
gestio” che ricorda maledettamente quella della pandemia, già portata alla luce
dal prof. Ricolfi nel suo saggio “La notte delle ninfee” e dal sottoscritto
nelle analisi pubblicate dalla Fondazione Hume.
Inoltre,
a causa degli insoluti di molte aziende, sempre più gli stessi fornitori di
luce e gas o si rifiutano tout court di contrattualizzarle – nel qual caso
finiscono alimentate, con sovraprezzi notevoli, dal cosiddetto “fornitore di
ultima istanza” – oppure richiedono al cliente una fideiussione a garanzia,
come racconta il già citato Scandellari:
“l’ENI
ci ha chiesto una fideiussione sulla metà di quelli che sono i nostri consumi
medi annui, cioè 2,5 miliardi di metri cubi.
E la vogliono nel giro di una settimana!”.
L’impennata
dei prezzi del gas colpisce soprattutto chi compra a spot, “ma sono saltate
anche fonderie che avevano contratti fissi, per il fallimento di fornitori”,
spiega Dario Zanardi di Assofond.
In
questa tempesta, il rischio di fermo produttivo è reale:
“Dipende
da tre variabili: non ci fermiamo se la domanda tiene, se i clienti
accetteranno gli aumenti e se non saranno imposti razionamenti.
Siamo in balia degli eventi e rischiamo molto,
proviamo una grande frustrazione, in nostro potere non c’è nulla”.
Insomma, è sempre più chiaro che il tessuto
economico italiano questa volta rischia davvero di saltare.
Il
“lockdown energetico” atteso per aziende, famiglie e Comuni.
I siti
di stoccaggio del gas quasi pieni consentono un qualche margine di sicurezza
per i mesi invernali ma non sono risolutivi.
Il Governo Draghi sta perciò preparando un
piano su tre livelli di emergenza a seconda dell’aggravarsi della situazione e,
come altri paesi europei, si prepara al razionamento dell’energia, che verrebbe
attuato sotto forma di una sorta di “lockdown energetico”, volto (si spera) a scongiurare
l’incubo di blackout prolungati, che provocherebbero danni economici e sociali
ancor maggiori.
Tra le
misure del piano già scattate, c’è la riduzione della temperatura negli uffici
pubblici, che non potrà essere superiore ai 19°C in inverno e inferiore ai 27°C
in estate, cui si aggiungerà il taglio di un’ora nella durata di esercizio
degli impianti ma, in caso di peggioramento della situazione, i tagli
dovrebbero essere più drastici. Tuttavia, il contributo effettivo di tali misure è del
tutto marginale, poiché è ben noto (fonte DOE [15]) che a una riduzione di 1°C
sul termostato corrisponde un risparmio di appena l’1%!
Il
piano potrebbe poi introdurre una riduzione di 2°C della temperatura nelle case
limitando l’orario di accensione del riscaldamento in inverno (una misura nella
pratica assai difficile da far rispettare, se non nei condomini dotati di
riscaldamento centralizzato) e chiedendo ai Comuni di ridurre l’illuminazione
pubblica nelle strade e sui monumenti fino al 40% dei consumi totali (anche in
questo caso il contributo effettivo di questa misura è relativamente ridotto, e
limitato praticamente ai soli orari notturni).
Al
tempo stesso, gli uffici pubblici potrebbero chiudere in anticipo e anche ai
negozi potrebbe essere chiesto di chiudere entro le 19 mentre i locali non
dovrebbero rimanere aperti oltre le 23.
In
questo caso, quindi, si tratterebbe di un vero e proprio “lockdown” che non avrebbe
nulla da invidiare a quello messo in atto durante la pandemia e che
economicamente tanto male ha fatto a tutte le attività imprenditoriali.
Reiterarlo, quindi, rende più facile
immaginare il possibile disastro che si va prospettando.
E
tutto ciò potrebbe essere perfino insufficiente, in caso di chiusura totale del
flusso di gas russo.
I
rischi maggiori, tuttavia, riguarderebbero le industrie energivore, con la
possibilità di subire un’interruzione della fornitura per un periodo limitato
di tempo.
Infatti l’Italia – come del resto altri paesi
europei e non – ha da tempo implementato dei sistemi di incentivazione per
aziende con grandissimi consumi, che accettano l’attivazione di un sistema
transitorio di “interrompibilità energia elettrica” e “interrompibilità gas”.
A
fronte dell’eventualità di un’interruzione dell’approvvigionamento di energia
elettrica e gas, l’azienda riceve dal Ministero un rimborso proporzionale al
consumo.
L’esistenza
di un piano siffatto, però, non vuol dire che le aziende e le famiglie, il
prossimo autunno-inverno, siano al sicuro da guai ancora peggiori.
Infatti, oltre al previsto ulteriore raddoppio
degli importi delle bollette e al razionamento dell’energia, vi è comunque il
rischio di possibili blackout elettrici improvvisi o imprevisti.
Questo
perché le reti di distribuzione sono complesse e non facili da gestire, sia per
quanto riguarda l’interrompibilità (del gas) sia per quanto riguarda il
distacco e il ripristino (dell’elettricità), in caso di squilibrio fra la potenza
elettrica richiesta e quella disponibile in un dato momento.
Di
recente, la premier francese Elisabeth Borne, intervistata dal canale tv TMC,
ha avvertito che, se l’inverno sarà molto freddo, sarà necessario staccare la
corrente a rotazione – per periodi di “non più di due ore” – alle abitazioni.
E, se ciò è quanto succederebbe in un Paese
dotato di decine di centrali nucleari (dalle quali dipende per la produzione di
circa il 67% della propria elettricità, mentre dal gas dipende appena per il
7%, da confrontarsi con il circa 40% dell’Italia), non è difficile immaginare
per il nostro Paese uno scenario di blackout programmati del tutto simile o
potenzialmente ben peggiore.
L’aumento
impressionante del prezzo dell’elettricità in Italia negli ultimi mesi,
all’interno di un arco di 3 anni (in alto) e degli ultimi 12 anni (in basso), a
cui i due grafici si riferiscono.
Sono
riportati i prezzi medi mensili dell’indice Ipex della Borsa elettrica italiana.
Si noti come anche in questo caso, come per il gas,
l’aumento sia stato di quasi 10 volte rispetto ai livelli pre-crisi. (fonte: elaborazione dell’Autore su
dati del Gestore dei Mercati Energetici)
In
Kosovo, uno dei paesi più poveri d’Europa, i blackout programmati sono già una
realtà:
la
corrente si interrompe per 120 minuti (ovvero 2 ore) ogni 6 ore, risparmiando
solo infrastrutture critiche come ospedali e alcune industrie.
Ciò
potrebbe rivelarsi un preludio di quanto accadrà in seguito per le zone più
ricche d’Europa.
“Mantenere
le luci accese quest’inverno sarà molto più impegnativo di quanto i governi
europei ammettano”, ha dichiarato di recente un esperto.
Chi è
coinvolto nel settore sa che purtroppo ormai “è questione di quando, e non se,
si verificherà un’escalation della crisi”.
“Il
gestore della rete finlandese, in un raro esempio del tipo di trasparenza di
cui c’è assolutamente bisogno, già ad agosto ha detto ai cittadini di
prepararsi alle carenze quest’inverno.
I governi europei hanno il dovere di chiarire
con i loro elettori l’entità della crisi in arrivo.
Ridurre
al minimo la portata del problema o, peggio, fingere che non ci sia un
problema, non manterrà la corrente in funzione questo inverno”, osserva Javier
Blas, che scrive di energia e materie prime per Bloomberg.
Tuttavia,
non è detto che in Italia si arrivi al razionamento ed ai blackout programmati.
Questa
potrebbe sembrare una buona notizia, ma non lo è, perché probabilmente
significherebbe che siamo finiti nello scenario peggiore:
quello
per cui un grande numero di aziende, oltre a quelle più energivore, sono
costrette a chiudere i battenti per sempre o, quanto meno, a fermare la
produzione per alcuni mesi, con tutto quello che ciò comporta.
Insomma,
paradossalmente, il conseguente calo dei consumi di gas e di elettricità,
insieme a quello delle famiglie costrette a consumare meno, potrebbe forse
evitarci il lockdown.
Non è
fantasia: già a luglio, in Italia i consumi elettrici industriali sono crollati
del 12%.
Nelle
proiezioni macro economiche per l’economia italiana fornite a giugno dalla
Banca d’Italia, le conseguenze per le attività economiche, nello scenario della
sospensione della fornitura del gas dalla Russia a partire dai mesi estivi,
sono esaminate nello “scenario avverso”.
Poiché
per l’Italia tale sospensione sarebbe solo parzialmente compensata ricorrendo
ad altre fonti, nel documento si assumono inoltre le seguenti ipotesi:
un
impatto diretto di tale interruzione, in particolare sulle attività
manifatturiere più energivore; un significativo aumento dei prezzi delle
materie prime energetiche.
Ebbene,
in queste ipotesi, per il PIL la Banca d’Italia prevede una crescita media
praticamente nulla nel 2022, ed in calo di oltre 1 punto percentuale nel 2023.
E probabilmente – come vedremo fra poco –
queste stime sono perfino ottimistiche, poiché verosimilmente non tengono conto
di tutta una serie di fattori, alcuni dei quali accennati nel presente
articolo.
È chiaro che più si riuscirà a limitare
l’impiego di gas e più si riuscirà a contenere anche l’ascesa dei prezzi, ma
nel frattempo le aziende rischiano di andare gambe all’aria una dopo l’altra,
come in un domino; per cui, altro che -1% di PIL!
Infine
– per completare il quadro – il presidente dell’Anci (Associazione nazionale
Comuni italiani), Decaro, e quello dell’Upi (Unione province italiane), De
Pascale, hanno affermato in una dichiarazione congiunta che “è indispensabile che fra i
provvedimenti urgenti del Governo sia compresa una misura di sostegno per i
Comuni e le Province, in assenza della quale i bilanci degli enti locali sono
destinati a saltare.
È necessario uno stanziamento straordinario di almeno
altri 350 milioni di euro per compensare l’impennata delle nostre spese
energetiche, altrimenti i sindaci saranno costretti a tagli dolorosi dei
servizi pubblici”.
I
rischi socio-economici legati al possibile superamento di “soglie critiche”.
La
fornitura dell’energia nei 27 paesi dell’Unione Europea (escluso il Regno
Unito) dipende essenzialmente da petrolio (33%, praticamente tutto importato),
gas (24%, principalmente importato) e carbone (12%, principalmente importato).
Altre
fonti includono le rinnovabili (domestico), nucleare (essenzialmente domestico,
poiché il combustibile stesso è una piccola parte del costo totale) ed
elettricità importata.
La Russia è per l’UE un importante fornitore
di tutti e tre: petrolio, gas e carbone.
La
discussione precedente ha chiarito che, a seconda di molti fattori – sia quelli
che influenzano le decisioni russe sia quelli che influenzano la scelta e
l’intensità delle sanzioni – vi è una sostanziale incertezza sulla futura
evoluzione dei prezzi del gas, del petrolio e, di conseguenza, dei carburanti
nell’Unione Europea.
Il nostro Paese, però, anche a causa della
pessima gestione della pandemia da parte degli ultimi due Governi (di cui ho
analizzato l’impatto sulle imprese in un mio precedente articolo) non può
permettersi ulteriori shock economici per aziende e famiglie, perché le prime
rischierebbero l’estinzione.
Anzi,
ora si rischia sul serio un’“estinzione di massa” come quelle verificatesi in
passato sulla Terra, portando alla scomparsa di una frazione rilevante delle
specie animali.
Ma,
nel caso dell’Italia, il danno non si fermerebbe alle estinzioni in sé di
imprese e attività commerciali (ed alla perdita di occupazione associata),
bensì si accompagnerebbe a maggiori rischi sistemici e ad una maggiore povertà.
Infatti, i sussidi del Governo Conte alle
imprese hanno comportato un enorme aumento del debito pubblico e, al tempo
stesso, i
prestiti garantiti dallo Stato hanno prodotto un forte aumento del debito
privato.
Attualmente,
come osservato da Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione bancaria
italiana, “è
in corso un gravissimo terremoto finanziario, perché il prezzo del gas sta
continuamente moltiplicandosi, il che rischia presto di creare una grave
esplosione dei costi per le imprese, con il conseguente rischio di una spirale
di crisi aziendali, quindi finanziarie e occupazionali”.
Né più
né meno di quanto avevo prospettato già nell’aprile 2021, a un livello di
dettaglio molto più spinto, in un altro mio articolo sul “boom dei prezzi” e
sulla “tempesta perfetta” per l’Italia , al quale rimando dunque il lettore
interessato.
Oggi
il rischio di fallimenti a catena di imprese e di istituti bancari è tutt’altro
che irrealistico, e un ulteriore shock bancario e creditizio sarebbe per
l’Italia insostenibile.
Il
successivo downgrade del rating dei Titoli di Stato italiani potrebbe
completare l’opera, poiché sarebbe di fatto come il crollo di una diga.
Del resto, già a ottobre 2020, il Governatore
della Banca d’Italia Visco metteva in guardia gli Istituti di credito dalla
nuova ondata di credi deteriorati.
Ed a
novembre 2020 la BCE dichiarava: “Probabili fallimenti bancari dopo la
pandemia”.
Ora,
con la crisi energetica, il rischio è rinnovato, ma è anche moltiplicato di
entità.
Si può
fare un confronto tra la rapida successione di fasi che ha portato nel 2007-08
dalla crisi dei mutui subprime alla Grande Recessione e la possibile crisi
catastrofica che potrebbe essere innescata da un grande numero di fallimenti
fra imprese e soggetti economici privati sommato al downgrade del rating dei
Titoli di stato italiani.
In questo scenario, si rischierebbe il default di
banche sistemiche e il “contagio” (principalmente via derivati) ad altri Paesi,
per cui si potrebbe precipitare rapidamente in una situazione da incubo,
potendosi attivare la “bomba nucleare” dei derivati a cui farebbero da
“detonatore” i precedenti default bancari. (illustrazione dell’Autore, licenza
Creative Commons).
Se il
Governo non interviene, le aziende o scaricano i costi sui clienti o sospendono
l’attività.
Perciò
Confcommercio ha chiesto al Governo di potenziare immediatamente il credito
d’imposta anche per le imprese non energivore e non gasivore.
Un
credito d’imposta del 15% per l’energia elettrica non è assolutamente adeguato
agli extra-costi che le imprese stanno sostenendo ora.
Occorre
portarlo al 50%, ma presto, altrimenti si rischia d’innescare anche una spirale
inflazionistica destinata a gelare i consumi.
Il
Governo, però, partorisce solo “pannicelli caldi”, e intanto qualcuno guadagna
alle spalle di altri.
Infine,
sebbene tutti gli italiani stiano sperimentando un aumento del costo della
vita, l’energia rappresenta una quota maggiore dei budget di alcune famiglie
rispetto ad altre, quindi lo shock energetico rischia di amplificare le
disuguaglianze esistenti.
Se a ciò si aggiunge l’aumento della
criminalità e del degrado portato dalla “mala gestio” dell’immigrazione
clandestina, è facile capire come il tessuto sociale italiano si avvicini
sempre più pericolosamente verso livelli di lacerazione, o “punti di rottura”.
E
purtroppo nessuno sa dove si collochino esattamente le soglie critiche nei
sistemi sociali ed economici.
Peraltro,
pochi italiani sanno – perché nessuno glielo dice – che chi è in regola con le
bollette elettriche deve oggi pure coprire alcuni buchi lasciati dai morosi:
si
tratta del cosiddetto “Cmor” o “corrispettivo morosità”.
È
questo, in sintesi, il contenuto di una delibera, la 50/2018, emanata
dall’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera), che il 1° febbraio 2018 ha emanato un
provvedimento che assegna ai consumatori – e non ai fornitori dell’energia –
l’onere di rifondere i debiti per gli oneri generali di sistema accumulati dai
morosi verso le aziende fornitrici a partire dal 1° gennaio 2016.
Gli
oneri di sistema, dunque, devono sempre essere pagati dai fornitori di energia
elettrica all’Authority che li ha decisi, anche sulle bollette non pagate per
morosità o per altri motivi.
Per ora, l’Authority ha deciso di accollare a
tutti i consumatori solo una parte degli oneri non pagati, pari a 200 milioni.
E quindi, su bollette elettriche già cariche
di oneri, da qualche anno si è aggiunto un nuovo prelievo a carico di chi paga
regolarmente.
Certo, in questi mesi gli oneri di sistema sono stati
tagliati dalle bollette elettriche di famiglie e aziende con i decreti del
Governo, ma questa misura è solo temporanea.
Già
nel 2018, si stimava attorno al miliardo di euro l’insoluto totale delle
bollette elettriche non pagate dai morosi.
Prima
di allora, diverse aziende elettriche erano entrate in crisi, e qualcuna aveva
addirittura dovuto chiudere i battenti, per questo il Governo intervenne
introducendo il Cmor.
D’altra
parte, poiché la coperta evidentemente è corta, qualcuno dovrà pur pagare i
crescenti insoluti dei clienti:
se non
i consumatori, le aziende fornitrici di elettricità (sempre più a rischio
fallimento, come dimostravano già i numerosi default dello scorso anno in Cina,
in Gran Bretagna e in altri paesi) o il Governo.
I
leader europei dovrebbero dunque prendere atto del fatto che applicare sanzioni
contro la Russia sul gas e sul petrolio è stata una scelta “improvvida”, per
usare un gentilissimo eufemismo.
L’Europa
occidentale ha deciso di suicidarsi, in un senso che appare sempre meno
metaforico e sempre più letterale.
I nostri politici devono scegliere: o due anni
di recessioni e probabili default a catena (forse pure di paesi) o addio
sanzioni.
E intanto l’Ungheria, membro dell’UE, si
accorda con Gazprom per avere 5,8
milioni di metri cubi al giorno in più (poco meno di un terzo di quanti ne
riceveva l’Italia a fine agosto!).
Cosa
potrebbe succedere e perché vedo il futuro dell’Italia assai “nero”.
Credo
che a questo punto risulti piuttosto evidente al lettore che, qualora si
superassero determinate soglie critiche per il perseverare di scelte
improvvide, e nell’incapacità di rimediare in tempi brevi agli errori fatti in
precedenza, si potrebbe lacerare in modo irreparabile il tessuto economico e
sociale del nostro Paese, innescando una spirale di effetti a catena difficile
da arginare e con effetti potenzialmente sistemici.
Peccato,
però, che l’Italia sia “too big to fail”, non sia la piccola Grecia condannata
da Draghi & Co.!
Le
avvisaglie di ciò che nel giro di un anno potrebbe succedere nel nostro Paese
in questa situazione sempre più potenzialmente esplosiva all’estero ci sono
già.
E non mi riferisco al movimento contro il
caro-vita Don’t pay UK, nato nel Regno Unito e che spinge affinché le famiglie
si rifiutino di pagare le bollette a partire da ottobre.
Infatti,
il mancato pagamento comporterebbe seri rischi, tra cui l’accumulo di debiti e
l’impatto sui punteggi di credito dei clienti;
pertanto,
un’iniziativa del genere “funzionerebbe” solo se vi aderisse un numero di
persone elevato, ben più dei circa 100.000 del Regno Unito.
Lo
spread BTP-Bund è in forte risalita, dopo un breve periodo di stabilizzazione
su bassi livelli.
Che
valori raggiungerebbe se si verificassero gli scenari più pessimistici a
seguito della crisi energetica o se le famiglie italiane smettessero in massa
di pagare le bollette luce e gas per i costi insostenibili?
Infine,
è da considerarsi un caso che lo spread abbia toccato il minimo degli ultimi 5
anni con il Governo Conte e abbia iniziato un’inversione di tendenza (cioè una
salita) da quel minimo proprio in coincidenza con l’insediamento del Governo
Draghi?
Penso,
piuttosto, alle dimostrazioni di massa e rivolte che ci sono in diversi paesi
sudamericani, in Egitto e perfino in Olanda, nel silenzio dei giornali italiani.
Ma,
come spiegano Becchi & Zibordi, “l’esempio più eclatante dell’effetto
distruttivo sulle vite umane delle politiche delle élite occidentali lo si è
visto nello Sri Lanka, che oggi è nel caos.
La ragione dichiarata è che la nazione è in
bancarotta, soffrendo la peggiore crisi finanziaria degli ultimi decenni e
milioni di persone stanno lottando per trovare cibo, medicine e carburante.
La carenza
di energia e l’inflazione sono stati i principali fattori alla base della
crisi”.
Come
raccontano gli autori del pezzo, “i manifestanti hanno fatto irruzione nelle residenze
ufficiali del Primo Ministro e del Presidente, che per paura sono fuggiti”.
I
leader politici del Paese avevano seguito alla lettera le direttive delle élite
“verdi” occidentali che chiedevano agricoltura biologica sostenibile, seguendo
criteri ambientali, sociali e di governance rivolti a ridurre la CO2 (di cui
sono pieni anche i piani dell’UE).
Inoltre,
là il lockdown dovuto al Covid-19 è stato imposto in modo drastico (vi ricorda
qualcosa?), sempre perché i leader del Paese erano allineati con le direttive
dell’OMS e degli Stati Uniti.
In
pratica, nell’aprile 2021 in Sri Lanka sono stati vietati i fertilizzanti
sintetici, usati dal 90% degli agricoltori locali, e così successivamente l’85%
di questi ha subito perdite di raccolto, con un crollo nella produzione di riso
e un aumento dei prezzi del 50% in sei mesi.
Il
prezzo di carote e pomodori è aumentato di cinque volte.
Alla
fine dello scorso agosto, il presidente Rajapaksa aveva dichiarato lo stato di
emergenza e, dopo di allora, il caos e la violenza sono aumentati fino a quando
i leader sono tutti dovuti scappare e nelle loro ville campeggiano ora i
manifestanti.
La
miccia di tutto? Una scelta politica improvvida.
Come,
del resto, improvvide sono le sanzioni attuate nei confronti della Russia dai
paesi europei, che non hanno valutato il rapporto rischi-benefici delle singole
misure che stavano andando ad applicare, esattamente come – non molti mesi
prima – non avevano neppure lontanamente valutato il rapporto rischi-benefici
(che oggi sappiamo essere certamente sfavorevole per le persone non anziane e
prive di co-morbidità) dei vaccini anti-Covid, di fatto imposti ai cittadini
europei ed in particolare a quelli italiani.
Insomma,
di questa Europa c’è davvero da avere paura quando si tratta di questioni
vitali.
Peraltro,
la Russia ha guadagnato moltissimo dalle sanzioni dell’UE sul gas e sul
petrolio, dato che queste hanno fatto impennare i relativi prezzi di mercato, e
di certo gli acquirenti asiatici che possano sostituire in buona parte quelli
europei non mancano.
Quindi,
anche da un punto di vista strettamente logico, perseverare con queste sanzioni
dimostra la totale mancanza di buon senso di chi prende queste decisioni.
Del
resto, la mancanza di buon senso – e un notevole livello di ignoranza – si nota
anche nel dibattito della politica su questi temi, il che non fa certo ben
sperare nella soluzione dei problemi impellenti.
L’Italia
si distingue sempre nel panorama europeo.
Ho
ancora nella mente un articolo in cui i ristoratori di Lucca esprimono la loro
rabbia per il caro-bollette, ma non per l’aumento in sé – o meglio non solo per
quello – ma soprattutto per il fatto che, a causa di vincoli della
Soprintendenza, viene loro impedito di installare i pannelli fotovoltaici che
permetterebbero di salvare le loro attività.
Ma è
veramente incredibile vedere come in tutti questi mesi il Governo e il Ministro
competente in materia non abbiano trovato il modo di rimuovere tali ostacoli,
favorendo concretamente la transizione alle rinnovabili.
Ancora
una volta, in effetti, si è vista la cecità del Governo nell’affrontare un
maxi-problema, già vista con la pandemia.
Esattamente
come in quel caso si è scelta una gestione una gestione “centralizzata” e in
sostanza monotematica – somministrazione di vaccini ignorando praticamente del
tutto l’esistenza di farmaci efficaci in fase di prevenzione e di cura,
snobbando così le cure domiciliari – oggi con il caro-bollette Governo e
Ministero non fanno informazione sulle possibili soluzioni di risparmio energetico,
né spingono la popolazione ad adottarle, pensando che siano sufficienti le
soluzioni “calate dall’alto”.
Già
nel caso del Covid abbiamo visto che puntare solo sulle soluzioni calate
dall’alto – vaccini e anticorpi monoclonali, questi ultimi soltanto per Massimo
Galli ed i pochi fortunati che hanno potuto usufruirne – non solo non ha
evitato un gran numero di morti per Covid e per effetti avversi, ma addirittura
si è rivelato un boomerang, se si considera che gli effetti avversi dei vaccini potrebbero
essere anche largamente sottostimati perché a lungo termine, se non addirittura
trans-generazionali.
Con l’energia si sta ripetendo “pari pari” lo stesso
errore, invece di coinvolgere la popolazione per un’azione anche dal basso.
Eppure,
basta leggere il mio precedente articolo sul tema per avere già alcuni esempi
delle tante cose che le persone potrebbero fare per risparmiare notevolmente
sulla spesa energetica (ad es. su quella per il riscaldamento invernale, che ne
costituisce la voce principale).
Ma se
le persone non le si informa, come potranno mai contribuire alla rapida
soluzione del problema energetico, che non lascerà a famiglie e ad aziende il
tempo per attendere molte delle soluzioni “calate dall’alto”?
In tale mancanza di informazione, purtroppo,
anche i media hanno un ruolo, poiché sono quasi del tutto latitanti.
I
meccanismi di formazione dei prezzi e le soluzioni adottate in altri Paesi.
La
struttura del mercato del gas può oggi essere vista come costituita da una
Russia monopolista di fronte a un gran numero di acquirenti dell’UE che possono
acquistare gas da altre fonti, ma solo a un costo in forte aumento.
Come
detto, anche in assenza di sanzioni, la Russia potrebbe voler aumentare il suo
prezzo e ridurre l’offerta.
Ciò,
però, non spiega perché gli italiani paghino ora delle bollette gas e luce
salatissime, quando il gas venduto loro – o usato per produrre elettricità – è
stato in buona parte acquistato dai big player con contratti a medio o lungo
termine, cioè a prezzi ben più bassi di quelli attuali.
Il gas
è utilizzato fondamentalmente nella generazione di elettricità (per circa 1/3),
per industria e servizi (circa 1/3) e per famiglie (un po’ meno di 1/3).
È
molto sostituibile in alcuni dei suoi usi (l’elettricità generata dal gas può
essere sostituita da elettricità generata da altre fonti), ma assai meno per
alcuni altri (un sistema di riscaldamento a gas non può bruciare petrolio o
carbone).
In media, Il gas russo rappresenta l’8,4%
della fornitura di energia primaria nell’UE, ma ci sono ampie variazioni tra
gli Stati:
il
Portogallo non importa gas dalla Russia, mentre l’Italia nel 2021 ne importava
circa il 40% del suo fabbisogno.
Rispetto
alla media della UE, il mix energetico italiano nel periodo pre-crisi si
contraddistingueva per una quota maggiore di energia prodotta con il gas
naturale e un peso minore di quella prodotta con il carbone e altri
combustibili fossili solidi, oltre che per l’assenza di energia nucleare.
Con particolare riferimento alla generazione
elettrica, dal gas naturale si ottiene fino al 50% dell’elettricità prodotta
nel Paese, contro il 20% circa dell’UE.
Pertanto,
il nostro Paese dipende fortemente dal prezzo del gas, ed è interessante capire
il meccanismo attraverso il quale esso si ripercuote sulle maxi-bollette di gas
e luce.
A
Rotterdam, esiste un mercato (il TTF) in cui viene trattata solo una piccola
percentuale del gas consumato in Europa:
quello
che arriva per nave liquefatto (ad es. dagli USA) e che in buona parte non è
soggetto a contratti a lungo termine.
Questo
è un mercato cosiddetto “spot”, cioè dove compri e vendi ogni giorno.
È solo il prezzo al TTF che nell’ultimo anno è
esploso, ma esso rappresenta una piccola parte del gas totale che ci arriva ed
è consumato.
Tuttavia,
anche tutto il resto del gas (e di conseguenza) l’elettricità venduti
all’ingrosso sono esplosi di prezzo seguendo il piccolo mercato olandese.
Perché?
Semplice,
poiché è in atto una speculazione bella e buona (specie da parte di grossisti e
big player), come messo in evidenza sia dal sottoscritto in una lunga e
dettagliata analisi, sia da Becchi & Zibordi , i quali osservano come “il prezzo
dell’80 o 90% del gas che ci arriva via gasdotto non sia in realtà variato” (in quanto acquistato anni prima con
contratti a medio o lungo termine).
Ma è difficile
– oltre che del tutto insufficiente per mettere un freno a questo andazzo –
ottenere un tetto europeo al prezzo del gas come ha chiesto l’Italia.
Le
resistenze della Germania e dell’Olanda, infatti, non sembrano superabili.
Nel
caso dell’elettricità, a questo effetto speculativo si somma poi il meccanismo
di formazione del prezzo sulla Borsa elettrica, che è il cosiddetto criterio
del prezzo marginale:
le
offerte di energia elettrica vengono accettate in ordine di prezzo crescente,
fino a quando la loro somma in termini di kWh arriva a soddisfare la domanda,
dopodiché il prezzo del kWh dell’ultimo offerente accettato (quindi quello più
alto) viene attribuito a tutte le offerte.
Questo
meccanismo andava bene trent’anni fa, quando le rinnovabili avevano una quota
marginale, ma certamente non più oggi;
oltretutto,
anche i costi di produzione delle centrali idro-elettriche sono ora molto più
bassi di quello del gas.
Il
perverso criterio del prezzo marginale nella formazione del prezzo giornaliero
alla Borsa elettrica, che fa piacere soprattutto ai produttori di elettricità
che posseggono grandi impianti a fonti rinnovabili ma molto meno al consumatore
finale. (fonte:
G.B. Zorzoli / Quale Energia )
L’Unione
Europea – seppure con grande e colpevole ritardo – sta perciò lavorando al
“disaccoppiamento” dei prezzi dell’energia elettrica da quelli del gas, come da
tempo richiesto da Spagna, Portogallo (che usano pochissimo gas e molte
rinnovabili per produrre energia elettrica), Francia (che usa soprattutto il
nucleare), e ora anche dalla Germania.
Così
si impedirebbe alla Russia di dettare all’Europa i prezzi dell’elettricità con
l’interruzione parziale o totale delle forniture di gas, sebbene non ci si
potesse certo ingenuamente aspettare che Putin reagisse in modo diverso alle
durissime sanzioni inflitte al proprio Paese.
Oltretutto,
per le aziende esiste un tema di competitività sia rispetto alle imprese
europee che extra-europee, che godono di prezzi energetici inferiori ai nostri.
Alcuni
Paesi hanno introdotto importanti agevolazioni che noi invece non abbiamo.
Ad es.
la Bormioli ha uno stabilimento in Spagna che, grazie al tetto al prezzo del
gas introdotto dal Governo spagnolo, si rifornisce a prezzi molto più bassi di
quelli italiani.
L’unica
soluzione di rapida attuazione sarebbe quella di introdurre un tetto al prezzo
del gas.
In
assenza di interventi, sia a livello europeo che nazionale, avremo un autunno
di forti tensioni sociali.
Sia la
Spagna che il Portogallo traggono oggi i frutti di un tetto massimo del costo
del gas che è stato di recente introdotto in entrambi i paesi.
Il
prezzo massimo è stato concordato dalla Commissione Europea (ottenendo allo
stesso tempo l’Autorizzazione a disconnettere temporaneamente la Penisola
iberica dal mercato elettrico dell’UE) e il prezzo del gas utilizzato per la
produzione di energia elettrica è stato fissato a 40 euro per MWh.
Tenendo
conto degli aumenti in corso, che probabilmente saranno necessari, si prevede
che il limite di prezzo raggiungerà una media di 50 € nei prossimi 10 mesi. Il
governo spagnolo si è assicurato un accordo sul fatto che rimarrà in vigore
fino al 31 maggio 2023.
Spagna
e Portogallo occupano una posizione unica all’interno dell’UE, perché non
dipendono dalle forniture russe per il loro gas naturale come altre nazioni.
La
loro posizione geografica significa che importano la maggior parte delle loro
forniture di gas dall’Algeria e da altri paesi.
Altri
vantaggi unici di Spagna e Portogallo sono che la Spagna è il paese con la più
grande capacità di stoccaggio e rigassificazione del gas in Europa (ha ben 6
rigassificatori) e che il Portogallo è un leader nel settore delle energie
rinnovabili nel mercato europeo.
Producono una notevole quantità di energia
solare, idraulica ed eolica.
Entrambe
le nazioni hanno forniture energetiche incredibilmente autosufficienti.
A
causa della loro posizione vantaggiosa, si sono definiti un’“isola
dell’energia”.
Sia il
primo ministro spagnolo Pedro Sánchez che il suo omologo portoghese António
Costa hanno utilizzato proprio questo termine.
I due
paesi rappresentano dunque un esempio virtuoso da seguire (la Spagna, fra l’altro, lo è stato
anche nella gestione della pandemia, dove ha avuto molti meno morti e
contraccolpi economici non introducendo alcun Green Pass). Dunque, questi due paesi oggi
risentono ben poco della crisi energetica.
Anche
la Francia si è mossa con intelligenza per risolvere il problema.
Ha
chiesto alla principale società elettrica di limitare l’aumento dei prezzi al
4% per il 2022 e fino a soddisfare la domanda a quel prezzo, chiedendo così
all’azienda di assorbire una buona parte del costo, determinando una forte
diminuzione anticipata dei flussi di cassa e una grande diminuzione del valore
di mercato.
Ciò
comporta un’inefficienza, in quanto il prezzo è inferiore al costo marginale,
ma consente un aumento ampio del surplus del consumatore, a costo di una
maggiore diminuzione del surplus del produttore.
L’Italia,
invece, ha scelto strade inadeguate sia rispetto al tipo sia alla portata del
problema.
Infatti,
ha puntato, da una parte, su una sorta di “sussidi” (peraltro non automatici)
per le fasce più povere – ma i sussidi non diminuiscono la domanda di energia,
contribuendo così a mantenere alti i prezzi dell’energia – e, dall’altra, sulla tassazione del 25%
degli “extraprofitti” delle società del settore energetico, rivelatasi un vero
e proprio “flop”, con solo 1 miliardo incassato a fronte dei circa 5 previsti.
Peraltro,
un’aliquota del 25% è ridicolmente bassa.
E meno
male che quello di Draghi era il Governo dei “migliori”!
Qualche
suggerimento non richiesto ai nostri futuri governanti.
I
rischi per il nostro Paese credo che siano stati ben illustrati in questo mio
articolo, e dipenderanno dalle soluzioni attuate o meno nel frattempo.
Nel
breve periodo, come sottolineato dalla Relazione annuale della Banca d’Italia ,
“la
possibilità di ricorrere a fornitori alternativi è limitata ai paesi già
collegati attraverso gasdotto (Algeria, Azerbaigian, Libia, Norvegia e Paesi
Bassi) e alle importazioni via nave di gas naturale liquefatto, tenendo conto
della capacità di rigassificazione degli impianti esistenti. Nel medio periodo,
un contributo essenziale potrà derivare da maggiori investimenti in fonti
rinnovabili”.
In
realtà, gli investimenti e gli investitori nelle rinnovabili in Italia ci
sarebbero, ma sono bloccati a livello autorizzativo.
La
soluzione per aumentare l’indipendenza energetica e ridurre la bolletta
elettrica è l’installazione di 60 GW di nuovi impianti da fonti rinnovabili nei
prossimi tre anni, come spiegato dal presidente di Elettricità Futura, Agostino Re Rebaudengo, il quale
chiede al Governo di “autorizzare 60 GW di nuovi impianti da rinnovabili, pari a
solo un terzo delle domande di allaccio già presentate a Terna. Essi faranno
risparmiare 15 miliardi di Smc di gas ogni anno, ovvero il 20% del gas
importato!”.
Questi
60 GW di nuove installazioni – che, darebbero un contributo oltre 7 volte
superiore rispetto a quanto il Governo stima di ottenere con l’aumento
dell’estrazione di gas nazionale – potrebbero provenire per 12 GW da eolico,
idroelettrico e bioenergie e per 48 GW dal fotovoltaico.
Se poi
per ipotesi i 48 GW di fotovoltaico fossero tutti realizzati su superficie
agricola, si utilizzerebbe appena lo 0,3% della superficie totale, oppure
l’1,3% della superficie agricola già oggi abbandonata.
Peraltro, gli impianti agro voltaici previsti
non sottrarrebbero neanche un metro quadrato di terreno!
Ciò in
attesa degli accumuli elettrici (2025) e dell’eolico off-shore per aumentare la
stabilità della rete.
I costi di produzione di energia attraverso le
rinnovabili, fra l’altro, sono calati moltissimo nell’ultimo decennio:
“Tra il 2010 e il 2021 i costi di
produzione dell’elettricità degli impianti fotovoltaici si sono ridotti dell’88
%, mentre nello stesso periodo i costi di produzione degli impianti eolici si
sono ridotti del 68%. Dati gli elevati costi di produzione dell’energia legati
all’aumento del prezzo del gas, in Europa nel 2022 la produzione di energia da
fonti rinnovabili è stata nettamente meno costosa”.
Già
oggi le aziende che hanno investito per aumentare l’autosufficienza energetica,
puntando sull’autoproduzione di energia attraverso il solare, “stanno godendo
di un guadagno di competitività clamoroso verso i concorrenti”.
Chi menziona il nucleare di nuova generazione
come soluzione del problema energetico probabilmente non sa che una centrale
nucleare impiega in media circa 14 anni e mezzo per essere costruita, dalla
fase di progettazione fino alla messa in funzione.
Pertanto,
occorre puntare forte sulle rinnovabili, rimuovendo soprattutto i vincoli
burocratici e amministrativi.
Da
gennaio a giugno, invece, in Italia – come spiega un esperto – “sono stati autorizzati grandi impianti per appena 2
GW, mentre avrebbero dovuto essere come minimo 10 volte tanto.
Nel
nostro Paese c’è ancora un grave problema di iter amministrativo e
autorizzazioni.
Questo stallo dipende prevalentemente
dall’incapacità dello Stato di conciliare lo sviluppo delle rinnovabili con le
strutture amministrative regionali e con il Ministero dei beni culturali.
La
procedura ‘VIA’ nazionale è di fatto bloccata, e le Regioni approvano a macchia
di leopardo in maniera umorale.
Gli unici impianti eolici di grande taglia
sono stati autorizzati direttamente per firma del presidente del Consiglio.
Vogliamo
affrontare la crisi così?”.
Non
c’è più spazio per il gas nel nostro sistema energetico verso la neutralità
climatica:
il gas
continuerà a ricoprire un ruolo di accompagnamento della transizione energetica
ma dovrà ridursi del 30% entro il 2030, in tutte le tipologie di consumo
(per il riscaldamento, per i processi industriali, etc.) ma soprattutto nella
generazione elettrica, perché è lì che disponiamo già in abbondanza di una
alternativa sicura, efficace ed economica:
le
fonti rinnovabili, appunto, cui si aggiungeranno in futuro le rinnovabili
basate sulle LENR (Low Energy Nuclear Reaction), che sembrano uscite da un
libro di fantascienza ma sono reali.
Inoltre,
non è pensabile di risolvere il problema energetico italiano agendo su solo uno
o due fattori.
Come illustrai a suo tempo in un mio lungo
articolo, esistono ben 10 fattori che già prima della pandemia rendevano le bollette
delle aziende e delle famiglie italiane fra le più care dell’Unione Europea.
Frutto
in molti casi di “favori” alle lobby di turno, negli anni sono state introdotte
anche delle riforme che hanno disincentivato il passaggio alle fonti
rinnovabili degli utenti.
Quindi,
se si vuole realmente prendere di petto la questione, occorre studiarsi per
bene quelle 10 cause e intervenire sul maggior numero possibile.
Come
osservato da Matteo Leonardi, co-fondatore e direttore esecutivo di “ECCO”, il”
think tank” indipendente per il clima, il Governo Draghi ha tolto gli oneri di
sistema dalle bollette elettriche “indipendentemente dai livelli di consumo e anche per
le seconde case. Le misure per le famiglie sono quindi generiche e non
selettive, mentre quelle per le imprese non sono sufficienti né pensate per
soluzioni strutturali, di efficienza e produzione rinnovabile, anche impiegando
le risorse del PNRR.
Inoltre, il disaccoppiamento del prezzo del
gas da quello dell’elettricità ha senso, ma solo se viene fatto non come misura
di emergenza ma nell’ottica di una riformulazione complessiva del disegno del
mercato elettrico”.
Si
noti che il lockdown energetico (o “lockdown produttivo”) non si avrebbe solo
in caso di futuri blackout programmati, ma si ha già ora per quelle attività
produttive i cui costi dell’energia sono tali che esse sono costrette a
fermarsi per non lavorare in perdita.
Purtroppo,
mi è capitato in più occasioni di rendermi conto che il dibattito pubblico su
questi argomenti è viziato da una conoscenza della materia generalmente molto
scarsa, il che rende difficile ai decisori politici di intervenire in maniera
corretta, come
abbiamo visto negli scorsi mesi con le misure adottate dal Governo, che non
stanno evitando la morìa di imprese.
In
più, abbiamo una carta stampata omologata (con poche lodevoli eccezioni),
social network con la censura sempre pronta se non sei allineato, politiche
sempre più coercitive e restrittive delle libertà, povertà in costante aumento,
immigrazione incontrollata che aumenta la criminalità, il degrado delle città
ed alimenta lo scontro sociale.
Da arma di “distrazione di massa”, le fake news e le
veline di regime veicolate dai media mainstream rischiano ora di diventare
un’arma di “distruzione di massa” per il nostro Paese.
Il tempo stringe, urge un’inversione di rotta,
o arriverà presto la fine che tutti temiamo.
(Mario
Menichella).
Chi
sono i nuovi fascisti:
vecchi,
irrazionali e depressi.
Ilriformista.it – Franco Bifo Berardi – (14
Ottobre 2021) ci dice:
Da Hitler
all’assalto alla Cgil: cos’hanno in testa?
Per
gentile concessione delle Edizioni Tlon e dell’autore, anticipiamo qui di
seguito ampi stralci della postfazione a “Come si cura il nazi”, saggio di Franco «Bifo» Berardi,
ormai diventato un classico, che torna in libreria in versione aggiornata per
la stessa casa editrice.
Quando
scrissi questo libretto, nel 1992, stavano emergendo due processi sulla scena
del mondo:
il
primo era la proliferazione della rete digitale destinata nel medio periodo a
mutare nel profondo l’economia e le forme di vita.
Il
secondo era la ricomparsa di una belva che per mancanza di concetti migliori
definivamo fascista, e si era ripresentata nel continente europeo, in un Paese
un tempo chiamato Iugoslavia, e si delineava all’orizzonte delle subculture
anche in Gran Bretagna e perfino in Italia, che col fascismo credevamo avesse
chiuso i conti per sempre.
In apparenza i due fenomeni erano eterogenei,
del tutto indipendenti.
Ma non
lo erano affatto a uno sguardo più attento, e a me interessava proprio
l’interdipendenza che lavorava nel profondo della cultura, della psicologia
sociale, della psicopatia di massa.
A
questa relazione fra i due processi allora emergenti è dedicato in gran parte
questo libretto.
Oggi
che entrambe le tendenze si sono pienamente sviluppate, la loro interdipendenza
appare più visibile.
Nelle
sue varie forme, spesso contraddittorie, l’ondata neo-reazionaria ha preso uno
spazio centrale con il fiorire dei movimenti razzisti, nazionalisti,
suprematisti che hanno avuto il loro punto più alto nella vittoria di Trump
alle elezioni del 2016, ma non sono certo finiti con la sconfitta dell’uomo
arancione nel 2020.
Ma le
manifestazioni di questa ondata neo-reazionaria sono talmente diverse,
sorprendenti e assurde che spesso rischiamo di confondere le diverse figure del
dramma, e di usare parole vecchie per parlare di fenomeni nuovi.
Il movimento trumpista, ad esempio, ha dato
vita a enunciazioni talmente assurde e a manifestazioni talmente demenziali che
spesso si può supporre di trovarsi di fronte a messe in scena rituali, a
grottesche rappresentazioni di consapevole disprezzo per la ragione.
Ma proprio questa enigmatica sfida alla
ragione è uno dei caratteri salienti di un movimento che esprime la progressiva
(e forse irreversibile) discesa nella demenza di larga parte della società.
Riconoscere
il carattere demente e grottesco delle enunciazioni e delle azioni del
movimento neo-reazionario non significa affatto sottovalutarne la pericolosità.
Al contrario, dobbiamo capire che la demenza
non è affatto un fenomeno marginale e provvisorio, ma è probabilmente un
carattere destinato a espandersi poiché l’umanità sperimenta l’impotenza della
Ragione di fronte agli effetti devastanti della Ragione medesima.
La
potenza della ragione umana ha generato mostri spaventosi come la bomba
atomica, e quindi ci sentiamo umiliati dai prodotti della nostra stessa
potenza, a tal punto che l’abbandono della ragione sembra essere la sola via
d’uscita.
Ai
tempi in cui scrivevo questo libretto mi chiedevo come curare il nazi.
Dunque
consideravo il riemergere della belva come un effetto psicopatologico, e non ho
alcuna ragione di ripensarci.
I
trumpisti col berrettino rosso e le corna da bisonte sono essenzialmente degli
idioti, come lo sono i leghisti con lo spadone indignati per l’invasione dei
marocchini, come lo sono i popolani inglesi che riaffermano l’orgoglio
imperiale britannico barcollando di ritorno dal pub.
Ma non
possiamo considerare irrilevante la moltiplicazione del numero di idioti,
perché anche le folle che marciavano nelle notti tedesche del 1933 erano folle
di idioti.
Forse piuttosto che di idioti dovremmo parlare
di sonnambuli, come nella scena iniziale e in quella finale del film di Ingmar
Bergman “L’uovo del serpente”: una folla di persone normalissime in bianco e
nero cammina per strada, ma il loro incedere si fa sempre più barcollante e
automatico, come se la folla metropolitana perdesse coscienza del suo esistere
medesimo, trasformata in una folla di zombie.
Il
serpente è il capitalismo, e il suo uovo si schiude per generare la violenza di
folle che hanno perduto il senso della propria esistenza, che non sono più
capaci di percepire la collettività solidale né la singolarità della persona, e
quindi si trasformano in indifferenziato “popolo”, in nazione, corpo collettivo
solo capace di riconoscersi in un’origine, in una identità, in un’appartenenza,
che per lo più è solo immaginaria, mitologica.
Dunque
non mi allontano dall’intuizione che ebbi nel 1992, ma adesso è tempo di
mettere in chiaro alcune questioni terminologiche e concettuali che trent’anni
fa erano difficili da focalizzare.
Dobbiamo davvero definire “nazisti” o
“fascisti” gli attori inconsapevoli della tragica farsa che si sta svolgendo in
larga parte del mondo?
La
farsa del nazionalismo che ritorna, del razzismo che si incarognisce, la farsa
delle retoriche militaresche e patriottarde?
E
inoltre: cosa è stato davvero il nazismo nella sua versione storica, e che
rapporto c’è stato in passato tra nazismo e fascismo, e in che misura quel
rapporto si ripresenta oggi?
La
sconfitta militare tedesca nel 1918 e l’impoverimento sociale conseguente
generarono un sentimento di impotenza che nella Germania del primo dopoguerra
prese la forma dell’odio contro coloro che erano considerati traditori della
nazione (ebrei, comunisti) e che l’avevano consegnata all’umiliazione di
Versailles.
Dall’umiliazione
collettiva emerse un Führer capace di riaffermare il destino del popolo
tedesco:
sottomettere
il continente ed eliminare la malattia razziale e ideologica dal corpo sano
della nazione.
Similmente
in Italia la convinzione di essere stati privati di una vittoria conquistata
sui campi di battaglia alimentò l’ascesa di Mussolini.
Non
importa che la vittoria italiana fosse una menzogna assoluta, perché l’Italia
era entrata in guerra con un tradimento delle alleanze preesistenti, e aveva
accumulato una disfatta dopo l’altra.
Come non importa che il mito tedesco della
pugnalata alle spalle fosse una menzogna per nascondere il fallimento della
vecchia classe militare prussiana.
Non
conta niente la storia, quando le folle si eccitano per la mitologia.
Ma allora il problema è: in quale orizzonte si
delinea la mitologia?
Quale
soggettività sociale esprime la mitologia?
La soggettività sociale che esprime la
mitologia del nazionalismo aggressivo nel XX secolo è quella di una popolazione
prevalentemente giovane, e di nazioni emergenti nella scena dell’imperialismo
occidentale.
Germania,
Italia, e, non dimentichiamolo, il Giappone, avevano questo in comune: erano
nazioni giovani che ambivano ad affermare la propria potenza con la conquista
militare e l’espansione imperialistica, come la Francia, e la Gran Bretagna
avevano fatto nei secoli precedenti.
Le
folle che seguirono il duce italiano e il Führer tedesco, per parte loro, erano
composte da giovani reduci, disoccupati, aspiranti conquistatori che credevano
in un futuro garantito dall’esuberanza fisica e mentale di un popolo giovane.
La
follia del fascismo novecentesco era una follia euforica, esuberante.
L’identitarismo
aggressivo del XXI secolo, al contrario, è espressione di un mondo declinante,
di popolazioni senescenti.
Perciò nel movimento neo reazionario del XXI secolo
emerge l’espressione di una demenza senile, di una depressione psichica senza
speranze eroiche, ma piuttosto sordida, rancorosa, ossessionata dall’impotenza
politica e dall’impotenza sessuale.
La
tesi del mio libretto di trent’anni fa appare dunque in qualche misura
confermata:
all’origine delle varie forme di identitarismo
aggressivo ci sta la sofferenza.
Ma i
caratteri della sofferenza psichica non sono gli stessi oggi rispetto al
Novecento.
Questi
caratteri sono mutati perché l’Occidente è entrato nel suo declino
irreversibile, e perché l’esaurimento si disegna come prospettiva generale del
pianeta: esaurimento delle risorse, esaurimento delle possibilità di espansione
economica, esaurimento dell’energia psichica.
Questa
è solo la prima parte della storia.
Poi
c’è la seconda, che nel mio libretto d’antan manca completamente e che ora
emerge invece con brutale chiarezza.
Di che sto parlando?
Sto
parlando del fatto che l’esperienza che abbiamo fatto nei primi decenni del XXI
secolo ci obbliga a rivedere la periodizzazione del secolo passato.
Siamo
stati abituati a pensare che nel Novecento si sia svolta una battaglia
gigantesca nella quale si distinguono tre attori principali: il comunismo, il
fascismo e la democrazia.
Questa visione della storia novecentesca è
legittima, se ci poniamo dal punto di vista degli anni Sessanta, del trentennio
glorioso in cui borghesia e classe operaia realizzarono un’alleanza progressiva.
Ma da quando, nel 1973, un colpo di Stato nazista venne
ordito contro il presidente cileno Salvador Allende con la collaborazione
attiva del segretario di Stato degli Stati Uniti, e con la consulenza scientifica
degli economisti della scuola di Chicago, da quando quel colpo di Stato spianò la strada
all’affermazione dapprima locale, poi occidentale, poi globale dell’assolutismo
capitalistico, autoproclamatosi democrazia liberale, le cose hanno cominciato a
presentarsi sotto un’altra luce.
Nella
nuova luce a me pare di vedere che gli attori non sono mai stati tre, ma sempre
due:
il dominio assoluto del capitale (in forme
democratico-liberali o in forme nazional-suprematiste) è il primo attore,
il secondo è l’autonomia egualitaria della
società, il movimento del lavoro contro lo sfruttamento.
Certo,
è vero che il nazismo e la democrazia liberale si scontrarono tra loro nella
più cruenta delle guerre, ed è vero che dalla seconda guerra mondiale in poi la
democrazia liberale ha dovuto incorporare forme economiche e culturali del
socialismo.
Certo, i trent’anni dell’alleanza socialdemocratica
tra capitale progressivo e movimento sindacale e politico dei lavoratori sono
stati una parentesi lunga di contenimento degli istinti animali del capitalismo.
Ma non
era che una parentesi, appunto, e non appena il capitale ha intravisto il pericolo
di un diffondersi del potere operaio, e dell’autonomia sociale egualitaria, il
suo istinto si è manifestato nella sola maniera in cui si poteva manifestare:
ristabilendo il patto di acciaio con il nazismo.
Il
contrasto fra democrazia liberale e sovranismo aggressivo, che sembra
fortissimo negli anni della presidenza Trump, non è in effetti che una messa in
scena piuttosto labile.
Certamente
gli elettori di Trump o di Salvini si sentono umiliati dalla violenza economica
del capitale assolutistico finanziario.
Ma non vi è alcuna strategia di fuoriuscita dal
capitalismo nel sovranismo delle destre, e infatti coloro che abusivamente si
definiscono come “populisti” una volta al governo perseguono politiche di
totale dipendenza dal capitale finanziario, di riduzione delle tasse per i
ricchi, di piena mano libera sulla forza lavoro.
Credo che non si sia mai tentata un’analisi
spregiudicata di ciò che accomuna profondamente nazismo e neoliberismo, parola
edulcorata ed equivoca con cui si intende l’assolutismo del capitale.
Il cosiddetto “neoliberismo” infatti afferma che la
dinamica economica è autonoma dalla regola giuridica, perché la legge della
selezione naturale non può essere contenuta da nessuna volontà politica.
Naturalmente in questa pretesa arrogante c’è
un nucleo di verità scientifica che la sinistra ha generalmente sottovalutato,
e prende nome di darwinismo sociale.
Ma
proprio in questo nucleo di verità scientifica, riducibile alla formula “nell’evoluzione naturale prevale il
più forte, o meglio il più adatto all’ambiente”,
si
trova la ragione di un’alleanza obiettiva tra neoliberismo e pulsione nazista
mai definitivamente cancellata.
Come
negare la verità dell’assunto evoluzionista, che in fondo è un puro e semplice
truismo, una verità auto-evidente?
L’ovvia
constatazione che il più forte vince, viene tradotto in una strategia politica
per effetto di un paralogismo, di una dimenticanza, o di una menzogna.
Si
omette semplicemente il fatto che la civiltà umana si fonda proprio nello
spazio aperto dal salto dalla natura alla sfera della cultura.
E si omette il fatto che Darwin non ha mai
preteso di estendere il suo modello esplicativo alla società umana.
E infatti la civiltà umana si trova in estremo
pericolo nel momento attuale, dopo quaranta anni di dominio neoliberale, di
devastazione sistematica dell’ambiente planetario, di impoverimento sociale e
decadimento delle infrastrutture della vita pubblica.
In
questa situazione di estremo pericolo per la civiltà umana stessa, nel momento
in cui la dimensione della libertà politica scompare nelle maglie sempre più
strette dell’automatismo tecnico e dell’assolutismo capitalistico, ecco emergere
di nuovo la soggettività rabbiosa, un tempo euforica e oggi depressa, un tempo
isterica e oggi demente che solo a prezzo di una imprecisione (perdonabile)
possiamo chiamare “fascismo”.
Si rimodula quindi anche la relazione tra
fascismo e nazismo.
Già nel
XX secolo il nazismo fu la manifestazione organizzata di una volontà di potenza
suprematista, l’espressione di una cultura che si considerava superiore per
ragioni storiche, etniche, ma anche per ragioni culturali, e tecniche.
Il
nazismo, come il cosiddetto “neoliberismo”, sono espressione dell’arroganza dei
vincitori.
Il fascismo novecentesco aveva un carattere diverso,
perché era espressione, talora petulante talora rabbiosa, di una cultura
considerata inferiore (gli italiani e i mediterranei in generale occupavano una
posizione intermedia tra la razza eletta e i popoli decisamente inferiori,
nell’immaginario razzista del Terzo Reich).
La potenza tecnica ed economica del Paese di
Mussolini non era paragonabile alla potenza dei Paesi “demoplutocratici”, e
neppure della Germania di Krupp e di Thyssen.
Allo
stesso modo nel movimento neo reazionario del XXI secolo si deve distinguere il
nazismo dei vincitori, che si incarna particolarmente nella cultura del ceto
tecno-finanziario, dal Fascismo dei perdenti.
Razzismo
e xenofobia si manifestano in maniere diverse nella cultura dei vincenti
nazi-liberisti e in quella dei perdenti sovranisti e fascistoidi.
Per
questi ultimi è volontà di esclusione, di respingimento se non di sterminio,
mentre nuove ondate di migrazione sono continuamente suscitate dalle guerre,
dalla miseria, dai disastri ambientali provocati dal colonialismo passato e
presente.
I vincenti nazi-liberali (globalisti) vedono
di buon occhio le migrazioni, purché i migranti non pretendano di istallarsi
nei quartieri alti, e accettino le condizioni di lavoro che vengono loro
imposte dai tolleranti liberal à la Benetton.
Per i fascistoidi identitari delle periferie i
migranti sono un fattore di concorrenza sul lavoro e un pericolo quotidiano.
La
classe dirigente democratico-liberale globalista predica la tolleranza ma
costruisce alloggi per migranti nelle periferie povere, non certo ai Parioli o
in via Montenapoleone.
Per
questo il razzismo attecchisce tra i miserabili delle periferie, mentre ai
quartieri alti si tratta con cortesia la serva filippina.
Il
razzismo non è un cattivo sentimento dei maleducati rasati a zero che si
ritrovano negli stadi a gridare slogan dementi, ma qualcosa di molto più
profondo e di molto più organico:
esso
si radica nella storia di secoli di colonizzazione, sottomissione schiavistica,
estrazione delle risorse dei Paesi colonizzati.
E
quella storia non è affatto conclusa.
Non è
possibile emanciparsi dal razzismo fin quando non si riconosce che la miseria
dei Paesi del Sud è il prodotto dello sfruttamento bianco, e che questa miseria
continuerà a provocare miseria, disperazione, emigrazione fin quando non
saranno state rimosse le conseguenze del colonialismo e dell’estrattivismo.
Ma
rimuovere quelle conseguenze non sarà possibile fin quando l’assolutismo del
capitale continuerà a essere la forma generale dell’economia del mondo.
Forse dunque non sarà possibile mai.
Trent’anni
fa mi chiedevo come sia possibile curare il nazi.
Ora mi
sembra di dover dire che è stato il nazi a curare noi, per guarirci
dell’infezione che ci rendeva umani.
Al
punto che se un tempo pensavamo che non avremmo accettato di convivere con il fascismo,
ora siamo tentati di chiederci se il fascismo vorrà convivere con noi. (Franco Bifo Berardi).
Content
Revolution.
Incidente
di Ciro Immobile, si indaga sui cellulari di calciatore e autista del tram:
giallo su dinamica e testimoni.
A
quasi una settimana dall’incidente avvenuto domenica 16 aprile su Ponte
Matteotti a Roma, coinvolgendo il Suv dell’attaccante della Lazio Ciro Immobile
e un tram Atac, ancora non è chiara la dinamica dell’impatto che ha provocato
il ferimento di 12 persone, tra cui lo stesso bomber, le figlie di 10 e 8 anni
e il conducente del mezzo più alcuni passeggeri.
Mancanza
di chiarezza anche perché i due protagonisti principali dell’incidente, lo
stesso Immobile e il macchinista dell’Atac, hanno fornito versioni opposte.
Il conducente del tram ha spiegato alla
polizia municipale che il tram è stato colpito dall’auto “dopo che ero partito
con il semaforo verde, ci è arrivata addosso come un missile”.
Il
bomber della Lazio, assistito dal legale Erdis Doraci, sostiene invece che il
mezzo pubblico sia “passato col rosso”.
Non
aiutano neanche le versioni dei fatti ‘proposte’ da tre testimoni oculari che
si sono recati dai vigili urbani del gruppo Prati, delegati all’indagine, due
giorni dopo lo scontro.
La Municipale sta verificando l’attendibilità
dei loro racconti: potrebbero essere sentiti nuovamente e, nel caso dovessero
emergere contraddizioni nei loro racconti, rischierebbero la denuncia per false
dichiarazioni.
Gli
investigatori vogliono chiarire innanzitutto se i tre fossero realmente
presenti su Ponte Matteotti la mattina dell’incidente:
tutti
hanno riferito in una memoria scritta, scrive Repubblica, di aver visto il Land
Rover di Immobile partire con il verde.
Doraci,
avvocato del calciatore della Lazio, d’altra parte ha rimarcato allo stesso
quotidiano che “noi non abbiamo cercato o presentato nessun nuovo testimone”.
Da
chiarire anche la velocità al momento dell’incidente dell’auto di Immobile.
Il
calciatore ha sempre sostenuto che procedeva a una velocità inferiore ai 50
chilometri orari, ma per conferme definitive servirà una perizia tecnica.
Secondo
gli esperti del sito “Cityrailways”, la Land Rover del calciatore quando ha
colpito il tram viaggiava invece ad almeno 80 chilometri orari.
Al
momento appare chiaro invece, al contrario di quanto evidenziato subito dopo
l’incidente, che lo scontro non è avvenuto per un malfunzionamento
dell’impianto semaforico: la Roma servizi per la mobilità ha infatti assicurato che al
momento dell’incidente erano perfettamente funzionanti.
Altra
carta che si stanno giocando gli investigatori del gruppo Prati è
l’accertamento sugli smartphone di Immobile e del macchinista.
Un
atto dovuto, sottolinea Repubblica, consentito dalla legge 689 e che prevede la
possibilità di “procedere ad ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora,
a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione
tecnica”.
Chiaro
ovviamente il motivo di tali accertamenti: scoprire se l’incidente di domenica
scorsa sia stato provocato da una eventuale disattenzione alla guida di uno tra
il calciatore e il tranviere.
In
ogni caso, malgrado le versioni contrastanti sulle eventuali responsabilità
dello scontro, nei giorni scorsi Immobile ha fatto recapitare un telegramma
distensivo al tranviere: “Che incidente, per fortuna non ci siamo fatti male.
Ti
abbraccio.
Content
Revolution.
Balneari
e Pnrr, è il governo delle proroghe: si scrive, si approva e non si fa.
Concessioni
spiagge? Rinviato. Concessioni ambulanti? Prorogate. Pnrr? Rinvii “necessari”.
Case
green e auto elettriche? Vedi sopra.
Maggiori
permessi per i lavoratori stranieri?
Si
scrive, si approva ma non si fa.
Taglio
degli sgravi fiscali per finanziare la riforma del fisco o le nascite?
Se ne parla ma non si fa.
Mettiamoci
anche le nomine in Rai, faccenda dolente per non dire dolentissima visto che si
parla dell’informazione.
Le
ricette ci sono.
Ed è anche vero che la bacchetta magica non ce
l’ha nessuno.
E però
il governo dei “pronti” è pronto soprattutto in una cosa: rinviare e prorogare.
Cercare
compromessi fra tre fronti tutti ugualmente impegnativi: gli slogan della
campagna elettorale e di un consenso cresciuto stando all’opposizione;
gli
impegni istituzionali, internazionali e le regole condivise che nessuno,
neppure Meloni, una volta a palazzo Chigi può esimersi da rispettare e onorare;
le
pulsioni di rivincita degli alleati, uno soprattutto, quel Matteo Salvini che
avendo accettato negli ultimi cinque anni di stare per ben due volte al governo
ha visto precipitare il consenso dal 33 al 9 per cento.
L’andamento
opposto a Fratelli d’Italia che è stato sempre all’opposizione.
Intanto
Bruxelles ci bacchetta e si fida sempre meno dell’Italia.
Nonostante
gli sforzi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, vero Stakanov
della nostra agenda esteri.
In
questa cornice vanno letti i fatti degli ultimi giorni.
E alcune scelte comunicative della premier:
giovedì ha dirottato il dibattito pubblico sulla ormai famosa vignetta di
Natangelo che aveva come protagonista Arianna Meloni.
Era il
giorno in cui Bruxelles ci ha stangato due volte -balneari e diritti Lgbt – ma
il grande pubblico ne ha saputo poco o nulla.
Ieri palazzo Chigi ha annunciato un consiglio
dei ministri straordinario il Primo maggio, festa dei lavoratori, in cui
saranno annunciate misure straordinarie per i lavoratori.
Che si
dà il caso quel giorno, giornalisti compresi, non dovrebbero lavorare.
Ma
soprattutto, poiché in quel pacchetto ci sarà anche la revisione del Reddito di
cittadinanza e il destino di migliaia di famiglie che da fine luglio restano
senza sussidio, forse quel Cdm andrebbe fatto prima.
Giovedì
sera il Consiglio dei ministri ha finalmente approvato – dopo due rinvii e
parecchie turbolenze – il disegno di legge sulla concorrenza (quella annuale e
che spesso non riusciamo a fare).
Il
ministro titolare Adolfo Urso avrebbe ottenuto il “placet della Commissione Ue”
e, soprattutto, il via libera di tutta la maggioranza.
Il
motivo del rinvio nelle ultime settimane erano state le concessioni per gli
ambulanti (anche loro, come tutte le concessioni, nel perimetro Bolkestein)
grazie ad un blocco trasversale a tutti i partiti della maggioranza che diceva
no alla messa in gara delle licenze.
E così è andata infatti:
gli
ambulanti possono stare tranquilli per altri dodici anni.
L’articolo
6, su undici, del ddl dice che “le concessioni già in essere per il commercio sulle
aree pubbliche saranno prorogate per altri dodici anni”.
Dodici
anni non sono un tempo che può andare d’accordo con il concetto di concorrenza
e trasparenza.
Le
associazioni di categoria, a suo tempo rassicurate sul punto, hanno ottenuto
quello che volevano: una sanatoria.
“E’
una salvaguardia del legittimo affidamento degli attuali concessionari” è stata
la spiegazione.
Gli altri ambulanti che legittimamente
ambiscono ad avere i posti fissi ed assegnati, possono attendere.
Bruxelles
è stata “soddisfatta” con i parcheggi (concessioni per 10 anni tetto massimo di
licenze per ogni operatore).
La legge sulla concorrenza è uno dei milestone
del Pnrr:
dobbiamo
farla e adeguarla ogni anno (quella di ieri è del 2022).
Il
problema è che anche quella del 2021 (governo Draghi) è stata approvata ma poi
si è persa per strada.
Insieme con l’allora premier: catasto, taxi,
balneari, le potenti lobby che tradizionalmente fanno capo della destra.
Dei primi due non si sa più nulla.
Sulle
concessioni balneari ieri è arrivata l’ennesima e definitiva mazzata:
la
sentenza della Corte di giustizia ha bocciato i rinnovi automatici delle
licenze balneari e chiede all’Italia di applicare la direttiva Bolkestein.
Senza sé, senza ma e senza ulteriori rinvii.
Come
stabilisce del resto le legge sulla concorrenza del governo Draghi per cui a
gennaio 2024 i comuni devono mettere a gara le concessioni.
Nel
Milleproroghe la maggioranza è riuscita ad ottenere un rinvio fino alla fine
del 2025.
Oltre la sentenza, è avviata dal 2020 anche la
procedura d’infrazione:
la lettera della commissione, quella che dà il
via alla multa, è già pronta ma è stato deciso di inviarla il prossimo mese
“per dare il tempo al governo italiano di adeguarsi”.
Questo significa che la premier ha promesso di trovare
una soluzione.
Quale,
però, non si sa. Intanto si rinvia.
Salvini,
che come controparte per aver ceduto qualcosa sul decreto immigrati ieri ha
ottenuto la nomina a “Commissario per la siccità”, chiede che ora si faccia la
mappatura dei siti.
Una
scusa per prendere alto tempo: quella mappatura esiste già.
Potremmo
qui parlare anche di Mes, la prossima settimana il ministro Giorgetti dovrà
giustificare i nostri rinvii per la ratifica. E di altri rinvii, quelli sui “flussi
legali” per i lavoratori stranieri:
c’è una domanda di mano d’opera per 300 mila
persone ma l’ultimo flusso si è fermato a 82 mila.
Eppure
anche questa è una promessa/impegno del decreto Cutro approvato l’altro giorno.
Con
queste premesse speriamo che Bruxelles ci conceda la proroga sul Pnrr.
Content
Revolution.
Giorgia
Castriota, la giudice arrestata per corruzione tra gioielli e viaggi: “C’è una
marea di soldi da spartirsi.”
“C’è
una marea di sordi da spartirsi”, in quello che il gip di Perugia Natalia
Giubilei definisce “un gruppo ben strutturato”.
Il
gruppo in questione è quello capitanato dal giudice per le indagini preliminari
di Latina Giorgia Castriota, arrestata giovedì 20 aprile insieme ai consulenti
Silvano Ferraro, con cui la gip aveva una relazione, e Stefania Vitto, i primi
due in carcere e la terza posta invece ai domiciliari.
Parole
intercettate dalla guardia di finanza nell’ambito dell’inchiesta che ha portato
all’arresto della 45enne Castriota: le accuse nei confronti dei tre sono
a vario titolo di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio,
corruzione in atti giudiziari e induzione indebita a dare o promettere utilità.
Indagine
nata dalla denuncia sporta dal rappresentante legale pro tempore di alcune
società, tutte riconducibili allo stesso gruppo operante nel settore della
logistica, sotto sequestro per reati tributari nell’ambito di un’inchiesta
portata avanti proprio dalla Procura di Latina.
L’imprenditore
ha evidenziato, nella sua denuncia, “condotte non trasparenti e irregolarità nella
gestione dei compendi aziendali” sequestrati da parte dei consulenti con l’avanzo del
gip.
L’attività
di indagine, portata avanti anche con intercettazioni, ha permesso di
ricostruire rapporti amicali molto stretti tra il giudice e i due consulenti,
un rapporto che, sottolinea la Procura di Perugia, “dovrebbe impedire, per legge di
accettare o conferire incarichi di amministratore giudiziario e coadiutore, nel
caso in cui il rapporto amicale con il magistrato è caratterizzato da assidua frequentazione
“.
Secondo
l’indagine della Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone “la personalità che è emersa
relativamente alla Castriota è quella di una donna che ha bisogno di soldi, ma
non perché il suo stipendio sia oggettivamente basso, ma perché si ostina a
voler vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche né la stessa
sembra voler rinunciare all’acquisto di oggetti di lusso, come gioielli o
orologi.
In questo ambito ha quindi pensato di
sfruttare il proprio ruolo per lucrare sulle nomine del compagno e di amici,
dai quali farsi poi remunerare quale atto dovuto”.
Come
emergerebbe anche dalle intercettazioni riportate dall’Agi: “La chiarezza delle intercettazioni è
lampante – scrive il gip -, arrivando a domandare alla domestica che
“interceda” presso Ferraro per farsi dare ‘qualche soldino in più’”.
In
violazione della legge, nonostante il rapporto sentimentale con Ferraro e
quello amicale con Vitto, la gip di Latina non avrebbe esitato a nominarli
amministratori giudiziari e coadiutori.
Dai
due consulenti Castriota avrebbe in cambio ricevuto una sorta di stipendio mensile,
ma anche un lungo elenco di beni e altre utilità.
Tra
questi denari, un Rolex da 6mila euro, l’affitto di una casa a Roma dove viveva
nonostante l’incarico a Latina, un abbonamento alla Roma presso lo stadio
Olimpico in tribuna autorità dal valore di oltre 4mila euro, oltre a vestite e
borse di note marche.
Stile
di vita rimarcato in una conversazione intercettata con una amica, riportata
dal Corriere della Sera: “Volevo comprarmi il dado di Bulgari che costa intorno ai 1800
euro… ho detto quasi quasi… Poi se mi avanza qualche soldino, te lo dico, me
volevo compra? un Rolex di secondo polso. Magari sui 20mila, ed estinguo le
rate della macchina”.
A
spese di Ferraro Castriota e una amica vanno anche New York e progettano una
seconda trasvolata a Los Angeles o una crociera sul Nilo.
La
Russia lascia l'Occidente neoliberista
per
unirsi alla
maggioranza mondiale.
Unz.com
- MICHAEL HUDSON – (14 APRILE 2023) – ci dice:
In
questo episodio del loro programma “Geopolitical Economy Hour”, gli economisti “Radhika Desai” e “Michael
Hudson” discutono della transizione economica della Russia dall'Occidente
neoliberista e dell'integrazione con quella che chiama la "maggioranza mondiale"
nel Sud del mondo.
Trascrizione:
RADHIKA
DESAI: Ciao a tutti, benvenuti alla settima Ora dell'Economia Geopolitica, un
programma sull'economia politica e geopolitica del mondo in rapida evoluzione
di oggi.
( 'm
Radhika Desai.)
MICHAEL
HUDSON: E io sono Michael Hudson.
RADHIKA
DESAI: E come alcuni di voi sanno sono appena tornata dalla Russia, motivo per
cui stiamo facendo questo show con una settimana di ritardo.
Naturalmente
è stato un periodo davvero interessante lì. Ho partecipato a molte conferenze,
ho parlato con un sacco di persone: economisti, osservatori politici,
commentatori, ecc.
Michael
e io abbiamo pensato che quello che avremmo fatto oggi sarebbe stato parlare
delle mie impressioni, e anche intrecciarle in una discussione più ampia su come
l'ordine mondiale sta cambiando verso il multipolarismo.
Sono
successe tante cose.
Il
presidente Xi è andato in Russia e il presidente Macron è andato in Cina, e
stanno succedendo così tante cose.
Quindi
intrecceremo tutto questo in una discussione più ampia sulle mie impressioni
dalla Russia.
Quindi
quello che Michael e io abbiamo pensato di fare è concentrarci su due punti
particolari che pensavamo fossero interessanti e che ho colto quando ero in
Russia è che durante il vortice di conferenze a cui ho partecipato, in cui
hanno parlato alcuni russi molto importanti, l'unica cosa che ho sentito che è
stata davvero interessante è una dichiarazione decisiva proveniente da alcuni
dei relatori più influenti, che essenzialmente la Russia si sta allontanando
dall'Occidente e non tornerà mai più.
E la
seconda idea, anch'essa molto affascinante, è che sempre più spesso i russi ora
pensano a sé stessi come parte di una "maggioranza mondiale".
Giusto,
Michael? Per
noi queste sono le due cose più interessanti.
MICHAEL
HUDSON: Il
punto importante è che una volta che ti stacchi dall'Occidente, a cosa ti
rompi?
E
mentre eri in Russia a parlare di come volevano qualcosa di nuovo, l'intero
Occidente era in subbuglio.
Siamo
davvero a un punto di svolta di una civiltà, probabilmente il più grande punto
di svolta dalla prima guerra mondiale.
Dove,
per non seguire l'Occidente, ci deve essere un intero nuovo insieme di
istituzioni che non sono occidentali.
Un nuovo tipo di Fondo Monetario Internazionale (FMI),
che significa una sorta di mezzo per finanziare il commercio e gli investimenti
tra i paesi non occidentali.
Una
specie di nuova Banca Mondiale. Bene, finora abbiamo la “Belt and Road Initiative” per
un nuovo tipo di investimento.
E
quello di cui stiamo davvero parlando, dal momento che un tema del nostro
discorso è sempre stato Biden che ha detto che questa scissione andrà avanti
per vent'anni, stiamo davvero parlando della divisione tra il capitalismo
finanziario occidentale e la maggioranza globale che si muove verso il social-nazismo.
RADHIKA
DESAI: Esattamente. E sembra che ci sia stata una crescente consapevolezza di
questo in Russia. Quindi, solo per approfondire il primo punto, che è della
Russia che si allontana dall'Occidente.
Ero a
una conferenza alla “Scuola Superiore di Economia”, ed è importante sottolineare che si
tratta di un'istituzione post-comunista molto prestigiosa, progettata per
sviluppare e radicare essenzialmente il neoliberismo in Russia.
E
nelle sacre sale di questa istituzione, che tra l'altro è molto bella. Era
un'ex accademia militare. Ogni anno si tiene una conferenza annuale sulla politica
economica e così via.
Ed è
qui che, in un [panel] sulla "Maggioranza Mondiale", come era
intitolato, ho sentito Dmitri Trenin fare una dichiarazione davvero
interessante.
Ora,
anche Demitri Trenin è interessante e importante.
Era,
di nuovo, parte di questo più ampio gruppo di persone filo-occidentali e
pro-neoliberiste.
Ha diretto la Carnegie Institution di Mosca ed è
interessante notare che in particolare dopo il 2014, e dopo il 2022, quando
molte persone del suo genere avevano lasciato la Russia, ha deciso di rimanere
ed è ancora molto in prima linea nei commentatori in Russia.
Ha
detto: "Quando la guerra sarà finita, la Russia non si sforzerà di far parte
dell'Occidente". Quel capitolo, ha detto, è finito.
Quindi
è davvero affascinante. Che qualcuno come lui dovrebbe dirlo. E solo come un dato di
fatto.
E
questo è interessante perché se si torna con la mente indietro, si conosce,
Lenin, dai primi giorni della rivoluzione russa, e anche prima di rendersi
conto che il destino della Russia era legato all'Est.
Ma poi
in particolare, dopo la seconda guerra mondiale e Krusciov tutto ciò, hai visto
una crescente svolta verso l'Occidente e la Russia è rimasta molto orientata
verso l'Occidente.
E ora questo è finito.
E il
presidente della sessione era un anziano professore di nome Sergei Karaganov.
Ed era stato uno dei fondatori del Valdai Club. Ancora una volta, il Valdai Club, che
è una specie di equivalente del “Council on Foreign Relations” negli Stati
Uniti.
Il “Valdai
Club” è stato anche istituito come un modo in cui gli intellettuali russi
avrebbero incontrato gli intellettuali occidentali e pensato alla Russia come
parte dell'Occidente.
Ma
anche Sergei Karaganov ha concluso la sessione ribadendo, e ha detto: "La Russia non tornerà mai più
in Occidente. È fatto lì", ha detto. Quindi ho pensato che fosse davvero
affascinante.
MICHAEL
HUDSON: Beh,
la cosa interessante è che mentre si parla di quale sia il futuro della Russia
con la Cina, l'Iran e il resto dell'Organizzazione per la Cooperazione di
Shanghai, c'è stata una sorta di frenetico discorso a Washington, specialmente
negli incontri di questa settimana con il FMI e la Banca Mondiale su – beh, se
l'Eurasia va in quella direzione, cosa accadrà a quello che chiamiamo il Sud
del mondo. Cosa succederà all'America Latina e all'Africa?
Beh,
avete avuto il primo signor Blinken degli Stati Uniti, e poi il vicepresidente
Harris andare in Africa e dire:
"Vogliamo
assicurarci di avere il vostro cobalto, abbiamo le vostre materie prime, e che
lasciate tutti gli investimenti degli Stati Uniti e della NATO sul posto e non
date nulla di cobalto o litio o altre materie prime alla Cina, alla Russia e
all'Eurasia".
Quindi,
essenzialmente, i paesi dell'emisfero meridionale si trovano di fronte a una
scelta.
Ciò
che è così interessante è ciò che rende questa scelta diversa da quella che
era, diciamo, nel 1945.
Dopo
la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano ogni sorta di argomenti
economici sul perché il capitalismo avrebbe offerto prosperità al mondo intero,
incluso l'emisfero meridionale.
E la Russia sovietica in quel momento stava
spingendo il comunismo.
Beh,
oggi non c'è discussione ideologica.
Da un
lato, l'Occidente non ha alcun tentativo di giustificare l'adesione al blocco degli
Stati Uniti e della NATO.
Tutto
ciò che dice è: "Se non ti unisci a noi, faremo a te quello che abbiamo fatto alla
Libia, e faremo a te quello che abbiamo fatto all'Ucraina.
Usa la
forza pura.
La
domanda ora è cosa dirà la maggioranza globale e cosa dirà l'Eurasia.
"Beh,
non ti forzeremo. Non ti attaccheremo. Non avremo una rivoluzione colorata. Ma ecco il futuro economico e il modo
di organizzare il commercio internazionale e il mercato degli investimenti che
ti aiuterà.
Beh, potete solo immaginare
se Gesù fosse entrato e avesse cercato di fondare il cristianesimo dicendo:
"Uccideremo tutti coloro che non sono d'accordo con questo”.
Che
non sarebbe mai decollato.
Penso
che il piano neoliberista oggi abbia più o meno altrettante possibilità di
decollare.
Non
riuscirai a far sì che il mondo ti segua solo minacciando di bombardarlo, ma
questo è tutto ciò che l'America e la NATO hanno da offrire: astenersi dal
bombardare altri paesi se non lasciano le cose come erano prima.
RADHIKA
DESAI: Esattamente. Tutto ciò che l'Occidente ha da offrire sono bastoni. Mentre
la Cina viene caricata con tutte le carote che puoi immaginare. Le carote più
succose che puoi immaginare.
Quindi
questo concetto di Maggioranza Mondiale che è venuto fuori è essenzialmente
tutto il mondo non occidentale, la Maggioranza Mondiale, può vedere queste
carote, stanno rispondendo a queste carote.
E
l'altra cosa interessante è che queste carote non sono carote neoliberiste. Questa è l'altra cosa che è molto
chiara.
Ma
permettetemi di affrontare prima questa cosa della maggioranza mondiale, perché
ancora una volta, alla stessa conferenza, si è scoperto che la sessione era
intitolata "Sviluppo
per la maggioranza del mondo".
E così
il presidente della riunione, il professor Karaganav, ha anche detto che questa
idea era effettivamente emersa alla “Scuola Superiore di Economia” in una sorta
di sessione di brainstorming in cui lo scopo era quello di dire:
"Ok,
la Russia non è il Terzo Mondo, la Russia non è il mondo in via di sviluppo,
quindi la Russia fa parte del mondo post-comunista, quindi, come possiamo
concepire una singola entità di cui la Russia è ora parte molto attiva, e sarà
uno dei leader di questo?
E
così, dopo aver fatto un sacco di brainstorming, qualcuno ha avuto questa idea
della Maggioranza Mondiale.
Quindi,
sempre più spesso, i russi pensano a sé stessi, non come parte dell'Occidente,
la cui attrattiva si sta riducendo e i cui confini sono anche piuttosto piccoli
se ci pensate.
La
maggior parte del PIL e delle persone nel mondo sono al di fuori
dell'Occidente. E anche questo sta diventando sempre più chiaro.
L'Occidente
rappresenta ora circa il 30% del PIL mondiale, quindi questo è il resto del
70%. E non potrà che crescere.
Nel
frattempo, le politiche neoliberiste dell'Occidente stanno accelerando il
declino di questo.
E
Michael, parleremo di queste istituzioni tra un secondo, ma lasciatemi dire
solo un'altra cosa sulla politica interna che avete toccato.
Poi passeremo
alle istituzioni che le maggioranze mondiali lavorano per creare.
E cioè
che abbiamo partecipato anche a un'altra conferenza all'inizio, è lì che siamo
arrivati, il
Forum economico di San Pietroburgo.
E il
San Pietroburgo [Forum economico internazionale] è un altro evento annuale.
E ciò che ci ha davvero colpito questa volta,
abbiamo partecipato alla sessione plenaria in cui sono intervenute molte
persone molto importanti, tra cui Sergei Glazyev, che sta guidando il processo di
integrazione eurasiatica in Russia.
Ha
parlato il presidente della “Società economica libera della Russia”. Sono intervenuti anche alcuni
importanti ministri e altri.
E in
questa conferenza, ciò che è stato notevole è che, escludendo uno o due
neoliberisti irriducibili che hanno anche parlato alla sessione plenaria
principale, la stragrande maggioranza degli oratori ha espresso un consenso
anti-neoliberista.
Il
neoliberismo è finito in Russia.
Il
consenso schiacciante è che dietro una sorta di stato di sviluppo che si
impegnerà in un grado abbastanza efficace e alto di intervento statale per
garantire che la Russia non rimanga indietro tecnologicamente.
Che l'industria russa è rivitalizzata.
Che la
Russia, in termini commerciali, è in una situazione vincente.
Fondamentalmente,
su tutta la linea c'era un consenso contro il neoliberismo che mi sembrava
davvero notevole.
MICHAEL
HUDSON: Beh,
il problema in quello che dici è la parola "finito".
Una
cosa è dire: "Avremo un nuovo ordine non neoliberista".
E
naturalmente questo è ciò che Russia, Cina e Iran, e gli altri paesi, l'India,
stanno tutti cercando di fare.
Ma il
problema è che c'è ancora “un ordine mondiale neoliberista” che copre gran
parte della maggioranza mondiale.
E cosa
faremo per la sopravvivenza di queste istituzioni neoliberiste?
Cosa faremo di tutto l'enorme debito estero
che è dovuto all'Occidente da quello che possiamo chiamare qui il Sud del
mondo, perché è davvero quello che deve il debito, non la maggioranza mondiale.
E
questo è davvero ciò di cui si è discusso negli Stati Uniti mentre eri in
Russia.
Come
usano questo riporto, questa eredità di debito, come una morsa sui paesi del
Terzo Mondo?
Bene,
ci sono stati molti articoli su ciò che la Cina ha da dire su questo.
Gli americani
e la NATO sono tutti d'accordo.
Il Sud
America e l'Africa possono ovviamente pagare i loro debiti se non pagano la
Cina. Stanno incolpando la Cina di tutto, che è l'ultimo nuovo arrivato di
tutti ed è il meno neoliberista.
La
Cina dice: "Beh, aspetta un minuto, non abbiamo intenzione di svalutare i
nostri debiti verso l'Africa e il Sud America solo perché possano permettersi
di pagare voi, gli obbligazionisti, per i vostri prestiti che sono andati male.
Un
prestito che è andato male è un cattivo prestito e dovrebbe essere
cancellato".
Ma non
c'è alcun sistema per la bancarotta del governo perché l'intero scopo di avere
un ordine mondiale finanziarizzato e un capitalismo finanziario è, non lasciare
mai che altri paesi dichiarino bancarotta e cancellino i loro debiti come si
può fare in America, in Canada e in altri paesi nazionali.
Volete
mantenere questo debito per sempre come un peso irreversibile in modo che un
paese indebitato non possa mai staccarsi dagli Stati Uniti e dalla NATO.
Quindi
la domanda è: come faranno queste nuove organizzazioni, queste alternative al
neoliberismo per il commercio e gli investimenti, di cui le avete sentite
parlare, come affronteranno la lotta contro questa eredità?
Il
presidente Biden dice: "O sei con noi o sei contro di noi".
Quindi,
come faranno gli altri paesi a scegliere a quale blocco vogliono aderire?
RADHIKA
DESAI: Beh,
penso che l'intera questione del debito, del debito mondiale in particolare,
sia diventata una questione davvero importante a questo punto, ed è diventata
una questione importante perché proprio ora la Cina è una parte così grande
della scena.
Ricordo
di essere tornato ai primi giorni della pandemia, quando anche il debito del
Terzo Mondo era considerato un problema importante.
Già a
quel punto, la ragione principale per cui le questioni del debito non sarebbero
state risolte è perché l'Occidente non poteva venire a patti con il fatto che
doveva trattare con la Cina e che doveva trattare equamente con la Cina.
Perché
ciò che l'Occidente vuole fare è precisamente convincere la Cina a rifinanziare
il debito che le è dovuto in modo che i rimborsi del debito del Terzo Mondo
vadano a creditori privati.
E la
Cina sta fondamentalmente mettendo in discussione i termini di tutto questo,
perché per esempio la Cina sta dicendo: "Perché il FMI e la Banca
Mondiale dovrebbero avere la priorità? Perché il suo debito non dovrebbe essere
cancellato?"
E
l'Occidente sta dicendo: "Ma è sempre stato così".
E la
Cina sta dicendo: "Beh, se non volete riformare il FMI e la Banca Mondiale,
allora non accetteremo la loro priorità. Se dobbiamo prendere un taglio di
capelli, anche loro dovranno prendere un taglio di capelli. "
Semplicemente
non accettano che queste istituzioni, le istituzioni di Bretton Woods, abbiano
alcun tipo di priorità.
E
questo fa parte dell'indebolimento, come dicevi lei. Questo è uno dei più
grandi cambiamenti dalla prima guerra mondiale.
E parte di questi cambiamenti è che il mondo
creato alla fine della seconda guerra mondiale dalle potenze imperialiste, che
sono ancora molto potenti, sta ora scomparendo sempre più.
MICHAEL
HUDSON: Tu
ed io ne parliamo da quando il Covid è iniziato nel 2020, ed è solo ora che
finalmente le riunioni del FMI e della Banca Mondiale si stanno avvicinando per
scoprirlo, con tre anni di ritardo.Non volevano affrontare il fatto che il capitalismo
finanziario ha un problema.
I
debiti alla fine non possono essere pagati. I debiti aumentano più velocemente,
soprattutto nel Terzo Mondo.
E la
ragione per cui ne abbiamo discusso e loro non l'hanno fatto è che non volevano
che l'Africa e il Sud America affrontassero il problema.
Volevano
che il problema continuasse e peggiorasse sempre di più.
Così
ora il FMI ha pubblicato grafici che dicono: "Aspetta un minuto, la maggior
parte dei paesi del Terzo Mondo sono ora in crisi".
Non
attribuiscono la crisi alle sanzioni contro le esportazioni russe di petrolio e
cibo.
Non lo attribuiscono all'aumento del tasso di
cambio del dollaro da parte della Federal Reserve.
Stanno solo incolpando lo statalismo.
Beh,
ovviamente, l'unica cosa che caratterizza il nuovo ordine globale della
maggioranza mondiale è un'economia mista in cui altri paesi faranno ciò che la
Cina ha fatto.
Faranno
soldi e terreni, cioè abitazioni, e occupazione in diritti pubblici e servizi
pubblici invece di mercificarli e privatizzarli e finanziarizzarli come è
accaduto in Occidente.
Quindi
stiamo davvero parlando, per allontanarci dalla sfera dollaro-NATO, non stiamo
davvero parlando solo di una valuta nazionale o di un'altra.
Non
sarà una questione di yen cinese e rublo russo e altre valute che sostituiranno
il dollaro. È un sistema economico completamente diverso.
Questa
è l'unica cosa che non è permesso discutere nei media mainstream. Sono ancora
sullo slogan di Margaret Thatcher "There Is No Alternative", invece di parlare: quale sarà
l'alternativa?
Perché
ovviamente le cose non possono durare come sono ora.
RADHIKA
DESAI: Assolutamente. E penso che vogliamo parlare esattamente di cosa sono queste
nuove istituzioni, perché il fatto è che si vedono accadere due cose molto
diverse.
Da un
lato, ci sono una serie di accordi bilaterali e multilaterali fatti su base
regionale, che si tratti dei BRICS o della Cooperazione di Shanghai
[Organizzazione] e cosa hai. Questi accordi sono in fase di elaborazione.
Ma
d'altra parte, la gente parla anche di cercare di creare una sorta di sistema
universale, una sorta di bancor o accordi dell'”International Clearing Union”.
Ma il
problema con loro è che, naturalmente, al momento, proprio perché l'Occidente
sta prendendo la posizione che sta prendendo, non coopererà in nulla di
universale, e senza questo non avremo un accordo universale.
E in
questo senso, ciò che vedremo è necessariamente l'emergere di accordi
regionali, forse piuttosto sostanziali, ma comunque saranno ancora regionali.
MICHAEL
HUDSON: Beh,
la domanda allora è: che tipo di rivoluzione ci sarà?
Pepe
Escobar ha appena scritto un articolo pochi giorni fa dicendo che ciò che sta
accadendo ora è, il mondo è in un altro 1848, il che significa una rivoluzione.
Ma la
rivoluzione del 1848 fu una rivoluzione borghese.
Era la forza progressista del capitalismo
industriale contro i proprietari terrieri, contro le banche e contro la classe
dei rentier che era sopravvissuta al feudalesimo.
Ciò
che era necessario è un'ulteriore rivoluzione, ovviamente, una rivoluzione del
20° secolo, al fine non solo di liberare il capitale dal proprietario terriero
e dalla classe bancaria, ma di liberare l'intera popolazione dalla classe capitale
in generale.
Questo
è ciò di cui nessuno osa parlare.
E
ovviamente non stai facendo fare proselitismo con la Cina.
Non
sta uscendo allo scoperto e dicendo: "Ecco il nostro sistema
economico in contrapposizione al vostro”.
Eppure
tutta questa filosofia sarà implicita in qualsiasi tipo di ristrutturazione che
avranno.
E
quindi la domanda è: quali saranno le linee guida alla base di questo?
Fino a
che punto si spingono così lontano nelle discussioni che avete ascoltato?
RADHIKA
DESAI: Questo è un punto davvero interessante. Volevo anche dire che, l'impressione
che si ha avuto quando si è in Russia è stata: non si ha avuto l'impressione
che questa sia una nazione in guerra.
Non
c'era sciovinismo. Non c'era quasi mai nessuno di quei segni "Z" da
vedere.
Forse
ne ho visti un totale di due o tre, forse tutti in totale durante i miei viaggi
in Russia.
E in
molti modi, il sostegno alla guerra c'è, ed è un tipo di supporto molto
silenzioso.
Qualunque
sia l'opinione che si possa avere, tutti possono vedere che la vittoria russa è
assolutamente essenziale, che una vittoria della NATO sarebbe disastrosa per la
Russia e il resto del mondo.
Tutto
questo è molto chiaro.
E per
molti versi è una critica all'amministrazione Putin fatta da coloro che sono
alcuni partigiani del suo stato di sviluppo.
È che il governo Putin non ha sfruttato
l'opportunità creata dalle sanzioni per muoversi in modo più deciso.
Da un
lato, mobilitarsi per la guerra in modo più deciso, sia in termini di
mobilitazione delle truppe che di mobilitazione economica, al fine di vincere
la guerra.
E poi,
come parte della mobilitazione economica, il punto che la gente farebbe, e
alcuni critici economici hanno fatto, è che l'amministrazione Putin si sta
ancora inclinando un po' troppo nella direzione del neoliberismo.
Ad
esempio, i controlli sui capitali non sono così estesi come dovrebbero essere.
La politica monetaria è molto più restrittiva di quanto dovrebbe essere. Lo
Stato non ha cercato di intervenire in settori diversi dalla produzione della
difesa per cercare di aumentare la produzione.
In
tutti questi modi c'è una critica all'amministrazione Putin. Deriva dal fatto che non è stato
abbastanza decisivo.
Quindi
direi che da questo sono emerse un paio di cose.
Da un
lato, le sanzioni hanno sicuramente creato le condizioni oggettive in cui la
direzione politica anti-neoliberista e la direzione politica dello stato di
sviluppo sono diventate una necessità.
E
penso che questo sia molto importante da ricordare: penso che la maggior parte dei
paesi scoprirà che, se vogliono creare qualsiasi tipo di sviluppo, dovranno
adottare politiche di sviluppo anti-neoliberiste.
Quindi,
in questo senso, ci sono effetti residui del neoliberismo, ma le circostanze
assicureranno che il neoliberismo sia essenzialmente finito, perché qualsiasi
tentativo riuscito di creare sviluppo dovrà coinvolgere il tipo di interventismo
statale che è una specie di "così lontano" dal socialismo.
MICHAEL
HUDSON: Beh,
mentre eri lì, sia il presidente Putin che il ministro degli Esteri Lavrov
hanno usato la stessa parola più e più volte, e questo è
"multipolarismo".
Ma il
multipolarismo, questo è il tipo di mondo moderno per la Pace di Westfalia del
1648 che pose fine alla Guerra dei Trent'anni.
Il
sistema westfaliano prevedeva che nessuna nazione dovesse interferire con le
politiche di altre nazioni.
E
questa era la legge che governava praticamente tutte le relazioni
internazionali fino al 1945, quando gli Stati Uniti dissero:
"Beh,
possiamo interferire con ogni altra nazione, ma nessuna nazione ha alcuna
autorità su di noi.
E non
apparterremo mai a nessuna organizzazione in cui non abbiamo potere di veto,
come l'America ha nelle Nazioni Unite, nel FMI e nella Banca Mondiale.
Puoi
vedere la prima fase di questo. I paesi commerciano tra loro.
I
recenti accordi tra Arabia Saudita, Cina, Russia, per denominare il loro
commercio nelle proprie valute.
Bene,
questo significa che i paesi deterranno, nelle loro riserve estere, le
rispettive valute.
E la
prima domanda è: quale sarà questo mix di valute estere?
Beh,
penso che la soluzione naturale sarebbe che il mix di valute riflettesse le
proporzioni in cui si trova il commercio estero di un paese.
Poiché
la Cina è il principale commerciante di così tanti paesi, ovviamente la valuta
cinese giocherà un ruolo importante.
Ma
come abbiamo detto prima, questo non significa che la valuta cinese sostituirà
il dollaro. Nessuna valuta sostituirà il dollaro perché non ci sarà mai più uno
standard del dollaro.
Non ci
sarà mai nulla come un paese che controlla altri paesi con la capacità di
afferrare i loro soldi a volontà per causare una crisi tagliandoli fuori dal
sistema di compensazione bancaria SWIFT, dal fare le cose che il dollaro ha
fatto.
Ma
molto più che tenere la valuta l'uno dell'altro, c'è l'intera sovrastruttura di come
l'economia sarà strutturata dietro di essa.
Voi ed
io abbiamo già parlato in precedenza, dato che molti paesi ora hanno
difficoltà, per usare un eufemismo, a pagare i loro debiti esteri, i paesi che
accettano di unirsi con la Russia, la Cina e l'Eurasia avranno accesso a un
nuovo tipo di banca internazionale.
E
questa banca internazionale creerà qualcosa che, in un certo senso, è come
l'oro, nel senso di essere una valuta, un veicolo, che i paesi possono usare
per pagare i debiti gli uni agli altri.
Che i
governi possono usare l'uno con l'altro.
Da non spendere a livello nazionale.
Sotto
il “gold exchange standard,” nessuno pagava [a livello nazionale] in oro negli
anni 1930 e '40, o 1950 e '60, ma l'oro era usato tra le banche centrali.
Quindi
vedremo qualcosa come la moneta “bancor” di Keynes di cui voi ed io abbiamo
discusso così tanto, o come i” DSP” del Fondo Monetario Internazionale, tranne
per il fatto che il “nuovo bancor internazionale” non sarà creato solo per dare ai
paesi militari di fare la guerra contro paesi che non piacciono agli Stati
Uniti.
RADHIKA
DESAI: Esattamente. Muoversi verso questo tipo di situazione, la situazione
simile al bancor, sarebbe molto utile. Perché se si pensa ai principi che
Keynes ha preso in considerazione quando ha progettato l'Unione Monetaria
Internazionale e il bancor e così via, quali sono state alcune delle cose
chiave?
Direi
che la prima e più importante cosa è che i paesi attuino controlli sui
capitali.
Questo
è il motivo per cui le banche centrali manterrebbero il loro potere di regolare
i conti con questa valuta internazionale concordata multilateralmente, che non
è la valuta nazionale di nessun paese.
Quindi
anche i controlli sui capitali sono importanti perché guardateli in questo
modo.
Uno
dei motivi principali per cui una sorta di politica economica sensata del tipo
che voi ed io appoggiamo, una politica economica di sviluppo, una politica che
è progettata per creare un'economia produttiva e una prosperità su larga scala,
uno dei principali ostacoli a questo è l'eccessiva finanziarizzazione del
sistema del dollaro, e tutte le élite in vari paesi del Terzo Mondo e dei paesi
a maggioranza mondiale, compresa la Russia, che partecipa a questo sistema del
dollaro.
Quindi
direi che l'imposizione di controlli sui capitali sarebbe fondamentale.
Un'altra
cosa veramente importante che viene fuori da questo sistema è che il sistema di
Keynes, l'Unione Monetaria Internazionale, è stato progettato per ridurre al
minimo gli squilibri, gli squilibri persistenti.
I
paesi non avrebbero mai squilibri persistenti in termini di commercio o
investimenti o altro.
Non ci
sarebbero eccedenze persistenti delle esportazioni, né deficit commerciali
persistenti.
Questo
è anche l'opposto di ciò che abbiamo adesso. Il sistema basato sul dollaro USA si
basa infatti sulla creazione sistematica di squilibri in cui gli Stati Uniti
devono avere deficit delle partite correnti per fornire liquidità al mondo.
E
naturalmente gli Stati Uniti e la Federal Reserve hanno anche, al fine di
rendere il dollaro più accettabile, sponsorizzato la massiccia
finanziarizzazione del sistema del dollaro in generale. E sarebbe quindi anche un sistema più
stabile, e sarebbe anche uno in cui lo sviluppo di alcune parti del mondo, e il
sottosviluppo di altre parti del mondo, non diventa una parte perpetua del
sistema.
Perché
cosa significa commercio equilibrato?
Se un
paese inizia a generare eccedenze di esportazioni eccessive, e questo viene scoraggiato
tassando i propri guadagni a livello dell'”Unione internazionale di
compensazione”, allora si crea un incentivo per il paese che ha più successo a
investire nel successo di altri paesi in modo che il commercio aumenti, ma lo
fa in modo equilibrato.
Questo
è un altro principio.
E un
ultimo punto che vorrei fare è che questo nuovo ordine monetario che verrà
creato, e sono sicuro che quando sta già nascendo la domanda è solo: fino a che
punto può diventare un ordine universale?
Ma
questo nuovo ordine valutario avrà un vantaggio molto importante, che è che il
sistema del dollaro si è sempre basato sulla svalutazione sistematica delle
valute di altri paesi, il che significa che il resto del mondo deve lavorare il
suo fegato per esportare grandi volumi nei paesi del Primo Mondo, che è
naturalmente una delle ragioni principali per cui l'inflazione è stata così
bassa nei paesi occidentali nel periodo del neoliberismo.
Quindi
devono lavorare sempre più duramente per esportare grandi volumi e guadagnare
piccole quantità in termini di valore.
Quindi
la discrepanza nel volume e nel valore delle esportazioni del Terzo Mondo, o
delle esportazioni della maggioranza mondiale, è enorme.
Se il
resto del mondo, se la “maggioranza mondiale”, inizia a ottenere un valore
migliore per le loro esportazioni e inizia a godere di un tasso di cambio
migliore, in sostanza, allora sarà meglio remunerato per i suoi sforzi.
E
penso che questo sarà molto importante per così tanti paesi a” maggioranza
mondiale”.
MICHAEL
HUDSON: Beh, hai fatto il punto chiave proprio lì. Il sistema del dollaro ha prodotto
austerità. Il risultato del sistema finanziario internazionale è l'austerità, e
un modo in cui ha bloccato questo è costringere altri paesi a svalutare.
Cercano
di gettare sempre più valuta sul mercato mondiale per pagare il loro debito
estero.
Ora,
quando un paese svaluta, cosa è veramente svalutato?
Il
prezzo delle materie prime non è svalutato.
C'è un
prezzo mondiale comune per tutte le materie prime. C'è un prezzo mondiale
comune per il petrolio e l'energia.
C'è un
prezzo mondiale comune per il cibo.
C'è un
prezzo mondiale comune per macchinari e beni capitali.
Quando
si svaluta, solo una cosa viene svalutata: i salari del lavoro e gli affitti
domestici.
Quindi,
quando il FMI parla di austerità, ciò che intende veramente è la nostra guerra
di classe contro il lavoro per assicurarci di poter aumentare i profitti nel
nucleo USA-NATO riducendo continuamente ciò che dobbiamo pagare per il lavoro
pagato all'estero.
E
naturalmente il peccato della Cina non è stato lasciare che il suo lavoro fosse
svalutato, ma invece usare l'industrializzazione, e anche i suoi legami
finanziari con l'Occidente, per costruire e aumentare gli standard di vita, non
abbassarli.
Quindi,
se ti rendi conto che l'intero punto del sistema finanziario è: come si fa a creare un sistema
finanziario che non si traduca in peonaggio del debito e degrado del lavoro?
Bene,
allora potresti non voler usare le banche centrali.
Le
banche centrali sono create dalle banche commerciali, contro il resto della
società.
Sono
le banche centrali che hanno contribuito a distruggere il capitalismo
industriale in Occidente.
Hai
davvero bisogno solo del tesoro, che è quello che avevi prima delle banche
centrali, e quello che usa la Cina.
La sua
Bank of China è in realtà un'estensione del tesoro.
Non è una banca centrale in stile americano o
europeo il cui compito è sostenere i prezzi degli immobili e rendere le
abitazioni più costose in modo che il lavoro domestico debba indebitarsi per
acquistare sempre più abitazioni indebitate, e questo non è quello di spingere al
rialzo i prezzi delle azioni e delle obbligazioni dell'1%.
Il
tesoro rappresenterebbe la popolazione nel suo insieme.
Ora,
questa si chiamava democrazia.
Ma il
presidente Biden la chiama autocrazia.
Quindi
"l'autocrazia" sta sostenendo il lavoro.
Ciò
che chiama "democrazia" è la guerra finanziaria contro il lavoro,
solo per chiarire il vocabolario orwelliano.
RADHIKA
DESAI: Assolutamente. Michele, tu sai meglio di me che l'origine stessa della
parola "tiranno" deriva dal fatto che le crisi del debito a Roma
portavano regolarmente all'elezione di governanti che governavano
nell'interesse della maggioranza del popolo, dei debitori, e contro gli interessi del piccolo
numero di creditori, motivo per cui i creditori finirono per chiamarli tiranni.
In
effetti, apparentemente la parola tiranno non significa nulla di male, ma è
arrivata a significare qualcosa di brutto perché fondamentalmente viviamo in un
mondo in cui il nostro vocabolario ci dice che tutto ciò che è contro gli interessi
di una piccola minoranza è in qualche modo contro l'interesse di tutti.
Ma ovviamente non è così.
Michael,
quello che dici mi fa pensare a diverse cose.
Solo
una piccola precisazione, e questo è ovviamente che hai assolutamente ragione
sul fatto che le banche centrali, come abbiamo negli Stati Uniti e nella
maggior parte dei paesi europei, sono totalmente agenti dei grandi capitalisti
finanziari.
Sono
completamente d'accordo ed è così che si sono comportati.
In un
certo senso, l'idea di una banca centrale è precisamente quella di fungere da
cuscinetto tra l'economia interna e l'economia esterna in modo che agisca come
una sorta di ammortizzatore, che se ci sono shock esterni che la stragrande maggioranza
della popolazione non deve subirli.
E
dovrebbe essere così.
Naturalmente,
questo è sovvertito, ma quindi le banche centrali sono importanti.
Come
lei dice, dovrebbero diventare le braccia di un sistema finanziario più ampio
che mira a creare crescita produttiva, crescita stabile, naturalmente nel
nostro tempo una crescita ecologicamente sostenibile.
Quindi
solo una piccola precisazione sulle banche centrali.
Ma poi
tre punti veloci.
Numero
uno, lei
stava indicando come il sistema del dollaro induce l'austerità nel nostro sistema,
e naturalmente, ancora una volta, il disegno di Keynes dell'”International
Clearing Union” e del “bancor” era interessante anche da questa prospettiva
perché la sua spinta era l'opposto.
Naturalmente,
i controlli sui capitali erano una chiave di volta del sistema.
Bisogna
avere controlli sui capitali, e lo scopo di farlo era quello di garantire che
tutti i governi, se lo desideravano, vale a dire, se fossero così inclini, possano gestire le loro economie
per la piena occupazione con tutto l'intervento statale necessario con un ruolo
importante per il governo e l'economia quanto necessario. E questo potrebbe essere fatto a
causa dei controlli sui capitali.
E
questo mi porta anche al mio secondo punto.
È
stato molto di moda, nella nostra era neoliberista, parlare del cosiddetto
trilemma della politica, che è che ci sono tre obiettivi che sono considerati
desiderabili dal neoliberismo, vale a dire, avere un tasso di cambio stabile,
avere una politica monetaria autonoma e flussi di capitali liberi.
Dicono
che puoi ottenere solo due di questi alla volta. Ma il mio punto è che in
realtà non è affatto un trilemma.
È un
gioco da ragazzi assoluto.
Se hai
controlli sui capitali, puoi avere sia una politica monetaria autonoma che un
tasso di cambio stabile. Non c'è bisogno di preoccuparsene.
È solo
aggiungendo flussi di capitale liberi come fine desiderabile a questo mix che
si crea questo trilemma artificiale.
È un
trilemma completamente artificiale.
E la
mia ultima osservazione.
Se le valute fossero davvero valutate
realisticamente piuttosto che questa strana sopravvalutazione del dollaro di
cui tutti abbiamo sofferto per così tanto tempo, allora in realtà ci sarebbe
ancora meno bisogno, anche tra i ricchi di qualsiasi paese, di non sentire una
pressione così grande di tenere i loro soldi in dollari come fanno oggi, perché
lo desiderano solo perché le loro valute sono così soggette ai capricci del
sistema del dollaro.
La FED
decide di alzare i tassi di interesse, poi tutto il denaro che finora è fluito
in queste economie non occidentali fluisce fuori, creando crisi valutarie,
crisi del debito, crisi commerciali e tutto questo genere di cose.
Anche
le valute del resto del mondo, dei paesi della” maggioranza mondiale”,
sarebbero più stabili e ciò diminuirebbe effettivamente l'attrattiva dei
dollari anche per le élite di queste società.
MICHAEL
HUDSON: Beh, penso che tu abbia ragione sui controlli sui capitali.
Quando
sono andato a lavorare nella finanza internazionale nel 1960, c'erano tassi di
cambio duali.
Il FMI pubblicherebbe ogni mese il tasso di
cambio per il normale commercio di beni e servizi, e un tasso di cambio diverso
per le transazioni di capitale, per il debito e gli investimenti.
Quindi
avevi due tassi di cambio. E questo perché c'erano controlli sui capitali.
Gli
Stati Uniti, attraverso il FMI, si sono sbarazzati dei controlli sui capitali
in modo che altri paesi non potessero proteggersi.
Solo gli Stati Uniti potevano proteggersi.
Questo è il doppio standard.
Inoltre,
come abbiamo discusso prima, Keynes voleva risolvere questo problema con qualcosa di molto
interessante che gli Stati Uniti hanno combattuto come qualsiasi cosa per non
accettare.
Keynes
disse: "Come
si fa a creare un sistema finanziario internazionale che non sarà dominato
dalla valuta più forte, da una valuta che sommerge le altre? In altre parole,
come possiamo evitare il disastro e la depressione mondiale che gli Stati Uniti
hanno provocato?"
Ha
detto: "Se
un paese continua ad avere un surplus della bilancia dei pagamenti e ha enormi
crediti nei confronti di altri paesi, e altri paesi accumulano un deficit, non
possiamo lasciare che siano semplicemente messi in un angolo o torneremo alla
posizione di Germania e Francia nel 1920".
Il
paese che ha la valuta principale ce l'ha perché si rifiuta di importare da
altri paesi.
Si
rifiuta di contribuire a creare un ordine mondiale internazionale ed equo, e
quindi le rivendicazioni della valuta dominante saranno messe per iscritto.
Beh,
naturalmente gli Stati Uniti sapevano che Keynes stava parlando del dollaro che
sarebbe cresciuto.
Ma
immaginate oggi se la Cina potesse dire: "Abbiamo pensato alle
discussioni che hanno avuto luogo alla fine della seconda guerra mondiale che
hanno plasmato il modo in cui il sistema finanziario mondiale si è sviluppato
e, sì, so che gli Stati Uniti e la NATO dicono, - Beh, la Cina dominerà
l'intera area e finirà per essere un'altra America”.
Bene,
la Cina può dire: "Siamo d'accordo con il principio di Keynes. Se davvero
otteniamo così tante eccedenze di esportazioni e così tante richieste di
risarcimento nei confronti del resto del paese che non possono pagare,
ovviamente lo scriveremo per mantenere la stabilità.”
Immaginate
se gli Stati Uniti avessero fatto questo nel 1945 e accettato ciò che Keynes ha
fatto. Immaginate
come lo sviluppo del mondo intero sarebbe stato diverso negli ultimi 75 anni.
Questo,
penso, sarebbe un grande stratagemma da parte della Cina.
RADHIKA
DESAI: Assolutamente. Ricordate che alla conferenza di Bretton Woods del 1944,
Keynes era andato lì con queste proposte per il bancor, per l'International
Clearing Union, e furono stroncate dagli Stati Uniti perché gli Stati Uniti
volevano imporre il dollaro al resto del mondo.
Al
contrario, a proposito, dovresti sapere che in Cina c'è molto interesse per le
proposte di Keynes per il bancor e così via, per un paio di ragioni diverse.
Una
cosa che ricordo molto vividamente è che stavo scrivendo proprio un articolo su
Keynes e il bancor e così via nel periodo della crisi finanziaria del 2008.
Così
l'ho scritto nell'autunno del 2008, ed è stato pubblicato all'inizio del 2009,
e poco
prima che andasse in stampa, il governatore della Banca popolare cinese ha
pubblicato un breve documento in cui ricordava che Keynes aveva proposto un
bancor e che dobbiamo tornare a quei principi, e così via.
E per
fortuna sono riuscito a inserire un riferimento a questo nell'articolo poco prima
che andasse in stampa, il che è stato davvero fortunato.
Quindi
i cinesi hanno molto interesse. E questa è una cosa.
Penso
che si debba capire che i cinesi conoscono il prezzo che le economie
occidentali, l'economia americana in particolare, hanno pagato per fare del
dollaro il denaro del mondo, il che è un indebolimento della propria capacità
produttiva, la finanziarizzazione del suo sistema finanziario in modo tale che
sia orientato verso attività predatorie e speculative piuttosto che essere
orientato al finanziamento di investimenti produttivi.
Quindi,
in tutti questi modi, in realtà tutti gli americani hanno pagato un prezzo
enorme per rendere il dollaro la valuta del mondo, che è solo una buona cosa
per la crema dell'élite americana e non per nessun altro.
La
seconda cosa che volevo dire è che questa idea che la valuta nazionale di
qualsiasi paese possa essere facilmente, stabilmente, in modo affidabile, in
senso buono, la valuta del mondo è stata naturalizzata nel nostro tempo, ma è un'idea
completamente falsa.
E
vedete, la carriera di Keynes è molto interessante da questo punto di vista. Ho
scritto anche di questo.
Quando
Keynes ha iniziato la sua carriera da adolescente, era appena uscito dal
college, è andato a lavorare per l'India Office, e lì ha imparato come
funzionava il sistema finanziario britannico, perché, come abbiamo detto prima,
era così dipendente dall'India britannica.
Così
il suo primo libro, pubblicato nel 1913, si intitolava "Indian Currency and
Finance", ed è ampiamente considerato come il primer.
Se
vuoi capire come funzionava il gold standard, leggi "Valuta indiana e
finanza".
E,
naturalmente, perché un libro come "Indian Currency and Finance" dovrebbe essere il primer sul gold standard?
Perché
l'India britannica era fondamentale per il suo funzionamento.
Ad
ogni modo, se leggi questo libro, è pieno di elogi per come funziona
meravigliosamente il sistema.
Keynes
era completamente acritico.
E poi
nel corso del resto della sua vita che, se ci pensate, la carriera di Keynes ha
attraversato la prima guerra mondiale, la crisi dei trent'anni. La prima guerra
mondiale lo ha iniziato, e la seconda guerra mondiale più o meno l'ha conclusa.
Morì nel 1946.
Così,
in questo periodo, Keynes fu testimone del più forte calo della posizione
internazionale e dell'economia di qualsiasi paese avesse mai visto.
La Gran Bretagna è passata dall'essere il capo
dell'impero su cui il sole non tramontava mai, ad essere essenzialmente sul
punto di perdere quell'impero e di essere trasformata in un'economia debole,
industrialmente in declino, di medie dimensioni.
Così
Keynes progettò il bancor. Keynes, nel corso della sua vita, divenne un critico del
gold standard, del suo carattere deflazionistico, dei costi che esige da altri
paesi.
Ha
assorbito tutto questo.
E,
naturalmente, verso la fine della sua vita, propose un sostituto per quello che
era questo standard di cambio oro-sterlina, che era un completo disastro.
Il che non imporrebbe l'austerità. Il che non
creerebbe finanziarizzazione.
Il che
consentirebbe ai paesi di gestire le loro economie per lo sviluppo, per la
prosperità, per la piena occupazione.
MICHAEL
HUDSON: Beh,
si può dire che l'Eurasia oggi sta riprendendo la tensione della storia
mondiale dove il mondo si era interrotto nel 1913 e nel 1914.
La
prima guerra mondiale ha cambiato l'intera direzione del mondo.
Ha fermato l'evoluzione del capitalismo
industriale in socialismo, con la rivoluzione russa e la grande lotta contro
l'Unione Sovietica.
E ha
sostituito il capitalismo industriale con il capitalismo finanziario.
E
oggi, più di un secolo dopo, ora finalmente l'Eurasia sta prendendo l'iniziativa
nel rifiutare questa regressione nel capitalismo finanziario neo-feudale e
riprendendo dove il mondo si stava evolvendo dal capitalismo industriale al
socialismo,
che sembrava essere l'onda del futuro per tutti coloro che scrivevano fino alla
prima guerra mondiale è stato un tale shock che ha traumatizzato la storia.
Lo
stiamo superando solo ora con l'Europa e l'America che combattono contro di esso.
Non
vogliono che il mondo continui come stava andando nel 1914.
Ecco
perché hanno inviato tutte le truppe in Russia per cercare di rovesciare la
rivoluzione.
Stanno facendo tutto il possibile per
impedirlo e il compito del resto del mondo è quello di combattere per la
civiltà contro le forze della reazione.
RADHIKA
DESAI: È così interessante. E direi, Michael, che anche l'Europa probabilmente uscirà da
questa folle pista filo-americana che ha percorso dall'inizio dell'anno scorso
da quando sono iniziate le operazioni militari in Ucraina.
Voglio
dire, la posizione dell'Europa è decisamente suicida, penso che stiano
emergendo sempre più voci che lo sconsigliano.
Non è
una sorpresa che Macron, durante la sua visita in Cina, abbia detto le sue
parole, non le nostre:
l'Europa
dovrebbe smettere di essere un vassallo degli Stati Uniti.
Penso
che sia molto possibile, anche se certamente la mentalità sanguinaria e le
politiche folli dei leader europei non ci danno molta speranza, ma comunque
dichiarazioni come quella di Macron indicano il fatto che l'Europa non è in un
posto molto confortevole e dovrà, se non altro per la propria sopravvivenza
economica, rompere questi folli attaccamenti alla politica degli Stati Uniti.
Questa
è una cosa. Ma dirò un paio di altre cose perché probabilmente dovremmo chiuderci
presto.
Una
cosa è che sono completamente d'accordo con te. Ho anche scritto cose su
questo, ad esempio in questo articolo su Keyes e bancor.
L'ultima
sezione, che esamina il ruolo degli Stati Uniti in tutto questo, ad esempio nel
respingere le proposte di Keynes e cercare di esercitare il suo dominio sul
resto del mondo, che ho sostenuto non ha mai avuto successo.
L'ho
sostenuto nella mia "Economia geopolitica".
Ad
ogni modo, il punto è che la sezione era intitolata "Lo strano aldilà
dell'imperialismo", nel senso che gli Stati Uniti, nel loro desiderio di ricreare
il tipo di dominio che la Gran Bretagna aveva goduto nel 19° secolo, il 20°
secolo, che
gli Stati Uniti avrebbero goduto dello stesso tipo di dominio.
Questo
tentativo è riuscito, naturalmente, a influenzare la storia del mondo, ma anche
se non ha avuto successo.
Ma ora
anche la storia di quel tentativo è finita. Non può più realisticamente nemmeno
tentare di creare questo tipo di dominio.
E questo
significa che l'ondata antimperialista che era iniziata con lo scoppio della
prima guerra mondiale e nella crisi trentennale del 1914-1945, quella tendenza
antimperialista sta ora riprendendo in modo più grande dopo essere stata un po'
frenata dai tentativi americani.
Ma
dovete capire che anche se gli Stati Uniti volevano esercitare il loro potere
sul mondo, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale non hanno mai
avuto pieno successo per la semplice ragione che il mondo comunista esisteva.
Il
mondo comunista si estendeva da Praga a Pyongyang.
Era enorme.
Gli
Stati Uniti non erano i padroni di questo mondo.
La sua esistenza poneva seri limiti a ciò che
gli Stati Uniti potevano fare.
In
questo senso, quello che avete visto è che solo dopo la fine dell'Unione
Sovietica avete visto questo tentativo arrogante da parte degli Stati Uniti di
cercare di esercitare finalmente il loro dominio sul mondo, ma che, come
sappiamo, è finito davvero male.
Non
c'è unipolarismo.
Invece c'è il multipolarismo, e gli Stati
Uniti hanno reagito molto male a questo e quindi sono stati impegnati in guerre
senza sosta da allora.
MICHAEL
HUDSON: Beh, hai ragione a sottolineare l'affermazione di Macron secondo cui
l'Europa è presa nel mezzo.
È una
specie di Donald Trump francese.
Dirà tutto ciò che pensa sarà popolare, e poi
si girerà e dirà all'altra parte l'esatto contrario.
Ma
l'Europa era nel mezzo dopo la prima guerra mondiale. Ha accettato di pagare i debiti
inter-alleati, e questo è ciò che l'ha costretta a imporre le riparazioni alla
Germania che hanno distrutto tutto il suo sviluppo.
Era
così rigido nel mantenere il vecchio sistema finanziario in cui un debito deve
essere pagato, che non poteva rompersi.
Ma in
questo momento l'Europa è di nuovo nel mezzo, la guerra dell'America contro la
Russia è combattuta in Ucraina.
Penso
che quando Macron ha fatto la sua dichiarazione, che forse l'Europa dovrebbe
andare per la sua strada, sta cercando di togliere il potere di voto all'ala
destra della Francia.
L'ironia
è che è l'ala destra in quasi tutti i paesi europei, l'ala nazionalista, che si
sta staccando dagli Stati Uniti, lasciando la sinistra alle spalle.
Quindi
l'ironia è che la “sinistra” non sta giocando un ruolo nella creazione di
un'alternativa al neoliberismo.
La “sinistra” ha abbracciato il “neoliberismo”
fin dai tempi di Tony Blair e Bill Clinton.
Quindi
è davvero unico che stiamo vedendo la civiltà, un nuovo percorso di civiltà,
sviluppato senza alcun riferimento alle discussioni passate.
Penso
che sarebbe bello avere una discussione sull'economia classica, sull'economia
politica di Adam Smith e John Stewart Mill e Marx sul valore e sul prezzo.
Penso
che fossero sulle cose importanti nel 19 ° secolo.
È come
se ci fosse una specie di classe tecnocratica che sta cercando di rianalizzare il
mondo senza alcun riferimento alla storia, e penso che sia quello che tu ed io
stiamo cercando di fare nelle nostre lezioni qui.
Stiamo
cercando di fornire una base nella storia per dire: "Tutto questo è già successo prima.
Cosa possiamo imparare dall'esperienza di cosa fare e cosa evitare?
RADHIKA
DESAI: Assolutamente. E Michael, forse dovremmo porre fine a tutto questo, ma sono
totalmente d'accordo con te.
E in
effetti questo è gran parte dell'argomento del mio libro "Capitalismo, coronavirus e
guerra".
Cerca
di spiegare perché la sinistra ha essenzialmente fallito nel capire
l'imperialismo, e questo fallimento oggi spiega il fatto che è diventata
uniformemente una “cheerleader” per le disastrose politiche dell'Occidente
contro la Russia, contro la Cina.
Mentre
ciò che trovo davvero interessante, in particolare nelle recenti dichiarazioni
di politica estera, importanti dichiarazioni che sono uscite dalla Cina e dalla
Russia, è che hanno messo l'imperialismo e la comprensione dell'imperialismo al
centro della loro comprensione.
Ogni
volta che li ho letti mi sono detto, questo è sorprendente. Questo è ciò che sosteniamo da così
tanto tempo. E ora i leader di questi grandi paesi, i governi di questi grandi
paesi, sono essenzialmente dietro questo, che è davvero così importante.
Penso
che se l'Occidente finalmente si sveglia e si rende conto di ciò che deve fare,
penso che questa possa essere solo una cosa molto positiva per noi qui, perché
altrimenti ci troveremo in una sorta di spirale di disfunzione politica per
molto tempo.
MICHAEL
HUDSON: Beh,
l'Occidente può svegliarsi, ma la leadership occidentale dei politici non si
sveglierà.
L'America
ha avuto la sua rivoluzione colorata da Wall Street qui, e si può dire che
l'Europa ha avuto la sua rivoluzione colorata.
RADHIKA
DESAI: Mi
piace. Questo è stato un ottimo modo di esprimere ciò che sta accadendo in
Europa in questo momento. L'Europa è stata oggetto di una rivoluzione colorata da parte
degli Stati Uniti.
Siamo
arrivati a quasi un'ora. Questa è stata una grande discussione Michael.
La
prossima volta decideremo di cosa parlare esattamente, ma abbiamo un paio di
argomenti in sospeso.
Uno di
questi è naturalmente quello di esaminare più in dettaglio l'economia politica
e geopolitica del conflitto in Ucraina, i suoi effetti sulle varie parti del
mondo, tra cui la Russia e l'Ucraina e gli Stati Uniti e l'Europa.
E,
naturalmente, dobbiamo ancora finire il nostro programma finale di de dollarizzazione.
Domenica
23 Aprile alle Ore 15
Tutti i
Cellulari e Tablet Inglesi
Suoneranno
l’Allarme…
Conoscenzealconfine.it
- (22 Aprile 2023) - Marcello Pamio – ci dice:
Avete
presente le storie distopiche di George Orwell?
Bene, quello che stiamo vivendo neppure lo
scrittore britannico
(vero
nome Arthur Blair) poteva immaginarlo.
Domenica
pomeriggio tutti i telefonini e tutti i tablet dei britannici inizieranno a
suonare (usando la sirena della polizia) e vibrare per 10 secondi!
Sarà
il primo test mondiale del nuovo strumento per le emergenze “estreme” del
governo!
Dovrebbe
servire ad avvertire la popolazione in caso di gravi emergenze ambientali (nubi
tossiche, inondazioni, esplosione centrale atomica, sbarco degli alieni,
attacco nucleare, arrivo di Brunetta a Londra, ecc.) e ovviamente sta
suscitando polemiche (per fortuna).
L’allarme
scatterà anche se i dispositivi sono stati silenziati.
L’unica accortezza il governo l’ha avuta per
gli schiavi del calcio (ricordate “panem et circenses”?), non facendo
coincidere il test con la semifinale di Coppa tra Manchester United e Brighton!
Come
mai un simile test? Cosa i criminali mondialisti prevedono?
E se
possono inviare una notifica contemporaneamente ai vari operatori significa che
sono tutti centralizzati!
(Marcello
Pamio)
(t.me/marcellopamio)
Il
Siero al Grafene Attacca
la
Ghiandola Pineale.
Conoscenzealconfine.it
– (21 Aprile 2023) Redazione -Prof. Stefano Salvatici – ci dice:
Lo
psicologo Stefano Salvatici svela al grande pubblico il segreto inconfessabile:
nella Ghiandola Pineale c’è la chiave per vedere tutti i mondi.
Più
volte abbiamo parlato di Evoluzione.
Tutto
è frequenza, vibrazione, attorno a noi.
Queste
frequenze, per essere decodificate, hanno bisogno della corretta chiave.
Altrimenti, restano presenti, ma sono a noi nascoste.
Ci
sono due informazioni da dare, una buona e una cattiva.
Quella cattiva è che l’Uomo è stato sabotato.
Meglio:
la sua Ghiandola Pineale ha subito sabotaggi e pertanto è stata parzialmente
calcificata.
Quella
buona è che molti studiosi stanno arrivando alla Verità:
stanno
comprendendo appieno la Grandezza Divina di questo piccolo organo.
La ghiandola pineale (detta anche “Terzo
Occhio”) è la chiave che ci permette di accedere a tutte le frequenze.
Il
film “Matrix”, nel 1999, ha spiegato questi concetti in modo abbastanza
esplicito.
In
molti non hanno compreso che questo non è propriamente un film: è un
documentario.
Non è
un caso che il Potere sia letteralmente terrorizzato dal fatto che l’Uomo possa
accedere a tutto lo spettro di frequenze e vedere il Mondo per quello che è
realmente. Infatti, cerca in tutti i modi di calcificare e sabotare la ghiandola
pineale per mezzo del fluoro, elettrosmog (5G?), alluminio, glifosato e sieri
genici.
Ufficiale:
il Siero al Grafene attacca la Ghiandola Pineale.
Qualche
mese fa, un medico veneto, Valerio Petterle, facendo le autopsie ai morti di
malore improvviso causato dal siero grafenato, aveva notato che quasi in tutti,
questa ghiandola era praticamente sparita.
In un articolo apparso su la Verità il 1°
febbraio 2023:
afferma
che in tutti i morti “è visibile un danno alla ghiandola pineale.”
La
dimensione della ghiandola pineale (o epifisi) è inversamente proporzionale
alla sua importanza.
Che
ruoli ha? Vediamone alcuni:
–
Regolazione dei ritmi cardiaci (giorno/notte);
–
Secerne melatonina;
– La
mancanza di melatonina può avere effetti negativi sullo sviluppo di ovaie, testicoli
e ciclo mestruale;
–
Influenza il metabolismo osseo;
–
Senso dell’orientamento.
Per le
persone che non si basano solo sull’aspetto materialistico delle cose,
aggiungiamo un altro punto.
La
ghiandola pineale è anche storicamente definita come “il terzo occhio” (o sesto
chakra). Questo
perché, semplicemente, è la connessione fra il mondo materiale e quello
spirituale.
Rudolf
Steiner disse che con i vaccini del futuro le persone sarebbero diventate
immuni dalla “follia” spirituale, esseri molto intelligenti ma senza anima.
Insomma, degli automi.
Se
l’Uomo apre la Pineale, Evolve.
Se l’Uomo Evolve, per il Potere, è Finita per
Sempre.
Per
concludere: la guerra all’Umanità, per chi non lo avesse ancora capito, è a 360
gradi.
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